Il primo processo per San Filippo Neri nel codice Vaticano latino 3798 e in altri esemplari dell'Archivio dell'Oratorio di Roma [Voll. 1-4] 8821009785, 9788821009785


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Il primo processo per San Filippo Neri nel codice Vaticano latino 3798 e in altri esemplari dell'Archivio dell'Oratorio di Roma [Voll. 1-4]
 8821009785, 9788821009785

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STUDI E TESTI ----------------- 191 -------------------

IL PRIMO PROCESSO PER SAN FILIPPO NERI N E L CO D ICE VATICANO L A T IN O 3798 E

IN

A L T R I E SE M PL A R I D E L L 'A R C H IV IO

D E L L 'O R A T O R IO

D I ROMA

EDITO E ANNOTATO DA

GIOVANNI INCISA DELLA ROCCHETTA ® NELLO VIAN CON LA COLLABORAZIONE D EL

P. CARLO GASBARRI

D.

O.

Volume I Testimonianze dell’inchiesta romana: 1595

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA

1957

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STUDI E TESTI 50. Borghesìe, Gino e Tettasse, Mareo. GioTsimI di M°. Pedrino deplntore. Cronica del suo tem­ po. Vol. I (1411-1436). 1929. pp. vu, 564. 51. Patos, Μ. Μ. Κριτοΰ τού Πατζη TiiroóreiTos librorum LX Basilicorum summarium. Li­ bros ΧΙ1Ι-ΧΧΙΠ edidit Franciscos Doelger. 1929. pp. xvm [2], 226. 52. Tattasso, Marco. Statuto dt Rocca de* Baldi deM’anno mcoooxlviu pubblicato... con In­ dice e glossarlo di Pietro Sella. 1930. pp. 55. 53. Nona, Medea e Vitelli, Girolamo. Il papiro Vaticano greco 11, 1. Φαβωοίνον v eoi φυτό* 2. Registri fondiari della Marmarica. 1931 pp. xxm , 70. 15 tav. In parte pieg. (face.) 43.5 x32 cm. 54. Rome, Adolphe. Commentaires de Pappns et de Théon d’Alexandrie sur l’Almageste: texte établi e t annoté... Tome I. Pappns d’Alexan­ drie. Commentaire sur les livres 5 et 6 de l’Almageste. 1931. p p . l x x . 314. 111., die. 55. Sussìdi per la consultazione dell’Archivio Vatica­ no. Π . Éatterbaeh, B. Referendarii ntrlusque Signaturae a Martino V ad Clementem IX et praelati Signaturae supplicationum a Mar­ tino V ad Leonem XITT. 1931. pp. lxv. 40«. 56. Mercati, Giovanni. Notizie di Procoro e De­ metrio Cidone, Manuele Caleca e Teodoro Meliteniota ed altri appunti per la storia della teologia e della letteratura bizantina del secolo xiv. 1931. pp. m , 548. 12 tav. 57. Devreesse, Robert. Pelasi! diaconi Ecclesiae roraanae In defensione Trium Capitulorum. 1933. pp. u n , 76. 58. Rationes decimarum Italiae nel secoli χτπ e X IV . Tuscia: I. La decima degli anni 12741280, a cura di Pietro Gnidi. 1932. pp. u v , 367. 1 c. geogr. pleg. (in busta). 59. Wilmart. André. Analecta Reglnensia. Ex­ traits des manuscrits latins de la reine Christine conservés an Vatican. 1933. pp.377. 60. Rationes deeimarnm Italiae nel secoli x iii e XIV. Aemilia. Le decime nel secoli xm -xiv. a cura di Angelo Mercati. Emilio Nasalli-Rocea. Pietro Sella. 1933. pp. vin. 514, 1. c. geogr. 61. Savio, Pietro. Statuti comunali di Vlllanova d’Astt; Introduzione, testo, franchigie, docu­ menti. indici e glossarlo. 1934. pp. xei. 446. 5 tav. (facs.). 62. Borghesie, Gino e Voltasse, Mareo. Giovanni di M». Pedrino deplntore. Cronica del suo tem­ po. Voi. Π (1437-1464) ed appendice (13471395). 1934. pp. 525. 2 tav. (face.). 63. Graf.G. Catalogue de manuscrits arabes chré­ tiens conservés au Caire. 1934. pp. x Γ21,319. 64. Rnttner. Stephan. Kanontstlscbe .«chuldlehre von Gratlan bis auf die Dekretalen Gre­ gors IX. svstcmatlscb auf Orund der handschrlftllchen Quellen dargestellt. 1935. pp. x x n . 429. 65. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografiche. Fascicolo 8®. 1935. pp. [3], 409 [2]. 66. Cassnto, Umberto. I manoscritti Palatini ebrai­ ci della Biblioteca Apostolica Vaticana e la loro storia. 1935. pp. vm . 183. 2 tav. (face.). 67. Levi Della Vida, Giorgio. Elenco del mano­ scritti arabi Islamici della Biblioteca Vati­ cana. 1935. pp. XXIX, 347, 41*. 08. Mercati. 0. Per la storia del manoscritti gre­ ci di Genova, di varie badie basillane d’Ita­ lia e di Patmo. 1935. pp. x n , 360. 5 tav.

69. Rationes deeimarnm Italiae. Aprutlnm Molislum. Le decime del secoli xm -xiv, a cura di P. Sella. 1936. pp. n i , 458. 1 c. geogr. pleg. (In basta). 70. Mercati, Angelo. La provenienza di alcuni og­ getti delle collezioni vaticane. 1936. pp. 48. 17 111.. 2 tav. 71. Enttner, Stephan. Repertorium der Kanonlstlk (1140-1234). Prodromus Corporis glossaram I. 1937. pp. xx, 536. 72. Rome, Adolphe. Commentaires de Pappus et de Théon d’ Alexandrie sur l’Almageste: texte établi et annoté... Tome TI. Théon d’Alexan­ drie. Commentaire sur les livres 1 et 2 de l ’Almageste. 1936. pp. [Lxxxm ]-cvi (3151-805. ill., dis. 73. Fasoli, Gina c Sella, Pietro. Statuti di Bologna dell’anno 1288. Tomo I. 1937. pp. x x x n . 598. 74. Sella, Pietro. Glossario latino emiliano. 1937. pp. XXIV, 407. 75. Mercati. Giovanni. Codici latini Pico Grimant Pio e di altra biblioteca Ignota del secolo x n esistenti nell’Ottobooiane e 1 codici greci Pio di Modena. 1938. pp. x Γ21. 326. 8 tav. (facs.). 76-80. Mercati. G. Opere minori. 1937. 5 voi. 81. Tedesco. V.-Vaeeari. A.-Vattesao. Μ. Π Dlafeesaron in volgare Italiano: testi inediti det secoli xm-xrv. 1938. pp. x n . 382. 82-83. Carnei, Enrico. Lettere Inedite di Gaetano Marini. II-ITI. 1938-40. 2 voi. 84. Rationes decimaram Italiae. Apnlla-LncanlaCalabria. a rara di Domenico Vendola. 1939. pp. 463. 3 grandi c. geogr. pleg. 85. Fasoli, Gina e Sella. Pietro. Statuti di Bolo­ gna dell’anno 1288. Tomo II. 1939. pp. 303. 86-88. Andrien. Michel. Le Pontifical romain an moyen ftge. 1938-40. 3 vol. 89. FriedUnder, Pani. SpStantlker GemlUdezyklus In Gaza, des Prokopios von Οβζη*€«φσασ Crocefisso in S. Marcello », in Mélanges d’archéologie et d’histoire, L X III, 1951, p. 293. Mori, n el suo palazzo di Borgo (costruito dal cardinale Domenico della Rovere, e noto sotto il nome d i palazzo d ei P eniten­ zieri, P iero T omei, Di due palazzi romani del Rinascimento, in Rivista dell’Isti­ tuto d’archeologia e storia dell’arte, V I, 1937-38, pp. 136-43, e Un elenco dei palazzi di Roma, p. 165) il 3 ott. 1562, come il domenicano Vincenzo Ercolanl

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tello del s.r cardinale,9·’ m.s Costantio Tassoni,36 mastro di casa del card. Santa Fiore, il s.r Achille Cibo,97 m.s Giovanni Battista Mo­ dio,98 m.s Bartholomeo, mastro di casa del prencipe di Massa," et riferi in una lettera a suor Costanza d e’ Nori, B ordet-I’onnelle, p. 201 n. 3 (vers, ita i., 195 n. 1). D i Giovanni B attista S alvìati fu moglie, e ne restò vedova in giovane età, Porzia Massimo, su lla quale si vedano le note 104 e 105. 33 Antonio M aria Salvìati, prima cavaliere d ell’ordine di S. Giovanni, fu investito nei 1561, venticinquenne, del vescovado d i St-Papoul, e andò in Francia nunzio d i Pio IV. Sostenne diversi uffici in curia e fu creato cardinale diacono d i S. M aria in Aquiro il 12 die. 1583, da Gregorio X III. Ricco e munifico, rico­ struì l ’ospedale di S. Giacomo in Augusta o degli Incurabili, edificò la chiesa contigua, ampliò e restaurò la chiesa e la casa degli orfani d i S. Maria in Aquiro e l ’ospedale di S. Rocco delle partorienti. Mori a Roma il 2S apr. 1602, A. Chacon, O. P ., Vitae et re» gestae pontificum romanorum et 8. B. E. cardinalium... ab A ugustino Oldoino ... recognitae, t. IV. Romae, 1677, col. 79-81. Fu anch’egli in relazione con F ., il quale una volta fece ballare lu i e il cardinale Cusanì, f. 665. 96 II modenese Costanzo T assoni fu convertito da F. circa il 1555, quando stava a servire il card. Guido A scanio Sforza d i Santa F iora; e divenne entro breve tempo prete. N el 1558, lo stam patore Ippolito S alvianì dedicò a lu i il libro di F eo B elcari, Vita del beato Giovanni Colombini, fondatore dell’ordine delti

Iesuati, con parte della vita di alcuni altri delli Iesuati, cosa molto divota et utile alla edifteatione dell’anima. In Roma, e x officina Salviana,M.D.Lvni. In suo favore, F . inferm o fece testam ento nel 1562, L anciasi, v . IV. p. 71. Morto lo Sforza, Il Tassoni entrò n el 1506 nella fam iglia cardinalizia di s. Carlo Borro­ m eo, e fu suo maggiordomo a Milano. Per ultimo venne richiam ato a Roma, per riform are la casa del cardinale M ichele B onelli, nipote di s. P io V ; ma arrivò già m alato e mori il 14 ott. 1569, Gallonio, v it a la t., p. 119; B ordet-Ponnelle, con notizie di varie lettere del Tassoni, dal 1562 a l 1568, e di un poscritto di lettera di F . a lui, pp. lix, 201, 225, 226, 230-31, 282, 311 (vers, ita l., li , 195, 217, 21S, 222-23, 272, 299). Lasciò un rilevante legato a F ., ma questo non lo accettò, e d ella carta fece coperchio a un vaso, Bacci, 1. II, c. 15, n. 9. N el 1562, F . aveva in precedenza fa tto testam ento in favore d el Tassoni, Lanciani, v. IV, p. 71. 97 D i A chille Cybo, conservatore Capitolino nel 1590, fu m oglie la teste Tam iria Ceuli, che depose il 3 nov. 1595 (112). I Cybo avevano, alla fine del cin­ quecento, il palazzo sulla piazza d i S. Pietro (area d i piazza Rusticucci) pro­ spettante la basilica V aticana; esso fu dem olito per ordine di Alessandro V II, G. Zifpel , Bicordi romani dei Cavalieri di Rodi, in Archivio della Società ro­ mana di storia patria, XLIV, 1921, pp. 194-95. Il « palazzo de Cibi in Borgo » viene ricordato, n el 1609, come dimora apprestata a personaggi ospiti del papa, Orbaan, pp. 140, 148. Per la storia della dem olizione, decisa il 17 mar. 1657 con l ’erezione del Colonnato, F rancesco card. B urle,' Dalle carte e dai disegni iti Virgilio Spada (f 1662) (codd. Vaticani latini 11257 e 11258), In Atti della P. Ac­ cademia romana di archeologia, ser. III. Memorie, v. II, 1927, pp. 1-98. 98 II medico Giovanni B attista Modio, originario di Santa Severina in Ca­ labria, A ngelo Zavarrone, Bibliotheca calabra sive Illustrium virorum Calabriae qui literis claruerunt elenchus. N eapoli, ex typographia Johannis de Simone, 1753, p. 89, pubblicò a Roma, ii 27 ottobre 1554, per V alerio e Luigi Dorici, un suo libero dialogo, Il Convito, con lettera dedicatoria al cardinale Innocenzo del Monte e privilegio di Giulio I II (ristam pa, certo non consentita, Il Convito, di m. Gio. B attista Modio overo Del peso della moglie. Dove ragionando si con­ chiude, che non può la donna dishonesta far vergogna all’huomo. In Milano, appresso di Giovann’ Antonio de gli A ntonij, m . d. l v i i i ; riproduzione della prima edizione nella raccolta di Giuseppe Zonta, Trattati del cinquecento sulla donna. B ari, Laterza, 1913, pp. 309-70). Compariscono in esso Giacomo M armitta, T rifone Benci. Gabriele Seivago e altri. Circa il 1555, il Modio fu anch’egli con­ vertito da F ., e neH’Oratorio tenne sermoni su lle v ite d ei san ti. Pubblicò, ancora.

Il Tevere ... Dove si ragiona in generale della natura di tutte le acque, e in particolare di quella del fiume di Poma. In Roma, appresso a Vincenzo Luchino,

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8 a g o s to 1595. [5] S im o n e G r a zzin i. fl. 15-16

molti altri che non mi ricordo del nome; et alcuni di questi, perchè hebbero cominciato la sera, venivano ancora la matina delle feste con li altri, quali erano molti botteghari, orefici, fondachi, guantari et altri artegiani, quali vanno hoggidì; et, molte volte, alcuni di questi gentilhomini, doppo Fesser stati a dar da mangiar la mattina, tor­ nano alla predica, et con la borsa vanno cercando le elemosine per li [f. 16] poveri.*9100 Della purità della vita del detto p. m.s Filippo, per tutto il tempo ch’io lo praticato, mai l’ho inteso dire una parola dishonesta, nè visto atto dishonesto in fatto nè in parole. Nel pontificato di Paolo Quarto, li fu levata una persecutione dal card, di Spoleti101 vicario, quale li prohibì che non dovesse andare in comitiva; et lui commisse a tutti li suoi figlioli, che non le andassero dietro, perchè voleva obedire; et, con tutto questo, era tanta la sua bontà, che ogn’uno ci voleva andare; et andavamo lontano da lui, acciò non paresse che venisse con noi, et lo aspettavamo poi in qualche luogo; et tanto più lui ci prohibiva che non ci andassimo, tanto più cresceva il numero et la volontà de andarvi, de gentilhuomini, signori vescovi et cardinali, et artigiani d’ogni sorte. Alcune volte, il padre, per sodisfar alli figlioli spirituali, la notte del tempo de estate, andava con esso loro al matutino alla Minerva et a Capucini;102 et vi veni­ 1356, con dedicatoria a l cardinale Ranuccio F arnese; e, segno d ella sua m uta­ zione, I cantici, del beato I aoofone da T odi, con diligentia ristampati, con la

gionta di alcuni discorsi sopra di essi, et con la vita sua nuovamente posta in luce. In Roma, appresso Hipp, Salviano, n el m . d. lvih, con d edicatoria a suor C aterina de’ R icci. Circa il 1556, fu risanato due m edici P ietro A ntonio Contagi e Ippolito S alviani, In Quell’occasione, il san to ebbe una levitazione, uno dei Quadri d el Pomarancio, Strong, p. 85. Il

v o lte da F ., avendo egli per

Gallonio, V ita la t., pp. 55-56.

n ell’esta si, rappresentata in Modio m orì il 12 se tt. 1560, Cesare Guasti, Le lettere spirituali e familiari di s. Caterina de? Ricci. Prato, R . G uasti, 1861, pp. x cm -xciv. Al processo, depose il nipote E ttore Modio, il 12 giu. 1597 (206). 99 Alberico I Cybo-M alaspina, figlio d i Lorenzo Cybo e R icciarda M alaspina, successe a l fra tello Giulio n el m archesato d i M assa l ’anno 1548; ebbe titolo di principe nel 1568 e d uca nel 1605. Mori n el febbraio 1623. 100 Come è testim oniato più avanti, ff. 20 e 108, « era vergogna in quel tempo andare per le ch iese scoperto domandando elem osin a». L a circostanza viene n otata espressam ente in un « B r e v e ragguaglio come com inciasse la s.*» opra di albergare li pellegrini e t co n v a lescen ti... » della Compagnia d e lla S s. T rin ità : confratelli d i essa, tra cui certo penitenti d i F ., andavano a elem osinare «n on più con il sacco, e t faccia coperta, m a scoperta, con le bisacce in s p a lla » , cod. V at. la t. 5513, f . 24; et. B ordet-P onneixe , pp. 275-76 (vers, ita l., pp. 265-66), ιοί V irgilio R osario, nato a Spoleto, vescovo d’Isch ia n el 1554, cardinale del tito lo d i S . Sim one il 15 m ar. 1557, fu vicario d i Rom a per Paolo IV . Partico­ larm ente n el 1559, ultim o anno d i questo pontefice, usò m isure persecutorie a carico d ell’Oratorio e vietò il pellegrinaggio a lle « s e tte ch ie se» . Lo stesso F. venne sottoposto a in chieste. I l cardinale d i Spoleto, com’era d etto il Rosario, m ori all’im provviso per sbocco d i sangue, il 22 mag. 1559, a lle ore ventidue, nel palazzo V aticano. L a sua fine su scitò profonda im pressione, come risu lta da num erose testim onianze a l processo e da fo n ti contemporanee cita te da B ordetP onnelle, p. 183 (vers. ita l. 176). Il Galletti, da necrologi d i S. P ietro in V ati­ cano, riporta la n o ta : «1559. 22 m aggio f II Cardinale d i S poleti sepolto alla M inerva. X LI », cod. V at. la t. 7871, f . 182; iscrizione in F orcella, v . I , p. 455, n. 1779 (con d ata d i m orte, il 23). 102 T.s» n r ì m f l

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vano tutti li gentilhuomini nominati et altri artigiani; et io ce sono andato ogni volta che andava con li altri sopradetti. Il s.r Giovanni Battista Salviati, quando cominciò andare dal padre, che mi pare fossi guidato dal mastro di casa di Santa Fiore,103 era una persona dissoluta et mondana quanto pole essere un giovane, ch’io l’ho conosciuto; et, con la pratica del p. m.s Filippo, diventò, lui et la moglie,104 humile et di vita esemplare: andava a l’hospìdale, ad accattare, per le prediche, per poveri, et durò circa otto anni, et Iddio 10 tirò a sè, et la moglie, subito morto il marito, andò a Prato et si mise nel monasterio di S. Catherina, et li parenti la fecero venir qua et fece il monasterio di Monte Magnanapoli, et ivi pose la sua dote che si chiama S. Catherina di Siena.105 Un giorno del ’54 o ’55, andando il p. Filippo con li suoi figlioli spirituali verso S. Giovanni Laterano, trovorno al Coliseo un povero tutto impiagato, et il padre si voltò a uno che si chiamava Francesco orefice, che stava in bottega di mastro Bernardo Toregiani, che lo pigliasse et portasselo a l’hospidale; lo pigliò et lo portò a S. Gio­ vanni, a l’hospidale, per fare l’obedienza del padre; et questo io lo intesi dal p. m.s Filippo, per mostrare l’humiltà di quel Francesco et dare esempio a noi altri, [f. 17] Un figliolo spirituale del p. F i­ lippo, che fu quello Domenico vacinaro, che mi diede in serbo li 300 scudi, havendoli io restituiti, li diede a un banco, per guadagnar qualcosa (non mi ricordo del banco) et il padre, de lì a pochi dì, disse a questo Domenico : « che hai fatto de’ tuoi denari? » ; li rispose che 11 aveva messi in un banco; et ii padre li disse: « va’, levali »; et lui d el Tevere, in vicinanza di piazza del Popolo, dove una delle gem ine ch iese porta al presente il titolo stesso). N el 1530 passarono a l monastero d i S. E ufem ia e v i restarono fino a l 1536, quando s i stabilirono nel rione Colonna, a i piedi di Monte Cavallo (Quirinale), presso la chiesa di S. N icola de P ortlis, ora S. Croce dei Lucchesi. In questo convento, in titolato a S. Bonaventura, abitò sempre s. F elice da C antaliee, e qui veniva F . I cappuccini lo abbandonarono n el 1631, quando si trasferirono definitivam ente nel nuovo, edificato a piazza Barberini, E douard d’A lençon, O. F . M. Cap. Il terzo convento det cappuccini in Roma.

La chiesa di S. Ricola de Portiis, San Bonaventura, S. Croce dei Lucchesi. Roma, B efan i, 1908. L a cella d i s. F elice fu trasportata e ricostruita n ella nuova sede. P er S. N icola « de T rivio » o « de Portiis », H u else n , pp. 407-08. 103 Costanzo Tassoni, g ià incontrato. 101 Porzia Massimo, figlia di Luca e d i V irginia Colonna, sposò n el 1553, giovanissim a, Giovanni B a ttista Salviati, e ne restò vedova a ventidue anni, U 15 ott. 1562. P en iten te d i F ., aveva condotto a lu i il m arito, C esare G uasti , Le lettere spirituali e familiari di S. Caterina de' Ricci, cit., p. civ. 105 Porzia, i l 25 m ar. 1563, prese l’abito domenicano nel m onastero di S. Lu­ cia a Firenze, con il nome d i M aria V ittoria. N el 1572, Gregorio X III l ’in vitò a tornare in Roma, per dare una regola a lla comunità di terziarie domenicane viventi n ella casa già abitata da s. Caterina d a Siena, presso la Minerva. Maria V ittoria comprò poi v arie antiche case dei Conti, n elle quali era inclusa la torre delle M ilizie, alla sa lita di Magnanapoli, edificando il nuovo m onastero d i s. Ca­ terina da Siena, dove entrò processionalm ente con le sue m onache n el 1574. D i esso fu priora e cam erlenga, ripetutam ente. Morì il 31 mar. 1603 e fu sepolta alla M inerva. La madre, ritiratasi con lei a Firenze e poi a Roma, era morta qui il 15 apr. 1595. Un ampio necrologio d i Porzia è trascritto d al G alletti, cod. Vat. lat. 5873,, f. 40. Sopra il m onastero, s i veda A lberto Z ucchi, O. P ., Roma domenicana; note storiche, v. I. Firenze, Ediz. della rivista Memorie dome­ nicane, 1938, pp. 224-54.

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S a g o s to 1595. [δ] S im o n e G r a zzin i. ff. 17-18

non U levava, et il padre tornò a replicargli, che li levasse; et, alla terza, li disse: « va’, levali adesso adesso », et li levò; et, in capo di tre o quatro giorni, il banco fallì. l i fallimento del banco io lo so, ma non mi incordo che banco fosse; delle parole dette dal padre, che levasse li dinari, l’ho inteso da un frate della Minerva (credo si chiami fra Francesco Óardoni)108 che era figliolo spirituale del padre. Ho ben inteso dal vaccinaro, doppo il fallimento del mercante, che diceva : « se non era il p. Filippo, io perdevo li miei denari ». Il p. Filippo havendo lui figliolo spirituale chiamato Giovanni Bat­ tista Cechino pisano, nato a Roma, figliolo di mastro Francesco sar­ tore, il quale non pigliava li documenti et admonitioni del p. Filippo, più volte ho inteso dal padre dire : « questo farà mal fine » ; et, da lì a pochi anni, fece un homicidio, che ammazzò un suo compagno, lì verso Campo di fiore, che Ί padre l’haveva prohibito, che non facesse tal compagnia; questo fu del ’58 o ’59; ho inteso più volte, quando il padre li predisse il mal successo.1®7 Un m.s Gabrielle108 (non mi ricordo del cognome era da Palma et cameriere del card. Montepulciano) dell’anno ’58, stando amalato forte, il p. Filippo lo andò a visitare più volte; la prima volta, li disse se se contentava di morire, piacendo a Iddio così; li rispose che voleva guarire et il padre non li disse altro. La seconda volta, li disse il medesimo, cioè : « Gabrielle, vi contentate di morire, se così piace a Iddio? ». Il detto Gabrielle disse di sì. E t essendo il detto Gabrielle in extremis, che non ci era il p. Filippo, diceva che era vessato dal demonio et che non poteva dir « Giesù » ; et hebbe questa tentatione et l’altra della superbia et vanagloria, che haveva fatto tanto bene, che non accadeva de dir letame nè altro. E t stando così, fu chiamato il p. Filippo, il quale, venendo, pigliò un erucifiso in mano et disse a Gabrielle : « non dubitate » ; et disse che se ingenochiassimo a dir [f. 18] le letame, et così facessimo ; et il padre, con un fervore faceva oratione, che si sentiva tutto spirito; et, de lì a mezza hora, furono superate le tentationi et il Gabrielle disse : « padre, io ho vinto ; il nemico se ne va » ; et si levò in piedi dicendo : « viva Christo per tutto il mondo » ; et io mi trovai presente, et vi era l’arcivescovo d’Avignone, il vescovo di Cavaglione, Ottavio sensale di Ripa, et m.s Ales-*0il

106 II teste Francesco Cardonl, d i Camerino, che depose il 1° sett. 1585 (35). 107 S i tratta probabilmente, come già notato, dello stesso fatto accennato sopra, f. 3. l0* Gabriele Tana, parmigiano (modenese, secondo il Galloìuo, V ita la t., pp. 67-73; m a più esa tta pare l’indicazione d el luogo d i origine data dal processo, f . 83) era un giovane cortigiano del cardinale Giovanni Kicci. Morì, ventenne, il 1° sett. 133S, nelle circostanze ricordate da parecchi te sti e descritte am pia­ m ente dal Gallonio, che attin se a un racconto scritto in italiano da Giacomo M arm itta: certam ente la lettera a m esser Arcangelo da Parma, senza d ata ma poco posteriore, contenuta nel cod. G. 68 della B iblioteca Comunale d i Perugia, ff. 117 V -118 V, edita n ell’opuscolo Una lettera inedita del poeta Jacopo Marmitta. Perugia, tip. V. Santucci, 1906 (r e r prima m essa del p. Ascenso B iecieri, a cura d ell’Oratorio d i Perugia). Inoltre, una lettera mandata dal fratello a l padre del defunto, il giorno d ella morte, s i usufruisce in Β οβοεγ-Ρ οκνετλβ. pp. 179-80 (vers, ita l., 172-73).

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8 a g o sto 1595. [5] S im o n e G ra zzin i. f . 18

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sancirò Lombardi, m.s Jacomo Marmitta109 et molti altri. Et il padre stette lì et disse a Gabrielle : « ha vinto Christo per te ; entra qua nel costato di Christo, et presto presto sarai in Paradiso » et il detto Gabrielle disse : « fratelli, fate da vero, ch’io ho visto, ho visto » ; non disse che. Et per prima, quando venne il p. Filippo, il detto Ga­ brielle, come ho detto, disse al p. Filippo : « non posso dir Giesù » et che vedeva un cane negro che li stava dietro; et il padre diceva: « è Simone, quel che vi è dietro » (che ero io) ; et detto Gabrielle re­ plicava : « so, che ci è Simone, ma ci è un cane negro, ch’io lo vedo » ; doppo fatta l’oratione, come ho detto, disse le sopradette parole: « ho vinto, ho vinto », con il restante come ho detto. Il padre occultava la sua bontà; et mentre qualche figliolo spiri­ tuale li dicea delle sue bone opere et bontà-, sempre dissimulava et non voleva si sapesse quel che era; un suo figliolo spirituale li disse perchè faceva certi gesti, come di tremare mentre diceva Messa; lui diceva che era una cosa che l’haveva presa da giovane. Haveva il p. Filippo doi sorelle110 molto belle et il padre loro111 non le aggiutava, perchè attendeva all’Archimia; et credo che la bontà et bona vita del padre le abbia conservate dal pericolo. Poi, morto il 109 D ei tre u ltim i nominati, il più importante è Giacomo M armitta, anch’egli parm igiano e segretario del cardinale Giovanni Ricci. N ato n el 1504, aveva servito in corti p relatizie; era uomo d i lettere e poeta, in relazione con la società colta del tempo. Tose un’iscrizione, a S. Maria in Aracoeli, all’amico Perino degli Organi, suonatore di cetra fiorentino, F orcella, v. I, p. 253, n. 808; e compare nel dialogo di Giovanni B attista Modio II convito, stampato nell’ottobre 1354. Convertito a vita spirituale n el 155(1 (Bernardo T asso, nell’Amadigi, appunto lo rappresentò : « E il Marmita gen til, che a D io rivolto / Da le cure del mondo è in tutto sciolto »), divenne assiduo frequentatore della chiesa d i S. Girolamo e d ell’Oratorio. N el palazzo R icci dove abitò, s’indicava anticamente una oc stanza del M armitta », Edith H ewett, Deux artistes frantale du XVI siècle à Rome. La décoration du palais Bacchetti par Maître Ponce et Marc le Français, trad, par L ou is R êau, in Gazette des beaux arts, a. 70, 1928, 1. sem ., pp. 213-27. Egli m orì il 2S die. 1501, a ssistito da F., Gallonio, V ita lat., pp. 101-02, e venne sepolto in S. Girolamo della Carità, dove il patrono e i fam iliari gli dedicarono una bella iscrizione, F orcella, v . N i l i , p. 354, n. 832. Dopo la sua morte si pubblicò la raccolta Rime di M. Giacomo Marmitta parmeggiano. In l ’arma, appresso di Seth Viotto, 1504, e su e lettere si trovano in varie sillogi epistolari del secolo xvi ; I reneo Affò, Min. oss., Memorie degli scrittori e letterati parmi­ giani, t. IV. Parm a, Stam peria reale, 1793, pp. 61-68, e Domenico Μ. Manni, Ra­ gionamenti ... sulla vita di s. Filippo Neri fiorentino, cit, pp 26-32. 110 Caterina, maggiore di F ., ed E lisabetta, minore. Caterina, prim a dei figli di Francesco N eri, n ata il 25 genn. 1513 « ab Incarnatione », sposò nel 1553 Barnaba T rievi, vedovo, di professione setaiolo; morì il 15 mugg. 1567, e Barnaba il 13 ott. 1575. E lisabetta, n ata il 7 febbr. 1519 « ab Incarnatione », sposò Antonio Cloni, vedovo, morto nel 1558; depose nel processo per il fratello F., a Firenze, il 12 lu . 1596 (XIX, extra Urbem) e mori nel 1602, R istori e F araoni, Notizie e documenti inediti sulla cita di s. F. N., pp. 133, 128, e albero genealogico annesso della fam iglia Neri. 111 II notaio Francesco Neri, nato il 3 nov. 1477, sposò nel 1512 Lucrezia da M oseiano; e, dopo la morte d i questa, una seconda donna, della quale s ’ignora il nome. Egli morì 1Ί1 ott. 1559. Non risulta esatto che le due figlie siano state m aritate dopo la morte del padre. Il quale anzi, nel suo testam ento in data 26 sett. 1559, riconobbe un' debito di fiorini 60 eoi. genero Barnaba T riev i; e un altro debito, d i 121 fiorini, aveva in confronto della figlia E lisabetta, quale erededei m arito Antonio Cloni, premorto al suocero Francesco, R is t o r i e F araoni, Notizie e documenti inediti sulla vita di 8. F. N., p. 4S, e albero genealogico Neri

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9 a g o s t o 1595. [6] M o n te Z a zza ra . ff. 18-19

padre si maritorno : che una la pigliò m.s Bernabò Trevi, per la bontà del padre, senza dote. E t io ho tenuto sempre il padre per bon servo de Iddio et reale et bono in tutti li conti; et altro non vi so dire; et predicta etc. D IE M ERCURII 0» M E N SIS AUGUSTI 1595

[6] Examinatus fuit ubi supra, ad perpetuam rei memoriam, d.nus Monte Zasara,11Z filius q. Simonis Zasara et q. Margharitae eoniugum, fio­ rentina#, profumerius in Urte ad pineam auream in Banchi#, aeta­ tis sexaginta duorum in circa, qui, medio iuramento, tactis etc. ad opportunas interrogationes, [f. 19] dixit ; Sonno quarantotto anni ch’io sonno in Roma et dell’anno 1552 io cominciai a confessarmi dal r.do p. Filippo Nero fiorentino, quale stava a S. Gieronimo della charità et, dal detto tempo in qua, sem­ pre, fino che Ί detto padre è morto, ogni festa et molte volte ancora la settimana, mi sonno confessato et communicato dal detto padre; et l’ultimo che communicasse, la mattina del Corpus Domini passato, sono stato io; et doppo la sua morte il padre mi disse che mi confessasse et communicasse dal p. Antonio Gallonio, allevo del detto padre, come ho fatto et fo ogni dì di festa. Il p. Filippo, il primo dì ch’io mi cominciai a confessar da lui, mi parse (et è parso sempre doppo) di haver da trattare con un san­ tissimo homo et vero servo di Christo, sempre con un tremore et timore, che mi pareva stare sempre dinante a un santissimo homo; et sempre raggionava della salute dell’anima et dava essempi buoni. In quel principio ch’io ci andai, ogni sera, in camera sua, faceva raggionamenti spirituali, dove eramo da quatro o sei o otto persone, perchè la camera era piccola et capiva poche persone, non piò di otto ; et il raggionamento era di cose spirituale, et il padre stava nel Ietto; et alle volte veniva in tanto fervore de spirito, che tremava tutto, et se alzava dal letto, che pareva che fosse alzato, et tremava il letto et la camera. E t questo della camera durò più di tre anni incirca; et eramo parechi giovani, tra quali ci era Simone Grazini, uno de Mas-*64 112 Questo profum iere fiorentino, che stava in Banchi presso la Zecca vecchia, f . 346, fu tra i prim i frequentatori d i F ., a l quale egli con la num erosa fam iglia restò legato d a una devota consuetudine. D epose a l processo cinque volte, con questa: 22 nov. 1595 (123), 13 genn. 1597 (190), 8 genn. 1600 (230) e 5 apr. 1606 (252). F ù padre degli a ltri te s ti Francesco (15, 93, 124, 126, 157, 262 e 268) e Giovanni B a ttista (70 e 178); e fratello d i Simone (141). Monte compare tra i confortatori d ella Compagnia della M isericordia negli an n i 1568, 1578 e t 1591; e tra i provveditori d ella stessa, negli an ni 1569, 1574 e 1579, D omenico Osano,

Liberi pensatori bruciati in Roma dal XVI al XVIII secolo (dai documenti del­ l’Archivio di Stato in Roma). Roma, 1904, pp. 26, 28, 57, 60, 85 ; 31-33, 35, 54, 64, 65. Sono trascritti nel Galletti q uesti due suoi necrologi, d a libri d i S . Luigi d ei Francesi e d i S . M aria in V a llicella : «1608. 4 iu n ii f D . Monte Zazzara ann. 75 ciré. Sep. in V allicella. L X I» , «1608. 4 iu nii f D . M ontes Zazzara florentin u s in platea A gonis par. S. Ludovici n a t. G allicane ad iutus in m orte a rr. pp. Francisco et Andrea filiis eiusdem e t sacerdotibus n.rp cong.1* V i l i » , cod. Vat. Iat. 7875, f . 93; cf. « L ib er p aroch ialis» d i S . Maria in V allicella, f . 98 v.

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9 a g o sto 1595. [6] M on te Z azzara. ff. 19-20

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saini, che non mi ricordo del nome, che l’ho visto per Roma, doi gio­ vani orefici: uno Sebastiano, l'altro non mi ricordo; et un Michele da Prato calzettaro.113 La mattina di doi o tre ore nanzi dì, andavamo a confessarci da lui et sempre trovavamo la porta aperta, tanto quella della porta, quanto quella della sua camera; et quando ci haveva confessati, ci diceva, che andassemo a far oratione; come andavamo, fino che ve­ niva l'hora della Messa; et udita la Messa, ci mandava a l’hospidali di S. Giovanni, di S. Spirito et della Consolatione, per dare da man­ giare a’ poveri infermi, et ci divideva : tanti in questo hospedale, et tanti nell'altri, et io andavo a S. Giovanni Laterano, che ci veniva Michel da Prato et Simone Grazini, il più delle volte; et vi andavamo le feste et portavamo alli ammalati de confetti de prugne, per confor­ tarli, secondo li tempi; et questa opera, che facevamo all’hora, si fa ancora adesso da quelli de l’oratorio, in maggior numero; et quando tornavamo [f. 20] dalli hospedali, andavamo alle prediche, et, con le borse, scoperti, andavamo cercando le elemosine per li poveri in­ fermi et per poveri; et questo il padre ce lo commandava per farci mortificare: che era vergogna, in quel tempo, andare per le chiese scoperto domandando l’elemosine. In questo tempo, si ammalò un giovane, quale era suo figliolo spi­ rituale, qual si chiamava Prospero Crivelli, quale habitava in Banchi, et era diffidato da medici. Il padre faceva et fece fare oratione, che Iddio li rendesse la sanità, in la sua camera et ne l’oratorio; et il giovane guarì. Doppo che fu guarito, il giovane lassò la strada della disciplina del p. m.s Filippo et si diede al mondo. Il che visto, il p. Filippo disse : « mai più voglio pregare per nessuno absolutamente per la vita » ; et questo l’ha detto più volte ; che io mi trovai presente all’oratione et a quello che il padre disse, doppo la ricevuta sanità per il giovane, so ci erano alcuni delli sopradetti nominati. L’anno del ’54, essendo morta mia madre, che mi lasciò una sorella da marito, et mi bisognava andare a Firenze, et essendo in quel tempo la guerra di Siena,114 io havevo paura di andarvi et pigliai conseglio 113 Questa lista pare includere quasi tu tti i partecipanti a lle adunanze spi­ ritu ali tenute prim itivam ente nelle stanze d i F . : sette o otto presone, crede dì precisare il B aoci, 1. I, c. 10, n. 6, fondato principalm ente su questo luogo del processo, cf. anche B ordet-Ponxfxle, pp. 124-25 (vers, ita l., 120). Erano artigiani, bottegai, giovani di fondaci, in gran parte toscani. I due orefici Sebastiano e Francesco sono già sta ti incontrati. Il M assaini (non Massimo, come il B aoci inesattam ente trascrive, al luogo ora indicato) non doveva tu ttavia essere d i estrazione troppo m odesta. Come d i origine senese la fam iglia è registrata in A maïden-B ertini, V. II, ρ. 98, con l’indicazione dello stemma; e documenti a essa pertinenti, degli anni 1553-1588, sono registrati da Domenico I acovacci, nei suoi « Repertori d i fam iglie », cod. Ottobon. lat. 2551, pp. 580-581. I fratelli Prospero e Giovanni M assaini risultano, n el 1041, proprietari d i una casa in via del Pellegrino; e un Celso, nel 1666, di una casa posta « a d cathenam Banc-orum», in a tti citati da repertori d i documenti d ell’Archivio dei Padri della Chiesa Nuova. 114 L’insurrezione dei senesi contro il presidio spagnolo, il 27 lu. 1552, e l ’alleanza stretta d alla nuova repubblica con i francesi e i fuorusciti fiorentini capeggiati da Piero Strozzi furono il prologo della guerra. N el gennaio 1554, Cosimo de’ Medici, alleato segreto degli im periali, s ’impadronì del forte di Ca-

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9 a g o sto 1593. [6] M on te Z anzara, ff. 20-21

dal p. Filippo; et il padre mi diede certi ricordi di oratione et che andasse et ritornasse presto; et andai; et all’andare, quatro volte detti in mano de soldati, che mi volsero ammazzare; et una volta al tornare ; io spedii presto il negotio, che feci monaca mia sorella, et vive. In questi anni del 1552, ’53, ’54, il padre ci menava alle Sette Chiese, et eramo in numero di vinti cinque et trenta persone, et sempre multiplied, in sino che ci trovammo del numero de doi milla persone, che ci communicassemo a S. Stefano Rotondo che era il numero sopradetto; et la reffettione, cioè il magnare, fu nella vigna de Massimi rincontro S. Stephano Rotondo;11516per la strada si can­ tavano salmi et letame et nelle chiese si facevano li sermoni. Più e più volte ho havuto molte tribulationi et travagli di mente et di famiglia et di padroni, et sonno stati travagli grandi, che è occorso mille volte; et quando io sentivo questi travagli, pigliavo la cappa et me ne andavo a trovare il p. m.s Filippo, et subito arrivato a lui, mi consolava et mi levava li travagli et fastidii, et, alle volte, senza che li parlasse, mi sentiva levato di fastidii et travagli. Ho havuto la mia moglie Clarice,115 qual ha fatti dodeci figliuoli et sempre ha havuto grandissimi travagli [f. 21] nella gravidanza et nel partorire, con pericoli grandi, che alcune volte era diffidata da medici; et io, in tutti questi travagli, recorreva dal padre, et mi dava una borsa, dicendo : « piglia questa borsa, che, posta sopra le donne de parto, sempre ha fatto miracoli di guarirle » ; et diceva che ci erano reliquie, dicendo : « piglia queste reliquie, che, quante donne l’hanno havute, nessuna ne è perita » ; et così facevo, et sempre, subito poste le reliquie, il parto veniva fuora senza dolor alcuno; et questo è stato quasi ogni volta et mai si è sconcia. Ho havuti più volte delli amalati in casa, tra li altri un Vulcanio Vulcani mio cognato Bartolomeo Dotti,117 et la moglie mad.a Lu­ cretia et m.s Giovanni Manzoli,118 quali stavano male con petecchie et in pericolo di morte; et io, in tutti questi frangenti, reeorreva al p. Filippo et lui diceva : « non dubitare, non moriranno », et rihavevano tu tti la sanità. m ollia a lle porte d i Siena. N el marzo dello stesso anno, s ’iniziò l ’assedio d ella città a opera d i un esercito ispano-florentino, e fino a l 17 apr. 1555 s i protrasse l ’eroica d ifesa , a l term ine d ella quale parte della cittadinanza s i ritirò a Montalcino, dove la repubblica si sostenne fino a l lu glio 1559. I l papa m antenne una n eu tralità arm ata, non senza incertezze d i comportamento verso le due parti. A Borna, n ella prim avera 1554 erano corse voci d i u n nuovo sacco m inacciante la città, P astor, V. V I, pp. 101-07. 115 Manca la notizia documentaria d i una vign a M assimo a S. Stefan o Ro­ tondo, su l Celio. 116 II cognome d i le i, Zaccarini, risulta più avanti, f. 4L 117 Memoria della sepoltura d i costui, fa tta il 14 sett. 1597 in S . M aria in V allicella, n ella tomba d i Monte Zazzara, si trova n el « L ib er p a ro ch ia lis», f. 41 : « D . Bartolom eus D ottus inutinensis socius in a rte chirotiiecaria D . M ontis Zazzere e t cum eo habitans sub parochia S. Iohannis M orent, prope locum qui vu lgo d icitu r Cecca Vecchia ... ». La m oglie era Lucrezia d e M ustis, che in d ata 24 ag. 1606 fece u na donazione a i Padri d ell’Oratorio, stabilendo la celebrazione d i m esse per l ’anim a su a e del coniuge. T a le obbligo diede origine a vari a tti giuridici fino n el secolo x v m (Archivio d ei F ilippini d i Borna). 118 II fiorentino Giovanni Manzoli depose il 5 ott. 1595 (66).

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9 a g o sto 1595. [6] M on te Z a zza ra . ff. 21-22

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Dal principio sino alla morte, io mi son trovato alla sua Messa et l’ho visto venire in fervore di spirito, che tutto tremava; che, alle volte, era tanto grande, che bisognava si fermasse; et questo è staco molte volte; et piangeva dirottamente; il medemo faceva quando communicava, che tremava tutto et bisognava si fermasse. Il cibo del padre, per la frequentia ch’io ho havuta nelle sue camere, ho visto che era cosa di poco momento : melangoli, frutti, et poca carne; che io in un boccone haverei mangiato quel che man­ giava lui in un pasto. In questo tempo ho visto che ha fatti molti et molti religiosi in diversi ordini; et quelli che sono entrati nelle religioni per suo or­ dine, tu tti sonno stati bene. Ho visto, nelle infermità di detto padre, gravissime, che credo habbia havuto quattro volte Polio santo, stando con tanta patientia et obedientia de’ medici, che lui pigliava tutto quello che li davano, ancorché li paresse assai; et quando li medici pensavano la mattina trovarlo morto, lo trovavano levato; et io Pho visto più volte, spe­ cialmente nell’ultima volta, che si levò et stette tre dì per casa, et la sera poi morse in capo a tre dì.119 Ho inteso dire da molti, tra quali ci è un Antonio regattieri,120 in Campo di flore, che aveva la moglie con grandissimi dolori di reni et di fianchi et il p. Filippo arrivò lì, et guarì. Un mastro ch’io ho in casa, Stefano Kestari, o ver Calcinari, era con una infermità, vicinissimo alla morte ; et havevamo certe cose del padre cioè [f.22] ca­ pelli, et li ponessemo sopra lo stomaco, perchè haveva vomito; et cessò il vomito et guarì. M.s Hercole Contesino121 da Carpi, de questi tempi, ei’a nel letto con una doglia di testa grandissima et febre; et postali una soletta del padre adosso, subito guarì; ed io l’ho inteso dal detto s.r Contesino, doppo, qui in Roma, che allog­ giò in casa de nostri parenti. E t questo è quanto io vi posso dire, di quello mi ricordo del p. m.s Filippo Nereo, quale ho tenuto sempre per un santo homo et servo de Dio; et se mi recordarò d’altro, ve Ί dirò. E t praedicta, etc. D IE V EN ER IS li * AUGUSTI 159Ô

[7] Examinatus fuit tibi supra Augustinus de Magistris,122 filius Ale­ xandri de Magistris et Luciae de GabrielUbus coniugum, de Calde· 119 F . mori il 26 mag. 1595, circa a lle ore tre del m attino. Numerosi a ltri testi­ moni del processo narrarono le circostanze e i particolari d el fa tto . Gli ultim i tre giorni sono m inutam ente descritti dal Gallonio, V ita la t., pp. 220-24. Il ne­ crologio, come si legge n el a Liber parodi ia lis », nella form a originale e con le aggiunte posteriori, è trascritto dal Galletti, cod. V at. la t. 7873, f. 81. 120 S i tratta del rigattiere Antonio F antini, teste a l processo tr e volte (9, 89 e 11C). Il fa tto qui accennato corrisponde probabilmente a quello narrato da lu i nei ff. 27-28. 121 Questo Ercole Contestai era parente d ei Zazzara e m ercante. Francesco Zazzara parlò più ampiamente di lui e d el fa tto qui narrato, ff. 47-48. I l Dacci, 1. V, c. 3, n. 6, lo nomina Cortesìni, ma la forma usata n el processo sembra più corretta,· poiché il cognome con graffa lievem ente variata (Contessini) si riscontra a Carpi.

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11 a g o s to 1595. [7] A g o stin o d e M a g istr is, ff. 22-23

vola nuncupatus, aetatis tresdecim annorum finiens in die 8. Augu­ stini de mense praesenti, qui, medio iuramcnto, tactis etc. ad oppor­ tunas eto. dixit: Io ho conosciuto il p. m.s Filippo, quale stava qui alla Chiesa nova di S. Maria in Vallieella; et non mi ricordo da quanto tempo; et la causa della cognitione è stata, ch’io sono stato da quatro o cinque volte a confessarmi dal p. Antonio barba rossa,123 prete della chiesa della Vallieella; et, andando lì alla chiesa endetta a confessarmi, ho visto questo p. Filippo, quale era vecchio; et questo p. Antonio me lo fece conoscere mia sorella, che si andava a confessare da lui, et sonno tre mesi ch’io non mi son confessato da lui. Dopoi che io mi confessai dal p. Antonio, io intesi che il sudetto p. Filippo era morto; et io stava nella scola alla hostaria delle tre stelle, sopra detta hostaria ; 124 et alcuni ragazzi, che stavano lì nella schola, dissero che era morto il p. Filippo qui alla Chiesa nova et che faceva miracoli et che haveva liberato un spiritato; et io, tornando a casa, mia sorella mi disse, che mia madre era andata lì alla Chiesa nova; et io correndo ci andai, et ci era assai gente, et il padre stava dinanzi l’altar grande, sotto la cuppa. E t ci andai per veder se mi potevo liberare de certe cose nella gola sotto il barbarozzo, che li medici dicevano alcuni [f. 23] che era catarro, alcuni che erano scrofole, et altri che era male che pro­ cedeva dal guasto d’un dente, che sonno circa cinque anni che io ce l’haveva havuto. E t andai lì con intentione di guarire, et me inginoc­ chiai dinanzi al cathaletto, dove stava morto il p. Filippo; et, fatto oratione (perchè vedevo che molte gente li toccava le mano, al detto morto, et basciavano) et io li basciai le mani et poi toccai il male et luogo del male con le dette mani, a guisa de fregamento; et pigliai certe rose, che stavano lì al cathaletto, et le diede a mia sorella, quale le mise dentro un fazzoletto. E t arrivato a casa, mi toccai così colla mano sotto la barba, dove stava il male, et mi sentii guarito; et, da l’hora in qua, non l’ho più inteso; et del tempo non me ne ricordo: et si trovavano le rose; et il male sopradetto, quando io l’haveva,*134

122 A gostino d e M agistris, figlio d el copista Alessandro, originario d i Caldarola n elle Marche, è 11 primo a deporre su fa tti variam ente ripetuti d a parecchi altri testi. C ollegate in fa tti con questa, in alcun i punti, risultano le testim onianze d el padre (10), della m adre L ucia d e G abrielli (S e 115), d elle sorelle M argherita (113) e Bartolom ea de M agistris (114), d ella vicina E p ifania C olichia (11 e 131) e d el chirurgo E van gelista O livario (49). 133 L ’appellativo u sato dal ragazzo, certam ente nom ignolo popolaresco, pare stia a designare il GaUonio, che in ritratto contemporaneo porta appunto la barba tendente a l rosso. P iù avan ti si trova nom inato anche un « Antonio m edico B ar­ barossa », f . 107: probabilmente il F acci. 134 D ell’osteria so tto q uesta insegna m anca notizia n el repertorio d i U mberto G noli, Alberghi ed osterìe di Roma nella Rinascenza, cit. D oveva esser sita , com e num erose altre, in Parione (in questo rione abitavano i de M agistris), o nel confinante rione d i P onte, dove le osterie s i addensavano soprattutto presso Monte Giordano. In v ia d ei Coronari, n . 8, registra un’« Osteria d elle T re S telle » A lessandro R o t in i , Notizie storiche intorno atta origine dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e locande esistenti nella città di Roma. Roma, Tipografia legale,

1855, pp. 34-35; m a non s i saprebbe dire, an zi parrebbe da escludere ch e si tra tti d i quella cinquecentesca.

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11 a g o sto 1595. [8] L u c ia d e G a b rie lli, ff. 23-24

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faceva sangue et marcia, et me imbrattava la camisa; et quando su­ davo et giocavo, faceva questo effetto di buttar sangue et marcia et si gonfiava; et doppo che io toccai, come bo detto, le mani del p. Filippo, non ho inteso più male ; et di questo ne poi far fede mio padre et mia madre, che Ί male ci era et che son guarito; et quelli del vicinato: mad.a Maddalena, che sta in casa di m.s Gieronimo copista; il figliolo di m.s Stefano cartolaro, che si chiama Luca; et il figliolo del p it­ tore, che vende li colori sul cantone, Giovanni Andrea; anzi, sono doi soi figlioli: uno si chiama Titta et l’altro Simone;12* et io credo di essere guarito per mezzo della bona memoria del p. Filippo, quali dice­ vano che faceva miracoli; et intesi che uno spiritato diceva, che non poteva entrare in chiesa, perchè era andato in paradiso; et questo è quanto vi posso dire. [8] Deinde examinata fuit uhi supra d.na Lucia de Gdbrielibus, 125126 filia d.ni Ioannis lacchi et Simonae coniugum de Tolentino, uxor d.ni Alexandri de Magistris copistae, mater supradicti Augustini, aetatis annorum quadraginta in circa, quae, medio iuramento, ta­ ctis etc. ad opportunas interrogationes, dixit: Sonno circa venti anni ch’io venni a Roma; che, all’hora, quatro mesi nanti, havevo partorito Giovan Felice primo figliolo mio, chie­ rico di S. Giovanni Laterano; et sempre son stata in Parione, nella casa del Mignanello ; 127 et dapoi che io venni a Roma, [f. 24] sem­ pre mi son confessata qui alla Chiesa nova; prima dal p. Alessandro, bora rettore di S. Biagio della fossa,128 poi dal p. Giovan Francesco,

125 T u tti questi vicini, d i oscura condizione, compariscono solo n ella presente circostanza; in gran parte erano, come si vede, compagni del ragazzo Agostino de M agistris. 126 L u cia de Gabrielli, madre d el teste precedente, depose una seconda volta il 3 nov. 1595 ( i l i ) . P er diverse testim onianze im parentate, si ved a la n ota 122. 127 Questa casa M ignanelli in Parione, dove abitava F u lvia M ignanelli ri­ cordata qualche riga più avan ti, era sita in « via Peregrini seu P a la tii alias d icti Zecca V ecchia ». V i alloggiò intorno a l 1578 anche il prete toscano M attia Maffei, che depose il 14 o tt. 1595 (85). Il 19 ag. 1606, la casa fu venduta da Girolamo M ignanelli e da altri della sua fam iglia a i Padri d ell’Oratorio, per am pliamento d ella piazza prospiciente alla C hiesa N uova. Conservatore Capitolino n él 1583, Girolamo era proprietario anche d el palazzo giù Capodiferro a lla R egola (ora Spada), che nel 1620 cedette a P atrizio P atrizi tesoriere generale della Camera A postolica e ai fra telli, Orbaan, p. 270. 128 S. B iagio d ella F ossa, chiesa in Parione, dove ancora una viuzza porta il nome « d ella fo ssa » ; fu ridotta a u si profani n el secolo x ix . R icordata, come pare, con il nome oc S. B la sii archarlorum », in bolla di Urbano I II d el 1186 fra le filiali d i S. Lorenzo in Damaso, si trova m enzionata anche con i cognomi « de Circlo, de C irclariis » ; n el secolo xv sembra sia sta ta d etta « della F ossa » e nel XVI anche « de trivio », H uelsen , pp. 216-17. « Padre A lessandro » è probabilmente da identificare con il sacerdote del quale s i legge la nota d i sepoltura il 4 sett. 1613, nel « Liber parochialis » di S. Maria in V allicella, f . 122 v : « R . P . Alexander de B em ard is terre S . Romuli Albigan. digces. dom inii la n u en . parochus eccl.® S. B la sii de fo v ea ... ». F u sepolto, per decreto, n ella tomba della congregazione, in riconoscimento della su a osser­ vanza e caritù alla stessa.

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11 a g o s to 1595. [8] L u cia d e G a b r ie lli, f . 24

che si è fatto vescovo,129 hora dal p. Mattheo,130 et dal p. Sotto;131 et mi confesso et mi communico doi volte il mese, et domenica passata mi confessai et communicai. Da questo tempo, sempre ho conosciuto il p. Filippo, quale era confessore della s.i*a Fulvia· Mignanella, et sempre ho inteso che era homo santo charitativo; et è morto da doi mesi et più, che io l’ho visto morto, che mel disse mad.a Maddalena, che era morto et che ci era gran gente. E t io vi andai, alla chiesa, et vi trovai molta gente, homini et donne, il cardinal Paleotto, Parravicino,132 et un altro che non lo conosco, che stavano a vederlo; et tu tti basciavano le mani al padre. E t in quanto al dire che facessi miracoli, io non lo sentii dire; intesi che haveva liberata una spiritata et non so da ehi. Yi era ancora la imbasciatrice di Spagna133 et altre genti che non mi ricordo. Io ci menai la putta piccola Margherita; et la ragazza, quando si ingenochiò lì al cataletto, cominciò a piangere, et voleva toccare le mani, et non ci giongeva, et il padre Sotto disse, che l’alzasse su, et l’alzai, et toccò il male de scrofole sotto la gola, quale ha portato questo male più di sette anni, et ci havemo fatto molti rimedii et non si è mai guarita. E anco zoppa da un piede del medemo male, che venne prima alli piedi poi alla gola. E t doppo che io l’hebbe alzata, toccò il male 139 II Bordini, il 21 febbr. 1592 nom inato vescovo d i Cavaillon, com’è già stato indicato. iso Giovanni Matteo Ancina, di Fossano, fra tello m inore d i Giovenale, con il quale entrò n ella congregazione d ell’Oratorio n el 1578. D epose i l 9 m ag. 1608 (264). 131 Lo spagnolo Francisco Soto, n ato a Langa (Soria), venne giovane a Borna e n ei 1562 entrò com e cantore n ella Cappella pontificia. Accolto quattro anni dopo n ella com unità di S. Giovanni d ei F ioren tin i, d al 1571 appartenne alla na­ scente congregazione delTOratorio e n el 1575 diventò sacerdote. S i considera il costruttore per la parte m usicale d ei cinque lib ri delle laude fiilippine, e portano il suo nome n elle dedicatorie II terzo libro delle laudi spirituali a tre e quattro voci, stam pato n el 1588; il quarto, n el 1591; e il quinto, n el 1598. D a l 1594 diresse le m usiche d ell’Oratorio, A xaijeona, Studi su la storia dell’Oratorio musicale, pp. 58-62, 306-09. Fondò il primo m onastero d i carm elitane scalze in Benna, S. Giu­ seppe a Capo le case, provvedendo a lla sua costruzione n egli anni 1596-1598 con propri risparm i, P anciroli, I tesori nascosti nell’alma città di Roma, pp. 341-43; trasm igrate altro v e le religiose, è rim asta n ella ch iesa originalm ente annessa a i m onastero un’iscrizione che e sse posero a lla sua m em oria, F orcella, v . X, p. 178, n . 283. E gli m ori il 25 sett. 1619, in età d i anni ottantacìnque; un testam ento, già da lu i fatto nel 1570 in favore d ell’Oratorio, è in dicato d al L anciasi , v . IV , p. 71. L a su a v ita , in d u e redazioni, s i legge n eli’ARXNem, cod. V allieelliano O. 58, ff. 245-252. 132 O ttavio P arravicini, creato cardinale il 6 mar. 1591, e che depose al processo il 29 nov. 1600 (246). 133 Juana F em àn d ez d e Cdrdova Cardona y Aragdn (1557-1615), m oglie di Antonio F em àn d ez d e Córdova Folch d e Cardona A nglesola y Bequesens (15501606), quinto duca d i S essa, am basciatore d i F ilippo I I e Filippo I I I a Borna. Il duca di Sessa fece il suo ingresso solenne il 21 giu . 1590 e rappresentò la Spagna fino a l 1603, presso i pontefici d a S isto V a Clem ente V IH , ritornando in patria nel 1604. F u diplom atico m olto capace, e d ella su a splendidezza parlano larga­ m ente le cronache rom ane del tempo. Sposati d a l 1578, i coniugi, che erano primi cugini, ebbero dodici figli, alcun i d ei quali n a ti a Borna, F rancisco F ernandez db B éthenooubt, Historia genealògica y herdldica de la monarquia espanda, casa real y grandes de Bspaûa, t. V II. Madrid, establ. tip. de J . B a tés, 1907,

pp. 110-20.

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12 a g o sto 1595. [9] A n to n io F a n t in i, f . 25

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alle mani del p. Filippo nel cataletto morto, pigliò delle rose cite stavano sopra, et la sera feci bullire queste rose col vino, et ci lavai prima Agostino, mio figliolo, sotto la gola che ci haveva di catarro, che veniva che ha li denti guasti. E t quel male l’ha portato circa cin que anni, et faceva sangue, et si confiavano, et ci teneva alle volte il cirotto, perchè imbrattava le camisce ; et quando non ci teneva il cirotto faceva sangue et marcia. Il qual Agostino venne lui ancora, il medemo giorno, al p. Filippo, et toccò il male della gola alle mani del p. Filippo, che io lo vidi toccare. Di poi lavai la putta con quel vino bullito con le rose, come ho detto, che erano state soprail corpo [f. 25] del p. Filippo; la lavai al collo et al piede, dove haveva male. Il putto Agostino è guarito; che me ne sonno accorta da più d’un mese, et non ha più male, per gratia de Iddio. La putta è megliorata assai et non è finita di guarire; camina, che prima non poteva caminare, che non toccò il piede; ma la gola è me­ gliorata assai; et hieri fu a S. Lorenzo et al Giesù,l3‘ che prima non ci poteva andare. Io ho havuto fede nel padre sopradetto; et che, per mezzo suo, per voluntà de Dio, sia liberato il putto, et la putta megliorata; et questo è quanto vi posso dire. D IB SABBA TI 12» AUGUSTI 1595

[9] Examinatus fuit uhi supra etc. per me etc. Antonius F antinus,134135 filius q. Ioannis Fantini et q. Dominicae coniugum de Bagnacavallo F aven tinae dioecesis etc.,, regatterius in Campo Florum, aeta­ tis annorum sexaginta quinque in circa, qui, medio iuramento, ta­ ctis etc. ad opportunas interrogationes, dixit: Sonno più di trenta anni, che io sonno in Eoma, et, dal tempo delli Carafi136 in qua, et dal pontificato di Pio Quinto in qua, cominciai a cognoscere il p. Filippo Neri, che stava a S. Gieronimo della charità. E t lo cominciai a conoscere, che m.s Francesco, mandatario del 134 S. Lorenzo in Dam aso, H uelsen, p. 284, e A rìieluni -Cecchelli, pp. 45703, 1326-27. L a chiesa del Gesù era sta ta consacrata il 25 nov. 1584, P io P ecohiai, Il Gesù di Roma descritto ed illustrato, con pref. d el p. P ietro T acchi Venturi, S. I . Borna, 1952. 135 h rigattiere romagnolo Antonio F antin i narra vivacem ente di sè in questa e nelle due altre su e deposizioni al processo, il 17 ott. (89) e il 7 nov. 1595 (116). Sua m oglie era sta ta , prim a, im a Clem entia ; poi, d al 1584 circa, D rusilla da Segni, che depose a su a volta il 20 ott. 1595 (109). Abitavano n el 1595 a Campo de Fiori, parrocchia di S. Lorenzo in D am aso; e in questa mori il teste, il 14 nov. 1615, come si registra n ei a Liber p aroch ialìs» di S . Maria in V allicella, a l f. 128 v : a A ntonius F antinus, qui artem exercebat vulgo di B igattiere aetatis annor. 8Solro· u lt.o loco habitans in parochia S. Laurentii in Damaso », a cuius corpus die sequenti in n .ra ecc. delatum e t sepultum est in sepulchro comuni ante sacellum B. V. M. Assumptae ». iss p er quanto si tra tti d i una distanza di circa quarant’anni, anzi che trenta, si può credere, ch e l’espressione, designi genericam ente il tempo d ell’ege­ monia dei Carafa, sotto P aolo IV , 1555-1559; piuttosto che il la tto della giustizia del cardinale Carlo e di Giovanni duca d i Paliano, eseguita il 5 m ar. 1561.

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12 a g o sto 1595. [9] A n t o n i» F a n t in i, ff. 25-26

Santissimo Sacramento della Minerva137 et della Concettione in S. Lo­ renzo in Damaso,138 mi condusse dal detto padre ; ^avendomi prima condotto da m.s Giuliano, padre di S. Girolamo,139 che, la prima volta, mi cominciai a confessare da questo m.s Giuliano. Et, per via di m.s Giuliano, havendomi conosciuto il detto p. Filippo, mi pose al servitio delle monache di S. Anna,140 dove haveva cura il p. Pompeo Boccaccio,141 che stava a S. Giovanni de Fiorentini; et m.s Pompeo Boccaccio mi confessò sei anni. Poi mi partii dal monastero et retor­ nai a fare il regatiero et, da Phora in qua, sempre mi son confessato et comunicato dal p. Filippo ogni mattina, quando stava a S. Giro­ lamo, et ancora quando è stato [f. 26] qui alla Chiesa nova. Et, quando non poteva il detto padre communicarmi, mi communicava un altro della chiesa. Doppo la morte del p. Filippo, mi son confes­ sato dal p. Giulio Severo142 ogni m attina; et ogni festa et ogni do­ menica mi communico : la confessione ogni dì, et le feste et domeniche la communione. Sonno circa dodeci anni, ch’io havevo moglie Clementia (non so il suo cognome) che era figliola de un pescivendolo, et era vistosa et gio­ vane; et uno, quale non conoscevo più che tanto, se non per vista, mi accorsi che faceva l’amore con detta mia moglie,143 guardando alle fenestre (che allora io habitavo incontro la porticella piccola di S. Anna); et mi venne una tentatione di ammazzarla, et mi era deli­ berato a farlo, et l’havevo composta bene, con uno spadone, che Ί diavolo me haveva tentato. E t, come fu volontà de Iddio, mentre io stavo in questo cattivo pensiero et deliberatione, mi vieime pensato nel p. Filippo; et lo andai a trovare il giorno doppo a pranzo, et ci 137 La Compagnia d el Santissim o Sacram ento in S . M aria sopra M inerva di Borna venne fondata con la bolla d i P aolo I H « D om inus N oster », 30 nov. 1539 ; s i ritiene la prim a del genere giuridieam ente co stitu ita e divenne m odello d i tu tte le a ltre fond ate o da fondare, T acchi Venturi, La vita religiosa in Italia durante la prima età della Compagnia di Gesù, p. 223; e Giuseppe S abbierò, Le confrater­ nite del Santissimo Sacramento prima del Ï5S9. Vedelago (Treviso), tip. AEB [1941], pp. 142-46. 138 L a Compagnia d ella Santissim a Concezione ottenne n el 1465 la cappella di S . Lorenzo in Dam aso che ancora porta quel titolo. I l sodalizio a v ev a cospicue rendite e distribuiva, n ella festa patronale, doti a fa n ciu lle da m aritare o mona­ care, Antonio F onseca, De basilica S. Laurentii in Damaso libri très. Fani, ex typ. C ajetanì F an elli, 1745, pp. 198-201. M andatario d ella Compagnia d ella Conce­ zione a S . Lorenzo in D am aso risulta essere stato, per un certo tem po, anche lo stesso teste, f. 289. 139 S i tra tta sicuram ente d i G iuliano F useherio, prete d i S. Girolamo della C arità, ch e depose il 16 o tt. 1595 (86). 140 L a ch iesa assai antica d i S. M aria in Iu lia, n el rione B egola, ebbe annesso un m onastero d i monache benedettine, ricordato lungo il secolo x v tra i più flo­ renti e ricchi della città. N el 1512 il m onastero è d etto « S. Annae seu Mariae in Iu lia », m a dopo la m età d el secolo prevalse il tito lo d i S. Anna, con l’aggiunta « d e i F u n a ri» o « d e i F alegn am i». Questo luogo sacro andò d istru tto n el 18S7, ARMELLiNi-CEccnELLi, pp. 546-51; e H uelsen, pp. 346-41. 141 Pompeo Boccaccio, da V etralia, fu il capo d ella com unità d i S . Giovanni d ei F iorentini, costituita d a F . n el 1564, a richiesta della « n a zio n e» , con sei suoi discepoli. Pompeo non appartenne a lla congregazione d ell’Oratorio. I l su o nome s i trova ricordato in u n elenco d i v isita to ri d elle chiese romane, nom inati dal cardinale vicario d i Roma in d ata 4 m ag. 1569, Rivista di storia della Chiesa in Italia , V i l i , 1954, p. 45.

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12 a g o sto 1595. [9] A n to n io F a n tin i, fi. 20-27

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era gente in camera (non so si erano tre o quatro persone) et entrai dentro in camera con furia, et mi buttai in ginocchio, dicendoli : « padre, son tentato di ammazzare uno, quale mi son avisto che fa la civetta presso di mia moglie», quale io tenevo per dona da bene; ma essendo io stato soldato a tempo di vita mia, havevo fatto quella deli­ beratione. Il padre, ridendo, disse : « va’ via, non è niente » ; et mi pose le mani in testa, et disse : « va’ via non è niente » ; et me si passò quella fantasia. Et quello homo io non l’ho più visto a far la civetta, come faceva, ancorché l’habbia visto per Roma, et morse de lì a doi o tre anni. Subdens : mi son ricordato, che questo homo era servitore del gran mastro di Malta, qual morse qui in Roma,14213144 lui et Romagasso.145 Et, come ho detto, fui liberato dai pensiero cattivo, et da l ’homo, che non venne mai più a far la civetta : et, se non era il padre, io lo cercava, a quel homo, che son colerico. Sono circa sei o sette anni, andando io alla Chiesa nova a confes­ sarne, mi convenne fare uno servitio di orinare sotto una finestra della casa, che sta in insula presso la detta chiesa; [f. 27] et, men­ tre io orinava, una serva buttò dalla detta fenestra, con un boccale o vero carafa, un poco di aqua sopra la testa; et lasciai l’orinare imper­ fetto, se ben mi ricordo; et entrai in chiesa, dove stava il padre nella cappella della Nunziata146 in detta chiesa; et me ingenochiai dinanzi

142 II modenese G iulio Savera, entrato n el 1588 n ella congregazione d ell’Ora­ torio. Egli depose tre volte (83, 156 e 162), n egli anni 1595 e 1596. 143 II fa tto , raccontato d al G allo.vio, V ita ita l., pp. 131-32, è riferito dal teste alla sua precedente m oglie, Clemenza. Curiosamente, D ru silla da Segni narra a sua volta una vicenda del genere, f. 289. Si possono rilevare le circostanze diverse che, n ell’episodio di Clemenza, è Antonio F antin i a sospettare e a volere uccidere l ’uom o; n ell’episodio d i D rusilla, è la donna stessa a ritirare il piede da un passo pericoloso che sta per fare. 144 N el racconto d el fa tto , il B acoi, L I I , c . 9 , n. 3 , parla semplicem ente, e non senza reticenza, d i «u n servitore d’un Gentiluomo ». Per tentare d i ch ia ­ rire con n otizie storiche l ’aneddoto, il 21 die. 1581 m orì in Roma il gran m aestro dell’ordine Jean Levesque de la Cassière, che vi era arrivato il 26 ottobre di quell’anno, n ell’epilogo d el famoso episodio noto come la « riv o lta del C onvento», C h . H irschaubr , Recherches sur la déposition et la mort de- Jean Levesque de la Cassière grand maitre de Vordre de Malte, in Mélanges d’archéologie et d’histoire,

XXXI, 1911, pp. 74-141. Settantottenne, egli venne alloggiato in Roma n el palazzo del cardinale Luigi d ’E ste, a Monte Giordano, e fu sepolto in S. L u igi d ei Fran­ cesi, F orcella, v . I l i , p. 24, n. 60. 143 II guascone M athurin de Lescout, detto Romegas, priore d i Tolosa e d ’Irlanda, uno del più audaci uomini di mare d ell’ordine d i M alta, capitano delle galere, depose e imprigionò, nel luglio 1581, il gran m aestro Jean Levesque de la Cassière, e fu eletto luogotenente; chiam ato a Roma da Gregorio X III, v i mori la notte tra il 3 e 4 novembre. Si legge d i lu i questo necrologio, n el G alletti : « 1581. 4 novem, f M aturinus R om egassius vasconius ordinis hierosolym itani cuius ob virtutem sppe spectatam nomen ipsum terrebat hostes. Sep. in eccl. Ss. T rini­ tatis in Monte Plncio eum epit. », cod. V at. la t. 7872, f. 88; l’iscrizione, in F or­ cella , v. I l l , p. 137, n. 357. ΐ4β N ella chiesa di S. Maria in V allicella, l ’u ltim a cappella d ella n avatella sinistra, a partire dall’ingresso; eretta e d otata dai fra telli A lessandro e Orazio B uspoli, fiorentini, per sepoltura domestica, secondo l’iscrizione collocata davanti l ’altare, con la data 1591, F oroeli.λ , v . IV, p. 151, n. 356. L e opere per la cappella sono d atabili dal luglio 1598 al N atale 1591, con i documenti cita ti da B ordet-P onn elle , p. 368, nn. 8-9 (vers, ita l., 353, nn. 6-7). Il quadro dell’Annunciazione, di Domenico C resti detto il Passignano (1560-1638), ora sopra l ’altare, fu mandato

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12 a g o s to 1595. [9] A n to n io F a n t in i, f . 27

al padre per confessarne ; et il padre me disse : « o bella cosa, mettersi a orinare sotto le fenestre; dovreste guardare, prim a». Io li rispose, che non pensavo mi vedesse alcuno, et per questo me ci era posto. Et mi fece maravegliare et stupire, che Ί padre sapesse questa cosa, per­ chè lui non mi poteva vedere; nè manco persona alcuna l’haveva potuto dire, perchè non vi era persona che mi havesse potuto vedere, eccetto quella che stava alla fenestra; et ancora che alcuno l’havesse visto, non ci haveva tempo a dirlo al padre, perchè subito io arrivai lì, come ho detto, et mi posi in ginochione.147 Un’altra volta, mentre il padre stava a S. Hieronimo, il p. Filippo mi faceva dare il pane per darlo alli miei putti, cioè del pane di S. Hieronimo ; 148 et un donna, padrona della casa dove io stavo presso l’olmo vicino a S. Croce149 (non mi ricordo del nome) moglie di un pelamentelli,150 vedendo il pane in mano de miei putti, che all’hora era gran carestia, disse : « dove havete havuto questo pane? » Io li disse, che cel dava il nostro padre confessore a S. Girolamo per elemosina, et questa donna disse : « voglio venire ancora io a confessarme dal detto padre » ; et la domenica, o vero prima festa, che venne doppo che disse dette parole, che fu fra settimana, stando io lì in S. Gieronimo, che mi era confessato, et aspettavo die si confessasse mia mo­ glie dal sodetto p. Filippo, la detta donna, moglie del pelamanteUo, si accostò al p. Filippo et se inginoehiò per confessarse. E t il padre li disse : « andate via, non ho pane per voi » ; et lei disse : « mi voglio confessare » ; et il padre li disse : « andate da un altro » ; et non la volse confessare. E t non andò da altri ch’io vedessi, ma, secundo me, venne per confessarse per havere il pane : et di questo io mi maravegliai, che il padre havesse notitia della donna fosse venuta lì a con­ fessarsi per haver del pane. d a V enezia, dove il pittore si trattenne fino a l 1589, n el quale anno ritornò a F i­ renze, F i l i p p o B aldinitcoi, Notizie de* professori dei disegno da Cimabue in qua, ohe contengono tre decennali dai 1580 al 1610, opera postuma ... In F irenze nei Garbo, n ella stam peria d i G. Manni, 1702, p. 132. 147 II fatto è narrato dal Baooi, 1. I li, c. 7, n. 7, con reticenza, «come un caso per Istrada ... che per degni rispetti si tace». 148 L a Compagnia d i S. Girolamo d ella C arità distrib uiva il pane e a ltri a li­ m enti ogni dom enica a i poveri bisognosi, come è sta to sopra ricordato, M arangoni, Vita del servo di Dio p. Buonsignore Oaeciaguerra, p. 59. 149 Olm i e a ltri alberi sono u sa ti abbastanza spesso n ella vecchia toponoma­ stica rom ana, O rbaan, p. 226 n. T re esem pi s i registrano ancora da A lessandro R o t in i , Dizionario etimologico-storico dette strade, piazze, borghi e vicoli delia città di Roma. R om a, Tipografia d ella R . C. A . presso i Salvinoci, 1847, pp. 151-52.

L a spiegazione più probabile per il testo è che si tra tti deU’Olmo che d ava il nome alla piazzetta d etta ora d i San Salvatore in Campo, m olto prossima a l palazzo Santacroce (ora P a so lin i); esso era nominato anche l ’Olmo in A renula, G n o l i , Topografia e toponomastica di Roma, p. 191. P er i palazzi che i Santacroce ebbero nei rioni S . A ngelo e R egola, e in particolare quello d el cardinale Prospero, Incor­ porato n ella sede d el Monte d i pietà, M ario T o si , l i sacro Monte di pietà di Roma

e le sue amministrazioni. H Banco di depositi. La Depositeria generale detta R. Camera apostolica. La Zecca. La Depositeria urbana (1539-1874). R om a, Libre­ ria d ello S tato, 1937, pp. 112-17. S i nom inava d alla fam iglia anche la piazza d etta poi d el Monte d i pietà. iso « P ela m a n te lli», rivenditori d ’ab iti vecchi, rigattieri. « V ia Pelam entelliorum », circa i l 1600, o v ia P elam entelli s i trova nom inata la presente v ia d ei Giubbonari, O rbaan, p p . 31, n. 101.

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14 a g o sto 1595. [10] A lessa n d ro d e M a g istr is, f . 28

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Un'altra volta, mia moglie stava male, che habitavamo in Campo de Fiore, in casa di mastro Antonio [f. 28] barbiero151 (possono essere quindeci anni, più presto più) il padre venne lì, ch’io lo chia­ mai, io et m.s Vincenzo da Fabriano ; et venne lì et haveva una scarpa, qual diceva che era di Pio quinto;152 et li pose alla schina questa scarpa, facendo oratione sopra detta mia moglie, che tutto tremava: et da lì a doi o tre dì, guarì, per gratia de Iddio. E t io l’ho tenuto sempre per un homo santo et religioso, vero servo de Iddio ; et predicta.

D IE LUNAE 14* AUGUSTI 1595

[10] Examinatus fuit ubi supra d.nus Alexander de Magistris,1S3 filius Ioannis Felicis de Magistris et Mariae, coniugum, alter de Calderoila, videlicet pater, altera, videlicet mater, de Murro Vallium Fir­ manae dioeceseos quoad Murrum; Galderola, vero, Gamerinensis dioeceseos, aetatis annorum sexaginta quatuor in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, etc. dixit : Sono trenta sei anni ch’io sonno in Roma, che venni la prima volta, et poi sonno andato alle volte al paese, et son stato soldato, poi al servitio del card. Rusticuccio,15* et, da venti anni in circa, alla copistaria.155* Ho conosciuto il p, Filippo, da che stava a S. Giovanni de Fiorentini et era principale lì al governo de l’Oratorio di S. Gio­ 151 Antonio Franchi, genovese, teste due volte al processo, il 17 ott. 1595 (27) e il 27 nov. 1595 (90). 152 Una « scarpa da papa » si trova notata nell’« Inventarium bonorum ». Il Baoci, L III, c. 13, n. 4, parla appunto di « una scarpa di velluto rosso » già di s. Pio V, che F. teneva presso di sè e usava come reliquia ; e narra a sua volta di un risanamento operato con essa sopra ima donna innominata, che si può identificare con la moglie del Fantini. Per la devozione di F. a s. Pio V, Bordet-Ponnelle, p. 221 (vers, ital., 214). 153 Alessandro il capo della famiglia de Magistris, della quale vari membri compariscono nel processo. « Calderola », «Calderolo», si trova anche nominato il copista, ff. 30 e 450; dal paese di origine, Caldarola, nella moderna provìncia di Macerata. Anche il suo necrologio, trascritto nel Galletti, da libri di S. Tom­ maso in Parione, menziona il soprannome: «1610. 25 febr. t Alexander de Magi­ stris alias il Caldarola », cod. Vat. lat. 7875, f. 115. Alcuni de Magistris compari­ scono proprietari di case nel rione di Ponte, già sulla fine dei secolo precedente. Nel 1617 vendettero alla congregazione dell’Oratorio una casa posta nellV insula S. Cecilie », « e conspectu ece.« S. Cecilie ad Montem Iordanum ». 134 Girolamo Rusticucci, nato nel 1537 a Fano; creato cardinale, il 17 mag. 1570 da s. Pio V, dei quale era stato segretario anche prima dell’elezione. Sisto V, nel dicembre 1587, lo nominò vicario di Roma. Morì il 14 giu. 1603, vescovo di Porto, e venne sepolto a S. Susanna, suo antico titolo, da lui radicalmente restaurata e rinnovata, F orcella, v . IX, p. 534, nn. 1038-1042. 155 «Via Parionis, ubi copistae», circa l’anno 1600, era Indicata la contrada d’abitazione del teste, Orbaan. p. 31 n. Nella chiesa dì S. Tommaso in Parione aveva anche sede la confraternita dei copisti o scrittori sotto la protezione della Santissima Annunziata e dei santi Giovanni Evangelista e Nicolò vescovo, Armellixi-Cecchelli, p. 471. Il termine pare quindi denotare il luogo dove si eseguivano copie a prezzo per uso pubblico, e non un ufficio o parte di ufficio regolarmente costituito; dei quali non si trova memoria.

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14 a g o sto 1595. [10] A lessa n d ro d e M a g istr is. If. 28-29

vanni de Fiorentini, et ci era il p. Cesare356 quale ci è oggi alla Vallicella Chiesa nova. E t quando lo cominciai a conoscere, menti*e ch’io stavo al servitio del card. Rusticuccio, et andavo lì per devotione, alli sermoni che se facevano lì in detto oratorio all’hora di quel tempo, non mi confessavo, come fo adesso, che adesso mi confesso et mi com­ munico una volta et doi il mese : dal p. Pietro, in quanto alla Confes­ sione; la Communione, quando lì, quando qui in S. Thomasso.157 [Sì omettono le narrazioni (lei risanamenti di Agostino e Marghe­ rita de Magistris, tigli del teste, perchè ripetute in modo molto simile nelle deposizioni imparentate, particolarmente sotto i numeri 7 e 13]. [f. 29] ... Di più, quando io intesi che correvano le genti al morto, io ancora corsi et me ingenocchiai, dove ci era mia moglie con la putta, et toccai le mani del padre con li occhi mia (la man destra, se ben mi ricordo) basciandola prima, et poi toccai con la detta mano li mia occhi, quali doi mesi havevo tenuti lacrimosi, che mi dubitavo de perdere la vista; et me si cominciò a legerire il male, et in sei giorni son stato libero a fatto et [f. 30] certo io tengo che sia stato mira­ colo de Iddio, mediante la devotione che ho havuta in quel p. Filippo, quale ho tenuto sempre bono religioso et devota persona, et per tale era stimato da tutti. Et praemissa etc. De personis informatis de infirmitatibus, dixit : Del mio male, tu tti quelli di casa: mia moglie, mia figlia Bartholomea,158159 et una donna Befania,139 che sta in casa. Del male del putto et della putta, tutto il vicinato ne è informato; li medici sono stati m.s Angelo da San Lupidio,160 vicino S. Luigi, che legge in stu­ dio; m.s Evangelista Olivario161 da Montopoli, eirurgico alla piazza de Medici; un lambicatore,162 che stava alli Monti, hora alla Scrofa, e francese. Ho inteso da Bifania, che haveva una stretta de petto, quale io so che l’haveva; et parlando di questa cosa, hier sera, disse

158 a P . Cesare », qui e altrove, il Baronio. Il 5 giu. 1593 era stato eletto rettore della congregazione d ell’Oratorio di Roma, e il 6 luglio dell’anno stesso, per rinunzia di F ., preposito. Il quale ufficio tenne fino a lla sua creazione a cardinale, il 5 giu. 1596. P iù sotto, « P. Pietro » è, come pare, il Peracchione : piemontese, prete nel 1560, eg li entrò nella congregazione d ell’Oratorio nel 1577. 157 S. Tommaso in Parione, an tica chiesa d i questo rione. Consacrata nel 1139, appare nel 1186 tra le filiali di S. Lorenzo in Dam aso, H ijelsen , p. 492. Iu essa F. ricevette gli ordini m inori e il suddiaconato, e il 23 mag. 1551 il sacerdozio. 138 L a quale depose il 3 nov. 1595 (IH ). 159 La teste successiva, E pifania Colichia, d i R ecanati. leo Angelo Antonini, da S. Elpidio (ora S. E lpidio ai Mare, in provincia di A scoli Piceno), tenne in Roma con lo stipendio annuo di scudi 200 la cattedra di anatom ia dal 1587 al 1619, anno della m orte; ebbe per il suo insegnamento anche un settore; non lasciò opere scientifiche, Giu s e p p e C abafa, C. R ., De professoribus gymnasii romani liber secundus. Romae, typis A ntonii Fulgonii, 1751, p. 360, e P ietro Capfaboni, I maestri d’anatomia nell’ateneo romano della Sapienza du­ rante il secolo XVI, in Bollettino dell’Istituto storico dell’arte sanitaria, XXV,

1926, p. 223. 161 Questo chirurgo, che abitava in piazza dei Medici (ora Firenze, nel rione Campo Marzio), depose ii 14 sett. 1595 (49). i 82 Non risulta il nome di questo lam biccatore, specie di farm acista che pre­ parava d istilla ti, abitante già nel rione Monti e, al tempo di questa deposizione, n ella nota contrada appartenente ai rioni d i Campo Marzio e S. Eustachio.

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17 agosto 1593. [11] Epifania Colichia. ff. 30-31

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che subito che si pose de quelle rose nel petto, dove haveva male, si sentì guarita, cioè delle rose che stavano sopra il p. Filippo, Et praedicta. DIE IOVIS 17a MENSIS AUGUSTI 1593

[11] Examinata fuit libi supra, per me etc ad perpetuam rei memo­ riam, Epiphania Colichia, 163 filia q. P etri Colichi et Dominicae alias Menice, de Rachaneto, relieta q. Ioannis Colichie Rechanatensis, aetatis annorum quinquaginta quinque in circa, quae, medio turamento, tactis etc. ad opportunas interrogationes, dixit ut sequitur: Io venni a Roma sonno circa sette anni; et venni per una lite che ho qui in Iioma con Nicolò Albonico da Recanati dinanzi a mons. Ric­ cio.101 E t io non ho conosciuto i] p, Filippo, se non morto (che è un mese et mezzo, et poco pii! o manco) et intesi che era morto un santo homo, et stava qui alla Chiesa nova; et io stavo in casa di mad.a Lu­ cia, moglie di m.s Alessandro Calderola copista, qui in Pacione. et udendo io il rumore che correva per Roma, et si diceva che era morto un santo homo, et che faceva miracoli (et questo io lo seppe la sera, et mi parse mille anni, che si facesse dì) et la mattina a bon hora io ci andai, qui alla Chiesa nova, et trovai un morto [f. 31] qual dice­ vano che era il p. Filippo. Era vecchio grande, et stava nel cataletto dinanzi all’altare grande, et vi era gente assai (donne la maggior parte, quale piangevano la maggior parte, et io piangeva con Paître) et me ingenocchiai piangendo. E t io havevo una pasma nel petto, che non potevo parlare, nè potevo fiatare; et mi raccommandai a quel homo morto, qual dicevano che era il p. Filippo, che mi levasse questa doglia del petto. E t pigliai delle rose, che stavano sopra il detto corpo, et me le posi in petto; et non ne pigliai molte, perchè havevo paura, che li preti, che stavano lì non mi Gridassero; et subito mi sentii allegerire il stomaco, et me se comenzò a passare il male; et la notte riposai, che le altre notte non potevo dormire; et fra tre dì non ebbi più male, et parse che fosse la mano de Dio ; che havevo tenuto questo male da Natale fino a quel giorno; et, come ho detto, non potevo dor­ mire nè reposare. Et, da l’hora in qua, come ho detto, fra tre giorni, mi sentii guarita a fatto; et subito, come ho detto, mi si comenzò n passare il male, et reposar la notte. E t questo tengo che sia stato miracolo de Iddio, per mezzo di questo santo benedetto, et non ho inteso più male. De quelle rose ancora me ne ho serbate, che le tengo in una canestrella, tra le cose più chare ch’io habbia.*16 163 Epifania Colichia depose una seconda volta, il 27 nov. 1595 (131). Nella quale occasione, dichiarò di essere a Roma da circa un anno, diversamente da quanto si legge all’inizio della presente deposizione. Per le deposizioni imparen­ tate, si veda la nota 122. 11 risanamento della teste è narrato dal G a ix o n io , Vita Iat., p. 231. 161 Alfonso Ricci, milanese, protonotario apostolico partecipante, chierico di Camera e abbreviatore; dall’anno settimo di Gregorio XIII, referendario delle due Segnature. Mori il 26 feb. 1597, K atterbach, p. 171. La Segnatura di giustizia, supremo tribunale della Curia, era competente a trattare cause contenziose e criminali, ecclesiastiche e laiche, in sede di appello e in prima istanza.

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17 agosto 1595. [12] Pietro Consolini. il. 32-33

[Si omettono i racconti in forma breve dei risanamenti di Ales­ sandro de Magistris e dei figli Agostino e Margherita, perchè ripetuti nelle deposizioni imparentate, particolarmente sotto i numeri 7, 10 e 113] [f. 32] ... EADEM DIE [12] Examinatus fuit ubi supra rev.dus d.nus Petrus Gonsolinus,1*5 firmanus, filius d.ni Victorii Gonsolini et d.nae Sanctae Fortunae, de Monteleone, Firmanae dioeceseos etc. aetatis annorum viginti octo in circa, presbiter cappellanus ad Schalas Sanctas, qui, medio itiramento, tactis etc. ad opportunas interrogationes, dixit: Sonno circa otto o dieci anni, che io cominciai a conoscere il r.do p. m.s Filippo Neri fiorentino, qui alla Chiesa nova alla Yallicella; et [f. 33] la causa della cognitione fu, ch’io mi confessava dal p. m.s Angelo Velli della Congregatione dell’Oratorio; et alcune volte, che Ί p. Angelo era fora, che andò a Loreto, mi raccomandò al padre, che mi confessasse, et mi confessai da lui alcune volte. Udivo alcune volte la sua Messa et alcune volte lo serviva; et lo vedevo che, alle volte, massime quando haveva consecrato, pareva che ballasse et si alzava con li piedi, in ponta de piedi, che ballava. Da cinque anni in qua, io sonno entrato in casa et sono delli confratri, dove l’ho conosciuto più intrinsecamente, et per homo dotto assai; che io andavo a udir theologia, et una sera, fra l’altre, me*31

165 Pietro Consolini, nato a Monteleone di Fermo, ora provincia di Ascoli Piceno, venne a studiare a Roma presso lo zio, prete in S. Giovanni dei Fiorentini. Nel 1590 entrò nella congregazione deU’Oratorio. Egli depose al processo una se­ conda volta, il 2 ag. 1596 (182). Il G a l l e t t i trascrisse il suo necrologio: «1643. 31 ian. t D. Petrus Consolinus de Monte Leone Firmanç, digc. Quem s. Philippus in cong.aem vocatum et receptum unice dilexit et virtutum suarum fecit hgredem, Eccl.icis sacram.1» rite perceptis eadem qua vixit sanctitatis opinione mortuus est cum ageret gtatis annum 78. V ili» , cod. Vat. lat. 7880, f. 14. La vita si legge nell’A r in g h i , in due redazioni, cod. Vallicelliano O. 59, fi. 6-121 v (aggiunto il testamento autografo, ff. 122-125) e nel R ic c i , pp. 91-147 ; un bel profilo, in B ordetP o n n e l l e , pp. 371-73 (vers, ital., 356-57). Un manoscritto che si asserisce autografo del Consolini, contenente «De­ posizioni, e attestazioni delia santità di s. F. N., e di quanto egli aveva osser­ vato nello spazio di cinque anni, che egli stette col santo», venne registrato, sotto la segnatura S. I. η. V, da G iovanni L am i , Catalogus codicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur (Libumi, 1756), p. 145; ma da circa la metà del see. xix risulta irreperibile. Una raccolta di notizie, varie e talvolta curiose, comunicate dal Consolini, o che lo riguardano, si trova in un codice miscellaneo della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma, fondo S. Francesca Romana 13, ff. 1-27 : « Alcune attioni, detti, e am­ maestramenti del nostro glorioso Padre s. Filippo Neri; e di molti Padri e Fra­ telli di Congregat.· e d’altri, referiti dalla s.ta me. P. Pietro Consolini, posti per norma a’ suoi giovani; e di molte cose particolari intorno alla vita del medesimo P. Pietro, da un suo indegno discepolo osservate, e per ordine d’un Padre di Congregat.® descritte dall’anno 1639 tosino al principio dell’anno 1643; nel quale egli morì, cioè all’ultimo di gennaio a hore 12 e raeza ». Nei ff. 26-27 si leggono «Detti, e fatti del N.ro glorioso Padre S. Filippo copiati da una nota scritta di mano del P. Pietro Consolino », pregevoli per immediatezza e vivacità.

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17 agosto 1595. [12] Pietro Consolini, if. 33-34

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interrogò et me se manifestò, che haveva li articoli di S. Thomasso molto per le mani. L’ho conosciuto per homo patiente, charitativo, di viver tenue, sollicitissimo nelle cose de Iddio. Era di gran spi­ rito, et molte volte, per sbadar il spirito che li veniva, faceva legger libri quali non erano più che tanto spirituali,168 et io medesimo li ho letti; et una volta me disse che non haveria potuto dir Messa, se non havesse fatto questo atto di far legger tal libri. Si faceva slacciare li vestimenti et faceva aprire le fenestre di mezzo inverno, dicendo che sentiva troppo caldo et che li veniva affanno al core. Un giorno, lo conobbi per molto mortificato, perchè, venutolo a visitare alcuni s.ri polacchi, saputo che venivano da lui per devotione che li havevano, mi fece, per esser tenuto senza devotione, leggere alcuni libri faceti; et quelli signori si partirono molto ammirati, che non lo tennero come prima, per quello si poteva vedere; et il padre lo fece a posta, per non essere tenuto et stimato; et questo lo so io, che mi chiamò a posta, per farmi legere detti libri, et diceva a quelli signori : « che vi credete che io facci? fo leggere queste sorti de libri, et questi sonno boni lib ri»; et questo è stato circa un anno fa.16r [f. 34] Una mattina, dicendo Messa in capella, restato là a far ora­ tione solo, cominciò a chiamare ; dove correndo ancora io, disse : « an­ date presto da m.s Mcolò G ili168 et sappiatemi dir come sta » ; et es-1867 186 Di libri letti da F. parlano più testimoni del processo, indicandone talvolta i titoli. Di questi profani, che il B aooi dice a di favole, di facezie e d’altre materie simili», 1. II, c. 18, n. 15 (e cf. nn. 16-18, con aneddoti vari), compariscono a esempio a libri de battaglia », f. 388, « favole d’Isopo », f. 665, e il « libro delle facetie del Piovano Arlotto», che si richiamerà nella nota successiva. D’elenco dei libri trovati nelle stanze di F. è contenuto nei ff. 10-20 dell’« Inventarium bonorum », redatto per ordine della congregazione il 28 mag. 1595. Del documento completo, che si conserva nell’Archivio dei Padri della Chiesa Nuova, gli editori di questo Processo preparano la pubblicazione a parte; nella quale si propongono di fornire, per la parte relativa ai libri, l’identificazione delle opere inventariate e il riscontro di quelle conservate al presente nella Biblioteca Valllcelliana. Un catalogo parziale, disposto per ordine di materie, è stato dato con il titolo La biblioteca di s. Filippo, ne La Carità; bollettino dell’Ospizio di s. Filippo, n. 7, 26 mag. 1895, pp. 1-6. Si trova una notizia compendiaria nel­ l’articolo anonimo, ma del p. F u l v io C ordionano , S. I., San F. N. nella scienza e nell’arte sacra, in Civiltà Cattolica, anno 73, 1922, v. 3, pp. 233-34; e in quello di L eopoldo S a n d ri , La biblioteca di san F. W., in Ecclesia, V, 1946, I, pp. 236-39. 187 « Signori principali di quel Regno » erano, secondo il Bacci, i . Il, c. 18, n. 16, i polacchi andati da F., e che a lui mandava lo stesso Clemente V ili. Si po­ trebbe pensare che fossero dei personaggi arrivati a Roma per la canonizzazione di s. Giacinto, tenuta il 17 apr. 1594, e per la quale avevano fatte istanze al papa il re Sigismondo III e la regina Anna di Polonia, P astor , v . XI, p. 401, 490. Rapporti con la Polonia e con personaggi di quel paese, F. e l’Oratorio ebbero prima, sotto il pontificato di Gregorio XIII ; quando era stata intrapresa la fonda­ zione di un Collegio polacco in Roma, presto chiuso, B ordet- P o n n e l l e , pp. 413-15 (vers, ital., 395-97). A testimonianza del Cusani, f. 388, il libro fatto leggere nella circostanza da F. era quello del Piovano Arlotto. 188 Nicolò Gigli era nato a Troyes circa il 1520. Venuto a Roma come precet­ tore, fu accolto nell’Oratorio, entrando nel 1571 nella comunità di S. Giovanni dei Fiorentini; nel 1573 divenne prete, e mori il 14 giu. 1591, come narra il G a l l o n io , Vita lat., pp. 190-91. Nel G a l l e t t i è trascritto il breve necrologio, alla data : « Sep. R. D. Nicolaus Gilius Trecen. pbr. n.rg cong.1* V ili », eod. Vat. lat. 7873, f. 29. La sua vita si legge nell’ARiNGHi, in due redazioni, eod. Vallieelliano O. 58,

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Μ

17 agosto 1595. [12] Pietro Consolili!, f. 31

seudo questo padre araalato vicino a morte, lo trovai che diceva: « gratias agamus Domino ; victus est » : mostra che havesse havuto Pabbatimento del demonio et che !1 padre l’havesse saputo nell’oratione et aggiutato: non mi ricordo del tempo; può esser da tre anni et mezzo in circa. A quatro gioveni hebrei*169 predisse l’hora della conversione loro, dicendoli : « facciamo questa sera oratione et pregate ancora voi Iddio, che vi mostri la verità, perchè Iddio non lascia ingannar nissuno ». Poi soggionse in spirito : « et se sarete in errore, dimatina, alla mia Messa, forzaremo Iddio ». Et così fu, che la mattina, essendo questi quatro giovanetti hebrei ostinatissimi, tutti si convertirno in quello istesso tempo, che Ί padre diceva Messa. Et io mi trovai presente alle parole dette di sopra; et la mattina, stando io alla cathechizazione loro, viddi la conversione repentina, et seppi che all’hora il padre diceva Messa. Questi hebrei sonno nepoti del s.r Ugo Boncompagno170 et furono batezzati da n.ro s.re Clemente papa ottavo in S. Gio­ vanni Laterano, publicamente. ff. 286-29S (aggiunta una sua lettera autografa a Pompeo Pateri, f . 299) e nel R ic c i , pp. 204-08 La forma originaria francese del cognome non compare mai nelle opere storiche o in documenti. Si può supporre che fosse Gilles. 169 SI tratta dei quattro Corcos-Boncompagni : Alessandro (prima Giuda), Ago­ stino (Salomone), Ippolito (Ruben) e Clemente (Àbramo). Essi vennero battezzati il 28 ott. 1592, a S. Giovanni in Laterano, da Clemente VITI ; e della loro conver­ sione si parla molte volte nel processo. Testimoni in questo compariscono Ippolito (19) e Agostino (21, 243 e 349), che entrò nella congregazione dell’Oratorio. IT0 Ugo Boncompagni discese dalla storica famiglia ebraica Corcos e si chiamò prima del battesimo Solomon, Avviso di Roma, 21 apr. 1382, cod. Urb. lat. 1050, ff. 122 e 124. Il cognome Corcos risulta esistente in Spagna, alla fine del secolo xm , ma poiché non si conosce un toponimo esattamente corrispondente si è congettu­ rato che esso possa derivare dalla città di Carcassonne, nella Francia meridionale. A Roma, dal secolo xvr, la famiglia appare tra le più cospicue: erano banchieri ricchissimi e dotti rabbini. Un albero genealogico, dal quale tuttavia sembrano omessi i Corcos cristiani, è dato in H e r m a n n V o g e l s t e in e PAtrx, R ie g e r , Geschichte der Juden in Som, 2. Bd., V&O-mn. Berlin, Mayer & Millier, 1895, pp. 106-08; e biografie di numerosi membri, spagnoli e italiani, della famiglia si trovano in The Jeìdsh encgclopedia, vol. IV. New Vork and London, 1903, pp. 262-65. Questa ultima opera esclude la identificazione di Ugo-Solomon eon Solomon ben David, rabbino, e con Solomon ben Joshua, attivo membro della comunità di Roma, e insinua non comprovata documentariamente la identificazione del convertito Ugo con Solomon Corcos, p. 265. n. 13. Ma l’Avviso contemporaneo sopra cit. narra con particolari questa conversione di « Salomon Corcossa uno dell! primi ricchi di tutto l’hebraismo d’Italia», istruito nell’aprile 1582 dai padri dell’Oratorio per il battesimo, che fu ricevuto nella Pentecoste di quell’anno, 2 giugno. Egli assunse il nome battesimale e il cognome dello stesso pontefice regnante, Gregorio XIII. L’unico figlio, prima nominato Lazzaro, era già stato battezzato con il nome di Gregorio, il 1» ag. 1581, in S. Pietro, contemporaneamente alla moglie Angela e a Elia Corcos, il quale si nominò Lodovico, Autobiografia, di monsignor G. A. S a n to r i , cit., in Archivio della Società romana di storia patria, XII, 1889, pp. 370-71. Nella primavera ’82, anche la moglie di Solomon, Giacoma, era stata condotta in casa della marchesa Giulia Rangoni, ma ancora resisteva alle esortazioni; più tardi, ricevette la prima comunione da F., a S. Girolamo della Carità, come attesta il processo, f. 268. Sui Corcos cristiani, sotto il cognome assunto di Boncompagni, forniscono non poche notizie varie deposizioni, e B ordet- P o n n e l l b , pp. 481-83 (vers, ital., 459-60). Questa ultima opera indica inoltre un biglietto di confessione a firma di F., rilasciato il 29 ott. 1592 a Ugo Boncompagni, e due ricevute d’interessi versati a questo dallo stesso F., il 5 nov. 1584 e il 14 mag. 1585, pp. nxv-nxvi (vers, ital., LVII-LVIII).

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17 agosto 1595. [12] Pietro Gonsolini. lì. 34-35

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Ubo di questi, quale si chiama Agostino Poneompagno, doppo la conversione, se infermò et era infermità: grave; era cathecumeno et non batezzato, et il p. m.s Filippo lo venne a vedere, che stava nelle stantie della nostra Congregatione, et il padre calò dalle sue stanze et venne a vederlo, et disse : « non dubitate, che questi padri vi guari­ ranno con le loro orationi ». Et detto questo, mannò fuori delia stanza quelli, che erano là presenti a raccomandare l’infermo a diversi padri, et esso restò solo dall’infermo. Io, che fui uno de mandati, tornando là prima delli altri, trovai che Ί padre teneva una mano sopra il petto dell’infermo, et ballava, come soleva a l ’altare quando era in spirito. E t partito il padre, venuto là [f. 35] il s.r Ugo, suo zio, de lì a poco, lo trovò netto di febre et parimente il Cordello,171 suo medico. I l quale lo dimandava con instantia, a l ’infermo, donde fosse proceduto questo suo meglioramento et chi ci fossi stato da lui; et il putto amalato rispose, che vi era stato il p. Filippo, et che li haveva detto, che li padri lo guarirebbono ; et all’hora partì il Cordello maravegliato, et disse a me, che l’accompagnava nel partire : « voi havete in casa un’altra sorte de m edici», et mi pare che soggiongesse: « la natura non arrivava a questo ». Una signora illustrissima stava malissimo; andava in questa in ­ fermità spessissimo il p. Filippo a visitarla; et vi era un nipote del­ l ’inferma, che non voleva che il padre vi andasse. Però fu detto da alcuni padri della Congregatione al medemo p. Filippo di gratia non ci andasse, perchè quel signore nepote l ’haveva grandemente a male. Rispose il padre, che lui ci andava solo per aggiutar l’anima della inferma, et per questo non si curava d’esserci ammazzato. Et essendo di novo pregato a non ci andare, rispose che voleva che quella inferma guarisse in ogni modo, et che quel nipote dell’inferma sarebbe morto Di Ugo e Gregorio, di discendenti e di altri membri della famiglia scrisse B artolocci, cistercense, Bibliotheca, magna rabbinica, de scriptoribus £ scriptis rabbininicis, ordine alphabetico hebraice £ latine digestis, pars tertia. Romae, ex Typ. S. Congregationis de propaganda fide, 1683, pp. 739, 821-27, ripro­ ducendo un ampio breve di Gregorio XIII, datato 1. nov. 1382, in favore dei due primi, fatti nobili, conti e cavalieri romani e graziati di privilegi e prerogative. Ugo, diventato anche conservatore della città, costruì la cappella dell’Annunziata nella chiesa della Madonna dei Monti. Da Gregorio, che fu caporione, nacquero Paolo, avvocato nella curia, Francesco Maria e Gregorio, domenicani, e Baldassare. Di Paolo, successivamente, fu Aglio Giovanni Filippo, referendario delle due Segnature, morto nel 1682; e di Baldassare, Marco Antonio, anch’egli prelato, giudice di Borgo e delle strade, che ediAcò a sue spese la facciata marmorea della chiesa di S. Marcello. Di Gregorio, il G a l l e t t i trascrisse il necrologio, dal «Liber parochialis» di S. Maria in Vallicella, f. 113: «1611. 18 iulii t Gregorius Ugi Boncompagni rom. ann. 50 in domo sua sita in nostra parochia. Die sequenti loco depositi delatum in nostra ecclesia. Inde eodem die translatum in eecl. S. Mari? de Montibus ubi sep. in proprio sep. V ili» , cod. Vat. lat. 7875, f. 130. 171 Girolamo Cordella, di Fermo, medico del cardinale Alessandro Farnese circa il 1575 e, nell’ultimo suo anno di vita, di Clemente V ili, viene nominato più volte per l’assistenza prestata a persone comparenti nel processo e a F. stesso, che gli fu amico. Nella raccolta del G a l l e t t i si trascrive questo necrologio, da libri S. Eustachio: «1593. 11 marzo t Girolamo Cordella medico da Fermo. Sep. nella chiesa di Monserrato. LII », cod. Vat. lat. 7873, f. 79 v. La notizia della morte è anche in un Avviso di Roma, 18 marzo 1595, nel cod. Capponiano 29, f. 73 v (di qui, pare, il M a r in i , I , pp. 476-77 dedusse come data di morte il 18 marzo). G iu l io

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17 agosto 1595. [12] Pietro Consolini. ff. 35-36

prima di lei et fra poco tempo: mi pare elle specificò alcuni giorni determinati, de’ quali non me ricordo. E t così fu elie, fra pochi giorni, venne la nova delia morte del signor nepote; et quella signora che era tenuta spedita, ancora vive : et questo sonno da doi o tre anni in qua.172 biella morte del Cordello medico, andai la mattina, per dir l’of­ ficio con il p. Filippo, insieme col p. Antonio Gallonio, a bon hora; et li sentei dire : « tanto, che Ί Cordello è pur morto a undeci hore » ; et poi avvedutosi che noi non ne sapevamo niente, disse « che sto a dir io? mandate un poco a vedere ; ho piacere sentire come sta » ; et chi fu mandato trovò, che alle undeci hore era passato di questa vita : et quello che vi andò fu Egidio Calvelli,173 nostro giovane di casa. Una volta, raggionando il padre con molti (tra quali ero io; et, fra li altri, son sicuro che vi era il p. Antonio Gallonio), disse, che essendo putto, [f. 36] cascò da un asinelio, quale li era menato a casa da certe sue possessioni, in una eatharatta et non si fece male alcuno;174 et ne ringratiava assai Iddio, che l’havesse liberato. Et 172 II tatto qui narrato, che si legge nel G a l l o n io , Vita lat., p. 186, con remis­ sione dei nomi dei personaggi, e si ripete da vari testi al processo, anche con la dichiarazione dei nomi stessi, si riferisce a Lavinia Orsini Della Rovere e al nipote Giulio Cesare Colonna. La prima, uscita dalla famiglia lucchese dei Franciotti che due generazioni avanti aveva assunto il cognome Della Rovere per adozione, sposò nel 1541 l’illu­ stre condottiero Paolo Orsini dei ramo dei marchesi di Lamentane (morto a Ve­ nezia, in servizio della repubblica, il 3 mar. 1581), L u t a , « Orsini di Roma », tav. XXVI. Colta umanista, Lavinia era stata in rapporti con Olimpia Morata, che la introdusse a parlare in un « Dialogus », contenuto nei suoi Orationes, dia­ logi, epistolae, carmina, tarn latina quam graeca. Basileae, apud Petrum Pernam, m . d .l . x h , pp. 47-58; e della quale rimangono cinque lettere dirette a Lavinia, O l i m p i a M orata,

Epistolario

(1540-1555),

con uno studio introd. di

L anfranco G a­

Ferrara, Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna, 1940, pp. 67 75, 79, 92 e 97. Lavinia, come parecchie altre gentildonne letterate del secolo, aveva dimostrato inclinazioni alla riforma protestante. Separata quasi sempre dal marito e rimasta senza figli, visse a Roma da circa il 1551 (si trova menzionata nel raro opuscolo Lode de le nobili et illustri donne romane, raccolte é composto in ottava rima da G i u s e p p e S antafiobb . In Roma, per m. Antonio Biado Asulano, 1551, segnatura B 4). Per azione di F., si ridusse verso il 1583 a vita devota e caritatevole; e il 21 die. 1587 fece donazione a F., dì 1000 scudi (Archivio dei Filippini). Nel 1587 prese ad abitare una sua casa in prossimità della Chiesa Nuova, dove nel 1591 avvenne il fatto raccontato dal teste (la casa fu lasciata per suo testamento, in data 30 ag. 1591, alla congregazione dell’Oratorio, BobdetP o n n e l l e , pp. 458-59, vers, ital., 437-38; e abitata sulla fine del 1605, per breve tempo, dal cardinale Baronio, O a l e n z io , pp. 729-747). Nella raccolta del G a l l e t t i ò trascritto il necrologio, dal a Liber parochialis » di S. Maria in Vallicella, f . 62 : «1601. 26 julii f Ili-ma d. Lavinia de Ruvere in domo propria ad latus nostrç ecclesia octuagenaria. Sep. in sep. marchionissç Rangonç. V ili» , cod. Vat. lat. 7875, f. 21. Il nipote, per parte di sorella, Giulio Cesare Colonna, primo principe di Pale­ strina nel 1571, mori avanti il 18 ag. 1592; nella quale data compare con quel titolo il figlio Francesco, [ P ietro A n t o n io P e t r in i ] Memorie prenestine disposte in forma di annali. Roma, stamperia Paglierini, 1795, p. 226. 173 Egidio Calvelli, fratello laico entrato nella congregazione dell’Oratorio nel luglio 1587 ; depose 11 31 ag. 1595 (30). ha G a l l o n io , Vita lat., pp. 1-2, racconta il fatto, che sarebbe avvenuto nel 1522 o 1523, quando F. aveva circa otto anni. La sorella minore Elisabetta nar­ randolo al principio della sua deposizione (XX, extra Urbem, 12 lu. 1596) dichiarò che il fratello era « d’età di anni dieci o meno », cf. R is t o r i e F araoni, Notizie e documenti inediti sulla vita di s. F. N., p. 129 e n. 2. r e t t i.

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17 agosto 1595. [13] Giovanni Francesco Bernardi, f. 36

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un’altra volta, essendo giovane, venuto già in Roma, et andato a SS. Apostoli ad udir la predica, fu seguitato da certi giovani disviati et scellerati, che lo tentorno a far m ale;17* et che il detto padre si voltò a parlar loro delle cose udite a la predica ; « et Dio mi dette gratia », soleva dir lui, « che si compunsero a quelle parole » et par che soggiongesse, che deventorno boni. Un’altra volta disse che li venne inanzi una persona (et mi par che dicesse un homo grande di statura) a dimandarli elemosina, et che gliene dette; et all’hora li disse l’homo apparito : « volevo vedere quello che sapevi fare » et subito li sparì dinanzi ; et soggiunse il padre che era stato un angelo.175176 Nella morte, il detto padre pareva tutto intrepido (essendo stato il giorno inanzi in piede et detto la sua Messa et il suo offitio) perchè si pose a sedere sopra il letto, et linitali di raccommandar l’anima, de lì a pochino, il p. Cesare Baronio, che gli haveva raccommandata, li disse : « Padre, ve ne andate, et non ci date la vostra beneditione? » Alzò il padre la testa e gli occhi verso il cielo et così spirò. I l suo corpo morto dava devotione. E t fu portato in chiesa, con lumi, ac­ compagnato da tutti i padri et fratelli della Congregatione con pianto ; dove, mentre fu sopra terra, concorse molto populo, et li suoi figlioli spirituali, et quelli che l ’havevano conosciuto, tutti piangendo. E t praedicta, etc.

EADEM IT* AUGUSTI 1595

[13] Examinatus fuit ubi supra rev.dus d.nas Joannes Frandscus de B em ardis,177 placentinus, filius q. Bernardi de Bernardis et Cor­ neliae eoniugum placentinorum, presbiter, aetatis annorum qua­ draginta quatuor in circa, testis ut supra examinatus, qui, ad op­ portunas interrogationes, medio iuramento, tactis etc., dixit : De l ’anno 1587, alii 19 di aprile, venni a Borna et subito feci reca­ pito al p. Filippo Nerio alla Chiesa nova della Vallicella, quale elessi 175 II fatto di questi giovani che tentano F., andato a sentire la predica nella chiesa di Santi Apostoli, si legge nel G a l l o n io , Vita lat., p. 5; e, con la circostanza della chiesa dalla quale usciva, Vita ltal., p. 5. 176 G a l l o n io , Vita lat., p. 26, riferisce il fatto, come narrato da F. stesso a due sacerdoti, probabilmente gli intimi Gallonio e Consolini, e lo colloca sotto l’anno 1550. Slmilmente il B acci, 1. II, c. 1 1 , n. 14. 177 II piacentino Giovanni Francesco Bernardi o de Bemardis, giureconsulto, appare Iscritto il 7 die. 1577 nel collegio dei dottori e giudici della sua città, L u i g i M b n s i , Dizionario biografico piacentino. Piacenza, A. Del Maino, 1899, p. 63. Nel 1579 insegnò a Piacenza istituzioni legali, unica cattedra di diritto sopravvissuta Ano a quell’epoca dell’antico Studio generale, E m il i o N a s a l l i R occa d i C orne ­

Le cattedre di istituzioni legali nelle città italiane con particolare riguardo a Piacenza, in Rivista di storia del diritto italiano, XXI, 1948, p. 228. Nel 1587,

lia n o ,

come qui depose e risulta dal « Liber admissionum », entrò nella congregazione dell’Oratorio, dalla quale usci in data indeterminata, per farsi gesuita. Il suo nome non s’incontra nella parte già schedata dei documenti dell’Assistenza d’Italia, Archivio generale della Compagnia di Gesù. Il racconto del suo risanamento, nel marzo 1587, è fatto anche dal G a l l o n io , Vita lat., pp. 167-68.

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iS

17 agosto 1595. [13] Giovanni Francesco Bernardi, ff. 36-37

per mio confessore [f. 37] et, circa un mese dopo, per gratia del detto p. Filippo, entrai nella Congregatione, che venni a posta per entrarvi. Che in Piacenza, da un m.s Camillo M azutelli178 da Came­ rino (volsi dir m.s Cesare Mazutello da Camerino) quale era canonico della cathédrale di Piacenza, et dal p.d. Leonardo179 theatino [avevo inteso] la buona voce et fama di P. Filippo. Dal p. Cesare Mazu­ tello intesi che il p. Filippo haveva palpitatione di core; et che, nel passare da un luogo dove era moltitudine di gente, dove era una spiri­ tata, et che il p. Filippo, passando, la toccò et fu liberata. Venuto a Roma io, in fatto della istessa palpitatione, me ne sonno accorto, et Pho sentita, che alle volte, nel raggionare seco in camera et in chiesa, ho inteso che la palpitatione li alzava il petto et le mo­ veva tutta la persona sua : 180 quale ogn’uno stimava che fosse affetto de timor de Iddio; et, per la medema palpitatione, più volte, mentre che Ί padre celebrava Messa, massime ne l ’alzare il Sacramento, tre­ mava tutto, et si alzava su le ponte delli piedi ; et questo faceva ancora nel communicare le altre persone, che si moveva come se ballasse; et lui stesso, il p. Filippo, mi disse che, nel principio di celebrare la Messa, mi disse che non poteva alzare il calice senza molte lacrime de devotione et consolatione spirituale: ma che, però, non doveva il sa­ cerdote, nel celebrare, attendere o far molto conto di tal motione o

178 Cesare Mazutelli, di Camerino, dottore « utriusque iuris», risulta il 27 mag. 1583 primo investito deU’uffieio della penitenzieria della cattedrale di Pia­ cenza, già canonicato di Cassano, eretta dal vescovo card. Filippo Sega; gli suc­ cesse, nel 1590, Giovanni Barbieri, F rancesco N ic o l l i , a Successiones ecclesiasticae Placentinae», cod. Pailastrelli n. 56, Biblioteca comunale di Piacenza. 179 Leonardo Giustoli, da Spoleto, il quale entrò fra i teatini di S. Silvestro al Quirinale il 5 giu. 1568, vi professò il 26 feb. 1570 e fu ordinato sacerdote il 15 giu. 1573. Morì nella casa di S. Vincenzo di Piacenza, il 13 lu. 1587, F. M. D e l M onaco , « Elogia theatinorum », codice dell’Archivio generale dei Teatini, f. 38. 180 Numerosi testimoni riferirono circa questi fenomeni di palpitazione del cuore e sollevazione di costole di F. Quattro relazioni o pareri latini di medici sopra questi fatti sono inoltre inseriti nel processo: una relazione di Andrea C i­ salpino, con riconoscimento in data 15 ott. 1597 (XLI, extra Urbem); un’altra relazione dello stesso Cesalpino, in data 17 apr. 1599, sulla ricognizione del corpo di F. (225); una relazione di .Antonio Porto presentata al card. Federico Borromeo il 1. lu. 1595, con riconoscimento in data 16 ott. 1597 (Χ1Π, extra Urbem) ; una relazione di Angelo Vittori stesa per il card. Cesare Baronio, con data 9 ott. 160C (211). La terza di queste relazioni, del Porto, contenuta anche nel cod. Ambrosiano G 70 inf., è stata edita da L u i g i B ellori, L’aneurisma

  • Oratorii çt. 63. V ili », cod. Vat. lat. 7879, f. 110. L’AreîOHi ne dà la biografia, in due redazioni, cod. Vallicelllano O . 59, ff. 261-273 v. 311 La famosa profezia ora si legge nel capitolo 53 del Libro di Isaia.

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    26 agosto 1595. [21] Agostino Boneompagni. if. 76-77

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    parla della passione et della santissima Trinità; che noi per questo non ci movessimo. Venne il s.r Gregorio, nostro cugino, figliolo del s.r Ugo, ad essortarci a dir de sì, chiamando me particolare, et mi cominciò a dir de sì. E t io non volse dir de sì, ma dissi, ehe andasse dal più grande, Alessandro, a I’hora Juda. E t ci andò et disse subito de sì. E t io, con tutto ciò, non volevo dir de sì; ma tanto mi stettero intorno, che io, con mezza bocca, disse de sì. E t il p. Pietro Conso­ lino, quale ha cura della libraria, che si trovava lì, andò, per vedere se Ί p. Filippo diceva Messa; et trovò che M padre haveva finita la Messa; et venne a redire che haveva finita la Messa. Et all’hora confrontassemo le parole dette la sera per il padre, che, nella sua Messa, voleva sforzare Iddio per la nostra conversione; et, veramente, fu miracolo, a confrontare la Messa (et il s.r Ugo venne lì a caso) et la nostra conversione, di risolverci tutti a dir de sì, a quella bora a punto, in un subito. De lì a doi giorni, venne nostra madre; et il p. Filippo volse che l’andassemo a vedere, et ci andammo, et comminciassemo a piangere; et disse che ci recordassemo delle parole, che ci disse nostro padre alla sua morte. E t poi venne un giudio Treves hebreo, che ci disse se havevamo detto de sì o no, et che nissuno ci poteva sforzare. E t io tengo, che le orationi del padre ci tennero saldi, a dire più presto de sì, che di no. Il padre ci faceva andare alla sua Messa fino al « Sanctus » ; quando veniva alla consecratione, ci mandava fuora ; et noi ci andavamo voluntieri alla sua Messa. Doppo la Messa, ci man­ dava a chiamare, quando uno, quando doi, et quando tutti insieme, et ci diceva : « vorrei che havessete un poco di spirito » ; et tremava tutto, et piangeva, et saltava, et noi ci maravegliavamo di questo, et lo racontavamo alli altri della casa, quali ci raccontavano de miracoli fatti per il padre. Nanti ch’io mi battezasse insieme con li altri mia fratelli, io mi ammalai nella casa, et era febre pestilentiale, con gran dolore di te­ sta, del mese di settembre; et li medici (che era il Cordella et m.s An­ gelo)312 ne facevano cattiva deliberatione di me. Et il p. Filippo venne lì una sera, et mi disse dove mi doleva, et io li disse che mi doleva testa; et mi toccava il petto, et saltava, et, mentre mi toccava, io mi sentivo leggerito alquanto della testa ; et mi diceva come mi sentivo, io li diceva che mi sentiva meglio, come era la verità. Et, un’altra sera, venne che mi sentiva peggio, et il padre venne lì al letto, et disse a tutti li padri, che facessero oratione per me, dicendo che non era bene che io morisse nanti il batesimo. E t così disse che tutti facessero oratione per me alla Messa, et [f. 77] poi mi disse a me, piano, che Ί p. Pietro lo intese, dicendo che li recordasse di pregare Iddio per me alla sua Messa. E t la mattina istessa, nanti che Ί padre dicesse la Messa, io stavo peggio, che li medici mi guardorno se io havevo petechie ; et, quando il p. Filippo volse dir la Messa, il p. Pie­ tro li ricordò, che pregasse Iddio per me ; et il p. Filippo disse : « dite, che io lo farò » ; et all’hora erano partiti li medici, quali fecero cat-31

    313 « Ms. Angelo » è 11 Vittori. 7

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    98

    26 agosto 1595. [21] Agostino Boncompagni. ff. 77-78

    tivo giuditio di me. Et, detta la Messa per il p. m.s Filippo, venne mio zio il s.r Ugo, quale haveva inteso, che li medici havevano fatto così cattivo giuditio ; et mi toccò ü polso et mi disse : « li medici mi hanno detto che stava così male, et io non ci trovo febre ». Non mi ricordo, se Ί padre venisse subbito detta la Messa : mi par più presto di sì che di no; so bene, ch’io mi sentii guarito, senza febre et senza dolore. Il giorno, vennero li medici, et dissero (subito che mi toccorno il polso) et dissero : « voi havete di medici in casa, et cercate altri me­ dici fuor di casa? » et non volsero che io mi levasse quel giorno, per aspettare quel che faceva il male; et non tornò più, nè febre, nè dolore, et il terzo giorno mi levai. Il secondo giorno, mi ricordo bene che Ί padre venne et mi disse, che io ero morto, pian piano. Io credo che li medici habbino saputo, che Ί guarire che feci fu per le orationi del p. Filippo: che tanto io ho tenuto et tengo; et a l’hora io lo teneva il medemo. lo mi son confessato più volte dal p. Filippo; et mi dava zenno di sapere le mia peccati; et, ha vendo io alcune tentationi, mi diceva che, quando mi venivano, io dicesse: «io lo dirrò a Filippo » ; et l'ho fatto più volte, et mi è giovato. Mi insegnò certe corone da dire,3X3 che una è « Deus in adiutorium meum intende» sessantatre volte, in luogo di corona con il « Pater noster ». L’altra: « Giesù mio, te voria amare et non trovo la via » con il « Pater » ut supra. L’altra : « Vergine Maria, Ma­ dre de Dio, prega Giesù per me », con il « Pater » ut supra. L’altra : « Vergine et Madre prega Giesù per me ». L’altra, la quinta : « Giesù mio fa’ che non te offenda ». Quando nostra madre fu fatta venire in casa della s.ra marchesa Bangona, il p. Filippo non ne fece gran istantia, nè mostrava de sì nè di no. Et, andando da lui, disse : « non si farrà Christiana » ; et, per coprirse, disse : « non è ben per voi », che si accorse haver pre­ detta la sua ostinatione di non farsi Christiana. Come fu vero, che, essendo stata trenta giorni in casa della sudetta signora, con tutti li aggii che possa havere una donna, et con orationi de molte per­ sone, mai si volse convertire. Il giorno di s. Simone et Giuda del medemo anno, noi ci battezzassemo: che ci battezzò n. s. Clemente Ottavo in S. Giovanni Laterano. Al partire del batesimo, venessimo a Boma, et trovammo il padre che diceva Messa, et alzava, alla nostra arrivata. Finita la Messa, ci mandò a chiamare, et li basciammo le mani tutti, et ci disse che stava meglio che prima; ci dipingeva come eramo Angeli puri et immaculati. E t havendo io alcune [f. 78] tentationi circa un anno et mezzo doppo il battesimo, mi disse, che venisse alla sua Messa et mi voleva communicare. E t così feci, ch’io servii alla sua Messa et, mentre diceva la Messa, tremava tutto, saltando, che pareva che ballasse; et, mentre che teneva il Sacramento, se alzava et tremava pure, che io mi maravegliavo, che dubitavo che non cascassero le particole. Me communicai, et me si partirno le tentationi; et poi mi*S i aie un ampio elenco di queste parole da dire «per corona» si trova più avanti, if. 323-325, nella quarta deposizione di Francesco Zazzara, 22 nov. 1595 (126). Si veda ancbe la nota 960.

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    28 agosto 1595. [22] Stefano Calcinardi. ff. 78-79

    99

    tornorno de lì a una settimana; et mi diceva, che dicesse il suo nome, come ho detto, che si partivano; et, mentre nominavo il suo nome, si partivano le tentationi, come ho detto. E t quando io voleva andare dal padre, facevo prima oratione, et mi vedeva voluntieri; et quando andava senza fare orationi, non mi vedeva così voluntieri: che io me ne accorgeva. Alcune volte, ci dava latini, dicendo che desiderava di lasciar quel corpaccio; et, mentre facevamo il latino, lui faceva oratione. Ultimamente, cì diede un documento contro le tentationi, che dicessemo Phinno : « Te lucis ante terminum » ogni sera, et che lui l’haveva detto sempre, quando andava al letto; et che ci voleva tirare in Paradiso. L’ultimo giorno che io andai da lui, mi pigliò, et mi bracciò, che tremava tutto, al petto, il core, et mi disse (che io ero vestito di longo) et mi disse, che de haverme fatto prete resapesse far frutto; et, spesse volte, me si recorda questa cosa, massime nel tempo eh io fo ora­ tione. E t, da poi, andò in camera, et io andandoci, lo trovai con li occhi alti; et mi diede la beneditione, dicendomi, che si contentava che io andasse in choro; et la mattina seguente andai per lui, che era morto. DIE LUNAE 28» AUGUSTI 1595

    Examinatus fuit, uhi supra, per me etc., ut supra d.nus Stepha­ nas Calcìnarius,314 fiìius q. Baphaelis Calcinarti et Ioannae de Balthassariis coniugum, iononiensis, aetatis annorum viginti octo in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit, ad opportunas etc.

    [22]

    Sonno tre anni et mezzo, ch’io venni a Roma ; et venni per studiare come fo, che studio in legge; et dopoi che io venni a Roma, ho cono­ sciuto il p. m.s Filippo, qui alla Chiesa nova, che me ci condusse m.s Francesco Zazzara, che studiamo insieme, che dovesse venire da questo p. Philippo, che era un santo; et così ci andai con lui, et ho frequentato molte volte andare lì, con altri scholari et fratelli di m.s Francesco sopradetti. De Panno del 1593, del mese di luglio, io mi ammalai, che stette in fino alla morte et li medici mi havevano per spedito. Stando in quella infirmità, che stavo in casa di questo m.s Francesco Zazzara, dove sto al presente et stavo ammalato forte di febre continua et [f. 79] vomito, che non potevo ritenere il cibo. E t il sodetto m.s Fran­ cesco, mentre stavo così male, et non potevo mangiare, nè ritenere il cibo, detto m.s Francesco mi disse, che haveva alcuni capelli del p. Filippo et che gli voleva pigliare, come fece (che li teneva in casa sua) et, tornando con questi capelli, mi disse che io havesse fede in quel padre ; et me li pose sopra lo stomaco : et questo fu nanti man­ giare. Et, doppo che mi forno posti detti capelli, io cominciai a man-31 31* Questo studente bolognese Stefano Calcinardi (secondo la forma del co­ gnome usata dal B acci, 1. V , c. 5, n. 5, e in tre altri luoghi) è diverso dallo Stefano Calzolaro, antico figliuolo spirituale di E., che si incontra più avanti, probabilmente calzolaio di mestiere; sul quale si veda nota 496.

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    100

    28 agosto 1595. [22] Stefano Calcinardi. ff. 79-80

    giare et ritenere il cibo, et si passò la febre, et in quatro giorni mi levai dal letto. Il medico, quando venne a vederne, doppo baver posti li capelli al petto, vedendo ch’io mangiavo et ritenevo il cibo et la febre era cessata, disse, che questo era stata cosa sopra naturale, et che la natura et medicina non erano state bastante a far questo, et si maravigliò. Io non disse cosa alcuna al medico; potrebbe essere, che quelli de casa l’havessero detto: che tu tti lo sapevano. Il medico si chiama m.s Favolo de Montalcino, con un barbone longo et il cognome è Pavolo Dei31* (che non mi ricordava del cognome de Dei). E t così io fui liberato et io l’ho sempre tenuto et tengo, che quel padre mi liberasse, perchè tenevo detto padre, dapoi che Ί cominciai a cognoscere, per un santo, et dapoi sempre lo pregai, che pregasse Iddio per me; e da altre persone Fho visto tenere per santo. Doppo la morte del detto padre, un mese et mezzo fa in circa, mi venne una indispositione di stomaco, che non potevo digerire, nè meno mangiare, che, doppo haver mangiato un boccone, non potevo mangiar piò. E t il sudetto s.r Francesco Zazzara mi diede una pezza intinta nel sangue di detto p. Filippo; et, dopoi che mi posi sul stomaco quella pezza, quale ancora porto, io non ho inteso male alcuno, magno et digerisco benissimo. E t tanto piò che ho visto, che la detta pezza ha fatto et fa operatione, che, per prima, il medico sudetto mi haveva datto alcune medicine per guarirne, et non havevano giovato, [f. 80] Il male era, oltra il non poter digerire nè mangiare, che, quando havevo caminato un poco, bisognava mi mettesse a sedere. E t posta la pezza al petto, com’ho detto, non ho sentito nè sento male alcuno; et subito fece operatione, che Ί primo pasto che mangiai, lo presi bene et mangiai bene et digerii bene, et caminato et camino senza alcuno impedimento. Sonno da 22 giorni in circa, dico, circa venti doi giorni, che, pas­ sando io da Santo Andrea delle fratte, che io ero andato a caminare poco lontano dalla chiesa, una donna bolognese, quale si chiama Lucia, mia paesana, quale stava su la porta di casa sua, mi chiamò, et disse che mi voleva parlare, et io vi andai, et mi tirò su in sala della sua casa ; et, quando fui in sala, mi cominciò a raggionare di cose d’amore, et io mi ero posto a sedere in una sedia, et mi venne adosso, et mi strinse, che voleva ch’io havesse da far con lei, et io non volevo, et mi stringeva, tenendome bracciato al petto et basciandomi. Et, in questo, io mi sentii dentro mancarme il flato, dove havevo et ho quella pezza et capelli, che l’ho portati (et stavo in dubio di consentire o no alle voglie di quella donna) et così mi sentii questo mancamento, che pareva che uno mi stringesse di dentro, et, in quello instante, parse che Ί p. Filippo mi dicesse: «guarda, quello che hai guada­ gnato in tre anni, non te Ί perdi hora in un punto ». E t così mi ri­ solse, adirato, di scapar dalle mani di quella donna, et li scappai di mano, et mai piò ci son tornato, et tengo che Ί padre mi liberasse315 315 II nome di questo medico non risulta da altri luoghi del processo; nè si trova menzionato in repertori biografici. Il cognome è attestato in Soma nei 1591, con una Elisabetta Dela, F orcella, v . XIII, p. 384, n. 921; e sussiste ancora nella città.

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    28 agosto 1595. [23] Girolamo Moroni, fl!. 80-81

    101

    ancora di questa tentatione; per il quale ho pregato et prego, che preghi Iddio per me; et non ho havnta pii! tentatione; et questo è quello mi soviene. EADEM DIE

    [23] Examinatus fuit, uhi supra, per me etc., ill.is d.nus Hieronimus Moronus,alB filius ill.is d.ni Iulii Moroni et q. Luciae Moronae, romanus, aetatis annorum quadraginta in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit : Sonno più di venti anni, che io cominciai a cognoscere il p. m.s F i­ lippo a S. Hieronimo della charità, et a S. Giovanni de Fiorentini, et qui alla Vallicella; et il principio fu, che io ero giovane, et an­ davo spesso, et mi cominciai a confessare dal p. Thomasso,316317 del [f. 81] 1589, quando io mi cominciai a confessare dal p. Thomasso ; per prima mi confessava in diversi luoghi, ma ho praticato, come ho detto, a S. Hieronimo, poi a S. Giovanni de Fiorentini, et alla Vallieella, et, in questo modo, ho conosciuto il p. Filippo. Sonno da quattro o cinque anni, che io havevo una figliola,318 la quale stava male forte, che li medici Phavevano già abandonata, che haveva havuto Foglio santo; et io andai a chiamare il p. Filippo, il quale havevo inteso et lo tenevo per homo santo; et il detto padre venne, et pigliò la detta mia figliola, così ammalata, per li capelli, havendoli soffiato prima nel viso, che non parlava, et stava con li occhi serrati. Et, havendo soffiato, et presola per li capelli, dandoli ancora un schiaffo, la chiamò per nome, et disse che dovesse dir 316 Girolamo fu figlio di Giulio, capostipite del ramo romano della storica famiglia milanese, F elice C alvi, FamigUe notabili milanesi, v. II. Milano, A. Vallardi, 1881, « Moroni », tav. III. Girolamo, con la moglie Giulia Matuzi, si costruì un sepolcro gentilizio nella chiesa di S. Francesco a Ripa, F orcella , v. IV, p. 433, n. 1068. Il suo necrologio, trascritto da libri di S. Nicolò dei Cesarmi, è nel G a lle tti : « 1597. 28 nov. f 111. d. Hieronymus Moronus. Sep. in ecclesia S. Franeisei. XVII », cod. Vat. lat. 7873, f. 113. Deposero al processo anche la moglie, Giulia (139) e la figlia Laura (140), che riferirono similmente sul risa­ namento di questa ultima; e, inoltre, la sorella, Anna Moroni, moglie di Antonio Massa (138). Diverso è il Girolamo, figlio di Sforza e erede del cardinale Giovanni Moroni, al quale egli e il fratello Orazio, vescovo di Sutri e Nepi, posero un’iscrizione sepolcrale in S. Maria sopra Minerva, F orcella, v . I, p. 471, n. 1832 e p. 547, n. 2096 : mandato in Avignone con l’ufficio di generale dal lombardo Gregorio XIV nei 1591, fu sostituito 1*11 apr. 1592 e rimosso dal generalato In un processo aperto per ordine di Clemente V ili contro i governatori di quello stato, C alvi, v . cit., « Moroni », tav. IV e S ebastiano F antoni C astruooi, O. Carm., Istoria della città d’Avignone e del contado Venesino, stati della Sede Apostolica nella G-allia, t. I, Venetia, presso Giacomo Hertz, 1678, pp. 49, 446-47. 317 «P . Thomasso» è il Bozzio, fratello di Francesco e noto anche come confessore; depose due volte (60 e 215), e nella prima parlò anch’egli del risana­ mento della figlia del Moroni, f. 196. 318 Laura Moroni, come si è detto, depose in persona, il 7 die. 1595 (140), dichiarandosi in questa data di circa diciassette anni. AI temi» del fatto, che deve essere accaduto nel 1589 o ’90, era quindi in età di undici o dodici anni. Dodi­ cenne appunto la dice il G a l io n io , Vita lat., p. 175, che narra il risanamento sotto l’anno 1589.

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    102

    28 agosto 1595. [23] Girolamo Moroni, f. 81

    « Giesù ». La putta, che haveva da dodeci o tredeci anni, apri li oc­ chi, et li tenne sempre aperti, (et si era scordato del parlare) et la febre la lasciò presto, et guarì di questa infermità lasciata da medici. E t quelli medici, de prima, non ci volsero più venire, che era il Cor­ della et doi altri (credo m.s Ciriaco,319 et un altro che non mi ricordo) et poi chiamassemo m.s Andrea da Fano.320 Et era capitato a sorte, lì, che una mia cognata321 stava male. Et la pigliò, per liberarla, che era restata ritratta, et non parlava, et così guarì. Il venir il padre lì et haver fatto quello atto (come ho detto, la putta resuscitò, come ho detto; che già havevamo fatta la provisione de panni, che il mer­ cante, cioè il Scarlatto,322 dice al libro : « per la figlia morta » che era questa) et ancora che restasse così intrepida et senza parola, non di meno il padre la fece rivenire in sè, che era tenuta per morta (et, oltra li panni, dato ordine che si facesse la fossa) et tengo che Ί padre la resuscitasse. Nel partire che fece il padre, mi pare che Ί p. An­ tonio Gallonio, che era venuto con il padre, dicesse : « non dubitate, che non morerà ». E t questo è quanto passò in questo fatto, che Ί padre soffiò in viso alla detta mia figliola, et li diede un schiaffo, et poi la pigliò per li capelli, come ho detto, li soffiò nel viso (che questo fu fatto tutto insieme) et la chiamò, dicendo : « Laura, di’ “ Giesù” », et aprì li occhi et si revenne, et sempre stette con li occhi aperti, et andò megliorando, et poi guarì.

    319 Questo Ciriaco medico compare solo in questo luogo del processo; e non se ne conoscono il cognome e il paese di origine. 330 Andrea da Fano compare, negli anni 1568-1571, come medico della Com­ pagnia della Pietà della nazione fiorentina a Roma, P lacido M ic h e l o n i , Un archi­

    vio inesplorato. L’arciconfratemita di 8. Giovanni dei Fiorentini detta della Pietà e la sua missione sanitaria, in Humana studia. Bollettino dell’Istituto di Storia della medicina dell’Università di Roma, ser. II, a. I, 1949, p. 177. Per la sua fama, egli fu anche uno dei medici scelti per visitare Margherita Farnese, sposata infaustamente il 2 mar. 1581 a Vincenzo Gonzaga ; la designazione di lui era stata fatta probabilmente da s. Carlo Borromeo, G io v a s si D b e i , I Farnese: grandezza e decadenza di una dinastia italiana. A cura di G iu s e p p in a A ll eg r i T assoni . Roma, La Libreria dello Stato, 1954, p. 130. Il «Liber parocbialis» di S. Maria in Vallicella. p. 25, contiene la nota della sua sepoltura: «1589. D. An­ dreas de Fano medicus sepultns fuit die 18 Sbris ». 321 Se questa cognata era sorella della moglie del Moroni, doveva essere Lucinia o Giustiniana Matuzi : le due appariscono infetti con la sorella Giulia in un’iscrizione sepolcrale posta in S. Maria sopra Minerva al padre Ascanio, morto nel 1565, F orcella , v . I, p. 460, n. 1790. 322 Si narra più avanti nel processo che F. motteggiava un Francesco Scar­ latti, mercante fiorentino di panni, suo amico e quasi coetaneo, dicendo di non volere rassomigliargli per la corpulenza, f. 949. Ma costui era già morto nel feb­ braio 1585. Si può quindi pensare si tratti dì altro della famiglia, forse il figlio Marco Antonio, nominato nell’iscrizione posta a Francesco in S. Giovanni dei Fiorentini, F orcella , v . VII, p. 6, n. 4, e menzionato anehe in qualche documento dell’Archivio dei Padri dell’Oratorio, Di un Marco Antonio, con quel cognome, il G a lletti copiò il necrologio, da libri di S. Caterina della Rota: «1625. 21 lulii t ni.*3 d. Marcus Antonius Scarlattus florentinus eques melitensis in via Iulia ante palatium Ulani Marii Famesii. Sep. ex test.0 in eccl. S. Ioh. Florentinorum. LIV », cod. Vat. lat. 7878, f. 105. Un altro, Scarlatto Scarlatti, morto ottantenne il 15 mag. 1630, fu sepolto nella chiesa nazionale, cod. Vat. lat. ora cit., f. 194. Ma il mercante di panni difficilmente appartenne alla famiglia stessa di questi ultimi, che appare nobile e illustre.

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    28 agosto 1595. [24] Giovanni Francesco Bucca, f. 82

    103

    [f. 82] EADEM DIE LUNAE 28» AUGUSTI 1595

    [24] Examinatus fuit, uhi supra, per me etc. magnificus d.nus Ioanncs Franct8cus Bucca;323 civis romanus, filius q. d.ni Vercellini Bucca et Ursolinae Tuschae coniugum, aetatis annorum quinquaginta novem in circa, qui medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes etc. dixit·. Io ho cognoseiuto la bona memoria del p. m.s Filippo de Fanno 1551 in qua, nanzi che lui fosse prete, et si fece prete nell’anno 1552 in circa. E t del detto tempo 1551, quando fu principiato in Roma Poratione delle quaranta hore,324 esso p. m.s Filippo praticava eon333 Giovanni Francesco Bucca (la forma del cognome è, talvolta, Bocca) fu notaio di fiducia della congregazione dell’Oratorio; molti atti da lui redatti si trovano tra le carte dell’Archivio dei Filippini di Roma. Il suo nome, per atti ro­ gati, risulta anche in iscrizioni degli anni 1.556 e 1592, F orcella, v . V ili, p. 520, n. 1208 e v. II, p. 117, n. 341; e inoltre, come notaio Capitolino, appare nei pro­ tocolli a partire dal 1582, [A c h il l e F rancois] , Elenco di notari che rogarono atti in Roma dal secolo XIV all’anno 1886. Borna, Tip. della Pace di F. Cuggiani, 1886, p. 40. Al processo, egli depose una seconda volta il 20 ott. 16Γ0 (244) e teste è parimenti la moglie, Ersilia del Sodo (102). Giovanni Francesco mori il 15 mar. 1616, in età di anni ottantadue, e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni della Malva, F orcella, v . IX, p. 725, n. 352. I coniugi abitarono in una casa prospi­ ciente la Chiesa Nuova, f. 281, proprietà della chiesa di S. Maria del Popolo, e comprata dalla congregazione dell’Oratorio per formare la piazza e aprire la P .re F ilip p o et d a ta a m e P om p eo P a te ri che la scrivessi et m a nd assi d o v e d ov ev a andare ». 1220 C h iesu ola v icin o a S. M aria in V a llicella , alla quale era annesso un p ic c o lo m on astero d i Clarisse ; d etta an ch e S. E lisa b etta a P ozzo B ia n co, A rmelliniCecchelli, p. 484. N ell’ anno 1600 è registra ta a n cora d a l Panciroli, I teso ri n a sco sti n ell’ alm a città di R om a , p. 306, com e « d e lla C om pagnia d e ll! F o rn a ri d e lla n a tion e T ed es ca » ; m a le m on ach e ne eran o g ià partite. 1221 G ia com o S a velli, crea to ca rd in a le il 19 die. 1539, da P a o lo I I I ; v ica rio d i R o m a d a l 26 genn. 1560, d u ra n te i p on tifica ti d i P io IV , P io V , G reg orio X I I I e S isto V . P u b b licò n um erosi ed itti e lettere p a stora li, e died e op era sp ecialm ente alla r ifo rm a d e l c le ro e d e l regim e p a rrocch ia le, Giacinto P onzetti, E len ch u s ch ron icu s V ica rioru m U r iis in spiritu alibu s m a x x . pon tificu m rom anoru m . R om a e, apud L a zza rin os, 1797, pp. x x x v -x x x v i, 49-50. P er la sua in tra ­ presa azione d ì rifo rm a , A lberto Monticone, L ’ app lica zion e a R om a del con cilio d i T ren to , in R iv ista di sto ria della C h iesa in Ita lia , V I I , 1953, pp. 225-50, e V i l i , 1954, 23-48. A ssu nse il p a tron a to d ella gra nde ca p p ella a sin istra n ella crociera d e lla ch iesa d el G esù (p oi d ed ica ta a s. Ig n a zio) ; e, a lla sua m orte, il 5 d ie. 1587, fu sep olto per testa m en to d in a n zi a q u ell’ altare, Pecchiai, Il G esù di R om a , c it., pp. 96-97, 284, 288.

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    27 agosto 1596. [183J Pompeo Pateri, ff. 478-479

    121

    monache delle M oratte,1222 come poi fu fatto. Questo pensiero non piacque al santo padre, dicendo: « pur troppo debiti ci sono da pagare, senza crescerne un altro de cinque mila scudi » (che tanto fu stimato, poco più o poco meno) havendo il bon padre fede, che Iddio et la M a­ donna santissima provederiano per altra via. Non si restò per questo, di tirare innanti il negotio, acciochè altri non l’ havessero compro. F atta la minuta de l’ instrumento, et data la cedola de cinque mila scudi da Vincenzo Lavaiano,1223 d’ordine di mons. Pirro T aro ,12241 5 a ll’ hora vice­ 2 gerente dell’ ill.m o vicario, s’andò al monasterio, per stipolare l ’instromento. E t, doppo che m.s Ascanio Mazziotto 1223 hebbe notato li nomi [f. 479] de testimonii, et che voleva leggere l ’instromento, alla presentia delle monache et testimonii, venne un spirito a mons. Mario M artio,1226 che vi interveniva come giudice civile dell’ ill.m o vicario, di non voler la cedola, ma li denari in contanti : cosa in compre tali non si suol fare. Nè bastò mai a farlo capace, ancorché vi fosse presente il detto Lavaiano, del quale se erano contentati in tante congregationi, che furno fatte sopra tal negotio, dove io me ci trovai, come procuratore, che io ero, della nostra Congregatione : et così il negotio restò imperfetto. E t mentre io volevo andare a S. Hieronimo, dove habitava il padre, lo trovai sopra la scala della nostra chiesa, et, inteso quello che era pas­ sato, mi disse : « sia laudato Iddio. Costoro vogliono fare a modo loro » ,

    1222 g . G iacom o d e lle M u ratte, ch iesa o r a d is tru tta ; m a resta il nom e alla v ia presso cu i sorgeva , la qu ale d a l C orso con d u ce alla p ia zza d e lla F on ta n a d i T re v i, A rmellini-Cecchelli, p. 351 (M ora tti è nom e d i fa m ig lia ; « M uratte », d e fo r ­ m a zion e, fo r s e in d o tta d a l nom e d ’a ltr i m on a steri d i m on ach e dette « le M urate »). Il « m on astero d e lle M ora tte », che e r a d i Clarisse, ris u lta m en zion a to p er ragion e d i con fin i in un A v v iso d i R om a d e l 28 genn. 1612, Orbaan, pp. 198-99. E sso co n ti­ n u a va a celeb ra re, o ltre la fe s ta d e l p a tron o, qu ella d i s. E lisa b etta , P anoiroli, 1 tes o r i n a sco sti n ell’ alm a città di R om a , pp. 321-22. 1223 h b a n ch iere V in cen zo L a v a ia n i a n ticip ò, n el 1575, qu alch e m ig lia io d i scu d i per la fa b b r ic a d e l G esù, P ecchiai, I l G esù di R om a , c it., p. 41. P a tron o d ella ca p p ella d e llo S p irito Santo, n ella Chiesa N u ova , la cedette n el 1598 ai D el C a m p o, secon d o un d ocu m en to c ita to n e ll’ In v en ta rio d e ll’ A rch iv io d ei P a d ri, Ο. I I . 18. S i legge il suo n ecrolog io, n ella ra cco lta d el Galletti, d a lib ri d i S. G iova n n i d e i F io re n tin i : « 1607. 9 aug. f D . V in cen tiu s L a v a ia n u s pisanus ann. 77. Sep. in V a llieella . L V I », cod . V a t. la t. 7875, f. 8. 1224 P ir ro T a ro , seg reta rio a p o sto lico il 17 sett. 1565 e re feren d a rio d elle d u e Segn atu re nel qu arto an n o d i G reg orio X I I I , K atterbach, p. 174; com e con su lto re d e l S. Offizio, rico r d a to d a l Santori, A u tob iogra fia , in A rch iv io della S o cietà rom a n a di s to ria p a tria , X I I I , 1890, p. 157 ; e secon d o n ella serie dei vice-geren ti d i R o m a , ch e si aperse so tto il ca rd in a le v ica rio G ia com o S a velli, Ponzetti, E len ch u s ch ron icu s V ica rioru m U rhis, c it., p. 49 n. Si legge il su o n e cro lo g io , tra s critto nel Galletti d a lib ri d i S. L u ig i d e i F ra n cesi : « 1583. 1 au g. f R e v . d. P irru s T a ru s, Sep. in eeel. S ocieta tis Iesu . L X I » , cod . V at. la t. 7872, f. 101; e c f. P icchiai, I l G esù di R om a , c it., p. 95. 1225 A s ca n io M a zziotti, n ota io d a l 1576 al 1596 n el secon do ufficio d ella cu ria d el ca rd in a le v ic a r io d i R o m a ; gli su ccesse, d a l 1597 a l 1600, il figlio G iro la m o ; e n e llo stesso ufficio ap pare, d a l 1614 al 1615, P ie tro , [F rancois], E len co di n ota ri oh e roga ron o a tti in R om a , c it., p. 113. A s ca n io com p a re p er l’ acq u isto d i una ca sa in d ocu m en to del 23 die. 1595, I acovacci, « R e p e rto rio d i fa m ig lie », cod . O ttob on . lat. 2551, f. 833. 1226 M a rio M arzi, senese, re feren d a rio d elle d u e Segn atu re, sotto i pontefici da G re g o rio X I I I a C lem en te V i l i ; lu ogoten en te d e l ca rd in a le v ic a r io G ia com o S a velli n elle cau se c iv ili, già in ufficio il 7 lu . 1578 e an cora nel 1586, K atterbach. pp. 167, 187, 198, 205. 221.

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    122

    27 agosto 1596. [183] Pompeo Pateri. £. 479

    parlando de nostri padri : « non lo compraranno mai questo monaste­ rio ». E t fu verissimo, poiché non passò un anno, o poco più, che Fill.m o s.r card. Pier Donato Cesi card.'de Cesis lo comprò,1227 et ce lo donò,1228 come fece ancora la casa delli A rd itii,1229 che, necessariamente, biso­ gnava comprare, stando in mezzo tra il detto monasterio et le case, dove habitavamo noi, E t questo seguì per l ’oratione et fede del santo padre, prevedendo l ’aggiuto che haveva da dare la Maestà de Iddio, et la Madonna Santissima. Nè mi par conveniente tacere un’ altra cosa. Fui mandato, anco doppo la peste, molte volte, fuori di Roma, per alcuni negotii della Con­ gregatione nostra, di tanta importanza, che meritavano altri soggetti che non ero io, che, solo a pensare hora li pericoli, che io passai et le difficoltà, stupisco et ne tremo. E t, mentre mi scusavo, dicendo quello che veramente era verissimo, che non ero atto a tai negotii, mi respondeva il santo padre: « va’ , fidate in D io, et non discorrere, che ogni cosa passarà bene ». E t tanto si verificò questo, quanto che sanno li padri di casa nostra, che, non ostante li contrasti, anzi, minacele, non solo da persone ordinarie, ma da persone grande in temporale et spiri­ tu ale,1230 con il tempo, s’ottenne quello, che giustamente si pretendeva, nè con altro aggiuto, nelle difficoltà et pericoli, ne’ quali mi trovavo, solo che mi raccommandavo alle orationi del santo padre et, subito, mi riuscirno le cose, in modo, che ne restai maravegliato. U n ’ altra cosa mi pare de dire, che mi è occorso, una volta, mentre io stavo in M ilano. Mons. Spettano, hoggi vescovo di Cremona et nuntio

    1227 χη d a ta 14 lu glio 1581 lo com p rò, com e n a rra n o nei p a rtico la ri anche il

    GallonioJ V ita la t., pp. 152-53, e u n A v v is o d i R om a d e l 19 lu g lio : « I l C a rd .le d i C esis v olen d o tira re la ch iesa n ov a d i P ozzo B ia n co fin alla stra da d i P arion e a spese sue, h a com p ra to il M on a sterio d i s .ta E lisa betta con tigu o alla detta ch iesa , e t d i g ià per qu esto effetto, h a fa tto sb orsa re 5 m ila [scu d i] e t quelle M ona ch e an d a ra n n o a stare a M onte C a v a llo », d a l cod . Urb. la t. 1049, in R om a, IX , 1931, p. 134. I l P a te ri n e scrisse n elle c ita te M em orie a u tog ra fe, A r ch iv io V a tica n o , fo n d o C arpegn a, cod . 62, ff. 51v-5 2. In m em oria del fa tto , i P a d ri d ella V a llice lla , n elle p reci con su ete q u otid ia n e, in seriscon o n elle litan ie d ei sa nti, alla fine d e lle sante v erg in i e m a rtiri, s. E lisa b etta , per d isp osizion e che si f a tr a d i­ zion alm en te risa lire a F . 1228 L ’ atto o rig in a le, in pergam ena, s ottos critto d a l ca rd in a le P ie tro D on a to C esi in B ologn a , il 15 genn. 1582, si con serv a n e lla B ib lioteca V a llicellia n a , cod . Z . I l l , S. F ilip p o N e ri e il con trib u to d eg li ora to ria n i alla cultu ra italian a, c it ., p. 35, n. 79. 1229 L a c a s a fu com p ra ta il 13 ag. 1582 e d on a ta il 28 feb. 1583, Gallonio, V ita la t., pp. 153-54. Si d ev e tra tta re d ella ca sa , m en zion ata com e d i m esser P ie tro P a o lo A rd itio , n el 1555, E . R e , L a casa di m e s se r Carlo G u a lteru zzi da F an o in r eg io n e P o n tis, c it., in A rch iv io d ella S ocietà rom an a di storia p a tria , L X X V II, 1954, p. 12, num . 52. 1230 a q u esto pu nto d e lla testim on ian za il P a teri ha d a to fo rm a alquanto in determ in a ta e g e n e ra le ; m a d o v e v a avere in m ente sop ra ttu tto l ’ a ffa re d e l­ l ’ eredità d i F a b riz io M ezzab arba , più con cretam en te accenn ato su b ito d op o, e per il qu ale an dò più v olte a M ilano. N elle rico rd a te M em orie a u tog ra fe, A rch iv io V a tica n o , fo n d o C arpegna, cod . 62, f. 66, n a rra n d o le lotte sosten ute p er prendere p ossesso d i q u e ll’ ered ità , egli in fa tti u sa i term in i stessi, q u asi alla lettera. A n ch e il Gaixonio, V ita la t., p. 146, pur om etten d o d ’ in d ica re il g en ere d i qu esti « n egotia C on gregation is urgentissim a », co n ferm a ch e si tra tta va p rop rio d el­ l ’ a ffa re d i M ilan o.

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    27 agosto 1596. [183] Pompeo Pateri, ff. 479-480

    123

    a ll’ imperatore,1231 fu mandato in Spagna, nuntio, dalla santa memoria de Sisto Quinto, et, passando per [f. 480] M ilano, del mese di decem­ bre de 1’ ’ 8 5 ,1232 me invitò, con molta instantia, se volevo andar seco in Spagna, che l ’ haveria fatto piacere. L i rispose, che non potevo lasciar li negotii, che havevo alle mani, senza ordine del p. Filippo, dal quale io ero stato mandato, et, se sua signoria reverendissima haveva tal animo, innanti che partisse di Roma, ne doveva dire una parola al padre. F u capace, et restammo in appontamento, che sua signoria reverendis­ sima et io ne scrivessimo a Roma al detto padre, come fu fatto. I l bon padre remise il negotio alla Congregatione de nostri padri, quali vennero in parere, che io andassi, non solo per compiacere al detto monsignore, tanto affettionato alla Congregatione nostra, ma per faci­ litare il negotio di Milano, che parte d’ essi dependevano dal Conseglio d ’ Italia nella Corte di Spagna. F atta la resolutione et serrato il piego, per mandarlo alla posta, il padre fece dimandare il p. Agostino Manni, uno de nostri padri, che mi scriveva ogni settimana, et li disse : « scrivi a Pompeo, che non vadi in Spagna, ma si fermi in Milano » : voce vera­ mente mossa dal Spirito Santo, poiché non passorno doi mesi, che morì una persona,1233 per la cui morte, se io non mi fosse trovato in Milano, ne seria seguito un grandissimo danno alla nostra Congregatione. Resta, hora, che io dica quello, che mi occorse l ’anno passato, doppo la morte del santo padre. A lli 3 di decembre del 1595, fui assalito da un poco di febre catarrale, per quanto mi disse m .s Angelo Vittorio, che, con molta carità et affettione, medica la casa nostra, molti anni sonno. M a, in quattro o sei giorni, si scoperse in febre maligna, con petechie, et dolor di testa intensissimo, che Ί detto medico, con doi altri valent’ homini di Roma, che, con molta charità et assiduità, mi curava, mi giudicorno mortale di quella m alatia, vedendo, che li remedii possibili, che la mia complessione portava, non giovavano. Accorgendomi io di que­ sto, ancorché non mi fusse detto, alli 13 detto, mi raccommandai alla Madonna Santissima et a s. Lucia, che era in quel giorno, a s. Pompeo, vescovo di Pavia, la cui festa si celebrava il dì seguente, ed al santo padre nostro, che intercedessero per me, havendo, prima, havuto un 1231 C esare S p ecia n i, crem onese, v ica rio d ella b a silica d i S. M aria M aggiore per il ca rd . C a rlo B o rro m eo n el 1569 e s u o agen te d i a ffa ri in R o m a p er m olti an n i, re fe re n d a rio d e lle du e S egn atu re sotto G reg orio X I I I , K atterbach, p. 173, f u e le tto v e s co v o d i N ov a ra il 28 n ov. 1584, L a N ov a ra sa cra d el v es c o v o v en era ­ bile Cablo B escapè, tra d o tta in ita lia n o con a n n ota zion i e v ita d ell’ a u to re dall’ a v v . ca v . Giuseppe R avizza. N ov a ra , F. M era ti, 1878, pp. 433-34. D op o la n u n ­ zia tu ra p resso F ilip p o I I (su lla qu ale la n ota ch e segu e), venn e tra s la to a C rem on a il 30 genn. 1591, C rem onen siu m ep iscop oru m s eries, cit. a lla ilota 1217, pp. 156-59; e fu n u n zio a P ra g a presso l’ im p era tore R o d o lfo I I , d a l 14 m ag. 1592 a l 1597. M orì n ella su a sede, il 20 ag. 1607. L a s ciò alcu n e « con s id era tion i » sop ra la v ita e il ca ra tte re d i G reg orio X I I I , d e l qu ale era stato in tim o, d a te a con o sce re in e stra tto d a l P astor, v . IX , A p p en d ice, nn. 81-85, pp. 909-11. 1232 L o S p ecia n i fu d e stin a to n u n zio a F ilip p o I I 1Ί1 d ie. 1585, d a Sisto Y e la su a m ission e d u rò fin o a l 27 ag. 1588 ; a M a d rid g iu n se I’l l a p rile 1586, d op o un v ia g g io che in co n trò difficoltà, p oich é si era in iz ia to a S avon a dop o il 20 gen n a io, Natale Mosconi, L a n u n zia tu ra del crem o n ese C esa re S p ed a n o n egli an ni 1586-1588 alla c o r te di F ilip p o I I (su d ocu m en ti in ed iti d ell’ A rch iv io S eg reto V a tica n o). C rem ona, 1939 (« B ib lio t e c a storica c r e m o n e s e » , v . V i l i ) . 1233 F a b riz io M ezzab arba , m o rto in R om a e sep olto il 15 genn. 1586, com e già in d ica to alla n ota 1214.

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    124

    27 agosto 1596. [183] Pompeo Pateri, f. 480-481

    berettino, che haveva doprato il detto santo padre, che mi ero messo in testa. Mirabil cosa, che, in manco de un’hora, o poco più, feci tal meglioramento, che Ί s.r Bernardino Castellano,1234 uno dei medici che mi curava, qual, con molta carità, per cortesia sua, volse anco assistermi molte notte, restò stupito di tal m eglio-[f. 481] ramento. E t fu tale, che, la matina seguente, tutti tre li medici, cioè il sopradetto s.r Angelo, il s.r Zecca 1235 et il s.r Bernardino, me assecurorno, che era passato il pericolo. Così piaccia al santo padre, che mi ottenne tal gratia, impe­ trarmi anco spirito di cavarne quel frutto che devo, per meglio prepa­ rarmi, quando serà il tempo. Molte altre cose mi seranno occorse dal santo padre, le quali o mi sono andate in oblivione, o non haverò advertito come dovevo, M olti altri, et di casa, et di fuori, credo che haverano sopplito, dove haverò mancato io. Se mi se recordarò altro, farò il debito mio. Mi è venuto a mente, che, in S. Cecilia in Trastevere, una monaca, chiamata donna Hortensia, se ben me recordo, di Anelli, mi disse, subbito doppo la morte del santo padre, che, la notte et l’ hora istessa che morì, li apparve, tra le sei et sette hore, vestito di bianco, et portato su una sedia da doi gioveni, et li disse, che andava a reposare, et che seguitasse a far bene, che ci sarebbe andata ancora lei, et che non dubitasse, che, se pregò per lei, mentre era qui in terra, per lei, molto più, l ’ haverebbe fatto là su in cielo ; et, con questo, si svegliò, con molta allegrezza et contento. E t stando, la m attina, al matutino et a ll’ oratione, haveva questa cosa sempre in mente, et, de lì a poco, sentì dire, per il monasterio, che Ί p. Filippo era morto. E t questo mel disse la detta sor Hortensia, alPhora, perchè mi conveniva andare, alle volte, alii monasterii, hora uno, hora un altro,

    1234 B ern a rd in o C a stellan i, fr a te llo d e ll’ a ltr o illu s tre an a tom ista e ch iru rg o L o re n zo , T h ea tron , in quo m axim orum , Christiani o r i is pon tificu m a rch ia tros P rosper Mandosius ... sp ecta n d os e x h ib e t, in fine a l Marini, t. I I , pp. 33-34; f u m ed ico e ch iru rg o d e lla con g reg a zion e d e ll’ O ra to r io ; la fa m ig lia a b itò n ella p a rrocch ia d i S. T om m a so in P a rlon e, co n se p o lcro a S. M a ria in V a lllcella , d in a n zi a lla ca p p e lla d i s. F ilip p o , co d . V a t. la t. 7875, f . 159 (n ota d i sep oltu ra d e l p a d re d i B ern a rd in o, F ra n ces co, so tto la d a ta 8 genn. 1614). B ern a rd in o diven n e, p e r u ltim o , a rch ia tro e ca m eriere segreto d i G reg orio X V , e ris u lta essere s ta to p rete. Si trov a n o, n el Galletti, tra s critte rispettivam en te d a lib ri d i S .M a ria in V a llice lla e S. P ie tro in V a tica n o, qu este d u e n o t e : «16 23 . 16 ap r. f IU ·'8 ad m odu m e t r.m u s d . p resb iter B ern a rd in u s C a stella n u s Ss. d . P P . G reg orii X V fisicu s a secretis cu b icu la riu s annor. 61. Sep. in sep. fa m . V i l i », « 1623. IS ap r. f S .r B e r­ n a rd in o C a stellan i p iem ontese m e d ico fisico d i N . S. papa G reg orio X V , lev a to d a l P a la z z o A p o s to lico d i S. P ie tro . Sep. alla V a llice lla . X L I » , cod . V a t. lat. 7878, f. 65. L ’ iscrizion e p osta g li d a ll’ a ltro fr a te llo G iova n n i A n d rea , r e fe re n d a rio d e lle d u e Segn atu re, K atterbach, p. 286, lo com m en da « ob ex a cta m in cu ra n d is a e g ris solertia m a c in / sin g u los n otam pietatem », e lo d ic h ia r a m o r to il 17 ap r. 1623, in età d i sessa n tatrè anni, F orcella, v . X IT I, p. 454, n. 1104. 1235 G iova n ni Z e cca , bologn ese, a d d ottora to in p a tria il 17 die. 1558, v i lesse filosofia e m ed icin a ; pa ssò a R o m a n el 1588 p e r in segnare alla Sa pien za e ese rcita re l ’ arte, e fu m ed ico n ei c o n cla v i ten u ti d o p o la m orte d i S isto V e d i U rb a n o V I I ; rito rn ò a B ologn a n el 1593, e nel 1595, u n a secon da v o lta , n ell’ U rbe, d o v e m orì n el 1601, a sessa n totto anni, Marini, t. I , pp. 466-67, 469; Fantuzzi, N o tiz ie d eg li s cr itto r i b ologn esi, e it., t. V i l i . B ologn a . 1790, pp. 293-96, co n la b ib lio gra fia d e g li scritti. U n A v v iso d i R om a , in d a ta 5 d ie. 1601, reca : « D om en ica n otte d o p o essere stato m a le qu a lch e g iorn o m orse il Z ecca m ed ico m olto fa m o so e t qu asi R om a n o in qu esta C ittà, e s ’ in ten de ab bia la scia to da 1500 scu d i d ’ in tra ta », in R o m a , X I I I , 1935, p. 229.

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    27 settembre 1596. [184] Pomponio de Magistris, ff. 482-483

    125

    come faceva in quello di S. Cecilia, et, fu la prima volta, circa il fine di maggio del 1595, che, poco prima, era morto il detto padre. M i sovviene, ancora, che, l ’anno 1594, circa il fine di settembre o principio di ottobre, mi trovai, un giorno, in compagnia del santo padre, al sopradetto monasterio di S. C ecilia; et, doppo che Ί detto padre hebbe raggionato alle dette monache di molte cose spirituali, molte di esse monache si raccommandorno a ll’ oratione di detto padre. Tra le quali vi fu la sopradetta donna Hortensia, di età circa cinquanta anni, maestra di novitie, donna di molta bontà et spirito, quale priegò, con molta [f. 482] instantia, il santo padre, che si degnasse pregare sem­ pre per lei. A lla quale il padre si voltò et li d isse: « sì, lo voglio fare », et, con questo si partì dal monasterio. E t, inoltre, la detta donna Hortensia, doppo haverme replicate, pochi dì sonno, la detta visione, mi disse un’altra cosa, quale, se bene io l ’ havevo inteso dal confessore del monasterio m .s Domenico Migliacci, non l ’ havevo, però, inteso dalla detta donna Hortensia. E t fu, che Ί mese di giugno de l’anno 1595, poco doppo la morte di detto padre, si sentiva male a una zinna, nella quale haveva una cosa grossa come una noce, et tuttavia se andava ingrossando, et li dava dolore, nè ardiva dirlo, perchè temeva di essere schifata dall’altre monache. Solo lo disse al sopradetto padre confessore, il quale, doppo haverli detto, che faceva male a non farse curare, a bon hora, le diede una pezza che Ί santo padre haveva tenuto sopra al rottorio. E t, doppo che fu spedita dal confessore, retiratasi nella sua stanza, si pose su la zinna la detta pezza, et si sentì subito alquanto alleggerire il dolore, et che, la notte seguente, li apparve il santo padre, et li pose la mano dove li doleva, et poi li d isse: « horsù, horsù, non ci è niente, attendi ad esser bona ». E t, destatasi, si trovò guarita afatto : il che ricevette per li meriti et virtù del santo padre. E t, per hora, non mi ricordo d’altro, et mi raccomando a ll’orationi del santo padre. D IE V E N E R IS 27“ S E P T E M B R IS 1590

    [184] E xa m in a tu s fu it, in officio e t c ., p er m e e t c ., ill.is et adm odum r e v .d u s d. P om p on iu s de M a g istr is , 1236 filius q. d .n i A n to n ii de M a ­ g istris et D ian orae de Carolis con iu gu m , p resb iter de S on n in o, T erracinensis d iocesis, canonicus basilicae P rin cipis A p o sto lo r u m S an cti P e tr i de U rbe et sa n ctissim i dom ini n o str i papae cubicularius in ti­ m u s, a etatis quadraginta se x annorum in circa, qui, m edio muramento, tactis e t c ., ad opportu n as in terro g a tio n es, d i x i t :

    D ell’anno 1581 in circa, trovandomi in

    [f. 483]

    Cisterna,1237 alii *1 3 2

    1236 P om p on io d e M agistris, ben eficiato d i S. P ietro in V a tica n o, ii 20 die. 1587, ca n o n ico ii 28 lu . 158S e a lta rista ii 15 ag. 1596, co d ic i V a t. la t. 10.171, ff. 190 V , 94 V, e 8066 B , ff. 50, 101 ; fu e le tto v e sco v o d i T e rra cin a , il 28 genn. 1608. Il su ccessore, per m o rte d i P om p on io, risu lta eletto il 12 genn . 1615. 1232 C istern a , a l 52° ch ilom etro d e lla v ia A p p ia , in feu d a ta a i C a eta n i nel 1410; d o p o d u e b re v i in te rru zio n i, rim a sta a essi sem pre, d a l 1504, Martinori, L a zio tu r r ito , pt. I , pp. 189-90; e S ii.vestrelli, C ittà ca stelli e te r r e d ella reg io n e rom an a, v. I , pp. 114-16.

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    126

    27 settembre 1596. [184] Pomponio de Magistris, f. 483

    servitii dell’ ill.m o s.r card. Serm oneta1238 bona memoria, elessi per mio confessore un p. Raffaello, romano, delli zocolanti : del cognome non mi recordo ; so ben che suo nipote si chiama Marco Antonio Lupi. Era detto padre, a ll’hora, guardiano del convento de frati zoccolanti di S. Antonio di detta terra di Cisterna,1239 persona religiosa et di molta bontà et prudentia. Trattando seco, diverse volte, con diversi ragiona­ menti, mi diede conto delia sua conversione, la quale mi raccontò di questo modo. Essendo esso p. Raffaele, nel secolo, giovane di spada, dedito a vita licentiosa, et assai disviato,1240 vagando per Roma, un giorno, con pensieri conformi alla vita che faceva, si abbattè in un amico, che, con bel modo, lo condusse ne l ’ Oratorio di S. Hieronimo, dove, a ll’ hora, si facevano certi raggionamenti spirituali. Si trattenne, con detto amico, in detto loco, mal volentieri. Finiti li ragionamenti, l’amico lo con­ dusse, destramente, dinanzi al p. Filippo, che stava nel detto luogo di S. Hieronimo, dicendo al detto padre, che questo Raffaele era venuto per confessarsi et per darsi al ben fare. Cosa contrarissima al pensiero di detto Raffaele, il quale haveva sdegno, che questo homo dicesse quello che non era et non pensava ; ma, finalmente, per non fare stare affron­ tato l ’amico, si pose a confessarsi, ma fece una confessione finta et piena di bugie. I l p. Filippo, accortosi della vana confessione che haveva fa tta , lo prese nel volto, stringendolo, con le mani, con molta charità, essortandolo a confessarsi bene, et a sperare nell’aiuto divino. D al qual atto il detto Raffaelo sentì, repentinamente, tanta compuntione d ’animo et mutatione, che fece una bona et utile confessione et, toccato vera­ mente dalla mano de Iddio, con il mezzo del detto bon p. Filippo, poco doppo entrò nella religione de zoccolanti, dove è stato molti anni bon servo de Iddio et, pochi anni sono, circa tre o quattro anni, passò a meglior vita. Questo è quanto mi occorre. I l qual p. m .s Filippo io l’ ho conosciuto, molti anni sonno, che fu nel tempo che stava a S. H ieronim o; et, doppo, qui alla Vallicella, et udito li suoi raggionamenti, et conversato con lui, et trattato, alcune volte, con esso. Dove ho conosciuto gran zelo de l’honor de Iddio, et gran charità, et era tenuto da tu tti, universalmente, per homo di san­ tissima vita.

    1238 N ico lò C a eta n i d i Serm on eta, c re a to ca rd in a le, appena decenn e, il 22 d ie . 1536, d a l con g iu n to P a o lo I I I ; m o rì il 1° m ag. 1585 in R o m a e fu sep olto a L o re to , n el m a u soleo ch e si era co stru ito , G elasio C aetani, C aietan oru m g en ea log ia , c it., pp. 71-72. 1239 Q uesto con ven to, co n il tito lo d i S. A n ton io A b a te in L a c io , era sta to fo n d a to nel 1572 d a l ca rd . N ico lò C a e ta n i; d a i P r a ti m in ori osserv a n ti, o z o c co ­ la n ti, p a ssò nel 1627 a i rifo rm a ti, Caetani, Caietanorum , gen ea log ia , cit., p. 72. 1240 E ra co rtig ia n o, a qu el tem po, d e l ca rd . G uido A s ca n io S fo rza d i S a n ta F io r a , com e d ep ose P>eatrice C aetani n ei Cesi, f . 507. I l G allonio , V ita la t., pp. 96-97, n a rra la sua con version e s o tto l ’ an n o 1560, ch ia m a n d olo « iu ven is qu ida m n on ig n o b ilis » . I L u p i eran o an tich i citta d in i rom an i, A mayden-B ertini . V. I I , p. 22.

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    11 dicembre 1596. [18ó] Claudio Rangoni. f. 484

    127

    [f. 484] D I E M E R C U R II 11“ M E N S IS D E C E M B R IS 1596

    [183] E xa m in a tu s fu it, Rornae. in dom o ill.m ae d .n a e Iu lia e R a n gon a e, R eg io n is P a rion is, ill.m u s e t r e v .m u s p . d .n u s Claudius R a n g o n u s 1241 episcopu s P la cen tin u s a eta tis annorum trigin ta se x in circa , filius q. ill.m i d.n i m arcliionis Iu lii et ill.m ae d.nae L uciae S c o tta e coniugu>.m, qu i, m edio iu ra m en to , ta ctis scrip tu ris e t c ., ad op portu n as in terrog a tion es, d ix it :

    Sono circa dieci anni, che io ho conosciuto il p. m .s Filippo Neri, qui alla Chiesa nova, et li ho parlato molte et molte v olte ; et non mi son confessato da lui, che Ί s.r card. Baronio era mio confessore, altre volte ; et, adesso, vo spesso a un confessore in S. Pietro in Vincola ; 1242 et mi communicai domenica passata, che Ί vescovo di Gravina 1243 mi conferì il presbiterato nella capella Gregoriana in S . P ietro.1244 L ’anno passato del 1595, del mese di agosto, io mi ammalai, a Spilamberto, nostro castello sul Modenese,1245 et lì stette male circa venti giorni, tra Spilamberto et Castelvetro ; 1246 et in Castelvetro stette male a morte ; et li medici, che mi medicavano, era il s.r Tagliacozzo, medico

    1241 C la u d io R a n g on i, q u a rto figlio d el m a rch ese G iu lio I, eletto il 2 die. 1596 v e sco v o d i P ia cen za , g o v ern ò v irtu osa m en te qu esta d iocesi, celeb ra n d o u n sin od o n e ll’ a n n o 1600; m o rì il 13 sett. 1619, Girolamo T ibaboschi, B ib lio te c a m od en ese o N o tiz ie d ella v ita e d elle o p e re d egli s c r itto r i n a tii d egli s ta ti d el seren issim o sign o r duca di M od en a , t. IV . In M odena, p resso la S ocietà tip ogra fica , 1783, pp. 281-82; e R angoni Machiavelli, N o tizie della fa m ig lia R a n g on i, c it., I I , p. 48; V I , p p. 40-41 (d o v ’ è rip ro d o tto il te s to d e l T ibaboschi). 4242 L ’a n tich issim a b a silica , rico s tru ita d a ll’ im p era trice E u d ossia so tto S isto I I I , 432-440, H xjelsen, pp. 418-19, fu ten u ta d a i gerola m in i fin o a l 1489; nel q u a le an n o In n ocen zo V i l i , c o n b o lla d e l 9 a g osto, d ied e il c h io s tr o a i ca n on ici r e g o la ri d e l S a lv a tore, A rmellini-Cecchelli, pp. 1416-17. 1243 V in cen zo G iu stin ia n i, v e sco v o d i q u ella sede d a l 2 agosto 1593; il su c­ cessore, p er m orte d i lu i, fu e letto il 24 n ov. 1614. 1244 E retta d a G reg orio X I I I co n son tu osa m agn ificen za, fu b en edetta e co n s a cra ta 1Ί1 giu. 1580; se n e h an no n u m erose d es crizion i contem poran ee, m a n o scritte e stam pate, T iberio A lfarano, D e ba silicae V a tica n a e an tiqu issim a e t n o v a stru ctu ra , ed . c it. n ella n ota 764, pp. 91 n. 2 e 94 n. 1 ; e cf. Schiavo, L a v ita e le o p e re a r ch itetto n ich e di M ich ela n g elo, c it., pp. 175, 191, 206, 207. S op ra il solenne tra s p o rto d e l co rp o d i s. G re g o rio N a zian zen o, fa t to n el g iorn o stesso d a S. M aria in C am po M a rzio a lla n u ova ca p p ella , A lveri, D ella R om a in ogn i s ta to , p a rte seco n d a , c it., pp 172-73; e L uca B eltrami, L a R om a di G re­ g o rio X I I I n egli A v v is i alla c o rte Sabauda. M ilan o, 1917 (P er n ozze B on com p agn iB o rro m e o ), p. 36. 4245 I R a n g o n i ebb ero in fe u d o S p ila m berto c o n altre terre d a A ld ob ra n d in o d ’ E ste. nel 1353; e n e fu ro n o n uovam en te in vestiti d a l m a rch ese N icolò I I I , nel 1394, con tin u a n d o a p ossed erlo fino a ll’ u ltim o, Girolamo T iraboschi, D izion a rio top o g ra flico -sto rico d eg li S ta ti este n s i, op era p ostu m a, t. I I , M -Z . M odena, presso la T ip o g ra fia C a m erale, 1825, pp. 359-62; R angoni Machiavelli, N o tiz ie sulla fa m ig lia R a n g o n i di M odena , c it., I, pp. 7, S, 24-25. 4245 C a stelvetro, ap parten u to g ià alla con tessa M atilde d i C anossa, e d a l le g a to pa p a le ca rd in a le B e rtra n d o con cesso in fe u d o , n el 1330, a i R a n g on i, che lo con se rv a ro n o fino a lla rivolu zion e fra n ces e, T iraboschi, D izion a rio topograficosto r ico d egli S ta ti esten si, c it., t. I , A -L . M odena, 1824, pp. 186-90; L ’ A ppen n ino m o d en ese d escritto ed illu stra to , co n 153 in cision i, una ca rta g eogra fica ed una g eolog ica . R o c ca S. C a scian o, L . C a p p elli, 1895, pp. 1112-14.

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    11 dicembre 1596. [185] Claudio Rangoni. ff. 484-485

    bolognese,1247 et il Caloro, modenese,1248 et un altro, che sta a V i­ gnola,12491 * che non mi recordo il nome. E t dopoi, essendo alquanto 0 5 2 rihavuto, me ne andai a Roccabianca, castello nostro sul Parm i­ giano,1230 dove recascai et me se attacò la febre, che ogni dì l ’ haveva, et durò fino a dua mesi et mezzo in circa. E t la s.ra marchesa Giulia Orsina Rangona, mia zia, mi mandò un « Agnus Dei », il quale, mi scrisse la s.ra zia, che mel mettesse subito adosso et che lo tenessi in gran vene­ ratione. E t, subito ch’ io Phebbi, io mel mise adosso. E t, quel giorno che mel mise adosso, non mi venne più febre, che soleva venire ogni giorno ; nè, doppo, mi ho sentito più febre. E t il medico, che si chiama Alessandro Recordati, quando venne a vedermi, si maravigliò, trovandomi senza febre, et diceva, che, per ragione di medicina, non potevo guarire sino a primavera, che a ll’ hora era il mese di decembre o gennaro. E t così anco dicevano quelli, che avevano cura di me, tra quali, particolar­ mente, ci era m.s Francesco Fontana. E t il medico venne da doi o tre dì, salvo il vero, et mi ricordo, che mi toccò, doi o tre volte, il polso, maravigliandose, come ho detto, di trovarme senza febre. E t il detto medico Alessandro Recordati sta a Busseto,1231 condotto [f. 485] lì in Busseto. E t, per dir il vero, io non seppi mai quel che fosse nel detto « Agnus Dei » , nè manco cercai saperlo, poi che mi trovai guarito,1232 come ho detto. E t, dopoi che son stato in Roma, ho domandato la detta s.ra marchesa, mia zia, che cosa era nel detto « Agnus Dei » o ver breve. M i ha detto, che vi è una pezzetta, bagnata del sangue del suddetto p. Filippo. D al quale io tengo di essere stato liberato, come di sopra,

    1247 G aspare T a g lia co z z i, fa m o s o ch iru rg o e p rofess ore d i anatom ia e ch i­ ru rg ia a ll’u n iversità d i B ologn a ; ebbe illu s tri clie n ti, tra i qu ali V incenzo G on­ za g a d u ca d i M an tova e R a n u ccio F arn ese d u ca d i P a r m a ; m orì il 7 n ov. 1599, Martha T each Gnudi e J erome P ierce W ebster, T h e life and tim es o f G aspare T a g lia co z z i su rgeon o f B ologn a , 1545-1599. W ith a d ocu m ented stu d y o f the scie n tific and cu ltu ral life o f B ologn a in s ix te e n th cen tu ry. B ref, by A rturo Castiglioni. N ew Y o rk , H erb ert R eich n er [1950] ; e, brevem en te, Capparoni, P ro fili bio-bibliografici di m ed ici e n a tu ra listi c eleb ri ita lia n i, c it., pp. 57-60. 1248 d ì qu esta fa m ig lia C a lori risu lta n o n o ti i m ed ici P a olo (p rim o), see. x iv ; P a o lo (secon d o), s e c .x iv -x v ; e G iova n ni, see. x v , T iraboschi, B ib lioteca m od en ese, c it ., t. I . M odena, 1781, pp. 364-66; e Marini, v . I, p. 110·, XI, p. 59. 1249 V ign ola , fe u d o d e lla fa m ig lia C on tra ri da l 1401 al 1575, con u n ’ in terru ­ zio n e d a l 1518 a l 1527, d u ra n te la qu ale venne o ccu p a to d a lle tru ppe p on tificie e d a to d a L eon e X a i R a n g on i ; n el 1577 fu v en d u to a i B on com pagn i d u ch i d i Sora, c h e ne m a ntenn ero la sig n o ria fino al secolo xvm , T iraboschi, D izion a rio topog ra fico -storico d egli S ta ti esten si, cit., t. I I , pp. 411-17 ; L ’ A ppen n ino m od en ese d escritto ed illu stra to , cit., pp. 1110-12. 1250 xi m a rch esato d i Z ib ello e R occa b ia n ca , già d e i P a lla v icin o, passò ai R a n g o n i per m a trim on io, L u d o v ico I ne fu in v e s tito e per esso prestò giu ram en to n e l 1545, in o cca sion e della presa d i d om in io in P arm a fa t ta d a P ier L u igi F a rn ese, R angoni Machiavelli. N o tizie su lla fa m ig lia R an gon i di M odena, c it ., I , pp. 10-11. 1231 C itta din a o r a in p rovin cia d i P a rm a , su lla qu ale eb b ero d o m in io i P a lla v icin i per alcu n i s e c o li; su lla fine del x v i se ne im possessa ron o i F arnese. T r a le m em orie storich e r a cco lte d a E milio Seletti, L a città di B u sseto ca p ita le u n tem p o dello sta to P a lla vicin o. M ilan o, tip . B o r to lo tti d i D a l B on o e e ., 1883. in clu d en ti n el terzo e u ltim o volu m e d ocu m en ti v a ri e g enea logie d i fa m ig lie n o ta b ili, n on si tr o v a n om in ato qu esto m ed ico A lessa n d ro R ecord a ti. 1252 h risa n a m en to d i C la u d io R a n g on i è n a rra to, brevem ente, d a l G allonio. V ita lat., p. 250.

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    11 dicembre 1596. [186] Giulia Orsini Eangoni. ff. 485-486

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    129

    mediante detto breve, mandatomi per « Agnus Dei » , come ho detto, quale anco lo porto al collo, ed eccolo qui osten den s ad in sta r « A g n u s D e t » , in form a rotu n d a , ligatus in tela argentea e t in carnata, cum quibusdam passam anis n un cupatis d’ oro e t verde a t o m o , m agnitudinis u niu s m on etae pauli seu iulii n u n cupatae, che pare un « Agnus Deo » et

    dentro, come la detta s.ra mia zia mi ha detto, vi è la detta pezza. Ho inteso, molte volte, la bona vita del padre nanti che morisse, et, dopo morte, la bona fama della vita sua, da s.ri cardinali et altri prelati.

    D E IN D E , E A D E M

    D IE

    M E R C U R II 11» D E C E M B R IS

    1596

    [186] E xa m in a ta fu it, u bi su p ra , ill.m a dom ina Iu lia R an gon a U rsi­ n a ,1253 quae alias exam inata fu it, quae e t , m edio iu ra m en to, ta c­ tis e t c ., ad in terrog a tion es, d ix it :

    Oltra quello che ho detto altre volte, ne l’ altro mio essamine, intorno la bontà della vita e santità del beato Filippo Neri, mi occorre di dire, che, essendo mons. ill.m o et rev.mo vescovo di Piacenza, al presente, che a ll’ hora non era vescovo, Claudio Rangone, in Lombardia, ammalato, et havendo inteso, che era malissimo condotto dalla febre, et era ta l­ mente stenuato, che se dubitava de la vita, o che non venisse etico ; et, particolarmente, havendomi scritto il s.r Horatio Carandino,1254 maestro di camera dell’iR.mo card, de A sco li,1255 che il detto s.r Claudio, mio nipote, era mal condotto, e talmente, che me fece movere a pietà, havendolo veduto, ne l ’andar che fece mons. ill.m o suo cardinale, ne l’ andar che fece a Cremona ; andando pensando tra me stessa, quel che potesse fare, per giovare a questo mio nepote s.r Claudio, prese per spediente di fare un « Agnus Deo » , con pezze de tela de [f. 486] argento incar­ nata, con un passamanetto attorno. E t dentro vi posi un poco di pez­ zetta, tinta nel sangue della bona et santa memoria del p. Filippo, di grandezza d ’ un giulio ; et lo feci fare sottilissimo, acciò non facesse in­ gombro ; et lo posi in una lettera, et la mandai al detto s.r Claudio, mio nepote, per la posta ; scrivendoli, che se lo ponesse sopra al collo, et lo tenesse in gran devotione ; senza scriverli quello che vi era dentro. E t, de lì a pochi giorni, intesi, che la febre lo haveva lassato, et, de lì a molti mesi, ritornato a Roma il detto s.r ill.m o Claudio, mio nipote, mi do­ mandò, che vi fosse dentro il detto « Agnus Deo », dicendo, che ancora

    1253 Secon da d e p osizion e d i G iu lia O rsin i nei R a n gon i, g ià com p a rsa il 20 o tt. 1595 (91). 1254 O ra zio C a ra n d in i, m odenese, è n om in a to n e ll’ iscrizion e sep olcra le della m o g lie , Isa b e lla M erville, d ep osta n ella tom b a d e lla m a rch esa G iu lia O rsin i R a n g o n i a S. M aria in V a llice lla , F orcella, y. IV , p. 152, n. 359. D iven n e, più ta rd i, seg reta rio d el ca rd . O d oa rd o F arn ese, se si fa m en zion e d i lu i, com e pa re, in q u esto n e cro lo g io , tr a s cr itto d a l Galletti : « 1615. 8 d ecem , f L a s.r» M ar­ g a rita m a d re d el s.r ca v a liere C a ra n d in o seg reta rio d e ll’ ill.m o F a rn ese n ona ge­ n a ria v icin o a S. G irolam o », cod . V a t. la t. 7875, f. 182. 1255 h dom en ican o G irola m o B e rn ie ri, n a to in C orreg g io, eletto v e sco v o d i A s co li il 22 ag. 1586 e cre a to ca rd in a le il 16 n ov. 1586, d a S isto V ; m o r i in R om a il 5 ag. 1611 (n el Galletti, suo n e cro lo g io , in cod . V a t. la t. 7875, f . 131). P e r il p a la zzo d a lu i ab ita to, T omei, Un elen co d ei pa la zzi di R om a, p. 166.

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    11 dicembre 1596. [187] Violante Martelli Ricci, ff. 486487

    10 portava adosso. Io li disse, che vi era una pezza, tinta con il sangue del p. Filippo et adesso me l’ ha mostrato et osten so sib i, p er dictu m ill.m u m d .n u s Claudium dicto breve sive « A g n u s D e i » , d i x i t : Questo è quel medemo, che io li mandai et è il medemo che li mandai et intesi, che, subito che se lo pose al collo, li cessò la febre. E t questo mi ha confirmata più nel credere, come ho creduto, la santità del detto p. F i­ lippo, et credo ancora.

    E A D E M D IE 11» D E C E M B R IS 1596

    [187] E xa m in a ta f u it, R o m a e, ubi su pra , ill.m a d.na V iola n tes M a rtelli de R ic cis, filia ill.m i d .n i Gasparis G hinucii e t ill.m ae d.nae M ariae M a rtellae , 1256 fiorentina, u xo r ill.m i d .n i Ioa n n is R icci de M o n te p olitia n o, aetatis annorum vig in ti se x in circa, quae, m edio iuram en to , tactis e tc ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it :

    I l giorno che io arrivai a Roma, che fu l’ anno passato, alla fine del mese di maggio, io havevo inteso che Ί p. Filippo Neri, qual stava qui alla Chiesa nova di S. Maria in Vallicella, era morto et sotterrato ; et intesi, già dieci o dodeci anni, a Firenze, la santità della vita del detto padre, et intendevo ancora a ll’hora, quando arrivai a Roma. Io havevo una putta, figliola del s.r Giovanni Battista Simoncelli, quale haveva tre anni finiti, et li vennero li morviglioni, et stava molto male di febre, et 11 medico Giulio da Barga 1257 diceva, che era pericolosa de la vita. E t andai dal p. Angelo V elli, mio confessore, e lo pregai, che mi volesse far gratia di pregar Iddio per la detta putta, che la facesse guarire, poi che non si trovava altri remedi. E t il p. Angelo mi disse, che l ’haverebbe fatto et di più che mi haverebbe datto un borsetto [f. 487] di certe reliquie di ermesino incarnatino, quale mel diede, et mi disse, che non guardasse che ce fosse, et che havesse fede. E t il medemo padre lo pose al collo della detta putta, in mia presentia, et disse alla putta, che havesse fede, che sarebbe guarita. La putta lo pigliò, et lo basciava con gran­ dissima festa. E t, il medemo giorno, andai a trovare la s.ra contessa Santa F iore,1258 lasciando la putta nel letto, che stava molto male, et per non vederla spirare : che pensavo, al mio ritorno, trovarla morta. E t, tornata de lì a doi hore in circa, domandai alle mie donne, se la putta era viva. Mi risposero, che ci era stato il medico, e che l’ haveva trovata senza febre, et, domandando il medico la putta chi l’ haveva guarita,

    1256 L a teste, n ota solta n to per questa dep osizion e, d ich ia ra la sua d iscen ­ d e n za d a p a trizie ca sa te o rig in a rie tosca n e : i G hinu cci senesi e i M a rtelli fioren ­ tin i. M a n on s ’ in ten de bene p erch è p o rti p rim o il cogn om e d e lla m a dre, anzi ch e qu ello d e l pa dre. Illu s tri fu ro n o anche i R ic c i d i M ontepulcia no. 1257 G iu lio d e A n gelis, d a B a rga, lettore a P isa d a l 1567 e a R om a d a l 1594, f u a l term ine d ella vita , per d icia ssette m esi, com m en da tore d e ll’osp edale d i S. S p irito, A lveri, D ella R om a in ogn i sta to , p a rte secon d a , c it., pp. 264, 280; e , n el 1601, protom ed ico. N on è certo sia stato a rch ia tro d i Clem ente V i l i , Marini, v . I, pp. 481-82; v. I I , pp. 89-92 (secon da n um era zion e). S i legge, nel Galletti, qu esto suo n ecrolog io : « 1601. 9 7brè t II m . ili. e e r.m o m on s.6 G iu lio d e A n gelis d a B a rg a com m en da tore d i S. S p irito », cod . V a t. lat. 7875, f . 21. 1258 C a terin a d e ’ N ob ili negli S forza di San ta F io ra , già com p a rsa al p rocesso il 17 ott. 1595 (88).

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    4 gennaio 1597. [188] Salvatore ila San Severino M. f. 488

    131

    la putta rispose che quel padre santo, con quel breve et quel sangue, che vi era dentro il breve, l’ haveva fatta guarire. E t io dimandando la detta putta, mi replicò Pistesso, mostrandomi il breve; et basciandolo con molta devotione, diceva, che quel breve l’ haveva guarita. E t, mentre che io arrivai, quando domandai se la putta era viva, come ho detto, mi dissero che era migliorata, et io li disse, che era il meglioramento della morte. E t, domandando, come ho detto, la putta mi disse come ho detto, che il padre, cioè quel breve et quel sangue che era dentro, l’ haveva guarita. I l qual breve io non sapevo, nè meno la putta lo sapeva, quel che si contenesse, nè quel che vi fosse dentro, perchè il p. Angelo, come ho detto, mi disse di darmelo, et lo diede, come ho detto di sopra, et lo pose al collo della putta, quale stava nel letto male et a mal partito. E t, odendo io del breve e del sangue, come diceva la putta, mi venne curiosità di veder, quel che era dentro a detto breve, et lo opersi (che era una borsetta) e vi trovai una pezza, con un poco di sangue, e certi capelli. E , raccontandolo poi al p. Angelo, mi disse, che era pezza intinta del sangue del p. Filippo, et li capelli del p. Filippo. E t, da quell’ hora in poi, la putta guarì, et la febre la lasciò subito, et li varoli, fra tre giorni, furono passati, senza lasciare segno alcuno. E t questo fu del mese di settembre, Panno passato, et il Barga se ne maravigliava. E t qui si sonno scoperti doi miracoli : uno, de P esser la putta [f. 488] gua­ rita, come io ho detto, che io pensavo trovarla morta, al mio ritorno che feci dalla s.ra contessa Santa Fiora a casa mia ; l ’altro, di haver indo­ vinato la puttq,, del sangue, che fusse nel detto breve. E t io ho tenuto et tengo, che sìa stato miracolo del p. Filippo. E t , ad in terrog a tion em , d i x i t : Io mi soglio confessare una volta la settimana et mi communico medemamente ; et, domenica passata, io mi confessai et communicai, che fu l ’ ultima volta, che mi son confessata e communicata.

    D IE

    S A B B A T I 4* M E N S IS IA N U A R II 1597

    [188] E xa m in a tu s fu it, R o m a e, in officio et in m ansion e supra offi­ cium etc. rev .d u s fr a te r S alvator de S an cto S e v e r in o ,1259 in secalo F erra n tes S aldavin i, filius q. D o m in ici Saldavini et q. F elicis eius u xoris m a ter, te s tis , annorum quinquaginta quinque in circa, qui, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it :

    Io credo, che siano venti anni in circa, che sono nella religione de Capuccini, et fui vestito a Camerino, et lì feci professione, et credo, che sia trentacinque anni, che io sonno sacerdote : chè, quando entrai nella

    1259 F e rra n te S a ld a vin i (S a la d in i, secon d o il Marciano, M em orie h istorich e d ella co n g reg a tio n e d ell’ O ra torio, t. I I , c it., p. 91) a v ev a a p parten u to, prim a d ’ en tra re tra i ca p p u ccin i, a u n a com u n ità d i p reti r ifo rm a ti v iv en ti in San Seve­ rin o M arch e, a lla quale si unì anche A n ton io T a lp a , B ordet-P onnelle, p. 253 (vers, ita l., 244). E g li sa reb be m orto nel 1599: « q u e s t o au tu n no p a s s a t o » , asserì M onte Z a zza ra , n e lla sua deposizion e d e ll’ 8 genn. 1600, f . 581. P e r ciò n on si id en ­ tifich erebbe co n lu i il fr a te S a lv a tore d a San S ev erin o M . m orto in O sim o, il 17 fe b . 1624, p er fu lm in e c h e lo co lp ì in c o ro , Giuseppe da F ermo, O. P . M . C ap., n ec r o lo g io d ei F r a ti m in ori cappu ccin i d ella P rovin cia P icen a . A n con a , T ip . D orica P. K ab in i, 1914, sotto la d a ta rip orta ta .

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    132

    4 gennaio 1597. [188] Salvatore da San Severino M. ff. 488-489

    religione, et già avevo detto Messa et hora, ogni matina, per gratia del Signore, celebro Messa, come ho fatto sempre, eccetto per causa inferm ità: et questa mattina ho celebrato, a gloria de Iddio. D ell’anno 1569, che era del tempo de Pio Quinto felice memoria, et per prima, io conoscevo il p. m .s Filippo Neri, e, dal detto tempo, io lo conosceva bene, che, in quel tempo, io entrai in S . Giovanni dei F io ­ rentini, prete secolare, a servire la chiesa con li altri preti ; et il p. m .s Pompeo Boccaccio, da Vetralla, era capo lì nella chiesa ; et il detto p. Filippo ci veniva qualche volta, et ogni quindeci giorni, et, alle volte, più spesso. I l quale p. m .s Filippo stava a S. Hieronimo della charità, et io, ogni matina, andavo, da S. Giovanni de Fiorentini a S. Hieronimo, a reconciliarme dal detto p. m .s Filippo, eccetto per infermità, che fu poche volte. E t, nel principio che io entrai in S . Giovanni de Fiorentini, io intesi, dalli padri nella casa di S. Giovanni sudetto, che Ί p. m .s Filippo, essendo giovane de diciotto anni in circa, studiando filosofia, andava spessissime volte alle Sette Chiese, portandosi doi pani sotto [f. 489] il braccio, et con quello faceva il suo pasto ; se ben da alcuni intesi, che vi andò ogni matina, un gran tempo. E t che, doppo Fesser fatto sacerdote, detto p. m .s Filippo, in compagnia de M onsi­ gnor Cacciaguerra cominciorno a confessare continuamente, nella chiesa di S. Hieronimo, et ad metter la frequentia de Sacramenti, il che, a quelli tempi, era reputata cosa singolarissima : per il che patirno molte perse­ cutioni. E t, per dar trattenimento a li suoi figlioli spirituali, doppo il pranzo, tenendo per cosa certa, che quella fosse l ’ hora più periculosa a ’ peccati : per il che li convitava alla sua camera, a raggionar de cose spirituali, sino alle ventiuna hora. E t questo fu il principio de l ’ Orato­ rio, però che, crescendo la moltitudine, fu necessario aprire l’ Oratorio sopra la volta della chiesa ; et, per questo incomincio, detto padre, sempre che usciva di S. Hieronimo, incontrava molti dei suoi figlioli, quali l’accompagnavano per Roma. Per il che, presero occasione, alcuni, di calunniarlo, per homo, che fosse capo di setta. Onde fu chiamato avanti a un cardinale, il quale, imputandolo de setta, hebbe, dal detto pa­ dre, il detto cardinale tal risposta: «Monsignore illustrissimo, se Ί vivere christiano se domanda setta, questa è setta ; ma advertisca vostra signo­ ria illustrissima come parla ». Replicandolo il cardinale: « che voi dire tante genti che vi corteggiano per Roma? questa aura popolare vi dichiara per ipochrito ». D al quale hebbe tal risposta: « il giudicare l’ homo ipocrito conviene solo a Dio, poiché “ Ecclesia non giudica de occultis ” . E t, per magior vostra satisfatione e mia, mandate a vedere l ’opera nostra nell’ Oratorio et vedrete, se ci è alcuna cosa da emendare ». Con il che fu licentiato dal cardinale et ordinato un prelato, che assistesse nel­ l’ Oratorio. E t questo caso fu raccontato, lì in casa, molte volte tra noi, lì, in S. Giovanni dei Fiorentini. E t questo fu nel principio dell’ Orato­ rio. E t il prelato, per alcun tempo, era venuto a ll’ Oratorio,1260 per udire quello che si trattava, et che doppo molte volte esserci stato, il

    1260 L a n a rra zion e d e l teste si r ife ris c e alle persecu zion i m osse co n tro l ’ O ra­ to rio a l tem p o d i P a o lo IV , n el 1559; il ca rd in a le era V irg ilio R o s a ri, v ica rio di R om a , Gai.lonto, V ita la t., pp. 79-82; Rordet-Posnelle, pp. 181-83 (vers, ita l.,

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    4 gennaio 1597. [188] Salvatore da San Severino Μ. fï. 489-490

    133

    detto prelato, havendo vista l ’ opera bona, cessò di venire: et questo si diceva publicamente, tra noi altri della chiesa di S. Giovanni dei F io ­ rentini. I l qual cessamento li fu detto, come si crede, dal padre s. Fran­ cesco : però che, [f. 490] alcuni giorni prima, li apparve, nell’ Orato­ rio, nel tempo de raggionamenti, uno, vestito da cappuccino, il quale li disse publicamente simili parole : « Padre, attendete allegramente a l­ l’ opra incominciata, imperochè sarrete aggiutato et difeso da D io, dalla Madonna, et da me », et che lui, per ciò, li era mandato a far tal imba­ sciata. Nè mai più fu visto tal frate, nè fu possibile a ritrovarlo in nissuno luogo : et per ciò si crese che fosse s. Francesco, però che doppo hebbe pace. E t questo lo raccontava, particolarmente, il Tarusio, hora cardinale, come cosa de grandissima importanza ; et di questo se ne ragionava spesso, come di cosa secretissim a: onde, per ciò, il padre hebbe tanta affetione a ll’ ordine di s. Francesco. Il detto padre, sicome nel mangiare, bevere, et dormire era tanto parco, che, per l’ ordinario, magnava una sola v o lta : la sera, pochis­ simo, la matina, talvolta, faceva il suo pasto con un ovo ; era di poco sonno, poiché, moltissime volte sono, io l’ ho visto andare a repo­ sare tardissimo, et, la matina, io ci sonno andatto a bon’ hora, et, quasi giocando con me, spiritualmente, dicendomi : « io ho dormito pochissimo, questa n otte: che voi d ir e ? » , replicandomi più volte queste parole : « che voi dire? » et io haverei detto : « padre, havete fatto oratione » et lui diceva : « non è tempo di dormire, perchè l’andare in Paradiso non è da poltroni », o cose simili. Quanto al celebrar della Messa (il che faceva ogni mattina, per l ’ ordinario) nel principio soleva attenderci con molta devotione. Onde, per la molta attentione, cominciò tanto ad essere impedito dalla devo­ tione, che, alcune volte, fu impedito, non potendo finirla senza grandis­ sima difficulty. Onde, una volta, mi raccontò m .s Giovanni Antonio Lucio, che, lui servendoli la Messa nell’altare del S S . Sacramento, li restorno le braccia immobili, non potendo calarle abasso senza grande difficoltà. Per il che cominciò, dopoi, a dir la Messa molto impresela et sempre nell’ ultimo di tutte le Messe, acciò non ci fosse gente, facendo, però, la sua preparatione in camera, sì come ancora il rendimento delle [f. 491] gratie. Per il che fare, finita la Messa, se ne andava in letto, per render le gratie, dove, più volte, fu ritrovato molto fiacco. Onde, una mattina, nella Messa, m .s Giovanni Antonio sopradetto mi rac­ contò più volte, non essendovi altri che una vecchiarella alla Messa, nel « Memento » overo nell’alzare, fu inteso, nella chiesa di S. Hieronimo, un terremoto, come fosse sotto terra, per il che confessava m .s Giovanni Antonio havere havuto timore. Onde, doppo, domandato il padre, dal detto Giovanni Antonio, se havesse inteso quel terremoto, li rispose, mostrandoli quella vecchiarella, dicendoli : « l ’oratione di

    175-77). S i v ed a la n ota 922, e si rettifich i qu a n to a ccen n a to in essa circa la c ro n o lo g ia d e ll’e p iso d io n a rra to d a q u esto teste. D el resto, n on m a n ca , effetti­ vam en te, qu a lch e in con gru en za a lla su a n a rra zion e : l ’ in v io d i u n p rela to che assistesse alle ad u n an ze d e ll’ O ra torio p a re p iu ttosto ap parten ga alle m isu re di v ig ila n za ese rcita te sopra il sod a liz io da s. P io V , op. u ltim a c it., p. 233 (vers, ita l., p. 225).

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    134

    4 gennaio 1597. [188] Salvatore da San Severino M. ff. 491-492

    quella vecchiarella ha fatto tal rumore » . 1261 Ma detto m .s Giovanni Antonio non crese mai tal cosa, ma che, realmente, fossero state l ’oratione del padre. I l sopradetto m .s Giovanni Antonio mi raccontò, che, essendoli morta sua madre, per il gran dolore che ne haveva, non cessava di pre­ gare Iddio per lei e raccommandarla alle orationi del padre, con desi­ derio, che li desse qualche bona nova dell’anima sua. Onde, una volta, li promise di far oratione per detta anima ; poi li dette risposta, che era in bon loco. E t, ancora non cessando tal dimanda, doppo alcuni giorni, da se stesso, il padre li disse : « M .s Giovanni Antonio, state allegra­ mente, che vostra madre è in cielo » : il che sentendo m .s Giovanni Antonio, per il molto contento, fece un gran pianto, tenendo per certo, che l ’ havesse vista in celo. Molte volte io ho osservato, nella persona del p. m .s Filippo, che, nel raggionare de cose spirituali, tanto nell’ Ora­ torio come fuori, se li accendeva tanto il spirito interiore, che tremava tutta la vita, tanto notabilmente, che era bisogno, o lassare il ragio­ nare, o vero, per finire il suo discorso, usava vocaboli da fanciulli e con questo lassava ; del che volendo guardarsene, come se si vergognasse, si guardava, quanto poteva, che altri non s’accorgesse de tale accidente. I l suddetto p. m .s Filippo era tanto zeloso della salute delle anime et tanto fedele alla Chiesa [f. 492] santa, che, con zelo esquisitissimo, attendeva a scoprire li inganni del demonio et della sensualità. Laonde, se, alcuna volta, havesse inteso lodare, tanto homini come donne, tanto religiosi come secolari, per santi, non quietava mai, sin tanto che, o per se stesso, o per mezzo de persone fedeli o fidati, ne facesse esperientia. Si come, per essempio, fece, molte volte, nella persona del p. fra L upo,1262 il quale a quel tempo era nominato per santo, et, mentre in Araceli stava per predicare, una volta, andò a trovarlo in luogo remotissimo. A l quale incominciò a dir simili parole: « voi sete fra Lupo? vi imaginate, forsi, per l ’applauso del mondo, esser tenuto santo? vi credete, forse, che in Italia non ce siano de santi? vi credete, forsi, con questo nome di fra Lupo, et con tanto rumor de prediche, esser meliore di quel che sete? però, uscite di questo loco et non fingete tanta singolarità ». Onde il p. Lupo, a ll’ hora, mostrò quel che l ’ era : però che, se bene a ll’ hora era in atto di meditar la sua predica, si humiliò al p. Filippo et mostrò veramente esser mortificato, per amor de Iddio. Buttandosi in terra, con lachrime, al meglio che sapeva, diceva simil parole : « veramente, padre, voi dite il vero. Io sono un niente, senza spirito, homo vano et pre­ suntuoso ; et pregate Iddio per me ». I l che vedendo il p. m .s Filippo, se buttò in terra, l ’abbracciò, il basciò molte volte, con infinite lachrime, li dimandò perdono, et che pregasse Iddio per lui, confortandolo a segui­ tar la predica. E t, dopoi, restorno insieme tanto concatenati d’amor spirituale, che ben si vedeva in loro l’amore spirituale della divina charità. E t, doppo questo, il p. m .s Filippo publicamente diceva, che Ί Lupo era homo santo. E t questo fu raccontato publicamente, lì in casa, cioè in S. Giovanni de Fiorentini, dove mi pare che vi fosse il card. Ta-

    1261 xi fa tto passò nel B acci, 1. I l, c. 17, n. 8, da questo luogo del processo, dove pare sla unicamente contenuto.

    12 62 L 0 sp agn olo A lfo n s o L ob o, sul quale la n ota 1116.

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    4 gennaio 1597. [188] Salvatore da San Severino M. ff. 492-493

    135

    rusio et m .s Giovanni Francesco Bordino, vescovo de Cavaglione, et altri, de quali non mi ricordo: in summa, si publicava publicamente questo fatto in casa. A sor Antonia, terzarola di s. Francesco, ceca,1283 [f. 493] cognosciuta da tutta la scola dell’ Oratorio, la quale publicamente era tenuta per santa in Borna et di fuori, volendo il p. Filippo farne esperientia di lei, vi andò, una volta, a visitarla, et, se ben mi ricordo, mi pare che fosse tutta la fameglia, o la maggior parte della fameglia di S. Giovanni de Fiorentini, et mi pare che fossero ventidoi in circa, salvo il vero, tra quali ci ero ancora io. E t andai, inanzi a tutti li altri, in casa di questa sor Antonia, qual stava, se ben mi recordo, sotto la Torre di C on ti,1284 verso S. M aria Maggiore. E t io andai da me stesso, che Ί padre non se ne accorse, che io andasse m anti ; et detti la nova, alla detta sor Antonia, che Ί p. Filippo veniva, poi tornai indietro et incontrai il padre, che veniva con li altri. I l qual me disse : « vói havete detto a sor Antonia, che io vengo in casa sua » , et io risposi di si. Soggiùnse il padre : « havete fatto male ; andateli a dire, che io non vengo più », et tornò uri poco a dietro. E t io andai a dire a sor Antonia, che Ί p. Filippo non veniva più. E t, doppo a poco, il padre ritornò, sequitando la via, verso della casa di detta sor Antonia, con li altri. E t, essendo detta Antonia cieca di ambidoi li occhi, se ne stava continuo in letto di paglia, con un pezzo di schiavina, havendo, in una mano, un crocefisso di ottone et, nell’altra, la corona. E t, arrivato il padre, cominciò ad essaminarla molto sottil­ mente, et, massime, della corona del Signore et della Madonna, et la differentia, che lei faceva dall’ una corona a ll’altra, et simili altre dimande, alle quali dette risposta, con molta prudentia : per il che mostrò il padre restar molto sodisfatto. Tuttavia, vi soggiunse un atto più ad ­ mirando che im itando: il che fu , che prese il piovano di Fiorenza,*1 1265 4 6 2

    12 63 A n to n ia , n a ta in lu o g o v icin o a R om a , d im o rò n e ll’ U rbe, in u n a sua casa n ella co n tra d a d e lla S u b u rra ; e ra m a rita ta a un u om o, ch e la trib o lò . C irca il tem p o d e lla m o rte d e l m a rito, si d ied e a v ita sp iritu a le ; ebb e g ra v i p rove, viven d o in p ov ertà . M o rì, c o m ’ è d etto, « l’ anno d i G reg orio 13° », e fu sep olta , qu ale ter­ z ia ria fra n ce s ca n a , n ella ch iesa d i A ra co e li, n ella c a p p e lla a d estra d e ll’ a lta re m a gg io re . U n o scritto re in nom in ato, che l’a v ev a con os ciu ta , ra cco ls e « A lcu n e cose n o ta b ili d e lla v ita d i su or A n ton ia cie ca ... » , con ten u te n e l c o d ic e m iscella n eo V a llice llia n o O. 20. L e n otizie biogra fich e sop ra r ife r ite si tr o v a n o n el ff. 10, 17 v. 1264 T o r (je ’ C on ti, il potente fo r tiliz io m ed ieva le p resso il F o r o R om a n o, e re tto d a In n o ce n zo I I I c ir c a il 1203 com e « tu rris U rb is » , a d ife s a d i u n n odo stra d a le im p orta n te per le p rocession i p a p a li; d a to in cu s to d ia a lla su a fa m ig lia , restò p o i a essa e n e co n s erv ò il nom e, Cablo Cecchet.tj. T o r d e’ C on ti, in P an, anno I I , n. 12, d ie. 1934, pp. 540-50 (si v ed a , a p. 548, u n d iseg n o d e g li in iz i del se c. XVII, ch e m o s tra le costru zion i a d d ossa te alla torre) ; E mma A madei, L e torri di R om a . R o m a , U. Sofia-M oretti, 1932, pp. 22-24, e R om a tu rrita . R om a , P a lom b i, 1943, pp. 19-26. S u ll’ a n tica costru zion e in co rp o ra ta d a lla fa b b r ic a m ed ie­ v a le , A ntonio Maria Colini, F oru m P a cis, in B a lle ttin o d ella C om m ission e a rch eo lo g ica com u n a le di R om a , L X V , 1937, pp. 7-40. 1265 N on r is u lta l’ Iden tità d i qu esto « p iov a n o d i F io re n z a », p oco n o to anche a i so d a li d e ll’ O ra to rio , B acci, 1. I l i , c. 9, n. 24. F u egli, prob a b ilm en te a scriv ere a F . la le tte ra In d a ta 24 m a g 1570, n ella qu a le 1 s e g u a ci d e lla sua sp iritu a lità son o d en o ta ti, c o n sin g ola re esp ression e, « sp iritu a li sen su a li », B ordet-P onnelle , p. 142 e n. 2 (v ers, ita l., p. 137 e n. 3). N ella ra c co lta « A lcu n e cose n ota b ili d e lla v ita d i su or A n ton ia cie ca ... », co d . clt. a lla n o ta 1263, ff. 17 r-v, si leg ge qu esta version e d e l fa tto , c o n v a ria n ti : « F u più v olte r ife rito , d i qu esta serva d i D io e d e l su o m od o d i p roced ere, al

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    4 gennaio 1597. [188] Salvatore da San Severino M. ff. 493-494

    quale era lì presente, per una orecchia, facendolo inginocchiar in terra, avanti a sor Antonia, dicendoli : « sor Antonia, qui havemo uno spiri­ tato : bisogna guarirlo ». E t, in queste parole, soggiungeva il suo tremar solito, come quando andava [f. 494] in ispirito, facendo oratione inte­ riormente (credo io) pregando il Signore li mostrasse chi era costei. Sor Antonia, dall’altra parte, faceva oratione : si come era suo solito de non responder mai a nissuno, che interiormente non facesse oratione ; sì come di questo, io, molte volte, ne ho visto l ’esperientia, et, biso­ gnando, il p. Cesare Baronio, hoggi cardinale, ne farà testimonianza. H ora, venendo, come si è detto, il piovano innanti a sor Antonia inginocchioni, et molti altri di noi appresso di lui ; volendo il Signore satisfare il desiderio del padre et dar pace a sor Antonia, la quale era sollecitata a guarir questo spiritato, illuminò interiormente detta sor Antonia, mostrando l ’effetto esteriormente. Però che, con molto stupor di tu tti, la detta sor Antonia, come se vedesse lume, arrivò a pigliar la mano dritta del piovano con ambedue le sue mani, basciando quella del piovano, dicendo : « questo non è spiritato, poi che questa matina ha celebrato la Messa », et se raccommandò alle sue orationi. E t il padre restò satisfattissimo de sor Antonia, et si raccommandò alle sue orationi, et, in sua assentia di lei, la lodò per bona serva de Iddio. E t altri sim ili, come anco fece a m .s Camillo Severino 1266 da San Genesio et a quello che menò la nepote del card, de A g u sta ,1267

    m o lto re v .d o p. F ilip p o N eri, d a a lcu n o su o fig liu olo sp iritu ale e, finalm ente, prega to, ch e v olesse u n a v o lta v is ita r e con oscer qu esto sp irito. A n d ov v i, du nque, acco m p a gn a to d a m o lti, e, n el ra g ion a re, dom a n d a n d o su or A n ton ia c h i fo ss e , le f u risp o s to c h ’ e ra u n co rtig ia n o ; m a , com in cia n d o il p a d re a p a rla re d e lla passione d i C h risto, v id e, com e e lla p oi m i disse, u s c ir d a lla b o cca sua com e n u vole b ia n ch e ; per il ch e in tese la p rofession e e p e rfe ttio n e delP h u om o, ch e li p a rla v a ; e, stend endo la m a n o, g rid ò “ B en ed icite, e d a tem i a b a cia r la m ano, ch e v o i n on sete co rtig ia n o, m a s a c e r d o t e ” e, dette a lcu n ’a ltre p a role, il pa d re si p a r t ì; e d o m a n d a n d o ella ch e fosse, d a u n o d i qu elli ch e l ’accom p a gn a v a n o, in tese c h ’ era il p. F ilip p o , a l q u a le p ortò sem pre, p oi, g ra n d ’ a m ore e riveren za, e qu an do a le i v en iv a a lcu n o, ch e h avesse b isogn o d i c o n s ig lio : “ A n d a te, d icev a , a qu el pa dre, ch e è tu tto p ien o d i S p irito San to D om a n d a to, p o i, il p. F ilip p o , ch e paresse a su a reverenza d i qu ello sp irito, m ostrò ch e li pia cesse, m assim am ente per l ’ a l­ legrezza , ch e con serv a v a n e ll’ in ferm ità d e l c o rp o e n e ll’estrem a su a p ov ertà ». N el p rocesso, A n ton ia c ie ca è r ico rd a ta so lo n ella presente d e p o s iz io n e ; d a lla qu ale desunse, in gra n p a rte, il su o r a cco n to il B acci, 1. I l i , c. 9, n. 24. 1266 Q uest’u om o stra n o e irreq u ieto si unì a l sod a lizio o r a to ria n o nel 1571. Sch em i d i su oi d is co rsi ten u ti a ll’ O ra torio si tro v a n o n el cod . V a llicellia n o O . 18, c ita to n ella nota 1084. D a v ita è stata d elin ea ta , sp ecialm en te su d ocu m en ti d e g li a rch iv i d ella con g reg a zion e in R o m a e N a poli, d a B obdet-Ponnelle, pp. 254-56, 420-21 (v ers, ita l., 246-47, 401-02). S econ do q u esti a u tori, p a re ch e F . stesso, d op o a v e r p ro v o ca to co n tro d i lu i un d ecreto d i esclu sione, prendesse n el 1581 l ’ in i­ z ia tiv a d i d e fe r irlo al S a n to Offizio, sp era ndo co n qu esta p rova d i g u a rirlo d a lle sue fa n ta sie . M a u n a lettera d e l T a ru g i a l T a lp a in N a p oli, 5 die. 1592, op . c it., p. 485 (v ers, ita l., 462) p rova ch e cigli e r a a n cora in com u n ità. D e lla su a m orte d à n o tiz ia u n a lettera scritta d a l fr a te llo C o rn e lio S everini a u n a sign ora in n om in ata, « . . . D i San G enesio li 3 d i G iu gn o 1611 » : « . . . il su o tra n sito f u la n o tte seguente a lla Ss. A scen sion e d e l S.re in su le se i h ore d i n otte v ers o il 13 d i M aggio, h a ven d o la m a ttin a an teceden te ce leb ra to div ota m en te la M essa n e lla n ostra ca p p ella d ella A scen sion e fo n d a ta d a m e ... », N a p oli, A rch iv io d e i P a d ri G irolam in i. « H istoria annuale d ella C on g .n e d e ll’O ra to rio d i N a poli. C ron a ca d e lla C on g.n e d e ll’ O ra to rio d i N a p oli » , f . 343. 1267 o t t o T ru ch sess v on W a ld b u rg , v e sco v o d i A u gsbu rg (A u gu sta, A g o sta ),

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    13 gennaio 1597. [189] Antonio Gallonio. f. 495

    137

    al sodetto piovano et a molti altri, tra quali ci fu ancora sor Catherina de Prato : 1268 per le sopradette cose, se può vedere il zelo grande, che haveva di non sentir santi finti. I l medemo p. Filippo haveva molte volte spirito di profetia, come, per li seguenti, si può vedere. Ohe fu , quando io feci venire in S. Giovanni de Fiorentini m .s A n to ­ nio Talpa et m .s Camillo Severini da San Genesio. Però che era usanza del padre, apena doppo molti anni haver fatto esperientia de un soggetto, riceverlo ad habitare in detto loco. Si come mi disse una volta il p. Baronio, quando io li dimandai d ’entrare in detto loco, me disse : « se volesse il Papa entrare oggi in S. Giovanni, per modo di parlare, non ce potrebbe entrare ». I l che provorno molti soggetti de importanza, tal esperientia ; et, per ricever li sopradetti doi, credette il padre alla mia simplice parola, et li ricevette, et li fece venir a posta [f. 495] in Roma. Qui è forza ch’ io dica, che molte volte, raggionando de tal negotio col padre, me diceva, che questi seriano stati boni, se ben lui non li cognosceva. A questo ebbe molto contrario il Tarusio, hoggi cardinale, et si sforzò, quanto fu possibile, de impedire questa voluntà del padre, il che apresso li padri di casa si dava ragione al Tarusio. Insomma, il padre, con le sue orationi, restò soddisfatto, vedendo, in spirito, che dovevano essere boni per la congregatione. Doppo alquanto tempo, co­ minciò il padre a dubitare di m .s Camillo, se ben lui si portava benis­ simo, prevedendo, in spirito, quello che poi li successe, che fu che andò al Santo Officio. T arditate horae p ra esen ti, fu it dimissum, exam en.

    D I E L U N A E 13* IA N U A E II 1597

    [189] E xa m in a tu s f u it , R o m a e, in officio e t c ., adm odum r e v .d u s p . A n ­ ton iu s G alloniu s , 1269 rom a n u s, C on grega tion is O ra torii, alias ex a ­ m in a tu s, qui, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad op portu n as in terrog a ­ tio n e s, d i x i t :

    Oltra quello che io ho deposto nelli altri mia essamini, hora mi oc­ corre di dire, che l ’anno passato, del mese di gennaro (mi par la sera de s. Giovanni Grisostomo) furno disotterrate l ’interiori del santo p. Filippo, per trovare il core, et legarlo in oro, et il core non fu tro­ vato. E t ci era presente il s.r Angelo V ittorio, medico, che fece d ili­ gentia per questo ; et nelli interiori non ci era corruttione de vermi nè de animali : il che è cosa grande, essendo stato otto mesi sotto terra, il che mostrando che non ci fosse corruttione in esse et esser cosa naturale, come scrivono li fisici, che « generatio unius est corruptio alterius » et

    cre a to ca rd in a le d a P a o lo I I I il 19 die. 1544; m orto il 2 ap r. 1573 in R om a , v e sco v o d i P a le strin a , e sep olto a S. M a ria d e ll’ A n im a . L e circosta n ze d e l fa tto accen n a to d el tu tto som m a ria m en te n ella testim on ia n za , e co n b re v ità an che al f . 967, r isu lta n o n e i p a rtico la ri d a l B acci, 1. I l i , c . 10, n. 4. 1268 C a terin a d e ’ R i c c i; m a l ’ a ccen n o, proba bilm en te p er tr o p p o com p en ­ d ia rio re so co n to d e l n ota io, n on è ch ia ro . Si v ed a n o ta 207, p er le rela zion i d ei d u e santi. 1269 Q u a rta dep osizion e d i A n ton io G a llon io, com p a rso la p rim a v olta il 7 sett. 1595 (45).

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    138

    13 gennaio 1597. [189] Antonio Gallonio. ff. 495-496

    viceversa. E t vi erano presenti a questo l ’ ill.m o s.r card. Cusano, il medico già detto, Giulio et Giovanni Battista, laici di casa,1270 et io. Più anni sono, che, andando alle Sette Chiese, con il s.r Fabritio Massimi et altri et il santo p. Filippo, le ruote del cocchio, dove era il padre, nel passar sopra un ponticello, nel partirse dalla Caffarella, andorno in fallo, et non ci fu [f. 496] male alcuno, et io vi fui pre­ sente. I l s.r Christoforo Castiglioni, al presente commissario in Cor­ neto,1271 mi ha mandato, alli 5 di decembre passato, una veste di saia bianca, con una camiscia, con ordine che se attaccasse in chiesa, in memoria de un miracolo, operato, nella persona di Catherina, sua figliola, per intercessione del santo p. Filippo, come si è fatto, nella sua sepoltura. E t il miracolo è questo: Catherina, sua figliola, di nove anni in circa, stava male, nel mese di ottobre passato, gravissimamente, et il male era andato crescendo in tre spetie : febre continua maligna, suffocatione di petto, et flusso, et li medici, non solo la tenevano peri­ colosa, ma disperata. Haveva la putta adosso li capelli del santo padre et un suo retratto, alla intercessione del quale et essa et li soi la racco­ mandavano. Posta, dunque, la putta in tal termine, disse alla madre di haver veduta la Madonna santissima, che, a ’ prieghi del beato p. F i­ lippo, l ’ era apparsa et che la voleva guarire. Seguì tutto questo in Roma, essendo a ll’ hora il s.r Gioseppe in Corneto, al quale scrisse la moglie, che, se voleva trovarla viva, che venisse quanto prima in Roma. Che io lo viddi, che venne in camera nostra, et, havuta una pezza di rottorio, del santo padre, confidava tuttavia in lui, che la potesse guarire, et fece risòlutione di levar di Roma la fameglia, con l ’inferma, contra il parere de medici et a ltr i: che, quando il s.r Gioseppe fu a Roma, trovò la figliola tanto gravata, che non cognosceva più. A lli 8 dunque, di novembre, si p a r tì; la prima sera gionse a Bracciano,12721 3 7 2 la seconda, a Barbarano,1278 con qualche notabil detrimento della putta, pel patire che fece nel viaggio. Fu chiamato il medico m .s Quintilio Pentaglio,1274 il quale toccata et veduta che la hebbe, disse, che la teneva per spedita. Appena partitosi il medico, che la putta, reposatasi alquanto, chiamò la madre con molta allegrezza, dicendoli, che la M a­ donna santissima li era apparsa un’altra volta, con toccarli il core, et

    1270 G iu lio S a vera e G iova n n i B a ttista G u erra , ch e d escrissero am piam en te qu esta rico g n izio n e d e i v is c e ri d i F ., n elle lo r o d ep osizion i d e i 13 e 14 fe b b ra io 1956 (162 e 163). 1271 G iu seppe (non C r is to fo ro , com e qu i si scrive, p er s v is ta ; m a corretta m ente, p o c o più sotto) C a stiglion e d ep ose in C orn eto, il 23 d ie. 1596 (X X III, e x tr a U rbem ) ; su ccessivam en te, il 30 d ie. 1596 e il 2 genn. 1597, d ep osero n ella c ittà stessa la m og lie M adda len a e la figlia C a terin a (X X IV e X X V , e x tr a U rbem ). 1272 B ra ccia n o , s u ll’o r lo d e l cra tere d e l la go ch e n e p orta il n o m e ; d is ta da R o m a , p er la v ia C lau d ia, ch ilom etri 37, e fu per secoli ca stello d e g li O rsin i, d a l 1696 d e g li O desea lch i, Martinori, L a z io tu r r ito , pa rte I , pp. 97-98 ; Silvestrelli, C ittà c a stelli e te r r e della r eg io n e rom a n a , v . I I , pp. 583-86. 1273 B a rb a ra n o R om a n o, ca s te llo d a età a n tica sign oreggia to d a l com une d i R o m a ; a esso p orta u n a stra d a , ch e si d is ta cc a d a lla Su trin a, a 4 ch ilom etri d o p o C a p ra n ica , Mabtinori, L a zio tu rrito , pa rte I, pp. 79-82; Silvestrelli, v . I I , pp. 729-30. 1274 A n ch e qu esto m ed ico depose, il 6 genn. 1597, a C o m e to (X X V I, ex tr a U rbem ).

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    13 gennaio 1597. [190] Monte Zazzara. f. 498

    139

    dirli, che non credesse a ’ medici, (die la liberarebbe, et [f. 497] che Ί beato Filippo la pregava per la sanità sua : et ciò fu il sabbato avanti notte. I l s.r Gioseppe, a ll’hora, stava in strada, passegiando col medico, discorrendo con lui della figliola senza remedio humano, quando, da sua moglie, le fo detto questo, con festa grandissima. M olti, che la matina credevano trovar morta la figliola, la viddero e accompagnorno miglio­ rata incredibilmente ; et, la domenica a sera, si condussero in Corneto, dove, in un subito, fornite di recuperare li sensi con le forze, et hora sta benissimo : con rengratiare perpetuamente la Madonna santissima et il beato Filippo, per intercessione et meriti del quale, hoggi, è viva et sana, liberata, non solo dal pericoloso male, ma dalla morte istessa. Volse anco il s.r Gioseppe Castiglione, che, in recognitione di questa gratia, oltre la vesta predetta, si attaccasse anco una tavoletta di voto, con questa iscrittione : M ota Dei Genitrix precibus studiisque Philippi Depositam eripuit morti, incolumemque puellam Servavit senis solatia magna parentum Castalio vestem natae pictamque tabellam Appendi iussit voti damnatus in ede. E t questo fu sui principio di decembre passato, che io hebbi la veste et la fece attaccare alla sepultura del padre santo, con la tavoletta, come ho detto. Son certo, che infinite cose mi sonno occorse del beato padre santo, che, per tenerlo in quel gran santo, che ho tenuto et tengo, non l ’ ho osservato, et mi rincresce non haverle osservate. Argumento della santità sua mi pare, perchè cresce incredibilmente la devotione de popoli verso lui, non solo qui in Roma, in Firenze, ma in diverse città et lu ogh i; et, tanto più, perchè è cosa certa, come osser­ vano li dottori et canonisti, che non permetterebbe Iddio « ultra sex menses », et altri dicono minor tempo assai, che alcuno fosse adorato come santo, se realmente non fosse tale ; et, più oltre, si sentono tu tta­ via et scoprono miracoli novi, non solo operati qui in Roma, per meriti del detto santo, ma fuori ancora.

    [ f . 498] E A D E M D IE L U N A E 13» IA N U A R II 1597

    [190] E xa m in a ta f u it , B o m a e , in officio m ei e t c ., d.nu s M o n te s Zan­ za ra ,1275 floren tin u s, p ro fu m e riu s, qui alias exam in atu s e t c ., m edio iu ra m en to , ta ctis e t c ., d ix it :

    Io sono stato esaminato altre volte, et mi riferisco a quello che io ho detto ; hora mi occorre dirvi che : A lli 11 di decembre prossimo passato, essendo stati condannati quat­ tro alla morte, quali erano prigioni in Torre di Nona, tra quali vi era uno Agostino alias Bighereno di Felice Gratiani, rom ano,1276 io, per 1275 T e rz a d e p o sizio n e d i M onte Z a zza ra , com p a rso la p rim a v o lta il 9 ag. 1595 (6). 1276 T r a i lib ri d e lla com p a gn ia d e lla M isericord ia , ora n e ll’A rch iv io d i S ta to d i R o m a , fo n d o C o n fra tern ita S. G iova n n i D e co lla to , m a n ca n o, n ella serie

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    140

    13 gennaio 1597. [190] Monte Zazzara. ff. 498-499

    esser della Compagnia della Misericordia, fui chiamato per confortarli. Tra li altri, vi era Santi Bandini et Melchior Guidotti et Andrea Dinnello, Francesco Mazinghi, et Antonio Maria Corazza, quali tu tti sonno della Compagnia della Misericordia. E t, secondo il solito, si divideno, ogni doi della Compagnia, uno delli condennati a confortare. A me mi toccò questo Agostino, con Francesco Grifoni, pur della Compagnia ; *1277 et, stando confortando questo Agostino, doppo, ancora, che si era confes­ sato, sempre stette in un pensiero, anzi ostinatione, di passare dinanzi al governatore di R om a,1278 mentre andava a giustitiarsi, overo esser giustitiato, per sfocar l ’animo suo, et dire, che li è stato fatto torto, et che lo chiamava nanzi al tribunale de Iddio. E t io, et il compagno sopra­ detto, et tutti li altri nominati, non lo potemmo mai rimovere dal detto pensiero ; et meno il confessore, quale è nostro capellano et l ’ haveva confessato, lo potette rimovere da questo suo mal pensiero. E t vi fu consumata, sopra questo, tutta la notte (che, intorno alle sei hore, noi andammo) et sino alla matina al giorno, sopra questo pensiero. A l fine, io fui toccato dal spirito bono, che, vedendo che il confessore si prote­ stava, che non lo voleva communicare, se stava in quella opinione, et l’ essortava a removersi di quella, per non perdere tanto bene della Communione (et non bastò, che non se ne curò, di levarsi di quella opi­ nione) mi venne in mente di pigliar la mia corona, quale io tenevo nella mia saccoccia. Qual corona era stata del santo p. Filippo, che, doppo la morte di detto padre, come figliolo suo spirituale, mi fu data, nella distributione [f. 499] fatta delle reliquie di detto santo padre : che

    « G iu stizia ti », q u elli per g li a n n i 1594-1597 ; e la serie « T estam en ti » non v a al d i là d el 1582, Orano, L ib e r i p en sa to ri b ru cia ti in R om a , c it., p. x i. A ltr e n otizie n on si p osson o p erciò aggiu n gere a qu elle d a te d a l teste, ch e era, com e g ià d etto, tra i c o n fo r ta to r i più assidui. 1277 F ioren tin i d i v a ria con d izion e, resid en ti a R om a , era n o i fr a te lli d i qu esta com p a gn ia d ella M isericord ia : i « c o n fo r ta to ri so liti F iren tin i », com e si d ico n o in u n A v v iso d e l 20 genn. 1593, R om a , X I, 1933, p. 180. I n om i d i essi si ritro v a n o n ei lib ri d el fo n d o sop ra r ico r d a to d e ll’ A rch iv io d i S tato : d ei m en zion ati, a esem pio, M igliore G u id otti risu lta p rov v ed itore n egli a n n i 1583 e 1586, e u n S an ti V a n n in i (ch e si potreb be p er con g ettu ra id en tifica re con il sop ra n om in a to « B a n d in i ») tra i c o n fo r ta to ri d e l 1591·, Orano, L ib eri p en sa tori b ru cia ti in R om a , c it., pp. 71, 75, 81. 1278 E ra D om en ico T o sch i, regg ia n o, n oto q u a le ca n on ista e u om o d a l rude te m p e ra m en to: eletto, d a C lem ente V i l i , v escov o d i T iv o li il 10 m ag. 1595 e ch ia m a to alTufficio d i g overn a tore d i R om a , p u b b licò il 16 sett. 1595 il su o severo B an d o g en era le c o n cern en te il g o v ern o di R om a . In R om a , ap presso g li S tam ­ p a to ri C a m era li, 1595. D iv e rsi a ltr i su oi a tti si elen ca n o n ei R e g e s ti di bandi e d itti n otifica zion i e p ro v v ed im en ti d iv ersi rela tiv i alla c ittà di R om a ed allo S ta to p on tificio, v. I, c it., nn. 794, 820, 827, 831, 836, 857. C reato ca rd in a le il 3 m a r. 1599, ebbe il B a ro n io op p ositore a lla su a elezion e a pontefice, nel con cla v e ch e si tenne a lla m orte d i L eon e X I , n el 1605, Calenzio, pp. 697-99, 937-39. F u a u to re d ella gra n d e com p ila zion e P ra ctica e con clu sion es iu ris, R o m a , 1605-08, com p osta d i o tto v olu m i in fo lio (esem pla re d i d e d ica a P a olo V , n e lla B ib lio te ca V a tica n a , R .I . S. 61 a-h). M orì il 26 m a r. 1620 e fu se p o lto a S. P ietro in M on torio, su o tito lo ; eenotafio n ella ca tted ra le d i R e g g io , con am pia iscrizion e, ChaconOldoini, V ita e e t res g es ta e pon tificu m rom a n oru m e t S. R . E . card inalium , t. IV , c it., co l. 319-21; A ntonio Cremona-Casoli, A lcu n i s c r itti di a n tich e n o tiz ie e di v ecch i r ico r d i reg gia n i. R e g g io -E m ilia , Is titu to e d itoria le lib ra rio em ilia n o, 1928, pp. 19-51 (con aggiu n ta p u b b lica ta nel 1929, com e e s tra tto 4 pp. : S ulla d ata del testa m en to del card. T osch i).

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    13 gennaio 1597. [190] Monte Zazzara. f. 499

    141

    me la diede il p. Germanico, quale è questa osten den s coronam factam e x ligno nun cupato visch io cervin o cum duobu s granis nigris in su m ­ m ita te , cu m cordula leuti ligatam , quam p ostea secu m r e tin e t.*1279 V e ­

    dendo questa ostinatione, li disse : « questa corona è stata de un santo padre, il quale è morto. Io voglio, che tu la dichi, una volta, con devo­ tione, ad honor di questo santo padre, et lo preghi, che interceda per te, et si levi da te questa tentatione, et interceda contritione di tua peccati ». E t il detto Agostino prese in mano detta corona, et mi disse, come si domandava questo padre. Io li dissi, che si domandava Filippo, et, alPhora, la cominciò a basciare, et, inginocchiatosi, cominciò a dire la corona. E t, subito, cominciò a piangere dirottamente, et domandava misericordia a D io de sua peccati, et disse, che la tentatione se li era partita. E t udì la Messa, si communicò, con molta contritione, sino al fine della vita sua, et andò allegramente alla morte, et domandò gratia, in cambio di passare avanti al governatore, che li dessero licentia, quando era a ll’ estremo, di poter pregare il populo assistente al spetta­ colo, che dicessero un « Pater noster » et un’ « Ave Maria » per lui. E t così fece, et, per li meriti di questo santo padre, morse con grandissima contritione. E t questa medema corona io l ’ ho posta adosso ad alcuni infermi, quali erano desperati ; et, specialmente, ad Antonia de Gennezano, mia balia, la quale haveva havuta l ’ Estrem a Untione cioè l ’ Oglio Santo. E t io li disse : « Balia, questa è corona del padre santo Filippo : raccomàndate a lui », et cominciò a megliorare. E t, mentre portò questa corona, megliorava tuttavia : che la portò circa otto giorni, et io la levai, et subito ricascò et li tornai a darla, et è guarita a fatto, con la intercessione del detto santo p. Filippo.

    I l gove rn a to re d i R o m a , n egli anni d e l T o sch i, n on a v ev a a n cora i n p a lazzo d i re sid e n za fissa, R om a , V I I , 1929, pp. 33-34. I l 6 genn. 1596, u n A v v iso ra g gu a ­ g lia v a c h ’ e ra sta to p reso in affitto p er ta le u s o il p a la zz o d i F ra n ce s co C en ci alla D oga n a , su lla p ia zza d i S. E u sta ch io (su lle vicen d e d i p rop rietà d i esso, F baschetti, I C en ci, c it., pp. 135, 137, 164, 173); m a u n a ltro, in d a ta 10 feh . 1599, rip o r ta ch e il g o ve rn a to re d o v e v a a v ern e p reso possesso solo in qu ei giorn i, Obbaan, p. 227 n. 1. N el 1624, co m ’ è n oto, la resid en za venn e sta b ilita in P a rion e, n el p a la zz o N a rdin i, ch e ne assunse e con serv a il nom e (su lla storia preceden te d e ll’e d ificio , Giuseppe Z ipfel , I l palazzo d el G overn o V ecch io, in C ap itoliu m , V I , 1930, pp. 365-77). 1279 L ’ « In ven ta riu m b on oru m » elen ca m olte coron e ap parten ute a F. : sin gola rm en te, qu elle d i m a teria più r a ra e p r e g e v o le ; som m a ria m en te, e in g en ere per gru ppi, a ltre d i m en o va lore, qu ale d ov ev a essere qu esta per la sorte d e l leg n o (alcu n e d i legno b ia n co, per esem pio, s’ in d ica n o nei ff. 3 e 4 d e l c ita to d ocu m e n to ). E ssa n on v i si tro v a m en zion a ta , com e d a ta a M onte Z a zza ra , n eppu re tra gli o g g e tti d istrib u iti, fi!. 30 v-34 v . G erm an ico F e d e li n e aveva avu to una di a loe, f. 31 v.

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    142

    16 gennaio 1597. [191] Marcello Vitelleschi. ff. 499-500

    D IE IO V IS 16a M E N S IS IA N U A R II 1597

    [191] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in officio e t c ., ill.is et adm odum rev.d u s d.n u s M a rcellu s V ite lle sc u s / 28° canonicus S anctae M ariae M a ioris de U r i e , qui alias fu it in causa huiusm odi exa m in atu s, m edio iuram e n to , ta ctis e t c ., d i x i t :

    [Î. 500] Io mi sono essaminato altre volte et me referisco alii essamini già fa tti. M i occorre di novo dirve : Ohe, del mese di novembre passato, se ben me recordo, andammo, una sera, a vedere m .s Gioseppe Castiglione (il quale haveva da partire la matina sequente per Corneto, dove andava per commissario) mio fratello et io ; et lo trovammo molto travagliato, atteso che haveva già presi li cavalli, per partirsi la matina sequente, et se era ammalata una sua figliola, di età di dieci in dodeci anni, che è la maggiore (non mi ricordo del nome) et li medici non volevano, che si tramutasse in modo nissuno. Mio fratello et io li consegnammo, che andasse lui solo, a pigliare il possesso de Pofficio, et lasciasse la fameglia, atteso che la putta, come Vedessemo, stava molto male. Io li offersi alcuni capelli del padre santo F ilip p o ; et me li domandò, con grande instantia, che già haveva attac­ cato un retratto, di quelli di carta, del padre sudetto, a capo al letto dell’ am m alata: io li mandai li capelli, subito arrivato a casa. La matina sequente, il detto s.r Gioseppe si partì, et lasciò la fam e­ glia, con la figliola sopradetta am malata, in casa de un suo amico, a l­ l’ incontro al s.r Tarquinio V ipera,1281 vicino a Campo Marzo. E t mio fratello et io, ogni giorno, mandavamo a veder come stava, e, continuamente, se ci dava peggior nova, che andava sempre peggiorando la detta ammalata. E t, in capo di otto giorni in circa, il sudetto m .s Gioseppe tornò da Corneto, et venne a trovarme in casa. E t io li domandai, se faceva pensiero condur la fameglia a Corneto. M i rispose, che si trovava intricatissimo, et li medici non volevano in modo alcuno, che l ’amma­ lata se movesse di loco ; et che stava tanto male, che non l ’haveva rico­ nosciuto, quando tornò di fuora ; ma che lui non confidava in altri, che nelle orationi delli padri della Chiesa nova, che l’ impetrassero, dal*il

    1280 Q u a rta d ep osizion e d i M a rcello V itellesch i, com p a rso la prim a v olta il 10 o tt. 1595 (78). 1281 L a fa m ig lia , origin a ria ben eventan a e d a tem po an tico in R om a , p ro ­ du sse n u m erosi g iu ris ti, cu ria li e p rela ti, V incenzo A lbino dei Sassinobo, L a fa m ig lia D ella V ip era p a trizia b en ev en ta n a , in R iv ista araldica, I I I , 1905, pp. 490-98, 565-68, 632-35. T a rq u in io, figlio d e l g iu risp erito G ia com o, a l q u a le e a lla m a d re p ose u n ’is crizion e in S. N ico lò d e i P r e fe tti n el 1577, F orcella, v . X , p. 240, n. 371, fu con serv a tore C a p itolin o nel 1572 e 1577, A mayden-B ertini, v . II, p. 231; e g u a rd ia n o d e ll’ osp edale d i S. G iacom o, n el 1582, V anti, 8. G iacom o d egl’ in cu ra b ili d i R om a n el cin q u ecen to, c it., pp. 64, 96. R isu lta in oltre essere stato tra i cin q u a n ta fo n d a to ri d e lla con g reg a zion e m a rian a d e ll’A ssu n ta , cod . V a t. la t. 8047, f. 48, e Castellani, L a C on grega zion e d ei N ob ili p resso la ch iesa d el G esù in R om a , c it., p. 42. D i lu i, ch e si tro v a m en zion ato an che c o n 11 cogn om e B on a ti o B on a tti D e lla V ip era , è tr a s cr itto n el Galletti il n e cro lo g io , da lib ri d i S. M a rcello : « 1599. 1° ag.° f T a rq u in io V ip era in ca sa sua n ella stra d a d e lli Z ecch in i. Sep. n ella sua sep oltu ra . L X X II » , cod . V at. la t. 7873, f. 133 (la v ia non si reg is tra n egli stra d a ri).

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    16 gennaio 1597. [191] Marcello V itelleschi. ff. 500-501

    143

    santo p. Filippo, la sanità della figliola ; che, con questa fidanza, voleva resolversi andare a Corneto con la fameglia. Dove arrivato, mi advisò, che la figliola era guarita, e che ne dava raguaglio minuto al p. Antonio, de tutto il successo, et che voleva mandare la camiscia et la veste della figliola, che se attaccasse alla sepultura del padre. Come fece, de lì a pochi giorni, che mandò la detta [f. 501] camisa et veste, et le mandò a me, et mi scrisse, che le attaccasse, o facesse attaccare, alla sepultura del santo padre, con una tavoletta, per voto, con quattro versi, fatti dall’ istesso Gioseppe, « pro gratiarum actione ». Come fu fatto et anco ci stanno attaccati. M i occorse, poi, andare a Corneto, con occasione che mio fratello si era ammalato, et questo fu alli 14 di decembre 1596, che arrivai a Corneto. Dove arrivato, il detto s.r Gioseppe mi raccontò minutamente, come la figliola haveva ricevuta la sanità, cioè, che la Madonna li era apparsa doi volte: la prima volta in Rom a, quando il padre, andò la prima volta a Corneto, et che la Madonna li disse, che stesse de bona voglia, che, per l ’ intercessione del p. Filippo, la voleva guarire ; la seconda volta che li apparve fu in Barbarano, dove li disse ristesse parole di sopra, et li soggionse, che non desse credito alli medici. I l che inteso dal medico del detto loco (quale mi pare si chiami m .s Horatio) il detto medico disse : « Dio voglia, che non sia vanegiamento », perchè teneva, che fosse impossibile di campare, et che neanco l’ havesse potuta condurre viva fino a Corneto, che vi sono solo quattordeci miglia. Con tutto ciò, la volse condurre, confidatosi nel padre : dove arrivato, in tre giorni guarì afatto, et andava per tutto, come mi hanno detto altri di detto luogo. Volse, anco, che io vedesse la detta sua figliola: la quale stava, quand’io la viddi, molto meglio di colore, che l’ altra sua sorella minore, che non haveva havuto male. E mi disse, pigliando in mano una di quelle carte stampate, dove ci è l ’imagine della Madonna della Vallicella, et ci è scritto de Beato Philippo,1282 nella quale ci sonno alcuni versi, fa tti dal detto m .s Gioseppe suo padre: « questo santo mi ha guarita ». E t questo et altri miracoli, fatti in Corneto, ha cresciuta grandissima devotione, lì in quel luogo, al detto santo p. Filippo. E t questo è quanto mi occorre, per adesso.*1 8 9 5

    1282 D e l fe co n d o p oeta e scrittore la tin o G iuseppe C a stiglion e esiste l ’op u scolo a stam pa, d i 4 pp. n on n u m e ra te : D e b ea to \ P h ilippo | N erio \ F io ren tin o j C on g rega tion is O ra torij \ fu n d a to re | lo s e p h i C astalion is I . V. D . R om a n i j C arm en. || R om a e, A p u d A loysiu m Z an nettu m . M D C X V I. S vp eriorvm perm issv. I l fro n te sp izio re ca ap pun to l ’ im m agin e d e lla M adonna con il B a m b in o ven erata a S. M a ria in V a llice lla (la in cision e stessa venn e u sata n ella V ita d e l Gallonio, ch e qu el tip o g r a fo sta m p ò n eg li an n i 1600 e 1601). I v a r i esem p la ri d e ll’ op u scolo v ed u ti p o rta n o la d a ta so p ra tra s critta , in d u e d ella V a llice lla c o rre tta in 1596; d ev e tra tta rs i a p p u n to d i erro re d i stam pa, per M D X C V I, p oich é sem brerebbe difficile pensare a u n a p u b b lica zion e postu m a (il C a stiglion e era m orto n el 1614), q u an d o an che i d e d ica ta ri d elle d u e p oesie contenu te, il ca rd . A g o stin o CusanI e M arco A n to n io M a fia , eran o scom p a rsi d a p a recch io tem p o, risp ettivam en te nel 1598 e 1599. Nè l’ ip otesi d i u n a rista m p a ap pare proba bile, perch è le ed izion i d i L u ig i Z an n etti si d a ta n o tra il 1590 e il 1599, F ernanda A scarelli, L a tipografia cin q u ecen tin a italian a, c it., p. 74; con estension e, a l più, d i qu alch e anno, com e per le d u e m en zion ate sopra.

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    22 gennaio 1597. [192] Fiam m etta Nannoni. ff. 501-502

    144

    D IE M E R C U R II 22* IA N U A R II 1597

    [192] E xa m in a ta fu it, R o m a e , in dom o ill.m ae d.nae Iu lia e m archìon issae R a n gon a e, R eg ion is P a vion is, d.n a F ia m m etta N a n n o n i,1-* 3 filia q. L u d ovici C a n n on i e t L u cretiae de F e is , fioren tin a, aetatis annorum quinquaginta quinque in circa, ordinis 8 . M on acae 1 1284 in 3 8 2 B u rg o [f. 502] E o v o de U rb e , 1285 quae, m edio iu ram ento ta ctis e t c ., ad opportu n as in terro g a tio n es, d ix it :

    Quando io ero putta, che possono essere da quaranta anni in circa, io cominciai a conoscere il p. m .s Filippo, che stava a S . Hieronimo. E t 10 cominciai a conoscere, che m .s Pietro d’ Arezzo 1286 era mio confes­ sore, che stava anche lui a S. Hieronimo : et io andavo, qualche volta, a ll’ hora, dal detto p. m .s Filippo. Che ancora, doppo la morte del so­ pradetto m .s Pietro, io mi confessava dal p. Cesare Baronio, hora car­ dinale : et il detto p. Cesare mi mandava dal suddetto p. m .s Filippo, et mi son confessata da lui più et più volte. E , sin che il p. Baronio è stato nella chiesa, cioè che è stato nella chiesa della Vallicella, nanti che fosse cardinale, io mi son confessata sempre dal detto B aron io; et, doppo che è fatto cardinale, mi son confessata dal p. m .s Pompeo. E t mi confesso il mercordì, il venerdì, et le feste, per ordinario, mi confesso et communico, et, alle volte, più spesso : et questa matina mi son confes­ sata et communicata alla Vallicella. I l p. m .s Filippo io l ’ ho tenuto et tengo per un santo et ho conosciuto, per mezzo suo, haver ottenuto una gratia, la qual è questa. Che, essendo, 11 giorno di s. Stefano dell’anno del 1595, in Borgo, et veniva alla Chiesa nova, per trovare il p. Baronio, mio confessore ; et, quando io fui in Ponte, volse traversare li cavalli, che guidavano un cocchio, e li cavalli, col muscio over testa, mi urtorno e mi fecero cascare, et il cocchio mi salì sopra la persona, et li cavalli, et il cocchio over car­ rozza, et mi traversò una gamba, et me sbassò la polpa della gamba, et tornai a casa così calda. E t, arrivata a casa, la gamba si cominciò a gonfiare, et bisognò che mi ponesse in letto, dove stetti due mesi. E t ci

    1283 Fiammetta Narmoni era di Arezzo, secondo il Baronio (che narrò già il rapido risanamento della s u a gamba fratturata, f. 3 4 9 , e cf. G a l l o n i o , Vita lat., pp. 2 4 7 -4 8 , e Vita ital., p. 2 6 1 ) . Depose anche nel terzo processo, i’l l sett. 1 6 1 0 . 1284 « Bizoche di s. Monica » o « Mantellate di s. Agostino », suore terziarie agostiniane, ebbero un convento e chiesa in Campo Marzio, nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina ; la chiesa, costruita circa il 1542, andò distrutta, dopo che le terziarie erano trasmigrate a S. Lucia in Selci, per ordine di s. Pio V , C o s t a n t i n o

    Delle Posterule tiberine tra la Porta Flaminia ed il Ponte OianicoArchivio della Società romana di storia patria, I , 1877, pp. 104-05; e

    C o r v is ie r i,

    lense,

    in

    A r m e l l i n i - C e c c h e l l i , p. 1387. Ma Fiammetta non doveva essere terziaria regolare, anche se forse convivente con altre della sua specie, senza vero legame. 1285 Una delle antiche strade o borghi congiungenti il Vaticano al Castel S. Angelo; ampliata per ordine d ’Alessandro V I, dal quale prima s’intitolò, assunse sulla metà del secolo xvi il nome di Borgo Nuovo, mantenuto fino alla sua demolizione nel 1937, per l’ apertura della via della Conciliazione. Ma Borgo Nuovo è usato, nella pianta Du Pérac-Lafrery (1577), per designare la via Sistina o borgo S. Angelo, G noli , Topografia e toponomastica di Roma, pp. 4, 38. 1286 Pietro Spadaro, sul quale si veda la nota 773.

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    22 gennaio 1597. [193] Eugenia Mansueti, ff. 503-504

    145

    fu m o fa tti assai medicamenti, et l’ ultimo remedio, che ci feci, fu le vinaccie; et mi pareva che mi giovasse, ma, de lì a due o tre giorni, ritornava al medemo. E t, finita la vinaccia, vedendo che non ci giovava rimedio alcuno, e mi venne inspiratione di raccommandarmi al nonno (che così io lo chiamavo il p. m .s Filippo) et me li raccommandai, alla Madonna et a lui, che, se mi facevano gratia liberarmi dalla gamba, voleva fare al p. m .s Filippo una gamba di argento, et, il primo viaggio, andare a S. Maria Maggiore, o vero alle Sette Chiese. E t, a ll’ hora, mi sentii bene, che guarii subito, fatto che hebbi il voto ; ma a S . Maria Maggiore non vi andai, perchè il p. Baronio confessore, mi disse, che andasse alla Madonna della Pace, dove sono andata più volte, et a S. Maria Maggiore vi andai nanti Natale. E t, doppo haver havuta la gratia, stetti due mesi, et portai una gamba de argento alla sepultura del p. Filippo, qui alla Vallicella : quale gamba diedi al p. Baronio, che è cardinale ; et feci oratione alla sepultura del padre, con renderli gratie. E t ce l ’ ho fatta ancora dopoi, et io tengo, per mezzo delle orationi del p. Filippo, esser guarita. I l male era, che non potevo caminare, per la debolezza de nervi, che havevano patito in quella percossa della car­ rozza, come ho detto. E t, fatto lo voto, come ho detto, cominciai a caminare, et star bene della gamba, come ancora sto : che sto quasi sempre in piedi, che prima non mi potevo levare. E t non mi occorre altro, per adesso : et questo è quanto è occorso, nella persona mia, per merito del santo p. Filippo.

    E A D E M D IE 22“ IA N Ü A R II 1597

    [193] E xa m in a ta fu it, ubi su pra e t p er m e e tc ., d.n a E u g en ia de M a n ­ s u e tis ,12*7 filia q. R ip o liti M a n su eti et Sebastianae con iu g u m , de C olle S cip ion is, a etatis annorum quadraginta in circa, quae, m edio iu ra m en to, tactis e tc ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it :

    Sono sedici anni, che io sto con la s.ra Constanza Crescentii, et, da Phora in qua, cominciai a cognoscere il p. m .s Filippo a S. Hieronimo della charità. E t, un venerdì a matina, essendo la sudetta signora andata a S. Hieronimo (che si confessava dal detto p. m .s Filippo) es­ sendosi confessata, il padre disse Messa a ll’ altare maggiore. E t, mentre diceva Messa il detto padre et quando volse consecrare, io viddi li piedi del padre alzati da terra un poco, et si reteneva, con le braccia, su l ’altare, et io ne pigliai admiratione, et dall’ hora in qua io li pigliai gran- [f. 504] de affettione. E t ci andavamo spesso ; et poche volte io mi confessai dal p. Filippo ; dopoi mi cpnfessai dal p. Giuliano,1 1288 lì a 7 8 2 S. Gieronimo, et, hora, qui alla Vallicella, dal p. Antonio Gallonio ; et mi confesso ogni otto d ì ; et, l’ ultima volta, mi confessai et communicai domenica passata, che ci andai da me. E t ho cognosciuto anco il p. m .s Filippo qui alla Chiesa nova. E t, da sei anni in circa nanti che morisse il s.r Virgilio Crescentio, io hebbi male al naso, che ci era calato un catarro, et il male durò diciotto mesi. E t io lavavo le pezze del rot1287 Eugenia Mansueti, originaria di Colleseipoli, ora in provincia di Terni, depose successivamente, nel terzo processo, il 24 ag. 1610. 1288 Giuliano Fuscherio, che depose il 16 ott. 1595 (861.

    io

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    22 gennaio 1597. [193] Eugenia M ansueti, ff. 504-505

    torio del padre, che me le portavano a casa. Un giorno, nanti che io lavassi le pezze, che le infilsavo, me ne posi una a l naso, dove haveva il male, con devotione, pregando il padre, che mi guarisse. E t guarii subito, et non ho sentito più male, che prima non potevo stare al fuoco, nè al sole, che me si gonfiava il naso, che, qualche volta, mi vergognava di andar per casa. E t, dopoi che hebbi toccata la pezza, come ho detto, al naso, non ho sentito più male et fu i guarita subito. E t questo fu nanti che Ί s.r Vergilio morisse et il p. m .s Filippo era vivo.1289 E t, queste vendemie ha fatto l ’ anno, io stetti male, con febre grande et gran sete, che non volevano che io bevesse, et io stava nel letto male assai. E t mi fece dare un bichiero d’acqua, et vi posi dentro una di quelle pezze del rottorio del padre, che ne ho una cassettina piena, che non son lavate et bibbe quella acqua, con gran devotione, ricommandandome al padre con tutto il core. E t subito me si passò la febre et subito saltai su dal letto, che stette tre o quattro giorni al letto, senza febre, per rihaver le forze.1290 Avanti la Madonna di settembre, la notte nanzi, de l’anno passato, la s.ra Hieronima, figliola della s.ra Constanza Crescentii, stando male forte, et io, la signora, mad.a M aria, donna che sta in casa, stavamo intorno alla detta s.ra Hierolama, la quale mostrava di parlare : non si sentiva quel che diceva, ma stava fissa, pensosa, et guardava dinanzi. E t la s.ra Constanza li disse, con chi discorreva, e lei disse, che discor­ reva col p. Filippo, et la s.ra Constanza replicò : « come vedete il p. F i­ lippo che [f. 505] sta in Paradiso? ». E t la ammalata respose, che lo vedeva visibilmente. E t, a ll’ hora, l’ammalata prese grande animo, et non pensava a madre, nè fratelli, nè altri, se non Christo, et disse alla signora, che la voleva raccommandare al p. m .s Filippo, et la matina spirò, come una santa,1291 che tutti di casa si stupivano. E t, sendo morta, pareva che fosse viva, et quanti la vedevano dicevano, che era un angelo, et che Ί padre l ’ haveva santificata. E t, nanzi che fosse questa visione, l ’amalata si lamentava ; et, havuta la visione, restò, che non si lamentò più, tutta allegra, et si faceva dare la figura del padre, et la basciava con gran devotione, et, quando non poteva parlare, faceva zenni di haver la figura del padre, et la basciava, con grandissima devo­ tione. H o inteso dire, più volte, alla s.ra Costanza, che, lamentandose la signora con il padre, dicendo : « voi vi partite ; come faremo noi che restamo? » , il padre li rispose, che sarebbe ritornato per li soi, come s. Francesco a s. Chiara. E t questo è quanto mi occorre del santo p. Filippo. 1289 Virgilio Crescenzì mori il 2 die. 1592; e nel novembre 1586, conforme­ mente all’indicazione data al principio del racconto, colloca questo fatto il G a l l o n i o , Vita lat., p. 167. La guarigione è recata e comprovata come miracolosa dal medico A n g e l o V i t t o b i , Medicae consultationes, cit.. pp. 413-14. 1290 Anche il secondo risanamento di questa familiare di Costanza Crescenzi Del Drago è riferito dal G a l l o n i o , Vita lat., p. 243; come avvenuto nel set­ tembre 1595. 1 2 9 1 0 a libri d i S. Eustachio il G a l l e t t i trascrisse il necrologio: «1596. 8 7bre t La s .ra Girolama del s.r Virgilio Crescenzi rom. Sep. alla Vallicella. L II », cod. Vat. lat. 7873, f. 97. Un’ ampia e bella narrazione della morte dì questa penitente di P. fece il fratello Giacomo, ff. 533-534; e più brevemente, Maria Paganelli, altra familiare delia casa, f. 564.

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    29 gennaio 1597. [194] Beatrice Oaétani Cesi. f. 505

    147

    D IE M E R C U R II 29s M E N SIS IA N U A R ÏI 1597

    [104] E xa m in a ta f u it , R o m a e , in dom o suae solitae resid en tia e, ili.m a et excell.m a d.n a B e a tr ix G a eta n a,1292 filia q. ill.m i d .n i B on ifa cii G a eta n i et g . Catherinae P ia e , relieta q. ill.m i d .n i A n g e li Gesti a etatis annorum quinquaginta triu m in circa , q u a e, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it :

    Sono vinti doi anni in circa, che io ho conosciuto il p. m .s Filippo de vista, et prima l ’ havevo inteso nominare. E t lo cognobbi, in casa del duca de Sermoneta,1293 la prima volta che venne là, in casa del duca Sermoneta (et a ll’ hora stava a S. Hieronimo et il duca habitàva in Borgo) 1294 che venne a vedere mia cognata, la s.ra Agnesina Colonna,1295 quale stava male de una sconciature, et tutti si pensavano, che morisse. E t il padre li disse : « non dubitate, che, questa volta, non morerete ; et il Signore non vole, che morite adesso » . E t mi recordo, che li disse, come si accomodava al morire. La signora li rispose, che haveva un

    1292 Beatrice Caetani, nata avanti il 1556, G e l a s i o G a e t a n i , Caietanorum cit., p. 73 n. 66; vedova, dal 14 giu. 1570, di Angelo Cesi, morto in Francia generale delle truppe pontificie, M a r t i n o r i , Genealogia e cronistoria di una grande famìglia timbro-romana, i Cesi, cit., pp. 62-64, appare lodata in sei sonetti di P o m p o n i o S p r e t i , nella raccolta del M a n f r e d i , Per donne romane, rime di diversi, cit., pp. lì-14 . I l 1« die. 1584 si obbligò, con la sorella Giovanna negli Orsini e con Porzia Orsini nei Cesi, a sostenere le spese per la decorazione della cappella della Madonna al Gesù, P e c c h i a i , Il Gesù di Roma, cit., pp. 89, 90 e n. 4, 292. Si legge nel G a l l e t t i la nota della sua sepoltura, da libri di S. Marcello : «1608. 14 nov. L ’ill.m a s.ra Beatrice Gaetana Cesie levata dall’Apollinare e sep. al Gesù. L X X I I » , cod. Vat. lat. 7876, f. 14. 1293 Onorato IV Caetani, fratello della teste Beatrice, successo nel 1574 al padre nella signoria di Sermoneta, ne ebbe il titolo di duca da Sisto V . il 23 ott. 1586; era stato capitano generale della fanteria pontificia alla battaglia di Lepanto ; morì il 9 nov, 1592, G e l a s i o C a e t a n i , Caietanorum genealogia, p. 74 n. 67. 1294 Onorato Caetani fu nominato da Gregorio X I I I , il 14 mag. 1572, capitano della guardia e governatole di Borgo («capitaneus custodiae et gubernator Burgi »), G a r a m p i , Saggi di osservazioni sul valore delle antiehe monete pontificie, cit., p. 3C8 n. 14. Questo ultimo ufficiale di corte, amministrante la giustizia nei Borghi e Lungara fino a porta Settimiana, disponeva di un palazzo con carcere in Borgo, L u n a d o r o , Relatione della corte di Roma, cit., p. 81. Il Caetani sostenne per più anni la carica, rinunziandola poi, in data indeterminata, a Giacomo Boncompagni. figlio del papa, Lettere di O n o r a t o C a e t a n i capitan generale delle fanterie pontificie nella battaglia di Lepanto, pubbl. da G. B. G a r i n c i , 2. ed. Roma, Forzani e c., 1893, pp. 220-21. Risulta che il Boncompagni era già, dal 23 maggio 1572, governatore o castellano di Castel S. Angelo, Pio P a g l i u c c h i ,

    genealogia,

    I castellani del Castel S. Angelo di Roma con documenti inediti relativi alla storia della Mole Adriana tolti dall’archivio segreto vaticano e da altri archivi, vol. II. Roma, Tipografia Agostiniana, 1928, pp. 11-24. 1295 i capitoli matrimoniali di Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio vincitore di Lepanto, vennero firmati in Napoli il 26 lu. 1558, [ G i u s e p p e T o m a s s e t t i] Quattro documenti estratti dall’Archivio Colonna. Roma, Forzani e c. (Nozze di Vittoria Colonna con Leone Caetani, 20 giugno 1901), pp. 11-15. Le nozze con Onorato si celebrarono nel 1560, e ne nacquero otto figli, tra il 1562 circa e

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    148

    29 gennaio 1597. [194] Beatrice Caetani Cesi. ff. 505-506

    poco di tristitia per li figliuoli. E t il padre li re- [f. 506] plicò, che, ogni volta che uno non ha accommodato l ’animo a morire, il Signore li dà tempo ; et che, per quella volta, non sarebbe morta. E t io la tenevo per morta, perchè li medici l’ havevano per spedita, et stava attratta. Doppo partito il padre, la detta s.ra Agnesina guarì.1296 L ’ ho ancora visto in casa della s.ra marchesa de R ian o,1297 qui in casa mia, et in casa della duchessa mia nora,1298 più et più volte, et l ’ ho visto alla V allicella più volte. E t io mi sonno confessata, alla N u ntiata,1299 dal p. L u ­ dovico Mansone,1300 dal quale mi confesso tre volte la settimana, per l ’ ordinario, et così mi communico. Sonno sei anni finiti alli 2 d’agosto passato, che la s.ra marchesa de Riano, Portia de Ceri, essendo stata male più d ’ un mese, stando male, il p. m .s Filippo ci veniva spesso et, ultimamente, ci venne un giorno, che la s.ra Portia stava « in extremis ». E t detto padre, essendo stato lì, si partì, et, de lì a poco, ritornò, et

    il 1574, G e l a s i o C a e t a n i , Caietanorum genealogia, cit., p. 74 n. (57. Agnesina morì il 26 apr. 1578. Il G a l l e t t i ne trascrisse la nota di sepoltura, da libri di S. Pietro in Vaticano : « 1578. 29 apr. f L ’ill.m a s.ra Agnesina Colonna Caetana moglie deH’ill.mo s.r Onorato Caetano. Sep. in S. Pietro presso l’ altare di S. Andrea. X L I », cod. Vat. lat. 7872, f. 53. Secondo l’iscrizione posta sul sepolcro, era vissuta quarant’ anni ; e 11 marito le dava lode come a « singulari pudicitiae pru­ dentiae et religionis exemplo felici fecunditate insigni », A l v e b i , Della Roma in ogni stato, parte seconda, cit, p. 201 1296 x)a questa testimonianza il racconto passò nel Gallonio, Vita lat., pp. 133-34, sotto la data del gennaio 1575; la quale si fonda, con rigoroso calcolo cronologico, sul riferimento dato dalla teste al principio della deposizione. Come nato nel 1574, si indica l’ultimo figlio di Agnesina, Benedetto IV Caetani, poi abate di S. Maria di Faenza, Gelasio Caetani, Caietanorum, genealogia, cit., p. 7S n. 77. 1297 Porzia Orsini dell’Anguillara, moglie di Paolo Emilio Cesi marchese di Riano, morta avanti il 3 ag. 1590 ; sulla quale la nota 727. 1298 Olimpia Orsini, già ricordata nella nota 820, sposa in epoca non preci­ sata dì Federico Cesi, primo duca di Acqua sparta ; fu madre di Federico il Linceo, e mori il 12 mar. 1616, M a b t i n o b i , Genealogia e cronistoria di una grande famiglia umbro-romana, i Cesi, cit., pp. 66-67. L a devozione di questa pia gentil­ donna per F. risulta da quanto già è stato testimoniato al f. 103. 1299 La piccola e ornata chiesa dell’Annunziata del Collegio Romano, detta anche « all’ arco Camilliano », fu finita di costruire nel 1567, con opera manuale dei fratelli laici gesuiti. Originalmente a tre navate, con abside decorata da un grande affresco di Federico Zuccari, ebbe demolita la navata sinistra, quando si gettarono nel 1626 le prime fondamenta di S. Ignazio; furono incorporate nella mole del tempio e del Collegio le navate centrale e destra. In essa rimase sepolto, fino al 1649, il corpo di s. Luigi Gonzaga, E b n e s t o R i n a l d i . S. I ., La fondazione del Collegio Romano; note storiche. Arezzo, Cooperativa tipografica, 1914, pp. 93-94, 9 8 , 136-37 ; V i l l o s l a d a , Storia del Collegio Romano, cit., pp. 54-55, 169-73. L a chiesa serviva agli scolari del Collegio, P a n c i b o l i , I tesori nascosti nell’alma città di Roma, p. 469; m a, come si vede, vi poteva accedere la gen­ tildonna. 1300 h gesuita Ludovico Monsoni, palermitano, fu professore in diversi col­ legi e provinciale di Napoli e di M ilano; morì nel 1610, a Messina, A g u i l e b a , Provinciae siculae Societatis Iesu ortus et res gestae, p. I, cit., pp. 551-59. II cardinale Federico Borromeo, penitente di F ., lo frequentò a Roma, come « huomo di gran virtù e dottrina », R i v o l a , Vita di Federico Borromeo, cit., pp. 139. 646. In questi anni, 1594-1597, era rettore del Collegio Romano, V i l l o s l a d a , Storia del Collegio Romano, cit., p. 322. Qualche sua opera registrano D e B a o k e r S o m m e b v o g e l , Bibliothèque de la Compagnie de Jésus. Bibliographie, t . V . Bruxel­ les-Paris, 1894, col. 508.

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    29 gennaio 1597. [194] Beatrice Caetani Cesi. ff. 506-507

    149

    trovò che la detta signora stava pure « in extremis ». E t detto padre se li accostò, et la pigliò su la testa (una mano da una guancia, l ’altra d all’altra guancia) et, stringendo il capo della signora, disse : « ti com­ mando, anima, che tu esca di questo corpo » , et la signora subito spirò. E t la gente, che stavano lì, dicevano che non era morta, et il padre disse : « è morta, è morta », et le gente non lo credevano. E t io vi fui presente, a piede al letto, et la s.ra marchesa Bangona, la s.ra Giovanna O rsin a 1301 mia sorella, et molte altre donne. E t il padre, secondo intesi a ll’ hora dalla marchesa Kangona, disse : « gran cosa : io ero andato via et son stato forzato a ritornare », come ritornò, et fece quell’atto di stringer la testa alla s.ra Portia, et commandò a ll’anima, che se ne partisse et questo la s.ra marchesa mel disse, a ll’ hora, haverlo inteso dal padre, et più volte l ’havemo recordato, la s.ra Giovanna et io, questo fatto, et tutte restammo maravegliate del retorno del padre, et del fatto et atto che fece, come ho detto sopra.1302 [f. 507] Sono circa sedeci anni, che, stando io in Sermoneta, dove ci era il s.r Pomponio de M agistris,1303 a ll’ hora segretario del card. Ser­ moneta, il quale si confessava da un frate Eafael Lupo romano. E t, stando il frate, io et il s.r Pomponio, il detto frate ci disse : « volete che io vi dica, come io sono nella religione? » che era de s. Francesco de osservanti. E t disse : « stando io con il card. Santa Fiore, era un de­ sviato, et andavo, un giorno, per far poco bene, et me incontrai in un mio amico, quale me disse : “ venite con me ” et io ci andai. E t mi con­ dusse a S . Hieronimo, in un luogo, dove era il p. Filippo, con altre genti, a ll’ oratorio. E t quel mio amico si accostò al p. Filippo et li disse (che stava a sedere sul letto) et li disse, dicendo di m e: “ questo mio amico, non solo vole seguitare l ’ oratorio, ma confessarse da v o i” . E t, a ll’ hora, io, intendendo questo, mi venne fantasia di far dispiacere a quel mio amico ». E t, poi che Ί detto frate disse: « io mi confessai dal detto p. Filippo et non li disse cosa, che fosse vera ». E t, a ll’ hora, il detto p. Filippo li disse: « havete altro? », et li respose, che non haveva altro. E t il padre lo prese per la testa, con le doi mani, et li strinse la testa, et disse stringendo : « il Spirito Santo mi ha detto, che quanto voi mi havete detto, non è la verità de nissuna ». E t che, a ll’ hora, sentendo queste parole, il detto p. fra Eafael si sentì tutto compungere, et disse al p. Filippo, che si voleva confessare da vero, et si confessò, facendo una confessione generale. E t seguitò confessarsi dal padre et, con questa occasione, si fece religioso. E t questo l’ ho raccontato, più volte, a molte persone, ancora al p. Filippo. E t ho inteso che il padre era una persona chiamato da molte genti, inferme et tribolati, quali si raccommandavano a lui, come quello che havesse parte in Paradiso.

    1301 Giovanna Caetani, moglie di Virginio Orsini duca di San Gem ini; sulla quale, la nota 823. 1302 La narrazione del fatto si può raffrontare con quelle dell’ altra teste oculare Giulia Orsini Eangoni, ff. 269-270'; e di Marcello Vitelleschi, f. 241. 1303 Pomponio de Magistris, teste il 27 sett. 1596 (184), ha già raccontato questa conversione di fra Raffaele Lupi.

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    150

    25 febbraio 1597. [195] Giovanni B attista Felice. fiE. 507-508 D IE M A R TIS 25» F E B R U A R II 1597

    [195] E xa m in a tu s fu it, in officio m oi, e t c ., et per m e, u t su pra , rev.d u s d.nu8 Ioa n n es B a p tista F e l i x ,1304 filius q. F ran cisci F elicis et q. H ie ronim ae con iu gu m , de Siracusa in S icilia , p r e sb ite r , aetatis annorum septuagintaquinque in circa, qu i, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad opportu n as in terroga tion es m ei n ota rii, d ix it :

    [f. 508] Io sono in Bom a da circa quaranta anni, et sono stato in S . Eustachio,13051 6a S. Maria in Trastevere, a S. Angelo in Pescaria,1300 0 3 et alia Consolatione, et S. Maria de 1’ Horto 1307 et altre chiese, et, al presente, son tornato alla Consolatione, dove mi trovo per capellano, come sono stato nelle chiese sopradette et altre. E t son solito celebrar Messa ogni giorno, et, questa matina, ho celebrato nella chiesa della Madonna della Consolatione. E t ho praticato spesso nella Chiesa nova, qui alla Yallicella, et conversato con il p. Pompeo Paterio, il p. A n ­ tonio, et molti altri della chiesa detta ; et mi pare haver cognosciuto il p. m .s Filippo. D ein d e d i x i t : L ’ho cognosciuto, ma non havevo conversatione con esso lui. Ho ben inteso dire da molte persone, che detto p. m .s Filippo era un santo, et persona molto esemplare, et di bona vita, et santissimi costumi, et questo si diceva publicamente. E t, circa un mese fa , io andai a una stufa, qui alli Cappellari,1308 nella quale, a ll’hora, si facevano le vasche di novo, et era molto fredda, anzi, freddissima. E t io vi pigliai una infirmità, che non poteva aprire la bocca, nè magnare, et apena parlare; et mi dolevano li denti et le gengive, grandissimamente, che mi davano grandissimo dolore. E t mi durò per più di doi hore, et, venendo il p. d. Iacomo Candido (che stava­ 1304 Giovanni Battista Felice, originario di Siracusa e prete di umile ceto in Roma, è noto solo per questa deposizione. Dalla quale il G a l l o n i o , Vita lat., р. 256, desunse il racconto del risanamento dal male di bocca; e il B a c c i , 1. V I, с. 8, n. 12, la liberazione da questo e dal granchio notturno. 1305 Diaconia antichissima, menzionata per la prima volta nel secolo v m , H u e l s e n , pp. 251-52; R i c h a r d K r a u t h e i m e r , Corpus basilicarum Christianarum Romae. Le basiliche cristiane antiche di Roma (sec. IV-IX), v. I. Città del Vaticano, 1937 (« Monumenti di antichità cristiana pubblicati dal P. Istituto di archeologia cristiana », II ser., II) pp. 216- ; A r m e l l i n i - C e c c h e l l i , pp. 52530, 1291. 1306 S. Angelo « in foro piscium », antica diaconia risalente al secolo vm , tra gli avanzi dei propilei della Porticus Octaviae; una delle dodici vicarie parrocchiali istituite da s. Pio V , H u e l s e n , p. 196; K r a u t h e i m e r , Corpus basili­ carum Christianarum Romae, v. I, cit., pp. 66-76; A r m e l l i n i - C e c c h e l l i , pp. 689-91, 1249. Una compilazione di notizie anche minori ha dato G i u l i o B o g g i - B o s i , La diaconia di Sant’Angelo in Pescheria. Roma, Pia Società S. Paolo, 1929. 1307 La bella chiesa in Trastevere, dallo schema architettonico tipicamente cinquecentesco, riconosciuta nella sua prima epoca di scuola bramantesca; cominciata ai primi del secolo e proseguita lentamente nel periodo successivo. L a facciata, costruita negli anni 1566-67, è attribuibile per analisi degli elementi stilistici a Jacopo Barozzi da Vignola, G u s t a v o G i o v a n n o n i , Saggi sulla architet­ tura del Rinascimento. Milano, Fratelli Treves, 1931, pp. 200-06, 231-32. Nella chiesa si adunavano diverse corporazioni d’ arte, tra cui i Fruttaroli e Limonar!, gli Ortolani, i Vignaroli, i Pizzicaroli, i Vermicellari, eec., L u i g i H u e t t e r , Le Università artistiche di Roma; cenni storici Roma, Editrice F .I.U .C ., 1925, pp. 59, 62, 63, 64, 65, 67. 1308 Popolare strada tra Campo de’ Fiori e quella del Pellegrino; separa i rioni Parione e Arenula, G n o l i , Topografia e toponomastica di Roma, pp. 58-59.

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    13 marzo 1597. [196] Francesco della Molara. f, 509

    151

    mo in una medema stantia, in casa de mons. Ferratino) 1309 il quale è mio amico et paesano, et vedendomi star così, con quelli dolori et male, come ho detto, alla bocca, gengive et denti, mi disse, che haveva un fazzoletto del sudetto p. Filippo, et me lo diede, dicendome che me 10 ponesse al luogo del male, con devotione ad honore di quel santo padre. E t così feci, et posi il detto fazzoletto, da una parte et l ’altra, et subito si partì il dolore et il male, et non ho inteso più cosa alcuna, et restai subito libero : et questo tengo che sia stato miracolo, per devo­ tione del detto p. m .s Filippo, il quale sempre l ’ ho tenuto in gran vene­ ratione, et tengo, et ci ho havuto, et ho grandissima devotione. De più, quindeci dì sono, una notte, circa doi hore nanti dì, mi prese il granco a tutte doi le coscie, et mi dava grandissimo fastidio, che non mi poteva movere. E t il medemo s.r. Giacomo Candido, che dormevamo in una medema camera : io alla carriola,1310 lui al letto, nella medema casa del Ferra­ tino) sentendomi lamentare, prese il detto fazzoletto et ci disse alcune orationi, come d ire: « per intercessionem beati Philippi » . E t io havevo grande devotione al detto santo Filippo, [f. 509] del quale ho rag­ gionato di sopra, che si chiamava, mentre viveva, il p. m .s Filippo et diceva : « Beato Filippo, liberami di questo male » ; et, postomi sopra 11 detto fazzoletto per il detto s.r Giacomo, come ho detto, subbito fui liberato dal dolore et dal male, miracolosamente, per intercessione del beato san Filippo, al quale sempre haverò devotione, havendo visti questi miracoli santi.

    D IB IO VIS 13a M E N SIS M A R T II 1597

    [196] E xa m in a tu s f u it , R om a e, in officio e t c ., u M su pra, ill.is d .n u s F ran -

    CÎ8CUS

    V alen tin u s de M o la r ia ,1311 n oM lis rom a n u s, a etatis annorum trigin ta n ovem in circa, qui, m edio muramento, ta ctis e t c ., alias exa ­ m in atus e t c .:

    Io mi sono examminato un’altra volta, in questo negotio, et con­ fermo quanto ho deposto. M i soviene de dir, oltra le altre cose, che ho dette, che io ho inteso di dire dal beato Filippo, alcuni mesi et anni inanti che detto beato padre morisse, raggiornando del s.r Carlo Mazzei,1312 il detto beato p. Filippo diceva che detto s.r Carlo Mazzei, 13 09 Bartolomeo Ferratini, di Amelia, canonico di S. Pietro e referendario delle due Segnature sotto Pio IV ; eletto vescovo della sua patria il 9 ott. 1562, fu luogotenente del card. Alessandro Farnese vice-cancelliere avanti il 1584 e per ultimo reggente della Cancelleria; creato cardinale I’l l sett. 1606, morì il 1» no­ vembre dell’ anno stesso, K attebbach, p. 123. Del suo palazzo (sul luogo del quale poi sorse quello del Collegio « de Propa­ ganda fide » in piazza di Spagna) prese il nome la via, già nel 1586 detta « Ferratina », e ora Frattina, Gnoli, Topografia e toponomastica di Roma, p. 116. Ma qui la « casa de mons. Ferratino » potrebbe essere altra, di proprietà del prelato. « i o Specie di letto piccolo e molto basso, da stare sotto 1 letti grandi. A Roma, negli ospedali, si chiamano anche « cariole » 1 letti collocati avanti la prima fila, che ha la testata al muro. 1311 Seconda deposizione di Francesco Valentini della Molara, comparso la prima volta il 7 ag. 1595 (3). 1312 Morto il 14 apr. 1581; sul quale, la nota 514.

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    152

    13 marzo 1597. [196] Francesco della Molara. ff. 509-510

    mentre che detto s.r Carlo moriva, il demonio travagliava detto s.r Carlo, agonizando, « de avaritia », che stava contrastando con il demonio, il quale lo tentava. E t il detto s.r Carlo, per uscirli delle mani, al detto demonio disse : « mi appello a Filippo » : volendo intendere, del detto beato Filippo, il quale era confessore del detto s.r Carlo. E t subito il demonio se ammutì, et disse, il detto s.r Carlo, secondo referì il beato padre, che morse bene. In oltre, mi ricordo che, andando, una volta tra le altre, alle Sette Chiese, con il detto b. Filippo, che ci era il s.r Fabritio M assimi, il p. m .s Antonio Gallonio, il s.r Marcello Yitelleschi et il s.r Pietro Vittrice, con it suo cocchio, et la carrozza del s.r Fabritio de Massimi, ci posammo alla Cafarella, che fecemo collatione lì alla fontana, e, quando havessemo fatta collatione, ci partimmo, il p. m .s Filippo, in cocchio del s.r Pietro, et noi altri aspettammo un poco, che Ί padre passasse un ponticello, quale stava lì presso. E t il cocchio non pigliò bene il p asso: doi rote, da una banda, stavano sul ponte, et le altre due in aera. E t, accorgendoci di questo, comminciammo a gridare : « Giesù, Giesù » ; ferma, cochieri ». E t, non potendo il cochieri rete­ nere, camino manzi col cocchio, et noi tuttavia grida- [f. 510] vamo : « Giesù, Giesù » . E t passò via quello pericolo, miracolosamente, come fosse in soda terra. E t noi non potevamo aggiutarlo, perchè vi era il fosso, dall’ una parte et l ’altra del ponte, et ci stupimmo tutti, havendolo visto passar in quel modo, con mezzo cocchio nel ponte et mezzo nell’ aria, come è d etto: et questo fu giudicato da tutti per miracolo. Venendo, poi, più nanti, per andare a S. Giovanni dalla Cafarella, per sequitare le Sette Chiese, occorse un altro pericolo, che non mi ricordo, se era fuora o dentro la porta Latina. P o ste a d ixit : mi ricordo, che era fuora la porta. In mezzo la strada, ci era una cava di pozzolana molto profonda, et era tanto largata, che la terra cavata haveva impe­ dito la strada, che non si poteva passare. E t il medemo cocchio, dove era il p. Filippo et il s.r Pietro et passò quel terreno smosso, quale era pericolo, che non profondasse il cocchio. E t, accorgendosi il s.r Fabritio di questo passo pericoloso, voltò la carrozza per un’altra strada. E t, nell’andare, trovassemo la carrozza del s.r Marcello Santacroce, con la s.ra Olimpia Gottifredi della Molara et la moglie del s.r Antonio Del Drago, che andavano verso la Cafarella. E t noi li dissimo, che voltassero, che non potevano passare, et il cocchieri volse andare in­ nanti. E t il dì sequente intesimo, che il cocchio era cascato in quella ruina della cava et che la s.ra Olimpia si roppe un gamba, et altri ancora si fecero male, et il cocchio si fracassò tutto. E t da questo fu giudicato da tutti, che Ί rev.do p. m .s Filippo passò miracolosamente per il medemo loco, come il fatto, doppo, evidentemente, lo mostrò. Per più dechiaratione di quello, che io disse nell’altro mio essamine, per conto del male, che io havevo al membro, vi dico che, nanti che io andassi al p. m .s Filippo, andai a trovare m .s Pietro Fiam engo,1313* che stava qui alli Cappellari, et li mostrai il membro. E t lo detto m .s Pietro

    1313 Questo medico Pietro, fiammingo, come pare, di origine, non risulta altrimenti noto. Si nomina, nel processo, anche un « Giovanni chirurgo fiamm engo», come indica la nota 419.

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    2 aprile 1597. [197] Marcello Lorenzi, ff. 511-512

    153

    restò mirato, et non ce volse far altro, così a l ’improviso, se non che ci pose una pezzetta bagnata con l ’acqua rosa. E t, subito partito dal detto m .s Pietro, io andai dal p. Filippo, in camera sua, che era il giorno doppo pranzo, et stavo [f. 511] tutto turbato et affannato. E t arri­ vato dal padre, mi cognobbe et disse : « che cosa ci è » et, senza che io specificasse bene il mio male, il padre se indovinò, che io havesse male al membro, et mi disse : « mostra qua ». E t io havevo un poco di timore, et mi rendeva diffìcile a mostrarlo, per la vergogna. E t il padre replicò : « mostra qua », et così io li mostrai, et il padre ci mise la mano sopra il male, et strinse un poco il membro, et io mi retirai. E t, doppo, il padre replicò di novo : « mostra qua » , et mi toccò di novo, et mi liberò afatto, subito, et non intesi più male. E t il male erano doi cose negre, che cominzavano a gonfiar, et, in mezzo a queste cose negre, ci era un buco per ciascheduno, come disse nell’altro mio essamine, et mi davano gran fastidio et travaglio. E t non sapevo che si fosse, perchè io non havevo suspitione de m ale: massime che, circa cinque o sei mesi, ero stato figliolo spirituale del padre. E t dubito che fosse per li mia peccati, acciò io, con più frequentia, sequitasse la disciplina et documenti del beato padre. E t io, visto il miracolo, volsi comminzare a gridare : « miracolo, miracolo » ; et il padre mi dette su la voce, dicendo : « sta’ queto; non è niente: un poco de inflammatione ». E t mi trovai guarito subbito, come ho detto, et tengo fosse miracolo, et così ho tenuto sempre, et terrò. E t non m i ricordo d’ altro. È ben vero, che io, quando volsi gridare: « miracolo », il padre mi disse quelle parole che ho detto ; et io replicai : « poi che non volete che Gridi : “ miracolo ” , voglio pu­ blicare per Roma, che voi site un santo » ; et il padre mi replicò, che stesse queto, et che non ne dicesse niente, nè meno ne parlasse con persona alcuna. E t ancora che Ί padre me dicesse, che era riscaldatione, lo diceva, acciochè io non manifestasse la sua santità et il miracolo fattom i, del quale cognobbe, che io me ne era accorto : perchè so, che era cosa da non sanarsi così subito, come fece.1314 E t, del resto, mi refe­ risco a l ’ altro essamine. D IE M E R C U R II 2» A P R IL IS 1597

    [197] E xa m in a tu s fu i t , R o m a e , in officio e tc ., p er m e e t c ., rev .d u s d .n u s M arcellu s de L a u r e n tiis,1315 filius q. Ia coh i A n to n ii de L a u ­ r e n tiis, et d.nae L ivia e F lo r e lla e , de N ea p o li, i. u. d ., p r e sM te r , aeta­ tis annorum trigin ta se x in circa, q u i, m edio iu ra m en to, ta ctis e tc ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it :

    [f. 512] Lunedì passato della presente settimana, stando io vicino alla Chiesa nova, in casa di m .s Giorgio, che tiene camera locanda,1316

    13X4 Questo racconto, fatto sommariamente nel primo esame, f. 7, si legge anche nel Galloni» , Vita lat., pp. 158-59, con l’omissione del nome del personaggio. 13 ì s Marcello Lorenzi, referendario delle due Segnature negli anni settimo e ottavo di Clemente V i l i , fu eletto vescovo di Strongoli il 31 genn. 1600; mori entro circa un anno, poiché ebbe un successore il 30 apr. 1601. 1316 A ll’insegna dell’Aquila Nera, secondo la intestazione della deposizione che segue. Il teste Giovanni Angelo Mombelli la situa « in questo vicolo, appresso

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    154

    9 aprile 1597. [198] Giacomo Tillier. f. 512

    con dolore de fianco, che mi dava tanto fastidio, che mi credevo di morire, et mi durò più di tre o quatro hore, et invocando la Madonna molte volte, con voce chiara, in presentia de Iacomo Tiglier, fiamengo, et Giovanni Angelo, mi pare sia milanese,1317 nella istessa camera, et così continuando il dolore grande, detto Iacomo me disse : « invocate il beato Filippo ». E t così intesi del beato Filippo, nella Chiesa nova della Vallicella, et così invocai detto beato Filippo, dicendo : « Beate Philippe, adiuva » et disse : « aiutami ; si come hai aggiutato il papa dalla podagra, cioè dal dolore della podagra, così liberarne », et lo invo­ cai tre volte, con grandissima fede, facendo voto, ancora, di fare una tavoletta, se ricevevo la gratia. E t così, alla terza invocatione, fui libero afatto del dolore, et mi adormentai. E t poi, la istessa sera, orinai una pietra, overo renella, della grandezza de un pignolo, E t ho dato a fare il voto della gratia ricevuta, et tengo che Ί detto padre, et per sua intercessione alla Madonna, tengo esser guarito : et per questo ho fatto fare il voto.

    D IE M ERO U RII 9» M E N SIS A P R IL IS 1597

    [198] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in officio e t c ., p er m e e tc ., d .nu s Ia cobus T illier , 1318 filius q. A n to n ii T illierii, capitanei excellen tissim i ducis A lex a n d ri F a rn esii, e t d.nae M a rg a rita e, con iu gu m , bruxellen s is , qui cu rsu m philosophiae Lovan iae e x p le v it, e t m od o dat operam h um an ioribus, et vacat turi civili, a eta tis annorum vig in ti unius in circa , R om a e d eg en s, in d om o Q eorgii H u m ilia e V acch a e, ad signum aquilae n ig ra e, sub parrochia S an ctae M ariae in V allicella, qui, m ed io iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it, ad op portu n as in te r r o g a tio n e s:

    I l lunedì santo passato, se ben mi ricordo, stando io in camera con uno d. Marcello de Lorentii, quale era vicario di Caserta, et è prete da Messa (et starno insieme, ancora hoggi, in una medema camera, in casa del sodetto Giorgio) la matina del lunedì santo, il detto d. Marcello disse Messa nella Chiesa nova alla Vallicella, dove la suol dir spesso, et io li servii alla M essa: quale la disse senza impedimento alcuno.

    alla Vallicella, all’insegna de l’Aquila », f. 514. Si tratta con tutta probabilità della locanda ricordata in un documento del 1622, sotto il nome di altro conduttore : « Dominicus Cinus ad signum Aquilae, retro bancha », F. Cerasoli, Ricerche storiche intorno agli alberghi di Roma dal secolo XIV al XIX, in Studi e documenti di storia e diritto, X IV , 1893, p. 405. Diversa era la locanda all’ insegna dell’Aquila, presso i Bauilari, che ha lasciato il nome al vicolo ancora esistente, Gnoli, Alberghi ed osterie di Roma nella Rinascenza, cit., pp. 43-44. 1317 Sono i due testi successivi. 1318 Non sappiamo dare notizie supplementari di questo teste, originario di Bruxelles; il quale, probabilmente, era passato a Roma per compiere gli studi, in conseguenza delle critiche vicende dell’università dove aveva compiuto il « cursus philosophiae ». Si veda Léon Van ber Essen, Les tribulations de l’uni­ versité de Louvain pendant le dernier quart du XVIe siècle, in Bulletin de l’Insti­ tut historique belge de Rome, 2me fase., 1922, pp. 61-86. Nè si è potuto rintracciare il nome del padre, uno degli innumerevoli ufficiali minori del Farnese, nella vasta opera del V an der E ssen, Alexandre Farnèse prince de Parme, gouverneur général des Pays-Bas ( 1545-1592). Bruxelles, 1933-37, in 5 volumi. Infruttuose sono rimaste cortesi ricerche supplementari dell’ autore.

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    10 aprile 1597. [199] Giovanni Angelo Mombelii. f. 513

    155

    Tornato a casa, il detto d. Marcello et io con esso lui, il detto d. M ar­ cello cominciò a lamentarse, che l ’ haveva preso li dolori estremi del mal de fianco, et cominciò a gridare forte, et con voce alta, dicendomi : « Iacom o, mi moro », piangendo e lamentandose forte. E t diceva : « po­ tesse, almanco morire a casa mia » ; et io lo consolavo, meglio che potevo, dicendoli, che si conformasse con la volontà de D io. E t il detto d. Marcello si voltò alla [f. 513] Madonna, pregandola che l ’aggiutasse et lo succurresse. Dopoi, cominciorno li dolori ad agumentarse et crescere. Io , pensando di questa infermità, venni in pensiero del p. Filippo, dicendoli, che lo invocasse, sperando che li farebbe gratia, essendo noi, principalmente, sotto la protettione di questi reverendi padri. E t lo fece subbito, dicendo : « Beate Philippe, adiuva me » et lo disse fino a quattro volte, soggiungendo queste parole : « Beato Filippo, si come liberasti il nostro signore Clemente Ottavo dalla podagra et chira­ gra, potrete far a me, liberarmi da questo mal de fianchi». E t io li tenne detto, in questi sua dolori, chi sa? forse il Signore, per singolare inter­ cessione del beato Filippo, (sapendo anco, che li sarebbe concesso simil gratia, per invocatione della Madonna) nondimeno, per l ’ intercessione del beato F ilippo, Iddio mostrarebbe qualche buon effetto. Intanto, co­ minciorno a cessare li dolori, et mi disse, che io stesse un poco quieto, che si voleva reposare alquanto. E t si reposò, per spatio d’ un quarto d ’ hora, et, destato, disse : « sto buono, per Dio gratia ; non sento dolore alcuno. I l p. Filippo ha fatto miracolo : io voglio fa r, per questa gratia, un voto, tenendolo sempre per protettore ». Havendo promesso di pi­ gliare un quadro al vivo naturale del detto padre, et mandarlo a Napoli a sua madre ; il voto l ’ ha fatto, che io l ’ ho visto attaccato sopra il sepolcro del p. Filippo. E t questo lo so, per quello che ho detto, per esservi statto presente come di sopra. E t ad aliam in terroga tion em d i x i t : Io mi confesso ogni mese, et il confessore è il p. Flaminio Biccio ; et mi communico le quattro feste principali dell’ anno, ordina­ riamente, et qualche volta più spesso, l ’ ultima volta mi son communicato questa Pasqua de Besurrettione passata. E t quello che ho detto, l ’ ho detto per la verità.

    D IE IO V IS 10» M ENSIS A P K IL IS 1597

    [199] E xa m in a tu s fu it, R o m a e, in officio e t c ., p e r m e e tc ., Ioa n n es A n g e lu s M o m b e llu s,1319 filius P e tr i M o m b elii e t Catherinae coniug u m , de C a iro, A lb en sis d iocesis, in U rbe d eg en s, et in ordine subdiaconatus co n stitu tu s, et aetatis vigin tiqu in qu e in circa, habitans retro P a c e m , in d om o P e tr i P ed em o n ta n i, ad sign um F id e i, com m u ­ nicatus in die P alm aru m , die Io v is in Cena D o m in i, e t P a sc h a e: vid elicet die P alm aru m et in Cena D o m in i, in ecclesia S an ctae M ariae in V alliccila, praevia con fession e et recon cilia tion e p eccatoru m a

    1319 Altro non risulta di quanto il teste, originario di Cairo in Piemonte, dichiara di sè in questa intestazione. Suo confessore alla Chiesa Nuova era stato il p. Giulio Savioli.

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    156

    15 aprile 1597. [200] Pietro Pozzi, fi. 514-515 r e v .d o p . Iu lio in eadem ecclesia; e t , in die P asch a e, in capella G regoriana basilicae S an cti P e tr i, Sacram su m psit E u ch aristia m , fa c ta , p riu s, con fession e e t recon ciliation e cuidam paenitentiario [f. 514] ibi e x iste n ti, vid elicet in basilica S an cti P e tr i; e t solet ter in m en se confiteri et Sacram su m ere E u ch aristia m . Q u i, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad opportu n as in terroga tion es d i x i t :

    Io solevo andar spesso dal s.r Marcello, gentiluom o napolitano, prete da Messa, quale era vicario a Caserta, et habita qui, in questo vicolo, appresso alla Vallicella, a ll’ insegna de l ’ Aquila. E t, il lunedì santo, vi andai tra le quindici over sedici hore, et lo trovai, che stava vicino al foco, assentato, gridando et invocando la Madonna, che haveva dolori de fianco, et si lamentava molto. E t mi fece scaldare certe pezze, un cuscino, che certe altre salviette et panni, che se le mettevo al sto­ maco. E t vi era lì uno, che si chiama Iacomo (mi pare che sia flamingo) et è suo servitore, il quale li disse, che dovesse chiamare in sua prottetione il p. Filippo. E t così il detto d. Mauritio lo chiamò più volte, dicendo : « P . Filippo, adiuva me ; si come hai guarito il papa, mentre vivevi, così, con l ’aiuto et intercessione tua, ti cognosca in morte, in farine questa gratia ». E t poi si pose a letto, et lo coprimmo bene, et stava con un colore morto, et haveva li occhi gonfi fuor della testa. E t tornò a replicar: « B e a to Filippo, aggiutami » . E t stette un quarto d ’hora sopra letto, ma era più de quattro hore che stava con li dolori, et si sentì meglio, et domandò l ’orinale, et disse che Ί p. Filippo l ’ haveva fatto gratia, et orinò una orina molto negra, come questo mio man­ tello, et guarì afatto et promise de fare un voto, per ponerlo alla sepul­ tura del detto padre (non so se l ’ ha fatto) et, de lì a poco, orinò un’altra volta orina bona, et si levò dal letto guarito a fatto. E t venissimo alla chiesa della Vallicella, alla sepultura del beato Filippo, a ringraziarlo ; et un portinaro, chiamato Thadeo,1320 ci aprì la porta, dove sta il beato Filippo. D IE M A R T IS 15» A P R IL IS 1597

    [200] E xa m in a tu s f u it , R o m a e , u bi su pra , in officio e t c ., u t su pra , per m e , r e v .d u s d.n u s P e tr u s P u te u s ,1321 filius Ioa n n is A n to n ii P u te i, e t G osm an ae, con iu gu m , pan orm ita n u s, p r e sb ite r , aetatis annorum trigin ta quinque in circa , qu i, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad o p ­ p ortu n a s in terrog a tion es, d ix it :

    Bitrovandome io della Congregatione dell’ Oratorio, nella quale io entrai da quindici in sedici anni sono, che era laico secolare, et pigliai [f. 515] li quattro minori in Palermo da l’ arcivescovo di Palerm o,1322 1320 Taddeo Laudi, del quale è stata fatta memoria alla nota 603. 1321 Pietro Pozzi, palermitano, entrò in congregazione il 30 nov. 1581; fu mandato a Napoli nell’ottobre 1587 e ordinato nel marzo 1588; richiamato a Roma nel 1596 vi dimorò fino al 1600, quando tornò in patria, dov’era stata fondata, principalmente a sua opera, una comunità dell’Oratorio. Morì in Palermo, il 30 lu. 1624, M a r c i a n o , Memorie historiche della congregatione dell’Oratorio, cit., t. I I . Napoli, 1693, pp. 402-05. 1322 L ’arcivescovo Cesare Marulli, eletto I’l l sett. 1577 e morto il 12 nov. 1588.

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    15 aprile 1597. [200] Pietro Pozzi, ff. 515-516

    157

    havendo preso la prima tonsura a Napoli, il subdiaconato lo presi a Terni, il diaconato et sacerdotio lo presi a Napoli, dopoi che sono nella Congregatione, che credo saranno nove anni, che io pigliai il presbiterato ; et, dall’ hora in qua, ho celebrato ogni dì, se non è stato per infirmità o per viaggio fatto, et questa mattina ho celebrato. E t, da questo tempo, io cominciai a cognoscere il p. m.s Filippo, qui in Roma : qui alla Vallicella, il più del tempo ; et, per prima, circa due anni, a S. Hieronimo. E t l’ ho servito più volte, qui alla Vallicella, alla Messa, al servitio della camera, et aggiutare a dir l ’officio. E t andavo con lui per Roma, quando con il p. Antonio Gallonio, quando senza lui. E t il detto p. m.s Filippo, in quanto a me, era una persona de vita spirituale eminente, et che havesse pochi pari, così de preti seco­ lari, come persone religiose, per quello che ho possuto comprendere, per haver letti libri spirituali, quali trattano de Theologia mistica, come Giovanni Cassiano, Giovanni Climaco, le opere de Ludovico Blosio, vita de Santi Padri, Henrico de Suso, et Croniche di s. Francesco, et di s. Bonaventura, et altri libri ;1323 et osservato, tanto nel sentire sermoni, in chiesa nostra da padri, et altri predicatori fuori, et anco a ’ raggionamenti privati de persone spirituali, delle quali io havevo concetto, che intendessero et cambiassero per la via de perfettione. Cognosceva in detto p. m.s Filippo, un disprezzo grande, così de beni temporali, come de honori del mondo. Ho inteso, se ben mi ricordo, dall’ ill.m o s.r card, de Avignone, a ll’ hora, « in minoribus » , p. F ran ­ cesco Maria Tarusio, che, portando per essempio il poco conto, che Ί detto p. Filippo teneva della robba, che essendoli stata fatta una donatione, overo legato per testamento, de molti centinara di scudi, che, della scrittura fatta sopra di questo, ne coprì un barattolo di mostarda, et non ne fece mai conto,1324 che mi pare, che poteva, per quella scrit­ tura, esser investito. Era detto p. Filippo di profonda oratione, et spendeva molte hore del giorno in simil essercitio. E t ho inteso, da persona degna de fede, [f. 516] che l ’ istesso beato padre, che, ogni hora che havesse voluto andare in estasi, l ’ haveria potuto fare, ma di questo ne teneva poco conto : et questo era (et credo sia vivo) un sacerdote, nominato Antonio Carli aquilano, che è religioso di questi padri Bernabiti,1325 il quale

    1323 J libri indicati dal teste erano familiari agli oratoriani, poiché risul­ tano anche tra quelli trovati nelle stanze di F ., secondo il più volte citato « In­ ventarium bonorum ». 1324 Si tratta del rilevante legato di Costanzo Tassoni, come già detto alla nota 96. 1325 Giacomo Antonio Carli, nobile de L ’Aquila, servì qualche tempo nella corte rom ana; penitente di F ., era già in congregazione il 22 sett. 1582, come novizio. Accompagnò il Tarugi a Napoli nel 1584 e, ancora, nel febbraio 1586, per la fondazione stabile. Tornato a Roma nel 1587, tenne frequenti sermoni all’ Oratorio e fu fatto maestro dei novizi ; ma, il 22 apr. 1588, lasciò il sodalizio filippino, per passare tra i barnabiti, B o r d e t - P o n n e l l e , p. 309 (vers, ital., 298). Si ricorda iter qualche scritto, cod. Vat. lat. 9265, ff. 570 v, 571 v ; ma si adoperò, specialmente, nella fondazione di case o collegi, a Pisa, a L ’Aquila e a Milano, e morì in patria il 10 mar. 1631, G i u s e p p e B o f f i t o , barn., Scrittori OarnaOiti o della congregazione dei Chierici regolari di San Paolo (1533-1933) : Olografia, bibliografia, iconografia, v. I . Firenze, L . S. Olschki, 1933, pp. 412-13.

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    158

    15 aprile 1597. [200] Pietro Pozzi, ff. 516-517

    mi ha ricordato molte cose de perfettione del detto p. Filippo, de quali non mi ricordo. È stato tenuto communemente, come fermissimamente credo, per vergine, et zelantissimo della purità, così in sè, come con tutti quelli che lui praticava. È stato tenuto anco humilissimo, et, havendo molte gratie partico­ lari da D io, a hello studio et « ex industria », ha procurato di fare atti contrarii, per non esser cognosciuto di ta li doni. È stato tenuto, ancora, per homo singolare nel dono della discretione delli spiriti, o sia prudentia spirituale, nello indrizzare, per le proprie vie, li figli suoi spirituali, o coloro che trattavano con esso, E stato havuto, ancora, per homo de grandissima charità, così nelle cose spirituali, come temporali, così, per aggiuto delle anime, come del corpo ; et, dove vedeva di poter giovare, non perdona a fatiga, spesa et scommodarse, come ho inteso da persone che ha fatto simil charità. Per ordinario, haveva una motione di cuore, la quale portò per molti anni, et ho inteso, che fu tenuto per cosa sopranaturale ; et che, se havesse stata cosa naturale, non haveria potuto vivere per molto tempo. E t quando voleva far qualche carezze a particolare, pigliava la testa di quella persona, se l’appoggiava al petto, et si sentiva particolare conso­ latione et gusto di questo atto : et questo l ’ ho provato io, nella persona mia. E t così, ancora, ho sentito aggiuto et consolatione, nel raccommandarme alle sue orationi, assente, mentalmente. Così, anco, ne l’ haver fatto oratione alla sua sepultura, alla quale sono andato a posta, per sentire consolatione et aggiuto, et non son stato fraudato. Tra le altre cose, ho osservato, et visto osservare, et inteso che altri ha osservato, che, dicendo Messa, il detto p. Filippo haveva certi tremori et halli, quali sono tenuti effetti di spirito, et, particolarmente quando era nel Canone, cercava di spedirsene quanto prima, per timore de non restare in estasi et cercava di divertire, come faceva sempre nel dir Messa, [f. 517] che pareva sempre fosse in estasi, et non sapesse dir Messa. I l medemo faceva nel far oratione. È stato tenuto per homo, che havesse revelatione, particolarmente, per aggiuto dei suoi figlioli spirituali, così per necessità spirituale, come corporale, et me ne sono stati raccontati alcuni fatti, delli quali molti me ne sono scordati. E t uno, tra li altri, è de una mad.a F iore,1326 sua figliola spirituale, che, essendo ingrossato il fiume, si era quasi redotta a non poter andar più in su, per fugir il fiume. I l padre la mandò a visitare et portare del pane, per sovvenirla : questa donna è viva, et sta in Napoli, et pratica alla chiesa nostra.

    132 0 Fiora Ragni, di Firmignano, in provincia ora di Pesaro e Urbino, venne giovane a Roma al tempo di Paolo II I ; abitò in vari luoghi « et particolarmente vicino la chiesa di San Geronimo de la Charità appresso Corte Savella » e durante il pontificato di Giulio I I I conobbe F ., restandone quotidiana penitente per sei anni. Con Lucrezia Animuccia, « una Madonna Antonina non so lo cognome » e due altre donne di nome non ricordato, veniva da lui mandata « alli Orfanelli di Roma » in piazza Capranica, per esercitare opera caritatevole. A l tempo della creazione di Pio IV , dicembre 1559, passò a Napoli. Depose in questa città, per rogatoria, il 16 apr. 1597, ai Girolamini, dichiarando di abitare « in Platea nuncupata la Strada del Sole prope cathedralem ecclesiam Neap, in domibus d.ne Çatberinae

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    15 aprile 1597. [200] Pietro Pozzi, ff. 517-518

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    M i ritrovai, nella casa della Vallicella, circa dodici anni sonno, che una inatina, essendo andato il p. Antonio Galloni©, per aprire le fine­ stre della camera, dove dormiva il p. Filippo, come soleva fare, a buon’hora, et non facendo moto il beato padre di vestirse, aspettò, insiti che fosse ben giorno, pensando, o che continovasse di fare ora­ tione, o che havesse patito la notte et volesse stare nel letto. E t en­ trando la seconda volta, aprì le fenestre, et trovò, che Ί padre non parlava, nè sentiva. E t, dubitando il p. Antonio che fosse morto, chiamò molti de padri, i quali lo trovorno nel medemo modo, et io vi andai ancora. E t, cognoscendo, per alcuni segni, che era vivo, si risolsero darli l ’ Estrem a Ontione, non essendo capace de altro sacramento. Li padri che concorsero forno il Tarusio, hora cardinale, il Bordino, vescovo di Cavaglione, il p. Germanico, se ben mi ricordo, il p. Antonio, et molti altri, che non mi ricordo, per adesso. I l Bordino diede l ’ Estrema Ontione, se ben me recordo. Mentre si faceva questo atto della Estrema Ontione, sendo stati chiamati li medici, vennero m .s Theseo chirurgo et m .s Michel Mercato phisico, et il chirurgo li diede uno o doi bottoni di foco in testa, nè, per questo, il padre retornò. M a, dicendo uno de padri (non mi ricordo chi fu sse : mi pare che fosse il Bordino) quale d isse: «cre d o , cre d o », il padre, svegliato, disse, con voce libera: « c h e : “ credo, cred o” ?». Havendo, per prima, detto il M ercati: « s e viverà, serà un homo inutile della persona, almanco della mità » ; et mi pare che dicesse particolarmente della lingua, giudicandolo per male di poplesia. E t, havendoli fatte, per prima, certe viscicatorie alle spalle, quando si svegliò, il padre, li parve strano trovarse tanti remedii atorno, ma sopportò ogni cosa con molta patientia et modestia. E t restò li­ bero, senza alcun impedimen-[f. 518] to di alcuna parte del corpo, se non de li medicamenti. E t essendo stato detto da alcuni, che erano lì presenti, al padre: « v o i havete havuto ... » , rispose il padre: « n o n ho havuto altro male, se non quello che mi havete fatto voi » . E t, havendoli il Mercato ordinato un siroppo solutivo, fece pochissima ope­ ratione, et non fu visto inditio di materia, che havesse potuto causar questo male : il qual siroppo il padre lo prese, doppo che fu rivenuto. Ho inteso, che il p. Filippo haveva detto, prima che succedesse questo caso : « una matina, me troverete mortQ ». E t habbiamo, alcuni, pensato, che lo dicesse che, occorrendoli haver qualche estasi, come credemo

    de Rogerio », Archivio dei Padri dell’ Oratorio di Roma, A . IV . 15, ff. 594 v-595 v. Il suo necrologio, trascritto nel volume A . I I I . 39, f. 96, dell’Archivio stesso, porta : « Giovedì S.t0 a 27 di marzo 1603 a 15 here. Madonna Fiore Ragni di Urbino, di età d’ anni 75 in circa passò a miglior vita, fu sepolta in chiesa n .ra nella tomba sotto l’arco di S. Cosmo con cassa etc. requiescat in pace. Amen ». Rimangono due lettere di F. a lei dirette in Napoli, il 27 giu. 1572 e 15 apr. 1580 (autografo della prima conservato nella sacrestia della chiesa dei Girolamini) ; B o r d e t - P o n n e l ì ,e, pp. I jV I, 141 e n. 2 (vers, ita!., x l v i i i , 136 e n. 3). I biografi antichi tacciono di F lora; ma ne scrive il M a r c i a n o , Memorie Mstoriche della congregazione dell’Ora­ torio, t. I , cit., pp. 34-35. Malamente il M a n n i , Ragionamenti sulla vita di s. F. N. fiorentino, cit., congettura che fosse parente di lui, come se il cognome fosse stato alterato, da Tregui, Trevi. L ’ inondazione del Tevere ricordata dal teste si può pensare sia stata quella del 15-16 sett. 1557 ; sulla quale, la nota 660, e inoltre, B rioschi, Le inondazioni del Tevere in Roma, cit., p. 18.

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    160

    15 aprile 1597. [200] Pietro Pozzi, ff. 518-519

    fosse suo ordinario, per l ’ humiltà sua l’attribuisse alla infirmità. E t tennemo, alcuni, che fosse errore farli alcuno medicamento, mentre stette così, che non parlava, nè sentiva. Ritrovandomi io in Palermo, Panno passato, del mese di febraro, overo al principio di marzo, havevamo in casa un servitore, chiamato Antonio Maria M artinelli, marchi­ giano o romagnolo, qual ci serviva per cuoco, il quale si amalo gravis­ simamente. E t haveva, ad una certa hora determinata, un accidente di freddo, per un’ hora incirca, che tremava grandemente, et bisognava coprirlo con molti panni. D i poi, subintrava una gran febre a caldo, et li dava grandissima sete, et ardore interno nel petto, et si dubitava grandemente, dal medico, della vita sua, non havendo migliorato, con una medicina, che li era stata data. E t noi di casa credevamo dovesse morire, per la grandezza del male, et, cognoscendosi l’ infermo dell’ istesso pericolo, essendo solito confessarsi ogni otto giorni, fece una confessione come generale, in una o, forse, più volte, che non mi ricordo. Una matina, stando questo servitore nell’ istesso pericolo et lamentandosi grandemente della passione della sete, mi sovvenne, che io havevo certi capelli della santa memoria del p. Filippo, et, pensando fra me li mira­ coli che havevan fatto le relique di detto beato padre, mosso, per scrupolo di conscientia, a provare questo remedio, acciò che Ί detto servitore non morisse, senza haverci fatto questo aggiuto, raccontai a ll’amalato alcuni miracoli successi in Roma, et pigliò le reliquie con molta devo­ tione. Questa istessa matina, che se aspettava l’accidente del freddo et febre a caldo, secondo l ’ ordinario, havendose l ’ammalato messe le reli­ quie sopra il petto, mi disse haver sentito smorzarsi quel calore et sete. E t, il giorno, venendo poi il medico, havendoli detto io, che l’ammalato era guarito, [f. 519] et che non Pera preso nè freddo nè febre, rispose il medico : « poca cosa sarà stato ». Ma io credo, veramente, che lui fosse in tutto libero dal male, non havendosi visto segno di freddo, che non si coprì, nè segno di calore febrile, per quanto mi posso ricordare ; et che fossero parole dette dal medico, per tenerse al sicuro. E l ’ammalato fu libero, che non li tornò più nè freddo nè caldo ; et se vede certissima­ mente, che fu miracolo, perchè non ci fu nessuno aggiuto della natura, nè per via de sudore, nè per urina, nè uscita de corpo, nè medicina, et hebbe brevissima convalescentia.1327 E t, in questo caso, io ne posso render conto, havendo avuto cura, molti anni, delli infermi della Con­ gregatione nostra di Napoli et, così li medici, come li altri di casa, dicevano che io ero esperto nel governare li ammalati, et cognoscere la febre, et accidenti, et li tempi quando sogliono venire, ci sonno, et son partiti. Mi occorre dirvi, ancora, che, alli giorni passati, io ricevei una let­ tera del s.r Marcantonio de Santis, mercante napolitano, mio amico de molti anni, nella quale mi racconta l ’ infermità, che ha havuto lui, la moglie, tre figlioli (un maschio et doi femine) et alcuni servitori di casa sua, tutti in un tempo, in questo modo : « L ’ infirmità mia è stata tale, che, humanamente, io doveva morire. Non solo io, ma mia moglie, Fabritio mio figlio et due altre figliole, oltre molti altri di casa mia,

    1327 II fatto è riportato dal Gallonio, Vita lat., p. 253.

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    15 aprile 1597. [200] Pietro Pozzi, ff. 519-520

    161

    che, tu tti in un medemo tempo, fummo travagliati tanto gravemente, che molti medici et li più principali della città, che venivano a gover­ narci, feceno gran caso de tu tti, ma, respetto a me, davano spedito. Ohe sia, poi, sanato io et tu tti, per la Dio gratia, senza danno de nissuno, per me, non me ne maraviglio niente, poiché l ’aiuto spirituale, per bontà de molti boni spiriti amici, è stato qua, costì, et in Palermo, dove fu la nova, con una felluca alla larga, che gionse in ventiquattro hore. E t da tutti li amici fu fatta la charità, che nostro Signore, alle preghiere di tanti boni animi, non ha possuto mancare della sua solita misericordia, con tutte le perfettioni. Dicolo perchè, in quattro giorni, tutti siamo restorati, di modo, che non pare che mai, nissuno di noi, habbi havuto male. Nè lasciarò de dirvi, come, nel dì decimo quarto della mia infermità, fui del tutto disperato, et il p. Antonio, [f. 520] nostro me fece gratia ponermi nel collo un breve, dove sonno alcune relliquie del beato Filippo, al quale me raccommandai tutta quella notte, et, il giorno sequente, li medici mi diedero per sano, senza nissun pericolo. Che, però, ho mandato la mia tavoletta, in segno della gratia receputa, et prego la paternità sua, che, alle volte, me faccia gratia dirli un “ Pater n oster” per me ». Séquita la detta lettera altre cause, come di rengratiamenti, et raccomandatione, et un negotio de farli recuperare alcuni denari in Sicilia et Palermo. La data della lettera è de N apoli, li 14 di marzo 1597, sottoscritta et scritta di propria mano di detto s.r Marcantonio de Santi, et io la cognosco che è man sua. E t, in oltre, mi sovviene di dirve, che, ritrovandone io a Napoli, del mese di agosto Ρ settembre, l ’anno del ’ 96, mi disse il rev.do Ottavio Eusitano, napolitano, sacerdote seculare, che, stando esso s.r Ottavio gravissimamente ammalato, più vicino alla morte che alla vita, et cre­ devano li altri, tanto medici come altre persone, che dovesse morire, uno della nostra Congregatione di Napoli haveva certi capelli del beato p. Filippo, et li tagliò minutamente con le forbice, et gliene diede in un bichieri, o con acqua, o con brodo, a bevere. E t, dall’ hora in poi, stette, de mano in mano, bene, et mi disse haver recuperato la sanità miracolosamente, per merito del beato padre ; et così ha détto a molti altri, che me l ’ hanno referito a me ; et gli resta con grandissima devo­ tione et afEettione, et lo tiene per beato.1328 M i ricordo ancora (credo che Ί s.r card. d’ Avignone che me l ’habbia detto, mentre era d. Francesco Maria Tarusio) credo fosse la sera, di notte, che successe il fatto, che il beato p. Filippo disse a esso Tarusio, o vero a un altro, che andasse presto da un certo messer tale, che non mi ricordo del nome. E t li faceva instantia, che andasse presto : mi pare che disse che stava in bisogno grande. E t così andò et trovò quel tale : mi pare, che dicesse, che stava agonizando.1329 E t il Tarusio me lo riferì, a questo fine, che il p. Filippo non haveva potuto saper questo

    1328 Anche questo risanamento è raccontato dal Gallonio, Vita lat., p. 255. Il quale informa che Ottavio Rositano, entrato nella congregazione dell’Oratorio, viveva ancora. Il B acci, 1. V I, c. 2, nn. 11-12, aggiunge qualche particolare e narra un secondo risanamento. 1329 h fatto stesso, riferito dal teste con parecchie incertezze, è narrato, a quanto pare, dal Gallonio, V ita lat., pp. 90-91, come occorso al Tarugi, nel 1559. 11

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    162

    23 aprile 1597. [201] Donato Roncalli, f. 521

    per altra strada, che per revelatione, essendo che fosse suo figliolo spirituale, o molto suo amico stretto, et che Iddio l’ haveva mostrato questo, acciò che l’aggiutasse in tal bisogno. M i occorre ancora di dire, che capitai nelle mani del detto "beato padre di età di venti o ventun anni, ero secolare, et molto male habituate, et involuto in molti peccati. E t havendomi il detto padre preso in protettione, a volerme aggiutare, mi soleva dare, fra li altri remedii, che, quando mi venisse tal tenta­ ta n e , dovesse dire : « horsù, lo voglio dire a quel porco et a quella bestia di Filippo ». E t io, [f. 521] se bene sentivo mortificatione a farlo, per la reverentia, che li portavo, per la fede, che haveva al remedio, me ne serviva, quando me venivano dette tentationi. E t confesso haverne sentito notabilissimo giovamento, in modo che, alle volte, in dir questo una o doi volte, me se partiva a fatto la tentatione ; et sentiva giova­ mento di questo remedio, come de altro essercitio spirituale che me facesse. E t era, anco, tanto la veneratione, che io li portavo, che immaginarme solo la sua presentia, et haverli da dire quel che me passava per la mente, che le tentationi subito me si passavano. E t havevo opi­ nione, et così credo certo, che questo venisse dalla humiltà sua in disprezzarsi tanto ; et che Dio mi facesse molte misericordie, per l’ oratione et amor suo, et credevo che Iddio li mostrasse li mia bisogni et interno della mia conscientia. E t questo per quattro o cinque anni, mentre son stato in Roma : poi, sono andato alla casa de Napoli, che è della istessa Congregatione. E t questo è quanto mi occorre.

    D IE M E R C U R II 23» M E N S IS A P R IL IS 1597

    [201] E xa m in a tu s f u it , R o m a e, in officio m ei e t c ., u t su pra , m agnificus d .n u s D on a tu s R on caliu s1330 filius q. Ioa n n is A n to n ii R on ca la et F ran ciscae de In c o n tr iis, de oppido R ip e M arancii, V olateranae dioc e sis, i. u. d ., aetatis annorum quinquaginta in circa, qui, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it :

    Sono ventidoi anni et più, che io sono in Roma, et mi soglio confes­ sare et communicare sei volte l’anno almanco : la Pasqua de Resurrettione, della Pentecoste, la Madonna de agosto, di settembre, ogni Santi et Natale ; et l’ ultima volta è stata questa Pasqua, in la parrochia dove

    Ma la persona visitata in morte, per l’ avviso chiaroveggente, fu secondo il biografo una pia donna, penitente di F. ; la quale serviva alle inferme nell’ospe­ dale di S. Giacomo degli Incurabili. 1330 Donato Roncalli, fratello maggiore del pittore Cristoforo, che comparve come teste qualche giorno dopo (203). Si trova che nel dicembre 1602 ì due fratelli, nati in Pomarance da famiglia originaria bergamasca, furono ammessi alla citta­ dinanza volterrana. Nel testo della deliberazione pare siano indicati entrambi quali « pittori celebratissimi delle Pomarance », A n t o n i o F i l i p p o G i a c h i , Saggio

    di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra dalla sua prima origine fino ai nostri tempi, [pt. I I ] . In Siena, L. e B . Bindi, 1796, p. 201 n. 1. Si tratta

    probabilmente di equivoco, perchè Donato non è conosciuto come pittore, per opere rimaste. Il G a l l e t t i trascrisse la sua nota di sepoltura, da libri di S. Ste­ fano del Cacco : « 1616. 4 ian. Donatus Roncallius, i. u. d ., senensis. Sep. in loco a fratre suo delecto. L X V III ». eod. Vat. lat. 7875, f . 183.

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    23 aprile 1597. [201] Donato Roncalli, ff. 521-522



    163

    sto, a Santo Stefano del caccho.1331 E t dirrò a vostra signoria succinta­ mente il fatto, che è questo. Che venerdì matina, alli 8 del presente mese d’aprile, fu battuto alla nostra porta, a hon hora, che dovevano essere diece hore, che io ero nel letto. E t, doppo che fui levato, domandai a Christophoro, mio fratello, chi haveva battuto alla porta, così a hon hora. M i rispose, che era stato uno, mandato da Alessandro Presciati,1332 che voleva, che Christophoro, mio fratello, andasse a casa sua, che Ί suo putto era m orto: credo, per retrario, che mio fratello è pittore. E t restammo maravigliati, come fosse stato così presto, subbito, perchè la sera, o la sera innanti, se ne era raggionato : che io ne domandavo spesso, per esser mio figliano, che l ’havevo tenuto a ’ hattesmo la prima domenica di quaresima. E t mio fratello disse : « se è morto, che voi che ci facci? ». E t ci mandò la serva, che si domanda mad.a M arta. E t mi venne in pensiero, che, forse, fosse stato soffocato la notte, et mi racordai, da nie stesso, della santa memoria del [f. 522] p. Filippo, che, sì come ne haveva resuscitato un altro, mentre viveva: del quale mio fratello ne haveva fatto un quadro, per il miracolo fatto dal p. F ilip p o.1333 E t, de lì a mezza hora in circa, ritornò la serva, et io li dimandai, che ne era del figliolo. E t disse, che non era morto, ma che non poteva campare, et che l’ havevano dato un bottone di fuoco ; et che haveva havuto l’ enfantigliole et non poteva campare. E t, udito io che non era morto, con tutto il cuore, lo raccomandai al detto p. Filippo, che pregasse Idio per il putto, et che li voleva fare un voto. E t, de lì a un’altra mezza hora, venne il padre, Alessandro, tutto afflitto, pian­ gendo s c o n s o la i. E t, domandandoli del putto, mi disse, che non era ancor morto, etiche non poteva campare et che havevano fatto fare la vesta, et la ghirlanda, et cassetta per seppellirlo. E t io li disse, che non dubitasse, che pregasse Iddio, et che io l’ havevo raccommandato, et, se campava, bisognava portare un voto al p. Filippo. E t poi vi andò mio fratello, et retornò a hora di pranzo, et disse, che ancora viveva. E t, la domenica matina, su l ’hora del pranzo, fu portato il putto in casa mia, con la ghirlanda, che l ’havevano fatta, et la vesticciola, fatta per seppellirlo, secondo dicevano, et stava bene. E t Christoforo, mio fratello, disse, che la veste bisognava portarla alla sepultura del p. Filippo, con una tavoletta o argento, per la gratia ricevuta. Ho inteso, da A les­

    1331 Chiesa medievale, anticamente nominata « d e pinea», perchè al centro di questo rione; il nome più recente, da un cinocefalo egizio di granito che si vedeva dinanzi alla porta della chiesa dal see. xiv in poi, H u e l s e n , p . 481; A r m e i .l i n i - C e c c h e l i . i , pp. 572-73, 1454-55. 1332 Teste successivo, nel giorno stesso. 1333 j i riferimento è certamente alla famosa risurrezione di Paolo Massimo, avvenuta nel 1583. Risulta che il p. Francesco Zazzara pagò, il 24 die. 1596, a Cristoforo Roncalli scudi 25, « dati dal s.r Fabrizio de’ Massimi », « per il quadro del putto risuscitato », che era destinato alla stanza-cappella di F ., andata poi distrutta dall’incendio : si veda la nota 1419. A l Pomarancio s’ attribuisce anche il quadro con lo stesso soggetto, che si trova ora sull’ altare in fondo alla cappel­ lina domestica del palazzo Massimo, stata un tempo camera dell’adolescente, M a r i a n i , Il palazzo Massimo alle Colonne, cit., p. 95; e L a i s , Terzo centenario del miracolo di s. F. N. al palazzo Massimo, cit., p. 15. Ma non si conosce la data di quest’opera. Il pittore, infine, affigurò quel miracolo nella serie dei quadri incastrati nelle mura della cappella di san Filippo, costruita negli anni 1600-1602, alla Chiesa Nuova, S t r o n g , pp. 85-86.

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    164

    23 aprile 1597. [202] Alessandro Presciati, ff. 522-523

    sandro, suo padre, che il medico se ne maravigliava, dello guarimento del putto. Questo settembre passato, essendo il sodetto Alessandro ammalato, io lo raccomandai al medemo p. Filippo, et guarì. E t io li disse, che portasse il voto, e non l’ ha anco portato : dice bene volercelo portare, quando haverà commodità. E t non so altro di quanto ho detto di sopra.

    E A D E M D IE 23a A P R IL IS 1597

    [202] E xa m in a tu s fu it, R o m a e, in officio uhi su pra, p er m e e t c ., u t su pra, d.n u s A lexa n d er P ersia tu s , 133i filius q. Ioa n n is M ariae P ersia ti et D ian orae Cam arghae, rom a n u s, aetatis annorum vigin tidu orum in circa, p ic to r in U rb e, et R eg ion e P a vion is, solitu s confiteri, quolibet a n n o, se x vel sep ties in a n n o, in P asch ate p ra eterito , qui, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it, u t seq u itu r, v id e lic e t:

    Io ho un p utto,1 1335 quale nacque ei dì de carnevale passato, et fu 4 3 battezzato, a S. Lorenzo in Damaso, [f. 523] la prima domenica de quaresima. Venerdì passato, a mezza notte, su le sei hore et mezza, ci accorgessimo, io et mia moglie, che questo putto stava male, essendo, la sera, stato benissimo et io mi levai, et andai a chiamare il barbieri m .s Pietro Pavolo Granis1336 (che sta alli Cesarmi, attaccato a m .s Mario Geroni, sotto le stantie de Crescentii) 1337 et venne : che mia madre mi haveva detto, che bissognava darli un bottone di foco, et che si facesse presto, et mia cognata Artim itia, che era restata lì la sera. E t, essendo venuto il barbiero, come ho detto, li diede un bottone di fuoco, del quale il putto se ne sentì pochissimo, havendo già perso la voce, et andava peggiorando sempre, et li pigliava alcuni accidenti, che lo faceva venir livido : et erano tanto grandi questi accidenti, che lo lasciavano per morto. In questo, mandai a chiamare m .s Christophoro Roncalli, pittore, che, di gratia venisse lì, pensando, che Ί putto fosse morto.

    1334 Alessandro Presciati (Prezzati, Preziati, con forme volgari varianti di questo cognome ; un « Persiatus », anche in iscrizione latina del 1591, F orcella, V. V II, p. 344, n. 740) non risulta noto quale pittore, nè altrimenti. Dai necrologi di due figli (cf. nota seg.) pare vivesse ancora nel 1642. 1335 h « putto » tenuto per morto e risanato, al quale si riferiscono princi­ palmente le deposizioni 201-204, si chiamava Francesco, f. 526; e sopravvìsse a lungo, come risulta dalla nota di sepoltura trascritta nel Galletti, da libri di S. Maria in Grottapinta. « 1642. 16 iulii. Sep. Franciscus Alexandri de Prezzatis rom. ann. circ. 45. X X X I », cod. Vat. lat. 7880, f. 6 (nel cod. stesso, f. 1, un’altra nota, in data 22 genn. 1642, si riferisce al fratello, «Albertus d. Alexandri Prez­ zati », di 40 anni circa, sepolto in S. Maria sopra Minerva). 1336 h quale comparve a deporre il 30 apr. 1597 (204). 1337 h barbiere dichiarò di abitare « in via prope ecclesiam Iesu Societatis Iesu », f . 526 ; e la strada dei Oesarini era appunto il tratto da piazza del Gesù a via di Torre Argentina (ora parte del corso Vittorio Emanuele), P ietro R omano [P ietro Fornari], Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, cit., p. 136; e derivava il nome dalle case di quella prosapia, esistenti nella zona dal see. x ii, T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, p. 173. Le « stantie de Crescentij » non corrispon­ dono dunque ai noti palazzi di questa famiglia presso S. Eustachio, ma ad altra casa posseduta. Alcuni Crescenzi ebbero, del resto, sepoltura nel tempio Farneslano.

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    23 aprile 1597. [202] Alessandro Presciati, ff. 523-524

    165

    E t, in nel medemo tempo, mandai m .s. Giovan Giacomo B o r e lli,1338 mio cognato, a pigliar un palmo et mezzo di taffettà bianco, per far la veste a detto mio figliolo, quale io tenevo per morto. In questo mentre, m .s Christoforo et m .s Donato, fratelli, mandorno la serva da me. E t, nel medemo tempo, venne Pietro, falegname alli Cesarini, per pigliar la misura, per far la cassetta al corpo de] putto. E t, preso che hebbe la misura del corpo, et arrivata la serva de m .s Donato, il puttino revenne, et, stando tutta allegra, si partì, per portar la nova a m .s D o ­ nato. E t, de lì a quasi mezza hora, il putto li venne un accidente grande, et morse, che deventò freddo tutto, senza fiatare, et abbandonato le mani et piedi, come morto : et per morto lo tenevamo tutti ; intanto, una mia sorella stellava la veste, per portarlo alla sepultura. E t stette così circa un quarto d’ hora, et il putto cominciò ad aprire la bocca, come spirasse di novo, et tutti cominciorno a dire : « è vivo, è vivo » ; et questo lo fece da tre volte. E t, doppo il putto comenzò a raschiare, che se sentiva il catarro alla gola, et lui si sforzava di schiarare. La madre subito cominciò a porsi del latte in mano, e lo pose alla bocca, et il putto lo teneva, come quando uno sta in transito, che non voi ricevere cosa alcuna, ma lo teneva così come li era dato. In tanto, che io, per dolore, mi partii, et andai da m.s Donato, mio compare, quale è patrino del putto. E t mi dimandò subbito del putto ; io li disse, che non ci era più remedio ; et lui mi disse : « non dubitare : ho speranza, che non morerà più ; et, se campa, voglio che tu facci un voto, perchè io l’ ho votato al p. Filippo » ; et mi replicò, dicendo : « ho speranza, che non morerà più », et lo replicò doi o tre volte. E t, de lì a poco, me ne ritornai a casa, et trovai, che le donne [f. 524] stavano al foco, con il putto, scal­ dandoli li panni, et li davano del latte in bocca, a poco a poco, et il putto era ritornato, et li era ritornato il colore, et li venivano li acci­ denti, ma non così grandi, che ne vennero da cinque o sei volte. E t mi venne fantasia di chiamare il medico ; et lassai che venisse, perchè non lo trovai in casa (che è m .s Thomaso Condopoli, a S. Salvatore delle Copelle) 1339 et venne su le ventun’ hore, et trovò il putto con una gran febre, et non sapeva quello che ci fare, per esser così piccolo, et lo teneva per spedito, et li ordinò una ontione alla schina, et certo mitridato, et una supposta, et certe herbe, per tenerle al collo, e fu fatto il tutto. La sera, su I’ « Ave Maria » sonata, il putto si attaccò alla zinna della madre, et cominciò a zinnare, come se non havesse bavuto male, havendoli la madre, per prima, poste le zinne et non ne voleva. La matina, tornò il medico, che pensava trovarlo morto, et si maravigliò, che fosse vivo et, dall’ hora in qua, sempre stato bene, come se non havesse havuto mai male. E t m.s Donato sempre mi ha tenuto detto, che biso­

    1338 1339

    Costui era sarto, e abitava « alla Valle », f. 524. S. Salvatore delle Coppelle, chiesa medievale nel rione S. Eustachio, eretta nel 1195, e che conserva il campanile dell’ epoca; il cognome presente è noto solo ai cataloghi del see. xvi, e si ritiene derivato da botteghe, site nelle vicinanze, di fabbricanti e venditori di coppelle o barili, H uelsen, pp. 436-37; A rmellini-Cecchelli, pp. 539-40. Il medico Tommaso Condopoli appare solo in questa deposizione, e non risulta altrimenti noto. Per questo cognome di origine greca, passato nella toponoma­ stica, G noli , Topografia e toponomastica di Roma, pp. 82-83.

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    166

    26 aprile 1597. [203] Cristoforo Roncalli, f. 521

    gnava portar il voto et la veste al sepolcro del p. Filippo : havendo visto il putto, che lo feci portare dalla madre de mia moglie, domenica passata. E t il voto lo voglio portare, che m .s Donato dice, che ce voi fare certi versi. E t questo tengo che sia stato miracolo del p. Filippo, per intercessione sua, havuto da Nostro Signore. E t tanto più mi confermo in questo, che, questa state, del mese de giugno passato, io mi ammalai et stetti male tre mesi longi, et per passare dall’altra vita, che ero uscito di me, et li medici ne havevano cattiva speranza (che era il Condopoli et il Padovano).1340 M i raccomandai al detto p. Filippo, più et più volte, et, per sua intercessione, guarii. Che ho promesso de fare un voto d ’argento, che ho dato l’ ordine si faccia, per la gratia ricevuta. E t questo è quanto mi occorre.

    D IE S A B B A T I 26* A P R IL IS 1597

    [203] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in officio e t c ., u M su pra , p er m e e t c ., u t su pra, d.n u s C ristoph oru s R o n ca liu s,1341 filius q. Ioa n n is A n to n ii R o n ca la et q. d.nae F ran ciscae In c o n tr i R on calia e, con iu gu m , de L e P om aran cie, V olateranae d iocesis, aetatis annorum quadragintatriu m in circa, p ic to r , qui, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad o p p o r­ tunas in terrog a tion es, d ix it :

    Venerdì, che fu hieri matina fece otto giorni, su le dieci hore, sentendo io batter la porta di casa, che sto a San Giovanni della P ign a,1342 sotto la parrocchia di S. Stefano del Cacco, mi affacciai a domandare chi era. E t era un fattorino de un sartore, m .s Giacomo Borelli, che sta alla V alle, e disse : « mio mastro mi manda qua a dire, da parte de m.s Alesandro Presciati, suo cognato, che andiate

    1340 L ’ultimo fu anche medico di Fausta Capizucchi, moglie di Domizio Cecchini, f. 1020. Assai noto, come appare, al suo tempo, si può ora proporre congetturalmente d’ identificarlo con Guglielmo Padovano, medico eccellente, che diede un consulto scritto per un’epidemia propagatasi in Roma nel 1580, Marini, V. I, p. 453. 1341 Cristoforo, o Cristofano, Roncalli, soprannominato dal luogo di nascita il Pomarancio (come il suo maestro Niccolò Circignani) lavorò molto a Roma, nelle Marche, specialmente a Loreto, e altrove, V enturi, Storia dell’arte italiana. IX. La pittura del cinquecento, pt. VII, cit., pp. 787-99. Sono state già ricordate le sue « storiette de’ miracoli », nove quadri eseguiti per la cappella di s. Filippo alla Chiesa Nuova, Strong, pp. 84-86. Si attribuisce a lui un ritratto, fortemente realistico, dì s. Filippo, conservato nella Pinacoteca dei Girolamini di Napoli; riprodotto da Bordet-Ponnexle, al principio del libro, e ef. pp. 70-71 (vers, ital., 68-69) ; e, inoltre, comunemente il ritratto in berretta, con la corona in mano e volto di tre quarti a sinistra. Ebbe relazioni con altri personaggi oratoriani e del processo, Cesare Baronio, Alessandro Giusti, i fratelli Crescenzi, ai quali insegnò a disegnare e dipingere ; e fu stimato « virtuoso, honorato, da bene, e timoroso di Dio », B aglioni, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, cit., pp. 288-292 [inesattamente, per 188-192], Il suo necrologio è trascritto nel Galletti. da libri di S. Stefano del Cacco : « 1626. 14 mali f Cristophorus Pomiranci florentinus insignis pictor et nobilis eques ann. 74. Sep. in propria sep.a L X V III », cod. Vat. lat. 7878, f. 121. 1342 « Cristophorus Roncallius, alias Pomarancio ad Sanctum Joannem de Pinea » si nomina appunto in una perizia del 28 apr. 1598, Orbaan, p. 489. La chiesa di S. Giovanni della Pigna risulta annoverata in bolla del 962, di Giovanni X II,

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    30 aprile 1597. [204] Pietro Paolo de Granis, f. 526

    [f. 525] adesso a casa, che è morto il suo putto » . E t io li respose: « se è morto, che vói che ci facci? ». E t, parlando con m .s Donato Roncalli, mio fratello, mi domandò chi batteva alla porta. Li disse che era uno che haveva detto, che era morto il putto de Alesandro, et discorremmo insieme, che la notte non fosse soffocato, perchè la sera stava bene. E t io disse alla serva, che andasse là, et ci andò, et tornò subito, et disse che non era morto, ma che non ci era remedio alcuno. AlPhora mio fratello disse : « se non è morto, spero in D io, che non m orerà: che Pho votato al p. Filippo della Chiesa nova ». E t io mi resolvè di andarce, per vederlo ; et ci andai, et trovai, che tutti piangevano, specialmente la madre. E t li disse, che ne haverebbeno fa tti delli altri, che questo andarebbe in Paradiso. De lì a poco mi partii et ritornai a casa mia. E t poco stette il padre, Alessandro, che venne, piangendo, a casa nostra, et disse, che lo teneva per morto, et che era fatta la veste, la cassa et la ghirlandina, et lo voleva far formare di giesso. E t mio fratello li replicò, che non dubitasse, che haveva speranza Iddio et nel p. Filippo, che sarebbe campato. E t stette il padre sino alla sera, che, retornato a casa sua, ritornò di novo et disse, che ancora era vivo, e che Ί medico li aveva detto, che, se non li veniva la febre la notte, sarebbe campato. Andò sempre megliorando et, la domenica, ad hora di pranzo, lo portorno a casa nostra, il putto predetto, con la vesta, che l ’ havevano fatto per seppelirlo, et la ghirlanda, et senza male alcuno, rosso, bello, et come non havesse havuto male alcuno : che Ί venerdì, quando io vi andai, come ho detto, era morto, con la cera di terra et color di morto. E t io disse alla socera et alla madre, che la veste se portasse alla sepultura del p. Filippo : et io l’ ho in casa, che se aspetta di fare un voto d ’argento, per portare l ’ uno et l ’altro. E t questo è quanto mi occorre. S u d d en s, ad in terro ­ g a tio n em , d i x i t : Il s.r Donato, mio fratello, disse, che si portasse il voto de argento alla sepultura del p. Filippo, al quale l ’ haveva votato, per la gratia ricevuta. Io mi confesso una volta il mese, et mi com­ munico le feste principale, di Pasqua, Natale, l’ Annuntiata, l’ Assunta, et la Madonna di settembre [f. 526] et Ogni Santi : et l ’ ultima volta è stato questa Pasqua passata de Resurrettione.

    D IE M E R C U R II U LTIM A M E N SIS A P R IL IS 1597

    [204] E xa m in a tu s fu it R o m a e , in officio, e tc ., p e r m e e t c ., u t supra d .nu s P e tr u s P aulus de G ra n is,1313 filius q. Ioa n n is B a p tista e de Granis et A n g ela e C a rosia e. con iu gu m , p atris rom ani et m atris

    Regesto del monastero di S. Silvestro in Capite, nell’Archivio della Società romana di storia patria, X X II,

    tra le filiali di S. Silvestro in Capite, V incenzo F ederici,

    1899, p. 269. Contiene tombe con lapidi dei Porcari, H uelsen, p. 274; A rmei.liniCecchelli, pp. 570-71, 1314. Nel 1584 venne concessa, da Gregorio X III, all’Arciconfraternita della Pietà dei carcerati in quegli anni istituita, Oreste F erdinando T encajoli, Notizia storica, artistica e religiosa sulla chiesa di S. Giovanni della

    Pigna in Roma

    [Roma, Scuola tipografica Salesiana, c. 1933]. 1343 Questo teste, di umile condizione, è noto soltanto dichiara di sè e dicono gli altri nelle deposizioni imparentate.

    per

    quanto egli

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    168

    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. f. 527

    de C a stron ovo, aetatis annorum vigin ti sep tem in circa, barberius ad C re sc en tio s, in via p rop e ecclesiam I e s u S ocieta tis I e s u , qu i, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ix it:

    Io mi confesso spesso, sette et otto volte l’anno, la Pasqua, Pasqua rosata, Natale, la Madonna de agosto, et Ogni Santi ; et l ’ ultima volta è stata questa Pasqua passata. Io ho cognoscuto da cinque o sei anni Alessandro Presciato quale habita in piazza de Sciarra,1344 et l’ ho cognosciuto et cognosco perchè ha una mia sorella per moglie, quale si chiama Tarquinia; et ha doi figlioli: un maschio et una femina. E t la femina è più grande, che pole haver doi a n n i; il maschio, doi mesi e dieci o dodici giorni, qual nacque il giorno di carnevale passato, qual si chiama Francesco, et la putta Margherita. I l putto, pochi giorni sono (credo che fosse venerdì o giovedì passato otto giorni) stette male forte, che il padre mi venne a chiamare, che io li andasse a dare un bottone di foco. E t vi andai, et trovai che Ί putto stava bianco come morto, et tutti di casa 10 tenevano per morto ; et io li diedi il bottone di foco nella nucca, et 11 putto gridò, buttando un grido. E t io me ne andai via, che non ci stette più, et, quando lo lassai, stava male come prima, et tutti quelli de casa piangevano et lo tenevano per morto. Ho inteso, che l’ havevano fatta la vesticiola bianca, quale io l’ ho vista, et è di taffettà bianco, et la cassa, et la ghirlanda. E t, poi, il dì venendo, verso le ventiquatro hore, guarì, che io Io viddi guarito. S u b d en s, ad in terroga tion em : la sera che fui chiamato, poi, alle sette hore, io fui a cena con detto mio cognato et con mia sorella: il putto stava bene, che il giorno l ’ havevo visto, et, in quella sera, stava nella camera che dormiva et non lo volsemo svegliare, che dormiva. E t , ad aliam in terro g a tio n em : quando io lo viddi guarito, mi maravigliai, che fosse [f. 527] guarito così presto, come facevano ancora tutti, et stavano allegri. Intesi dire, da quelle donne, che un m .s Donato haveva fatto il voto per il putto : 13451 6 4 3 non so che voto si sia, et lo intesi doi dì dopoi.

    D IE SA B B A T I 7a IÜ N II 1597

    [205] E xa m in a tu s f u it , u bi su pra , in officio e t c ., p er m e e t c ., adm odum ill.is et rev .d u s d.nu s Ia cobu s C re sc en tiu s,1Si& rom a n u s, alias ex a ­ m in a tu s, q u i, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad in terrog a tion es, d ixit :

    Essendomi accorto de haver passate, nell’altro mio essamine, che feci, sopra la vita et miracoli del beato p. Filippo, alcune cose troppo leggermente, ho voluto, per meglio dechiararme, replicarle hora et 1344 h largo del Corso antistante all’ ancora esistente palazzo Sciarra di Carbognano, T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, p. 170. L ’uso del toponimo si trova attestato in opera stampata nell’anno stesso della deposizione, e cit. da Obbaan, p. 338 n. : « In ea Campi Martii parte, quae vocatur hodie la Piazza di Sciarra ... » ; e poi in altra, del 1664, cit. dallo stesso, p. 127 n. 1345 d ì questo voto ha già detto il teste Donato Roncalli, f . 522. 1346 Seconda deposizione di Giacomo Crescenzi, già comparso il 15 nov. 1595 (119).

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    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. ff. 527-528

    169

    aggiongervi quello, che di novo mi sovviene, ad honore de Dio et gloria di questo santo. E t prima, circa quello che io dissi, delle opinioni che io e gli altri, generalmente, havevamo della sua santità, è vero, che da tu tti, massime da homini grandi, era reputato tale, et, per questo, era, quasi ogni giorno, visitato da prelati, cardinali, duchi, et altri signori di grandissima importanza, et da papi istessi era tenuto in grandis­ sima veneratione. E t questo io lo so, per haverlo veduto et prati­ cato tutto il tempo, che io ho conversato seco. Tuttavia, io tengo certo, che da niuno sia mai stato cognosciuto intieramente per quello che era, non solo dagli homini ordinarii, ma neanche dalli spirituali, et da quelli che lo praticavano strettamente di continovo. E t questo' per doi cagioni : l ’ una, perchè non premeva il santo padre in cosa alcuna maggiormente, che in celare le sue perfettione, et le sue virtù, et faceva ogni opera, per esser tenuto scioccho et semplice, tanto con parole, quanto con li g e sti; et con questo restavano ingannati molti, che non l ’ havevano in pratica, o che non havevano tanto giudicio, de cognoscere questo artificio. L ’altra cagione è, perchè il santo era arri­ vato, massime in questi ultim i anni, a uno stato de perfettione tanto alto et tanto sublime, che io non credo si trovasse intelletto tanto purgato, per bone et sante che fossero le persone, che potessero arri­ vare a esserne capace. Poiché, se, trenta o quaranta anni prima che morisse il santo padre, Dio Nostro Signore l ’ haveva communicate tutte quelle gratie, et oprate, per mezzo suo, tutte quelle cose, le quali, ordinariamente, nelli altri santi, sono ammirate come [f. 528] mira­ colose et sopranaturale, havendo egli, poi, continuato, tutto il resto del tempo, in servitio del Signore, ogni giorno con maggior affetto e fervore, è necessario che fosse arrivato a un colmo di perfettione tanto grande, che eccedesse ogni capacità. È ben vero che, sicome, in tutte le professioni, quelli, che sono in maggior grado di eccellenza, inten­ dono la perfezione di quelli, che in esse sono stati singulari, così, nel nostro santo padre, tanto più le persone erano sante, tanto più lo reverivano, come quelle, che più se accostavano a intendere l ’ eccel­ lenza della santità sua. Sì come mi ricordo, che faceva, in particolare, una certa mad.a M arta di Spoleti, donna di santissima vita et di grandissimi sentimenti de D io, la quale, ogni volta che veniva a Rom a, recorreva subito da lui, se li gettava a piedi, si raccommandava alle sue sante orationi, et godeva tanto della sua presentia, che non se ne seria mai voluta partire. E t, una volta, tra l ’altre, mirandolo fissamente, et conside­ rando la bellezza et grandezza dell’anima sua, disse : « molto sei bello, Padre mio », et lo replicò più di una volta, per l ’affetto che sentiva. I l simile mi ricordo che faceva il p. Marcellino d’ A raceli,1347 santa memoria, et il beato fra Felice capuccino, il p. Teio da Siena, che è hoggi vivo, et ho inteso dire del s.r cardinale Borromeo di S . Prasede,

    1347 Evangelista Gerbi, dal paese nativo, S. Marcello Pistoiese, detto Marcellino, fu laureato in filosofìa e teologia a Parigi, lettore in vari luoghi e predicatore tra i più famosi del suo tempo. A Roma, avrebbe tenuto diciotto predicazioni quaresimali ; e spiegò anche grande attività, quale commentatore

    il

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    170

    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. ff. 528-529

    del p. Lupo et molti altri. E t, in somma, tutti quelli che, a tempo suo, sono vissuti e morti in opinione di santità, tenevano il nostro santo padre per loro protettore, da lui ricorrevano per conseglio et per aggiuto, et havevano per gratia particolare, che tenesse memoria de loro nelle sue orationi. Ma n o n . solo era il padre dotato di tutte le virtù et perfettioni spirituali, ma era anco eminente in dotrina et prudentia, le quali, ancorché esso, per humiltà, cercasse de occultare quanto fosse possibile, erano nondimeno, notissime a tutti quelli, che conversavano seco, et de qui è, che tanto signori cardinali, imbasciatori de principi et papi istessi riccorrevano da lui, et facevano grandissimo conto del conseglio et del parer suo, ne’ negotii di maggiore importanza. Talmente, che m olti di essi non si resolvevano, se non a quello che esso li ordinava. E t questo io lo so, per essermi più volte trovato presente, vedutolo e sentitolo da quelli istessi ; de [f. 529] quali ho inteso dire, più volte, tutti li consegli, che Ί santo padre, nell’occorrenza de negocii, li haveva dati, tutti li erano riusciti sempre benissimo, nel metterli in essecutione. E t, circa la dotrina, oltre che l’ ho sentito commendare per dottissimo, in philosophia et theologia, particolar­ mente, da homini insigni et famosi di dottrina, li quali l’admiravano et l’ havevano in grandissimo concetto ; de più, me ricordo essermi trovato presente, quando lo venivano a trovare alcune persone di grandssimo studio, con alcune questioni difficilissime, delle quali, ancorché havessero studiato quattro o sei giorni continovi a posta, non havevano saputo pigliarne resolutione. E t il padre santo, in pochissime parole, così, a l’improviso, li respondeva alii argumenti, li convinceva, et li faceva restar capaci, come se a ll’hora havesse havuta per le mani quella materia. In tanto, che non era di maggior maraviglia la pro­ fondità della dottrina, di quello che fosse la freschezza de la memoria : et a questo me ricordo d ’ essermi trovato presente più volte. Ma, per raccontare, particolarmente, quello che mi sovviene della santità sua, oltra che ho inteso dire, che sino dal tempo che Ί santo padre stava a S. Hieronimo, trenta anni fa in circa, diverse persone, di grandissimo spirito et prudenza, havendolo osservato minutissimamente longo tempo, sin da l’ hora, confessavano non haver mai potuto notare in lui pure un minimo defetto, et che non li bastava l’animo de imitarlo, ma

    della Bibbia dal pulpito, o « ecclesiaste ». Era di umore piacevole, non senza qualche stranezza e libertà di linguaggio, specialmente nelle novellette intercalate, e che si leggono nella Metamorfosi del virtuoso e in altre sue opere. Egli mori tra il 2 e il 3 genn. 1593 nel convento di Aracoeli, e fu sepolto nella chiesa, A ngelico P iladi, O. P. M ., Il p. Evangelista Marcellino, O. F. M., predicatore e II p. E. M., O. F. M., commentatore della Bibbia dal pulpito, in Studi france­ scani, ser. 3, X V , 1943, pp. 41-78, e X V I, 1944, pp. 131-55; Cantini, I francescani d’Italia di fronte alle dottrine luterane e calviniste, cit., pp. 87-90. Marta da Spoleto, ricordata già nella nota 361, era uscita da una famiglia nobile Scevoli ; rimasta vedova, si diede a intensa vita spirituale e a opere di carità, sotto la direzione dei cappuccini (ai quali appartenne un suo fratello, con il nome di fra Girolamo). Mori in età avanzata, nella sua patria, il 10 giu. 1591, B ernardino a C olpetrazzo, O. M. Cap., Historia ordinis Fratrum minorum capuccinorum

    (1525-1593). Liber primus: Praecipui nascentis ordinis eventus, in lucem editur a p. Melchiore a Pobladura, O. M. Cap. Assisi, 1939 (« Monumenta historica ordinis Minorum capuccinorum », vol. II) pp. 497-500.

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    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. fif. 529-530

    171

    l ’ admiravano, come homo de Iddio et sopranaturale ; de più, mi pare che da questo se possa argumentare, in che grado egli possedesse tutte le virtù, poiché le communicava, ogni volta che voleva, alli altri : quando la castità, quando la contritione, et quando la patientia, et così tutte le altre. Sì come ho inteso dire da diversi, che l ’ hanno provato nelle persone proprie ; et io ancora lo so, per esperientia particolare : intanto che non era possibile, che uno, che se confessasse da lui et lo praticasse strettamente, non vivesse casto et non venisse, in un certo modo, a partecipare de la santità sua, communicandoli quelli et impetrandoli dal Signore tanta gratia et tanto spirito, che, ancor quelli, che prima non havevano saputo, che cosa se fosse devotione nè vita spirituale, acquistavano, col mezzo suo, grandissimi sentimenti delle cose de Iddio, et facevano gran progresso, in breve tempo, nella vita spirituale, senza durarvi fatiga alcuna, solo per li meriti et intercessione del santo padre. Se vogliamo conietturare l’ istessa santità da l ’affetto grande di spirito, che sentiva il santo padre, io so, [f. 530] et ho veduto più volte, che li sopra abondava talmente del continuo, che era forzato, ogni volta che voleva pigliare un poco di riposo, procurar di distrahersi, col farsi leger qualche libro de historié, poesie, o cose simili. E t, quando diceva Messa, particolarmente, l’ ho veduto fare tanta forza, per reprimere detto affetto di spirito, che faceva tremare, non solo l ’ altare et la predella, ma tutta la stanza dove celebrava, et leggeva con una ansietà tanto grande, per la violenza che si faceva, che rendeva grandissima devotione et compuntione a chi lo udiva. Inoltre, haveva una continova palpitatione di core, tanto ecces­ siva, che ho inteso dire alli medici, che, naturalmente, non l ’ haveria potuta sopportai^. E t questa palpitatione io la so, perchè, ogni volta che mi dava l ’assolutione, o che mi voleva consolare, me abbracciava, et accostava la mia testa al suo petto, dove era il core, sì come faceva anco alli altri, et sentivo el suo core balzare et urtare talmente, che pareva uscisse fuore del luogo suo. Si come veramente usciva, poiché ho inteso da più persone, che hanno veduto, che le coste sopra il core erano rotte et relevate in fuore, tanto quanto saria la grossezza de un pugno et più. E t questa palpitatione, ho inteso dire, che Ί padre l ’ haveva portata da quaranta in cinquanta anni, da diverse pèrsone, et, mi pare, anco da lui stesso. De più, me ricordo, che, alle volte, avvampava tanto de caldo l ’amore interiore, che era forzato a dimostrarsi il foco ancora di fuore. E t, che sia vero, mi ricordo haverlo trovato, alcune volte, nel basciarli le mani, tanto caldo, come se fosse stato nel maggiore ardore di qualche gran febre. E t , di più, ho inteso dire, che, molte volte, la notte, biso­ gnava aprir tutte le finestre et le porte della camera dove dormiva, per il gran caldo che l’ haveria suffocato: et, questo (essendo d’ inverno, et lui in età decrepita, et sano, per il resto, et di pochissimo cibo) non poteva essere cagionato, se non da fiamma, et ardore spirituale d’amore. I l quale lo faceva languire di continovo, giorno e notte, in tanto che era forzato giacersi in letto, il giorno intero, senza haver altra indispositione, che d ’amore, conforme a quello che si legge nella Cantica, del­ l ’anima, arsa da questa fiamma che crida : « fulcite me floribus, stipate

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    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. ff. 530-531

    me malis, quia amore langueo » . 1348 E t si legge il simile de altri sa n ti: in particolare, mi recordo che Ί [f. 531] padre raccontava de un frate santo, in Araceli, il quale il stava in letto, tutto languido, s’an­ dava consumando a poco a poco, senza haver altra infermità, che d ’am ore.1349 Nè solo haveva questo affetto de charità verso Iddio, ma ancora verso li homini per Dio ; et per questo era fatto « omnia omnibus » , nè voleva havere punto di tempo per sè, et, ancorché fosse continuamente unito con D io, lasciava quelle unioni per salute delle anime, et condescendeva con tutti et, massime, con noi altri giovani, comportan­ doci et mantenendoci et trattenendoci con tanta amorevolezza, molto più che se fosse stato nostro padre naturale. Se vogliamo pigliare argumento della istessa santità sua dalle revelationi, visioni, profetie, et altre cose simili, dalle quali si sole ordinariamente arguire la santità nelli altri santi, oltre le cose infinite, che ogn’ uno le sa, per parlare, solo, per hora, di quelle, che mi constano di certa scientia et de fatto proprio, parecchie volte, tanto in confes­ sione, quanto fuore, in altri propositi, mi ha detto cose, le quali non era possibile le potesse sapere altrimente, che per diretta revelatione poiché non lo sapeva altri che D io et io et questo santo lo faceva frequentemente ; sì come m i ricordo, in particolare, che, raccomandan­ domeli, una volta, tra le altre, dubitando di non cognoscer qualche mio defetto occulto, me disse : « sta’ de bona voglia, non dubitare ; che, se tu non cognoscessi, o te scordassi qualche cosa che importasse, Iddio me la revelaria: et di questo stanne securo ». A questo istesso proposito, me ricordo, un’altra volta, trovarmi presente in camera del padre santo, quando egli advertendo una per­ sona, la quale non andava realmente con il suo confessore, ma, per vergogna, celava et taceva alcune cose et essortandola, che volesse andare in verità, per amor de D io, doppo haverli scoperto il tutto, che non poteva sapere, se non per divina revelatione, essortatola a resolversi et mutar proposito, mirandola, poi, un poco fissamente, vedendola confusa, che non sapeva che replicarsi, trovandosi convinta et colpevole di tutto quello, che egli l’avvertiva; mi recordo, dico, veder il padre, che mosso a compassione, se intenerì et proruppe, in un subbito, in un pianto tanto grande, con abondanza tale de lacrime et singulti, come se fosse stato un putto ; e, nell’istesso tempo, communicò a quella persona tanta compuntione, che fu forzata risolversi anco esso in lacrim e.1350 E t così stettero ambedue, per un poco, senza parlarsi, che non lo permetteva loro il pianto. E t, poi, promettendo quella istessa

    1348 Canticum canticorum, I I , 5. 1349 Secondo Domenico Sonzonio, d.

    O., La vita di s. F. N. Venezia, Manfrè, 1727, p. 18 (cit. da C asimiro da R oma, O. F . M ., Memorie isteriche della chiesa e convento di S. Maria in Araceli. In Roma, nella stamperia dì R . Bernabò, 1736, p. 366) era un frate Antonio, osservante di quel convento. Manca la possibilità di effettuare nuove ricerche, poiché l’Archivio di Aracoeli non conserva, ora, documenti anteriori al sec. x vm . 1350 II Gallonio, Vita lat., pp. 168-69, riporta il fatto come successo a un « adolescens quidam satis ampla fam ilia », nel marzo o aprile 1587, tacendo tuttavia anch’egli il nome. Nella sua successiva deposizione del 1° giu. 1601, il teste Giacomo Crescenzi dichiarò di essere lui la persona innominata, f. 611.

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    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. ff. 531-533

    173

    persona, al padre, di confessarsi [f. 532] di tutto quello che haveva taciuto per il passato, et raccomandandosi, il meglio che poteva, alle sue sante orationi, il padre l’abbracciò, consolandolo un poco, et poi se retirò in una camera sopra la sua, dove si trattenne per il spatio de mezzo quarto d ’hora in circa, et credo che sfogasse l ’abbondanza grande delle lagrime, che li sopragiongevano, et poi tornò abasso, et andamo fuora in cocchio tutti insieme col p. Antonio et molti altri. Me ricordo, che io restavo stupito, in vedere che egli parlava de altre cose, come se non fosse stato fatto suo. Nè passorno molti giorni, che, facendo quella istessa persona confessione generale con il suo confes­ sore ordinario, et ritornando poi dal padre, senza dirli altro, il padre disse, che haveva mutato fisonomia, et che haveva bona cera, et, di più, li disse : « sappi, che, se bene io non ho voluto, che tu lasci il tuo confessore, per non darli tentatione, nondimeno io so tutti li tuoi pec­ cati, ancorché tu non habbi detto niente, perchè Iddio me li ha reve­ lati ». E t così, raccommandandosi di novo l ’ istessa persona a l padre, che li volesse intercedere dal Signore compuntione et dolore delli defetti passati, sentì, a poco a poco, venirse tanta devotione et compuntione, che non haveria saputo desiderar più ; se ben, prima che praticasse col padre santo, non haveva mai saputo, che cosa se fosse compuntione: et le cose sopradette io le so de certa scientia et de fatto proprio. Circa le visioni, poi, se bene alcune, che noi ne sappiamo, ci appor­ tano gran maraviglia, tuttavia, a paragone di quelle che non si sanno, non sono quasi niente, poiché, dalle parole sue, che, alle volte, non volendo, se lasciava uscire, con persone, massime, dalle quali non haveva sospetto d’ esser inteso, si raccoglieva chiarissimamente, che, quasi ogni notte, era visitato dal Signore, dalla Madonna Santissima, da Santi e dalli Angeli, et che era rapito in estasi et levato in aera, si come alle volte è stato veduto. E t, che sia il vero, me ricordo sen­ tirlo parlare delle cose sopradette, come molto fam iliari et ordinarie ; ma, per raccontare più minutamente alcuni particolari de una profetia, la quale, con mia grandissima consolatione, ho veduta adempire dopo la morte sua, mi ricordo haver inteso dire da altri et essermi trovato presente, quando il padre santo, consolando alcune persone, alle quali rincresceva rimanere in questo mondo doppo lui, et che haveriano voluto, che lui se fosse trovato presente alla morte loro, li diceva : « non dubitate, che, in ogni modo, me ci voglio trovare. Non sapete voi, come ha fatto s. Francesco, et gli altri santi, con li suoi figlioli, che, ancora doppo morte, li venivano a trovare et li consolavano? [f. 533] così farò io ; non vi dubitate » , et parole sim ili, alle quali io non applicavo più che tanto, pensando che egli le dicesse, più tosto per consolare quelle persone, che per haverle a mettere in essecutione. Sì come ho veduto che ha fatto, nella morte de Ieronima, mia sorella, la quale era stata sua figliola spirituale, et molto particolarmente amata da esso, perciochè mi ricordo che li diceva, che teneva particolare memoria di lei in tutti li suoi santi sacrificii ; et, essendole, più volte, dalla s.ra nostra madre dimandato parere di diversi partiti per mari­ tarla, sempre li rispondeva, che non se ne pigliasse pensiero, che Dio l ’ haveria proveduta, et che esso ne teneva memoria particolare, et cose simili. Dalle quali si è poi raccolto chiaramente, che egli prevedeva,

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    174

    7 giugno 1597. [205] Giacomo Crescenzi. ff. 533-534

    che se la doveva menar in Paradiso, Sì come ha fatto : poiché, ritro­ vandosi ella, del mese di settembre prossimo passato, in letto, gravata di febre, pochi giorni prima che morisse, io intesi dire dalle donne di casa, le quali la governavano, che lei haveva detto, che l ’ era apparso visibilmente il beato p. Filippo et che l’ haveva consolata, invitan­ dola al Paradiso. E t che sia il vero, mi ricordo veder fare in lei una mutatione tanto grande, che si scorgeva chiaramente, che l’ era stata subministrata gratia et spirito straordinario, poiché, se, per il pas­ sato, haveva, alle volte, dato qualche segno di dolore, per il travaglio del male ; da quello in poi, divenne tanto constante, che, con tutto che il male l’affligesse et tormentasse molto pili de prima, non si scorgeva in lei pure un minimo cenno di tristitia ; anzi, che tutto pigliava alle­ grissimamente dalle mani (come ella diceva) dello Sposo suo, come doni pretiosissimi. E t, con tutto che ella fosse stata con noi altri molto tenera et amorevole, tuttavia, in quell’ ultimo, parlava delle cose del­ l ’altra vita, essortandoci a portarci bene della s.ra madre nostra ; et a lei dimandando perdono di tutti li desgusti, che mai l ’havesse dati, et a me, in particolare, pregandomi a volerme ricordar di lei nelle mie Messe, con tanta constanza et con tanto spirito, che dava compuntione a tutti quelli che la sentivano. La quale soprafaceva qualsivoglia altro affetto di dolore che havesse potuto cagionare la perdita sua. E t ogn’ uno stava come attonito, for di sé, admirandola, come cosa mira­ colosa, sicome veramente era, poiché era talmente rapita in Dio, che alle cose del mondo pareva fatta insensibile, nè d’altro voleva sentir più parlare, che de Dio. E t quando li fu dato l’ Olio Santo, ringratiò infinitamente il p. Antonio, suo confessore, et, ancorché se fosse com­ municata una volta, fece tanta instantia, la notte precedente alla mat­ tina che morì, di communicarse de novo, sì come egli era stato promesso dal detto p. Antonio, suo padre spirituale, che pareva, come era, che tutto il suo pensiero fosse posto in pensare de D io, senza punto recor­ darse del male. E t, tardando la Communione a venire, solecitava et si raccoman- [f. 534] dava, che l’affrettassero, con tanto affetto, che mostrava parerli ogn’ hora m ill’anni di congiungersi et unirse con il Sposo suo. E t, poco doppo, sendosi quietata un poco, in contemplare un crocefisso d ’argento, che teneva in mano, quietissimamente, senza mostrar segno alcuno di passione, rese l’ anima al suo Creatore, rim a­ nendo il corpo suo tanto bello, che rendeva devotione e spirito a chiunque lo mirava, et incitava noi tutti di casa a pianger più tosto per affetto di compuntione, che d ’altro dolore naturale. E t non solo in noi faceva questo effetto, ma in tutti generalmente : poiché mi ricordo, che, accompagnando io il corpo alla sepoltura alla chiesa della Vallicella, le persone correvano alle fenestre et alle strade donde passava, in tanto motitudine, et con tanto stupore, come se fosse stato un corposanto. E Ί simile concorso, et molto maggiore, intesi dire che fu , dopo che Ί corpo fu lassato in chiesa, dove molti, che l ’haver vano veduta doi o tre volte per la strada, non contenti, erano corsi a rivederla di novo. E t chi le basciava le mani, chi se raccommandava a lei, chi la toccava con la corona per devotione, che era cosa di gran­ dissima maraviglia, et, oltre molti altri personaggi di qualità, intesi dire, che vi concorsero anche tre cardinali et altre persone spirituali,

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    12 giugno 1597. [206] Ettore Modio, f. 535

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    le quali, tu tti, in veder quel corpo, restorno talmente edificati et com­ punti che alcuni erano forzati a piangere, et molti vi tornorno più d ’ una volta, per il piacere et gusto che sentivano in remirarla, affer­ mando non haver mai più veduta più bella cosa in vita loro. Li quali affetti tu tti, et altri simili, che non mi sovvengono, erano cagionati dalla santità del santo padre, particolarmente, in questa ultima visita li haveva communicata, la quale era redondata anco nel corpo et l ’ haveva dotata delle qualità dette di sopra. D a l che habbiamo occa­ sione di prendere gran confidentia nella protettione di esso santo padre, vedendo adempire tanto felicemente le promesse fatte da lui alle sue figliole spirituali. Oltra che, io ho provato in me stesso l ’aggiuto del nostro santo padre, doppo che è salito in celo, in diverse cose, et, particolarmente, in un dolore di stomaco, che mi travagliava grandis­ simamente, il quale, subito che mi applicai a quella parte uno amitto del santo padre,1351 con raccomandarmi a lui il meglio che potevo, subbito, in instanti m i cessò. E t, di più* ogni volta, che, in qualche necessità, mi son raccomandato a lui, ho toccato con mano l ’aggiuto suo particolare. [f. 535] Oltra le sopradette cose, mi occorre ancora dirvi, circa le visioni, che il detto santo padre era, più volte, assalito da demonii, li quali li apparivano in forme brutte, per metterli paura : et lui, bur­ landosene et non tenendone conto, ne restava vincitore. E t, tra l’altre, una volta, andando egli alle Sette Chiese, overo a qualche altra chiesa, di notte, se ben mi recordo, verso il Coliseo, o verso S. Paulo, li appar­ vero molti demonii, in forme brutte, nella strada, procurando de impe­ dirli il viaggio: et egli, mostrando non curarsene, sequitò la sua strada. U n ’altra volta, stando il detto santo padre in chiesa, li apparve il demonio, in forma di un putto, che mostrava haver molta collera con esso lui: et egli, toccandolo non so dove, lo fece fugire, gridando, per tutta la chiesa. U n ’altra volta, ho inteso dire, che li apparve, pure in forma de un putto negro, se ben mi ricordo, a Termini. E t le sopradette cose le so, per haverle intese dire da diversi: et la prima, in particolare, la rac­ contava il rev.do m .s Giovanni Antonio Luccio, citato da me nell’altro essamine, il quale haveva conversato, strettamente, et longo tempo, con il detto santo padre. E t questo è quanto mi occorre per hora : se mi sovvenirà cosa alcuna, la dirrò. D IE IO V IS 12» M E N SIS IU N II 1597

    [206] E xa m in a tu s fu it, R o m a e, in officio e t c ., p er m e e t c ., m agnificus d .n u s H e c to r M o d iu s , 1352 filius q. Ioa n n is F ran cisci M o d ii et P atritiae de A h h a tib u s, de C ivita te Sanctae S everin ae u ltra , i. u . d .,

    lesi u n amitto è conservato, tra le reliquie di san F ., nella « Sala rossa » della Vallicella. 1352 Ettore Modio, venuto a Roma nel 1590, non risulta se vi abbia preso dimora stabile. Il Gallonio, Vita lat., pp. 180-81, riferendo la sostanza di questa deposizione, non aggiunge altro sul testé; del quale mancano successive notizie.

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    28 luglio 1597. [207] Barsum. f. 536

    aetatis annorum triginta trium in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit:

    Essendo io venuto, li anni passati, in questa alma città di Boma, et, proprio, ne Fanno 1590, che fu del mese di febraro, secondo mi recordo, per certi mia negotii, fui molto raccommandato, con lettere, dalli rev.di pp. dell’Oratorio de Napoli al rev.do p. Filippo Neri santa memoria, et, particolarmente, dal p. Francesco Maria Taruggi, oggi ill.mo cardinale de Avignone, et dal rev.do p. Giovenale Ancina, miei padri spirituali. Il quale p. Filippo mi vidde volentieri, et, anco come nepote del q. Giovanni Battista Modio,1353 mio zio, mi fece molti favori et carezze, per esser stato detto mio zio compagno et figliolo intrin­ seco di detto p. Filippo. Il quale, nel corso della confessione, mentre io mi confessava da lui, mi revelò, dicendo che io pativa stimoli et movi­ menti carnali, et che era negligente a removerli, e che me ne doveva confessar bene. Onde, atterrito de questo, come poteva sapere detto padre la mia natura, confessai che tutto ciò era vero, et ne pigliai la santa assolutione et penitenza. Et, supplicatolo, che me dicesse, in che modo tutto ciò cognosceva, mi rispose, ridendo, che lo cognosceva al mio pelo : et, da l ’hora in poi, lo tenne per servo molto accetto alla Maestà del Signore. Et, mentre dimorai qui, ne ricevei santi et dotti documenti et, particolarmente, me insegnò che havesse [f. 536] detto una corona, in tutte l ’« Ave Marie » dicendo « Deus, in adiutorium meum intende etc. », et, ad ogni diece, havesse interposto un « Gloria Patri etc. », et come ho fatto et farò. Et tutto questo ho tenuto secreto fra me stesso. Ilora, intendendo che questa gloriosa anima se ne sia salita in cielo et lasciata questa spoglia mortale, per repigliarsela poi, con le altre anime beate, quando piacerà al Signore, mi è parso confes­ sare et revelar tutto questo, a gloria de Iddio e di detto beato padre, per mezzo del qual patrocinio, io ho continuamente quante grafie cerco, da N. S. Jesu Christo. Et, di più, me ordinò, che sempre mi raccommandasse et fosse devoto della gloriosa Vergine Maria: così come ho fatto, et farò, in tutto il termine della vita mia. Et questa è la verità et in causa scientiae dixit scire praedicta de modo ut supra, de loco in Boma et proprio nella chiesa detta la Vallicella, de tempore ut supra, singula singulis referentur etc. D IE LU N A E 28a M E N SIS IU L II 1597

    [207] Examinatus fuit, Romae, in aedibus Sanctae Mariae in Valli­ cella, et camera rev.di p. d.ni Antonii Callonii, Congregationis Oratorii, perill.is et rev.dus p. d.nus Barsum,1354· filius Aminegdulae de domo Elachim et Selife coniugum, archidiaconus patriarchalis s. Marci Alexandrinensis et legatus et orator ili.mi et rev.mi

    1353 Giovanni Battista Modio era morto molti anni prima, il 12 sett. 1500: si veda la nota 98. 1354 Barsum è personaggio assai noto, per quanto si riferisce alla sua dimora in Roma dal giugno 1594 all’ottobre 1605, quale legato della Chiesa copta alla ■Santa Sede e membro della prima e della seconda ambasceria che portarono alla

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    28 luglio 1597. [207] Barsum. ff. 536-537

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    p. d.ni Gabrielis patriarchae Alexandrini, aetatis viginti quatuor annorum in circa, adhibito prius ad hoc organo seu interprete d.ni Ioannis, filii Georgii de domo Simonis et d.nae Ghristinae coniugum, de oppido Cibi Giprii, aetatis annorum vigintitrium in circa, collegii Maronitarum alumnus. Qui d.nus Ioannes Ciprius, medio iuramento, tactis etc. iuravit de fideliter interpretando et praeterea supra dictus ill.is et rev.dus d.nus Barsum, medio iura­ mento, tactis etc., iuravit de veritate dicenda, et, ad opportunas in­ terrogationes mei notarii eidem factis, dicto organo et interprete d.ni Ioannis Ciprii mediante et interpretante, dixit et deposuit ut sequitur:

    Io ho cognosciuto il p. Filippo, nella prima volta che io fui a Roma, che poi essere tre anni in circa, et venne qui, in questa casa dell’Ora­ torio, nella sua camera qui di sopra, guidato dal s.r Hieronimo Vechietto, fiorentino. Et, la prima volta che venni dal detto padre, vi trovai il s.r ill.mo et rev.mo card. Cusano, che stava raggionando con il detto p. Filippo et subito che Ί p. Filippo mi vidde, mi abbracciò et mi basciò sul viso, stringendone stretto, con gran tenerezza, et mi tenne un pezzo abbracciato così stretto. Et, havendomi il padre, come ho detto, abbracciato et tenuto stretto, quando mi lasciò, io mi sentii sudare et fortificare. Et la causa principale, per la quale io ero venuto dal padre fu questa, che, essendo io stato amalato, che la mia malatia [ f . 537] era febre, et sputavo sangue, et non dormivo la notte ; et li medici dicevano,vche questo sangue era causato, che Ί petto era rotto et che non viveria ; et che ero stato tre giorni et tre notti senza dormire et il s.r Hieronimo Yechietto, quale me haveva condotto di Egitto a Roma, per ordine di sua santità, mosso da charità, per mio amore, venne dal detto p. Filippo, secondo poi mi referì lui stesso, per raccommandarmi a lui, acciò pregasse Iddio per me. Et la prima volta che io cominciai a dormire fu una matina (secondo che il detto s.r Hieronimo et s.r Nero Neri mi referirno) quando il detto padre diceva la Messa et pregava Iddio per me. Et dormii et si partì da me la vigilia: non dimeno il sputo del sangue et la febre continovavano. Ma un giorno venne il detto s.r Hieronimo, et mi essortò che mi levassi et mi vestissi, perchè il p. Filippo mi voleva vedere, et li respose, dicendo, che io ero molto ammalato et non potevo levarme. Al che detto s.r Hieronimo replicò, che mi levasse in tutti li modi, perchè il p. Filippo l’haveva commandato ; et che non dubitasse, ma che, subito che io arrivava a lui, mi raccommandasse a lui. Mi levai, come volse il s.r Hieronimo, et mi messe in un cocchio, et mi condusse alle stantie superiori della Chiesa nova, al detto p. Filippo, appresso al quale, a

    temporanea unione (ai numerosi documenti e fonti che si conoscono vanno aggiunti i non pochi dati contenuti in queste deposizioni 207 e 208 del processo, e in altre). Egli mantenne grande influenza in tutto il pontificato di Clemente V i l i , e ne ebbe onori e doni principeschi. Declinata la sua fortuna, tornò in Egitto nell’ottobre 1605, e fini oscuramente, non senza che ombre siano venute a gravare sopra l’ integrità morale della sua figura. Si veda, specialmente, B uri, L’unione della Chiesa copta con Roma sotto Clemente Vili, cit., in Orientalia Christiana, X X III, 1931, pp. 109-11, 130-32; e documenti, pp. 226-39.

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    28 luglio 1597. [207] Barsum. ff. 537-538

    l ’hora, era l’ill.mo s.r card. Cusano, come ho detto di sopra. Et, subito che mi vidde, il padre mi venne incontro, et, con grande amore, mi basciò et abbracciò più volte, et io li basciai le mani. Et, in quello instante, sudai, et mi sentii rinforzarmi ; et mi fece sedere, et li parlai, et dimandai da lui (perchè sapevo, che lui era santo et amico de Dio, et che tutto quello che lui domandasse l’haveria fatto Iddio eccelso) che pregasse Iddio per me, acciochè mi concedesse la sanità. Et il padre me respose, che lo farebbe, et pregarebbe Iddio per me, et che stessi di bon animo, et non dubitassi. Fui lì quasi un quarto d’hora, et poi me lasciò partire, et commandò al detto s.r Hieronimo Vechietto, che mi conducesse alla casa dell’ill.mo s.r card. Borromeo. Et, lasciandomi, mi abbracciò un’altra volta, et mi basciò più volte, et mi diede la beneditione; et io, di novo, li basciai le mani; et, doppo pochissimi giorni, fui liberato dalla febre et da tutta la malatia.1355 Per la quale malatia, li medici giudicavano, che io doveva morire, perchè era rottura de petto : tra li quali vi era il Cordella, et altri, il nome de quali non mi ricordo. Et, essendo guarito, andan- [f. 538] do per strada, per andare all’ill.mo s.r card. S. Giorgio,1356 mi trovò il Cordella, medico del Palazzo Apostolico, presso le stantie, dove stava il Toledo cardi­ n a le1357 (che Ί medico veniva verso Borna et io saliva nel Palazzo) et 10 salutai, che Ί medico non mi cognosceva, et mi domandò, se io ero quel giovane ammalato di febre, rottura de petto, et di vigilia, con la tosse et impedimento di respirare, quale mi haveva visitato. E t io resposi di sì, et il medico soggionse, che non credeva che io non dovesse mai scampare, et si maravigliò grandemente, vedendome guarito et mi guardava per tutto, con gran maraviglia, che appena credeva che fosse io. Et io li replicai, che ci era un santo, nella Chiesa nova, che mi haveva guarito ; et il Cordella disse : « questo è il p. Filippo », et io 11 resposi di sì, et che, per le sue orationi, mi havevano guarito. Et tutti quelli, che mi vedevano guarito, burlavano con me, et dicevano che non ero io, ma un altro : che quello, che era ammalato, era morto. Et, in oltre, perchè io era venuto a Boma, mandato dal rev.mo patriarca Alessandrino, come ho detto, per trattare l ’unione della 1355 ii racconto sì legge anche nel G a l l o n i o , Vita lat., pp. 211-12. lese cinzio Passeri, nipote « e s sorore » di papa Clemente V i l i , fu il IT sett. 1593 creato cardinale dallo zio, che gli diede il proprio cognome Aldobrandini ; ebbe la diaconia di S. Giorgio in Velabro, I’l l ott. 1593, e da essa seguiti* a chiamarsi, anche dopo averla mutata con il titolo presbiterale di S. Pietro in Vincoli, il 1« giugno 1605. Fu mecenate illustre, soprattutto noto quale patrono di Torquato Tasso. Morì il 1° genn. 1610. A n g e l o P e r s o n e n i , 'Notìzie genealogiche

    storiche critiche e letterarie del cardinale Oinzio Personeni da Ca Passero Aldo­ brandini nipote di Clemente Vili S. P. Bergamo, F . Locateli*, 1786. Abitava in

    Vaticano, nelle seconde loggie, al piano del papa, P a s t o r , v . X I, p. 39 n. 4 ; e c f. la nota qui appresso. 1357 Francisco de Toledo, illustre teologo gesuita, predicatore pontificio al tempo di Pio IV e per ventiquattro anni, fu creato cardinale il 17 sett. 1593; morì il 14 sett. 1596. La sua abitazione in Vaticano risulta indicata esattamente da un Avviso del 30 ottobre dell’anno stesso: « S u a Beatitudine disegna per questo inverno di non partir più dal palazzo Vaticano; habitarà nel palazzo nuovo et dormirà poi nella Bologna, per il che il cardinale San Giorgio sarà necessitato partirsi da quell’ appartamento, dovendosi retirare nelle stanze sopra li svizzeri, ove habitava il cardinale Toledo ... », O r b a a n , p. 52 n.

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    26 agosto 1597. [208] Girolamo Vecchietti, f. 539



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    Chiesa Alessandrina con la Romana, il p. Filippo, oltra havermi sanato della infermità, come ho detto, mi dava, tuttavia, bona speranza della bona riuscita di questa riunione, et che non dubitasse : il che è riuscita. Et, in questa ultima ritornata fatta da me, essendo io andato da sua santità, li feci testimonianza, che questo negotio era finito per l ’oratione del beato p. Filippo et io fermamente credo et confesso tutto questo esser fatto per l ’oratione del mio beato p. Filippo sopradetto, nel quale confido che, sicome in terra ha fatto oratione per me, così la farà in Cielo. Et quia examen fuit factum per organum et interpre­ tem modo supradicto, idem ill .is et rev.dus d.nus Barsum, ad orga­ num supradicti et repetito, per dictum interpretem, toto examine de verto ad vertum, illud confirmavit propria sutscriptione et praeterea idem d.nus Ioannes Ciprius interpres se sutscripsit. Locus subscriptionis supradicti Barsum testis.1358 Ego Ioannes Cyprius, alumnus Collegii Maronitarum interpres, ex ordinatione Sanctissimi Domini, interpretatus fui diligenter et fideliter, ut supra, et ita affirmo et recognosco subscriptionem, me praesente factam per ill.em et rev.dum d.num legatum praedictum, quae sub­ scriptio sic se habet videlicet: Ego Barsum arcliidiaconus legatus praedictus testificor de omni suprascripto. [i. 5391 D IE M A R T IS 26» M ENSIS A U G U ST I 1597

    [208] Examinatus fuit, Romae, in officio, etc., ill.is d.nus Hieronymus Vechiettus,1359 filius q. d.ni Francisci Vechietti et Laurae de Tarsia, coniugum, aetatis annorum quadraginta in circa, qui medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes mei notarii, dixit:

    La prima volta, cognobbi il p. m.s Filippo, su l’anno 1594, doppo la mia tornata dalla prima missione d’Egitto, lo conobbi insieme con

    1358 h codice Vaticano contiene, a questo punto, la firma autografa di Barsum in caratteri arabi. L ’interprete, subito dopo nominato e qualificato più estesamente nell’inte­ stazione della testimonianza, era alunno del Collegio dei Maroniti del Monte Libano, fondato da Gregorio X III il 12 mar. 1584, nel rione Trevi, in una casa due anni prima destinata a ospizio dei pellegrini di quel paese, P ie r r e R a p h a e l ,

    Le rôle du Collège Maronite romain dans l’orientalisme au XVIIe et XVIIIe siècles. Beyrouth, 1950 (« Université Saint Joseph de Beyrouth. Publications du 75e anniversaire ») pp 56-58. 1359 Girolamo Vecchietti, nato in Cosenza da un mercante fiorentino circa il 1557, fu viaggiatore in vari paesi orientali, come il fratello maggiore Giovanni Battista. A quest’ultimo, nel 1584, Gregorio X III aveva dato la missione di negoziati in Egitto, per ricondurre la Chiesa copta all’unione con la romana, G io r g io L e v i D e l l a V id a , Documenti intorno alle relazioni delle Chiese orientali con la S. Sede durante il pontificato di Gregorio XIII. Città del Vaticano, Biblio­

    teca Ap. Vaticana, 1948 (« Studi e testi », 143) pp. 117-19, 168-72. Giovanni Battista fu inviato un’ altra volta in Egitto, nel 1590, in compagnia di Girolamo, che portò poi avanti solo le trattative; e spedito, ancora, in quel paese, nel marzo 1593, fece ritorno in Roma nell’aprile 1594, L e v i D e l l a V id a , Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana. Città del Vaticano, 1939 (« Studi e testi », 92) p. 267 e n. 1 . L a prima ambasceria ales-

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    26 agosto 1597. [208] Girolamo Vecchietti, f. 539

    il s.r Nero del Neri et Giovanni Battista Strozzi.1360 Et poi continuato di andarci, dal detto padre, qual stava alla Chiesa nova, alle stanze di sopra, spesso. Et parse egli, sempre, homo veramente santissimo, et li suoi raggionamenti pieni di santità et di ottima dottrina inspirata da Dio, et non fu mai volta nissuna, che io mi raccomandasse a lui, che non ne restasse consolato. Mutatione sentiva io in me, quando sandrina, giunta a Roma nel giugno 1594, emise la professione di fede il 15 genn. 1595; e una seconda ambasceria costituita da legati diversi, all’lnfuori di Barsum, che era rimasto a Roma, ratificò e concluse l’unione, il 25 giu. 1597, B u r i , L’unione della Chiesa copta con Roma sotto Clemente Vili, cit., in Orien­ talia Christiana periodica, X X III, 1931, pp. 101-264. Tra quelle due date, Girolamo fu ancora in Egitto, ff. 541-543. Successivamente, risulta essere stato messo in disparte dalla curia fino all’aprile 1603, quando intraprese un altro lungo viaggio in Oriente, sulla prima parte del quale scrisse una relazione, fatta ultimamente conoscere, R oberto A l m a g i A, Qiovan Battista e Gerolamo Vecchietti viaggiatori in Oriente, in Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di scienze, morali, storiche e filologiche, ser. V i l i , v. X I, 1956, pp. 313-50; la relazione, in parte compendiata, 325-38. Tornò in Italia nel gennaio 1608. Un’ altra relazione, sull’Etiopia, presentò a Paolo V , nell’ottobre 1609 (edita da O . B e c c a r i , S. I., Rerum aethiopicarum scriptores occidentales inediti a saec. XVI ad XIX, v. X I. Romae, C. De Luigi, 1911, pp. 176-85). Depose al terzo processo per la canoniz­ zazione di F ., Γ11 lu. 1611. In data indeterminata lasciò l’ Ita lia : il 26 mar. 1620, datò da Augsburg, una Lettera sopra Giovanni Battista, e in parte autobiografica,

    I codici manoscritti volgari della libreria Naniana riferiti da don J a c o p o M o r e l l i . S’aggiungono alcune operette inedite da essi tratte. In Venezia, nella stamperia d’Antonio Zatta, 1776, p. 159-191. Una sua voluminosa opera di cronologia sacra, con dedica a Gregorio X V : H ie r o n y m i V e c c h i e t t i fiorentini ab Aegypto doctoris

    theologi, De anno primitivo ab exordio mundi ad awnum Iulianum accomodato et de sacrorum temporum ratione libri octo. Augustae Vindelicorum, domi et

    expensis ipsius auctoris, per Andream Aperger, 1621 (nella quale affermava, tra altro, che Cristo non aveva celebrato la Pasqua legale nell’ultimo anno di vita e non aveva usato il pane azìmo nell’ultima Cena) fu posta all’ Indice il 2 die. 1622. Girolamo fu carcerato, in Roma, non si sa per quanto tempo, H . H u r t e r , Nomenclator literarius theologiae catholicae, ed. tertia, t. III. Oeniponte, libraria academica Wagneriana, 1907, col. 811-13 (anche per le confutazioni fatte). Se ne trova il necrologio nel «Libro dei Morti della parr. di S. Giacomo in Borgo dall’anno 1633 al 1651 », f. 25, Archivio del Vicariato di Roma, Archivio Vaticano : « A dì primo gennaro 1640, Il Sig. Gerolamo Vecchietti Fiorentino d’ anni 83 morì dopo haver ricevuto tutti li santissimi sacramenti da me D. Angelo Paradisi curato e fu seppolto nella chiesa di S. Giacomo nella solita seppoltura » (la trascrizione, abbreviata, del G a l l e t t i , cod. Vat. lat. 7879, f. 108, indica erronea­ mente la sepoltura a S. Giovanni dei Fiorentini). 1360 Giovanni Battista Strozzi, il Giovane (1551-1634), letterato e poeta fiorentino, noto soprattutto per i madrigali (come già il suo consanguineo Giovanni Battista, il Vecchio). Assai giovane, nel 1569, entrò nell’ accademia fondata da Tommaso Del Nero, che s’ intitolò nel 1571 degli Alterati, D o m e n ic o M a r ia M a n n i , Memorie della fiorentina famosa accademia degli Alterati. In Firenze, nella stamperia di G. B. Stecchi, 1748, pp. 8, 12, 21. Nel 1570 fu accolto anche nella maggiore e più famosa Accademia Fiorentina. Venne a Roma nell’ ottobre 1590, per desiderio di amici che lo volevano alla corte pontificia ; e prese stanza alla Vallicella, parlando anche all’ Oratorio. B ordet - P o n n e l l e , pp. 451-52 (vers. ital.. 431). Tornò a Firenze e vi si trattenne tra la fine del 1591 e quella del 1592; successivamente si ritrova in Roma, dove compose un’ode per la morte di Elena Massimo, G a l l o n i o , Istoria di Elena de’ Massimi, cit., pp. 72-75; e nel novembre 1594, di nuovo, in patria. F. lo amò per la modestia e l’arguta eloquenza, e Federico Borromeo lo volle con sè a Milano, dal luglio al dicembre 1595. A Roma, prese parte anche alle adunanze letterarie del card. Cinzio Aldobrandini. Ridiede vita all’ accademia degli Alterati, ospitandola nel suo palazzo in Firenze, dove morì a ottantatrè anni, cieco, A . S. B a r b i , Un accademico mecenate e poeta:

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    26 agosto 1597. [208] Girolamo Vecchietti, ff. 539-540

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    egli, quasi scherzando, tal’hora mi dava qualche buffetto, ma grandis­ sima mutatione, alcune poche volte, che se degnò di abbracciarme, tutto tremante, pieno di charità, et stringermi il capo nel suo petto: che me pareva, anco, col moto sensibile di fuori, tutto mutarmi di dentro in un altro, et de pensieri et de voluntà. Fui io, li ultimi quatro mesi del detto anno 1594 et alcuni altri del sequente 1595, molto travagliato et tribolato et me si scoverseno gran contrarietà et persecutioni, etiandio de persone grande. Et de tutto ne fui libero, per le orationi dello detto beato padre, al quale et me raccommandava io et mi faceva raccommandare dal s.r Nero del Neri et dal p. Antonio Gallonio. Ma notabile cosa fu quel che occorse il mese di ottobre del detto anno 1594, che, essendo nate, alcune settimane avanti, differenze et rotture grandi, tra li oratori Egittii, che io condussi, somministrate da chi se fussero, et revoltate le altre contra il giovane s.r Bersum, esso ne era restato molto afflitto, et, di disdegno e di travaglio, se era infermo, con sputo di sangue prima, et poi con febre, che li sopragionse, et vigilia senza reposo. Se fecero chiamar medici, fra li quali fu il Cordella, et disseno, che Ί giovane stava malissimo, et che li si erano rotte le vene capellari del fegato et del pulmone, et che era epe dito, et che, fra venti giorni, quello sputo di sangue si sarebbe corrotto et diventato sputo [f. 540] di marcia, et che, fra un altro mese, poi, si sarebbe morto, et che, per disperato, non ci era altro rimedio, che mandarlo al paese, per rallegrarse a l ’aria nativa, che là, se se partisse presto di Roma, si sarebbe potuto rihavere, poiché il paese d’Egitto era tale che, anticamente, al tempo de Romani, là si mandavano a resa­ narsi, in quella aria, li infermi di tale infirmità. Questo rimedio a me parve lungo et impossibile, per a l’hora, et per servitio del negocio apostolico, che se trattava, et per la salute del giovane. Havendo tutto conferito al s.r Nero del Nero, ne fecemo parte al beato p. m.s Filippo, et lo pregammo caldamente, et fecemo pregare dal p. Antonio Gallonio, che egli ci mettesse la mano, et che l’aggiutasse con le sue orationi. Come fece efficamente, che, apunto, una matina disse Messa, pregando per lui, e trovammo, poi, il giorno, che, a punto in quel’hora, che Ί padre diceva la Messa, il giovane si adormentò et dormì alcune hore, doppo una continua vigilia di tre dì et tre notti, et li se allegerì il male: et quel giorno, se ben mi ricordo, venne il p. Antonio dal s.r Nero a vederlo. Di poi, il beato padre mi mandò a chiamare (non

    Giovati Battista Strozzi il Giovane. Firenze, Sansoni, 1900 (« Biblioteca critica della letteratura italiana », 35) ; per le relazioni con l’Oratorio, pp. 41-42, 45. Nero Del Nero, già comparso come teste il 30 ag. 1595 (28), fu anch’egli letterato e frequentatore di accademie. Fratello di Tommaso Del Nero, appar­ tenne all’ accademia degli Alterati fondata nel palazzo domestico, e si disse IV Orrido », M a n n i , Memorie sopra cit., p. 12; e inoltre a quella Fiorentina, dove rimase ricordato per poesie italiane e latine, e per discorsi, Notizie letterarie, ed isteriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina. Parte prima.

    In Firenze, per P. Matini, 1700, pp. 238-39. Anche i Vecchietti, familiari e protetti del card. Oinzio Aldobrandini, furono parimenti uomini di lettere : Giovanni Battista appartenne agli Alterati, con il soprannome di « V a n o » , M a n n i , Memorie sopra cit., pp. 15-20; e P e b s o n e n i ,

    Notizie genealogiche storiche critiche e letterarie del card. Cinzio Personeni da Ca Passero Aldohrandini, cit., pp. 53-55, 114.

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    182

    26 agosto 1597. [208] Girolamo Vecchietti, fi. 540-541

    so se fu quella medema sera, o un’altra) et, non potendoci andar subbito, la matina, a bon hora, andai a lui, et trovailo a letto. Et mi ordinò, che io andasse a pigliare il giovane, et lo menasse in casa del s.r card. Borromeo, ma che, prima, lo menasse a lui. Io réfutai de farlo et egli tuttavia così voleva., ma a me pareva, che Ί giovane non si sarebbe potuto reggere, et quel moto li haverebbe fatto peggio ; et anche mi parava far male, cavarlo dalle stantie fatteli dare dal papa1361 et condurlo altrove di mia autorità ; et che ne harei acquistato biasmo et reprensione. Et pure egli replicando, che facessi così, et io non potendo più, dissi che non sapevo, se era bene. Egli disse de sì, che era bene ; io disse lo farrei sopra di lui et di suo commandamento ; et egli disse di sì: «fatelo sopra di me, adesso adesso, che vi aspetto». Andai in Borgo, alle sue stanze, et, con gran fatiga, lo persuase a levarse, dicendo che lo voleva il detto beato padre, confortandolo il più che potei et inanimandolo di raccommandarse a lui. Montammo in cocchio e lo menai al beato padre, alle stanze di sopra della Chiesa nova, dove egli stava, et trovammoci il s.r card. Cusano, et, poco appresso, venne il p. m.s Cesare Baronio, hora cardinale. Et il beato padre, subbito che ci vidde, se [f. 541] levò da sedere et ci venne incontro, et abbracciò il giovane teneramente, forte stringendoselo al petto più volte, tutto tremando et lo accollò quasi con il basciare, fecelo sedere, et egli si raccommandò a lui, che pregasse Iddio per la sua sanità, et il padre promise di farlo, et disse, che stesse allegro et de bona voglia, et che non dubitasse, et molte parole di consolatione, et che il Signor Iddio l’haverebbe data la sanità. Ordinò, de lì a un pez­ zetto, che io lo menasse dal s.r card. Borromeo,1362 et, nel partire, anco, lo tornò, fortemente più d’una volta, ad abbracciare et accollare et lo accompagnò fino alla porta della camera, et licentiolo. Et menailo in casa del s.r card. Borromeo, il quale lo accolse caramente, et poi lo mandò a certe stantie di sopra, fatte acconciar per lui, e, nel salir le scale, il giovane pareva gagliardo, et me disse, tutto allegro et pieno de maraviglia: « io sto bene et non ho più male ». Disse che, ne lo stringerlo il padre, egli era tutto sudato, et si era sentito rinvenire et commovere et tutto ringagliardire, et che quel padre era santo. Sminuì la febre, et non ce fu più vigilia, et cessò lo sputo del sangue se non che alquanto di doi giorni et molto poco, che io ho giudicato esser rimasto al petto, di quello che li era cascato prima, che bisognava sputarlo: et, in brevissimo tempo, si liberò dal male, et questo, io fermamente credo, tutto per opera del detto beato padre. Queste et molte altre opere, che io ho sentite di questo beato padre veramente sono grandi, ma tutte si restringeno, una per una, nella salute di quella sola et particolare persona, per cagion della quale egli se ha mosso a pregare. Ma quello che io dirrò hora è, a mio giuditio. 1361 Queste « stantie » erano in Borgo, come si dice alcune righe più sotto, ma non risulta in quale casa o palazzo. Ambasciatori persiani, arrivati a Borna nel 1609, furono ospitati nel «palazzo de Cibi in B org o», O r b a a n , pp. 144, 148 (sul quale palazzo si può vedere la nota 891). 1362 Federico Borromeo, dopo il cardinalato, abitò in Borna il palazzo Ver­ celli, sopra la piazza S. Pietro, come giù ricordato alla nota 346. Il sito era alto e doveva perciò considerarsi più salubre.

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    26 agosto 1597. [208] Girolamo Vecchietti, ff. 541-542

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    sopra tutte le altre opere grandissima, che non salute corporale ha impetrato, ma salute spirituale, per quanto si vede nel buon princi­ pio, che si è incaminato, non di un solo, ma di molti popoli et nationi intiere. Dico adunque che io predetto Hieronimo Vechietti, humilissimo instrumento, fui mandato, l’anno 1593, da nostro signore Clemente papa ottavo, in Egitto, al patriarcha di Alessandria per la unione di quella Chiesa Alessandrina con questa Santa Catholica Chiesa Romana. Et esso patriarcha mandò meco, in Roma, suoi oratori, li quali, in nome suo, facessero tal unione. Et ci arrivammo l ’anno 1594, et poi, l ’anno 1595, del mese de gennaro, se ne fece l’atto publico,1363 et, del mese di giugno, fui di novo tornato a remandare dal medemo pontefice, a trattarne et procurarne la confirmatione.1364 Ma, pochi mesi et setti­ mane avanti, io ero molto travagliato nell’animo mio et molto spaven­ tato, per questa seconda missione, et temevo da evidentissimi pericoli et grandissime contrarietà, che me si scoprivano, et che havessemo havuto a rumare il negocio et me insieme. Et, con molto affetto, raccommandai il [f. 542] negocio al padre, pregandolo che, essendo negocio di tanta grande importanza, pregasse vivamente per esso, et che, pregando parimente per me, in consequenza pregarebbe per esso negocio. Egli mi consolò et mi rendè mirabilmente, con le sue ora­ tioni, l’animo tutto quieto et tranquillo ; et dissemi, anche, che andasse de bona voglia, et che pregherebbe ancora, et che io non dubitasse, che Iddio mi haverebbe dato aggiuto, et che a lui confidasse. Morì il detto santo padre, in questo, et io andai in Egitto, conforme alla missione, et hebbi molti travagli et molte contrarietà et erasi già il negocio condotto ad ultima desperatione. Stette io là in Egitto diciotto mesi, et, in tanto, ricorsi a pregare il beato padre, più dell’ordinario, et io havevo un retratto, fatto in Roma, della sua effigie, molto al naturale, et presi usanza assidua et continua di raccommandarmi vivamente a lui, secondo che comportava la imperfettion mia. Et, quando il negocio era più che mai m inato, prese a incamminarse bene, per mezzi straor­ dinarissimi et impensati. Et, nel pregare che io facevo (siame lecito a dirlo et non me se imputi a iattantia) me rincoravo, prendevo forze et spirito, et crescevame speranza, et una fede viva de bon fine, et una ferma certezza di complemento de quanto desideravo. Et fui mai a tale oratione, che non sentisse in me questi effetti. Non fui frustrato dalla speranza conceputa in lui, che, si come egli haveva favorito questo negocio in terra, così lo havesse a favorire in Celo. Se incamminò, adunque, bene ; si ottenne quanto si domandava, et se ne venne a l’ul­ 13 63 J documenti relativi alla prima missione alessandrina furono, come si sa, pubblicati nell’anno stesso dal B a r o n io , Annales ecclesiastici, t. sextus. Romae, ^ ex Typographia Congregationis Ora torij apud S. Mariam in Vallicella, 1595, pp. 691-701, in un « Corollarium de legatione ecclesiae Alexandrinae acf Apostolicam Sedem ». 1364 L ’ ampio documento della conferma, nel testo arabo e in versione latina, è conservato nell’Archivio Vaticano, A .A . I. X V III, n. 1806/12. Una copia di versione latina, data da Girolamo Vecchietti il 1° feb. 1610, si trova anche nel cod. Vallicelliano K . 25, ff. 230-266; edita dal B uri , L’unione della Chiesa copta con Roma sotto Clemente Vili, cit., in Orientalia Christiana, X X III , 1931, pp. 180-87.

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    26 agosto 1597. [208] Girolamo Vecchietti, ff. 542-543

    timo compimento, et si fece la confirmatione di quella santa unione, tanto desiderata, con le scritture necessarie, chieste da sua santità, et con nova missione di novi oratori, mandatigli in Borna da quel patriarca. Ingrato sarei, se io non ne facesse testimonianza et ne meritarei castigo da Dio et da li homini. Et confesso, per la sua intercessione, esserse finito questo santo negocio : così ho confessato ancora, a bocca, avanti a sua santità, nel darlene conto, et l’hebbe a caro, et soggionse sua santità queste parole: « egli è santo in Celo ». Et così ne fece fede et testimonianza in Alessandria, nel fine de l ’atto della scrittura della detta confirmatione, la quale, poi, publicamente si lesse, qui in Roma, a’ 25 de giugno, avanti a sua santità et cardinali.1365 Sia egli rengratiato, che tanto bene ha cagionato. [f. 543] Non lasciarò ancor de dire questo : che, in Cairo, si erano fatte le scritture della confirmatione de questa santa unione, et si dove­ vano mandare afflrmarle al patriarcha, il quale era otto o diece gior­ nate, lontano, nelle parti interne dello Egitto, nella provincia del Sehid 1366 et alli latini non è usanza, nè lecito di andare in là, per il paese. Et, anche per altri buoni respetti et necessarii, io non potetti andarci, etiamdio che havesse voluto, et fu bisogno mandarci, a nome mio, qual più homo confidente, et ci mandai Side Michele, figliolo del cornus di Alessandria : 1367 il quale comus è homo principalissimo in tutto l’Egitto, doppo il patriarcha. Et perchè quel viaggio, per l’ordi­ nario, si fa per acqua allo in su del Nilo, perchè il viaggio di terra è molto pericoloso, per li Arabi, et io havevo bissogno di prestezza, volsi che egli andasse per terra. Il quale, per servitio del negocio, si dispose di andare et, nel partire, mi se raccommandò, che pregasse per lui, per lo evidente pericolo, nel quale si metteva. Io lo presentai avanti al quadro del retratto del beato padre, et glielo fece reverire et basciare, et disse, che lo raccommandavo a quel santo, et che glielo davo per protettore, et che lo assecuravo, che esso santo l’harebbe fatto finire il negocio felicemente, et che lo harebbe condotto et redotto sano et salvo, et nello andare et nel venire. 1365 Nel documento citato sopra, alla nota precedente, si legge appunto il pio pensiero del teste: « ... semper gratiae agantur sancto Dei, Amico meo, Patri Domino Philippo, cuius intercessione ego praedictus Hieronimus, humillimum instrumentum, confiteor peractum esse hoc sanctum apostolicum negotium », B u r i , op. e 1. cit., p. 185. 1366 xi documento di conferma dell’unione risulta sottoscritto dal patriarca di Alessandria Gabriele « in civitate Ebnub, in monasterio sancti Boctor [Victoris] Martyris », nel gennaio 1597, B u r i , op. e 1. cit., p. 182. Ebnub, per Abnub, cf. E. A m é l i n e a u , La géographie de l’Egypte à l’époque copte. Paris, Imprimerie nationale, 1893, p. 211. Come si sa, i tentativi di penetrare nell’ alto Egitto, per opera di occidentali, erano in quest’epoca ancora rarissimi : per quello di un innominato viaggiatore, che partì dal Cairo il 7 ag. 1589 e visitò « questa provincia del Saiti », si veda G i u s e p p e C a r a c i , On italiano nell’alto Egitto ed in Nuhia sul finire del secolo XVI, in Archivio storico italiano, ser. V II, vol. X I. 1929, pp. 29-76, pp. 231-67. 1367 h documento sopra citato si dichiarò confermato e ratificato « in prae­ sentia filii benedicti et diaconi honorati Michaelis, filii Commue Iohannis Alexan­ drini », per la circostanza che il testo adduce : « ... praesens apud me non fuit filius benedictus Hieronimus Vecchiettus, legatus apostolicus, quia ex gente lati­ norum nemo unquam exit ad Chimasehid », B u r i , op. e 1. cit., p. 182.

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    13 settembre 1597. [209] Sigismonda Sermei. fi. 543-544

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    Partisse egli, et, nello andare, avvenne che, a mezza strada, diede in certi Arabi, et, conoscendolo christiano, nno de loro li diede una lanciata nel costato. Ma il ferro prese carne per la parte de fuori, et non le si profondò nella persona, che, altrimente, l ’harebbe occiso. Mira­ colo et gratia attribuita chiaramente al beato p. m.s Filippo, a cui fu raccommandato. Et questo è quanto mi occorre di dire in questo negocio. Et ad interrogationem dixit: dopoi che io son tornato, mi son confessato alla Minerva, et là mi communico ogni matina della dome­ nica ; et questa domenica passata è stata l’ultima volta, che mi son confessato et communicato nella medema chiesa della Minerva. D IE S A B B A T I 13* M E N S IS SE P TE M B R IS 1597

    [209] Examinata fuit, Romae, in domo ill.mae d.nae marchionissae Rangonae, Regionis Parionis, per me etc., ut supra, d.na Sigismunda Sermei,1368 filia q. d.ni Ludovici Sermei et Gatharinae, coniugum, uxor d.ni Ferdinandi Sermei, urhevetana, aetatis annorum trigintasex in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit :

    Sono diece anni, che io sono in Roma, et ho habitato in Banchi1369 con m.s Ferdinando, mio marito,1370 quale è pittore et ho cognosciuto il p. m.s Filippo, dapoi che sonno a Roma, [f. 544] qui alla Chiesa nova della Yallicella, et non l’ho mai parlato. Et son stata vicina alla chiesa, et ci ho frequentato spesso, et mi soglio confessare, in detta chiesa, dal p. m.s Agostino ; 1371 et mi confesso, secondo posso, nella detta chiesa, et almanco due volte il mese, dove mi communico ancora. Et, l ’ultima volta che mi confessai et communicai, fu il dì della Ma­ donna prossima passata lunedì, come vi ho detto. Mi trovai, il giorno che morse il beato p. Filippo, a basciarli il piede, qui nella Chiesa nova della Yallicella, et vi era gran gente, et doi cardinali, Cusano et un altro, che non mi ricordo il nome, et li detti cardinali se inginochiorno, et li baciavano le mani et piedi, et toccavano anco la corona nelle mani et piedi et altri luoghi del corpo di detto beato padre. Dal quale ho ricevuto una grandissima gratia, quale è questa, che Joseph mio figliolo (il quale è entrato in cinque anni dalli 4 di settembre in qua) del mese di luglio, hebbe, per quattro giorni, un dolore grandis­ simo di corpo, con febre grande, et questo li durò quattro giorni del detto mese di luglio, et comenzò innanti la festa della Magdalena pros­ sima passata. Et era in tal stato, che li medici, che lo medicavano (uno m.s Iacomo 1372 presso S. Caterina della Rota, et m.s Iosephe Ven­ 1368 Sigismonda Sermei morì nell’ottobre 1599, come dichiarò Ferdinando, nella sua seconda deposizione del 27 apr. 1610, f. 809. 1369 Laura Sermei, figlia della teste, nella sua deposizione del 28 indicò con più precisione : « . . . in Banchi, in una casa attaccata alla S. Celso », f. 819. isto Teste il 23 sett. 1597 (211). 1371 Manni, ricordato già nella nota 413. 13^2 Giacomo Agostini, da Fano, che depose il 21 apr. 1610 (279), un fatto diverso da quello per cui viene menzionato qui.

    il

    marito

    apr. 1610, chiesa di

    ma sopra

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    13 settembre 1597. [209] Sigismonda Sermei. fi. 544-515

    turini,1373 medico di S. Spirito) lo tenevano per spedito. Massime che Ί putto haveva buttato, per la bocca, un verme, et questo fu il giorno dopo la festa della Magdalena, la matina, et il putto, per tre giorni, non haveva preso altro che tre rossi d’ovo, con grandissima fatiga. Et il detto giorno, dopo la festa della Magdalena, che mi pare fosse mercordì, il dì avanti la vigilia di s. Giacomo, il detto putto cominzò a stender le gambe et actrettare le braccia et per tutto si lassava andare come morto, et era giacciate, et sudava, come sogliono far quelli che morono. Io chiamai mad.a Finitia de Domina, quale habitava vicino a casa mia,1374 acciochè venisse, et li disse, che mio figliolo si moriva : come venne, et il vidde così, che non haveva altro, che si resentisse, se non il core, et era freddo tutto, et, alle volte, essalava con un poco di lamento, come fanno quelli che stanno agonizando. In questo, mi venne in mente di mandare dal p. m.s Agostino, mio con­ fessore (ricordandomi del beato p. Filippo) che mi mandasse alcuna reliquia del detto padre, il quale tenevo et tengo anco al muro la sua effigie et ritratto. Et il padre, per sua cortesia, mi mandò, in un pez­ zetto di carta, una pezzetta di rottorio del padre, quale la portò mio figliolo Cesare 1375 in quella carta. La quale, subito che io Phebbi, non volse vedere nè mi curai vedere quello che vi era, et disse : « figliolo mio, questa ti può guarire », et la posi sopra il core al detto mio figliolo Gioseppe, con molta devotione, et la teneva sopra il core con la mia mano. Et non credo che vi corressero doi o tre « Credi », che Ί putto aprì li occhi, commenzò a parlare, et disse : « mamma » eti si levò su da sè dal letto, et entrò in una cunna de un altro mio putto piccolo, cunnando da lui, et domandò da magnare et da bere, et io li diedi a magnare zuppa col vino et melangole. Et si rivenne, et guarì, [f. 545] et si levò dal letto, andò per cammera, et io chiamai mio marito Ferdinando, dicendo, che venisse a veder suo figliolo resusci­ tato, et venne, et alzò li occhi al cielo, piangendo de alegrezza, ve­ dendo questo miracolo. Il quale, come ho detto, stava spirando, at­ tratto li piedi et le mani, cioè stesi li piedi et le mani, quale stavano come fosse morto, et li occhi serrati, et sudando come ho detto, che non haveva altro che Ί core che batteva: la mattina sequente andò per strada, come se non havesse havuto male. La sera, quando fu reve­

    1373 Giuseppe Venturini, che al f. 546 è detto «cognato del vescovo di Cava­ gliene », Giovanni Francesco Bordini, è commemorato in un necrologio trascritto nel G a l l e t t i , da libri di S. Cecilia a Monte Giordano : « 1607. 3 7bris f D . Ioseph Venturinus pisanus medicus phisicus et lector in Gymnasio rom.°, in vico retro ecclesiam. L X X X IV », cod. V at. lat. 7875, f . 84. 1374 L a teste successiva. ι* 75 Cesare Sermei, nato in Orvieto, si formò alla scuola del padre e di Cesare N ebbia; giovane, si trasferì in Assisi, dove si accasò e morì, a ottantaquattro anni, il 3 giu. 1668. In questa e in molte altre città dell’ Umbria esegui numerose pitture e affreschi, per chiese e famiglie private, A n t o n io C r i s t o f a n i , Delle storie d’Asisi, libri sei. Asisi, tip. di D . Sensi, 1866, pp. 523-33. Le sue opere in questa città, giudicate artisticamente alquanto mediocri, si trovano registrate nel volume pubblicato dal M in is t e r o d e l l a P u b b l i c a I s t r u z i o n e . D ir e ­ z io n e

    g e n . d e l l e a n t ic h it à e

    d’Italia: Assisi, a cura di

    Catalogo delle cose d’arte e di antichità

    B e l l e a r t i. E m m a Z occa . Roma, La

    Libreria dello Stato [1936],

    pp. 73, 74, 76, 251, 328, 330, 332.

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    13 settembre 1597. [210] Fenizia de Domino, f . 545

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    nuto, come ho detto, io lo vestii, che andava per cammera, et ancora io mi rivoltai alla effigie del beato padre, ringratiandolo della gratia fattam i.1376 Et a questo vi fu presente la sopradetta mad.a Finitia, quale vidde il putto così agonizante, et resuscitato, nel modo come ho detto. Et, in oltre, un altro mio putto,1377 quale haveva sei mesi, che questo maggio passato et era stato, che pativa de orina circa diece giorni, e per prima ne haveva patito che stentava et non poteva orinare et io mandai a pigliare un « Agnus Deo » da mad.a Lavinia, moglie de m.s Francesco Portughese, medico,1378 nel quale vi era delle reliquie del sopradetto beato p. Filippo et tenendo io quello « Agnus Deo » in mano, il putto allattava, et l ’accostai il detto « Agnus Deo », et, mentre che io stava tenendo detto « Agnus Deo » sopra il putto, sento che Ί putto pisciava, perchè mi bagnò tutta, et, da l ’hora in qua, ha sempre orinato benissimo, senza difficulté. Mi occorre di dire, che mi accorse che, nella carta mandatami dal p. Agostino, mio confessore, quale posta sopra Gioseph, mio figliolo resuscitò, come ho detto, aprendo la carta, doppo il miracolo et gratia ricevuta, vidi che vi era una pezzetta de rottorio del detto beato padre. Et questo ho detto per la verità. Et ho tenuto et tengo, che sia miracolosamente guarito l ’uno et l ’altro figliolo, come ho detto di sopra, et Ioseph è questo qui ostendens filium annorum quatuor et ultra.

    [210] Deinde examinata fuit ubi supra d.na Finitia de Domina,1379 filia q. d.ni Dominici de Domina et q. Bernardinae de Mazzarellis, romana, relieta q. Alexii Zilii, aetatis suae quinquaginta quinque in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas inter­ rogationes, dixit:

    Io ho cognosciuto il p. beato Filippo, in S. Hieronimo della Charité, deveno esser trentacinque anni, et poi qui alla Chiesa nova della Vallicella, et hebbi sempre in pensiero confessarmi dal detto padre et mi confessai dal p. Cesare, hoggi cardinale Baronio, dopoi dal p. Angelo et dal p. Giovanni Francesco, et, il solito mio, ogni settimana. Et hora mi confesso dal parrochiano in S. Celso, come ho detto, ogni settimana, et la domenica mi comunico : et l ’ultima volta fu il dì della Madonna, lunedì passato. Io non son stata mai degna di parlare al detto padre, et mi sonno comunicata più volte da lui, alla Chiesa nova. Et, il giorno che morse il detto padre, andando io a visitare una mia figliola monaca, a caso, sentii che era morto, et entrai qui in chiesa, et stentai a basciarli le mani, che vi era molte genti, et pigliai alcune rose sopra al suo corpo, le quali io tengo come reliquie. 1376 II racconto del risanamento di Giuseppe Sermei si legge nel G a i . l o n i o , Vita lat., p. 258; e, oltre che in queste testimonianze del 1597, in altre fatte nel 1610, dal padre, per la seconda volta (289), dai fratelli Francesco e Laura (292 e 293) e dalla vicina Fenizia di Domino, per la seconda volta (299). 1377 Angelo, come lo nominarono nel 1610 il padre, f. 811, e la sorella Laura, f. 818. Egli viveva ancora, in quell’ anno. 1378 Costui, portoghese di nascita, stava « vicino alla Chiesa Nova », e viveva ancora nel 1610, f. 819. 1379 Fenizia de Domino, depose una seconda volta, com’è stato detto, il 30 apr. 1610 (299) ; e comparve anche al terzo processo, il 14 ag. 1610.

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    23 settembre 1597. [211] Ferdinando Sermei. f. 546

    Ho visto di questo padre gran miracolo et che, questo luglio passato, intorno alla festa della Magdalena, stava male un putto, chiamato Ioseph, figliolo di mad.a Sigismunda, moglie di Ferdinando pittore, mia [f. 546] vicina. Il giorno doppo la festa della Magdalena prossima pas­ sata, che fu il mercordì avanti la vigilia di s. Giacomo, la detta mad.a Sigismunda mi fece chiamare con gran furia, et io andando su in casa sua, mi disse, con gran lamento : « vedete che Gioseph, mio figliolo, more » et vidde questo putto, quale è qui, che si chiama Gioseph, ostendit puerum Ioseph supradictum ibidem praesentem annorum qua­ tuor et ultra in circa, il quale stava nel letto, tutto freddo giaciato, con

    le braccia et gambe stese, che tutte parevano de un pezzo, come sonno li morti, et li sudava la testa, et il resto tutto giacciate, et li occhi ser­ rati, che non parlava manco. Et io stando lì, la detta mad.a Sigismunda mandò dal p. Agostino, suo confessore, dicendoli che andasse presto et che tornasse, et se facesse dare una reliquia del p. beato Filippo, et che tornasse, presto. Il putto che ci andò è figliolo della medesima mad.a Si­ gismunda, et si chiama Cesare. Quale tornò presto con una carta, la quale diede a detta mad.a Sigismunda, sua madre, et detta Sigismunda la pose sopra il core al detto Ioseph, et, in spatio di doi o tre « Credi », il putto rivenne, aprì li occhi, et si levò dal letto da lui stesso, et domandò da mangiare a sua madre, et scese dal letto, et andò in una cunna de un altro putto, et si connolava da lui, et la madre li diede da magnare et io mi partii. Et intesi che la sera la madre lo vestì et andò a tavola da sè, et la matina lo viddi per strada, et sempre è stato bene, da l’hora in qua. Et, quando fu rihavuto il putto, la madre chiamò il marito, dicen­ doli: « Ferdinando, venite su che Ί figliolo è guarito ». Quale m.s Fer­ dinando venne et la detta mad.a Sigismunda li racontò, che, per gratia del p. beato Filippo, era resuscitato; et il padre, di allegrezza pian­ gendo, se buttò inginocchioni, piangendo, et guardando il retratto del padre, rengratiandolo della gratia ricevuta. Et questo è quanto mi occorre. D IE M A R T IS 23» SE P TE M B R IS 1597

    [211] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., d.nus Ferdinandus Ser­ mei,13*0 filius ser Bernardini Sermei et d.nae Sigismundae coniugum, urbevetamis, pictor, in Urbe, in Banchis prope Sanctum Celsum, aetatis annorum quadraginta quinque in circa, qui medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit:

    Io sonno in Roma dal tempo de Pio quarto, che ero putto, et con la fameglia sonno diece anni che vi sonno. Et sonno circa venticinque anni, che cognoscevo il p. m.s Filippo, a S. Giovanni de Fiorentini, poi alla Chiesa nova della Vallicella. Non mi ricordo de ha verli parlato. E t alla Chiesa nova ci pratico spesso, che leso Ferdinando Sermei, orvietano, marito della teste Sigismonda (209), padre degli altri testi Francesco e Laura (292 e 293), e inoltre del pittore Cesare, tutti già ricordati, fu scolaro del conterraneo Cesare Nebbia e uno dei rappre­ sentanti del manierismo romano : a Orvieto, esegui con altri, su bozzetto del Nebbia, la composizione del mosaico della Risurrezione per la cuspide centrale

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    23 settembre 1597. [211] Ferdinando Sermei. ff. 546-547

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    Ί p. Angelo Vellio è mio confessore da venticinque anni : a S. Giovanni de Fiorentini prima, poi alla Vallicella. Et mi confesso da lui ogni otto dì, et ogni quindici dì, et mi communico. Et, adesso che lo detto p. An­ gelo non è in Roma, mi son confessato dal fratello del p. Thomasso,*1381 domenica prossima passata, qui alla Vallicella, et mi communicai ivi. Questo luglio passato, un mio putto, chiamato Giosephe, quale ha quattro anni et entrato in cinque, stava male di febre, et ci vennero doi medici. Uno se chiama il s.r Iacomo da Fano, et l ’altro è cognato del vescovo di Oavagitone, quale è medico di S. Spirito ; et il detto s.r Gia­ como ci veniva sera et matina, et il s.r Gioseph, che medica a S. Spirito ci veniva per sua cortesia. Et li diede un pezzo de liocorno1382 a bevere, e t il putto non lo volse pigliare, perchè non pigliava niente ; et era [f. 547] stato doi giorni, che non voleva pigliar niente, se non certo stillato ; et un giorno al fine, non volse manco il stillato. Et dava certi strilli et faceva atti brutti con la lingua et denti et non parlava, se non che dava strilli et dava strilli et menava la lingua che era cosa insolita. Et vedendo questo mia moglie, dubitando che non morisse, chiamò una vicina, che è socera de un banderaro, et mandò uno de mia figlioli, Cesare, al p. m.s Agostino, quale è confessore de mia moglie, per alcuna reliquia del beato m.s Filippo. Et il mio figliolo Cesare ci andò, et ritornò che io era in bottega, et andò subito dalla madre. Et non credo che vi corresse un quarto d’hora, che mia moglie mi chiamò, dicendo : « venite a veder vostro figlio ». Et io andai su, et trovai il putto, quale prima l ’havevo lassato nel letto, che stava in una cunna, presso al letto, et si ninnava da per esso, coleo in quella cunna. Et mia moglie mi raccontò, che haveva posta una reliquia, che haveva portata il detto Cesare, mio figliolo, datali dal p. Agostino, del beato Filippo, al core del putto Gioseppe, et che suhhito cessò il battere del core, et si era levato da sè dal letto, et andato in quella cunna. Et, per allegrezza et tenerezza, io piansi et mi inginochiai, ringratiando il p. Filippo di questa gratia et miracolo, fatto nel mio figliolo sopradetto Joseppe. De lì a poco, il putto domandò del pane et merangolo, et magnò, et vennero delli altri putti, et comin-

    del duomo (opera ora perduta) ; a Roma, fresco nelle chiese di S. Maria Mag­ giore e in S. Caterina da Siena; lavorò anche in Bagnoregio, nel 1605, T h i e m e B e c k e b , Allgemeines Lexilcon der Mldenden Künstler, Bd. 30. Leipzig, 1936, p. 516; A n t o n io D i v i z i a n i , Artisti orvietani a Bagnoregio nei secoli XVI e XVII, nel Bollettino dell’Istituto storico artistico orvietano, X I, 1955, pp. 34-36. Al processo depose una seconda volta, come già indicato, il 27 apr. 1610 (289); e, inoltre, al terzo processo, il 9 lu. 1611. Non risulta noto l’ anno della sua morte. 1381 Francesco Bozzio, fratello minore di Tommaso, che F. aveva appunto destinato al ministero delle confessioni, R i c c i , p . 158. 1382 Lioncorno, Liocorno, forme alterate di Unicorno : l ’immaginario animale con corpo di cavallo e un corno in fronte, del quale favoleggiarono antichità e medioevo. I com i creduti di esso, ma in realtà solitamente zanne di narvalo, furono usati in medicina fino ai secoli x v n e x v i i i , contro i veleni, e inoltre l’epilessia, le convulsioni, le febbri pestilenziali, ecc., A l b e b ic o B e n e d ic e n t i ,

    Malati, medici e farmacisti; storia dei rimedi traverso i secoli e delle teorie che ne spiegano l’azione sull’organismo, vol. I. Milano, Hoepli, 1924, pp. 773-75 ; A d a lb e b to P a z z i n i , Le meravigliose virtù dell’alicorno, in Athena, I II, 1934,

    pp 382-88. Il « Lioncorno, overo Alicorno » è notato nel « Sommario dell’elettione de’ semplici », alla fine della ristampa 1639 dell’Antidotarium romanum, p. 333 ; sulla quale si veda la nota 420.

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    10 dicembre 1597. [212] Francesco M. card. Tarugi. f. 548

    ciorno a far festa insieme. Et, ia matina sequente, fu vestito et uscì fora de casa, con li altri putti a giocare, et non ha havuto più male, dalPhora in qua. Et io tengo, che questo sia stato miracolo, vedendolo, così in un tratto, guarito, che era stato male circa otto giorni, et tre giorni che non haveva voluto pigliar niente. Et innanti che fosse questo miracolo di Gioseph, un altro mio figliolo, che non arriva a Panno, quale pativa di orina, havendoli posta mia moglie una reliquia del beato Filippo, havuta da una sua amica, postoli quella reliquia, sentì che Ί putto, nelle fascie, si era bagnato. Et, da l ’hora in qua, non ha patito più di orinare. Subdens: non mi recordo si era in fascie, o vestito, perchè questo me l’ha raccontato mia moglie, dicendomi, come ho detto, che haveva posta sopra il puttino la reliquia, prestatali dalla sua amica, come ho detto, et che sentì bagnato il putto. Et del patire de l’orinare, so che pativa, et ci havevamo fatti alcuni remedii et purghe di lei, cioè di mia moglie, et non so se giovassero, ma, doppo la purga et il posamento della pezza over reliquia, il putto fu guarito et non si è sentito più de patimento de orina. Et, essendo come mi ha detto mia moglie, che, subito posta la reliquia, si bagnò il putto dell’orina, tengo che sia mira­ colo. Et questo è quanto mi occorre di dire in questo negotio.

    [f. 548] D IE M E R C U R II 10« M E N SIS D E C E M B R IS 1597

    [212] Examinatus fuit, Romae, in aedibus confratrum Oratorii Sanctae Mariae in Vallicella, ill.mus et rev.mus d.nus Franciscus Maria Taurusius,1383 tituli Sancti Bartolomei in Insula S. Romanae Ec-*1 5

    1383 Francesco Maria Tarugi nacque il 25 ag. 1525, a Montepulciano (sul padre, Tarugio, giurista e curiale, venuto a Roma sotto Alessandro V I, e im­ piegato in missioni importanti e uffici di governo dai pontefici Leone X , Clemente V II, Paolo II I , Giulio I I I , Sommario storico delle famiglie celebri toscane, cit., « Tarugi di Montepulciano », pp. 6-7). Il giovane Francesco Maria, dalla corte di Ranuccio Farnese, passò a servire Giulio I I I , suo parente; alla morte del quale, nel marzo 1555, tornò in quella famiglia cardinalizia. Ebbe una profonda crisi spirituale circa il luglio 1555, e prese a sottostare pienamente alla direzione di F ., pur mantenendo il suo servizio fino alla morte del Farnese, nell’ottobre 1565. Entrò allora come laico nella comunità dell’ Oratorio, dove primeggiò nei sermoni e nel­ l ’ assistenza ai malati degli ospedali e ai carcerati, B ordet-Ponnelle, pp. 150-52, ecc. (vers, ital., 145-47, ecc.). Memorabile fu soprattutto la sua opera per mutare l’animo del terribile capobandito Bartolomeo Catena, giustiziato 1Ί1 genn. 1581, P astor, v . IX , pp. 774 e 777 n. 1 ; per il quale si leggono sei «M editationi per illu­ minarsi a conoscere la grandezza d ’iddio, la brevità della vita, vanità del mondo, et bruttezza de’ peccati », scritte con tutta probabilità da lui, e contenute nel cod. Vallicelliano Q. 68, ff. 17-26, Calenzio, pp. 182-91. Era diventato prete nel 1571; e per la fondazione della casa dell’ Oratorio in Napoli, fu in quella città dal maggio all’ ottobre 1583, dall’ aprile ’84 all’ aprile ’85 e, continuatamente, dal marzo ’86 al ’92 (si vedano, per quanto sopra, anche le note 17, 70 e 185, qui ricapitolate). Il 9 die. 1592, fu eletto arcivescovo di Avignone, e tenne il governo di questa diocesi con austerità e fermezza, introducendo riforme e celebrando un concìlio provinciale, J. H . A lbanés, Gallia Christiana novissima.

    Histoire des archevêchés, évêchés et abbayes de France d’après les documents authentiques recueillis dans les registres du Vatican et les archives locales, compì., ann. et publiée par le chan. Ulysse Chevalier, t. 7. Avignon. Valence,

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    10 dicembre 1597. [212] Francesco M. card. Tarugi. f. 548

    191

    clesiae presbyter cardinalis Avenionensis, nunc archiepiscopus Se­ nensis, qui, medio iuramento, tacto pectore etc., ad opportunas interrogationes, dixit :

    Olirà l’essamine, che io ho mandato de Avignone,1384 delle attioni del beato p. Filippo Nerio, mi è sovvenuto che, circa· trenta anni sono, essendo venuto, una sera, da detto padre, un giovane, chiamato Thomasso da San Geminiano, in compagnia di m.s Simon Grazini et de un altro senese,1385 il detto padre, guardando fissamente il predetto Thomasso, gli disse : « accostatevi qua, che io vi superò dir qualche cosa del fatto vostro », et gli disse : « ditemi la verità : non siete voi sacerdote? ». Et il detto giovane (qual poteva haver all’hora sedici o diecessette anni) accettò di essere ordinato sacerdote, et che l’havevano forzato a ordinarse alcuni suoi parenti, per succedere a una heredità, che importava sessanta milia scudi, la quale toccava al predetto Thomasso, che era de famiglia molto nobile, ancorché naturale : il nome della qual famiglia, al presente, non mi ricordo. Et io rimasi con stupore, per l ’età del

    1920, col. 623-29; G r a n g e t , Histoire du diocèse d’Avignon et des anciens diocèses dont il est formé, t. 2. Avignon, Seguin Ainé, 1862, pp. 175-236 ; M a r c ia n o , Memorie Mstoriche della congregatione dell’Oratorio, t. I, cit., pp. 245-55; t. I I, pp. 6-36. II 5 giu. 1596, Clemente V i l i lo creò cardinale, e gli diede stanza in Vaticano, O r r a a n , p. 52 n., denotando anche con ciò il suo intendimento che risiedesse in Roma. Ebbe il titolo prima di S. Bartolomeo in Isola, e il 17 giu. 1602 quello di S. Maria sopra Minerva; fu traslato, il 15 sett. 1597, all’arcidioeesi di Siena, che tenne con zelo, amministrandola per lo più con vicari (si veda anche la nota 1117). Rinunziatala nel 1606, con la riserva di una pensione di 2500 scudi romani, si ritirò per ultimo alla Vallìcella. Morì Γ11 giu. 1608, secondo il necro­ logio sotto quella data, trascritto nel G a l l e t t i , da libri della Chiesa Nuova : « Ill.m us et r.mus d. Franciscus Maria Tarusius politianen. 'S. R. E. card, habi­ tans apud nos in ea parte domus n.rç cong.is quç respicit ad orientem, anno çt. suç 84, hora 22. Sep. in sep. n.rç cong.is V III », cod. V at. lat. 7875, f. 93. Per l’originale del suo testamento, fatto in Roma il 2 apr. 1603, P a s t o r , v . X I, p. 184 n. ; e carte varie spettanti alla sua eredità tra cui a Stima delle robbe lasciate ... alla sua famiglia », nel cod. Vat. lat. 10.029, ff. 1-44. L ’iscrizione, per lui e il Baronio, alla Chiesa Nuova, è collocata nella parete « in cornu Epistolae » del coro, e reca : « D. O. M. | Francisco Mariae Taurusio politiano | E t | Caesari Baronio sorano | E x congregatione Oratorii | S. R. B . presbb. cardinalibus | Ne corpora disiungerentur in morte | Quorum animi | Divinis virtutibus insignes | In vita coniunctissimi fuerant | Eadem congregatio | Unum utrique monumentum | Posuit. I Taurusius vixit annos L X X X II | Menses IX dies X IV | Obiit I I Idus Iunii M D C V III | Baronius vixit annos L X V III | Menses V I I I | Obiit pridie K al. Iulii I M D C V II », F o r c e l l a , v . IV , p . 154, n. 366; e C a l e n z i o , p. 813. La biografia in due redazioni, si legge nell’ARiNGHi, cod Vallicelliano O. 58, ff. 81-105; nel Ricci, pp. 6-44 ; e in C h a c o n - O l d o i n i , Vitae et res gestae pontificum romanorum et 8. R. E. cardinalium, t. IV , col. 288-90. Si possono aggiungere due significativi aneddoti, sul Tarugi difensore d’immunità ecclesiastiche e paciere in una mortale rissa di cavalleggeri a Monte Cavallo, contenuti nel cod. S. Francesca Romana 13, Biblio­ teca Vittorio Emanuele di Roma, f. 23. 1384 Depose in Avignone, il 5 mag 1596 (XVII. extra Urbem) ; ma già in antecedenza, poco dopo la morte di F ., aveva mandato, da quella città, ricordi sopra di lui, in una lettera veduta in Roma sulla fine dell’ agosto 1595, f. 176. Si veda la nota 486, per le varie deposizioni del Tarugi. 1385 Questo senese innominato era probabilmente Alessandro Salvi, corti­ giano del card. Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, ff. 946 e 928; che il teste Simone Grazzini nomina come suo abituale compagno, f. 13.

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    10 dicembre 1597. [212] Francesco M. card. Tarugi. f. 548

    giovine, et perchè andava in habito di laico, et mai più il padre l’haveva veduto. Il qual padre me disse poi, che haveva veduto, nella fronte di detto giovanetto, un splendore grande, che era il carattere sacerdotale impresso nelPanima.1386 Mi è sovvenuto, in oltra, che, ritrovandose mad.a Bradamante, so­ rella di mad.a Fulcinia Neria, che fu moglie de un musico di Castello, chiamato, se ben mi ricordo, Sebastiano, con gravissimo dolore de testa, al quale non trovava rimedio alcuno, per molti che ne haveva usati in molti giorni, essendo andato, un giorno, il padre, insieme con me, a casa di detta Bradamante, la ritrovò con un grande involto di panni su la testa, che si lamentava assai del suo dolore. Et essendosegli acco­ stato il padre li levò l’involto de panni, dicendoli : « matta, che vuoi tu far di tanti panni in testa? ». Et, essendoli levati li panni, in un tratto, se li levò il dolore della testa et non li venne più. Mi ricordo, anco, che’l padre, un giorno, mi disse che, passando dal Coliseo, vidde un barone 1387 che spidochiava ; li venne vehementissima

    1386 h fatto era già stato riferito dal teste Domenico Giordani, con le im­ portanti notizie aggiunte che il giovane fu trattenuto da F. in S. Girolamo della Carità, fatto studiare, assicurandogli la cospicua « entrata de cinquecento scudi », e rimandato in età adulta « al paese », f. 3 3 1 . « Circa trenta anni sono », dice qui il Tarugi; ma anzi che durante il pontificato di s. Pio V , 1 5 6 6 -1 5 7 2 , il teste Gior­ dani e il G a l l o n i o , Vita lat., p. 8 9 , collocano la scoperta del sacerdote adolescente in quello di Paolo IV ; il biografo, precisamente, nell’ anno 1 5 5 9 . L ’identità e l’origine del giovane abusivamente ordinato (quando si esigevano i venticinque anni per il conferimento del presbiterato, P e l l i c c i a , La prepara­ zione ed ammissione dei chierici ai santi ordini nella Roma del secolo XVI, cit., pp. 41-42) si trovano indicati da uno storico locale, G i o v a n n i V in c e n z o C o p p i ,

    Annali, memorie ed huomini illustri di Sangimignano, ove si dimostrano le leghe e guerre delle repubbliche toscane. In Firenze, nella stamperia di Cesare e

    Francesco Bindi, 1695, p. 194 [numerazione seconda] : si tratterebbe di un Tom ­ maso Cortesi, « naturale, e suo padre si chiamava Antonio, e i suoi fratelli Paolo e Lattanzio, come si legge nel testamento di Antonio. Questi conversava in Roma col Tarugi, col Baronio Cardinali e con altri uomini illustrissimi, e narra mio padre, Icon[ologia degli uomini illustri Sangimignanesi, manoscritto, per quanto si sa, irreperibile] f. 27, che fu dottissimo nelle Speculative, e versatis­ simo della lingua greca e latina ». Qualora s’ accolga l’ identificazione, pare strano che il Tarugi, toscano anch’egli e legato da relazioni con Antonio Cortesi, avesse dimenticato il cognome della famiglia : verrebbe perciò fatto di pensare, piut­ tosto, a una reticenza, spiegata dal carattere, per ogni rispetto non onorevole, del fatto narrato. I Cortesi, originari pavesi (modenesi, secondo il Tiraboschi) risultano dimo­ ranti circa il 1448 a San Gimignano, dove divennero, anche per parentadi e ric­ chezze, una delle famiglie più ragguardevoli ; presenti a Roma dal 1430 circa, furono curiali e umanisti assai noti, specialmente, in quel secolo, Antonio (m. 1474) e i figli Alessandro e Paolo, P ao lo G u i c c i a r d i n i , Cusona. Firenze, Rina­ scimento del Libro, 1939, pp. 11C-15; Appendice, pp. 28-29; e Un parentado fioren­

    tino nei primi del cinquecento e riflessi di vita umanistica nella campagna Valdesana. Firenze, Tipocalcografia classica, 1941, pp. 10-13; Pio P a s c h i n i , Una famiglia di curiali nella Roma del quattrocento: i Cortesi, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, X I, 1957, pp. 1-48. D i Antonio del secolo xv fu anche figlio

    Lattanzio, che continuò la famiglia con altro Antonio : il padre, secondo il C o p p i . deH’ ilIegittimo Tommaso, e inoltre (con nomi che si rifacevano) di Paolo e di Lattanzio. La famiglia si estinse sulla fine del secolo xvn. 1387 Barone, ehi andava mendicando e facendo il vagabondo, Vocabolario degli Accademici della Crusca, quinta impressione, « ad vocem ». Sull’episodio si può vedere la nota 534.

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    28 marzo 1598. [213] Germanico Fedeli, f. 549

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    tentatione di carne et che lui credeva,, che quello era stato il demonio. Et io così credo, per la longa purità di detto padre. Et supradicta omnia deposuit, tacto pectore, ut supra, ratificando, in primis, eodem iuramento, omnia contenta in depositione facta per ipsum ill.mum cardinalem, Avinione, dum esset archiepiscopus praedic­ tae civitatis, quae conservatur in actis mei notarii.

    [f. 549] D IE SA B B A T I 28» M EÌtSIS M A R T II 1598

    [213] Examinatus fuit Romae, in officio etc., admodum rev.dus p. d.nus Germanicus Fidelis,1388 presbyter Congregationis Oratorii, qui alias in Uniusmodi causa fuit examinatus, et, medio iuramento iterum prestito, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit:

    Oltra quel che io ho detto nelli altri mia essamini, vi dico che, l ’anno passato, andando, con il card. Tarugio, cardinale de Avignone, a Parma et a Mantua,1389 allogiando in Sarravalle, diocesi di Came­ rino,1390 et essendo cascata molta neve, et, la notte, una tramontana gagliarda, che haveva aggiacciate tutto quel paese, la matina, levandomi a bon’horà, che Ί s.r cardinale voleva andare a dir Messa a Tolentino, et, raccommandandome, si come è il mio solito, alla Madonna santissima et al nostro beato p. Filippo, sentii maggior affetto che mai havesse sentito, nè potevo, quantunque havesse quella sollecitudine di partire, staccarme da Quello essercitio di raccommandarmi, et di pregare. Et, maravigliandomi io di questa cosa insolita, sentivo dentro me stesso un pensiero, che mi diceva : « hoggi, qualche male te ha da intervenire, che haverai bisogno della petitione et aggiuto de!beato padre ». Come seguì, che, cavalcando per quella strada giacciata, in una poca di sciesa, la cavallina, quale io cavalcavo, sdrucciolando con li piedi dinanzi, cascò, 1388 Terza deposizione di Germanico Fedeli, comparso la prima volta il 5 sett. 1595 (11). 1389 L ’ annosa inimicizia tra i Farnese duchi di Parma e Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, originata dalPinfausto matrimonio di questo con Margherita Farnese e inasprita da numerosi episodi recenti anche di natura criminale, indusse Clemente V i l i a inviare il Tarugi come paciere alle due corti. Il cardinale, il quale era amico dei Farnese e persona grata ai Gonzaga, fu accreditato con breve del 24 feb. 1597 al duca di Mantova e con altro simile a quello di Parm a; e arrivò in questa città il 3 aprile, per passare sul principio di maggio a Mantova. Il negoziato, condotto anche con l’opera dei due parenti del cardinale, Sallustio e Bernardino Tarugi, si concluse entro i due mesi, tra non lievi difficoltà, che risultano dai documenti editi da A d a l g is a P o s s i , Francesco Maria Tarugi cardinale d’Avignone e la sua opera di pace nei ducati parmense e mantovano. [2 . ed.]. Parma, M. Fresching, 1942. Manca nel P a st o r il racconto di questa missione, che si trova descritta sommariamente nel M a r c ia n o , Memorie historicité della congre­ gatione dell’Oratorio, t. I, cit., pp. 256-57. 1390 L ’itinerario del cardinale Tarugi lungo la via Flaminia e per le Marche (quello stesso che seguì, nell’aprile 1598, Clemente V i l i , per andare a prendere possesso di Ferrara, P a s t o r , v . X I, p. 609) si può spiegare con l’opportunità che rinviato percorresse regioni sotto il dominio pontificio o con ragioni personali, e di pietà, come la visita ai santuari di Tolentino e forse di Loreto. Serravalle di Chienti, per intendere la narrazione del teste, sovrasta Tolentino di oltre quat­ trocento metri.

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    28 marzo 1598. [213] Germanico Fedeli, fif. 549-550

    et, facendola levare, ricascando la seconda volta, che non poteva fermare il piede, dubitando che non mi cogliesse una gamma sotto, volendo smon­ tare, et havendo levato il piede dritto dalla staffa, sentendosi la caval­ lina, che era gagliarda, sgravata da quella parte, se drizzò. Et, ritenendo 10 il piede sinistro nella staffa, cascai in terra, et lei, impaurita, met­ tendosi a fuggire, mi strascinò per sassi et giacci et neve, tirandomi calci (de quali tre me ne colsero nel stinco della gamba dritta) et mi strascinò, senza che alcuno mi potesse aggiutare, quantunque tutti della compagnia mi vedessero et piangessero per morto. Et mi tirò, come ho detto, strascinandome, per doi volte quanto tiene la nostra chiesa della Vallicella. Et, in quello atto, recordandomi di essermi raccommandato la mattina al padre, sentivo, dentro me stesso, quantunque vedesse il pericolo et sentesse dolore delli calci datomi, che io non patirei male alcuno. Et la voce di dentro diceva : « tu non haverai male ; non dubi­ tare ». Come seguì, che arrivato ad una hosteria, volendo la cavallina entrar dentro et dubitando de doi homini, che stavano ivi nanti la porta, voltando a man dritta verso il fiume Chienti, che era vicino, dove erano sassi et arbori, che difficilmente serei salvato, in questo maggior peri­ colo, me restò il stivale con il sperone allacciato, et la gamma fuori. Seguendo anco de correre la detta cavallina, et correndo homini, per vedere, se io ero morto o scoppiato, senza loro aggiuto, da me mi levai, et cominciai a caminare, [f. 550] come se quel caso fosse occorso a un altro et non a me, che non sentiva altro, se non un poco di dolore nel stinco, dove ricevei li calci : non potendo dare ad intendere a mons. Tarusio, quale era in compagnia et, meno, alli altri che vi erano et videro 11 pericolo, che io non havesse rotta la testa, le gambe, la schiena, havendomi visto strascinare, come ho detto, sopra sassi, giacci et legni. Mi restò detta gamba livida et gonfia, et, con tutto ciò, sequitai il viaggio, sempre a cavallo, senza farci remedio alcuno, sperando che, chi me haveva fatta la gratia di liberarme dalla morte, mi haverebbe dato anco il complemento di guarire quel poco male, che, per testimonio del gran miracolo, me haveva lassato. Et, arrivato a Bologna, circa dodeci giorni et più dopoi il caso seguito, cavalcando sempre per neve, giacci, et freddi, vedendo che la gamba non guariva, per scrupolo, dubitando di non tentare Iddio, la mostrai a un medico famoso, et, di sua mano, ci volse mettere un cirotto. Quale, subito attaccato, cominciò a tirare et darmi dolore : onde, non havendolo portato più de un quarto d’hora, 10 levai et dissi, che non volevo guarire, nè ricevere la perfetione della gratia, se non da quel beato padre, che me haveva preservato da mag­ gior pericolo. Et così fu, che non passorno, credo, doi o tre giorni, che passò il tumore et la lividezza, et restai libero. Et, in quanto al sti­ vale, restato con il sperone, era tanto stretto, che la sera, quando mel feci levare, durai fatiga. Mi occorre, ancora, che, fabricandose la Chiesa nova, l ’anno santo 1575, su la fine, havendo tirato il filo dalla banda sinistra, per fondare, andando il rev.do p. m.s Giovanni Antonio Lucio, soprastante della fabrica, dal detto beato padre, a dirli che se era tirato il filo et si voleva fondare, volendo all’hora il beato padre dir Messa, disse che si fermasse, che, doppo la Messa, sarebbe venuto. Et, andando, vedendo 11 filo, disse che riuscirebbe poco larga la chiesa, et che tirasse il filo

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    2 maggio 1598. [214] Lorenzo Cristiani, f. 551

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    più in fora. Il che havendolo fatto far doi volte, sempre facendo tirare in fuora, disse, alla terza volta: « fermatelo qui et cavate ». Et, cavan­ dosi sotto, non più che otto o diece palmi, si trovò un muro vecchio, largo dodeci palmi, che ha servito per fondamento della maggior parte della nave et quasi mezza della facciata, et, de quella banda, la fabbrica non ha patito niente, come ha fatto dall’altra banda.1391 Mi ricordo, ancora, haver detto, nelli altri essamini, la sanità resti­ tuita a una persona, quale non nominai. Adesso, per meglio dechiaratione, dico che fui io, che ricevetti tal gratia de l’ernia carnosa, dalla quale io fui liberato : referendomì, nel resto, al detto primo essa­ none.1392 Mi ricordo, ancora, haver inteso dall’ill.mo e rev.mo s.r carddi Avignone, mentre era « in minoribus », molti anni sono, et da altre persone, che, havendo il beato padre visto un giovane,1393 del quale non ne poteva haver notitia, et [f. 551] era vestito di habito secolare, parlando con il padre, lo cognobbe che era prete, et li disse che era sacerdote, et così era, confessandolo lui istesso. D IE SA B B A TI 2* M E N SIS M A H 1598

    [214] Examinatus fuit, Romae, in domo habitationis mei notarii Re­ gionis Partonis, admodum rev.dus d.nus Laurentius Christianus,1394 filius q. d.ni Petri Iulii de Christianis, et d.nae q. Angorinae coniugum, de oppido nuncupato Varesio, natus in civitate Ianuae, sub cuius diocesiv et extat oppidum Varesii, archipresbyter cathedralis ecclesiae Iannuensis, presbyter, annorum quinquaginta in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit, ad opportunas interroga­ tiones : ,

    Deveno essere dell’anni trentasei in circa, che io cominciai a cogno­ scere il rev.do p. Filippo Ner io, qual stava a S. Hieronimo della Cha­ rité. Et io andavo con m.s. Giovanni Animuccia all’oratorio di S. Hie1391 II racconto del noto fatto di chiaroveggenza di F. si legge anche nel

    De origine Oratorij, eit., in Aevum, I , 1927, p. 632, con l’importante particolare che altri antichi muri erano stati prima ritrovati : « contigit ibidem, ubi effoderetur fossa fundamentorum reperii (sic) peramplos latericios solidissimos parietes, nec in uno tantum loco sed pene ubique a dextero latere, sed cum a sini­ stris non reperirent, affluit spiritualis noster architectus, ipse pater, qui trans filum iussit effodi ubi, mirantibus cunctis, continua fuerunt fundamenta reperta, eaque occasione ipsum ecclesiae gremium latius est utiliter redditum, superque ea adinventa fundamenta crevit in templum ... ». Scoperte di antichità e di una «quantità grande di marmi nobilissimi » furono fatte durante i lavori di costruzione della chiesa, L anciasi, v . IV , pp. 68-69. 1392 prim a sua deposizione, in data 5 sett. 1595 (11), f. 133. 1393 Tommaso da S. Geminiano, per il quale si veda alla deposizione pre­ cedente. issa Lorenzo Cristiani, di Varese Ligure, fu chierico beneficiato in S. Pietro, come da quest’ annotazione : « D. Laurentius Christianus die 29 aug.u 1563 accepit poss.m Ch. per resig.™ d. [Petri Aloysii] Falconerii promoti ad Benef. », \cod. Vat. lat. 10. 171, f. 283; e, conformemente, in scheda Galletti, cod. Vat. lat. 8066 C, f. 16. Per rinunzia di Lorenzo il 3 mar. 1586 prese possesso della chiericatura il fratello Giovanni Francesco Cristiani, cod. cit. 10. 171, f. 283 v. B abonio,

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    2 maggio 1598. [214] Lorenzo Cristiani, ff. 551-552

    ronimo, del quale detto padre era capo. Et, dall’hora in qua, l’ho cognosciuto sempre, et, da trentadoi anni in circa, mi sono confessato dal detto p. Filippo, per tutto il tempo che son stato a Eoma, che è stata la mia partita dell’anno 1586. Et quando io ero di servitio in S. Pietro, mi confessavo dal s.r Giovanni Battista Tigerone; et non, per questo, lassavo il padre, quale, quando io havevo comodità, lo andavo a trovare et mi confessavo da lui. Ho cognosciuto sempre il detto padre per gran servo di Dio, et disprezzatore delle cose del mondo; et inteso che era nato nobile; et haveva lasciato casa sua, dove poteva star commodo ; et inteso, che era parchissimo nel vitto. Ho inteso, anco che, prima che Ί detto p. Filippo fosse prete et doppo, ha fatti miracoli. Nanti che fosse prete, ne fece uno, che l’ho inteso dal s.r card. d’Avignone : et questo fu molti anni sonno, che, andando io a Montepulciano con il detto s.r ill.mo card. Tarusio, che era « in minoribus », et ci veniva il p. d. Francesco Soto, mi disse a me, che raggionavo seco, et raggionavamo della santa vita del p. Filippo, che, essendo un gentil’homo infermo gravissimamente, con pericolo, se ben mi ricordo (credo, mi dicesse, che detto gentil’homo habitava in casa de’ Salviati, alla Longara) fu visitato dal padre, quale non era ancora prete, et il padre, doppo la visita, andò a S. Pietro et [f. 552] si pose a fare oratione avanti il Santissimo Sacramento.1395 Et, la sera, o la mattina seguente, detto infermo fu visitato da m.ro Alesandro da Civita,1396 suo medico, et lo trovò tanto megliorato, che disse, che quello non era meglioramento naturale, ma sopra naturale et divino.1397 Et un altro miracolo intesi, dal rev.do d. Marcello Ferro, quale era beneficiato di San Pietro et io ero clerico, che poi essere del medemo tempo, et più, di quello che mi disse il s.r card. Tarusio, come ho detto sopra, che è più de venti anni. Mi disse il detto m.s Marcello, che Ί detto p. Filippo, doppo che è prete, et che stava a S. Hieronimo, che, entrando nell’oratorio di S. Hieronimo, come era solito, et era già comenzato, fregandosi la mano sul viso, come soleva fare, il detto p. Filippo, mentre entrò, andò et pigliò un homo per la testa, con tutte doi le mani, quale homo detto p. Filippo non lo cognosceva. Et li disse : « figlio mio, confessa quelli peccati, o quel peccato, dillo, non dubitare », o cosa simile. Et questo homo restò attonito et admirato, che non haveva parlato mai seco. Questo homo era amico de m.s Mar­ cello Ferro, et lui l ’haveva condotto lì all’oratorio. Et, secondo detto m.s Marcello mi disse, era questo homo gran peccatore, et per questo lo condusse lì all’oratorio, per ridurlo alla bona via, et che Ί padre non lo cognosceva, nè meno il detto homo cognosceva il padre, cioè non haveva pratica seco, nè sua amicitia.1398 1395 II sito dell’ altare del Sacramento avanti il 1° ott. 1605, nella basilica di S. Pietro, è stato già indicato alla nota 764. 1396 Alessandro Petroni, per il quale si veda la nota 444. 1397 II gentiluomo risanato era Prospero Crivelli, come dalle note 52 e 74. Ma l’anno del fatto fu il 1554 o 1556; non, come dichiara il teste, prima dell’ordi­ nazione di F . (23 mag. 1551). 1393 Era Fabrizio Tribieno, da Recanati, come Marcello Ferro in persona narrò già nella sua deposizione del 23 ag. 1595, ff. 60-61.

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    2 maggio 1598. [214] Lorenzo Cristiani, ff. 552-553

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    Un altro è successo nella mia persona. Essendo io di età di venti in ventun anno, havendo havuta una infirmità longhissima, fui condotto, per amorevolezza, in casa di detto m.s Marcello, così ammalato, per curarmi. Dove stetti molti mesi, et, havendo fatti molti recidivi, in quella infirmità, ne l’ultima recidiva, condotto al fin della mia vita, havendo persi li sentimenti et ricevuto la Communione, della quale non mi ricordo, se non come per sogno, et anco la Estrema Ontione, me disse la madre del s.r Marcello, chiamata Isabella,1399 che stava alla mia cura per amorevolezza, mi referì che era venuto il santo p. d. F i­ lippo nella camera, dove io stavo amalato. Et, stando in piede, pose la mano in una tavola, quale stava in detta camera, et se voltò a un quadro, qual stava lì in camera, et fece oratione. Poi si voltò alla detta s.ra [f. 553] Isabella et le disse : « Signora, credete che Lorenzo morirà?». Lei, cognoscendo la santità del padre, respose: « io non lo so ; vostra reverentia lo deve saper lei », et egli respose : « non morirà ». Tornò di novo a fare oratione alla medema figura et di novo domandò alla detta s.ra Isabella: «credete che Lorenzo morirà?». Lei rispose: « padre, io non lo so ; lo deve saper lei ». Si mosse il padre, per quel che disse la detta s.ra Isabella, et venne al letto, dove io stavo, et mi pose la mano in capo. Resentito, io mi trovai la mano di detto santo padre in capo, et risanai di quella malattia. Et, ad interrogationes, dixit: essendo io rivenuto in me, mi trovai la mano del padre, come ho detto, in capo, et all’hora cognobbi il padre. E t non mi ricordo, che mi dicesse cosa alcuna. Et, quando venne il padre, che entrò in camera, come mi referì poi la s.ra Isabella, conforme a quello che ho detto di sopra, stavo che non sentivo, nè odivo cosa alcuna, et havevo perso tutti li sensi. E t la detta s.ra Isabella, come ho detto, mi referì quanto era passato, avanti che io revenisse, et che Ί beato padre haveva fatto. La quale s.ra Isabella tenne, come io ho tenuto et tengo, che questo fosse un miracolo, fatto per il detto beato p. Filippo.1400 Et ho recognosciuto et recognosco la vita dal detto beato p. Filippo. Et mi rimetto, in questo, a quello che dirrà, overo haverà detto il s.r Marcello Ferro, che saperà meglio il fatto di me.1401 Ho ben inteso, doppo, dal detto s.r Marcello, che, doppo che io fui rivenuto, venendo il medico, che era il s.r Pietro Crespo,1402 si maravigliò che io stesse in quel stato, et gli fu detto che era stato il beato Filippo, et il medico disse : « non è mara­ viglia, che lo cognosco per un homo santo ». Un altro miracolo ho visto dal detto p. beato Filippo in S. Giovanni Laterano, che, ritrovandomi io, un giorno, in detta chiesa di S. Gio­ vanni, che sono piò de venti anni, et si mostravano li Apostoli, in detta chiesa, et io stavo nella nave, verso la cappella del Sacramento,1403 dove, 1399 Se ne trova nel Galletti la memoria di sepoltura, alla Chiesa N uova: « 1582. 23 decem. Sep. d. Isabella Ferra rom. in suo sep. V i l i », cod. Vat. lat. 7872, f. 97. 1400 xi racconto si trova nel Gallonio, Vita lat., pp. 119-20, sotto l’anno 1569; e si cita appunto la presente deposizione. 1401 xi Ferro lo narrò già nella sua deposizione del 23 ag. 1595, f. 61. 1402 Pietro Crispo, ricordato alla nota 254. 1403 Già in età medievale, l’ altare del Sacramento della basilica Lateranense si trovava nel transetto, ma nel braccio destro, riguardando l’ abside : « placé au

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    18 giugno 1598. [215] Tommaso Bozzio. f. 554

    innanzi a me, stava una donna spiritata, donna de villa, grande et gagliarda, et faceva gran rumore, et gridava. Et viddi venire [f. 554] il santo p. Filippo, a gran passo, et s’accostò a questa donna, che faceva romore, et la pigliò (non me ricordo, se fu nelli capelli, o nella veste del petto) et disse il santo padre alla spiritata : « me cognosci tu? » lei respose: « così non ti cognoscesse ». Cascò la donna in terra, et poi si levò, et fu tenuta libera da tutti.1404 Et il padre, cascata che fu, se ne fuggì, caminando verso il Sacramento. Non mi ricordo chi fosse con il padre, che io non ero con lui, et vi era molta gente. Et questo è quanto mi ricordo del detto beato padre, quale ho tenuto sempre, come tengo, per santo. D IE IO VIS 18» IU N II 1598

    [215] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., per me ut supra, admo­ dum rev.dus p. d.nus Thomas Bozzius,14·05 eugubinus, presbyter Congregationis Oratorii, de quo alias, etc., qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit:

    Oltra le altre cose, che ho dette, credo che siano ben ventisei anni, per quanto mi ricordo, che io intesi dire, che era succeduto, molto prima, una cosa miracolosa, de uno, il quale, essendo in mare, per annegarse, fu liberato maravigliosamente, con apparirli et aiutarlo la santa memo­ ria del p. Filippo.1406 Ma perchè io non mi son ricordato a punto, nè tenuto memoria del tempo, che ciò mi fu detto, nè l’homo a chi avvenne tale cosa, nè chi me lo disse, per ciò non l’ho testificato per prima, nell’altra mia testificatione : ma hora, come lo so, così lo dico. Mi ricordo, ancora, haver inteso che, nel fabricar della chiesa, es­ sendo per rovinare non so che cosa, con gran pericolo, nè apparendo segno alcuno di tal cosa, una mattina, all’improvviso, il detto p. F i­ lippo santa memoria, al luogo della fabrica, disse a m.s Giovanni Antonio Lucci, che, la notte, li era apparsa la Madonna, et mostratoli il gran pericolo et luogo del pericolo; et, per ciò facesse ben ben guar­ dare, che ci era, se ben non appariva. Et così fu visto esser la verità, secondo li era stato revelato : del che tutti restorno admirati. Et questo fu nel ’76 o nel ’77, se ben mi ricordo.

    fond d’une chapelle au pied de la tour et dont le tabernacle était défendu par des grilles de fer », G. R o h a ü l t d e F l e u r y , Le Latran au moyen âge. Paris, Morel et c.ie, 1877, p. 349. Nei vasti lavori di restauro e di rinnovamento di tutto il transetto condotti sotto Clemente V i l i , tra il 1592 e il 1601, P a s t o r , v . XI pp. 663-66, l’ altare ebbe la sua collocazione nel fondo del braccio sinistro e la form a presente, con architettura di Pietro Paolo Olivieri, S e r g io O r t o l a n i , S. Gio­ vanni in Laterano. Roma, Casa ed. cc Roma » [1925] (« Le chiese di Roma illu­ strate », 13), pp. 56-61. 1404 II racconto di questa liberazione, avvenuta come pare nel 1575, era giù stato fatto dal teste Pietro Vittrice, il 23 ag. 1595, f. 59; il quale era stato anch’egli presente. 1405 Seconda deposizione di Tommaso Bozzio, già comparso il 26 sett. 1595 (60). 1406 Per il fatto e una congetturale identificazione del personaggio si confron­ tino le note 649 e 650.

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    3 luglio 1598. [216] Agostino Maria Bianchi, ff. 554-555

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    D IE V E N E R IS 3» IU L II 1598

    [216] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., admodum rev.dus p. d.nus fr. Augustinus Maria,14·07 filius q. Leonardi Blanchi et q. Franci8cae coniugum, de Savona, vicarius generalis Fratrum Reforma­ torum s. Augustini, ex aedibus Sancti Pauli de Regula de Urbe, aetatis suae annorum quinquaginta trium m circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit:

    Sono circa sette anni, che io pratico in Boma, et sono nella reli­ gione di s. Agostino, della congregatione di Lombardia,14071408 di quelli di S. Maria del Popolo, da trenta anni et più, et, in questa de Refor­ mati,1409 da sette anni in circa. Et, [f. 555] in questo tempo, che io sono praticato in Roma, ho cognosciuto il beato Filippo Neri, qui alla Vallicella. cioè la Chiesa nova. Che poco stetti in Roma, che cominciai a cognoScerlo et visitarlo spesso. Et lo praticavo spesso, perchè sapevo che era ben voluto da nostro signore papa Clemente Ottavo, et deside­ rava d’esser introduto da sua santità con il suo mezzo, ancorché sua santità mi havesse cognosciuto per prima, come protettore della nostra religione, per far questa reforma^ nella quale ci trovavo molte difficoltà. E t il padre mi teneva detto : « Agostino, non dubitare, che le cose andaran bene » : come, per gratia di Dio, sono stabilite. L’anno passato 1597, del mese di settembre, io mi trovavo qui in Roma, in S. Pavolo della Regola,1410 con grandissimi et crudelissimi 1407 Agostino Maria Bianchi, savonese, entrò nella Congregazione osservante agostiniana di Lombardia, nella quale fu visitatore (1580, 1586), e definitore (1585), D o n a t o C a l v i , O. E. S. A. de Obs., Delle memorie isteriche della Congr. esser, di Lombardia dell’Ord. erem. di s. Agostino. Parte prima [unica pubblicata]. In Milano, nella stampa di F. Vigone, 1669, pp. 351, 360 e 365. Passò successivamente al certosini, in Napoli, nella badia di S. Martino. Ma ne usci, per rivestire un’altra volta l’ abito agostiniano, nella congregazione riformata degli Scalzi, con il nome di Agostino Maria della Trinità; e ne divenne, nel 1598, vicario generale. Quando il governo della sua congregazione fu dato al carmelitano scalzo Pietro della Madre di Dio, quale a « sopraintendente apostolico », egli si ritirò con altri a vita eremitica in un convento fondato in Amelia. Per ultimo, tornò nella congregazione, e fu mandato priore del convento di S. Nicola in Genova; dove mori nel 1698, B a s i l i o M a r ia C i n q u e d e l l a C r o c e , O .E .S .A .D ., Glorie

    nostre; cenni storici sui venerabili e sugli uomini più illustri per santità e dot­ trina dell’ordine degli Eremitani agostiniani scalzi. Napoli, tip. G. Montanino, 1933, pp. 54-56. 1408 Questa congregazione, fondata a Crema nel 1439 dal pavese Giovanni Rocco, ebbe dal 1449 un proprio vicario generale; si diffuse vastamente, in parti­ colare nell’ Italia settentrionale, con l’ aggregazione di molti conventi principali dell’ordine. Con questo si ricongiunse dopo il 1815. Per la prima parte della sua storia si può vedere l’ opera di D o n a t o C a l v i , cit. nella nota precedente. 1409 Questa congregazione riformata agostiniana, ancora esistente, porta il nome di Romitani scalzi di s. Agostino. 1410 La fondazione del convento di S. Paolo o S. Paolino alla Regola si attribuisce al Bianchi, nel novembre 1594 (come anche quella dell’ altro convento in Roma, Ss. Marcellino e Pietro, nel marzo dell’ anno stesso), B a s i l i o M a r ia C i n q u e d e l l a C r o c e , Glorie nostre, cit., p. 55. Gli agostiniani scalzi abbandona­ rono nel 1619 S. Paolo alla Regola, che passò ai Francescani di Sicilia; e, per breve fatto da Paolo V nel 1615, ebbero la chiesa di Gesù e Maria al Corso, dove ancora rimangono, A r m e l l i n i - C e c c h e l l i , p p . 485-86, 1406, e 412.

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescénzi. ff. 555-556

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    dolori de fianco, che non trovavo luogo ; et, nel dolore grande che io havevo, mi venne in mente la bona memoria del p. Filippo, et mi raccommandai a lui dicendo : « padre Filippo, per la vostra charità et humiltà, che havete demostrata al mondo, vi prego: fate oratione et pregate Iddio per me, che mi voglia liberare da questi crudeli dolori, se li piace ». Et, fatto questo, in termine manco di un « Credo », anzi, in un instante, passorno i dolori et feci una pietra. Et non me ne sentii, nè son sentito più, doppo: il che io l’attribuisco alla intercessione di quel beato servo de Iddio. D IE M A R TIS 7a IÜ L II 1598

    [217] Examinatus fuit Romae, in officio etc., admodum ill.is et rev.dus d.nus Iacobus Crescentius, 1411 presbyter romanus, abbas abbatiae Sancti Eutitii, Spoletanae, seu Nullius Diocesis, qui alias, in causa et negotio huiusmodi, examinatus fuit et iterum, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit:

    Poi che, l’altra volta, non hebbi tempo di dire quello che volevo et sapevo, perchè me bisognò andare alla badia, per certi mia negotii, vengo a dirlo et notificarlo adesso, a gloria et honore di questo santo p. Filippo. E, prima, oltra quello che io disse, dell’opinione, che io e tutti li altri havevano della santità sua, mi ricordo, che era tenuto communemente per vergine, et io per tale l’ho sempre reputato: massime, che, dal parlare suo, se ne poteva pigliare coniettura. Et,, de più, mi ricordo haver inteso dire, da più persone, et particolarmente, mi pare, anche dal card. Baronio, che, confessandosi egli, una volta, dall’istesso cardinale, prima che fosse cardinale, si doleva grandissimamente, et si confes­ sava, con gran lachrime, di essere stato ingrato a Dio, che [f. 556] li haveva fatti tanti beneficii, et che l ’haveva conservato sempre vergine. Il quale beneficio conoscendo esso quanto era grande, si doleva, come ho detto, parendoli, per affetto d’humiltà, non esserne stato grato come havria voluto. Inoltre, in confirmatione di questo, ho inteso dire, da più persone, le quali si trovorno presenti, quando il corpo di questo padre santo fu aperto, per empirlo de aromati, che, venendo occasione de scoprire le parti pudende, il corpo, così morto come era, sempre, da se stesso, ricopriva le istesse parti con la mano : cosa che, per esser sopranaturale, ci dà inditio della purità sua. Et quelli che vi erano presenti si maravigliorno assai, vedendo fare questo atto a un corpo morto, più d’una volta. Et perchè mi scordai alcuni particolari, per inavertenza, nell’altro essamine, che io feci, nel particolare della visione della Madonna, però dico, che stando questo padre santo, un anno in circa prima che morisse, in letto, ammalato molto grave, con certi dolori di fianchi gagliardis­ simi, mi ricordo che io arrivai, una sera, nelle sue stanze, donde io mi 1411 15 nov. 1595

    Terza deposizione di Giacomo Crescenzi, comparso la prima volta il

    (119).

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescenzi. ff. 556-557

    201

    ero partito poco prima, per andare non so dove, et, subito, me si fece incontro il p. Antonio Gallonio, il s.r Marcello Vitellesco et molti altri, tutti maravigliati et compunti, e mi raccontorno come, all’hora alPhora, al padre santo era apparsa la Madonna Santissima. La quale egli, non potendosi contenere, era stato forzato di salutare, con parole de gran­ dissimo affetto, et fare atti, come di abbracciamenti: di modo che si scorgeva chiaramente, che egli la vedeva visibilmente et di più che era stata tanto grande la forza dello spirito, che haveva sollevato il corpo del santo padre, stando egli a giacere sul letto, più di un palmo alto dal letto, tutto in aria, di maniera che li medici et li altri, che vi si trovorno presenti, remasero tutti stupiti. Et, in un tratto, se li partirno li dolori, et restò consolatissimo, et essortava tutti ad esser devoti della Madonna Santissima ; et, poco doppo, si levò sano, come se non havesse havuto male alcuno. Et pure era stato travagliato da quaranta giorni, con dolori intensissimi, che, di ragion naturale, l ’haveriano dovuto lasciar stracco et fiacco per molte settimane. Se ben questo era suo ordinario, in tutte le altre infermità, le quali, così come non veni­ vano per via et cagione naturale, si partivano .anco in modo straordi­ nario et miracoloso. Et questo io mi ricordo haver lo veduto ogni volta che egli si guariva, poiché, per lunga et grave fosse stata la infermità, Pistesso giorno che se li partiva, et lui [f. 557] tornava a dir la Messa, l’offitio, et a tutti li altri essercitii di prima, come se non avesse havuto mai male alcuno. In oltre, nelle istesse infermità, et per grave che fussero, me ricordo, che lui stava sempre, non solo con patientia grandissima, ma, anco, con una fortezza et grandezza d’animo maravegliosa. Poiché, non solo non si lamentava et obediva li medici, in tutto quello che li commandavano, ma, nell’istesso tempo, esso consolava altri, e tratteneva tutti quelli, che lo venivano a vedere, discorrendo, con esso loro, di cose di dottrine di spirito et di tutto quello, che vedeva, che quelli desideravano, dando sodisfattione a tutti, diversamente secondo la diversità delle persone. Et questo era cosa continova, et, molte volte, durava dalla mattina alla sera ; poiché, se bene quelli, che ne havevano cura, l ’haveriano volen­ tieri lasciato riposare, tuttavia, era tanto il concorso di prelati, cardi­ nali et altri prelati, che venivano a visitarlo, che non si poteva far altro. Oltra che egli haveva dato ordine espresso, che non si mandasse mai via nissuno ; et quando, per sorte, s’accorgeva, che fosse stato fatto il con­ trario, ne sentiva grandissimo dispiacere, per il desiderio che haveva di condescendere a sodisfare a tutti. Et questo io l ’ho visto in tutte le sue infermità, alle quali io mi son trovato presente, con mia grandissima maraviglia. Ma, per raccontare alcune gratie ricevute nella persona mia et d’altri, per l ’intercessione et meriti di questo santo, che l ’altra volta tralasciai, dico, prima, che, trovandomi in viaggio, Panno del ’95, se ben mi ricordo, del mese d’ottobre, in compagnia con il rev.do s.r. Giovanni Antonio Lucio, et andando per strade cattivissime, con pioggie continove, et con una cavalcatura giovane, inesperta et om­ brosa, con raccommandarmi all’intercessione di questo santo padre, io toccai con mano, che, mediante la gratia sua, dalla quale fui sempre protetto, io arrivai a salvamento. Poiché passai per lochi, et superai

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    202

    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescenzi. ff. 557-558

    difficoltà, et passi tanto spaventosi, che, oltra che io me ne stupisco, quando me ne recordo, in quello istesso tempo, che io li passava, mi pareva pur miracolo che io non precipitasse o, almeno, non me strop­ piasse. Et se bene havevo tempo in quel santo padre, tuttavia, per il pericolo presentaneo, stavo quasi come fuor di me, et non mi pareva che fosse possibile quello, che pure sperimentavo et toccavo con mano. Et, quanto più duravano et crescevano le fatighe et dissaggi, tanto più me si accresceva forza et vigore : in tanto che, finito il viaggio (che durò da quindeci o venti giorni in circa) arri fai tanto sano et gagliardo, come si fosse stato tutti quelli giorni in reposo et molto [f. 558] più. Cosa che mi dà maraviglia, ogni volta che ci penso, et che non mi saria riu­ scita, senza dubio, se Ί padre santo non mi havesse agiutato, con la sua intercessione. Quanto alle gratie ricevute in persona di altri, ho inteso dir più volte dalla s.ra Constantia,1412 mia madre, che, trovandosi essa, se ben mi recordo, dell’anno del ’75, amalata, con febre pestifera, flusso et paracismi continui, molto vicina alla mòrte, se recordò del padre santo, il quale essa ancora non lo cognosceva, ma l ’haveva sentito molto lodare dal rev.do m.s Giovanni Antonio Lucio sopradetto, come persona de gran santità. Et subito, con gran fede, li venne pensiero, che, si questo padre santo la fosse venuta a vedere, senza dubio l ’haveria guarita, Et mandandolo il s.r Virgilio, mio padre, a chiamare, sentendo detta s.ra Costanza, che detto padre santo, nello accosterseli, balsava tanto, come era suo solito, quando faceva oratione, non havendo essa pratica di questo, si prese grandissimo fastidio, pensandosi che egli lo facesse, perchè prevedesse ch’ella doveva morire. Ma, domandandoli poi detto padre santo, se lei voleva andare a confessarsi da lui a S. Hieronimo, rispondendoli ella de sì, li replicò et soggiunse, che stesse de bona voglia, che ce saria venuta. Dalle quali parole essa prese tanta fiducia, che, tornandoli poi ristessi paracismi di prima, ancorché si vedesse vicina a spirare, sempre diceva tra se medema : « io non morirò, perchè quel padre santo mi ha detto che andarò a S. Hieronimo ». Et così fu, poiché, subito guarita, cominciò andare a confessarse da lui, che, all’hora, stava a S. Hieronimo, et ha seguitato sino alla morte. Un’altra volta, da quindeci anni fa in circa, stando essa medema inferma di rosalia, li sopravennero certi accidenti, una notte, che la condussero in termine, che credevano tutti che dovesse morire: credo che la communicassero per viatico, se ben me ricordo. Et venendo la mattina a visitarla il padre santo, che se li erano partiti quelli acci­ denti, raccontandoli essa il male, li respose il padre santo : « sappiate, che io sono stato, tutta questa notte, con voi ». Et guarendo, poi, essa da detta infermità, tribuì ogni cosa, sì come ancora fa, alli meriti del detto santo padre. Un’altra volta, havendo la detta s.ra mia madre non so che tentatione, la quale li era durata qualche giorno, sentì, una notte, darsi come un scapezzone et, resvegliatasi, senti, formalmente, la voce del 1412 Costanza Crescenzi Del Drago, teste il 30 apr. 1596 (172) ha già narrato al f. 437 i suoi due risanamenti, qui riferiti dal figlio e, nella deposizione che segue, anche da Maria Paganelli, che serviva in casa.

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescenzi. ff. 558-560

    203

    padre santo, che li disse : « quanto vói star così? » et, compuntasi, mi pare, [f. 559] che se li partisse la tentatione. Una altra volta, stando l ’istessa s.ra madre afflitta per la morte del s.r Virgilio, suo marito et mio padre, et passandoli per la fantasia, che fosse stata cosa strana, che esso se fosse morto, non havendo più di cinquantanni in circa, vedendosi inanti il padre santo, che ne haveva poco meno che ottanta, discorrendo questa cosa tra sè, se li accostò detto padre santo, et, senza che ella li dicesse altro, lui li disse queste parole : « bella cosa : io vecchiaccio, che non son più bono a niente, so’ remasto in questo mondo, et vostro marito, che era così giovine et prosperoso, è morto: non è stata cosa disconveniente?». Alle quali parole, vedendosi ella scoperta, non seppe altro che replicare, se non scusarse, et dire che non era altrimente inconveniente, et cose sim ili.1413 Ma, andando poi a trovare le serve della detta signora, essa signora li raccontò il tutto, con grandissima compuntione et confusione. Un’altra volta, trovandosi, otto o dieci anni in circa, una serva di detta s.ra Costanza, chiamata Eugenia da Collescipoli,1414 con una infirmità nel naso, che l ’haveva portata diciotto mesi, con grandissimo tra­ vaglio, poiché li nascevano certe croste dentro, et se li gonfiava, in modo che non poteva veder lume per cuscire, trovandosi, un giorno, per le mani, certe pezze di rottorio del padre santo, quali metteva insieme per lavarle, li venne in mente di raccommandarse al detto padre santo, quale ancor viveva, et applicandose al naso una di quelle pezze insan­ guinate, subito, in instante, si sentì guarita, nè mai più ha patito di detto male. Le quali cose sopradette io ho inteso dir più volte da detta s.ra Constanza, Eugenia et altri di casa et successivamente, le ho viste guarite. Oltre le cose sopradette, me ricordo che, andando, una volta, a visi­ tare il padre santo, insieme con li mei fratelli, per ordine della s.ra nostra madre, la quale era sua figliuola spirituale et ci mandava, ogni anno, dua o tre volte, a basciarli la mano, prima che havessimo la pratica sua, me ricordo, dico, che fummo menati in una loggia, come un mignano, ^opra un tetto, donde si passava, poi, dalle sue stantie, a un camerino più alto della casa, dove egli se ritirava, alle volte, a fare oratione. Et stando egli a raggionare, con esso noi, una tavola, che li stava vicina, senza che nissuno la toccasse, o che fosse spinta da vento o altro, da se stessa, [f. 560] dette volta per cadere in terra. Et esso,, mi ricordo che, reparandolo con la mano, ce disse : « vedete? questo era il diavolo, che voleva farmi cadere adosso questa tavola, per farmi dispiacere: ma non li è venuto fa tto » .1415 Alle quali parole, io, all’hora, non replicai più che tanto, perchè ero giovanetto, et non lo cognosceva come ho fatto poi : et per questo credo, che esso si lassasse intendere, che non l ’haveria fatto così con un altro, dal quale havesse potuto credere dover essere scoperto. Ma, consideran­ 1413 Anche i due fatti qui narrati risultano già deposti da Costanza Crescenzi Del Drago, ff. 437-438. 1414 Eugenia Mansueti, comparsa il 22 genn. 1597 (193), ha già narrato questo suo risanamento, f. 504. 1415 D’episodio è accennato dai B a c c i , 1. I l i , c. 2, n. 19, senza circostanze.

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescendi. f. 560

    dolo poi meglio, ho conietturato da questo, quanto poca forza havesse con lui il demonio, poiché procurava de molestarlo con queste bagatelle. De più, me sowien de dire che, doppo la morte sua, ogn’anno, il giorno che passò al cielo, si è celebrato, alla Vallicella, la festa sua, con cantare Messa et vespero solenne, con bellissima musica et gran concorso di gente et intervento di molti prelati et cardinali. Et, in particolare, questo anno si è fatto con più solennità, poiché ha cantata la Messa et il vespero, pontificalmente, mons. Paulo de Curte,1"116 ve­ scovo di Ravello, vicegerente dell’ill.mo s.r cardinale vicario, con l ’in­ tervento del s.r card, de Terra Nova14161417 et molti altri prelati. Et, ancorché fosse il papa con tutta la corte assente, et che fosse giorno di lavoro, et che la festa non se fosse publicata, tuttavia si è visto tanto concorso di popolo, come se fosse stato il giorno di Pasqua. Et questo non fu solo in chiesa, ma alla sepoltura,1418 la quale era benissimo adornata con fiori di seta et parati d’imbroccato ; et alla stanza dove il santo padre morì, la quale se è accommodata in modo d’oratorio, con un altare in mezzo, con la sua effigie, et con la vita e miracoli suoi intorno intorno.1419 Et per tutto si vedeva tanta compuntione et devo1416 Paolo de Curtis, napoletano, chierico regolare, eletto vescovo di Ravello, il 26 apr. 1591, da Gregorio X IV , e traslato a I sernia, il 15 mar. 1600, alla quale sede rinunziò sei anni dopo, L u i g i M a n s i , Ravello saera-monumentale. Ravello, con la pressa tipografica Zini di Milano, 1887, pp. 44-45. Fu vicegerente del car­ dinale vicario, a Roma, per due volte, G ia c in t o P o n z e t t i , Elenchus chronicus vicariorum Urbis in spiritualibus maxx. pontificum romm., eit., p. 49 n ; dopo il 30 ott. 1610, vicario di S. Maria Maggiore, D e A n g e l i s , Basilicae S. Mariae Maioris de Urbe ... descriptio et delineatio, cit., p. 38. Egli scrisse una lettera, il 1° mar. 1627, a Urbano V i l i , per parlargli, tra altro, del nipote Muzio Capece, dei Padri dell’ Oratorio, C a r l o P a d i g l i o n e , La Biblioteca del Museo nazionale

    nella certosa di S. Martino in Napoli ed i suoi manoscritti esposti e catalogati.

    Napoli, stab. tip. di F . Giannini, 1876, pp. 130; e cf. 18-19 (dove tuttavia è sicu­ ramente inesatta l’indicazione che questo Paolo de Curtis vestisse l’ abito teatino nel 1607, a 'S . Paolo di Napoli). Mori in Roma, nel 1629, cod. Vat. lat. 7900, f. 93. 1417 Simone Tagliavia, dei duchi di Terranova, siciliano, creato cardinale il 12 die. 1583, da Gregorio X III; ebbe per titolo S. Maria degli Angeli, dal 20 mag. 1585 al 9 mar. 1592 ; successivamente vescovo di Sabina, morì il 20 mag. 1604. 1418 II luogo di essa, fino al 24 mag. 1602, si trova già indicato nelle note 460 e 812: era in alto, nella loggetta sopra rimbocco della navatella destra, al transetto. Tale collocazione del corpo di F . appare privilegiata, confrontan­ dola con le norme della severa legislazione ecclesiastica introdotta sulla metà del cinquecento; per le quali si veda Pio P a s c h i n i , La riforma del seppellire nelle chiese nel secolo XVI; note storiche, in Scuola cattolica, anno L , 1922, ser. V , vol. X X II, pp. 179-200. 1419 Non abbiamo elementi che permettano d ’immaginare sotto quale forma F. fosse ritratto nel « quadro grande » posto sull’ altare della stanza nella quale egli era morto : è probabile, però, che a tale quadro sia per lo meno ispirata qualcuna di quelle numerose incisioni, molto antiche, che lo ritraggono (conser­ vate nel volume ora A. II I . 51, già lettera X, intitolato « Fasciculus diversorum iurium », Archivio dell’ Oratorio di Roma). L ’effigie fu dipinta, come tutti gli altri quadri collocati nella stanza-oratorio, da Cristoforo Roncalli detto il Poma­ rancio. Risulta che la pittura del « quadro grande » gli fu pagata il 19 mag. 1597 ; la fattura della cornice era stata pagata il 2 maggio dell’anno stesso, e la doratura di essa, a piccole rate, il 27 settembre, il 3 ottobre, il 27 novembre 1597 e il 9 apr. 1598. Per gli altri quadri, il 22 lu. 1596, furono pagati al Pomaraneio 20 scudi, dati dal p. Antonio Gallonio, « per il quadro piccolo dove è dipinto quando il santo padre sentì cantare gli angeli » ; ed altri 20 scudi, dati da Mar­ cello Vitelleschi, « per l’ altro quadro piccolo accanto l’ altare, dove è dipinto quando

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescenzi. f. 560

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    tione di quelli che venivano (che, la maggior parte, non havevano cognosciuto detto santo padre) che si scorgeva chiaramente, che Dio dava loro quello affetto et quelle lacrime, per gloria di questo santo servo suo, il quale, come in vita ha cercato sempre de occultare le virtù sue, così si vede, che Dio vole, che hora siano cognosciute et admirate da tutti. Di più il p. Giovenale,1420 doppo il vespero solenne, l ’istesso giorno,

    il santo padre andava in estasi mentre celebrava Messa, e quando fu veduto alto da terra, circondato da splendori ». N ell’ anno stesso, il 24 die. 1596, gli furono pagati 25 scudi, dati dai Crescenzi, « per il quadro della visione della Madonna santissima » e altri 25 dati da Fabrizio Massimo, « per il quadro del putto risu­ scitato ». I l 14 mar. 1598, il pittore ebbe 25 scudi, somministrati metà da Giacomo Crescenzi e metà da Marcello Vitelleschi, per il quadro « quando il santo padre liberò un suo figliuolo spirituale, che si annegava in mare ». Il 25 maggio dell’ anno stesso, ne ricevette altri 25, versati dal p. Antonio Gallonio, « per il quadro, quando il santo padre cascò in quel fondamento, e quando appari a diversi ». I l 17 dicembre, ancora del 1598, furono versati 16 scudi a Giacomo Crescenzi, per darli al Pomarancio, « a bon conto di scudi venticinque per il quadro pagato dal s.r M[arcello] V[itelleschi] ». Non è scritto chi abbia fornito, in fine, i 25 scudi pagati al Pomarancio il 15 mag. 1599 « per il quadro, quando il santo padre rese l’ anima a Dio » ; nè chi abbia dato gli altri 50 scudi che il 19 del mese stesso furono versati al pittore «p e r due quadri, uno quando il corpo del santo padre stava in chiesa; nell’ altro vi sono alcuni miracoli oprati dal santo padre dopo morte ». Archivio dell’Oratorio di Roma, cartella A . II I . 4. L a trasformazione in cappella della stanza nella quale F . era morto avvenne quasi subito : un decreto della congregazione in data 25 mag. 1596 prova che entro l’ anno essa era già compiuta, Calenzio, p. 441. Si è rintracciato il tèsto di un’ iscri­ zione destinata a farne memoria, con varianti e sottolineature che si riproducono : « Venerandum hoc, quod cernis, cubiculum, in quo Beatus Philippus Nerius duo­ decim aetatis suae postremos degens annos Sanctorum apparitionibus, et Angelo­ rum concentibus recreatus, Deiparaeque Virginis aspectu laterum dolore laevatus sanctissimam efflavit animam | Ne tanti viri habitatione insignitum in profanos cederet usus, sed qua decet veneratione coleretur | Spirituales eius alumni novo [veteri] laqueari novo auro, picturisque ornato superaddito | Pariete [Parietibus] depictis linteis praecipua quaedam ipsius miracula repraesentantibus circum­ vestito [circumvestitis] | [In eodem altari], quo in estrema[m] usque diem ad rem divinam usus est, eius effigie manu Christophori Roncalli pictoris aetatis nostri celeberrimi ad vivum expressa in eod. altari collocata | Nihil de priori forma, et situ immutatum | ut ad posteros earum rerum maiori cum religione memoria transmitteretur, cum iisdem camino, et fenestris fidelissime conservandum, sa­ crisque faciendis ex auctoritate Olem. viii Pontif. M ax. dicandum curarunt Anno D.ni etc. [Et ut ad posteros earum rerum maiori cum religione memoria transmit­ teretur nihilo de priori situ, et forma immutato, sed cum iisdem camino, et fenestris ita prorsus, ut singula erant, fidelissime conservandum, sacrisque facien­ dis ex auc.te Clem, viii Pont. M ax. dicandum curarunt. A m o etc.] », Archivio dell’ Oratorio di Roma, A I I I 2. Sul verso si legge, di mano del p. Francesco Zazzara : « Questa inscrittione la fece un giovane di casa Granata spoletino, et è poco differente d a quella del s.r Abbate Crescentio ». Non si sa se questa ultima, o altra, sia stata di fatto apposta. L ’ incendio dell’ anno 1620, già ricordato nella nota 198 (alla quale ora si ag­ giunga la più ampia e circostanziata notizia di Giacinto Gigli , Diario romano (1608-1670), a cura di Giuseppe R icciotti. [Roma, 1957] Tumminelli ed., p. 46), distrusse questo primo sacello, con perdita quasi totale della suppellettile conte­ nuta. Il Pomarancio, com’ è noto, ebbe a ripetere gran parte dei soggetti già rappresentati in quella prima serie di quadri, che è da ritenersi scomparsa, nei quadretti incastrati nelle pareti del vestibolo della cappella di s. Filippo alla Chiesa Nuova. 1420 Giovenale Ancina, oratoriano, il futuro vescovo di Saluzzo e beato, entrato

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescenzi. fi. 560-561

    fece un bellissimo sermone sopra la vita et miracoli di detto santo, il quale ho inteso dire da più persone, che ve si trovorno presente, che commosse a lacrime tutti li ascoltanti. Hora, si vede ogni giorno crescere la devotione [f. 561] delle genti, perchè concorrono tuttavia voti di persone, ch’hanno ricevute gratie da questo santo, et elemosine da altri, che, per devotione che li portano, desiderano che sia honorato nel meglior modo che si può. Alla festa et al concorso del popolo et alla devotione io mi ci trovai presente, et ho sentito anco dire universalmente, da tutti li altri che ve si trovorno et, a Napoli, ho inteso et vedute anco le lettere de quei padri, che, l’istesso giorno, havevano fatte grandissime feste, anzi, per tutta l ’ot­ tava, et che là ancora si era visto grandissimo concorso di gente, con gran affetto di devotione verso questo santo padre: et questo è quello che, per hora, mi sovviene : se me verrà altro in mente, lo dirrò. Et, oltra le cose sopradette, mi sovviene d’haver inteso dal s.r card. Baronio et vista la fede del s.r card. Borromeo, et intesolo ancora dal­ l’abbate Mafia, come nostro signore papa Clemente Ottavo ha data licentia a’ questi tre, che loro et altri devoti di detto santo, possano celebrare Messa nell’oratorio dove detto santo morì,*1421 come si è detto di sopra, all’altare erettovi con la sua effigie, pure come ho detto di sopra. Et, di più ho veduto, all’istesso altare, dirvi Messa, doppo detta licentia, dalli s.ri cardinali Cusano et Borromeo, et da mons. Panfilio et ho inteso anco dire, da quelli che si sono trovati presenti, che ce l’hanno detta il s.r card. Baronio, il s.r abbate Mafia, il p. Antonio Gallonio, et altri, et io stesso ce la disse, li giorni passati. In oltre, mi sovviene dire, come, doi anni fa in circa, fu posta, dal s.r abbate Mafia, de consenso de nostro signore, una lampada accesa alla sepoltura di detto santo Filippo,1422 innanzi a un suo retratto, per nella congregazione il 1° ott. 1578; e del quale si darà notizia, annotando la deposizione del fratello Giovanni Matteo, in data 9 mag. 1608 (264). 1421 L e attestazioni scritte del Baronio e del Mafia, in data 29 mar. 1598, e del card. Federico Borromeo, in data 31 mar. 1598, sono prodotte con la depo­ sizione di Reginaldo Cruoleni, 18 ag. 1600 (236). 1422 Degli onori tributati a F. fino dal giorno della morte, dei quali parlano diversi testi e qui con notevole ampiezza Giacomo Crescenzi, stese un « diario » il p. Francesco Zazzara. Una parte di esso è, disgraziatamente, andata perduta, nelle vicende dell’Archivio dell’Oratorio di R om a; ma ne rimangono, cartella A . I I I . 4, parte delle notazioni per gli anni 1598 e 1599, il testo completo per gli anni dal 1600 al 1603 compresi, parte delle notazioni per il 1607, il testo completo sicuramente per gli anni dal 1608 al 1612 e forse anche per il 1613. In un volume dell’Archivio stesso, ora C. I. 37, rilegato nel secolo xvni, e che reca il ti­ tolo «M iscellanea torn. 2 » , sono trascritte o riassunte notizie del « d ia rio » dello Zazzara, ma, con una certa ampiezza, soltanto per gli anni dal 1595 al 1603. Esse mancano del tutto, poi, per gli anni 1604 e 1605 ; una sola notazione è riportata per il 1606, nessuna per il 1607, una sola per il 1608, nessuna per gli anni dal 1609 al 1618, una sola per il 1619, nessuna per gli anni 1620 e 1621, parec­ chie per il 1622. La storia della prima lampada accesa al sepolcro risulta, nei particolari, in queste notazioni che si trascrivono, dal ristretto sopra citato del diario : « A dì 7 ottobre 1596, lunedi, giorno di S. Mauro, sr abbate Malfa portò una candela accesa alla sepoltura del santo padre e vi accese la lampada, e a di 10 giovedì, alle 19 hore, fu levata da’ padri, essendo detto abbate andato a Tivoli col card. Cusano e p. Antonio. A dì 30 detto, il s.r abbate Maffa, ritornato, parlò di detta lamnada nella congregatione della riforma, e gli fu data piena licenza

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    7 luglio 1598. [217] Giacomo Crescenzi. ff. 5(51-562

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    honorare il santo corpo come si conviene : la quale è stata, poi, tenuta continuamente accesa, et tuttavia si tiene, di giorno et di notte, et, le feste solenne, ve si mette una lampada d’argento, la quale è stata offerta et donata a questo santo, per maggiormente honorario.1423 Et ho visto che i cardinali, prelati, et altri se ungevano la fronte con l’olio di detta lampada, per devotione, et, occorrendoli far viaggio, ne hanno portato seco dell’ampolle, per potersi ungere, venendoli bisogno. Et ho inteso che, a molti, che l ’hanno usato con fede ne lor bisogni, ha fatti effetti mirabili. Di più, perchè non mi ricordo se l’habbia detto prima, mi sovviene d’haver inteso, da più persone, et dal p. Filippo istesso, che, andando esso a sentire, in gioventù, lettione de philosophia o theologia, era tanta la devozione che li dava un [f. 562] crocefisso, che era in quel luogo, dove si legeva, che non poteva stare attento alla lettione, ma era forzato a prorompere continuamente in lacrime : et questo ho inteso dire che era nel convento di S. Agostino.1424 Alla sepoltura di detto santo, si vede, ogni giorno, concorso di gente et grandissima devotione, come credo haver detto, et continua tuttavia et vedo venirce spessissimo diverse sorte de voti et, in particolare, et autorità di fare tutto quello che lì pareva, e ne fu fatto decreto del notaro. A dì primo novembre fu riaccesa la lampada alla sepoltura dal s.r card. Cusano, presente mons, Panfilio, Mafia, p. Antonio, e p. Francesco Zazzera. A dì 2 detto il detto abbate parlò della lampada con papà Clemente 8®, dicendo il torto che gli bavevano fatto i padri, con levare la lampada, e che lui non voleva più venire, nè ragionare in Chiesa nostra, se non si lassava ardere detta lampada e sua santità, con grandissima allegrezza, sempre ridendo, volse sapere tutto il fatto, pigliando ogni cosa benissimo, in favore del santo, e voleva sapere chi era quel padre, che l’haveva levata ». I l B a c c i , 1. IV , c. 9 , n. 3 , riferendo l’episodio, narra che la lampada fu riaccesa pochi giorni dopo, appunto con il consenso del papa. La questione era importante perchè l’ atto in qualche maniera significava culto. Non era terminata nemmeno dieci anni dopo, poiché ne trattava questo decreto della congregazione: « 8 di Novembre [1606] Congregazione Generale. Che si tengano in luogo visibile nella Cappella alcune lampade d ’argento donate per il B . Padre, et se ne accenda qualch’una a certi tempi, essendo di questo parere li Signori Cardinali Baronie et Panfilio, con li quali il P. Rettore ne ha trattato », Calenzio, p. 781. 1423 Nel ristretto, citato nella nota che precede, del Diario di Francesco Zazzara si legge l’ annotazione : « A dì 26 maggio detto anno [1597] fu donata al sepolcro del santo dalla s.ra Costanza Crescentii una lampada d ’ argento di 80 scudi incirca ». Con lei si deve, quindi, identificare la « Signora principale » menzionata senza nome dal B a c c i , 1. IV , c. 9, n. 3 . Si veda anche la nota 1161. 1424 h convento di S. Agostino a Roma fu « studium generale Ordinis » dal 1358 al 1870, e residenza dei priori generali dal 1389 al 1882. D al 1539 al 1551, anni corrispondenti al governo di Girolamo Seripando, furono maestri reggenti dello studio: 1539-1543, Gregorio da Padova; 1543-1544, Sante da Monte R eale; 1544-1547, Francesco da T ran i; 1547-1551, Taddeo da Perugia; 1551-1552, Agostino Moreschini da Montalcino. Tra i molti religiosi della comunità o dello studio di S. Agostino, dal 1540 al 1550, furono : Aurelio da Roccaeontrada, Guglielmo da Bologna, Angelo da Venezia, Gian Francesco da Cesena e Donato Marra da Benevento (Roma, Archivio generale dell’ordine degli Eremitani di s. Ago­ stino, codd. Dd 19 - Dd 24, registri del Seripando). Quasi tutti i nominati in questa nota presero parte nei diversi periodi, al concilio di Trento : si veda la eccellente lista biografica di D a v id G u t i e r r e z , O. E. S. A ., Patres ao theologi Augustiniani qui Concilio Tridentino interfuerunt, in Analecta Augustiniana, X X I, 1947-1950, pp. 55-177. Per gli autori seguiti negli « studia » Agostiniani si confronti anche la nota 484.

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    208

    21 novembre 1598. [218] Maria Paganelli, f. 562

    venne, alli giorni passati, mandata da una figliola del s.r Nero Neri, maritata ad un signore de Pitigliano,1425 che non mi ricordo il nome, una veste di broccato ricchissimo, con una bellissima guarnitione, che dicono esser di valore circa trecento scudi. E t io mi trovai presente, quando fu appesa alla sepoltura, dove tuttavia sta, per memoria della gratia ricevuta da quella signora, la quale ho inteso dire, che stava molto male affetta, ma non so precisamente il male, et che, per l ’interces­ sione di questo santo, era guarita miracolosamente. Alli giorni passati, essendo io assalito dalla febre, una sera, mi raccommandai a questo santo, che mi facesse gratia de non haver a lasciar la Messa. E t, ancor che io mi sentissi in modo, che tenevo per certo doverne havere almeno quattro o sei termini,1426 tuttavia, la notte istessa, guarii, in modo che la matina disse la Messa et tuttavia la dico. E t perchè recognobbi questo dal santo padre, li portai, poi, un voto de argento, il quale l ’haveva promesso, se mi faceva la gratia, come mi fece. Altro, per hora, non mi occorre.

    D IE S A B B A T I 21» M E N SIS N O V E M B R IS 1598

    [218] Examinata fuit, Romae, in domo ill.is d.nae Martiae Baroniae,

    sororis ili.mi et rev.mi d.ni cardinalis Baronii,1427 apud et prope ac e conspectu ecclesiae Beatae Mariae in Valliccila, Regionis Pontis sive Parionis, etc., d.na Maria Paganelli, 1428 filia q. loannis Marci Paganelli et q. Polisenae coniugum, mutinensis, relicta q. Ioannis Baptistae de Roffena, districtus Bononiensis, aetatis annorum, sexaginta in circa f quae, medio iuramento, tactis etc., dixit, ad opportunas interrogationes, ut sequitur, videlicet: Io sono in Roma dalla morte di Pio Quarto in qua, et sono circa ventiotto anni, che sto in casa delli signori, prima, Vergilio Crescentio, et, hora, sua heredi. E t mi soglio confessare, ogni otto giorni almanco, quando alla Chiesa nova della Vallicella, et quando al Giesù, et questa mattina mi sono confessata et communicata qui alla Chiesa

    1425 Nannina, figlia di Nero Del Nero, moglie dal 1592 di Giovanni Antonio Orsini, conte di Pitigliano, già ricordata nelle note 341 e 850. 1426 Termini di febbre, nel linguaggio medico del tempo, per accessioni, ac­ cessi. 1427 Marzia Baroni, zia (e non sorella, come qui si dichiara erratamente) di Cesare, rimasta vedova prima del settembre 1564, fu fatta venire dal nipote a Roma nel 1591 e alloggiata in una casetta presso la Chiesa N uova; le prestarono cure le zitelle Angiolina e Chiara, sorelle. Di Marzia, morta a 83 anni, si trova questo necrologio, trascritto nel Galletti dal libro parrocchiale di S. Maria in Vallicella : « 1605. 1 decem, f D. Martia Baronia sorana decrepite etatis. Sep. apud ecclesiam S. Gregorii in sacello S. Silvie restaurato ab ill.mo et r.mo d.no Cesare Baronio S. R . E. card, dicte Martie nepote, V i l i », cod. Vat. lat. 7875, f. 68. L ’ iscrizione, riferita con un’ inesattezza dal F orcella, v . II, p. 124, n. 363, è riprodotta anche dal Calenzio, che ha dato più notizie della pia donna, pp. 88-93, 267-68, 645. 1428 Maria Paganelli depose anche nel terzo processo, il 4 sett. 1610. Il suo risanamento, brevemente dichiarato alla fine del f. 563, si legge anche nel Gallonio, Vita lat., p. 183. Per le narrazioni che concernono Costanza Crescenzi Del Drago è da tenere presente la propria deposizione di questa, 30 apr. 1596 (172).

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    21 novembre 1598. [218] Maria Paganelli, ff. 562-563

    209

    nova et voglio inferire che il confessare et communicare, come ho detto, 10 faccio, secondo che mi commandano li miei confessori: il p. Thomasso de Eugubio 1429 del Giesù et, alla Chiesa nova, il p. Antonio Gallonio. Che, come ho detto, almeno ogni otto giorni mi communico. E t sono circa ventitré o ventiquattro anni, che io ho cognoseiuto il padre bona memoria [f. 563] beato Filippo Neri, in casa di questi s.ri Crescentii, mia padroni. E t, la prima volta, che iò lo cominciai a cognoscere, il detto padre venne lì, in casa di questi signori, che la s.ra Constanza, moglie del s.r Vergilio Crescentio et madre dei signori suoi heredi, stava male et era stata male sin da quaranta giorni, et di malatia gravissima, che li medici l ’havevano per spedita. E t un m.s Gio­ vanni Antonio Lucio, quale stava al Salvatore ad Sancta Sanctorum, et era compare del s.r Vergilio, et praticava lì in casa ; et questo s.r Gio­ vanni Antonio, nominava il sopradetto beato p. Filippo, et diceva, che faceva molte opere sante et buone, et guariva li infermi. E t, nominan­ dolo così, la s.ra Constanza li venne in fantasia di vederlo, et il s.r Ver­ gilio lo fece chiamare, et venne. E t, quando venne, la s.ra Constanza stava malissimo, et disfidata, dalli medici, et, arrivato lì, il padre santo si accostò al letto, et li pose le mani sue adosso, sopra la vita, et le disse : « venite a S. Geronimo ; non dubitate, che verrete a S. Geronimo » et in quel ponto si partì. Et la signora, subito, cominciò a megliorare, et guarì de quella infermità. Et, venendo li medici, vedendo questo meglioramento, si maravigliavano, et dicevano, che questo era cosa divina et non ^humana, sopranaturale et non naturale : et questo fu otto mesi nanti l’anno santo del ’75. Un’altra volta, circa diecesette anni, la detta s.ra Constanza tornò amalarse, che era gravida di otto mesi, et li venne la rosalia et le petec­ chie insieme, et, perso il polso, et disfidata da medici (che già li diedero 11 Viatico a mezza notte, et havevano ordinato darli l’Estrema Ontione et quasi messo in ordine per il funerale) et arrivò lì il padre santo F i­ lippo a bonissima hora. Et, quando fu lì dalla signora, li pose la mano al capo, et li disse : « tutta questa notte son stato con voi » : et, all’ hora, la signora comenzò a megliorare, et gran miracolo fu quello, certamente, et guarì. Et, arrivati li medici per vederla, trovandola così megliorata et guarita, dissero, che era stato miracolo et cosa divina et non humana. Del nome de medici non mi ricordo : mi pare vi fosse il s.r Alessandro Butrio et un certo m.s Benedetto, quali son morti, quali dissero, che questo era stato gran miracolo et che maravigliosamente era guarita. Ci era un altro medico, del quale non mi ricordo il nome,1430 che si maravigliava più che li altri. Et la signora, guarita, partorì, al suo tempo, una putta femina. Doppo questo, una serva di casa delli detti signori, quale si chiamava Eugenia da Collescipoli, quale hebbe

    1429 d ì questo gesuita, Tommaso de Egubio, o da Gubbio, non si trovano notizie, mancando i cataloghi della casa professa del Gesù per questi anni. Non raro, anche nella Compagnia, durante il secolo xvi, risulta l’uso del nome di reli­ gione, formato dal luogo di origine. Talvolta si rileva anche la mutazione dei prenomi, specialmente quando questi fossero stati di derivazione classica (come Plauto, Terenzio, Virgilio, e simili). 1430 potrebbe essere Alfonso Catani, se si tratta del fatto accennato breve­ mente dal figlio di Costanza. Pietro Paolo Crescenzi. al f. 428. 14

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    21 novembre 1598. [218] Maria Paganelli, fi. 563-564

    male al naso diciotto mesi, et era un male che stava di dentro il naso gonfiato, et ci furno fatti più remedii et non guariva. E t questa Eugenia tolse una pezza del rottorio del padre santo, che le lavava in casa, et se la pose al naso, et subito guarì. E t questo fu mentre il santo padre viveva. Mi è occorso a me ancora, che, stando male del stomaco, continua­ mente, mi posi una di quelle pezze di rottorio al stomaco che ancora viveva il detto padre, et subito guarii, [f. 564] E t, un’altra volta, stando io con una doglia di testa grandissima, venendo lì il padre santo, in casa delli signori, mi fece il segno della croce su la fronte, che parse che si fosse accorto che mi doleva, et subito si partì il dolore. Un giorno, la signora si era confessata dal padre santo, nella chiesa della Vallicella, che era morto il s.r Vergilio. E t, doppo la confessione, la detta signora, raggionando con il padre, lo pregava, dicendo : « Padre, non mi lassate ». E t il padre disse: « non vi lassarò; non vi dubitate, che non vi lassarò ; et, ancora che morisse, farò come fece s. Francesco, che, doppo la sua morte, tornava aggiutare li suoi » .1481 E t così ha fatto il padre santo Filippo, che, doppo la sua morte, stando male la s.ra Hieronima, figliola della s.ra Constanza, tre o quatro giorni nanti che morisse, la detta s.ra Hieronima stava, che pareva che raggionasse. E t la s.ra Oonstanza li disse: « Hieronima, che fate?». Lei rispose: « io discorro con il p. m.s Filippo ». Et la madre disse: « che cosa discorrete con il p. m.s Filippo, che è in paradiso?». La s.ra Hieronima respose: «signora madre, lo vedo visibilmente». Et, doppo questo, la detta s.ra Hieronima mutò faccia, più bella che prima, et non si lamentò più (che prima si lamentava) et, dalla detta visione in poi, stette sempre allegra, che pareva che andasse a nozze, per andare a morire. E t morse, et morta, deventò più bella che mai, et pareva che ridesse, quando era morta. E quella visione, che diceva la putta s.ra Hieronima haver del padre, io mi trovai presente, quando il disse. V i era la signora et Eugenia et altri, de quali non mi ricordo. Et l ’ho vista mutata, et deventar bella, come di sopra, et le altre, che vi erano, l’hanno anco potuto vedere. La sopradetta Eugenia, un’altra volta, stette male, doppo la morte del padre, che haveva febre grande, et li medici l’ havevano ordinato, che se le dessero tutti li Sacramenti, che stava male assai. E t lei do­ mandò una pezza, di quelle del rottorio del padre. E t io la diedi dentro l’acqua, che la lavai bene, dentro quell’acqua, e l’acqua la diede a1 3 4

    1431 Dove F. leggesse questo di s. Francesco, non si può d ire: probabilmente in qualche compilazione. Ma è luogo abbastanza comune nell’ antica agiografia francescana, dalla Vita prima di T ommaso da Celano, dove è scritto, per esempio : « Reversus est vir beatissimus Franciscus corporaliter ad fratres suos, a quibus, sicut dictum est, numquam spiritualiter recedebat », p. I, c. X IX , n. 51, in Analecta franciscana, t. X : Legendae s. Francisci Assisiensis saeculis X III et XIV conscrip­ tae ad codicum fidem recensitae. Ad Claras Aquas, typis Coll. S. Bonaventurae, 1926-41, p. 3 9 ; e cf. p. I I I , n. 119, pp. 94, 95; ecc. B artolomeo da Pisa, nella sua opera De oonformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, narra nume­ rosi miracoli in favore di frati e di devoti : si veda, nell’edizione data in Analecta franciscana. t. V (Ad Claras Aquas, 1912), l’indice, alla voce « Miracula s. Fr. post mortem facta », pp. 540-44.

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    21 nov. 1598. [219] E. Troiani, e [220] 0 . Guicciardini, ff. 564-565

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    bevere a detta Eugenia. Et guarì, et la febre non tornò più : et questo è circa doi anni, che è stato.1432 Ci sariano molte altre cose da dire, de miracoli fatti dal santo padre, in persona mia et altri, li quali non mi sovviene bene la memoria ; et, quando me ne ricordarò, li dirrò, per la verità.

    [219] Deinde examinata fuit, uM supra, per me etc., d.na Emilia Troia­

    na, filia q. Matthei Troiani et Clementiae coniugum, romana, relieta q. Lutii Rentii, sutoris ad locum dictum la Cancelleria vecchia, rin­ contro il palazzo del cardinal de Sforza, aetatis annorum triginta [f. 563] novem in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit ut sequitur: Io mi confesso et communico ogni otto dì et ogni festa, in S. Hieronimo della charità, et il mio confessore è m.s Artemio,1433 prete in detto luogo. Io ho cognosciuto il beato p. Filippo più di ventitré anni, che io ero zitella, et a Santo Hieronimo et qui alla Yallicella, et si diceva che era persona santa. Et l’ho visto, la sua santità, che Olimpia, mia sorella, l ’anno santo, alli 27 di luglio in circa (che poco prima l ’ haveva cognosciuto questo p. Filippo, come ho detto) quale Olimpia era in parto, su la sedia, gravata assai, et si dubitava della sua morte, che tutti havevano paura, et stavamo piangendo. Sendo stata otto hore sulla sedia, la p ia madre fece chiamare questo beato padre, et venne subito. E t, subito che venne, il padre, secondo dissero (che io stavo in un altra stantia) si accostò alla detta Olimpia, quale stava gridando, come ho detto, su la sedia (che io la sentiva gridare) et, all’ orecchia, le disse non so che, et si quietò. E t, sendo quietata, io uscii fuora, et disse, chi ci era stato. Mi dissero, che vi era stato il p. Filippo, et che se era accostato all’orecchia de Olimpia, et che se ne andava, et in quello che il padre usciva di casa, la detta Olimpia partorì una figliola femina. E t subito fu detto, che il padre haveva oprato questo, a farla partorire. E t io tengo, che fosse fatto miracolosamente, per intercessione di detto padre, come anco mia madre, et Magdalena, sorella cugina di detta Olimpia, quali tutte tennero, che fosse cosa miracolosa.

    [220] Examinata fuit, ubi supra, dem entia Guizardini, filia q. Bapti­

    stae Guizardini, et Dianae coniugum, romana, relicta q. Matthei Troiani, aetatis annorum sexaginta novem in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes etc.: Quasi ogni dì, mi soglio confessare et communicare, in S. Hieronimo della charità; et il primo, che mi confessasse (et credo sia da trentacinque anni) credo fosse il p. m.s Filippo Neri, et poi il p. Marsupino,

    1432 Eugenia Mansueti depose già il fatto, il 22 gemi. 1592, f. 504. 1433 Artemio Vannini riferì già, il 23 nov. 1595, f. 328, il difficile parto dì Olimpia Troiani, deposto nella presente testimonianza dalla sorella Emilia e nella successiva dalla madre, Clementia Guicciardini. Lo narra il Gaixonio, Vita iat., pp. 135-36.

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    212

    12 dicembre 1598. [221] Leonardo Parasole, f. 566

    et hora il p. Artemio. Et il p. beato Filippo era un santo homo, et tutti mi son parsi santi, et nel p. Filippo ci ho cognosciuto più santità. Et, specialmente, in una mia figliola Olimpia, l ’anno santo, a’ 27 di luglio, sendo in parto, che era stata su la sedia otto hore, gridando, che tutte eramo adolorate et desperate della sua vita, che io mi pensavo che pas­ sasse di questa vita, Et, perchè haveva tenuto questo p. Filippo per un santo homo, et che faceva de’ miracoli, et ogni uno li haveva gran fede, stando, come ho detto, desperata, lo mandai a chiamare per questa mia [f. 566] figliola Olimpia, quale stava, come ho detto, gridando su la sedia. Et il padre venne, et, subito venuto, tenne le mani su le spalle alla mia figliola, et le teneva detto, che se raccommandasse a Dio, et a quel santo che haveva in devotione, et se ne andò. Che con lui haveva un altro giovane, quale restò in sala, et il padre entrò dentro, dove stava mia figliola gridando. Et, accostatosi et dettole le parole che ho detto, se partì, come ho detto. Et, in quello che Ί padre partiva, la mia figliola Olimpia partorì una figliola femina. Et tutte tenevamo, et tengo, che fosse miracolosamente fatto. Et io, ogni dì, lo prego come santo, et mi raccomando a lui, che preghi Iesù Cristo per me.

    D IE S A B B A T I 12=· M E N SIS D ECEM BRIS 1598

    [221] Examinatus fuit, Romae, in officio mei et per me etc., Leonard us Parasolius, 1434 filius q. Augustini Parasolii et Assentiae coniugum,

    de Gastro Sancti Angeli Vissan., intaliator in Urbe, ad Doganam prope Sanctum Eustachium, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit: Sono venticinque over ventisei anni, che io sono in Roma, et ho fatto l ’arte dell’intagliatore, prima al Peregrino, dopoi a S. Barbara,1435 et hora alla Dogana. Et ogni otto giorni, per ordinario, mi soglio commu­ nicare; et domenica passata mi communicai alla Vallicella. Et il mio

    1434 Leonardo Parasole, originario di Castel Sant’Angelo, presso Visso, ora in provincia di Macerata, intagliatore in legno per illustrazioni di libri; tra i quali l’Erbario del medico Castore Durante, più volte stampato, Marini, v . I. p. 465, e v. I I „ p. 36 [seconda numerazione]. Anche la moglie Isabella fu inta­ gliatrice in legno per illustrare libri, specialmente di merletti. Fu loro figlio Bernardino, pittore, Baglioni, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, p. 394; T hieme-B ecker, Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, Bd. X X V I, p. 227. Leonardo sarebbe morto, secondo questo repertorio, « um 1630 » ; secondo il B a­ glioni, era in età di sessantanni. Il « Liber parochialis » della Chiesa Nuova, f. 120, contiene questa nota di sepoltura : « Die 7 octobris [1612] mag.ous Leonardus Parasole romanus ult.° loco habitans in parochia Ss. Vincentii et Anastasii prope Fontes Trivii anno çtatis suç 60 ... corpus die seq. sepultum est in n.ra eec.a ... ». Nel Galletti, appunto da libri dei Ss. Vincenzo e Anastasio, è trascritto il necro­ logio : « 1612. 9 ottobre f M.r Leonardo Parasole marito di m. Girolama Cagnucci. Sep. in Vallicella. L X X X V III », eod. Vat. lat. 7875, f. 147. Per le incongruenze che si rilevano in queste due note necrologiche, non si saprebbe dire se il personaggio commemorato si possa identificare con il teste; come si sarebbe indotti a pensarlo, specialmente per il luogo di sepoltura scelto e per l’età. 1435 S. Barbara, detta ora dei Librai, chiesa molto antica nella zona del Teatro di Pompeo, in una piazzetta che si apre sulla via dei Giubbonari ; parrocchia fino al 1594, H uelsen, pp. 204-C5, e A rmei.i .tni-Oecchelli, pp. 499-500, 1260.

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    12 dicembre 1598. [221] Leonardo Parasole, f. 566

    213

    confessore è il p. Flaminio : 1436 et è statto dopo che è fora il papa,1437 che prima era frate Angelo,1438 et hora è il detto p. Flaminio; Et ho cognosciuto il p. bona memoria m.s Filippo, da dodeci o tredici anni, qui alla Vallicella, et li ho parlato da doi o tre volte in circa, et era un vecchiotto, et io lo tenevo per homo da bene, spirituale, et di bonissima vita, et tenuto in bonissimo concetto. E t ho inteso dire dal s.r ab­ bate Crescentio et dal p. Antonio Gallonio, che lui ha fatto miracoli : e questo, anco, ho inteso da molti altri. E t so, che me ne ha fatto a me, che, essendo giovedì passato, che furno li 10 del presente mese di decembre, ritrovandomi io fuor di Porta Salara, che andammo a spasso il s.r abbate Crescentio, Pompeo suo servitore,1439 et io, arri­ vammo in un luogo, che si dice il cimitero di Priscilla,1440 fuor di Porta Salara, dove stavano certi, a cavar la pozzolana, vicino alla chiesa di S. Priscilla, nella strada.1441 Et ivi trovai un amico mio, che si chiama Gian Domenico scarpellino, il quale stava in una vigna, che credo era la sua.a Et ci menò in un’altra vigna, vicina alla sua,

    anzi che sua, si legge nei mss. Val. iat. 3798, C. I. 1 e A. III. 7/3; sembra si possa leggere, corretto sopra sera, in A. I li. ]$. La lezione sua, in ogni maniera, è sicuramente richiesta dal contesto. a Sera,

    sua,

    1436 Flaminio Ricci, anch’egli marchigiano; sul quale, la nota 457.

    1437 Clemente V i l i partì da Roma, per andare a prendere possesso di Ferrara, il 13 aprile e vi fece ritorno il 19 die. 1598, P astor, v . X I, pp. 00,8-14. Questa circo­ stanza dell’ assenza del papa e della corte era già stata ricordata da altro teste, ni f. 560. 1438 N0n Si conosce chi sia questo « frate Angelo ». Assente da Roma, circa questo tempo, fu il padre Angelo Velli, per avere accompagnato a Ferrara, in qualità di confessore, il cardinale legato Pietro Aldobrandini, il quale vi si era trasferito in precedenza al papa, R icci, pp. 74-75. Un altro teste, Ferdinando Sermei, aveva riferito, il 23 sett. 1597, tale assenza del Velli, f. 546; ma l’ appellativo usato, e che si legge in tutti i manoscritti adibiti, rende assolutamente ostico identificare questo oratoriano con il religioso nominato dal teste Parasole. 1439 Pompeo Guiducci, teste successivo, il 10 feb. 1599. La presente deposizione del Parasole, posteriore appena due giorni al fatto narrato, che accadde il 10 dicembre 1598; quella del Guiducci, anche più circostanziata e colorita; e l’ultima, più tarda, in data 5 aprile 1606 (253), di Giacomo Crescenzi valgono a ricostruire, con esattezza e vivacità, la discesa a una cata­ comba della via Salaria nuova, sulla fine del see. xvi. La zona si era cominciata a esplorare, eom’è noto, dopo il 1578; e si sapeva generalmente la difficoltà d’ aggirarsi nel sottosuolo di essa. Nell’anno 1600, il P anciroli, I tesori nascosti nell’alma città di Roma, pp. 80-81, notava del cimitero detto allora di S. Priscilla : « ... dicono, eh’è ripieno di tante strade picciole, e grandi, che pare una gran Città, e perù bisogna, per uscirne, attaccare un filo con buona guardia alla porta, che per queste, & altre cagioni poche porte de gli altri Cimiterii si lasciano aperte ». Sulla discesa, si veda E nrico .Tosi, San Filippo Neri e una emozionante esplo­ razione in una catacomba della via Salaria, ne L’Osservatore romano, anno X C V III ; num. 122, 28 maggio 1958. (Lo stesso autore ha cortesemente fornito alcune notizie per illustrare queste testimonianze). 1440 La denominazione si dava in questa epoca, com’è noto, a tutta la zona cimiteriale della via Salaria nuova. Primo, Giovanni B attista de R ossi, Scoperte

    nell’arenaria, tra i cimiteri di Trasone e dei Giordani sulla via Salaria nuova,

    nel Ballettino di archeologia cristiana, 3a ser., anno IV , 1873, pp. 5-21, ha moder­ namente determinato la distribuzione dei cimiteri lungo questa via : di Massimo « ad s. Felicitatem », di Trasone « ad s. Saturninum », dei Giordani, di Priscilla. 1441 Questa chiesa « nella strada », indicata impropriamente anch’essa come di « S. Priscilla », era probabilmente l ’ oratorio ora detto del Crocifisso, vicino airingresso della villa Savoia.

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    214

    12 dicembre 1598. [221] Leonardo Parasole, ff. 566-567

    dove ci mostrò una chiesa sotterra, che si domandava S. Priscilla1442 et ci disse, che ci era un cimiterio.1443 E t così ci menò a vederlo, et lui andava inanzi et ci disse : « venite, non dubitate, che Ί cimiterio è grande, et [f. 567] non ci perderemo, et andaremo un poco nanti ». E t intrammo dentro, et appicciammo un mezzo libretto di cande­ letta,1444 qual portava il s.r abbate Crescentio, et il detto Giovan Domenico portava una candela, quale era grossa quanto il deto piccolo, da un palmo o un palmo e mezzo. E t caminammo tanto, che si consumò la candela et la maggior parte del libretto. E t, vedendoci mancare il lume, cominciammo a dire, che bisognava uscire, et la guida, cioè detto Giovan Domenico, disse: « smorzate un lume, che ci verrà manco », et cercava la muraglia.1445 E t il detto Giovan Domenico era mezzo sbigot­ tito, et noi altri tutti smarriti, et il detto Giovan Domenico disse, che non si poteva uscire de quel condotto, dove eramo entrati.1446 E t stavamo tutti spediti et morti, che non trovavamo il muro, nè la strada et, de paura, ci era smarrito il gesso et non sapevamo dove ci stare. Et il s.r abbate Crescentio, vedendosi così smarrito (et così eramo tutti) disse il detto s.r abbate : « raccomandiamoci al p. s. Filippo », che già havevamo quasi locra tutta la candela. E t io disse, che bisognava di strac­

    1442 c o n questa denominazione « chiesa sotterra, che si domandava S. Pri­ scilla » si ritiene possano designarsi edifici non ancora ritrovati e descritti da A ntonio Bosio, Roma sotterranea, opera postuma ... Compita, disposta, & accre­ sciuta dal m. r. p. Giovanni Severani ... [In Borna, appresso Guglielmo Faccìotti, 1632], pp. 488-89; e da Paolo A binghi, Roma subterranea novissima, in qua post Antonium B osium ... Io. Sevebanum et celebres alios scriptores antiqua

    Christianorum et praecipue martyrum coemeteria, tituli, monimenta, epitaphia, inscriptiones ac nobiliora sanctorum sepulchra sex libris distincta illustrantur ... Tomus secundus, Bomae, typis Vitalis Mascardi, 1651, pp. 242-43. L a basilica di S. Silvestro allora emergeva, probabilmente, dal terreno con. Tuderi. Per essa e l’ipogeo degli Acilii, entrambi non identificabili in ogni maniera con la « chiesa » menzionata dal teste, si può vedere Orazio Mabucohi, Le cata­ combe romane, opera postuma. [Borna, 1932] La Libreria dello Stato, pp. 499-403, S05-10. 1443 h cimitero è da identificare con quello di Trasone, il più profondo della Borna sotterranea, per essere costituito fino da cinque piani; si estende princi­ palmente a sinistra della via Salaria nuova, sotto la villa Savoia; l’ ingresso attuale è posto nella villa già Massimo ora Lancellotti, Mabucchi, Le catacombe romane, cit., pp. 439-53. 1444 Lungo spago cerato, di lenta consunzione, che si ripiega in forma di matassa, e quasi di libretto, come lo chiama il teste; si usa tuttora per le visite alle catacombe romane. Simile era quello adoperato nelle chiese per accendere le candele dell’ altare; si tagliava e s ’infilava sulla sommità d ’una canna spac­ cata (a Firenze si diceva « la strega »). 1445 Questa «m u ra g lia », probabilmente sostruzione di fabbrica antica ro­ m ana, era, a testimonianza del Crescenzi, «n o n molto discosto dalla buca, per la quale eravamo entrati», f . 618: il ritrovarla, essendosi smarriti anche i con­ trassegni tracciati con il gesso per riferimento, com’è detto subito dopo, significava perciò raggiungere l’apertura d’entrata, e la salvezza. 1446 Questo « pezzo di acquedotto antico, che traversava dette grotte », men­ zionato meglio dal Crescenzi, f. 617, fu percorso e descritto anche dal Bosio, Roma sotterranea, cit., p. 491 : « Vi ritrovammo in questo Cimiterio [di Trasone, dove era penetrato la prima volta il 28 apr. 1594] un Cunicolo senza sepoltura, basso e stretto tutto intonicato, che pareva altre volte haver servito per condotto, o conserve d ’acqua per il quale essendo noi andati, trovammo in capo di esso altre strade C im iteriali». Il condotto si conosce e si percorre tuttora in parte.

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    10 febbraio 1599. [222] Pompeo Guiducci. ff. 567-568

    215

    ciar le camiscie, per far li cenci, per il foco e veder lume. Dove che, stando così, quasi morti, ogni uno si commenzò a raccommandare al detto p. Filippo, come fece ancor io, dicendo, et disse : « o beato p. F i­ lippo, liberateci, et aggiutateci, liberandoci di questo travaglio ». Et, quando io lo nominai, mi parse di esser liberato, et mi rallegrava, et, de lì a poco, il detto Giovan Domenico, che ci guidava, cominciò a dire : « vittoria, vittoria ; state allegri, che io ho trovato il muro ». Et, de lì a poco, in termine de un « Miserere », trovammo il luogo, donde eramo entrati, et fummo liberati da quel travaglio. E t io tengo questo, che il detto beato padre ci habbia liberati, perchè ogni volta, che io nominavo il padre, come ho detto, mi rallegrava. E t tengo esser stato liberato per sua intercessione, che, cento passi de più, che camminavamo, resta­ vamo lì, morti, senza lume et senza luce.

    D IE M E R C U R II I O M E N SIS F E B R U A R II 1599

    [222] Examinatus fuit, Romae, in domo mei etc., Regionis Parionis,

    d.nus Pompeius Guiduccius,li4·7 filius q. Petri Antonii Guiduccii et Genevrae, coniugum, delle Prece, Spoletanae diocesis, familiaris ill.is rev.di p. d.ni aliatis Grescentii, lonarum literarum studiis vacans in Urie, aetatis annorum viginti quinque in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit: È un anno, che io sto in Roma, et sto con il s.r abbate Crescentio, il quale mi dà commodità di poter studiare, et adesso vo alli casi di conscientia al Collegio Romano. E t mi confesso et communico ogni otto giorni, cioè ogni domenica, qui alla chiesa della Vallicella. Ho inteso ragionare, molte et molte volte, dal s.r abbate Crescentio [f. 568] et da molte altre persone, della bona et felice memoria del p. Filippo Nerio, quale ho inteso, che era et è santo, et che ha fatti molti miracoli. Et ho vista la sua sepoltura, nella medema chiesa della Vallicella, et ci ho visti attaccati molti voti, de persone diverse, quale hanno ricevuto gratia, per mezzo et intercessione del detto santo p. Filippo. Et mi occorre che, alli 10 di decembre 1598, di giovedì, la mattina, circa hore sedici, venne, in casa del s.r abbate Crescentio, un certo Leonardo intagliatore, a parlar con il detto s.r abbate, in casa sua, presso S. Eustachio et io ci ero presente. Et doppo haver tra di loro discorso di molte cose, il s.r abbate, essendo io alla portiera della camera sua, di fuora, et loro di dentro, mi chiamò et mi disse : « piglia una torcia da vento, et il fucile et Pesca » per accender fuoco, se bisognava : et così feci. Poi, il detto s.r abate, con il sodetto Leonardo intagliatore, se inviorno verso Porta Salara et io li sequitavo. Et arrivassemo -a1 7 4

    1447 Pompeo Guiducci, da Preci, ora in provincia di Perugia (nel territorio di questo comune era l’ abbazia di S. Eutizio, nella valle Castoriana, che l ’ abate Giacomo Crescenzl teneva in commenda) studiava in questo tempo teologia morale, o « casi di conscientia », com’egli dichiara sotto, ef. V illoslada, Storia del Collegio romano, clt. pp. 90, 325. Diventò sacerdote, come pare dalla men­ zione che ne fece il Crescenzi. nel 1606, f. 617 ; ma altro non si sa bene di lui.

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    216

    10 febbraio 1599. [222] Pompeo Guiducci. f. 568

    una vigna de m.s Domenico scarpellino, apresso il cimiterio di S. Prescilla, dove ci trovammo detto Domenico. Il qual Domenico ci con­ dusse a veder un cimiterio, in una vigna presso alla sua, che si di­ ceva che era il cimiterio di S. Priscilla. Et intrassemo, per una buca, grande, quanto ci possono entrare doi homeni al paro, come una fossa de grano, quasi tutta coperta di spine et herbe, che appena ve si poteva entrare, et bisognava andare distesi, con mani et con piedi. E t così entrati giù, al meglio che si potè, io accesi il lume con il fucile. A ll’ hora il s.r abbate disse a questo m.s Domenico, che ci guidava : « ci è pericolo di smarrirci? ». Lui soggionse et disse : « non vi pigliate fastidio di questo ; venite pur dietro a me, securamente, perchè io ci sono pratichissimo et non vi dubitate ; ma bisognerà tornar presto a dietro, per rispetto che ci è poca candela da veder lume ». E t il s.r abbate haveva da mezzo libretto di candelette di cera bianca in circa ; et io havevo una mezza candeletta grossa de un dito. Così, diedi la mia, per esser più grossa, a questo m.s Domenico, qual faceva la guida, et il s.r abbate mi diede un poco del suo mezzo libretto. Et cominciassemo a camminare et andar guardando coteste sepolture et osse de morti, passando, alle volte, per certe buche, che bisognava andar serpendo col corpo disteso per terra. In alcuni luoghi vi era spatio alquanto ; tra li altri, trovassemo certe capelette depinte : in una, vi erano certi cavalli con trionfi ; in un’altra, vi erano angeli, con palme in mano ; 1448 et di molte altre cose, che non si potevano discernere, per l ’oscurità del luogo. In questo nostro cercare, vi entrò spatio di doi hore et mezza, in circa. Poi riguardando io alla candela, viddi, che si riduceva al fine. Dissi : « serà meglio uscir fuori, acciò il lume non ci venga meno ». Loro risposero, che io havevo paura, così sorridendo. De lì a poco, il s.r abbate disse a quel m.s Domenico, che andava avanti: « di gratia, uscimo fuore, che il lume manca », et lui non rispondeva. Già io mi era accorto, che costui cercava la strada, et non la ritrovava, fingendo de andarci mostrando il luogo ; ma tuttavia lo cominciassimo ad affrettare, e lui, già vedendosi essere smarrito, disse: smorzate quell’altra candela, che io dubito non ci bastarà ». Al-

    1448 Le pitture erano state già vedute nel 1594, da P ompi» Ugonio, che ne lasciò note e schizzi nel taccuino autografo delle sue esplorazioni cimiteriali romane, cod. 161 della Biblioteca Comunale di Ferrara ; e dal giovane suo compa­ gno A ntonio B osio, Roma sotterranea, cit., pp. 497-99, il quale le descrisse e riprodusse in disegno; come, poi, 1’A ringhi, Roma subterranea novissima, t. II, cit., pp. 252-53. Quanto ne rimane, ricostruito con l’ aiuto delle copie antiche, è stato dato da Giuseppe W ilpert, Roma sotterranea. Le pitture delle catacombe romane. Borna, Desclée, Lefebvre, 1903, pp. 479-82; Tavole, tav. 145, 2. Il W ilpert (che preferisce la denominazione « catacombe sotto la vigna Mas­ simo » a quella, ora prevalente, di cimitero di Trasone, por il luogo delle pitture) ha riconosciuto il monumento come tomba di auriga, e lo ha assegnato alla prima metà del see. iv e dichiarato cristiano, anche se manca di simboli e contrassegni espliciti. Il teste vide, in un cubicolo, « cavalli con trionfi » ; e, in un altro, « angeli con palme ». Poiché queste raffigurazioni (quadrighe con l’ auriga vincitore, sol­ levante nella destra una corona e nella sinistra un ramo di palm a; e vittorie alate) si trovano nell’arcosolio della tomba stessa, si può pensare che il Guiducci, a distanza di settimane dalla travagliata discesa, abbia equivocato circa il luogo delle pitture vedute. Ma va aggiunto che due putti con ghirlande sono effigiati anche nell’arcosolio del Buon Pastore, non lontano dalla cripta dell’ auriga, e sulla strada che dovettero percorrere i testi, W ilpert, op. cit., Tavole, tav. 146, 2, 3.

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    10 febbraio 1599. [222] Pompeo Guiducci. ff. 568-569

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    l’hora tutti cominciassimo da dovero a dubitare e dire : « noi siamo morti ». Perchè il luogo non se potria mai esprimere come è fatto: peg­ gio de un laberinto ; dove l ’homo si volta, ve si vede, di qua e di là, quattro o cinque anditi, et tutti riescono insieme: di modo che gira­ vamo, alle volte, un quarto d’hora et sempre ci ritrovavamo in quel medesimo luogo, dove dianzi eramo partiti. Il [f. 569] detto m.s Do­ menico, una sol volta, disse : « o Giesù, non mi posso partire da questo benedetto condotto: tal cosa non mi è mai più intra venuta ». Doppo, non disse mai altro, et, correndo sempre, andava innanzi. Alle volte, ci lasciava al scuro, et noi gridavamo : « aspetta, aspetta », ma lui faceva per rispetto della poca candela, che si ritrovava in mano. Noi tutti tenevamo per certo di non uscir più et, condolendoci l ’un l ’altro, ci raccomandammo a Dio et al beato Filippo, chi con parole et chi col core. Il s.r abbate, con affetto di core, continuamente diceva : « o Dio mio, non ci abbandonare ; o Padre santo, aggiutaci », poi si voltava a noi altri, dicendo: « habbiamo fede ». De lì a poco, arrivammo a una capelletta, di dove, quattro o cinque volte, ci eramo partiti et ivi era una buca, che andava in giù, a guisa de una fossa da grano. La guida, cioè m.s Domenico, disse : « caliamo un poco abbasso » ; et, calato giù il primo lui, li venne meno la candela, che haveva in mano. Disse: « presto, presto, l’altra », ma non arrivò a tempo, che si smorzò. E calassemo tutti abbasso, senza lume ; poi io pigliai il fucile et, con gran fatiga, accesi l ’altra, dubitando sempre loro non mi cadesse l’ esca di mano. Acceso, dunque, il lume, sempre correndo, ce ne andavamo, hora di qua et hora di là, et, havendo alquanto girato, ci retrovassimo sopra quella buca, dove eramo calati giù, quando si smorzò la candela. All’hora, con tremolante voce, io disse : « guardate, se noi siamo spediti, et se retrovamo la strada di uscire, quando hora siamo qui ». M.s Leo­ nardo soggionse : « fratelli, ci bisogna comenzar a stracciar le camiscie, et far torchi, et accenderli » : ma ciò non era manco a proposito. Et dicessemo de molte altre cose, che hora non mi ricordo, sempre, però, exclamando et dicendo : « noi siamo persi senza altro », et sudavamo d’ un sudore non naturale. Ohi urtava le spalle, chi la testa, et chi cascava, per l’angustia del luogo: insomma, diventassimo tutti insen­ sati, vedendo la candela a fine afatto che da un deto ce ne era, come ancora si può vedere, che sta conservata in casa del s.r abbate. A ll’hora replicai : « Signor Abbate, è persa, hormai, ogni speranza ; è possibile ci convenga a morir qui, sì miseramente, senza sapersi mai più nova del fatto nostro » : et già eramo tutti degiuni. I l s.r abbate, con mesta voce, disse : « patientia ; costui ci ha tradito. Almeno, poiché ci convien morire, morissemo per la fede di Iesù Christo ». Intanto, la can­ dela arrivò a fine. Il s.r abbate prorumpe ultimamente et disse : « hab­ biamo fede, et facciamo, tutti insieme, voto al padre santo, che ci cavi di questo periglioso luogo ». Et così, di tutto cuore raccommandatoei a questo santo padre, io sentii subito tutto commovermi et tornarmi spirito, et, in termine di una « Ave Maria », sentissemo la guida gridar « vittoria, vittoria, ho retrovato il muro ». Il qual muro non era l’ esito, ma era ivi appresso ; et la guida sempre cercò di questo muro, dicendo : « come siamo lì, siamo securi ». Arrivati, dunque, al detto muro, questo m.s Domenico, per la gran paura, non ritrovava l’esito, ma, camminato

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    15 aprile 1599. [22B] Marco Antonio del Bello, f . 570

    per spatio de un « Miserere », ci retrovassimo alla busa. Quando vedes­ simo il lustro, ci parve esser resuscitati di morte a vita, come vera­ mente fu, et rendessimo infinite gratie, prima a Iddio, et poi al santo padre, per la cui intercessione fummo liberati. In un tratto, uscissimo fuora, tutti stanchi, affatigati, sudati, con li vestimenti tutti imbrattati, et a pena ci sostenta- [f. 570] vamo in piede, sì per la debolezza, come, maggiormente, per la grande angustia : et quando fossemo fuora, era circa 23 hore. Poi, licentiati dal detto m.s Dominico, ce inviassemo alla volta di casa, per strada discorrendo sempre di tal fatto : nè ci pareva vero di esser usciti. Eramo tanto sbigottiti, che fugita era la voglia di magnare et ogni altra cosa. Ma, senza arrivare a casa, ce ne andassimo, di longo, alla Vallicella, alla sepoltura del santo padre, a ringratiarlo s’era degnato porgerci aggiuto in tal bisogno. Dopoi, essendo tardo, tornassemo a casa, et, per doi o tre giorni, stessimo attoniti e smarriti, pensando di continovo ad un sì stravagante caso : così, dicessemo de non intrar mai più sotto terra. Già il s.r abbate volse li rendessi quella poca di candela, che ci rimase, che, come ho detto, era manco de un mezzo dito :et la conserva per miracolo, con certi bichieri et osse, che di là portassimo. Ancora, ha fatto fare un voto d’argento, di valuta di scudi diece, e portatolo alla sepoltura del santo padre. Il quale non mancaremo pregare, sì come si è degnato intercedere et liberarce da questo pericolo, così, per l ’avenire, ci sia propitio, et ce impetri, 111 Signore Iddio, la remissione de nostri peccati.

    D IB IO V IS 15» M E N SIS A P R IL IS 1599

    [223] Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., d.nus Marcus Antonius dei Bello , 1449 de Monte Politiano, filius q. Silvestri dei Bello et Antil-

    liae, coniugum, de eodem loco Montis PoMtiani, barberius in Urbe, in regione Parionis, aetatis annorum quinquagintatrium in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes etc., testis dixit: Dal primo anno di Pio Y in qua, io sto in Roma, et son stato con la bona memoria del card. Savello, con il s.r Pavolo lordano,1450 et dal­ l’anno del 1580 in qua, io sto a botega. E t ho cognosciuto il p. Filippo Neri, dal tempo che lui stava in S. Hieronimo, et, doppo, nella Chiesa nova della Vallicella. Et, molte volte, specialmente nelle sue malatie, l’ho parlato et servitolo. E t il p. Angelo Yellio, da poi che è edificata la Chiesa nova, mi ha confessato, et è stato mio confessore. E t mi con­ fesso ogni domenica, et ogni mese mi communico ; et questa Pasqua mi

    1449 Marco Antonio del Bello comparve, successivamente, al terzo processo, il 9 lu. 1611. i 45° Paolo Giordano Orsini, signore poi duca di Bracciano e marchese dell’Anguillara, generale delle fanterie venete ferito a Lepanto il 7 ott. 1571; trista­ mente famoso per avere ucciso la prima moglie, Isabella de’ Medici, il 16 lu. 1576, e fatto assassinare, il 27 giu. 1583, Francesco Peretti, marito di Vittoria Aceoramboni; morto, fuggitivo dallo Stato della Chiesa, a Salò, il 13 nov. 1585, L i t t a , « Orsini di Roma ». tav. XXIX.

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    15 aprile 1599. [22B] Marco Antonio del Bello, ff. 570-571

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    communicai alla Vallicella, chiesa nominata, quale è mia parrochia. Et il sopradetto p. Filippo io l’ho tenuto per un grande homo da bene et gran servo de Dio. Et questo lo so, perchè io li ho cavato sangue, buttate le ventose, nella sua ultima infermità,1451 che da circa quattro anni, che stava obediente, con tanto amore, con tanta charità, et humiltà, che da questo io mi accorsi, che era un homo di perfetta vita et santo. Mi so’ trovato, anco, quando, subito morto, cioè il seguente giorno, la notte seguente, circa la mezza hora di notte, fu sparato : che ci era il cavaglier Zerla, m.s Angelo, medico assistente, Bernardino Castellano, medico di S. Spirito et m.s Alessandro spetiale della casa, con un numero d’altre persone, circa trenta, et io. Il cavaglier Zerla, mi pare, se ben mi ricordo, che tagliasse, et io lo ricusi. E t, nello aprire, si trovò tutti li interiori netti, senza magagna alcuna, et si guardò minutamente al fegato, al polmone, al core et tutti li altri interiori, senza magagna alcuna. Un core bellissimo, grande, al quale furno dati tre taglietti, per provare se ci era magagna alcuna: non l'u trovata magagna alcuna. Anzi, si fece diligenza, per trovare da che poteva venire una copia di sangue, che per alcuni dì avanti la morte, era uscito ; et non fu trovato cosa alcuna. Et li medici phisici et io, tutti ci maravigliavamo di haver trovato li inte­ riori così belli et senza macula alcuna. Li quali interiori furno levati et separati dal [f. 571] corpo et posti in un catino. Doppo haver lavati li interiori, si assugò il corpo voto con alcune spogne, come è solito. Doppo l’assugatione, io ci buttai dentro doi pugni di polvere de mortella, mescolata con polvere de rosa, senza mettervi balsamo, unguenti, nè altra ontione preservativa, ma solo certi mazzetti di salvia, rosmarino et mortella, per riempire il corpo,1452 in luogo delle budelle, già cavate con li interiori, come è detto. Et, fatto questo, di mia mano lo cuscii, con ago et spago fatto a questo effetto. E t io fui presente a questa aper­ tura, dal principio sino alla fine, et nissuno delli sopradetti medici et fisici et spetiali, nè meno altra persona, ci pose cosa alcuna, nè dentro, nè fuora del corpo, eccetto quello che io ci posi, come ho detto di sopra. E t, se persona ci havesse messo, dentro o fuora il corpo sopradetto, io l ’haveria visto, perchè mi trovai sempre presente, all’apertura et cuscitura, fatta come di sopra. E t di più vi dico, che, con grande admiratione di tutti, non fu mai sentito, ne l’aprire et maneggiare li interiori et budelli, et nel cavarli, alcuno fetore, come si suole sentire, et io ho sentito in moltissimi altri. Cuscito che fu, fu il corpo vestito, con camisa, sottana sopra il giubbone et veste di sopra, calzoni, calzette, scarpe et camiso, pianeta et vesti­ menti soliti de sacerdoti. Et mi trovai presente a tutto questo. Et mi pare, che la pianeta fosse di tela d’oro in campo pavonazzo. Con un calice in mano, et posto in mezzo la chiesa : dove stette il giorno seguente, doppo l’apertura et recoscitura sopradette. Et, otto o diece giorni sono, li padri mi fecero gratia di vedere questo

    1451 gj deve intendere l ’ultima fase della malattia, che ebbe più crisi nel maggio 1595 ; poiché, agli estremi, il « barbiere » chiamato, che non si sa bene chi fosse, non arrivò in tempo, f. 186. 1452 d i quest’imbalsamazione, fatta sommariamente con semplici erbe aro­ matiche, riferì anche Rodolfo Silvestri, f. 576.

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    220

    16 aprile 1599. [224] Giuseppe Zerla. f. 571

    santo corpo,1453 assieme con il cavaglier Zerla. Dove lo revidi, tanto bene conservato, che io et il cavaglier Zerla ci maravigliassimo di haverlo trovato così ben conservato. E t tanto più grande fu la maraviglia e stato, che, per non haverci fatto conserva, nè preserva alcuna, et io con il detto cavaglier Zerla giudicassemo che questa preserva era proceduta dalla mano de Dio. E t che non era cosa ordinaria, di preservatione de corpi humani ordinaria, ma straordinaria et maravegliosa, come ho detto. Tanto più, che ho visto tutti li vestimenti et paramenti guasti, fracidi et muffi, come si sol dire, in pezzi, che non si conoscevano de che colore et sorte si fosse. Et erano, come ho inteso, quando furno cavati, bagnati come fossero stati ne l ’acqua E t questo accresce la maraviglia, Tesser stato il corpo, quattro anni, nelli detti vestimenti et paramenti, quali si sono trovati, come ho detto, disfatti, et il corpo preservato.

    D IB V E N E R IS 16» A P R IL IS 1599

    [224] Examinatus fuit Romae, in officio mei etc., ill.is d.nus eques Ioseph

    Zerla,1454· filius q. d.ni Augustini Zerla et Annae de Prandis, Novariensis diocesis, miles SS. Mauritii et Lazari, civis romanus, phisicae et chirurgiae artis doctor, aetatis annorum septuaginta in circa, qui, medio iuramento, tactis etc. scripturis et cruce respective, ad op­ portunas interrogationes, dixit: Sono più di quarantacinque anni, che io sto a Roma, et son stato in diversi lochi, ma, la maggior parte del tempo, son stato a S. Salvatore

    1453 Su questa ricognizione del corpo di F ., compiuta dal 7 marzo al 13 maggio 1599, deposero anche i testi medici che seguono: Giuseppe Zerla (224), Andrea Oesalpino (225), Antonio Porti (226) e Rodolfo Silvestri (227). Ne riferì, più tardi, il 16 giu. 1610, Marcello Vitelleschi, f. 993. Si vedano il B acci, 1. IV , c. 8 , nn. 1-4; e A ntonelli, La conservazione del corpo di s. F. N., cit., pp. 10-16. Un Avviso di Roma, 3 aprile 1599, Supplemento, informava : « È stato aperto il sepolcro del Beato Filippo Neri fondatore della congregatione dell’Oratorio alla Chiesa nuova, et hanno trovato quel corpo solamente un poco macolato nel naso, et del resto in stato tale che par morto due dì fa et non quattro anni sono, non ostante che non fusse imbalsamato, et havendolo voluto il Card .1 di Firenze veder, e toccare mosso da devotione cavatosi un Zaffiro di dito di molto valore lo mise in uno del detto Corpo », cod. Urb. lat. 1067, f. 231. 1454 Giuseppe Zerla, di Novara, esercitò lungamente la professione in Roma, e fu chirurgo dì Gregorio X III , Marini, v . I , p. 453. Cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro viene chiamato nello strumento d ’alienazione, in data 17 sett. 1583, d’una sua vigna a Termini, [V ittorio Massimo], Notizie isteriche della villa Massimo alle Terme Diocleziane, con un’append. di documenti. Roma, tip. Sal­ viucci, 1836, pp. 36-38. Era anche proprietario di una casa nei pressi della piazza di Monte Giordano, donata poi da lui alla congregazione dell’ Oratorio ; e in questa entrò, già vecchio, in qualità di laico. Testò il 31 mar. 1605, fondando messe per 10 scudi di frutto e lasciando suppellettili sacre in argento e, inoltre, una vigna a Monte Mario. Il « Liber mortuorum » di S. Maria in Vallicella, f. 80 v, registra : « Joseph Zerla novarien. frater n.re congregationis etatis annorum 84 ... Deo reddidit die 12 aprilis 1605 ». Una notizia se ne legge nell’ARiNGHi, cod. Vallicelliano, O. 60, f. 300. Probabilmente era fratello di Domenico, che fu padre di Olimpia, pia penitente del Gallonio e monaca di S. Lucia in Selci, Galxonio, Istoria di Elena de’ Massimi, cit., pp. SO-89.

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    7 T T 1:

    16 aprile 1599. [224] Giuseppe Zerla. ff. 571-572

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    221

    del Lauro,1455 dove al presente habito. E t sono quaranta anni in circa, che io ho cognosciuto et cognosceva il p. Filippo Nerio, qual stava prima a S. Hieronimo della charità et poi qui alla Chiesa nova. E t mi son confessato da lui più volte, et adesso mi confesso dal p. Thomasso Bozzio, et, ordinariamente, ogni domenica : et così mi communico, ogni domenica, alla Chiesa nova. E t Giovedì Santo et Domenica di Pasqua mi [f. 372] sono confessato alla parrochia di S. Simone et Giuda,1456 mia parrochia. Et, per la nominanza che Ί p. Filippo haveva, io, come giovane curioso, mi andavo a confessare da detto p. Filippo, dal quale mi confessai più volte, con tanta mia sodisfattione, che non potrei narrarlo. Et, mentre mi confessavo da lui, io, alle volte, havevo travagli, et il detto padre mi dava alcuni ricordi et remedii, che mi allegeriva tutti li travagli, et, particolarmente, quando mi poneva la mano in testa, che mi levava tutte le tentationi. E t, per questo, sempre io l ’ho osservato come homo santo, et per tale lo tengo, et per haver havuto relatione, da molti altri, de affetti simili, de sollevatione de animi et de fastidii. Et, questo, mentre stava a S. Hieronimo. Quando venne alla Chiesa nova, per le sue molte facende, mi consegnò al p. Thomasso. Et il detto padre mi ha predetti alcuni pensieri, quali io havevo, che non era possibile, per via humana, di saperli, et era veramente pensieri del cor mio, et lui lo sapeva meglio di me. Et mi diceva, alle volte, che mi guardasse de alcune cose, quali lui prevedeva, nanzi che io ne sapesse niente et me intervenivano: osservando quello mi diceva, trovavo che lui diceva la verità et questo mi è intervenuto molte volte. Et, sebene io mi confessavo dal p. Thomasso, in tutte le mie tribula­ tioni, andavo da lui, per sollevamento dell’animo et conscienza mia, da lui, come homo più che humano. Quando il detto padre morse, io mi trovai, chiamato dal p. Germa­ nico, alla apertura del suo corpo, quale io apersi, et mi feci aggiutare da m.s Marco Antonio barbiere : dove era m.s Angelo de Bagnarea, Bernardino Castellano, m.s Alessandro, spetiale della casa, et molta altra gente, della quale non mi ricordo. Et, aperto, vedessimo il petto et tutto il corpo, et, nelli interiori, non trovammo defetto nissuno. Et fu guardato, che lui pativa de effusione di sangue, alcuni giorni avanti, che ne sputò assai, et non fu trovato donde si venisse. Et li interiori erano tutti belli, boni, sani, che parevano de un giovane. Nelle cartila­ gine, della banda del core, si trovò una rottura delle dette cartilagine, che le coste mendose et cartilaginose s’erano inarcate et rotte all’insù,

    1455 L a contrada, nel rione Ponte, nominata dalla chiesa di S. Salvatore in Lauro o de Lauro. Si trova, questa, annoverata tra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nel 1186 ; in età moderna, fu ricostruita e data nel 1699 ai Piceni, che la intitolarono a S. Maria di Loreto. Il monastero annesso, già dei canonici di S. Giorgio in Alga, venne convertito in collegio per venticinque alunni di medicina e di legge, H uelsen, p. 444; A bmellini-Cecchelli, pp. 448-51, 1435; e Carlo

    A stolfi, Storia del convento e chiesa di S. Salvatore in Lauro oggi S. Maria di Loreto dei Marchegiani, in Rassegna marchigiana, X I, 1933; e in estratto, Pesaro, arti grafiche Federici. 1456 Ss. Simone e Giuda, anticamente S. Maria in Monticello o anche « d e Monte lo rd an o », ricordata la prima volta in bolla del 21 feb. 1178; profanata in questo secolo, H uelsen, pp. 350-51; A bmellini-Cecchelli, pp. 443-44 (con ine­ sattezze) e 1450-51.

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    222

    17 aprile 1599. [225] Andrea Cesalpino. f. 573

    verso la pelle: 1457 che, tra nói fu giudicata cosa maravigliosa, non havendosene lui lamentato, nè ramaricato. E t furno cavate le interiori et poste in un catino. E t il pericardio, Cassola del core, fu trovato senza acqua (cosa maravigliosa, che sempre sole ritener dell’ acqua, per la humidità del core) come anco li ventricoli del core furno trovati asciutti, senza sangue (che è cosa maravigliosa, che in tutti li corpi si sol trovare sanguinosa) et il cuore era bello et, per vederlo dentro, forno dati tre tagli, per veder li ventricoli del core. E t è cosa verissima, che, ne l ’aprir, non si sentì fetor nissuno, come si suol sentire in tutti li corpi. E t, levati li interiori, io consegnai a Marco Antonio barbiere, che lo empisse de molte herbe, quali io li consignai. Nel qual corpo non vi fu posto altro, che herbe di rosmarino, salvia, et mortella, lauro, et altre herbe secche simili ; nè vi fu fatto ontione di balsamo, nè de altri ogli et cose preservative. Et io fu presente alla ricuscitura, et, ricoscito, fu vestito subito, con le veste sue ordinarie, con li paramenti sacerdo­ tali et posto in chiesa, dove io andai a basciar le sue mani. Et, per le preghe sue, io ho ricevute molte gratie, per essermi raccommandato al detto santo padre, come io l’ho eletto per mio protettore. E t, partico­ larmente, in alcuni travagli de liti, che io ho in Rota, quali me anda­ vano a traverso, andare in chiesa, mezzo disperato, ginochiarmi nanti al corpo suo, pregarlo, che me voglia indrizzare in queste attioni, venirme un pensiero di andare in un luogo, a trovare certe scritture, andatoci et trovatole, dove mi danno doi lite vinte in Rota, che sono di grande importantia. Et tutto tengo per l ’oratione di quel santo homo. Et molte altre cose mi sono occorse, quali mi sono prosperate, per gratia de Iddio, et l’oratione di detto santo padre. Et, inoltre, [f. 573] mi occorre un’altra cosa di maraviglia: che, alli giorni passati, fui chia­ mato dal p. Antonio Gallonio a veder il corpo del detto santo padre, et andai, et viddi tutti li paramenti et vestimenti, posti sopra il corpo del santo padre nella sepultura, tutti fragidi redutti stracciati parte in polvere et in pezze et pezzette minute, senza fetore alcuno et bagnate, et il corpo essersi conservato intatto corruttione de vestimenti, quali erano, come ho detto, bagnati come fango. E t a me mi pare cosa mara­ vigliosa, et sopranaturale, et non ordinaria, et, maggiormente, per esser stato quattro anni in tanta humidità et corruttione; et, a veder adesso il corpo accommodato tanto bene, con grandissima devotione et admiratione. Et questo è quanto mi occorre in questo negotio.

    D IE S A B B A T I 17» M E N SIS A P R IL IS 1599

    [225] Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., ill.is d.nus Andreas Cisalpinus, 1458 filius q. loannis Cisalpini et q. d.nae Ioannae coniu-

    gum, aretinus, medicus et lector in Medicina in gymnasio Urbis, 1457 circa le relazioni sull’inarcamento delle costole e i fenomeni cardiaci osservati in F . si veda la nota 180. 1458 Andrea Cesalpino comparve già al processo il 3 ott. 1595 (63). Questa prima deposizione, la scrittura presente letta, e inoltre la « sententia » con rico­ noscimento in data 15 ott. 1597 (XLI, extra Urbem), furono edite, sul cod. Vati-

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    17 aprile 1599. [225] Andrea Cesalpino. ff. 573-574

    223

    aetatis annorum septuaginta quatuor in circa, alias in processu huiusmodi examinatus, qui, medio Muramento, tactis etc., ad oppor­ tunas interrogationes, dixit: Io mi sono essaminato altre volte in questo negotio del p. Filippo, et confermo tutto quello che ho detto et sentito in questo negotio, et di più vi dico ex se dictans, in latino sermone, prout in quodam folio,

    manu propria ipsius, ut asseruit, scripto; quod folium et in eo con­ tenta inferius registrahitur, dicens et affirmans ea omnia, in dicto folio contenta, esse vera, et pro veritate dixit, et approbavit, atque approhat. Tenor vero folii est talis, videlicet: Signa divinitatis quae apparuerunt in corpore beati Philippi Nerii, cum aperiretur eius sepulchrum post quadriennium, Romae, anno salutis 1599. Quod in corpore viventium aliquando signa quaedam inhabitantis divini Numinis appareant, omnibus in confesso est ; quod autem etiam in defunctis vestigia quaedam divinitatis retineantur, magis admirabile videatur. Experimentum enim compertum est multa eorum, qui divino numine afflati fuerint, corpora, in sepulchris, pro faetore, quod pro­ prium est putredinis, odoris suavitatem reddere ; idque, non artificio quo antiqui uti solebant aromatis condientes ut incorruptas carnes conser­ varent, sed sponte gratum odorem diffundere. Non absimile, nostris tem­ poribus, Romae contigisse vidimus beato Philippo Nerio Congregationis Oratorii, qui, dum viveret, ob extesin amplificato mirum in modum corde, frequentes palpitationes patiebatur, sed, ne interim, ob vim morbi, interiret, divinitus cartilagines prope cor existentes abiunctae a costis repertae sunt, ut, sine dolore sublevatae ac depressae, intu­ mescenti cordi caederent. Quod cum magna admiratione a peritis rei anatomicae viris et caeteris medicis, qui eum curarunt, inter quos et ego interfui, oculata fide compertum est, et causae diligenter discussae. Postea, anno quarto ab eius obitu, aliud divinitatis signum appa­ ruit. Cum enim, transferendi eiusdem corporis gratia, sepulchrum ape­ riretur, omnia quae circa ipsum erant lintea, ob loci humiditatem, computruisse visa sunt, et serica indumenta colorem omnino mutasse, sine foetore tamen : ipsum autem corpus, quamvis citius putrescere debuisset, integrum repertum est, praecipue circa thoracem, ubi fuerat sedes animae, colore candido ac tactu molli, fere ut recentis cadaveris. Id, profecto, neque arti neque naturae tribui potest: non quidem arti, scitur enim, a fide dignis, sine ulla conditura repositum fuisse corpus, solis interaneis avulsis. Praeterea mixturae, quibus vis inest red­ dendi corpora incorrupta, vehementer exsiccant et indurant, ut patet [f. 574] in iis quae pissasphalto,1459 aut aloe et mirra condiuntur,

    Documenti inediti di Andrea Cesalpino, in Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, t. XX X V , a. XXXV , 1881-82, pp. 95-102. La scrittura presente si trova riprodotta anche dall’ A ntonelli, La conserva­ zione del corpo di s. F. N., cit., pp. 12-15; ma non si è potuta comprovare la

    cano 3798, da Giuseppe L ais, d. O .,

    notizia, data da questo autore, che l’ autografo del documento si trovi presso i Padri della Vallicella. 1459 pisasfalto, il bitume giudaico; si trova indicato nell'Antidotario mano, ed. cit., p. 339.

    ro­

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    224

    17 aprile 1599. [225] Andrea Oesalpino. f. 574

    quas vulgo mumias vocant in medicinae usu, in quibus neque mollities, neque color servari potest. Secundum naturam vero, nunquam visum est mortuorum corpora diutius permanere, sine putredine, carnem convertente in fimum et, tandem, in pulverem. Quod si quaedam, valde extenuata et locis siccis reposita, prae siccitate, integra diutius per­ manere videantur, non tamen color permanet, neque mollities. Scribit Aristoteles, 4 Met. ult., inveteratorum mortuorum corpora aliquando retinere solam figuram, caeteris omnibus deperditis, quae subito cinis fiunt in sepulchris : non enim mixtionis ratio permanere potest, egrediente humido, quod cum sicco, ob propriam calliditatem, contineba­ tur. Eelinquitur igitur occultiorem aliquam causam esse, quae id prae­ stiterit, quod neque ab arte neque a natura fieri potest; at, praeter has causas, quae alia excogitari possit, quam divinum quid, quod supra naturam vocamus? Nam, quae casu et fortuna fiunt, inter res naturales, et quae ab homine fiunt, numerantur: quoniam vero affectiones corpo­ reae causas proximas habent corporeas, eae autem naturales sunt, seu in iis quae ab arte fiunt, seu in iis quae a natura, aut supra naturam, huiusmodi causa investiganda est eorum quae in hoc corpore supra naturam contigerunt ; si quae autem immediate pendeant a causa di­ vina, non intercedentibus causis secundis, non est nostrum investigare : qui enim verbo omnia fecit, non eget mediis naturalibus. Quamvis, igitur, per mortem omnia in cinerem convertantur, non tamen omnia per putredinem ; possunt enim, per combustionem statim omni humido ab­ sumpto, dissolvi ; potest et putredo medicamentis siccantibus coerceri : huius gratia mos fuit apud antiquos, non solum aromatis corpora mor­ tuorum condire, sed et unguentis preciosissimis inungere. Forte et huius gratia, in Ecclesia constitutum est Extremam Unctionem aliquid bal­ sami recipere : inest enim balsamo, prae caeteris, vis naturalis adversus putredinis. Simili igitur materiae fragranti et spirituosa Angelos uti putandum est, ad praeservanda sanctorum corpora, unde saepe comper­ tum est eorum reliquias odorem suavem spirare. Ex adverso, daemones immundis et fetentibus spiritibus uti, ut in obsessis saepe conspicitur. Patet igitur quomodo beati Philippi corpus, absque ulla conditura manufacta, in loco humido putredini obnoxio, post quadriennium repertum sit integra cute, quasi recentis cadaveris, inter lintea marcida, non ta­ men fetentia. Ubi enim ars humana deficit et naturae propensio, si quid praeter naturae ordinem contingat, divinitus contingere necesse est. Circa thoracem autem potissimum id factum est. Nam in corde, quod proprium est animae domicilium, ut Peripatetici asserunt, etiam divina pars inhabitat. Quid igitur mirum, si, vivente eo, haec pars divino fruebatur numine, etiam post mortem vestigia haec divinitatis circa eandem partem hucusque perdurasse? Contabuisse autem interim lintea, ob loci humiditatem, consentaneum est rationi, non tamen fetorem contraxisse, quia illum dissipabat spiritus, e corpore mundissimus exhalans forte, et loci humiditas ad cutis mollitiem conservandam aliquid praestitit. Non potuit autem corpus putrefacere ob praedictas causas. Color quoque vix mutatus est, quia non vehementer exsiccata est caro, ut solet in con­ dituris ; sed a spirituosa substantia solum tenuior humiditas exsiccaba­ tur. Haec artificio humano fieri nequeunt, quia spirituosam huiusmodi substantiam ex corporibus seligere minus possumus, neque in corpora

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    11 maggio 1599. [226] Antonio Porti, ff. 574-575

    225

    continue intromittere : quod, si non continue, cito evanescerent, ob tenui­ tatem. Sed intelligentiis ab omni corpore seiunctis utrumque facillimum est. Haec est mea sententia, quam rogatus afferre, utcumque sit, non dubitavi : ut signa non sileantur, quae Deus optimus maximus in sanctis suis in dies commonstrat, ut eorum mores imitemur : quod beatus Phi­ lippus pro nobis intercedat. Andreas Cesalpinus. Auscultata cum suo

    originali, Petrus Mazziottus.

    D IE M A R T IS 11* M E N SIS M A II 1599

    [226] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., ill.is d.nus Antonius Por­

    tus,1**0 firmanus, medicus phisicus, alias in processu huiusmodi exa­ minatus, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut sequitur, videlicet dictans ex seipso, ad opportunas interrogationes: Io mi sono essaminato, in questa causa, altre volte, et, havendo visto il mio essamine et depositione, fatta sotto il dì 9 di ottobre [f. 575] 1595, sopra la palpitatione et tremore del core, che haveva la felice memoria del santo p. Filippo Nerio, et altre cose contenute nel detto mio essamine, et scritture, et discorso, fatto sopra di ciò, di ordine dell’ill.mo s.r card. Borromeo,1 1461 havendo, li giorni passati, visto di 0 6 4 novo il corpo del detto beato padre, confermando, come confermo, di novo, tutto quello che ho deposto et scritto, nell’ essamine et discorsi sopradetti, dico et confermo, di novo, esser stato dono sopranaturale, demostrato, come si può credere, dalla maestà divina. Massime che, doppo la morte sua, aperto il sepolcro, nel quarto anno doppo la sua morte, si trovò il petto molle, et di colore di uno, che fusse morto in quel giorno, come, con li proprii occhi, ho veduto io, ancora che tutte le vesti fussero infracidite, et redotte in pezzette, et, parte, incinerite, le quali, però, erano senza alcun fetore. Il che non si può dire, nè attri­ buire a causa naturale, poiché non ci fu usato alcuna sorte di artificio, nè di aromati, nè di balsamo, overo altra mistura, che sòl servare li corpi dalla putrefattione. Anzi, che, ancora che si mettano simil cose, se bene si conserva la pelle, mai è stato, però, che si conservi il color naturale, come vidde io conservato in quel benedetto corpo. Perchè, ordi­ nariamente, diventa il color fosco, o negro ; non solo exsiccato, dalla caldezza et siccità de aromati, overo dalla imbalsimatura, ma quasi ar­ rostite. Talché bisogna, per forza, concludere, già che il tempo si longo, di quattro anni in circa, non l’ha putrefatta, ancora che havesse corrotti et putrefatti tutti li vestimenti, nè conditura, overo opera humana habbia conservata quella parte bianca e molle, come si è detto di sopra, che tutto sia avvenuto per cause sopranaturali. Come, nella terza rag-

    1460 Antonio Porti già comparve al processo il 9 ott. 1595 (75). Un tratto della deposizione presente è pubblicato dall’ANTONELU, La conservazione del corpo di s. F., cit., p. 12. 1461 presentato al cardinale il 1» lu. 1595, e incluso, con riconoscimento in data 16 ott. 1597, nella serie delle deposizioni extra Urbem (XLII). Si veda anche la nota 180. 15

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    226

    11 maggio 1599. [226] Antonio Porti, f. 575

    gione del mio discorso, si è provato, cioè, che la palpitatione del core del beato padre non era naturale, ma sopranaturale, così la bianchezza et mollezza del petto era sopranaturale. Perchè, come di s. Antonio, detto da Padua, si legge, che, aperto il sepolchro, molti anni doppo la sua morte, li fu trovata la lengua in bocca, fresca come era in esso vi­ vente,1462 per haver, con essa, convertiti tanti, nella predicatione, alla santa fede catholica ; et, in s. Chiara, amatrice affettuosa del santissimo Crocefisso, fu trovato, nel suo cuore, un crocefisso di carne ;1463 e, nel cuore di s. Bernardino, fu trovato il bon Giesù, perchè non haveva altro

    1462 II racconto si legge nella Chronica XXIV generalium ordinis Minorum, In Analecta franciscana, t. III. Ad Claras Aquas (Quaracchi), ex Typographie Collegii S. Bonaventurae, 1897, p. 157 : la lingua fu scoperta « adeo recens, rubicunda et pulcra », nella traslazione compiuta nel 1263, trentadue anni dopo la morte del santo, presente il ministro generale dell’ordine, s. Bonaventura; e si conserva, entro un reliquiario cinquecentesco, nella Cappella del Tesoro della basilica di S. Antonio a Padova, D omenico M. Sparagio, O. F . M. Conv.,

    8. Antonio di Padova taumaturgo francescano, nella vita, nel pensiero, nella gloria, v. I I . Padova, « I l Messaggiero di s. Antonio» [1923], pp. 448-49; V ittorio F acchinetti, O. F. M ., Antonio di Padova: il santo, l’apostolo, il taumaturgo.

    Milano, Casa ed. S. Lega eucaristica, 1925, pp. 519-22. 1*63 Nella primitiva vita di s. Chiara di Assisi, che si presume opera di Tommaso da Celano, sì legge, dopo il racconto del risanamento di cinque suore operato con il segno della croce : « E x his profecto patet, in pectore virginis plantatam esse arborem Crucis, cuius dum fructus reficit animam, praebet exterius folia medicinam », Legenda sanctae Clarae virginis. Tratta dal ms. 838

    della Bibl. Comunale di Assisi, edita per cura del prof.

    F rancesco Pennacchi.

    Assisi, Tip. Metastasio, 1910 (« Società internazionale di studi francescani in Assisi »), p. 48. Si potrebbe pensare trattarsi della santa fondatrice del secondo ordine minoritico, specialmente per essere nominata tra due santi francescani; e derivata, eventualmente, da questo luogo l’ interpretazione realistica data dal teste, e per la quale non si conosce altra fonte documentaria. Ma più nota, e descritta in documenti, è la scoperta, alla dissezione, della croce e degli emblemi della croce impressi nel cuore dell’ agostiniana Chiara da Montefalco, morta il 17 ag. 1308. Si veda la biografia del contemporaneo B erengario da S. A fricano,

    Vita s. Clarae de Cruce ex codice Montefalconensi saeculi XIV desumpta; edidit, emendavit notisque instruxit p. A. Semenza, O. E. S. A ., in Analecta Augustiniana, X V II, 1939, pp. 403-07, dove si adducono anche dichiarazioni di testi nel

    coevo processo apostolico [nel volume, pubblicato a parte, Typis polyglottis Vaticanis, 1944, pp. 60l- 64]. Rimarrebbe, per accogliere questa ultima identifi­ cazione, la difficoltà del titolo di santa usato dal Porti, perchè Chiara di Montefalco fu canonizzata ufficialmente solo nel 1881. Ma è da osservare che santa doveva essere fino in antico correntemente nominata, come risulta, a esempio, nella riduzione volgare quattrocentesca della vita, in forma di dialogo, attri­ buibile a frate Antonio da Montefalco, Vita di s. Chiara da Montefalco, scritta

    nel secolo XV per un Francescano suo conterraneo, ed ora nelle feste di sua canonizzazione la prima volta messa a stampa da un Sacerdote perugino, ad uso delle persone devote. Perugia, tip. Boncompagni e c., 1882 (alle pp. 202-16, la particolareggiata narrazione delle scoperte nel cuore). Si può aggiungere che un simile prodigio è asserito per un altro personaggio nominato più avanti nel processo, il cappuccino frate Raniero (sul quale, nota 1676), nell’opera Vite de santi et beati di Todi. Con la traslazione solenne di

    cinque corpi loro. Et molte rime in essa fatte, néllequali si scuopre l’antichità, & grandezza temporale, & spirituale di detta città. Institutione dell’Oratorio perpetuo, & delle congregationi de preti, scritte da Giovambattista Possevino prete mantovano theologo. All’illustrissimo et reverendissimo monsignore Angelo Cesi vescovo della santa chiesa di Todi. In Perugia, nella stamparia di Vincentio Colombara erede de Andrea Bresciano, l ’ anno 1597, p. 109.

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    13 maggio 1599. [227] R odolfo Silvestri, f. 575

    227

    in bocca ; 1464 così credo io, che si seria trovata qualche altra cosa mira­ colosa nel core del benedetto p. Filippo. Ma, perchè del core non fu havuta cura, et fu levato con li altri interiori, et sepolto senza alcuna sorte di veneratione, come si conveniva a un core tanto privilegiato, men­ tre visse, da sua divina Maestà, come ho scritto et provato nel mio di­ scorso, fatto sopra il detto benedetto padre, per questo credo io, et bene, che quella parte, dove era stato, tanto tempo, quel cuore infiammato di divino amore, che, per ciò, tremava et brusciava (il che dimostrò non es­ sersi trovato sangue, nè spirituoso sangue, nelli ventricoli del core, nè acqua nella Cassola di detto core, chiamato pericardi) che il tutto fusse consumato dal divino amore et dal fuoco del Spirito Santo,14651 6che era 4 in quel benedetto core, essendo stato homo di continua oratione, et con­ templatione delle cose celesti. Sì che è necessario di dire, che la Maestà di Dio habbia conservato quella parte particolare del petto, senza putrefattione et mutatione di colore, il quale è come di un corpo morto « in instanti » ; et, alPhòra, che si debbia attribuire il tutto a causa sopra­ naturale, per haver conservato in esse quel benedetto core, ardente del foco del Spirito Santo, come si è detto, e tutto a gloria de Dio, il cui nome sia benedetto « in secula seculorum. Amen ». E questo è quanto mi occorre. D IE IO V IS 13» M E N SIS M A H 1599

    [227] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., ill.is d.nus Rodulphus Silvestrius, 6 medicus physicus, alias , in huiusmodi causa, examina­

    tus, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dictans, ex seipso dixit, ut sequitur, videlicet: Alias in causa huiusmodi examinatus fui super negotio huiusmodi et idipsum afiSrmo et comprobo. Et quartus iam agitur annus, quod beatus Philippus Nerius, primus et fundator Congregationis Oratorii, quam in­

    1464 Benozzo Gozzoli, nella Collegiata di San Gimignano, rappresentò Ber­ nardino da Siena col trigramma raggiante sul cuore, ispirandosi probabilmente da una predica fatta dal santo ai senesi, nell’Ascensione del 1425. Nella quale si narra di un pellegrino morto sul Calvario : « Allora compresero e medici che era morto d ’ amore. Volendolo vedere, fecierlo isparare e viddero che nel suo cuore era scolpito di lettere d’ oro IE SU . E t aveva fesso el cuore ». D al racconto, certo allegorico, che ha il suo presupposto nel noto culto propugnato dal grande predicatore del Rinascimento, Gaudenzio Melani, O. F. M ., San Bernardino da Siena ed il Nome di Gesù, nella raccolta S. Bernardino da Siena; saggi e ricerche pubblicati nel quinto centenario della morte (lWrlS'ti), Milano, Soc. ed. « Vita e pensiero », 1945 (« Pubblicazioni dell’ Università cattolica del S. Cuore », n. s., vol. V I), pp. 247-300, può trarre origine l’ asserzione fatta dal testimone, e che non si trova, per quanto si sa, altrimenti documentata. « Incorruptum et inte­ grum » si dice il corpo di s. Bernardino, Acta sanctorum, Mail t. V. Antverpiae, 1685, p. 318. 1465 Questa sparizione misteriosa del cuore di F. venne notata durante la ricognizione dei visceri, nel gennaio 1596; sulla quale si vedano le note 1105 e 1270. 146 6 R o d o lfo S ilv estri com p a rv e g ià com e teste il 25 sett. 1595 (58). Parte d i questa sua am pia d e p osizion e la tin a su lla ricog n iz ion e d el co rp o d i F. (f. 576, circ a p rim a m età) è sta ta p u b b lica ta d a ll’ ANTONELLi, La conservazione del corpo di s. F. N., p. 16.

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    228

    13 maggio 1599. [227] R odolfo Silvestri, ff. 575-576

    habitavit, et multis divinis muneribus et sermonum et confessionum, frequenti usu, mirabiliter illustravit, iam senio confectus, ad caelestem vitam migravit, animamque Redemptori reddidit. Corpus, vero, in basi­ lica eiusdem Congregationis, honorifice conditum fuit, [f. 576] vesti­ bus sacerdotalibus indutum, atque in capsa lignea inclusum, supra quam constructum fuit sepulchrum, ex calce, arena et lapidibus. Transacto iam ferme anno quarto, et reviso cadavere, reperta est capsa variis scis­ suris referta, una tamen admodum lata, quae totum conspectum utrinque dividebat, per quam suburra ex recentibus parietibus decideret. Prae cuius humiditate, omnia vestimenta adeo conquinata ac corrupta et, ita fas sit dicere, in exiguis frustulis corrosa sunt inventa, ut humido quo­ dam superfluo madefacta, ac si aqua super inspersa fuisset, ut ne ullam figuram haberent, qua unum ab alio distingui posset. Aderat nec non car­ nosa quaedam materia, quae universas cadaveris partes, fundumque capsae imbuebat, tabula etiam lignea, quae sub assillis posita fuit, et illa prae nimia humiditate inquinata, vel ut et carta pergamena, quae recondita erat in capsula aenea, in qua suum nomen et cognomen et alia descripta erant, reperta est adeo foedata, ut vix syllaba comprehensa sit, cuncta etiam telis araneis circumcincta erant, cadaver, vero, nul­ lum vel ferme exiguum passum est detrimentum. Nam, etsi, ab initio, exenteratum atque ab omnibus visceribus exutum, nihilominus, nec balsamo, nec aromatibus, nec calce, sale, unguentis, oleis, et aliis huiusmodi, sed sola myrti et rosarum pulvere, et in exigua portione, fuit asper­ sum, atque in locum potius humiditatibus expositum reconditum, quae solent cadavera statim ad corruptelam deducere. Attamen, nec corrup­ tum, nec graveolens repertum fuit huius viri Dei corpus, immo potius gratum odorem exalans, integrum, nec nulla in parte laceratum, praeter­ quam iuxta crura, ob laminam quamdam eneam, in qua descriptum erat eius nomen, quae, ob pondus, partem subiectam aliquantum exasperavit faciei, quoque ac manuum extrema ob eorum mollitiem nonnihil detri­ menti perpessa sunt, reliquae autem corporis partes, citra labem effatu dignam remanserit. Sed quod mirum et supra naturae conditionem vide­ tur esse totius corporis ac musculorum figura et statura, color verus membrorum situs, corpus tandem solidum et quodammodo successum deprehenditur quae omnia cum supranaturalia videantur, ideo quaeri­ tur an corpus istud incorruptum dicatur et ab elementari incuria quae compacta et habitat in nobis usque adhuc vindicatum immo tamquam quid divinum in terris sit venerandum cum color cutis se se offerat, in extremitate corporis, adeo naturalis, ac si corpori anima coniuncta foret. Nulla enim ex parte videtur distare ab eius naturali colore, quem habebat dum in hoc seculo cum mortalibus vitam degebat, ut nos testa­ mur, qui pluries eum alloquuti sumus, atque eo tempore, quo cordis affectu ac aliis indispositionibus tenebatur, interfuimus, sepissimeque pectus et alias corporis partes pertractavimus atque conspeximus. Ut igitur, requisiti, libere, hoc in casu, quamvis de altioribus et abstrusis ac magnis rebus disserere nec infirmitas ingenii nostri ferat nec crassi­ tas penetret, nihilominus, in Dei benignitate ac beati Filippi interces­ sione confisi, nostram quam brevissime explanemus sententiam, non recedentes ab opinione philosophorum et rem iam sic aggredimur. Termini vitae rerum multiplices sunt ac varii et non unius modi,

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    13 maggio 1599. [227] R odolfo Silvestri ff. 576-577

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    verum plerique longitudine differunt, alii natura tamen alii utroque. Primum, igitur, quod est, a nulloque pendet, et est aeternum et immu­ tabile et perfectum, imo ipsa perfectio, Deus est, undequaque absolutus et in se ac beatus, a quo etiam omnia quidquid habent boni recipiunt. Post quem sunt alii intellectus, perfecti et eterni et immutabiles, sed ab alio pendent atque in his est ordo nobilior, qui primae causae proximus est. Tertio loco sunt orbes caelestes, et ipsi ingeniti, nunquam perituri, perfecti, et mutationi obnoxii mutationi autem secundum locum quae sola his, qui perfecti sunt, advenire potest. Itaque hi quidem pendent ab aliis et mutantur, verum aeterni atque perfecti. Post hos sunt imperfecta sub­ stantia et materia prima, quae aeterna est, sed pendet ab aliis et mutatur et est imperfecta. Huius succedit locus natura imperfectus et qui alteri inest et ad aliud habet comparationem ; huic tandem mens, sed mutatio­ nis particeps pendet tamen ab aliis et aeterna et perfecta a philosophis ponitur. Elementa autem sic aeterna censentur, ut nulla eorum pars aeterna sit, sed esami [sic] corrumpantur, manent tamen integra : sunt igitur aeterna continuitate successionis et partium, non tamen vere, cum, praeter praedicta, nihil vere aeternum sit, ita ut idem maneat hoc unum continuatae vero successionis et non partium sunt species perfectae, illae enim aeternae sunt, non tamen continua est illarum particularis sub­ stantia, quae pendet ab aliis et mutationi est obnoxia quare omnium, quae mundus habet, alia per naturam esse dicantur, alia per alias causas, quae sponte sua interiorique impetu prodeunt natura esse dicuntur, ut quatuor praedicta mundi elementa, cuncta animalia, stirpes omnes, me­ talla et huiusmodi. Hoc igitur ortus, omnisque actionis occultum inti­ mumque principium natura cuiusque rei dicitur et est: huic materia quae­ dam subiicitur, quemadmodum simulacro aes vel lignum, sic unumquod­ que ex duabus naturis conflatum est, quae nullo pacto seiungi queunt, sed utraque sic alterius est appetens, ut ei annexae foveatur alioquin mori­ tura. Unde subiectum, ex quo aliquid factum est, ex materia et specie conditum est, cui tum principia tum elementa insinit, quae permistione confusa, gignendis rebus idoneum se subiectum exibent atque subster­ nunt, quae multa compositione et conformatione instructa corpus fisicum pariunt, quod proprium subiectum appellatur. In quo quatuor elemento­ rum substantiae incorruptae persistunt, nam et si ex hoc intereunte corpore aliud proferatur, illa tamen, quamquam alia proportione aliaque permistionis lege, integra manebunt, dum, extrema, tandem, dissolutione, in suas naturas quaeque redeant et restituantur universitati, tamque antiquae matri ; et hoc fuit, a rerum omnium aeterno et perfecto condi­ tore, summa cum sapientia et potentia institutum: alioquin, si quando naturale corpus oblitescit, illius materia simul [f. 577] interiret et dissiparetur et elementorum substantiae, quae ad rerum procreationem in unum confluxerint, illarum rerum interitu vanescerent, neque in suam naturam remearent iam pridem absumpta foret omnis elemento­ rum substantia, nec ea satis fuisset rebus innumeris hactenus genera­ tis, ut autem quaelibet pars ad suum principium redeat, necesse est ut harmonia haec atque concretio divellatur, corrumpaturque, et per extre­ mam dissolutionem quaelibet pars in suas naturas redeat atque proprio fonti restituatur. Est enim materia subiectum simplex et receptaculum, in quo conservantur et permanent quaecunque rei conveniunt ad actionem

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    13 maggio 1599. [227] R odolfo Silvestri, f. 577

    autem non concurrit, propter quod passivum tantum principium est, non etiam activum, cum formam non habeat tamquam partem essentialem sui, cum sit omnino simplex et incomposita, tametsi cum forma annum tertium constituat cuius pars existit. At, recedente forma a qua et esse desumit atque ab eadem conservatur inconcreti, necessarium est, ut corrumpatur, partesque illius divellantur atque ab invicem separentur, ut quaelibet suo, unde digressa est, restituatur principio, et pars terrea terrae, aerea aëri, aquea aquae. Cum enim moritur homo, quae materia erat hominis, iam esse incipit materia cadaveris foedissima, deinde cadaver ipsum in cinerem et pulverem dispergi necesse est, ut, facta veluti reciprocatione, in suas quaeque, unde prodiere, naturas redeant. At si contingat quod partes istae unitae permaneant, ac si forma prima praeditae essent utique id non naturale erit, sed quid divinum et supra naturam, ut, in casu de quo agitur, contigisse ex praemissis, et, ut nos vidimus, et palpavimus, clare deprehenditur. Ergo, quod corpus ita integrum, iam per quatuor fere integros annos, absque ullo humano artificio, imo ea concurrere, qtiae potius illius omnimodam dissolutio­ nem ac corruptionem adiuvare poterant, non humanum, non naturale (ut mea quidem fert sententia) id censendum, sed opus divinum et caelitus infusum ad omnipotentis Dei gloriam referendum, qui, sicuti, ex divina potentia, de nihilo fecit omnia, ita finitam potentiam, et cor­ ruptibile corpus incorruptum usque adhuc reddiderit ac conservaverit, dicente s. Gregorio: corrumpi necesse est quod palpatur, et palpari non potest, quod non corrumpitur. Illud enim solum decuit Redemptori nostro, qui et incorruptibile, post sanctissimam resurrectionem suam, et palpabile corpus exhibuit, ut ostenderet et eiusdem naturae et alterius gloriae sanctissimum Corpus suum esse. Praeterea, quod corpus istud usque adhuc incorruptum sit et dicatur, ex hoc maxime probatur, quo­ niam, quae corrumpuntur, in aliud corrumpuntur necesse est rursus fieri generationem perfectum quidem, cum quod corrumpit perfectius est eo quod corrumpitur imperfectum cum contrarium contigerit ergo si corruptum iam ex eo aliquid genitum foret, dicente Aristotile 8° Phisicorum primo, corruptionem unius esse alterius generationem, at cum generatio sit quae rem secundum formam substantialem novam consti­ tuit, nullo subiecto sensibili eodem permanente completo ante, et post, ut, cum ex aqua fit aër, nulla completa res eadem manet ante et post, sed, per generationem, nova res, et nova acquiritur substantia, scilicet aër. Sic, si cadaver beati Philippi iam corruptum esset, ex eo aliquid de novo, procul dubio, generatum foret, quemadmodum distans esset, ac differens a figura et statura cadaveris, ut vermes, dicente illo expirant cadavera vermes ; vel aliquid aliud simile, quod ne vestigium visum est, nec adfuit imo cadaver unitum, nec grave olens: graveolen­ tia enim, ut testatur Ippocrates primo Pronosticorum, manifestum est putredinis indicium. Ulterius colligitur ex Ippocrate, libro de aëre, aquis et locis, pag. X I, quod habitus bifariam corrumpitur, et ad cal­ lidum et siccum, et fiunt arquati, et ad frigidum et humidum, et fiunt cacechiri et est deterior corruptio, ac pessima est, cum utroque modo afficiuntur, et est habitus mortuorum. Habent nam ferme omnes colo­ rem illum flavum, et carnem humidam, et corpus inflatum, maxime ventrem, et, temporis progressu, adaucta putredine, totum in vermes,

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    13 maggio 1599. [227] R odolfo Silvestri, f. 577

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    et excellentem vertitur corruptionem, ut partes omnes similares ad suum principium tendant. Et, quamvis, mortuo animali, nullum ele­ mentum, nulla pars, quae substantia sit, pereat, sed omnia ad suum fontem redeant, dissolvitur tamen homo, et partes illas, dum fontibus suis permiscentur, evanescunt in auras, neque aliquid superesse vide­ tur. Item, si humanae naturae conditionem consideremus, idque prae­ cipue, quod uniuscuiusque hominis corpus, quantumvis formosum, et per aetatem vel sexum commendetur, totum odiosum esse subente nam foedum, et invisum. Et quilibet sarcinam magnam stercoris atque ver­ mium secum defert, quanto magis, dissoluto per obitum temperamento, ex quo admirabiles illae facultates perveniunt. Tunc enim partes, quae potestate insunt, ut ad se redeant, et propriis elementis, ac uni­ versitati restituantur, atque pristinas resumant vires, necesse est, ut magis corrumpantur, et in minimas partes deducantur, et, quanto magis elaboratae fiunt, in nihilum ferme evanescunt et, praesertim, cum, inter caetera animantia, homines sint tenuissimae substantiae, adipemque multum, et tenuem habeant, atque ob id corruptioni admo­ dum obnoxii. Exemplo desumpto a sepulchro ducis Alexandri Floren­ tiae, quod, cum ex candidissimo marmore crassoque constaret, pin­ guedine tamen cadaveris transeunte, fedatum est macula cum basis decidentibus in eam guttulis columnarum.1467 Alphonsi quoque Avali, quamquam medicamentis plurimis, tum sale ac sabulo siccatum esset cadaver, pinguedo, transneans plumbum, in subiectas e loculo petras decidens, eas fedavit.1468 Quanto magis ergo pati debebat cadaver

    1467 Alessandro de’ Medici duca di Firenze, assassinato la notte del 5 genn. 1537, fu rinchiuso nel sepolcro scolpito da Michelangelo, nelle Sacrestie di S . Lorenzo, per Lorenzo duca di Urbino, presunto padre di lui. Alessandro era « molto gagliardo », secondo Bernardo Segni, Gaetano Piebaccini, La stirpe

    de’ Medici di Cafaggiolo; saggio di ricerche sulla trasmissione ereditaria dei caratteri biologici, v. I. Firenze, Vallecchi [1924], pp. 397-412. Nella ricogni­

    zione dei resti cadaverici fatta nel secolo passato, lo scheletro d ’Alessandro fu rinvenuto nel punto corrispondente alla macchia di grasso, che appare nella faccia esterna del piano anteriore del sarcofago. Il fatto fu notato da uno dei medici presenti, A . F obesi, La tomba di Lorenzo e d’Alessandro de’ Medici aperta il di 1« di marzo 1875. Firenze, Tipografia del Vocabolario, 1875, p. 5. 1468 Si tratta, probabilmente, di Alfonso d ’Avalos, marchese del Vasto, dal 1538 governatore di Milano, morto il 31 mar. 1546, a Vigevano, E milio Motta, Morti in Milano dal U52 al 1552 (spoglio dal Necrologio milanese), in Archivio storico lombardo, ser. 2.a, v. V i l i , a. X V III, 1891, pp. 283-84. A Vigevano volle lasciare parte del corpo : « viscera cum aliis intestinis », dice un cronista; cer­ vello e cuore, indica l ’iscrizione « immurata nella cattedrale dietro la sedia episcopale alla destra dell’ altare maggiore », A ttilio B utti, Vita e scritti di Gaudenzio Merula, in Archivio storico lombardo, ser. 3“·, v. X II, a. X X V I, 1899, pp. 152-54. Dopo esequie celebrate nel luogo di morte, i resti vennero trasportati a Milano, dove si svolsero i solenni funerali il 12 aprile, nel duomo. Nel testa­ mento aveva espresso il desiderio di essere collocato accanto al cugino. Fran­ cesco Ferdinando d’Avalos marchese di Pescara, F. F iobentino, Donna Maria 4’Aragona marchesa del Vasto, in Nuova antologia, anno X IX , 2.& ser., v. 43 (della raccolta v. 73), 15 genn. 1884, p. 227. Il marchese di Pescara, morto, com’è noto, a Milano, nel 1525, era stato « non molto da poi » trasportato a Napoli ; la cassa venne allogata sotto un baldacchino presso l’ altare maggiore della chiesa di S. Domenico Maggiore, e nel 1568 trasferita nella Sacrestia; il cadavere doveva essere posto in un sepolcro di marmo, che più non si fece, R affaele Mabia V ali.e, O. P., e B enedetto Minichini, Descrizione storica, artistica, let-

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    21 giugno 1599. [228] Girolamo Beier. ff. 577-578

    beati Philippi, in capsa lignea abstrusum, et loco humido, quod, quamvis corruptum quoquo modo dicatur quantus anima separata est a corpore, ut testatur Aristoteles 4 Phisicorum 17 nec non ex p° Caeli 121 inquit, quod generabile et corruptibile in hoc conveniunt, qui in aliquo tempore non sunt, et quod est huiusmodi habet potentiam fini­ tam, ut corrumpatur, incorruptum tamen est, et dicitur nunc, quia nec faetens, nec in partes dissolutum, sed integrum, solidum, et cutis colore naturali praeditum, ut superius declaravimus. Ideo credendum maximam habere communicationem cum divinis, et, ob id, usque adhuc corrutioni haud obnoxium. Opus hoc sane attente considerantibus admi­ rabile, usque dum ipse iubeat, cuius verbo primum instituta sunt omnia, qui, ut unicuique ortus et vita est, et conservationis auctor, etenim cunctorum, quae rerum natura complectitur, conservator est, ut eorun­ dem principium, et medium, et finem tenet, quod et Plato in Timeo expresse innuit, dum dixit frustra profecto quidquam conderet, quod non posset idem conservare. U t ergo concludamus, divinum hoc esse dicimus, quod neque omnibus hominibus communicatur, sed solum sapientibus et bonis, et iis qui recte vivunt et optima alios facere docent, quibus a Deo datum est, ut humilitatem et stultitiam nostram et vitae calamitatem agnoscant, et qui omnes terrenas divitias parvifaciunt, tamquam parentes cupiditatis et infidelitatis, et omnium malo­ rum. Haec ergo pinguiori Minerva descripta, et tamquam verisimilia proposita sint donec, a viris doctioribus et solertioribus, aliquid forsitam fuerit repertum, quod magis verum indicari possit, illius sententiae non immemores, quod nullus unquam repertus est, qui, cum sit homo, ali­ quando non erret.

    D IE L U N A E 21» M ENSIS IU N II 1599

    [228] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., admodum rev.dus d.nus frater Hieronymus Bejer , 1*69 filius q. d.ni [f. 578] Melchioris

    teraria della chiesa, del convento e de’ religiosi illustri di 8. Domenico Maggiore di Napoli dal 1216 al 1854■ Napoli, Stamperìa del Vaglio, 1854, pp. 243-245. Del luogo dove siano state collocate per ultimo le spoglie di Alfonso marchese del Vasto non si ha sicura notizia; ma si può presumere che si trovino in S. Do­ menico Maggiore di Napoli (forse nella cassa sotto a quella del marchese di Pescara; cf. op. cit., p. 247, dove soltanto per ipotesi si asserisce che la seconda cassa contenga, invece, i resti di Erancesco Ferrante d ’Avalos marchese del Vasto, figlio d’Alfonso, morto nel 1571). Altri fecero Alfonso sepolto in Milano o nella chiesa di Montoliveto di Napoli. In qualunque maniera, se il Silvestri si riferisce effettivamente a lui, la realistica descrizione indurrebbe a pensare che il corpo fosse stato depositato in un cassone di piombo simile a quello usato per il marchese di Pescara. Quanto alla « pinguedo » rilevata dal teste, si trova solo che Alfonso fu lodato per « bellezza di corpo » ; la quale potrebbe bene includere, nel concetto del tempo, anche la pienezza delle forme, Paolo Giovio, Le vite del Gran Capitano

    e del Marchese di Pescara, volgarizzate da

    L udovico Domenichi, a Costantino Panigada. Bari, Laterza, 1931 (« Scrittori d ’ Italia ») p. 147.

    cura dì

    1469 II teste si potrebbe presumere nato in Roma da famiglia originaria spagnola. 11 Gallonio, Vita lat., p. 141, dà la forma B eier; il B acci, 1. I l i , c. 8, n. 15 e 1. IV , c. 5, n. 6 , quella, forse più corretta, di Beger. D i altro con lo stesso nome e patronimico si trova il necrologio, nel Galletti, da libri di

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    21 giugno 1599. [228] Girolamo Beier. f. 578

    233

    Bejer et d.nae Leonorae Avilae coniugum, romanus, Ordinis Praedi­ catorum sacerdos et praedicator, aetatis suae annorum quadraginta in circa, qui, medio iu/ramento, tactis etc., ad opportunas inter­ rogationes, dixit: Ho cognosciuto il rev.do p. Filippo Nerio, dopoi che mi posso recordare, et in S. Hieronimo che si faceva l ’oratorio et io di continuo ci andavo, che me ci conduceva il mio pedante, un spagnolo sacerdote, che non mi ricordo del nome, et, alle volte, me ci conduceva il s.r Diego Bravo *1470 et mons. Bejel,1471 mio s.r zio. Et io l’ ho tenuto per un santo homo, et me reputavo beato, quando io li potevo basciar le mani, et mi son confessato più volte da lui, mentre che io ero putto. E t poi doventai grande, et mi disviai, et, essendo vagato licentiosamente, da cinque o sei anni, un giorno, alli 18 di ottobre del ’76, il giorno di s. Luca, nanti vespero, fui tocco da un spirito buono de farme religioso de s. Domenico; et, havendo inteso che un fra Pietro Martire era mastro de novitii, andai da detto p. fra Pietro Martire, quale era da Collescipoli,1472 vicino a Narni, et lo trovai alla porta della sacrestia, che voleva andare a un morto. A l quale io domandai l ’habito, et lui mi disse, quanto tempo era, che ero stato inspirato di questo bono animo ; et io li disse, che la mattina istessa mi era venuto questo bon animo, ancorché, per prima, ne havesse havuto alcuna inspiratione, ma non tanta. E t il detto padre mi disse, che andassi dal p. Filippo a S. Hie­ ronimo, dicendomi, se io lo cognoscevo ; et io li disse de sì, che lo cognosceva per li anni avanti. E t mi disse, soggiongendo, il detto fra Pietro : « andate dal detto p. Filippo, et, se lui vi conseglia, che vi entrate, et che pigliate l’habito, fatelo; et non fate, se non quel che dice lu i; e se ve lo disconseglia, non lo fate ». E t io vi andai, immediatamente, con passo veloce, dal detto p. Filippo, ancorché vi andasse contra mia voglia, per esser stato tanto tempo disviato et non comparsoli avanti: et questo era quel che mi dava fastidio. Ma vi andai, come ho detto, senza mettervi intervallo di tempo, et, arrivato a S. Hieronimo, trovai il p. Filippo, tra la sacristia e la chiesa, in un andito, doppo la chiesa, dove si saliva su le stantie, per andare all’oratorio antico,1473 et il

    S. Maria della Pace : « 1610. 2 nov. f d. Hieronymus Beger q.m d. Melchioris Beger Mspani Giennen. dipe., rom.us, In domo conductitia par. Sancti Pantaleonis martyris ad Maximos, ann. ciré. 45. L V », cod. Vat. lat. 7875, f. 124; necrologio della vedova, cod. V at. lat. 7878, f. 40. Beger, Begier compariscono ancora, in numero di una diecina, nel Galletti. Una sepoltura di famiglia fu in S. Maria della Pace, F orcella, v . V , p. 501, n. 1322. Questo teste depose anche al terzo processo, il 30 lu. 1610. 1470 Spagnolo, dal cognome, pare anche costui, che non si sa per altro chi fosse. Bravo, del Bravo sono registrati nel Galletti. Una Luchina Bravi, ma questa di Parma, testò nel 1568 in favore di F ., L anciani, v . IV , p. 71. 7474 Un Iohannes Beiel, o Besel, era nel 1589 abbreviatore « d e parco maiori », e tra i referendari delle due Segnature, da Sisto V a Clemente V i l i , K atterbach, pp. 179, 194, 203, 211; ma permane anche qui incertezza sulla forma esatta del cognome. 7472 Pietro Martire Saracini; sul quale si veda la nota 648. 7473 Sopra una navata di S. Girolamo della Carità, ff. 1314; ma la topo­ grafia cinquecentesca, con il rifacimento della chiesa e il diverso orientamento dato, è stata alterata.

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    234

    21 giugno 1599. [228] Girolamo Beier. ff. 578-579

    padre stava raggionando con un giovane. Et io entrai dalla porta della casa, et, vedendomi il p. Filippo, quale, come ho detto, stava raggio­ nando con un giovane, che non lo cognosceva, quel giovane, subito che Ί padre mi vidde, mi disse, con un viso allegro : « fermateve, giovane, che vi ho da parlare ». Et io restai attonito, udendo, che mi voleva parlare, dubitando di qualche correttione, per esser stato tanto tempo, che non l ’haveva visto, et così mi fermai, stando intrepido, che mi atterrì. E t, spedito quanto prima quel giovane, il detto p. Filippo venne alla volta mia, pigliandomi per li capelli della testa dinanzi, dicendomi : « o mal figliolo, io so quel che tu vuoi. Te manda qui fra Pietro Martire della Minerva, mastro de novitii, perchè mi adimandi, se è bene che tu ti faccia frate. V a ’ , fèllo, et non ci pensare altro, che è bona inspiratione; et ringratia Dio, che t ’ha preso per questa via ». 10 restai attonito, for di me, et non li disse altro, che ero fuora di me, perchè mi maravigliava et stupiva, che Ί padre me dicesse, che fra Pie­ tro mi havesse mandato lì, essendo che fra Pietro, nè verun altro li haveva potuto significare cosa alcuna del mio proposito, essendo an­ dato, come ho detto, al morto, et io, subito, senza intermissione, anda­ to da esso p. Filippo. Anzi, quando io tornai alla Minerva, trovai [f. 579] il detto fra Pietro, che ritornava, con li novitii, dal morto. Mi disse il detto p. Filippo molte altre parole essortatorie, de quali non me ricordo; nè meno, per esser così astratto in quello atto, non mi venne mai in fantasia di quello mi dicesse, se non quanto ho detto, che stavo fuora di me, et non sapevo quel che me dire, nè quel che Ί padre mi dicesse, se non quanto ho detto. Et tengo, che detto padre fusse insforzato dal Spirito Santo, « et intueretur secreta cordis » .1474 Et, partitomi dal padre, subito andai dal p. fra Pietro Martire, quale lo trovai, come ho detto, che tornava dal morto, et, narrandoli il tutto, li dissi : « mi è intervenuto come alla Samaritana, che ho trovato un homo, che mi ha revelato il cor mio ». Et lui mi disse: « sapevo ben chi era: però vi ho mandato da lui ». E t mi fece raccontare il fatto, come era passato; et io li raccontai il fatto, come era passato, che Ί padre, subito che mi vidde, mi disse : « fermatevi, che vi ho da parlare » ; che, nel mio arrivo al detto padre, stava raggionando con un giovane, et, havendo ragionato con il detto giovane, mi venne a trovare et mi pigliò per li capelli, dicendomi : « o mal figliuolo, io so perchè sete venuto : vi manda il fra Pietro Martire della Minerva, mastro de novitii, acciò vi dica, se è ben, che voi vi fate frate. Andate, fatevi, che è buona inspiratione, et non ci pensate più, et ringratiate Dio, che vi ha preso per questa via », et altre o simili parole essortato­ rie, delle quali non me ne sono mai ricordato, per esser turbato e fuor di me, come ho detto. Il p. fra Pietro mi abbracciò, et dimostrò una allegrezza grande, dicendomi: « io vi agiutarò », come fece, che, alli 11 di novembre, io presi l ’habito, il giorno di s. Martino.1475 Soggiongendo il giorno della vigilia de Tutti li Santi, essendo io stato alle

    1474 Pare adattamento di espressioni scritturali : « . . . et hominum corda ìntuentes in absconditas partes », Liber Ecclesiastici, X X III, 28 ; « Deus autem intuetur cor », Regum primus, X V I, 7; ecc.

    1475

    II fatto è riportato dal Gallonio, Vita lat., pp. 141-42.

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    24 agosto 1599. [229] Angelo V ittori, ff. 579-580

    235

    Sette Chiese dentro di Roma (che all’hora era suspetto le chiese di fuori) 1476 et vi andai scalzo, me si raffreddò la voglia de farme frate. E t, recordatomi delle parole dettomi dal p. Filippo, sequitai nanti, con maggior fervore, et ottenni l’habito, et, il giorno di s. Martino, con Passistentia et aggiuto del detto p. Filippo, et il Baronio, et Tarusio, hora cardinali, et il p. Soto, et altri dell’ Oratorio, fui vestito dal p. fra Antonino Brancuto,1477 provinciale romano, su l ’altare maggiore della Minerva, con gran concorso di popolo. La qual cosa mi ha fatto et fa viver lietamente nella religione, parendomi di vivere sotto l ’ ombra di tanto padre santo, et di non poter perire. E t di questo ne ho parlato con più persone, in diversi luochi, et sempre l’ho honorato et reverito come santo, et spero di vederlo canonizare. Anzi, in tutte le mie prediche, ho parlato del detto padre, come de un santo. Anzi, il giorno della morte, io disse, che non bisognava pregare per lui, come morto, che era in Paradiso, et che le Messe, che si dicevano « pro defunctis », sarebbono giovate ad altri, che Itti non ne haveva bissogno. Et finalmente, con quante persone ho parlato di detto padre, tutte mi han detto, che l ’hanno tenuto et tengono per santo. Et io dico che « fuit vir simplex, timens Deum, in humilitate magnus, et in corpore Angelus » 1478 et che la città di Roma non ha avuto, a tempo suo, meglio. Et nella nostra religione ne sono entrati molti, per consiglio et opera sua, che son tutti riusciti persone segnalate in lettere et in bontà, da me in poi, che non vaglio niente, se non quanto porto questo habito, per meriti suoi.

    D IB M A R TIS 24» AU G U ST I 1599

    [229] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., [f. 580] admodum ill.is d.nu8 Angelus Victorius , 1479 balneoregiensis, phisicus, alias in prae­

    senti negotio examinatus, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit, ut sequitur, ad opportunas interrogationes: Io mi sono confessato et communicato il giorno dell’ Assuntione della Madonna, et mi confessai domenica passata, et ogni domenica mi con­ fesso dal p. Angelo, nella chiesa della Vallicella. E t son medico della casa di S. Maria in Vallicella, da quatordici o quindici anni in qua, et

    1476 L ’ accenno può riferirsi ai pericoli del persistente brigantaggio, che Gregorio X I I I si adoperò a reprimere; o piuttosto alle misure prese nei fine di preservare Roma dal contagio della peste, che negli anni 1575, 1576, e 1579 a f­ flisse molti luoghi d ’ Italia, P astor, v . IX , pp. 771-82, 785. Nell’ estate 1576 si regi­ strano vari provvedimenti del genere, Regesti di bandi editti notificazioni e prov­ vedimenti diversi relativi alla città di Roma ed allo Stato pontificio, v. I , cit., pp. 112-13, nn. 895, 896, 897, 899. 1477 Antonino Brancuti, perugino, già priore dei conventi di Siena e di Foligno, fu eletto il 10 nov. 1573 provinciale romano, rimanendo fino a ll’aprile 1577 nell’ufficio; e a questo fu rieletto nell’ aprile 1586 e nell’ aprile 1595. Uomo di governo, elogiato anche per dottrina e quale « intendente delle fabbriche », morì a Perugia il 22 ott. 1605, M asetti, Monumenta et antiquitates veteris disci­ plinae ordinis Praedicatorum, v. I I , pp. 67-69, 72, 78. 1478 Si tratta, come pare, di citazione contesta; le due prime espressioni sono scritturali, Job, I , 1, 8 ; II, 3 ecc. 1479 Seconda deposizione di Angelo Vittori, già comparso il 4 ott. 1595 (40).

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    236

    24 agosto 1599. [229] Angelo V ittori, f. 580

    mi sono essaminato altre volte, in questo negotio del beato p. Filippo, et hora mi occorre di dire: Che, una mattina, fra le altre, che soleva andar spesso dal detto beato p. Filippo, et ero io molto intrinseco suo et, come ho detto, una mattina, lo trovai, che leggeva la vita de Santi Padri.1480 Et, arrivato io lì, mi disse il padre. « vedi quello che io leggo? questo è libro da vechii pari miei. Questo, de chi si parla qui, ha lasciato il mondo, la robba et ciò che haveva, per servire a Dio, ma non basta ». Perchè legessemo più oltre (qual luogo si fosse, o de che santo padre, io non me ne ricordo : potrebbe essere che me l ’ havesse detto, ma non me ne recordo) sogionse il padre : « quando io me partii da Fiorenza, lassai una gran parte della mia robba alla mia sorella, 1481 et, una parte, che ne portai, la detti a questa chiesa. Con tutto ciò, a me non me sono mai mancati denari, ma non l ’ho stimati ». Di più, mi disse, che pensava, che tutti li homini fossero meglio di lui, et che lo credeva di certo, e che voleva arrivare ad esser disprezzato per Dio. Et soggionse, con un so­ spiro et lacrimando : « che diresti, Angelo, se un giorno mi vedessi il boia di dietro, che mi frustasse, et voi, et li altri, direste: “ o, questo p. Filippetto, quanto pareva bono ” » et piangeva dirottamente et diceva che ci voleva arrivare. Sette over otto mesi in circa (più presto più che manco) doppo la morte del beato p. Filippo, venendo in mente al s.r card. Cusano di voler veder li interiori del p. Filippo, quali stavano in doi vasi di terra, sotto terra, coperti, li fece portare in sacrestia, et li fece aprire. Quali non puzzavano niente, che tutti quelli che erano presenti (che fu il s.r cardinale sopradetto, il p. Antonio et il p. Germa­ nico : et delli altri non mi ricordo) pensando, che quelli interiori doves­ sero puzzare, come è solito, ci eramo armati de profumi, et non ci bisognò, perchè erano senza fetore et molto asciutti, contra l’ uso ordi­ nario de simili interiori. E t il s.r cardinale fece far gran diligentia di ritrovare il core del detto p. Filippo, et fu fatta essattisima diligentia di ritrovarlo, et non fu trovato. Il quale, come fu detto, lì ci fu posto, quando fu sparato, con li altri interiori, et non fu tolto da persona alcuna ; et si affirmava da tutti, che stavano lì presenti, che, fra li altri interiori, ci era stato messo il core ; et li vasi dove forno posti li inte­ riori non erano stati tocchi ; et tutti restorno maravigliati che il detto core non si trovasse, con la diligentia che si fece ; affermando tutti, che vi era stato posto, come è detto ; 1482 et fu discorso de molte cose, de quali non mi ricordo.

    1480 N ell’elenco dei libri di F ., incluso nel più volte citato « Inventarium bonorum », si registrarono le opere di Cassiano e di Palladio, ff. 11, 12, 14 v, 17. 1481 La sorella Elisabetta, nella sua deposizione del 12 lu. 1596 (X IX , extra Urbem) omette la notizia che F ., al suo partire da Firenze, lasciasse a lei « robba » ; ma ricorda com’egli non mandasse a chieder niente, e la storia di « certe camicie » inviategli, R istori e F araoni, Notizie e documenti inediti sulla vita dì s. F. N., p. 130. F. rinunziò all’eredità paterna, nel 1560, come ricordato nella nota 91, Si veda anche a f. 428, con la nota 1154. 1482 xi fatto, osservato nel gennaio 1596, è stato richiamato anche poco più sopra, alla nota 1465.

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    8 gennaio 1600. [230] Monte Zazzara. ff. 580-581

    237

    D IB S A B B A T I 8» IA N U A R II 1600

    [230] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., d.nus Montes Zazzara, 1483

    ftorentinus, alias examinatus in praesenti processu, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit: Io mi sono essaminato altre volte, in questo negotio del padre santo Filippo, et mi riferisco al detto essamine, et lo ratifico in tutto e per tutto, et, di novo, [f. 581] mi occorre che, del mese di maggio de l ’anno 1598, nel tempo che si fa la festa del beato padre, retrovandomi io nella camera del santo padre, dove hora vi è l ’altare, che si celebra Messa a suo honore, dove vi era molta gente, tra quali vi erano doi padri cappuccini (uno si chiamava fra Salvatore,1484 et, al secolo, Fer­ rante, che io l ’ho cognosciuto nel secolo : quale è morto questo autunno passato ; et dell’altro non so il nome) questo fra Salvatore raccontò, che, ritrovandosi in camera del p. Filippo, al tempo di Pavolo Quarto, ven­ nero doi giovani, servitori, uno in casa del card. Santa Fiore, l ’altro in casa del card. Montepulciano, quali erano suoi figlioli spirituali : quello di Santa Fiora era italiano, l ’altro francese. Et il p. Filippo, vedendo questi doi giovani, voltatosi ad alcuni, che erano lì in sua camera, tra quali ci era il detto fra Salvatore, et li disse : « qual credete voi di questi doi, che andarà nanzi nel servitio de Iddio? ». Resposero tutti, che l’ita­ liano sarebbe andato nanti, et il p. Filippo disse di no, ma che il fran­ cese sarebbe perseverato più. Et che, de lì a poco tempo, a quello italiano li venne voglia di andare alla guerra, et lo disse al p. Filippo, che voleva andare alla guerra, et il padre li disse, che non andasse, perchè, se lui andava, o che sarebbe preso da turchi, o fondato, over focato in mare ; et che Ί giovane italiano non volse credere al padre, ma volse andare a Napoli, et, per la strada, hebbero la caccia da turchi, et si buttorno in acqua. Tra quali ci fu questo giovane, il quale, per non saper notare, se affocava, et, ricordatosi di quello, che li haveva detto il santo p. Filippo, si comenciò a raccommandare a lui, et lo pregava, che lo aggiutasse et scampasse da quel pericolo. Et li apparve quel santo padre, et lo prese per li capelli, dicendoli : « non dubitare », et lo condusse a salvamento, tirandolo fuora del mare sano et salvo. E t questo frate Salvatore cap­ puccino narrò, come ho detto, tutto questo fatto, et che l’haveva inteso dal medemo giovane italiano il fatto della caccia havuta da turchi, il pericolo dell’affocamento nel mare, et l’aggiuto havuto dal santo padre, nel modo che vi ho detto di sopra. E t che si era trovato presente a quello, che li haveva predetto il detto santo padre, quando si partì de Roma, come ho detto di sopra. Et questo fra Salvatore raccontò questo fatto, quando si accorse de una pittura, nella camera del santo padre, dove si dice hora Messa, nella quale vi è depinto questo miracolo come ho detto. Et che Ί p. Salvatore cappucino diceva haver parlato con il detto gio­ vane italiano, qui in Roma, doppo l’esser stato liberato dal pericolo, come s’è detto di sopra, mediante lo soccorso et aggiuto del santo

    1483 Quarta deposizione di Monte Zazzara, comparso la prima volta il 9 ag. 1595 (6). 1484 Salvatore da San Severino, comparso come teste il 4 genn. 1597 (188).

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    238

    21 gennaio 1600. [231] Francesco Odescalchi. f. 582

    p. Filippo. Et, mentre raccontò questo il sopradetto fra Salvatore cappuccino, vi era molta gente, ma io non so chi si fosse, perchè non ci fece fantasia chi ce fosse, per il gusto che havevo di sentire questo miracolo. Et ho visto che, tuttavia, in quel luogo del santo padre cresce la devotione. Et il Natale passato, perchè non si poteva praticare in chiesa, per Pinondatione del fiume,1485 mons. rev.mo Pavolo de Curte, vescovo di Ravello, vigerente dell’ill.mo s.r card. Rusticuccio, vicario di sua santità, ordinò si facesse un altare sopra il sepolcro del corpo del santo padre, come fu fatto ; e vi forno celebrate, dette feste di Natale, più di cinquanta Messe, et [f. 582] va seguitando. Et il dì della festa del santo padre, che fu questo maggio passato, monsignore sopradetto vi­ cegerente, pontificalmente cantò le vespere et Messe solenni, con grandis­ simo concorso di gente et vi erano da cinque et sei cardinali, con molti vescovi et prelati, et tuttavia cresce la devotione alla detta sepoltura del detto santo p. Filippo.

    D IE V E N E R IS 21“ IA N U A R II 1600

    [231] Examinatus fuit, Bomae, in officio etc., admodum rev.dus d.nus

    Franciscus Odescalcus,1486 filius q. Ioannis Petri Odescalchi et Liviae Vicedominae coniugum, comensis, aetatis annorum viginti octo in circa, commorans in U rie, in Regione Parionis, et domo ill.is et rev.mi p. d.ni Germonii vicarii basilicae Sanctae Mariae Maioris pro ill.mo et rev.mo d.no cardinali Pinello, eiusdem basilicae archi· presbytero, qui, medio iuramento, tactis Scripturis, etc., ad oppor­ tunas interrogationes, dixit: Sono quattordici mesi che io sono in Roma et sempre in casa de mons. Germonio1487 et, ad eandem interrogationem, dixit: Io ho cognosciuto il p. beato Filippo Nerio, qui in Roma, sono circa

    1485 « Natale passato » si riferisce, ancora, ai 1598. Nel Diario di Francesco Zazzara, cìt. nella nota 1422, Archivio dell’ Oratorio di Roma, cartella A . I I I . 4, pp. 9-18, si legge appunto la descrizione delle cerimonie fatte in casa e alla tomba del santo, per l’inondazione, che impediva le funzioni in chiesa. Lo stra­ ripamento fu quello funesto e famoso del 23 die. 1598, al ritorno di Clemente V i l i da Ferrara : il maggiore delle piene finora conosciute, P astor, v . X I, pp. 615-18; B rioschi, Le inondazioni del Tevere in Roma, cit., p. 19. i48 6 Francesco Odescalchi, del ramo della storica famiglia comasca detto di Borgo Vico (diverso da quello del futuro b. Innocenzo X I) ebbe numerosi fratelli, tra i quali Giovanni Antonio, senatore di M ilano; ma il ramo stesso si era ridotto, intorno a questo tempo, in condizione economica precaria. Il teste, in data non indicata, diresse una supplica al re di Spagna, per ottenere un canonicato nella chiesa di S. Maria della Scala in Milano, qualificandosi dottore, G iu se p p e M ira , Vicende economiche di una famiglia italiana dal XIV al XVII secolo. Milano, Soc. ed. « V it a e pensiero», 1940 (Pubblicazioni dell’Università cattolica del S. Cuore. 3.a ser. : Scienze sociali, v. X X II), pp. 235-36. 1487 Anastasio Germonio, nativo del marchesato di Ceva in Piemonte, autore di opere canonistiche, H urter, Nomenclator Uterarius theologiae catholicae, t. I l i , cit., col. 878-79; fu referendario delle due Segnature sotto Clemente V i l i , K atterbach, p. 218; e vicario della basilica di S. Maria Maggiore, per il card. Pinelli, il 12 mag. 1597, D e A n gelis , Basilicae S. Mariae Maioris de TJrhe ... descriptio et delineatio, cit., p. 38. Nominato arcivescovo di Tarentaise (Moutiers, in Savoia) il 12 nov. 1607, mori a Madrid, il 4 ag. 1627.

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    21 gennaio 1600. [231] Francesco Odescalchi. ff. 582-583

    230

    otto anni, più presto più che manco, che all’ hora ancora io ero in Roma, et stavo in Borgo, con mio fratello Emilio Odescalco,1488 ed il detto p. Filippo stava qui alla Chiesa nova della Yallicella. Et mi ricordo, sin dall’hora, haver inteso, che si predicava di lui per homo santo, et inteso che predicava et haveva molta concorrentia. E t, nel venir, questa ultima volta, a Roma, che venni col p. Germanico Fidele, uno della Congregatione dell’Oratorio, da Bologna sino a Fiorenza, et io lo trovai per la strada, il detto p. Germanico, et, così, nel viaggio, raggionando de molte cose, come si sòl fare tra li viandanti, li domandai, in particolare, se il p. Filippo viveva. E t il detto p. Germanico mi disse, che era morto, e coll’opinione di molta santità et concorso di gente, et mi raccontò molti miracoli, che haveva fatti, e, particolarmente, del mira­ colo fatto in guarire la chiragra a nostro signore Clemente papa Ottavo, et che Ί detto p. Germanico andò con il p. Filippo dal papa, quando fece questo miracolo di guarire la chiragra a nostro signore, dicendo, che il papa haveva la chiragra nella mano, con grandissimo dolore, et, an­ dando il p. Filippo da lui, si fece dar la mano, et la cominciò a stropic­ ciare, et il papa ne haveva paura, et il padre disse, che non dubitasse, et, di lì a poco, il papa si sentì guarito senza dolore. Et, udito questo, io pigliai più devotione nel medemo padre et, venuto a Roma, andai a visitare la sua sepoltura, dove, vedendo molti miracoli fatti, mi con­ fermai nella sua santità del detto p. Filippo. Et, il mese passato di novembre, mi venne un dolore grandissimo di testa, con la fehre, e, ricor­ dandomi della santità del detto p. Filippo, feci voto di portare al suo sepolcro una testa d’argento. Et, quando io feci il voto, fu una mattina o doppo pranzo, che non mi ricordo bene, et credo certo fosse doppo pranzo, che, trovandomi, come ho detto, con grandissimo dolore di testa et febre, et nel letto, mi raccomandai al detto p. Filippo et promisi, che, se, la mattina seguente, non mi veniva febre et fosse cessato il dolore, sarebbe andato a visitare il suo sepolcro et portarli una testa de argento, come ho detto, [f. 583] Et, così, la mattina sequente, in quell’hora, che mi soleva venir la fehre, mi sentii pungere un poco la testa, come se fosse venuto il dolore, e, nell’hora che era solito venir l’accrescimento del dolore, cessò il dolore et non mi venne febre, et fui libero. E t stette in casa doi o tre giorni, senza febre et senza dolore et poi andai a visitare il sepolcro del padre santo Filippo et li portai una testa d’argento, per la gratia ricevuta, ringratiandolo dell’aggiuto havuto per le sue orationi, et per la gratia ricevuta mediante la persona di detto beato padre. E t, ne l ’intrare che io feci nel sepolcro, mi sentii tutto movere interioremente, in segno di devotione, et tengo esser stato liberato mediante il detto padre.

    1488 Emilio, che sposò Pacifica Rusca, scrisse alcuni assennati « r ic o r d i» per il figlio Giovanni Antonio; il quale doveva recarsi a Roma, per intraprendere una qualsiasi attività che gli permettesse di « aiutare la casa et sollevarla dalle oppressioni che si trova », Mira, Vicende economiche di una famiglia italiana dal XIV al XVII secolo, cit., p. 236 e n. 2. Emilio e altri cugini Odescalchi ven­ dettero, il 22 ag. 1609, a Mario Farnese un palazzo sito in Roma, ereditato dagli zìi Paolo e Girolamo, op. cit., pp. 253-54; si tratta del palazzo Odescalchi in via Giulia, poi Falconieri, dove abitò sulla fine del see. xvi il card. Paleotti, Orbaan, 27 n „ 105 e n. 2, 150.

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    240

    9 giugno 1600. [232] Michele Ruggì, ff. 583-584

    D IE V E N E R IS 9» M E N SIS IU N II 1600

    [232] Examinatus fuit, Romae, in officio d.ni Hieronymi Mazziotti etc.,

    d.nus Michael Rugius,1489 filius q. Hieronymi Rugii et d.nae Por­ tine Benesati, romanus, Regionis Parionis, Congregationis Oratorii Ecclesiae Sanctae Mariae in Vallicella de U rie, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, etc., respondit: Io ho trentasei anni, et molti anni sono stato alla Dogana di Ripa, et sono stato tredici anni finiti nella detta Congregatione dell’ Oratorio, qui alla chiesa di S. Maria in Vallicella, come laico, et ho cognosciuto il rev.do p. Filippo Neri, fiorentino, preposito generale della detta Con­ gregatione, da ventitré o ventiquatro anni, nella chiesa di S. Hieronimo prima, doppo nella Chiesa nova della Vallicella. E t la causa della cognitione è stata, che, alla Chiesa nova, io ci sonno andato et conver­ sato spesso, avanti che io fosse contraire della detta Congregatione, come ho detto. Il quale p. Filippo sempre l ’ ho cognosciuto per un gran servo de Dio et santo, et le attioni sue erano essemplarissime et io li ho parlato alcuna volta et quando io l ’ ho parlato, sempre ne ho cavato utile, et advertimenti buoni, et buoni ricordi. E t, un giorno, trovandomi io alla capella del detto padre, dove si celebra la Messa, circa un anno e mezzo o dua anni, dove vi erano doi cappuccini, uno si chiamava fra Salvatore quale è morto ; l ’altro, non so il nome ; et questo fra Sal­ vatore raccontava, guardando li miracoli fa tti del detto p. Filippo, depinti nella detta capella ; vidde, che, tra li altri, ve ne era uno, che stava in mare et si affocava, il quale era aggiutato dal p. Filippo, acciò non si affocasse. E t, vedendo questo miracolo, il detto fra Salvatore capucino disse, che lui haveva parlato allo istesso, che se affocava, et che li haveva raccontato il successo. Quale era che, stando, in mare, per affocare, si recordò del padre ; che già il detto padre l’ haveva azzennato già il detto affocamento per prima : e che Ί padre lo liberò ; et, se non era lui, se affocava ; et che il santo p. Filippo lo tirò per li capelli, et 10 condusse alla ripa del mare. Il detto p. fra Salvatore non mi ricordo, che nominasse il nome di quello che si affocava et fu liberato dal p. F i­ lippo, come ho detto ; nè manco quando, o di che tempo fu ; ma che era stato, mentre che il santo p. Filippo viveva, e che Ί p. Filippo era come padre spirituale di detto affocante ; et che per prima l ’haveva predetto, a quel tale che si affocava, il detto affocamento ; et detto affocante, tro­ vandosi nel caso, che l’ haveva predetto il santo p. Filippo, nell’atto di affocarse, si raccommandò al detto santo p. Filippo, come è detto, et che lui, visibilmente, [f. 584] vidde il santo padre, che lo pigliò per 11 capelli, et lo condusse al litto del mare, et lo salvò. E t tutto questo raccontò quel p. Salvatore capuccino, come ho detto, haver lo inteso da

    1489 Michele Ruggì, romano, ascritto alla congregazione in data imprecisata, fu sottoposto alla prima prova il 18 giu. 1595 e alla seconda il 10 mag. 1595, Calenzio, pp. 926-27, 933; ammesso come fratello laico, gli toccò una delle stanze già abitate da F ., e ne custodì la cappelletta fino al 1622. Depose anche nel terzo processo, il 7 sett. 1610, e morì nel 1637. Una notizia biografica se ne trova nelFA ringhi, cod. Vallicelliano O. 60, f. 279.

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    9 giugno 1600. [233] Giovanni Battista Boniperti. £. 584

    241

    quel medemo, che si affocava, nel tempo et luogo come di sopra. E t vi erano altre genti, lì, nella capella,1490 de quali non mi recordo, se non del fratte capuccino suo compagno, di detto fra Salvatore. E t si vedde, che Nostro Signore vole essaltare questo beato p. Filippo, per il con­ corso di gente, che concorrono ogni giorno alla sepoltura del santo padre, et tuttavia cresce ; et il giorno della festa di detto beato padre, che viene alli 26 di maggio, l’anno passato et questo, vi sono stati da sette o otto s.ri ill.m i cardinali, et altri s.ri arcivescovi, vescovi et altri prelati, et tanta gente, che non capivano in chiesa ; et il s.r ill.m o Baronio fece sermone, in laude del santo padre, et si sonno cantate le Messe et vespero, solennemente et pontificali, dal molto ill.e et rev.mo mons. Pavolo de Curte, vescovo già di Bavello, hora de Isernia, et vicegerente dell’ ill.m o s.r card. Rustieuccio, vicario di nostro signore.

    D IE E A D E M 9* M E N SIS IU N II 1600

    [233] Examinatus fuit, Romae, ubi supra, admodum rev.dus d.nus loan-

    nes Baptista Bonipertus, 1491 canonicus novariensis, filius q. d. Lanfrancii Boniperti, et q. d.nae Gatharinae Gathaneae, novariensium, coniugum, aetatis annorum quadraginta sex in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit: Io son prete sacerdote da l’anno 1579 in qua, et pigliai l ’ordine sacerdotale alli 5 del mese di luglio 1579, nella chiesa di S. Silvestro a Monte Cavallo \dal rev.mo vescovo Assafense,1492 suffraganeo del s.r card. Savello, a ll’ hora vicario di Gregorio Decimo terzo.

    1490 T ra altri, Monte Zazzara, che poco sopra ha riferito anch’egli il rac­ conto udito certo nella circostanza stessa, nel maggio 1598, f. 581. 1491 Giovanni Battista Boniperti appare nel 1578 tra le persone conviventi alla Vallicella, con la n ota: « Gio. Battista novarese, clerico, fa il corso della filosofia», Archivio Vaticano, cod. A .A . I. X V III, n. 6484. Ordinato prete, sostituì, con decreto della congregazione in data 4 ag. 1581, il Baronio, liberato « dai pesi della parrocchia », Calenzio, p. 144. Tornato nella sua diocesi, vi sostenne vari uffici, godendo la fiducia del vescovo Cesare Speciani, che gli legò in morte 200 ducati; fondò la « C a sa delle Vergini di s. Orsola », alla quale poi donò la berretta di F ., menzionata nella deposizione, f. 586. Autore di alcune operette devote, mori il 20 ott. 1610, e fu sepolto nella chiesa di S. Orsola, con iscrizione riprodotta da L azaro A gostino Cotta, Museo novarese ... diviso in quattro stanze con quattro indici. In Milano, per gli heredi Ghisolfi, 1701, pp. 156-57 ; qualche notizia aggiunta in Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia, v. I I , pt. I I I . Brescia, 1762, p. 1662. Il corpo fu successivamente trasportato nella cattedrale, a lato del sepolcro del vescovo Beseapè. Notizie biografiche raccolte dall’avv. Giovanni

    B attista F inazzi

    1886.

    ad illustrazione della Bibliografia novarese pubblicata nell’anno

    Novara, Tipografia novarese, 1890, pp. 19-20. 1492 Thomas Goldwell, vescovo di St. Asaph, eletto nel 1555 a questa sede inglese, ne fu l’ultimo investito. Durante il suo lungo esilio in Italia e dopo la chiusura del concilio di Trento, al quale prese parte negli anni 1561-1563, restò a Milano per qualche tempo come vicario generale di s. Carlo Borromeo; ma dimorò soprattutto a Roma, abitando nel convento dei teatini, a S. Silvestro al Quirinale. Pose un’iscrizione, nella chiesa di S. Gregorio, al connazionale Robert Peckham, morto il 13 sett. 1569, F orcella, v . I I , p. I l i , n. 319. Nel 1567 venne nominato vicario del cardinale arciprete di S. Giovanni in Laterano, e nel 1574 suffraganeo del vicario di Roma, card. Giacomo Savelli (non compare tuttavia 16

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    242

    9 giugno 1600. [283] Giovanni Battista Boniperti. ff. 584-585

    Del resto di quello mi domandate, io dico haver cognosciuto il beato Filippo Nerio, fiorentino, per m olti anni, qui in Borna, ove io venni, al fine dell’altro Anno Santo, et l’anno 1577, il mese di agosto, io entrai nella Congregatione delli pp. della V alliceli», et vi demorai continuamente, sino al settembre 1581, confessandome ancor io dal detto padre santo, al quale anco ho servito Messa, circa doi anni. E t, per questo, a quello che ho visto et sentito, tengo che detto padre godi hora la celeste gloria, in altissimo grado, essendo che, sino da puttino, comin­ ciò egli a servire D io, et ha sempre perseverato, come mi raccontò un m .s Ludovico vecchiotto piccolo fiorentino di casa Parisi, se ben mi ricordo, et di natione fiorentino, et era vecchio, et stava in detto Congregatione,1493 avanti io mi partisse per Novara. Ho anco inteso, dal suddetto beato padre, che, in sua gioventù, frequentava le Sette Chiese di Roma et faceva quaranta hore di oratione continova, senza cibarsi, nel tempo della Settimana S an ta: et questo l’ ho inteso, come ho detto, se ben mi ricordo, l’anno del 1579, nelle sue camere di S. Hieronimo. Dico, anco, che, per il tempo l ’ho praticato, l ’ ho visto homo di grandissima astinentia ; che, certo, la sua vita era un digiuno quotidiano, se bene, quando pigliava cibo in compagnia d’altri, si con­ formava con essi, per fuggire la singolarità. Io l ’ ho cognosciuto amantissimo della povertà, et, perciò, egli non voleva multiplicità de vesti ; et, una volta, nel tempo dell’ estate del 1579, se ben mi ricordo, essendomi fatto fare certe vesti, perchè pativo molto caldo, andando a sentire le lettioni delli padri del Giesù, detto beato padre mi riprese, dicendomi, che non mi conformavo con la povertà di Christo. N ell’oratione, poi, era unico, se bene in publico, per esser egli humilissimo, si asteneva di dimostrar di fuori quello che stava di dentro. I l p. m .s Giovanni Antonio Lucio, da Bagnarea, mi ha detto, che, essendo egli, una volta, in S. Pietro, inginochiato, con detto beato padre, davanti al Santissimo Sacramento, sopra una tavola longa, che [f. 585] era in terra, detto beato padre, per l ’impeto grande del spi­ rito che haveva, faceva ballar quella tavola, come se sopra di essa vi fossero stati li homini d ’arm e.1494 Io, una volta, stando in letto, havevo tanto dolor di testa, che non trovavo loco, et venne detto beato padre a vederme, e mi pose la sua mano sopra il fronte, et, con doi sospiri che fece, subito me si levò il dolore: et questo fu l ’ estate del ’ 78 over ’7 9 .1495 Isabella Baccioca,1496 novarese, mia cognata, la prima volta che restò gravida, si disperse d’ un figliolo di quattro mesi. Li miei di casa me lo

    nella lista del vlcegerentl e suffragane! data dal Ponzetti, Elenchus chronicus clt., pp. 49-50 n .). Morì il 3 apr. 1585, a ottantaquattro anni, e fu sepolto nel cimitero di S. Silvestro al Quirinale, Gillow ,

    vicariorum Urbis in spiritualibus,

    A literary and biographical history, or Bibliographical dictionary of the English catholics, cit., V. I I, pp. 513-22. 1493 Ludovico Parisi, fratello laico della congregazione, ricordato già nella nota 86. 1494 h fatto è stato già riferito, con più circostanze, da Giacomo Orescenzi, f. 310; cf. nota 925. 1495 ii risanamento è narrato dal Gallonio, Vita ital., pp. 150-51. 1496 i l Bacci, 1. V, c. 6, n. 1, riferisce questo fatto, usando per il cognome la grafia Baciocca.

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    9 giugno 1600. [233] Giovanni Battista Boniperti. f. 585

    243

    scrissero, et io la raccommandai a detto beato padre, quale mi d isse: « scriveli, che non voglio più che si disperda ». E t così è stato, poiché lei, doppo, ha partorito dodeci figlioli, senza disperdersi: et questo fu l ’ anno 1579. Mentre detto beato padre celebrava, portava seco a ll’ altare uno horologio da sole,1497 et le chiave de le sue stanze a S . Hieronimo, et faceva ogni cosa per distrahersi, tanta grande unione haveva egli con D io. E t, un Mercore Santo, a ll’altar maggiore di S. Hieronimo mentre, nella Messa, cominciò a dire il « Passio » , maneggiava hòra detto horo­ logio, hora quelle chiavi; et, con tutto ciò, non potè far tanto, che, quando fu a leggere la morte del Salvatore, mandò fuora un pianto dirotto, che non poteva trattenerse. U n ’ altra volta, uscendo l’ istesso beato padre dalla sacristia di S. Hieronimo, per andare a celebrare, si incontrò in m.s Antonio, detto il fornaro, homo di santa vita et di grande divotione, et li disse : « fornaro, fa ’ un poco oratione secondo la mia intentione », et il fornaro d isse: « farò anco la Communione ». A l che consentendo il padre, si fermò il fornaro alla sua Messa, et, mentre il beato padre disse Messa, non poteva contenersi dalli soliti salti, che faceva col corpo, per il grande affetto che haveva nel core. E t, quando fu a quelle croci, si fanno avanti che Ί sacerdote prenda l’ ostia in mano, per dir le parole della consecratione, pensava egli di essere a quelle croci, si fanno avanti si dica il « Pater Noster ». D el che subito avedendomi, mi accostai (che io lo servivo alla Messa) et li dissi : « qui, pridie quam pateretur » : si che il beato padre ritornò in sé et consecrò. Detto beato padre, al tempo del q. s.r card, di V e r­ celli,1498 titubare di San V ito, venne, anche egli, il giorno di s. V ito, l ’anno 1580, se ben mi ricordo, et desinò nel refettorio di Santa Pressede,1499 con detto s.r cardinale et molti padri dell’ Oratorio, quali ha-

    1497 Quadranti solari portatili sono noti fino dal medioevo; nel rinascimento, inventari principeschi ne menzionano d’orò, d ’argento, d’avorio, rivestiti di sm alti; erano talvolta custoditi in astucci figurati. Fino nel secolo x v i i gli oro­ logi da sole portatili servirono specialmente a regolare quelli meccanici da tasca, spesso mediocremente costruiti, A lphonse W ins , L’horloge à travers les âges. Paris, E. Champion; Mons, L . Dequesne, 1924, p. 21. 1498 Guido Luca Ferreri, vescovo di Yercelli, nunzio apostolico a Venezia, creato cardinale da Pio IV il 12 mar. 1565; ebbe il nuovo titolo (più tardi soppresso) di S. Eufemia. Morì il 16 mag. 1585. 1499 II monastero di S. Prassede fondato da Pasquale I , al principio del secolo IX, fu originalmente residenza di monaci greci, H uelsen , p. 423; nel x avanzato passò ai canonici di S. Maria Maggiore e un secolo più tardi stava sotto la diretta giurisdizione di un cardinale titolare, G u y F errari, O. S. B ., Early

    Roman monasteries; notes for the history of the monasteries and convents at Rome from the V through the X century. Città del Vaticano, P. Istituto di archeo­

    logia, cristiana, 1957 (« Studi di antichità cristiana », X X III) pp. 3-10. Il 30 giu. 1198, Innocenzo I I I concesse la chiesa con l’ annesso monastero ai monaci benedettini Vallombrosani, che ancora lo possiedono, P ietro F edele, Tabularium S. Praxedis [anni 987-1365), in Archivio della Società romana di storia patria, X X V II, 1904, pp. 27-78; X X V III, 1905, pp. 41-114; il documento cit., 79-81. Non è forse inutile ricordare che cardinale titolare dì S. Prassede era in questi anni Carlo Borromeo, legato da intime relazioni con l ’Oratorio. Nelle sue dimore romane, il santo arcivescovo di Milano usava appunto abitare nel palazzo del suo titolo, A ntonio S ala , Biografia di s. Carlo Borromeo, corredata di note e dis­ sertazioni illustrative dal sacerdote A ristide S ala . Milano, coi tipi arcivescovili, ditta Boniardi-Pagliani di E . Besozzi, 1858, pp. 57, 129-30.

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    244

    9 giugno 1600. [233] Giovanni Battista Boniperti. ff. 585-586

    vevano celebrato in S . V ito et, doppo la prima tavola, essendosi tutti retirati in una sala grande, ove ero anco io, detto beato padre propose un punto spirituale, facendo dire, ad alcuni di detti padri, il loro parere, sopra quel punto. A l fine, repigliando il beato padre le resposte date et volendo dichiarar meglio quel sugetto, quando cominciò a trattare della infinita charità, con la quale Dio ha patito per noi, restò tanto preso da suspiri et lacrime, che non potè più formar parole, se ben si sforzò de vincerse, di maniera, che detto s.r cardinale non volse più che seguitasse. L ’istesso beato padre mi fece esorcizare una vergine di sedici anni, spiritata, l’ istesso anno 1580, se ben mi ricordo, la quale alloggiava in casa de un gentilhomo, che io non saperia dir il nome, lontano più de un miglio dalla chiesa della V allicella.1500 E t, una sera, in camera mia, essendo salito sopra un tavolino, per attaccar chiodi et una cordarella per tener la lucerna, il tavolino si rivoltò, et io andai con la testa sino in terra, dicendo: « Jesus, Maria » , nè mi fece male alcuno. La mattina seguente, raccontai a detto gentilhomo questo suc­ cesso, et egli me disse : « maraviglia, che, hier sera, alla istessa hora, il demonio, in costei, disse : “ o, mi credevo di averlo ammazzato ” » , il che tutto attribuivo alle orationi del beato padre, poiché in me non [f. 586] vi era, nè vi è virtù alcuna. Ho inteso, anche, da’ padri del­ l ’ Oratorio, se ben, hora, non vi saperia dir il nome, che detto beato padre, con le sue orationi, aggiutò una signora de casa O rsina,1501 la quale era in parto et il figliolo non usciva come doveva. Havea detto beato padi*e la gratia chiamata da s. Pavolo « discretionem spirituum » et cognosceva l’ intrinseco della persona, meglio che non si faceva l ’ istessa persona. E gli haveva un suo figliolo spirituale, chiamato Ca­ millo, qual dava grandissima edificatione nel suo conversare. E t, essen­ do detto m .s Camillo lodato per homo molto virtuoso, il beato padre d isse: « t u non lo cognosci; egli è uno spirito d ia bo lico», et così si vedde poi in effetto, che, doppo pochi anni, detto m .s Camillo cascò in una eresia, la quale poi abiurò.1502 Conosceva, anco il detto beato padre li defetti de le persone, et, massime, in materia di carnalità, per esser stato egli honestissimo et castissimo. E t, una volta, mi occorse haver havuto una pollutione notturna, senza haverli dato causa, eccetto che penso, che Dio mi permettesse venir simii immunditia, per humi­ liare la mia superbia et complacentia. E t, avanti me reconciliasse, il beato padre mi seppe dire quello mi era occorso, essortandomi ad esser humile. E t così, anco, ho sentito, molte volte, dalli padri dell’ Oratorio, che detto beato padre sentiva gran puzza, avvicinandolisi qualche per­ sona carnale, come egli stesso diceva. Spesse volte, ho sentito gran sollevamento, nelle mie tentationi, mentre che detto beato padre mi po-

    1500 N oti risulta l’identità della « spiritata » nè del gentiluomo che l’ospi­ ta v a ; essa non era nota al B a c c i , 1. I l i , c. 10 , n. 10, che riferisce il fatto, dalla deposizione. 1501 Si potrebbe congetturare fosse Olimpia Orsini nei Cesi, che fu madre d i undici figli, primo dei quali Federico, il futuro fondatore dei Lincei; sulla devota gentildonna, la nota 820. A dimostrare la sua familiarità con l’ Oratorio, s ’aggiunga che il Gallonio le dedicò la sua Historia delle sante vergini romane. In Roma, presso Ascanio e Girolamo Donangeli, 1591. 1502 Camillo Severini, del quale alla nota 1266.

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    9 giugno 1600. [233J Giovanni Battista Boniperti. f. 586

    245

    neva la sua mano in capo. Della charità sua, poi, non occorre a dimo­ strarla con parole, poiché le opere sono tanto notorie. E gli era tanto dolce, che non poteva passare dove erano macelli, nè poteva vedere o f­ fendere uno animale. Sì che, se dimostrava egli tanto amore a creature irragionevoli, potiamo assicurarse, che facesse molto più verso le anime. Questo era il scopo suo principale, in governar la sua Congregatione, et, in vero, che, fra le altre virtù, io ho visto et provato tanta charità in detta Congregatione, quanta potessi mai vedere o desiderare. Detto beato padre, avanti mi partisse per Novara, mi diede una sua berretta ; et, essendo, l ’anno passato, in Novara, inferma di dolori una mia fi­ gliola spirituale, chiamata Margarita Caccia, li prestai detta berretta, et essa, applicandola al male che haveva, si sentì subito aggiutata. Mi disse, una volta, detto beato padre, che un suo figliolo spirituale volse andare a T ivoli,1503 contra la sua licentia et voluntà, et che, per strada, cascò da cavallo et se ruppe una coesa. I l che mi raccontò, acciò impa­ rassi anco io ad obedire. Dim ostra, anche, la santità sua la qualità de persone, che seco trattavano: onde, quando veniva a Roma il card. Borromeo di santa memoria, stava le quattro et cinque hore solo, nelle stantie di detto beato padre a S . Hieronimo, ragionando seco. Sicome, anco, ho visto, molte volte, il beato fra Felice capuccino, qual morse al tempo di Sisto Quinto in Roma, a trattar con detto beato padre : et, una volta, vidi, in S. Hieronimo, che detto beato Felice se inginocchiò, per pigliar la benedittione dal detto beato padre, quale, come humilissimo, non voleva dargliela, et così se inginocchiò anco egli, et era una bellissima vista, veder quelli dui santi abbracciati et inginocchiati in­ sieme. Sotto il portico di S. Hieronimo, ove dicevo l’ officio, in compa­ gnia di detto beato padre, vidi alcune persone forastiere inginochiarseli innanti, ringratiandolo dell’ oratione haveva fatta per loro, et dell’aggiuto havevano sentito, per tale oratione, nel viaggio loro per mare. I l s.r Pavolo Camillo Sfondrati, 1504 hora meritissimo cardinale, mentre stava, al tempo mio, in detta congregatione, mi disse che il

    1503 L ’ episodio pare non sia noto da altre deposizioni e fonti ; lo registra, con non pochi altri del genere, il B acci, 1. I , c. 20, nn. 12-17, senza tuttavia dare a conoscere l’ identità del penitente. 1504 Appare, nel 1578, tra gli ospiti della Vallicella, con la nota : « Paul Camillo Sfondrato, convittore », Archivio Vaticano, cod. A. A . I. X V III, n. 6484. In data 13 sett. 1578, appunto, lo scolaro indirizzò alla madre una lettera per esporre le spese incontrate a Roma, E milio Motta, Otto pontificati del cinque­ cento (1555-1591) illustrati da corrispondenze Trivulzinne, nella miscellanea edita dalla Società storica lombarda, Roma e la Lombardia. Castello Sforzesco, 1903, pp. 127-28. Allo zio Nicolò, il futuro Gregorio X IV , F. diresse, Γ11 giu. 1580, una lettera, circa una risoluzione del nipote di ritirarsi coi padri dell’ Oratorio (la lettera stessa, non registrata tra quelle note di F ., era conservata in copia nel eod. Trivulziano 1580), op. e 1. c., n. 3 ; e cf. B ordet-P onnelle, pp. 461-62 (vers, ita l., 440-41). Gregorio X IV creò subito cardinale Paolo Camillo, il 19 die. 1590, con il titolo di S. Cecilia, che tenne fino alla morte, avvenuta in Tivoli il 14 feb. 1618, Chacon-Oldoim , Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. IV , col. 224-27; Castano, Gregorio XIV, cit., pp. 355-57. Per opera di lui si compì, nel 1599, la ricognizione delle reliquie della santa martire romana, Pio F ranchi de’ Cavalieri, Note agiografiche. Fascicolo )°. Roma, 1912 (« Studi e testi », 24), pp. 30-35. In quella basilica fu sepolto, per sua volontà, Calvi, Famiglie notabili milanesi, v. I I , cit., « Sfondrati », tav. I l i ; F orcella, v . II, p. 34, nn. 102 e 1Γ3.

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    246

    9 giugno 1600. [233] Giovanni Battista Boniperti. fL 586-587

    p. Francesco Maria Tarugi, quale a ll’ hora lo governava, et bora è car­ dinal di Siena, haveva una grandissima tentatione di accidia ; et, havendola revelata al detto beato padre, quale a ll’hora era in letto, sì che il beato padre fece subito oratione, tanto affettuoso, per lui, che se alzava un palmo dal letto, et che doppo disse a detto mons. Tarugi : « come stai, Francesco M aria? » et egli [f. 587] disse : « padre, bene ; io non stetti mai meglio ». Ho sentito, molte volte, da detti padri, che Ί s.r card. Baronio, mentre stava in detta Congregatione, ha havuto l’ Olio Santo doi volte, et era come abbandonato da medici et, con tutto ciò, che guarì, per ora­ tione di detto beato padre quale diceva, che non voleva, che alcuni, di quelli primi suoi figlioli spirituali, moresse avanti lui, come bene è stato. Ho inteso, da detto s.r card. Tarugi, mentre stava in Congrega­ tione, che, essendo detto beato padre in choro alla Minerva, ove si cominciorno a fare li essercitii dell’ Oratorio,1505 fu advisato, che un suo figliolo spirituale, chiamato m .s Gabriele, habitante, a ll’ hora, in casa del q. s.r card. Montepulciano, stava in transito. Sì che, subito, andò a vederlo, facendo, fra tanto, che li figlioli suoi spirituali, quali erano seco, facessero oratione per lui. Laonde, arrivato, trovò detto infermo assentato sul letto, che contrastava molto contra il demonio, et il padre 10 aggiutò, di maniera che il demonio si partì et m.s Gabriele, essen­ dosi tutto rallegrato, d isse: « ecco, che fu g ge; habbiamo vinto », et il beato padre li disse, che non haveva vinto lui, ma Christo in lui, et così volse, che si colcasse et reposasse. Ma m .s Gabrielle, desideroso di morire, dimandò quanto tempo seria ancora durato, et il beato padre, per farlo reposare, disse, che seria vissuto sino alla matina seguente. Così si pose a reposarse, et, fra tanto, il beato padre, inchinatosi, con 11 suoi figlioli spirituali, fece oratione per lui, et, doppo, levandosi, come che sapesse l’hora della morte di detto m.s Gabrielle, li pose la mano sua sopra il capo, et li fece dir « Giesù », acciò conseguisse l’ indulgentia: il che detto, subito spirò.1506 L ’ anno 1576, essendo a Milano il p. m .s Alessandro Fidele, il p. Pietro Perrachioni et il p . Pompeo Paterio, havendo, una mattina, detto beato padre finita la sua oratione, disse alli padri di casa : « presto, si scrivi a M ilano, acciò che li padri venghino subbito a Boma » : il che fu esseguito. E t, mentre detti padri erano in viaggio, per venire a Bom a, si cominciò a scoprir la peste in Milano. Ho inteso, dalli padri di casa, che, nel principio dell’ Oratorio, un religioso, in pulpito, disse male di detto Oratorio, et, con tutto ciò, detto beato padre, con la sua patientia, vinse queste persecutioni. Con­ cludo, dunque, come già ho detto, che l ’anima di questo beato padre goda il sublime grado la gloria del Paradiso, perchè disse il Salvatore, che « a fructibus eorum cognoscetis eos » ,1507 et è più che noto il frutto,

    1505 F ., notoriamente, fu assiduo, anzi quotidiano frequentatore di S. Maria sopra Minerva, nei primi anni dell’ Oratorio, f. 70; ma pare nuova, e importante per la storia delle origini di quella sua adunanza, la presente asserzione che nel coro di quella chiesa si principiò addirittura a tenerla, forse specialmente per quanto si atteneva alle pratiche religiose. 1506 Come narrato da più testi, Gabriele Tana morì il 1» sett. 1558. 1507 Evang. see. Matthaeum, V II, 20.

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    17 luglio 1600. [234] Giovanni Battista Crescenzi. f. 588

    247

    che detto beato padre ha fatto, vivendo, et che va tuttavia crescendo, et perseverando. E t, tanto più concorro, in questo mio parere, quanto che ritrovandomi, alli 26 del mese passato, nella Chiesa nova di detti padri, ho visto celebrare con tanta solennità et frequentia di popolo la memo­ ria della morte di detto beato padre, dove intervennero sette cardinali, et vescovi, et altri prelati, come se fosse stata una festa principalissima dell’anno. Che, per ciò, si vede, che, a tanto concorso di popolo et da festa così publica, è commune giuditio, che detto beato padre stia hora godendo la gratia del Celo.

    [f. 588] D IE LU N A E 17“ M E N SIS IU L II 1600

    Examinatus fuit, Romae, in officio d.ni Hieronymi Mazziotti, notarii curiae ili.mi d.ni cardinalis vicarii, ill.is d.nus Ioannes Baptista Crescentius,1β08 filius q. ill.is d.ni Virgilii Grescentii, no­ bilis romani, alias in huiusmodi causa examinatus, aetatis annorum vigintitrium in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad oppor­ tunas interrogationes mei notarii, etc., dixit:

    [234]

    Io mi sono essaminato, in questo negotio dei beato p. Filippo Nerio, da tre anni sono in circa, et mi riferisco a quello che io ho detto a ll’ hora et confermo tutto quello che ho detto et, di più mi occorre, per relatione della bona memoria di m .s Giovanni Antonio L u cii: qual mi disse, che, essendo stato chiamato, una mattina, dal beato p. Filippo, li disse, che vedesse, che Ί tetto della chiesa cascava, e che il detto p. Filippo haveva vista la Madonna, che susteneva quel trave : però, che detto Giovanni Antonio andasse, et ci remediasse, a ll’hora, quanto prima. I l che inteso, detto m .s Giovanni Antonio andò subito, con muratori, per veder di dove veniva il pericolo, a remediarce ; et, andato, trovò, che un trave, di quelli che regevano il tetto della chiesa, era uscito fuora del muro, più de un palmo, in tanto che Ί tetto, natu­ ralmente, non si poteva regere in modo alcuno. V isto questo, il detto m .s Giovanni Antonio, insieme con li muratori, cominciorno a gridare : « miracolo, miracolo » , come veramente era. E t questo l ’ho inteso rac­ contare dal detto m .s Giovanni Antonio, più volte, con grandissima efficacia di maraviglia et di miracolo. I l quale m .s Giovanni Antonio haveva la cura particolare de tutta la fabrica, et però il beato padre chiamò lui a provederci, come di sopra. I l quale beato padre, oltra quello che ho detto altre volte, tuttavia cresce, nel fare de miracoli, et di dare devotione al popolo, come si può vedere alla sua sepoltura, che, ogni giorno, è v isita ta ; et specialmente nelli giorni della sua festa, a lli 25 o 26 di maggio, dove si celebrano le vespre, et Messe pontificale, con musica solenne, et intervento de molti ill.m i s.ri cardinali, et vescovi, arcivescovi, et prelati, et moltitudine

    isos Seconda deposizione di Giovanni Battista Creseenzi, comparso già il 3 genn. 1596 (147). Per la materia testimoniata della trave pericolante, si noti che il teste era architetto, e che qui rettifica in qualche maniera quanto aveva deposto la prima volta, fi:. 357-358.

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    248

    18 agosto 1600. [235] Antonio Caroli, ff. 588-589

    et concorso di popolo di ogni sorte, con grandissimo apparato. E t, da circa un mese, si è dato principio alla fabrica di una capella, a man dritta de l’altare maggiore, in honore del detto beato Filippo, et per riporre il suo corpo : la quale fa fare il s.r Nero Neri, e, nelli fondamenti, vi pose la prima pietra il s.r card. Tarusio ;1509 nel qual fondamento furono poste molte medaglie della impronta del detto beato p. Filippo, con una inscrittione, che non mi sovviene, come sia fatta.

    D IE V E N E R IS IS* A U G U ST I 1600

    [235] Examinatus fuit, Bomae, in officio etc., rev.dus d.nus Antonius

    Carolus, filius q. Pauli de Carolis 1510 et Eugeniae Valgemiliae de Brisighella, Faventinae diocesis, aetatis annorum quadraginta unius in circa, qui et sacerdos est Congregationis Oratorii, in ecclesia Sanctae Mariae in Vallicella de Urite, qui, medio iuramento, tac­ tis etc., ad opportunas interrogationes, dixit: Io venni a Roma, dell’anno 1580, et venni per attendere alia profes­ sione di procuratore, perchè haveva studiato [f. 589] in lege ; et, per essercitarmi, venni, come ho detto, a Roma, e smontai in Borgo, in una casa quale è hora unita al palazzo dell’ ill.m o s.r card. Rusticuccio,1511 sul cantone verso il Castello Sant’ Angelo, dove era una camera locanda; et, de lì, andai al palazzo di Santo A p ostolo,1512 dove

    1509 L ’inizio dei fondamenti della nuova cappella avvenne il 26 giu. 1600; e la prima pietra fu posta il 6 luglio, come narrò ampiamente Francesco Zazzara, in questo processo, ff. 630-631; e nel suo Diario, già cit., Archivio dell’Oratorio di Roma, cartella A . II I . 4, p. 4 e f. 157 v. 1510 Antonio Caroli (o Carli, ma diverso in ogni maniera dal Giacomo An­ tonio Carli, menzionato nella nota 1325), di Brisighella in diocesi di Faenza, entrò in congregazione il 7 sett. 1590. Dimorò nella casa di San Severino tra il genn. 1594 e l’ apr. 1596, e ne fu richiamato per attendere alla parrocchia di S. Maria in Vallicella. Compare presente all’ atto del testamento del Baronio, nel 1606, Calenzio, p. 964, e cf. 926, 932. Si ricorda anche come autore di operette religiose, V illarosa, Memorie degli scrittori filippini, cit., pt. I I . Napoli, 1842, p. 37 ; tra le quali, libretti devoti largamente distribuiti ai pellegrini nel giubileo del 1625. Mori il 21 feb. 1626. La vita, in due redazioni, si legge nell’ A ringhi, cod. Vallicelliano O. 59, ff. 126-137. is n i l noto palazzo sulla piazza già antistante a S. Pietro e alla quale diede nome; passò poi agli Accoramboni, T omei, XJn elenco dei palazzi di Roma, pp.166-67 ; Orbaan, pp. 192-93 n. 2. Fu demolito nella recente sistemazione dei Borghi adducenti alla basilica. i 5 i 2 II palazzo cardinalizio dei Ss. Apostoli, nello schema architettonico completo conseguito sulla fine del secolo xv, risultò composto da due corpi di fabbrica simmetrici sui lati destro e sinistro della basilica, ricongiunti dal pro­ spetto stesso di questa. Costituì l’ ala destra (a riguardare la chiesa) la dimora splendidamente eretta e abitata nel 1471 dal card. Pietro Riario, nipote di Sisto IV ; e quella sinistra, il palazzo costruito dal cugino card. Giuliano della Rovere, dopo che aveva ereditato anche la prima nel 1474. Il futuro Giulio II abitò il palazzo dei Ss. Apostoli da circa il 1480 alla sua elezione ; e dopo di questa, ne fece donazione ceinter vivos », nel giugno 1501, ai Frati minori Con­ ventuali. I quali, nel 1508, affittarono il palazzo, per 150 ducati annui, a Mar­ cantonio Colonna duca di Paliano, gran connestabile del regno di Napoli ; e, nel 1512, con una convenzione approvata dal papa, ne cedettero allo stesso Colonna la proprietà. Nel 1590 Sisto V comprò il palazzo dal card. Ascanio Colonna, per

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    18 agosto 1600. [235] Antonio Caroli, f. 589

    249

    habitava il s.r Giacomo Boncompagno,1®13 con m .s Andrea Carolo, mio cugino; poi, mi pose a camera locanda, alla piazza di Pizzo Merlo, vicino, a ll’ hora, a Pozzo Bianco ; dopo, alla camera locanda del M oro,1®14 vicino alla chiesa di S. Maria in Y a llic e lla ; et, poi, tenni molti scho­ lari a dozzina, vicino al Collegio Romano de Gesuiti, alla guglia del Santo M au to.1®15 E t, dal principio che io venni a Roma (che fu quando io stavo a Santo Apostolo) cominciai a cognoscere la santa memoria del p. Filippo Neri, quale stava, in quel tempo a S. Hieronimo, et, per prima, l ’ havevo cognosciuto per fam a. E t la causa della cognitione per fama fu, che mons. Recuperato, da Brisighella, m ’ haveva detto, nanti che io venisse a Roma, che Ί detto p. Filippo era un santo homo, et che era stato visto alzato da terra, et molte altre cose di edificatione, in laude della santità del detto santo padre. Non mi ricordo, che mi dicesse dove stava. E t la causa, poi della vera cognitione di vista fu, che io, sequitando quel che mi haveva detto il s.r Recuperato, andai a trovare il detto santo padre a S. Hieronimo della Charità, al quale parlai, et me li raccommandai, che mi volesse aggiutare a trovare qual­ che recapito, per poter stare et venir qui in Rom a. E t il detto santo padre mi raccomandò a mons. Giovanni Francesco Bordino, hora arcivescovo d’ Avignone, il quale a ll’ hora si trovava lì con il detto santo padre. E t il detto p. Giovanni Francesco Bordino accettò la raccommandatione, et io pigliai altro recapito, che fu che pigliai una casa in*1 4 5

    la somma di 15.0C0 scudi; e lo diede ai Conventuali per uso del collegio di S. Bo­ naventura, eretto dal pontefice francescano nel convento dei Ss. Apostoli. Sus­ siste ancora, proprietà deU’ordine, il corpo di fabbrica a sinistra, distinto con il nome di palazzo « d e lla T o rre» o « d e l V a s o » ; mentre quello di destra è andato incorporato, con scarsi avanzi originari, nel palazzo Colonna, T omei, Di due palazzi romani del Rinascimento, in Rivista dell’Istituto d’archeologia e storia dell’arte, V I, 1937-38, pp. 131-36, e Un elenco dei palazzi di Roma, p. 172 (inte­ grato con notizie archivistiche cortesemente fornite dal p. Giuseppe Abate, O. F. M. Conv.). isle Eisulta che in precedenza, al momento delle sue nozze con Costanza Sforza, celebrate l’ultimo giorno del febbraio 1576, Giacomo Boncompagni, certo in qualità di governatore di Borgo (si veda la nota 1294) aveva avuto la sua casa « in medio Burgi ultra domum illorum de Campegiis », [B atti] Della fami­ glia Sforza, pt. I I, cit., p. 188. Diversamente, per la casa, Pio Pecchiai, Un prezioso letto romano, nel volume collettivo della «Associazione di cultura ro­ m a n a » , Amor di Roma. [Roma, 1956], p. 304; facendo memoria del letto, dal costo di 3.000 scudi, donato agli sposi dal card. Ferdinando de’ Medici. 1514 Questa «locanda del M o ro» in Parione (altre con questa insegna esiste­ vano alla Maddalena e altrove) era « verso il Pellegrino », come risulta da una « Lista delli poveri della parrocchia di S. M. in Vallieella » dell’anno 1615, Gitoli, Alberghi ed osterie di Roma nella Rinascenza, cit., p. 111. Per le note contrade di Pizzomerlo e di Pozzo Bianco, Gitoli, Topografia e toponomastica di Roma, pp. 217 e 244-45 ; P. R omano [Pietro F ornari] , Il quartiere del Rinascimento, cit., pp. 48-50; e Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, cit., pp. 372, 388. 1515 Obelisco già drizzato presso la chiesa di S. Maeuto, nel rione della Pigna, Mercati, De gli obelischi di Roma, cit., pp. 264-65: servì spesso, nel ’500, come riferimento toponomastico, O rbaan, 35 n ., 86, 220 n. ; Gnoli, Topografia e toponomastica di Roma, p. 280; P. R omano [Pietro F ornari], Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, cit., pp. 275-76. Nel 1711, Clemente X I lo fece innal­ zare sopra la fontana in mezzo alla piazza della Rotonda, Obazio Martjcohi, Gli obelischi egiziani di Roma, illustrati con traduzione dei testi geroglifici. Ed. riv. ed ampliata. Roma, E. Loeseher, 1898, pp. 91-95.

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    250

    18 agosto 1600. [236] Beginaldo Cruoleni. ff. 589-590

    Panico et cominciai a tener schola. Nel qual tempo io praticavo et com versavo spesso nella Chiesa nova della Vallicella, dove stava il detto santo padre alcune volte. E t, de lì ad alcuni anni, sendo venuto il detto santo padre alla Chiesa nova per stare, io cominciai a confes­ sarmi da lui. E t, una volta, tra le altre, confessandome io dal detto santo padre, me scordai, nella confessione, de un peccato mortale di o d io ; et, havendo finita la confessione, et aspettando l’assolutione, il beato padre mi d isse: « hai desiderato la morte ad alcuno? » , et io subito rispose: «p a d re , s ì » , et esso, senza altro, mi dette l ’assolu­ tione et la penitenza, senza dirme altro. E t io restai confuso, dicendomi il detto santo padre quelle parole, se io havevo desiderato la morte ad alcuno, et sempre me l’ ho tenuto a mente, che Ί detto santo padre havesse indovinato del peccato omesso per me. Doppo la morte del detto padre santo, mi è occorso che, visitando io una monacha, chiamata Catherina,15161 7quale sta in Parione, in casa 5 de m .s Andrea calzettaro, scontro le nostre case della Congregatione et havendo io concetto fermo, che lei non fosse per risanarse in quella infirmità (la qual visita io faceva, perchè havevo la cura delle anime) ; dopoi ad alcuni giorni, intesi, dalla sodetta Catherina et mad.a Arm inia, sua sorella, che, per haverse messa sul corpo una immagine del beato padre, poco doppo li era cessato un grandissimo dolore et non li ritornò più. E t ho veduta la medema in chiesa, resanata « pro modulo suo » et le ho donata una immagine del santo padre, quale accettò con molta devotione. Non mi pare di lasciare indietro e di non dire quanti miracoli habbia fatto il santo padre (et, di questi, si può vedere per li voti attaccati alla sua sepoltura) et della frequentia del popolo, che concorre, ogni giorno, alla detta sepoltura, et, specialmente, il giorno della sua festa, dove intervengono m olti ill.m i s.ri cardinali, arcivescovi, vescovi et prelati, et altro popolo, et ve si canta la Messa episcopale et ambedue li vesperi solennemente. E t questo è quanto mi ricordo.

    E A D E M D IE 18» A U G U ST I 1600

    [236] Examinatus fuit, in officio etc., d.nus Beginaldus Gruolenus,lsl7

    filius q. Nicolai Cruoleni et q. Iuliae, coniugum, de loco Cianciano, Clusinae diocesis, aetatis annorum triginta duorum in circa, qui, medio iuramento, tactis etc. et ostensis sïbi literis, confectis, sul· die 29a [f. 590] Martii 1598, subscriptis per ill.mum et rev.mum d.num Cesarem cardinalem Baronium et ill.mum ac rev.mum p. d.num Mar-

    1516 Questa Caterina monaca di casa («te r z ia ria », appunto, la qualìfica il

    B acci, I. V I, c. 13, n. 9) potrebbe essere una delle due nipoti di Beginaldo Cruoleni, teste successivo; nominate per un legato dì scudi 100 singolarmente in un codicillo datato 26 mag. 1607 al testamento del Baronio : erano allora nel­ l ’ospizio detto « delle zitelle sperse », Calenzio, pp. 819, 965. 1517 Beginaldo Cruoleni, di Chianciano, fu familiare intimo e segretario del card. Cesare Baronio, da questo nominato per disposizioni benevole in due codicilli a l testamento, datati 27 sett. 1606 e 26 mag. 1607, C auenzio , pp. 819, 821, 963, 961, 965.

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    18 agosto 1600. [236] Reginaldo Cruoleni. f. 590

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    251

    cum Antonium Maffam, eorumque sigillis munitis, recognovit manus, literas et personas respective videlicet ili.mi et rev.mi d.ni Gesaris tituli Sanctorum Nerei et Achillei cardinalis Baronii et ill.is ac rev.mi p. d.ni Marci Antonii Maffae, abbatis Sancti Gregorii de Sa­ lerno, visitatoris et reformatoris apostolici, eorumque sigilla in for­ ma, et se bene cognoscere eorundem personas, et manus, ac sigilla, quia nunc cum eodem ill.mo d.no cardinali Baronio et, per annos novem, cum praefato ili.ri et rev.mo d.no abbate Maffa, usque ad eius obitum, et, post obitum eiusdem, cum ill.mo et rev.mo cardinali Baronio praefato. Licet, priusquam ad eius servitia moraretur, vide­ ret pluries eius scripturas et personam, et etiam post, et fere quotidie, videat eundem ill.mum et rev.mum d.num cardinalem, etiam ante­ quam ad cardinalatus dignitatem assumptus esset; et dictum rev.mum p. d.num abbatem Maffam, toto tempore quo fuit ad eiusdem servitia, scribere videret, et videat, respective, et sic utriusque sigilla pluries et pluries prae manibus habuit. Praeterea, ostensis, eidem d.no Reginaldo testi, aliis literis sub­ scriptis per ill.mum et rev.mum d.num Federicum cardinalem Borromeum, sub die 21a mensis Martii 1598, dixit : Io recognosco la mano, et ii sigillo del detto s.r cardinale, et la persona, perchè, spesse volte, scriveva al s .r abbate Mafia, mio pa­ drone, et non mi ricordo haverlo visto scrivere.

    Tenor, vero, literarum subscriptarum per ill.mum ac rev.mum d.num cardinalem Baronium et rev.mum d.num abbatem Maffam, de quibus supra, sequitur, et est talis, videlicet: Nos infrascripti fidem facimus, et in verbo veritatis attestamur, SS.m um D .num N .rum Clementem Octavum, infrascripta die, nobis referentibus et supplicantibus, vivae vocis oraculo, concessisse, ut in cubiculo beati patris Philippi Nerii Congregationis Oratorii fundatoris eximii et miraculorum gratia illustris, ubi novissime oratorium con­ structum est, et laqueari inaurato ornatum, et in quo altare, sacra suppelletili decenter instructum, existit, celebrari possent Missae plane currentes, cum a nobis tum ab aliis, erga eundem beatum patrem pium habentibus devotionis affectum, non tamen passim ab omnibus. In quorum etc., his sigillo nostro communitis, subscripsimus. Datas R o­ mae, Dominica in A lbis, 29a M artii 1598, pontificatus eiusdem S S .mi D .n i N .ri anno septim o.1518

    1518 Questa facoltà di celebrare messa nella stanza-oratorio di F ., data da Clemente V i l i « vivae vocis oraculo » ai cardinali "Baronio e Borromeo e al­ l ’ abate Maffa (con l ’estensione indeterminata ad altri, «n o n tamen passim ab omnibus ») fu resa generale con il decreto in data 11 mar. 1606 del card. Giro­ lamo Pamphilj, vicario di Paolo V . Questo documento venne incluso tra le depo­ sizioni del processo, e si legge al f. 613, nei manoscritti A . I I I . 42, A . I I I . 43, C. I. 1 dell’Archivio dell’ Oratorio di Borna: «C u m rev.di d.ni presbiteri Congregationis Oratorii B . Mariae et S. Gregorii in Valìicella de Urbe nos, humili, pioque affectu, requisierint, ut licentiam sacri­ ficandi in cappella cubiculi beati Philippi Nerii, fiorentini, eiusdem Congregatio­ nis Oratorii fundatoris, quam olim felicis recordationis Clemens papa Octavus, vivae vocis oraculo, ill.mis et rev.mis d.nis Federico cardinali Borromeo et Cesari cardinali Baronio, necnon Marco Antonio Maffae presbitero salernitano conces-

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    252

    14 settembre 1600. [237] Germanico Fedeli, ff. 590-591

    Ita est Caesar S. B . E . tituli SS. Nerei et Achilei Presbiter Cardi­ nalis Baronius Φ loco sigilli. Ita est Marcus Antonius Mafia u. i. doctor, abbas Sancti Gregorii de Salerno, visitator et reformator apostolicus ® loco sigilli.

    Tenor vero aliarum literarum ill.mi ac rev.mi d.ni cardinalis Borromei, de quibus supra, sequitur et est talis, videlicet : Noi Federico cardinale Borromeo facciamo fede, che, havendo, hiermattina, domandata licentia a N .ro S.re Clemente Ottavo di poter cele­ brar Messa nella camera del beato p. Filippo, dove è eretto un altare con una sua figura, S. S .tà si è contentata darcela, soggiongendo, che facessimo oratione per Lui, et, in fede, ho sottoscritta la presente di mia propria mano, questo dì 31 di marzo 1598. Federicus cardinalis Borromeus.

    D IE IO V IS 14a M E N SIS SE P TE M B R IS 1600 F E S T I E X A L T A T IO N IS S. CRUCIS

    [237] Examinatus fuit, Romae, in domo mei notarii, per me etc., ad­

    modum rev.dus p. d.nus Germanicus Fidelis ,1519 Congregationis Oratorii, testis, alias examinatus, etc., qui, medio iuramento, tac­ tis etc., dixit, ut infra, videlicet: Ostensis sibi literis ill.mi et rev.mi d.ni cardinalis Baronii et rev.mi p. d.ni Marci Antonii Maffae ac aliis ill.mi et rev.mi d.ni [f. 591] cardinalis Borromei, super earundem literarum recogni­ tione, dixit:

    serat, ut ibidem, non solum ipsi celebrare posseDt Missas currentes, sed etiam alii, erga eundem beatum Philippum pium habentes devotionis affectum; et, in vim concessionis huiusmodi, multi ill.mi d.ni cardinales et alii quamplurimi sacer­ dotes frequentissime celebraverint, et celebrent, ad omnes cuiuscumque status regulares vel saeculares sacerdotes extendere et ampliare dignaremur. Nos, predicti Summi pontificis dispositioni inhaerentes, attendentesque supradictam petitionem rev.dorum patrum congruam esse, et rationabilem, cum supradicta cappella decenter sit et competenter ornata, in qua pluries etiam nos ipsi cele­ bravimus, ideo supradictam licentiam extendimus et ampliamus et auctoritate, qua fungimur, concedimus, ut omnes presbiteri, tam saeculares quam regulares, cuiuscumque status et conditionis, possint, in supradicta cappella, Missas cur­ rentes celebrare. In quorum fidem presentem manu nostra subscripsimus et sigillo, quo in talibus utimur, firmavimus. Datum Romae, in aedibus nostrae solitae residentiae, mense Martij die l l a anno 1606. Hieronimus Sancti Blasii presb. cardinalis Pamphilius et S. D . N. Vicarius. Loco φ Sigilli. Presens copia extracta fuit ex suo proprio originali et, cum eo collationata, recte concordat, cum attestor ego infrascriptus, ad originale, pro saniore col­ latione, me referendo, hac die 21a mensis aprilis 1606. Ita est Petrus Mazziottus, civis romanus, in Archivio Romanae Curiae descrip­ tus ac Congregationum ill.mi ac rev.mi d.ni Hieronimi card.lis Pamphilii s.mi d.ni n. Pauli V vicari secretarius, predictam copiam sic extractam et collationatam publicavi signumque meum solitum et consuetum apposui requisitus ». Nei manoscritti A . II I . 42 e A . II I . 43, si trova, di più, l’autentica della firma del notaro P. Mazziotti fatta dal card. Girolamo Pamphilj, il 30 giu. 16C6, « Faustus de Barberiis notarius ». 1519 Germanico Fedeli, chiamato a riconoscere l’autenticità dei documenti esibiti in questa udienza e nella successiva, era comparso la prima volta il 5 sett. 1595 (41).

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    28 settembre 1600. [238] Germanico Fedeli, f. 591

    253

    Io riconosco la mano et il sigillo et la persona del s.r cardinale Baronio, che, circa trentacinque anni, havemo magnato, et, alle volte, magnamo insieme ; et l’ ho visto scrivere infinite volte ; et il suo sigillo l ’ ho havuto spesso per le mani, et non vi è, in casa, persona che intenda meglio di me la sua scrittura et lettera. E t cognosco, anco, la mano et persona del s.r abbate Mafia, quale, mentre viveva, l ’ho visto scrivere più et più volte, et il sigillo non lo cognosco. In oltre, cognosco la mano et la persona del s.r cardinale Borromeo, et l’ ho visto scrivere più volte, et ho ricevute le sue lettere. E t, insom­ ma, recognosco tutte queste mani, et soscrittioni et persone delli s.ri cardinali Baronio et Borromeo et della bona memoria del s.r abbate Mafia in forma.

    D IB IO V IS 28» M E N SIS SE P TE M B R IS 1600

    [238] E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in dom o m ei n ota rii, adm odum r e v .dus p . d .n u s G erm anicus F id e lis , de quo alias e t alias exam inatus u t su pra, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., su p er recog n ition e literarum r e v .d i p . d .n i A n g e li V e llii, p ra ep ositi C on grega tion is O ra torii, sul· die 30a m en ­ sis Ian u a rii 1600, in illis, v e r o , datis R o m a e , die sanctoru m C h risti m a rtyru m Papiae e t M a u ri, I V K a l. Febru arias 1 600, su bscriptas p er ill.m os et r e v .m o s d .n os O ctaviu m titu li S an cti A le x ii p resb y teru m cardinalem P aravicin u m , et A lp h o n su m titu li S an cti S ix ti p r e s b y ­ teru m cardinalem V ic e c o m ite m , et aliarum literarum sim ilium eiu s­ dem r e v .d i p. d .n i A n g e li, sub eadem die 30a Ianuarii 1600 m odo etiam quo supra datis R o m a e , die sa n ctoru m C h risti m a rtyru m P a ­ piae et M a u ri, I V K a l. F ebru a rii 1 6 0 0 , su bscripta s p er ill.m o s et r e v .m o s d.n os F ed ericu m San ctae M ariae A n g eloru m p resb y teru m cardinalem B o r r o m e u m , F ra n cescu m M ariam cardinalem T aru siu m , C esarem cardinalem B a ron iu m ac eundem rev.d u m p . d .n u m A n g elu m V elliu m et quatuor eiu sdem C on grega tion is d ep u ta tos, vid elicet P e tr u m P errach ion u m , G erm anicum F id elem , Thom am B o zziu m et Iu ven a lem A n cin a m V isis eisdem literis p e r eundem adm odum rev.d u m p . d .n u m G e r ­ m a n icu m , d ixit recog n oscere m anus literas et personas su pradictoru m om n ium ill.m oru m d .n oru m cardinalium F ed er ici cardinalis B o r r o m e i, F ran cisci M ariae T au ru sii, C esaris cardinalis B a ron ii, O cta ­ vii P aravicini cardinalis et A lp h o n si V icecom itis cardinalis et r ev .d i p . d .n i Germ anici ac aliorum rev.d o ru m p . d .n oru m P e tr i P errach ion i, T hom ae B azzii et Iu ven a lis A n cin a e in form a . T en o r vero dictarum literarum seq u itu r v id e lic e t:

    Nos Angelus Yellius, praenestinus, Congregationis Oratorii prae­ positus generalis et deputati, vitae beati Philippi Nerei, fiorentini, eiusdem Congregationis Oratorii fundatoris, libros tres a p. Antonio Gallonio editos, per duos nostrae Congregationis sacerdotes recognosci mandavimus, quos cum illi approbaverint eosque amplissimi S. R . E . cardinales infrascripti approbent, probamus etiam ut imprimi possint, modo placuerit rev.mis d.nis vicegerenti et patri magistro Sacri Pa-

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    254

    3 ottobre 1600. [239] Pompeo Pateri. £. 592

    latii. Datum Romae die sanctorum Christi martyrum Papiae et M auri, 4 K a l. Februarias anno 1600. Omnia quae de beato Philippo Ner io conscripta sunt, partim pro­ priis me oculis vidisse, partim vero gravissimorum sermone cognovisse attestor ego Octavius tituli Sancti Alexii presbiter cardinalis Paravicinus. A . Sancti Sixti presbiter cardinalis Yicecomes.

    Aliarum, literarum tenor est idem, videlicet: Nos Angelus Vellius, [f. 592] praenestinus, Congregationis Ora­ torii praepositus generalis et deputati, vitae beati p. Filippi Nerei, fiorentini, eiusdem Congregationis fundatoris, libros tres a p. Antonio Gallonio editos, per duos nostros Congregationis sacerdotes recognosci mandavimus, quos cum illi approbaverint, eosque ill.m i et rev.mi d.ni Franciscus Maria Tarusius, archiepiscopus Senensis et Caesar Baronius S. R . E . presbyteri cardinales approbent, probamus etiam ut imprimi possint, modo placuerit rev.mo d.no vigerenti et rev.mo patri magistro Sacri Palatii. Datum Romae etc., die sanctorum Christi martyrum Papiae et Mauri, quarto K al. Februarias anno 1600. Federicus Sanctae Mariae Angelorum presbyter cardinalis Borromeus. Franciscus M aria cardinalis tituli Sancti Bartholomei, archiepiscopus Senensis. Cesar cardinalis Baronius, tituli Sanctorum Nerei et Achilei. Angelus Vellius praepositus. Petrus Perachionus Hiporregiensis deputatus. Germanicus Fidelis deputatus. Thomas Bozzius deputatus. Iuvenalis Ancina deputatus.1620

    D IB M A R TIS 3* OCTOBRIS 1600

    [239] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., admodum rev.dus p. d.nus

    Pompeius Paterius,1 1521 Congregationis Oratorii alias esaminatus, 0 2 5 qui, medio iuramento, tactis, etc., super recognitione suprascriptarum cedularum rev.di p. d.ni Angeli Vellit, praepositi, subscripta­ rum, ut supra, dixit: Io recognosco tutte queste mani et sottoscrittioni et le persone che l ’ hanno sottoscritte cioè: delli ill.m i s.ri cardinale Visconte, s.r cardi­ nale Paravicino, s.r Francesco Maria cardinal Tarusio, s.r cardinal Baronio, delli r.di pp. p. Angelo V elli, preposito, Pietro Perrachione, Germanico Fidele, Thomaso Bozzio et Iovenale Ancina, deputati della nostra Congregatione : quella delPill.mo s.r cardinale Borromeo non la recognosco ; cognosco bene la persona, et tengo che sia sua mano. In oltra, mi occorre di aggiongere, a ll’altro mio essamine, qual fece

    1520 Le approvazioni, ridotte in forma di unico documento, si leggono al principio della Vita del Gallonio, nella pagina retrostante al frontespizio. L ’opera stessa è munita di un privilegio di stampa di Clemente V i l i per la durata di dieci anni. Porta, inoltre, una lettera dedicatoria dell’ autore al Cardi­ nal Alessandro de’ Medici. 1521 Seconda deposizione di Pompeo Pateri, già comparso il 27 ag. 1596 (183).

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    3 ottobre 1600. [239] Pompeo Pateri, f . 592

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    altre volte, in questo negotio del beato padre, che credo non haverlo detto, che è que’ della donna spiritata che Ί santo padre ne sentiva la puzza. Io ne sono informato, poiché mi diede cura di confessarla et la confessai parecchie volte et con questa occasione il santo padre mi disse, più volte, che sentiva la puzza del dem onio: et questa spiritata era donna rom ana.1522 M i è occorso, ancora, che essendo io mandato, dalla nostra Con­ gregatione, Fanno 1597, a Lanciano, nell’ Abruzzo, per erigere una casa o ver collegio, conforme a ll’instituto nostro, per il governo di quella abbatia, che havemo nell’ Abruzzo,1523 hebbi tante difficultà et avver­

    i s i Lucrezia C otta; della quale venne inserita nel processo, sotto la data 29 apr. 1610 (291), la testimonianza scritta. Il Pateri, di fatto, non ne aveva parlato nella sua precedente deposizione. 1523 L ’ abbazia di S. Giovanni in Venere, presso Lanciano, per cessione fatta dal suo commendatario Gregorio Navarro, fu annessa da Sisto V , nel luglio 1585, alla congregazione dell’Oratorio di Roma, che ne ebbe la giurisdizione temporale (con dieci « oppida », uno dei quali, Fossacesia, in dominio, G allonio , Vita lat., p. 166) e quella spirituale. In vita, F . mal si adattò a questo governo, «paren ­ dogli avere sopra le spalle un grosso Vescovado » : già il 21 apr. 1588 si trattava, in una adunanza della congregazione, di lasciarlo; e in altra, 1° lu. 1593, si deliberò di delegarlo alla casa dell’Oratorio di Napoli. M a, il 1° nov. 1598, per provvedere a esso, s’ istituì in Lanciano una nuova casa, che rimase aperta alcuni anni. Finalmente, dopo una nuova delibera della congregazione, in data 10 die. 1604, per rinunziarla al capitolo di Lanciano, la giurisdizione spirituale passò a ll’ arcivescovo di Chieti (esclusa la nomina alle tre arclpreture di Fossaceca, S. Vito e Rocca S. Giovanni), M arciano, Memorie ìlistoriche della congregatione dell’Oratorio, t. I I , cit., pp. 97-98, 309-10; Oalenzio , pp. 319-29, 437-39, 640-42. La congregazione ritenne il feudo, che aveva per centro Rocca S. Giovanni, con il castaido, nominato capitano, esercitante giurisdizione civile e penale. Non rara­ mente, durante i secoli x v ii e x v in , si produssero nel territorio dell’ abbazia rivolte e tum ulti; avvenne anche una scorreria di pirati barbareschi, con danni e ratto di persone. Difficili si fecero i rapporti con il regno di Napoli, nel 1769, così da giungere a una temporanea occupazione delle terre da parte delle truppe borboniche. Sotto il regime murattiano, nel 1806, 11 preposito dell’ Oratorio di Roma, feudatario del Regno, dovette giurare fedeltà al sovrano di Napoli. Il feudo, con un gettito oscillante sempre tra i 2000 e i 4000 scudi (raggiunse anche i 7000, nel secolo x ix ) pesava più di quanto rendesse. L ’ alienazione del territorio fu più volte tentata : provvisoriamente, per due anni, ne presero possesso i gesuiti, durante il secolo x v n ; trattative a quel fine si ripeterono a Napoli nel 1831 e 1858, e i fondi furono ceduti in enfiteusi all’ abbazia di Montecassino, fino a che, con l’avvento del regno d ’Italia e le leggi eversive, ogni diritto immobiliare andò perento. Sulla chiesa dell’abbazia di S. Giovanni in Venere rimase, alla congre­ gazione di Roma, una giurisdizione spirituale, esercitata anche a mezzo di un inviato fino a l 1933; trattatane la cessione, l’ultima e definitiva rinunzia, ai Passionisti, fu posta in atto nel 1953. Per la storica abbazia, prima benedettina, e i suoi cospicui avanzi monu­ mentali, risalenti al secolo x i i (chiesa, danneggiata nell’ultima guerra, chiostro e una parte del monastero) si veda L . H . C ottineau , O. S. B ., Répertoire topobibliographique des abbayes et prieurés, I I . Macon, Protat frères, 1937, col. 2720. Della non scarsa letteratura, si possono citare, per la storia antica e quella dei precedenti abati commendatari (tra i quali Giovanni Matteo Giberti, che vi mandò amministratore Francesco Berni) : Notizie storiche del celebre monastero benedettino di San Giovanni in Venere, raccolte da G iu s e p p e M aria B e l i j n i , con note e documenti e tre dissertazioni inedite deU’abate P ietro P ollidoro. Lanciano, tip. di F . Tommasini, 1887 ; e per la giurisdizione oratoriana, G. M urcia ,

    Dimostrazione della giustizia ch’assiste alla congregazione dell’Oratorio di s. Fi­ lippo Neri di Roma, perpetuo commendatario della badia di S. Giovanni in Venere. Napoli, 1781.

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    3 ottobre 1600. [239] Pompeo Pateri. ff. 592-593

    sioni nel negotio, che, humanamente parlando, era impossibile, et ne ero già diffidato, di poter eseguire quello, che io ero andato a fare. M a, resolutomi di raccomandar il negotio a Iddio, pregai, in particolare, il nostro santo padre, che, se vedeva, che fosse honor de Iddio et utile di quelle anime, impetrasse da sua maestà, che si superassero li impe­ dimenti et difficultà, quali erano grandissimi. Mirahil cosa: che, in un tratto, fra doi o tre giorni, si risolse con maraviglia, levate tutte le difficultà et impedimenti, et si comprò il sito, con aggiuto et favore di quelli, che erano contrarii : del che ne fu dato gloria a Dio et al beato santo Filippo. M i occorre, ancora, che, trovandomi, l ’anno 1580, del mese di decembre, aggravato, con febre continua, con pericolo, venne il santo padre nostro, che, a ll’ hora, stava ancora a S . Hieronimo, a visitarme, et, con la sua solita charità et spirito, mi pose le mani in testa, facendo oratione, con quella sua solita aggitatione, per un poco di spatio di tempo. Nel partir [f. 593] che fece, me disse : « non dubi­ tare, non sarà niente, guarirai presto ». Non furno le parole vane, poiché, la medema notte sequente, essendo il male in augumento, all ’ improviso, mi sentii talmente fresco et scarico, che, dimandando quello, che mi stava in camera per guardia, li disse, che mi sentivo bene, et che haverei mangiato qualche cosa : dove che, per l’adietro, non potevo pigliar tanto cibo, che sustentasse la mia debolezza. Si maravigliò il sudetto con esso meco de tal meglioramento così repentino, come fecero li medici, la mattina, che ogni altra cosa pensavano, che trovarmi sano affatto : et furno li medici il s.r Michel Mercato et il p. Giovenale A n cin a,15241 2che, a ll’ hora, non era ancor sacerdote, quali si licentiorno. 5 E t io diedi lode et gratie a D io, et al santo padre, che mi haveva impetrata la sanità. Bertino Riccardi, che fu un laico della nostra Congregatione, l ’anno 1576, del mese de aprile, se infermò de febre talmente maligna, che, in doi o tre giorni, uscì fuor di sé et, andando di male in peggio, si mo­ riva senza Sacramenti, ancor che fusse confessato et communicato il proprio giorno che si ammalò, et si moriva senza testamento, che im ­ portava molto per la quiete dell’ anima sua. Sentendo questo, il santo padre andò a visitarlo, presente me et altri. Cosa m irabile: subito, fatta oratione col solito spirito, quello, che era stato tanti giorni frene-

    1524 Giovenale Ancina, il futuro vescovo di Saluzzo e beato, aveva fatto, com’è noto, gli studi di medicina alle università di Montpellier, di Padova e di Mondovì (sostituente temporaneamente quella torinese) e si era addottorato a Torino il 29 genn. 1567 ; era stato quindi lettore in quest’ultima università, eser­ citando anche l ’arte. Si veda sopra di lui, più ampiamente, la nota 1605. 1525 Francesco Giacomo Belgio, senior, appare negli anni 1587-1601 notaio deU’ Officio 6° del tribunale dell’ Uditore della Cam era; ebbe come successore nello stesso Officio, unicamente durante il 1602, Giacomo Belgio, certo parente, [F ran­ cois], Elenco di notai che rogarono atti in Roma, cit., p. 13. Nel Galletti si leg­ gono queste due note, che devono riferirsi al secondo, rispettivamente da libri dei Ss. Celso e Giuliano e S. Luigi dei Francesi : « 1602. 25 sept, f Iacobus Beigius notarius A . C. Sep. in eccl. S. Ludovici nat. Gallorum. X X X IV », « 1602. 26 sept, f D. Iacobus Belgius notarius Rev. Cam. Ap.licç, lotharingus, diçeesis Virdunen., par. S. Celsi. L X I », cod. Vat. lat. 7875, f. 35. Si trova, ancora, un Francesco Giacomo Belgio, iunior, notaio nell’Officio 1° del tribunale stesso, negli anni 1630-1653, [F rancois], p. 6 .

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    3 ottobre 1600. [240] Giovanni Severani. f.593

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    fico, senza ponto deminuir la furia del male, tornò in sè, si confessò dal santo padre, si communicò per Viatico, et, da lì a poco, chiamato il notaro, che fu m .s Francesco B elgio,1525 notaro dell’auditor della Ca­ mera, fece il testamento. Qual finito, subito tornò nella solita frenesia, nella quale, da lì a poco, doppo l ’ haver havuta la Estrema Untione et racommandatione dell’anim a, si riposò in pace.1526 E t questo è quanto me occorre : se mi sovvenire altro, lo dirrò.

    E A D E M D IE M A R T IS 3* OCTOBRIS 1600

    [240] Examinatus fuit, ubi supra, admodum rev.dus p. d.nus Ioannes

    Severanus,1527 filius q. d.ni Ansidei Severani et q. d.nae Medeae coniugum, de Sancto Severino, Provinciae Marchiae, presbiter Con­ gregationis Oratorii, aetatis suae annorum trigintaquinque in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., ad opportunas interrogationes, dixit : Sono quindici anni, che io pratico in Borna, et, da quel tempo, io hebbi notitia del beato p. Filippo Nerio, qual stava alla Chiesa nova et io stava in casa del Borghese.1528 Dipoi ritornai al paese, et ritornai

    1528 h « Liber mortuorum » di S. Maria in Vallicella, p. 21, reca questa n ota: « 1587. Bertinus \Riccardus vercellens. laicus nostre Congregationis sepultus die X X IX aprilis ». La morte avvenne il 28, come narra il Gallonio, Vita ital., p. 177, riferendo le circostanze stesse contenute nella presente deposizione. Una notizia biografica è nell’ A ringhi, cod. Vallicelliano O. 60, f. 233. 1527 Giovanni Severani entrò in congregazione il 15 ott. 1588; e, come qui dichiara, abitò nella casa dell’Oratorio in San Severino Marche, sua patria. NeH’ anno 1600 venne a Roma, per essere stata temporaneamente chiusa quella casa. Tra le opere del ministero, coltivò gli studi storici, e in particolare quelli dell’archeologia cristiana, pubblicando una raccolta alfabetica di esempi, Pre­ tiosae mortes iustorum ex variis, probatisq. auctoribus collectae (Romae, typis Iacobi Mascardi, 1627 : l’articolo « Philippus » è alle pp. 437-50, con incluse notizie sull’assistenza prestata dal santo a morenti) e le Memorie sacre delle Sette chiese di Roma e di altri luoghi che si trovano per le strade di esse. Roma, G. Mascardi, 1630, in due volumi. Diede a luce, con aggiunte ma anche con alcune omissioni, la fondamentale Roma sotterranea, opera postuma di A ntonio B osio. Roma, Guglielmo Facciottl, 1632; e dell’opera stessa curò una versione latina, conser­ vata autografa nel cod. Vallicelliano G. 18, e stampata postuma, da P aolo A ringhi, Roma subterranea novissima. Romae, Blasius Diversinus et Zanobius Masottus, 1651. Si vedano il catalogo /S. Filippo Reri e il contributo degli oratoriani alla cultura italiana, cit., pp. 50-54, nn. 10S, 110-116 ; e, in particolare per l’opera archeologica, Cecchelli, Il cenacolo filippino e l’archeologia cristiana, cit., pp. 23-24; F erretto, Rote storico-bibliografiche di archeologia cristiana, cit., pp. 157-62; Giuseppe B ovini, Rassegna degli studi sulle catacombe e sui cimiteri « sub divo». Città del Vaticano, P. Istituto di archeologia cristiana, 1952 («C o l­ lezione Amici delle catacombe », X V III) pp. 18-22. Il Severani depose anche nel terzo processo, il 13 sett. 1610. Si legge il suo necrologio tra quelli del Galletti, da libri di S. Maria in Vallicella : « 1640. prid. eal. martii [29 feb.] f R . P. Iohannes Severanus de S. Severino in Piceno cong.is Oratorii pbr., çt. 76. V i l i », cod. V at. lat. 7879, f. 109. Nell’ A ringhi è la biografia in due redazioni, cod. Vallicelliano O. 58, ff. 444-453 v ; cf. anche Giovanni Carlo Gentili, De ecclesia Septempedana libri III, pars secunda. Maceratae, ex officina A . Mancini, 1837, pp. 293-94. 1528 Camillo Borghese, il futuro Paolo V , abitò da prelato e anche dopo la sua creazione a cardinale (5 giu. 1596) la grande casa avita presso l’ Orso, acqui­ 17

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    3 ottobre 1600. [240] Giovanni Severani. ff.593-594

    poi a Roma, a posta per entrare nella Congregatione, che sono circa dodeci anni. E t mi abboccai con il santo p. Filippo, per dimandarli, per essere ricevuto nella detta Congregatione, e, nell’accostarmi al detto padre, mi sentii tutto commovere, et il padre mi accarezzò, pigliandomi per l ’orecchio, come soleva fare, et mi disse, se io volevo stare a Roma ; et io li rispose, che, essendo in Congregatione, sarebbi stato dove voleva sua reverentia. E t mi replicò, che haverebbe parlato con li deputati, et mi diede bona intentione, et mi diede alla protettione del p. Flaminio Riccio. E t ritornai a casa, et, in San Severino, fui ricevuto nella Congregatione nella quale son stato sino adesso. E t sempre ho havuto il detto p. Filippo in concetto di santo, et desideravo di vederlo, et haver la sua beneditione, et non hebbi gratia di poter venire. Ma spesso havevo nova di detto santo padre, et son stato semper curioso di sapere le opere sue, et ho inteso dire che ha fatto di molti miracoli, quali non li so, perchè non mi sono trovato in Roma, nel tempo che sono stato in Congregatione al paese. Solo, mi son trovato presente de una gratia ricevuta per il p. Germanico, de un pericolo che campò, mediante l ’aggiuto del detto santo padre. I l qual pericolo fu, che il p. Germanico, da tre anni circa, andava, con il s.r card. Tarusio, a Mantova, et io li fece compagnia dalla Muccia 1529 fino a Tolentino. E t, essendo vicino a Tolentino circa cinque o sei miglia, li cascò il cavallo sotto, per esser la strada giacciata, et il cavallo non poteva agrapparse. E t, volendo smontare, io vidi, che, nel voler scendere dal cavallo, diede, con il sperone, su la groppa del cavallo et lo ferì, che usciva il sangue. E t il cavallo se inarberò et non potette cavare l’altro piede della staffa, et, così saltando il cavallo et tirando calci, lo trascinò, quanto de qui alla chiesa nostra in circa, che poi essere circa cento passi, andando verso il fiume Chiento, sin che [f. 594] a detto p. Germanico uscì il piede dalla staffa et lo lassò lì in terra, E t io, con un p. Pietro et altri cortegiani del s.r cardinale, pensavamo che fosse morto et mal trattato, et si levò da sè in piede et caminò molti passi, senza male alcuno, et poi montò a cavallo, et non si sentiva, se non doler un poco da una gamba, et disse: « io non ho niente ». E t, essendo detto p. Germanico molto intrinseco del sodetto padre santo Filippo, ho tenuto et tengo, che Ί detto santo padre lo liberasse et che, per mezzo di detto padre santo, il p. Germanico fosse liberato da questo così gran pericolo ; che, veramente tutti ci pensavamo, che fossi morto, o ver stroppiato. E t poi ho inteso, dal detto p. Germanico et da altri, che, ogni mattina, se raccommandava al detto santo padre, et che, quella mattina, si era

    stata dal padre, la « domus Burghesiorum », Orbaan, p. 27 n.; Pio P ecchiai, La ne L’Urbe, IX, 1944, pp. 18-25. Soltanto nel febbraio 1605, quasi alla vigilia della sua elezione a pontefice, acquistò neU’avvallamento di Campomarzio l’incompiuto palazzo già appartenuto allo spagnolo card. Pietro Deza, per farne la nuova splendida dimora della famiglia, Orbaan, p. 11S n. ; Pastor, v . X II, pp. 652-53; T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, p. 169. 1529 Muccia, comune del Maceratese, a metri 450 sul mare ; lo sormonta, a nord-ovest, il Monte di Muccia (m. 948), Giulio A madio, Toponomastica Marchi­ giana, vol. IV : Provincia di Macerata. Ascoli Piceno, Società tipolitografica editrice, 1955, p. 74 nn. 460-61.

    vita di un prelato romano non ancora ventenne (Camillo Borghese),

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    9 ottobre 1600. [241] Angelo V ittori, ff. 594-595

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    raccommandato assai, et che tiene essere stato liberato per mezzo del detto santo padre. E t non mi occorre altro, per adesso: se mi occor­ rerà qualche altra cosa, io lo dirò. E t, di più, vi dico, che io son prete, et ho celebrato questa mattina, nella chiesa nostra alla Vallicella.

    D IE L U N A E 9* M E N S IS OCTOBRIS 1600

    [241] Examinatus fuit, in officio etc., magnificus et excellens d.nus A n ­

    gelus Victorius 1530 de Balneoregio, medicus, alias examinatus, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit: Altre volte, io mi sono essaminato in questo cansa et negotio : nel quale essamine io disse tutto quello che allhora m’ occorse, al quale essamine mi riferisco in tutto et per tutto, ratificando tutto quello, che in esso ho deposto. Hora, mi occorre, di novo, di dire « de palpitatione cordis et admirabili fractura costarum » del detto beato p. Filippo Nerio, fondatore della Congregatione dell’ Oratorio ; sopra la quale ho fatto un compendiolo, o vero un trattatello, contenuto in questi fogli, li quali ve li consegno ; quae folia consignavit, mihi notano, tenoris

    infrascripti, videlicet : De palpitatione cordis et admirabili fractura costarum beati Philippi Nerii, fiorentini, Congregationis Oratorii Eomae fundatoris, brevis tractatus, ab Angelo Victorio a Balneoregio, medico romano, aeditus, ad ilLmum et rev.mum d.num d.num Caesarem Baronium presbiterum cardinalem amplissimum. Ill.m o et rev.mo d.no d.no Caesari Baronio S. R . E . presbitero car­ dinali tituli Sanctorum Nerei et Achillei, Angelus Victorius balneoregiensis. Tractatum meum de cordis palpitatione et costarum admirabili fractura beati nostri p. Philippi Ner ii ad te mitto. Apud quem homini in Coelum recepto sanctitatis testimonium dare non alienum esse duxi. Nam praeterquam quod disciplinae institutique eius vere alumnus extitisti, nihilque te latere potuit quod divinitus in eum infusum esset, non ignoras etiam quam me familiariter idem sit usus. Huc accedit quod et ipse in te colendo atque observando nemini concedo, et tu me pro singulari humanitate tua non parum diligis. Quare hoc, quidquid est, tibi tot nominibus debitum persolvo ac fidem meam libero. Neque vereor quin tibi et per te caeteris tui similibus idest viris optimis et religiosissimis sententiam meam probem. Divina te miseratio, per quam in cardinalium ordinem assumptns es, Ecclesiae suae Sanctae operam strenue navantem, multos annos servet. [f. 595] Tractatus de palpitatione cordis et fractura costarum. Beatus Philippus Nerius, Florentinus, Congregationis Oratorii funda-

    1530 Angelo Vittori (comparso già il 4 sett. 1595 e il 24 ag. 1599, testimo­ nianze 40 e 229) approntò, successivamente, tre stesure del trattato sulla palpi­ tazione di cuore e sulla rottura delle costole di s. Filippo : la prima, contenuta nella presente deposizione, con dedica al card. Cesare Baronio ; la seconda contenuta nella deposizione dell’8 giu. 1610 (334), ff. 972-988, con dedica ai padri della con­ gregazione dell’ Oratorio; la terza, pubblicata a Roma nel 1613, nell’opuscolo già ricordato nella nota 180, e con dedica al card. Federico Borromeo.

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    9 ottobre 1600. [241] Angelo V ittori, ff. 595-596

    tor, a iuventute boni habitus fuit et salubris, in senectute gracilis, in omni aetate circa victus rationem valde moderatus, hilaris vultu, iucundus in sermone, ac sacrae doctrinae studiis valde assiduus. Qui cum annum ageret aetatis suae trigesimum, et religioni vehementiori studio operam navaret, suppliciterque Spiritum Sanctum quotidie invocaret, ut sibi eius dona impartiretur, interdum totus quasi ignitus, divini amoris contemplatione, tam valido atque excedenti fer­ vore succensus fuit, ut id perpeti ac sufferre cum minime posse animad­ verteret, humi statim sic coactus prosternitur, quasi aliquam nimio ardori quaeritaret refrigerationis medelam. Hinc extuberans quid, in eius pectore, circa sinistrum latus, ad contracti pugni magnitudinem, absque aliquo sensu doloris, aparuit oculis omnium intuentium ab eo tempore conspicuum. Non multo post, dum abundantius solito contemplationis dulcedine caperetur, fervere cor, exultare ac palpitare cepit. Quae palpitatio beatum virum, nunc intentius, nunc remissius sollicitavit, prout ipse aliquando resipiscens voluntarie mentem distrahendo vehementiam palpitationis compescebat. Atque ita perseveravit usque ad annum sui obitus octuagesimum. Haec singula, dum beatus senis morborum causas percontaret, ab ipsomet verecunde dictante audivi. Facta deinde eius corporis sectione, multis clarissimis viris praesen­ tibus, haec reperta sunt. P rim um : in parte anteriori thoracis, in qua illa extuberatio videbatur, costae duae ex mendosis, quinta videlicet et quarta, omnino fractae visae sunt, et, quod mirum dictu est, ex tanto temporis intervallo, nondum aliquo modo unitae. Venimus instanter ad cor, tamquam ex illa admirabili costarum fractura signatum, quod majus solito invenimus, eiusque substantiam solito duriorem ac solidiorem. Auricolas cordis naturales. Perichardium, idest capsulam cordis, sine aqua : solet enim ibi naturaliter reperiri. Venam arterialem duplo maiorem et duriorem. Pulmones a naturali statu parum vel nihil dissimiles. Caput non sectum fuit. Hepar nihil erat immutatum. E t quae spectant ad generationem, propter tanti viri honestatem, consulto omisimus. Haec est historia a me fideliter conscripta hora 2 noctis, dum corpus secaretur, in eius ecclesia Sanctae Mariae in Vallicella, septimo Kalendas Junii M D X C V . Inter caetera, quae digna consideratione, ex hac historia, colligun­ tur, sunt assidua, dum beatus Philippus viveret, cordis palpitatio et evidens ac perennis, cum fractura costarum, partis sinistrae pectoris elevatio. [f. 596] E x facta sectione corporis, cor solito maius repertum, capsula cordis sine aqua, et vena arterialis duplo maior. E x quibus omnibus, morborum naturaeque ordinem excedentibus, occasio nobis datur investigandi, an praeter naturam haec, in optimo sene, tamquam corporum mala, vel omnino supra naturam, et afflatu quodam divino, sint sequuta. Pro quorum faciliori intelligentia, causas sigillatim et occasiones inquirere oportet, ut, ex his, quomodo corpo­ rum affectiones sequantur, innotescat. Quod commodius fiet, si prius ab ipsa palpitatione exordiam ur: est enim cum ea horum symptoma­ tum tanta series et connexio, ut, haec cognita, facile etiam cuique sit de caeteris iudicare.

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    9 ottobre 1600. [241] Angelo V ittori, ff. 596-597

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    A palpitatione igitur exordiendo, primum sciendum est quod, licet aliquae nostri corporis particulae a quadam dicta palpitatione inter­ dum offendantur, non est, de qua nunc loquimur, eiusdem speciei pal­ pitatio, sed cor ipsum est praesentis palpitationis subiectum, tanquam id, quod facilius ab huiusmodi dispositione sollicitetur, cum habeat et cavitates et meatus commodiores. Neque haec cum naturali motu cordis quidquam habet commune, nam, quo tempore cor, una cum arteria, secundum naturam, pulsare bis sentitur, quinquies fere, praeter naturam, accessionis tempore, cor palpitare percipitur: ex quo, ille, qui motus naturalis est, operatio dicitur ; haec, quia praeter naturam est, affectus nominatur. Aliqui etiam cordis palpitationem perperam cum tremore confundunt: distat nam ab ea tremor loco, causis, et essentia, quae, brevitatis gratia et tamquam non praesentis speculationis, omittuntur. Haec palpitatio, de qua loquimur, fit, in principe facultate vitali, a quibusdam cum celeritate replentibus substantiis, quas necesse est aëreas, halituosasque esse, non tamen exiguas, non tenues, quia sic facile consumerentur, transfluerentque, antequam huiusmodi malum crearent. Neque voluntariae virtutis propria esse potest, sed vis cuius­ dam praeternaturalis : nam, si vis naturalis insita foret, quae eo modo distendi, dilatarique partes, ut in palpitatione solet, committeret, ut unicuique bene habentibus et semper inesset, cuius contrarium clare reperitur. Atque sic elici potest, quod cordis palpitatio est motus praeter naturam, elationis et dilationis, ab halituosa crassarum partium sub­ stantia petente exitum, nulla impellente voluntate. Causae, autem, palpitationem efficientes vapores sunt flatuosi, [ f . 597] in finibus cordis inclusi et excitati, vel qui ad cor, vel ad eius partes vicinas importantur, prout ab aliquo viscere caeterisque corporis partibus male dispositis proficiscuntur, ex quibus, per arterias, in cor fuliginosi vapores subeunt. Similes sunt causae ab antiquis celebratae, a sanguinis copia im ­ moderata, ab humore aqueo et nimio in perichardio, vel ex adnato tubercolo, quae singula, sua mole, cor et premere et affligere valeant. Irritatur etiam extrinsecus hoc malum a crapula, venere, balneis et similibus, interdum ex horum contrariis. Corpora, deinde, quae simili modo subiaceant, sunt aliquando quae callido, sepius quae valde frigido constant temperamento, et declinan­ tes aetate et pituitosi et malencolici. Cum igitur haec cordis palpitatio ex variis, ut vidimus, causis ortum ducat et varios homines plus minusve occupare soleat, rationi quoque consonum videtur, ut aliqua ex his, a nobis recensitis, optimum senem, in via naturae, praeter naturam tamen, ut alios, invadere potue­ rit ; propterea opportunum fore videtur, singula vel saltem aliqua exa­ minando, ex iis veritatem elicere. E t, prime, si causam, quam veteres in sanguinis exuperantiam refe­ runt, consideremus, animadvertemus admirabilem senem, summae gra­ cilitatis et omni tempore sobrium, copiosiorem sanguinem, ad huius effectus generationem, producere minime potuisse. Nec ex copioso humore aqueo in capsula cordis evenit, veluti iis qui,

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    9 ottobre 1600. [241] Angelo V ittori, ff. 597-599

    sic oppressi, tim idi ac tristes sunt, suffocationem timentes ; nam hila­ ris, dum vixit, semper fu it, et certiores nos facta sectio reddidit, quia humor in pericardio nullus adfuit. A t quod tuberculum aliquod infixum huiusmodi malum posset in­ ferre, iure merito dubitatum est, quoniam, ex tactu et visu, extuberatio, ad ovi gallinacei magnitudinem, in parte, sub qua vocata palpitatio sentiebatur, apparebat, at nullum inesse tuberculum ex loci sectione novimus, solum fractura costarum aderat, de qua supra notatum est, et, posterius, suo loco dicetur. Alienae sunt quoque, ab hiis, causae, quas crapula, otiosa vita, repletio et crassi nebulosique vapores inducunt: nam hic meminisse oportet cor tanti viri et quod vicinum inerat, quod ad hoc pertinet, naturale repertum, ipsumque viventem inedias passum et laboribus deditum. Neque per consensum a toto, sive aliqua viscerum occasione [f. 598] vel quacunque intemperie sollicitabatur, quia singularum par­ tium operationes paululum saltem fuissent immutatae, calores quoque, febres, anhelationes, vel partium dolores, manifeste, adstantibus omni­ bus et praesertim nobis, qui senis optimi curae per multos annos inter­ fuimus, de se significationem praebuissent. Praeterea sensatio tristis et aliud symptomatis genus cordis palpi­ tationem concomitari solet, quae numquam in eo visa su n t; quinimmo admirandum, quod, sicuti iis, qui talia patiuntur, noxia est futurae accessionis cogitatio, senex sine molestia, quanto intensius ei palpitatio recurrebat, tanto vehementius dulcedine excessu speculationis capie­ batur. Aperte igitur apparet a quacumque relata causa senis affectum provenire non potuisse, nec quidquam cum caeteris commune habuisse, quod clarius demonstravit Galenus V de loc. affect, cap. 2°, qui nemi­ nem a palpitatione cordis, quae praeter naturam fit, vexatum vidit, qui ad senectutem pervenerit. A t senex admirabilis, non solum ad senium vitam, sed usque ad decrepitam, cum integris sensibus, ad annum octuagesimum, cum hac vocata palpitatione produxit. E x his fateamur necesse est, hanc beati senis longius distare ab omni alia palpitatione, eique palpitationis assignatam definitionem non convenire, quod magis ex hac demonstratione confirmatur. Palpitatio senis erat voluntaria, quandocumque et ad libitum compescebat ; ergo non erat praeter naturam, ergo supra naturam, quod ex Galeno colli­ gitur 2° de causis symptomatum cap. V , asserente palpitationem nullo modo esse voluntariam. Causae igitur beatum virum exercentes non fuerunt, ex relatis, neque ex inescogitabilibus, si dentur, in via naturali, praeter naturam, sed excrescens in corde divini amoris insuperabile incendium, ex quo cor excitabatur, inflammabatur et exultabat; atque ita, multiplicatis spi­ ritibus, dum modum ac limites ii transcendebant, cogitationes illas divinas, ad humana divertendo, compescere cogebatur, quod ad libitum, ut id multis videre licuit, faciebat. Naturalibus, ergo, remediis, prout medici operantur, non curaba­ tur haec affectio, sed cogitationibus et diversionibus voluntariis : auxilium profecto [f. 599] divinum et vix excogitatum ac auditum.

    Concludamus, igitur, quoniam causas non habuit naturales, ex quo

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    9 ottobre 3600. [241] Angelo Vittori, ff. 599-600

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    medico artifici sensato, cuius potentia non se extendit ultra corporalia, eas reddere non licuit, et, quoniam fuit voluntaria, beati senis palpi­ tatio extitit supra naturam. Hactenus de cordis palpitatione. De admirabili fractura costarum Nunc in animo est costarum admirabilem fracturam quamobrem sequuta sit detegere, eodemque loco, brevissime, reliqua a me proposita explicare; sed, quoniam,"ut accidere solet, reperiuntur aliqui, qui costas fractas habeant et ex hoc difficultas oriatur, an haec fractura, de qua loquimur, beati Philippi habeat aliquam cum illis communionem et effi­ ciatur praeter naturam, an sit omnino differens et supra naturam, propterea id diligenter est perpendendum. Pro cuius maiori elucidatione haec prius adnotentur. Quod non casus, non percussio, aut aliqua externa violentia costas illius fre g it; non paulatim , sed subito, atque ex improvviso, repertae fractae sunt, ut ex historia notatum e s t; non dolor, non inflammatio, aut quid huiusmodi subsequutum est. Quod vir Dei erat in contemplando assiduus et, dum excedebat, maximam refrigerationem expetebat. H is notatis, explicandum quoque venit, quomodo, in via naturali, praeter naturam fieri possit disruptio, et costarum fractura ; at prius necesse est breviter tangamus quae et quot sint costae in homine, quibus alligentur et quae rumpi ac frangi valeant. Etenim ex Anathome demonstratur, quod in homine, ut plurimum, costae utrinque sunt duodecim ; septem superiores, quae vertebris et pectoris ossi articulantur ac connectuntur atque istae ossee sunt ; quinque humiliores seu inferiores, quae spuriae vel mendosae dicun­ tur, quia solis vertebris compinguntur et, cum usque ad os pectoris non pertingant, non ossee, sed, in cartilaginem degenerantes, cartilagineae vocantur. Sciendum quoque est, quod, quidquid costis interceptum circumscriptumque venit, thorax dictum. Anterior autem thoracis pars pectus est, cuius latitudo, ubi costae coarticulantur, os pectoris nuncupatur. Quibus sic constitutis, omittendo omnes alias fracturarum species, tamquam ad rem nostram non facientes, de illa tantum loqui intelligimus, quae fit in costis, simul et semel in duo fragmenta transversim. [f. 600] Franguntur autem costae vario modo praeter naturam, ut casu, percussione, denique omnium externarum violentiori incursu, ex quo incidantur, elidantur, atterantur et conquassentur. Iam adnotatum est quod haec, de qua loquimur, beati F ilippi fractura non ab externa aliqua violentia contigit: propterea non est de his disserendum. Sed neque ex interna causa id fieri potest, quod nunc facile demonstratur. Si enim intrinsece id fieret, quia non aliunde quam ex vi alicuius intrin­ seci morbi necessario emanaret, non tam cito ac repente factum, sed paulatim , ut, in via naturali, praeter naturam, contingere in morbis solet, fatendum est. Non desunt tamen qui, ex vehementiori cordis motu, tanquam ab intrinseca causa, costas rumpi ac dimoveri posse contendunt. E t, cum in beato viro, a summo contemplationis fervore, subita pectoris elevatio visa sit et praecipue in sinistra parte, qua cor sentitur, ut, simul cum fervore, etiam vehementior cordis motus adfue-

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    9 ottobre 1600. [241] Angelo V ittori, ff. 600-601

    rit, qui palpitatio dicitur, non tunc temporis cognita, sic insinuant, quae elationis pectoris et fracturae costarum fuerit in causa, quod, pro­ fecto, sicuti est incredibile, sic, etiam, ab antiquioribus, quod sciam, numquam fuit adnotatum. Huius, tamen, opinionis fuit nostri temporis Fernelius,1531 vir doctissimus, cap. ultimo lib. V de part, morb., quem sequuti sunt Eustachius,1532 Rudius Bellunensis 1533 cap. 3 lib. 2 de vir­ tutibus et vitiis cordis, Nicolaus Piso 1534 lotaringius cap. X I lib. 2 suae praxis, et Carolus Petra Alba 1535 Placentinus cap. X I I I de vera forma medicinae. Inquit Fernelius : Palpitationis tanta vis est, ut saepe sit animad­ versum thoracis vicinas costas effregisse saepe et eas quae supra mam­ mam sunt de propria sede depulisse. Cui opinioni breviter possumus satisfacere, quod elevatio pectoris in beato Philippo et fractura appa­ ruit prius, quam palpitatio illum sollicitarit, ut ex historia adnotatum est : ergo non potuit ex palpitationis vi pectus elevari, cum non adesset. E t si instatur, quod vere inerat palpitatio, sed incognita adhuc et inci­ piens persistebat, dicemus incipientem palpitationem costas quassare sua debili virtute non potuisse, ut recte colligitur ex verbis dicti Fernelii, sed confirmatam et validam oportere, cuius tanta vis est, inquit ut saepe costas effregerit. Praeterea Fernelius intelligit quod vis palpitationis temporis spatio, non illico repentinoque modo rumpere possit costas, aliter est impossi­ bile quod cor, unica vice, sua vi id efficiat, quod vix aliquo duriori [f. 601] externo, impetuosoque instrumento fiat. Si quoque verba Fernelii recte considerentur, quae sunt de cordis affectu, inquiens thoracis vicinas costas effregisse vis palpitationis, necesse est costas vicinas cordi intelligere, aliter improprie loqueretur, cum sciamus omnes costas esse thoracis, sed aliquas, et non omnes, esse cordi vicinas. Prope cor, autem, sunt costae, ex illis septem superiori­ bus osseis, quae frangi possunt : ergo de istis annuit necessario Ferne­ lius, non igitur de quinque inferioribus mendosis, quae a corde elon­ gantur, quarum duae effractae erant in beato Philippo. Demum, quod haec, de qua loquimur, beati senis costarum fractura nihil commune habeat, non solum cum ea, quam a vi palpitationis fieri

    1531 Jean Fernel, nato ad Amiens nel 1497; celebrato professore a Parigi, nel 1534, fu uno dei maggiori rappresentanti della medicina galenica, e ricercato medico pratico, anche di Enrico II ; morì il 26 apr. 1558, lasciando numerose opere, A u g u st H irsch , Biographisches Lexikon der hervorragenden Arzte aller Zeiten und Volker. 2. A ufl. Bd. 2. Berlin-Wien, Urban & Schwarzenberg, 1930, p. 505. is32 Bartolomeo Eustachi, di San Severino Marche, il celebre anatomista, morto il 27 ag. 1574; era stato medico personale del card. Giulio della Rovere, con il quale prese ad abitare in Roma dal 1549, tenendo l ’insegnamento alla Sapienza. La tradizione lo fa amico di F., Capparoni, Profili bio-bibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, cit., pp. 33-37. 1533 Eustachio Rudio, di Belluno, dal 1599 alla morte, nel 1611, lettore di medicina pratica a Padova, H irsch , op. cit., Bd. 4. Berlin-Wien, 1932, p. 911. 1534 Nicolas Lepois, nato a Nancy circa 1527, morto nel 1590, H irsch , op. cit., Bd. 3. Berlin-Wien, 1931, pp. 746-47. 1535 Carlo Pletralba, piacentino, ma di origine germanica, medico illustre ai servizi di Margherita d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, e del figlio duca Alessandro Farnese, M en si , Dizionario biografico piacentino, cit., pp. 335-36.

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    9 ottobre 1600. [241] Angelo V ittori, ff. 601-602

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    Fernelius retulit, sed nec etiam cum alia quacumque praeter naturali causa in medium allata, facile probatur. Omnes similes disruptiones et fracturae, quoniam cum maxima evidentique fiunt continui solutione, inflammationes, febres, sanguinis expuitiones, vel dolores, saltem tristem aliquam sensationem coneomitari necesse est. A t nos omnes, ex facta corporis beati senis sectione, costas quartam et quintam, in anteriori parte thoracis, omnino fractas et ita disiunctas, ut pars a parte distaret, conspeximus : iudicium, pro­ fecto, quod, ab eo tempore anni eius trigesimi, sic disiunctae permansere, prout tactu, ipso vivente, turgide ac elevate persistentes sentiebantur. Nihilominus, beatus senex, nec a principio, nec in posterum, similes dolores nec tristem sensationem persensit. Im m o, post acceptam pectoris extuberationem, potius gaudium, exhilarationem, animique voluptatem degustavit.

    Non, ergo, praeter naturam id, non vi terrena hoc contigisse, in via naturali ; arduum enim, praeter facultatem universae naturae, existit, ut costas frangantur, saltem sine dolore. Divinitus, ergo, et supernaturaliter factum et iudicare et fateri debemus. Haec, profecto, satis esse deberent, pro huius admirabilis fracturae narratione : ad maiorem, tamen, declarationem atque ut eo magis in hoc beato sene manifesta sint quae voluerit, sua potentia, Deus operari, haec pauca addantur, quod duae costae, quinta scilicet et quarta ex mendosis, permiserit frangerentur et disrumperentur atque sic fractae et disiunctae permanerent, quod naturaliter fieri est impossibile, prout rationibus et auctoritate magnorum virorum facile demonstrabitur. Rationi congruum videtur, ut id possit elidi ac frangi [f. 602] quod osseum est, at quod cartilagineum ac molle existit talia non patiatur, sed tantum valeat incurvari ac plicari. Quod etiam vere costae, ut adnotavimus, septem illae superiores quamplurimis hominibus abrumpantur, quia osseae sunt et frangantur, quia rationabile est, facile credendum, quod etiam Hippocrates notavit lib. de Articulis. Sed quod, in parte anteriore thoracis, costae inferiores, nempe ex illis quinque, quia sunt molles, cartilagineae et mendosae, fractionem et rupturam patiantur, quia est impossibile, nec creditur, nec Hippocrates, ut breviloquus, id adnotare voluit. Docuit tamen id Paulus Aegineta lib. 6 cap. 96, quem sequutus est Avicenna lib. 4 cap. primo. E x costis, osseae quidem, in­ quit Paulus, omni in parte rupturam substinent ; spuriae, autem, in ea tantum, quae spinae adiacet: nam hic solum osseam habent n aturam ; in exteriore parte, in cartilaginem degenerantes, contunduntur, nullam fracturam percipiunt ; nullam vides cartilagineas costas suscipere posse fracturam. Nihilominus, beati Philippi viventis costae mendosae, in anteriore parte pectoris, fractae erant, quod nemini unquam accidisse nec visum est, nec auditum, excedens id omnino facultatem totius natu­ rae, quia, naturaliter, cum non sint osseae, cuius proprium est frangi, sed cartilagineae, tantum curvari, ut diximus, et plicari debeant. Accedit, praeterea, ex hoc, supernaturalis effectus et quia, dum vixit, semper adfuit illa fractura costarum et illae duae costae sic dis­ iunctae transversim repertae sunt, quae, ita longo temporis spatio, vel uniri, vel aliquo saltem callo obduci consonum erat ; prout quoque ipse Hippocrates lib. de artic. testatum, inquiens : Corroboratur costa diebus

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    9 ottobre 1600. [241} Angelo V ittori, ff. 602-604

    viginti ; celeriter, enim, M s ossibus calli obducuntur. A t, in admirando sene, fractae et disiunctae costae, non dies viginti vel quadraginta, sed a trigesimo suae etatis anno usque ad octuagesimum (ut sectio nos docuit) permanserunt. Mirandus vivens pater non, tamen, voluit sic apparere ; effectus isti erant supernaturales et occultabantur, quia, ipso vivente, nobis fere impossibiles reddebantur. Nunc, ex sectione eius cor­ poris, sunt cogniti. Etenim cor voluntarie exultabat et palpitabat, tem­ pusque naturaliter statutum palpitatio excessit. Frangitur quod non debet nec p otest; manent costae quinquaginta annos disiunctae, quae solent viginti diebus uniri. Denique cum gaudio erant, quae summo dolore debebant, [f. 603] Ob nimium contemplationis excessum, baec beato seni parata sunt, quoniam cor eius, dum in fervore erat, valida re­ frigeratione egebat ; nec satis, quam natura producere solet. U t commo­ dius, ergo, et cumulatius pulmones, per quos cor ipsum eventatur, aequa­ le refrigerium calori nimio praestare possent, illis maior sinus, cordi domicilium amplius mirabiliter paratus est. Propterea vena illa arte­ riosa duplo maior solito inventa est, ut elaborati sanguinis, pro cordis nutritione, copia solito maiore ad pulmones translata, aliorum spiri­ tuum, secundum proportionem, in contemplatione deperditorum, solito amplior ac perennis fieri posset restauratio. Hac etiam de causa, humor in capsula cordis non est repertus : solet enim ei humiditas tanta inesse, quanta satis est extuanti cordi in medelam, quia, ob nimium calorem, ex vehementioribus et continuis meditationibus absumebatur. Cordis, autem, magnitudo excreverat, ad fervorem et spirituum concursum, tem­ poris processu, intensissimi caloris aucta copia. Sic, quoque, illius duri­ ties aucta est, ut spiritus tenuiores numerosioresque, veluti ardentes flammae accensi, exuperantes, tuti intus contineri valerent; atque sic, ut huiusmodi motus perennis foret, costas miraculose disiunctas ac pa­ tentes reperimus. H ic aperte fatendum est, quod de rebus humanis phi­ losophice loqui et secundum opinionem possumus, sed ita, quorum auctor Deus est, cum vim naturae excedere intelligamus, non secundum opinio­ nem, sed secundum ipsam veritatem et intueri et confiteri debemus. Non ut gloriemur in homine, quia facit mirabilia solus Deus, sed ut, in quo Deus voluit operari, ipsum demonstremus. Ipso igitur vivente, quod numine fruebatur divino audistis ; nunc quae post mortem vestigia divinitatis permanserint audite. Anno ab eius obitu quarto, cum sepulcrum, corporis sui transferendi gratia, aperiretur, multis inspicientibus, omnia quae illum tegebant, ob loci humiditatem, computruisse visa sunt ; corpus eius integrum reper­ tum est, quod nulla arte nullaque conditura fuerat ibi repositum, sed percipue pectus, in quo fuerat animae sedes, colore candidum et con­ tactu molle et vidimus et [f. 604] palpavimus, fere ut recentis cada­ veris : signum, profecto, summae divinitatis. V olu it enim Deus id prae­ servare, sub quo cor residebat, praecipuum inquam animae domicilium, ad auditum Dom ini, toto eius vitae cursu, summo fervore exsultans ac humiliter obediens. Atque, sicuti linguam recentem et rubicundam sancti Antonii de Padua servavit, quam sanctus Bonaventura a Balneoregio, doctor Ecclesiae, in manibus devote recipiens, sic effatus e s t: « O lingua benedicta, quae semper Deum benedixisti, et alios benedi­ cere docuisti, nunc praecipue cernitur quanti meriti fueris apud Deum » ;

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    18 ottobre 1600. [242] Francesco M. card. Tarugi. ff. 604t605

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    sic quoque beatus senex, cuius merita apud Deum conspicua sunt, beata aeternaque requie fruitur gloriosus cum Sanctissima Trinitate, cui sit semper laus bonor gloria. Amen. Haec Angelus Victorius a Balneoregio, medicus romanus, explicuit. E t affermo et confermo quello che si contiene in detti fogli per la verità. D IB M E R C U R II 18a M E N SIS O CTOBRIS 1600

    [242] Examinatus fuit Romae, in domo suae solitae residentiae, videlicet

    in aedibus Sanctorum Apostolorum / in quibus ad praesens moratur, ill.mus ac rev.mus d.nus Franciscus Maria Taurusius,1536 tituli Sancti Bartholomei S. R. Ecclesiae cardinalis Senensis nuncupatus, qui, medio iuramento, tacto pectore etc., more ill.morum d.norum cardinalium, dixit ut sequitur, videlicet: Oltra le altre cose, che io ho detto nelli altri mia essamini, mi ricordo, che nostro signore Clemente papa Ottavo, raggionando meco intorno al santo p. Filippo, mi ha detto, più volte, che Ί detto santo p. Filippo, retrovandosi sua santità in letto con la chiragra, non poteva stare, per il gran dolore che sentiva, arrivò detto santo p. Filippo (forse, andato a posta per questo) ed entrando nella camera di sua santità, vedendolo, comenzò sua santità a dire, che non si accostasse. E t che detto santo p. Filippo si accostava, a poco a poco, al letto, dove era sua santità, et entrò dentro li cancelli del letto. E t nostro signore comenzò di novo, gridando : « non vi accostate, non mi toccate » [f. 605] et il detto santo padre d isse: « n o n d u b ita te » ; et, accostatosi, li pigliò la mano, dove era il dolore della chiragra, et la strense, dicendo: « n o n d u b ita te». E t che, subito il nostro signore, doppo che il detto santo p. Filippo l ’ hebbe tocco, si sentì guarito, in quello instante. E t questo, non solo 10 ha detto a me nostro signore, ma ad altri s.ri cardinali della con­ gregatione delli essamini de V escovi,1537 come il s.r card. Rusticuccio, 11 s.r card, di Verona, il s.r card. Camerino, il s.r card. Antoniano et il s.r card, di Fiorenza, Borromeo, Parravicino, et Bellarmino, in presentia mia, che sono della medema congregatione. E t, in oltra, mi ricordo che, un giorno, essendo io in S. Giovanni de Fiorentini et il santo padre stava a S. Hieronimo, fu condotta a Roma a In Vat. lat. S798, in A. III. 4% ed in A. III. 48 dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, Vantazione del card. Fr. M. Tamigi è indicata come segue : « videlicet in aedibus ill.mi et exc.mi d.ni contestabilis de Columna, prope SS. Apostolos, in quibus etc. ».

    1536 Terza deposizione di Francesco Maria Taru gi; si vedano le note 17 e Il palazzo d ’abitazione era quello propriamente dei Colonna; sul quale T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, pp. 171 n. 29. Si veda anche la nota 1512, sul palazzo cardinalizio dei Ss. Apostoli. 1537 La Congregazione degli esami dei vescovi, istituita da Clemente V i l i nel 1592, formata da diversi cardinali, da un prelato segretario e da un certo numero di esaminatori, tra cui il Maestro del S. Palazzo, P astor, v . X I, pp. 458-59; N iccolò D el R e, La Curia romana; lineamenti storico-giuridici. 2. ed. Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1952 (« Letture di pensiero e d ’ arte »), pp. 138-39. 1383.

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    19 ottobre 1600. [243] Agostino Boncompagni. ff. 605-606

    una giovana, del regno di Napoli, quale era spiritata. E t fu condotta dalli suoi parenti al santo padre in S . Hieronimo et il santo padre si conferì a S . Giovanni de Fiorentini, alla qual chiesa lo sequitò anco la detta spiritata, et in S . Giovanni de Fiorentini vi era la Congregatione. E t, essendo in una stantia vicino alla chiesa, il detto santo p. Filippo la scongiurò, et, mentre la scongiurava, li dava con una frusta o ver disciplina, mettendosi detta disciplina nel dito et battendo la detta spiritata : non ostante che Ί padre santo, con la sua natura, non fosse solito di torcere un capello a lli animali, non tanto alle persone; ma, volendo convincere il demonio, faceva questo et la detta spiritata diceva, parlando per spiratione del demonio : « ammazzatela, dateli et ammaz­ zatela ». E t, al fine, la liberò dal spirito maligno, et si partì, del detto loco presso la chiesa, liberata. E t io vi fu i presente, che detta spiritata, instigata come è detto, dal spirito, si metteva sotto il santo padre, per ricevere le botte, quali li dava sopra la camiscia, acciochè l’ammazzasse, dicendo le parole so d ette:« datemi, ammazzatemi » . E t, come ho detto, fu , in quello instante, liberata : et questo fu in una stantia separata, vi­ cino alla chiesa, dove ci forno molti altri presenti, tra li quali mi ricordo, che vi era il p. Germanico.1528

    DIE IOVIS 19a OCTOBEIS 1600

    [243] E xa m in a tu s fu it R o m a e , in officio e t c ., d .n u s A u g u stin u s B o n com pag n u s , 1 1539 alias in h uiu sm odi causa exa m in a tu s, qui, m edio iura8 3 5 m e n to , tactis e t c ., ad in terrog a tion es o p p o rtu n a s, d ix it :

    [f. 606] Io mi sono essaminato un’altra volta, in questo negotio, et mi referisco al primo essamine, et confermo, quanto in esso si contiene. E t mi soviene, hora, che io dissi, quando nostra madre, a ll’hora chia­ mata Gemma, adesso Maria Felicita, fu menata, del mese di settembre, l’anno 1594, se ben mi ricordo, in casa della bona mémoria della s.ra mar­ chesa Rangona, per vedere, se si voleva far Christiana, et che non si fece a ll’ hora, che il santo p. Filippo disse, subbito che lo seppe : « non si farà Christiana » , et altre simili parole. Non mi ricordo, se mi dichiarai bene, et se disse tutto quello, che il santo padre a ll’ hora disse. Però, hora, dico, che il beato padre non disse sarà Christiana adesso, ma piut­ tosto un’altra volta, quando sarà ritornata dentro. « Non è ben per voi ». E t non disse, che non si sarebbe fatta Christiana, ma che non si sarebbe fatta a ll’ hora, ma un’altra volta. I l che tutto si verificò, perchè, ancorché fossero fatte tutte le diligentie possibile, acciò si battezzasse, mai si volse fare Christiana : tanto, che fu di novo rimandata al Ghetto. Si fece, poi, l ’anno 1599, del mese di febraro, se ben mi ricordo. E t si vede, che, in tutto questo, il santo padre hebbe lo spirito profetico, in dire, che non si saria fatta a ll’ hora, ma un’altra volta. E t da questo ne

    1538 Germanico Fedeli già depose il fatto della spiritata d ’Aversa, f . 131; si veda la nota 445. 1539 Seconda deposizione di Agostino Corcos-Boncompagni, già comparso il 26 ag. 1595 (21).

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    19 ottobre 1600. [243] Agostino Boncompagni. £. 606

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    è nata la conversione delli soi figliole et di tutta la sua fam iglia. I l che è successo miracolosamente, essendo contro ogni nostra aspettatione, et per via insolita. La qual cosa non saria successa, se fusse a ll’ hora de­ chiarata Christiana, perchè li soi figliole, essendo maritate, sariano partiti di Roma, con li loro m ariti. M a, per permissione de D io, doppo il suo ritorno al Ghetto, da lì a un anno o più, in circa, morsero, in quindeci giorni, tutti doi li sua generi, et così rimasero vedove, con doi figlioli per una. E t noi, come avunculi di detti pupilli, cominciammo a pretendere la loro tutela. E t così, sotto questa pretensione, ottenem­ mo di poter levare dal Ghetto li detti putti, et, poi, le loro madri, le quali tu tti si dichiarorno Christiane et, dechiarate, dimandorno la loro et nostra madre Gemma, la quale se ne era fugita, per paura di non esser di novo presa, et fu arrivata a Senegaglia, miracolosamente, il giorno avanti se havesse a imbarcare per la volta di Yenetia, et poi in Turchia. La quale si trovava con doi soi nepoti, figlioli de un altro suo figliolo hebreo, chiamato Salvatore, adesso Michelangelo ; et, così, con questi doi putti, fu rimenata a R om a.1540 E t il s.r card. Santa Severina,1541 subbito seppe, che questi putti erano venuti a Roma, disse, che lo Spirito Santo l ’ haveva fatti venire, poiché lui si sentiva spinto a far cosa, che

    1540 h fatto avventuroso si trova ricordato nelle cronache contemporanee. Un Avviso di Roma, 30 genn. 1599, supplemento, reca : « L ’hebrei che insieme con la hebrea che fecero fuggire sene erano partiti da Roma sono stati da un C orr.[ier]° speditovi apposta aggionti vicino a Macerata, et vengono condotti qua pregioni », cod. Urb. lat. 1067, f. 86. L ’ atto coercitivo s’intende con la rigo­ rosa legislazione e pratica, che furono rinforzate sotto Clemente V i l i , circa la tutela dei catecumeni e neofiti provenienti dalFebraismo e di coloro sui quali essi potessero esercitare qualche diritto. Si veda anche la nota 287, aggiungendo :

    Les juifs à Rome aux XVIe XVIIe et XVIIIe siècles; documents et notices recueillis dans les archives de Rome, nella Revue des études juives, t. II, 1881, pp. 278-89; Charles D ejob, Documents tirés des papiers du cardinal Sirleto et de quelques autres manuscrits de la Vaticane sur les juifsi des États pontificaux, nella rivista ora cit., t. IX , 1884, pp. 77-91; Ettore Natali, Il ghetto di Roma, vol. I. Roma, Stabilim. tip. della Tribuna, 1887, pp. 238-59; e G. B lustein, Storia degli ebrei in Roma dal Ufi av. Or. fino ad oggi. Roma, A ntonino B ertolotti,

    P. Maglione & C. Strini, succ. di E. Loescher & c. [1921], pp. 142-44. 1541 Giulio Antonio Santori, casertano, dal 1566 arcivescovo di Santa Seve­ rina in Calabria; creato cardinale il 17 mag. 1570, da s. Pio V , con il titolo di S. Bartolomeo in Isola, che tenne fino al 20 feb. 1595; morì il 7 giu. 1602, vescovo di Palestrina (la data, attestata dall’ iscrizione sul monumento funebre a S. Gio­ vanni in Laterano, F orcella, v . V i l i , p. 51, n. 136, e confermata da un Avviso di Roma del giorno successivo, in Roma, X III , 1935, p. 229, è stranamente e in maniera diversa errata da più autori). Egli lasciò alcuni noti documenti di carattere personale: l’Autobiografia, cit. più volte, edita da G. Cugnoni, in Arahivio della Società romana di storia patria, X II, 1889, pp. 327-72, e X III , 1890, pp. 151-2C5 ; il Diario concistoriale, edito da P ietro T acchi V enturi, S. I., in Studi e documenti di storia e diritto, X X III, 1902, pp. 297-346, X X IV , 1903, pp. 73-272, XX V , 1904, pp. 90-135; e «L ib ri delle mie private udienze», dati a conoscere con estratti d a l, Pastor, v . V i l i , pp. 619-22. Ma poiché l’Autobiografia si arresta al 1592 e il Diario concistoriale pubblicato si estende dal 1570 al 1576, manca una sua memoria diretta del fatto narrato nella presente deposizione. Si conosce, del resto, la ferma energia di questo cardinale, che ebbe grande auto­ rità negli affari di curia durante più che un trentennio; sotto Gregorio X I I I e Clemente V i l i è detto prefetto di una congregazione « Pro animarum conver­ sione ». Appartenne all’ Inquisizione e resse anche l’ufficio di penitenziere mag­ giore, Chacon-Oldoini, Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. I l i , cit., col. 1042-44.

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    270

    20 ottobre 1600. [244] Giovanni Francesco Bucca, ff. 606-607

    non ha fatto mai, doppo ha ta l carico, di far pigliare ancora il padre. E t, così, poi, al fine, si risolsero tutti a farse christiani : nella qual con­ versione si battezzorno dodeci, li quali, nissuno di loro, per quanto si giudicava, si sarebbono battezati, se lei, a ll’ hora, se fosse dechiarata Christiana. E t questo è quello, che io voglio dire, per quello mi soviene che mi ricordi.

    D IB V E N E R IS 20» OCTOBRIS 1600

    [244] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in officio e t c ., d.n u s Ioa n n es F ran ciscu s B u c c a ,1542 rom a n u s, alias in causa huiusm odi exa m in atu s, qu i, m ed io tur a m en to, ta ctis e t c ., ad [f. 607] op portu n as in terrog a tion es, d ix it :

    Io mi sono essaminato un’altra volta, in questa causa, et confermo tutto quello che ho detto, et, di più, che, dell’anno 1577, del mese di set­ tembre overo ottobre, Hersilia del Sodo,1543 mia moglie, hebbe una grandissima infermità, con febre, come diceva m .s Thomasso V a n ­ n in i,1544 medico, hoggi vescovo, che la medicava, che la teneva per spedita. E t era tutta persa, et le mie. sorelle, che son morte, et mia madre, similmente, et la madre di essa Hersilia, non la poteva susten­ tare. E t perchè doleva perderla, andai o mandai a chiamare il p. Filippo· Neri, il quale era mio confessore de molti anni, et li portavo grandissima affettione et devotione, et li haveva gran fede. E t venne detto padre, e,, gionto in casa mia, disse, a tutti di casa, subito : « non dubitate, che guarirà; non serà niente, per questa v o lta » . E t, accostatosi al letto, dove stava detta mia moglie, li pose le mani in capo, et disse certa ora­ tione, et, se ben mi ricordo, « super aegros etc. » . E t, subito partito esso padre, si sentì grandissimo megìioramento et si minuì grandemente il male, et, fra pochi giorni, fu guarita a fatto. Questo subito meglioramento et tanta presta sanità, essa mia moglie et tutti di casa mia lo tennero per miracolo, fatto dal detto padre. E t, un giorno o doi nanzi che detto padre venisse in casa mia, m.s Francesco del Sodo, fratello di detta mia moglie, mio cognato, disse a quelli della Compagnia della Pietà, della natione fiorentina, per esser detta mia moglie figlia de fio-

    1542 Seconda deposizione di Giovanni Francesco Bucca, già comparso il 28 ag. 1595 (24). 1543 Comparsa il 24 ott. 1595 (102). 1544 Tommaso Vannini, medico, fu graziato con 50 scudi d’oro da Grego­ rio X III , il 1° nov. 1579, Pio P ecchiai, Alcune spese di Gregorio XIII, in L’Osser­ vatore romano, anno 80°, num. 23, 27 genn. 1946; e prestò l’opera alla Compagnia della Pietà della nazione fiorentina, come da mandati degli anni 1580-1594, Micheloni, Un archivio inesplorato. L’aroiconfraternita di S. Giovanni dei F io ­ rentini, cit., in Humana studia, ser. II, a. I, 1949, p. 177. Egli risulta essere stato uno degli archiatri nei conclavi seguiti, nel 1591, alle morti di Gregorio X IV e d’ Innoeenzo IX , Marini, v . I , pp. 458-59. Venne eletto, il 21 mag. 1599, vescovo di Avellino, e morì il 5 mag. 1609, Giuseppe Z igarelli, Storia della Cattedrale di Avellino e de’ suoi pastori, v. I. Napoli, Stamperia del Vaglio, 1856, pp. 297-301 (questo autore, che lo fa eortonese, certo erratamente, e V ittorio Capponi, Bio­ grafia pistoiese o notizie della vita e delle opere dei pistoiesi illustri ... Pistoia, tip. Rossetti, 1878, p. 384, ignorano la sua professione antecedente di medico; come il Marini, stranamente, la promozione a vescovo).

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    25 ottobre 1600. [245] Loys Ames. ff. 607-608

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    rèntini : « domani serà bissogno che la Compagnia venga a compagnare mia sorella alla sepoltura, che credo, che sarà morta ». E t questo è quanto mi occorre.

    D IE M E R C U R II 25» O C TO B R IS 1600

    [245] Examinatus fuit, Romae, in officio etc., Aloysius A m es,1545 ande-

    gavensis, aetatis annorum octuaginta sex in circa, alias in praesenti causa examinatus, qui, medio iuramento, tactis etc.: Io mi sono essaminato un’ altra volta, in questo negotio et causa, et me referisco a tutto quello che ho detto, et lo ratifico, perchè, quanto ho detto in esso essamine, è la verità. M i occorre dirvi, di novo, et dechiarare quel mio essamine, nel quale disse, che, trovandome io a S. Hieronimo, nella camera del beato p. F i­ lippo Nerio, erano doi di suoi figlioli spirituali, del detto beato p. Filippo : li quali, uno mostrava esteriormente gran mortificatione, et l’altro no. E t il beato padre domandò, a quelli che erano lì presenti, qual delli dua havesse da perseverare : o quello che mostrava mortificatione, o l ’altro, et nissuno li seppe respondere. E t il beato padre disse, che ha veva più fede di perseveranza a quello, che non mostrava mortificatione che a quell’altro : li quali erano lì presenti, et io li cognoscevo. So il nome de uno che è vivo ; l ’altro non so se è morto. I l vivo si chiama Ludovico, francese, et l’altro era italiano ; il francese stava con il card. Montepulciano, et l ’altro con il card. Santa Fiore ; et l’ italiano era quello, che mostrava mortificatione. De lì a doi mesi in circa, l ’ italiano domandò licenza al beato p. Filippo, che voleva andare a [f. 608] N a ­ poli, et il beato padre li disse, che non ci andasse, che sarebbe preso da Turchi. E t lui ci volse andare, et fu assaltata la barca, et lui non sapeva notare, et saltorno in mare. E t, de lì a doi mesi o tre in circa, 10 rividdi per Roma, questo italiano, mal vestito et mal arrivato, et li domandai dove era stato. E t lui mi raccontò, che era andato, contra la voluntà del beato Filippo, a Napoli, per barca, et furno assaltati da 11 Turchi per la strada, et, per salvarsi, si buttorno in mare, et lui non sapeva notare ; et che, essendo nel mare, sotto acqua, il beato p. Filippo lo prese per li capelli, et li teneva d etto: « non dubitare », et lo con­ dusse alla riva del mare a salvamento. D elli altri, che erano con lui, io non li domandai. E t non l ’ ho mai più visto, se non quella volta ; et lo trovai in Banchi, a l’ entrata de Banchi, presso il palazzo de l ’ Alberini : et questo fu nella fine del pontificato di Pavolo Quarto et alias prout

    in documento priori exammine facto, sul· die quinta octohris 1595, quod a dictis verM s: che trovandome io in S. Hieronimo cum reliquis, usque ad ver5a presso il palazzo delli Alberini et questo fu nella fine del pon­ tificato di Pavolo Quarto fuit eidem testi, pro maiori ipsius reminiscen­ tia et recordatus, lectum, et, approdando ea quae dixit, prout dictum est, dicens: Io approvo et affermo quanto dissi a ll’ hora, che è quello, che mi havete letto adesso.

    1545 Seconda deposizione di Loys Ames, già comparso il 5 ott. 1595

    (67).

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    29 novembre 1600. [246] O ttavio card. Parravicini. f. 608

    Quello che m i occorre adesso dichiarare, è che, a ll’ hora, quando io mi essaminai, dissi di un francese, che si chiamava Ludovico francese, che stava in casa di Montepulciano ; et, per bon rispetto, et per non mostrare la mia vanagloria, che il padre santo mi laudava, che sarebbe perseverato, dissi del modo che mi havete letto. Ma la verità è, che quel francese io ero Pistesso, che sono Aloysio, o ver Ludovico, che, in nostro linguagio, Aloysio et Ludovico è tutto uno. Però vi dico et replico, che io ero quello, che si trovò con quello italiano, che stava con Santa Fiore, come ho detto, et il padre santo disse, a quelli gentilhomini, che stavano ivi presenti : li quali mi ricordo haverli specificati, che furno l ’arcivescovo de A v i­ gnone, a l ’hora seculare, il s.r Giovanni B attista Salviati, et m .s A n to ­ nio Fuccio, medico, et altri, che non ricordo. E t l ’arcivescovo de A v i­ gnone, quando mi essaminai, a ll’hora, era arcivescovo, et hora card. Tarusio. A lli quali il santo padre disse : qual delli doi havesse da perseve­ rare, o quello che mostrava mortificatione, o l’a ltr o : et quello, che mostrava mortificatione, era l ’ italiano ; l ’altro ero io, che ho detto, che si chiamava Ludovico francese, che stava con il card. Montepulciano. E t il padre santo mi volse honorare, dicendo, che io sarebbe perseverato, et non l ’italiano ; et, questo, non lo disse a ll’ hora, ma la verità è, che io sono quello, come vi ho detto. E t ho pensato, dopo il mio primo essamine, se mi fosse potuto recordare del nome di quello italiano, et non mi è mai venuto a mente, et non l ’ho visto p iù ,1546 da poi che li parlai in Banchi. E t, per prima, io l ’ havevo, più volte, visto in camera del padre santo Filippo, qual veniva insieme con il p. Costanzo Tassone, maggiordomo del card, de Santa Fiore. I l quale mi ricordo, che, quel giorno, si trovò in detta camera, con li altri nominati Tarusio, Salviati, et Antonio Fucci, et altri ; et quasi ogni dì venivano lì dal santo p. Filippo.

    D IE M E R C U R II 29* M E N SIS N O VE M B R IS

    1600

    [246] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in aedibus suae solitae resid en tia e, R e ­ g ion is P in e a e, p e r m e e t c ., ill.m u s et r e v .m u s d .n u s d .n u s O cta viu s, m isera tion e divin a, titu li S a n cti A le x ii S . R .E . p resb iter cardinalis P ara vicin u s 1547 n u n cu patu s, qui, m edio iu ra m en to, tacto p e c to r e ,

    1546 Si è congetturato nella nota 649 che questo italiano potesse essere Girolamo della B ella ; sul quale si veda anche la 1197. 1547 Ottavio Parravicini, o Paravicini secondo la grafia dei documenti con­ temporanei, nacque a Roma, circa il 1552, da famiglia originaria lombarda (regesto di vari strumenti, anni 1565-1579, in I acovacci, « Repertorio di famiglie », cod. Ottobon. lat. 2552, pp. 369-371; e cf. A mayden-B ertini, v . I I , pp. 137-38). Il padre, Giovanni Michele (morto nel 1565 e sepolto in S. Maria della Pace, F oroeli,a, v. V , p. 495, n. 4307) era amico di F ., per indicazione del quale fu assunto Cesare Baronio precettore in casa Parravicini, C alenzio, pp. 21-24. Il fanciullo e adolescente crebbe, così, in domestica consuetudine con l’Oratorio. Eletto il 5 mar. 1584, da Gregorio X III , vescovo di Alessandria, e insediato dal metropolita s. Carlo Borromeo, Giuseppe A ntonio Chknna, Del vescovato, de’ vescovi e delle chiese della città e diocesi d’Alessandria, t. I. Alessandria, nella tipografia d ’Ignazio Vimercati, 1785, pp. 297-302; fu poi nominato il 19 sett. 1587, da Sisto V , nunzio in Svizzera, dove svolse opera eccellente di riforma della

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    29 novembre 1600. [246] Ottavio card. Parravicini. if. 608-609

    273

    m ore ill.m oru m et r e v .m o rù m d .n oru m cardinalium , ad verita tem testificandam e t p ro b a n d a m ’· circa vita m e t m ores adm odum r e v .d i p . d .n i F ilip p i N e r e i, fioren tin i, dum v iv e r e t p raep ositi C on g rega tio­ n is O ratorii sanctae m em oria e, con sign avit m ihi n otario fo liu m , m anu ip siu s ili.m i e t r e v .m i d .n i cardinalis scrip tu m , e t , sul· die 21a m en ­ sis o c t o n i s p r o xim i p ra eteriti su b scrip tu m , huiusm odi ex em p li, [f. 609] vid elicet :

    De vita et moribus Philippi Nerei fiorentini testimonium dicere in hanc diem distuli, cum iam in omnium animis et oculis adeo spectata esset ac nobilitata singularis eius virtus, religio, sanctimonia, ut con­ stanti hominum de illo opinioni nihil per me addi posse videretur. Attam en, ut in illustranda magis magisque veritate officium ipse meum praestem, ac mihimet ipsi aliqua ex parte satisfaciam, nunc tan ­ dem non possum non ingenue ac sincere de eodem aliqua summatim attestari. Notus mihi divina gratia esse coepit Philippus Nereus ab anno sexto circiter aetatis meae, a quo tempore conversatione et colloquiis illius familiariter ac assidue fruì datum est usque ad annum aetatis meae circiter vigesimum octavum, quo in Hispaniam oportui profisci. Toto hoc intervallo ac rursus post meum ad Urbem reditum, cum ipse plerasque huius viri actiones, motus, verba ob oculos haberem ac diligen­ tissime observarem, profunda cum humilitate, ardenti charitate in Deum ac in homines ornatissimum cognovi, ita ut totus esset in sui contemptu, in Dei veneratione et cultu, ac in hominum salute omni

    a In Vat. lat. 3198, in A. III. Ιβ ed in A. III. 48 dell’Archivio dell’Oratorio di Roma : « testificandam et propalandam ».*Si

    ■disciplina ecclesiastica, P astor, v . X , pp. 377-82. Creato cardinale il 6 mar. 1591, da Gregorio X IY , ebbe il titolo di S. Giovanni a Porta Latina dal 20 nov. 1591 al 9 mar. 1592, e poi fino alia morte quello di S. A lessio; il 9 ag. 1591 era stato nominato legato in Francia, ma l ’intervenuta morte del papa lo trattenne dalla missione. Fu uomo d ’ingegno e virtuoso, d ’ aspetto deforme, Chacon-O ldoini, Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. IV , col. 228-29. Il Galletti trascrisse, da libri di S. Maria in Monterone, il suo necro­ logio, posteriore d’un giorno alla morte : « 1611. 4 febr. f IU.mus et r.mus d. cardinalis Octavius Paravicinus ann. 55. Elatum [corpus] in ecclesia Iesu et sep. in ecclesia S .!Alexii cuius erat titularis. X L IY », cod. Vat. lat. 7875, f. 127 ; iscri­ zione sepolcrale, in F orcella, v . V II , p. 363, η. 739. Si ritrovano varie notizie su palazzi da lui abitati o posseduti. Un Avviso 17 lu. 1596 informa come « i l cardinale Paravicino s’intende habbia preso a pigione il palazzo, che era già de Maffei et hora della signora Camilla Peretti alla Ciambella », Orbaan, p. 56 η. 1 (si tratta certo della residenza dichiarata nella deposizione, in rione Pigna; e per la denominazione, G itoli, Topografia e toponomastica di Roma, pp. 74-75). « Casa del card. Pallavicino a Monte Gior­ dano » indica l’elenco spesso citato, databile dal 1601, T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, p. 168. Altro Avviso 22 mar. 1603 ragguaglia: « i l cardinal Paravicino se ne passa a star nel palazzo della Dohana, che haveva preso ulti­ mamente il cardinal Gesualdi, stando di partenza l’abbate di questo nome », O rbaan, p. 104 n. Un successivo in data 19 genn. 1605 porta, ancora : « il cardi­ nal Paravicino ha preso il palazzo de Vittorij per 900 scudi », op. cit., p. 359 n. Finalmente, in uno, scritto il 16 ag. 1606 si legge : « Il cardinal Paravicino ha compro per 20 mila scudi il palazzo de signori Rustici alla Valle, che era ulti­ mamente di monsignor Vestrio », op. cit., p. 75.

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    11 dicem bre 1600. [247] Giovanni B attista M artelli, ff. 609-610

    studio procnranda, erga pauperes ac infirmos mirum in modum solicitus, ad miseros et afflictos ope et consilio sublevandos maximo cordis affectu intentus, in precibus Deo fundendis maxima temporis parte defixus, iratus nunquam, nunquam aliquem contristari visus est. Missae vero sacrificium cum perageret, quod nullo unquam die, nisi forte vale­ tudinis necessitate compulsus, intermittebat, ita a sensibus in divina­ rum rerum contemplatione abstrahebatur, ut ego ipse, cum ei tunc in sacrificio ministrarem, eundem ad se, ne caeteri, prae nimia admira­ tione, commoverentur, revocare compellerer. Quas ipse in animo cogi­ tationes habuerim et quae me torquerent, ille saepius, mira cum suavi­ tate ac prudentia, indicabat se agnoscere, mihique opportuna pariter re­ media, pro re ac tempore, afferebat. Denique eorum ferme omnium quae de hoc beato viro Antonius Gallonius ornate ac diserte libello compre­ hendit, aeque me oculatum et certum testem ac quemvis alium esse vere possum affirmare. Gratias autem summas omnipotenti Deo plane habeo, quod singulari divinae benignitatis suae munere, talem mihi magistrum dederit, cuius preclarissima virtus in hoc orbis theatro spectatissima fuerit et de cqjus laudibus nulla unquam aetas conticescet. Ita attestor ego Octavius cardinalis Paravicinus, die X X I octo­ bres M .D .C . Quae om nia idem ill.m u s et r e v .m u s d .n u s cardinalis pro verita te d ix it d eposu isse et d ep on ere, eaque, u t praem issum e s t, pro verita te con firm avit, ra tifica va , et a pp rob avit, ac confirm at, ratificai, et a p ­ probat.

    D IB L U N A E l l a M E N SIS D E C E M B R IS 1600

    [247] E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in officio e t c ., p e r m e e t c ., m agnificus d .n u s Ioa n n es B a p tista M a rtellu s , 1548 filius q. Iu lii M a rtelli et q. L u ­ cretia e con iu gu m , firm anus, n otarius R o ta e , a etatis annorum quin­ quaginta in circa , q u i, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad opportu n as in terrog a tion es, d ixit :

    Io sono in Borna dall’ Anno Santo del 1575 in qua, et ho habitato, se­ dici anni continui, nel vicolo de Calabrache,1549 vicino alla piazza del card. Sforza, et vicino alla Chiesa nova di S . Maria in Vallicella, et ho cognosciuto il p. Filippo, quale conversava a S. Giovanni de Fiorentini, nell’oratorio di S. Giovanni de Fiorentini, et poi, continuamente, alla Chiesa nova, da che venni a Borna [f. 610] et non l ’ho mai parlato: ho ben udito le sue Messe et qualche sermone, et io l ’ ho tenuto per un

    1548 Giovanni Battista Martelli, marchigiano, di Fermo, depose una seconda volta in questo processo, il 28 apr. 1610 (290); e, nuovamente, nel terzo, il 27 ag. 1610. Si legge il suo necrologio, tra quelli del Galletti, da libri di S. Stefano in Piscinula: «1627. 20 nov. f D . Ioh. Bap.ta Martellus firmanus Sacrç Rot? notarius ann. 70 in via quç nunc dicitur S. Stephani et antea Calabrache. L X X X » ; e, dai libri stessi, anche quello della moglie : « 1621. 10 junii t D . Vir­ ginia Feltrii uxor d. Ioh. Bap.tç Martelli ann. 73. Sep. in sep. maior. L X X X » , cod. Vat. lat. 7878, ff. 155, 24. 1549 « Y ia Calabrache » si registra nel rione Ponte, circa l’anno 1600, Orbaan, p. 31 n. ; e corrisponderebbe a l moderno vicolo Cellini, G n o li , Topografia e topo­ nomastica di Roma, p. 44.

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    i.

    .. .

    V.

    I l dicem bre 1600. [247] Giovanni B attista M artelli, ff. 610-611

    275

    padre molto semplice et nascosto, nelle cose di Iddio, et adesso ho sco­ perto, che nascondeva la sua bontà. E t, sette over otto anni in circa, et nel principio del pontificato di questo papa, il s.r Hieronimo Cordella, di bona memoria, medico che è stato di questo papa, mio paesano et cordialissimo amico, un giorno, incontrandomi per Borna (che era suo solito, se non era impedito, tirarme nella sua carrozza) mi chiamò et, con gran maraviglia, mi disse : « Martelli, hoggi mi è occorso una gran cosa : questa mattina ho visitato uno infermo, alla Chiesa nova, di febre grande et pericoloso, et hoggi, ritornando a visitarlo, lo ho retro­ vato senza febre et guarito. E t, nel primo ingresso, dubitai, che quei padri non mi havessero fatto una burla, di levarme l’infermo et mettere un sano nel letto. E t, mirando lo infermo, lo pregai mi dicesse, se era lui quello, che io havevo visitato la mattina, et mi disse di sì. A ll’ hora, io considerai, che questa era stata opera de D io, poiché il suo male, per arte, doveva esser lungo o mortale ; et lo pregai strettamente, che mi dicesse il vero, come era passato. E t, storcendosi un pezzo, [disse] che arrivò da lui il p. Filippo, al quale il detto infermo, per la gravezza del male, et tormento, che li dava la febre, si raccommandò caldamente, che 10 volesse aggiutare, et così il detto p. Filippo lo consolò con bone parole. M a replicando le preghiere, li chiuse la porta, et li salì sopra il corpo, lo segnò et li fece oratione sopra et che, subito, si sentì libero dal male. E t, a ll’ hora, il detto s.r Cordella li disse : « rengratiate Iddio, che havete bon medico, et, nelle altre occasioni della infermità del luogo, non accade più chiamarmi, che non havete bisogno del medico ». E t, poi, detto Cordella parlò al p. Filippo, il quale, disse, che si misse a sorridere, et «he voleva continuasse la cura di casa. E t il Cordella mi disse : « Martello, questo è stato un gran miracolo, questo è un gran santo », et non mi specificò, chi fosse questo tale, amalato et infermo et guarito, come di sopra, miracolosamente, perchè io non lo ricercai.1550 I l quale Cordella, tirato da questa santità et questo miracolo, hebbe gran fede in detto servo de Dio, sintanto che, trovandosi egli ammalato a morte, qual non poteva fuggire, per una cancrena, che haveva nel membro, et che non ci era altro rimedio, che aventurar la vita, o con 11 ferro, o con il foco (che così discorreva lui stesso et li medici, et a questo io ero sempre presente) mandò a dire al p. Filippo, nelle ora­ tioni del quale confidava, che pregasse Iddio per esso. I l quale padre li mandò a dire, che li daria risposta ; la quale fu, doppo pregato per lui, che si dovesse tagliare securamente che camparebbe. E t così, con questa fiducia, constantissimamente, con l’assistentia de doi padri della V allicella, che li mandò il detto p. Filippo, si fece tagliare tutto il membro, et campò, et doppo fu fatto medico di nostro signore. E t questo tengo, che fosse più gran miracolo, che Ί primo, perchè si levò di letto, senza esser tenuto, et si fece tagliare, constantissimamente, da m .s [f. 611] Giuliano Cecchino.1551

    isso Narrando nuovamente il fatto, nella sua seconda deposizione, il teste dichiarò che il risanato era stato il giovane neofito Agostino Corcos-Boncompagni, f. 813. is s i Giuliano Cecchini, sabino, fu chirurgo di Gregorio X III , Sisto V, Cle­ mente V i l i , e servi in parecchi conclavi; eccellente nella sua arte, M abin i ,

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    16 gennaio 1601. [248] Artem io V annini, f. 611

    276

    Inoltre, mi occorre di dire che mad.a Lucretia C otta,*1552 figliola del q. m .s Bernardino Cotta, un giorno, disse, che il p. Filippo era un gran santo et era suo confessore. M i disse, che, una matina, sentendosi oltramodo gravata nel core da demoni, che crepava, fece chiamare il p. Filippo, nella Chiesa nova, et li disse il suo male et il suo dolore. E t il padre, con rossore di detta mad.a Lucretia, la fece allentare, da una banda, la veste, et le pose la mano sua, a carne nuda, nel luogo offeso, al cuore, et la tenne per più de un quarto d’ hora, et lei tuttavia, si sentiva alleviata, sin che passò quello affanno. E t che Ί detto padre, levata la mano, pose la detta mano al naso di detta Lucretia, dicendoli : « Lucretia, sente qua », et che lei sentì una puzza grandissima di solfo, che usciva da quella mano. E t questo è quanto mi posso recordare.

    D IE M A R TIS 16a IA N U A R II 1601

    [248] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in officio e t c ., p er m e e t c ., adm odum rev .d u s d .n u s A r te m iu s V a n n in u s,1553 filius q. B ernardini V an n ini e t Cassandrae con iu g u m , sen en sis, p r e s b y te r , aetatis annorum qua­ draginta quatuor in circa, qui, et m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad opportu n as inteì'rogation es, d ix it :

    Io son stato essaminato altre volte, in questo negotio, et mi referisco a quello che ho detto et deposto altre volte. E t, oltre di quello che ho detto, mi sovviene di dire, che, parlando, più et più volte, con m .s Theo Guerri, venuto da Siena, il quale, molte volte, si è confessato da me, mi disse, come li era apparso il p. Filippo. E t anco io lo fece essaminare in questo fatto, standone egli renitente, per la sua modestia, che non haveva pensiero più che tanto de dirlo, per esser lui vero servo di D io, et molto humile. E t il detto p. Filippo li apparve lì in Siena, quando lui morì, che erano molto amici. E t, di questo fatto, m .s Theo et io ne parlammo molte et molte volte : et questo fu, quando il detto Theo mel disse, intorno a cinque anni, qui in Roma. E t questo è quanto mi occorre : se mi occorrerà altro, lo dirrò.

    D IE

    V E N E R IS 1» M E N SIS IU N II 1601

    [249] E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in officio e t c ., adm odum ill.is et rev.d u s d.nu s Ia cobu s C rescen tia s , 1554 a lb a s S an cti E u titii, alias in causa huiusm odi exa m in atu s, qui, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ixit :

    Io mi sono essaminato, in questa causa, altre volte, et ratifico quello che ho detto. E t mi ricordo haver deposto essermi trovato presente, v. I, pp. p. 503, n. 1552 indicato,

    375, 442 e 461. Fu sepolto in S. Maria sopra Minerva, F orcella, v . I, 1939. Il fatto del Cordella si trova narrato da diversi : si veda la nota 210.

    La testimonianza scritta di Lucrezia Cotta, come anche poco sopra venne inserita nel processo sotto la data 29 apr. 1610 (294). 1553 Seconda deposizione di Artemio Vannini, già comparso il 23 nov. 1595 (128). 1 5 5 4 Quarta deposizione di Giacomo Crescenzl, comparso la prima volta il 15 nov. 1595 (119).

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    1 giugno 1601. [249] Giacom o Crescenzi. ff. 611-612

    277

    quando il beato Filippo riprese una persona, che non andava reale con il suo padre spirituale, essortandola a volerse confessare de tu tti li pec­ cati, et non volerli tacere, per vergogna, si come quella persona faceva. Cosa, che non era nota ad altri, che a Dio et a quella persona, et che, perciò, detto beato Filippo non lo poteva sapere, se non per revelatione di D io, si come, più ampiamente, ho detto in quello essamine, al quale mi riferisco. Hora, per maggior certezza et chiarezza di detto fatto, dico che io fui quella persona, alla quale detto beato Filippo scoprì il segreto et fece quella essortatione, si come, in detto essamine, più ampiamente, si contiene.1555 D i più, dico, che tuttavia mi certifico più della grandezza de meriti di questo beato [f. 612] padre, vedendo li miracoli, che, ogni giorno, Iddio N . S.re opera, per la sua intercessione, et la pietà, che moveno li huomini, tuttavia più, ad honorario et riverirlo, si come, in partico­ lare, ho visto in questa ultima festa, che si è celebrata nella sua festa, alli 26 di maggio prossimo passato, per la quale si sono celebrati li vesperi et Messe pontificali dall’arcivescovo d’ Avignone, con bellissima musica et apparato et grandissima frequenza di popolo et con l’ intervento di molti cardinali, cioè il card, di Verona, Fiorenza, Paravicino, Tarugi, Baronio, Bianchetto,1556 San M arcello,1557 D ossat,1558 Belarmino, Bonv isi,1559 Antoniano, et molti altri patriarchi, arcivescovi, vescovi et pre­ lati, li quali tutti ho visto, perchè mi trovai presente alli doi vesperi et alla Messa. E t non solo fu frequentata la chiesa, ma anco la capella, dove si conserva il suo corpo,1560 quella che era stantia dove habitava vivendo, con gran veneratione. E t, di più il s.r card. Baronio doppo il secondo ve­ spero, fece un sermone, in laude del beato padre, con l ’assistentia di detti ill.m i s.ri cardinali et arcivescovi et prelati. E t questa festa si è fatta ogn’anno, doppo la morte, sempre accrescendo. E t, doppo che io sono stato guarito, ho trovato, che la devotione è cresciuta et cresce tuttavia. E t, in particolare, mi sono accorto, per una capella bellissima, che hora fa fabri­ care, in honor suo, il s.r Nero Neri, con tanta richezza, che io ne resto stupito, incrostata de diaspri, et agathe et matreperle et lapislazari et altre belle pietre. E t io son stato male un anno, et tengo di esser guarito,

    1555 II teste aveva narrato il fatto nella sua seconda deposizione, 11 7 giu. 1597, ff. 531-532. SI veda anche la nota 1350. isse Lorenzo Bianchetti, bolognese, uditore di Rota, creato cardinale il 5 giu. 1596, con il titolo di S. Lorenzo in Panisperna; morto a Roma, il 12 mar. 1612, a sessantasette anni, e sepolto al Gesù, Forcella, v . X, p. 464, n. 751. iss? paolo Emilio Zacchia, di Vezzano Ligure, creato cardinale il 3 mar. 1599, da Clemente V i l i , con il titolo di S. Marcello; consacrato vescovo di Monteflascone, il 14 mag. 1601; morto a Roma, il 31 mag. 1605. isse xi francese Arnaud d ’Ossat, eletto vescovo di Rennes il 9 sett. 1596 e promosso a Baveux il 26 giu. 1600; creato cardinale, il 3 mar. 1599, da Cle­ mente V i l i , con il titolo di S. Eusebio; morto a Roma, il 14 mar. 1604, e sepolto a S. Luigi dei Francesi, F orcella, v . I l i, p. 32, n. 82. isso Ronviso Bonvisi, lucchese, chierico di Camera, creato cardinale il 3 mar. 1599, da Clemente V i l i ; ebbe la diaconia dei Ss. Vito e Modesto, dalla quale passò al titolo di S. Biagio dell’Anello, il 5 lu. 1599; arcivescovo di Bari, il 18 mar. 16C2, morì in sede il 1° sett. 1603. Iseo La piccola cappella sopra rimbocco della navatella destra dal transetto, dove il corpo di F . rimase fino alla traslazione nella nuova, il 24 maggio 1602. Si veda la nota 812.

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    278

    12 febbraio 1605. [250] Innocenzo card. Del B ufalo, f . 614

    per li meriti et intercessione del detto santo Filippo : che, già, li medici ne havevano persa la speranza, et, quando mi raccommandorno l ’ anima, io guarii, con la intercessione di detto santo. E t, per questo, ho portato un voto d ’argento, per la gratia ricevuta.15611 2 6 5

    [f. 614] D IB

    S A B A T H I 12» M ENSIS F E B R U A R II 1605 1562

    [250] E xa m in a tu s fu it ill.m u s e t rev.m u s d .n u s d .n u s In n o c e n tiu s, tituli S a n cti T hom ae in P arion e S . B . E . p resb iter cardinalis de B u b a ­ lis 1563 n u n cu p a tu s, annorum quadraginta in circa, qui, m edio iuram e n to , tactis e t c ., m ore ill.m oru m d .n oru m cardinalium , in aedibus eiu sdem ili.m i d .n i cardinalis, d ix it, u t in fr a :

    N ell’anno 1593 in circa, io ebbi cognitione dei beato Filippo Neri, della Congregatione dell’ Oratorio fondatore. Confessandomi da lui et praticando, anco, con lui nelle sue solite camere, dove dormiva, io restavo sempre molto consolato, et delli suoi boni documenti et ammaestramenti,

    1561 xi manoscritto C. I . 1 dell’Archivio dell’ Oratorio di Roma, porta, dopo la presente deposizione, una lista di luoghi da emendare, con il titolo : « Errata in rescribendo per eum, qui rescripsit. Et in auscultatione correpta, prout infra ». A l termine, è inserita la dichiarazione del notaio Pietro M azziotti: « Quia rev.dus d.nus Iacobus Butius, presbiter gallesanus, canonicus sacro­ sanctae Lateranensis Ecclesiae, publicus apostolica suprascripta auctoritate et in Archivio Romanae Curiae descriptus ac Visitationis Apostolicae s.m i d.ni n. Cle­ mentis papae V i l i fel. ree, notarius, suprascriptas testium depositiones et atte­ stationes, fol. 612, de mandato dictae Visitationis Apostolicae recepit illosque examinavit, ideo ego Petrus Mazziottus, civis romanus et in Archivio Romanae Curiae descriptus et Congregationis ili.mi et rev.mi d.ni Hieronimi cardinalis Pamphilii, s.mi d.ni n. Pauli papae V vicarii secretarius ac immediate successor in eodem officio q. Iacobi suprascripti, cum originalibus auscultatas et collationatas et facta collatione, cum erroribus, ut supra, annotatis et descriptis, ad veri originalis correctis, subscripsi et pubblicavi, signumque meum solitum et consue­ tum apposui requisitus etc., hac die 21» mensis Aprilis 1606 ». Una seconda lista si trova alla fine delle deposizioni « extra Urbem ». Altre liste proprie di « errata » contengono i manoscritti A . I I I . 42 e A . I I I . 43, ugualmente dell’Archivio dell’ Oratorio di Roma. 1562 Tra la deposizione precedente e questa, nei manoscritti C. I. 1, A . II I . 42 e A . I I I . 43 dell’Archivio dell’ Oratorio di Roma, è stato anche intercalato il documento che abbiamo già riprodotto nella nota 1518, circa la celebrazione della messa nella stanza-oratorio di F. 1563 Innocenzo Del Bufalo Cancellieri, romano (sulla famiglia, A maydenBertini, V. I, pp. 187-97), referendario delle due Segnature nell’ anno secondo di Sisto V , K atterbach, p. 180'; da Clemente V i l i , il 14 mag. 1601, fu eletto vescovo di Camerino, e il 25 maggio nominato nunzio in Francia, dove rimase fino all’ot­ tobre 1604. Creato cardinale il 9 giu. 1604, ebbe il titolo di S. Tommaso in Parione, che mutò il 1° giu. 1605 con quello di S. Marcello, il 30 genn. 1606 di S. Pudenziana e il 19 nov. 1607 dei Ss. Nereo e Achilleo. Mori il 27 mar. 1610, nel palazzo avito di residenza, a piazza Colonna, Orbaan, p. 10; e fu sepolto a S. Maria in Via, con busto e iscrizione, Chacon-Oldoini, Vitae et res gestae pontificum, romanorurn et 8. R. E. cardinalium,, t. IV , col. 356-57; Forcella, v . V i l i , p. 361, n. 857. Altro noto palazzo Del Bufalo è a Capo le Case, registrato circa l ’anno 1600 come « domus Bubalorum et vicus ejus nominis », Orbaan, p, 30 n.; Ia sua ricostruzione è attribuita al card. Innocenzo. Autografa, di questo, è nel codice A. I l i , 44, la firma alla fine della depo­ sizione.

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    12 febbraio 1605. [250] Innocenzo card. D el Bufalo, f. 614

    279

    che mi dava, et della sua essemplare et santa vita. E t, havendo inteso molti miracoli, fa tti, in vita et dopo morte, da detto beato padre, mi è parso debito mio, per non defraudarlo, attestar qui, per la verità, quello che mi è occorso. E t è che, in detto tempo deiranno 1593 o ’ 94, se ben mi ricordo, detto beato p. Filippo mi diceva, ch’ io haverei havuto un canonicato in S. P ietro: et perchè non ci conoscevo dispositione nissuna in haver detto canonicato, non essendo io nè stato, nè a ll’ hora servitore del papa, nè tampoco da lui, come credevo, conosciuto, io me ne ridevo ; et havendomelo più volte ratificato il detto beato p. Filippo, tanto meno io lo credevo. Tuttavia, dell’anno 1594, verso il mese di agosto, se ben mi ricordo, l ’ilLm o s.r card. Aldobrandino,lse4 a ll’improviso, senza mia altra instanza, o procuratione ch’ io havessi di ciò fatto, mi mandò a chiamare, ritrovandosi sua signoria illustrissima nel p a­ lazzo dei s.ri Colonnesi,1 15651 4 6 5 6et mi disse che sua santità haveva pensiero 5 di darmi il canonicato di S. Pietro, vacato per morte di mons. M affei,i5ee ehe, sebene sua santità non l ’ haveva affatto risoluto, tuttavia, che lui credeva, che io l ’ haverei havuto. Onde io, subbito, me ne andai dal detto beato p. Filippo, et li raccontai tutto quello che ho detto, occorso in presentia del s.r card. Aldobrandino, et pregai il detto beato padre, che volesse mandare dal detto s.r card. Aldobrandino, che volesse affatto far risolvere il papa per me. E t detto beato padre mi rispose, che l ’ haverei havuto senz’ altro, et, a detta instantia, ordinò al p. Angelo V elli, di detta congregatione, che volesse andare dal detto s.r cardinale, a far l’ uffitio da me richiesto. E t io, in quell’ istesso giorno, pigliai il p. Angelo, con me, in cocchio, et andassimo al palazzo dei s.ri Colon­ nesi, dove essendo arrivati, io trovai alcuni prelati, che si rallegrorno meco, che havevo havuto detto canonicato. E t, essendo io nelle stantie di detto s.r cardinale, uscendo detto cardinale dalle stantie sue, accom­ pagnando non so chi, principe o ambasciatore, nel ritornare, vedendomi, mi disse : « il papa ha già risoluto, che il canonicato sia di vostra signo­ r ia : però, dia la supplica, faccia fare la sua speditione » . E t così il p. Angelo predetto non parlò nè fece altr’ uffitio, ritornandosene a casa sua, che io me ne andai a baciare i piedi a sua santità della gratia. Hora, o il giorno seguente, o da là alcuni giorni, che non mi recordo bene, ritrovandomi con il detto beato p. Filippo, et mostrando di haver, come havevo, molta allegrezza di haver havuto detto canonicato, il detto beato padre mi disse, che questo non era niente ; che non mostrasse tanta allegrezza per detto canonicato, perchè questo papa mi haverebbe fatto anco cardinale. Del che essendomi io messo a ridere straordinariamente,

    1564 Pietro Aldobrandini, con tutta probabilità; il quale era appunto chiamato, usualmente, con il casato. « Cardinale di S. Giorgio » era detto Invece l’altro nipote, Cinzio: si veda la nota 1356. 1565 Nella calda estate 1594, il papa Clemente V i l i abitò 11 palazzo del Ss. Apostoli, P astor, v . X I, p. 671 n. 3. Erano con lui 1 due nipoti cardinali; e risultano indicate le « stanze » da essi occupate, T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, p. 172. 1566 Girolamo Maffei, canonico e vicario di S. Pietro in Vaticano, mori il 15 ag. 1594 « in oppido Mareni »; il corpo fu trasportato a Roma e sepolto nella cappella gentilizia alla Minerva. Il Del Bufalo prese possesso del canonicato il 28 ag. 1594 e lo tenne fino all’elezione a vescovo, cod. V at. lat. 10.171, f. 90.

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    280

    25 febbraio 1605. [251] Girolam o card. Pam philj. f. 615

    come di cose, non solo d’ inverosimile, ma di impossibile mi pareva, detto beato padre m i replicò l’ istesso, più volte, non solo quel giorno, ma anco molte et molte altre volte. E t, doppo che sono stato, per gratia di Dio et di sua santità, creato cardinale, ho saputo, che detto beato p. Filippo haveva detto l ’ istesso, più et più volte, a sor Silvia del B u falo,1567 mia sorella, monica in Tor di Specchi, con occasione che il detto beato padre, più et più volte, andava a confessar dette moniche in detto monasterio. E t questo, di mia sorella, mi è stato scritto in Francia, mentre lì io ero ; et lei istessa, poi, qui in Borna, mi ha detto et confermato ; et li miei fratelli m i hanno detto, che detta mia sorella tenevasi sicuramente, che io havesse a esser cardinale, per le parole del detto beato padre. Che, essendo qui venuto nuova di una infermità mortale, quale ho havuta in Francia, detta mia sorella diceva, che io non sarei morto altrimente, perchè bisognava, che, prima, havevo da esser cardinale, conforme alla predittione del [f. 615] beato p . Filippo. E t tutte queste cose io ho raccontate a più ill.m i s.ri cardinali et altre persone, doppo essere io stato fatto cardinale, come è cosa che mi è parso miracolosa. E t questo ho deposto per la verità, a gloria di Iddio et di esso beato p. Filippo. Ita deposui ego Innocentius tituli Sancti Thomae cardinalis de Bufalis.

    D IE 25» M E N SIS F E B R U A R II 1605

    [251] E xa m in a tu s fu it, p e r quem su pra , in palatio solitae h aM tationis et residen tiae ill.m i d .n i cardinalis P am p h ilii, idem ill.m u s e t rev .m u s d .n u s d .n u s E ie r o n im u s titu li S an cti B la sii de A n u lo S . B . E . p resh iter cardinalis P am ph iliu s 1568 n u n cu p a tu s, te stis e t c ., cui delato iu ram ento e t c ., et p e r eu m , tacto p e c to r e , m ore p rela toru m e t c ., d ixit u t in fr a :

    D ell’anno 1596, alii 6 d’ agosto, io mi esaminai nella medesima causa del beato p . Filippo Neri, fundatore della Congregatione dell’ Oratorio, dalla bona memoria del s.r Iacopo Butio, canonico Lateranense et notaro della V isita apostolica et havendo letto e riletto, sicome al presente leggo, il detto esamine, io, considerato tutto quello che ho detto in detto esumine, lo ratifico di nuovo, confermo, per mio giuramento, che tutto che si contiene in detto esame esser vero, et, come tale, da me deposto. E t, per non replicare il detto esamine, tutto quello che ho deposto l ’approvo, et mi rimetto, in tutto et per tutto, a quello da me deposto, come di sopra. Aggiungendo di più, hora che sono cardinale, una cosa,

    1567 Giulia, in religione Silvia, Del Bufalo, figlia di Tommaso e di Silvia de’ Rustici, prese l ’ abito a Tor de’ Specchi il 13 genn. 1584 e fece l’oblazione il 21 genn. 1585; fu procuratrice nel 1611, maestra delle novizie nel 1613 e camerlenga nel 1634, « Libro delle memorie » (Archivio della Casa di Tor de’ Specchi). I fratelli, che si menzionano qualche riga più sotto, furono Muzio e Quinzio, A mayden-Bertini, V. I , p. 191. 1568 Seconda deposizione del card. Girolamo Pamphilj, già comparso il 6 ag. 1596 (180). Alla fine della presente, nel manoscritto A . II I . 44 dell’Archivio del­ l’Oratorio, la firma è autografa.

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    5 aprile 1606. [252] Monte Zazzara. f. 615

    281

    la quale a ll’ hora tacqui, per non mostrar ambitione di haver profetia di cardinalato et di desiderare grado, che io non meritavo. E t questo è, che, riconciliandomi, una mattina, dal detto beato padre, che stava in letto ammalato, mi disse queste parole: « Tu voresti esser cardinale », et io risposi che non ci pensavo. E t soggiungendomi lui : « tu serai car­ dinale », io me ne ridevo, dicendoli: « et chi volete che mi faccia? ». E t il benedetto p. Filippo, due volte, mi d isse: « ti dico, che tu serai », senza aggiungermi altro. E t, per gratia di D io, senza ch’ io lo meritassi, et in tempo, ch’ io non lo speravo, è riuscita la sua profetia, et sono stato fatto cardinale. La qual dignità io la riconosco dalle orationi del detto beato p. Filippo : lo prego, che sia tutto a salute dell’anima mia. E t questo ho deposto tutto per la verità, a gloria di Dio benedetto et di detto beato p. Filippo etc. Ita est Hieronimus tituli Sancti Blasii de Anulo presbyter cardinalis Pamphilius.

    D IE V E N E R IS 5a M E N SIS A P R IL IS 1606

    [252]

    E xa m in a tu s f u it , in officio m ei e t c ., p e r m e e t c ., de m andato ut su p ra , d.n u s M o n te s Z a zza ra ,1569 fioren tin u s, alias in eadem causa exa m in a tu s, a eta tis annorum septu agin tadu oru m in circa, cui delato iu ra m en to et p er eum ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    M i pare due volte essere stato esaminato, et tre con questa, sopra la vita, attione et miracoli del beato p. Filippo Neri. Alle quali esamini io mi rimetto, et dico tutto esser detto per la verità, et al presente con­ fermo con mio giuramento. A n zi, aggiongo, alle cose già dette, alcune cose, che hora me ne ricordo, che son queste. Cioè, che, circa trenta o trentadue anni fa in circa, mentre detto rev.do beato p. Filippo habitava in S. Geronimo della charità, haver inteso dalli devoti, che erano della Congregatione, che era apparso un certo m .s Giovanni Animuccio, dopo morto, a un certo Alfonso Portoghese,1570 et, se ben mi ricordo, mi par anco haverlo inteso dire dal detto Alfonso, et l ’apparitione fu in questo modo, per quanto ho inteso, come ho detto. Che il detto Alfonso, uscendo dall’ Oratorio, et ritrovandosi da basso, nelle loggie, dove si raduna la Congregatione della Charità,1571 se li fece incontro il detto m .s Giovanni Animuccio, dicendoli: « ben, messer Alfonso, che si fa di sopra? è finita la congregatione? ». I l detto Alfonso li rispose: « signor si, è fin ita » , replicandoli il detto m .s Giovanni: « d ite al p. Filippo,

    1569 Quinta e ultima deposizione di Monte Zazzara, già comparso il 9 ag. 1595 (6). 1570 Costui, come detto a l termine della deposizione, aveva servito il card. Giovanni Ricci, e poi era stato « cameriero » di Gregorio X III (mancano, per verificare la notizia, i Ruoli di questo pontefice, nella serie della Biblioteca V ati­ cana). Egli morì avanti il 23 apr. 1610, secondo quanto asserì Marcello Ferro, f. 745. Il Gaixonio , Vita lat., pp. 126-27, riporta il fatto che segue, datandolo 9 genn. 1574, e come « acceptum » dal card. Tarugi. 1571 L a Compagnia della Carità, sulla quale si vedano le note 82, 148 e 396. Per quanto l’edificio sia stato alterato, si scorgono ancora i resti di questo log­ giato terreno.

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    282

    5 aprile 1606. [252] M onte Zazzara. ff. 615-616

    che preghi Iddio per me » , et così si licentiorno tutti due. E t il detto m .s Alfonso, havendo caminato circa quindici passi, fuor della porta di S . Geronimo, che se n’andava a casa, si ricordò, che il detto m .s Gio­ vanni era morto. E t, tornando a dietro, tutto spaventato, [f. 616] per vedere se lo poteva rincontrare et ritrovar p iù ; et il detto Alfonso, vedendo non haver trovato, nè più visto detto m .s Giovanni, seguitò il suo viaggio a casa. La mattina seguente, poi, nell’oratorio, ragionando con li divoti della congregatione, dove vi ero anco io, raccontò questo caso. E t alcuni li replicorno si come lo vidde et come andava vestito, et rispose il detto Alfonso di haver visto il detto m .s Giovanni, già morto, con il feraiolo, sin a mezza gamba, alla man mancina, perchè era man­ cino, con un paro di stivaletti bianchi, et un cappello d’ ermesino in te sta : et, in somma, lo descrisse in quella maniera dell’ andar et del vestir, che andava prima, quando era vivo. E t tutti noi altri della congregatione, havendo inteso questo, ci maravigliassimo, tanto più, che vedevamo il detto Alfonso spaventato, che pareva ogn’ hora haverselo dinanzi, et, per alcuni giorni, restò quasi stordito et fuor di sè. E t, udito questo, la congregatione determinò, che si dovesse far oratione per questa anima, che ne doveva forsi haver qualche bisogno. E t perchè il detto m .s Giovanni Animuccio era figliolo spirituale del detto beato padre, si giudicò che l ’orationi del detto beato p. Filippo fussero stato causa, di farlo andar a loco di salute et di poter dimandar quel sussidio, che si facesse oratione per lui. Questo Alfonso Portoghese era huomo conosciuto, servitore del card. Montepulciano, et poi fu cameriero della felice recordatione di Gregorio X I I I . A questo posso, anco, aggiungere un’ altra cosa di più maraviglia, che mostra esser vero servo di D io, et che haveva lo spirito profetico. Perchè, ritrovandomi io essere compagno di un Bartolomeo D otti, modenese, con il quale eramo stati assieme quarantasette anni, et ritrovandosi il detto Bartolomeo non haver figlioli, et haver un ufficio di scudierato aposto­ lico, et con haver io parecchi figlioli, li feci istanza, più volte, che volesse rinunziar il detto ufficio ad uno dei miei figlioli, con la ritentione delli frutti mentre viveva. E t replicandomi il detto Bartolomeo, più volte, che lo voleva far volentieri, et confessandomi dal beato p. Filippo, li con­ ferii questo negotio. M i replicò il detto beato santo padre : « non occorre che tu pensi a questo negotio, perchè non lo rinuntierà mai, quel suo ufficio » ; et così non fu altro per a ll’ hora. M a, di lì a due anni, il detto Bartolomeo ammalandosi di una febre maligna (et da tutti era tenuto, che di quella infermità dovesse morire, per esser così il male grave et la febre maligna) volsi, questo anco, conferirlo con il detto beato p. Filippo, dicendoli io : « Padre, questo Bartolomeo credo si morirà di questa in­ ferm ità, perchè ha la febre molto maligna, et tutti giudicano, che, senz’altro, si morirà » : et il detto beato p. Filippo rispose : « io vi dico, che questo Bartolomeo, di questa infermità, non morirà, ma guarirà, et l’ offitio non lo rinuntierà ; ma, poi, la prima infermità che li viene, lui si morirà senz’ altro ». Si come fu , et avvenne ogni cosa, come lui haveva predetto, che il detto Bartolomeo, quattro anni dopo la detta infermità, si amalò di un’altra infermità et morse, con vacar l’offitio, che haveva, al papa. E t, come ho detto, qui io vengo a scorgere et giu­ dicare il detto beato p. Filippo esser stato sempre huomo santo et vero

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    5 aprile 1606. [253] Giacom o Orescenzi. £. 617

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    283

    servo di D io, per havere lo spirito profetico, et tutto quello, che lui diceva, in quella maniera apunto succedeva. E t, certo, molte cose potria dire, che sono successe, del detto beato padre, ma, per il longo tempo, mi sono scordate : che, se mi verranno a memoria, piacendo al Signore Iddio, le dirò tutte, a gloria sua et del detto beato padre.

    [f. 617] E A D E M D IE V E N E R IS 5“ M E N SIS A P R IL IS 1606

    [253] E xa m in a tu s f u i t , u bi e t f e r quem su pra e t c ., adm odu m ill.is et r e v .m u s p . d .n u s Ia co b u s C r e sc e n tiu s,1572 n obilis rom a n u s, abbas S an cti E u titii V allis Gastorianae de N u rsia , N u llius seu Spoletan ae d io cesis, te s tis , a etatis annorum trig in ta sex in circa, q u i, m edio iu ra m en to , ta cto e t c ., d ixit u t in fr a :

    Non mi ricordo quante volte mi sia esaminato sopra la vita et miracoli del beato p. Filippo, ma credo sia la tertia, quarta o quinta volta. Siano quante volte si vogliano, che tutti li riconfermo et dico haver detto sempre la verità, et come tale deposte et hora tutte le riconfermo, come si fussero repetite « de verbo ad verbum ». M i pare, alle cose deposte come di sopra, sopra li miracoli del detto beato padre, aggiungere questo, che hora d irò.1573 Ohe, dell’anno 1598, se ben mi ricordo, essendomi stata data notitia, da un mio amico, chia­ mato m .s Leonardo Parasole da Visse, di un certo cimiterio nuova­ mente ritrovato, per quanto mi diceva, con molte reliquie di corpi santi, inscrittioni et altre belle antichità, mi condusse, una mattina, con esso lui et d. Pompeo Guiducci, dalle Prece, del contado di Norcia, a ll’ hora mio servitore, a una vigna, fuor di Porta Salara un buon pezzo. Dove arrivati, trovammo il padrone, che era amico di detto m .s Leonardo, il quale s’ offerse, cortesemente, guidarci per tutto, facendoci animo, che non dubitassimo di perderci, poiché egli vi era stato più volte, et vi haveva tanta prattica, come sopra terra. Allhora, stim olati dalla curio­ sità et confidati nelle sue parole, entrammo tu tti tre, dietro lui, in una buca, la quale era dentro la detta vigna, ricoperta di herbaccie, in ma­ niera, che, chi non la sapeva, non l ’ haveria mai avvertita. E t, havendo accesi due lumi, cominciammo a seguitar lui, il quale, per menarci tu t­ tavia in lochi più reconditi, ci faceva, talvolta, entrar in buche strettis­ sime, nelle quali a pena capivamo, serpendo a ll’imbocconi, et, da quelle, in altre, et poi in altre, che, se non havessimo confidato in lui, non haveriamo mai creduto poter trovare la strada d ’ uscirne. A lla fine, havendo caminato un gran pezzo, nè ritrovando quello, che ci havevano dato da intendere, mi risolsi (per la stracchezza, come, anco, per dubbio, che le candele, che erano gionte alla metà, non ci mancassero) a dire, che non

    1572 Quinta e ultima deposizione di Giacomo Orescenzi, comparso la prima volta il 15 nov. 1595 (119). 1573 h fatto che segue, dello smarrimento nel cimitero di Trasone, era stato già deposto da Leonardo Parasole (221) e da Pompeo Guiducci (222), rispettiva­ mente il 12 die. 1598 e il 10 feb. 1599. Il racconto si legge anche, in latino, nelΓA r in g h i, Roma subterranea novissima, t. I I , cit. [pubblicato nel 1651], pp. 222-23; ma questo autore erra sicuramente nel collocare il fatto stesso nel 1595, quando i tre testi e partecipi concordano nel riferirlo accaduto il 10 die. 1598.

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    284

    5 aprile 1606. [253] Giacom o Crescenzi. ff. 617-618

    mi curavo più d’ altro, ma che ci riconducesse fuori. A lle quali parole non rispondendo egli cosa alcuna, ancorché molte volte li replicassimo, alla fine, disse, che smorzassimo uno di detti lumi. Per il che, entrando noi in suspetto di quello che era, tuttavia lo sollecitavamo, che ci ricon­ ducesse fuora. M a egli, come che si era smarrito, non rispondeva niente, se non che, dopo un gran pezzo, li venne detto : « O Giesù, non potriamo uscir di questo condotto, oggi? » che era un pezzo di acquedotto an­ tico, che traversava dette grotte, dentro il quale andavamo girando. Allhora, accortosi a fatto, che la guida haveva smarrita la strada, co­ minciammo a lamentarci di lui et raccomandarci al Signore. D i lì a poco, ci condusse alla bocca di una buca, dalla quale saltando esso et noi in un’ altra grotte più sotto, si spinse quell’ unico lume, che tenevamo ac­ ceso, et, volendo egli di nuovo accenderlo con il fucile, come che era mezzo fuor di sé, li cascò l’ esca di mano. A ll’ hora, d. Pompeo divise un altro pezzo, che ne haveva, et ne dette una parte per uno. A lle fine, acceso di nuovo il lume, dopo haver girato un altro pezzetto, ci ritrovammo, di nuovo, sopra l ’ istessa buca, dalla quale havevamo saltato. Per la qual cosa, giudicando che la strada fusse smarrita affatto, cominciai di nuovo a lamentarmi, et dire perchè m’ haveva tradito : ma egli non rispondeva mai niente. A llora, li miei compagni cominciorno [f. 618] fortemente a lamentarse et m .s Leonardo, tra li altri, mi ricordo che disse, che bisognava levarsi le camiscie per torcerle, et poi potersene servire di accenderle per candele, et ognuno si lamentava come li somministrava il dolore. Finalmente, vedendo che la candela era ridotta nello estremo, poiché non ci era rimasto se non un palmo in circa di quella candela, che era un pezzo di un libretto, mi pare che io dissi queste o simili parole : « habbiamo fede et raccomandamoci, o facciamo voto al beato p. Filippo » . E t, di lì a poco, sentimmo la guida, che cominciò a gridare : « vittoria, vittoria. Habbiamo pur trovato quello, che cercavamo », che era un pezzo di muraglia, non molto discosto dalla buca, per la quale eravamo entrati. E t ci pregò, che volessimo nói tre fermarci quivi, finché egli havesse trovato la buca, poiché, senza noi, poteva correre più speditamente. M a, non consentendo noi a questo, dopo d’ haver girato ancora un altro pezzetto, alla fine cominciammo a veder il lume et, arrivati alla buca, ognuno ringratiò quanto poteva il beato padre, per intercessione del quale credevamo essere stati liberati da tal pericolo. E t , usciti dalla buca, che poteva essere da 22 a 23 hore,1574 se ben la m at­ tina ci eravamo partiti digiuni da casa, et, havendo, sin a quell’hora, travagliato con l’animo et con il corpo, eravamo tutti stracchi et sudati, nondimeno io, prima di andarmene a casa, me ne andai, prima, al sepolchro del beato p. Filippo, et, raccontato il caso al p. Antonio bona memoria, resi le debite gratie al beato p. Filippo. E t, di lì a pochi giorni, in gratitudine del benefitio ricevuto, portai, al detto sepolchro, un voto di argento. 15 74 Tra le tre e le quattro del pomeriggio, secondo il nostro calcolo delle ore. Alla mattina, circa le ore sedici (nove), era andato in casa Crescenzi, che era presso S. Eustachio, il Parasole, f. 568; e si può ritenere che non prima delle undici del mattino i quattro fossero discesi nella catacomba. Quattro o cinque ore durò, quindi, la pericolosa avventura; e non sette intere, quante ne computò I’A ringhi, Roma subterranea novissima, t. I I, cit.. p. 223.

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    9 m aggio 1606. [254] Francesco M. card. Tarugi. ff. 618-619

    285

    D IE M A R T IS 9» M E N SIS M A H 1606

    [254]

    E xa m in a tu s fu it, in palatio a p ostolico, p e r m e e t c ., ill.m u s ac r e v .m u s d .n u s F ra n ciscu s M a ria , archiepiscopu s S en en sis, titu li S an cta e M ariae supra M in erva m cardinalis T aru siu s 1575 n u n cu p a tu s, in m ansion e solitae h abitationis ipsiu s ili.m i et r e v .m i d .n i cardina­ lis, cui delato iu ra m en to e t p e r eum ta cto p e c to r e , m ore ill.m oru m dom in oru m cardinalium , d ixit u t in fra , a etatis annorum octuagintaunius in c irc a :

    Io , altre volte, sono stato esaminato in questa causa dei beato Filippo Nerio : le quali esamini tutte ratifico, et di nuovo le riconfermo, et dico tutto esser la verità, quello deposto da m e ; et, di più, aggiungo, alle già dette cose, che, circa sette o otto anni sono deinde d ixit : mi ricordo che fu il primo anno dopo fatto cardinale, rallegrandosi con me la bona memoria del s.r Giovanni Francesco Aldobrandino,1576 mi raccontò che, mentre visse il detto beato Filippo, ritrovandosi la detta bona memoria del s.r Giovanni Francesco Aldobrandino, generale di Santa Chiesa, nipote della felice recordatione di Clemente V i l i , nella stanza del detto beato Filippo, che, vedendo una morte con due cappelli da cardinale a t­ taccati nel m uro,1577 desideroso di sapere il loro significato, dimandò al detto beato Filippo che significava quelli cappelli da cardinale con quella morte. Rispose il detto beato F ilip p o : « oh, che significa? » , come burlando, « questo significa, che, dopo la mia morte, ancor io haverò due cardinali ». [f. 619] E t la bona memoria di detto s.r Giovanni Francesco, non pensando più oltre, sino alla promotione, che fui fatto cardinale, assieme con l ’ ill.m o s.r card. Baronio, giudicò, che le parole del beato padre non furono dette indarno, ma antevedute, et dette come da un profeta, per essere successe, come da lui furono dette. E t, così, rallegrandosi la detta bona memoria del s.r Giovanni Francesco con me, di essere assunto al cardinalato, che fu alli 5 di giugno 1596 : et questa è la verità. Ita est Franciscus Maria tituli Sanctae Mariae supra Minervam presbyter cardinalis Tarusius.

    1575 Quarta e ultima deposizione di Francesco Maria Tarugi, comparso la prima volta il 5 mag. 1596, in Avignone (XVII, extra Urbem). A lla fine della presente deposizione, la firma è autografa, nel cod. A . I I I . 44 dell’Archivio del­ l’ Oratorio di Roma. 1576 Giovanni Francesco Aldobrandini, marito di Olimpia, nipote diretta di Clemente V i l i , ebbe, tra altre cariche, quelle di capitano delle guardie e gover­ natore dì Borgo e di governatore di Castel S. Angelo, P agliucchi, I castellani del Gastei S: Angelo, v. I I , cit., pp. 45-53 ; comandante supremo delle truppe pontificie mandate in Ungheria contro i turchi, morì il 17 sett. 1601, di febbre a Varazdin, in Croazia, L itta, « Aldobrandini di Firenze », tav. I l l ; P astor, v . X I, pp. 41-42, 221-23, e passim. La vecchia casa degli Aldobrandini era nelle vicinanze della Vallicella, « in regione Pontis in via recta quae a platea Montis Jordani ibi convicina tendit versum viam baneorum ». Dopo la morte di F ., Giovanni Fran­ cesco passò ad abitare, con la fam iglia, nel palazzo già del card. Gesualdo (ora Patrizi) alla Rotonda, come informava un Avviso del 21 sett. 1596, Οιϊβλλν, p. 65 η. 1 ; e T omei, Un elenco dei palazzi di Roma, pp. 167-68, 222. 1577 Come si descrive meglio nella testimonianza che segue, erano due stemmi cardinalizi, di carta, con la morte (probabilmente rappresentata dal cranio con le due tibie incrociate) nel campo.

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    286

    11 m aggio 1606. [255] A gostino M anni, ff. 619-620

    D IB IO V IS 11» M E N SIS M A H 16C6

    [255] E xa m in a tu s fu it in officio, p e r quem su p ra , adm odum r e v .d u s p . d .n u s A u g u stin u s M a n n u s,157* p resb ìter de G antiano, E u gu bin ae d iocesis, C on gregation is O ra torii, te stis alias exam in atu s su p er vita et actionibus eiu sdem beati P h ilippi N e r ii, eiu sdem C on grega tion is fu n d a to ris, a etatis annorum quinquaginta n ovem in circa , q u i, m ed io iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    U n ’altra volta, credo dieci anni sono, io mi esaminai sopra la vita et miracoli del nostro beato Filippo Nerio : al quale esamine io mi rimetto, et ratifico, et dico, di nuovo, tutto esser detto per la verità, a gloria del Signore, et honor del detto beato padre. E t, perchè, in quello essamine, non è notato un’attione fatta dal detto beato padre, che è : nella sua camera vi haveva doi arme da cardinale, grandi, di carta, nello scudo delle quali vi era, in mezzo, in luogo dell’arme, doi morti dipinte ;. et queste io l ’ho viste, di continuo, attaccate nel muro, in detta sua camera, innanzi che morisse, da due o tre anni : dove, poi, vi sterno, sino alla sua morte, et, dopo la sua morte, furno levate. E t, mentre vi sterno, le dette arme de cardinali, nessuno giudicava quello significava le dette morte in mezzo dello scudo di dette arme, ma chi diceva una cosa et chi l ’altra. E t, per me, io giudicavo che il beato p. Filippo le havesse messe quelle morti, sotto li capelli, in mezzo allo scudo, come ho detto, per significare, che li cardinali ancora sono sottoposti a lla morte et travagli del mondo, come gli a ltr i; ma cosa certo miracolosa, perchè, dopo ch’io fui esaminato, come ho detto, la prima volta, essendo io in discorso di ragionare con la bona memoria dell’ ecc.mo s.r d. Gio­ vanni Francesco Aldobrandino, generale di Santa Chiesa, nipote della felice recordatione di papa Clemente 8°, che credo fusse poco dopo, che fu m o fatti cardinali gli ill.m i s.ri Tarusio et Baronio et, tra le altre cose che mi disse, fu che, ragionando delle attioni che faceva, mentre viveva, il detto beato Filippo, disse : « V i voglio dire una bella cosa che, una volta, tra le altre, trovandomi io nella camera di detto beato Filippo, vedendo, nel muro, attaccate, doi arme grande, con il cappello da cardinale, nel mezzo delle cui vi era una morte per ciaschedun’arme, et desideroso di intendere il loro significato, dimandai al detto beato Filippo, che significavano quelle due armi da cardinali con la morte in mezzo di esse. A lle quali parole, il detto beato padre non diede subito risp osta; ma io che, come ho detto, lo desideravo sapere, di novo glie ne feci instantia ; et egli, quasi surridendo, come per burla, mi rispose : “ o, questo ha qualche significato ; che pensate, che io , ancora doppo la mia morte, non habbi d’ haver doi cardinali de miei?” . E t affermando poi che doppo la sua morte sariano stati doi cardinali delli su oi». Keplicandomi, di più, il detto s.r Giovanni Francesco, che,, di questo, ne havea scritto a pieno al s.r card. Tarusio, ralegrandosi [f. 620] del suo cardinalato, mentre il detto s.r cardinale stava in Avi- 1 8 7 5

    1578 Seconda deposizione dell’oratoriano Agostino 1» sett. 1595 (37).

    Manni,

    già

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    comparso il

    11 m aggio 1606. [256] Pellegrino A ltobelli, f. 620

    287

    gnone, innanzi che il detto s.r cardinale venisse a Roma a pigliare il capello, dicendomi haverli scritto, che il beato Filippo li haveva predetto il cardinalato, molto tempo prima che Ini fosse, con l’ occasione delle dette arme con la testa di morte, con dire, che, dopo la sua morte, haveva d’ havere doi cardinali de suoi, come si vede chiaro essere verifi­ cato. E questo, che hora ho deposto, dico haverlo detto per la verità, « in causa scientiae », perchè le arme le ho viste in camera, come ho detto et, del significato, per haverlo inteso dire, come sopra.

    [256] I n ea d em , exam in atu s f u it , in officio, p e r m e e t c ., adm odum rev.d u s d .n u s P eleg rin u s A lto b e llu s , 1579 p r e s b y te r e t canonicus S a n cti M a rci de O r b e , te stis e t c ., aeta tis annorum quinquaginta quatu or in circa, q u i, m edio iu ra m en to, ta cto p e c to r e , m o re e t c ., ad op portu n as in te r ­ ro g a tio n es, de g e stis beati P h ilip pi N e r ii, de quo su pra , d ix it, u t in fra e t c .:

    Sono più di trenta anni, che ho conosciuto il beato Philippo Nereo, fondatore della Congregatione dell’ Oratorio alla Chiesa nova ; ma, quando lo cominciai a conoscere, habitava a S. Gieronimo della Carità, et allhora lo conobbi solo di vista, intendendo essere tanto huomo da bene, et era tenuto per un huomo santo. E t, per la buona fam a, che il detto beato Filippo haveva, io desideravo havere la sua pratica et, con occasione, che il p. Giovanni Francesco Bordino, a ll’ hora mio confes­ sore, hora arcivescovo di Avignone, andò, con la felice recordatione di papa Clemente 8°, in Polonia, io mi andai a confessare da detto beato p. Filippo, et, dall’ hora, sino alla sua morte, praticai con detto beato padre, se bene non sempre mi confessai da lui, se non mentre che il detto p. Giovanni Francesco, hora arcivescovo, si trattenne in Polonia, che fu per spatio di un anno intiero. Che, tornato che fu, il detto beato Filippo, essendomi inginocchiato, per confessarmi, mi disse : « havete visto il vostro p. Giovanni Francesco? » . Li risposi di n o ; mi replicò, che dovessi, per l ’avenire, andarmi a confessare dal detto p. Giovanni Francesco, mio solito confessore. E t desideroso, che lui fosse il mio con­ fessore, replicandoli due o tre volte, che, di gratia, mi volesse ascoltare, « insomma », mi replicò « così bisogna fare, per mantenere la pace, tra noi altri, nella chiesa » : volendo significare, che non sta bene levar li figlioli spirituali da un altro confessore.1580 Così me ne andai, et seguitai il mio confessore, lassandomi spesso vedere dal detto beato p. Filippo. E t, perchè non potria tanto dir, della bontà et santità di vita del detto beato padre, quanto merita, non però, dirò, per la verità, quello che mi ricorderò, a gloria di Dio benedetto et honore di detto beato padre.*2 3

    1579 pellegrino Altobelli depose anche nel terzo processo, il 13 sett. 1610. Si legge il suo necrologio, trascritto nel Galletti da libri dei Ss. Apostoli: «1619. 23 apr. f D. Peregrinus Altibellus sacerdos et canonicus S. Marci, annor. 67. Sep. in S. Silvestro in Quirinali. X X V III », cod. Vat. lat. 7875, f. 219. Un Giulio Altobelli, modenese, che non si sa se ne fosse parente, pose con altri un’iscrizione in S. Maria del Popolo, nel 1580, Forcella, v . I , p. 361, n. 1390. isso a questo proposito si può richiamare la scherzosa lettera di F. a Cle­ mente V i l i , riprodotta, nel testo indiretto che ne rimane, alla nota 1087.

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    288

    11 m aggio 1606. [256] Pellegrino A ltobelli, f. 620-621

    In prima. Havendolo io, spesse volte, visto dir Messa, nella chiesa della Yallicella, era tanta la sua devotione, nelle ceremonie della Messa, che moveva li audienti a grande devotione; et, alle volte, pareva che andasse in estasi, et, quando havea consacrato, mi pareva, che stesse rapito in spirito, con qualche splendore; et tu tti che udivano la sua Messa, ne havevano grandissima sotisfactione. E t, tra le altre volte, una volta, udendo la sua Messa, in chiesa all'altare maggiore, quando fu alla « Gloria in excelsis Deo » , mi parve vederlo un poco elevato in aria, come se fosse rapito in spirito. E t era tanta la veneratione, che li portavo, che ogni volta, che facevo con lui ragionamento, mi consolava tutto et mi dava gran sotisfactione, perchè, quando mi partivo da lui, sempre m i mandava via con qualche buon ricordo. E t, mentre praticavo con detto beato p . Filippo (e credo fosse mentre mi confessavo) che, havendomi udito, riprendendomi, forse, che non havevo digiunato, mi disse queste o altre simili parole : « avertite : digiunate ; che il digiuno è necessario » ; e, per mortificarmi, disse : « voi vedete me vecchio, che, in tutto hieri, io non mangiai se non un ovo ». M i ricordo, anco, che, una volta, un sacerdote, che non li voglio far nome, habitante in Roma, penitente di detto beato padre,1581 confes­ sandosi da me, mi disse, in confessione, che una volta, essendo manzi al detto beato padre inginochioni, per confessarsi, cominciò a tremare, perchè, disse, si vergognava di dire un peccato commesso. E t il beato padre lo pigliò per la mano, dicendoli : « non dubitate ; voi havete fatto il ta l peccato; Iddio vi perdonerà et haverà m isericordia». I l peni­ tente vedendosi scoperto il peccato, si confessò, et hebbe Passolutione, [f. 621] et restò tutto sodisfacto. E t giudicò il detto penitente, per quanto mi disse, che il detto beato padre non havrebbe potuto sapere il peccato revelato, se non per revelatione divina. E t, per questo, che lo teneva, come anco io lo tengo, per huomo di santa vita, et beato, et vero servo di D io. Insomma, per confirmare la sua santità, dico, che havevo tanta sodisfactione, nel mio animo, quando ragionavo con lui, che non me ne haveria voluto mai partire. E t, ogni volta, che l’ incontravo per strada, sempre, mi pigliava, con le sue mani, al viso, dicendomi : « come stai et che fa i? ». E t, mentre mi faceva così, mi sentivo tutto consolato, et le sue carni pareva buttassero odor suave. E t, una volta, tra le altre, mi incontrò al palazzo del card.. Sforza, et, subito, che mi si avicinò, con le sue solite carezze, mi messe le mani sue al mio viso, dicendomi : « che si fa, san Pellegrino? » et così mi lasciò tanto allegro, et, nel­ l’animo mio, sentivo tanto giubilo et satisfactione, che, dall’allegrezza, non sapevo dove mi andavo. E t questo, che ho deposto, tutto l ’ ho deposto per la verità, a gloria di Dio et honore di detto beato padre. E t, si come tengo per sicuro lui essere in Paradiso, e godere la gloria di D io, così lo prego ad intercedere per me, che Iddio benedetto mi dia la gratia sua, et che, alla mia morte, interceda per me, che io ancora possi assieme con lui godere in Paradiso. Amen.

    1581 Si potrebbe pensare a Giacomo Crescenzi, che narrò un fatto simile in sue deposizioni, ff. 531-532 e f. 611. Si vedano le note 1350 e 1555.

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    3 febbraio 1607. [257] Cherubina N azzelli. f. 621

    289

    D IE S A B B A T H I 3» M E N SIS F E B R U A R II 1607

    [257] A c c e ss i ad m on asteriu m m onialium S an cti S ilv e str i de U r t e ,1582 de m andato ili.m i d .n i cardinalis P am p h ilii, s.m i d .n i n . papae vica­ rii g en era lis, in prosequ en do p rocessu s g estoru m eiu sdem beati P h i­ lippi. E xa m in a ta fu it, ad p orta s m on asterii e t c ., rev .d a m a ter soror GheruM na N a zelii rom a n a , m onialis in dicto m on asterio et ad praesen s officium infirm ariae e x erc en s, cui delato iu ram ento e t p er eam ta ctis sacrosan ctis ad sancta D e i E va n g elia , iu ravit de verita te dicenda iu x ta in terro g a to riu m , p ro u t in fra d ix it e t d e p o s u it:

    Domenica prossima passata, fece otto giorni, et, domani, fa quindici giorni, che, su le 9 hore, a suor Tecla Scalm ani,1583 romana, monaca in detto monasterio, li venne un secondo accidente, havendone già havuto, 11 dì di s. Sebastiano, l ’altro accidente, stando in letto, tremando e storcendo li occhi et la bocca, invocando quattro o cinque volte il Nome di Giesù, et, subito, guardando una figura del beato Filippo, mostrava di raccomandarseli di cuore : perchè non poteva parlare, guar­ dava fisso alla figura del detto beato. E t, in quello istante, venendo la madre abbadessa, li cominciò a dire, che parlasse, et dicesse qualche cosa ; et detta suor Tecla stringeva le spalle, mostrando segno non poter parlare. E t durò, in questo atto di non poter parlare, dalle 9 sino alle 12 hore della medesima notte, et, in quello instante, che si sentirno sonare le 12 hdre, li cominciò a venire la parola, cominciando a dire : « per intereessioW di questo santo, ho havuto la parola, acciò io potesse confessarmi. O bella gratia, che ho ricevuto » , dicendolo questo più volte, « che, acciò io potessi, con più satisfactione, confessarmi, mi ha fatto la gratia di restituirmi la parola ». E t così mandò a chiamare suor Benedetta ; la quale venuta, li disse : « fate questo negotio : ne habbia notitia il s.r card. Baronio, nostro padre spirituale, che il mio desi­ derio è che si sappia questa gratia mi ha fatto questo beato Filippo ». I l giorno proprio, si confessò, facendo la confessione generale di tutta la sua vita, con molta sua soddisfattione et allegrezza, et, l ’altro giorno seguente, poi, si communicò. M a, inanzi la Communione, lei si rese in colpa, comunemente, a tutte le monache, et mostrò molta contritione,

    1582 h monastero di S. Silvestro in Capite o de Capite fu fondato da Paolo I circa il 761 e abitato in origine da monaci greci; in epoca non conosciuta diventò latino, F errari, Early Roman monasteries, cit., pp. 302-12; H uelsen, pp. 465-67. Con bolla del 24 sett. 1285 venne traslata in esso la comunità di Clarisse fondata dalla b. Margherita Colonna al Monte Prenestino, ora Castel S. Pietro, B. Mar­

    gherita Colonna. Le due vite scritte dal fratello Giovanni Colonna senatore di Roma e da Stefania monaca di S. Silvestro in Capite. Testi inediti del secolo XIII illustrati e pubblicati da p. L ivabio Oliger O. F. M. Romae, 1935 («L atera­ num », nova series, an. I , η. 2) p. 82. 1583 Tecla Sciamani, come ha trascritto il B acci, 1. V I, c. 13, n. 7. Il tempo­ raneo miglioramento di questa religiosa, morta entro alcuni giorni (il giovedì 26 gen. 1607, come pare; il sabato 4 febbraio, non 3, è la data esatta della depo­ sizione, a seguire A. Cappelli, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, dal principio dell’èra cristiana ai giorni nostri. 2* ed. Milano, U. Hoepll, 1930, « Ma­ nuali Hoepli », p. 84) forma la materia della presente e delle due successive, assai simili, testimonianze. 19

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    290

    3 febbraio 1607. [257] Cherubina N azzelli. ff. 621-622

    che piacesse a Dio havessimo, noi altri, questa medesima gratia, nei [f. 622] punto della morte. Perchè, oltre il mostrare, che fece, della molta contritione, spargeva molte lagrime, che vedendo, noi altre assi­ stenti, il tanto suo piangere, et le parole che diceva al Crocifisso: « Signore, il Sangue che hai sparso per me ; mi potevi far morire di subito ; o bella gratia ; ti ringratio, Signore » , et altre simili. E t, preso che hebbe il Santissimo Sacramento, da lì a tre hore, cominciò di novo a perdere, non a fatto, la parola, ma parlava balbu­ tiente et fuori di proposito. E t durò così sino a cinque giorni, et, dopoi, martedì prossimo, perse la parola affatto, et sino a mercordì prossimo, non parlò mai. E t credo che fosse mercordì prossimo passato, quando, essendo qua il rev.do p. Francesco Zazzara, prete della Chiesa nova, fece chiamare suor Benedetta, et, domandandoli del negotio di suor Tecla, come era passato, desiderava saperlo, come era giusto. E t suor Benedetta d isse: « io chiamarò l ’assistente » , della quale io ne era una, et suor Agostina era l’altra et venendo detta suor Benedetta da me, presente la madre abbadessa et suor Agostina mia compagna infermiera, et, raggionando noi quattro assieme su questo fatto, suor Agostina era in contraria opinione di noi altri, perchè diceva non saperlo certo, ma che credeva, si fosse raccomandata a s. Giuseppe, che ci era la figura lì proprio. E t , mentre stavamo in questo contrasto, a canto a detta suor Tecla, la detta suor Tecla mostrò segno, con la man dritta, di voler dire, che la gratia l ’ haveva havuta per intercessione del beato Filippo. E t, perchè non poteva esprimere con la parola, diceva: « uh, uh, uh ». E t , di lì un poco, essendo noi anco in detto contrasto, presenti molte altre mo­ nache, lei cavò fuori la voce et parola, dicendo : « la gratia l’ ho ricevuta per intercessione del beato Filippo » et così tutti restamo stupiti et maravigliati. E t detta suor Agostina, a ll’ hora, rispose : « adesso si, che posso testificare, che la gratia l’ ha ricevuta dal beato Filippo ; et è la verità, perchè adesso è miracolo, che habbia parlato » . che non haveva mai parlato la notte passata, ancorché noi facessimo molta istanza, che lei parlasse, nè mai lei potè parlare. E t, di poi che lei hebbe dette quelle parole (mentre stavamo così tra noi contrastando), « la gratia ho havuta per intercessione del beato Filippo », quel giorno non parlò più. La mattina seguente, che era il giovedì, lei cominciò a parlare bal­ buziente, et s’ intendeva qualche parola ; et, dalle 16 hore sino alle 23 hore, non parlò più ; et, alle 23 hore, venendo il confessore per darli l’ Estrema Untione, et mentre stava il confessore dinanzi a lei, ci fece scanzare et si accostò a lei, se haveva altro da dirli, et se si voleva recon­ ciliare. E t lei disse de si, et li venne la parola, et si reconciliò, et, havuta che hebbe l ’ Estrema Untione, mostrò di essere più allegra del solito, et non parlò più, et durò sino alle 10 hore, et poi spirò. E t, a quanto che ho detto, fu i presente, suor Agostina, mia compagna, et suor Benedetta, assieme con la nostra madre abbadessa : oltre di questo, ci furno anche molte altre monache. E t dico, per me, che questo miracolo è tutto fatto per intercessione del detto beato Filippo, si come detta suor Tecla ha testificato, et, per li segni già detti, si è visto per esperienza.

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    3 feb. 1607. [258] B . B elli, e [259] M. Pontinia. ff. 623-625

    291

    [f. 623] D IC TA D IB 3» M E N SIS F E B R U A R II 1607

    [258] E xa m in a ta fu it etc. so ro r B en ed icta B e lli , 1584 rom ana, m onialis in eod em m on a sterio, m edio iu ram ento e t c ., tactis e t c ., d ix it, u t in fr a : [S i o m e tte l’ in tera testim on ia n za, che con tien e il raccon to della m alattia e della m o rte di su or Tecla S calm an i, perchè n on p o rta n u ovi elem en ti a quanto già narrato nella d eposizione p receden te 257].

    D IC T A D IE

    [259] E xa m in a ta fu it adm odum r e v .da M a rta P o n tin ia 1585 a bbatissa, de auditu non a liter , sed tam a dicta T ecla p eten s an veru m sit suprad icta , quam a dicta sorore B en ed icta , quae am bae m oniales sib i ab­ batissae retu leru n t, et ip sa vid it re sp e c tiv e , p r o u t, m edio iu ram ento, ta ctis e t c ., d ep o su it, u t in fr a : [D i questa testim on ia n za, la quale r ip ete quanto è già narrato nella d eposizion e 257 si rip orta solo l’ u ltim o tr a tto , che ha qualche particolare origin a le, p er quanto di n on grande im porta n za ] .

    ... E t, ricevuto che hebbe il sacramento della Estrema Untione, si conobbe in Ibi alquanto più di allegrezza del solito. Io , havendo inteso queste cose, nìi accostai a detta suor Tecla, et, domandatola, se era stato il beato Filippo, che gli haveva concessa gratia, che ella haveva riferto alle monache, che quivi erano state presenti, ella, non potendo parlare, guardando me abbadessa, ‘ fece cenno con la testa di si, et a questo fu molte monache presenti, et, di lì a non m olto, spirò. Per il che, da tutte fu reso grafie a Dio benedetto, che, per intercessione del beato Filippo, havesse fatta tal gratia a detta suor Tecla.

    [f. 626] D IE M A R TIS 22» M E N SIS M A U 1607

    [260] E xa m in a tu s fu it, p er quem su p ra , in palatio solitae habitationis et residen tiae in fra scrip ti ill.m i et- r e v .m i d .n i cardinalis B a ro n ii, id em ill.m u s e t r ev .m u s d .n u s C esar titu li S an ctoru m N e r e i et A cch ilei S . R . E . p resb iter cardinalis B a ron iu s , 1586 aetatis suae an­ norum , sexagintanovem ·, cui delato iu ram ento e t c ., e t, p e r eu m , tacto p ectore m ore prelatoru m e t c ., d ix it e t d ep o su it, su per vita et m iracu-

    1584 Suor

    Benedetta Belli divenne poi badessa, dal 19 giu. 1613 al 28 giu. 1616,

    Memorie istorico-critìche della chiesa, e monastero di S. Sil­ vestro in Capite di Roma. In Roma, nella stamperia Pilucchi Cracas, 1795, p. 216. Giuseppe Carletti,

    1585 Suor Marta Pontinia fu badessa dal 21 mag. 1607 al 21 mag. 1610,

    Carletti, op. e p. cit. isse Terza e ultima deposizione del card. Cesare Baronio, comparso la prima volta il 1° sett. 1595 (36). Alla fine della presente, nel codice A. II I . 44 dell’Archi­ vio dell’Oratorio di Roma, la firma è autografa.

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    292

    22 m aggio 1607. [260] Cesare card. B aronio. f. 626 lis beati P h ilip pi N e r ii, fioren tin i, fu n d a toris C on grega tion is Ora­ to r ii, p rou t in fra , v id e lic e t:

    Oltre li altri miei esamini e depositioni da me fatti, tanto mentre io ero prete nella Congregatione delli padri del Oratorio, che fu Fanno 1595, del mese di settembre, quanto mentre era prothonotario apostolico, che fu del mese di decembre del medesimo anno, sopra la vita et miracoli del beato Filippo Nereo, fiorentino, fondatore della detta Congregatione, confirmando, in prima come al presente confermo, tu tti dui li detti esamini et depositioni fa tti da me, come di sopra, e quanto in essi si contiene, come se « de verbo ad verbum » me se leggessero, mi soviene, d i più, di dire che, nel principio che io venni a Koma, che fu dell’anno 1557, tempo di Paulo 4°, m i mandava il detto beato padre, mattina et sera, a servire li amalati di S. S p irito : il che feci per spatio di nove anni continui, fin tanto che io fui fatto sacerdote, che poi non possei con­ tinuare di andarvi così spesso. Nel qual tempo, mi occorse, più volte, che, sentendomi indisposto di corpo, con haver anco la febre, con tutto ciò, non volevo lasciare il mio solito servitio del hospitale; et, andan­ dovi, come ho detto, molte volte con la febre, mi son trovato ritornare a casa sano e libero da ogni m ale: il che tutto attribuivo, come anco attribuisco, et riconosco dalli meriti et orationi di detto santo padre et dalla virtù della sua obedientia. U n ’altra volta, essendomi venuta una indispositione di stomaco tale, che ogni poco che magnavo mi dava grandissima pena, al che si aggiun­ geva anco un fastidio di testa grande, talmente, che il beato padre mi haveva prohibito, che io non facesse oratione, nè altra fatica di mente, un giorno dopo pranzo, andando, secondo il mio solito, dal beato padre, m i disse, che io pigliasse un limoncello, che stava in camera sua, e anco un pane grosso intiero, e che mangiasse ogni cosa, a ll’ hora, in presentia sua. I l che sentito, credendomi senz’altro di morire, con tutto ciò, non volsi lasciare di fare l’ obedientia, ma, fattom i il segno della croce, mi magnai ogni cosa. I l che fatto, non mi diede fastidio di sorte alcuna, come se havessi mangiato un cialdoncino et guarii di detta infirm ité: et questo fu dell’ età mia di ventisette o ventotto anni in circa. Nel principio che cominciai a ragionare nell’oratorio, parlava sem­ pre di cose spaventose, come di morte, inferno et giuditio. I l che dopo haver fatto per qualche tempo, mi disse il beato padre, che non ragio­ nasse più di simile materia, ma che pigliassi a raccontare l’ historia ecclesiastica : il che, più volte, in diversi tempi, mi replicò et comandò. Con tutto ciò, parendomi un poco duro et cosa contraria al mio genio, il Signore, una notte, mi fece sapere, che questa era sua volontà. M i pareva ragionare con Onophrio Panvino,1587 il quale, a ll’ hora, componeva

    1587 L ’agostiniano Onofrio Panvinio, veronese, nel 1549 trasferito dal con­ vento patrio a quello di S. Agostino in Roma, illustre storico delle antichità romane e cristiane; morto in Palermo, il 7 apr. 1568, a trentanove anni. Per il suo contributo alla storia ecclesiastica, si veda D avide A urelio P erini, O. E. S. A., Onofrio Panvinio e le sue opere. Roma, Tip. Poliglotta della S. C. de Prop, fide, 1899. pp. 117-38; per quello all’ archeologia cristiana, F erretto, Note storico-biblio­ grafiche di archeologia cristiana, cit., pp. 91-99, e B ovini, Rassegna degli studi sulle catacombe e sui cimiteri « sub divo », cit., pp. 7-8.

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    22 m aggio 1607. [260] Cesare card. B aronio. ff. 626-627

    293

    alcune istorie ecclesiastiche, et, ragionando insieme, io lo pregavo, che volesse seguitare a dare compimento a ll’ historia ecclesiastica ; et, mentre dicevo questo, mi pareva detto Onophrio non mi volesse ascoltare; e, volendo io seguitare il mio ragionamento, sentii, sensibilmente et distin­ tamente, una voce, che disse : « quietatevi, Baronio, e non vi affatigate più in questo vostro ragionamento, perchè l ’ historie ecclesiastiche l ’ havete da far voi ». E questa mi parve la voce del beato padre et così ho sempre tenuto. Andando, poi, la mattina, io, a dire al beato padre quanto mi era occorso la notte, non disse il beato padre di no, ma, bur­ lando, o ricoprendo sempre le cose sue, mi disse : « va’ via, che son sogni ». Ma io ho sempre tenuto, che quella fosse voce del beato padre, come poi l ’ evento l’ ha dimostrato. Essendo fatte molte instantie, appresso papa Leone X I, da diversi sopra la canonizatione del beato Carlo cardinale Borrom eo,1588 lo pre­ gai, ancor io, di questo, caldissim am ente; et sua santità· mi rispose volentieri si contentava di far detta canonizzatione del beato Carlo, ma che, non per questo, si sarebbe scordato di quella del beato Filippo, sebbene io non glie ne dicevo alcuna cosa. A lle cui parole io risposi, che sapevo benissimo, quanto sua santità havesse sempre amato il beato Filippo et che, quando il Signore l’ havesse inspirato, lo canonizzarebbe, senza che li fosse da me ricordato : ma, per non haver passato nel ponti­ ficato il vigesimoquinto giorno, non possè mettere in essecutione quanto sua santità et anco infiniti altri santissimi desiderii. Mentre io stavo, con la santa memoria di Clemente papa Octavo, a F errara,1589 dimorava, a ll’ hora, il card. Cusano bona memoria a Milano, am m alato.1590 In questo mentre, [f. 627] mi apparve, una notte, il beato p. Philippo, dicendom i: «sm o rza quella la m p a d a ». E t, guar­ dando io di che lampada dicesse, di novo il medesimo beato padre mi disse le medeme parole, cioè: « smorza quella lampada » et stando io dubbioso, e pensando quello che si volesse significare quello, che il beato padre mi haveva detto, ne feci oratione assai, acciò mi facesse sapere il Signore quello, che la visione voleva significare. Passati alcuni

    isse L a canonizzazione di Carlo Borromeo, morto il 3 nov. 1584, fu richiesta da più parti, con insistenza, alla Santa Sede. Clemente V i l i volle che si seguisse una rigorosa procedura; e Paolo V ordinò che si riprendessero le inchieste, prima di giungere il 1° nov. 1610, alla glorificazione del santo arcivescovo, Pastor, v . X I, pp. 489-90; v. X II, pp. 190-92. Una lettera del card. Baronio, nel 1602, indusse a mutare in una messa solenne l ’ anniversario da morto che veniva celebrato in Milano per testamento di Carlo, Sala, Biografia di san Carlo Borromeo, cit., p. 220; sullo svolgimento complessivo della causa, pp. 220-28. 1588 h card. Baronio fu , con altri tre cardinali, al seguito di Clemente V i l i , fino dalla partenza da Roma, il 13 apr. 1589, P astor, v . X I, p. 609. Si veda anche la nota 1437. 1590 II card. Cusani aveva seguito, anch’egli, il papa Clemente V i l i a Fer­ rara; ma poi si era portato a Milano, dove l’8 ott. 1598 dettò il testamento, chia­ mando erede l’ Ospedale Maggiore, e morì il 20 ottobre, Chacon-O ldoini, Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. IV , cit., col. 193; Calvi, Famiglie notabili milanesi, v. I l i , cit., « Cusani », tav. II. Questo fatto, e l ’altro che segue nella deposizione, furono narrati, quasi con le stesse parole, dal Baronio, nel luglio o agosto 16(0, al Gallonio e a Francesco Zazzara. Il quale ultimo li registrò nelle sue « Memorie » : il tratto si riporta nel

    C alenzio, pp. 502-03.

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    22 maggio 1607. [260] Cesare card. B aronio. f. 627

    giorni, ritornò, di novo, il nostro beato padre, dicendomi, apertamente, che il card. Cusano era morto ; et, pensando io alla visione, dopo alcuni giorni, hebbi avviso, che il suddetto cardinale era morto in quell’ istesso tempo, che io hebbi la visione sopradetta del beato Filippo. D i più, stando io, un giorno, secondo il mio solito, retirato in camera, per riposarmi, dopo pranzo, a pena io havevo voltato l’ orologio et colcatomi sopra una cascia,1591 avanti io mi adormentassi, m ’apparve il beato Philippo, accostandomisi, et pigliandomi per la testa, stringen­ domi, e facendomi carezze, sì come faceva, mentre viveva in terra. E t, volendolo io stringere et abbracciare, in un momento, mi sparì dalli occhi, lasciandomi molto consolato : questo fu l’anno santo 1600, si ben mi ricordo. E t, finalmente, mi soviene di dire, che, mentre viveva la felice recor­ datione di Clemente papa Octavo, ragionando meco intorno al detto santo p. Philippo, mi disse, più volte, che il detto santo Philippo (ritrovandosi sua santità in lecto, con chiragra, non poteva stare, per il gran dolore che sentiva) entrando nella camera di sua santità, vedendolo sua san­ tità, cominciò a dire, che non si accostasse ; e che detto santo p. P h i­ lippo si accostava, a poco a poco, al lecto, dove stava sua santità, et, entrato dentro li cancelli del lectó, sua santità cominciò di novo, gri­ dando, a dire : « non vi accostate, non mi toccate » , et il detto santo padre: « non dubitate ». E t, accostatosi, li pigliò la mano, dove era il dolore della chiragra, e la strinse, dicendo : « non dubitate », et che, subito dopo che il detto santo p. Philippo l ’ hebbe tocco, si sentì gua­ rito, in quell’instante. E t, questo, non solo sua santità lo disse a me, ma ad altri s.ri cardinali della congregatione delli esamini de Vescovi, come la bona memoria del card. Rusticuccio, del s.r card, di Verona, del s.r card. Antoniano, del s.r card, di Fiorenza, che poi fu papa Leone X I, Camerino, Borromeo, Paravicino, Tarusio et Bellarminio, in presentia m ia, che erano et sono respective della medesima congregatione. E t questo l ’ho voluto deporre, per la verità, ancorché sia cosa manifesta et publica, et già stampata, molti anni sono, nella vita del detto beato padre, tanto in lingua latina come toscana. Qual vita detto papa Cle­ mente, di felice memoria, volse, per sua sodisfactione et divotione, farsela leggere, oltre che, nel suo studio, teneva un ritratto di detto beato padre. E t questo è quanto, per hora, mi ricordo, oltre alle cose dette nelli altri miei esamini. Ita est. Caes. tit. SS. Nerei et Achillei presb.r card. Baronius.

    1591 Cascia, per cassa; la forma pare estranea all’idioma romano, e in ogni caso non di uso cinquecentesco, B attisti e A lessio, Dizionario etimologico ita­ liano, cit., p. 790.

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    10 luglio 1607. [261] C eccolino M argarucci. ff. 627-628

    295

    D IE M A R TIS 10« M E N SIS ÌU L II 1607

    [261] E xa m in a tu s fu it, p er m e e t c ., in officio e t c ., ill.is d.n u s G eccolinus M a rg a ru tiu s , 1592 p r e sM te r S an cti S everin i p icen u s, te s tis , aetatis annorum quinquaginta, cui delato iu ram ento de verita te dicenda, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it., u t in fra e t c .:

    D a 1’ anno 1582 in qua cominciai a conoscere il beato Philippo Neri, fondatore della Congregatione dell’Oratorio, con occasione che era mio confessore. E t, acciocché il Signore Iddio resti sempre benedetto nelli suoi santi, dico, riferisco e depongo, per la verità, che essendo io, del­ l ’anno 1582 detto, nelle feste natalitie di Nostro Signore, stato dicato servitore, dal detto beato p. Philippo, alla santa memoria del beato Carlo card. Borromeo, chiamato di S. Prasede, quale mi accettò al suo servitio, mentre, un dì di detta festa, si trovò in S . Girolamo, nelle stantie di esso beato padre, dove esso beato padre habitava ; et, havendo io continuato la detta servitù, sino al mese di settembre 1584, in Milano (dove io andai del mese di gennaro 1582, che, pochi giorni prima, partii da Roma, dopo che mi diedi alla detta servitù) in detto mese di settembre, nel principio, mi partii di M ilano, havendo havuto buona licentia da esso s.r cardinale, di santa memoria, per tre mesi, con l ’ occasione della morte di mio padre, per quietare et [f. 628] dar sesto ad alcuni negotii domestici et disturbi, che erano tra mei fratelli. Essendo io, donque, arrivato alla patria, mentre davo sesto a negotii, ne davo conto al beato padre, della mia tornata, con avvisarlo, che io saria tornato a M ilano, a continuare la solita servitù, tra poche settimane ; pregavo il beato padre a favorirmi con sue lettere, alfine che il beato Carlo card. Borromeo mi volesse construire e lassare tenere un servitore, poiché lo stare senza quella commodité era quanta mala soddisfattione io havessi: che, nel resto, ci stavo volentieri. I l beato padre mi diede risposta, che non oc­ correva trattare di ciò, perchè io, in quel termine, che io pensavo par­ tire, per tornare a Milano, a quella servitù, seguirebbe occasione tale, per la quale non sarei tornato più a servire il detto card. Borrom eo: però, non era bisogno trattare di quello, che io desideravo. I l che io non intesi, ma, in quel mentre che io mi apparechiavo di tornare a Milano, fu i avvisato della morte di esso beato C arlo,1593 verificandosi, in ciò,

    1592 Ceccolino Margarucci, poi protonotario e primicerio nella nativa S. Se­ verino, si adoperò per chiamare i barnabiti nella città, in luogo degli oratoriani partiti : il 17 ag. 1601 firmò, con altri, lo strumento di cessione ai primi della casa e chiesa della Madonna dei Lumi, V itale R acheli, Origine e miracoli della celebre

    imagine di N. S. detta la Madonna de Lumi nella chiesa de chierici regolari di 8. Paolo della città di 8. Severino; operetta spirituale istorica. In Macerata, per Domenico Sparacian, 1694, pp. 124-27; Gentili, De ecclesia Septempedana, p. I I, cit., pp. 295-96; Pbemolt, Storia dei barnabiti nel cinquecento, cit., p. 369. 1593 p er ie circostanze, che il teste richiama nella sua narrazione, si tenga presente che s. Carlo Borromeo, per quanto logorato dalle fatiche e assalito spesso da violente febbri, non aveva dato segni della morte prossima. Il 12 ottobre 1584 sali al Sacro Monte di Varallo per gli esercizi spirituali, e vi si trattenne fino al 29, con una corsa tra il 18 e il 20 ad Arona ; il 22 ebbe il primo attacco di feb­ bre, che si rinnovò come una terzana anche durante il penoso ritorno, per Arona

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    10 luglio 1607. [261 ] C eccolino M argarucci. fi. 628-629

    la profetia del beato padre, che mi scrisse, che sarebbe seguita occasione, per la quale non sarei tornato più alla servitù del detto card. Borromeo. E t quello che io ho osservato di singolare profetia, in questo fatto, è che, essendo ciò stato predetto, un mese prima, in circa, che il detto card. Borromeo si ammalasse dell’ infirmità, che poi morse, nè havesse in questo tempo, nè per prima, havuto infirmité, che potesse dare alcun inditio di dubbio, non che di suspetto, di morte. A n zi, se si raccorrà il tempo, si troverà, che l ’avviso della profetia predetta seguì prima che esso beato card. Borromeo andasse a Varallo, che poi si amalò e morse, tornando amalato a Milano ; e che, essendo seguito, nel principio di ottobre, in circa, l’avviso, che io hebbi dal beato padre et al principio di novembre seguì la morte del detto beato card. Borromeo. Io , nel fine di marzo seguente, che fu l ’anno 1585, me ne venni a Roma, et, subito, la mattina seguente che arrivai, me ne andai a trovare il beato padre. Quale, uscendo di sacrestia, et vedendomi da lontano una longha piccha, si voltò verso me, con viso lieto, e mi disse (« formalia verba ») : « non ti dissi io ,che sarebbe seguita occasione, che non saresti tornato più alla servitù del cardinale Borromeo? ». Onde si vede, che il beato padre, non solo hebbe il dono della profetia, in questo negotio, ma, quello che io stimo assai, è che ritenesse la memoria et la cognitione, di quello mi havea predetto, essendovi corso il tempo di tanti mesi : dove io, da ciò, ho scorto un singular dono di Dio e gratia e testimonio di gran santità in detto santo padre. Depongo, inoltre, che l’anno 1589, del mese di luglio, una m attina, fu i avvisato, che il beato p. Filippo mi haveva aspettato et fatto cercare, tutta quella mattina, insieme con allhora card, di Cremona, che fu poi papa Gregorio X I I I I . E t, andando io per trovare detto beato padre, che, in andando, si incontrò con me, per l ’andito dell’ uscita di casa, perchè a ll’ hora si partiva detto card, di Cremona dal detto luogo, il beato padre m i disse, che, quella mattina, mi haveva aspettato assai, con detto cardinale, al fine di dedicarmi al servitio di detto cardinale, che mi voleva dare la Penitentiaria di Cremona, che valeva scudi 400 ; e, se bene vi era pensione di 200, che, tuttavia, non mi desse pensiero, perchè esso beato padre havrebbe provisto a quanto bisognava: onde, non mancassi di fare tutto quello, che ordinarebbe il detto card, di Cremona, quale dovessi andare a trovare, quella mattina medema. Risposi al beato padre, che non volevo benefitio, perchè pensavo, con il proprio talento, guadagnarmi e farmi tanto utile, mediante li offitii, nelli quali mi incamminavo, che non mi faceva bisogno di pigliare benefitii ecclesiastici. A queste parole, il beato [f. 629] padre mi replicò, che voleva, io accettassi detta occasione, et, però, dovessi, in ogni modo, lassarmi governare da lu i; che andasse a trovare il detto card, di Cremona et far l ’obbedienza. Risposi, diverse volte, non volerne far altro, perchè non volevo benefitii. M a, perchè il beato padre mi con­ tinuava a dirme, che io obedissi, con dir, che lui sapeva ciò che faceva, però, finalmente, chiesi tempo a risolvermi, mentre celebrasse la Messa

    e Ascona. Rientrò in Milano la sera del 2 novembre, e morì circa le nove di sera del sabato 3 novembre, Sala, Biografia di san Carlo Borromeo, cit., pp. 203-12; Orsenigo, Vita di s. Carlo Borromeo, v. I I , cit., pp. 180-90.

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    19 aprile 1608. [262] Francesco Zazzara. f. 629

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    quella m attina, per raccomandarmi a Dio : il che mi concesse il beato padre. Però, celebrato che io hebbi, ritornai da lui, che stava al con­ fessionario, et continuai sempre con dire, che non volevo detto benefitio di Crem ona: però, non volevo far altro in ciò. E t, dopo che il beato padre, più volte, mi replicò, in ciò, che facesse l’ obbedienza ; che esso sapeva che faceva ; però, mi lasciasse governare da lui, replicando, più volte, che sapeva quello che faceva ; vedendomi, finalmente, sempre renitente et ostinato alla negatione, mi disse, « formalia verba » : « te ne pentirai, te ne pentirai, te ne pentirai » : così, tre volte, alzando la man destra in alto vèrso di me, e con il deto indice come minacciando, et come mostrasse essere scorrucciato ; et, con questo, mi levai a ll’hora dal beato padre. Successe, giusto a capo dell’ anno, che seguì la sede vacante di papa Sisto et fu creato papa il detto card, di Cremona, che fu papa Gregorio X I V .1594 D a questo successo, ho raccolto, che, quando il beato padre mi disse, che facessi l’ obbedienza, perchè sapeva quello che faceva, e, nel dirmi, finalmente, tre volte: « te ne pentirai » , volesse inferire, che detto cardinale sarebbe stato papa, et prevedesse quello seguì tra un anno in circa : con la quale occasione, io havessi a portare la liberatione della pensione, che restava sopra detto beneficio, che mi si offeriva, e, forse, megliore effetto e maggiore utile. « Quomodocum­ que », si vede chiaramente, che il beato padre previdde il futuro di detta creatione di papa. D ico, anco, che, nel tempo di dieci anni, che praticai, diverse volte, spesso, a Roma, sempre mi son confessato dal beato padre et ciò fre­ quentavo quasi ogni mattina, o, almeno, per lo più. E dico, che il beato padre mi pigliava, con le mani, la testa, appoggiandola al suo petto, nell’atto dell’ assolutione, et, sempre, sentivo la palpitatione del core di detto beato padre, così elevata et gagliarda, che era potentissima, come se fosse stata una forza di mano, che mi si appressasse al viso. Dico, che ho stimato grandemente la santità di detto beato padre; et, singolar­ mente, nell’ occasione de consigli, e di trattare seriamente qualche nego­ tio, che subito che il beato padre havesse dato il consiglio seriamente e con somma prudenza e carità, incontinente, si dava, per ricoprirsi, a qualche cosa insipida, o che mostrava simplicità. D al che ho fatto refles­ sione, che fosse per humiltà insigne del detto beato padre. A l quale io continuo a raccomandarmi, sperando, per li meriti et intercessione sua, la gratia e misericordia di Dio Nostro Signore, « cui honor et gloria in sempiterna saecula saeculorum. Amen ».

    D IE S A B B A T I 19* M E N SIS A P R IL IS 1608

    [262] E xa m in a tu s fu it e t c ., u M e t p e r quem su p ra , r e v .d u s p . d.n u s F r a n ­ cisons Z azzara , 1595 p resd iter rom a n u s, C on grega tion is O ra torii, testis

    1594 Sisto V morì il 27 ag. 1590; gli successe Urbano V II, per qualche set­ timana, dal 15 al 27 settembre. Il 5 dicembre fu eletto Gregorio X IV . 1595 Sesta e ultima deposizione di Francesco Zazzara, comparso la prima volta il 18 ag. 1595 (15).

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    19 aprile 1608. [262] Francesco Zazzara. ff. 629-630 alias exa m in atu s, cui delato iu ra m en to e t c ., p er eum ta ctis e t c ., d ix it, u t in fr a :

    Oltre a ll’altre mie examini, fatte intorno alla vita e miracoli del beato Filippo, quali tutte confermo per la verità, mi occorre, inoltre, dire che il s.r Nereo Neri, nobile fiorentino, e signore di Porcellano, quale morì l’ anno p assato,1596 hebbe, mentre viveva il detto beato F i­ lippo, verso lui, tanta divotione e riverentia, che, appena morto, non solo lo elesse per suo singolare e perpetuo protettore, et anco de suoi discendenti, ma procurò, ancora, dalla sorella di detto beato, di età di ottantaquattro anni, chiamata Elisabetta, poiché altri non vi erano della casata di detto beato Filippo, che li concedesse, che potesse portare l ’arme della fam iglia loro, quale è di tre stelle in campo azzurro, unita con l’ arme sua. La quale Elisabetta glie la concesse, et fece, che di detta [f. 630] concessione si formasse publico instrumento, a dì 20 di aprile 1599.1597 Nè fu vana la devotione del s.r Nereo verso il beato Filippo, perchè, essendo, sin alhora, stato privo di figlioli maschi, singularmente da lui desiderati, ecco, che, appunto nove mesi dopo detto contratto, cioè a 10 di gennaro 1600, piacque al Signore, per li meriti del detto beato Filippo, concederli un figliolo maschio, al quale, per recognitione della gratia ricevuta, pose nome F ilip p o.1598 E , di più, per gratitudine

    159 6 h Ig 0 tt. 1606, come dalla memoria trascritta nella nota 341, dal «L ib er parochialis » di S. Maria in Vallicella. Nel Diario di Francesco Zazzara, citato più di una volta, si legge l’ annotazione : « Adi 14 di Giugno [1608] a hore 21 forno portati in chiesa nostra li corpi del s.r Nero del Nero, et della sua moglie chia­ mata s.ra Monaldesca Monaldeschi della Cervara et anco di un suo figliuolo Vine.0 morti in Firenze. Il s.r Nero Neri alli 11 d’ott.0 1606, la moglie et il figliuolo erano morti prima del s.r Nero ». I l corpo di Nero era in una cassa; in un’ altra, gli altri due. Aggiunge il diarista : « Haveriano fatto un esequie sollenne per gli oblighi che contessono havere al d.° s.re, ma non parve bene a Mohs. Pietro Strozzi per diversi respetti », Archivio dell’ Oratorio di Roma, cartella A . I I I . 4, pp. 89-90. 1597 II testo o l’ estratto della parte sostanziale del contratto è riferito più avanti dal teste, f. 631. 1598 Questo Filippo di Nero Del Nero è detto dal B acci, 1. IV , c. 8, n. 5, « oggi unico erede di tutte le sue facoltà, e divotissimo del Santo Padre ». Dove sia vissuto, se a Firenze o a Roma, e fino a quando, non sappiamo. Un necrologio del Galletti dà notizia di un sacerdote romano, sepolto alla Chiesa Nuova : « 1682. 28 maii f D . Philippus Nerius sacerdos rom. par. S. Laurentii in Lueina, çt. ciré. 85. V i l i », cod. V at. lat. 7884, f. 95. Ma, per quanto ne coincida approssi­ mativamente l’età, la forma latina usata dal necrologio porterebbe a escludere che si trattasse del fanciullo ottenuto e poi risanato per intercessione di s. Fi­ lippo. In ogni maniera, Nero D el Nero ebbe certamente, per qualche generazione, discendenti o almeno eredi del suo nom e; uno dei quali, Luigi Maria, nel 1774, consentì alla sostituzione della tela di Guido Reni nella cappella di s. Filippo con la presente copia musiva. Estinta nel see. x ix la famiglia Del Nero, la sua successione passò ai Torrigiani; i quali ebbero a rinunziare, crediamo, al patro­ nato della cappella, che passò ai Corsi. Tradizionalmente si mantenne nei Del Nero la devozione a s. Filippo. Nel Priorista del Mariani [probabilmente L orenzo Maria, antiquario e custode del­ l’Archivio segreto granducale, autore nel 1712 della Genealogia della nobile famiglia Medici, Archivio di Stato di Firenze] si legge la notizia che « annual­ mente, nella sera in cui cade la festività del medesimo santo, fanno luminaria alle loro abitazioni, come si vede in Firenze al vago e magnifico palazzo posto rimpetto alla chiesa di San Gregorio sulla piazza dei M o zzi», clt. da B enedetto

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    19 aprile 1608, [262] Francesco Zazzara. f. 630

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    d i questo e di molti altri benefitii et gratie, ricevute per mezzo dell’in ­ tercessione del detto beato p. Filippo, fece dare principio a l ’edificio d i una ricchissima capella in Roma, nella nostra chiesa di S . Maria e S . Gregorio in la Vallicella, del medesimo anno 1600, a 6 di luglio, per transferirvi e riporvi il santo corpo del detto beato. Nei cui fundamenti fu messa, il detto giorno, la prima pietra da Francesco Maria card. Tarugio, a ll’ hora arcivescovo di Avignone. V i fu , anco, posta una scatolina di piombo, con dodici medaglie di ottone et una di argento grande, tutte con l ’impronto del beato Filippo, e con la seguente inscrittione : « B . Philippus Nerius Florentinus Oong.nis Oratorii fundator obiit Romae anno 1595 ». Inoltre, vi fu posta una lastra grande di piombo, con l ’ inscrittione che segue : « Sacellum hoc in honorem b. Philippi Nerii fiorentini Cong.nis Oratorii fundatoris Nereus de Nigris nobilis florentinus ob singularem in b. virum pietatem a fundamentis suis sumptibus magnificentissime exstruere curavit anno iubilei 1600 mense iulio die octava festi ss. apostolorum Petri et Pauli Clemente Octavo pontifice pont.us anno nono ». H ora, mentre che il detto s.r Nereo, spronato dalla devotione, sollecitamente faceva attendere alla detta fabrica, senza per­ donare a qualsivoglia spesa, havendo di già, a capo di diciotto mesi, il tutto a buon termine ridotto, piacque al Signore, che il suo figliolino Philippo, nominato di sopra, fosse talmente da vormiglioni assalito, che, crescendo, di giorno in giorno, la m alatia, venne a tali, che più non zinnava, non piangeva, nè poteva piangere, anzi, che a pena pareva che potesse respirare, di modo tale, che, in punto in punto, aspettavano che se morisse. E t, non bastando l ’animo al s.r Nereo suo padre di vederlo spirare, si retirò in un’altra stantia, dove, della gran pena che sentiva della gran perdita di quel unico figliolo, tanto tempo da lui desiderato e miracolosamente ( per quanto lui teneva) ottenuto, proruppe in queste parole : « o beato padre Philippo, sarà egli mai vero, che tu vogli, che la prima attione si habbi a fare nella capella, che io ho fatto fabricare in honor tuo, sia il darvi sepultura a l mio figliolo, e quello ancor unico? ». Non hebbe appena finito di dire questi parole, che il putto fuori d’ ogni humana espectatione quasi svegliato da profondo sonno, cominciò a parlare e chiamare : « babbo » tre o quattro volte. Il che sentito, con gran stupore, della s.ra contessa di Pitigliano, figliola, anche ella, del detto s.r Nereo, corse con velocità a chiamare il s.r suo padre, che tornasse presto. A l quale, subito tornato in camera, il putto istesso, in maniera che ognuno lo intese, disse, che egli era guarito e che l’ haveva guarito « il nonno » , che così chiamava il beato Filippo, accen­ nando, che il detto beato padre li haveva toccato la testa con la sua mano. E t, così, cominciando subito a prendere dello stillato et a zinnare, li uscì dall’ orecchio gran quantità di humor corrotto: dove si conobbe esserseli aperta una postema nella testa, dove diceva il putto esser stato tocco dal « nonno » ; la qual postemata, seguitando a purgar molti

    C roce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, v . I. Bari, Laterza, 1945 (« Scritti di storia letteraria e politica », X X X V ), p. 254 n. 2. Strano è che il Croce, senza pensare al rinnovarsi del nomi nei casati, trovi il fatto riportato dal Bacci contrastante con la cronologia, in ragione dell’esistenza di un più antico Filippo Del Nero.

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    19 aprile 1608. [262] Francesco Zazzara. ff. 630-631

    giorni, rese il patto tutto sano. E t, per questo, il s.r Nereo, da sì novo e gran beneficio stimulato, non solo continuò l ’ edificio della cappella, ma non pensava ad altro più, che a trovare modo d’arrichirla e ren­ derla pretiosa, quanto a lui fosse possibile, per gloria di detto beato. Nella quale capella, tanto l’ ornamento de l ’altare, quanto le mura dalle bande, sono tutte di riccbissimi diaspri, agate et altre pietre preciose incrostati, la cupula, da quatro colonne d’alabastro orientale sustenta, è ornata tutta di rosoni, fa tti di madreperle, con filetti dorati intorno, con il fondo di azurro di oltra marino, il pavimento, poi, conforme ai modello della cuppola, è fatto con rose di alabastro et altre pietre, nel cui mezzo è un diaspro orientale verde di notabile grandezza, con altri diaspri, che riccamente l ’accom pagnano; l’atrio della istessa capella, conforme ad essa, è d e siste sse pietre pretiose ornata. Nella cui capella, ancorché non fusse finita, con tutto ciò, fu risoluto transferirvi il corpo del beato Filippo, perchè il luogo, dove fin hora era stato, era molto angusto e scomodo per la frequentia del popolo, che veniva per vederlo et honorario. Per questo, a dì 24 maggio 1602, in venerdì, sette anni dopo il felice transito di [f. 631] detto beato p. Filippo, la mattina a bon’ hora, da sacerdoti con cotte e torcie, cantando hinni e salmi, fu levato il santo corpo di dove stava e portato, con devotione, in sacrestia. Dove, con lumi accesi et altri ricchi ornamenti, stette ivi tutto il giorno. La sera, passate le 24 hore, fu , da tu tti li sacerdoti o chierici di casa (essendo la chiesa piena di verdure, odori e lumi accesi, sì come anco la nova capella) processionalmente, con cotte et torcie, cantando diversi hynni e salmi, portato il santo corpo per la chiesa, accompagnato dalli ill.m i s.ri Francesco Maria Tarugi et Cesare Baronio, cardinali, et anco da mons. Pamphilio, hora cardinale e vicario di sua santità. Posato che fu il santo corpo nel mezzo della nova capella, si cantò divotamente il « Te Deum laudamus » , et si disse altre orationi, et, la mattina seguente, vi disse la prima Messa, in detta capella, il s.r card. Tarugi, quale, due anni prima, haveva posta la prima pietra.1599 E t, dall’ hora in poi, ogni

    159 9 L ’inaugurazione avvenne alla presenza di Nero Del Nero e dei fam iliari; per la costruzione e decorazione del sontuoso tempietto, egli aveva sborsato più di 80.000 scudi, secondo il calcolo del D iario originale autografo di Fran­ cesco Zazzara, Archivio dell’ Oratorio di Roma, A . I I I . 4, p. 64. M a il fatto suscitò contrarietà, anche nello stesso Clemente V i l i , come risulta da una lettera del card. Baronio al p. Antonio Talpa a Napoli, in data 14 die. 1602 : « Qui si è ecci­ tata burrasca grande contro le cose del B . Padre, partorita dall’invidia della sontuosa Cappella volgarmente chiamata del B . Filippo. Il Papa è in dispiacere grande, parendoli, che prevenghi la Canonizzazione, quale tocca alla Sede Apo­ stolica. A me toccano masticare pillole amare. Preghino per me, et per il negotio di tanta importantia, con il quale va congiunto quello del B . Ignatio, et del B . Ill.m o Borromeo. Si scoprono molti Cardinali poco favorevoli, et per la maggior parte tacciano d’imprudentia li nostri Padri della Vallicella, per non dire di temerità. Il Papa sopra di ciò ha fatta una Congregatione di 16 Cardinali, et altrettanti Consultori. L a prima Congregatione sarà lunedì prossimo », C alenzio , p. 590. D ell’intimata « Congregatione sopra la materia de Beati », che doveva tra gli altri punti trattare « che cosa sia canonizat.110 et beatificat.110 », informava un Avviso del 14 die. 1602, eod. Urb. lat. 1070, ff. 725 v-726. Altro, in data 28 die. 1602, riferiva : « Nella Congreg.110 de Beati, la cui Congreg.110 fu tenuta Venerdì pass.0 s’intende p[er] cosa certa che N . S.r0 habbia dichiarato, che n[on] intende si tratti de Beati che sono p[er] continuata consuetudine in divot.no de popoli, ne di quelli, che hanno Brevi part.ri da Papi, restringendosi a questi Beati moderni,

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    19 aprile 1608. [262] Francesco Zazzara. f. 631

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    m attina, vi si è celebrata e celebra, con gran frequenza et devotione del popolo ; moltissime elemosine concorrono per dirvi Messe, per gratie ricevute o da ricevere dal Signore, per mezzo di esso beato padre, et, spessissimo, sono portati voti di diverse sorti, et, anco, ne vengono da fuori di Eom a, da diverse parti, per il medesimo effetto, come chiara­ mente si vede dalla quantità grande, che hora vi sono. E le sudette cose, da me nel modo sudetto deposte, dico saperle, nel modo, che qui sotto si dichiarerà da me. E , prim a, in quanto alla translatione del santo corpo e devotione del popolo, lo so di certa scienza, perchè mi trovai presente a detta translatione, e l’altro si vede di continuo da tutti. In quanto alla capella, si vede chiaramente in fatto et ogniuno lo puoi vedere. D el miracolo, poi, del figliolo del s.r Nereo, et l ’ unione, che fece, con l ’arme et casata del detto beato Filippo, dopo la quale unione nove mesi ne hebbe il detto figliolo maschio, come si è detto di sopra, lo so per relatione del detto s.r Nereo, che publicamente, allhora, lo diceva, et era cosa n o ta ; per questo, fin hora, non l’ho deposta in processo. Inoltre mi ha detto il s.r Pietro Stròzzi, al presente secretario delli brevi secreti di nostro signore Paulo papa V , che il s.r Nereo, più volte, li disse, in raccontarli questo miracolo, che, quando la s.ra contessa, figliola del detto s.r Nereo, lo chiamò, come ho detto di sopra, si pensava, che lo chiamasse, che il putto fosse per morire. Inoltre, essendo il s.r Nereo in Fiorenza, e desiderando io, di novo, sapere minutamente come era passato il detto fatto, gli ho scritto et sua signoria, alli 21 d ’aprile 1606, mi rispose le seguenti parole, in una lettera, quale desi­ dero sia registrata il tenore di esse « ad verbum » tutta, acciochè abbia da essere, in perpetuo, memoria di un tal fatto, a gloria di Dio et esso beato padre. Qual lettera presento a questo effetto, il quale tenore, incominciando dalla soprascritta, è come seguita, cioè a tergo : « A l molto mag.co et r.do in Xpo padre il p. m .s Francesco Zazzara » ; intus, vero : « Molto mag.co et m. r.do in Xpo Padre. Non ho ricevuto la sua delli 8 d ’aprile prima che hora, però non ho risposto prima, et, quanto a ll’inscritione dell’ intaglio, non saprei agiungerli et resto a lei et a ll’intagliatore molto obligato.*1600 Veggo vorrebbe notitia come seguisse l ’ unione dell’ arme del santo padre con la mia et quanto alle cause, che

    et ne nominano sette, cioè il P.re Filippo della Chiesa nuova, il P.re Ignatio del Jesu, il P.re Filippo de Conventuali che andava gridando lodato sempre sia il nome di Jesu et di Maria, il P.re Felice Capucino et il P.re Marcellino, et il P.re Frat’Angelo de Paz Zoccolante, et il Card.® Borromeo », cod. cit., f. 751 r-v. Circa la descrizione della cappella data dal teste si deve notare che in parte essa non corrisponde più, specie per il vano dell’ altare, dove la cupola non è più ornata di rosoni di madreperla, ma a lanternino e a stucchi dorati. Anche il pavimento è stato rifatto con intarsi marmorei di rami di fiori. 1600 Si tratta di una incisione con l’effigie di F ., dedicata appunto a Nero Del Nero. Essa reca, in alto : « Beatus Philippus Nerius | Florentinus Congrega­ tionis I Oratorii Fundator |Oblit Romae V II K al. Iunias An. 1595 | Aetatis octo­ gesimo ». L ’effigie è a mezza figura, di tre quarti, verso destra : il santo è in pianeta, a mani giunte; da destra, un raggio scende verso di lui. Sotto, stemma Del Nero inquartato con Neri, éntro targa sormontata da elmo con cane uscente con stella in capo ; e iscrizione : « Nero de Nigris Fiorentino | Domicello Romano | Iacobus Laurus D .D . | Romae cum privilegio Summi Pontificis 1606 | Superiorum permissu ». In colonne, a destra e a sinistra, scene della vita. Dn esemplare si conserva nell’Archivio dell’ Oratorio di Roma, A. II I . 51.

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    19 aprile 1608. [262] Francesco Zazzara. fi. 631-632

    nel contratto appariscono, che me l ’ habbiano fatto fare, lo caverà molto bene da motivi, che sono nell’ istesso contratto, che notarò qui sotto " d e verbo ad verbum ” . Constituta personaliter etc., coram etc., d.n a Elisabeth, vidua uxor olim Antonii de Cionis etc., asserens pluries fuisse requisitam a d.no Nero etc. de trasferendo et concedendo sibi suisque posteris insignia familiae de Neris, cuius est dicta d.na E lisa­ beth, tamquam unica dictae familiae et hanc requisitionem fecisse ex infrascriptis, ut asseruit, motus. Cum ex innumeris quibus, a Deo optimo maximo, in omni vita, est affectus beneficiis, nullum sibi plus gloria et decoris videretur attulisse, quam dum in coelesti consuetu­ dine et fam iliaritate dignus fuit factus beati Philippi Nerii, Congregatio­ nis Oratorii, quem universa posteritas ut Christianae pietatis columen maximum aeque ac veteres illos proceres Ecclesiae omnes est admiratura ; et cupiat, ad augendum generis sui nomen ac dignitatem, aliquam eius gloriae partem posteris suis tradere et, quos bonorum heredes substituere decrevit, eosdem et tantae felicitatis participes relinquere, eodem beato viro perpetuo gentis suae patrono, ut dicitur, adoptato, et, ad hoc, ut eidem d.no Nero liceat et licitum sit sibi eius familiae insignibus pro­ pria decorare et illustrare ; et, admirata ipsius Neri pium et gratum animum, eidem, pari voluntatis atque amoris vice, respondens etc., alacri et prompto animo, transtulit facultatem etc. E t questo mi par che basti per notitia della causa, che mi mosse, a domandare l’ arme. L ’accidente che seguì nel domandarle fu che, non habitando io, in quel tempo, in Fiorenza, et havendo io ordinato, ad un mio agente in quella città, che trattasse questo negotio lui, et tra t­ tandolo, et pensando haverlo concluso, avenne che fu avertito, che queste aggregationi, o donationi di famiglie o di arme non si potevano fare, senza che ci intervenisse un magistrato, il quale faceva pagare, per questo atto, non secondo la cosa, ma secondo [f. 632] la qualità de contrahenti, e che ciò potrebbe importare spesa di qualche cento scudi ; il che inteso da costui, non li parve di tirare più innanzi, senza darmene aviso. E me ne scrisse, dicendomi, che aspettarebbe ordine da me, di quello dovesse fare sopra ciò : e questo fu dal primo a ’ 12 o 15 del mese di aprile 1599. Giunsemi la cosa un poco nova ; con tutto questo, subito gli scrissi, che non lasciasse di concludere il negotio, quando anco mi ci bisognasse sborsare mille scudi, et, su questo mio ordine, si stipulò il contratto, sotto 20 di aprile 1599. La spesa non fu di molta consideratione et, alli 10 di gennaio del detto anno, a ll’ uso fiorentino, mi nacque un figliolo maschio : che fu, per l’appunto, nove mesi doppo che io scrissi, che si stipulasse il contratto, senza guardare alla spesa delli mille scudi. E t perchè io tenni et tengo, che mi fusse concesso per li meriti di questo santo, nel battesimo gli feci, per memoria sua, por nome Filippo. Era il putto di diciotto mesi, quando fu assalito dalli morviglioni, et crebbe, molti giorni, il male, in tanto che era condotto, che non zinnava, non piangeva, e non faceva senso, et ognuno n’ era disperato, et io, particolarmente, a chi più toccava. Il quale, poi che fui stato qualche hora, senza vedere miglioramento, et conoscendo la virtù prostrata, non mi bastando l’animo di star a vederlo spirare, me ne andai sul letto d ’ un’altra camera, a canto a quella, et, travagliato di animo, certo più del dovere, proruppi in queste parole : “ O beato padre,

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    24 aprile 1608. [263] P ietro Strozzi, f. 632

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    sarà egli mai vero, che tu voglia, che la prima attione, che si habbia a fare nella capella, che io ho fatta fabricare in honor tuo, sia il darvi sepultura al mio figliolo, e quello unico? ” . Non hebbi prima fornito di dire queste parole, che il putto, quasi resentito da un profondo sonno, chiamò tre o quattro volte: “ babbo” , et la contessa di Pitigliano, mia figlia, corse a dirmelo, et mi sforzò a tornare là, dove, da se stesso, il putto mi disse, in modo che ogniuno intese, che era guarito e che l’ haveva guarito “ il n on n o” (che così chiamava il beato padre) accen­ nando, che gli havesse tocco la testa con la sua mano. E t, pregato che pigliasse un poco di stillato, lo prese, poi riprese a zinnare, e fu messo a letto, e si adormentò, e mentre dormiva, li cominciò, dall’orecchio dritto, a uscire molta sanie, e si conobbe esserli aperta una postema, che haveva nella testa. La quale, seguitando a purgare, poi, molti giorni, ci rese il putto fuor di pericolo e sano. Tenni io e tengo per fermo, che, veramente, il santo apparisse al putto, et che si rompesse la postema, per virtù della sua santa mano, poiché il putto stesso diceva e mostrava, dove, con la mano, il santo l ’haveva tocco. E , quanto a me, non ho dubbio, che, come mi fu questo figliolo concesso, quando mi nacque, per intercessione sua, me li sia stata resa la sanità e la vita, liberandolo dalla sopradetta malatia. Quanto alla famiglia di Soldo, fameglia della madre del beato, per hora, trovo, che, nel 1382, hebbe Soldo di Pagolo di Soldo, che fu de signori, che era il primo magistrato della città, e, sempre, da poi, ha goduto di privilegii, che hanno goduto li altri nobili.1601 Desidero si ricordi di me, nelle sue orationi. M i ricordi alli altri padri, per persona che habbia molto bisogno d’aiuto, e, con questo, raccomandandomeli, fo fine. D i Firenze li 21 di aprile 1606. D i V . R.za e per servirla Nero de Neri »

    D IE IO V IS 24» M E N SIS A P R IL IS 1608

    [263] E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in dom o solitae habitationis ill.m i et r e v .m i in fra scrip ti te s tis , R eg ion is C am pi M a r tii, p e r m e e t c ., adm o­ dum ill.is e t rev.m u s p . d .n u s P e tr u s S tr o z z a ,1602 nobilis florentinu s,

    1601 Figlia di Giovanni d’Antonio Soldi risulta essere stata la nonna materna di F ., Len a; questa, e non la madre, come già osservato alla nota 473, apparter­ rebbe quindi alla linea ascendente qui tracciata, non si sa sopra quale fonda­ mento documentario dal Del Nero. La famiglia Soldi è inclusa in una genealogia che si trova in un manoscritto del see. xvii, compilato dall’ ab. F rancesco Capponcini, « Famiglia nobile de Neri oriundi da Castelfranco di sopra e spenta in suor Maria Vittoria nepote di sorella di s. Filippo e di Lisabetta sua sorella », Biblioteca del Collegio araldico di Roma; cf. P iero L anducci, La famiglia di san F. N., nella Rivista araldica, X, 1912, pp. 10-13. 1602 Pietro Strozzi, figlio di Vincenzo e di Ginevra d’Agostino Del Nero, fu segretario del conterraneo Leone X I, e poi di Paolo V, F ilippo Bonamici, De claris pontificiarum epistolarum, scriptoribus. Ed. altera ... Romae excudebat M. Palearini, 1770, pp. 90-98, 267. Di sua mano sono redatte le « Epistolae Pauli V ad principes et alios », anni 1605-1617, conservate nell’ Archivio Vaticano ; e « secr.° de’ Brevi de principi » è appunto qualificato nel Ruolo del 1° genn. 1611.

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    24 aprile Ì608. [263] Pietro Strozzi, fif. 632-633 ac et secreta riu s literarum apostolicaru m principim i s.m i d .n i n . P auli papae V , te stis e t c ., aeta tis annorum quadraginta in circa , qui, m ed io iu ra m en to, ta ctis e t c ., u t in fra d i x i t :

    Essendo in procinto il s.r Nero de Neri, mio zio bona memoria, et io, per venirmene a Roma, l ’anno 1601, intorno alla fine di novembre, se bene mi ricordo, et trattenendosi, per fornire la croce et li candelieri di agathe et di diaspri, per la capella del beato Filippo, dove poi si sono collocati, am alò, di morviglioni, Filippo, figliolo unico di esso s.r Nero e mio cugino, e procedette tanto oltre il male, che già tutti erano disperati della sua vita. Io costumavo, quasi ogni giorno, andar a casa di mio zio, e, la sera che seguì il caso che conterò, indugiai più del solito : non m i ricordo bene, se io lo feci, per indugiare a vedere l ’afflittione di esso mio zio et de li altri di casa, perchè, il giorno innanzi, che io vi era stato, il figliolo era in termine così disperato ; o pur per altra cagione. D i questo ben m i ricordo, che, arrivato, la sera che io dico, in casa, trovai ognuno allegro, et, intrato in camera, trovai mio zio con­ solato et pieno di buona speranza della vita del figliolo. E subbito che io arrivai, mi cominciò a dire queste o simili parole : « Pippo » (così si chiamava da tu tti, a ll’ hora, il figliolo, che era putto di diciotto in venti mesi, in circa) « è migliorato et io ne sto con buona speranza, perchè questo meglioramento è apparito miracoloso. Hier sera, in su quest’ hora in circa, noi eravamo disperati, perchè era ridotto a tal [f. 633] termine) che, dal dolore, che io ne havevo, fu i forzato di partirmi di camera sua, e, tutto afflitto, venni a gettarmi su quel letto. Dove, rivolgendomi dentro a l ’animo mio m olti dolorosi pensieri, proroppi, fra le altre, in queste parole, volto, con l ’animo, al beato Filippo : “ Oh, beato padre, sarà egli mai vero, che tu voglia, che la prima attione, che si habbia a fare ne la tua capella, che ho fatto fare in honor tuo, sia il darvi sepol­ tura a mio figlio et quello ancor unico?” . O vero, se ben mi ricordo: “ che la prima attione, che si habbia a fare sia il riporve il corpo di quel figliolo, che io tengo di haver ottenuto per la tua intercessione?” ». Così mi par di ricordarmi, o poco differente, in quanto alle parole ; ma,

    Teologo e conoscitore anche di lingue orientali, preparò per incarico del papa la risposta alla confessione di fede sottoposta, sul principio del 1610, dall’inviato di Elia, patriarca dei Nes'toriani caldei di Babilonia, P a s t o r , v . X II, pp. 48, 684 e 272 (i testi dei documenti relativi a questa missione, in D b A n g e l i s , Basilicae 8. Mariae Maioris de Orbe ... descriptio et delineatio, pp. 209-19; e per l’opera De dogmatibus Chaldaeorum disputatio e altre dello Strozzi in materia, N e g r i , Istoria degli scrittori fiorentini, cit., p. 469). Prese possesso di un canonicato di S. Pietro, il 30 sett. 1612; al quale rìnunziò alcuni anni dopo, avanti il 21 apr. 1619, cod. V at. lat. 10.171, ff. 78v-79. Perito d’ architettura, avrebbe diretto la costruzione della cappella Borghesiana in S. Maria Maggiore, suscitando critiche invidiose; in conseguenza delle quali sarebbe partito da Roma. Tornato in patria, si sposò; e dal granduca Ferdinando I I venne nominato, quasi al termine della vita, lettore di filosofia nell’università di Pisa. Morì il 15 ott. 1625, a einquantasei anni, e fu sepolto « in suburbano Templo, quod Boldronis dicitur », con ampia iscrizione, A n g e l o F a b b o n i , Historiae academiae pisanae volumen III. Pisis, excudebat C. Mugnainius, 1795, pp. 365-69; L i t t a , «Strozzi di Firen ze», tav. X V I. Un profilo di Pietro Strozzi è anche nelle varie edizioni della Pinacotheca altera, di G i a n o N i c i o E r i t r e o [ G i o v a n n i V i t t o r i o R o s s i ] . Egli depose anche nel terzo processo per F ., il 6 sett. 1610.

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    24 aprile 1608. [263] Pietro Strozzi, f. 633

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    in quanto alla sostanza, e quanto a l fatto, l ’ istesso dissemi, poi che, ne Pistesso punto, non haver appena finite quelle parole, la s.ra contessa di Pitigliano, sua figliola, che non si partiva mai d’ intorno al putto, che stava in una cameretta, a canto a ll’ istessa camera, dove il s.r Nereo si posava in sul letto, chiamò : « signor padre, venite qua ». E t, non si risolvendo a irvi (perchè, come mi disse, temeva che il figliolo spirasse) Pistessa s.ra contessa lo richiamò di novo, dicendo : « venite, che Pippo vi chiama », o vero, perchè non me ne ricordo per l ’ apunto : « vi vuole ». I l s.r Nero andò e trovò, che il figliolo, prima, che non parlava, era sol­ levato, si che gli disse : « io sono guarito » e, domandandoli chi l ’avea guarito rispose: « i l n o n n o ». E ra, in casa, una vecchia serva, che, come si costuma molte volte, era chiamata « la nonna » , et, havendo il putto detto di essere stato guarito dal « nonno » , intesero, che l ’ havesse guarito « l a n o n n a ». E t, dicendo essi: « t i ha guarito la n o n n a ?» il putto replicava : « no, il nonno, il nonno » quasi adirandosi di non essere inteso. E ra stato avezzato il putto a conoscere il ritratto del beato p. Filippo per nome del « nonno » et, sempre che se li mostrava, lo chiamava « i l nonno ». Per questo, subito s ’intese, che volesse dire di essere stato guarito dal beato Philippo. Però, domandandoli come il beato l ’havesse guarito, si toccava la testa. Consolatisi, dunque, tutti, li porsero un poco di stillato, se ben mi ricordo di haverlo inteso dire, e poi cominciò a zinnare, e doppo a prender sonno. Nel qual tempo, poi, per l ’ orecchio, cominciò ad uscire quella materia, dalla quale ven­ nero in cognitione li medici, che gli si fusse rotto una postema nella testa, e che si fùsse rotta, si credette, quando al putto parve, che li fusse stata toccata la 'te sta , e communemente dal s.r Nero et dalli altri di casa, si teneva per un miracolo del beato Filippo, come et anco lo tengo io. E t questo, che io sentii dire, a ll’ hora, dal s.r Nero, lo sentii, ne Pistesso modo, raccontare dalla s.ra contessa,1603 et, più et più volte, nell’ occasioni che si apporta, l ’ ho inteso raccontare da Pistesso s.r Nero. S o, che il s.r Nero haveva tanta divotione nel p. Filippo Nereo, fioren­ tino, fundatore della Congregatione dell’ Oratorio nella Chiesa nova, che professava, doppo molti et molti travagli, quali ha patiti, di haver ottenuto la quiete sua per l ’oratione et intercessioni del detto beato Filippo. Dicevami, fra le altre, che, la prima volta che li parlò (fu nel colmo delle sue afflitioni, che erano grandissime, per molti e molti rispetti, che non occorre a raccontarli, noti a me) sentì tanta consola­ tione, che li parve di essere quieto in un subito, che se ne stupì. E t, per questo, mentre stava in Eom a, stava di continuo appresso al beato padre. E t era il s.r Nero huomo pio, ma non punto, per l ’addietro, costumato a simil vita : tale, che m olti se ne maravigliavano. Crebbe sempre in lui l ’affetto ; procurò, per questo, doppo il transito del beato Filippo, d ’ haver Parme della fam iglia, dalla sorella del beato ; teneva d ’ haver ottenuto il figliolo per l ’ intercessione sua ; edificò la capella, nella forma, et con la spesa che si vede, a divotione sua, nella chiesa

    ieo3 Certo Nannina Del Nero, contessa di Pitigliano, poco sopra ricordata : sorellastra, probabilmente, del piccolo Filippo. Ma si può notare, come strana, l’ assenza della madre di questo, che non si sa dire se sia stata Monaldesca Mo­ naldeschi. Si vedano le note 341 e 1596.

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    9 maggio 1608. [264] Giovanni Matteo Ancina. f. 634

    di S . Maria et Gregorio in Vallicella, qui in Eom a. I l che faceva con tanto affetto, che, non solo questo era il principal pensiero, che egli havesse, ma pareva che delli altri poco conto ne facesse, a comparatione di esso. Dove, anche, haveva deliberato di essere sepolto usando dire, che, come vivente il beato Filippo, haveva trovato quiete appresso di lui in terra, così sperava, per sua intercessione, di haver a godere, in cielo, della misericordia di D io : però voleva, che il corpo suo fusse sepolto vicino al corpo del beato padre in terra. Essendo, poi, morto il detto s.r Nero in Firenze, l’anno 1606, del mese di ottobre, il corpo suo è stato depositato là, in Fiorenze, per condurlo qua. E t queste cose, da me, come di sopra, deposte, l ’ ho dette per la verità, et ho voluto, che siano scritte, a perpetua memoria, a gloria di Dio benedetto, e di detto beato padre. Ita est ego Petrus Stroza, a secretis epistolis principum s.m i d.ni n.

    [1. 634] D IB V E N E R IS 9* M E N S IS M A H 1608

    [264] E xa m in a tu s fu it, in officio e t c ., p er m e e t c ., r e v .dus p . d .n u s Io a n nes M a tth eu s A n c in a ,1604 p r e sM te r , fo ssa n en sis, C on gregation is Ora­ to r ii, te s tis , aetatis annorum quinquagintasex in circa, qui, m edio iu ra m en to, tactis etc. d ixit u t in fr a :

    D a Panno 1578 in qua, io mi ritrovo nella Chiesa nova, dove, di con­ tinuo, sono stato nella Congregatione. E t l’ occasione fu che, stando io in Piemonte, l ’anno 1576, un mio fratello, quale stava in Corte del­ l’ambasciatore di Savoia,1605 mi scrisse una lettera, dandomi aviso di

    i6°4 Giovanni Matteo Aneina, di Fossano in Piemonte, fratello minore del beato Giovanni Giovenale, entrò con lui nella congregazione dell’Oratorio il 1° ott. 1578; visse quasi sempre in Roma, meno brevi dimore a Napoli, 1595gennaio 1596, e all’abbazia di S. Giovanni in Venere. Operoso nel ministero, fu specialmente uomo di grande pietà e virtù, come rileva il necrologio : « 1638. 3 apr. f P. Ioh. Mattheus Ancina fossanen. n.rg cong. Oratorii sacerdos in pace requievit. Qui gt. anno. 26 a s. Philippo Nerio una cum germano fratre Io. Iuvenale inter suos adscriptus decem et septem annos sub eiusdem disciplina versatus studio chri.ang perfectionis atque exemplo 60 prope annos in cong.M vixit. V ir plane Deo plenus coelestibus semper intentus divina ex ore jugiter eructans qui in sacris ad populorum de verbo Dei sermonibus ad ultimum usque vitg spiritum perseverans tandem terrena fastidiens et ad cglestia intensius aspirans, brevi correptus morbo sacramentis ecclesie prgmunitus salutis anno 1638 die 3 apr. ipsa Sabbati sancti die sub vesperum 2,a et vigesima circiter hora plenus dierum in senectute bona placidissime in Domino obdormivit. Vixit ann. 86 et menses tres et sepultus est in sep. PP. sub choro. V II I », cod. Vat. lat. 7879, f. 83. Si legge la sua biografia, « con alcune scritture di suo carattere », nell’ A r i n g h i , cod. Vallicelliano O. 58, ff. 375-418; e nel R i c c i , pp. 179-91. Un breve profilo è in B o r d e t - P o n n e l l e , pp. 308-09 (vers, ital., 296-97). 1605 Giovanni Giovenale Ancina, nato in Fossano il 19 ott. 1545, si addottorò in medicina (si veda la nota 1524) e ne fu lettore a Torino negli anni 1567-1570. Preso poi a servire Giovanni Federico Madruzzo, conte di A ly e cavaliere deli’Annunziata, venne a Roma con lui, inviato ambasciatore di Savoia, nel novembre 1574. Entrò nella congregazione dell’ Oratorio il 1° ott. 1578 (è dato talvolta, non fondatamente, il 1580), e ricevette l’ordinazione il 9 giu. 1582. Svolse a Napoli fruttuoso apostolato dal 1586 al 1596; dopo il ritorno a Roma, tentò invano, anche

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    9 maggio 1608. [264] Giovanni Matteo Ancina. f. 634

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    haver havuto cognitione della Congregatione dell’ Oratorio di Bom a, et, particolarmente, del p . Cesare Baronio, dal quale fu introdotto al beato p. Filippo. Quale, fra l ’altre grafie signalate, che si dicevano haver ricevute da D io, era il spirito del conseglio, d’ indrizzare diversi a diverse vocationi et stati, secondo era spirato da D io, il che era quanto già molto tempo fa desiderava mio fratello et io. Quale aviso mi fece, tanto più volentieri, venire a Rom a, e, come, ho detto, dell’ anno, poi, 1578, il detto mio fratello Maggiore (quale si chiamava il p. Giovenale) et io entrassimo in detta Congregatione, havendoci, per prima, per spatio di un anno e più, trattenuto e fatto sperienza del spirito. Nella quale Congregatione io sonot stato, dove anco vi sto al presente. I l detto mio fratello p. Giovenale vi stette lui anco ventiquattro anni, e poi, perchè fu fatto vescovo di Saluzzo, andò alla residenza, dove vi fece residenza fin che visse, che fu per Spatio di doi anni. L ’istesso giorno, che fu consecrato, che fu il primo di settembre 1602, l ’ istesso giorno, primo di settembre 1604, fu sepolto, havendo già finito di fare la visita di tutta la diocesi. Quale fu molto penosa, per essere grande e sparsa in luoghi alpestri e montagne, et perchè anco era stata quella diocesi, da sei anni, vacante. E , fatto che hebbe anco il synodo, et tutte le funtioni solite da farsi da vescovi, conforme al Concilio, piacque al Signore di chiamarlo, dove lassò nome et opinione di un santo huomo, per la sua bona vita. In quel principio, che io entrai in detta Congregatione, anzi, per dir meglio, quando io fui condotto, da detto mio fratello, al beato p. Philippo, vi andai, con tanta fede e resignatione, come a uno apostolo, per la fama intesa delle sue virtù, e da lui mi confessai, circa un anno, più volte la settimana, e mi sforzavo di trovarmi, in particolare, nella sua Messa, nella quale soleva sempre, quasi, dire l ’oratione del Spirito Santo, acciò si ricordasse pregare Iddio per la mia resolutione. Essendo, poi come piacque al Signore, entrato in detta Congregatione, servendo io, una volta, la Messa al detto beato padre in S. Gironimo, mi occorse, che, celebrando detto beato padre a l ’altar grande, come era solito, dopo haver consecrato, restò talmente fisso et tutto assorto, nella consi-

    con una fuga, di evitare l’episcopato, a cui volle chiamarlo Clemente V i l i , con reiezione alla sede di Saluzzo, il 26 ag. 1602. Consacrato dal card. Camillo Bor­ ghese, il 1° settèmbre, a S. Maria in Vallicella, prese possesso della diocesi il 5 mar. 1603; ma la governò solo un anno e mezzo, poiché morì il 30 ag. 1604, per veleno, a quanto si asserì. Fu beatificato il 9 feb. 1889. Ampio materiale docu­ mentario sopra di lui si conserva negli Archivi dell’Oratorio di Roma e Napoli. Copiosa è la letteratura biografica, antica e recente, dalla quale si possono citare 1’A r i n g h i , cod. Vallieelliano O. 58, fl. 39-56; il B a c c i (Roma, 1671; ristampa, con app., Roma, 1890) ; G i o v a n n i V i t t o r i o R o s s i , Pinacotheca [I] e un’inedita e Vita Iu venalis Aneinae Salutiarum Episcopi », della quale il manoscritto ori­ ginale era nell’Archivio dell’Oratorio romano ; altro, segnato A. I. 31 [cf. L u i g i

    Un umanista nel seicento: Giano Nido Eritreo; studio biografico critico. Memorie historiche della con­ n ic e t o F e r r a n t e , d. O ., Vita del venerabile G. A. della congregazione dell’Oratorio, vescovo di Saluzzo. 2. ed. G e r b o n i,

    Città di Castello, S. Lapi, 1899, p. 74] ; il M a r c i a n o , gregatione dell’Oratorio, t. I, cit., pp. 353-476; A

    Napoli, tip. degli Accattoncelli, 1870. Per la produzione poetica e musicale, e sulla raccolta Tempio armonico della beatissima Vergine N. S., (Roma, 1599), A l a l e o n a , Studi su la storia dell’Oratorio musicale in Italia, cit., pp. 50-56, 309-12; S. Filippo Neri e il contributo degli oratoriani alla cultura italiana, pp. 64-66, 68-69; P i e r o D a m i l a n o , G. A. musicista filippino. Firenze, Olschki, 1956.

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    9 maggio 1608. [264] Giovanni Matteo Ancina. ff. 634-635

    deratione del S S . Sacramento, come si crede piamente, che, sendo stato buon pezzo di tempo così immobile e fuor di sè, non seguitando la Messa, restando io stu pefatto, non sapendo che mi fare, Analmente, pensando che il popolo havrebbe tedio di tanta spettativa, mi risolsi di tirar la pianeta : il che havendo fatto, tornò in sè e seguitò la Messa. Più, mi ricordo che, havendo inteso il detto beato padre, che una persona, che ancor vive in Borna,1606 haveva alcuni concetti di disprezzo di lui (cau­ sati, detti concetti, come poi ho conosciuto detta persona, da sugestione diabolica, acciò non havesse fede al detto beato padre, che era confes­ sore di detta persona) Pistesso beato padre procurò, anzi, comandò a detta persona, che dicesse tu tti tali concetti, publicamente, in presentia di molte persone, tanto godeva di essere disprezzato, che si vedeva, in tutta la vita sua, occultare, più che poteva, le virtù et gratie, che li dava D io, per non essere conosciuto e stim ato: donde, maggiormente, l’ ha fatto conoscere Iddio, da tutto il mondo, quanto più egli cercava· di occultarsi. E t, in somma, era tanto la buona opinione, quasi di tutti, verso detto beato padre, che cardinali, prelati, et altri gentilhuomini lo stimavano, riverivano et honoravano, et lo reputavano per un sa n to ; anzi ho inteso, che lo chiamavano, mentre anco viveva, « il beato » . E t, mentre è vissuto, è stato in questa veneratione, e molto più doppo la morte sua, come si vede, per m olti voti di gratie ricevute, che vi con­ corre continuamente nella sua sepultura, e come, anco, si vede essere, a gloria di Dio e nome suo, fatta una capella sontuosissima, di gioie et altre pietre pretiose ornata, et, anco, per voti donatili lampade d’a r­ gento, con la dote di mantenerle accese in perpetuo. E perchè di detto beato padre non potrei tanto dire quanto merita, [f. 635] si come si vede per la divotione, che di continuo cresce al popolo, et gratie che si riceve per intercessione sua, per esser molto note e state dette da altri, non mi stenderò più oltre in altri particolari. Solo desidero, che sia noto et manifesto la lettera, della quale ne ho fatta mentione di sopra, che sia registrata « de verbo ad verbum » come sta, perchè è tanto consu­ mata, che si stenta di legerla, e perchè mi par miracolo sia stata con­ servata sino al presente, et così ve la consegno, acciò sia registrata a honore e gloria di Dio e servi suoi. T en o r vero supradictarum literarum e s t u t in fra . In tu s vero : 1607 « D i novo non so quasi che dirvi, salvo che ìeoo N0n Si ga dire chi sia stata e a quale categoria appartenesse tale persona. Naturalmente oscure rimangono, nel processo, quasi tutte le allusioni del genere: •a esempio, si vedano le note 432 e 1139 con il testo corrispondente. 1007 Questa lettera, datata in fine 28 mag. 1576, è stata talvolta riprodotta, parzialmente: cosi si legge in M a r c i a n o , Memorie historicité della congregatione dell’Oratorio, t. I, cit., p. 32 ; nel F e r r a n t e , Vita del venerabile Giovenale Ancina, cit., pp. 34-35 ; e cf. B o r d e t - P o n n e l l e , pp. 65 e n. 2, 84 e n. 6, 307-08, 345 (vers, ital., 63 e n. 2, 81 e n. 6, 295-96, 331). Più estesamente, ma con l’omissione dell’ultima parte (« Die lunae oggi incominciano le Boggationi », ecc.) e della data, si trova nel tesoretto di lettere, al fratello e a diversi e di altri a Giovenale, raccolto nel volume a stam pa: Sacra Rituum congregatione, Eminentissimo ... D. card. Ottho-

    bono, Salutiarum, Beatiflcationis, & canonizatìonis ven. servi Dei Io. Juvenalis Ancinae ... Informatio postulatorum animadversiones R. P. D. promotoris, é respon­ sio ad easdem super dubio An constet de virtutibus ... Bomae, typis Bev. Camerae

    Apostolicae, 1731, pp. 141-42 [seconda numerazione] ; la serie delle lettere, pp. 1 3 5 200. Una raccolta di lettere di Giovenale e di altri a lui, fatta da Giovanni Vittorio Bossi [Giano N id o Eritreo], si dice esistere in copia nell’Archivio dell’Oratorio d i Napoli, F e r r a n t e , op. cit., p . 5 5 4 .

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    9 maggio 1608. [264] Giovanni Matteo Ancina. f. 635

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    giove e venerdì prossimi si è fatta la solennità della coronatione del papa 16081 9con fuochi, sparamenti, comete etc. “ ut s c is ” , stamattina ne 0 6 l ’alba, nostro signore è partito per andar fuori in v illa ,1809 onde tornerà per la vigilia dell’ Ascènsione, il che ha causato che il p. Toledo ha taciuto quel Vangelo “ Si quid petieritis Patrem in nomine meo etc.” . 1810 Pur ho sentito il M arcellino1611*1 3in S. Pietro, ove era anco il card. F a r­ 6 nese.1812 Ho preso un stile novo, da certi giorni in qua, et è che, alle 20 ore, vo a ll’ Oratorio di S. Giovanni de Fiorentini, ove si fanno, ogni dì, bellissimi ragionamenti spirituali sopra l ’ Evangelo, delle virtù e vitii, nell’ historia ecclesiastica, dell’ istoria e vita de santi, et, così, ogni giorno, sono quattro o cinque, quali ragionano, e vi vanno a sentire persone honorate, vescovi, prelati etc. A l fine, si fa un poco di musica, per consolare e recreare li spiriti stracchi da li discorsi precedenti. Hanno narrato la vita del glorioso s. Francesco, di certi suoi discepoli, e di s. Antonio di Padua. V i prometto, che è cosa bellissima e di gran consolatione et edificatione, e mi sa male che nè voi nè io mai lo sapes­ simo, l’anno passato, che si facesse ivi sì nobile et honorato esercitio. Hor sappiate che quei che ivi ragionano sono persone qualificate “ in sacris” , di molto esempio et spiritualità, se in Pom a se ne può trovare. Hanno, per capo, un certo rev.do d. Philippo fiorentino, vecchio hormai sessagenario, ma stupendo, per m olti rispetti, specialmente per la san­ tità della vita, e mirabile prudenza e destrezza in inventare e promovere esercitii spirituali, come fu autore di quella grande opera di carità, che si faceva alla Trinità de Pelegrini, questo anno santo. A costui imbui­ scono molto il p. Toledo, Possevino,1813 etc. In somma, dicono essere un oracolo, non solo in Roma, ma anco in m olti altri luoghi lontani, in Francia, Italia e Spagna. Onde m olti da lui concorrono per consegli, spe­ cialmente quelli, che sono per entrare in qualche religione ; et ho inteso che ne ha provisto di già de molti et, alla giornata, va provedendo, informato ben prima della conditione di ciascuno. I l che non è dubbio, che nasca in lui dal dono del Consiglio del Spirito Santo. Talché ad alcuni ha consigliato vita solitaria in Camaldoli, altri ha mandato alla Compagnia del Giesù, altri frati ne monasterii, “ et sic de singulis” . Parlai seco un pezzo, i giorni passati, introdotto da un suo discepolo

    1608 Gregorio X III era stato incoronato il 25 mag. 1572. 1609 La villa dove Gregorio X I I I doveva trattenersi fino alla vigilia dell’Ascen­ sione, 30 maggio, era quella di Mondragone, fatta costruire dal card. Marco Altemps, negli anni 1573-1575, a opera dell’ architetto Martino Longhi, il Vecchio, P e l i c e G r o s s i -G o n d i , S. I ., Le ville Tusculane nell’epoca classica e dopo il Rinasci­ mento. La villa dei Quintili e la villa di Mondragone. Roma, Tip. dell’ Unione cooperativa editrice, 1901, pp. 44-74, 172-87, 195-96, 199-221; e cf. P a s t o r , v . IX , pp. 33-34. 1610 Evang. sec. Iohannem, X V I, 23-30: si legge nella domenica « R o g a te » , quinta dopo Pasqua, che nel 1576 cadde il 27 maggio. 1611 Evangelista Gerbi, detto il Marcellino; sul quale, la nota 1347. 16 i 2 Alessandro Farnese (sulla morte del quale, avvenuta il 2 mar. 1589, la nota 770). 1613 L ’ultimo, il gesuita Antonio Possevino, di Mantova (1533-1611), famoso soprattutto per l’ attività diplomatica a servizio della Santa Sede, L i i s i K a r t t u n e n , A. P., un diplomate pontifical au XVIe siècle. Lausanne, impr. Pache-Varidel & Bron, 1908. Egli fu anche segretario generale della Compagnia dall’ aprile 1573 al 15 die. 1578, Synopsis historiae Societatis Iesu, cit., col. 636.

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    9 maggio 1608. [264] Giovanni Matteo Ancina. f. 635

    più caro et più mortificato degli altri. Ingomma, mi vidde e sentì volen­ tieri, mi esortò, sopra ogni altra cosa, alla profonda hum iltà; di poi volse, che mi preparassi bene, per farli una buona Confessione generale, qual spero sarà Fistessa settimana prossima, acciò possa andar meglio preparato a ricevere il Spirito Santo, questa Sacra Pentecoste. La qual udita, mi dirà il parer suo “ circa ingressum religionis et vita solita­ ria etc. Utinam et tu nunc mecum, sed olim et brevi, Deo favente, ut quamprimum, expediti a tricis negotiorum secularium, arripiamus no­ vam vitam, ut scis. Interim scribam ad te quaecumque sanctus hic vir mihi consulet in Domino. Ipse porro pernoctat in orationibus etc. A l i­ quando, licet raro, loquitur in oratorio, omnibus ab ore pendentibus et stupefactis” . Insomma, “ cogita alterum Kusbroch aut Thomam de Kempis aut Thaulerum, cum, praesertim, Missam celebraturus, non­ numquam in ecstasim rapi animadvertatur, nisi excitaretur ab aliquo socio. Die lunae” , oggi, incominciano le Rogationi. “ Ieiunemus, frater mi, et lugeamus quod non semper jeiunemus” . Stamane siam iti alla Messa al Popolo “ uti moris est” . Alie 20 hore, andrò, piacendo D io, a ll’ Oratorio. Stasera, alle 22, a S. Pietro : “ sic enim soleo mox facere quotidie et, post septem altaria,1614 exeo in Campum Sanctum ,1615 ad orandum pro defunctis, quorum corpora ibi in pace sepulta sunt. O quoties teipsum mihi in comitem desidero, precipue tendens ad sacel­ lum S S. Apostolorum , qui me ab alto despiciunt et omnes ingrediente s,1616 ut scis. Quando venies? et apparebis ante conspectum principum

    1614 « Quae quidem septem Altaria, ut ex antiqua traditione habetur, qui­ cunque ea reverenter visitaverit tot Indulgentiis consequitur, quot si septem Urbis Ecclesias visitaret ... », scrive, enumerandoli, T iberio A lfarano, De basilicae Vati­ canae antiquissima et nova structura, ed. cit. nella nota 764, p. 36; in appendice, anche il più antico « Memoriale delli sette altari privilegiati », di Giacomo H ercolani, pp. 177-78. Essi sono ancora indicati, nella moderna basilica, da iscrizioni sopra i frontoni. 1615 II Campo Santo Teutonico, presso la basilica di S. Pietro, con le annesse chiesa e confraternita di S. Maria, A nton de W aal, Der Campo Santo der Deutschen zu Rom. Oeschìchte der nationalen Stiftung. Freiburg im Breisgau, Herder, 1896;

    Cartularium vetus Campi Sancti Teutonicorum de Urbe. Urkunden zur Ueschichte des deutschen Uottesackers bei Sanct Peter in Rom, gesammelt und hrsg. von

    Paul Maria B aumgarten. Rom. 1908 (« Romische Quartalschrift fiir Kirchengeschichte », 16. Supplementheft). Con breve del 2 mag. 1579, Gregorio X III concesse indulgenze ai visitatori del cimitero, pp. 114-18. iei6 Un altare dei Ss. Pietro e Paolo, detto «d e Ossibus Apostolorum », esisteva nella vecchia basilica Vaticana, « in qüo lapis quadratus porphireticus erat, supra quem ossa sanctorum Petri et Pauli Apostolorum per sanctum Silvestrum Papam divisa et ponderata fuisse quando fuit consecrata haec Ecclesia ... ». Nel 1574 fu trasportato alla nave del Sudario (si veda la nota 764) e munito di una graticola di bronzo; ma non molti anni più tardi, declinata la tradizione della spartizione delle ossa dei principi degli Apostoli, la pietra sopra menzionata fu collocata « non in conspicuo loco » e nel 1639 all’ingresso della Confessione; in fine, riposta nelle Grotte, A lfarano, De basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, cit., p. 35-36 e n. Se il testo si riferisce, come pare, a questo scomparso altare, esso doveva essere sormontato dalle immagini degli Apostoli. Ma non si può escludere che lo scrivente intenda parlare dell’ altare della Confessione, come naturalmente il più venerato. In precedente lettera, scritta l’ultimo di aprile 1576 al fratello, Giovenale Ancina, che doveva abitare non discosto dalla basilica, aveva similmente infor­ m ato: « Ma ecco, che comincia a suonare il Vespro, & Ego vado ad Sanctum Pe­ trum, ut audiam, & visitem Sacellum Sanctorum Apostolorum ad orandum pro

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    14 giugno 1608. [265] Leonardo Rovelli, f. 636

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    super omnem terram ; accelera adventum tuum, frater mi, propera, alioquin moriar ego” . Fatto il ricolto, preparatevi ben che vi darò, ogni hor, più minuti avisi, et come habbiate a dispor le cose domestiche, pria che venire. I l Rosto è ito in Alemagna ; m .s Giuseppe il camerieri del signore a Napoli ; il commendatore Bresciano è tornato ; Valentino il staffiero ito star a Fiorenza ; 1617 in casa, tirati altri servitori novi. “ Ita omnium rerum vicissitudo est. D o m in u s1618 laborat podagra. Pur­ gant alii pretores p ap ae; quot miseriarum paedores.1619 Ego, vero, Dei gratia, optime valeo. Saluto omnes et singulos. Vale et oremus pro invi­ cem. D et nobis Dominus suam sanctam gratiam” . D i Roma 28 di maggio 1576. A terg o: AI magnifico m .s Giovanni Mattheo Ancina fratello carissi­ mo. Turino o Fossano, raccomandata a mons, il prevosto del M oreto.1620

    [f. 636] D IE S A B B A T I 14» M E N SIS IU N II 1608

    [265] E xa m in a tu s fu it R o m a e , in officio m ei, p er m e e t c ., de m a n ­ dato e t c ., d .n u s L eon a rd u s R o v e llu s , 1621 veru la n u s, su to r in U rbe p rop e banchum d .n oru m de T iciis , 1622 te s tis , aetatis annorum qua­ draginta se x in circa, qui, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., ad p e r p e ­ tuam rei m em oria m , d eposu it u t in fr a :

    Io son solito confessarmi e communicarmi sei e sette volte l ’anno e più, secondo che mi viene il commodo, et, ultimamente, sono circa venti giorni, che mi sono confessato e communicato in casa, per occasione di una malatia, che ho havuto, dóve sono stato a letto da ventisette o ventotto giorni in circa. Qual malatia è stata febre continua ; et, perchè, in questa malatia, mi conoscevo pericoloso, per trovarmi con doglia di

    utroque nostrum ... », p. 137 del volume della S. Congregazione del Riti clt. nella nota 16P7. 1617 Questi cortigiani e servitori delPambasciatore di Savoia a Roma non sono a noi altrimenti noti. Giovenale aveva dato in precedenza notizia, come pare, del penultimo, in altra lettera al fratello, senza data : « ... son molto soggetto al pre­ sente, non avendo il signor Ambasciatore in casa Gentiluomini, che li facciano com­ pagnia, salvo pochi, ut scis, essendo rimasto privo de’ Signori S. Pierre, Marc’Antonio, Canonico Bresciano ... », p. 140 del volume della S. Congregazione dei R iti cit. nella nota 1607. 1818 Giovanni Federico Madruzzo, appartenente alla famiglia dei cardinali vescovi di Trento, ma vassallo del duca di Savoia per possessi acquistati (aveva sposato, nel 1557, Isabella di Challant) fu ambasciatore di Emanuele Filiberto a Roma dal novembre 1574; e successivamente, nel 1585, ambasciatore cesareo alla corte pontificia. In Roma mori, nel 1588, e fu sepolto a S. Onofrio, E r n e s t o B i a n c o S a n S e c o n d o , Giovanni Federico Madruzzo ambasciatore di Emanuele Filiberto; notizie e carteggi, in Studi trentini di scienze storiche, IX , 1928, pp. 103-32.

    di

    1619 II ragguaglio è quasi in cifra ; m a si può intendere quali fossero le malattie deplorate dal pio medico e cortigiano. 1620 Moretta, comune ora nella provincia di Cuneo. 1821 Leonardo Rovelli, di V e rd i in provincia ora di Frosinone, depose anche nel terzo processo, il 13 sett. 1610: questo calzolaio, che esercitava l’ arte in Roma, non è altrimenti noto. 1622 i Ticci, fiorentini (nella chiesa nazionale di S. Giovanni è un’iscrizione a essi relativa del 1615, F orcella , v . V II, p. 17, n. 34) avevano probabilmente banco nella contrada ora detta appunto dei Banchi Vecchi; ma non se ne sono trovate notizie a conferma.

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    14 giugno 1608. [26ó] Leonardo Rovelli, f. 636

    testa terribile e febre continua, con un dolore eccessivo di schina; et per trovarmi, anco, oltre la m alatia, grandemente travagliato di mente, per torto che mi era stato fatto alla mia vigna, che un vicino mi fece intimare, la sera, e, la matina, menò li mastri giustitieri alla detta mia vigna, e mi fece levare un sasso, che stava in un viale commune, per non essere danneggiato dalli animali che passano : et, tra la mia malatia et questo negotio, stavo molto travagliato. La notte, alli 25 di maggio prossimo passato, manzi sonasse P « Ave Maria » di S. L ucia,1623 che, poco dopo, sonò, mentre stavo così in questo pensiero, molto travagliato, ecco mi apparve il beato Philippo Neri, fundatore della Congregatione della Chiesa nova. Era vestito da prete, lontano da me da quattro palmi in circa ; et io, vedendolo, mi mise a piangere dirotissimamente, raccomandadomi per la sanità ; et egli, dopo il spatio di un’ « Ave Maria » , che vi era stato, si partì, dicendo: « va’ in pace, figliolo ». E t, partito, mia moglie, che mi haveva inteso piangere, interrogandomi che cosa era stata, io li raccontai il fatto, giusto come era passato. Dove fu anco presente la mia balia, mentre raccontai questa cosa a mia moglie, et disse, lei anco, havermi inteso piangere. E , la mattina, senza licenza del medico, mi levai, et andai alla Chiesa nova, et raccontai questo negotio al p. Antonio, come era passato, et così lo pregai, che volesse far uscire ima Messa alla cappella del detto beato Philippo. D el che me ne com­ piacque, et io udii la Messa, in detta capella, con molta mia sodisfattione et allegrezza, ringratiando il detto beato Filippo della gratia et sanità acquistata per intercessione sua. E t tornai a casa, allegro e guarito a f­ fatto, e, dall’ hora, sempre andando di bene in meglio, megliorando, sono guarito affatto. E t tutto lo tengo sicuro per le intercessioni di detto beato padre io essere guarito miracolosamente. E t, per ringratiamento di questa gratia ricevuta, io ho dato ordine, che si faccia il voto in pittura, quale lo voglio mandare nella sua capella. E t, in oltre di questo, fo, per mia devotione, anco far un quadro del detto beato Filippo, che sia in Paradiso, a godere tra li beati, perchè, mentre l ’ho conosciuto in vita, era tenuto per un gran huomo da bene e servo di Dio ; e publicamente era tenuto per tale, sicome, poi, anco dopo la sua morte, si è tenuto per sicuro per un santo e vero servo di D io, per li diversi miracoli et gratie, che, per sua intercessione, si sono havute. Come io anco, di certo, posso testificare, in questa m alatia, io essere guarito, come ho detto, miracolosamente, per l ’intercessione di detto beato padre. Che tutto sia ad honore di detto santo padre et a gloria di Dio : et, a questo fine, io ho detto e deposto, solo per la verità.

    1623 S. Lucia della Chiavica, detta un tempo anche Nuova, o del Gonfalone, dalla famosa arciconfraternita a cui appartenne; fu costruita sulla metà del see. X IV , e ancora esiste nella via dei Banchi Vecchi. La vecchia, « a Çaptusecuta » o « iuxta flumen », situata in luogo basso e soggetto alle inondazioni del Tevere, rimane nei sotterranei dell’ Oratorio del Gonfalone nella via delle Carceri Nuove, H u e l s e n , pp. 301-03; A r m e l l i n i - C e c c h e u l i , pp. 440-41, 513; L u i g i B u g g e r i , Varchiconfraternita del Gonfalone, memorie. Borna, tipi di B. Morini, 1866, pp. 154-186.

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    27 giugno 1608. [266] Girolama Vasconi. ff. 636-637

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    D IE V E N E R IS 27* M E N SIS IU N II 1608

    [266] E xa m in a ta f u it , R o m a e , in d om o solitae h abitationis in frascriptae te s tis , p er m e e t c ., de m andato e t c ., d.na H ieron im a V ascon a , 1β24 u x o r Ioa n n is P e tr i V a sc o n i, N ova rien sis d io cesis, librarii in via P ar io n is, te s tis , a etatis annorum quadraginta quinque in circa , quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it, ad in terrog a tion es e t c ., u t in fr a :

    Io sono solita, ogni domenica, ordinariamente, confessarmi e communicarmi alla Chiesa nova, et, alle volte, nelle feste che vengono tra la settimana, conforme a ll’ordine, che mi dà il p. Agostino Manni, mio confessore in detto luogo. L ’anno 1603, alli 9 di genaro, essendo io gravida di sei mesi, ritrovandomi, per la morte di un mio figliolo, per nome Francesco, di anni dieci e mesi nove, un gran dolore, per essermi il detto mio figliolo morto, come ho detto, disgraziatamente, per esserli passato un cocchio sopra la testa ; essendo, prim a, stato male quindici giorni, cascò in terra e così morì : e questo fu il dì di s. M artino, li 10 di novembre 1602.1 1625 Oltre a questo dolore, io, havendo patito molte 4 2 6 notte, et, in particulare, una, che non andai mai a letto, sino alle 8 hore di notte, che fu alli 9 di genaro 1603, nella quale notte, fra le 10 et 11 hore, mi sentii le doglie del parto e subito chiamai mio marito (si chiama Giovanni Pietro Vasconi), il quale, subito, levatosi di letto, uscì di casa, insieme con Gasparo, nostro figliolo maggiore, per chiamare la recoglietrice. E perchè era un tempo oscurissimo, che pioveva forte­ mente, con tuoni e lam pi, et acqua per le strade sino a mezza gamba, et non trovandosi in casa detta recoglietrice, mentre stette così fuora di casa, io, restando sola con le doglie, e gli altri figlioli piccoli, che dor­ mivano, non havendo alcun agiuto humano, e trovandomi così sola, mi raccomandai di core alla Santissima Madonna [f. 637] della V allicella et al beato Filippo Neri, il cui corpo si conserva in detta Chiesa, con dire : « O Beato Filippo, agiutatemi voi et venite voi in mio agiuto ». E t così, in un subito, mi sentii et sentii una voce nel mio cuore, che mi diceva : « non dubitare, sta’ allegramente, che io sono qui in tuo agiuto » et questo mi parve et ho sempre tenuto, che fosse la voce del detto beato Filippo, perchè l ’ esito lo dimostrò. Che, trovandomi io così sola, per spatio di mezz’ hora, partorii doi figlioli maschi, senza sentire li

    1624 Girolama Vasconi depose anche nel terzo processo, il 18 ag. 1610. Si trova il suo necrologio, al 10 sett. 1616, nel « Liber parochialis » di S. Maria in Vallicella, f. 131 : « Hieronima Lallia romana uxor Io. Petri Vasconi librarii, gtatis ann. 49 ... ». Nel registro stesso, al 6 sett. 1618, è anche quello del marito, f. 136 v : « Ioannes Petrus Vasconus librarius annor. 64 ». 1625 π pietoso caso risulta descritto dal necrologio che si legge nel «L ib er parochialis » di S. Maria in Vallicella, f. 71 : « Pranciscus Vasconius romanus filius d. Ioannis Petri novariensis bibliopoli: in Parione, in angulo domor, nostra­ rum contra Seminarium Romanum, iacuit infirmus 17 dies ex ictu et vulnere accepto supra musculum temporale in capite colliso inter rotam et ligna lateralia carpenti retro quod sedebat ludens prpfatus Franeiscus in via ad Montem Quiri­ nalem non longe a quadrivio 4 fontium [...] defunctus est die xi mensis novemb. 1602 ante diem hora circiter 12, cuius corpus in n.ra eccl.a sepul.0 com. sepultum est eod. die, vixit annos X I ».

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    28 settembre 1608. [267] Tommaso Grifoni, f. 637

    dolori del parto, agiutandomi da me sola. E t, perchè mi parevano mezzi morti dubitando che non campassero, io medema, così in piedi come stavo, mi feci dar l ’acqua dal detto Gaspare, mio figliolo, quale venne prima di sno padre, e mi diede l’acqua in un bichiero, e li battezzai. Ma, la mattina seguente, poi, furno portati alla chiesa di S . Lorenzo, parrochia, per l ’altre ceremonie della Chiesa ; et, per recognitione della gratia ricevuta per li meriti del beato Filippo, ad uno di loro feci por nome Filippo, et a ll’altro Francesco: uno campò ventiquattro hore et l ’altro diciasette giorni, ma non m i ricordo quale fosse di loro, che campò più. Quando mio marito et figliolo sudetti tornorno a casa, mi trovorno, come mi havevano lasciato, in piedi, havendo già partorito li detti duoi figlioli maschi, et, da me stessa, li havevo raccolti, senten­ domi, evidentemente, l’aggiuto del detto beato Filippo. Questo miracolo l ’ ho più volte, in questo tempo, raccontato a diverse persone,1626 sempre sentendomi nel cuore un stimolo, che dovessi rivelare e pubblicare questo miracolo e gratia ricevuta dal beato F ilip p o : ultimamente, alli 15 di giugno, che fu di domenica, del presente anno 1608, trovandomi presente, mentre si mostrava il santo corpo di detto beato Filippo ; e dissi questo miracolo a diverse persone, et ho voluto che si publichi, massime havendo sentito e sentendo tanti altri miracoli e gratie, che il detto beato padre ha impetrate et impetra ad altri, che, con fede, se li raccomandano. E t questo tutto sia ad honor et gloria di Dio benedetto, e dello glorioso beato p. Philippo, quale si degni intercedere per noi, appresso sua Divina M aestà, per la nostra salute.

    D IB D O M IN IC A 28» M E N SIS SE P TE M B R IS 1608

    [267] E xa m in a tu s f u it , in officio m ei e t c ., p e r m e e t c ., de m andato ut su p ra , ill.is d .n u s T hom as G rifon iu s , 1627 i. u . d ., floren tin u s, te ­ stis e t c ., a etatis annorum [m ancano], cui delato iu ra m en to, e t p er eu m ta ctis e t c ., d ixit u t in fra , ad in terrog a tion em e t c .:

    Io Thomasso Grifone, dottore di leggi, fiorentino, ritrovandomi qui in Rom a, dove arrivai a lli 12 di aprile prossimo passato, fu i soprapreso dal male, che volgarmente si dice di pondi, o di flusso, a dì 3 settembre, con dolori gravi del corpo, e nel secondo e terzo giorno, aggravando più il male, per l ’accessione de la febre, trovandomi ne l ’ età di sessant’ un anno, et nella stagione autunnale, et, da l ’ essempio di tanti et tanti, che, questo presente anno, sono periti, così in Roma, come fuori, pen­ sando questa dover essere l ’ ultima mia infirmità, la sera del sabbato a dì 6 detto, mi confessai, al lecto, dal parrochiano di S . Biascie della

    1626 A l processo riferì il fatto ampiamente, anche la vicina Felice Sebastiani, il 14 mag. 1610, ff. 891-892. Ì627 Grifoni, Griffoni, antica famiglia toscana, con palazzo a S. Miniato, e resi­ denza anche a Firenze. A quelli rimasti in questa città doveva appartenere il teste, non altrimenti noto ; m a due rami abitarono a Roma, almeno dal see. xv, I a c o v a c c i , « Repertorio di famiglie », cod. Ottobon. lat. 2550, pp. 357-364 [quarta numerazione]. Antichi cittadini erano, inoltre, a Bologna, A m a y d e n - B e r t i n i , v . I, pp. 432-33. Cronista bolognese fu Matteo (1351-1426).

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    22 ottobre 1608. [268] Teodosia Del Duca. f. 638

    315

    F ossa. D i poi, sovenendomi le tante e così segnalate gratie, che sono ■quasi innumerabili, ricevute da quelli, che si sono raccomandati ai beato p. Filippo Neri, fundatore della Congregatione del Oratorio nella Chiesa nova, come si legge nella vita di lui, poco prima da me letta, e come si vede per li tanti voti e quadri, appesi intorno alla capella e sepolcro di lui, nella detta Chiesa nova, presi tre grani benedetti,1628 quali furno trovati, nella morte di detto beato, fra le altre cose sue, datim i dal rev.do p. Francesco Lantero,1629 uno delli padri di detta Chiesa nova, come reliquie del medesimo p. Filippo, e ponendo detti tre grani sopra la parte del corpo, dove sentivo il male et il dolore più grave, mi raccomandai, replicando, più volte, con la lingua et con il Core, queste parole : « Beatissima Maria di Giesù, beato p. Filippo, aiutatem i ». Dopo questo, in tutto il resto della detta notte del sabato detto, nè più di poi, sentii dolore alcuno ; et, la domenica seguente, n ell’ hora, che, delli doi precedenti giorni, era venuta, e di poi, più non tornò la febre : così cessò il male. E t io, come prima mi fu lecito, recuperate, in breve, le forze, andai a ringi*atiare la beatissima Vergine et il beato p. Filippo, visitando la Chiesa nova di lei, et la capella et sepolcro di lui, E t, ultimamente, sabbato, a dì 27 del detto mese di settembre, ho portato, non havendo potuto haverlo prima, un quadro, nel quale sta affissa l ’imagine d ’argento, rappresentante un huomo genuflesso davanti l ’immagine, pur d ’argento, che rappresentano la beatissima Vergine, con Giesù bambino in collo, [f. 638] et il beato Filippo, per appenderlo, appresso tanti altri, davanti alla sua capella et sepolchro, per segno del rendimento di gratie, et in memoria della sanità et gratia ricevuta, a gloria et honore di Dio et della beatissima sua Madre sempre Vergine et di detto beato p. Filippo. Amen.

    D IB M E R C U R II 22» M E N SIS O C TOBRIS 1608

    [268] A c c e ss i ad m on asteriu m San ctae L u ciae in S ilic e , una cum a dm o­ dum r e v .d o F ran cisco Z azzara, p resb itero C on gregation is O ratorii, de m andato ill.m i et r e v .m i d .n i cardinalis P am p h ilii, s.m i d .n i n . papae vicarii g en era lis, in p rosequ en du m p rocessu m eiu sdem beati P h ilip p i N erii. E xa m in a ta f u i t , ad gratas eiusdem m on asterii re v .d a m a ter so ro r T heodosia del D u c a ,1630 rom a n a , m onialis in

    1628 Forse, grani d’incenso infissi nel cereo pasquale durante il canto dell ’ « Exsultet », nel rito del sabato santo ; ma non si ha altriménti notizia che si conservassero, come qui pare, per motivo di devozione. Nè compariscono nell ’« Inventarium bonorum » redatto alla morte di F. 1629 Francesco Lanteri, di Porto Maurizio; venne a Roma nel 1591, fu procu­ ratore della Compagnia dell’Annunziata e legale di casa Giustiniani; il 1» ag. 1606 entré nella comunità oratoriana alla Vallicella. Morì in patria, il 5 giu. 1624. Ne scrisse la biografia 1’ A ringhi, cod. Yallicelliano O. 59, ff. 335 r-346 v. 1630 Suor Teodosia Del Duca depose anche nel terzo processo, il 21 sett. 1610. Il monastero di S. Lucia in Selci, al quale appartenevano questa teste e le quattro che seguono, era stato costituito circa il 1568, per ordine di s. Pio Y , a raccogliere più comunità di terziarie agostiniane. L a fabbrica del monastero fu intrapresa nel 1603. Fama di austerità e di osservanza aveva la comunità, che esiste ancora.

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    316

    22 ottobre 1608. [268] Teodosia Del Duca, f . 638 d icto m on a sterio, aetatis annorum trigintaunius in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta ctis sacrosan ctis sc rip tu ris, ad sancta D e i E van gelia de ve r ita te dicenda, ad in terrog a tion em e t c ., d ix it u t in fr a :

    Sono cinque anni, che io sono monaca in questo monasterio, dove son solita frequentare li Santissimi Sacramenti doi volte la settimana. Sedici anni sono, mi trovava nel monasterio di Monte C itorio,1631· dove, essendovi io già stata per spatio di doi anni e mezzo, mi sopravvenne un’ infermità di milza, che mi dava impedimento al salire le scale, m i stava gonfio il corpo. Con il quale male e così gonfia, sono stato sina a ll’anno passato 1607, che, come ho detto, mi viene ad essere durato detto male per spatio di sedici anni. E t, poi, l ’anno passato, come ha detto, del mese di settembre, guarii miracolosamente, in questo modo. Cioè che, trovandomi io, più del solito, gravata di detto male, che non potevo, non solo salire le scale, ma nè anche mettermi a sedere nè pas­ seggiare, dandomi straordinario fastidio al stomaco, e, mentre, cosi travagliata, stavo nel dormitorio, acanto a sor Gironima M arzani,1®32 nepote del p. Angelo V elli, preposito della Congregatione de l ’ Oratorio, appresso la quale erano alcune reliquie dell’ interiori del beato p. F i­ lippo, donategli dal detto p. Angelo, suo zio, le quali, postemi, da lei, in mio seno, alla sprovista, me li raccomandai di cuore, al detto beato p . Filippo dicendo (se fusse per la meglio) di rendermi la sanità. E , subito finito di dire dette parole di raccomandatione, per spatio d i un’ « Ave M aria », mi sentii libera affatto, e non mi sentii più male nessuno, ma liberissima e sana. E t , dall’ hora sino al presente, non ho mai più patito di simili infirmità. E t, il giorno, poi, seguente, andai dalla mia superiora, sor H ippolita Venusti, priora, e narrandoli il miracolo successomi, la pregai si contentasse, che io facessi dire una Messa, nella capella eretta nella Chiesa nova, ad honor di detto beato padre, dove si conserva il suo santo corpo, per la gratia ricevuta. La quale si contentò, e, così, la mandai a dire. In somma, come ho detto, subito che mi furno messe le dette sante reliquie in seno, nel modo che ho detto di sopra, et raccommandatomeli di core, in un subito mi sentii libera e sana affatto. Miracolo vero e gratia particulare, ricevuta per intercessione di detto beato padre. E , quando mi furno messe le dette reliquie, e che mi veddero, in un subito, guarita, furno presenti sor Ceci­ lia Pieroti, sor Gieronima, che m i diede le reliquie, sor Anna Maria C esi.1633 E , tra le altre, la detta sor Cecilia, quale sapeva molto bene il mio male, che, più volte, mi haveva vista e toccata, vedendo così, in subito, questo miracolo, volse meglio chiarirsene, con toccarmi, come

    L ’ archivio si conserva nell’Archivio di Stato di Roma, Monienovesi, Chiese e mona­ steri di Roma: 8. Lucia in Selci, eit., in Archivi, ser. I I , X , 1943, pp. 89-120. Si veda anche la nota 1006. 1631 Deve trattarsi di S. Croce a Montecitorio, monastero di suore francescane poverissime, dette le Perugine; trasferite a S. Bernardino, al tempo d’ innocenzo X II, rimangono avanzi della loro piccola chiesa in una casa di via degli Uffici del Vicario, P anciroli , I tesori nascosti nell’alma città di Roma, pp. 301-02; A rm ei .l in i -C ecchelli , p. 379. 1632 Sorella di suor Lucia Marzani, una delle testi successive, nel giorno stesso (270). 1633 Teste successiva.

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    22 ottobre 1608. [268] Teodosi» Del Duca. ff. 638-639

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    era stata solita per prima, et, visto et tocco, come ho detto, confessò esser miracolo vero, e lei anco ne rese gratia a l detto beato padre. E t, oltra le sopranominate, molte altre monache sanno il mio male, che havevo, et la gratia ricevuta, per intercessione del detto beato p. Filippo. D i più, anco, ho da dire che, dell’anno passato, non ricordo del tempo preciso, che, ritrovandosi la sopranominata sor Lucia Marzani con una eccessiva doglia di testa, che non ne poteva trovar loco, et mi par che ne havesse patita tutto il giorno, la sera, poi, trovandosi ap ­ presso di sè li occhiali,1634 che adoperava il detto beato padre, se li pose in testa e li legò con un panno. E , posti che li hebbe in testa, nel modo che si è detto, subito si pose a dormire e, per quanto mi par d ’ haver inteso, de lì a poco, svegliatasi, si trovò libera e sana di detta doglia di testa, et andò a cena con le altre monache. D oi anni sono, essendo io infermiera, vi stava, nell’ infermeria, una certa sor Geltrude Tartaglina 1635 monaca, quale pativa di opilatione, doglia di stomaco, di testa e febre. E , quando uscii di detto mio offitio, lasciai la detta monaca gravata di detto male, et li medici ne facevano mal concetto, con dire, che non poteva guarire, che era guasta tutta dentro : l ’ havevano fatta communicare, [f. 639] più volte, per Viatico, perchè la tenevano pericolosissima. E , dopo uscita io del detto mio offitio, li durò, anco dopo, il detto male da un altro anno, et, finalmente, ho inteso dalla detta sor Geltrude e da sor Gironima Marzani, sor P la ­ cida Lisciani, sor Angelica Pauli Pacifica che, mentre era desperata da medici, et che non parlava più, era preparato per darseli l’ Oglio Santo, sor Gironima suddetta li mise le dette reliquie delli interiori adosso, e, mentre le pose così adosso, la raccomandò, per quanto sor Gironima mi ha detto, al beato padre, et, così subito, dicono, cominciò a parlare, et, di mano in mano, si vedde meglioramento notabile, et, in capo a quindici giorni, levarsi da letto, e, doi mesi dopo, star così convale­ scente. In quanto a me, havendo visto il detto male tanto pericoloso e longo, per spatio di doi anni, mortale, diffidato da medici, dico non esser guarita, se non per miracolo, et particular gratia ricevuta, per intercessione di detto beato p . Filippo Neri. H o anco inteso, da sor Magdalena L au ri,1636 conversa in questo mona­ sterio, che, per spatio di m olti mesi, havea patito di doglia di testa. Havendo fatto quanto li havea ordinato li medici, non havea mai potuto acquistar la sanità, nè liberarse di detta doglia di testa ; ma, havendo

    1634 i n aggiunta a quanto raccolto nella nota 434, dà indicazioni di occhiali una lista supplementare di oggetti appartenuti a F . e distribuiti dopo la sua m orte; la quale si contiene, di più mani, nel cod. Vallicelliano O. 23 1, « Miscel­ lanea spettante a S. Filippo Neri, pars I I I » , ff. 449 r-v. Come dati al p. Angelo Velli, vi si registrano : « Dui para d’occhiali di cristallo uno cerchiato con l’osso nero, l ’altro d ’ argento » ; uno dei due è, certo, quello menzionato nella deposizione. La lista citata nota, inoltre, sotto il nome del Soto : « Un occhiale di cristallo da tenere in mano con il cerchio d ’osso nero, et manico tarmato grande quant’un [sic] hostia ». Risulta, ancora, che il p. Agostino Manni, ebbe « Un paro d’occhiali di cristallo dentro una cassetta di corame cotto con una figura di S. Geronimo », e segue l ’annotazione : « L ’ anno 17Ì2 fu riposta con altre reliquie insigni del S.° in casetta assai ornata per maggior decenza, e sodisfatt.6 divota del popolo ». leas Teste il 15 nov. 1608 (271) 1636 Anche questa suora comparve come teste, il 15 nov. 1608 (272).

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    22 ottobre 1608. [269] A. M. Cesi, e [270] L. Marzani. f. 639

    commodità di una tovaglia di altare, dove celebrava Messa il detto beato padre, che si haveva da lavare, la pigliò con devotione, e, ponen­ dola in testa, m i ha confessato, che subito ricevette la gratia et fu libe­ rata di detta doglia di testa e che mai più ne ha patito. Ë questa è la verità. [269] I n c o n tin e n ti: E xa m in a ta fu it, uhi et p er quem su pra , so r A n n a M aria C e s i,16371 8m onialis in dicto m on a sterio, aetatis annorum decem 3 6 octo in circa , quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., ad interrogationem , d ix it u t in fr a : [S i o m e tte la testim on ian za di questa m on aca, p erchè n on a ggiu n ge nulla alla deposizion e [268] di S u or T eod osia del D u ca sulla propria gu a rigion e, salvo che questa « havea il m ale di m ilza, et Vhavevo vista gonfia e grossa com e una p agn otta » ].

    [270] S u c c e s s iv e : E xa m in a ta f u it , uhi e t p er quem su pra , de m an­ dato e t c ., S o r L u cia M a rza n i,1333 rom ana, m onialis in dicto m on a­ s te r io , a etatis annorum v ig in ti sep tem in circa , quae, m edio iura­ m e n to , ta ctis e t c ., ad in terroga tion em e t c ., d ixit u t in fr a :

    Sono da quattordici anni, che io sono in questo monasterio, dove son solita, ogni otto giorni almeno, frequentare li santissimi Sacramenti. Questo settembre prossimo passato ha fatto Fanno (il giorno preciso non mi ricordo, ma fu un dopo pranzo) che mi venne una doglia di testa tanto grande et eccessiva, che non trovava loco e mi faceva dolere lo stomaco, e mi venia l’ imbastia per il gran dolore. E , mentre stavo così grandemente travagliata, ritrovandomi appresso di me un par d ’occhiali, che adoperava il beato p. Filippo mentre viveva, donatimi, come reliquie di esso beato padre, da p. Angelo, preposito della Chiesa nova, mio zio, la sera, al tardi, verso F « Ave Maria » , me li posi alle tempie, sotto la benda, che solemo portar noi, et, così, di core, mi raccomandai al beato p. Philippo, e mi posi sul letto, così vestita, e mi adormentai, per spatìo di un quarto d ’hora. E , risvegliata, mi trovai libera della doglia di testa, e conobbi, ch’era gratia particolare, ricevuta per intercessione del beato p. Filippo : et questa gratia ricevuta la publicai per il monasterio ; et andai a cena a refettorio, dopo le altre monache, perchè già havevano cenato. E t questo le tengo per vero miracolo e gratia particolare, ricevuta dal detto beato Filippo, per essermeli reccomandata di core, come ho detto : e questa è la verità.

    1637 Suor Anna Maria Cesi, figlia di Federico marchese di Oliveto, ebbe altre due sorelle monache a S. Lucia in Selci: Giovanna, in religione Maria Flavia (morta nel 1665) e Maddalena, in religione Maria Angela (morta nel 1675), Μαβτίνοβι, Genealogia e cronistoria di una grande famiglia umbro-romana, i Cesi, cit., pp. 36-37; Montenovesi, Chiese e monasteri di Roma: S. Lucia in Selci, cit., in Archivi, ser. I I , X , 1943, p. 108. Depose anche nel terzo processo, il 21 sett. 1610. Si legge il suo necrologio, tra quelli del Galletti, da libri del monastero (ora perduti o smarriti) : « 1669. 28 ian. f Sor Anna Maria in sçc. Anna ili.m i d. Friderici Cesi et d. ill.mç d. Pulcheriç Ursinç. Prof. emis. 1608 6 maii. X X » , cod. Vat. lat. 7883, f. 166. 1638 Suor Lucia Marzani depose anche nel terzo processo, il 21 sett. 1610.

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    15 novembre 1608. [271] Geltrude Tartaglini. f. 640

    319

    [S i o m e tte la fine di q uesta d eposizion e, p erch è narra la guarigione di su or T eod osia del D u c a , senza aggiungere particolari d i rilievo a quanto essa stessa ha d e tto a 268].

    [f. 640] ... D IB S A B B A T I 15» M E N SIS N O V E M B R IS 1608

    [271] E xa m in a ta f u it , u bi p e r quem su p ra , de m andato e t c ., s o r G ertru d e T artaglin a , ie39 rom a n a , quondam H ip p o liti T artaglin i e t d.nae V ic to ­ ria e, con iu g u m , te stis e t c ., a etatis ann orum vig in tisep tem in circa, cu i delato iw a m e n to e t c ., e t p er eam ta ctis e t c ., ad in terro g a tio ­ n em e t c ., d ixit u t in fr a :

    Sono hora quattro anni in circa, che m i trovo in questo monasterio, e sempre son stata solita frequentare li santissimi Sacram enti: mi confesso e communico due o tre volte la settimana. Quanto mi doman­ date, havendo già sentito quanto ha deposto, li giorni passati, sor Theo­ dosia, sopra la mia infirmità, che io hebbi due anni sono, quale hora mi legete, dico tutto essere il vero, cioè, che, havendo io Finfirmità di opilatione, doglia di testa, e febre, e, finalmente, ridotta a quel termine, che non conoscevo più nessuno, e il consumato, o pisto che mi davano, non ne pigliavo, nè sentivo più gusto nessuno, anzi, da un anno e mezzo in qua, mi venivano alcune imbastie et, ancorché io havesse Fudito, nientedimeno non potevo parlare. E , vedendomi condotta a questo termine, io cercavo, con cenni, che mi dessero l ’ Oglio Santo, perchè mi pareva di stare nello estremo della morte. E , mentre, per quanto poi mi dissero le monache, che il nostro sacrestano già stava preparandosi, per darmi FOglio Santo, avanti venisse detto sacrestano, sor Gieronima Marzani, quale si trovava appresso di sè alcune reliquie dell’interiori del beato Filippo Neri, e, ricordandosi che io le havea domandate, con grande instanza e devotione, ma perchè a ll’ hora non me le haveva potuto dare, perchè di già l’ haveva prestate a non so chi fuor del monasterio, per tanto, mi chiamò et disse : « eccote parte di quelle reli­ quie sante delle interiori del beato Filippo della Chiesa Nova ». Io sì bene sentii, non potei, però, parlare nè rispondere, ma, con il cuore, mi raccomandai devotamente. E , successo questo, non passò un quarto d ’hora, di poi che mi furono messe le dette sante reliquie adosso, che io mi sentii consolata e cominciai a parlare, vedere, e, subito, alle­ gramente, cominciai a ringratiare Dio benedetto et dissi : « queste reliquie sante sono state quelle, che mi hanno guarito ». E le monache dicevano, questo non esser meglioramento di guarire, ma che tenevano sicuro, che fosse meglioraemnto di morte ; ma, havendo poi lor visto, che il meglioramento seguitava m anti, et che, in quindici giorni, io mi levai dal letto libera (sebene stetti da due mesi così convalescente) alPhora giudicorno io essere guarita miracolosamente, per interces­ sione del detto beato padre. E sono guarita affatto, e, da un anno e1 9 3 6

    163 9 g e ne incontra il necrologio, nel G a l l e t t i , dai libri sopra menzionati: « 1643. 30 nov. f Suor Geltruda in sçculo Martia d. Ipoliti Tartaglini et d. Victoria Oalini. Prof. emis. 1605 ian. XX », cod. Vat. lat. 7880, f. 25.

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    15 novembre 1608. [272] Maddalena Lauri, ff. 640-641

    mezzo in circa, che fu questo negotio, non mi son sentita più male, e non ho patito più di simile infirmité, e sempre, dall’ hora in qua, mi son sentita bene: miracolo vero, et per tale lo tengo. I l tutto tengo di haverlo ricevuto, per intercessione di detto beato p. Filippo, a gloria et honor di Dio benedetto. E , per essere questo la verità, ho voluto sia manifesto e publicato, a gloria di Dio benedetto et essaltatione di detto beato padre, in causa scien tiae etc.

    [272] S u ccessiv e, exam inata f u it , u M , et p er quern su p ra , de m andato ili.m i e t c ., sor M agdalena L a u ri , 1640 con versa , rom ana, q. L au ren tii L au ri et q. A n to n in a e coniugum ancon itan oru m , te s tis , a etatis an­ n oru m quadraginta in circa , quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it, ad in terrog a tion em , u t in fr a :

    Sedici anni sono, che sono professa, in questo monasterio di Santa Lucia in Silice, dove sono solita, ogni domenica et ogni festa, confes­ sarmi et communicarmi. Sei anni in circa fa, che mi cominciò, a poco a poco, a venire una doglia di testa, che cominciò, poi, talmente a tra­ vagliarmi, che non trovavo loco et mi haveva consumata talmente, che, per il monasterio, facevano giuditio, che io fussi già tisica. E questo dolor di testa mi durò, per spatio di undici mesi, senza mai mancare. I l dolore, anzi, andava sempre crescendo, e li medici, più rimedii che mi facevano, tanto manco giovamento mi sentivo, e sempre andavo peg­ giorando. E , mentre stavo, così, in questo travaglio, che già mi havea redutto a tal termine, che mi faceva stare a letto, mi venne a visitare sor Brigida Gisleni, quale mi portò una tovaglia di altare, e d isse: « pigliate questa tovaglia, che è stata sopra Pattare della capella, dedi­ cata ad honore del beato Filippo, dove si conserva il suo corpo, nella Chiesa nova ». E t io la pigliai e, così piegata, me la misi in testa ; e, subito, mi sentii allegerire la detta doglia di testa e mi sentii, il giorno dopo, allegerir assai il detto dolore, et, in capo a doi o tre giorni, mi sentii libera affatto. E t, dall’ hora in poi, non mi sono sentita più male, nè detto dolore mi ha dato mai più fastidio, mi ha liberata affatto di detto dolore. E t le monache dicevano : « li medici t ’ hanno pure, una volta, dato buoni rimedii » [f. 641] et io respondevo : « prima Dio et poi li Santi », ma non specificavo la devotione del santo, se bene la tenevo in me. E mai non ho detto niente, ancorché, a ll’ hora, mandasse a dirli una Messa della gratia ricevuta, nella sua capella. M a, tre mesi sono, in circa, ragionando io con sor Theodosia, et dicendoli, come era guarita del suo male della milza, mi disse : « io sono guarita miracolo­ samente, per gratia ricevuta, a intercessione del beato Filippo Neri ». A ll’ hora io ancora replicai, dicendo : « et io ancora sono guarita, come voi, per gratia particulare, ricevuta da Dio benedetto, per intercessione di detto beato padre ». E t tutto questo ho deposto, per la verità : il qual tutto sia a gloria di Dio benedetto et a honore di detto beato padre. Amen.

    164° Nulla è noto di questa teste, semplice conversa.

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    25 settembre 1609. [273] Orsola Marcelli, ff. 642-643

    321

    [f. 642] D IB 25a SE P T E M B R IS 1609

    [273] S ora O rsola M a rcella , 1641 Io so che sor Lucretia Cotta sedici anni sono in circa, pativa di ves­ satam i di demonii, quali gli davano tanto grande affanno al cuore, che molte volte, erano otto persone a tenerla, et non poteva nè mangiare nè bere, se non pochissimo, et con grandissima fatica, et non poteva dormire, et, per questo, s’ era consumata, che pareva mezza morta. E t io lo so, perchè habitavo in casa sua, et ero parente del q. Achille Marcelli, suo marito, et viddi che, per m olti anni a dietro, haveva patito di questa infermità. E t so di certo, che gli erano stati fatti, da diversi, molti rimedii, di scongiuri et altri remedii, da diversi medici, et niente gli era giovato. E t viddi, che, un giorno, sedici anni sono in circa, che non mi ricordo giusto del giorno, detta sor Lucretia andò a trovare il beato Filippo Neri, alla Chiesa nova, dal quale lei si confessava, et io anco andai, a ll’hora, con lei, et mi confessavo, anco io, da detto beato Filippo. E t viddi, che il detto beato pose una mano sul petto a detta sor Lucretia, dalla banda del cuore, mentre lei gli stava inginocchiata avanti, et il beato Filippo teneva l’altra sua mano al volto, et tremava, et faceva oratione. E t viddi, che detta sor Lucretia stava ferma, senza moversi, et stettero tutti dui così, per spatio di mezz’ hora in circa, et io stavo mirando ogni cosa. E t, doppo il detto tempo, io sentii una puzza terribilissima, peggio che solfo, et viddi che il beato Filippo si levò dalla sedia, dove stava, in una capella di detta chiesa, et, di lì ad un poco, tornò. E t sentii dire, a ll’hora, che il detto beato Filippo haveva liberata la detta sor Lucretia da un demonio, che la travagliava nel cuore. E t io ho visto, dopo, che sempre la detta sor Lucretia è stata bene, et mai più si è lamentata dell’affanno del cuore. E t mi disse, a ll’ hora, la detta sor Lucretia, che, dopo che fu liberata dal beato Filippo, come ho detto, lei sentì uscire quella puzza dal suo petto, per alcune setti­ mane. E t, questo, tutti lo tenemmo per miracolo del detto beato Filippo : et ne havemo [f. 643] ragionato più volte insieme, et anco racconta­ tolo, come miracolo, ad altri. Io so, ancora, che la detta sor Lucretia, in quell’ istesso tempo, pativa grandemente della vista delli occhi, et vedevo, che stentava a vedere, et sempre si lamentava della vista ; et so di certo, che haveva gli occhi rinvoltati et sguerci, che tutte due le luci stavano rientrate verso il naso ; et io la viddi così infinite volte, perchè stavamo nella medesima casa, et era stata, molti mesi, con gli occhi così impediti. E t, un giorno, poi la viddi sana, con li occhi ritornati al luogo suo, et lei mi disse, che era stata alla Chiesa nova, dal beato Filippo, et che lui gli haveva messo

    1641 Suor Orsola Marcelli era forse, semplicemente, una terziaria, o « monaca di casa », perchè la sua deposizione, come dichiarato in fine, venne raccolta non in un monastero, ma presso la chiesa di S. Maria della Scala; che appartenne, dall’origine, ai carmelitani scalzi, Cenni storici sui conventi dei PP. Carmelitani scalzi della provincia romana, cit., pp. 9-14. La teste, com’essa dice, era parente di Achille Marcelli, marito di Lucrezia Ciotta ; della quale la testimonianza scritta venne inserita sotto la data 29 apr. 1610 (294).

    21

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, f. 644

    la mano sopra l’ occhi, facendo oratione per un pezzo, tenendogli sempre le sue mani sopra li suoi occhi, et che lui gli haveva restituita la vista, et fatto ritornare gli occhi al luogo suo. E t so, che, sempre, dopo, la detta sor Lucretia, ch’ ha visto benissimo, et mai più si è lamentata de li occhi; et so che, adesso, ancora che sia vecchia, lavora in tele sot­ tili, senza occhiali. E t io, come ho detto, viddi la detta sor Lucretia impedita dell’ occhi, et che pativa assai della vista, et poi la viddi, in un tratto, con li occhi sani, et mi raccontò, a ll’ hora, il miracolo del beato Filippo : et di questo ne havemo raggionato, più volte, insieme, come miracolo. S upradicta die ego Ioa n n es B a p tista M a rtellile,16*2 civis firm an u s, Sacrae R o ta e n otariu s, et in archivo R om an ae Curiae d escrip tu s, a tte ­ s to r supradictam d.narh U rsu lam M a rcella m , m edio iu ra m en to, ta c­ tis e t ., d eposu isse om nia in supradictis duobus fo liis co n ten ta , p ro verita te. A c tu m R om a e p rop e E cclesia m San ctae M ariae de Scala pre8entibu8 ibidem m agnificis d .n is Luca R em ed io e t C h rispoldo A b b a ­ t t o ,16*3 Sacrae R o ta e n ota riis, testibu s.

    [f. 644]

    D IE 30* M E N SIS SE P TE M B R IS 1609

    [274] D e l s .r F a b ritio de M a ssim i.1*** Io ho sentito dire, et è stata et è publica voce e fam a, che in Firenze, quale è una delle città principali d’ Italia (et io vi sono stato sette over otto volte, et mi son trattenuto ivi li mesi interi) vi è stata sempre et è radicata la fede cattolica ; et vi sono state due famiglie honeste et cat­ toliche, una de Soldi et l ’altra de Neri, dalle quali è nato il beato F i­ lip p o : et questo ho sempre ho sentito dire, da molte decine d’ anni in qua, per publico et notorio. 2. Io ho sentito dire, moltissime volte, in diversi tempi et da diverse persone, et anco l’ ho inteso più volte dall’ istesso beato Filippo, che lui nacque nell’anno 1515, nella notte della vigilia di s. Maria Maddalena ; et che suo padre si chiamava Francesco et la madre Lucretia de Soldi, congiunti in legitimo matrimonio ; et che fu battezzato nella chiesa di S . Giovanni Battista, lì in Firenze : et di questo ne è stata publica voce et fam a, publico et notorio.1 3 2 4 6

    1642 Giovanni Battista Martelli depose già nel processo, 1Ί1 die. 1600 (247). e, una seconda volta, il 28 apr. 1610 (290). 1643 Crispoldo Abbazi fu anch’egli teste al processo, il 23 apr. 1610 (282). 1644 Terza deposizione di Fabrizio Massimo, comparso già il 13 sett. 1595 (47) e il 29 feb. 1596 (166). Egli depose, inoltre, nel terzo processo (dove venne reinse­ rita, in più, la presente testimonianza) il 19, 23, 24 luglio e 18 agosto 1610. Questa deposizione, consegnata scritta il 29 sett. 1610 al notaio Pietro Maz­ z e tt i, letta e sottoscritta in presenza di testimoni (si veda la dichiarazione alla fine) è generale di contenuto, e segue nell’ordine uno schema per articoli o questionario numerato. La serie dei numeri, non continuativa, si riferisce agli articoli circa i quali, partitamente, il teste aveva materia da deporre. In questo processo, seguono lo schema per articoli anche le deposizioni di Francesco Valentini della Molara, 19 apr. 1610 (277) ; di Marcello Ferro, 23 apr. 1610 (283); di Domenico Migliacci, 26 apr. 1610 (287) ; di Pompeo Pateri, 7 mag. 1610 (304) ; di Germanico Fedeli, 10 giu. 1610 (335) ; e di Marcello Vitelleschi, 16 giu. 1610 (337).

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    80 settembre 1609. [274J Fabrizio Massimo, fif. 644-645

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    3. Io ho inteso dire più volte, in diversi tempi, et da diverse persone, che, mentre il beato Filippo era piccolo, in Firenze, et anco mentre era giovene, avanti venisse in Borna, fu chiamato et era pnblicamente nominato Pippo buono: dal che si raccoglie la santità et purità della vita sua, essendo chiamato pubicam ente per Pippo buono; et, quando venne a Roma, era chiamato Filippo buono : et questa era cosa publica. Sentii anco dire da m .s Giovanni Animucci, quale era figliuolo spiri­ tuale et intrinsichissimo del detto Filippo, et è morto da venticinque anni sono in circa, quale mi disse, che, mentre il beato Filippo era piccolo et stava in Firenze, cadde in una cantina, essendo lui a sedere sopra un somaro, et fu liberato miracolosamente, senza farsi male ; nè mi ricordo d’altri particolari. E t questa istessa liberatione, dopo la morte del detto beato Filippo, l’ ho intesa più volte, da diverse persone : et ne è stata, et è, publica voce et fama. 4. Io ho inteso dire, più volte, da diverse persone et in diversi tempi, che il beato Filippo se ne venne a Roma di età sua di diciotto anni in circa ; et che, partendosi da Firenze, suo padre lo mandò in un luogo detto San Germano, vicino a Monte Cassino, dove stava un suo zio, ricco di molte migliaia di scudi et era m ercante; et che suo padre l ’ havea mandato là, acciò lui si esercitasse in detta mercantia; et che detto suo zio, quale si chiamava Romolo, lo voleva fare herede di tutto il suo, quale importava molte migliaia di scudi, purché lui si volesse trattener lì in San Germano con lu i; ma che il detto beato Filippo non vi volse stare. E t io, molte volte, ho ammirata questa attion e; et, quando nfe parlava, o vero la sentivo raccontare, mi sovveniva [f. 645] s. Fràncesco, il quale fece una simile attione, non con un suo zio, ma con suo padre: et assomigliavo detto beato Filippo a s. F ran ­ cesco. Venuto che fu il beato Filippo in Roma, ho sentito, publicamente et per publica voce et fam a, dire, che non volse mai più ritornare alla patria sua, nè meno andò mai più in alcun luogo, città, terra, castello, o altro luogo di ricreatione, ma sempre stette qui in Roma, fino a la morte, continovamente affaticando, per servitio di Dio et salute dell ’anime ; et solo andava, spesso, a visitare le Sette Chiese : et questo fu il più lontano viaggio che facessi, da che arrivò in Roma, fino alla morte sua. E t io, da quel tempo che ho conosciuto detto beato Filippo, che è dall’anno 1560, fino a ll’anno 1595, nel quale detto beato morì, so di certa scienza, che non uscì più di Roma se non alle Sette Chiese, come ho detto. E t, quando, alle volte, era pregato, che volesse andare ad alcun luogo di ricreatione per alcun giorno, non voleva scoprirsi, et dire il suo proponimento, ma andava destreggiando et pigliando tempo, con dire : « un’altra volta, un’altra volta ; c’ è tempo ». E t questo è stato et è publico et notorio comunemente, fra li suoi figliuoli spirituali et altre genti. 6. Io so, che il beato Filippo fu uno dei fondatori della Compagnia della SS. Trinità de Convalescenti di Roma, et questo io l ’ ho inteso dire, m olt’anni sono, in diversi tempi, con diverse occasioni, dal medemo beato Filippo, dal p. Francesco Maria Tarugi et dal p. Cesare Baronio, quali furono poi cardinali et hora sono morti, dal p. Giovanni Francesco Bordino, che fu poi arcivescovo di Avignone et hora è morto, et anco da molti altri, et era et è stata cosa publica. Gli essercitii di detta

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 645-646

    Compagnia erano et sono di dar ricetto alli poveri infermi, quando escono dalli hospedali, et alloggiare li pellegrini, et altre opere di charità. I l che è stato di molto utile a questa città ; et è stata detta santa opera nominata per tutto il mondo, in particolare nell’anno santo del 1575 et del 1600 : et questo è stato et è cosa publica. 8. Quando io andai nelle mani del beato Filippo, che fu , come ho detto, nel 1563, stava il detto beato padre nelle stanze di S. Gerolamo della C h arità; et intesi dire, a ll’ hora, publicamente, che vi era andato a stare dieci o dodeci. anni prima ; et so di certo, che il detto beato F i­ lippo non volse mai pigliare, dalla detta Compagnia della Charità, niuna sorte di emolumento temporale, se non la nuda camera ; et, per la quantità grande della gente, che [f. 646] andava, ogni giorno, da lui, non bastando una sol camera, fece fare il beato padre alcune altre camerette, quali hoggi si possono vedere; ma tutte a spese sue, et le fece fare rustiche et piccole, solo per necessità, et non per pom pa: et queste sono state et sono cose publiche. 9. Quando io andai nelle mani del beato Filippo, trovai, che si faceva l ’oratorio et li sermoni, il doppo pranzo, in una nave, sopra la chiesa di S . Gerolam o; et intesi, che questo essercitio l’ haveva cominciato il beato Filippo, m olt’anni prima, in camera sua, con poco numero di persone, et poi era andato sempre crescendo ; et il detto beato Filippo raggionava ogni giorno, eccetto il sabbato, con grandissimo spirito et frutto de chi lo sentiva ; si facevano ogni giorno quattro sermoni almeno, et il detto beato padre sempre repigliava il tema di quello, che haveva raggionato avanti et concludeva et dilatava, con gran frutto di chi lo sentiva ; et, quando voleva il beato padre raggionare delle cose di Dio, sempre, si veniva ad alzare su, come se volesse saltare, et, molte volte, lacrimava et tremava tutto : et questa è stata et è cosa publica et notoria. 11. Io so, che il beato Filippo diede principio a ll’ oratorio in un luogo più ampio, sopra la chiesa di S. Gerolamo ; et li primi, che cominciorno a sermoneggiare in detto luogo, per obedienza del beato Filippo, furno il p. Tarugi et Giovanni Battista Modio, a ll’ hora laici, il Baronio, poi il Bordino, il s.r Ottavio Paravicino, hora cardinale, il p. Germanico Fedeli, m .s Camillo et altri. E t cominciò, la sera, ogni giorno, l’ oratione mentale per mezz’ hora, d’estate a 23 hore et l’ inverno a 2 4 ; et poi si dicevano le litanie, et anco si dicevano alcuni altri « Pater nostri » et « Ave Marie ». E t, tre volte la settimana, cioè lunedì, mercordì et venerdì, in luogo delle litanie, si faceva la disciplina, per tanto tempo di spatio di tempo, quanto si diceva un compendio della Passione, il salmo « Miserere » et il « De Profundis » : et questa usanza si osserva, anco oggidì, nell’ oratorio della Vallicella.1645 E t, il giorno, dopo l ’ora-

    1645 Sull’ordine con il quale si svolgevano gli esercizi nell’ antico Oratorio, sì vedano, in aggiunta agli autori indicati nella nota 1084, il M a r c i a n o , Memorie historìche della congregatione dell’Oratorio, t. I , cit., pp. 6-12, 35-37; C a b l o G a s b a b b i , d. O., L’Oratorio filippino (1552-1952), pp. 31-34; e, inoltre, G i u s e p p e G a b r i e l i , Accademie romane. L’Oratorio filippino quale accademia, in Roma, X III , 1935, pp. 48-59.

    Tra le ispirazioni remote che F. può avere avuto nel dare origine alla sua adunanza, non si sa che sia stato mai richiamato l’uso delle antiche « compagnie

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 646-647

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    torio, andava il beato Filippo, con molta gente, hora alla Minerva, hora in un luogo, hora nell’ altro : .et di questo ne è stato et è publica voce et fam a, publico et notorio. 12. Io so, che, circa l ’anno 1564, fu pregato, dalla natione fioren­ tina, il beato Filippo, che volesse pigliare la cura della lor chiesa di S. Giovanni alla ripa del Tevere; e, dopo molte preghiere, havendone fatta o fatta fare molta oratione, acconsentì, ma però con questa con­ ditione, che lui [f. 647] non voleva lasciare le sue solite stanze di S . Girolamo, di dove ho veduto, che non si partì mai, fin tanto che andò ad habitare alla Chiesa nova. E t là, a S . Giovanni de Fiorentini, vi mandò ad habitare alcuni delli suoi figliuoli spirituali, fra li quali vi fu il Baronio, il Tarugi, il Bordino, il p. Angelo V elli, il p. Alessandro Fidele, il p. Camillo et alcuni altri, quali so, che convivevano insieme, et la Nation Fiorentina gli dava alcuni scudi il mese per ciascuno prete, per il lor vitto, et tutti vivevano sotto l’ obedienza et regole dategli dal beato Filippo. E t andavano tu tti, ogni giorno, a trovare esso beato padre a S. Gerolam o; et vedevo, anco, che esso beato padre andava spesso da loro lì a S. Giovanni. E t l ’ essercitio delli quattro sermoni d ’ ogni giorno, che prima faceva fare il beato Filippo in S . Gerolamo, lo cominciò a far fare in un oratorio, lì a S. Giovanni, et così l ’ essercitio dell’ oratione della sera. E t facevano, in questo, gran frutto nell’anime, perchè si vedeva, che m olti si facevano religiosi, de quelli che frequen­ tavano l ’oratorio, m olti n’ entravano in detta Congregatione, e m oltis­ simi altri ne restavano nelle case loro, con gran mutatione della vita loro, et di questi ne potria nominare m oltissim i: et è stata et è cosa publica. 13. Io so, che detto essercitio dell’oratorio patì molte persecutioni, da diverse persone et in diversi tempi ; alcuni si burlavano del beato F i­ lippo, con dire diverse facetie di lui : et il beato Filippo le risapeva et sopportava ogni cosa, con gran patientia ; altri si burlavano dell’ esser­ citio dell’ oratorio : in particolare quelli, che non vi venivano. E t mi ricordo, che, a tempo di Pio V , si diceva pubicam ente, che era stato fatto mal offitio, appresso sua santità, contro l ’ essercitio dell’oratorio, con dirgli, che ve si dicevano, alcune volte, alcune cose inette et non ben dechiarate ; et so, che sua santità vi mandò, per questo effetto, ad assistere a detto oratorio, due religiosi principali dell’ordine di s. Dome­ nico, de quali uno fu il p. maestro Paolino, quale fu capo della reforma della Minerva, et il p. maestro Alessandro, quale fu poi vescovo di F o r lì.1646 E t, quando questi padri cominciorno a gustare l ’ essercitio

    di dottrina » fiorentine, nelle quali erano recitati sermoni religiosi, anche da giovinetti : a esempio, ne rimangono tre volgari e uno latino, detti dal Poliziano in quella età, tra gli anni 1467-1478, alla compagnia di S. Giovanni Evangelista, A n g e l o P o l i z i a n o , Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite, raccolte e illustrate da I s id o r o D e l L u n g o . Firenze, G. Barbera, 1867, pp. x vn -xv m , 3-16; e cf. G e n n a r o M a r i a M o n t i , Le confraternite medievali dell’alta e media Italia. Venezia, « La nuova Italia » [1927], v. I, pp. 187-90 ; v. I I, pp. 108-10.

    1646 Alessandro Franceschi, nato a Roma da famiglia ebraica originaria di Foligno, circa il 1535; entrò tra i domenicani, alla Minerva, nel 1557, e fu teologo e predicatore, designato talvolta con il soprannome di « Hebreino ». Eletto vescovo di Forli, il 4 mag. 1594, da Clemente V i l i che lo ebbe a in paucis charus », si dimise avanti il 1° sett. 1599, Z u c c h i , Roma domenicana, v. I, cit., pp. 105-12. Si legge il

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 647-648

    dell’ oratorio et la conversatione dei beato Filippo, gli s’affettionorno talmente, che, per m olt’anni, vennero, quasi ogni giorno, a detto ora­ torio, et, spesso, sermoneggiavano loro medemi, et erano affettionatissimi ad esso beato padre, et hora son morti tutti due. E t fecero, a ll’ hora, relatione bonissima a detto papa Pio V , così dell’ essercitio dell’ oratorio, come del beato Filippo ; et, da quel tempo in poi, il detto papa portò particolare affettione al detto beato padre et a ll’oratorio: et questa è stata et è cosa publica. [f. 648] 14. Io so che, l ’anno santo 1575, si cominciò la fabrica della Chiesa nova, quale prima era una chiesola piccola et brutta, et era parochia, et il detto parochiano si riserbò una pensione di 200 scudi,1*47 con consenso di papa Gregorio Decimoterzo, et cedè la detta chiesa al beato padre, nella quale poi esso papa Gregorio, per breve particolare, confermò detta Congregatione : et questa è stata et è cosa publica. 15. Io so, che, in detta Chiesa nova, ve si disse la prima Messa dal s.r card, di Firenze, quale fu poi papa Leone X I, et, questo, in capo a due anni ; et lui medemo v’ haveva posto la prima pietra nelli fondamenti. E t, a far detta fabrica, il detto beato Filippo so che non hebbe elemo­ sina in grosso, se non che il medemo papa Gregorio 13° gli diede, in più volte, alcune migliara de scudi, et anco da casa de C esi: tutto il resto lo fece d’ elemosine a m inuto.1 1648 E t so che, nel fare li fondamenti di 7 4 6 detta chiesa, volevano tenere la detta chiesa più piccola di quello che hora è, et il beato Filippo volse, che s’allargasse il filo. I l che facendosi, fu trovato, nel cavare, a man dritta di detta chiesa, un muro longo grosso, che servì per bona parte delli fondamenti da quella banda, et fu tenuto questo per cosa miracolosa. E t, poco tempo doppo, li padri, che stavano a S . Giovanni de Fiorentini, vennero a stare qui alla Vallicella : et questo è stato et è cosa publica. 16. Io so, che, nell’anno 1583 il beato Filippo si partì dalle stanze d i S . Gerolamo della Charità, et venne ad habitare nelle stanze della Vallicella. E t questo so che lo fece per commandamento di Gregorio 13°, perchè lui non voleva lasciare l ’habitatione di S. Gerolamo, dove haveva patito tante persecutioni per amor di Christo, et diceva che non voleva fuggir la croce, ma commandandoglielo sua santità, fece l ’obedienza. E t so, che, in detto luogo della Vallicella, il detto beato Filippo non lasciò la sua austerità del vitto e nell’altre cose anco. E t questo lo so, perchè ho sempre seguitato esso beato padre, fino alla m orte: et è stata et è cosa publica. 17. Io so, che il beato Filippo non hebbe mai spirito di far religione,

    suo necrologio, tra quelli del G a l i e t t i , da libri di S . M arco: « 1 6 0 1 . 1 0 ian. t Ale­ xander episcopus Foroliviensis, moram trahens in Palatio S. Marci de Urbe, aetatis arm. 66, ex hae vita migravit, cuius corpus in hac ecclesia sepultum fuit ; eius confessarlo confessus ac Ss.mo Eucharistie sacramento pro viatico refectus. I », cod. Y a t. lat. 7 9 0 0 , f . 7 0 v. Poco fondato è identificarlo con « il Franceschino », come si rileva nella nota 489. 1647 L ’ antico rettore di S. Maria in Vallicella era Antonio d ’Adiuti, di Messina, G a l l o n i o , Vita ital., p. 1 3 5 . Viveva ancora nel dicembre 1 6 0 9 , f. 7 9 6 . Percepiva, secondo altre fonti, una pensione di 1 1 0 scudi: si veda la nota 7 6 9 . 1648 Ragguagli più particolareggiati si vedano nelle note 1 1 7 2 e 1 1 8 2 .

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 648-649

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    et non voleva, che li suoi della Congregatione s’astringessero con voti, ma, chi haveva desiderio o vocatione, entrassero in qualche religione dell’approbate, et chi desiderava vivere ritirato et christianamente nel secolo, et impiegarsi in servitio del prossimo, havessi dove ritirarsi. E t cercassero tutti imitare li religiosi nella perfettione, se bene non li imitavano nel far li voti : et, di questo, molte volte, io ne raggionai con il detto beato padre, et lui medemo me l ’ ha detto più volte : et questa è stata et è cosa publica. 18. Io so, che il beato Filippo, due anni prima che morisse, renuntiò il governo della Congregatione et il peso di esser superiore al p. Cesare Baronio, quale, dopo la morte di detto beato Filippo, [f. 649] fu fatto cardinale da papa Clemente 8°. E t so, che li padri di detta Congrega­ tione non volevano, che detto beato padre lasciasse d’ essere superiore, mentre viveva ; et il detto beato Filippo, per ottener questo dalli detti padri, si servì del favore delli s.ri cardinali Cusano et Borromeo, quali affermavano haverne parlato a sua sa n tità : et questa è stata et è cosa publica.. 19. Io so di certo, che il beato Filippo, l’ anno 1595, stette in letto tutto il mese d’aprile, con febre continova et ardente assai, talmente che li medici, che erano tre, et mi pare fossero il s.r Antonio Porto, il s.r Ridolfo Silvestrio et il s.r Angelo Vittorio, tenevano, che il detto beato padre morisse, senz’altro, di quell’ infermità. E t so, che, avvici­ nandosi la festa delli ss. apostoli Filippo et Iacomo, desiderava di dir la Messa in quel giorno, perchè detti santi erano li suoi advocati, et gli portava particolare devotione. E t, so, che, la mattina istessa della festa delli detti ss. Apostoli, andando io, secondo il mio solito a confessarmi dal detto beato Filippo, trovai, che era levato da letto. E t vedendolo vestito mi maravigliai assai, perchè, il giorno avanti, l ’ ha vevo lasciato in letto. E t dicendoli io : « O, padre, sete levato? Vostra reverentia si mette a gran pericolo », et il beato padre rispose : « non haverò male : voglio dir Messa » ; et io mi trattenni et udii la sua Messa. E t so, che seguitò a dir la Messa, per molti giorni ; et, doppo che il detto beato padre hebbe detto la Messa, arrivò lì il s.r Angelo medico, il quale restò maravigliato di vederlo levato, et il beato padre gli rispose, che io sentii : « voi sete balordi : pensate havermi guarito voi altri et vi pensate saper ogni cosa », et parole simili. E t si misse la cosa in burla, ma tu tti lo tenemmo per miracolo. E t io mi trovai presente a detta Messa, et so, che communicò alcuni de suoi figliuoli spirituali, et mi pare che mi communicassi ancor io. E t so, che seguitò, doppo, per alcuni giorni, a dir la Messa, senza rimettersi più a letto. Doppo dieci over undici giorni, nel medemo anno et mese di maggio, so, che il detto beato Filippo fu di novo, a ll’ improviso, soprapreso da un novo accidente, di una copia grande di sangue, che gli cominciò ad uscire, la mattina, dalla bocca, con tanta furia et copia, che pareva si affogassi. Con tutto ciò, stava sempre con una serenità di volto et patientia, che faceva maravigliare tu tti li circostanti: et io ero presente. E t, essendo chia­ mati li medici, doppo havergli fatti molti rimedii, con fargli buttare molte coppe, fargli fare le strettore, per divertire il sangue, et altri remedii, et vedendo che non giovava, che il sangue tuttavia soprabundava in grandissima copia, giudicorno detti medici, s.r Antonio Porto et

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 649-651

    s.r Angelo Vittorio, che vi fossero poche hore della vita sua. E t, stando il detto beato Filippo « in extremis » , per quello che si vedeva, il s.r F e ­ derico card. Borromeo, quale era stato un pezzo prima lì presente, [f. 650] lo communicò per Viatico, et il p . Cesare Baronio, a ll’hora superiore di detta Congregatione, gli diede l ’ Olio Santo. E t alla Com­ munione io mi trovai presente, et fu cosa di grandissima devotione il vedere, con quanta devotione et fervor di spirito ricevè questi santis­ simi Sacramenti. E t fu tale, che tutti quelli ch’ erano in quella camera piangevano, per devotione, m olti sospiravano forte, et altri davano altri segni di devotione et di dolore insieme. E t quando arrivò in camera il S S . Sacramento, portato dal detto s.r cardinale, ancorché, per prima, stesse con gli occhi serrati, et senza polso, et senza parlare, con tutto ciò, arrivando il S S . Sacramento, cominciò, con voce alta e forte, a dire, che fece maravigliare tutti quelli che erano presenti : « Ecco l’amor m io, ecco l ’amor mio ; presto, dateme l’amor mio ». E t, cominciando il detto s.r cardinale a dire le solite parole : « Domine, non sum dignus » , ripigliò subito, il detto beato padre queste parole, con la medema voce forte, che pareva non fusse stato male : « non son degno : non ne fu i mai degno ». E t piangeva, mentre diceva c o sì; et fecero tanta gran motione nelli astanti queste parole, che tutti piangevano dirottam ente; et io non havevo mai veduto piangere tanto dirottamente il detto beato Filippo quanto a ll’ hora. E t, dopo che fu communicato et havuta l ’ Estrem a Untione, cominciò di novo a dire : « Vanitas vanitatum ; chi cerca altro che Christo non sa quello che si vogli ; chi cerca altro che Christo non sa quello che dimandi ». E t poco doppo, mi chiamò et d isse: « M i sento meglio, Fabritio » , et fu cosa miracolosa ancor questa, perchè il s.r A n ­ gelo et s.r Antonio dicevano : « Noi facemo li remedii, et non pare che giovi niente, di quello che facemo » , et lo tenevano, come ho detto, per morto. Con tutto ciò, de lì a due giorni, si levò di letto, et disse di novo la Messa per alcuni giorni, fino alli 25 di maggio, che fu la festa del S S . Sacramento, et stava bene, senza alcun male, et fuori di letto, che io lo vedevo ogni giorno. La mattina del « Corpus Domini », io mi ricon­ ciliai dal detto beato padre, et, quando arrivai, sentii dire, che haveva detta la Messa a ll’hora ; et, il dopo pranzo, tornai da lui, et, alle 23 hore, gli dimandai licenza et la benedittione, per andare, fuori di Roma, ad un mio castello Arsoli, dove, a ll’ hora, ero solito andare ogn’anno. E t lasciai il detto beato Filippo sano et fuori di letto, et v’ era ancora il s.r card. Cusano et mons. Pamphilio, hora cardinale, quali havevano detto l’offitio con il detto beato padre. La mattina seguente, avanti giorno, mi partii di Roma, et, arrivato in Arsoli, mi venne l ’ aviso della morte del detto beato Filippo, che era morto alle 6 hore, quella medema notte, che io mi partii. E t, nel medemo punto, che mi sentii dar la nova della morte del beato padre, hebbi a cascare in terra di dolore : et delle sopradette cose ne è stata et è publica voce et fama.

    [f. 651] 28. Io, per il tempo che ho conosciuto il beato Filippo, l’ho tenuto sempre per santo, ornato d’ogni sorte di virtù et perfettione. Et era un specchio di santità, non solo alli secolari et persone eccle­ siastiche, ma anco alli religiosi et huomini di santa vita, et per questo era da loro stimato et riverito: et di questo ne è stata et è publica voce et fama.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 651-652

    329

    29. Io so, che il beato Filippo fu perfetto christiano et zelantissimo della fede cattolica, et, moltissime volte, l ’ ho sentito discorrere delle cose della nostra fede et di theologia, con persone molto letterate et religiose, et so, che le genti si maravigliavano, che si ricordasse così distintamente delle cose della filosofia et theologia. E t l ’ho veduto, come ho detto molte volte disputare con maestro Paolino et maestro Alessandro, quale fu poi vescovo di F orlì, dell’ordine di s. Domenico, con il s.r Giovanni Andrea Lucatelli,1649 s.r Giovanni Battista Salbuggi,1650 theologi et altri, et tu tti vedevo che si rimettevano et si quietavano in quello, che diceva il beato Filippo. Molte volte mi son trovato presente, nell’oratorio a S . Gerolamo, a S. Giovanni de F io ­ rentini, et, anco, alla Vallicella, dove, alcune volte, essendo dette alcune cose, che non erano ben dechiarate, subito il beato Filippo le repigliava et le dechiarava benissimo, che facevano maravigliare li astanti. Io so, che ha ridotti moltissimi alla confessione della Santa Fede Cattolica. In particolare, mi ricordo, che, la prima volta che gli condussi avanti il s.r Ugo Boncompagno, a ll’ hora hebreo, gli parlò talmente della nostra Fede, che in poco tempo si battezzò, et molte altre conversioni simili so che ha fatte. Quando io havevo qualche travaglio, et persecutioni (che ne ho havute molte) sempre io le conferivo con il detto beato padre et lui sempre mi diceva : « non dubitare, habbi fede in Dio » , et mi faceva dire il « Credo » et sempre mi riusciva quello che mi diceva. E t mi faceva dire anco, ogni giorno, un « Pater noster » et una « Ave Maria » per quelle persone, che mi perseguitavano, quali erano persone potenti assai. Io so, che il beato Filippo ridusse alla confessione della Santa Fede Cattolica il Paleologo, ostinatissimo heretico, et, questo, mentre il detto Paleologo era condotto in Campo de Fiore dalla giustizia, per essere abbrugiato vivo, come ostinato. E t il detto beato padre l ’andò ad incontrare nella strada del Pelegrino, et, messo in mezzo alla gente, accompagnò il detto heretico fino alla piazza, et gli raggionò con tanta efficacia della nostra Santa Fede, che lo fece disdire in publico delle sue heresie, in mezzo la piazza. E t so, che il detto Paleologo fu ricon­ dotto in prigione, et fu fatto morire, dopo molto tempo, per essere relasso, et morì buon christiano. E t io [f. 652] so questo, perchè io arrivai in S. Gerolamo, nel medesimo tempo, che il beato Filippo era partito da detto luogo, et era andato a fare quanto ho detto ; et io, finito il fatto, et ricondotto il detto Paleologo prigione, ritornai a S. Gerolamo con il detto beato padre, et lui mi raccontò il tu tto : et questa è stata et è cosa publica. E t questo fatto, a ll’ hora et poi, fu tenuto miracoloso, perchè moltissime persone litterate s ’ erano affaticate, per quella conversione, et non havevano operato cosa alcuna, et il beato Filippo, in un tratto, fece fermare la giustìtia, andò ad incontrare quel poverello, vicino al luogo dello supplicio, sicuro che il Signore gli haveva a concedere la gratia, et gli riuscì. Io so, che il detto beato

    1649 Giovanni Andrea Pomi, altrimenti nominato Lucatelli, già comparso come teste il 28 ag. 1595 (25). leso ignoriamo chi sia questo teologo Salbuggi o Salbucci (come risulta cor­ retto sopra la forma Galbucci) : le emendazioni fanno pensare a nome alterato, che in ogni maniera i copisti e il notaio non avevano familiare.

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    330

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 652-653

    padre fece grandissime istanze et commandò più volte al p. Cesare Baronio, qual fu poi cardinale, che ragionasse, a ll’oratorio, dell’historie ecclesiastiche, perchè sempre il detto padre voleva raggionare d’ inferno, di morte, di purgatorio, et cose simili spaventevole ; et gli fece lasciare quello raggionamento, et fece raccontare l ’ historie ecclesiastiche, perchè prevedeva l ’ utile, che havevano a fare li suoi Annali alla Chiesa di D io, con gli heretici, come s’ è veduto. Si conosceva, ancora, la fede grande del detto beato Filippo dalla quantità grande di miracoli, che il Signore ha operato per mezzo suo, delli quali moltissimi n’ho sentiti raccontare, et molti n’ ho provati nella persona mia, et in casa mia, de quali molti ne dirò : et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 31. Io so, che il beato Filippo, in tutto il tempo che l ’ ho conosciuto, non pareva che pensasse, o trattasse, o parlasse d ’altro, che di cose di D io. Quando io andavo da lui, che era, almeno, una volta il giorno et, spessissime volte, dui, sempre ho trovato, o che faceva oratione, o diceva Messa, o confessava qualcheduno, o vero haveva qualche libro di santi Padri o vero libro di santi in mano. M oltissimi de suoi figliuoli spirituali confessava ogni giorno, de quali, m olti, faceva communicare ogni otto giorni, altri, ogni festa, altri tre volte la settimana, et, molti, ogni giorno, secondo conosceva la capacità. Essortava spesso li suoi figliuoli spirituali, che non si lasciassero indurre dal demonio a trala­ sciare le solite devotioni loro, in particolare, di sentire la Messa li giorni feriali, et diceva che, come si cominciavano a disprezzare li difetti piccoli, s ’ingrossa la coscienza, et si va poi in ruina. Io so, che il detto beato Filippo è stato causa, che molte historié de santi sono uscite in luce, che prima stavano sepolte, et, questo, non solo con mezzo delli Annali del card. Baronio, ma, anco, per mezzo di molti libri stampati dal p. Thomasso Bozzi et dal p. Antonio Gallonio, qual so, che fece stampare le V ite [f. 653] delle V ergin i R om a n e, un libro de l ’ instrumenti de martirii et altre vite de santi.1651 Per questo, voleva che, nelli sermoni dell’ oratorio, sempre si raccontasse qualche essempio

    1651 Historia delle sante vergini romane, con varie annotationi e con alcune vite trevi de’ santi parenti loro. E de’ gloriosi martiri Papia e Mauro soldati romani. Opera di A ntonio Gallonio romano, prete della congregatione dell’Oratorio. In Roma, presso Ascanio e Girolamo Donangeli, 1591. Si asserisce resistenza d’una precedente edizione del 1581, B ordet-P onnelle, p. 305 n. 5 (vers, ital., 293 n. 7); che non si rintraccia, e sembra poco probabile.

    Trattato de li instrumenti di martirio e delle varie maniere di martoriare usate da’ Gentili contro i Christiani descritte e intagliate in rame. Opera di A ntonio Gallonio romano, prete della congregatione dell’Oratorio. In Roma, presso Ascanio e Girolamo Donangeli, 1591. Ne curò anche redizione latina : De ss. mar­ tyrum cruciatibus A ntonii Gali.onii rom. congr. Orat, presbyteri liber quo potis­ simum instrumenta et modi quibus Udem Christi martyres torquebantur accura­ tissime tabellis expressa describuntur. Romae, ex typographia Congregationis Oratorii, apud S. Mariam in Vallicella, 1594. Quest’opera ebbe varie ristampe : a esempio, Coloniae, 1602; Parisiis, 1660; Antverpiae, 1668. Per il contenuto, Cecchelli, Il cenacolo filippino e l’archeologia cristiana, cit, cit., pp. 16-18.

    Historia della vita e martirio de’ gloriosi santi Flavia Domitilla vergine, Nereo et Acchilleo, e più altri, con alcune vite brevi de’ santi parenti di s. Flavia Domitilla, et alcune annotationi. Opera di A ntonio Gallonio romano, sacerdote della congregatione dell’Oratorio. In Roma, presso Luigi / annetti, 1597. - Già è stata indicata, nella nota 507, la sua Istoria di Elena de’ Massimi vergine romana, edita nel 1857.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo. fE. 653-654

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    delle vite de santi, et, sempre, esso beato padre ne raccontava alcuno : et io, a questo, mi sono trovato infinite volte presente. E t, in tutte le attioni sue, ho osservato sempre, che non cercava mai l’ utile, o minimo interesse suo proprio, ma solo l ’ honore di Dio : et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 32. Io , per tutto il tempo, che ho pratticato intrinsicamente con il beato Filippo, ho osservato, che pareva sempre che stessi in atto d’ oratione, perchè, mentre si raggionava in camera sua, et mentre, anco, raggionava con me, ad ogni poco, si vedeva, che dava alcune occhiate verso il cielo, o, con altri segni che faceva, mi accorgevo, che stava con il cuore in D io. Quando andavamo fuori in cocchio, per ordinario, lui si metteva dalla parte di dietro, per posser fare oratione, et poi ci diceva : « quando alcuno mi saluta, avisatemi » E t, quando si raggio­ nava, o in camera sua, o in altro luogo, sempre introduceva qualche raggionamento de cose spirituali. Spesso, il giorno, dopo l ’ oratorio, ci menava hora a S. Maria delli Angioli, hora in una vigna, o luoghi sim ili, et ci faceva giocare a piastrella et ricrearci ; et lui, vedevo, che si ritirava, o in qualche boschetto, o luogo eminente, et, passeggiando, o vero sedendo, si metteva a far oratione: et questo l ’ ho osservato infinite volte. Essortava, spessissimo, li suoi figliuoli spirituali a questo santo essercitio dell’oratione: per questo introdusse, che, ogni sera, tutto l ’ anno, s’aprisse l ’oratorio, et si facesse mezz’ hora d’ oratione mentale et poi l ’orationi vocali. F ra giorni, mi diceva spesso, a me (et so che faceva il medemo con altri) che, non possendo far longhe orationi, almeno alzassi spesso la mente in D io e dicessi qualche oratione iaculatoria. In particolare, mi ricordo, che mi faceva dir spesso, in luogo di corona, sessanta tre volte : « Vergine Maria, Madre di D io, prega Giesù per me », overo : « Jesus, sis mihi Jesus » , « Deus, in adiutorium meum intende », « Maria mater gratiae, mater misericordiae », o cose simili : et questa usanza l ’ ho osservata, poi, anco doppo la morte di detto beato padre. E t osservavo, che il detto beato Filippo portava sempre la corona in mano et si vedeva, che ancor lui usava simili devotioni. Io so che il detto beato Filippo, mentre stava nelle stanze di S . Girolamo, si fece fare una loggetta alta, dove so, che non vi faceva altro, se non che vi si ritirava a far oratione ; et il medemo fece, quando andò a stare alla Vallicella, dove haveva una loggetta alta simile, dove, pure, si ritirava a far oratione, et v’ haveva accommodato un palchetto, et postovi sopra una sedia, ad una finestra ; la quale si vedeva, che non se ne poteva ser­ vire ad altro, che a contemplare il cielo. E t, in particolare, mi ricordo che, dui mesi avanti la morte del detto beato Filippo [f. 654] andan­ domi io, una mattina, secondo il mio solito, a reconciliare dal detto beato padre, trovai la porta della sua camera come serrata et, accostandomi, dentro nella camera, trovai il beato padre in atto d ’oratione, in piedi, facendo molti gesti con le mani, et con alzarsi nelle punte de piedi, con le mani et occhi verso il cielo, e s’alzava su, come era suo solito. Stetti un pezzo a vedere, e, prima, nell’ ingresso, lo salutai, et m ’acco­ stai vicino a lui a tre palmi in circa et stava con il volto voltato verso me, talmente, che mi poteva et doveva vedere. E t, con tutto ciò, non mi rispose nè mi vidde, et durò circa mezzo quarto d ’ hora. E t io non mi mossi, perchè stava osservando, con molto mio gusto, quell’ attioni

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 654-655

    et moti del beato padre, che faceva, in atto di oratione, astratto fuori di sè. E t, dopo, ritornando in sè, et accorgendosi che io ero lì presente, mi d isse: «c o m e sete e n tra to ?» et io gli risposi, che havevo trovato la porta aperta (la quale, per l ’ ordinario, il detto beato padre la ser­ rava) e, senza dirmi altro, ci ritirassimo in un’altra camera, et mi riconciliò: et io pigliai gran gusto, nel vedere detto beato padre così astratto. E t di queste cose n’ è stata et è pubblica voce et fama. 33. D e d evotion e et lachrim is. Io so, di certa scientia, che il beato Filippo, nel confessare et dar l ’assolutione, nel far oratione, nel dir la Messa, et parlare de cose di D io, haveva, sempre, una palpitatione et motione di tutto il corpo gran­ dissima, che si conosceva nel tremare della cotta, pianeta et veste este­ riore. E t questa motione l’ haveva alle volte maggiore, alle volte minore, secondo che si vedeva, che era, alle volte, più o meno infervorato nell’ oratione. E t intesi dire, più volte, mentre detto beato Filippo viveva, da diverse persone, et con diverse occasioni, che havea questa palpita­ tione da sin che era giovane, et che era cosa sopranaturale et miracolosa. E t, più volte, io ho discorso di questa palpitatione et motione del beato Philippo, che haveva nelli tempi detti, et, questo, con diversi medici et con diverse occasioni. E t, in particolare, mi ricordo, che ne raggionai, a longo, un giorno, fra gli altri, in casa de Rustici, con il s.r Antonio Porto, medico famoso, che fu anco di Sisto V ; et, anco, con il s.r Angelo da Bagnarea, moltissime volte, con l ’occasione, che veniva a medicare in casa mia. Quali medici so di certo, et loro medemi me l’ hanno detto, più volte, che, avanti conoscessero il detto beato Filippo, non gli havevano troppo credito, et lo tenevano per persona semplice et idiota ; ma, quando cominciorno a conversar con lui, gli hebbero tanto credito, che lo tenevano per santo. E t, raggionando io, con detti medici, della palpi­ tatione detta del beato Filippo, concludevano, che era cosa sopranatu­ rale et miracolosa ; et era miracolo, che vivesse tanto tempo, con detta palpitatione, per molte raggioni, quali non mi ricordo di tu tti, in parti­ colare, perchè, quando il beato Filippo haveva detta palpitatione, non solo non [f. 655] vi sentiva dolore, ma si vedeva, che si rallegrava tutto in viso ; et, anco, perchè si vedeva, che non ne pativa nè l’ haveva, se non quando applicava alle cose di D io : et questa è stata et è cosa publica et notoria, et la possono deporre tutti quelli, che l ’hanno conosciuto. 34. E c sta se s et ra ptu s. Io so, che il beato Filippo durava grandissima fatiga, a temperare l ’impeto grande et fervore del suo spirito et si vedeva (et io l ’ ho osser­ vato infinite volte) che lui faceva ogn’ opera per distrahersi, non solo avanti dicesse la Messa, ma, anco, mentre la diceva : et, chi non cono­ sceva l ’artificio suo, molte volte si scandalizava, perchè spessissimo, ancor mentre diceva la Messa, si metteva le mani in capo et al volto, passeggiava per l ’altare, si voltava, si moveva, diceva che cacciassero qualche cane, o cosa sim ile: et questo faceva, perchè, altrimente, non haverebbe potuto finire la Messa. E t, con tutto questo, molte volte l ’ ho veduto, che piangeva dirottamente, si scordava a che termine fosse della

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo. fC. 655-656

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    Messa, s’alzava in punta de piedi, tremava tutto et, molte volte, restava come fuori di sè. E t per questo, alla Messa, usava, massime a ll’ elevatione, alzare poco poco, et poi, presto presto, abassare le braccia. In tutto il tempo che io ho conversato con detto beato Filippo, ho visto, che, ogni mattina, diceva Messa con grandissimo spirito et devotione, tanto suo, come di quelli che lo servivano ; et, molte volte, l ’ho veduto, nella Méssa, alzarsi su, come se volesse saltare ; et s’alzava, come se non toccasse piede in terra, et tremava sempre, et, molte volte, si fermava. E t era, alle volte, tanto astratto, che si scordava di quello haveva a dire, et bisognava, che il clerico, che l ’aggiutava, li mostrasse quello haveva a dire. E t piangeva, nella Messa, a ssa i: et a questo mi son trovato moltissime volte presente. E t, quando non poteva dir Messa, per causa d ’ infermità, a ll’ hora si communicava et questa consuetudine ho inteso moltissime volte, in quelli tempi, et anco doppo, et da diverse persone, et con diverse occasioni. E t era cosa publica, fra li suoi figliuoli spirituali, che, questa consuetudine di dir Messa ogni giorno, e vero di communicarsi, l ’ haveva il detto beato Filippo cominciata da giovene, et l’ haveva osservata fino al tempo, che io lo conobbi, et l ’ ha anco osservata fino a ll’ ultimo giorno di vita sua, che fu l ’anno 1595, il giorno del S S . Sacramento, alli 26 di m aggio: nel qual giorno, il Signore lo chiamò al premio di così santa consuetudine, et al riposo et ristoro di così stretta vita, che ha sempre tenuta. E t gli fece il Signore gratia, che, quello istesso giorno che morì, celebrò la s. Messa con allegrezza straordinaria. E t so, che questo suo gran spirito et devotione verso il S S . Sacramento [f. 656] dell’altare, non solo la mostrava, quando diceva Messa, ma anco quando communicava : che io l ’ ho veduto infinite volte, che tremava, si moveva tutto, et durava grandissima fatiga, per ritenersi di non fare demonstratione esteriore; con tutto ciò, sempre ne faceva. Ho provato, moltissime volte, nella persona mia, che, quando ero travagliato, o tentato, andando dal beato Filippo, mi pigliava la testa et se la stringeva stretto al suo petto, et mi teneva così, per un pezzo, et io sentivo li salti del suo cuore, et tremava tutto : con questo mi lasciava tutto consolato ; et ho inteso, che ha fatto il medemo con molti altri : et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 35. D e vision ibu s. Io mi trovai presente quando, circa l ’anno 1575, si gettò a terra un tetto della chiesa vecchia di S. Maria in Vallicella, et intesi dire, a ll’ hora, publicamente, che li muratori trovorno il trave, che reggeva detto tetto, che stava fuori del muro, in aria, et che, naturalmente, non si poteva reggere. E t che il beato Filippo fu causa, che si levasse quel tetto, perchè haveva detto a m .s Giovanni Antonio Lucci, quale haveva cura della fabrica, che facesse levare quel tetto, perchè lui haveva veduto, la notte avanti, che la Madonna lo sosteneva con le sue mani. E t la verità è, che li padri non volevano far levare, per a ll’ hora, quel tetto, et, levandolo, fu trovato il trave in aria, come ho detto. E t questo fatto l’ intesi dire, a ll’hora, publicamente, da diversi: et n’ è stata et è publica voce et fama. Un anno avanti che il beato Filippo morisse, io so, che hebbe una

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 656-657

    infermità di m olti giorni di febre continova, nella quale, molte volte, 10 v isita i; e so, che, nel fine di detta infermità, gli venne un dolore di reni grandissimo : del quale dolore non mi ricordo, che mai più, nel tempo che l ’ ho conosciuto, n ’havesse patito ; et fu tale questa infermità che li medici tenevano per sicuro che si morisse. E t mi referì, a ll’ hora, 11 s.r Angelo, medico, che lui s’ era trovato presente nella camera del p. Filippo, et che l’ haveva veduto alto dal letto, con tutto il corpo, con grandissima sua maraviglia et di tutti gli astanti, ch’ erano molti. E t, a ll’ hora, il detto beato padre faceva gesti con le braccia aperte et parlando con la Madonna santissima diverse parole, senz’accorgersi, che era veduto da altri. E t, finita detta visione, ritornato che fu in sè, accorgendosi della gente, che era in camera, si nascose, coprendosi con il lenzuolo et piangendo longamente. E t, che, accostandosi, lui li toccò il polso, et lo trovò libero affatto della febre. E t mi riferì, che il detto padre gli haveva detto, che non [f. 657] haveva più dolori. E t questo fatto fu detto, a ll’ hora, publicamente, et, tanto a ll’ hora, come anco doppo, è stato, communemente, da tu tti, tenuto per miracolo. E t io arrivai in camera di detto beato Filippo, che, a ll’ hora, era finita la visione ; et trovai che il detto beato padre, con tutte due le mani, stando lui supino nel letto, si teneva coperto il viso con il lenzolo ; et mi fu referto tutto il sopradetto. Quando morì mia figliuola Elena, d’ età d ’anni tredici, et fu l ’anno 1593, del mese di settembre, io ero in A rsoli, mio castello. E t, mentre io ero là, il p. Antonio Gallonio, quale è morto quattro anni sono, mi scrisse una lettera, dove mi diceva moltissime raggioni, per le quali mi dovevo consolare, per la morte della detta mia figliuola, et, fra l ’altre, mi scrisse queste parole : « un’altra persona ancora, spiritualis­ sima et di grandissimo merito appresso Sua Divina Maestà, la notte doppo la felice morte della medesima vergine, sentì gli angeli, quali, suavissimamente cantando, celebravano il glorioso trionfo suo, et le sue beatissime et sacratissime nozze collo Sposo delle vergini, Giesù Christo ». E t questa lettera io la tengo ancora appresso di me. Tornando io poi, a Roma, mi disse il detto p. Antonio Gallonio, che quello, di che m ’ haveva scritto, ch’ haveva sentito cantar gli angeli, nella morte della mia figliuola Elena, era stato il padre Filippo ; et che l ’istesso p. Filippo glie l ’haveva accennato a lui, perchè la detta Elena era figliuola spiri­ tuale del detto p. Antonio. E t anco mi disse, che il beato Filippo haveva, anco detto, di questo canto d’angeli, al p. Cesare Baronio, quale era suo confessore. E t il medemo p. Cesare mi raccontò, più volte, lui medemo, quanto ho detto ; et so, anco, che l’ istesso Baronio disse il medemo con altri. Quando morì Marco Antonio Cortesella, quale era figliuolo spirituale del beato Filippo, et era stato huomo molto essemplare (et, fra l ’altre opere della charità, faceva tutti li fatti de Capuccini) intesi dire, da molti, che il medemo beato padre haveva detto, che gli era apparso, nell’ hora della morte, et l’ haveva veduto andar in Cielo. I l medemo, sentii, che accadde nella morte del s.r Patritio Patritii, figliuolo, sim il­ mente, spirituale del medemo beato padre ; et il p. Antonio Gallonio mi disse, a ll’ hora, che il p. Filippo, doppo la morte del detto s.r Patritio, si raccommandava alle sue orationi, col dire : « Sancte Patritie, ora pro me ». E t di queste cose n’ è stata et è publica voce et fama.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 657-659

    335

    36. D e apparition ibu s. Io ho sentito dire, più volte, et in diversi tempi, con diverse occa­ sioni, e da diverse persone, che il beato Filippo, non solo [f. 658] doppo morte, ma, anco, mentre viveva, era apparso,1652 in diversi tempi, et a diverse persone, ma non m i ricordo bene li particolari, et da chi l ’ ho inteso d ire : ma n’ è stata et è publica voce et fam a. E t in me ho pro­ vato, che solo il sognarmelo m ’ ha dato grandissima consolatione: et questo è stato moltissime volte, doppo la sua m orte; et molte volte, in sogno, l’ ho veduto bello, risplendente, et mi pareva, che fusse in Cielo, in compagnia d ’altri santi. 37. D e charitate erga p ro xim u m et zelo anim arum . Io so, che il beato Filippo era ornato di tutte le sorte di virtù, ma, nella virtù della carità, era insigne più che in tutte l ’ altre, et non premeva in altro, che nell’aggiutare il prossimo, et si sforzava, quanto più posseva, et non recusava fatiga alcuna, purché potesse ridurre qualche peccatore. Io so che il detto beato padre, molti anni prima, che io gli capitassi nelle mani, havea cominciato a confessare, et era cosa maravigliosa a vedere, con quanta eharità, con quanto gusto, et con quanta assiduità attendeva a questo santo essercitio ; et con questo tirava infinite anime alla cognitione di D io, alla mutatione della vita. E t moltissimi n’ entravano in diverse religioni, moltissimi altri resta­ vano nelle case loro, con fare vita essemplare : et di questi ne potria nominare moltissimi, ma è stata et è cosa publica. Io so, di certa scientia, che il beato Filippo cominciava a confessare la m attina, avanti giorno, et io, havendo da fare qualche mio negotio, andavo a confes­ sarmi la m attina, a ll’alba, et, sempre trovavo, che v’ erano stati molt ’altri avanti a m e ; poi scendeva, ogni giorno, in chiesa, al confessio­ nale, et vi stava, fino al tempo dell’ ultim a Messa, quale, per ordinario, la diceva lui et si vedeva, che n’ haveva gusto particolare, perchè, se, per qualche necessità, era astretto partirsi, alle volte, dal confessionale, lasciava detto dove andava, et che sarebbe tornato presto. E t a questo io, molte volte, mi sono trovato presente, et era cosa notissima, tra tutti i suoi figliuoli spirituali. E t, pochissime volte, si veniva alla chiesa di S. Gerolamo, o della Vallicella, che non si trovasse il beato Filippo in chiesa ; et, se non era in chiesa, confessava in camera sua. E t so di certo, che voleva confessare li suoi figliuoli spirituali, se bene lui era infermo, in letto, con la febre. E t quando li medici, essendo il male grave assai, gli prohibivano, et commandavano, che non confessasse, gli obbediva, ma ne sentiva mortificatione grande, et si vedeva, che non si curava del suo male, ma più gli premeva, che haveva paura, che li suoi figliuoli spirituali non patissero. E t io mi son confessato, moltissime volte, dal detto beato padre, mentre era in letto, con la febre, et so, di certo, che haveva carissimo, et voleva, che [f. 659] molti de suoi penitenti si confessassero ogni giorno, altri li faceva confessare tre volte la settimana, secondo che vedeva, che n’ havevano di bisogno, et

    1652 Queste varie apparizioni, quasi tutte narrate nel processo, sono rac­ colte dal B acci, 1. I l i , c. 11.

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    336

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fif. 659-660

    erano scrupolosi. Ma so di certo, che baveva carissimo, che si con­ fessassero spesso, et frequentassero più spesso il sacramento della Confesione, che quello della Communione : 1653 et questo è stato et è cosa publica et notoria, fra tu tti quelli che hanno conosciuto il detto beato Filippo. M i son trovato, molte volte, con il beato Filippo, quando andava, nelli primi anni che io gli capitai nelle mani, con molta gente, per B an ch i; et io, a ll’ hora, vi sentivo mortificatione, et si fermava a parlare, hora con uno, hora con l ’altro. Andava, molte volte, fuori, et si metteva, lui medemo, fino, a giocare alle piastrelle, per adomesticare della gente, et tirargli al servitio di Dio. E t so, di certo, che, con questi mezzi, ha tirato infinite anime a D io, et so, che praticava con peccatori gravissimi, et si vedeva, che non pensava niente a se stesso, ma, solo, a ll’ utilità et salute del prossimo. E t ancorché fosse tutto intento in D io, si vedeva, ancora, esser tutto del prossimo. E t so, di certo, che non voleva mai, per sè, nè hora, nè luogo, nè tempo : et questo lo so, perchè intesi, più volte, che haveva dato ordine et commandato, a tutti quelli di casa, che non dicessero mai a niuno : « Philippo è ritirato : tornate ; non si puoi parlare adesso » ; ma, sempre, avanti giorno, a mezzo giorno, la sera, dopo pranzo, et, insomma, a tutte l ’ hore, sempre, voleva essere, et era, esposto al servitio del prossimo. E t questo io lo so di certo, non solo in me, che, ogni volta che vi sono andato (et vi sono andato spes­ sissime volte, et, infinite volte, vi sono andato dui volte al giorno) con tutto ciò, sempre, mi dava gratissima audienza ; et il medemo vedevo et osservavo, che faceva con altri, tanto nobili, come ignobili, tanto grandi, come piccoli, et d’ ogni stato. E t so, che lui, quando posseva, per ordinario, desiderava di stare, doppo la Messa, per alcune hore, retirato a far oratione ; et fra giorno, quando posseva, si ritirava in qualche luogo alto, a fare oratione: con tutto ciò, per confessare uno, o per consolare un afflitto, o per visitare un infermo, o per aggiutare un’anima, in qualsivoglia modo, lasciava ogni suo gusto et ogni suo retiramento, et soleva dire, che era lasciare Christo per Christo. E t so, et ho inteso dire che, quando, il giorno, era impedito da alcuna sua devotione, scontava, poi, la notte, et raddoppiava le vigilie, et questo l’ ho inteso dire, più volte, da diversi, che il beato Filippo, molte volte, con confidenza, soleva dire, al p. Antonio Gallonio et ad altri, che assistevano alla persona sua : « questa notte io non ho mai dormito ; hieri fu i impedito, m ’ è bisognato supplire questa notte », et parole sim ili. E t, per questo effetto, intesi dire, che, la sera, quando andava a letto, si poneva, vicino al letto, un horologio, nel quale, col toccare senza lume, conosceva che hora [f. 660] era, et anco, un crocefisso. In somma, io so di certo, et ho osservato, infinite volte, che il detto beato padre non perdonò mai a fatiga, andava pensando et trovando nove inventioni, con le quali potesse, non solo tirar anime a Christo, ma, quello che più importa, come lui diceva, come potesse, poi, man­ tenerle nella vita spirituale, farle frequentare li santissimi Sacramenti et farle andare avanti et perseverare nella vita spirituale. E t, veramente, si poteva dire di lui quelle parole di s. Paolo : « Omnibus omnia factus,

    ies3 Come già è stato rilevato nella nota 1156.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fi. 660-661

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    ut omnes Christo lucrifaceret » . 1β54 Io mi sono trovato, infinite volte, con il beato Filippo, tanto nel principio, che io lo conobbi, quanto, anco, nel progresso delli anni, quando andava, con grandissimo numero di persone, alle Sette Chiese, che, molte volte, passavano il migliaro ; et vi venivano ogni sorte di persone, tanto poveri, come ricchi ; tanto nobili, come ignobili, artegiani, sacerdoti, religiosi d ’ogni sorte di religione: in particolare, vi venivano, molte volte, venti et venticinque Cappuc­ cini, et altrettanti della Trinità delli M onti, et di s. Domenico. E t, questo, ordinariamente, lo faceva nelli tempi del carnevale ; et, questo, per sviare le genti dalle mascare, dalli corsi, et da molti altri peccati ; ma non vi venivano donne. L ’ ordine, che si teneva, in queste andate alle Sette Chiese, era, che faceva cantare una Messa nella chiesa di S. Se­ bastiano, o vero in S. Stefano Rotondo, doppo la quale si communicavano sette o ottocento persone per volta ; ad ogni chiesa, il beato Filippo faceva fare un poco di sermoncino, hora da un religioso, hora da un altro , o vero da uno de padri dell’ Oratorio ; per le strade, si andava cantando le litanie, o qualche salmo ; il mangiare si faceva, in quelli prim i anni, nella vigna de Massimi, vicino a S . Stefano Rotondo: la provisione la faceva fare il beato Filippo da alcuni, che havessero il modo : tal, che quelli, che andavano con lui, non s ’ havevano da pro­ vedere di cosa alcuna ; ad ognuno faceva dare pane et vino a sufficienza, un ovo, mezza provatura, et alcune m ele: et questa era la provisione ordinaria. N ell’andare, si vedeva una quiete et una modestia grande: ta l, che, la sera, quando si tornava a casa, ad ognuno pareva esser stati come in paradiso, p t so di certo che, in questa andata alle Sette Chiese, il beato Filippo guadagnava molte anime a D io. E t so, che, molti, ci ve­ nivano per curiosità, da principio, et, poi, seguitavano da dovero il detto beato padre : et di questi ne potria nominar molti : et io v’andavo d i continovo: et è stata et è cosa publica. E t hoggidì s’ osserva [f. 661] questo medemo modo di andare alle Sette Chiese, nelli tempi d i carnevale, dalli padri et fratelli dell’ Oratorio di S. Maria in V allicella : et questa è stata et è cosa publica. Io so di certa scientia, che il beato Filippo fin da principio, che io lo conobbi, havea tirati, o tirava, moltissime persone, d ’ogni stato, grado et conditione, al servitio di D io. E t era mirabil cosa a vedere, che, ancorché spendesse quasi tutto il giorno in servitio del prossimo, in convertire anime, con praticare con peccatori gravissimi, et visitare infermi, et altre opere di charità, con tutto ciò, pareva sempre et si vedeva, che stava con il pensiero in Dio, et in atto di oratione. E t moltissimi peccatori ridusse a vita buona, et spirituale ; et di questi ne potria nominare m olti, et dirò, solo, per hora, che fu miracolosa la conversione, che fece il beato Filippo del Tarugi, quale era sviatissimo, et poi si ridusse a vita santa, et fu fatto cardinale, et hora è morto ; la conversione del s.r Giovanni Battista Salviati, il quale, essendo stato pochissimo nelle mani del beato padre, ancorché prima fosse sviatissimo, con tutto ciò, venne, in poco tempo, a tanto spirito et humiltà, che voleva poi vestire positivamente et andare senza1 4 5 6

    1654 Epistola ad Corinthios prima, IX , 22 : luogo già citato da altri testi, come dalle note 707 e 1075. 22

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fl. 661-662

    servitori: et so, che il beato Filippo gli commandò, che menasse li servitori, et andasse vestito come prima, ma però modestamente; di m .s Costanzo Tassoni, del Cortesella, di m .s Giovanni Animuccia, mastro di capella di S . Pietro, di m .s Marcello Ferro et infiniti altri. D e’ quali so certissimo, che moltissimi ne fece entrare in diverse reli­ gioni, in particolare Cappuccini moltissimi, in S. Domenico (et, tra gli altri, uno de suoi fu fatto mastro de novitii, et si chiamava fra Pietro M artire, et morì con opinione di santità) Gesuiti, Theatini, et altre religioni. E t il medemo faceva nelle donne, et, in particolare, moltissime zitelle pose in diversi monasterii, come S. M arta, et S. Cecilia in T ra­ stevere, Torre de Specchi, S. Cosimato et altri. E t questa cosa era tanto publica et manifesta, che il beato Ignatio, fondatore della Com­ pagnia del Giesù, chiamava il beato Filippo : « la campana », per la quantità grande di gente, che lui faceva entrare alla religione, et egli non v’ entrava. E t, per ridurre me dalla via cattiva, ch’ ero sviato assai, v’ hebbe una patientia et charità indicibile, et tenne tante vie et modi, et mi sopportò talmente, che, ogni volta che vi penso, mi fa stupire, et non so trovare parole per lodarlo e ringratiarlo. E t, quando io comin­ ciai a praticare con il detto beato Filippo, ad ogn’ altra cosa pensavo, che a seguitarlo, come, per gratia di D io, ho fatto fino alla sua m orte; et, con tanto bel modo, mi prese, che io non l’ ho potuto mai lasciare ; et, sempre, veniva con me, in cocchio, [f. 662] per farmi perseverare ; et, con molte carezze et charità, m’attrasse a seguitarlo: cosa, che mi faceva stupire. E t posso dir questo, che mai m ’ è venuta fantasia di partirm i, dalla prima volta che lo conobbi. Era tanto caritativo, che tirava a sè tu tti, con tante belle maniere, che non si puole niuno im a­ ginare: et grandi, et piccoli, huomini, et donne, peccatori, et anco li huomini di santa vita, prelati, prencipi, signori, artegiani, et, insom­ ma, ogni sorte di persone. E t le genti, che continuamente lo seguitavano, quando usciva di casa, erano molte : et io me vi son trovato infinite volte. E t anco la prima mia moglie, Lavinia de Rustici, avanti conver­ sasse con il beato Filippo, non voleva sentirlo nominare, ne anco acco­ starsi a lui, ma, più presto, ne diceva male. E t, solo una volta, che, a mie preghiere, parlò al beato padre, restò tanto edificata di lui, che, di lì in poi, ci volse tornare ; et ci tornò, spessissime volte ; et ci andava, ogni settimana, almeno due volte ; et si cominciò a communicare ogni festa, et fece gran profitto, nella vita spirituale : et tutta questa gran mutatione la fece la prima volta, che parlò al beato Filippo. Haveva detto beato padre una particolar gratia da D io, in tirar li cuori delli huomini a sè. E t, ancorché, in sè, fusse rigidissimo, con tutto ciò, negli altri, era pieno di charità, comportava et condescendeva quanto era possibile. E t mi ricordo, che, in particolare, m .s Theseo,1655 quale era prete et confessore, nella medema chiesa di S. Girolamo, et confessava moltissima gente et molta nobiltà, et era assai rigoroso, et non li pia­ ceva il modo del beato Filippo, che gli pareva troppo mite. E t non passò molto tempo, che la maggior parte delli penitenti del detto p. Theseo lo lasciorno, et s’andorno a confessare altrove. E t mi ricordo, che io,

    less Teseo R aspa; sul quale si veda la nota 326.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fi. 662-663

    339

    dissi, a ll’hora al detto p. Theseo: « Hor vedete qual’ è meglior spirito: o il vostro, del rigore, o vero quello del p. m .s Filippo, di mansuetu­ dine ». Perchè al detto beato Filippo, ogni dì, andava crescendo più il numero delli penitenti, et di quelli, che lo seguitavano: et questa è stata cosa publica et notoria. Io intesi, più volte, dal beato Filippo, dire, in diversi tempi, et con diverse occasioni, che lui saria andato volentieri a ll’ Indie, et che questo era il suo desiderio, ma che Dio non haveva voluto. E t intesi d ire ,. nel principio, che io andai nelle mani del beato padre, che non m i ricordo da chi, che un servo di Dio haveva havuto visione, che il Signore si voleva servire del beato Filippo in R om a.1656 E t questo Fintesi più volte, in quel tempo, et anco dopo: et n’ è stata, et è publica voce et fam a. Quando li suoi figliuoli spiri­ tuali, o vero altri, havevano qualche tentatione, o tribulatione, subito che andavano dal beato Filippo, si sentivano subito consolati: et questo so, che è successo a moltissimi. Io so, che la charità del beato Filippo, non solo [f. 663] era intorno alle cose spirituali, ma anco intorno alle cose corporali et temporali ; et io mai ho conosciuto nè praticato con persona più charitativa di lu i; et in me l ’ ho provato, per molti anni, et so, che faceva il medemo con altri. 38. D e ch aritate erga p roxim u m in M s quae ad corpu s p ertin en t. Io so, che il beato Filippo fu institutore et causa, che li laici, in gran quantità, tra li quali ve n’ erano m olti nobili, andavano, molte volte la settimana, ma, in maggior numero, il giorno delle feste, alli hospedali principalmente S . Giovanni Laterano e S. Spirito, et io vi sono andato molte volte. E t facevano la carità alli infermi, con aggiutarli a far mangiare et, poi, gli facevano li letti, et gli portavano qualche cosa, per ricreare detti infermi, come merangoli, confetti, ciambellette, prugne fresche et cose simili. E t questa usanza è continovata sempre, et, hoggidì anco, si continova dalli padri et fratelli secolari della Con­ gregatione dell’ Oratorio in S. Maria et S. Gregorio in Vallicella, quali vanno anco a ll’ hospedale della Consolatione. E t lui medemo, quando haveva qualche figliuolo spirituale infermo, non lasciava mai, che, per ordinario, non lo visitasse ogni giorno, et io l’ ho provato, infinite volte, in casa mia. E t, quando stette male mio figliolo Paolo, quale fu resuscitato da detto beato Filippo, essendo stato male per spatio di sessantacinque giorni, venne sempre, ogni giorno, a visitarlo ; et il me­ demo faceva con gli altri infermi di casa m ia ; et so, che faceva il medesimo con gli altri. E t io son andato, infinite volte, con lui, a visitare diversi infermi, in diversi tempi, et in diverse case. E t, quando alcuno di detti infermi stava per morire, so, che stava le notte intere per le case d ’altri, per far la charità a detti morienti, et aggiutava, non solo Fanime, ma anco li corpi, con elemosine et diverse provisioni corpo­ rali. E t so che il detto beato Filippo non haveva beneficio alcuno eccle-

    165 6 h n0t0 episodio è narrato dal Gaixonio, Vita lat., pp. 60-62, sotto l’ anno 1557 : il cistercense, interpellato alle Tre Fontane, era Agostino Ghettini, fio­ rentino. Si vedano B ordet-P onnelle, pp. 163-64 (vers, ital., 158-59) ; dove si col­ loca, tuttavia, il fatto avanti il 6 nov. 1556, riconnettendolo con la prima lettera conservata di F ., a Francesco Vai.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 663-664

    siastico, nè meno pensione (che mai non li volse) : con tutto ciò, so, che faceva molte elemosine, a diversi poveri ; et a zitelle, per maritarsi, per monacarsi; a poveri, per farsi religiosi; a poveri artegiani; ne mandava a poveri carcerati, a poveri inferm i: et questa era cosa con­ tinova et publica. E t intesi, più volte, che, in queste opere di charità, gli occorsero m olti m iracoli: in particolare, un volta, cadendo in una fossa, di notte, fu liberato miracolosamente. U n ’altra volta, un angelo, in forma humana, gli chiese elemosina. Ma non mi ricordo, in parti­ colare, chi mi dicesse queste vision i; ma ho inteso, che il medemo beato Filippo l’ ha, lui medemo, raccontate a molti, per animarli alle elemosine e alle opere della charità: et queste sono state et sono cose publiche et notorie. [f. 664]

    39. D e pruden tia et discretion e spiritu u m .

    Io so, di certa scientia, che il beato Filippo era huomo prudentis­ simo, tanto nelle cose spirituali, come temporali, et dava consegli, con grandissima prudenza: et questo l ’ ho provato, infinite volte, in me stesso. E t affermo, con verità, che tutte le cose, che io ho fatte con suo conseglio, tanto spirituali come temporali, tutte mi sono riuscite bene, et, per il contrario, tutte quelle, che ho fatto senza o contro il suo conseglio, sempre mi son riuscite male. E t io so di certo, et ho inteso dire, più volte, con buona occasione, dal medemo beato Filippo, che tutti quelli, che lui haveva mandato in diverse religioni, niuno mai n’ era uscito, ma tutti havevano perseverato. E t questo, in parti­ colare, lo diceva, con occasione, che molti volevano entrare nelle reli­ gioni, senza sua licenza: et so, che lui li provava bene, et li mortifi­ cava, avanti gli desse licenza d’ entrare. E t so, che molti, quali vole­ vano entrare in religione, contro la sua voluntà, non vi duravano, et uscivano fu o ri: et di questi n’ ho conosciuti molti, ma adesso non mi ricordo delli nomi. E t so, che venivano, da detto beato Filippo ogni sorte di persone, come da un oracolo, et come ad un santo : et, fra li molti, so che, in particolare, il s.r card, di Firenze, quale fu Leone X I, huomo prudentissimo, haveva tanto gusto di conversare col beato Filippo, che vi veniva più volte ogni settimana, che io lo vedevo, et ve si tratteneva cinque et sei hore per volta. E t mi disse il detto s.r car­ dinale, più volte, che la sera, alle 24 hore, quando tornavano li suoi corteggiani, per accompagnarlo a casa, gli rincresceva, et gli pareva, che fosse passata presto la giornata. Io so, che il detto beato Filippo non usava di commandare, ma, con bellissimi modi, haveva dalli suoi tutto quello che voleva. E t soleva dire, che, chi vuol esser obedito assai, commandi poco. E t questo l ’ ho provato, infinite volte, con me, che, senza commandarmi, mi faceva fare tutto quello che voleva ; et ho osservato, che faceva il medemo, con li altri suoi figlioli spirituali, et, anco, con li padri di casa : et di tutte queste ne è stata et è publica voce et fama. 40. D e sim plicitate. Io so di certo, et ho osservato, infinite volte, che il beato Filippo, in mille modi, con simplicità Christiana, cercava d ’occultare et di coprire la sua prudenza et, per questo, tanto con persone grandi, come

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 664-665

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    con persone ordinarie, con cardinali et con li papi istessi, che io mi son trovato presente, molte volte, procedeva et trattava con semplicità di parole, senza cerimonie, et alla buona, domesticamente, et haveva caro, che tutti trattassero con lui nel medemo modo. E t vedevo, chè osservava, anco, la medema sim plicité, nel caminare, nel vestire, che andava, per ordinario, con certi scarponi bianchi, et, per la casa, stava, molte volte, solo con una camisciola rossa, [f. 665] in luogo di sottana, che gli arrivava Ano a mezze gambe, et altre simili vesti. Le sue vesti, per ordinario, erano di saia d ’ Agubio, et il ferraiolo di burattone. Nel parlare, non gli piaceva la doppiezza di parole, ma che si dicesse la semplice verità : et così ho osservato, che faceva lui. Non solo gli dispiacevano assai le bugie, ma anco quando alcuno si scusava delli defetti, ch’ era ripreso. E t so di certo, et mi son trovato présente quando, a diversi, faceva la correttione, di cose minime, et gli essercitava, con molte mortificationi, a non scusarsi. Quando gli era riferta alcuna cosa trista o indifferente, sempre cercava scusarla et interpre­ tarla in buona parte, et voleva, che il medemo facessero gli altri, che trattavano con lui. M i trovai presente, quando detto beato Filippo, dieci anni prima che lui morisse, una sera, doppo cena (dove restorno a mangiare, con li padri della Y allicella, li s.ri cardinali Salviati et Cusano, et vi restai ancor io) doppo cena, il beato padre venne, in un luogo, dove li padri si sogliono ritirare per un poco alla ricreatione, et il beato padre, per mortificarse lui et anco per mortificare li suoi, com­ mandò a dui padri, che, in presenza, di detti cardinali cantassero et ballassero.1657 Molte volte, in presenza de cardinali, et altri, che l ’ havevano in concetto di santità, faceva leggere le favole d’ Isopo et altri simili libri, talmente che, chi non lo conosceva, ogn’altro con­ cetto faceva, che di sa n tità : et, a questo, mi son trovato molte volte presente, in presenza del s.r card, di Firenze, che fu poi papa Leone X I, del card. Cusano et altri. So, che il detto beato Filippo haveva una gatta, nelle sue stanze in S. Gerolamo, et, quando venne a stare alla Vallicella, lasciò detta gatta là, in S. Gerolamo, et, per m olt’anni, per mortificare alcuni suoi figliuoli spirituali, gli mandava a portare la trippa, et altre cose da mangiare, a detta gatta, ogni giorno. E t si vedeva, che il suo studio principale era, con atti di simplicità Christiana, occultarse quanto poteva: et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 41. D e h um ilitate. Io so, che il beato Filippo, in tutto il tempo che l’ ho conosciuto, non cercò mai altro, che humiliare et avvilire se stesso, et il medemo haveva caro, che facessero gli altri. Sempre cercava, con fa tti et con parole, abbassare et avvilire le cose sue, et, per il contrario, inalzava le cose delli altri. Molte volte, per occultarsi, l ’ ho veduto, che si metteva fino

    1657 Erano, con più precisione, i (lue fratelli laici oratorìani Giovanni Battista Guerra e Giuliano Maccaluffl; come ne aveva memoria il Consolini, V ian, Una raccolta di aneddoti filippini e oratoriani, cit., in Rivista di storia della Chiesa in Italia, X I, 1957, p. 115. Il fatto avvenne forse il 4 mag. 1591, B ordet-Ponnelle, p. 449 n. 4 (vers, ital., 429 n. 2). Ma qui potrebbe anche trattarsi di un altro.

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    342

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 665-666

    a giocare alla p iastrella; et sempre nascondeva et occultava la sua santità, et lo spirito grande, che haveva, così con le parole, con il caminare, con il vestire, con il trattare, e con tu tti gli altri modi pos­ sibili. Sempre diceva : « io voglio mutar vita » , et si teneva d’ esser il [f. 666] maggior peccatore del mondo, et non haver cominciato a far bene alcuno : et io questo glie l’ ho inteso dire, infinite volte, et si vedeva che le diceva di core. G li dispiaceva grandemente, quando alcuno gli diceva qualche cosa in lode sua, et, per il contrario, l ’ ho osservato, che si rallegrava, quando gli era detto qualche cosa di disprezzo, o vero, ch’era imbarbuscito,1658 et che non era buono a niente. E t io mi son trovato, molte volte, presente, quando gli era riferto, che alcuni dice­ vano, che Ini era imbarbuscito, et che non era buono a niente, et cose simili : et vedevo, che se ne rallegrava, e che haveva a caro, che gli fnssero dette. Non haveva a caro d’ esser tenuto per superiore, nè per fondatore della Congregatione dell’ Oratorio, et, più volte, mi disse il medemo beato padre, che, per questo effetto, lui non si voleva partire dalle stanze di S . Girolamo et venire alla Vallicella. Sempre si raccommandava a ll’ oratione de tu tti, et, quando mi confessava, sempre mi faceva dire la metà delle penitenze secondo la sua intentione. E t, in questa santa humiltà, sempre andò crescendo, e, nel fine della vita sua, ne diede segno, quando, con tanto sentimento et lacrime, disse, mentre fu communicato per viatico dal s.r card. Borromeo, che io ero presente, dicendo : « non son degno ; non ne fui mai degno ; mai ne son stato degno; non ho fatto ben niuno » : et di queste cose n’ è stata et è publica voce et fama.

    42. De mtmdi contemptu et amore paupertatis. Io so, che il beato Filippo, non solo disprezzò sempre se stesso, ma, anco tutte le cose del mondo, et si vedeva, che non si curava di niente. Non andò mai dietro a robba, et il medemo voleva che facessero gli altri padri di casa : sempre diceva : « voglio voi, et non le cose vostre ». E t, a me, più volte, l’ ha detto, et so, che non voleva, per ordinario accettare presenti ; et, da me, accettò, nelli primi anni, alcune camiscie, et mi diceva: « io lo fo per non contristarti » . M i è parso sempre mira­ colo, che, essendo stato esso beato Philippo sempre intrinsichissimo con li papi, fino da giovane, et havendo praticato sempre con cardinali et con signori, et sempre in Borna, per spatio di sessantadue anni conti­ novi, senza mai partirsi, con tutto ciò, habbi sempre saputo fugire tutte le dignità et beneficii ecclesiastici, et non volse mai neanco una minima pensione. E t, per memoria del fine della vanità del mondo, teneva sempre, vicino al suo letto, due arme de cardinali, et, in mezzo allo scudo, v’haveva fatto dipingere due teste de m orti: et di queste cose n ’è stata et è publica voce et fama.

    lese imbarbuscito, voce non registrata dai vocabolari; ma della quale è evi­ dente il senso per la parentela con altre, come imbarbogire, barbogliare, barbo­ gio, e simili. L ’ aneddoto è riferito dal B acci, 1. I l , c. 20, n. 15, tra le prove della pazienza di F . : sarebbe avvenuto ripetutamente, e la seconda vòlta, a chiamarlo « barbogio », sarebbe stato un religioso innominato.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 666-667

    343

    43. D e m ortificatione. Io so, che il beato Filippo sempre cercava, in tutte le cose, mortifi­ carsi, et io lo ho osservato infinite volte. E t, in particolare, mi disse [f. 667] m .s Adriano, scalco del s.r card. Alessandrino,1659 che, essendo detto beato padre invitato a pranzo dal s.r cardinale, fece portare, da uno de suoi figliuoli spirituali, una pignatta de legu m i; et, quando furono a tavola con il cardinale, fece il beato Filippo porre quella pignatta de legumi in mezzo la ta v ola; et che il cardinale s’ edificò di questo atto, et che volse ancor lui mangiarne, et che disse, che non haveva mangiato la meglior minestra, per molto tempo avanti. U n ’altra volta, mi trovai presente, quando il beato Filippo disse al detto s.r card. Alessandrino: « non mi volete dare qualche cosa? datemi qualche cosa » ; et il s.r cardinale, sapendo la natura del detto beato padre, che non voleva cosa alcuna, et che faceva per mortificarsi, andò ad un armario, et prese due ciambelle, et gliele diede; et il beato Filippo lo ringratiò, dicendo : « questo volevo » et, per strada, in cocchio, ruppe dette ciambelle, et ce ne fece mangiare una parte per ciascheduno. E t, sempre, non solo cercava se stesso, ma sempre batteva in questo, con li suoi figliuoli spirituali, et gli essortava a mortificarsi nelle cose piccole, per potersi, poi, mortificare nelle grandi. E t, con le frequenti mortifi­ cationi, si vedeva, che il detto beato Filippo era padrone delle sue passion i; et sempre si vedeva allegro, et mai turbato, ma era d ’ un medesimo volto, tanto mentre era sano, quanto quando era infermo : et, di queste cose, ne è stata et è publica voce et fama. 44. D e m agn anim itate et fiducia in D eu m . Io so, che il beato Filippo havea un animo grande, et sempre gli pareva non haver fatto niente, et diceva spesso, che bisognava, che la persona havesse desiderio et la mira di passare, in santità, s. Pietro, s. Paolo, tutti gli Apostoli, s. Francesco, s. Domenico, et tutti li santi ; et che, se bene non vi poteva arrivare, con tutto ciò, lo doveva deside­ rare, et non gli parere mai d ’ haver fatto alcun bene. Quando si comin­ ciò la fabrica della Vallicella, so, che il beato Filippo fece ingrandire et ampliare assai più la chiesa, di quello che la volevano fare ; et haveva solo fiducia in D io, che l ’ havrebbe fatta finire, perchè so, che non haveva assegnamento de denari ; et, con tutto ciò, in dui anni, condusse in tali termini detta fabrica, che ve si celebrò la prima Messa solenne­ mente. E t soleva dire, che non gli metteva pensiero, di farne fare un’altra maggiore di quella, tanta era la fiducia ch’ haveva in D io. Io so, che, stando male, per morire, la s.ra Lavinia della Rovere, v’andava, ogni giorno, più volte, a visitarla, il beato Filippo ; et il s.r Giulio Colonna, nepote di detta signora, non haveva caro che il detto padre v’andasse, dubitando, che non lo lasciasse herede di tutta la sua io b b a :

    1659 Michele Bonelli, nipote di s. Pio V ; sul quale, la nota 449. Dove siano avvenute le due piacevoli scene narrate, non si dice : il cardinale abitava, intorno al 1575, il palazzo del Priorato, sulla piazza S. Pietro; e si costruì, dopo 11 1585, il palazzo prospiciente la piazza Ss. Apostoli, e ancora esistente (ora Prefettura), T omei, ün elenco dei palazzi di Roma, pp. 165-66, 171.

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    344

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo. ff. 667-669

    et, dì questa sua volontà, si lasciò intendere con molti. E t, vedendo che, con tutto questo, il detto padre seguitava d’ andarvi, gli fece minac­ ciare fino di farlo ammazzare, se non lasciava d’andarvi. [f. 668] I l che risapendo li padri della Congregatione, pregorno il beato Filippo, fino con lacrime, che non andasse più da detta signora ; et il beato padre non lo volse fare, dicendo, che non voleva lasciare di fare la charità a quell’anima, per paura di morire, et che saria stata grandissima gratia, la sua, di morire per la salute d’ un’anima. E t, seguitando, tuttavia li padri a pregarlo, gli disse, finalmente, che non dubitassero, perchè lui non saria amazzato, et che la s.ra Lavinia, quale era vecchia assai, et in termine di morte, saria guarita di detta infermità, et che il suo nepote s.r Giulio, quale era giovane et sano, saria morto prima di lei. E t così successe, perchè la detta s.ra Lavinia risanò et sopravisse sette o o tto ann i,1660 doppo la morte di detto beato padre, et il detto s.r. Giulio, essendo a ll’ hora sano, morì, poco tempo doppo, che detta s.ra Lavinia fu guarita : et, di queste cose, n’ è stata et è publica voce et fama. 45. D e poen iten tia et a istin en tia . In trentadue anni, in circa, ne quali ho conversato intrinsecamente con detto beato Filippo, per ordinario ogni giorno, et, infinite volte, mattina e sera, so di certo et affermo, che faceva, in ogni cosa, ma, in particolare, nel mangiare et bere, una vita molto stretta et austera. E t so, che molti medici hanno affermato, con giuramento, che era im ­ possibile, naturalmente, che lui campasse, con tanto poco cibo et bere, che faceva. Io so di certo, sì da quelli, che stavano, giorno et notte, con lui, come il s.r Ottavio Paravicino (quale hora è cardinale), p. Germanico, p. Antonio Gallonio et altri, sì anco perchè, infinite volte, mi sono trovato presente, che il detto beato Filippo, la mattina, non mangiava, se non una ciambelletta, over un pezzo di pane, et beveva un poco ; la sera, per ordinario, non pigliava se non una frittata d’ un ovo, o vero una insalata, et non tutte due le cose, ma una o l ’altra ; et, alcune volte, in luogo della frittata, so, che gli facevano un brodetto. E t so anco, di certo, che quelli, che havevano cura di detto beato padre, molte volte, lo gabbavano, con mettere due ove nella frittata, in luogo d’uno, et, a questo, moltissime volte, io mi son trovato presente. La carne, diceva che gli faceva male, et, con questo, si scusava di non mangiarla ; del cascio et d ’altri latticini, non ne poteva sentire meno l’ odore ; il medemo faceva del pesce, et altre cose, che si mangiano ; l ’ herbe et legumi molte volte ne mangiava, in particolare, nel tempo delli digiuni. E t, se bene faceva una vita tanto stretta (quale sorte di vita si diceva publicamente, che il detto beato padre l’ haveva osservata da giovene) con tutto ciò, quando, alle volte, [f. 669] mangiava con altri (il che lo faceva molte volte, per guadagnare anime et addomesti­ carsi con loro) a ll’ hora cercava di fuggire ogni sorte di singularità et ostentationi, et s’andava trattenendo et destreggiando, con proporre anco qualche raggionamento spirituale. E t, per tirare me, come ho detto

    1660 Lavinia Orsini Della Rovere morì il 26 lu. 1601; sopra lei e il nipote, Giulio Cesare Colonna, si veda la nota 172.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 669-670

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    di sopra, ha mangiato con me più di trecento volte, et io l ’osservavo, che mangiava pochissimo, et beveva pochissimo, et tutto acqua ; et io, che sapevo la sua usanza, gli facevo fare un brodetto, o una frittata, o cose simili. E t la medema parcità nel vitto ha osservato fino al fine della vita sua. 46. D e patien tia et m ansu etu dine. Io so, che il beato Filippo era patientissimo, d’ogni tempo, con tu tti, et so, che, nel principio ch’io gli andai nelle mani, ‘havea, lì in S. Girolamo, molti di quelli preti, che gli erano contrarii, et cercavano di perturbare la sua quiete et suo modo di vivere. E t il detto beato padre ogni cosa sopportava con patientia, et cercava di vincere con la mansuetudine; talmente che, alla fine, molti di quelli che, nel prin­ cipio, gli erano contrarii, poi li devenivano favorevoli et amicissimi et di questi io ne potria nominare m olti, ma, per buon rispetto, nominarò solo un certo m.s Vincenzo Teccosi medico. Quale io intesi, a ll’ hora, da diversi, che era stato, per prima, molto contrario al beato Filippo, et haveva cercato, in diversi modi, farlo partire dalle stanze di S. G e­ rolamo, et lui era uno de deputati della detta Compagnia della Charità. Poi, alla fine, vinto dalla patientia, mansuetudine et santità della vita di detto beato Filippo, riconobbe Terror suo, si humiliò, gli chiese perdono, et gli diventò tanto stretto amico, che, spessisimo, andava a visitarlo, quando s’ infermava, lo medicava, lo presentava spesso, lo lodava, et riveriva come un santo, et, alla morte sua, gli lasciò un horologio che valeva cinquanta scudi: 1661 qual horologio io l’ho veduto più volte, e so, che, doppo la morte del beato padre, l ’ hebbe la bona memoria del s.r card. Tarugi. E t moltissime altre persecutioni hebbe il detto beato Filippo, da diverse persone et in diversi tempi, quale tutte sopportò patientissimamente, nè mai parlava, o mostrava segno alcuno contro li suoi persecutori. Era anco patientissimo nelle sue infermità, nelle quali mi son trovato, molte volte, perchè il detto beato padre stavamale quasi ogn’anno, et havea infermità longhe et gravi, che duravano, molte volte, due mesi, et io andavo, per ordinario, ogni giorno a visi­ tarlo, et molte [f. 670] volte, due volte il giorno, et mi trattenevo longo tempo, in camera sua, et osservavo et mi stupivo della sua patienza. E t stava in letto, con febre ardentissime, et mai si sentiva, che si lam entasse: anzi, stava con volto allegro, et ragionava d’ogni altra cosa, eccetto del suo male ; et, se li medici non gli prohibivano et com­ mandavano espressamente, che non confessasse, voleva sempre confes­ sare li suoi figliuoli spirituali : et io mi sono confessato moltissime volte da lui, mentre era in letto, con la febre, et ho veduto che confessava

    1661 Vincenzo Teccosi morì nel marzo 1589, legando a F. « cento scudi, e altre robe »; di cui solo il pregevole orologio fu ritenuto da lui, assai amante di quegli strumenti (si vedano le note 479, 709 e 209). A proposito di questo orologio, un mordace detrattore della sincerità storica del Gallonio e del Bacci, Niccolò B andiera, nella sua opera, pubblicata sotto nome accademico: Trattato degli studj delle donne, in due parti diviso, opera d’un A ccademico I ntronato ... In Venezia, appresso Francesco Pitteri, 1746, pt. prima, p. 274, e parte seconda, p. 252, accusa i due biografi di avere raccontato tutto l’episodio di questa eredità con intenzionale imprecisione e reticenza.

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    346

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo. fiE. 670-671

    ancor gli altri. E t erano semper tali le sue parole, li suoi fa tti et gesti, che pareva, che fosse superiore ad ogni sorte d’ infermità, de dolori, de tribulationi, de persecutioni, et della morte istessa. E t questo lo so, perchè sempre lo vedevo allegro, non si lamentava di cosa alcuna, si rideva d’ ogni cosa della terra, et essortava tu tti a fare il medemo, et a rimettersi, in tutte le cose, in tutto e per tutto, in D io. Io so, che era mansuetissimo, et, in tanti anni, che io l’ho conosciuto, et pratticato intrinsicamente con lu i, mai l ’ ho veduto, nè meno ho sentito dire, che sia andato in collera. E t se, alle volte, per utilità di alcuno de suoi figlioli spirituali, et per fare qualche correttione, mostrava il volto alquanto severo, subito si voltava ad alcun altro delli suoi, et gli diceva : « che te ne pare? non pare che io sia in collera? » et, se voleva com­ mandare cosa alcuna, non usava parole d’ imperio, ma, più tosto, de prieghi. E t sempre, tanto gli amici, quanto quelli che non haveva mai conosciuti gli riceveva et gli accarezzava talmente, che, subito diven­ tava padrone delli cuori de tu tti. E t era tanto compassionevole, che non poteva patire di vedere fare nocumento manco alli animali b ru ti: et di tutte le sudette cose, ne è stato et è publica voce et fam a, et sono state cose publiche et notorie. 48. D e virgin ali ca stita te. Io so, che il beato Filippo, in tutto il tempo che io l’ ho conosciuto, è stato tanto amatore della purità et castità, che mai ho Veduto, nè sentito dire cosa alcuna in contrario ; et, non solo nel tempo, che l ’ ho conosciuto, ma anco per prima, so, ch’è stato communemente tenuto et reputato per vergine, et per tale io sempre l ’ ho tenuto. E t so, che, mentre il detto beato padre stava in S. Gerolamo, non solo non conver­ sava con donne, ma, anco, fuggiva di confessarle et ne confessava po­ chissime, et le mandava da un padre, chiamato m .s Pietro d ’ Arezzo.1662 E t ho ammirato, più volte, la purità di detto beato Filippo, in vedere, che tanto gli era a toccare una donna nel volto, come un sasso. E t ho sentito dire, più volte, in diversi tempi, che il medemo beato padre havea detto, a diversi, [f. 671] che in questo non imparassero da lui, perchè il Signore gli haveva concesso gratia, che tanto gli era il toccare una donna, o un giovane, come il toccare un legno, overo un sasso. Era tale la purità del beato Filippo, che se gli conosceva anco nel volto e ne gli occhi, che gli haveva come d’ un giovanetto ; et nel volto si vedeva una chiarezza, come anco nelli occhi, che niun pittore l ’ ha saputa ritrarre, ancorché m olti v’ habbino provato. E ra tale la sua purità, che anco ho sentito, che la communicava et impetrava a lli altri. E t, in particolare, mi ricordo, che il s.r Marcello Yitellesco, mio nepote, havendo tentatione di pigliar moglie, che poteva havere a ll’hora da sedici anni, il beato Filippo me lo riferì a me, et, per mostrargli di dargli la moglie, mi ordinò, che la trovassi, e, di questo modo, in tre o quattro mesi, il beato padre non solo li fece passare la tentatione, ma si risolse a farsi prete. H o sentito dire, più volte, da diverse persone et in diversi tempi et occasione, che il detto beato padre haveva gratia,

    1662 Francesco Marsuppini, ricordato nella nota 401.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fi. 671-672

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    dal Signore, di sentire la puzza del peccato di carne, et di sentire l ’ odore della purità, et, a m olti, essendo in tal peccato, gli ha d etto: « Tu mi puzzi », senza che loro gli dicessero cosa alcuna ; et, di questo, ne è stato et è publica voce et fam a, fino nei principii, che lo cominciai a conoscere. E t , niolte volte, essendo io in compagnia di detto beato Filippo, ho osservato, che, passando qualche donna, quali, poi, io sapevo, ch’ erano di cattiva vita, vedevo, che lui si voltava, si metteva la mano a l naso, et faceva alcuni gesti, come fa uno, che sente qualche gran cat­ tivo odore ; et io non sentivo niun cattivo odore, et bisognava, che il beato padre facesse quelli segni, perchè sentisse la puzza del peccato. 10 so, che il detto beato padre era tanto puro, che non poteva patire d ’ esser veduto, in alcuna parte del suo corpo, nudo. E t io l ’ ho osser­ vato, per molti anni, che, quando stava in letto infermo, mai non sco­ priva le gambe, nè apriva il petto, ancorché stesse in grandissimo calore della feb re; et io mai l ’ ho veduto nudo, se non nel braccio, dove si medicava il rottorio. E t , mentre detto beato Filippo stava male (il che era quasi ogn’anno, et l’ infermità sue erano di due o tre mesi, alcune volte) in questo tempo, io osservavo, che mai si vedeva, che stesse sco­ perto, nè con le gambe, nè in altro modo, che sogliono star li infermi. Anzi, m ’ era stato detto, che, per la sua gran purità, non poteva nè anco comportare, che lo spetiale, nè altri di casa, gli facesse li servi­ tiali, ma da se stesso, quando il medico lo commandava, se gli faceva, facendo prima serrare la camera, et restando solo. E t perchè questo mi pareva duro il crederlo, me ne volsi informare da m .s Alessandro [f. 672] Allum inati, quale è morto, et era spetiale della Congregatione, et assisteva, di giorno et di notte, nell’ infermità di detto beato Filippo. Quale m .s Alessandro mi disse et confermò, che mai, in m olt’ anni, che era stato appresso il detto beato Filippo, nè lui nè altri, nè anco in tempo d ’infermità, gli havevano fatto alcun servitiale, ma, sempre, se gli faceva da se stesso, essendo solo et serrato in camera. E t, questo, per non esser veduto nudo, per la sua gran purità, quale sempre con­ servò, in tutta la sua vita, nelle parole, gesti et attioni. E t, anco, mi fu riferito, da più persone, nelli primi tempi che il beato Filippo morì, che si coprì, doppo morte, con le proprie mani, mentre li padri lavavano 11 suo corpo morto, et, anco, mentre fu aperto, in chiesa, in presenza di molte persone. E t intesi, che questa attione fu tenuta, a ll’ hora, per miracolo, tale, che il s.r Angelo Vittorio, medico, quale si trovò presente a detta apertura, gridò : « vedete purità d ’ huomo, che, anco doppo morte, ce n ’ ha voluto dar segno ». E t, di tutte queste cose, n ’ è stata et è publica voce et fama.

    49. De diligentia et perseverantia. Io ho osservata, nel beato Filippo, in tutto il tempo che l ’ ho cono­ sciuto, una diligenza grandissima et perseveranza in tutte le opere buone, et mai l ’ho veduto, nè inteso, che sii partito di Rom a, da che si partì, giovenetto, da Firenze, sua patria, nè per tornare alla patria, nè per andare in alcun luogo di ricreatione ; et il più lontano viaggio fu l ’andare alle Sette Chiese, et sempre stette in Roma, giorno et notte affatigando per honore di Dio et utilità del prossimo. E t sempre per­ severò in questa santa vita, fino alla morte, che, sempre, spendeva tutto

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 672-674

    il tempo, secondo che io osservavo, o in far oratione, o celebrare la santa Messa, o dir l ’ Oflitio, o confessare, o raggionare di cose di D io. E t, quando usciva fuori di casa, sempre andava a visitare qualche chiesa,· o visitare qualche infermo, o qualche afflitto, o faceva altre opere simili di charità. Sempre conservò, fino alla morte, l ’austerità della vita, in mangiare et bere: et questo lo so, che, continovamente, andavo alla Vallicella, et vedevo et parlavo , con quelli, che, giorno et notte, l ’assi­ stevano ; et so, che m olti medici hanno giurato, che fosse miracolo, che si potesse mantenere, con tanto poco cibo, come faceva. E t , sempre, dava per documento, alli suoi figlioli spirituali, con dire, che non era gran cosa cominciare a caminare nella via spirituale, ma che l’ impor­ tanza stava in perseverare, et che bisognava guardarsi dalli defletti pic­ coli, poiché, altrimente, come si comincia a dare adietro, facilissimametìte, si va in ruina ; et di tutte queste cose ne è stata et è publica voce et fam a. [f. 673] 51. Andando, un giorno, il beato Filippo, circa l ’anno 1588, se ben mi ricordo, alle Sette Chiese, con il s.r Tiberio A stalli, s.r Patritio Patritii, il p. m .s Giovanni Francesco Bordini, che fu vescovo di Cavaglione et poi arcivescovo di Avignone, il s.r Marcello Vitelleschi, canonico di S. Maria Maggiore, il s.r Francesco della M olara, il p. A n ­ tonio Gallonio et altri, che non mi ricordo, essendo andati a S. Pietro et a S. Paolo, cominciò a piovere et andamo a pranzo ad una vigna del Sergardi, quale stava per la strada di S. Sebastiano, et, doppo pranzo, volse il beato Filippo, che, per la pioggia grande, che veniva, tornassimo indietro, senza finire il viaggio delle Sette Chiese. ...

    [Quanto segue si omette, perchè corrisponde, quasi in tutto, alla lettera, al racconto che ne ha già fatto lo stesso Fabrizio Massimo [47], il 13 settembre 1595; cf. vol. I , pagg. 200-201]. N ell’anno 1588 in circa, andavamo alle Sette Chiese, il beato Filippo, il s.r Ottavio Paravicino, hora cardinale, il p. Germanico, il p. Antonio Gallonio, il s.r Marcello Vitellesco, il s.r Pietro Vittrice et altri, et andammo a mangiare alla Cafarella. ...

    [Quanto segue si omette, perchè corrisponde, quasi in tutto, alla lettera, al racconto fattone dallo stesso Fabrizio Massimo [47], il 13 settembre 1595; cf. vol. I , pagg. 201-202]. E t tutti tenemmo, a ll’ hora, come, anco, havemo tenuto doppo, che fossero miracoli evidentissimi, et io l ’ ho raccontati moltissime volte, et, in particolare, quando sono andato alle Sette Chiese et sono passato da detti luoghi. Otto o dieci anni, incirca, avanti che il beato Filippo morisse, essendo ammalati due miei figliuoli gravemente, uno Pietro, l’ altro Paolo, in luogo di Paolo già morto, et il beato Filippo veniva di continuo a vederli, essendo già li 27 di luglio, con pericolo di tutta la fam iglia, per esser solito d ’andar in montagna, a un mio castello Arsoli ; nè li medici (dei quali uno era m .s Angelo V ittorio, un altro, di casa, che non mi ricordo il nome) 1663 non volevano che si menassero li am malati, che

    1663 Questo secondo medico non pare identificabile. Angelo Vittori, nelle sue deposizioni (per le quali si veda la nota 437) omette di narrare il fatto.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 674-676

    349

    stavano con febre continna di dieci giorni in circa, ritrovandosi [f. 675] il beato padre insieme con li detti medici, un giorno, li disse, che era necessario, che ci partissimo da Roma, per il pericolo della mutatione dell’aria, dove li medici furno di contrario parere. E t questo 10 so, perchè io mi trovai presente, quando li detti medici dissero, al beato Filippo, che li am m alati non si movessero, che erano pericolosi, per esser entrati nella canicola, et aggravati nel m a le; et si protestò 11 s.r Angelo, con dirmi, che li menavo a morire. Con tutto ciò, il beato padre mi commandò, che si trovassero le lettiche, et si andasse, il dì seguente, con tutta la fam iglia et li ammalati, al detto mio castello A rso li, lontano da Roma ventotto miglia, dove ero solito, in quelli tempi, andarci ogn’anno, nel principio di giugno, o nel fine di maggio. E t io feci l’ obedienza del beato Filippo, contro il parere de medici, et feci trovare due lettighe, et alcuni cavalli di casa, et, presa la benedittione del detto beato padre, confidato nella sua parola, mi partii di Rom a, il giorno sequente, insieme con la mia moglie et tutti dui li detti miei figliuoli infermi, de quali Pietro haveva da dodici anni et Paolo haveva cinque anni in circa. E t, la notte, che havevamo da partire la mattina, cessò la febre a tutti dui li miei figliuoli, et non hebbero più febre, et, per la strada, non hebbero mal nissuno, e Pietro, essendo stato messo nella lettica, quando arrivammo a Ponte M am ­ m olo,1664 quattro miglia lontano da Roma, disse che gli faceva male, e montò a cavallo, e non hebbe più male, nè lui nè l ’altro, essendo stati male da quindici o venti giorni, che il piccolo non pigliava se non con­ sum m ato, et il grande malvolentieri pigliava anche lui. E questo l ’ ho tenuto e tengo per miracolo del beato Filippo, perchè non fu adoperato, nè da me, nè da altri, medicina o remedio alcuno humano, nè d ’ herbe, nè di parole, nè altra cosa ; et li medici, come ho detto, erano di con­ trario parere di quello del beato Filippo, essendosi protestati della morte, come ho detto. E t io mi confidai più nella parola del detto beato padre, che nel dire delli medici. E t, come ho detto, li detti figliuoli Pietro et Paolo, nè per strada, nè quando fummo arrivati ad Arsoli, heb­ bero altro male, et furno sani affatto. Quando io havevo alcuno travaglio di mente, ... perchè mi bastava d i star l ì : et queste sono state cose publiche et n’è stata et è publica voce et fama. [C f. vol. I , pag. 204, alla deposizion e [47] di F abrizio M a ssim o del 1 3 se ttem b re 1 5 9 5 }.

    [f. 676] Stando in Arsoli, mia terra, l ’anno 1595, una giovane, quale si chiamava Francesca da T iv oli,1665 et s’ era confessata, m olt’anni prima, dal beato Filippo, quale stava aggravata assai di febre continua di molti giorni, alla quale furno fa tti molti remedii da un medico,

    1664 La via Tiburtina attraversa 1’Aniene, appunto al quarto miglio (6° chilo­ metro) con questo ponte antico romano, anonimo ; la denominazione che ora porta si crede corruzione medievale del nome della madre di Severo Alessandro, Giulia Mammea; questo imperatore probabilmente lo restaurò, Giuseppe T omassetti, Della campagna romana: Vìa Tiburtina, in Archivio della Società romana di storia patria, XXX, 1907, p. 352. 1665 Francesca di Antonio, moglie di Giovanni Battista Rosati; la quale depose il 21 ott. 1596 (X X I, extra Urbem).

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 676-677

    detto m .s Mauritio Misserio, che sta a Subiaco (et gli haveva fatto dare con la lancetta, per cavar sangue, più volte, e sempre usciva marcia : dove che il detto medico la teneva per spedita) andando io a vederla, la sera, trovai, che tutte le sue genti, cioè il marito, che si chiama Rosato, et li figliuoli et figliuole, piangevano. ...

    [Il seguito del racconto corrisponde quasi alla lettera a quanto Pa­ trizio Massimo ha deposto [47] il 13 settembre 1595; c f. vol. I , pag. 2 0 4 ]. M i sono intervenuti m olti pericoli, de quali ne sono uscito, per essermi raccommandato al beato Filippo. E t in tutte le mie cose mi son raccommandato a lui, e, quando ho fatto il parere del padre, mentre viveva, in tutte le cose, mi son trovato bene, et, partitomi dal parere suo, come ho detto, mi è intervenuto male. Essendo io andato, del mese di settembre, Fanno 1595 (nel quale anno, alli 26 di maggio, era morto il beato padre) a M ilano, con un mio figliuolo unico maschio, chiamato Pietro, quale hoggi, per gratia di D io, è vivo et sano, arrivati che fummo a M ilano, il detto inio figliuolo si ammalò di febre terzana doppia continova, et andò sempre peggiorando talmente, che, al vigesimo giorno dell’ infermità, un medico di Milano et un altro, il quale io feci venire da Pavia, de’ quali non mi ricordo il nome, lo diffidorno, dicendo, che se la gioventù non li giovava et l ’aggiutava, loro non sapevano che altro farci, perchè lo trovavano con polso cattivo, et che sudava sudor freddo, et che faceva l ’orine brut­ tissime. Con tutto ciò, l ’infermità andò seguitando per spatio di sessantasei giorni, sempre con febre continova, che mai si nettò, che, finita una, entrava l’ altra, sempre a freddo grande, che gli durava per spatio di due hore, per ordinario, et lo sbatteva tutto, et ognuno si maravigliava che potesse resistere tanto. E t venne in termine, che li detti medici l’ havevano per derelitto affatto, [f. 677] et che non potesse campare in modo alcuno. E t, vedendo io ch’ era spedito, et non v’ era più speranza della vita di detto mio figliuolo, e che non si pen­ sava ad altro, se non a farlo sepellire, et io già havevo dato li denari, cioè venti ducatoni, per far tutto quello che bisognava per la sua sepul­ tura, et havevo di già fatto invalisciare le mie robbe, et ero risoluto partirmi il giorno sequente verso Roma, et havevo, anco, lasciato ordine et denari al s.r conte Erm es Pietra, coppiero del s.r card. Borromeo, et, anco, ad un servitore, chiamato Francesco Ugolino, marchegiano, acciò facessero tutto quello che bisognava, intorno al detto mio figliuolo, quale stava in tali termini, che li detti medici pensavano che morisse quella notte. E t, avanti che il detto mio figliuolo Pietro venisse in questi termini di morte, m ’haveva detto il detto s.r card. Borromeo, che mi voleva mandare una pezza di stomaco, quale era stata del beato Filippo Neri, acciò la mettessimo adosso a detto mio figliuolo ; ma, poi, non la mandò, dicendomi che non l ’ haveva trovata, et io non mi ricordai, nè pensai a fare voto alcuno al beato Filippo, per la sanità di detto mio figliuolo. Intanto, aggravando tuttavia il male, venne in termine che ho detto, che s’aspettava, da tu tti, che la notte si morisse, et io mi volevo partire, la matina seguente, per Roma. Quella medema sera, il s.r conte Ermes Pietra, vedendo il mio figliuolo in quelli termini, andò in camera sua, a pigliare un quadro con il ritratto del beato Filippo ad olio, quale se l’ era portato da Roma, et l ’attaccò al padiglione, d’ incontro a detto

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 677-678

    351

    mio figliuolo. E t io, voltatomi al mio figliuolo, gli dissi : « Ecco qua il padre : raccomandati a lui » et io, essendo inginocchione insieme con il detto s.r conte Erm es, il s.r T aru gi,1666 mastro di camera del detto s.r cardinale, et altri, della corte di detto s.r cardinale, che io non posi fantasia chi fossero, et, stando tutti in ginocchione, raccomandas­ simo al beato Filippo detto mio figliuolo, nelli termini che stava. E t osservavo, che il detto Pietro guardava il beato Filippo e, con cenni, come posseva, si raccomandava al beato padre ancor lui. E t io, in particolare, mi voltai al beato Filippo, con dirgli di tutto cuore, et con quanto affetto potevo : « O Padre, eccomi qua : io ho fatto l’ obedienza vostra, son venuto qua, in M ilano, perchè me lo commandaste v o i; eccomi, hora, che mi trovo nelli termini che mi vedete: fate v o i » , et, con simili parole, m ’andavo querelando con detto beato Filippo. E t, doppo che io hebbi dette queste parole, io mi sentii interiormente quieto et consolato, et mi pareva, che il beato Filippo dicesse: « n o n dubitare, [f. 678] non d u b ita re». E t, fatto questo, si vedde subito il miracolo evidentissimo del beato Filippo, perchè quella notte, nella quale tutti aspettavano, che il detto Pietro morisse, megliorò talmente, che tutta la notte riposò benissimo, che, per prima, per molte notti avanti, non haveva mai possuto dormire, perchè il paracismo della febre li veniva sempre la sera, et, fra il freddo et il caldo, li impediva il sonno di tutta la notte. E t, quella notte, che fu posto il ritratto, et raccomandato al beato Filippo, il detto Pietro riposò bene, et, la mattina, venendo li medici, lo trovorno talmente megliorato et fuor di pericolo, non solo di morte, ma anco d ’infermità, çhe restorno ammiratissimi. E , domandando loro come era passata la cosa, gli mostrammo il quadro del beato Filippo, con dirgli che lui l ’ haveva guarito, et detti medici restorno ammiratissimi, et confessorno, ch’ era miracolo. E t la verità è, che al detto mio figliuolo non gli tornò più febbre, nè accidente; et, dicendo li medici, che, almeno, gli saria restata una terzana semplice, non gli tornò più, nè terzana, nè altra febre, ma lo facemmo trattenere dui giorni in letto, per la debolezza del longo male passato, ma, però, sempre senza febre, nè altro male ; et, il terzo giorno, si levò di letto, contro l’ opinione di detti medici, et di tutti quelli, che l’ havevano veduto nell’infermità. E t il s.r card.

    1666 Bernardino di Giulio Tarugi, di Montepulciano, primo cugino dei card. Francesco Maria, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, cit., dispensa 50, « Tarugi di Montepulciano », p. 11 ; familiare di s. Carlo Borromeo, nel 1575, e suo maestro di camera, ne ebbe vari incarichi di missioni e visite. Scrisse una relazione della morte del santo arcivescovo al conte Federico Bor­ romeo, in data 8 nov. 1584; stampata in Roma, come si asserisce, l’ anno succes­ sivo, G iu ss a n i , De vita et rebus gestis sancti Caroli Borromei, cit., col. 78 n. (b), 131 n. (b), 259 n. (a), 753 n (c), 802 n. (a ); San Carlo Borromeo nel terzo cente­ nario della canonizzazione, MDCX-MCMX. Milano, 1908-10, pp. 339, 345, 346, 349, 350, 525; Humilitas. Miscellanea storica dei seminari milanesi. Milano 1928-32, pp. 701-02. Passò poi a servire, con le stesse mansioni, Tarciveseovo card. Fede­ rico Borromeo, presso il quale morì nel 1605, R ivola , Vita di Federico Borromeo, cit., p. 131 ; A dalgisa R ossi , F. M. Tarugi cardinale d’Avignone e la sua opera di pace nei ducati parmense e mantovano, cit., p. 38. Un profilo biografico di Bernardino pubblicò il card. A lfredo I ldefonso S chuster , nel giornale L’Italia, di Milano, 17 luglio 1938.

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    352

    30 settembre 1609. [274] Fabïizio Massimo, ff. 678-679

    Borromeo, venendolo a vedere guarito, in quelli dui giorni, che si trat­ tenne in letto, n’ hebbe grandissima allegrezza, et ringratiò il beato Filippo della gratia fattam i, perchè, per prima, gli doleva assai, perchè sua signoria illustrissima era stata causa, che io ero andato in Milano con detto mio figliuolo, et me l ’ haveva fatto commandare dal beato Filippo, il medemo anno, avanti lui morisse, et io gli promisi, che saria andato a settembre, come feci.1667 E t questo fu miracolo evidente, perchè, doppo sessantasei giorni di febre continova, come ho detto, subbito posto il quadro et raccomandato al beato Filippo, non gli tornò più febre di sorte alcuna, nè altro male, et il terzo giorno si levò di letto ; et, poi, andammo vedendo M ilano, stando lui sempre sano et benissimo, et il giorno, poi, doppo l ’ Epifania, ci mettemmo in viaggio verso Roma, a cavallo, et, avanti che venissimo a Roma, andassimo a Pavia, Mantova, Ferrara, Venetia, Bologna, Firenze et altri luoghi, et era, come ho detto, del mese di gennaro et febraro, con pioggie grandissime, strade pessime, et moltissimi passi di fiumi, et, con tutto ciò, il detto Pietro, per strada, volse correre la posta, et non hebbe mai più febre, nè male alcuno, et tornò in Roma con miglior ciera, che quando si partì di Roma, et non si poteva dare ad intendere alla gente, che fusse stato male. E t a questo miracolo non v’ intervenne rimedio alcuno humano, nè d ’ herbe, nè di parole, nè untioni, nè meno furno poste sopra detto mio figliuolo reliquie di sorte alcuna, ma solo portato il quadro del beato Filippo et raccommandato a lui, come ho detto di sopra : et questo è stata et è la verità. [f. 679] 58. N ell’anno 1583, alli 16 di marzo, un mio figliuolo Paolo (che fu il primo figliuolo maschio, che io hebbi dall’altra moglie, quale si chiamava Lavinia de Rustici, et è morta l’anno 1575) qual figliuolo era di quattordici anni et stava male assai et era stato male, sessantun giorni in circa, di febre continova et catarro : et il beato Filippo veniva, ogni giorno, a vederlo ; et questo figliuolo s’ era, da piccolo, sempre confessato dal detto beato Filippo. E t, aggravandosi tuttavia il male del detto figliuolo, mi disse il detto beato padre, che lo mandassi a chiamare, quando era per spirare, perchè se ci voleva ritrovare. E t, essendo, al fine, « in extremis », fu mandato a chiamare, da un servitore di casa, il detto beato padre, quale trovò che diceva Messa, et non potè venire così subito. In quel mentre, il detto figliuolo Paolo morse, et io gli serrai gli occhi. E t, di lì ad una mezza hora, venendo il beato Filippo, mi fu referto che veniva, et io andai incontro a detto beato padre in capo alla scala, et, subito vistolo, li d issi: « Padre, è morto ». A ll’ hora il beato Filippo mi replicò : « et perchè non m ’ havete mandato a chiamar più presto? » ; et io dissi, che l ’havevo mandato a chiamare, ma che il servitore haveva trovato, che sua reverenza diceva Messa, et, in questo tempo, il detto Paolo morse. Con tutto ciò, il detto beato padre volse venire nella camera, nella quale stava il detto mio figliuolo morto, et, arrivato, mise una sua mano alla fronte del detto mio figliuolo, quale stava nel letto, morto, che lo volevano vestire, che era già morto. E t

    i 1667 Non risulta, e pare difficile conoscere la ragione per la quale il card. Fe­ derico Borromeo abbia ottenuto, con i buoni uffici di F ., che Fabrizio Massimo si recasse a Milano, nel settembre 1595. \

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 679-680

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    quando il beato padre mise la mano su la fronte al detto mio figliuolo, quale, come ho detto, stava morto, nel letto, il detto beato padre pal­ pitava, nel modo che soleva far sempre, quando faceva oratione; et, havendo fatto oratione, sopra il detto figliuolo morto, circa mezzo quarto d’ hora, prese dell’acqua santa, da un vaso d ’ottone (quale haveva lasciato il parochiano, che gli haveva raccomandata l ’anima et s ’ era partito, et lasciatolo morto ; et, molti giorni prima, gli haveva dato, li medemo parochiano, l ’ Olio Santo) et, con detta aqua santa, gli sbruffò nel viso, et, nel medemo tempo, lo chiamò per nome due volte : « Paolo, Paolo ». E t, subito detto che hebbe il beato Filippo queste parole, con voce alta et sonora: « Paolo, Paolo », il detto Paolo, come si svegliasse da un sonno, aprì gli occhi et rispose: « 0 Padre ». E t il beato padre, doppo la risposta del detto Paolo, raggionò con lui più d’ un quarto d’ hora. E t il raggionamento era, che il beato padre diceva al detto mio figliuolo, se moriva volentieri, et se voleva andare a trovare sua madre et sua sorella (che era morta pochi giorni inanti : che morse il dì di s. Sebastiano, il medesimo anno ; et il detto Paolo, di marzo) et il detto Paolo, mio figliuolo, rispondeva di sì, che moria volentieri, et che andava volentieri a veder sua sorella et sua madre già morte, et altri ragionamenti sopra la morte. E t, come ho detto, subito che il mio figliuolo [f. 680] risuscitò, nel modo detto di sopra, domandò l ’ori­ nale, et, da se stesso, con le sue proprie mani, lo pigliò (quale glielo porse una serva di casa, chiamata Francesca da Tivoli) et orinò ; et il detto Paolo, doppo haver orinato, restituì l’ orinale alla detta serva, et disse, con vocevsonora, che pareva non fosse stato male : « Io mi son bagnato ». E t io viddi l ’ orinale con l ’orina, et io mi stupivo, in vedere, che il detto Paolo, in ciera, pareva che fosse guarito affatto, et parlava con voce franca et sonora. E t, doppo haver raggionato con il beato F i­ lippo, con gli occhi aperti, volto chiaro et voce sonora, et doppo haver orinato, come ho detto, disse il beato Filippo al detto Paolo, se era morto volentieri. E t il detto Paolo, in mia presentia, che lo sentii, rispose che era morto volentieri, et che voleva andare a vedere la madre et la sorella in Paradiso. E t la sorella si chiamava Elena, et era morta, monaca professa nel monasterio di Torre de Specchi, alli 20 di gennaro ; et la madre sua et mia moglie era morta otto anni prima et era stata donna di grand’ oratione, che il beato Filippo m’ haveva detto, più volte, che l ’ haveva veduta tre volte in estasi ; et, fra l ’altre, mi ricordo, che mi disse, che l ’ haveva veduta in estasi, nella chiesa della Madonna del­ l ’ O rso.1668 E t, doppo havere il detto Paolo detto al beato Filippo, che era morto et moriva volentieri, et che voleva andare a vedere sua madre et sua sorella in Paradiso, morti per prima, a ll’hora il beato Filippo, in

    1668 Maria « de Posterula », piccola chiesa sulla riva del fiume, quasi fronteggiante l’albergo dell’O rso; si trova ricordata nel 1205 e 1222, da due documenti papali; e fu abbattuta per la costruzione del Lungotevere, al princi­ pio di questo secolo. Nel xvi e successivo, portò il nome di S. Maria « de Urso » o a ll’Orso, H uelsew, pp. 360-61, e A rmellini-Cecchelli, pp. 423-24. Nel 1573, un’immagine della Madonna, che stava prima verso la strada, « sopra la porta del Rettore », era stata posta in chiesa, sull’ altare maggiore, per miracoli a essa attribuiti, P anciroli, I tesori nascosti nell’alma città di Roma, pp. 545-46, e A lveri, Della Roma in ogni stato, parte seconda, cit., pp. 91-92. 23

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 680-681

    mia presenza, gli diede la sua benedittione, et, tenendo il detto beato padre la mano sua sopra la fronte di detto Paolo, gli disse, che io sentii : « V a ’ , che sii benedetto et prega Dio per me ». E t, detto ch’ hebbe il beato Filippo queste parole, il detto Paolo, con volto placido, senza far gesto alcuno, nelle mani di esso beato padre, in mia presenza (subito che hebbe il beato Filippo dette quelle parole, dette di sopra, che io sentii, cioè: « V a ’ , che sii benédetto, prega Dio per me ») subito ritornò di novo a morire, come era prima, avanti che venisse esso beato Filippo. E t a tutto il fatto io mi trovai presente, et osservai minutissimamente tutte le attioni, che fece esso beato Filippo, tanto avanti resuscitasse detto mio figliuolo Paolo, già morto, quanto, anco, mentre parlava con lui resuscitato, et quanto fece dopo che tornò a morire. E t ci era anco la mia moglie s.ra Violante Santa Croce, Francesca da Tivoli, quale haveva preso li panni per vestirlo morto (et il parochiano, quale si chiamava m .s Camillo, vicario perpetuo di S. Pantaleo, s’ era già par­ tito, che gli haveva raccommandata l’ anima) ; vi erano ancora alcuni miei servitori di casa, quali erano Giovanni Piacentino, il mastro del putto, che non mi ricordo del nome ; delli altri non mi ricordo il nome, quali tu tti sono morti. I l medico, che medicava il mio figliuolo era m.ro Alessandro da Civita, [f. 681] quale è morto, m olt’anni sono. E t quando successe questo fatto, che ho detto, io habitavo in una mia casa, attaccata a S. Pantaleo, qui in Parione. E t questo io lo tenni a ll’ hora, et l’ ho tenuto sempre, per miracolo evidentissimo del beato Filippo, et per morto resuscitato. E t lo raccontai, a ll’ hora, a molte et molte persone, et, poi, in diversi tempi et diverse occasioni, l ’ ho rac­ contato infinite volte : et molti lo credevano et molti non lo credevano. Doppo che il detto Paolo ritornò di novo a morire, nelle braccia del beato Filippo, esso beato padre si partì, et la detta Francesca lo vestì ; et, mentre esso figliuolo stava ancora nel letto, vestito, morto, arrivò, nella medema camera, che v’ era io presente, il p. Francesco B en ci1669 della Compagnia del Giesù, quale è morto, et io gli raccontai tutto il fatto, nel medemo modo, che io ho detto di sopra : et lui restò ammirato, et haveva, per primo anco, gran credito ad esso beato padre, et credeva queste et anco cose maggiori di esso beato padre. E t noi tutti di casa, era tanta la fede, che havevamo, della santità d ’ esso beato Filippo, et l’ havevamo, anco, provata in altre occasioni, che non ci pareva cosa nova. E t voglio, anco, aggiungere a quello che ho detto di sopra, che, quando arrivò il beato Filippo, dove era il mio figliuolo Paolo morto, trovò, che la detta Francesca haveva di già preso le calze, per vestirlo, 1669 Francesco (Plauto, prima di entrare in religione) Benci, di Acquapen­ dente (1542-1594), ammesso tra i gesuiti nel 1570, umanista, scrittore e poeta latino; fu professore di retorica in vari luoghi, e soprattutto a Roma, dove morì, E. L amalle, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, t. 7.ème (Paris, 1934), col. 1047 ; D e B acker-Sommebvogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, cit., t. I. Bruxelles-Paris, 1890, col. 1285-92; V illoslada, Storia del Col­ legio Romano, cit., pp. 68, 116, 159-60, 335. Si trova a lui dedicato il poemetto « I uvenalis A ncinae Fossanensis Congregationis Oratorii Presbyteri Neapolitana Rusticatio, pridie kal. Augusti 1592. Ad rev. p. Franeiscum Bencium Societatis Iesu Sacerdotem eximium, poetamque clarissimum », manoscritto, come pare, conservato a Napoli; del quale pubblica alcuni versi A niceto F errante, Vita del venerabile Oiovenale Ancina, cit., pp. 98-100.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 681-682

    355

    et le calze erano berline, tirate, con li cosciali di velluto bertino,1070 et erano lì sopra il letto, che la detta Francesca serva lo voleva vestire a ll’ hora, et havea dette calze in mano, quando arrivò il beato Filippo, et fece tutto quello, che ho detto di sopra. M i ricordo, anco, che, poco avanti che il card. M onop oli*1671 morisse, mandò da me fra Belardino,1672 capuccino cercante, quale mi trovò, detto padre, alla predica nella chiesa di S . M aria in Yallicella, et mi disse, se era vero che il p. Phi­ lippo havea resuscitato un mio figliuolo. E t io li risposi : « come, s’ è vero? è l’ E vangelio: non son vivo io et anco altri, che vi son stati presenti? » ; et gli raccontai tutto il fatto, poi gli dissi : « se il signor cardinale vuole, che io venghi da sua signoria illustrissima, io gli racconterò tutto il fatto, minutamente » . Doppo quattro o cinque giorni, il medemo frate capuccino ritornò, et mi trovò nella strada del Pere­ grino, et mi disse, che il s.r cardinale mi credeva, nel miracolo del mio figliuolo, resuscitato dal p. Filippo, doppo che io gliene faceva così ampia fede, et che non occorreva, che io v’andasse di persona. E t quelli, a ’ quali io ho raccontato questo miracolo, molti lo credevano et molti non lo credevano ; ma la verità sta nel modo, che io ho detto di sopra. Nè si puoi dire, che, quando il mio figliuolo morse, come ho detto, fusse stato, quello, un accidente o svenimento, perchè, in tutto il tempo, che durò l ’infermità di febre continova et catarro, mai hebbe alcuna sorta di accidente [f. 682] o svenimento ; et, in quest’ ultimo, che morì, come ho detto, morì a poco a poco, in presenza del parochiano, che gli raccomandava l’anima, et mia, et delli altri sopranominati. E t, doppo che spirò, che io medemo gli serrai gli occhi, la mia moglie s.ra Violante Santa Croce, \quale anco è viva, et l ’altre donne, che erano presenti, si maravigliavano, et mi dissero : « come vi basta l ’animo, di serrar gli occhi a vostro figliuolo? » . E t il risuscitare fu in istante, alla voce del beato Filippo, et rispose, et guardava, et stava in colore, come se non havesse havuto male. E t a detto miracolo non v’intervenne rimedio, o medicina di sorte alcuna humana, nè di parole, nè d ’herbe, nè fomenti, nè odori over altra co sa; nemeno fu posto, sopra detto figliuolo morto, reliquie di sorte alcuna d’alcun santo, ma solo vi fu la presenza et le parole del beato Filippo, con l ’acqua santa, come ho detto.1673 1070 Bertino, accorciamento di berettino, berrettino, di colore bigio o cene­ rognolo, Vocabolario degli Accademici della Crusca, quinta impressione, alla voce Berettino. 1671 Anseimo Marzati, da Monopoli, entrò tra i cappuccini nel 1573; predi­ catore apostolico nel pontificato di Clemente V i l i , che lo creò cardinale il 9 giu. 1604 e gli assegnò il titolo di S. Pietro in Montorio; eletto arcivescovo di Chieti il 12 feb. 1607, morì il 17 ag. dell’ anno stesso, a Frascati, Lexicon Capuccinum, cit., col. 1066-67. 1672 Non sono state rintracciate notizie intorno a questo cercatore cappuccino. 1673 Varie relazioni del celebre miracolo sono già state indicate nella nota 560. Si rilevi l’estensione data da Fabrizio ài racconto, nella presente, in confronto alla prima breve deposizione del 13 sett. 1595, f. 167. Della risurrezione del figlio Paolo, egli parlò anche nelle deposizioni del 19 luglio, 24 luglio e 18 agosto 1610, appartenenti al terzo processo : di queste, l’ultima è la sola veramente importante, perchè in essa egli depose la circostanza che l’ adolescente, risuscitato, si confessò da F. A Fabrizio il fatto fu ricordato dalle figlie monache in S. Marta, che vi si erano trovate presenti, nella camera di Paolo; e gli oratoriani, saputo il fatto, avevano consigliato Fabrizio ad andare a deporre anche quella circostanza tanto notevole.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 682-683 82. D e opinione sa n ctita tis.

    Io so di certo, che, mentre il beato Filippo visse, fu sempre tenuto, communemente, da ogni sorte di persone, tanto huomini, come donne, tanto da prencipi, signori et nobili, quanto da ignobili, tanto da per­ sone laiche, come ecclesiastiche et religiose di diverse religioni, non solo in vita, ma anco dopo la sua morte, non solo in Roma, dove morì l ’anno 1595, et anco in Firenze, dove visse i primi anni della sua gioventù, fino a ll’età di diciotto anni incirca, ma ancora in tutti li luoghi, alli quali è arrivata la fama delle gran cose, che lui ha ope­ rato, e nelle quali vive la fede catholica, è stato communemente, publicamente, tenuto et nominato per persona ornata d’ ogni sorte di virtù, santo, et vero amico di D io. E t, molto più, è stato et è conosciuto hora, et sarà, anco, conosciuto per l ’avvenire, da quelli che hanno havuto et haveranno cognitione della sua santità. Et questo io lo so, di certa scienza, per haver praticato et conversato famigliarissimamente con detto santo padre, come ho detto di sopra, dall’anno 1563 fino alla sua morte. E t, essendo io stato, alcuni mesi, in Milano, in Venetia, in B o ­ logna, Firenze et altre città et luoghi d’ Italia, tanto mentre esso beato Filippo viveva, quanto anco doppo la morte sua, l ’ ho sentito sempre nominare, et ne ho parlato di lui, come di persona santa, et, anco, me n’ è stato parlato da moltissime persone insigni. E t, communemente et publicamente, fino nel principio, che io conobbi detto beato padre, era tenuto per santo, et per tale io sempre l ’ ho tenuto et tengo. Io so, di certa scienza, et ho veduto, moltissime volte, venire da detto beato Filippo, come da un oracolo, et come persona santa, diverse persone, quali venivano da lui, a conferire et dimandar parere di cose gravis­ sime, come [f. 683] da persona illuminata da Dio. E t il medemo ho veduto fare, moltissime volte, da molti et molti, di diverse religioni come di s. Domenico, s. Francesco, Theatini, Certosini et altri. E t, fra li molti altri, mi ricordo di liavervi veduto venire mons. Herculano,1674 quale fu religioso di s. Domenico, et poi fu fatto vescovo di Perugia, et era huomo di molte lettere et di santità di vita. E t il medemo faceva mastro Paolino, dell’ ordine di s. Domenico, et capo d ’ una riforma di detta religione, quale amava et riveriva molto il beato Filippo. I l medemo ho veduto fare da frat’ Angelo, quale era di s. Francesco, et stava in Aracoeli (non mi ricordo il cognome) quale era huomo, per quanto anco

    1674 Vincenzo Ercolani, perugino, nato nel 1517, prese l’abito domenicano nel convento di Fiesole, il 28 apr. 1538, e fu ordinato in Roma ; insegnò qui teologia (1547), e quale priore della Minerva (1559), salvò il convento dalla furia del popolò, nei tumulti che avvennero alla morte di Paolo IV. Provinciale romano il 22 apr. 1502, fu eletto vescovo di Sarno, il 14 die. 1569, da s. Pio V ; traslato a Imola, il 9 feb. 1573, al ritorno dalla legazione, nella quale aveva accompa­ gnato il card. Michele Bonelli in Francia, Spagna e Portogallo; e finalmente promosso, il 27 nov. 1579, alla sede di Perugia, dove morì, il 29 ott. 1586. Si menzionano dai biografi le sue relazioni personali con F ., che tra altro lo richiese di spiegare pubblicamente il salmo « Miserere mei, Deus », Masetti, Monumenta et antiquitates veteris disciplinae ordinis Praedicatorum, v. II, eit., pp. 58-63;

    Giovanni Battista V ermiglioli,

    opere loro,

    Biografia degli scrittori perugini e notizie delle

    t. I I , par. I. E-O. Perugia, tip. di F. Baduel, 1829, pp. 6-9; B ordetPonnelle, pp. 202-03 (vers, ital., 196-97).

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, f. 683

    357

    diceva il beato Filippo, di grandissimo spirito et oratione.1®75 Riveriva anco assai il beato Philippo il p. Marcellino, quale è morto con gran opinione di santità, fra Felice et fra Reniero capuccini,*1676 huomini santissimi, quali s’ inginocchiavano, baciavano le mani et riverivano il beato Filippo, con conferirgli le cose spirituali et pigliare pareri da lui. I l medemo faceva il beato Carlo Borromeo, col quale haveva tanta intrinseca fam iliarità, che ho inteso dire, che, più volte, il beato Filippo, vidde il volto del beato Carlo risplendente ; et ho veduto, molte volte, venire il detto beato Carlo dal beato Filippo, con molta riverenza et affetto. Il medemo ho veduto fare da donne di santa vita, come da mad.a Marta da Spoleti, da sor Antonia ceca, et da sor O rso la 1®77 (quale anco vive hoggi in Napoli, con grand’opinione di santità) quali riverivano il beato Filippo come santo. E t la beata Catherina de Ricci, da Prato, dell’ordine di s. Domenico, scriveva spesso al beato Filippo, con grandissima sommissione ; et io ho letto, molte volte, le sue lettere, et si raccomandava alle sue orationi, come ad un santo. E t, anco, ho conosciuto altri huomini, quali havevano opinione di santità, quali, tu tti, venivano dal beato Filippo, come da un oracolo, et si guidavano, nelle cose del spirito, secondo il suo parere : come ho veduto che faceva un certo M olinaro,1678 un Ferrarese, un Fornaro, un m.ro Stefano Calzolaro, quali tutti erano huomini di gran oratione, et morirono con opinione di santità. E t il medemo faceva Litterato,1679 quale è stato

    iG75 Un innominato frate di Aracoeli, serafico di spirito, è stato ricordato sopra, al f. 531 : non si sa dire se sia una stessa persona con questo frate Angelo. Autori tardi, citati nella nota 1349, danno tuttavia al primo il nome di Antonio. 1676 Raniero, o Rainiero, da Borgo San Sepolcro, prese, ventenne, nel 1531, l’ abito cappuccino, quale frate laico; visse in umili mansioni, santamente, e mori a Todi, il 25 ag. 1589. Le fonti della biografia sono indicate da Melchiob a P obladuha, O. F. M. Cap., Fragmenta biographica s. Felicis a Cantando et Ragnerii a Burgo 8. Sepulcri ex codice Duacensi 872 excerpta, in Collectanea francescana, X X I, 1951, pp. 362-65, 386-95 ; e cf. Lexicon Capucdnum, cit., col. 1448. Raniero dimorò soprattutto in conventi deH’ Umbria; ma, per quanto i bio­ grafi non ne facciano esplicita menzione (a esempio, P ossevino, Vite de santi et beati di Todi, cit., pp. 117-19), dovette venire a Roma, e starci qualche tempo, A l card. Giulio Antonio Sentori, come protettore dell’ordine e « patrone parti­ culare » di Raniero, indirizzò una lunga lettera sopra la sua morte B ernardino F alconio, canonico di Todi ; e « familiaris » a Raniero è detta la romana Virginia Savelli, che sentì una volta parlare di lui anche s. Caterina de’ Ricci, Z accaria Roveri, O. F. M., Cap., Annalium seu Sacrarum historiarum ordinis Minorum qui Capudni nuncupantur tomus secundus. Lugduni, sumpt. haered. Gab. Boissat et Laurentii Anisson, 1639, pp. 420-26. 167 7 Orsola Benincasa, ricordata nella nota S55; come le altre due, rispet­ tivamente, nelle note 1347 e 1263. 1678 Pietro molinaro, fiorentino, venuto a Roma nell’ anno santo 1575: si diceva che per il pianto fatto sopra i suoi peccati avesse perso la vista, poi restituitagli miracolosamente, f. 968; e B acci, 1. I, c. 10, n. 17. Francesco Maria detto il Ferrarese, Antonio fornaro e Stefano calzolaro sono stati già incontrati (note 446, 554 e 496). A questi pii artigiani amici di F. si può aggiungere un « cicoriaro », che deliziava l’ Oratorio circa il 1563, B ordet-P onnelle, p. 51 e n. 2 (vers, ital., 49 e n. 5) ; B acci, 1. II, c. 12, n. 5. 1679 Giovanni Leonardo di Ceruso, da Carisi (Salerno), detto popolarmente « Litterato », fu notissimo nella Roma contemporanea, e rimangono di lui e della sua opera caritatevole memorie numerose. Antico parafreniere d’un cardinale e « scopatore » del palazzo apostolico, prese a raccogliere fanciulli vagabondi, nel rigido inverno 1582, e li mise a scopare le strade. L ’ospizio principiò nel cortile

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 683-68-1

    autore dell’opera della charità, che si fa alli poveri putti, che andavano spersi per Roma ; et Theo di Siena, huomo di santa vita, et altri, quali tralascio. In somma, pare, che tutti li huomini insigni, così in santità, come in lettere, facessero capo da detto beato Filippo. E t, da molti delli suoi figliuoli spirituali, mentre anco il beato padre viveva, erano tenute le cose sue per devotione. E t non solo le persone basse riverivano il beato Filippo, come santo, ma, anco, molti papi, cardinali, vescovi et prelati. E t io, in particolare, mi ricordo, et ho veduto, che, per ordi­ nario, ogni giorno, andava alcun cardinale, a trovare il beato Filippo, nelle sue camere, così a S. Girolamo della Charità, come anco alla Y allicella, et consultavano, con lui, non solo cose di spirito, ma anco [f. 684] cose di lettere et cose temporali loro, et io, più volte, mi son trovato presente a detti discorsi. E t, in particolare, v’ ho veduto venire, più volte, il card. Ferrerio, il card. Sirleto,1680 Paleotto, Alessandrino, Carata,1681 Santa Severina, Salviati, Federico card. Borromeo, Cusano, Verona, Gonzaga,1682 Nicolò card. Sfondrato, Hippolito card. A ld o­ brandino, Alessandro card, di Firenze. Dei quali l ’ ultimi tre sono poi stati p ap i: il primo Gregorio X I I I I , il secondo Clemente Ottavo, et il terzo Leone X I ; quali, anco dopo essere stati papi, so di certo, che

    del palazzo Chigi in Banchi e trasmigrò in più luoghi prima di avere fabbricata una casa in piazza del Popolo, T aoohi-V entubi, La vita religiosa in Italia du­ rante la prima età della Compagnia di Oesù, pp. 387-88; e Orbaan, pp. 151-52 n. 1. L ’istitutore, che si era occupato anche di dare un asilo a « zitelle » sperdute, morì il 15 feb. 1595, a quarantaquattro anni, nel palazzo d ’abitazione di uno dei suoi protettori, il card. Federico Borromeo, a piazza Navona; e fu sepolto a S. Maria dell’Orazione e Morte, in via Giulia, con ampia iscrizione, F obcella, v . V i l i , p. 475, n. 1104 (nella chiesa stessa gli era stato celebrato solenne funerale, cod. Vat. lat. 7873, ff. 79 v-80). Per le relazioni con il Borromeo, che ne volle collocare il ritratto nella Biblioteca Ambrosiana, R ivola, Vita di Federico Borromeo, cit., pp. 141-43. F . e la congregazione dell’ Oratorio, sotto la prepositura del Baronio, sostennero le opere del «L itte ra to », Bordet-Ponnelle, pp. 277, 419 (vers, ital., 267, 400) e Calenzio, pp. 103-04, 402-03. Altre indicazioni bibliografiche e di « Avvisi » corredano il profilo che ne dà il P astob, v . X I, pp. 438-39 ; e in aggiunta, Giuseppe Gabrieli, Il venerabile Giovanni Leonardo spazzino romano, ne L’Illu­ strazione Vaticana, anno II, n. 5, 15 marzo 1931 (dov’è riprodotto il suo ritratto, opera dell’incisore Francesco Villamena). 1680 Guglielmo Sirleto, calabrese, giunse in Roma sul principio del 1540, Pio P aschini, « G. S. prima del cardinalato », nel volume Tre ricerche sulla storia della Chiesa nel cinquecento. Roma, Edizioni liturgiche [1945] p. 157, e cf. p. 250 n. 4 : nuova è, in questo processo, la notizia che F. vendette i propri libri, per sovvenire il Sirleto e altri studenti, fiorentini, f. 847. Il dotto prelato fu creato cardinale diacono di S. Lorenzo in Panisperna, il 12 mar. 1565, da Pio IV ; divenne bibliotecario della Chiesa nel 1572, è morì il 6 ott. 1585. Carteggi e molti suoi documenti si trovano in codici appartenenti a vari fondi della Biblioteca Vaticana (elenco parziale dato da Charles D ejob, De l’influence du concile de

    Trente sur la littérature et les beaux-arts chez les peuples catholiques; essai d’introduction à l’histoire littéraire du siècle de Louis XIV. Paris. E. Thorin,

    1884, pp. 353-67). 1681 Antonio Carata, creato cardinale il 24 mar. 1568, da s. Pio V , ebbe prima, quale diaconia, S. Eusebio; e, passato all’ ordine presbiterale, i titoli, successivamente, di S. Maria in Cosmedin, S. Maria in Via Lata, S. Eusebio, Ss. Giovanni e Paolo. Fu dotto grecista, correttore della Vulgata e editore del testo greco dei Settanta; amico del Sirleto, gli successe nell’ufficio di bibliote­ cario della Chiesa. Morì il 13 genn. 1591, a Roma. 1682 Scipione Gonzaga, creato cardinale il 18 die. 1587, da Sisto V, ebbe il titolo di S. Maria del Popolo ; mori 1Ί1 genn. 1593.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, f. 684

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    hanno fatto molta stima del beato Filippo ; et il medemo hanno fatto altri pontefici. Io so di certo, che, fino a tempo di Pio Quarto, il beato Filippo era in tanto credito, che fu chiamato, per assistere et aggiutare il detto sommo pontefice, nell’ hora della m orte; et so, che gli morì nelle m ani.1683 Gregorio X I I I stimava assai il beato Filippo. Intesi dire, che, venendo in Eom a quell’ Orsola, da Napoli, quale haveva opinione di santità, il detto papa la mandò dal beato Filippo, acciò provasse il suo spirito. Diede il detto papa al detto beato padre da diecimila scudi per la fabrica della chiesa della Vallicella ; confermò detta Congregatione dell’ Oratorio, con breve apostolico; concesse un altare privilegiato a detta chiesa, et anco molti altri privilegi : et questa è cosa publica. A l tempo di Gregorio X I I I I , intesi dire, de diverse persone, in diversi luoghi, et in diverse occasioni, che il detto papa, la prima volta che il beato Filippo andò per basciargli il piede, sua santità non volse, che glielo basciasse, ma, levandosi dalla sedia, andò incontro ad esso beato Filippo, et, abbracciandolo strettamente, gli disse : « Padre mio, voi sete maggiore di me in santità, si ben io sono maggiore di voi in d i­ gnità » ; et a questo non vi fu presente, se non il p. Antonio Gallonio, quale hora è morto, et raccontava questo pubblicamente. I l medemo papa concesse al beato Filippo licenza di poter dire Messa dove voleva lui : et io lo so, perchè ho veduto et sentita la Messa di detto beato padre, in diverse capelle, fatte nelle stanze della Vallicella. E t sentii, ancora, a ll’ hora, dire publicamente, che il medemo papa gli haveva data licenza, che, in luogo dell’ Offitio grande del Signore, dicesse una Corona : ma di questa gratia seppi, che non se ne volse mai servire, et, fino a ll’ ultimo giorno, so che volse dire l ’ Offitio grande, et, in quel giorno, disse l ’ Offitio col card. Cusano, mons. Pamphilio, ora cardinale, et altri, et io mi ci trovai presente. E t il medemo papa Gregorio X I I I I , quando andava il beato Filippo da lui, sempre lo faceva coprire et sedere ; et il medemo faceva anco papa Clemente Ottavo : al che io più volte, mi son trovato presente, et l’ ho veduto sedere, coperto, appresso detto papa Clemente, et trattava, familiarissimamente, con detto beato Filippo, et gli domandava parere di molte cose. E t io ho veduto detto

    1683 pio IV cadde malato il 3 die. 1565 e morì la sera del 9 dicembre, «h ora 2. noctis » ; alla mattina, era arrivato il nipote card. Carlo Borromeo, che gli diede il viatico e l’estrema unzione, P astor, v . V II , p. 46 e nn. 4-5. Particolari degli estremi momenti dà s. Francesco Borgia, in lettera del 20 die. 1565, Sanctus

    Franciscus Borgia quartus Oandiae dux et Societatis Iesu praepositus generalis tertius, IV , 1565-1568. Matriti, 1910 (« Monumenta historica Societatis Jesu a

    patribus ejusdem Societatis e d ita »), p. 156; altra sua lettera, pare contempo­ ranea, al p. Francisco Coster, contiene una narrazione simile, P ierre Stjau, S. I.,

    Histoire de s. Frangole de Borgia troisième générai, de la Compagnie de Jésus (1010-1572). Paris, G. Beauchesne et c.ie, 1910, p. 597 n.

    La presenza di F ., al momento della morte, è attestata, per quanto si conosce, soltanto da Fabrizio Massimo, in questo luogo del processo, B ordet-P onnelle, p. 220 e nn. 2-3 (vers, itali, 213 e nn. 2-3); di qui passò nel B acci, 1. I l i, c. 13, n. 3 ; e in Odorico R inaldi, Annales ecclesiastici al) anno MCXCVIII. ubi card. Baronius desinit, t. X X I, pars II. Romae, 1677, a. 1565, n. 28. D ’altra fonte risulta che nella camera del papa morente fu chiamato, per confortarlo, Francesco Maria Tarugi, ancora laico, Marciano, Memorie Mstoriche della congregatione dell’Oratorio, t. I, cit., p. 223: lo narrò, in una lettera, un fra Benigno, carme­ litano scalzo, già scalco del Tarugi.

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    360

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 684-685

    papa levarsi dalla sedia, andar incontro al beato Filippo, et abbrac­ ciarlo caramente, [f. 685] et si vedeva, che n’haveva gusto parti­ colare, et disse : « siate benvenuto, Padre » : et io restai, di questa attione, assai maravigliato et consolato. E t intesi, ancor, a ll’ hora, che il detto papa Clemente, nel partirsi il beato Filippo da lui, gli basciava le mani, et si raccommandava alle sue orationi. E t papa Leone X I stimò assai la santità del beato Filippo, non solo avanti fusse papa, ma, subito fatto papa, si lasciò intendere, con il card. Baronio, che lo voleva canonizare : et questo lo disse il medesimo s.r cardinale a più persone, et si diceva publicamente ; et di queste cose n ’ è stata et è publica voce et fama. 83. Io so, che moltissime persone, d’ ogni stato, grado et conditione, et molti delli nominati di sopra, si sono raccommandati et si raccommandano al beato Filippo, doppo la sua morte, come a persona santa, credono essere liberati et aggiutati nelle loro infermità, bisogni et tri­ bulationi. E t io, sempre, ogni giorno, et in tutte le mie occorrenze, mi raccomando al detto beato Filippo ; et, ogni giorno, dico una corona, cioè sessantatre volte quelle parole: « Sancte Philippe, ora pro m e » . E t so, anco, che molti, essendo assenti, si raccomandavano al beato Filippo, ancora mentre viveva, et lo chiamavano in suo aggiuto. E t, in particolare, mi ricordo che, venticinque anni sono in circa, mi trovai presente, quando il beato Filippo raccontò, ad alcuni parenti del s.r Carlo Mazzei, quali habitavano alli Cappellari al Pelegrino, et gli disse (che io l ’intesi) che il s.r Carlo, loro parente, s’ era salvato, et che, nel fine della vita sua essendo grandemente tentato dal demonio, lui cominciò dire al demonio: « m ’appello a Filippo, m ’appello a Filippo », et che il Signore haveva corrisposto et essaudito quella fede et humiltà sua, et che, con questo mezzo, s’ era liberato dalle mani del demonio et s’ era salvato. E t viddi, che il beato Filippo raccontava questo fatto, per consolare quei parenti del detto, s.r Carlo, et, anco, per mostrare, quanto puole la fede, che uno ha al suo padre spirituale, perchè detto s.r Carlo si confessava da detto p. F ilip p o: et questo fatto io Fintesi raccontare anco da a ltr i.1684 E t so, che molt’altri si sono raccommandati al detto beato Filippo, mentre viveva, ancor che fusse assente : et queste sono state et sono cose publiche et notorie. 84. Io so di certo, che, mentre il beato Filippo era vivo, furono fatti molti suoi ritratti, come d’ una persona insigne in santità, et molto più doppo la sua morte ; et ho veduto molte sue effigie di rilievo, for­ mate da un cavo di gesso, quale fu fatto subito doppo la sua m orte.1685

    ussi Carlo Mazzei morì il 14 apr. 1581: si veda la nota 514. Il fatto è stato già narrato dal Gallonio e da altri testi. 1685 II « cavo di gesso » fu tratto alla presenza anche di Germanico Fedeli, f . 969 : quest’originale pare sia sicuramente la maschera funebre custodita nella sacrestia della chiesa dei Girolamini a Napoli, perchè conserva aderenti molti peli della barba, B ordet-P onnelle, p. 71 n. e tav. IV (vers, ital., 69 n. e tavola ugualmente num.). Come dà notizia il B acci, 1. IV , c. 7, n. 2, « ne sono poi state gittate molte forme in cera ». Di queste « fo r m e » o maschere in cera di F ., conservate in più luoghi, sarebbe assai utile una classificazione, perchè esse presentano strane differenze, per le quali si direbbero tratte da « cavi » diversi. Nelle notazioni del p. Francesco Zazzara, Archivio dell’ Oratorio di Roma, A . III. 4, fascicolo intitolato « Esito »

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fi. 685-686

    361

    E t so, che papa Clemente Ottavo teneva, nel suo studio, il ritratto del detto beato padre et il medemo ho veduto nelle case di molti cardinali, di molti signori et signore, et ho veduto molte sue effigie, di diverse grandezze, disegni et intagli, alcune con le diademe, altre con li raggi, molte con miracoli intorno, molte senza: et quasi tutte, con titolo di beato, stampate con licenza de superiori. E t so, che, avanti a dette imagini, le gente s’ inginocchiano [f. 686] et fanno oratione, come avanti ad imagini de santi. E t so di certo, che li suoi libri, vesti, capelli, et altre cose sono tenute et dimandate come reliquie de sa n ti: et io n’ ho tenute et ne tengo et me ne sono state domandate et n’ ho date a molti. E t, per mezzo di queste reliquie, si è compiaciuto il Signore, operare molti miracoli, de quali alcuni n’ ho deposti di certa scientia: et questa è stata et è cosa publica et notoria. 85. Io so, di certa scienza, et mi son trovato presente, ogn’anno, alla festa, che s’ è fatta, dal primo anno doppo la morte di detto beato padre. E t so, che sempre s’ è continuata nel giorno del suo anniversario, alli 26 di maggio, in chiesa di S. Maria in Vallicella, dove, publicamente, ogn’anno, s’è cantato et si canta il primo et secondo vespero publicamente, con musica a più chori, con parare la chiesa sollennemente, con intervento di m olti cardinali et prelati, de quali ne potrei nominare m o lti: ma questa è stata et è cosa publica. E t, ogn’anno, s’ è fatto et si fa, in chiesa, sermoni, doppo il vespero, in lode di detto beato : et io n ’ ho sentito molti, dal s.r card. Baronio, dall’abbate Mafia et da altri. E t, molte volte, ho veduto cantare le Messe et li Vespri, in detti giorni, da vescovi. E t, in somma, dal dir l’offitio proprio in poi, ogn’ anno, si è fatta et si fa festa, in detta chiesa, come se fosse cano­ nizato : et questo è stato et è cosa publica. 86. Io so, di certa scienza, che, il medemo anno, che il beato Filippo morì, si cominciorno ad essaminar testimonii, et formarsi il processo, sopra la santità della vita et miracoli di detto beato, da m .s Jacomo Butio, notaro della visita et del vicario di sua santità, quale era anco canonico di S . Giovanni in Laterano et questo per ordine del card. M on­ reale et vescovo di Cassano, a ll’ hora visitatori apostolici. Nel quale processo, tra gli altri m olti, m ’ essaminai ancor io, « ad futuram rei memoriam », et deposi molte cose, di quelle che ho deposte hora, ma moltissime ne lasciai, perchè non vi pensai bene, come ho fatto hora. E t intesi, che il detto processo originale fu posto, dal s.r card. Baronio, nella Bibliotheca Vaticana, per conservarsi, per essere lui, a ll’ hora, bibliothecario. Qual card. Baronio parlò et scrisse del beato Filippo,

    (minuta) si registrano : « Adì 23 detto [maggio 1614] per cera da far tirare alcune teste nel cavo del Beato Padre s. 1.40 », f. 112. « Adì 26 detto [maggio 1614] al sr Giovanni Battista Crescentio per far fare un cavo novo dell’effigie del Beato Padre s. 1.20 », f. 112 v. « Adì 5 detto [giugno 1614] al sr Giovanni Battista Cre­ scentio, disse per finir di pagare il novo cavo di gesso della testa del Beato Padre, nel quale vi haveva il mastro speso 5 giornate, et b. 80 di gesso. In tutto s. 4.60», f. 113. Non si può, tuttavia, asserire con certezza che queste registra­ zioni si riferiscano veramente a maschere funebri.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 686-687

    362

    come d ’ un santo, nelle sue notationi al Martirologio Romano stampato in Roma : 1686 et queste sono state et sono cose publiche. 87. Io so di certo, che si sono conservate, per reliquie, non solo le veste, capelli et altre cose del beato Filippo, ma anco la camera sua, dove dormiva et dove morì. Della quale, subito doppo la sua morte, ne fu fatta una capella, nella quale, di licenza di papa Clemente Ottavo et del s.r card. Pamphilio, vicario di sua santità, vi si è celebrato et si celebra Messa da ogni sorte di persone. E t io ve l’ ho sentita più volte, et so, che ve la dicevano spesso li cardinali Tarugi et Baronie, et anco altri cardinali. E t, a ll’altare di detta cappella, v’ è l ’ effigie [f. 687] del beato Filippo, et, intorno, li principali miracoli, che il Signore ha operati per mezzo suo : et questa è stata et è cosa publica. 88. Io so, che iLcard. Paleotto dedicò al beato Filippo il libro D e bono sen ec tu tis, nel quale dice molte cose della santità di detto beato Filippo. E t so, che m olt’anni sono, si stampò, in Roma, con licenza de superiori, la vita di detto beato padre, composta dal p. Antonio Gallonio, sottoscritta da m olti cardinali ; et fu stampata in lingua latina et toscana, et anco tradotta et stampata in francese: 1687 et questa è cosa notoria. 89. D e freq u en tia sepulchri. Io so, di certa scientia, che, subito doppo la morte del beato Filippo, fu posto il suo santo corpo, dalli padri della sua Congregatione, nella sepoltura commune, nel choro, avanti li scalini dell’ altare maggiore della lor chiesa ; et so, che, d’ ordine del s.r card, di Firenze, quale poi fu papa Leone X I , et del card. Baronio, fu posto in luogo eminente della detta chiesa, incontro a ll’organo. Nel qual luogo, subito, vi cominciò ad essere grandissimo concorso di gente, a farvi oratione, et, anco in chiesa, le genti si mettevano a far oratione verso detto luogo. E t due o tre mesi dopo, vi furono cominciati a portare voti, tanto di cera, come d ’argento, tavolette, quadri in tela con cornici, vesti, candele, et altri segni, per gratie ricevute per mezzo di esso beato Filippo. E t le genti, 1686 Nell’annotazione al nome di s. Filippo Benizzi, fondatore dei Servi di Maria, commemorato al 23 agosto : « ... Ceterum non hoc uno tantum beato Phi­ lippo nobilissima civitas Florentia exornatur, sed & altero eiusdem nominis, institutore ac Patre nostro, nostraeq. Congregationis Oratorij in Urbe fundatore beato Philippo cognomento Nerio, sanctitate & puritate vitae, atque eximia in Deum & proximum charitate clarissimo ; quem Sanctorum consortio in caelis perfrui, miracula crebra testantur », Martyrologium romanum ad novam kalen-

    darii rationem et ecclesiasticae historiae veritatem restitutum, Gregorii XIII. pont. max. iussu editum. Accesserunt notationes atque tractatio de Martyrologio romano, auctore Caesare Baronio sorano, congregationis Oratorii presbytero. Tertia editio ab ipso auctore nunc Tit. Ss. martyrum Nerei & Achillei S. R. E. card. Bibliothecario Apostolico emendata & compluribus aucta. Romae, ex Typo-

    graphia Vaticana, M .D .X O V III, p. 415. La prima edizione a opera dei Baronio era stata fatta a Roma, nel 1586; la seconda, a Venezia, nel 1587. Della terza, si ricordano due precedenti a quella romana sopra indicata: Antverpiae, 1589, e Venetiis, 1597. B iblioteca V allicelliana,

    R oma.

    1538-1938.

    Mostra per il IV centenario della nascita del card. Cesare Baronio,

    Roma, La Libreria dello Stato, 1938, pp. 17-18.

    issi La vie du bienheureux père Philippe Nerio, florentin, fondateur de la congrégation de l’Oratoire ... traduite du latin du R. P. A nthoine Gallonius et conféré sur l’italien [par de Rosset]. Paris, A . Saugrain, 1618. C f. Catalogue général des livres imprimés de la Bibliothèque Nationale. Auteurs, t. L V I. Paris, Imprimerie Nationale, 1913, col. 1083-84.

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    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, ff. 687-688

    363

    a far questo si movevano per mera devotione, perchè si vedeva, che li padri non v’ usavano artificio humano, nè pregavano, nè inducevano le genti, nè con parole, nè con promesse : et io lo so, perchè io vi andavo spesse volte, et ho praticato et pratico, intrinsicamente, con detti padri. E t ho veduto esservi stati portati et mandati, a detto sepolchro, doni di gran valore: dal card. Cusano, un parato di broccato molto ricco: dal card. Visconte, una groppiera da cavallo, quale dissero esser stata di Sinan Bassà turco, ricchissima d’ oro ; 1688 dal card, di Lorena, una lampada d’ argento, per gratia ricevuta ; et, da altri, m olt’altre lampade d ’argento, et altri doni. Pochi anni doppo (che non mi ricordo giusto il tempo) fu accesa, avanti detto santo corpo, una lampada, dal s.r abbate Mafia, a ll’ hora reformatore apostolico : quale, sempre, poi, è stata accesa, giorno et notte. E t, da m olti anni in qua, alla sua capella, ne sono accese più d’ una, et so, che vi è stata assegnata l ’ entrata, da devoti di esso beato padre, per Foglio di dette lam pade.1689 Io so, et è stata et è cosa publica, che il s.r Nero del Nero, fiorentino, non ha vendo figliuoli maschi, unì la casata et arme sua con quella del beato Filippo, et fece voto al detto beato padre, acciò g l’impetrasse un figliuolo maschio, quale, poco doppo, l ’ottenne, et, per gratitudine, gli pose nome Philippo. E t, a ll’ hora, cominciò a far lavorare una capella, in detta chiesa, a man dritta dell’altar maggiore, per riporvi il suo santo corpo : qual capella è lavorata con diaspri, agathe, lapislazali, madre perle, et altre cose, molto riccamente ; et è stata et è communemente chiamata la cappella del beato Filippo, et, in detta capella, l ’anno 1602, vi fu [f. 688] transportato detto santo corpo. E t, a detta capella, vi sono sempre concorsi et vi concorrono moltissime genti, d’ ogni grado, stato et conditione, a farvi oratione, et vi sono stati portati molti voti, d’argento, di cera, et altre sorte, come si vede publicamente. E t, il giorno dell’anniversario di detto beato padre, alli 26 di maggio,

    1688 Nei Diario originale del p. Francesco Zazzara, Archivio dellOratorio di Roma, A . I I I . 4, sotto il 26 genn. 1599 si trova segnato : « L ’istesso giorno Mons.re Alfonso Visconte vesc.0 di Cervia donò al sepolcro del S.t0 P.re la grop­ piera del cavallo di Sinan Bassa Turco hauta in Transilvania, et era di velloto cremesino tut.° recamato ricchissimamente, di valore, stimata da più persone di [in Manco] ». Il Visconti era stato inviato al principio del 1595, quale nunzio speciale in Transilvania; e sostenne Sigismondo Bàthory, signore di quel paese, nella lotta contro i turchi. Battaglie vittoriose si erano svolte, nell’ autunno, in Valacchia, contro Sinan Pascià, detto Zògìah (« il Grande »), di origine albanese, cinque volte gran visir sotto i sultani Solimano I, Selim II e Muràd I I I , P astor, V. X I, pp. 207, 213-14. Il Galloni» , Vita lat., p. 260, descrive fi trofeo guerresco : « vestem holose­ ricam villosam, cocineam ex spolijs Sinam Tureicç classis Prçfecti, opere phrigio sane mirabili, flosculis aureis, atq. argenteis pulchre, sciteque distinctam ». Ma confonde 1’ antico possessore con il più famoso Sinan Pascià detto CighàlahZadeh, figlio del Cicala, nato cristiano e diventato ammiraglio turco; sul quale ultimo, I lario R inieri, S. I ., Clemente Vili e Sinan Bassà Cicala; studio storico secondo documenti inediti. Roma, «C iviltà cattolica», 1898; e P. Oliva, Sinan Bassà, nell’Archivio storico messinese, V III-IX , 1907-08. 1689 Parecchie furono le lampade d ’ argento donate, in vari tempi, per il sepolcro di F. : una provenne anche da legato del Gallonio, nel 1605. Si vedano, inoltre, le note 1422 e 1423. Nel Gigli , Diario romano, cit., p. 228, si legge la notizia che il 9 mag. 1643 furono « rubbate doi lampade di argento, che ardevano avanti il Sepolcro di S. Filippo Neri alla Chiesa nuova ».

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    364

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, fi. 688-689

    si è sempre ornato, con molti ornamenti, il luogo, dove stava prima il detto santo corpo, et la sua camera, quale, anco hoggidì, s’ orna, et anco la sua capella in chiesa, et tutta la chiesa ; et questo si cominciò l’anno primo doppo la morte di detto beato Filippo. E t, di tutte le sudette cose, n’ è stata et è publica voce et fam a, et sono state et sono cose publiche et notorie. 91. D ell’ anno 1570, havendo io havuti da mia moglie (chiamata Lavi­ nia de Rustici, quale morì l ’anno 1575, d’ ottobre, et è sepolta alla T ri­ nità de Monti) cinque figliuole femine, et era gravida, et vicina al tempo del parto, mi trovai, un giorno, alla chiesa del Giesù, alla predica del p. Em anuele.1690 Nella qual chiesa vi trovai il beato Filippo, al quale accostandomi, gli dissi, che pregasse Dio per la mia moglie, quale, la notte, haveva havuto alcune doglie del parto, ma non haveva partorito ancora, et, che, per charità, pregasse per lei. A ll’ hora il beato Filippo stette alquanto sopra di sè, poi mi disse seriamente : « la tua moglie, questa volta, farà un figliuol maschio ; ma voglio, che tu gli metti nome a modo m io : tene contenti? » , et io gli risposi: « padre, si », et lui mi disse: « mettegli nome Paolo ». Finita la predica, io andai verso casa mia, che, a ll’hora, stavo in casa Matthei, incontro alla fontana, et, ar­ rivato che fui vicino a casa, trovai un mio servitore, per strada, quale mi veniva incontro, per dirme, che mia moglie haveva partorito, a ll’ hora, et che haveva fatto un figliuol maschio. E t io, ricordatomi di quello, che il beato Filippo m ’haveva predetto, l’ istessa mattina, avanti mia moglie partorisse, gli feci porre nome P a o lo : qual morì, alli 16 di m aggioa 1583, et fu risuscitato dal beato Filippo come ho detto di sopra nel­ l’articolo 58. E t questa io la tenni, a ll’ hora, et la tengo, per profetia del beato Filippo, perchè io havevo havuto, della detta prima mia moglie, cinque figliuole femine, una dietro a ll’altra, et, poi, hebbi questo ma­ schio. E t quando il beato Filippo mi predisse questo, la mia moglie non haveva partorito, ma partorì mezz’ hora doppo. E t questo, non solo me 10 predisse il beato Filippo, quando la mia moglie stava per partorire, ma me lo haveva predetto, molte volte, mentre era gravida, che farebbe 11 figliuolo maschio, et che gli ponessi nome Paolo. D ell’anno 1593, havendo io, sopra la vita di Helena, mia figliuola, quale era d’ età di quattordici anni, 4 milia scudi, il beato Filippo mi disse, tre mesi avanti la morte di detta mia figliuola che io levassi li denari, che havevo a compagnia d ’oflìtio sopra la vita di detta mia figliuola.1691 E t, quando mi disse queste parole, fu del mese di giugno, et io, non facendo cura alle parole del detto beato padre come dovevo (che tutte le cose, che ho fatte di suo consiglio, mi son riuscite bene) me ne andai fuora di Roma, al mio [f. 689] castello Arsoli, al mio solito et la detta figliuola morse del mese di settembre, il dì dopo la Madonna. E t, tornando io a Roma, del mese di ottobre, alla fine, il detto

    Cosi anche il ms. A III JH; ma è da correggere in

    marzo.

    1690 II portoghese Emanuel de Sa, ricordato nella nota 776. 1691 Su assicurazioni del genere, qui con intento sicuramente dotale, vedano le note 564 e 1153.

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    si

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, f. 689

    365

    beato p. Filippo mi disse : « non ti dissi io, che levassi li detti denari? et, se havessi fatto a mio modo, non l ’ haveresti persi » come li persi. E t questo io ho sempre tenuto et tengo, che fusse miracolo et profetia chiara di detto beato Filippo, perchè, quando mi disse, che io levassi li denari di sopra la vita di detta Helena, lei stava benissimo et di buona cera, et, anco quando mi partii da Roma per Arsoli, la lasciai sanissima, et non mi seppi indurre a levare li detti quattro mila scudi sopra la vita sua, perchè io ce l ’ havevo posti, perchè la detta figliuola si voleva far monaca, et io dicevo, che una parte di detti denari sariano serviti per la sua dote et acconcio. E t in tutte le cose, nelle quali non ho fatto l ’obedienza del beato padre, sempre me ne son pentito et mi sono reuscite male. Soleva il detto beato padre predirme, in molte cose, inanzi che mi intervenissero, quello che, doppo, succedeva, et, specialmente, in una lite d ’ importantia, nella quale io havevo molti adversarii principalissimi con favori grandi.1692 E t il beato padre mi diceva : « credi in Dio et non haver più paura di nessuno, che nessuno è sopra di Lui » et vinsi il dubio. E t il medesimo, in altri miei travagli et occorrenze, mi prediceva l ’ evento che haveriano et molte altre ancora. Mi è occorso, più volte, che, andandomi a confessare da lui, mi sapeva dire alcuni defetti, avanti che io li dicessi et, nel guardarmi solamente, mi diceva tutto quello, che io havevo nel cuore, et pareva che mi vedesse tutti li miei pensieri: et questo, come ho detto, m ’ è occorso più et più volte. E t, anco, il beato Filippo mi diceva molte cose, avanti che mi suc­ cedessero, che erano per avvertimenti, che mi dava ; et, non solo a me, ma a tutta la mia casa, la quale havea lui nelle mani. E t tutti inter­ venivano, et mi son trovato a vedere, che mi son intravenute a me et a tutti li miei di casa. E t il medesimo mi è intervenuto, non facendo quello, che mi prediceva: : che me ne è tornato sempre gran danno. Et da questo nasceva, che era gran concorso di gente : religiosi della M i­ nerva, del Giesù, de Cappuccini, e generali de religioni, et cardinali, et prelati, e laici, quali venivano, per haver parere e conseglio del detto beato padre, e tutti si partivano sodisfattissimi, et l ’interveniva tutto quello, che il beato Filippo li prediceva. E t di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. Io Fabritio Massimi, Romano, ho deposto, per la verità, quanto in questo processo di fogli quarantasei si contiene, et, per essere la verità, ho fatto scrivere il presente esamine di mano aliena, et sottoscritta di mia propria mano, con mio giuramento, questo dì ultimo di settem­ bre 1609. Io Fabritio Massimo affermo, mano propria, con giuramento, quanto di sopra.1693

    1692 Quanto

    risulta circa questa lite è stato già raccolto nella nota 56ó. A. III. 44 dell’Archivio dell’ Oratorio

    1693 T.a firma è autografa, nel cod di Roma.

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    366

    30 settembre 1609. [274] Fabrizio Massimo, f. 689 EADEM

    D IE

    29» M E N SIS

    SE P TE M B R IS 1609

    Id e m ill.is d.n u s F a b ritiu s de M a xim is con sign a vit, m edio iuram e n to , tactis e t c ., m ihi n otario etc. praesen tem p rocessu m et exam en fo lioru m quadragintasex retroscrip tu m et d ixit con ten ta in eo fu isse et esse vera in fidem , et p o st eoru ndem lectu ram , se su bscripsit m anu p rop ria , p ra esen tibu s, in dom o p ropria, r e v .d o d .n o A lp h o n se P u tig n a n o, p r esb itero , rom a n o, et Ioa n n e B a p tista P ia , m antuano, te sti­ bus etc. I t a est P etru s M a zzio ttu s n otarius depu tatu s.

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    STUDI E TESTI -------------- 205--------------

    IL PRIMO PROCESSO PER SAN FILIPPO NERI N E L CODICE VATICANO LA TINO 3798 E IN A L T R I E SE M P L A R I D E L L ’ARCH IV IO D E L L ’ORATORIO D I ROMA EDITO E ANNOTATO DA

    GIOVANNI INCISA DELLA ROCCHETTA

    e

    NELLO VIAN

    CON LA COLLABORAZIONE DEL P. CARLO GASBARRI D. 0 .

    Volume III

    Testimonianze dell'inchiesta romana: 1610 Testimonianze «.extra Urbem»: 1595 - 1599

    CITTÀ DEL VATICANO B IB LIO T E C A APOSTOLICA VATICANA 1960

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    « '

    STUDI E TESTI -------------- 205---------------

    IL PRIMO PROCESSO PER SAN FILIPPO NERI N E L CODICE VATICANO LA TIN O 3798 E IN A L T R I E SE M P L A R I D E L L ’ARCH IV IO D E L L ’ORATORIO D I ROMA

    EDITO E ANNOTATO DA GIOVANNI INCISA DELLA ROCCHETTA

    e

    NELLO VIAN

    CON LA COLLABORAZIONE DEL P. CARLO GASBARRI D. O.

    Volume III

    Testimonianze delV inchiesta romana: 1610 Testimonianze « extra Urbem»: 1595 - 1599

    CITTA DEL VATICANO B IB L IO T E C A A PO STO LICA VATICANA 1960

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    IMPRIMATUR: E Vicariatu Civit. Vatic, die 13 Aprilis 1960 t Fr. P etbds Canisius

    van

    L iebde , Ep. Porphyr.

    Vic. Gen. Civ. Vat.

    Ristampa anastatica Tipo-Litografìa Dini s.n.c. - Modena 1990

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    ELEN CO D E L L E D E P O S IZ IO N I SECO N D O L ’ O R D IN E D E L PR O CESSO 1610 Fogli del codice

    Pagine

    6 A prile

    [275] Maria della Volta, cf. [154]. Seconda deposizione.................................................

    690-692

    1-4

    693-711

    4-21

    712-713

    21-23

    714-715

    23-29

    716

    27-29

    717-718 719-722

    29-32 32-36

    723-724 726-787

    37-38 39-74

    724

    75

    788-789

    76-80

    790-791

    80-83

    792-805

    83-105

    807-808

    106-108

    809-811

    108-110

    812-813

    110-113

    19 A pr il e

    [276] Francesco Valentini della Molara, cf. [3]. Terza deposizione...................................... 20 A prune

    [277] Aurelio Bacci, senese, maestro di scuola, di anni 4 6 ................................................. [278] Tommaso Minerbetti, da Città della Pieve, dottore « utriusque iuris », di anni 51 . 21 A prile

    [279] Giacomo Agostini, da Fano, medico, di anni 50 ....................................................... 23 A prile

    [280] Dionisio Pressuri, cistercense, di anni 33 [281] Pietro Focile, cf. [184]. Seconda deposiz. [282] Crispoldo Abbatio, da Sangemini, notaio di Rota, di anni 42 . . . . . . . . [283] Marcello Ferro, cf. [18]. Seconda deposiz. 26 A prile

    [284] Ortensia Previa, moglie di Crispoldo Ab­ batio, di anni 43 ...................................... [285] Giovanni Battista Conti, da Terni, di anni 2 3 ........................................... ..... . [286] Sulpizia Serleti, da Stilo in Calabria, mo­ glie di Pietro Focile, di anni 60 . . . [287] Domenico Migliacci, cf. [16]. Seconda de­ posizione ................................................. 27 A prile

    [288] Vincenzo Valesio, prete, da Siracusa, di anni 42 ...................................................... [289] Ferdinando Sermei, cf. [211]. Seconda de­ posizione ................................................. 28 A prile

    [290] Giovanni Battista Martelli, cf. [247]. Se­ conda deposizione.................................,

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    VI

    Elenco delle deposizioni secondo l ’ordine del processo Fogli del codice

    [291] Tullia Animuccia, vedova di Raffaele Giolio, di anni 5 8 ............................................ [292] Francesco Sermei, di anni 2 3 ...................... [293] Laura Sermei, da Città della Pieve, vedova di Attilio Pellegrini, di anni 30 . . .

    Pagine

    814-815 816-817

    113-117 117-118

    818-819

    118-121

    820

    121-127

    820

    127-129

    821-822

    129-131

    823

    132-133

    824-826

    132-135

    827-828

    135-136

    829 830 830-831

    136-138 138-139 139-140

    832

    140

    833-857

    141-168

    858-862 863-864

    168-175 176-179

    865-867

    179-181

    868-869 870-872

    181-182 182-185

    29 A prile

    [294] Lucrezia Cotta, di anni 4 7 ...................... [295] Olimpia di Simone pisano, moglie del giupponaro Cesare da Celano, di anni 38 . . [296] Guglielmo Gastaldi, genovese, barbiere, di anni 3 3 ................................................. [297] Anastasia delli Primi, milanese, vedova di Paolo milanese, di anni 4 0 ...................... 30 A prile

    [298] Prospero Conti, prete romano, di anni 29 [299] Fenizia de Domino, cf. [210]. Seconda de­ posizione ................................................. 3 M aggio

    [300] Lucrezia Citera Cianti, nobile romana, di anni 4 2 ...................................................... [301] Lucia de Vechis, bolognese, di anni 60 . . [302] Antonia de Vechis, romana, di anni 40 . . 4 M aggio

    [303] Domenico Fabri, domenicano, di anni 63 7 M aggio

    [304] Pompeo Pateri, cf. [183]. Terza deposizione [305] David Nigri, da Casoli, domenicano, di anni 5 3 ...................................................... [306] Antonino Berti, domenicano, di anni 66 . 8 M aggio

    [307] Antonina Pecorilli, da Mentana, di anni 46 [308] Cassandra Raida, vedova di Alessandro Ricci, di anni 69 . [309] Antonina Raida, romana, di anni 67 . .

    \

    10 M aggio

    [310] Ipermestra Damiani, da Viterbo, moglie di Gabriele Iob, di anni 2 5 ...........................

    873-874

    185-187

    875

    188-190

    876-877

    190-192

    I l M aggio

    [311] Francesco de’ Rustici, romano, di anni 68 [312] Elena Mazza, moglie di Rodolfo Conti, di anni 5 0 ......................................................

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    Elenco delle deposizioni secondo l ’ordine del processo

    ΥΠ

    Fogli del codice

    Pagine

    12 M aggio

    Fiordelisa Sannesi, moglie di Barnabè Sannesi, di anni 7 9 ...................................... [314] Barnabè Sannesi, da Beiforte del Chienti, di anni 7 6 ................................................. [313]

    878

    192-193

    878-879

    194-195

    880-882

    195-197

    883

    198

    14 M aggio

    [315] Camilla Campioni, romana, di anni 36 . [316] Tarquinia Campioni, romana, moglie di Giulio Cesare Belviso, di anni 36 . . [317] Felice Sebastiani, romana, moglie di Pie­ tro Contini, di anni 5 0 ........................... [318] Natale Eondanini, da Faenza, dottore « utriusque iuris », di anni 67 . . . [319] Barbara Contini, romana, di anni 25 . .

    883bis-892

    198-210

    894 895

    210-212 212-213

    896-897

    213-214

    898 899-908

    215-216 216-226

    911-912

    226-229

    913-914

    229-231

    915

    231-233

    917-918

    233-235

    919

    235-238

    15 M aggio

    [320] Giulio Antonio Contini, romano, di an­ ni 23 ■ ...................................... 17 M aggio

    [321] Lucrezia Campioni, romana, moglie di Ni­ cola Cicco calzolaio, di anni 26 . . . [322] Tiberio Astalli, nobile romano, di anni 59 21 M aggio

    [323] Ignazio Festini, cf. [34]. Seconda deposiz. 22 M aggio

    [324] Agostino Boncompagni, cf. [21]. Seconda deposizione................................................. 24 M aggio

    [325] Pietro Contini, romano, pittore, di anni 55 [326] Orazio Maglioni, da Vercelli, dottore « utriusque iuris », di anni 48 . . . 26 M aggio

    [327] Ottonello Ottonelli, da Fanano, di anni 43

    ------------

    29 M aggio

    [328] Paola del q. Antonio Saponaro, da Chieti, moglie di Angelo Iereone, di anni 22 . [329] Lena Caponero, da Tivoli, di anni 15 . .

    920 921

    238-239 239

    921-923

    239-242

    924-925

    242-244

    2 G iugno

    [330] Angelo Iereone, da Tivoli, di anni 26 . . [331] Faustina Bonamoneta, da Tivoli, vedova di Giovanni Battista « de Zenna », di anni 4 6 ................................................. .

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    γτττ

    Elenco delle deposizioni secondo l’ordine del processo Fogli del codice

    Pagine

    7 G iugno

    [332] Biagio Betti, teatino, di anni 62 . . .

    .

    926

    244-246

    927-971 972

    246-303 303-305

    989

    305

    991-992

    307-309

    993-1014

    309-321

    909-910

    321-324

    1016-1017

    324-327

    1018

    327-328

    1032 1033 1034

    328-332 332-333 333-334

    1019-1022 1023-1024

    334-339 339-340

    1025-1026

    340-342

    1027

    342-343

    1028

    344-346

    1029

    346-348

    8 G iugno

    [333] Germanico Fedeli, cf. [41]. Sesta deposiz. [334] Angelo Vittori, cf. [40]. Quarta deposiz. 14 G iugno

    [335] Prudenza Diaz, romana, di anni 70 .

    .

    15 G iugno

    [336] Dorotea Radici, romana, vedova di Sigi­ smondo Brumani, di anni 53 . . . . 16 G iugno

    [337] Marcello Vitelleschi, cf. [78]. Quinta de­ posizione ................................................. 18 G iugno

    [338] Giuseppe Loria, da Gravina di Puglia, di anni 3 3 ................................................. . [339] Giovanni Battista Orotoni, ministro degli infermi, di anni 2 9 ................................. 19 G iugno

    [340] Virginia Zannetti, moglie di Giovanni del q. Pietro fiorentino, di anni 4=5 . . . . 21 G iugno

    [341] Giulio Cesare di Santa Maura, dottore di teologia, di anni 3 2 ................................. [342] Pietro Avendagna, cipriota, di anni 32 . [343] Costantino Loy, cipriota, di anni 37 . . 23 G iugno

    [344] Giulia Lippi, vedova di Marco Antonio Scarselli, di anni 4 7 ................................. [345] Angela Lippi, vedova, di anni 78 . . . 2 L u glio

    [346] Giuseppe di Domenico di Simeone, agente del monastero di S. Giacomo delle Muratte, di anni 5 5 ...................................... 5 L u glio

    [347] Giuseppe Brumani, romano, di anni 21 . 6 L u glio

    [348] Orazio Ricci, da Voghera, cavaliere dì Malta, di anni 4 5 ........................... ..... . [349] Sanzio Cicatelli, ministro degli infermi, di anni 3 9 ................................................. .....

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    Elenco delle deposizioni secondo l ’ordine del processo Fogli del codice

    [350] Cesare de Simone, ministro degli infermi, di anni 40 ...................................... ..... .

    IX

    Pagine

    1030

    349-350

    1031

    351-352

    7 L u glio

    [351] Belardina Bormiola, vedova, bicchierara, di anni 52 .................................................. « EXTRA URBEM » V IT E R B O 30 G ennaio 1597

    [I] Remedia, moglie di Domenico tessitore, di anni 55 ................................. [II] Francesca, figlia di Domenico tessitore [III] Giovanni Lorenzo Massini, canonico e penitenziere della cattedrale

    1(613) 1(613)-2(614)

    353-354 355

    2(614)

    355-356

    4(616)-7(619)

    356-361

    8(620)-10(622)

    362-365

    10(622)-12(624)

    365-367

    12(624)-13(625)

    367

    13(625)-14(626)

    367-368

    14(626)-15(627)

    368

    M ILANO 6 F ebbraio 1596

    [IV] Prospero Crivelli, nobile milanese, di anni 69 ...................................... SA N SE V E R IN O M A R CH E 16 N ovembre 1595

    [V] Muzio Achillei, canonico e teologo della c a t t e d r a l e ........................... . [VI] Suor Eugenia Amatucci, monaca del monastero di S. Caterina . . [VII] Suor Ludovica Caccialupi, monaca del monastero di S. Caterina . . [V ili] Suor Agnese Matteucci, monaca del monastero di S. Caterina . . [IX] Suor Giulia Scambietti, monaca del monastero di S. Caterina . . [X] Vittoria Collio, novizia del monastero di S. C aterina..........................

    15(627) 16(628)

    369

    18 N ovembre

    [XI] Muzio Achillei, cf. [V]. Seconda de­ posizione .....................................

    16(628)-17(629)

    369-371

    18(630)-19(631)

    371-

    19 (631)-20 (632)

    372-373

    CORNETO 8 M aggio 1596

    [XII] Antonio Parma, genovese, di anni 35 [XIII] Bartolomeo Posteria, milanese, di anni 26 ......................................

    372

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    X

    Elenco delle deposizioni secondo l ’ordine del processo

    [X IV ]

    Sigismonda de’ Bustici, vedova di Alessandro Vitelleschi . . .

    Fogli del codice

    Pagine

    20 (632)-22(634)

    373-374

    22(634)-24(636)

    374-

    375

    24(636)-25(637)

    375-

    376

    26(638)-28(640)

    377-384

    30 (642)-37 (649)

    384-398

    38(650)

    398-399

    39 (651)-40 (652)

    399-404

    42(654)-44(656)

    404-408

    46(658)-47 (659)

    408-409

    47(659)-49 (661)

    409-412

    50(662)-52(664)

    412-414

    9 M aggio

    [ X V ] Maria del q. Galeazzo della Gattaia,

    moglie di Matteo di Bartolomeo, di anni 35 ................................. [ X V I ] Gora, moglie di Giacomo della Gat­ taia, di anni 3 3 ........................... AVIGNONE 5 M aggio 1596

    [X V II]

    Francesco Maria Tarugi, arcive­ scovo di Avignone . . . . CAVAILLON 30 G iu g n o 1596

    [ X V I I I ] Giovanni Francesco Bordini, ve­

    scovo di Cavaillon

    .................

    FIRENZE 23 D icembre 1595

    [ X I X ] Certificato di nascita di Filippo di

    ser Francesco Neri, estratto dal Libro dei battesimi del Battiste­ ro di S . Giovanni, a opera dei consoli dell’Arte dei Mercanti 12 L u g l io 1596

    [X X ]

    Elisabetta Neri, vedova di Antonio Cioni, sorella di s. Filippo . . ARSOLI 21 O ttobre 1596

    [X X I]

    Francesca da Civitella, moglie di Giovanni Battista Bosati, di anni 38 ...................................... CORNETO 16 D icembre 1596

    [ X X I I ] Tommaso da Carpegna...................... 23 D icembre

    [X X III]

    Giuseppe Castiglioni, da Ancóna, di anni 50 ................................. 30 D icembre

    [ X X I V ] Maddalena, moglie di Giuseppe Ca­

    stiglioni, di anni 37 . . .

    .

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    Elenco delle deposizioni secondo l ’ordine del processo Fogli del codice

    XI

    Pagine

    2 G ennaio 1597

    .

    52(664)-54 (666)

    414-416

    [XXVI] Quintilio Pentaglio, da Sutri, me­ dico a B arb aran o...................... [XXVII] Kemedia, cf. [ 1 ] ...........................

    56(668)-57(669) 57(669)-58(670)

    416-417 417-418

    58(670)

    418

    58(670)-59(671)

    419

    60(672)-65(677)

    419-425

    66(678)-67(679)

    425-426

    68 (680)-69 (681)

    427-428

    [XXV] Caterina Castiglioni, di anni 10 . VITERBO 6 G ennaio 1597

    10 G ennaio

    [XXVIII] Evangelista Mariotti, canonico di S. Angelo in Spaia, di anni 55 [XXIX] Giulia da Borgo San Sepolcro, prio­ ra del monastero di S. Maria della P a c e ................................. MILANO 22 G ennaio 1597

    [XXX]

    Federico card. Borromeo, arcive­ scovo ............................................ IMOLA I l F ebbraio 1597

    [XXXI] Lettera di Nicolò Angelini, Lugo, 21 dicembre 1596, relativa alla materia della successiva depo­ sizione, fatta nel luogo e data sopra i n d i c a t i ........................... [XXXII] Nicolò Angelini, dottore « utriusque iuris », rettore della par­ rocchia di S. Maria in Lugo, di 29 anni ......................................

    SAN SEVERINO MARCHE 20 F ebbraio 1597

    [XXXIII] Pier Filippo Lazzarelli, pievano della chiesa di S. Benedetto .

    70 (682)-71 (683)

    428-430

    72(684)-73(685)

    430-431

    73(685)

    431

    CORNETO 18 A p r il e 1597

    [XXXIV] Alessandro Fuligni, di anni 36 . 20 A prile

    [XXXV] Euridice Lazzarini, moglie di Ales­ sandro Fuligni, di anni 35 . .

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    ΧΠ

    Elenco delle deposizioni secondo l’ordine del processo Fogli del codice

    Pagine

    10 M aggio

    [XXXVI] Ortensia de Lellis, moglie di Ma­ rio « Caballeschus », di anni 38

    73 (685)-74 (686)

    432-433

    76(688)-77(689)

    433-43*

    77(689)-78(690)

    434-435

    .

    78(690)-80(692)

    435-436

    [XL] Orsoìa Panettini, moglie di Vincenzo S e v e r o li ......................................

    80(692)-81(693)

    436-437

    [XLI] Parere latino di Andrea Cesalpino .

    82(694)-83(695)

    437-439

    16 O ttobre [XLII] Trattateli latino di Antonio Porti

    84 (696)-90 (702)

    439-445

    92(704)-93(703)

    446-447

    94(706)

    447

    96(708)

    447-448

    98(710)

    448

    FAENZA 14 M aggio 1597

    [XXXVII] Suor Serafina Rondanini, dome­ nicana del convento di S. Ceci­ lia o della Madonna del Fuoco, di anni 59 ................................. [XXXVIII] Suor Teodosia Locatelli, dome­ nicana del convento sopra nomi­ nato, di anni 37 ...................... 19 M aggio

    [XXXIX] Vincenzo Severoli, faentino

    .

    20 M aggio

    ROMA 15 O ttobre 1597

    SPOLETO 27 A gosto 1599

    [XLIII] Suor Vincenza Reali, badessa del monastero domenicano di S. Ca­ terina della R o s a ...................... [XLIV] Suor Elisabetta Arroni, monaca del monastero sopra nominato . . [XLV] Suor Chiara Leoncilli, monaca del monastero sopra nominato . . [XLVI] Suor Febronia Scevoli, monaca del monastero sopra nominato . . 28 A gosto

    [XLVII] Suor Maria Transarici, sottopriora del monastero sopra nominato . [XLVIII] Suor Dorotea Graziani, monaca del monastero sopra nominato . [XLIX] Suor Arcangela Ancaiani, monaca del monastero sopra nominato .

    100(712)

    448-449

    102(714)

    449

    105(717)-107 (719)

    449-452

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    Elenco delle deposizioni secondo l ’ordine del processo Fogli del codice

    X III

    Pagine

    29 A gosto

    [L] Orazio Cometa, medico............................ [LI] Prospero Luci, di anni 50 . . . . . [LII] Postuma, moglie di Teseo Botontei . [LUI] Tecla Leppantini................................. [LIV] Maddalena, moglie di Giovanni Ma­ ria L i l i ....................................... [LV] Veronica, vedova di Fulvio Vari . . [LVI] Elena Sala, figlia del q. Bernardo .

    108(720) 110(722) 112(724)-113 (725) 114(726)

    452-453 453-454 454-455 455-456

    116(728) 118(730) 120(732)

    456-457 457 458

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    INDICE DEI TESTI 1 numeri sono quelli delle deposizioni secondo l’ordine del processo: gli arabici, per l’inchiesta di Roma, e i romani, per le deposizioni « extra Orbem ».

    Abbatto Crispoldo, 282. Achillei Muzio, Y , XI. Agostini Giacomo, 279. Amatucci Eugenia, V I. Ancaiani Arcangela, XLIX. Angelini Nicolò, XXXI, XXXII. Animuccia Tullia, 291. Arroni Elisabetta, XLIV. Astalli Tiberio, 322 Avendagna Pietro, 342.

    Damiani Ipermestra, 310. de Domino Fenizia, 299. de Lellis Ortensia, XXXVI. della Molara Francesco,276. Della Volta Maria, 275. delli Primi Anastasia, 297. de Simone Cesare, 350. de Vechis Antonia, 302. de Vechis Lucia, 301. Diaz Prudenza, 335.

    Bacci Aurelio, 277. Berti Antonino, 306. Betti Biagio, 332. Bonamoneta Faustina, 331. Boncompagni Agostino, 324. Bordini Giovanni Francesco, XVIII. Bormiola Belardina, 351. Borromeo card. Federico, XXX. Botontei Postuma, LII. Brumani Giuseppe, 347. Brumani Badici Dorotea, 336.

    Fabri Domenico, 303. Fedeli Germanico, 333. Ferro Marcello, 283. Festini Ignazio, 323. Focile Pietro, 281. Francesca da Civitella v. Rosati Fran­ cesca. Francesca, figlia di Domenico tessi­ tore, II. Fulìgni Alessandro, XXXIV.

    Caccialupi Ludovica, VII. Campioni Camilla, 315. Campioni Lucrezia, 321. Campioni Tarquinia, 316. Caponero Lena, 329. Castiglioni Caterina, XXV. Castiglioni Giuseppe, XXIII. Castiglioni Maddalena, XXIV. Cesalpino Andrea, XLI. Cianti Citera Lucrezia, 300. Cicatelli Sanzio, 349. d o n i Neri Elisabetta v. Neri Elisabetta. Colilo Vittoria, X. Cometa Orazio, L. Conti Giovanni Battista, 285. Conti Prospero, 298. Conti Mazza Elena, 312. Contini Barbara, 319. Contini Giulio Antonio, 320. Contini Pietro, 325. Contini Sebastiani Felice, 317. Cotta Lucrezia, 294. Crivelli Prospero, IV. Crotoni Giovanni Battista, 339.

    Gastaldi Guglielmo, 296. Giulia da Borgo San Sepolcro, XXIX. Giulio Cesare di Santa Maura, 341. Giuseppe di Domenico di Simone, 346. Gora, moglie di Giacomo della Gat­ taia, XVI. Grazìani Dorotea, XLVIII.

    Iereone Angelo, 330.

    Lazzarelli Pier Filippo, XXXIII. Lazzarini Euridice, XXXV. Leoncilli Chiara, XLV. Leppantini Tecla, L U I. Lili Maddalena, LIV. Lippi Angela, 345. Lippi Giulia, 344. Locateli! Teodosia, XXXVIII. Loria Giuseppe, 338. Loy Costantino, 343. Luci Prospero, LI.

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    XVI

    Indice dei testi

    Maglioni Orazio, 326. Maria del q. Galeazzo della Gattaia, XV. Mariottt Evangelista, XXVIII. Martelli Giovanni Battista, 290. Massini Giovanni Lorenzo, III. Matteucci Agnese, V ili . Mazza Elena v. Conti Mazza Elena. Migliacci Domenico, 287. Minerbetti Tommaso, 278.

    Neri Elisabetta, vedova di Antonio Cioni, XX. Nigri David, 305.

    Olimpia di Simone pisano, 295. Ottonelli Ottonello, 327.

    Panettini Orsola, XL. Paola del q. Antonio Saponaro, 328. Parma Antonio, XII. Pateri Pompeo, 304. Pecorini Antonina, 307. Pentaglio Quintilio, XXVI. Porti Antonio, XLII Posteria Bartolomeo, X III Pressuri Dionisio, 280. Previa Ortensia, 284.

    Badici Dorotea v. Brumani Radici Dorotea. Baida Antonina, 309. Baida Cassandra, 308. Beali Vincenza, XLIII. Remedia, moglie di Domenico tessi­ tore, I, XXVII.

    Ricci Orazio, 348. Bondanini Natale, 318. Bondanini Serafina, XXXVII. Rosati Francesca, XXI. Rustici Francesco, 311. Rustici Vitelleschi Sigismonda v. Vitelleschi Rustici Sigismonda.

    Sala Elena, LVI. Sannesi Barnabé, 314. Sannesi Fiordelisa, 313. Santa Maura v. Giulio Cesare di Santa Maura. Scambietti Giulia, IX. Scevoli Febronia, XLVI Sebastiani Felice v. Contini Sebastiani Felice. Serleti Sulpizia, 286. Sermeì Ferdinando, 289. Sermei Francesco, 292. Sermei Laura, 293. Severoli Vincenzo, XXXIX.

    Tarugi Francesco Maria, XVII. Tommaso da Carpegna, XXII. Transarici Maria, XLVII.

    Valesio Vincenzo, 288. Vari Veronica, LV. Vitelleschi Marcello, 337. Vitelleschi Rustici Sigismonda, XIV. Vittori Angelo, 334.

    Zannetti Virginia, 340.

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    DIB 6a MENSIS APRILIS 1610

    [275]

    [f. 690] E xa m in a ta f u it , ad fu tu ra m rei m em oria m , d.na M aria della V o l t a ,169* u x o r quondam A lex a n d ri b rixien sis, fiorentina, testis a eta tis annorum sexa gin ta in circa , cu i delato iu ra m en to e tc . et p er eam ta ctis e t c ., d ix it, u t in fra , v id e lic e t:

    Io son solita confessarmi e communicarim, al presente, da cinque e sei volte l’anno e le feste della Madonna, dopo che son sorda, perchè li confessori non mi ascoltano volentieri ; che, avanti io fossi sorda, mi confessavo e communicavo ogni mese ; et, se trovasse un confessore, che havesse patienza ascoltarmi, mi confessarci et communicarei, come prima, almeno ogni mese. In questa causa, circa la vita e santità del beato Filippo, io mi sono essaminata un’altra volta, che credo sia più di dieci anni ; et, in questo esame, mi ricordo che deposi da tre o quattro particulari e, in specie, che fu visto con splendore,1 1695 et circa la sua grande carità 1696 et altre 4 9 6 virtù sue. E tutto che, all’hora, deposi, dico haverlo detto per la verità e, come tale, di presente, lo confermo. E, di più, mi è parso, a gloria di Dio et honor di. questo beato padre, raccontare alcuni particolari, che mi son sovenuti, dopo detto essame, et sono questi, cioè : Io cominciai a conoscere il beato Filippo Neri, della Chiesa nova, d’età di otto anni, et hora ne ho sessanta, et, fino nel principio che lo cominciai a conoscere, so che era tenuto per santo, et, con quante per­ sone io parlavo, all’hora, tanto huomini come donne, tanto poveri come ricchi, dalli vicini di casa mia, et da altri, tutti mi dicevano, che il p. Philippo era un santo. Et mia madre, fin da quel tempo, sempre, mi diceva: « vedi, figliola mia, il p. Filippo è un santo, è un profeta ». E questo me lo diceva spesso, et mai mi diceva : « il p. Philippo è un santo », che non vi aggiongesse ancora: « è un profeta ». Et mia madre si chiamava Margarita Fantini, quale è morta diciotto anni sono, et è sepolta a S. Pietro. Et mi ricordo, ancora, che, ragionando io, un giorno, in quelli tempi, con papa Clemente 8°, mentre era auditore di Rota1697 (per conto di una mia lite, che havevo d’ una mia sorella, chiamata Laura,

    1694 Seconda deposizione di Maria Della Volta, comparsa la prima volta 1Ί1 genn. 1596 (154). 1695 La teste aveva narrato già il fatto, al f. 369: esso avvenne al risana­ mento di Giovanni Battista Modio, circa il 1556. lese Descritta già dalla teste, al f. 368; ma più brevemente di quanto è, più sotto, nella presente deposizione. 1697 Ippolito Aldobrandini sedette quale uditore di Rota il 14 apr. 1570, suben­ trando al fratello Giovanni, promosso alla diocesi di Imola; il processo è in data 13 aprile. Il futuro Clemente V i l i rimase in quel posto durante tutto il ponti­ ficato di Gregorio X III; fu creato datario il 17 mag. 1585, e cardinale il 18 dicembre dell’anno stesso, da Sisto V, C erchiari, Capellani papae et Apostolicae Sedis audi­ tores causarum sacri Palatii Apostolici seu Sacra Romana Rota, v. II, cit., pp. 109, 123-24; P astor, v . XI, p. 19 nn. 2 e 6. 1

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    2

    6 aprile 1610. [275] Maria della Volta, f. 690

    quale è morta da dodici anni sono) et, in questo mentre, io nominai, a detto monsignore, il beato Filippo, quale, all’hora, era vivo et stette molti anni a morire ; et il detto monsignore mi disse : « il p. Filippo è un santo huomo; sarà un giorno canonizato ». Et, sempre, non solo io, ma tutti, con chi ho parlato, sentivo dire, che il p. Filippo era un santo. Et, molto più, l’ho tenuto per santo doppo la sua morte ; et, quando veddi canonizare s. Francesca,1698 io stavo in S. Pietro, et facevo oratione et dicevo : « o, quando sarà canonizato il mio p. Filippo ancora? », et pian­ gevo, et dicevo : « o, chi lo canonizarà? era santo ancor lui ». Et havevo sentito dire, che s. Francesca portava le legne in testa, per far l’elemo­ sina a poveri ; 1699 et, in quello, mi ricordavo, che ancora il beato Filippo havea portato, infinite volte, il suo seno pieno di pane, in casa nostra, per elemosina, et anco ad altri poveri, et dell’olio, del vino et altre cose ; alle volte, mi ricordo, che ha dato 18 scudi a mia madre, per elemosina, Io so, che, in quel tempo, fra Felice capucino, quale è un santo ancor lui,1700 veniva spesso in casa nostra, et ci diceva molto bene del beato Filippo et lo teneva per santo. Io so, che il beato Filippo era sempre allegro et mansueto, et mai lo vidi turbato in volto et mia madre mi diceva: «Vedi? di’ al p. Filippo qualsivoglia cosa, che non lo vedrai mai turbato ». Io so, che era tutta charità, et che, per questa charità, faceva ogni gran cosa. Et so, che andava lui cercando l’elemosina de denari et altre cose, per darle, poi, alli poveri. Et io ho un libbro del Rosario,17011 2quale me lo diede il beato Filippo, più di quaranta anni 0 7

    1698 La cerimonia solenne della canonizzazione di Francesca « de Buxis » nei Ponziani ebbe luogo il 29 mag. 1607, in S. Pietro, P astor, v . XII, pp. 189-90 (è sotto la data stessa la bolla, che riproduce dalla stampa coeva l’ab. P lacido L ugano , O. S. B. Oliv., Santa Francesca Romana nella memoria dei contemporanei e dei posteri, in Rivista storica benedettina, III, 1908, pp. 161-67). Quattro processi si erano svolti, a partire dal 1440, anno della sua morte : essi sono pubblicati, nella parte sostanziale, dal L ugano , I Processi inediti per Francesca Bussa dei Ponziani (santa Francesca Romana). Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1945 («Studi e testi», 120); per la storia e carat­ teri dei processi singoli, pp. xm -xxix. Promotore ne fu il Comune, con una serie di atti, per i quali L ugano , Il magistrato e il Popolo Romano per Francesca Bussa nei Ponziani, ne L’ Orbe, V, 1940, num. 4, pp. 1-6. Esso sostenne le ingenti spese, che si trovano enumerate in una « Lista delle propine, mancie e regalie date e pagate in contanti dal popolo romano per la canonizzazione della beata Fran­ cesca ». L. P elissier , Le spese d’una canonizazione a Roma nel MDCVIII, In Archivio della Società romana di storia patria, XVI, 1893, pp. 236-40. 1699 Parecchi testi al processo del 1451 riferirono di avere veduto Francesca che tornava da una sua vigna fuori porta S. Paolo, portando sul capo fascine di legna, « ut pauperibus et piis locis aliis erogaret », L ugano , I Processi inediti per F. B. dei P., cit., pp. 236-37. i7°° h processo di Felice da Cantalice si era aperto nell’anno stesso della morte, 1587, come dalla nota 756. Egli fu beatificato il 1° ott. 1625, da Urbano V ili , e canonizzato il 22 mag. 1712, da Clemente XI, Lexicon Capuccinum, cit., col. 574-75. 1701 Questo « libbro », dato alla teste illetterata, doveva essere costituito tutto o in gran parte da figure. Anche l’« Inventarium bonorum », tra i libri, f. 17 v, registra un « Rosario della beata Vergine ». Ma sia la prima che la seconda indi­ cazione, troppo sommarie e generiche, non permettono dì determinare meglio queste stampe, certo di carattere popolare. 1702 L ’aumento di volume del corpo di F., che la teste credette di notare ripetutamente, fu osservato in particolare durante la nota estasi alla Minerva, sulla fine del 1558, quando si temeva la condanna delle opere del Savonarola,

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    6 aprile 1610. [275] Maria della Volta, ff. 690-691

    o υ

    sono, et lo tengo in una cassa, involto in una carta, per reliquia d’un santo; et, anco mentre il beato Filippo era vivo, io tenevo quel libro come toccato da un santo, ma non lo teneva, all’hora, involto nella carta, perchè [f. 691] all’hora l’adopravo et adesso non Fadopro più. Et, di più mi ricordo, che, fino in quelli primi anni, che lo conobbi, insegnò il beato Filippo, a mia madre, a me et ad altri, che, per devotione del Spi­ rito Santo, dal giorno del Sabbato Santo alla Pasqua rosata, dicessi, ogni giorno quarantanove volte il « Pater noster » et F« Ave Maria », con devotione, che era buonissima orati,one, per ottenere qualsivoglia gratia da Dio. Et, non solo si contentava il beato Filippo, che io facessi oratione vocale, ma m’insegnava anco l’oratione mentale, con molta patienza et carità, et diceva, che; mentre dicevo il « Pater noster », con­ siderassi, che havevo per padre Dio in Cielo : et così mi dichiarava tutto il « Pater noster », et poi mi diede il libro del Rosario, acciò meglio po­ tessi considerare la Passione di Christo. Della carità del beato Filippo, non se ne puole dire tanto, quanto ne faceva. Et perchè mio padre Fran­ cesco della Volta, quale morì, mentre io havevo venticinque anni, et quindici anni prima che detto mio padre morisse, fallì, che faceva la mercantia di bestiame, et era riccho assai, et poi venne, in un tratto, in povertà grande ; et il p. Filippo confessava mia madre, et sapeva la grande povertà sua, che havea quattro figlioli, due maschi et due femine ; et so, che il detto beato Filippo prese la cura di tutti noi, come se ci fosse stato padre, et veniva spesso a visitarci, et ci governò, per spatio di quattro anni in girca, sin tanto che mio padre si rimise un poco su, et cominciò a guadagnar qualche cosa ; et so (et l’ ho veduto moltissime volte) che il detto beato Filippo ci portava il suo seno pieno di pane, et, altre volte, di vino, di oglio, e di ogni gratia di Dio, delli denari (et questo era di 25 o 30 scudi alla volta, che non ci faceva elemosina di poca cosa) et questo era spesse volte. Et, in somma, ci provedè di ogni cosa, per molti anni ; et so, che faceva il medesimo a molte altre famiglie, così nostre vicine, come anco altre. In somma, era tutta charità, et era piacevole et carezzevole. Io conobbi il beato Filippo d’età di otto anni, come ho detto, et, mentre io era di dieci in undici anni, osservavo meglio le attioni del detto p. Filippo, et mi faceva stupire, che lo vedevo, che, mentre diceva Messa, saltava così et si moveva tutto; et, alle vòlte, mi pareva che, nel «M e­ mento», si gonfiasse et si ingrossasse, più di quello che era.1702 Et, vedendolo, una volta, che, mentre stava nel « Memento », s’era alzato da terra, che non toccava, con li piedi, la terra, et era più di un palmo alto da terra ; et stavo in dubio, se era parso così a me, o pure si era vero (et, per questo, dopo questo, io l’osservavo più minutamente, in particolare mentre stava nel « Memento » et mentre alzava il Santissimo Sacramento) et, havendolo osservato per molto tempo, lo viddi tre o quat­ tro volte, in diversi giorni, che s’ alzò similmente da terra, con tutto il corpo, mentre diceva la Messa, che non toccava con li piedi in terra, et

    ff. 64 e 107. Sullo strano fenomeno si vedano B ordet-P onnelle , p. 74 n. 4 (vers, ital., 72 n. 3) ; dove è tuttavia da rilevare che 11 teste addotto, frate Francesco Cardoni, non parla « de visu », ma « ex auditu », cfr. ff. 107-108.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. f. 693

    era più di un palmo alto da terra,1703 et io restavo stupita. Et, nelle prime volte, che io viddi il detto beato Filippo alto da terra, mentre diceva Messa, io non dissi niente a niuno ; ma, poi, vedendolo, più volte, alto da terra, mentre diceva la Messa, io lo dissi, all’hora, a mia madre ; et mia madre mi disse : « sta’ cheta, sta’ cheta ; il p. Filippo è un santo ; non bisogna dir queste cose ; lui è un santo e un profeta ; sarà un giorno canonizato, come gli altri santi ». Et per questo, io non [f. 692] dissi niente, d’haver veduto il detto beato Filippo, più volte, alto da terra, mentre diceva Messa, se non a mia madre ; et, quando io viddi questo, il detto beato Filippo diceva Messa nella chiesa di S. Gieronimo della Ca­ rità, in una capella ritirata, a man dritta dell’altare maggiore della detta chiesa, nel principio della medesima nave della chiesa,1704 dove lui confessava.

    La detta Maria, non sapendo scrivere, fece di sua mano una croce. Petrus Mazziottus notarius.

    DIB 19a MENSIS APRILIS 1610

    [f. 693] In causa beati Philippi Nerii, Congregationis Oratorii Urbis fundatoris. Ad perpetuam rei memoriam. Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc. per me, etc., ill.is d.nus Franciscus Valen­ tinus de la Molara,1705 nobilis romanus, testis etc., aetatis annorum quinquaginta in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra :

    [276]

    Io son solito frequentare le confessioni, ogni settimana, et la santis­ sima Communione, ogni quindici giorni, e più e meno, secondo occorrono le feste. In questa causa del beato Filippo, mi sono esaminato due altre volte, dalla bona memoria del s.r Iacomo Butio, de Panni 1595 e 1597, se ben mi ricordo. E tutto quello, che ho detto, in quelli esamini, tutto dico haver detto per la verità, et, come tale, haver deposto ; et, al pre­ sente, confermo tutto quello, che all’hora dissi, come hora ho deposto, in questo esamine, scritto di mia propria mano, quale ve lo consegno e dico questo mio essamine, come ho detto, scritto di mia mano, essere il contenuto di quanto ho deposto nelli altri esamini, con havere aggiùnto altri particolari, come di perfettioni, santità, e miracoli e profetie di detto beato padre, et altre cose, pertinenti alla santità sua. E t, sibi lecto

    examine per ipsum scriptum et intellecto, affirmavit, pro veritate, medio iuramento etc. 1703 T ra i vari racconti su levitazioni di F., il B acci, 1. I l l , c. 1, n. 17, allude a questa notevole teste popolana, omettendone il nome; e aggiunge qualche parti­ colare alla deposizione. 1704 Com’è stato altra volta notato, la chiesa di S. Girolamo della Carità, al tempo in cui vi abitò F., era orientata in senso normale a quello presente; la porta principale si apriva sulla piazza di S. Caterina della Rota, e tutta la disposizione dell’interno doveva essere in corrispondenza. Si vedano le note 1473 e 1795. 1705 Terza deposizione di Francesco Valentini della Molara, comparso già il 7 ag. 1595 (3) e il 13 mar. 1597 (196). Sottoscrizione autografa, alla fine della deposizione.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. f. 694

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    Interrogatus in causa scientiae de contestibus, loco et tempore, prout infra : [f. 694] 31. De charitate in Deum. Io so che il beato Filippo era tutto innamorato di Dio et sentiva, per questo, tanto gran calore nel petto, che ancora in questi ultimi anni della vita sua, essendo vecchio de ot­ tanta anni, con tutto ciò, era necessario, che, di mezo inverno, pigliasse fresco, si facesse aprire, di meza notte, le finestre della camera, et, anco, facesse rinfrescare il letto. Et questo io lo so, perchè spesse volte, an­ dando io, d’inverno, la matina, dal beato padre, mi diceva il p. Antonio Gallonio, quale stava, di giorno e di notte, appresso detto beato padre : « questa notte, il padre m’ha fatto levar di letto ; m’ha fatto aprire le finestre della sua camera, et me ha fatto rinfrescare il letto con le lenzola ». Et io mi maravigliavo, perchè erano freddi grandi, et sapevo, che il beato Filippo mangiava et beveva pochissimo, et era asciuttissimo, che non havea, se non la pelle et Fossa. L’ho veduto, anco, molte volte, stare senza sottana, di mezzo inverno, solo con una camisciola rossa. Et, altre volte, l’ho veduto, che s’apriva nel petto: il che non posseva na­ scere, se non dal foco dell’amor d’ iddio, che haveva nel petto.1706 Dieci anni prima che il beato Filippo morisse, essendo in Roma caduta una neve assai grossa,1707 uscii io, un giorno, di casa, con il detto beato padre, et io caminavo, et mi morivo di freddo, et esso beato padre mi dava la burla, dicendo, che non sentiva quel freddo, che io dicevo. Et io mi maravigliavo, perchè io ero giovene di vintiotto anni et esso beato padre era vecchio di settanta anni. E, di queste cose, ne è stata et è publica voce et fama. 32. De oratione. Io so, che il beato Filippo stava sempre in atto de oratione, perchè si vedeva, che, con li gesti, con li occhi, et con le parole, sempre stava unito con Dio. So, che, l’inverno, la sera, di notte, si faceva accomodare una lucerna, in un cantone, che non li desse il lume nell’occhi, e lui si metteva in una sedia, per fare oratione. E il p. Anto­ nio Gallonio mi diceva, che stava così dui et tre hore ; et mi diceva, anco, che la maggior parte della notte la spendeva in oratione. Quando andava per le strade (che io, infinite volte, sono andato con lui) andava, molte volte, tanto astratto in oratione, che non vedeva chi lo salutava, et haveva dato la cura, a quelli, che andavano con lui, che li facessero segno, quando era salutato. Essortava, ancora, et animava, il beato Fi­ lippo, li suoi figlioli spirituali a far spesso oratione, et, se non possevano fare lunghe orationi, almeno s’essercitassero spesso nelle orationi iaculatorie. Et a me ne haveva insegnate diverse orationi, come : « Deus, in adiutorium meum intende » ; « Vergine Maria, Madre de Iddio, pregate

    1706 Degli effetti del calore sentito da F. riferiscono parecchi altri testi. Il B acci, 1. I. c. 6, nn. 7-10, offre, secondo il suo uso, un compendio di memorie su questo fenomeno. La « camisciola rossa » è stata già menzionata nella nota 901.

    1707 gì legge in un Avviso : « Di Roma à 18 di Gennaro 1586. I Romani di due cose in un istesso tempo si maravigliano di tanta nieve con freddi così aspri in questa città senza essempio ne’ i libri antichi, et nelle vecchie memorie, et di tante rose così fiorite in questa rigidezza », in Roma, IX, 1931, p. 494 ; dal cod. Urb. lat. 1054. Nevoso fu anche l’ultimo inverno della vita di F., come da altro Avviso di Roma, 21 die. 1594, in Roma, XI, 1933, p. 545.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 694-695

    Gesù per me » ; « Iesù mio, io non vi conosco » ,1708 et altre simili. Et, in somma, non premeva in cosa, tanto quanto che nell’oratione, tanto per sè, come per li altri. Et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 33. De devotione et lacrimis. Io so, che il beato Filippo haveva una palpitatione di cuore, et un tremore di tutto il corpo grandissimo ; et questo tremore, in tutto il tempo, che l’ho conosciuto, l’haveva, solo, quando diceva Messa, ragionava delle cose de Iddio, quando confessava, et quando se affissava nelle oratione. Et io mi sono trovato presente, moltissime volte, quando il beato padre sermonigiava, et l’ho veduto, che tremava tutto ; et era tale il tremore, che faceva anco tremare le sedie, et le predelle dove stava [f. 695] la sedia. Et il medesmo faceva, quando diceva Messa, che tremava tutto, et si levava in punta di piedi, in particolare, quando alzava il Santissimo Sacramento, che pareva non tocasse con li piedi la terra. Et, mentre diceva la Messa, cercava molte distrattione : hora si moveva, hora si voltava ; talmente, che, chi non conosceva il suo gran spirito, molte volte si maravigliava. Et mi disse, con bona occasione, il medesimo beato padre, più volte, che, avante lui dicesse la Messa, bisognava, che si distraesse ; et io vedevo, che, sempre, avanti dicesse la Messa, si faceva legere qualche libro distrattivo ;1709 et, quando si vestiva, faceva il medesimo ; et questo io credo che lo fa­ cesse, per non andare in estesi, alla Messa : et così mi è stato anco, più volte, detto dal p. Antonio Gallonio, et da altri. In tutto il tempo, che son stato con il detto beato Filippo, ho visto, che, ogni giorno, diceva Messa, et, quando era infermo, ogni giorno, si communicava. Et il me­ desmo si diceva, publicamente, che haveva cominciato a fare, fin da giovinetto, cioè, che ogni giorno si communicava, o diceva Messa. Et l’ho veduto, molte volte, piangere grandemente, che era tutto pieno di spirito ; et il medesimo ho veduto, molte volte, che faceva, quando par­ lava delle cose de Iddio: che, molte volte, piangeva tanto, che non poteva parlare ; et il medesmo ho veduto, che faceva quando comunicava. Et queste sono state et sono cose publiche. 34. Estasis et raptus. Io ho inteso dire, dal beato Filippo, con occa­ sione, per quanto mi ricordo, che diceva, che non bisognava far conto delle visione et desiderarle, perchè, moltissime volte, la persona resta ingannata. Et, per questo, disse, che, essendo, una notte, apparso, a un suo figliolo spirituale, chiamato publicamente il Ferrarese, il demonio, in forma della Madonna Santissima, la mattina seguente, il detto huomo gli racontò la visione hauta, et che lui li disse : « averti : non è stata la Madonna, quella che t’è apparsa, ma il demonio ; et, per segno, se t’appariscie più, sputagli in faccia». Et che, la notte seguente, gli apparve il demonio, similmente, in forma della Madonna, et che, sputandogli lui in faccia, per obedire al beato Filippo, il demonio sparve. Et che, ap­ parendoli, poi la Madonna Santissima, et che, volendogli lui sputare,

    1708 Queste giaculatorie si leggono anche nella lista riferita da Francesco Zazzara, ff. 323-324. Si veda la nota 960. ito » Era κ qualche libro vulgare », « de historié, poesie o cose slmili », come precisarono 11 card. Girolamo Pamphili e Giacomo Crescenzi, al ff. 470 e 530, rispet­ tivamente. Si veda anche al f. 391.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 695-696

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    non possè mai sputare ; et che la Madonna gli disse : « hai fatto bene ad obedire ». Et tutto questo l’intesi dal beato Filippo, et vi erano, ancora, altri presenti, delli quali non me ricordo. Mi trovai, ancora, quando si gittò a terra un tetto della chiesa vechia di S. Maria in Yallicella, et intesi dire, all’hora, publicamente, che li muratori trovorno, nel volere gettare a terra detto tetto, un trave, che stava fori del muro da una banda, e stava miracolosamente in aria. E che il beato Filippo haveva dato ordine, che si gettasse a terra detto tetto, con dire a quel padre, che haveva cura della fabrica (quale mi pare, che si chiamasse m.s Gio­ vanni Antonio Lucci) che facesse levare quel tetto, perchè lui, la notte, haveva veduta la Madonna Santissima, che, con le sue mani, lo sosten­ tava. Et, come ho detto, fu trovato il trave, che reggeva [f. 696] detto tetto, che, miracolosamente, si regeva in aria. Et questo fatto si rac­ contava, all’ hora, quando successe, publicamente, da moltissime persone, et ne è stata et è publica voce et fama. Andando io, un giorno, dal beato Filippo, alcuni anni prima che morisse, per reconciliarmi, secondo il mio solito, trovai il beato Filippo, a sedere in una sedia, che faceva oratione. Et io m’acostai, et m’ingenochiai avanti a lui, et pensavo, che mi vedesse et sentisse. Et io ragionavo, et poi m’accorsi, che stava in estasi, astratto, perchè non mi rispondeva, et stava con li occhi aperti, et, dalli gesti et volto, m’accorsi, che era astratto in oratione. Et, doppo molto tempo, tornò in sè, me reconciliò, et io non gli disse niente, che ero stato lì un gran pezzo, inginochione, senza che lui mi havesse veduto. Al tempo di Gregorio 13°, andai, un giorno, con il beato Filippo (et vi era ancora il p. Antonio Gallonio) a parlare a detto papa. Et noi re­ stammo nella anticamera di sua santità, et il detto beato padre, entrò solo, dentro. Et, quando uscì fori, disse al p. Antonio et a me: « Io ho fatto una pazzìa ; io ero for di me, quando son entrato in camera di sua santità ; sono arrivato vicino alla sedia di sua santità, e non mi ero ac­ corto che v’era il papa, et non mi ero cavato ancora la beretta ». Et non si poi dire, che il beato padre havesse corta vista, perchè so di certo, che haveva bonissima vista, et, fino all’ultimo, diceva la Messa, l’OfQtio, et legeva altri libri, molte volte, senza occhiali.1710 Et bisognò, che, quando entrò nella camera del papa, fusse astratto in qualche bon pensiero, ma a noi non ce lo disse. M.s Vincenzo da Fabriano, quale era stato, molti anni, figliolo spirituale del beato Filippo, et era amato assai da lui, stando ammalato, nella piazza del Duca,1711 della quale infermità morse, andai, per molti mesi, ogni giorno, insieme con il p. Antonio Gallonio, a visitarlo, per ordine del beato padre. Et, un giorno, il detto m.s Vin­

    1710 La notizia conferma quella del Bacci, 1. II, c. 4, n. 11, già recata nella nota 434. 1711 Vincenzo Teccosi doveva abitare presso il fratello, 1’ « aromatarius » Pietro Paolo : si veda la nota 83. In piazza Farnese, angolo di via dei Baullari (fino al secolo passato in vicolo del Gallo) si trova una farmacia, rimodernata ma risalente al secolo xvi, che F. frequentava. Essa si deve probabilmente identificare con la « spitiaria di Clemente V i l i in Campo di Fiore detta della Regina », ricordata da G iu l io M an cin i , Considerazioni sulla pittura, pubblicate per la prima volta da A dbiana M arucchi con il commento di L u i g i S alebno. Roma, Accademia nazionale

    dei Lincei, 1956-57 (« Fonti e documenti inediti per la storia dell’arte », I), v. I, p. 20; v. II, p. 5 n. 34.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. fi. 696-697

    cenzo ci disse, che il p. Filippo era un santo, e disse molte cose di lui, degne di persona santa. Tra le quali disse, che, una volta, an­ dando, con il detto p. Filippo, verso Termine, per la strada dritta di Porta Pia, apparse un giovene, in un cantone, il quale hora era bello, hora brutto. Et il p. Filippo se gli acostò, guardandolo, e li disse : « da parte di Dio, te commando mi dichi chi sei », et subito sparì, et lasciò un puzzore di solfo. Et questo fatto io l’intesi, doppo, da molte persone, quali hora non mi ricordo ; ma se diceva pubicamente dalli soi figlioli spirituali. 38. D e charitate erga p ro xim u m in his quae ad corpu s p ertin en t. Io so, che il beato Filippo era tutto carità, et io l’ho provato in me stesso ; che, ogni volta, che mi ricordo di quello, che ha fatto, per mia salute corporale et spirituale, non mi posso contenere dalle lagrime. Et ho veduto et osservato, che faceva così con tutti, con nobili et con igno­ bili, con poveri et con ricchi, con homini e con donne, con religiosi et con tutti. Et ho veduto, che, molte volte, faceva elemosine in grosso, per maritare o monacare zitelle, et per altri bisogni. Et a me, havendo, una volta, un bisogno, mi prestò ottanta scudi ; et, doman­ dandomi quando gli havrei possuto rendere, io gli disse : « a tal tempo», e lui mi disse: «io gli voglio dare, all’hora, tutti, alla tal zitella (mi pare fosse di casa Animuccia)1712 per farsi monacha ». [f. 697] Et so, che diede, per eleemosina, alla detta zitella, tutti li detti ottanta scudi, che haveva prestati a me. Et mi dava, anco, almeno una volta la settimana, et, molte volte, due, et, anco, spesse volte, più, un cartoccio, con tre scudi in circha, di mezzi grossi et grossi, et me li faceva portare alle cassette delli prigioni di Corte Savella ; hora, alle zitelle di S. Catherina de Funari ; et, hora alla cassetta, quale, all’hora, tenevano in chiesa di S. Girolamo, della compagnia della Carità. Et ho inteso, che faceva il medesimo con altri. Et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. Nelli primi anni, che io conobbi il beato Filippo, con bona occa­ sione di raccomandare l’elemosina, che all’hora era caro il pane, intesi raccontare, dal medesmo beato padre, che, mentre lui era giovene, andava facendo opere della charità. In particolare, portando lui certo pane, ad alcune povere vergognose, di notte, passando presso l’ Orso, cascò in un condotto, et che era una profonda fossa, et che, cadendo, si sentì sollevare et cavato fuori di detta fossa, et che non hebbe di­ spiacere alcuno. Et, la mattina, passando de lì, con un de Crivelli, videro il pricipitio, et si maravigliorno, che lui fosse stato così liberato. E questo fatto si raccontava anco, pubicamente, dalli figlioli spirituali di detto beato padre et ho inteso dire, più volte, che il detto beato Filippo racontò questo miracolo a diversi, per animarli alle elemosine et alle opere bone. 41. D e hum ilitate. Io so, che il beato Filippo si godeva grandemente di trattare, con tutti, con semplicità Christiana. Et l’ho sempre osser­ vato, che fugiva ogni sorte de ostentatione, et nel vestire, nel parlare, 1712 Di nipoti di Giovanni Animuccia, maritate o monacate, con doti per le quali F. aveva sborsato « da cinquecento o seicento scudi », aveva già fatto me­ moria Marcello Vitelleschi, f. 234. Si veda anche la nota 1893.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 697-698

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    et in tutte le sue attioni, cercava sempre di nascondersi. Trattava, con tutti, alla libera, senza troppo1cerimonie, et l’ho osservato, moltissime volte, che, con prelati, vescovi et cardinali, fugiva ogni sorte di cere­ monie cortegianesche, et trattava con gran libertà Christiana. Et mi è parso, sempre, il magior miracolo del mondo, il vedere, che sempre, o con gesti, o con parole o con qualche facetia, cercava sempre de ocultarsi et nascondere il suo gran spirito et l’ opere sue sante. Et mi trovai presente, nell’ultima sua infermità, del mese di maggio 1595, nella quale lo communicò, per Viatico, il s.r card. Borromeo, et, quando vidde il Santissimo Sacramento, cominciò ad esclamare et piangere, dicendo, con grandissima efficacia et pianto : « non son degno, non ne fui mai degno, non ho fatto bene niuno », e tutti commosse a divotione et pianto. Et questa è stata cosa notissima, et lo possono testificare tutti quelli, che l’hanno conosciuto. 42. D e p a u p erta te. Io so, che il beato Filippo disprezzava tutte le cose del mondo, nè si curava di robba, et era grandissimo disprezzatore di se stesso : et questo l’ho veduto et osservato, per tutto il tempo, che ho conversato intrinsicamente con lui. Et so, che era tanto intrinsico amico, con moltissimi cardinali et papi, che, se havesse ambito a dignità ecclesiastiche, facilissimamente, ne haveria haute. Et mi son maravi­ gliato, sempre, che sapesse talmente trattare, con le persone grandi, intrinsicamente, et burlarsi, sempre, delle cose del mondo. Io gli ho, più volte inteso dire, in diversi tempi, et con diverse occasioni, che lui desiderava di venire a termine di povertà, per amor di Christo, che havesse bisogno de ogni minima cosa, et non trovassi chi ce la desse. Spesso, anco, soleva dire quelle parole : « Vanitas vanitatum etc. ; ogni cosa è vanità ; 1713 non vi è niente di bono in questo mondo », [f. 698] et cose simili. Quando alcuno stava male, et parlava di voler fare testa­ mento, non ne voleva sentire cosa alcuna, et non voleva trattare di testamenti : et a questo io mi son trovato, più volte, presente. Et so, che anco dava per documento, alli padri della Congregatione, che non si impacciassero nelli testamenti delli loro figlioli spirituali,1714 et non andassero dietro a robba. Et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 43. D e m ortification e. Io so, che il beato Filippo sempre cercava di mortificare li suoi figlioli spirituali, et so, che gli soleva dir spesso (et a me l’ha detto più volte) che la perfettione del christiano sta nel sapersi

    1713 Questa espressione entra anche nel ritornello del famoso «canto delle vanità », intonato durante il pellegrinaggio alle « sette chiese » ; del quale non risulta nota la data originaria, anteriore forse al tempo di F., L azzarini -G asbarri, La spettacolarità del « gaudium » e La visita filippina delle sette chiese, cit., pp. 40, 42. 1714 Circa questa delicata materia, già è stato osservato che cospicuo fu tuttavia il giro di denaro, per donazioni e testamenti, intorno a F. e alla congre­ gazione dell’Oratorio, specialmente per la costruzione della Chiesa Nuova : si vedano le note 1172 e 1182. Poco méno di una ventina di testamenti cita il L anciani , V. IV, pp. 69-71. Detrattoria e calunniosa, per la passione d’interessi personali creduti danneggiati, appare al riguardo la lettera, altra volta ricordata del Caro, e scritta non prima del gennaio 1562, A. G reco, San F. N. in una lettera inedita di Annïbal Caro, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, IX, 1955, pp. 260-74; specialmente, 268-73.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 698-699

    mortificare, per amor di Christo. Et haveva le sue stanzie, in S. Giro­ lamo, nelle quali non vi habitava niuno ; et ci era restata una sua gatta, la quale il p. Antonio Gallonio et io l’andavamo, mattina e sera, a governare: et questo fu per molti anni, fin che visse la detta gatta.1715 Et so, che si metteva la mano, spesso, alla fronte, et diceva, che la perfettione consiste in tre deta, cioè in sapere mortificare la rationale et il proprio discorso. Et cercava, anco, sempre di mortificare se stesso. Per questo l’ho veduto, più volte, star, per camera, senza sottana, con una camisciola rossa, che gli arrivava fino a mezza gamba, et, se bene veni­ vano signori o cardinali da lui, gli andava incontro, et li riceveva, et stava con loro così. Et, quando andava fuori, per ordinario, portava un paro di scarponi bianchi grandi da frati,1716 che gli le donava, spesso, il s.r card. Alessandrino ; et, quando se gli faceva fare, gli faceva fare sempre larghi et grandi. Et, in somma, con le continue mortificationi, era arrivato a tal stato, che era patrone delle sue passioni, et, sempre, si vedeva di un medesimo volto allegro et quieto, et pareva, che non sapesse adirarsi. Et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 45. D e abstin en tia. Io so, che il beato Filippo era de una vita molto austera, et questo lo so, perchè, per dieci anni continui, ho veduto, con­ tinuamente, matina e sera, quando se gli portava da mangiare, che man­ giava, per ordinario, solo, in camera. Et vedevo, che la mattina, gli portavano una pagnottella piccola battuta in una sacchettina di tela turchina, et un fiaschette, che non capiva più di uno bicchiere di vino et non altro ; e, di quella pagnottella, ne mangiava solo una particella, et il remanente del pane lo dava il beato Filippo, il giorno, a me, o ad altri, o lo mandava alla s.ra Lavinia della Rovere. Et, da quel pane che avan­ zava, mi acorgevo, che non mangiava più de un’oncia di pane. La sera, non mangiava mai carne, nè cose di latte, nè minestre ; et vedevo, che, per ordinario, non gli portavano, se non un’insalata di cicoria cotta, et una frittatella di dui ova ; et il p. Antonio Gallonio, all’hora, me disse, che, moltissime volte, non mangiava neanco quel pocho, che se gli portava, e, per ordinario, o lasciava di mangiare l’insalata, o la frittata. Et quando stava male, ho veduto, che li medici gli facevano pigliare qualche brodo et qualche biscottino : et sempre diceva alli medici, che 10 gravavano, et che lo facevano mangiar troppo. Et queste sono state et sono cose publiche, a tutti quelli, che hanno conosciuto detto beato Filippo. [f. 699] 46. D e patientia. Io mi son trovato presente a molte infermità del beato Filippo ; et soleva, per ordinario, ogni anno, haver qualche in­ fermità, et erano, per il più, gravi assai, et duravano alle volte, cin­ quanta et sessanta giorni l’una. Et io venivo, per ordinario, due volte 11 giorno, a visitarlo, et mi trattenevo, più hore, in camera sua. Et, 1715 La gatta famosa morì al principio del 1588, come si è riferito nella nota 715. 1716 Mancano più precise notizie sulla foggia e l’uso particolare di questi « scarponi », che a F. passava il domenicano card. Michele Bonelli. Calzari bianchi non risulta che i frati domenicani abbiano mai portato ; nè scarpe di colore diverso dal nero adoperano i cardinali frati, M oroni, Dizionario di erudizione storicoecclesiastica, vol. LXII. Venezia, 1853, p. 114. Si potrebbe perciò pensare, piuttosto, che si trattasse di scarpe di pelle non tinta (come sono, nuove, le scarpe dei soldati, di vacchetta).

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 699-700

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    sempre, l’ho osservato, che stava, nelle sue infermità, ancorché gravis­ sime, aiegro, et con il medesmo volto, come quando era sano, et mai si lamentava ; et, non solo non si lamentava, ma nè anco parlava della sua infermità, se non con gli medici. Et, ancorché havesse la febre, voleva confessare li soi figlioli spirituali, et teneva cura delle cose loro, come quando era sano, et me, sempre, mi confessava, ancor quando stava male. Et, mentre il ditto beato Filippo stava nel letto, infermo io vedevo, che stava sempre in atto d’oratione, et non sentivo uscire dalla bocca sua, se non parole d’edificatione et di devotione ; et gli ho sentito, mol­ tissime volte, dire, ragionando con Dio : « Signore, vói che io venga ; non ho fatto bene niuno ; voglio mutar vita, se io guarisco, voglio cominciare a far qualche bene », et parole simili. Et io ho osservato, moltissime volte, che il detto beato padre non haveva convalescenza, nelle sue infer­ mità, ma, subito che cessava la febre, subito si levava, et diceva Messa: et questo lo tenevano tutti per miracolo ; massime, che lui era vecchio, et la febre, per ordinario, era durata molti giorni. Insomma, in tutto il tempo, che l’ho conosciuto, sempre l’ho veduto patientissimo, in tutte l’occasioni, et sempre era d’ un medesimo volto, et pareva, che non sa­ pesse adirarse ; et, alcune volte, che, per fare la corretione, fingeva d’essere in collera, subito, si voltava ad alcuni delli astanti, et diceva: « che te ne pare? non pare che io sia in collera? ». Et queste sono state et sono cose publiche. 48. D e ca stita te. In tutto il tempo, che ho praticato con il beato Fi­ lippo, sempre l’ho tenuto per puro et vergine, et, per tale, era, communemente, tenuto da tutti ; nè mai ho veduto, nè sentito un minimo segno o parola contraria ; nè poteva patire de essere veduto nudo. Et intesi, in presentia del beato Filippo, raccontare, dal p. Antonio Gallonio (che non mi ricordo, hora, con che.occasione ; ma mi pare, che fusse con per­ suadere, che l’occasioni del peccato della carne si deveno fugire) che, mentre il beato Filippo era giovane, fu mandato a chiamare da una donna di cattiva vita, con scusa, che si voleva confessare : quale si chia­ mava Cesarea, et habitava in strada Giulia. Et che, andando lui, la detta donna se gli fece avanti, con un velo solo a carne nude, a capo le scale di casa sua, con provocarlo a peccato ; che, vedendo il beato padre questo spettacolo, gli voltò le spalle, e se ne andò via. Et che la detta donna, per collera, gli tirò dietro un scabello, per amazzarlo, et che non li fece male alcuno ; et il beato Filippo confermò tutto questo fatto. Mi disse, anco, il beato padre, che l’odore della purità si sente, et che lui haveva havuto, nelle stanze di S. Girolamo della Carità, una gatta, quale, avanti che facessi figlioli, [f. 700] gli odorava come di mosco. Et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 49. D e p ersevera n tia . Io so, che, in tutto il tempo, che ho conosciuto il beato Filippo, mai s’è partito da Roma, nè per andare al paese, nè per andare ad altri luoghi di ricreatione, nè meno per un giorno, et il più lontano viaggio erano le Sette Chiese. Et sempre perseverò, in Roma, affaticandosi, giorno et notte, per servitio di Dio, et salute delle anime. Et mai l’ho veduto in otio, ma vedevo, che sempre, o faceva oratione o diceva Messa, o diceva l’Offitio, o confessava, o ragionava delle cose de Iddio, o faceva altre opere simili di charità. Et, quando usciva fori di casa (et io son andato infinite volte con lui) sempre andava a visitare

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 700-702

    qualche chiesa, o vero a visitare qualche infermo, o a fare altra opera di charità, et ho veduto, che ha perseverato, fin al fine della vita sua, in opere buone et sante. Et, l ’ultimo giorno della sua vita (che fu alli 25 di maggio, il giorno della festa del Santissimo Sacramento, la notte, passata la mezzanotte) la mattina istessa, disse Messa, comunicò alcuni suoi figlioli spirituali, ne confessò moltissimi, disse l’ Oflìtio con il s.r card. Cusano et con mons. Pamphilio, all’hora auditore di Bota, hora cardinale et vicario di sua santità. Intese dire, all’hora, da molte persone, che si predisse, la sera medesima, la morte et l’hora della morte, et che morì, sedendo sopra il letto, senza fare gesto alcuno incomposto, come sogliano fare li morienti, ma morì in atto de oratione. Et di queste cose n’è stata et è publica voce et fama. 51. Miracolo in persona mia. [A quanto il teste ha già deposto (voi. I, pp. 7 -10) qui sono aggiunti solo pochi particolari, per esempio: «M i ritirai, per paura della Corte, nel monesterio di S. Gregorio, vicino alla chiesa di SS. Giovanni e Paolo, dove, all’hora, era priore d. Gregorio Rondone, mio parente. Et, essendovi io stato alcuni giorni, fu portato, in detta chiesa, un morto o morta (che non mi ricordo) et, con questa occasione, io uscii in chiesa». Dopo leggiamo: «m i mise ad interro­ gare questo spiritato, chiamato Hercole, quale lo condussi dentro nel chiostro del convento. Et, doppo molti ragionamenti, mi disse, che ero spiritato io ; et subito, in questo, mi venni meno, e serei caduto in terra, se non fussi stato agiutato da alcuni frati ». Dopo aver ag­

    giunto, che i tre medici, ai quali si era rivolto, Ginnasi, Stagno e Paolo dell’ Aquila, erano già morti, e dopo aver detto della propria insonnia: « Et questo durò per spatio di tre mesi in circa et più », troviamo, a proposito della visita fattagli da s. Filippo in casa di Mario Capizucchi: « Il quale, subito che venne lì, mi toccò, stringendomi il capo, et mi disse : “ sta’ allegramente ; fatti rivedere alla chiesa da me ” ; et ci stette un pezzo, e cognobbe, che era humore melanconico ; et fece cantare il p. Antonio Gallonio alla norcina, per tenerme alle­ gro : et a questo, vi fu presente mia madre, quale morì l’anno 1590, il p. Nicolò Gigli, confessore di dette Moniche [donna Gherubina e donna Prudenza Savelli, oliate di Tor de’ Specchi] et sor Cherubina et sor Prudentia, quali tutti son morti ». Narrando della prima visita fatta, invece, da lui a s. Filippo, alla Chiesa Nuova, aggiunge : « e la parte del core batteva assai, che si sentiva fuori delle veste, et tre­ mava tutto ». Dicendo, poi delle sue confessioni a s. Filippo, ogni mattina, aggiunge: « i l che durò molti mesi». D opo: «V o i sete un santo», aggiunge: « E questo lo dicevo, perchè, quando stavo vicino a lui, o in sua presentia, mi sentivo senza affanno, aiegro, e stavo benissimo, et così seguitavo»]. 51. [Ripete alla lettera, dalla pag. 11 del I volume, il racconto

    della guarigione di Franceschino, figlio di Maurizio Anerio, assegnan­ dola con precisione al 1585 e dicendo che il ragazzo aveva circa quat­ tordici anni e che egli era presente quando il ragazzo venne alla Vallicella a baciar la niano a s. Filippo]. Io so, che il beato Filippo havea un involto quadrotto, di fori co­ perto di ermosino rosso, tutto cuscito intorno intorno, che non si poteva vedere quello che vi fusse dentro ; et questo stava dentro un’altra borsa

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 702-704

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    di drappo ; dove si diceva, pubblicamente, che vi erano le reliquie per le partorienti. Et esso beato padre le prestava alle donne partorienti, et, moltissime volte, ho veduto, che diverse donne partorienti manda­ vano a pigliare dette reliquie; et intese dire, da diversi, publicamente, in diversi tempi, che niuna delle donne, che havevano hauta detta borsa adosso, era perita in parto. Et io l’ho esperimentato in mia moglie, Lucretia Garimberti,1717 quale è viva, et, nell’anno 1593, del mese di decembre, essendo gravida di nove mesi, stette dui notte e dui giorni con li dolori di parto grandissimi, et era primarola. Et venni a pregare il beato Filippo, che mi prestasse detta borsa di reliquie, et me la prestò, dicendomi : « portali questa borsa, et non dubitare : non ci serà pericolo ». Et, tenendo mia moglie detta borsa adosso, partorì, senza pericolo della vita, una figliuola femina, quale è monaca a S. Lo­ renzo in Pane e perna.1718 51. [Ripete quanto ha detto a pp. 151-152 del II volume sulla morte di Carlo Mazzei, aggiungendo, in fine: « E disse il beato padre, che il detto s.r Carlo morse bene, et, che, con questa parola (cioè “ m’ap­ pello a Filippo”), s’era liberato dalle mani del demonio, et era morto in bon stato. Et, con questo essempio, ci mostrava il beato padre, che il demonio ha paura del padre spirituale »]. 51. [Ripete quanto ha detto a pp. 13-14 del I volume, della car­

    rozza caduta nella buca piena d’ acqua presso S. Maria in Cosmedin, assegnando il fatto al 15S8 all’ incirca']. Et questo tutti lo tenemmo per miracolo del beato Filippo, perchè la fossa era quadra et profonda : il che si vedeva, perchè vi stavano dentro, sotto acqua, tutti doi li cavalli, et le due rote dinanzi della carozza ; et, uscendo fuori li cavalli, bisognava, che vi cadesse il resto della carozza. Et, subito che il beato Filippo andò a far oratione, uscirno, mira­ colosamente, senza alcun agiuto humano, tutti doi li cavalli sani : de quali almeno uno ci credevamo tutti, che fusse morto, et si tornò, con la medesima carrozza, a casa. Et il beato Filippo bisognava, che havesse previsto tutto questo, in spirito, perchè lo trovammo, fuori della chiesa, che veniva verso noi, ritornando a dietro. 51. [Ripete, assegnando i fatti al 1588 circa, quanto ha narrato, a

    p. 152 del I I volume, del ritorno verso porta Latina, dopo la colazione alla Caffarella, durante una visita alle Sette chiese]. 60. Dell’anno 1584, mi venne, per miei peccati, et per mostrare la virtù del santo padre Filippo, un altro male (doppo essere libero dal primo, detto di sopra, ne l’articolo generale) nella verga naturale, qual 1717 Della quale si legge il necrologio, nella raccolta del G alletti , da libri di S. Maria in Campitelli : « 16S4. 15 febr. f Perill. D. Lucretia Galimberta vidua q.m Francisci della Molara roma. ann. 69 in domo sua. Sep. in Araceli, LXIV, cod. Vat. lat. 7879, f. 29. 1718 Nel monastero presso l’antica chiesa di S. Lorenzo in Panisperna (detta anche nel medioevo « in Formoso », e nominata in documenti della fine del sec. vin e principio del ix, H u elsen , pp. 292-93, e A r m e l l in i -C ecchelli , pp. 249-51) furono, dal see. xiv, le Clarisse ; se ne rinnovarono più comunità, diverse anche per l ’abito, fino all’espropriazione totale del convento, che si compì in forza delle leggi eversive italiane, con decreto del 12 ag. 1877, A ndrea da R occa di P apa , min. osservante, Memorie storiche della chiesa e monastero di 8. Lorenzo in Panisperna. Roma, Tip. editrice romana, 1893, pp. 12-24.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 704-705

    mi dava gran fastidio, et erano due buchi, nella testa della verga, che pareva, che fusse foco di s. Antonio, et erano negri, et si cominciavano a gonfiare ; et io mi vergognavo mostrarlo. Con tutto ciò, dubitando della vita, andai a trovare m.s Pietro fiamengo, quale stava alli Cappellari, et era medico fisico et anco cirugico. Et, vedendo il male, lo giudicò essere grave assai, et mi disse : « per adesso, non vi voglio porre altro, che una pezzetta, bagnata nell’acqua rosa, et staremo a vedere quello che fa hoggi ». Et, sentendo questo, subito partito dal detto medico, che era doppo pranzo, piangendo, andai a trovare il beato Filippo ; et, subito che entrai nella sua camera, nelle stanze della Vallicella, lo trovai solo ; e, subito che mi vidde, prescio 1719 et consapevole di quanto gli volevo dire, mi conobbe, et disse : « che cosa c’è? ». Et, senza che io specificassi bene il mio male, mi disse : « vien qua ; sta’ cheto ; mostra qua » . Et io havevo un poco di timore, et mi rendeva dificile a mostrare detto male, per la vergogna, et il beat© padre replicò : « mostra qua » et così io li mostrai. Et il male, come ho detto, erano due cose negre, che cominciavano a gonfiare, et, in mezzo a queste cose negre, c’era un busio per ciascheduna, et mi davano gran fastidio et travaglio, et non sapevo che se fosse, perchè io non havevo suspetione di male, massime che, per cinque o sei mesi, era stato figliolo spirituale del beato Filippo. Et dubbito, che fosse per li miei peccati passati, acciò io, con più [f. 705] frequentia, seguitasse, doppo il miracolo, la disciplina et documenti del beato Filippo. Et io, acco­ standomi piangendo, dissi : « Padre, per i miei peccati, mi è intervenuto questo male », specificandolo. Et il detto padre mi fece serrare la porta della sua camera, et, con grande instanza che mi fece, io li mostrai il male, et, subito, detto beato Filippo, alzando gli occhi al cielo, tutto tremando, mi toccò nel logo del male, et, pigliando il beato padre quella pezzetta, bagnata nell’acqua rosa, la gittò via. Et io, subito doppo esser tocco, due volte, dalle mani del beato Filippo nella parte offesa, mi senti cessare il dolore, e mi trovai sano e guarito affatto. Et, quando, il beato Filippo levò la detta pezza, bagnata nell’acqua rosa, io viddi, nella verga naturale, il medesimo male, che vi era, delli dui buchi negri, come v’erano, avanti che andasse dal medico. Et, subito partito dal medico, senza met­ tervi tempo in mezzo, andai a trovare, piangendo, il beato Filippo. Et non mi fece medicamento naturale di sorte alcuna, nè di herbe, nè di parole, se non della pezzetta, bagnata nell’acqua rosa, quale, come ho detto, non mi giovò. Ma, subito che mi toccò il beato Filippo, tremando, et facendo oratione, subito mi trovai guarito affatto, et senza dolore : et mai più ho patito male di sorte alcuno, in detta parte. Et, vedendo io così gran miracolo, cominciai a gridare : « miracolo, miracolo » ; et il beato padre mi dette su la voce, dicendo : « sta’ cheto ; non è niente, un poco di inflammatione». Et io replicai: «io son guarito; voi sete un santo; voglio far sapere per Roma, che sete un santo ». All’hora il beato Filippo mi disse : « sta’ cheto, sta’ cheto : non è vero » ; et io, di novo, dicevo : « io son guarito ; io voglio andare per Roma, e dire, che sete un santo ». Et il beato Filippo replicava: « non è vero ; sta’ cheto ; non dir niente ; non voglio che lo dichi ; fa’ che non dichi niente, nè meno 1719 Prescio, per presciente, presago, anche in esempio, citato dai dizionari, del card. S forza P alla vicino , Vita di Alessandro VII.

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    ■ΐψ.·'

    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 705-706



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    ne parli con persona alcuna ». Et, dall’hora in poi, sempre, io l’ ho tenuto per un santo, et, ancora che il beato Filippo mi havesse detto, che era riscaldatione, mi accorgevo, che lo diceva, acciò che io non manifestassi la sua santità, et il miracolo fattomi in instanti, del quale lui conobbe, che io me ne ero accorto. Et so, che non era cosa da sanarsi così subito, come fece, perchè vi erano dui busci negri, che si cominciavano a gon­ fiare. Et fu tale il comandamento, che esso beato padre mi fece, che io non dicessi niente, di questo miracolo, che io, mai, vivente detto beato Filippo, hebbi ardire di dirlo ad alcuno, et, per non dissubedire, mai ne parlai, e non volevo nemeno dirlo, doppo la morte di detto beato padre. Ma, nel principio che morì, sentendo diversi miracoli di detto beato Filippo, mi venne un rimordimento di coscienza grandissimo, et non trovavo luogo, et mi sentivo stimolato a manifestare questo miracolo. Et, alla fine, non trovando requie [f. 706] nella mia coscientia, disse al p. Antonio Gallonio, mio confessore, quale è morto, tutto il fatto, con consigliarmi, se lo dovevo palesare, havendomi comandato il beato padre, che non dicessi niente. Et il detto p. Antonio mi disse, che quel comanda­ mento se intendeva, mentre il beato Philippo viveva, et che, doppo la sua morte, ero obligato a manifestarlo, per gloria di Dio. Et, così, me ne essaminai dal s.r Iacomo Butio, Panno 1595, del mese di agosto, et, hora, lo confermo di novo, per la verità. Et, ogni volta, che me ne re­ cordo et ne parlo, non lo posso raccontare nè ricordarmene, senza lachrime. 66. Io ho sentito dire, dal beato Filippo, che, mentre papa Clemente Ottavo, nel principio del suo pontificato, stava malissimo de un dolore della chiragra in una mano, lui l’haveva liberato dal detto dolore, con stringerli la mano. Et il beato Filippo raccontava questa cosa ridendo, come burlandosene, et diceva : « mentre il papa mi diceva, che gli doleva assai ; che non m’accostassi ; et non lo toccassi, et io tanto più stringevo la mano, dicendoli, che non dubitasse ». Et questa cosa il beato padre la disse, a me e ad altri, ridendosene, perchè sapeva, che il papa istesso l’ haveva detto lui a molti. 82. D e opinione sa n ctita tis. Io, in tutto il tempo, che ho conosciuto il beato Filippo, sempre l’ho tenuto per santo, et ho veduto, che, communemente, tanto da huomeni, come donne, tanto da prelati, da vescovi, da cardinali, et da papi, è stato tenuto per huomo santo. Et io, mentre il detto beato padre viveva, quando potevo havere qualche pezzo di pane, di quello che gli avanzava, l’havea carissimo, et me lo portavo a casa, et mangiavo, come cosa de un santo. Molti anni prima, che il beato Fi­ lippo morisse, io hebbe una sua camisola, et una sua corona, quali, sempre, l’ho tenute et tengo per reliquie, et tengo carissime. Ho veduto venire, dal beato Filippo, molte persone insigne, per consigliarsi da lui, quali, tutte, lo riverivano et stimavano per santo. In particulare, fra gli altri, mi ricordo del duca di Mvers,1720 padre di questo duca, che vive

    1720 Ludovico Gonzaga, terzogenito del duca di Mantova Federico II, naturalizzato francese perchè erede dei beni posseduti in Francia dall’ava materna Anna d’Alençon, marchesa di Monferrato (madre di Margherita Paleoioga, moglie di Federico II Gonzaga) sposò Enrichetta di Clèves, erede, per la morte del fratello, dei ducati di Nevers e di Réthel. Morì il 24 ott. 1595, M atilde E nbioa B ram billa ,

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 706-707

    hoggi,1721 quale venne più volte, dal beato Filippo, che io lo viddi venire, et so che si consigliò, con il detto beato padre, nel negotio della rebeneditione del re di Francia,1722 et so, che lo teneva per santo. Ho visto ancora venire, dal beato Filippo, spesse volte, molti cardinali : in parti­ colare, mi ricordo havervi veduto, spesso, il card. Paleotto, il card. Ales­ sandrino, il card. Santa Severina, il card. Borromeo giovane, il card. Cu­ sano, il card. Sfondrato, quale fu Gregorio X IIII, il card. Aldobrandino, quale fu Clemente Ottavo, il card. [f. 707] di Firenze, quale fu papa Leone XI, il card. Paravicino et altri. Io so che, quando il beato Filippo andava da Gregorio 13°, non se li teneva portiera, ma, subito che arrivava, entrava in camera di sua santità ; et io l’ho veduto più volte (che andavo con lui) ; et il medesimo so, che faceva Gregorio X IIII, et papa Cle­ mente Ottavo; et so, che quante persone, insigne di santità, erano, o venivano a Boma, tutte venivano dal beato Filippo, per consegnarsi, per conoscerlo, et per honorario come santo ; et io mi ricordo, hora, di fra Felice cappuccino, del p. Marcellino, di Marta da Spoleti,1723 et altri. Et queste sono state et sono cose publiche. Lodovico Gonzaga duca di Nevers (1589-1595), su documenti nuovi. Udine, tip. Del Bianco, 1905. 1721 Carlo Gonzaga, figlio di Ludovico, duca di Nevers; fu a Roma, amba­ sciatore straordinario del re di Francia, dal novembre 1008 al gennaio 1609, e ne rimangono memorie di cronaca, O rbaan, pp. 126, 128, 129, 133. 134, 135, 278. In questa occasione, rivolse la sua istanza a Paolo V per la concessione della messa e dell’ufficio propri alla congregazione dell’Oratorio, e per la canonizzazione di F., B acci, 1. IV, c. 10, nn. 4-5. Egli divenne duca di Mantova dopo la morte di Vincenzo II, ultimo del ceppo italiano dei Gonzaga, nel dicembre 1627. Rientrò nel settembre 1631 nello stato e nella città, devastati dalla guerra di successione, e morì il 22 sett. 1637, R omolo Q u azza , Mantova attraverso i secoli. Mantova Tip. editoriale de « La voce di Mantova », 1933, pp. 170-215. 1722 Ludovico Gonzaga duca di Nevers, mandato da Enrico IV ambasciatore a Clemente V i l i , per ottenerne l’assoluzione, arrivò a Roma il 21 nov. 1593; 1*8 di­ cembre visitò F., che sostenne risolutamente fino all’ultimo, assieme alla congre­ gazione dell’Oratorio, la causa del re di Francia, B ordet-P onnelle , pp. 493-97 (vers, ital., 470-75). Il duca lasciò la città il 14 genn. 1594, senza avere apparentemente ottenuto l’esito favorevole della sua missione, P astor, v . XI, pp. 60-72. Una lettera di « Ioannes a Bosco olivarius S. Th. magister abbas Belliloci ordinis Cistercensis atque christianissimi Francorum regis consiliarius et condo­ nator » a Enrico IV, senza data, riguardante specialmente le relazioni della con­ gregazione dell’Oratorio e di F. con Enrico IV e la Francia, si conserva, nella minuta o copia francese e in traduzione italiana, nel cod. A. IV. 15. ff. 488-497, dell’Archivio della congregazione di Roma. Una lettera, inoltre, del duca di Nevers Ludovico di Gonzaga al p. Tommaso Bozzio, in data 25 mar. 1594, è nel cod. A. III. 51, n. 17, dell’Archivio stesso. 1723 In aggiunta di quanto detto su Marta da Spoleto nelle note 361 e 1347, si può comunicare che a Sustrico, presso Spoleto, nella cappella di una casa di campagna (ora proprietà del prof. Carlo Pietrangeli, che ne ha dato cortesemente notizia) si conserva un grande quadro con una vecchia inginocchiata avanti a s. Filippo Neri. Una leggenda reca : « Marta Scella uxor / Francisci Angeli Laeti / sancta nuncupata / Sancti Philippi Neri / internam ac super - / naturalem pulcritudinem / Dei dono agnoscit et / veneratur 1588 ». In basso è lo stemma Leti unito a quello Scelli. Poiché « Marta da Spoleto », della quale evidentemente si tratta, in contrario a quanto riferito nella nota 361 da B obdet-P onnelle , p. 537 (vers, ital., 510), non era popolana, ma di nobile famiglia. Gli Scelli sembra siano un ramo dei Signori di Pianciano e diedero un senatore a Roma; i Leti (ai quali appartenne un tempo quella casa di campagna) risultano presenti fino dal see. xv a Spoleto, usarono dal xvii il titolo di marchese e ebbero vari prelati e un cava­ liere di Malta.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 707-708

    17

    83. Io so che, non solo è stato tenuto per santo in vita, ma, molto più, doppo la sua morte ; et so, che infinite persone si sono raccoman­ date et si raccomandano alle sue orationi; et io, in tutte le mie cose, sempre mi raccomando a lui. Ad un mio figliolo, nato doppo la morte del beato padre, gli ho messo nome Filippo,1724 per sua devotione. Ogni sera, dico alcuni « Pater nostri » et alcune « Ave Marie » ad honore suo, et, ogni giorno, dico una coronina et cioè sessantatre volte : « Sancte Philippe, ora pro me » ; et il medesimo so, che fanno molti altri, et lo fo fare in casa mia, a tutti. Nel principio, che io capitai nelle mani del beato Filippo, mi durorno, per molti mesi, alcuni spaventi et tentationi gravissime, talmente, che non potevo dormire la notte. Et redicendolo al beato padre, mi disse : « quando ti vengono questi spaventi de demoni, mandali da me ; et dilli, che il demonio ti tenta: “ ti accusarò a Felippo” ». Et io, infenite volte, di notte et di giorno, nelle tentationi et timori che havevo, ho fatto quello, che mi diceva il beato Filippo, et, subito che dicevo con fede quelle parole : « t ’accusarò a Felippo », cessavano le tentationi, m’addor­ mivo et mi sentivo quieto. Et io, questo, l’ho sempre tenuto per miracolo di detto beato padre, et che li demoni havessero paura di sentirlo nomi­ nare. Et ho inteso, che, a molti, haveva detto il medesimo rimedio ; et queste sono state et sono cose pubbliche. 84. Io so, che fumo fatti molti ritratti del beato Filippo, mentre lui viveva, et molti più ne sono stati fatti doppo morte. Et io ne tengo uno ad olio, in casa \mia, et molti altri di carta, avanti li quali ho fatto sem­ pre et fo oratione, come avanti effigie di santi. Et so, che il medesimo hanno fatto et fanno moltissime persone. Et so, che tutte le cose, delle quale si serviva il beato Filippo, mentre viveva, tutte sono conservate, et si conservano per reliquie ; et ho inteso, che il Signore ha operato molti miracoli, per mezzo di dette sante reliquie. Et queste sono state et sono cose publiche. [f. 708] 85. Io mi son trovato presente, ogn’anno, doppo la morte del beato Filippo, alla sua festa, nella chiesa di S. Maria in Vallicella, alli 26 di maggio, nel qual giorno il detto beato morì. Et si cominciò a far la festa il primo anno doppo la sua morte, cioè l’anno 1596. Et, in detto giorno, ho veduto che, sempre, si è ornata et orna detta chiesa, come fanno nelle feste più principali; et, sempre, ho veduto, che, in detto giorno, si è cantato, in detta chiesa il primo et secondo Vespero, et anco la Messa, con musica a tre et quattro chori. Et ho inteso, in detto giorno, ogni anno, far diversi sermoni, in chiesa, publicamente, in lode del santo padre : alcune volte, fatti dal card. Baronio ; altre volte, dall’abate Maf­ ia ; et, altre volte, da altri padri di detta Congregatione. Et, sempre, in detto giorno, ho veduto, che è stato grandissimo concorso di gente, a detta chiesa, di cardinali, vescovi, prelati, et quantità grandissima di 1724 Nella raccolta del G alletti , da libri di S. Maria in Campitelli e di S. Maria in Aracoeli, si leggono le due note : « 1644, 12 iunii f Perill. d. Philippus de Molara ann. 40. Sep. in Araceli in sep. familiç. LXIV », « 1644. 14 iunii. Sep. d. Philippus Valentini de Molaria in sep. maior. XXIV », cod. Vat. lat. 7880, p. 34. Un altro Filippo della Molara, anch’egli della parrocchia di S. Maria in Campitelli, era stato sepolto il 16 feb. 1634 in Aracoeli, cod. Vat. lat. 7879, f. 29: nell’ultimo caso, si tratta certo di parente.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 708-709

    popolo, così huomini come donne de ogni sorte. Et queste sono state et sono cose publiche. 86. Io so, che, l’istesso anno che il beato Filippo, morì, si cominciorno ad essaminare testimonii, sopra la vita et miracoli suoi ; et mi essaminai ancora io, dal s.r Iacomo Butio, canonico di S. Giovanni in Laterano et notario della visita di sua santità. Ma all’hora disse poche cose, perchè non vi havevo pensato, come ho fatto adesso ; et so, che mi son scordato di molte cose, perchè non vi badavo. 87. Io ho veduto, doppo la morte del beato Filippo, che, subito, della camera dove lui haveva habitato et era morto, se ne fece una cappella, nella quale vi fu portato il medesimo altare,1725 nel quale lui, per prima, haveva detto la Messa per molto tempo. Et, al detto altare, nel quadro, fu dipinto l’istesso beato padre in atto di santo ; et vi s’è detto et vi si dice la Messa continuamente ; et io ce l’ho sentita, più volte ; et, sempre, ho sentito dire, publicamente, che papa Clemente Ottavo diede licenza, che vi si potesse dire Messa. Et, intorno a detta camera, vi furno dipinti, in tela, ad olio, dal s.r Christofaro delle Pomarancie, alcuni miracoli, delli principali, del beato Filippo. Et, dal primo anno, che il beato padre è morto, ogni settimana, si è detto, per ordinario, in detta camera o altrove, ogni venerdì, le letame, alcuni altri « Pater Noster », et « Ave Marie », in honore del beato Filippo, per memoria, che in quel giorno morì (cioè il giovedì notte della festa del Santissimo Sacramento, pas­ sata mezzanotte) ; et, a detta devotione, per ordinario, vi sono venuti et vi vengono il s.r abbate Crescentio, il s.r Marcello Vitelleschi, il s.r Ca­ millo Pamphilio, il s.r Fabritio Massimi, molte volte, vi vengono li s.r Cinquini,1726 et altri molti; et io mi vi son trovato, per ordinario, ogni settimana. E di queste cose, ne è stata et è publica voce et fama. [f. 709] 89. D e frequ en tia sepulcri. Io so, che, subbito doppo la morte del beato Filippo, sempre, è stato et è grandissimo concorso, di gente d’ogni sorte, al suo sepolcro, a farvi oratione, non solo avanti si transfe­ risse in chiesa, nella sua capella, ma anco prima, mentre stava in un luogo alto di detta chiesa nella Vallicella, incontro l’organo. Et io ho, veduto infinite persone inginocchiate, a far oratione, al luogo dove è stato, et a quello dove sta. Et so che si cominciorno, pochi mesi doppo la morte di detto beato, ad attaccarsi diversi voti, alla sua sepultura, da diverse persone. Et, quando il suo corpo santo è stato in chiesa, nella sua capella, li voti de ogni sorte, et la divotione del popolo, verso detto beato, è cresciuta molto più, et ve s’è detta sempre, et ve si dice Messa, et da tutti, communemente, è chiamata la capella del beato Fi­ lippo. Et so, che vi sono stati offerti molti doni, di drappi, di lampade

    1725 La notizia conferma quella delPiscrizione preparata per la primitiva stanza-oratorio: se ne veda il testo nella nota 1419. L ’altare ligneo (cavo nel­ l’interno e con intaccature fatte da tagli di devoti) si venera ora nella cappelletta trasportata al primo piano dell’edificio della Vallicella, e che corrisponde alla cappella interna di s. Filippo, a terreno. Alla nota citata 1419 si aggiunga che la bozza dell’iscrizione preparata dal­ l’abate Giacomo Crescenzi si legge nei codici A. IV. 13 [a 29 mar. 1598] e A. IV, 15, f. 152, dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma. 1726 Sono- stati ricordati, precedentemente Muzio e Roberto Cinquini, sui quali le note 731 e 734. Comparve nel secondo processo Muzio, il 16 giu. 1609.

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    19 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 709-710

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    d’argento, con l’ entrata, acciò ardano giorno e notte avanti detto santo corpo, et sempre vi ardono almeno due lampade. Et so, che detta cap­ pella, nel giorno della festa del beato, s’ orna benissimo, più del solito, et v’ardono molte lampade. Et queste sono state et sono cose publiche et notorie. 91. Io so, che il beato Filippo haveva spirito di profetia ; et questo lo so, perchè l’ho inteso da molti, in diversi tempi, et con diverse occa­ sioni, a quali il detto beato havea predetto diverse cose. Et a me, in particolare ogni volta che l’andavo inanti, mi diceva tutti li fatti miei, avanti che io li dicesse, et sapeva meglio le cose mie, che havevo fatto, che non lo sapevo io. Et so, che sapeva le cose, che erano accascate a qualche persona, ancorché lui non ci fusse stato presente, Et, in particolare, mi occorse una cosa grandissima, et fu che, io havendo fatto, l’anno 1581, la confessione generale di tutti li miei peccati dal beato Filippo, me ero scordato un peccato mortale grave, et mi pensavo di haver detto tutti li miei peccati; et, doppo alcuni giorni, mi disse il beato Filippo, mentre mi reconciliavo, una mattina, da lui : « dimmi : non hai fatto il tale et tal peccato? », nominandolo in specie; et io li disse: « Padre, sì ». Et lui mi replicò : « perchè non te ne sei confessato? », et io gli dissi, che pensavo essermene confessato ; et lui mi disse : « non te ne sei confes­ sato », et così me ne confessai, et lui mi diede l’assolutione. Et la verità è, che io non me ne ero confessato, secondo che poi me ne recordai. L’anno 1591, del mese di maggio, stando io, una matina, con il beato Filippo, mi chiataò et mi disse : « che cosa faresti, Francesco, se morisse tua moglie? », et'io, sentendo questo, gli rispose: « non lo so, Padre », et il beato padre mi riplicò : « pensa a quello che faresti se tua moglie se morisse ». Et io non vi pensai altrimente, perchè mia moglie era giovene et sana, et non vi era una minima suspitione de infermità. Doppo che il beato Filippo [f. 710] me hebhe detto le parole dette di sopra, non passorno dieci giorni, che mia moglie s’infermò di febre, et, in quindici giorni, si morì. Et io, all’hora, mi ricordai delle parole, che me haveva detto il beato padre, cioè : « pensa a quello che faresti, se tua moglie si morisse ». Et si chiamava Fulvia del Cavalieri.

    L’ istesso giorno, che il beato Filippo si morì, cioè alli 25 di maggio 1595, la mattina della festa del Santissimo Sacramento, doppo essermi reconciliato dal beato padre, mi dimandò minutamente di tutto lo stato mio, cioè quanto havevo d’entrate, come stavano le cose, et mi disse tutto quello, che dovevo fare, tanto nelle cose temporali come nelle spi­ rituali: cosa, che non haveva mai fatto così distintamente, in tutto il tempo, che me ero confessato da lui. Poi mi disse : « Francesco, fa’ che, da qui avanti, tu seguiti a venire all’oratorio, a sentire li sermoni, et ricordati di legere libri spirituali et, in particulare, le vite de santi », et mi abracciò, facendomi carezze insolite, et come facesse la partenza. Et io mi maravigliavo di questo, ma non sospettai niente della sua morte, perchè stava bene e sano ; et, quella istessa mattina, disse la Messa : la notte, poi, morì. Et io tengo che, per quello che mi disse, havesse pre­ veduto la sua morte; et ho inteso, da molti, in diversi tempi et occa­ sioni, che il detto beato Filippo si predisse la sua morte in molti modi. Et di questo n’è stato et è publica voce et fama.

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    10 aprile 1610. [276] Francesco della Molara. ff. 710-711

    91. Alla moglie del s.r Carlo Gabrielle,1727 havendo partorito (mi pare fusse dell’anno 1587, overo ’88, o altro tempo) li medici l’havevano giudicata per morta. Et questo lo so, perchè mia moglie stette molte notte, per haver cura di detta donna inferma ; et io, ancora, ci andavo spesso ; et non so chi fossero li medici, et lei faceva atti di morta. Et mia moglie Fulvia del Cavalieri, quale morì l’anno 1591, et era sorella cugina di questa moglie del s.r Carlo, mi pregò, che menasse il beato Filippo a visitarla et ce lo menai. Et, subito che il beato padre arrivò, disse : « non dubitate », se accostò all’amalata, et la pigliò per la testa et fece oratione, tenendo la testa sopra il suo corpo et disse : « tu non morerai », havendo, alla entrata sua, la detta ammalata detto : « Padre, io son morta». Et al partire, disse: « t i assicuro, che tu non morerai, per questa volta », e guarì. Et, a tutto questo, io mi trovai presente, e la detta donna è viva, ancor hoggidì. 91. Io mi trovai presente, nella sede vacante di Sisto Quinto, quando, venendo il card., Nicolò Sfondrato di fori, andò a visitare il beato p. Fi­ lippo alla Yallicella, et il beato padre mandò a dire, a detto s.r cardinale, che non salisse di sopra, alle sue stanze, ma si fermasse in una sala, che lui saria venuto giù. Et io mi trovai presente, in quella sala, dove era anco il s.r Marcello Vitelleschi, et il p. Antonio Gallonio, et alcuni altri. Et mentre il detto beato Filippo entrava nella sala, avanti che ragio­ nasse con il detto s.r cardinale, ci commandò a tutti, che eravamo pre­ senti, che andassimo a bagiare li piedi a detto s.r cardinale, et così facemmo tutti, et il detto s.r cardinale se li lasciò baciare. Et, de lì a [f. 711] pochi giorni fu fatto papa,1728 et si chiamò papa Gregorio XIIII. Nella medesma sede vacante di papa Sisto, doppo la cosa detta di sopra, tornò, un’altra volta, il detto s.r card. Sfondrato, a visitare il beato Filippo, alla Vallicella, et io andai a fare l’imbasciata al beato padre, quale stava in chiesa, con dirli, che il card. Sfondrato veniva. Et, subito il beato padre mi rispose: « chi è quel papa? », et poi non mi disse altro. Et io, all’hora, non badai a quelle parole, ma, doppo che fu fatto il detto cardinale papa, all’hora mi ricordai della profetia del beato Filippo. Ancorché, in questo delle profetie, in particolare, ogni volta, che veniva sede vacante, sempre soleva dire, che, in sogno, o in vigilia, sentiva nominare il nome di quello haveva da esser papa, se bene lui diceva, non dovessemo abbadare a questo : si come il detto beato padre me l’ ha detto a me, presente il p. Antonio Gallonio, et altri, che hora non mi ricordo appunto. 91. Io intesi dire dal beato Filippo, con buona occasione (che non me ricordo dell’occasione) che un suo figliolo spirituale, quale si chiamava m.s Giovanni Animuccia, era apparso, doppo morto, ad uno,1729 et che gli haveva detto, che lo raccomandasse all’orationi di Filippo, et che detto m.s Giovanni stava in Purgatorio. Et questo so, che lo sanno molti altri, et il beato Filippo lo diceva, perchè quell’istesso, al quale era apparso m.s Giovanni, lo diceva publicamente, che m.s Giovanni gli 1727 Era una Dionora o Dorotea, se si riferisce a lei un necrologio, alternativo nel nome, trascritto nella nostra nota 43, dal G alletti . use Gregorio XIV fu eletto il 5 die. 1590. 1729 Era Alfonso Portoghese, sul quale la nota 1570

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    20 aprile 1610. [277] Aurelio Bacci. f. 712

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    haveva detto, che lo raccomandasse all’orationi del p. Filippo. E di queste cose ne è stata et è pubblica voce et fama. Io Francesco Valentino della Molara, romano, affermo e depongo, per la verità, quanto, nel presente processo, di fogli diciotto, si contiene, quale io ho scritto tutto di mia mano, et, doppo l’ò riletto ; et, per essere quanto in esso si contiene la verità, l’ho voluto, di mia propria mano, sottoscrivere, con mio giuramento, questo dì 19 di aprile 1610. Io Francesco Valentino della Molara affermo a quanto di sopra, per la verità, mano propria, con il mio giuramento. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    [f. 712] DIE 20» MENSIS APRILIS 1610

    [277]

    E xa m in a tu s fu it, ad p erpetu a m r ei m em oria m , in officio m ei etc. e t p e r m e e t c ., de ordin e et m andato e t c ., d .n u s A u r e liu s, q. A u r e lii B a c c i,1730 laicus sen en sis, m a gister scholae in M o n te lo r d a n o , t e ­ stis e t c ., annorum quadraginta se x in circa, qu i, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fra , v id e lic e t:

    Io son solito, ogni mese, confessarmi e communicarmi, nella chiesa di S. Cecilia a Monte Giordano, e, qualche volta, alla Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Iacomo Volpone, e, da otto anni in qua, sempre son stato solito confessarmi et communicarmi, almeno, una volta il mese, e spero, con l’aiuto di Dio benedetto, farlo, di continuo, sino alla morte. Sono da sedici in diciassette anni, che, di continuo, mi adopero nella doctrina Christiana, in S. Cecilia, a Monte Giordano. Io ho conosciuto, in vita, il beato Filippo Neri, quale, dicono, fu il fondatore della Congregatione de l’Oratorio, in S. Maria in Vallicella, con occasione, che mi fu mostrato, da alcuni miei amici, col dirme: « questo è il p. Filippo, quel gran servo di Dio e huomo da bene ». Questo era un huomo di statura mediocre, barba bianca e tonda, et, al più delle volte, portava la berretta da prete in testa. Con il quale, non solo non ho havuto mai conversatione, ma nè anco mai parlato, si bene lo vedevo spesso, quando andavo alla Chiesa nova alla Messa, che era dui o tre volte la settimana. Et credo, che fusse il primo anno di Sixto,1731 quando

    1730 Aurelio Bacci, del quale si trova la firma autografa al termine della presente deposizione, comparve anche nel terzo processo, il 24 ag. 1610. Un senese dallo stesso nome era ricordato in iscrizione già posta nella chiesetta di S. Filippo a via Giulia e trascritta in silloge del Galletti, F orcella, v . XI, p. 290, n. 422: non si saprebbe dire se si tratti del teste, perchè l’ iscrizione stessa mancava di data. Il nostro era « magister scholae », uno dei maestri rionali, a quanto pare. I quali, almeno dal 1514, insegnavano in Roma i rudimenti delle lettere con il cate­ chismo, R en a zzi , Storia dell’ Università degli studi di Roma, v. II, pp. 113-14, 239; e G y6 rgy S I ntha , Sch. P., San José de Calasane: su obra. Escritos. Madrid, 1956 («Biblioteca de autores cristianos »), pp. 35-40. Qualcuno di questi maestri levò proteste contro il Collegio Romano, ai suoi inizi, nel 1551, T acchi V enturi , Storia della Compagnia di Gesù in Italia, v. II, pt. II, pp. 379-80. Queste scuole « regio­ narie » continuarono durante tutto il governo pontificio, M orich ini , Degli istituti di carità, cit., pp. 587-91. 1731 Sisto V, eletto il 24 apr. 1585, fu incoronato il 1° maggio.

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    20 aprile 1610. [277] Aurelio Bacci. ff. 712-713

    lo cominciai a conoscere detto beato padre, e, circa dui anni doppo che cominciai a conoscerlo, mi trovai, nella detta Chiesa nova, un giorno di lavoro, che non mi ricordo nè il giorno, nè il mese, nè manco de l’anno e non havevo visto Messa. Era tardi, verso mezo giorno, e, mentre stavo a far oratione, uscì fuora il detto beato padre, parato per dir Messa, et, quella mattina, celebrò Messa sull’altare maggiore (che, all’hora, non vi era la tribuna, ma vi era un tramezo di tavole, coperto di corame d’oro) 1732 et io stetti a udir quella Messa, in quella matina, et, come che era tardi, vi era poca gente. E mentre il detto beato padre diceva Messa, quando fu al « Memento » de vivi, avanti alla consecratione, stando io osservando li gesti di detto beato padre, viddi chiaramente, intorno la testa di detto beato padre, un circolo di splendore, largo quattro dita in circa, in forma di diadema, quale era staccato d’intorno alla testa quattro altre dita in circa : e questo durò, mentre il detto beato padre stava, con le mani giunte, nel « Memento », come ho detto. E, vedendo io questo splendore insolito, mi maravigliavo assai, cominciandomi a nettar li occhi, per paura che non nascesse dalla mia vista, et, tornando a rimirarlo, viddi l’istesso splendore. E, all’hora, mi svoltai indietro, per svariare la vista, e ritornando, viddi l’istesso splendore nel medemo luogo et nella medema forma. E, di novo, più volte, guardando in su, mirando in testa delli altri, non vi vedevo niente, et, rimirando, di novo, la testa di detto beato p. Filippo, sempre vi vedevo l’istesso splendore : et questo durò sino che detto beato· p. Filippo si communicò. Eestai talmente maravigliato, che non mi pareva haver sentito la Messa, perchè solo havevo abbadato a mirare e rimirare detto splendore. Tanto più, che mi trovavo giovene di ventitré o ventiquattro anni in circa, di buo­ nissima vista, come anco al presente mi trovo di buona vista et di questo splendore, che viddi, come ho detto, nella testa di detto beato padre Philippo, mentre lui è vissuto, non ho mai parlato con alcuno, perchè questo l’attribuivo più tosto alla dignità et caracthere sacerdotale, non havendo cognitione, nè prattica della sanctità di detto beato padre. Ma doppo la morte di detto beato padre, che fu quindici anni sono incirca, sentendo racontar molti miracoli, e vedendo portar gran quantità de voti al sepolchro et capella di detto beato padre, all’hora cominciai a conoscere e credere, che quello, che io havevo veduto, tanti anni prima, cioè il splendore intorno alla testa di detto beato padre, come ho detto, fosse miracolo concesso dal Signore, per la sanctità e buone opere di detto beato padre, e, come miracolo, doppo la morte di detto beato padre, l’ho racontato a diversi, in diverse occasioni. Et, sopra ciò, non ne son stato mai esaminato, nè richiesto, [f. 713] E ritrovandomi io, otto mesi sono, in casa di Bastiano Bissoni, ragattiero a Monte Giordano, con oc­ casione di visitarlo, perchè era infermo, et racontando io questo splen­ dore, che havevo visto, come ho detto, presente il p. Iacomo Volpone, sacerdote lì nella Chiesa nova, confessore mio e di detto Bastiano, il detto p. Iacomo, havendo inteso il detto splendore, come ho detto di sopra, mi disse, che mi dovesse, sopra questo miracolo, esaminare, e che

    1732 Questo interrompimento fu rimosso, al termine dei lavori dell’abside, il 22 feb. 1590, come già indicato alla nota 979.

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    20 aprile 1610. [278] Tommaso Minerbetti. f. 714

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    me haveria detto dove dovevo andare. E così, per la verità, a gloria di Dio e di questo santo servo suo, l’ho deposto et depongo, con mio giu­ ramento et sottoscrittione. Interrogatus de causa scientiae dixit et depo­

    suit, ut supra. Io Aurelio Bacci ho deposto quanto di sopra si contiene, con mio giuramento, per la verità, a gloria et honore di Dio, et esaltatione di questo servo suo, mano propria.

    Petrus Mazziottus notarius.

    DIE 20» MENSIS APRILIS 1610

    [f. 714] Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., per me etc., de mandato etc., ad perpetuam rei memoriam, d.nus Thomas Minerhettus,1733 i. u. d., Civitatis Plehis, testis etc., annorum quinquagintaunius in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [278]

    Io son solito confessarmi et communicarmi ogni otto giorni, al più delle volte nella Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Iacomo Volpone,1734 in detta Chiesa nova. In questa causa, del modo che io conobbi detto beato padre, l’ho scritto qui sotto, di mia propria mano. Et è che, de l’anno 1575, io venni, da Santa Fiora a Boma, verso la fine di novembre, perchè il s.r card. Alessandro Sforza,1735 quale morì circa ventotto anni 1733 Tommaso Minerbetti, che nella deposizione dà particolareggiate notizie di sè, comparve anche nel terzo processo, I’ l l sett. 1610. Si trovano nel G alletti due note necrologiche di lui, da libri di S. Salvatore in Campo e di S. Maria in Yallicella: «1628. 28 sept, f Thomas Minerbettus sep. in Vallicella. L V III », «1628. 29 7bre f D. Thomas Minerbettus i. u. d. santoflorensis gt 72 par. S. Salv. ad Montem Pietatis. Sep. in sep. quod sibi suisque posteris vivens posuit ad altare Visita­ tionis. V III », cod. Vat. lat. 7878, f. 156. Il F orcella, v . X III, p. 454, n. 1103, ripro­ duce il testo dell’iscrizione dedicatoria del sepolcro, erettosi dal teste « ann. salutis MDCXXIII I aetatis suae LXVI » (l’iscrizione, sopra una pietra tonda, stava già nella navata centrale della Chiesa Nuova, all’altezza della cappella della Purifi­ cazione, e fu poi murata nel cortiletto retrostante la cappella di s. Filippo, G iovanni I ncisa della R occhetta, Perchè la Cappella di S. Filippo è cosi piccola, ne L’ Ora­ torio di s. Filippo Neri, Bollettino d’informazione e d’invito, a. XV, n. 12, die. 1958, pp. 5-6). La presente deposizione porta la firma autografa, in fine. 1734 Giacomo Volponi, di Andria di Puglia, addottorato in diritto a Napoli e già sacerdote, entrò nella congregazione dell’Oratorio il 4 lu. 1602 ; e successiva­ mente ebbe in essa, più volte, l’ufficio di « deputato », Archivio della Congrega­ zione dell’Oratorio di Roma, C. I. 17, ff. 12, 18 v ; C. I. 18, ff. 48, 60 v, 66 v. 78 v. Resse dal 1617 al 1620 la Biblioteca Vallicelliana, alla quale lasciò per testamento 60 scudi annuì e libri; il legato diede poi origine a un’annosa causa, P into , La Biblioteca Vallicelliana, cit., pp. 54-55, 123-27. Egli morì il 22 feb. 1636. La biografia si legge nell’ A r in g h i , cod. Vallicelliano O. 59, ff. 275-283.. 1735 Alessandro Sforza di Santa Fiora, nipote di Paolo III, ebbe il 14 genn. 1554 un chiericato di Camera e fu presidente dell’Annona, durante il pontificato di Paolo IV ; promosso il 26 apr. 1560 vescovo di Parma, per rinunzia del fratello maggiore cardinale Guido Ascanio, intervenne alle ultime sessioni del concilio di Trento, e il 12 mar. 1565 fu creato da Pio IV cardinale del titolo di S. Maria in Via. Sostenne l’ufficio di legato di Bologna e della Romagna ; e poi, dal 5 lu. 1580, di tutto lo Stato pontificio, esclusa Bologna, per la lotta contro il brigantaggio, impegnata da Gregorio X III, P astor, v . IX, pp. 775-77. Morì il 16 mag. 1581 in Macerata ; il corpo, trasportato a Roma, venne sepolto a S. Maria Maggiore [N. R atti ] Della famiglia Sforza, pt. I, cit., pp. 290-99.

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    24

    20 aprile 1610. [278] T om m aso M inerbetti. f . 714

    sono, et al quale io ero nato vasallo, mi fece sapere, che mi haveva im­ petrato un luogo, per studiare nel colleggio Capranico 1736 di Borna : et, all’hora, studiavo grammatica, et venni, con intentione di studiare legge canonica et civile. Et, arrivato in Roma, mi trattenni, in casa del s.r Felippo Magnasco,1737 canonico di S. Pietro et mio paesano, circa un mese ; poi andai a stare in casa di detto s.r card. Sforza ; 1738 et, in capo a quattro o cinque mesi, entrai in detto collegio Capranico. Et, avanti io vi entrasse, venne in Eoma il s.r Pietrantonio Morelli,1739 d’Acquapendente (qual morì, dui anni sono, in Acquapendente) et, subbito arri­ vato, detto s.r Pietrantonio mi disse, che era venuto per farsi monaco di s. Benedetto. Et io sapevo, che, avanti, lui haveva intentione di farsi religioso: et questo lo sapevo, perchè detto Pietrantonio habitava in Santa Fiora, mia patria, qual è lontano da Roma settantacinque miglia, nelli confini di Siena, et stavamo vicini de casa, et, da piccoli, havevamo conversato insieme. Et quando detto s.r Pietrantonio arrivò in Roma, si trattenne in una camera locanda, vicina al palazzo di detto s.r card. Sforza, et, intanto, andava spesso a Montecavallo 1740 et a S. Pavolo, per trattar con li superiori di detti monaci di s. Benedetto, per essere accettato fra loro : et questo, lui medesmo, in quelli tempi, me lo diceva, che conversavamo spesso insieme. Et lui conferì questo pensiero di farsi monaco al p. Francesco Benci della Compagnia del Giesù, che stava al collegio alla guglia di S. Mauth,1741 et era suo parente in secondo grado ; et detto p. Francesco sapeva, ancora, che io ero per entrare in col­ legio Capanico et mi volevo far prete, che ce l’havevo detto, perchè era mio amico. Et, verso il carnevale de l’anno seguente 1576, detto Pie­ trantonio mi disse, che il detto p. Francesco Benci li haveva detto, che 1736 primo collegio di chierici in Roma, fondato dal card. Domenico Capranica, con la consegna dei suoi beni effettuata il 5 genn. 1457. Era destinato origi­ nalmente a ospitare trentuno giovani poveri, romani di nascita, che dovevano obbligarsi allo stato ecclesiastico secolare. Il fondatore lasciò particolareggiate costituzioni; e il collegio, che ebbe una storia talvolta movimentata, esiste ancora nella primitiva sede, recentemente restaurata, P elliccia , La preparazione ed am­ missione dei chierici ai santi ordini nella Roma del secolo xvi, cit., pp. 125-40; Almo Collegio Capranica. Lavori di restauro [P rospero S im o n e l l i , « Cenni storici », e G iu se p p e B reccia F ratadocchi, « Concetti fondamentali e lavori eseguiti per il rin­ novamento della sede del Collegio»]. [Roma, A. Belardetti, 1955], Un aneddoto, da Avviso del 1° genn. 1578, in Roma, IX, 1931, p. 135. 1737 Filippo Magnasco prese possesso del canonicato di S. Pietro il 23 ag. 1552; il suo -successore, per rinunzia del Magnasco, s’insediò il 28 giu. 1583, cod. Yat. lat. 10171, p. 67. 1738 II palazzo già nominato della Cancelleria vecchia, ora Sforza Cesarini, sul quale la nota 589. La donazione di Paolo III, il 28 feb. 1536, venne fatta non solo al card. Guido Ascanio, ma anche agli altri nepoti, tra i quali Alessandro, [N . R atti ] Dello famiglia Sforza, pt. I, cit., pp. 86, 252. 1739 per ia diversità della data di morte e del luogo di origine non si può riferire a costui l’iscrizione posta nella chiesa di S. Crisogono in Roma a un omo­ nimo, volterrano, morto nel gennaio 1590, F orcella, v . I I , p. 182, n. 536. 1740 S. Saturnino « de Caballo » o « de Trivio », piccola chiesa distrutta sotto Paolo Y , nel 1615, per ampliare la piazza del Quirinale; stava quasi di fronte al torrione rotondo, ancora esistente, del palazzo. Aveva congiunto un monastero, che Giulio I I concesse ai benedettini, H uelsen , pp. 457-58; A r m el l in i -C ecchelli , pp. 349-50. 1741 II Collegio Romano, sul quale la nota 194; per l’obelisco di S. Maeuto, si veda la nota 1515.

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    20 aprile 1610. [278] Tom m aso M in erb etti. ff. 714-715

    25

    noi andassemo a trovare il p. Filippo Nerio, alla chiesa di S. Gieronimo della Carità, et che consultassemo con lui questi nostri desiderii et in­ tentioni, perchè era huomo di santa vita, et che prediceva le cose future, et haveva discretione di spiriti, et dava buonissimi consegli, et ci havarebbe detto quello, che sarebbe stato meglio per noi. Et io, intendendo questo, non havendo mai parlato, nè conosciuto detto beato Filippo, ci andai, con pensiero, che lui fusse astrologo, et, per questo, mi havesse a dire quello, che havevo da fare : perchè ero giovane di diciotto anni in circa, et detto Pietrantonio d’anni venti in circa. Et, il giorno seguente, andammo, il detto Pietrantonio et io, per parlare et conferire con il beato Filippo il tutto, et fu doppo pranzo et arrivati a S. Girolamo, ci fu insegnata la camera del beato Filippo, e, doppo haver battuto alla sua camera, ci trattenemmo in una loggetta lì vicina, et, poco doppo, uscì fuori detto beato Filippo, dalla sua camera, in detta loggetta, et si pose a sedere sopra un banco basso, et noi dui stavamo in piedi, con la berretta in mano : e mai più lui haveva veduto noi, nè noi lui. Et, alla prima vista, vedendo noi un vecchio venerando, mi misse tanto terrore, che non ardivo parlarli. Et ci domandò detto beato Filippo, che cosa volevamo da lui, et detto mio compagno Pietrantonio fu il primo, et li disse, che io sentii, che lui [f. 715] era venuto a Roma, per farsi mo­ naco in qualche religione, et che era venuto da esso, per pigliare conse­ guo. Et, subito che il detto Pietrantonio hebbe detto queste parole, il beato Philippo rispose, che io lo sentii : « perchè non prete? » senza dirli altro. Et, voltatosi a me, disse: « e tu che vuoi fare? », et io li dissi, che volevo studiare e farmi prete. Allora il beato Filippo, con una carità grande e con volto giocondo, si levò in piede, e disse a detto Pietrantonio, che io sentii: « tu non sarai monaco », e, voltatosi a me, disse: « e tu non sarai prete », percotendomi, legiermente, in testa, con un bastone, che, a l’hora, haveva in mano. Et, poi, senza dirci altro, se ne tornò in camera, e restammo lì soli, ammirati, pensando alle parole, che ci haveva detto, perchè pensavamo, che ci havesse da interrogare più distintamente, et parlarci più a longo. E ci lassò confusi et maravigliati, de l’aspetto et presenza sua e parole. Partiti da detto beato padre, senza far conto, più che tanto, delle parole, che ci haveva dette, detto Pietrantonio tirò avanti il suo trattato di farsi monaco a S. Paolo et, circa un mese doppo, fu mandato a Subiaco, d’ordine delli monaci che stavano a S. Paolo di Roma. Et questo mi fu detto, da alcuni suoi parenti et conoscenti, in quel tempo, più volte, cioè, che detti monaci l’havevano mandato, fuori di Roma, a pigliare l’habito, et, in capo a venti giorni, io veddi il detto Pietrantonio in Roma, vestito da secolare come era prima, et, doman­ dandoli dove era stato, mi disse, che era stato a Subiaco, per farsi mo­ naco et non gli era riuscito, et io non li domandai, se si era vestito, o si o no. Et, dui o tre anni doppo, vacò, per morte, la pievania di Santa Flora, mia patria, et l’ecc.mo s.r Mario Sforza,1742 conte di detta terra,

    1742 Mario I Sforza ebbe la contea di Santa Fiora, nella divisione fatta tra· i fratelli dal card. Guido Ascanio nel 1555; risiedette a Roma dopo il 1583, e fu creato luogotenente generale della Chiesa da Gregorio X III. Nella sua discendenza, rappresentata dal figlio Federico, si raccolsero i feudi e signorie della casa, [N. Ratti] Della famiglia Sforza, pt. I, cit., pp. 284-89. La data della sua morte

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    26

    20 aprile 1610. [278] Tom m aso M inerb etti. f . 715

    quale haveva « ius nominandi », nominò detto Pietrantonio, et così, pre­ sto, ottenendo l’ « extra tempora », si ordinò prete. Et tenne detta pieva­ nia et cura d’anime, per molti anni (la quale rende, per ordinario più di 400 scudi l’anno) et, doppo, la renuntiò, con pensione di 50 ducati d’oro, et morì prete, dui anni sono in Acquapendente, sua patria. Et io, doppo cbe il beato Filippo m’hebbe detto le parole sopradette, cioè: « tu non sarai prete », con tutto ciò, procurai, con più mezi, di farmi prete, e cinque o sei mesi doppo, entrai nel collegio di Oapranica, nel quale ci erano le constitutioni, che quelli, che ci entravano, bisognava che si facessero preti.1743 Et, doppo esser stato un anno in detto collegio, in habito da prete, presi la prima tonsura et li quattro ordini minori, et, in capo a quattro anni, mi addottqrâi in legge, et mi n’andai a Macerata, con l’ill.mo s.r card. Alessandro Sforza, qual era legato della Sede Appostolica per tutto il Stato di Santa Chiesa. Et, esercitandomi, poi, per molti anni, in offitii et governi di molte terre et città del Stato Ecclesia­ stico, in età di trentasei anni, presi per moglie Allegrina Nobili1744 (per mezzo de l’ecc.ma s.ra Fulvia Conti Sforza, contessa di Santa Fiora)1745

    si può dedurre, meglio che non faccia l ’autore ora citato dal testamento, da questa nota di sepoltura, trascritta nel G alletti , da libri di S. Luigi dei Francesi: « 1591. 12 ian. f IU.mus et exc.mus d. Marius Sfortia sep. in eccl. Ss. Trinitatis extra Urbem in loco vulgariter dicto La Sforzesca. Prçcordia in hae ecclesia. LXI », cod. Vat. lat. 7873, f. 188. 1743 Gli alunni dovevano ricevere la tonsura e gli ordini minori prima di entrare nel collegio, e il suddiaconato entro il primo triennio, Almi Collegii Capranicensis Constitutiones compositae per ... ejusdem Collegii fundatorem .D o m in ic u m de C apranioa S. R. E. praesbiterum cardinalem tituli 8. Crucis in Hierusalem. Nunc primum typis consignatae, una cum ejusdem eminentiss. fundatoris vita, caeterisque reformationibus, summorumque pontificum bullis ad Collegium ipsum spectantibus ... Romae, in typograpbia J. F. Chracas, 1705; caput XVII, p. 17. Of. P elliccia , La preparazione ed ammissione dei chierici ai santi ordini nella Roma del secolo xvi, cit., pp. 128, 131.

    1744 Della moglie del teste si trovano, nel G alletti , due note necrologiche, da libri di S. Maria in Vallicella e di S. Salvatore in Campo : « 1630. 24 apr. f D. Mar­ garita Nobilis de Minerbettis flor.a çt. 73 par. S. Salvatoris in Campo. Sep. in sep. familiç de Minerbettis. V i l i » , «1630. 24 apr. D. Margarita uxor q.m Thomç Minerbetti. Sept, in Vallicella. LV III », cod. Vat. lat. 7878, f. 193. Per la diversità del nome, Allegrina si potrebbe pensare fosse una specie di soprannome domestico o vezzeggiativo. 1745 Fulvia Conti, unica figlia di Giovanni Battista, signore di Segni e di Vaimontone (il ramo s’innestò con lei negli Sforza, Genealogia familiae Comitum

    romanorum, qua cum primarijs nobilitatis romance principibus affinitates indi­ cantur. E probatis eruta documentis, studio F elicis C ontelorii. Romae, ex Typographia rev. Camerae Apost., 1650, pp. 35-36) sposò nel 1547 Mario Sforza di Santa Fiora, i capitoli matrimoniali si fecero il 24 febbraio, « in palatio Apostolico » e nella camera del card. Guido Ascanio, fratello dello sposo. Si trova celebrata, nel 1551, da G iu s e p p e S antafioke, Lode de le nobili et illustri donne romane, cit., segnai. C 1. Donna di molta pietà, fondò, unitamente al card. Cesare Baronio, il conservatorio di S. Eufemia per le « zitelle sperse », riedificando il contiguo mona­ stero di S. Urbano, C alenzio , pp. 557-58, 964. Alla congregazione dell’Oratorio fece donazione, nel 1694, di due censi di scudi 22.300 e 4.000, dei suoi argenti, mobili preziosi e altri beni, con l’obbligo di mantenervi quattro preti poveri, e con l’onere di 25 scudi annuali di pane da somministrare ai cappuccini di Roma e di altri legati in favore delle cappuccine di S. Urbano (strumento rogato il 22 maggio 1604, dal notaio Domenico Amadei). Abitò, come risulta dalla nota seguente, in par­ rocchia di S. Stefano in Piscinula, chiesa demolita in via ora dei Banchi Vecchi : certo nel palazzo Sforza, alla Cancelleria Vecchia. Verso il termine della vita, si

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    21 ap rile 1610. [279] G iacom o A g o s tin i, f . 716

    27

    con la quale anchor hoggi vivo, et ho havuto tre figliole femine 17461 4et un 7 maschio. Et, doppo che io hebhi preso moglie, mi ricordai della profetia del beato Filippo, quando mi disse : « tu non sarai prete », et, al mio compagno Pietrantonio: « tu non sarai monaco ». Et, di questa profetia, n’havemo, doppo, ragionato più volte, il detto Pietrantonio et io, et ancho, l’ho raccontata, per profetia del beato Filippo, a diverse persone, in diversi tempi, et con diverse occasioni. I n causa scien tiae d ix it p ra e­ fa ta scire p e r ea quae supra d ep osu it de loco tem p ore con testib u s ut su pra. U lteriu s d i x i t : Quanto in questo mio esamine, scritto di mia

    mano, si contiene, dico tutto esser la verità, e, come tale, con mio giura­ mento, lo confermo, a gloria di Dio benedetto et honore di questo suo buon servo. In fede, etc., Io Tomasso Minerbetti sopradetto confermo quanto di sopra si contiene, per la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sopradetto di propria mano mia. P e tr u s M a z z o ttu s n otariu s.

    DIB MERCURII 21» MENSIS APRILIS 1610

    [279]

    [f. 716] A d p erpetu a m rei m em oriam . E xa m in a tu s f u it, in officio m ei e t c ., p e r m e e t c ., m agnificus et excellen s Ia co b u s de A u g u s ti­ n is ,174·7 fa n en sis, p h isicu s, testis e t c ., a eta tis annorum quinquaginta in circa , qu i, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Io son solito confessarne et communicarme ogni otto dì, o vero ogni quindici dì, secondo mi occorre, alla Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Iacomo Volpone in detto luogo. Sono da venticinque anni, che sono stato di continuo in Poma, e, mentre visse il beato Filippo, l’ho cono­

    ritirò in una casa presso il monastero di S. Urbano nel rione Monti, [N. R atti]

    Della famiglia Sforza, cit., p. I, pp. 286, 289 ; pt. II, pp. 195-201. Ma venne a morte in parrocchia di S. Cecilia a Monte Giordano, nella casa degli Aldobrandini, in via ora dei Banchi Nuovi (sulla quale casa si veda la nota 1889), come da tre note ne­ crologiche trascritte dal G alletti , codici Vat. lat. 7876, f. 17, e Yat. lat. 7875, f. 124. L ’ultima e più ampia reca : « 1610. 13 novem, f Exc.ma d. Fulvia de Comi­ tibus uxor q.m exc.mi d. Marii Sfortiorum nonagenaria in domo exc.mor. de Aldobrandinis. Sep. ex test.0 in Vallicella, quam heredem reliquit. Vivens dispen­ sabat omnia sua bona pauperibus virginibus ». L ’anno di morte, identico nelle notizie necrologiche citate, varia stranamente nel R atti, op. cit., pp. 198, 201; il quale dà il 1611, e menziona il testamento che risulterebbe rogato il 12 novembre di questo anno. 1746 d i una delle figlie, Battista, si trova questa nota nel « Liber mortuorum » di S. Maria in Vallicella, f . 84 v : « Baptista puella annor. 9 filia d. Thome Miner­ betti de S.ta Flora ... animam Deo reddidit in domo ... d.nae Fulviç Sfortiç sub parr.» S. Stephani in Piscinula cuius corpus in n. eccl. ... sepultum est die 26 mensis novemb. 1605». 1747 Giacomo Agostini depose anche nel terzo processo, il 28 mar. 1611. La data della sua morte risulta dal necrologio, trascritto nel G alletti , da libri di S. Maria in Vallicella : « 1621. 5 maii f D. lacobus Augustinus medicus fanen. gt. 63. V i l i », cod. Vat. lat. 7878, f. 24. Giacomo da Fano, come anche si trova chiamato, f. 546, 790, 819, abitava nel 1597 presso S. Caterina della Rota, f. 544; più tardi, almeno dal 16C9, stava vicino alla Chiesa Nuova, ff. 720, 790. La firma, al termine della presente deposizione, è autografa.

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    28

    21 aprile 1610.

    [279] G iacom o A g o stin i, f . 716

    sciuto, se bene non ho conversato, nè pratticato con esso. Tuttavia, sen­ tivo dire, che era un huomo da bene, servo di Dio e di sancta vita, et, doppo la sua morte, ho sempre inteso dire il medesimo, et visto molti voti, di gratie ricevute per intercessione di detto beato Filippo, portati alla sua capella in detta Chiesa nova, come si vede al presente. Io non mi ricordo haver visto, « in actu prathico », miracolo in particulare, perchè non vi harò abadato più che tanto, di uno solo (che) mi ricordo, che hora dirò come successe, che fu questo. Cioè, l’anno passato 1609, del mese di febraro (non mi ricordo del giorno preciso) essendo io chiamato da m.s Pietro Focile,1748 quale habita anco di presente alla chiavica di S. Lucia, incontro il s.r Francesco Incoronati,1749 con gran ansietà e fretta, dicendomi, che la sua moglie, mad.a Sulpitia Serleti,1750 haveva sputato sangue in gran copia, et che vi era stato a visitarla m.s Pietro Gallo, chirurgo, suo amico et gli haveva detto che era spedita, et che, perciò, accommodasse l’anima sua, et che si confessasse e communicasse, e facesse testamento, perchè lui non la voleva adulare. Et io, essendo solito medicare tutti quelli di quella casa, andai subito a visitarla, e trovai, che stava con grande affanno e timore di morire, dicendo che era spedita, et mi disse le parole detteli dal suddetto m.s Pietro Gallo, quale anco mi haveva detto m.s Pietro Focile, suo marito. Et io, per all’hora, non li ordinai cosa alcuna, per osservare, se li tornavano altri accidenti simili a quelli, quali mi diceva lei, assieme con il suo marito, quali haveva hauti prima. Et io li diedi animo, perchè trovai, che il detto m.s Pietro Gallo l’haveva tutta spaventata. Et, la matina seguente, poi, tornando io a visitarla, trovai, che stava tutta allegra et il suo marito ancora, dicendomi la detta mad.a Sulpitia, mi disse che era guarita, et che gli era apparso il beato Filippo che sta alla Chiesa nuova, e che l’haveva veduto vestito da prete, tutto bello, et che lui l’haveva guarita ; et che, quando vidde il beato Filippo, lei non dormiva. Et io, vedendola guarita, non li ordinai medicamento alcuno. Et io, secondo la mia professione di medicina (che sono ventisei anni, che esercito questa professione) stante li accidenti del sangue, quali mi dissero la detta Sulpitia e suo

    1748 II quale depose già il 28 nov. 1595 (134) e, successivamente, il 23 apr. 1610 (281) : nella seconda testimonianza narrò il risanamento della moglie. 1749 1 Planca, detti poi Coronati o Incoronati, Incoronati de Planca, e moder­ namente Planca Incoronati, originarii spagnoli, vennero a Roma circa il 1400, A mayden-B ertini , V. I, pp. 336-39. Dagli Incoronati si nominò la recentemente demolita chiesa di S. Nicola (presso il Tevere, nella piazza Padella, pur essa scomparsa), della quale essi ebbero il giuspatronato; la parrocchia, eretta nel 1513, era formata tutta da case di proprietà della famiglia, C arlo P agani P lanca I nco­ ronati, La chiesa di 8. Nicola degli Incoronati in Roma, nell ’Archivio della Società romana di storia patria, LXI, 1938, pp. 191-239. Ma la famiglia stessa ebbe il palazzo fuori, sebbene nelle immediate vicinanze, della parrocchia, abitata da povera gente : nella pianta di G. B. Nolli del 1748, il palazzo Incoronati è segnato tra via di Monserrato e via Giulia, con il n. 671. La chiavica di S. Lucia, menzionata per darne il sito, vi è segnata con il n. 668, dove il vicolo dei Cartari (n. 658) rag­ giungeva il bivio della strada del Pellegrino (n. 649) con la strada di Monserrato (n. 682). Si veda anche la nota 886. Francesco Incoronati è ricordato da iscrizione del 1614, in S. Francesco a Ripa, tra i guardiani delle compagnie del Ss. Salvatore al Laterano e del Gon­ falone, F orcella, v . IV, p. 404, n. 980. 1750 La. quale depose il 26 apr. 1610 (286).

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    23 a p rile 1610.

    [280] D io n isio P ressu ri, f . 717

    29

    marito, che haveva hauti, et stante l’affanno grande, et il tremore, nel quale la trovai la sera, e vedendola, la matina, allegra senz’affanno e guarita, senza esserli venuto altro accidente, giudico, che sia stato mira­ colo, e non cosa naturale, ma sopranaturale. Massime, non havendovi io fatto alcuna sorte di medicaménto, la sera, nè la matina, che non bisognò, trovandola, come ho detto, sana. E tutto questo ho deposto e depongo, per la verità, solo a gloria di Dio, et honor di questo santo, con mio giuramento. Io Iacomo Agostini ho deposto quanto di sopra si contiene, per la verità, solo a gloria di Dio et ad honore di questo santo padre, con mio giuramento, mano propria. P e tr u s M a z z io ttu s n otariu s.

    DIE 23» MENSIS APRILIS 1610

    [280]

    [f. 717] E xa m in a tu s fu it, R om a e e t c ., in officio m ei e t c ., p er m e e t c ., de m andato e t c ., ad p erpetu a m rei m em oria m , r e v .d u s d.n u s D io n y siu s P r e ssu r iu s,1751 p resb iter m on acu s C istercien sis p ro fe ssu s, aeta tis annorum trigin tatriu m in circa , q u i, m edio iu ra m en to, ta c­ tis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Io sono monaco de l’Ordine Cisterciense, da venti anni in qua, et hora son celerario alle Tre Fontane,1752 e, dal 1602 in qua, son sacerdote ; et, mentre son stato sacerdote, ho, di continuo, celebrato la Messa, purché non sia stato impedito da infermità o da viagio. Io non ho conosciuto il p. d. Agostino Ghettini,1753 fiorentino, monaco del mio ordine; ho ben ragionato con altri monaci de l’ordine nostro, quali l’hanno conosciuto et ce hanno hauto prattica, con detto p. d. Agostino, che sono stati condisciepoli di detto p. d. Agostino. Da quali ho inteso la buona e santa vita di questo buon p. Agostino, cioè, che pareva che havesse spirito di

    1751 II cistercense Dionisio Pressuri è a noi noto solo per quanto dichiara nella presente deposizione. Alla fine della quale è la sua firma autografa. Π52 Nei luogo tradizionale del martirio di s. Paolo, « ad Aquas Salvias », esistette prima del 649 una colonia di monaci greci, originari della Cilicia; solo nel see. vm avanzato le fonti parlano di un monastero dedicato a S. Anastasio (a questo titolo si premise posteriormente quello di S. Vincenzo, dopo l’arrivo delle reliquie di questo santo dalla Spagna nel 1221). La proprietà fu donata da s. Gregorio V II alla basilica di S. Paolo sulla via Ostiense, F errari, Early Remati monasteries, cit., pp. 33-48. Nel 1140 ne presero possesso i cistercensi, ai quali furono dati dal 1461 abati commendatari, G aspar I on g elin u s , S. Ord. Cist., Notitiae

    abbatiarum ordinis Oistertiensis per universum orbem. Liber VII, continens funda­ tiones abbatiarum regnorum Italiae ... Coloniae Agrippinae, apud Ioannem Henningium, 1640, pp. 4-17; L eopoxdtjs J anauschek , S. Ord. Cist., Originum cistercensium Tomus I. Vindobonae, apud A. Hoelder, 1877, p. 62. Dal 1865, il monastero delle Tre Fontane appartiene ai Cistercensi riformati (Trappisti). 1753 per quanto indirette, le notizie fornite sul Ghettini, con il quale F. ebbe il famoso incontro (si veda la nota 1656), costituiscono l’interesse della presente deposizione. Del monaco fiorentino fa cenno il M an n i , Ragionamenti sulla vita di s. F . N., cit., pp. 33-34; oltre al G allonio , Vita lat., pp. 60-62, che più sotto il teste richiama.

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    23 aprile 1610. [280] Dionisio Pressuri, f. 717

    profetia. Anzi, in Favenza,1754 dicevano pubicamente, che quelli popoli lo chiamavano il strologhino: et questo anco me l’ha detto d. Angelo Pannuzzi, priore delle Tre Fontane, doi anni sono, quale morse l’anno 1608, del mese di settembre. Il quale, mentre visse, mi disse anco, che, una volta, si trovò presente, con il detto p. d. Agostino, che venne un vecchio fiorentino, quale disse haver fatto un accordo con un giovane, con haver messo in commune li loro beni, con patto che hereditasse quello, che sopraviveva e restava ultimo, perché niuno di loro havevano heredi. E questo vecchio, come pentito (non piacendoli, forsi, la conversatione di detto giovene) non pareva volesse continuare questo patto e accordo, dicendo al detto p. d. Agostino : « ho fatto questa cosa ; son in animo di non continuare ; che ve ne pare? ». Qual p. d. Agostino li rispose in questa maniera : « vedi : non anderà troppo tempo, che questo giovene si morerà ». Et così, in termine di un mese incirca, il detto giovene se ne morì, tome disse et intesi dal detto p. d. Angelo. Doi dei nostri monaci : uno, d. Giuliano Palarcioni, et, l’altro, d. Christophoro Paradisi, di na­ tione fiorentini, essendo loro discepoli di detto p. d. Agostino Ghettini, ambidoi giovenetti. Et questo d. Christophoro mi ha detto, che, un giorno, stando tutti doi in conversatione con il detto p. d. Agostino, il detto p. d. Agostino cominciò a ragionare con loro, dicendo a d. Giuliano: « tu haverai, nella religione, delli honori, dignità e governi, e comincierai dalla tua gioventù, ma farai cattivo fine » ; e a d. Christophoro li disse : « tu, nella religione, serai sempre travagliato, ma nella vecchiezza sarai honorato ». E si è visto, che il p. Giuliano cominciò, da ventotto o trenta anni, a governare la religione, è stato abbate da venticinque anni in circa ; 1755 e, poi, in sua vecchiaia, una notte, mentre dormiva, li cascò una goccia, che li levò la parola e l’udito, sì che non sentiva, nè con cenni, nè con altri modi e li durò doi giorni, et poi morse così miseramente, senza parlare, e non hebbe sacramenti. Et d. Christophoro, al presente, vive, si trova in Firenze, nel monasterio di Cistello,1756 ne è tenuto conto e amato. E, sopra questo fatto, più ampiamente e chiaramente lo potrà testificare il medesimo d. Christophoro, quale potrà dire molte altre cose che noi non lo sapemo, nè l’havemo inteso dire, che a lui saranno note, come quello haveva prattica e come discepolo di detto p. d. Agostino. Circa la morte di detto p. d. Agostino Ghettini, non so il tempo, che

    1754 a Faenza, come è detto poco sotto, 11 Ghettini morì. Nella città 1 cister­ censi presero possesso, nel 1513 (secondo altri, 1519) del monastero benedettino di S. Maria dell'Angelo, presso la chiesa anticamente detta S. Maria « foris portam » ο « ad Nives », volgarmente S. Maria vecchia, rimasta fino al 743 cattedrale della città. Poi, nel 1778, passarono nella chiesa del Gesù, già dei gesuiti; la quale prese, allora, il nome di S. Maria dell’Angelo, volgarmente S. Maria nuova, A ntonio M esseri e A c h il l e C a l z i , Faenza nella storia e nell’arte. Faenza, Tipo­ grafia sociale faentina, 1909, pp. 18-19, 512-14, 517 ; A ntonio M archetti, C. V. U. O. S. B ., Cronotassi dei parroci della città e borghi di Faenza, con introd. storica sulla città. Bologna, L. Cappelli, 1927, p. 61; J anauschek , Originum cistercensium tomus primus, cit., p. LXVIII. 1755 Giuliano Palarcioni è registrato tra gli abati di S. Salvatore a Settimo nel 1601, I on g elin u s , Notitiae abbatiarum ordinis Cistertiensis per universum orbem. Liber VII, cit., p. 67. 1756 S. Maria Maddalena di Cistello a Porta a Pinti, monastero cistercense fondato circa il 1325, I on g elin u s , op. cit., p. 69; J anauschek , op. cit., p. LXVIII.

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    23 aprile 1610. [280] Dionisio Pressuri, ff. 717-718

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    all’ hora non ero monaco ; ma ho inteso, publicamente, dire, che lui morì in Faenza, et che, avanti morisse, si predisse la morte. Che, essendo lui confessore delle moniche di S. Lucia,1757 del nostro ordine, molti anni avanti morisse, disse a molti di quelli monaci, in particulare : « il mio s. Giovannino mi ha detto, che ho da morire il giorno della sua festa, ma non mi ha detto quando ». Essendo, passato, poi, molti anni, il giorno della festa di Natale, mentre diceva Messa, li apparve di novo s. Giovanni e li disse: « questa mia festa tu morirai ». E, così, finito la Messa, lui 10 disse alle moniche, et, poi, tornando al monasterio, lo disse a l’abbate, 11 quale, poi, lo disse a tutti li monaci ; et una parte de monaci pare se ne burlasse, dicendo: « questo è sano, e a ponto voi morire ». E così continuò a dir Messa, quelle tre matine, e, la matina stessa di s. Gio­ vanni, disse la Messa alle moniche, e, quando tornò al monasterio, disse li doleva il corpo, e l’abbate lo fece mettere nella sua camera, e lo fece scaldare. Et mi par, anco, haver inteso dire, che dicesse, all’hora, a l’abbate : « andate pur a dir Messa », e, finita la Messa cantata, tornorno da lui l’abbate, con tutti li monaci, e trovorno, detto p. d. Agostino, che il dolore li era cresciuto, e l’abbate lo fece mettere in letto, facendoli dar l’ Olio Santo et la raccomandatione de l’anima, e così spirò et rese l’ anima a Dio. Per la cui morte, dicono, che tutta quella città pianse : e questo è publica voce e fama nella nostra religione, e di questo ne sarà informato di presente, che vivono, il p. d. Iacomo Pardi,1758 al presente presidente, abbate di Settimo fuor di Firenze, d. Christophoro Paradisi, d. Michele Cherubini, e da altri, che hora non mi ricordo. E questo lo so, come ho detto « de auditu », è publico e notorio, nella nostra religione. Ho, anco, inteso, dal sopradetto q. d. Angelo Pannuzzi, [f. 718] che, una volta, il sudetto p. d. Agostino Ghettini li disse haver visto, una volta, l’acque delle Tre Fontane sanguinolente, et che, per questo, era tenuto huomo di visione. E questo p. d. Agostino è quello, che se ne fa mentione nel libro della vita del beato Filippo et, per quanto ho inteso, il detto p. d. Agostino era huomo semplice e molto divoto di s. Giovanni Evangelista et di questo è publico e notorio, publica voce e fama, nella nostra religione. Et quanto ho detto, nel presente esumine, tutto dico et depongo, per la verità, con mio giuramento, a gloria di Dio et honor dei suoi buoni servi. Io D. Dionisio ho deposto quanto di sopra sì contiene, manu propria, come giuramento.

    Petrus Mazziottus notarius. i ” ? Qualche notizia sul monastero delle cistercensi di S. Lucia, soppresso nel 1798, in M archetti, Cronotassi dei parroci della città e borghi di Faenza, cit., p. 212. 1758 Giacomo de’ Bardi, patrizio fiorentino, risulta nel 1586 abate di S. Salva­ tore a Settimo e presidente della congregazione; nuovamente, nel 1595 e nel 1607, con i due uffici; e, per ultimo, nel 1622, abate. Morì il 13 ott. 1623, I on g elin u s , op. cit., p. 67. Sull’abbazia di S. Salvatore a Settimo, si vedano Top. stessa, pp. 34-68, e J ahatjsohek, op. cit., pp. 239-40.

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    23 aprile 1610. [281] Pietro Focile, f. 719 »

    DIE 23» MENSIS APRILIS 1610

    [f. 719] Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., per me etc., de mandato etc., ad perpetuam rei memoriam, d.nus Petrus FuciUs,1759 neapolitanus, testis, alias examinatus, aetatis annorum septuagintaquinque incirca, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra :

    [281]

    Io mi esamminai, de l’anno 1595, un’altra volta, in questa causa dei beato Filippo, sopra la vita, costumi, sanctità et altre actioni di detto beato padre : al quale mi referisco, e confermo, e dico, quanto in quello si contiene, tutto esser vero, et, per la verità, da me deposto, tutto, a gloria di Dio benedetto, et honor di detto beato padre. Et perchè mi è sovenuto altre cose notabile, mi è parso, di novo, dirle, con repetere, sommariamente, il detto primo mio essamine in causa scientiae, prout infra. Ad aliam interrogationem, dixit : Io son solito confessarme e communicarme, doi volte il mese, qui nella Chiesa nova. Il mio confes­ sore è il p. Augustino Manni, prete in detta chiesa. In questa causa, come ho detto, mi è sovenuto molte cose, quale, a gloria di Dio e per honor e più splendor di questo servo di Dio, ho desiderato e desidero, a perpetua memoria, siano scritte, e sono come qui sotto si potrà vedere. Quale dico tutto esser la verità e, con mio giuramento, raffermo, e non mi ricordo di molte cose, che sariano degne di scriverle, ma, quelle mi ricordo, dico, prout infra: Havea il beato Filippo un’arte miracolosa, con la quale tirava a sè li cuori delli huomini, che, chi praticava o parlava una volta sola con lui, non pareva che se ne potesse staccare et era astretto a tornarvi. Et questo io lo so, perchè havea molta gente che lo seguitava, d’huomini d’ogni sorte, et, quando usciva fuori di casa, sempre era accompagnato da molte genti. Et questo era ogni giorno, ma più le feste, che alle volte, erano molte centenara di persone in sua compagnia, e li me­ nava, dopo il vespero et il sermone, che s’era fatto lì, in S. Girolamo della Charità, hora in un luogo, hora in un altro, a pigliar aere e ri­ crearsi, con fare, anco, molte volte, giocare, molti di loro, alle piastrelle. Et, alle volte, ci menava, che c’ero ancor io, nelli chiostri della Minerva, e, molte volte, a Termini, a S. Maria dell’Angeli, et, alle volte, nel giar­ dino delli Teatini,1 1760 dove faceva fare qualche sermoncino, da alcuni 9 5 7

    1759 Seconda deposizione di Pietro Focile, già comparso il 28 nov. 1595 (134). Aggiunse altri particolari vivaci, sul modo con cui F. lo dirigeva, il 2 sett. 1610, al terzo processo, nel quale anche venne inserita la presente deposizione. A integrare la nota 983 si rilevi che il Focile o Fucile, sebbene semplice e povero artigiano, fu uno dei primi quattro guardiani della nuovamente costituita compagnia dello Spirito Santo dei Napoletani, e che per tale ufficio partecipò all’atto di acquisto de « La Vignola » con la chiesa di S. Aurea dalle monache di S. Sisto per farvi la sede e chiesa della compagnia, il 30 genn. 1574, P ecohiai, La chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, cit., pp. 45, 57, 170, 180. 1760 Come già è stato richiamato nella nota 637, i teatini presero possesso di S. Silvestro al Quirinale il 18 nov. 1555, per donazione di Paolo IV. Questi, ad ampliare la casa, comprò anche l’attigua, già di mons. Giovanni Della Casa arci­ vescovo di Benevento, e aveva disegnato « di far la porta maggiore, in quella

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    23 aprile 1610. [281] Pietro Focile, ff. 719-720

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    delli padri di casa, o da qualche forastiero, et iacea cantare alcune can­ zoncine spirituali. Et, poi, tornavamo tutti all’Oratorio, dove si faceva mezz’hora d’oratione mentale, poi si dicevano le letame, et alcuni altri « Pater nostri », et « Ave Marie » : et questo essercitio, dell’oratione della sera, si faceva ogni sera, tutto l’anno, l’estate a 23 hore, e l’inverno a 24; e, tre volte la settimana, si faceva la disciplina, cioè il lunedì, mercoledì e venerdì. Et, poi, ognuno tornava a casa allegro, contento, e con devotione. Et io vi sono stato infinite volte, et quelle giornate, ch’io spendevo in questi santi essercitii mi pareva di stare in Paradiso. E mi bastava solo il vedere il beato Filippo, senza che gli parlassi, che mi partivo tutto contento e, dal primo giorno, che io lo viddi e li parlai, mai più mi staccai da lui. Et havevo tanta fede nelle sue parole; che, se m’havesse detto, che mi gettassi da una finestra, l’havrei fatto ; e, solo con un sguardo, mi faceva tutto tremare, et, ancora che molte volte mi cacciasse da lui, per mortificarmi, perchè io ero sviato, superbo et un cervello terribile e fumoso, con tutto ciò non potevo stare, se non vi ritornavo. Et, una volta, non havendomi voluto confessare (per una disobedienza : che me l’haveva commandato più volte et io non l’obedii) io me n’andai a confessarmi alla chiesa del Giesù, et, istigato dal demonio, dissi tra me stesso : « Hoimè, non vi sarà altro confessore a Koma se non lui? » intendendo del beato Filippo, e mi partii, per andarmi a con­ fessare in un altro luogo, come feci. Et, dopo che io mi fui confessato, mi sentii assalire da una malenconia et inquietudine di coscienza tanto grande, che nonqjossevo stare, nè trovavo luogo. E stetti, così, doi giorni e mezzo, dopo li quali il detto beato Filippo mi mandò a chiamare, per mastro Bastiano sellaro,1761 quale era suo figliolo spirituale. Et io, sentendo che il beato Filippo mi chiamava, mi sentii subito consolare, e, subito chiamato, andai, et, ne l’entrar solo nella sua camera in S. Girolamo della Oharità e vederlo, mi sentii allargar il cuore e tutto consolare. E, subito, mi gettai alli suoi piedi, piangendo, et lui pose il mio capo nel suo seno, et mi fece la correttione della disobedienza, et io li promisi di non disobedirlo mai più, e così osservai sempre dopo. E questa fede e devotione, ch’io havevo al detto beato Filippo, non solo ce l’hebbi nell’ultimi anni, ma nel primo giorno che lo conobbi, che fu nel­ l’anno primo del pontificato di Pio 4°, ch’era, mi pare, del 1560. Et, al­ lora, vi fui condotto [f. 720] da un mio amico,17621 3e, domandando al 6 7 beato Filippo di volermi confessare da lui, conoscendomi, come ho detto, per cervellino sviato, volse provarmi, per spatio di due mesi, dicendomi sempre : « torna fra doi giorni alla tal hora » et io tornavo, et a l’hora mi diceva : « torna fra doi giorni, alla tal hora » : et così mi fece, per parte del giardino, che guarda verso la piazza di S. Marco e de’ Santi Apostoli con una nobilissima scala per l’entrata della Chiesa, a sembianza di quella d’Araceli; la quale, da San Silvestro arrivasse infin’ al piano della piazza de Santi Apostoli ». Sisto V, il 28 apr. 1588, e Gregorio XIV, il 12 sett. 1591, donarono parti di Acqua Felice per il giardino, D ei, T ufo , Historia delta religione de’ padri Chierici regolari, cit., pp. 52-53. « Vaghissimo giardino » lo dice, nel 1664, F iobavante M artinelli , Roma ricercata nel suo sito, in tratto riprodotto dalI’ O bbaan, p. 261 n. 1761 Costui era perugino, e condusse a F. anche un altro teste napoletano, il sellaio Bartolomeo Rosa, f. 213. 1763 Con tutta probabilità il sopra nominato Bastiano sellato.

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    23 aprile 1610. [281] Pietro Focile. £. 720

    spatio di doi mesi, facendomi tornare, moltissime volte, in diverse gior­ nate et in diverse hore, et io mai preterivo. Et, havendoli solo parlato nna volta, mi sentii talmente tirare, che non sapevo partirmi, nè havria saputo confessarmi da altri, et mai mi scandalizai, se bene mi faceva tornare tante volte. Et, tra le altre, nna volta, che fn cosa gratiosa, che l’ ultimo anno del pontificato di Pio 4°,1763 credo fosse il giovedì grasso, volsi io ancor seguitare andare alle Sette Chiese con il beato Filippo, dove erano da doimila persone. E quando fossimo a S. Sebastiano, mi volsi confessare dal detto beato padre e quando mi volsi inginochiare inanzi al beato padre mi disse : « lévati di qua : va dal p. Pompeo » ; et io, facendo l’obedienza, andai dal p. Pompeo ; et il beato padre si levò su, dicendo al detto p. Pompeo: « non confessate costui » ; et il p. Pom­ peo mi disse : « tornate da Ini » ; et così tornato, mi disse il beato padre, che non mi conosceva. Et mi pareva non poter partire, ancor che mi cacciasse, sin che non mi confessò, et mi disse : « non ti communicare » e feci la confessione in publico e non volse, che mi communicassi : la sera, poi, mi mandò a chiamare e mi consolò. Io ho veduto, moltissime volte, et, in particolare, mentre mi confes­ savo dal beato Filippo, che lui tremava tutto, et pareva che saltasse, et andava tutto in spirito e mi dava devotione solo a vederlo. Et mia moglie, Sulpitia Serietà,1 1764 quale anco hoggi è viva, mi disse, vicino a qua­ 3 6 7 ranta anni sono (et me lo disse, all’hora, più volte, et, di questo, ne havemo ragionato insieme più volte, come miracolo) e mi diceva mia moglie, che havea veduto il detto beato Filippo, doi o tre volte, alto da terra più d’ un palmo e mezo, mentre alzava il Santissimo Sacramento alla Messa. Et questo, a me, non pareva gran cosa, perchè io tenevo il detto beato Filippo per santo et non mi sarei maravigliato, ancorché l’havessi veduto resuscitare un morto, tant’era la fede ch’io gli havevo. Sei mesi sono, vicino alla festa di s. Apollonia,1765 mia moglie, Sul­ pitia Serietà, mi disse, una mattina a buon’hora, che gli era apparso il beato Filippo, vestito da prete e bello in volto, e l’havea liberata da un affanno grande e sputo di sangue, che gli era venuto doi giorni prima. Del quale m.s Pietro Gallo chirurgo ne dubitava grandissimamente e la teneva per morta ; et il s.r Giacomo da Fano, medico, vicino alla Chiesa nova, quale l’havea visitata il giorno avanti, non gli havea ordinato cosa alcuna, perchè voleva star a vedere, se seguitava quel accidente del sangue. Et io dubitavo grandemente della vita di detta mia moglie, per­ chè era stata male, doi anni, d’una stretta di petto, et insieme, s’era consumata, con haver fatti gli occhi piccoli, et pareva meza morta ; et, con l’accidente del sangue, gli era venuto un tremore, nelle gambe, braccie et in tutta la vita, grandissimo. E, dopo che lei mi disse che havea veduto il beato Filippo in visione, mentre era svegliata, la mattina, a buon’hora, li cessò subito quel tremore, non sputò più sangue, et li restò solo un poco di debolezza, per l’infirmità passata, et il detto medico non vi fece altro medicamento, perchè non bisognò. E, questo, tanto mia

    1763 Eletto il 25 die. 1559 e incoronato il 6 genn. 1560, Pio IV mori il 9 die. 1565. 17M Teste il 26 apr. 1610 (286). 1765 La commemorazione di santa Apollonia è fatta il 9 febbraio. Moderna­ mente, da Leone X III, è stata aggiunta quella di s. Cirillo d’Alessandria.

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    23 aprile 1610. [281] Pietro Focile, ff. 720-721

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    moglie, come io, l’havemo tenuto per miracolo del beato Filippo, perchè cessò quel accidente del sangue (che n’havea sputato gran quantità come pezzi di pulmone, con una spumacela sopra e grandissimo affanno) et, anco, quel gran tremore di tutto il corpo. E, questo, in instante, subito dopo la visione del beato Filippo, senza alcun medicamento hu­ mano, nè d’herbe, nè di parole, nè d’altra cosa. I n causa scien tiae d i x i t : In quanto alla visione del beato Philippo a detta moglie, lo so « de auditu » da lei ; ma, circa la malatia, et altre circostanze, ch’ho detto di sopra, lo so di certo, perchè l’ho visto, et son stato presente e l’ ho vista sputare. M’è occorso, moltissime volte, et in diversi anni e mesi, nelli anni, che mi son confessato dal detto beato Filippo, che m’ha detto molti miei pensieri occulti ; e, molte volte, [f. 721] mi ha detto alcuni miei pec­ cati et imperfettioni, et alcune disobedienze, ch’io li facevo. Et queste me le diceva, subito che gli arrivavo avanti, inanzi ch’io cominciasse a confessarmi. E queste erano cose, che non le sapeva se non Dio et io ; et esso beato Filippo non le poteva sapere, se non per revelatione di Dio, perchè, molte volte, erano cose, che solo erano nel mio cuore. E, molti anni avanti che il detto beato Filippo morisse, mi disse, mentre ero nel fiore delle f acende del cassaro, che guadagnavo molti denari, che, se io non mi guardavo dalla tale e tale cosa (nominandole in specie) io saria diventato povero, et havrei desiderato havere da lavorare, e non l’havrei trovato. E questo si è verificato in me, molti anni sono, et io, a l’hora, non havevo vitio* nè di gioco, nè altri vitii, nelli quali io spregassi. Et, quando io stavo acanti detto beato Filippo, solo con un sguardo, mi fa­ ceva tremare, e pareva che mi vedesse il mio core e tutti li miei pensieri. D e fam a sa n ctita tis. In tutto il tempo ch’io ho conosciuto il beato Filippo, che fu il primo anno di Pio 4°, non solo l’ho tenuto per santo io, e per persona ornata d’ogni sorte di virtù, in particolare di devotione, d’humiltà, e charità grandissima, ma anco era tenuto santo dalli altri. 10 mi sono trovato presente, molte volte, quando arrivava dal beato Filippo il beato card. Borromeo, quale, subito che arrivava, si buttava* in ginochione, solo per baciare le mani e riverire it beato Filippo. Sor Orsola, donna di santa vita, venendo a Roma, il beato Filippo la morti­ ficò in molte cose, e mi trovai presente, quando la detta sor Orsola disse al beato Filippo : « Padre, voi solo m’havete conosciuto ». Veniva anco dal beato Filippo il p. Paolino della Minerva, il p. Pistoia capuccino, 11 p. Lupo, et fra Felice capuccino, et molti altri secolari, huomini di santa vita, come un molinaro, ch’era chiamato il mognaio, un ferrarese, un fornaro,1766 m.s Stefano calzolaro et altri, et, insomma, moltissimi huomini e donne d’ogni grado e conditione. E, quando il beato Filippo andava alla Minerva, alli Capuccini, alli Teatini, alli padri di S. Maria

    1706 Pietro molinaro, Francesco Maria detto il Ferrarese e Antonio fornaro sono nominati da più testi nel processo : si veda la nota 1678. Si aggiunga che del primo, di cognome Vilìani (forse, Villani), si conserva una lettera dettata per F., da Borgo San Lorenzo, 15 giu. 1569, nel codice A. IV, 15, ft. 309-310 V , Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma : il singolare docu­ mento di mistica popolare, in forma stilisticamente rozza, è posteriore a un pelle­ grinaggio giubilare di Pietro a Roma e alla familiare conoscenza da lui fatta dei fratelli dell’Oratorio, molti dei quali la lettera nomina.

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    23 aprile 1610. [281] Pietro Focile, ff. 721-722

    dell’Angeli et in altri luoghi, nelli quali luoghi mi son trovato più volte presente, et ho veduto che molti di quelli religiosi si inginochiavano, basciavano le mani, le vesti, dimandavano la benedittione et si raccommandavano all’orationi del beato Filippo. Et ho veduto anco, dopo la morte di detto beato Filippo, ch’ogni anno, si è fatta la festa, qui, nella Chiesa nova, nel giorno della sua morte. Alla quale v’è concorso, et vi concorre, ogn’anno, gran numero di persone, di cardinali, vescovi, pre­ lati e gente d’ogni sorte, e sempre s’è cantata la Messa e li doi Vespri, con bellissima musica a più chori ; et, ogn’anno, si son fatti li sermoni in chiesa, publicamente, in lode di detto beato Filippo ; e la Chiesa s’è ornata e s’orna, come sogliono fare nella festa loro principale della Nati­ vità della Madonna ; et, a queste cose, mi son trovato presente, quasi ogn’anno, con molto mio gusto : e queste cose sono state et sono publiche e notorie. De frequentia sepulchri. Io son stato, infinite volte, a far oratione alla capella del beato Filippo, alla Chiesa nova, quale sta a man dritta dell’altare maggiore ; et ho veduto il suo corpo intiero, in una cassa bel­ lissima, in detta capella, et vi si dice Messa, in detta capella, ogni giorno ; e vi son state sempre, et vi sono, molte lampade accese, et vi sono stati portati grandissima quantità di voti d’ogni sorte, e, tuttavia, si vede che va crescendo. Et so, che detta capella, ogn’anno, nel giorno della festa di detto beato padre, alli 26 di maggio, s’adorna benissimo, e vi concorre grandissima gente, a far oratione, che sempre, in detto giorno, la chiesa è stata piena di gente. Et il medesimo era, avanti che il detto santo corpo si portasse in chiesa, nel luogo dove all’hora stava : e questa è stata et è cosa publica e vera. Inoltre, de l’anno 1574, o ’75, si ben mi ricordo, essendome morta una putta di anni tre e più, chiamata Chiara, io piangevo in S. Gironimo, e stando, così, con li occhi lacrimosi, dinanzi al detto beato padre Philippo, mi disse queste et altre simile parole: « che hai, balordo, che ti affligi? ». Et io li risposi : « piango per questa figliola, che mi è morta : non ho altri [f. 722] figlioli». Mi replicò il detto beato padre: «non ti af­ fligere più, perchè haverai un figliolo maschio, che ti darà tanto da farè, che non ne vorrai tanto : però, quétate, quétate, balordo ». Et così fu, che, doi anni poi, mi nacque un figliolo maschio, li mesi nome Bartholomeo : quale mi ha dato de molti fastidii e travagli e disgusti di animo, che si verificò molto bene quello mi profetizò il detto beato padre ; e, sino alla morte di detto mio figliolo che fu l’anno innanzi l’anno santo, se ben mi ricordo, che morì fuora di Roma, sempre mi ha dato grandissimo travaglio e fastidio, e, in particulare, che era dissubidiente, et dandome altri disgusti, come sogliono far li gioveni e, come ho detto, le parole del p. Philippo si verificorno et ogni cosa successe conforme a quello lui disse ; et nè innanzi nè doppo io ho hauti figlioli maschi nè femine. E questo è quanto mi occorre, in questo esamine ; e dico tutto esser la verità, e, come tale, la depongo per la verità, a gloria di Dio e honor di questo suo servo.

    In causa scientiae dixit praedicta scire per ea quae supra deposuit et ipse nesciens scribere fecit signum crucis. Petrus Mazziottus notarius.

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    23 aprile 1610. [282] Crispoldo Abbatto. f. 723

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    DIB 23a MENSIS APRILIS 1610

    [f. 723] Examinatus fuit, ad perpetuam rei memoriam, Romae, in officio mei etc., per me etc., de mandato etc., d.nus Crispoldus Abbatius,1767 de terra Sancti Gemini, Narniensis diocesis, Rotae no­ tarius, testis etc., aetatis annorum quinquagintaduorum in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [282]

    Credo sia più di trentacinque anni, che io cominciai a conoscere ii beato p. Filippo Neri, che si esercitava, in quel tempo, ne sermoni alla chiesa di S. Giovanni de Fiorentini;1768 et, poi, lo vedevo spesso nella Chiesa nova, dove vi si fermò fino alla sua morte, e fu fondatore di questa Congregatione, per quanto ho inteso dire publicamente. E con lui io non ho mai parlato, nè pratticato : però, non posso, nò so dir cosa nisuna, si bene sempre l’ho sentito nominare, tanto in vita sua, come in morte, che era un gran servo di Dio, huomo di santa vita. Ad interrogationem, dixit : Io son solito confessarmi quasi, e al più delle volte, ogni domenica ; e mi communico, ancora, qui alla Chiesa nova ; e il mio confessore è il p. Francesco Bozio, e, secondo mi ordina lui, più e meno. In quanto alla vita e miracoli del beato Filippo, come ho detto, per non haver hauto conversatione con lui, mentre visse, non ho cognitione delle cose sue, se non che intendevo dire, che era un huomo di molta santa vita, e gran servo di Dio. E, doppo la sua morte, non solo ho inteso dire li miracoli, che, per intercessione di detto beato padre, sono fatti, ma, anco visto la devotione del popolo e frequenza alla capella, in detta Chiesa nova, a honor di detto beato, fabricata, dove vi sono moltissimi voti, per gratie ricevute a intercessione di detto beato padre Philippo. Et, in particulare, ne posso dir uno, de miracoli, successo nella mia persona propria, che è questo. Cioè, che, tre anni finiranno a giugno prossimo avenire, una matina, levandomi da letto, se ben non mi ricordo del giorno preciso, mi sentii assalito di un dolore grande di testa, e febre, a freddo e caldo, con affanno grande e dolore per tutta la vita. E come io, che non ero solito a star male, perchè erano più di venti anni, che non havevo hauto nè febre, nè dolor di testa, nè altra infirmità, sentendomi, a l’improviso, assalire, come ho detto, da grandissima febre, a caldo e freddo, con grandissimo dolore di testa, et affanno per tutta la vita, dubbitavo di morire all’hora. Tanto più, che non havevo fatto niun disordine, nè dato occasione a così gran male, quanto mi sentivo. Con tutto ciò, ancor­ ché mi sentissi così gravato, mi sforzai, con grandissima mia fatica, uscir 1767 II notaio di Rota Crispoldo Abbatio (Abbazi, come il B acci, 1. V I, c. 12, n. 7, rende la forma latinizzata del cognome, che si legge nella firma autografa, alla fine; Abbasio, invece, al f. 725) è a noi noto solo per questa deposizione. 1768 II 15 apr. 1574 si tenne la prima riunione del sodalizio dell’Oratorio, trasmigrato da S. Girolamo della Carità, nella sede offerta dai Fiorentini, la vecchia chiesa di S. Orsola della Pietà, B ordet-P o n n e ix e , pp. 261-62 (vers, ital., pp. 252-53). La detta chiesa (demolita durante i lavori per il nuovo corso Vittorio Emanuele) si apriva sulla via del Consolato, presso S. Giovanni dei Fiorentini, e derivava il suo cognome dalla compagnia di quel titolo, A b m e ix in i -C e c c h e ix i , p. 433. Poco dopo, fondata canonicamente la Congregazione, l ’Oratorio passò alla Vallicella, G asbarri, L ’ Oratorio filippino, cit., p. 30. Si vedano anche le note 280 e 549.

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    23 aprile 1610. [282] Crispoldo Abbatio. ff. 723-724

    di casa, et andai, per un mio negotio, che mi premeva, del mio officio, da mons. Giusto 1769 bona memoria, all’hora auditor di Rota. Et, per strada, non solo non mi se allegerì la febre et il dolor di testa grandissimo, ma andò crescendo, che fu necessario subito spedirmi ; e, tornando a casa, mi mesi in letto, agiutandomi mia moglie, chiamata Hortentia Previa,1770 la quale si pigliava gran fastidio, vedendomi così tovagliato. Essendo io, per spatio di quattro hore continue, stato con le sopradette infirmità, mi venne in mente il beato Filippo, con recordarmi la sanctità della sua vita, che havevo inteso, come ho detto di sopra, et, havendo io visto, nella chiesa di S. Maria della Vallicella, alla capella di detto beato p. Filippo, a man dritta de l’altare maggiore,1771 nella quale si conserva, con molta devotione, il corpo di detto beato p. Philippo, in una cassa di cipresso, foderata di velluto cremisino, con molte trine d’oro et altri ornamenti ; quale santo corpo io ho veduto molte volte e intiero, con occasione, che si è mostrato ad altre persone, et, in particulare, ho veduto il petto suo bello e bianco, con molto mio contento ; e, sovenendomi tutto questo, mi racomandai, con fede, al detto beato p. Filippo, dicendo : « o beato Padre, fatemi gratia di liberarmi da questa febre e da questo grandissimo dolore di testa: a voi mi racomando ». E, finito io di dire queste parole, ne l’istesso tempo, mi cessò la febre, cessò il dolor di testa, et mi sentii libero affatto di tutta la infirmità. E questo io l’atribuii, all’hora, a miracolo evidentissimo di detto beato padre, e gratia ricevuta particulare, da Dio, a intercessione di detto beato padre Philippo. E, tanto io, come mia moglie, quale si trovò presente, come ho detto di sopra, sempre l’havemo tenuto per miracolo |[f. 724] vero e gratia ri­ cevuta particulare da Dio benedetto ad intercessione di detto beato padre. Et a questa infirmità mia, che ho detto, non fu chiamato nè medico, nè vi adoperai medicina, nè altro rimedio, nè di parole, herbe, nè acqua, nè altra cosa humana, perchè subito guarii miracolosamente, come ho detto, subito fatta la racommandatione al detto beato padre. Et, subito che io feci la racomandatione, appena finito le parole, hebbi subito la gratia perfetta. Tanto più mi confermai, che fusse miracolo vero, et gratia par­ ticulare, riceuta da Dio benedetto, a intercession di detto beato padre, perchè, oltre che guarii subito, come ho detto, che, per spatio di quattro hore, che mi era durato detto male, ritrovandosi a l’augmento, ces­ sasse subito tutto il male. E questo fu et è la verità : come tale lo dico, con mio giuramento, a gloria di Dio et honor di detto beato padre. Et questo fatto, come ho detto di sopra, successe nella persona mia, me ne ricordo benissimo adesso, che se mi fusse successo di presente. Io Grispoldo Abbatio suddetto ho deposto quanto di sopra si contiene, con mio giuramento, a gloria de Dio et honore di detto beato padre, questo dì et anno suddetti, mano propria.

    Petrus Mazziottus notarius. ΐ7ββ Alessandro Giusti, morto nel 1609; sul quale si veda la nota 1135. i” » Teste 11 26 apr. 1610 (284). 1771 A mano destra, s’intende, di chi riguardi dall’altare maggiore verso il popolo ; a sinistra di chi entri dal fondo della chiesa e riguardi verso l’altare mag­ giore, secondo il moderno più comune riferimento.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, f. 726

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    DIE 23» MENSIS APRILIS 1610

    [283]

    [f. 726] E xa m in a tu s fu it, R o m a e e t c ., in officio m ei e t c ., p er m e e t c ., de m andato e t c ., ad p erp etu a m rei m em oria m , rev.d u s d .n u s M a rcellu s F e r r u s ,1172 presh iter ro m a n u s, te s tis , aetatis annoru m sep tu a g in ta n ovem in circa, qui, m ed io iu ra m en to, tactis e t c ., d ix it, u t in fr a :

    Io mi esaminai un’altra volta, l’anno del 1595, dalla bona memoria del s.r Iacomo Butio, nel quale esamine io dissi a longo di quanto, all’hora, mi ricordavo, sopra la vita, actioni, miracoli, et altre actioni pertinenti alla sanctità della vita del beato Filippo Neri, e, quanto all’hora deposi, tutto deposi per la verità, a gloria di Dio, et honor di questo suo buon servo, et hora confermo con mio giuramento. E perchè, oltre a quello, che, all’hora, fu deposto da me, per la verità, in questo negotio, mi è sovenuto delle altre cose, ho fatto scrivere, da un mio giovene, il presente quinterno di fogli sessant’otto, sottoscritto di mia propria mano. E, havendolo, prima, letto e riletto molto bene, dico, che, quanto in questo quinterno si contiene, tutto è la verità, e, come tale, da me detto e sottoscritto di mia propria mano, a gloria di Dio et honor di questo gran servo di Dio benedetto, havendoci, di novo, fatto inserire quanto in quel mio primo esamine si conteneva, con maggior ordine et chiarezza e nove circostantie. In te r r o g a tu s, in causa scien tia e, d ix it et d eposu it p ro u t in eis u lteriu s in terrog a tu s resp on d it.

    Io sono solito di celebrare la mia Messa, di continuo, ogni giorno, da cinquantacinque anni in qua, purché non sia stato impedito di malatia o viaggio, et questa matina ho celebrato, per gratia del Signore, alle moneche di Campo Marzo.1 1773 2 7 A d aliam in terrog a tion em , d i x i t : Io cominciai a conoscere il beato

    1772 Seconda deposizione di Marcello Ferro, comparso già il 23 ag. 1595 (18) ; consegnata scritta, essa porta in fine la data anteriore del 15 sett. 1609. Il teste fu anche prodotto al terzo processo; nel quale depose il 9 e 11 ag. 1610, e venne inoltre, dopo l’interrogatorio, nuovamente inserita la presente deposizione del 23 apr. 1610. 1773 S. Maria in Campo Marzio, monastero femminile di antica origine, al quale già si riferiscono un istrumento del 937 e un cartario, ora nella Biblioteca Vaticana, cod. Vat. lat. 11391 e 11392; la parte più antica del quale è stata edita a opera di E nrico C aru si , Cartario di 8. Maria in Campo Marzio (986-1199). Roma, 1948 (« Miscellanea della Società romana di storia patria », 17) ; F errari, Early Roman monasteries, cit., pp. 207-09. Greche originalmente, le monache, forse basiiiane, divennero in epoca non precisata benedettine. Nel 1873, il mona­ stero fu incamerato; le ultime monache, ridotte in poche stanze adiacenti alla chiesa esterna (conservata al culto), lo lasciarono nel 1914, passando in quello di Tor de’ Specchi, A ugu sto F raccaoreta, Notizie sul monastero benedettino di 8. Maria in Campo Marzio, ne L ’ Urbe, IV, n. 4, aprile 1939, pp. 24-34. Sul primitivo oratorio di S. Gregorio e l’adiacente sacello della Vergine, rinchiusi nel recinto della clausura dalia badessa Chiarina Colonna, che negli anni 1562-1564 fece costruire una chiesa esterna, H ueusen , pp. 320-21, e A rm el l in i C ecchelli , pp. 405-06 e 1348.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 727-728

    p. Philippo, da Paulo 4°,1774 bona memoria, in qua, et l’ho tenuto sempre per un huomo di santa vita, e, circa li miracoli et altri particulari, mi rimetto nel presente esamine, quale vi consegno, come ho detto, da me sottoscritto e con mio giuramento, per la verità da me deposto : e questa è la verità. La sottoscritione io la feci, sotto li 15 di settembre 1609, e, di novo, da me con giuramento confirmato. [f. 727] Circa l . m Io son stato a Firenze, due o tre volte, et, una di queste volte, ch’io ci volevo andare, che sono insino a cinquanta anni, mi disse il beato Filippo, che io andass’a conoscere i suoi parenti, in Firenze : dove vi trovai una sorella di detto beato Filippo, quale si chia­ mava Elisabetta et era maritata. Et so, che, in detta città di Firenze, sempre c’è stata et è la fede catholica. Et so, che il detto beato Filippo nacque lì, in detta città, d’honesta famiglia, in quanto alla nobiltà, et stavano commodi, et erano tenuti, in Firenze, per buonissimi christiani, et per tali li conobbi et sentii nominare, mentre fui in Fiorenza. Et, dopo, publicamente, intesi, che il padre del beato Filippo era di casa Neri et la madre di casa de Soldi, congiunti in legitimo matrimonio : et di questo è stato et è publica voce et fama, publico et notorio. 2. Io non so, di che anno nascesse il beato Filippo, ma so, che morì l’anno 1595, et haveva ottanta anni ; et so, che sempre è stato chiamato Philippo. Et è stato tenuto, che fusse nato, di legitimo matrimonio, in Firenze, da Francesco Neri et Lucretia di Soldi, et battezzato là in Fiorenze ; et questo è stato, communemente, tenuto così da tutti. 3. Io so di certo, et intesi dir, publicamente, in Firenze, et, anco, moltissime volte, in Roma, da diverse persone, et con diverse occasioni, che mentre il beato Filippo era piccolo, era obediente a suo padre et alli suoi parenti, era devoto, frequentava le chiese, sentiva volentieri la pa­ rola di Dio, fugiva le conversationi cattive, e, per questo, era, commu­ nemente [f. 728] e publicamente, amato da tutti, e chiamato Pippo buono. Intesi, anco, dir, molte volte, che, mentre il beato Filippo era piccolo, cascò in una cantina, con un somaro, e fu liberato miracolosa­ mente, senza farsi male : et questo l’ho inteso più volte, et è stata et è cosa publica. 4. Io so, che il beato Filippo venne a Roma giovanetto, d’età di diciotto anni incirca, et ho inteso dire, più volte, da esso beato padre et da altri, che suo padre carnale, quando esso beato Filippo si partì da Firenze, lo mandò da un suo zio (in un luogo, quale, se ben mi ricordo, si chiamava S. Germano in Campagna) quale era mercante molto ricco, et che detto suo zio lo voleva lasciare herede di tutto il suo, se lui voleva restare lì con lui, et esercitare la mercantia, e che lui non volse, e se ne venne a Roma, con disprezzare, per amor di Christo, ogni cosa. Et so, anco, che non volse mai niente, nemeno dalli suoi parenti di Firenze, nè dalla sorella, nè da altri : et questo lo so dall’istesso beato padre ; et, anco, perchè, un giorno, detto beato Philippo, circa l’anno 1555, mi chiamò, et, essendo noi doi soli in camera sua, mi mostrò una lettera (mi pare che fosse della sua sorella et d’un suo cognato) nella quale

    1774 Paolo IV fu eletto il 23 mag. 1555 e morì il 18 ag. 1559. Più avanti, il teste dice di avere incominciato a praticare F. dal 1553 o circa questo anno, ff. 730 e 740; e nella sua prima deposizione aveva dichiarato il 1559, f. 69.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 728-729

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    pregavano sapere dal detto beato padre, che cosa voleva fare della sua robba, et di quello che li toccava, della parte sua, in Firenze, et lo pre­ gavano, che volesse fare la renuntia della sua parte,1775 se così si con­ tentava. Et il beato p. Filippo, dopo haverini mostrato detta lettera, mi fece darli risposta, et lui mi dettava; et li rispose, che lui mai s’era curato di robba, et che lui renunziava ogni cosa, et che non voleva niente da loro : et a [f. 729] tutto questo fui presente ; et dell’altre cose n’è stato et è publica voce et fama. 5. Io intesi dire publicamente, nel principio Ch’io conobbi il beato Filippo, da molti suoi figlioli spirituali: m.s Giovanni Animuccio, m.s Costanzo Tassone, m.s Fortino, et, in particolare, da molti fioren­ tini (de quali il nome lor non mi ricordo) et in Banchi, che quando che il beato Filippo venne giovanetto in Roma, andò a star in casa d’ un certo m.s Galeotto del Caccia, fiorentino, dove faceva una vita come heremitica ; mangiava solo una volta il giorno, et, spesso, solo pane et acqua ; dormiva, spesso, in terra. Attendeva, anco, in quel tempo, alli studii di philosophia e theologia: et questo lo so, perchè il medesimo beato Filippo mi disse, più volte, ch’havea inteso, in Sapientia, mio padre Alfonso Ferri,1776 quale all’ hora legeva, in Sapientia, philosophia : qual fu poi figliolo spirituale del detto beato Filippo, per spatio di molt’anni, et lo teneva per un santo ; et il medemo faceva il s.r Cesare Iacomelli,1777 qual fu poi vescovo. Et intesi, anco, che se bene il detto beato padre attendeva alli detti studii, con tutto ciò, non lasciò mai li suoi esercitii spirituali. Et era tanta la fama della sua bontà et santità, che, eommunemente, da molti, era chiamato Filippo buono. Et, di tutte

    1775 Una corrispondenza intercorsa circa il 1555 tra F. e la sorella (Elisabetta pare) e un cognato, intorno alla rinunzia della sua parte ereditaria, non è nota. Secondo i documenti, citati nella nota 91, F. venne costituito erede del padre con testamento del 26 sett. 1559 e fece rinunzia all’eredità, a quanto pare praticamente inconsistente, con atto in data 8 mar. 1560. I due suoi cognati sono nominati nella nota 110. Si vedano anche le note 1154 e 1481. 1776 Alfonso Ferro, per esplicita dichiarazione del figlio, mori nell’agosto 1562, e fu sepolto in S. Girolamo della Carità, f. 781. Lesse filosofia, come qui è detto, nello Studio romano; ma egli non si trova ricordato nel R enaìzzi. Celebre fu il medico, o più propriamente chirurgo Alfonso Ferro, ricordato nei registri della famiglia pontificia sotto Paolo III, Giulio III e Paolo IV ; e che insegnò l’arte sua nello Studio romano dal 1539 al 1561. Costui, esentato dalle gabelle, per breve di Paolo III sotto la data 23 ott. 1545, in grazia dei nove figliuoli che aveva, sarebbe poi passato a insegnare in Napoli, dove viveva ancora nel 1577, M a rin i , v . I, pp. 358-61; R en a zzi , Storia dell’università degli studi di Róma, v. II, p. 108; H irsch , Biographisches Lexicon der hervorragenden Arsite, Bd. 2., cit., p. 509. A Roma, un omonimo più tardo è ricordato nel G alletti , da libri di S. Pietro in Vaticano: «1649. 30 mali f Alphonsus Ferrus rom. medicus ... Sep. in Vallicella in sep. proprio. XLI ». cod. Vat. lat. 7880, f. 123. 1777 Cesare Giacomelli, canonico di S. Maria Maggiore il 1° apr. 1548, D e A n gelis , Basilicae S. Mariae Maioris de Urbe ... descriptio et delineatio, cit., p. 46; il 23 genn. 1553 fu eletto vescovo di Belcastro, e intervenne al concilio di Trento. Morì nel 1577, poiché il 22 aprile ebbe il suo canonicato Pietro Paolo Giustini, op. cit., p. 47 ; e il 10 maggio gli fu dato un successore nella diocesi. Cesare insegnò logica nello Studio romano, dal 1548 al 1552, M a rin i , v . I, p. 372. Un suo zio, Giacomo Giacomelli, vi aveva letto teologia, e fu suo predecessore nella diocesi di Belcastro dal 5 mag. 1542 al 1553, R e n azzi , v . II, pp. 103, 100.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 729-730

    le sopradette cose, io ne sentii parlare cinquanta anni sono, et anco, molte volte, doppo, publicamente, et per cosa notoria et publica. 6. Nel principio, che io capitai nelle mani del beato Filippo, intesi dire, da diverse persone degne di fede, in diversi luoghi et tempi, et con diverse occasioni, che il beato padre era stato uno de fondatori della Compagnia della Santissima Trinità 1778 di Roma: et di questo n’è stato et è publica voce et fama. Et Finstituto di detta Compagnia è di dar ricetto, per alcuni giorni, alli poveri infermi convalescenti, quali escono dall’hospedali, et, anco, alli pellegrini che vengono a Roma et, in particolare, detta Compagnia prese grandissimo nome Fanno santo 1575 et, anco, questo anno santo 1600, per la grande carità, che fecero al gran numero di pellegrini,1779 che vennero in [f. 730] Roma in detti anni. 7. Io so che il beato Filippo si fece sacerdote, d’assai età, et haveva circa trentasei anni ; et intesi (nelli principii che io andai nelle mani del beato Filippo) che esso beato padre non si voleva far sacerdote, et che voleva servir a Dio, senza esser sacerdote, et che il suo confessore lo fece fare sacerdote per obedientia. Et questo me lo disse, più volte, m.s Bonsignore Cacciaguerra, et m.s Pietro d’Arezzo, et m.s Arrigo, et m.s Theseo,1780 quali erano sacerdoti antichi nella chiesa di S. Giro­ lamo della Charità, et anco Fistesso beato padre : et questa è stata cosa publica et notoria. 8. Quando io capitai nelle mani del beato Filippo, lui stava nelle stanze di S. Gieronimo, et intesi, più volte, dire, da esso beato padre, et da altri padri, et altri di detto luogo, che esso beato Filippo non volse mai niente, dalli deputati della Compagnia della Charità, se non la nuda stanza (senza altro salario, nè emolumento temporale) ; 1781 et alcune altre stantiole piccole, per commodità delle genti, che andavano da lui, et una logietta,1782 nella quale so, che il beato Filippo si retirava,

    1778 Della parte di F. nella fondazione della compagnia della T rin ità è stato già toccato nella nota 234; e si veda, piti avanti, la nota 1840. 1779 Della copiosa letteratura sull’opera di ospitalità dei pellegrini esercitata dalle confraternite romane e in particolare da quella della Ss. Trinità, si veda l’opera documentata di M ario R o m an i , Pellegrini e viaggiatori nell’economia di Roma dal xiv al xvu secolo. Milano, « Vita e pensiero », 1948 (« Pubblicazioni dell’ Università cattolica del S. Cuore », v. XXV), pp. 201-23, 224-34. Per l’anno santo del 1600, un Diario e memoria delle cose avvenute et governo dell’archicon-

    fraternita dei Pellegrini della Santissima Trinità a Ponte Sisto l’anno del Giu­ bileo 1600, sotto papa Clemente V ili diede in luce G iu se p p e P resu tti , in Cosmos catholicus, a. IX, secondo semestre, n. 16, agosto 1900, pp. 500-09; n. 21 e n. 22, novembre 1900, pp. 664-70, 692-96. 1780 Pietro Spadaro, Enrico Pietra e Teseo Raspa, altre volte nominati. 1781 Questo punto, che F. non ricevesse «emolumento temporale» dalla com­ pagnia della Carità, è contraddetto da N iccolò B andiera, Trattato degli studi delle donne, pt. seconda, cit., p. 252; il quale si richiama a memorie di quell’Archivio. Si veda anche al f. 834, dove Pompeo Paterl, precisa come « di questi padri [di S. Girolamo], alcuni erano stipendiati dalla sopradetta Compagnia della Carità, come cappellani, et altri vivevano del proprio, vivendo ognuno separatamente, come iacea detto beato padre ... ». 7182 L ’edificio già appartenuto alla confraternita della Carità, presso la chiesa di S. Girolamo, e in particolare le stanze di F., successivamente trasformate in cappelle, hanno subito rimaneggiamenti e alterazioni che non permettono di rico­

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 730-731

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    a fare oratione, le fece fare il detto beato padre a spese sue : et questa è stata et è cosa publica. 9. So, di certa scientia, et mi son trovato moltissime volte presente, quando il beato Filippo, nel principio che io gli andai nelle mani, circa l’anno 1553, che, ogni giorno, dopo pranzo, cominciavano a venire diversi suoi figlioli spirituali, et cominciava a ragionare, o proponeva qualche cosa spirituale, et faceva dire alli circostanti il suo parere: alcune volte, della bellezza delle virtù, della bruttezza de vitii, o di qualche vita di Santi. Et, mentre si discorreva, il beato padre si metteva a sedere, appogiato sopra il letto. Et questo io credo che lo facesse, per quello che si vedeva, perchè, nel [f. 731] ragionare delle cose di Dio, si vedeva, che andava tutto in spirito ; et, moltissime volte, l’ho veduto, che, nel ragionare delle cose spirituali, andava tutto in spirito, tremava, si moveva ; et, moltissime volte si vedeva, che faceva tremare anco il letto, et molte volte, pareva che tremasse anco la camera istessa. Et li sermoni di esso beato padre si vedeva, che facevano grandissimo frutto nelPanime et motione. Et andava sempre crescendo il numero delle genti, et moltissimi se ne facevano religiosi: et questa è stata et è cosa publica et notoria. 10. Io so, che il beato Filippo, nell’oratorio di S. Girolamo, et, anco, quando cominciò a ragionare in camera sua, faceva grandissimo frutto nell’anime, et moltissimi ne ridusse alla vita buona et santa. De quali, la maggior parte, ne mandò in diverse religioni, come Cappuc­ cini, Theatini, Gesuiti, di s. Domenico et altri ; et io n’ho conosciuti moltissimi, quali potria nominare, si bisognasse. Molti ne faceva restare nelle loro case, et facevano vita essemplare, et, di questi, alcuni anco erano ammogliati: come si vede, anco hoggidì, il buon essempio, in casa de Massimi, de Salviati, in casa Vitelleschi, in casa Paravicini, in casa Crescentii, Astalli, Crivelli, della Molara et altri. Molti altri suoi figlioli spirituali li fece far sacerdoti, et gli fece cominciar a ragionar all’oratorio, et entrorno in detta congregatione, come fu il p. Francesco Maria Tarugi, et Cesare Baronio, quali poi furono fatti cardinali, il p. Francesco Bordino, quale poi fu arcivescovo d’ Avignone, m.s Co­ stanzo Passone, Giovanni Battista Modio, et altri molti, quali tutti obedivano a cenno al beato Filippo. Et lui, in molte cose, gli mortifi­ cava grandemente ; et io potria dire moltissime mortificationi et atti d’ humiltà, con li quali esso beato padre mortificava, non solo sè stesso, ma anco li suoi figlioli spirituali. Et, con questi [f. 732] mezzi, arrivorno a grande perfettione, et s’è veduto, che alcuni di loro sono morti con opinione di santità : et questa è stata et è cosa publica et notoria. 11. Io so, che il beato Filippo impetrò, dalli deputati della Compa­ gnia della Charità, un luogo più ampio, sopra una nave della detta chiesa di S. Girolamo, et questo luogo l’ottenne con grandissima fatiga. Et so, che, in quelli principii, hebbe molti contrarii di quelli deputati, quali poi si chiarirono della santità del beato Philippo, et si mutorno

    struire completamente la topografia accennata qui e al f. 714. Si veda la descri­ zione fatta nel 1712 dal M arangoni, Vita del servo di Dio il p. Buonsignore Cacciaguerra, p. 65; 11 quale riproduce un’iscrizione del 1637, attestante restauri.

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    44

    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, fi. 732-733

    tutti in favor suo. Et, in detto luogo, cominciò il detto beato padre a far fare, ogni giorno, doppo il pranzo, quattro sermoni ; et sempre ragionava ancor esso beato Filippo, con grandissimo fervore di spirito. In quelli principii, vi ragionavano il p. Tarugi, il Bordino, il Baronio, Giovanni Battista Modio, Antonio Fucci et altri. Finiti li sermoni, andava esso beato Filippo, con molta gente, hora in un luogo, hora in un altro, per dir l’offitio et pigliar un poco· d’aria. La sera, si tornava al detto oratorio, dove, ogni sera, si faceva mezz’bora d’oratione men­ tale, poi si dicevano le litanie delli santi, et, il sabato, quelle della Santissima Vergine, et poi alcuni « Pater noster » et « Ave Maria », et, tre volte la settimana, cioè lunedì, mercoledì et venerdì, si faceva la disciplina, et, all’hora, si nascondeva un lume dentro una lanterna, per la quale si vedeva solo l’effigie del Crocifisso, et tutti si battevano, fin­ tanto che si diceva un sommario della Passione di Christo, che comin­ cia : « Recordemini, fratres charissimi », et poi il salmo « Miserere » et il « De profundis » .1783 Et questa usanza s’osserva, anco hoggidì, dalli padri et fratelli del detto Oratorio in S. Maria in Vallicella, et a questi essercitii spirituali io mi son trovato infinite volte presente: et è stata et è cosa publica et notoria. Et so, anco, di certo, che il beato Filippo, non solo andava, di giorno, alle chiese dette di sopra cioè a S. Domenico alla Minerva [f. 733] et Cappuccini; ma, anco, ci an­ dava di notte, al Matutino. Et io son stato, più volte, con il . detto beato Filippo, di notte, al Matutino, alla Minerva ; et, arrivato, batteva un poco, et subito gli era aperto, et entrava in coro, con li frati, al Matutino : dove vedevo et osservavo, che il beato padre andava tutto in spirito, et piangeva dirottamente, et io l’ho veduto più volte. Et son andato, alcune volte, con il beato Filippo, di notte, lì alla Minerva, con lui, et stato in coro, con li frati ; et, all’hora, eramo otto o dieci, ma non mi ricordo chi fossero : solo mi ricordo del s.r Costanzo Tassone. Et questa è stata et è cosa publica. 12. Io so, che, circa l’anno 1564, si cominciorno a fare li quattro sermoni ogni giorno, et anco 1’oratione, et la disciplina, in un ora­ torio 1784 in S. Giovanni de Fiorentini, dalli figlioli spirituali del beato Filippo, quali prima si facevano in S. Girolamo. Et questo lo fece il beato padre, pregato dalla natione fiorentina ; ma lui non si partì mai da S. Girolamo, et li padri, in detto luogo di S. Giovanni, convivevano insieme, et il beato Filippo andava spesso lì a S. Giovanni: et questa è stata et è cosa publica. 13. Io so, che il beato Filippo, al tempo di Pio Quarto et papa Pio Quinto, hebbe molte persecutioni et anco l’Oratorio. Alcuni si ride­ vano et burlavano del beato padre et, tra questi, non solo erano persone basse, ma v’erano anco molti cardinali : et mi ricordo che il card. Ales­

    1783 d ì questa adunanza serale, detta « Oratorietto piccolo », è stato già fatto cenno nella nota 928. Nel 1601, la menziona anche il F anucci , Trattato di tutte Vovere pie dell’alma città di Roma, cit., pp. 138-45, come tenuta due volte alla settimana. 1784 La vecchia chiesa di S. Orsola della Pietà, ricordata nella nota 1768, venne usata per quelle adunanze; ma l’espressione qui fa pensare piuttosto a luogo della chiesa stessa di S. Giovanni.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 733-734

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    sandro Farnese,1785 il card. Sant’Angelo,1786 il card. Giovanni Fran­ cesco Gambaro,1787 il card. Correggio,1788 et altri si burlavano et ride­ vano del beato Filippo. Et io lo so, perchè non era mai giorno, che io non mi trovassi con alcuno di detti cardinali, et, quasi ogni giorno, dice­ vano qualche burla di detto beato padre, et mi domandavano spesso: « quante minestre ha magnato hoggi il p. Filippo? quanti capponi ha havuto hoggi? quante minestre, Messer Marcello, son toccate a voi? quanti pignattini gli son stati portati? » Et ogni giorno mi facevano simili interrogationi, et durò questo per molti et molti anni, et s’era divulgata questa cosa per Roma, et se ne parlava pubblicamente, fino in Banchi. Et io, che sapevo di certo [f. 734] la sua grandissima austerità et parcità, nel mangiare et bere, non mi possevo tenere, et mi voltavo con parole cercavo di fargli capaci, et fargli la correttione, ma non giovava. Et andavo, poi, a riferire, al detto beato Filippo, quanto havevo sentito, et mi stupivo, in vedere la patientia et la mansuetudine d’esso beato padre, et con quanta allegrezza sentiva d’esser burlato et che si dicesse male di lui. Et, quando io li dicevo le burle, che si dice­ vano di lui, vedevo, che si rallegrava tutto, et haveva caro sentirle rife­ rire, con grandissimo gusto, et s’humiliava, come se quelli tali dices­

    1785 II card. Alessandro Farnese, come si leggerà al f. 949, contrastò la con­ cessione della chiesa di S. Maria in Vallicella alla nascente congregazione del­ l’Oratorio. Ma, a parte questa circostanza, motivabile con la difesa di S. Lorenzo in Damaso nei confronti della chiesa filiale, si vede che F. godeva di scarsa simpatia presso i Farnese. Già è stata ricordata, nelle note 72 e 1714, la violenta lettera anti-filippina del loro cliente e segretario Annibai Caro. 1786 Ranuccio Farnese; sul quale le note 65 e 184. 1787 Del mondano cardinale bresciano Giovanni Francesco Gambara, creato da Pio IV con il cugino Girolamo da Correggio, è stato già fatto cenno nella nota 277 (e si restituisca il suo nome, malamente trascritto e interpretato, nella nota 432). Si può aggiungere che il porporato, fratellastro di Carlo Borromeo (del quale fu seconda madre Taddea Dal Verme, già vedova del conte Lucrezio Gambara, C alvi , Famiglie notabili milanesi, v. II, « Vitaliani e Borromei », tav. VII) venne spesso rimproverato dal santo arcivescovo di Milano ; e si mostrò avversario anche del vescovo riformatore di Brescia Domenico Bollani, P aolo G u errin i , Cronotassi biobibliografica dei cardinali, arcivescovi, vescovi e abbati regolari di origine bresciana dal secolo ix al tempo presente. Brescia, Scuola tip.

    Opera Pavoniana, 1958 («Monografie di storia bresciana», LII), p. 17. Governò anche la diocesi di Viterbo, dal 1566, G iu s e p p e S ignorelli , Viterbo nella storia della Chiesa, v. II, pt. 2a. Viterbo, tip. « Unione », 1940, pp. 273411. A Roma abitò sulla piazzetta ora detta di Campo Marzio, e già nominata da lui, nel palazzo posteriormente De Romanis, F. C erasoli, Notizie circa la sistemazione di molte strade di Roma nel seo. xvi, nel Ballettino della Commissione archeologica comunale di Roma, XXVIII, 1900, p. 353; e O rbaan, p. 351 n. 1788 Girolamo da Correggio, figlio della poetessa Veronica Gambara, nunzio pontificio in Francia e Spagna, venne creato cardinale il 26 feb. 1561, da Pio I V ; prima diacono di S. Giovanni a Porta Latina, ebbe successivamente vari titoli presbiteriali, per ultimo quello di S. Anastasia; e fu anche arcivescovo di Taranto. Tenne carteggio, in giovinezza, con Pietro Aretino; inoltre, con Giovanni Della Casa, Annibai Caro e Giovanni Guidiccioni. Morì il 9 ott. 1572 e fu sepolto in S. Silvestro al Quirinale, L itta , Famiglie celebri d’Italia, « Da Correggio », tav. I l i ; C hacon-O ldoini , Vitae et res gestae pontificum romanorum et 8. R. E. cardinalium,

    t. I l i , col. 942-43. Puramente encomiastico, e tacente dei gravi trascorsi morali e della violenza di temperamento del personaggio, è il discorso corredato di alcune lettere in appendice, di Q u irin o B i g i , Sulla vita e sulle opere del card. C. da C. politico-filosofo del xv [sic] see. Milano, coi tipi di L. di G. Pirola, 1864.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 734-736

    sero la verità. Et so di certo, che il card. Gambaro, doppo haver burlato, per molto tempo, il beato Filippo, si riconobbe dello errore suo et mi pregò, ch’io menassi il beato Filippo da lui. Et, subito ch’io dissi al beato padre, che il card. Gambaro gli voleva parlare, subito v’andò. Et so, che il detto cardinale restò molto edificato delle parole di detto beato Filippo, perchè, mai più, doppo, si burlò di lui, et mi disse poi : « mi piace, Messer Marcello, il p. Filippo : è un santo huomo ; fate che preghi Dio per me » ; et spesso mi diceva queste parole. Mi ricordo, anco, che, in quelli medesimi tempi di Pio Quinto, fu perse­ guitato, non solo il beato Filippo, ma anco l’essercitio dell’oratorio, et so, che fu referito al papa Pio Quinto, che nell’oratorio si dicevano molte cose inette et poco ben dichiarate: et questa fu mera persecu­ tione. Et, con tutto ciò, detto papa mandò, per molto tempo, dui frati di s. Domenico (uno chiamato maestro Paolino et l’altro il p. maestro Alessandro, quale poi fu vescovo di Forlì) 1789 quali assistessero a detti sermoni lì in S. Girolamo. Et io viddi spesso quelli padri lì all’oratorio ; et, nel principio, non si sapeva perchè venivano quelli padri così spesso all’oratorio, ma si seppe, poi, che li mandava il papa. Et, quando quelli dui padri di s. Domenico cominciorno a gustare la conversatione del beato Filippo, et a vedere il frutto grande, che si cavava per l’anime da quelli sermoni familiari, che si facevano nell’oratorio (massime [f. 735] che, quasi sempre, concludeva li sermoni il beato Filippo et, nel ragionare, andava tutto in spirito, si moveva tutto, palpitava et piangeva, che haveria mosso le pietre) s’affettionorno tanto al detto beato padre, che seguitorno, per molti anni, detto essercitio dell’ Orato­ rio, et ragionorno, moltissime volte, ancor loro, nell’oratorio et li viddi ragionare. Et so, che fecero buonissima relatione al detto papa Pio Quin­ to, così dell’essercitio dell’ Oratorio, come del beato padre; et so, che il detto papa restò edificato et affettionato assai al beato Filippo et all’Oratorio : et questa era cosa publica. Et so, che il detto p. maestro Paolino et p. Alessandro portavano grandissima riverenza al beato Fi­ lippo, et lo riverivano come santo : et questo lo so, perchè loro medesimi mi ragionorno, più volte, del detto beato Philippo. Et so di certo, et io l’ho sentito più volte, che il detto p. Paolino conferiva, con il beato Filippo, tutti li suoi pensieri della riforma della sua religione di s. Do­ menico,1790 quale riforma fece il detto p. Paolino: et questa è stata et è cosa publica. [f. 736] 28. D e virtu tib u s. In quanto al primo articolo, mi rimetto et confermo quello che ho detto sopra, in diversi articoli ; et so et affermo, che, per quanto io ho conosciuto et ho sentito sempre dire, il beato Fi-

    1789 Paolino Bernardini e Alessandro Franceschi ; sui quali, rispettivamente le note 491 e 1646. 1790 Sulla quale si veda, ora, B enedetto C arderi, O. P., La riforma domenicana in Abruzzo, in Memorie domenicane, a. 75, XXXIV della s. n., 1958, pp. 72-125. Nel lavoro si raccolgono una lettera del p. Paolino Bernardini al p. Vincenzo Ercolani, in data 25 lu. 1563, sulla riforma nella provincia romana, pp. 77-82 (l’Ercolani rimase diffidente su questa opera) ; e la versione italiana, storicamente annotata, dell’Opws sanctissimae reformationis etc., manoscritto del p. D ionisio M artini , O. P., che visse dal 1559 al 1608, pp. 84-124. Sul Bernardini, note biografica e bibliografica alle pp. 87-88 n. 7 e 111-13 n. 47.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 736-739

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    lippo fu sempre un santo, et perfetto fin da piccolo, et fu specchio di santità, anco alle persone perfette, et fu ornato et dotato da Dio d’ogni sorte di virtù, et doni, et gratie « gratis date » : et questa è stata et è publica voce et fama, publico et notorio. 29. De fide. Io so, che il beato Filippo, non solo fu perfetto Chri­ stiano, ma anco, sempre, con li fatti, et con le parole, et con tutta la vita, sempre predicò et cercò di dilatare la Santa Fede Catholica. Insti­ tui, per questo effetto, l’ Oratorio, dove, ogni giorno, lui assisteva a tutti quattro li sermoni ; et se, per caso, si diceva qualche cosa, che non fusse ben dichiarata, subito lui la repigliava, et la dichiarava, con ma­ raviglia di tutti. Per questo effetto di confermare le cose della Santa Fede, comandò al p. Cesare Baronio, che fu poi cardinale, che raccon­ tassi sempre, all’oratorio, dell’historie ecclesiastiche. Et so, che il detto Baronio, nelli principii, non voleva ragionare, se non di cose malenconiche, come della morte, dell’inferno, del giuditio, et cose simili. Et io, a detti ragionamenti, mi son trovato moltissime volte presente, et intesi, più volte, quando il beato Filippo gli commandò, che lasciasse detti ragionamenti et si desse allo studio delle historié ecclesiastiche : et è cosa publica l’ utile grande, che hanno fatto et fanno, alla Santa Chiesa, gli Annali di detto Baronio.

    [Il racconto della morte di Gabriele Tana, 1791 ripete alla lettera le pp. 84-85 del I volume, ma due volte Marcello Ferro avverte d’ aver udito le parole del Toma e di s. Filippo e c’ è qualche piccola aggiunta, per esempio : « E subito si partì (il demonio) et cominciò m.s Gabriele a parlare, con amore et fervore grande, dicendo : “ Giesù, Giesù ; ecco là il demonio, che se ne va ; padre, vedetelo, vedetelo brutto negro ” e, alla fine : « Et il beato Filippo fece un sermoncino, a tutti noi, dell’amor d’ iddio e bontà sua, et, doppo, si voltò, et disse alcune parole al detto Gabriello già moribondo, et l ’infermo, movendo alquanto la testa, la pose sopra una mano del beato Philippo, quale la teneva sopra il capez­ zale del letto, et dicendo tre volte “ Giesù” , spirò con un volto allegro e bello, che pareva un angelo, et a questo ci forno presenti il s.r Giovanni Battista Salviati, io, e molti altri [f. 739] figlioli spirituali del beato Philippo, e familiari del card. Montepulciano. Et questo fatto fu tenuto da tutti noi per cosa miracolosa. Io so, che il beato Philippo ha operato,

    1791 A quanto indicato nella nota 108 si aggiunga che la lettera di Giacomo Marmitta si trova, in altra copia, del see. xvii, nel codice Vallicelliano O. 20, ff. 1-7 V : non differisce sostanzialmente dalla citata edizione di Perugia, ma è di forma assai più corretta ; mancano l’indirizzo « A messer Arcangelo da Parma a Parma », la datazione « Di Poma » e la firma « V.ro fratei Giacomo Marmitta ». Copia, inoltre, del codice Vallicelliano, databile dalla fine del see. xvm , è nel­ l’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, Cassetto 66. Una diversa relazione della morte di Gabriele Tana, inedita per quanto risulta, è conservata finalmente nell’Archivio ora menzionato, Cassetto 66, in un fascicolo manoscritto della fine del see. xvi o inizi del x v i i . Porta la soprascritta, forse di mano del p. Giovanni Matteo Ancina: «Copia di letera scritta a Parma di settembre 1558 de la morte di m.s Gabriello fig.10 spirituale del B. Padre Filippo Neri »; sembra diretta al padre del Tana ed è certamente posteriore alla lettera, o alle lettere, di Giacomo Marmitta, alle quale si richiama. La malattia del giovane cortigiano, incominciata Γ8 agosto, si conchiuse con la santa morte il 1° sett. 1558, « a hore tre di notte ».

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    28 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 739-740

    vivendo, moltissimi miracoli, il che non haveria possuto fare, senza gran fede. Et questa è stata et è cosa publica »]. 31. De charitate in Deum. Io so, che il beato Filippo, in tutte le sue attioni, non cercava altro, che la gloria di Dio, et non si curava esser nominato lui. Et era tanto rassegnato nella volontà d’iddio, e tanto pieno del suo amore, che, sempre, lo vedevo d’ un medesimo volto. In tutte le sue attioni, sempre si raccomandava all’ orationi d’altri. Et so, che, quando mi confessava, sempre mi faceva dire una parte della peni­ tenza secondo la sua intentione ; et so, che faceva il medesimo con altri. Et, molte volte, mi ha detto, che lui non desiderava altro, che l’honor di Dio, et che era preparato a fare l’Oratorio et a lasciarlo, a confes­ sare et non confessare ; et così, in tutte le cose, non solo indifferenti, ma anco nelle cose buone, era rassegnato alla volontà d’iddio. Et, più volte, m’ha detto, che lui haveria voluto servire a Dio in stato di laico, et non esser prete, nè confessare; ma che si fece prete, e cominciò a confessare, per obedienza del suo confessore. Dall’amore grande de Dio, che haveva nel cuore, nasceva, che nè anco la notte posseva dormire, ma andava, hora, al Matutino, alla Minerva, o alli Cappuccini (et io vi sono andato, più volte, con lui) o vero andava, solo, alle Sette Chiese, come ho inteso, più volte, dal medesimo. Et è stato et è publica voce et fama. [f. 740] 43. De oratione et contemplatione. Io, nel principio che capitai nelle mani del beato Filippo, intesi dire, publicamente, da diverse per­ sone, e con diverse occasioni, che, mentre il beato Filippo era giovine, andava spesso alle Sette Chiese, di giorno et di notte; molte volte, dormiva sotto li portici di S. Pietro, o vero di qualche altra chiesa, et portava un pane et una candela ; et, molte volte, si tratteneva a predi­ care alli poverelli, che stavano alle porte delle chiese. Soleva dire il padre, che lui, a 20 hore, non poteva fare oratione, che non havesse devotione et poco spirito : et vedevo, che il padre, a tutte l’hore, era in spirito et sempre era in atto. Et di questo ne è stato et è publica voce et fama. 33. De devotione et lachrimis. Io so di certo, che, quando io conobbi il beato Filippo, havea tanto spirito, et faceva, alle volte, tanti moti, che, chi non lo conosceva, molte volte, lo disprezzava. Et intesi publica­ mente dire, che, molte volte, per la abondanza grande di spirito, era stato costretto di gridare a Dio, che non posseva sopportare tanta abon­ danza grande di spirito. Intesi, anco, in quel tempo, dire, più volte, a diverse persone et con diverse occasioni, che, mentre il beato Filippo andava, solo, di notte, alla Sette Chiese, gli erano apparsi alcuni demonii, per atterrirlo, ma non gli era venuta fatta : et di questo n’era, all’hora, publica voce et fama, publico et notorio. Dall’anno 1553, che io cominciai a pratticare con il beato Filippo, fino al fine della vita sua, sempre l’ho veduto et osservato, che, mentre diceva la Messa, mentre confessava et che dava l’assolutione, mentre faceva oratione, mentre ragionava delle cose d’iddio, et mentre faceva altri essercitii spirituali, sempre tremava, saltava et si moveva, con tutta la persona et piangeva, molte volte, dirottisimamente. Mi sono trovato, con il detto beato Fi­ lippo, infinite volte, mentre andava a S. Pietro, a S. Paolo et altre devotioni ; et l’ ho veduto, con l’occhi miei, molte volte, alzarsi, miraco­

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 740-742

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    losamente, da terra, con tutto il corpo, mentre faceva [f. 741] oratione avanti li corpi di s. Pietro et s. Paolo, et anco in altri luoghi ; et l’ho veduto, anco, molte volte, mentre applicava alle cose d’ iddio, tremar tutto, et restar come morto, pallido. Il medesimo, quando celebrava Messa, tremar tutto, et moversi, saltare, cercar di distrahersi ; si metteva, molte volte, le mani al volto, passegiava per l’altare, diceva che cacciassero qualche cane, et, in altri modi, cercava di distrahersi. Et, con tutto ciò, l’ho veduto, molte volte, mentre celebrava la Messa, che andava tutto in spirito, et piangeva, e, nell’alzar il Santissimo Sacra­ mento, sempre si levava in punta di piedi, et, alcune volte l’ho veduto, che non toccava con li piedi terra ; altre volte, mentre voleva far ora­ tione, si poneva le mani al viso et sopra la bocca, et sempre tremava, et, allora, era tutto spirito et si gonfiava tutto, tremando. Intesi, ancora, publicamente dire, da diversi suoi figlioli spirituali, in diversi tempi et con diverse occasioni, che il detto beato Filippo haveva havuto, molti anni prima che io lo conoscessi, questa palpitatione et questo tremore, come ho detto di sopra : et, di queste cose n’è stata et è publica voce et fama. Io so, che, ogni giorno, detto beato Filippo, o vero diceva Messa, o vero si communicava: et questo lo so, di certa scientia, per molti et molti anni, che conversai intrinsecamente con detto beato Filippo ; et, nel resto dell’anni, lo sentii dire pubblicamente, et è stata, et è cosa notissima. Et so, che il Signore gli fece gratia di dir la Messa, l’ultimo giorno di vita sua. E quando diceva la Messa, sempre la [f. 742] diceva con molta devotipne sua et di chi la sentiva, sempre saltando et tremando et, molte volte, qon abondanza di lacrime: et questa è stata et è cosa publica. 34. Estases et raptus. In tutto il tempo, che ho conosciuto il beato Filippo, sempre l’ho osservato, che, quando stava in camera, quando stava in chiesa al confessionario, quando diceva Messa, quando assisteva alli sermoni ne l’oratorio, quando andava per le strade, et, anco, mentre mangiava, sempre ho veduto, che stava in atto di oratione, et si cono­ sceva da molti atti, che faceva con l’occhi, con le mani et con altri simili atti. L’ho veduto, moltissime volte, per le strade, che andava tutto astratto, che, moltissime volte, lo chiamavo et non s’accorgeva di chi lo salutava, come se fusse una tavola. Et si metteva, spesse volte, le mani al volto, et gonfiava tutto, et era tutto spirito. Quando diceva Messa, per non restare in estasi, faceva tanti gesti, et cercava tante distrattioni, avanti la Messa et mentre la diceva, che, chi non lo cono­ sceva, molte volte, si scandalizava. Et tutte queste cose io l’ho vedute infinite volte, tanto nelli. primi anni, che io lo conobbi, quanto anco doppo, in tutto il tempo che l’ho pratticato, fino al fine della sua vita.

    [Ripete il racconto dell’ estasi di s. Filippo durante l’ esposizione delle Quarantene nel convento della Minerva (I voi. pp. 81-82), ma aggiunge·, «per un travaglio grandissimo,1792 che havevano per la

    1792 Questo « travaglio grandissimo », non determinato dal teste nella sua prima deposizione del 1595, f. 63 (e che si è proposto sopra d’identificare con la minacciata condanna delle opere di Girolamo Savonarola, nota 263) sarebbe invece stato prodotto, come qui Marcello Ferro specifica, dai tumulti di popolo che accaddero nel giorno della morte di Paolo IV, 18 ag. 1559, e nei successivi.

    i

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    •23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, f. 742

    statua del papa [Paolo I V ], che era stata strascinata per Boma, et per la persecutione, che, per questo, loro havevano dal popolo, et per il pa­ lazzo dell’ Inquisitore,abruciato,1793 a Eipetta,1794 a furia di popolo,

    Il teste domenicano Francesco Cardoni, citato subito dopo dal Ferro, riferisce in realtà l’estasi alla « persecutione » delle opere savonaroliane, f. 107 : si veda anche la nota 405. Queste divergenti testimonianze potrebbero indurre a credere che le estasi siano state due, In quelle diverse circostanze; noi propendiamo piuttosto a pensare che si tratti di un unico fatto, e che sia avvenuto nell’occasione della temuta condanna degli scritti del Frate ferrarese, sulla fine del 1558. Nella narrazione dei tumulti e dell’assalto al convento della Minerva, fatta dal suo priore Vincenzo Ercolani in lettera ai frati di S. Marco in Firenze sotto la data 19 ag. 1559, A quarone, Vita di fra Jeronimo Savonarola, v. II, cit.,. pp. XLVI-LI, manca qualsiasi conferma della presenza di F. nel convento in quel frangente. Per « quietare la inquieta plebe » molto si adoperarono, dentro e fuori, Giovanni Battista Salviati e Giuliano Cesarini. 1793 i fatti sono narrati da numerose fonti contemporanee, in parte usufruite dal P astor, v . VI, pp. 585-86. SI possono richiamare, tra altre, la lettera delI’ E rcolani, clt. nella nota precedente, e la relazione del p. P aolino B ernardini, in G. F. Pico, Vita reverendi patris f. Hieronymi Savonarolae, t. alter, cit., pp. 612-14; inoltre, Due relazioni inedite dell’ambasciatore Montino Del Monte al duca di Urbino sugli avvenimenti romani dopo la morte di Paolo IV , edite da Salvatore C aponetto , in Studia Oliveriana, I, 1953, pp. 25-40. La depredazione del palazzo dell’Inquisizione a Bipetta è anche descritta in un appunto del notaio Roberto de Paoli, in L a n ciasi , v . I l i , pp. 206-07 ; e, in aggiunta, vanno citate le due bolle di Pio IV, del 6 gennaio e 15 maggio 1560, con le quali si assolve il popolo romano dalle censure in cui era incorso per gli eccessi compiuti alla morte di Paolo IV, col bruciare il palazzo dell’Inquisizione, distruggendo i processi contro gli eretici, col percuotere i frati domenicani alla Minerva, e con altri disordini, Regesti di bandi editti notificazioni e provvedimenti diversi relativi alla città di Roma ed allo Stato pontificio, v. I, cit., p. 28 num. 173 e p. 29 n. 179. 1794 Del sito del palazzo dà notizia, raccontando i fatti, il contemporaneo A scanio C entorio de g l i H ortensii, La seconda parte de’ Commentarii delle guerre, & de’ successi più, notabili avvenuti cosi in Europa come in tutte le partì del mondo dall’ anno MDLIII fino a tutto il MDLX. In Vinetia, appresso Gabriel Giolito

    di Ferrarii, 1570, p. 238: « . . . l’officio della inquisitione si teneva a Ripetta in contro la gabella del Tevere appresso San Rocco in un bel palazzo che tutto fu in un momento ripieno di fiamme ... »; cf. C . C orvisieri, Del porto della Posterula e delle sue adiacenze, in Archivio della Società romana di storia patria, I, 1877, p. 139. Il notaio Roberto de Paoli, cit. nella nota precedente, attesta anche : « Quod quidem palatium positum est Rome in Regione Campim artis es opposito ripette sancti Rochi », L anciani, v . I l i , p. 207. A suo tempo, Paolo IV aveva destinato per il restauro dell’edificio 12.000 scudi, non ostante la penuria di denaro, P astor, v . V I, p. 482 e nn. 3-4. In esso era stato condotto il Franco, imprigionato la prima volta il 15 lu. 1558, A ngelo M ercati, I costituti di Niccolò Franco (1568-1510) dinanzi l’Inquisizione dì Roma esistenti nell’Archivio segreto Vaticano. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1955 (« Studi e testi »), p. 17 n. Dopo l’incendio, il palazzo di Ripetta venne ceduto a Giovanni Paulo Galante che lo restaurò, e nel 1593 l’ affittò in parte a Francesco Cenci, Corrado R icci , Beatrice Cenci, v. I. Il parricidio. Milano, Fratelli Treves, 1923, pp. 30-31. Non sappiamo dire quanto sia esatta la notizia, data, nel 1896, d a l l ’ AMANTE, Giulia Gonzaga contessa di Fondi, cit., p. 299: «Anche oggi si possono ancora mirare i ferri, le forti cancellate provviste dalla cristiana magnanimità del cardinale Teatino: nulla è toccato dell’antico carcere dell’inqui­ sizione, posto in via Ripetta, n. 118, vale a dire nella casa situata presso piazza Ripetta, una volta chiamata piazza Montauto, che ha il prospetto su quella via e due lati vicino alla piazza Borghese e sulla cosidetta piazza sterrata di Bor­ ghese, o delle scuderie di Borghese ... Oggi quello stabile è occupato da un negozio

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 742-744

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    misero l’oratione di quaranta hore, dentro il monasterio » ; e , più avan ti : « et non sono molti giorni, che ne parlai con un padre, alla Minerva, quale ancora se ne ricorda, quale si chiama fra Francesco Cardone : et di questo fatto n’havemo ragionato, publicamente, moltissime volte, fra li figlioli spirituali di detto beato padre. Et, levandosi molti padri dall’oratione » ; e , finalm ente : « rispose, che haveva veduto, nel san­ tissimo Sacramento, Christo, in forma humana, dal mezo in su, che dava a loro la benedittione. Et questo l’ho inteso dalli padri della Minerva, all’hora et anco doppo, come ho detto, e da quelli dell’Oratorio, migliara di volte : et di queste cose n’è stata et é publica voce et fama, publiche et notorie »]. 35. D e vision ib u s. Io so, che è stata sempre publica voce et fama, che il beato Filippo havesse moltissime visioni; et io, in particolare, mi ricordo, che, quando si buttò giù il tetto della chiesa vecchia della [f. 744] Vallicella, che fu circa l’anno santo del 1575, se disse publi­ camente, che fu trovato un trave di detto tetto, che stava fuori del muro et si regeva in aria miracolosamente, et che il beato Filippo haveva detto, la mattina, al padre, che all’hora haveva cura della fabrica, quale mi pare fosse m.s Giovanni Antonio Lucci, che facesse, quanto prima, levare quel tetto, perchè lui, la notte, haveva veduto la Madonna santissima che, con le sue mani, lo sostentava, che non cadesse ; et che il detto p. Giovanni Antonio, intese queste parole del beato padre, ancorché non havesse volontà di far levare per all’hora quel tetto, con tutto ciò mandò li muratori a levarlo ; et che li muratori, vedendo il trave, che reggeva il tetto, stava fuori del muro, in aria, cominciorno a gridare : « miracolo, miracolo » : et questo fatto si raccontò all’hora publicamente, et io l’intesi dire da diversi. Io mi trovai presente, nell’ oratorio di S. Girolamo, quando il beato Filippo comandò, ad uno che era lì presente, quale, communemente, si chiamava il Ferrarese, che raccontasse la visione, che lui havea havuta. Et io sentii et viddi, che il detto huomo, subito, obedì il beato padre, et, con molte lachrime, et con l’occhi bassi, come si vergognasse, disse forte, che gli era apparso il demonio, in forma della Madonna santis­ sima ; et che lui, credendosi che fusse la Madonna, l ’haveva raccontato, la mattina, al p. Filippo; et che il detto padre gli havea detto, che quello, che gli era apparso, non era stata la Madonna, ma il demonio, et che, per segno di questo, se li appariva più, gli sputasse in viso ; et che, la notte seguente, hebbe la medesima visione, et che, sputandoli di ferramenta e di ottonami, vi si accede, come vi si accedeva una volta, da dùe rampe laterali ». Nuova sede dell’Inquisizione fu, come si sa, il palazzo del S. Offizio, ancora esistente, costruito da s. Pio V, conforme a quanto dichiarava un’iscrizione che si riferisce : « Palazzo d’inquisizione o prigione, ch’è tra camposanto et i Cavalleggeri su la strada ... In marmo sopra la porta ch’entra nel cortile d’esso loco, et è di ferro con feritoie dalle bande ... : Pius V congregationis sanctae inquisi­ tionis domum hanc qua haereticae pravitatis sectatores cautius coercerentur a fundamentis in augmentum catholicae religionis erexit anno m d 1 xix », L anci a n i , 11 codice Barberiniano XXX, 89 [Barb. lat. 2016] contenente frammenti di una descrizione di Roma del secolo xvi, in Archivio della Società romana di storia patria. V I, 1883, pp. 466-67. Era il palazzo anticamente del card. Lorenzo Pucci, acquistato il 9 mag. 1566, L a n c ia si, v . IV, pp. 21-22.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 744-746

    nel viso, il demonio subito sparve; et che, poco doppo li apparve la santissima Vergine, et, volendo lui sputargli in volto, gli disse la Ma­ donna: «sputa, se puoi», [f. 745] et che lui mai potè sputare; et che la Madonna li disse: «hai fatto bene ad obedire », et si partì, lasciandolo tutto consolato. Et io fui presente, quando il detto Ferra­ rese raccontò, con molte lacrime, publicamente, quanto ho detto. Et il beato Filippo, con questi et con altri essempii simili, spesso ci esortava, che non era bene andar dietro a visioni et desiderarle, et, chi non fa così, facilissimamente è ingannato: et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. Circa l’anno 1574 o 1575, essendo morto m.s Giovanni Animuccia, musico et mastro di capella di S. Pietro, molto mio amico, quale so, che era stato, molt’anni, figliolo spirituale del beato Filippo, et haveva frequentato, molt’anni, ad andare a cantare, ogni giorno, all’Oratorio nella chiesa di S. Girolamo, doppo li sermoni, et anco altrove, et io ce l’ho veduto infinite volte ; una sera, doppo la sua morte, volendo m.s Alphonso Portoghese, (quale era servitore del card. Montepulciano, et poi fu sottocameriere di papa Gregorio XIII, et hora è morto) uscire dal­ l’andito del luogo, dove si distribuisce il pane alli poveri, lì in S. Giro­ lamo della Charità, et andarsene a casa, et era stato di sopra, a sentire alcuni sermoni nell’ oratorio, s’incontrò con il detto m.s Giovanni Animuccia, già morto. Quale, per quanto detto Alphonso poi riferì, era vestito nel medesimo modo, che andava vestito mentre viveva, cioè con un capello d’ermisino, un paro di stivaletti bianchi et un ferraiolo a meze gambe. Quale m.s Giovanni dimandò a detto Alphonso : « che si fa di sopra? è finito l’oratorio? » ; et il detto Alphonso gli disse, che stava al fine ; et il detto m.s Giovanni gli replicò : « dite al p. Filippo, che preghi Dio per me », et, con questo, si licentiorno l’ uno dall’altro. Et il detto m.s Alphonso, havendo caminato un poco, fuori della porta di S. Girolamo (che se ne andava a casa) si ricordò, che il detto [f. 746] m.s Giovanni era morto ; et, tornando a dietro, tutto spaven­ tato, per vedere se lo vedeva più, non vedendo più cosa alcuna, cascò in terra, per timore ; et, essendo agiutato, andò subbito di sopra, con gran spavento, a dir, al beato Filippo et a tutti quelli che erano presenti, quanto haveva veduto, come ho detto. Et io mi trovai presente, quando il detto Alphonso raccontò tutto il fatto detto, et il beato Filippo disse, che il detto m.s Giovanni Animuccia era in Purgatorio, et che si facess’oratione per l’anima sua. Et so, che il detto beato padre mandò, in diverse chiese, elemosine, acciò si facess’oratione et si dicessero Messe, per l’anima del detto m.s Giovanni. Et, il giorno seguente, detto A l­ phonso raccontò di novo, all’oratorio, questa visione, et la raccontò più volte ; et, per molti giorni, il detto Alphonso, stette come spaventato, et diceva, che gli pareva sempre haver avanti il detto m.s Giovanni. Et tutti, all’hora, dicevano, che, per esser stato il detto m.s Giovanni figliolo spirituale del beato Filippo, il Signore gli havea fatto gratia d’apparire, acciò fuss’agiutato dall’orationi del beato padre et dell’altri. Et, di questa cosa, se ne parlò, in quel tempo, publicamente ; et io l’ho raccontata, doppo, più volte, a diversi, et con diverse occasioni. Intesi, anco, più di quaranta anni sono, publicamente dire, più volte, a diverse persone, et con diverse occasioni, che, mentre il beato Filippo,

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 746-749

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    andava solo, mentre era giovine, di notte, alle Sette Chiese, gli appari­ rono alcuni demonii, per atterrirlo, ma che lui li disprezzò, et seguitò il suo viaggio. Et, di questo, all’hora, n’era publica voce et fama, publico et notorio. [f. 747] 37. De caritate erga proximum et zelo animarum. Io so, di certa scientia, che il beato Filippo, nel principio ch’andai nelle mani di esso beato padre, andava, tutto il giorno, hora al Pellegrino, hora alla Sapientia, hora alli fondachi di Banchi, hor in un luogo, hora in un altro, per cercare persone sviate et peccatori gravissimi, et, con dolci parole et essortationi, li conduceva all’oratorio di S. Hieronimo, a confessarsi. Et so di certo, et osservavo, et vedevo, che spen­ deva tutto il giorno, o in oratione, o in dir l’Ofifitio, o la Santa Messa, o in convertir anime ; non solo con li sermoni nell’oratorio, ma l’an­ dava cercando per le strade; et so di certo, et l’ho visto io, che ne ridusse infinite anime alla cognitione di Dio et alla vita buona, et andava cercando li peccatori ogni giorno. Et era cosa miracolosa il vederlo pratticare tutto il giorno coi peccatori, et, con tutto ciò, si conservava sempre et cresceva sempre di santità. Et io lo vedevo sempre, et era cosa publica, che lui stava sempre in atto d’oratione et questo si cognosceva dalle parole, dalli gesti, dall’occhi, dalli moti dalla persona, et dal tremar che faceva. Et tutti quelli, che capitavano, una volta, nelle sue mani, per ordinario, mai più se ne partivano. Nominarò, per hora, solo la conversione, che fu, si puoi dire, mira­ colosa del p. Francesco Maria Tarugi, qual fu poi cardinale, et era, prima, sviatissimo ; del s.r Giovanni Battista Salviati ; di m.s Costanzo Tassone; di m.s Marco Antonio Cortesella, quale era cassiero del Ceuli et il beato padre l’andò a chiamare al banco, che li voleva par­ lare, et, parlato, subito lo convertì; di m.s Giovanni Battista Modio et altri ; che non era quasi mai giorno, che non li venisse qualcheduno di novo nelle mani. [f. 748] Et dirò io, in che modo capitai nelle mani del beato padre.

    [La narrazione del primo incontro con s. Filippo ripete quanto si legge alle pp. 89-90 del I volume, salvo qualche particolare, come i seguenti : « “ ... o si fa religioso, o muta vita” . Et lo pregai, che, come veniva, me lo mostrasse: et me lo mostrò, et, vedendo io entrare il beato Filippo, et mettersi le mani nel viso, et soffiare, mentre faceva oratione, lì in chiesa, lo disprezzai, dicendo: “ che homo santo è questo?” Et andando io facendo oratione per li altari di detta chiesa, finito Vespero, mi venne incontro m.s Giovanni Animuccia, quale era figliolo spirituale di detto beato Philippo e mio amico et mi disse: ». Più avanti : « Et subito cominciò Compieta, et il beato padre si pose a sedere, con li guanti posti su li braccioli del choro, e piangeva dirottissimamente, che bagnava tutta la veste, tremando : il qual guardandolo io tutto mi compunse. E finita la Compieta, si fece altro ragionamento spirituale, et finito, mi venne incontro, senza che io l’havessi mai più visto, nè parlato. Et ero vestito tutto vanamente, con calzoni di [f. 749] velluto paonazzo con trine d’argento, cal­ zette di seta di colore, cappa da secolare, tutta foderata d’ermesino, gioppone di raso: et, all’hora, ero beneficiato di S. Pietro. Et andai, vestito così da sgerro, da quindici giorni, all’oratorio del beato Phi-

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 749-751

    lippo ; et, in detto tempo, mai il beato padre mi disse, mi levasse detto habito, ma mi comportava : tanto, che da me stesso mi vergognai, et mi vestii da prete. Et, la prima volta che il beato Filippo mi toccò, tutto mi compunse, et mi pregò, che mi lassasse vedere all’oratorio, insieme con l’altri gentilhuomini, come feci. Et, pregandolo, quello stesso giorno che lo conobbi, che mi volesse confessare, mi disse: »]. E di qui cominciai a conoscere il beato Filippo, sin’all’ ultimo di sua vita, et così, sempre, ho inteso consolatione della sua santità e dell’orationi sue, et, da quel primo giorno, che mi confessò, cominciai a tenerlo per santo. Et, di questi, che lui convertiva, ne mandava et ne mandò, infiniti, in diverse religioni, centinara di persone mandò alla religione de Oapuccini, altri alla Minerva, alli Teatini, Gesuiti et altre religioni : et loro medesimi, et tutta Roma ne puoi far fede ; et io lo so di certo, che n’ho conosciuti et veduti moltissimi ; et di queste cose ne è stata-et è pubblica voce et fama. [f. 750] Per questo istesso zelo grande, ch’haveva il beato Philippo della salute dell’anime, io so, che detto beato padre, la mattina, sempre, o sedeva al confessionale a confessare, overo passegiava, fuori della chiesa, avanti la porta della chiesa di S. Girolamo della Charità : 1795 et, questo, acciò li suoi figlioli spirituali, et l’altre genti, che si volevano confessare, lo trovassero sempre pronto. Et so che, se, alcune volte, per qualche necessità, si partiva, lasciava detto dove andava, et che sarebbe tornato presto. Et questo lo faceva, non solo le feste, ma ogni giorno, continuamente, tutto l’anno ; et, la mattina, cominciava a confessar avanti giorno, in camera sua, mentre ancora era in letto: et questa era cosa publica. Et io mi son confessato avanti giorno, infinite volte, da lui; et l’osservavo minutamente, per molte decine d’anni. Et so, di certo, che il detto beato Philippo non confessava volontieri le donne, et, quando le confessava, usava con loro parole aspre, et gli mostrava il volto più presto irato : et questo faceva, per mantenere il candore suo verginale. Et questo documento, di parlare, con le donne, massime in confessione, poche parole, et più presto aspre, moltissime volte me l’ha detto, che l’osservassi ancor io ; et mi diceva anco che, nel confessar le donne, non le guardassi mai in viso. So, ancora, che il detto beato Filippo si fece confessore, per obedienza del suo padre spirituale; et questo l’intesi dire, più volte, da m.s Pietro d’ Arezzo et da m.s Theseo. So, anco, che il beato Filippo hebbe grandissimo desiderio di andare nell’Indie, a predicare la Santa Fede et sparger il sangue per amor di Christo: et di questo se ne parlava publicamente, nel principio, ch’io andai nelle mani d’esso beato Filippo, non solo da esso beato padre, ma da [f. 751] molti di suoi figlioli spirituali. Et so, che esso beato Filippo non volse met1795 Come già accennato nelle note 1473 e 1704, la chiesa di S. Girolamo della Carità ebbe mutato il suo orientamento. Secondo la pianta del Bufalini (1551), la facciata era verso la piazza di S. Caterina della Bota; ma in quella del DupéracLafréry (1577), sembra già come al presente, su via di Monserrato, e chiaramente prospetta questa nella pianta di Antonio Tempesta (1593). Una ricca raccolta di notizie sulla chiesa di S. Girolamo della Carità e sul suo clero, fatta dal p. L orenzo A gostini , d. O., si trova nella cartella A. III. 12 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Borna.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 751-752

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    tere in essecntione questo suo buon desiderio, senza farne et farne fare longa oratione, et senza pigliarne parere da huomini di santa vita. Et so che, per questo effetto, in quelli tempi primi, che io lo conobbi, andò, un giorno alle Tre Fontane et io andai con lui, et fui presente, quando parlò ad un p. Agostino Ghettino, quale all’hora, era abbate lì alle Tre Fontane,1796 et dicevano, che era huomo di santa vita. Et il beato Filippo lo pregò, che volesse far oratione particolare, acciò il Signore gli facesse sapere la sua volontà, circa il desiderio grande, che lui haveva, di andare nell’Indie, a predicare la Santa Fede (et, di questo medesimo, il beato Filippo me ne parlò, anco per strada) et so, che esso padre promise farlo. Non tornai, poi, con il beato Fi­ lippo, quando ritornò da detto monaco alle Tre Fontane, per la respo­ sta; ma, pochi giorni doppo, intesi dire publicamente, lì in S. Giro­ lamo, che quel monaco delle Tre Fontane haveva havtito una visione di s. Giovanni Evangelista, quale gli haveva detto, che il Signore si voleva servire di detto p. Philippo qui in Eoma, et che questo havevano da essere l’ Indie sue: et questo, come ho detto, si diceva publi­ camente. Et viddi et osservai, che, doppo che il beato Filippo hebbe questa resposta da quel sant’huomo delle Tre Fontane, non parlò mai più d’andar nell’Indie, ma applicò tutto l’animo suo al servitio di Dio, in questa città. Et posso affermare, che, quando io viddi quel monaco delle Tre Fontane, all’aspetto, alli gesti, et alle parole, mi parve di vedere un santo. 38. De charitate erga proximum et in his quae ad corpus pertinent. Io so, di certa scientia, et ho veduti, infinite volte, et io son andato, con il beato Filippo, fin da principio che lo conobbi, a visitare et far la charità a molti infermi, non solo nelle case [f. 752] particolari, ma anco, nell’hospedali a S. Giovanni Laterano, di S. Spirito, alla Consolatione et all’ Incurabili, et, moltissime volte, l’ho veduto et ero presente, quando detto beato padre assisteva, con molta charità, et governava detti ammalati. Et, in particolare, molte volte, l’ho veduto assistere a momenti, tremando tutto, in spirito, et facendo oratione, fintante che si morivano. Et, anco, a questo santo essercitio di go­ vernare l’infermi nell’hospidali, vi mandava moltissimi di suoi figlioli spirituali, ogni mattina ; et questo l’ho veduto infinite volte, et vi son andato ancor io. Et questa charità, d’andar a servir all’infermi dell’hospedali, in particolare, di S. Giovanni Laterano, di S. Spirito et della Consolatione, si continua anco hoggidì, dalli fratelli del­ l’Oratorio di detta chiesa di S. Maria in Yallicella: et questa è stata et è cosa publica et notoria. 39. De prudentia et discretione spirituum. Io so, che il beato Fi­ lippo era huomo di gran prudentia et haveva gratia, da Iddio, di cono­ scere li spiriti et le vocationi delle persone. Et questo, non solo l’ho provato, per molti anni, in me stesso, ma ho veduto, et so di certissimo, che moltissimi venivano a pigliar parere et consegli da detto beato padre, tanto nelle cose spirituali, come temporali. Et so, che tutti

    1796 Non risulta che il Ghettini sia stato abate delle Tre Fontane; nè è questa la sola inesattezza del teste.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro. fiE. 752-754

    quelli, che lui ha mandati in diverse religioni, o vero vi sono entrati con suo conseglio, tutti hanno perseverato; et quelli che si sono fatti religiosi contra la sua volontà, l’ho veduto, poi, che non hanno per­ severato: et di questi ne potria nominare molti. Et vedevo, che il detto beato padre, avanti desse licenza, che uno si facesse religioso, gli provava bene prima, et gli faceva passare per la via della mortifi­ catione: et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 40. D e sim p licita te. Io so, che il beato Filippo, in tutte le sue attioni et [f. 753] moti et parole, sempre occultava in voler mo­ strarsi santo, e, con tutti si mostrava, humile, et se sprezzava se stesso, in nascondere ogni sua attione in tenersi basso. Nè mai, in quaranta­ tre anni, che sono stato, indegnamente, suo figliolo spirituale, ho inteso, di bocca sua, dire una parola, se non spirituale, o vero respettosa, et parlato di cose necessarie, con chi parlava. Et sempre pigliava in buona parte tutto quello, che se gli diceva : et questo l’ho osservato, sempre, per tutti detti anni, che stavo, moltissime volte, tutto il giorno, con lui. Et il medesimo ho inteso, publicamente, che haveva fatto prima, fino da fanciullo : et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. Et tutti quelli, che hanno conosciuto detto beato padre, potriano raccontare moltissime attioni particolari di questa virtù sua. 41. D e hum ilitate. Quanto all’humiltà, sempre si tenne humile et basso, nè mai, in tanti anni, conobbi in lui una elatione, nè compia­ cenza nelle sue attioni, perchè io sempre l’attendevo, et stavo consi­ derando tutto le sue attioni, moti et gesti, et tutte erano da santo et da homo, che sprezzava se stesso. Et, sempre, quando parlava di cose spirituali, sempre, se vedeva, che tutto era in mortificatione et di spirito humile et basso. Et, quando li era detto da alcuno, che era tenuto per matto, perchè haveva un cane,1797 et spesso lo portava in braccio per Roma (et io ho visto più volte portarlo) se ne rideva et ne faceva festa grande. Et anco l’ho veduto, che portava, per strada, alle volte, un mazzo di fiori di ginestra et l’odorava. Et se chiamava indegno di esser prete, et diceva, spesso, che mai havea fatto, nè faceva bene niuno, et lo diceva con gran sentimento. Et sempre diceva, che voleva mutar vita et cominciare a fare qualche cosa per amor d’iddio : et queste sono state et sono cose puhliche. 42. D e m u ndi con tem p tu . Io so, che il beato Filippo disprezzo sempre le cose del mondo et se stesso ; et so, che, non solo re[f. 754] nuntiò et non volse mai niente del suo patrimonio di Firenze, come ho detto sopra, ma non voleva, anco dall’altri, ricevere cosa alcuna, per servitio suo. Et io, molte volte, gli ho voluto donare delle cose, per uso suo, et non le volse accettare, et mi diceva : « hahbi patienza: altri ancora m’hanno voluto donare, et io non l’ho voluto accettare » ; et mi diceva : « non mi manca niente, non ho bisogno, non me curo di niente ». Et so, che diceva, che desiderava venire a termine, che havesse bisogno d’ un giulio, et non trovasse chi ci lo desse. Essendo io, il primo anno di papa Clemente 8°, in camera del

    1797 Deve trattarsi del noto Capriccio, che era appartenuto prima al cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora : si veda la nota 192.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, f. 754

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    beato Filippo, et ragionando con il detto beato padre (credo vi fosse il card. Baronio et altri suoi figlioli spirituali) mi disse il beato padre, con buona occasione, che non mi ricordo : « ecco la baretta da cardi­ nale, che haveva papa Gregorio X IIII, la quale me la mandò, per farme cardinale et io la accettai con questa conditione, che io li direi quando volevo esser cardinale, et così il papa si contentò, et io me ne voglio far una pezza di stomaco » 1798 et così raggionammo un pezzo, lì in camera sua. Et intesi, poi, che messe detta baretta in testa al p. Cesare Baronio, più volte, quale poi, dopo la morte del beato Filippo, fu fatto cardinale. Et detta baretta era roscia ordinaria, come quella de l’altri cardinali, et io la toccai. Et di queste cose n’ è stata et è publica voce et fama. 43. D e m ortifica tion e. Io so, che mai ragionava con li suoi figlioli spirituali, che non dicesse che era necessario, in tutte l’attioni loro, attendere alle mortificationi, per vincere il demonio, et mortificare la carne, et vincere se stesso; et si metteva la mano alla fronte, con dire, che la perfettione consisteva in mortificare la propria rationale et si vedeva che lui era arrivato a tale perfettione, che pareva, che fusse patrone delli suoi primi moti: et di queste cose ne è stata et è pubblica voce et fama. 44. D e m agn anim itate et fiducia in D e u m . Io mi son trovato, più volte, nelle cose mie ardue et gravi, haverle conferite con il beato Filippo et sempre mi diceva : « confida in Dio et spera in lui, che vedrai l’aiuto del Signore, et che, ad ogni cosa, Dio provederà et verrà in bene » ; come, in tutte le mie attioni et necessità, si vedeva la providentia et gratia d’iddio. Et sempre essortava li suoi figlioli ad haver fiducia in Dio, et sempre havere il suo cuore in Dio. Et lui havea tanto grand’animo, che, sempre gli pareva non haver fatto niente, per l’amor d’ iddio: et di queste cose n’è stata et è publica voce et fama. 1798 Sulla volontà espressa da Gregorio XIV di fare cardinale F. depose anche il teste Bernardino Corona, f . 247 ; e si veda la nota 741. Per il termine « pezza di stomaco », va rilevato che l’intenzione significata con l’invio della berretta aveva perduto il vigore con la morte del papa. Anche Clemente V i l i , eletto il 30 gennaio e incoronato il 9 feb. 1592, avrebbe del resto voluto dare il cardinalato all’umile F., cf. f. 247 ora cit. e la risposta del papa stesso al noto memoriale di F. : « Del non esser venuta a vederla, dice che Vostra Reverentia non lo merita, poiché non ha voluto accettare il cardinalato, tante volte offertoli ». Sull’ultimo documento, la nota 1189. Si possono aggiungere due formali testimonianze, non contenute nel processo. La prima, di Francesco Valentini della Molara, reca : « Al tempo di Gregorio 14°, nelli primi mesi del pontificato di detto papa, sentii dire, più volte, da più per­ sone, publicamente, che detto papa voleva far cardinale .il padre Filippo della Chiesa nova; et, quella mattina, che il detto papa fece 4 cardinale, io tenevo securo, che lui fusse cardinale, et io lo credevo tanto fermamente, et se ne par­ lava tanto publicamente, che havevo penzato [sic] di voler far il cocchio novo, per andar, poi, a cortigiare detto beato Filippo, quando fusse cardinale. Et di questo, non solo se ne parlava, in quel tempo, che detto papa fece li detti 4 cardi­ nali, ma anco molto tempo prima. Sentii, poi, dire, da molti, alla Vallicella e altrove, che il detto beato Filippo haveva impedito, et fatto opera, con detto papa, che non lo facesse, ma non seppi il modo, che tenne, per ottenere questo da detto papa. Et questo, non solo lo credo, perchè se ne parlava publicamente all’hora, ma, anco, perchè ho inteso, da più persone, che papa Clemente 8°, ancor lui, volse far

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 754-755

    45. D e p oen iten tia e t abstinen tia. Io so, et ho visto con li miei occhi, che il beato Filippo faceva una vita eremitica. La mattina, mangiava una fetta di pane et beveva [f. 755] un bicchier di vino, et poi andava, tutto il giorno, a cercare anime, et ridurle all’oratorio, et farle confessare. Et, quanto alle discipline, io ho visto, più volte, nelle sue mani, certe catenelle di ferro, con che si disciplinava: et erano liscie, che si vedeva, che l’adoperava spesso.1799 et lui medemo mi disse, che faceva la disciplina, con quelle catenelle: et questo me lo disse, perchè gli dimandavo parere, per le tentationi contro la carne, et lui mi diceva, che bisognava mortificarla, et mi mostrava quelle catenelle. Et io, sapevo, poi, che mangiava et beveva pochissimo, et faceva continua oratione. Et, in quanto al vitto suo, come ho detto io ho veduto, più volte, et mi son trovato presente, quando la mattina, faceva collatione, et viddi, più volte, et osservai, che non mangiava altro, se non un pezzo di pane et pigliava un bicchiero di vino. Et, più volte, m’invitò, se volevo far collatione con lui, et io gli rispon­ devo, che non mi bastava così poca cosa, per pranzo, la sera, poi, non lo vedevo mangiare, ma intesi dire, moltissime volte, all’hora, da quelli che lo governavano, et stavano, giorno et notte, con lui, che non mangiava, la sera, se non una insalata, over’ una frittata, per ordinario, o dui ovi cotti al foco ; la carne quasi mai, et, spesso, man­ giava pane et acqua. Et seppi, che haveva tenuto questa strettezza di vita da giovane : et di questo se ne parlava publicamente ; et era cosa notissima fra tutti li suoi figlioli spirituali, et più volte ho parlato con quelli medesimi, che li portavano da mangiare. Et so, che, quando detto beato Filippo mangiava con altri (il che faceva per acquistare anime e per pigliar sicurtà con li suoi figlioli spirituali) all’hora andava destregiando, nel mangiare et bere, et cercava di fugire ogni

    cardinale detto beato Filippo, et lui non volse essere, et di questo ne è stato et è publica voce e fama », cod. A. III. 52, f. 29. Archivio della congregazione del­ l’Oratorio di Roma (l’attestazione, autografa, secondo una nota del p. Francesco Zazzara, include il racconto della chiave delle stanze di S. Girolamo della Carità, che aperse solo quando il teste, mandatovi da F., ritornò una seconda volta, per obbedienza, sul luogo; e della confessione rifiutata da F. all’arcivescovo dì Mon­ reale, Ludovico de Torres, perchè non faceva residenza in diocesi). Il codice ora cìt., in foglio volante inserito alla fine, porta quest’altra « Fede del cardinalato offerto da Clemente 8° a s. Filippo » (intitolazione di mano del p. Francesco Zazzara) : « Io Gioseppe Carradoro, canonico di S. Giovanni Laterano, con la presente, attesto, qualmente mi trovai presente, quando s. Filippo Neri andò, la prima volta, a bagiare li piedi alla santa memoria di papa Clemente Ottavo, nel principio del suo pontificato, et viddi quando detto santo bagiò li piedi al papa et li fece grandissime carezze et sentii, con le mie proprie orecchie, quando sua beatitudine disse al detto santo Filippo : “ Hora sì che non potrete fuggire di non esser cardinale” et vidi che dettò santo cominciò a ridere et si mise il negotio in burla. Et per esser cosi la verità, ho fatto la presente et sottoscritta di mia propria mano et confirmata con mio giuramento et sigillata con il mio proprio sigillo, alla presenza delli infrascritti testimonii questo dì ' di agosto 1625. Il medemo Giu­ seppe Carradoro mano propria ». Sigillo sotto carta. Mancano i nomi e firme dei testimoni, e in bianco è stato lasciato il giorno del mese. 1799 Una disciplina è conservata nella custodia A della a Sala rossa », alla Vallicella; ma occorrerebbe estrarla dalla chiusura, per sapere se corrisponde a queste « catenelle di ferro » vedute dal teste.

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    "-œm.ρκ

    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 755-758

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    sorte di singolarità. Et questo lo so, perchè ha mangiato, più volte, con me: et, di queste cose, ne è stata et è publica voce et fama. [f. 756] 46. De patientia et mansuetudine. Io so, di certo, et ho veduto, moltissime volte, che il beato Filippo, lì nella chiesa di S. Gi­ rolamo, fu molto strapazzato; et v’erano alcuni preti terribili, che facevano a gara a chi possevà fare più dispetti ad esso beato padre. Et viddi che, molte volte, gli nascondevano il messale, altre volte, il calice; ho veduto, alcune volte, che gli davano fino delle spinte; et mi pare che, una volta, lo facessero spogliare, doppo che era vestito per dir Messa. Et, in queste persecutioni et tentationi, io sempre osservavo esso beato padre, che stava con volto placato, era patientissimo, non diceva male di quelli, che lo perseguitavano, ma, solo con la mansuetudine et patientia, gli vinceva. Et, molte volte, mi diceva: « Marcello, vedi, che mi fanno costoro?; pregamo Dio per loro » ; et vedevo, che non si turbava mai, nè faceva atti d’impatienza, et se ne rideva: et io, a queste cose, ero presente più volte.1800 Yeddi anco et conobbi, molti anni, un m.s Vincenzo Teccosi, me­ dico, qual so, che era uno delli deputati della Compagnia della Charità, et so, che era uno di quelli, che perseguitavano il beato padre, et diceva male di lui, et cercava di cacciarlo dalle dette stanze di S. Gi­ rolamo. Et vedevo, che il beato padre, con patienza grande, lo com­ portava, gli faceva carezze, et pregava Dio, per lui, continuamente. Et si vidde l’effetto delle sue orationi, perchè, fra poco tempo, il detto m.s Vincentio si mutò talmente che divenne amicissimo d’esso beato Filippo, lo riveriva, diceva bene di lui, lo teneva per santo, lo visitava spessissimo, et gli andava dietro come un cagnolino : et questo l’ho veduto con li proprii occhi. Et esso m.s Vincentio, molte volte, di propria bocca, m’ha detto le cose dette, in lode d’esso beato padre. Et ho visto, con li miei occhi, tutti quelli, che lo perseguitavano [f. 757] et lo calunniavano, essergli venuti a domandargli perdono, et il beato padre l’abracciava con allegrezza et festa grande; et quelli istessi, che lo perseguitavano, restavano, poi, suoi amici, et l’ osservavano, et lo tenevano per santo: et di questo n’ho ragionato più volte, con parlare della santità et patientia del beato Filippo, et con grande dolcezza, affabiltà et humiltà conversava con tutti, che tutti restavano confusi et edificati della sua charità.

    [Il racconto della persecuzione fatta a s. Filippo dal card. Virgilio Rosari vicario, detto il cardinale di Spoleto, ripete quanto è già stato detto alle pp. 80-81 del I volume, aggiungendo che alle Sette Chiese si andava « in particolare nel tempo di carnevale », e che i partecipanti « erano molte centinaia di persone » ; che il cardinale disse al santo : « “ vi prohihiamo, sotto pena della disubidienza nostra, che non fac­

    1800

    La testimonianza particolareggiata è da opporre all’altre volte citato

    N iccolò B andiera, Trattato degli studi delle donne, pt. seconda, pp. 251-52; il quale per detrarre alla esattezza dei biografi G allonio e B acci, minimizza al solito tali

    maltrattamenti, riducendoli a scherzi e riprensioni di uguali e anche di superiori, durati non più di due anni, dei trentatrè che P. visse nella casa di S. Girolamo della Carità.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 758-761

    ciate più nè oratorio, nè andate per le Sette Chiese, nè confessate” ».

    Dopo « d i morte subitanea», prosegue:] In quanto alla prohibitione, che fece il card, di Spoleti al beato Filippo, et le parole che gli disse in colera, me le referì l’istesso beato padre, con diverse occasioni, molte volte: et era et fu cosa publica, tra tutti li suoi figlioli spirituali. In quanto, poi, alla morte subitanea del detto card, di Spoleti, mentre tornava dalle stanze del papa, fu, et è stata cosa publica. Et io so di certo, che il detto papa Paolo Quar­ to, doppo la morte di detto cardinale, mandò a presentare al beato Filippo [f. 759] le due torcie grosse dorate, quali tiene il papa, il giorno della Candelora, inanzi a s è : 1801 che io mi trovai presente, quando il beato Filippo hebbe queste torcie; et li mandò a dire, che andasse alle Sette Chiese, et che pregasse Iddio per lui, et che si doleva di non poterci venire lui ancora (non ricordo, quello che portò le torcie, chi fosse ; et si fece una festa grande, tra li suoi figlioli spi­ rituali: non mi ricordo se c’era il s.r Francesco Maria Tarugi, il Salviati, et m.s Costanzo, che stava con Santa Flora) et che facesse oratorio et tutto quello che voleva; et ci erano, all’hora, più di cin­ quanta persone et, quando si seppe, per Roma, crebbe grandissima­ mente il numero della gente, che seguitavano il beato padre : et questa è stata cosa publica et notoria. 48. De virginali castitate. Io ho inteso sempre dire, da tutti li suoi figlioli spirituali, che il beato padre era vergine et morto vergine, et per tale io l’ho sempre tenuto. Et che il demonio gli era apparso, più volte, andando a S. Giovanni Laterano et dateli molte tentationi di carne ; et che il beato padre, subito, alzava la sua anima all’oratione et superava ogni tentatione. Et soleva dire alli suoi figlioli spirituali, che, solo, questa tentatione della carne si vince et supera con fugirla. Et intesi dire, in quelli tempi, che una meretrice, chiamata Cesaria, mandò a chiamare il beato Filippo, con animo cattivo, con scusa di volersi confessare da lui. Et, andando il beato padre in casa di detta donna, non havendoli il Signore rivelato l’inganno, incontrò detta donna il beato Filippo, con un velo [f. 760] solo sopra le sue carni ignude. Et, che, vedendo questo il beato padre, gli voltò subito le spalle, per le scale, et che quella trista, vedendosi ingannata, gli tirò un scabello dietro, per ammazzarlo, et che, per miracolo, non li fece danno alcuno. Et tutte queste cose sono state publiche et notorie, et se ne parlava publicamente. 49. De diligentia et perseverantia. Io, in quarantacinque anni che ho visto et pratticato il beato Filippo, sempre l’ho visto stare assiduo, nè partirsi mai, la mattina, dal confessionale, o in camera et tornato subito al confessionale, o passegiare fuor della porta, aspettando li penitenti, per confessarli: et questa è stata et è cosa publica. [f. 761] 51. [Il racconto dei preparativi di Marcello Ferro, per la

    partenza con il cardinale di Chalons, Robert de Lenoncourt, per la Francia e della opposizione fatta da s. Filippo a tale viaggio, corri-

    1801 N0n gi trova notizia particolare delle « due torcie grosse dorate », nella descrizione che della cappella papale per la festa della Purificazione dà il M oboni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, voi. V i l i . Venezia, 1841, pp. 260-66.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ft 761-766

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    sponde a quanto si trova alle pp. 82-84 del I volume., con qualche variante, più o meno notevole, come·. « “ et son già imbarcate et an­ date in Marseglia” . Et lui mi disse: “ ne faremo oratione” et stava pensoso assai». A proposito del quadro di s. Silvestro e Costantino, aggiunge che era « di grandezza di tre palmi incirca. Et stava detto quadro attaccato al muro, con due palme, di quelle cardinalitie, una per banda. E, tornando a casa, con il servitore, su le ventitré hore, tornando dall’oratorio, subito, all’aprire della camera, un tavolino qual stava appoggiato al muro, al fine della camera, lo trovammo all’entrata della porta della camera». Più avanti : «Vedendo questo, mi risolsi di non andar via, et, subito, andai dal beato Filippo, a rac­ contarli tutto il fatto. Il quale fece grandissima allegrezza e mi disse : “ vedi, ch’ iddio ti ha mostrato, che non è volontà sua che tu vadi? Vattene dal cardinale subbito, e dilli, che hai visto et toccato con mano, ch’ iddio non vole, che tu vadi, e non li dire altro” . Et così ci andai: il quale si doleva assai, ch’io l’havesse promesso, e poi li man­ cassi: e così restai. Et il servitore, che, all’hora, era con me, et si trovò presente a tutto questo fatto, si chiamava Nicolò, et era francese ; et all’hora era vecchio assai et hora bisogna che sia morto. Il tavolino, ch’io ho detto di sopra». E, verso la fine : « E t che sia il vero, il timore et tremore, che mi venne, a me et al servitore ». Segue, poi

    il racconto dell’ incontro di Marcello Ferro con due giovani ebrei sotto il portico di San Pietro {vol. I , pp. 88-89), con qualche aggiunta di non grande importanza, come : « Et, ragionandoli, in secreto, del beato Filippo, che se ; li raccomandava, si rallegrò tutto, con gran­ dissima allegrezza. Et la madre, et l’altre donne, non intesero quello che gli dissi, ma mi pregorno, che gli desse qualche cosa da man­ giare : che non voleva mangiare niente » ; e « “ va’ dal cardinal Sara­ cino et fatte dare authorità da parte mia, e sbirri, in tua compagnia, e battezalo ” »]. Et questo io lo so di certa scientia, perchè io li condussi al beato Philippo, andai a visitare l’infermo, riferii al beato Filippo il tutto, lo veddi sano, et, poi, li veddi tutti dui in Campo di Fiore vestiti di bianco, che erano stati battezzati. Et, hora, non so che cosa ne sia, nè se son vivi, nè meno come si chiamassero, quando si battezorno. Et questo l’ho tenuto e tengo per miracolo evidentissimo del beato Fi­ lippo, per più capi, come ho detto.

    [Segue il racconto del moribondo all’ ospedale di San Giacomo in Augusta guarito da s. Filippo, come nel I volume alle pp. 18-79, salvo qualche particolare : « c’ era uno, del quale non so il nome, nè chi si fosse, ch’haveva la tavoletta e la lampada » ; « il detto beato padre passeggiava dinanzi al letto di questo agonizante, e tremava, et faceva oratione, et stava tutto tremante, con la corona [f. 766] in mano, soffiando dalla bocca, con le mani nel viso». Conclude·. « E questo lo tenni per miracolo del beato Philippo. Nè mi ricordo chi erano gli altri figlioli spirituali del beato Philippo, che si trovorno presenti : so bene, che erano dieci o quindici ». È ripetuto poi il tratto, da « Dell’anno 1582 » fino a « mi raccommandavo al detto beato padre », della pag. 19 del I volume. Poi, l’ altro, da « un giorno, mi trovai presente », fino a « che già era, abbandonato da medici », delle pp. 90

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 766-768

    e 91 del I volume, con l’ aggiunta, in fondo : « Et questo fu nel fine del ponteficato di Gregorio Decimoterzo 1802 ». Col / . 767 ha inizio il rac­

    conto del viaggio di ritorno per mare dall’ Egitto, corrispondente a quello del I volume alle pp. 79-80, nel suo complesso, ma con molti particolari nuovi, per i quali merita d’ essere conservato a riportato anche qui]. [f. 767] Nell’anno 1591, tornando io d’ Egitto, per mare, in Italia, con lettere di mercanti, per negotiare con il conte d’Alva, viceré di Sicilia in Palermo, con un plico di lettere di cose secrete del Turcho, fu la nave, nella quale mi trovavo, assalita da due galere turchesche, sotto Cipri et subito li turchi pigliorno la nave et incatenorno li mer­ canti di detta nave, mettendoli alla catena. Il che vedendo io Marcello, mi mise in oratione, et pigliai la mia croce, eh’havevo, di reliquie e mi raccomandavo a Dio, con grandissimo affetto, dubitando, non solo della vita mia, ma di molti altri, con pericolo, che molti fossero impa­ lati, in Costantinopoli, per quelle lettere che io havevo. Et piangevo dirottamente, per gran dolore ch’io havevo, che mi sentivo morire. E, attendendo li turchi a levare le mercantie (cioè tapeti, cannelle, pepe et altre drogarie, delle quali era carica la nave) dalla detta nave, e metterle nelle galere loro, attendevo io a pregar Iddio, che, per li meriti et orationi del mio padre spirituale p. Filippo, volesse agiutarmi et liberarmi da così gran pericolo. Mi sentii, in quell’istante, interiormente parlare, e mi parse di vedere il beato Filippo, che mi diceva: «non dubitare; raccommandati a Dio, che non sarai schiavo, nè haverai male alcuno ». Et così fu, che, all’altri, davano bastonate et calci, et dissero, che volevano poi me; il padrone della nave, quale era uno di casa Giustiniani, disse ad un renegato turco : « che volete far di costui: è vecchio, ammalato, et è nostro cappellano, e non è buono a niente » ; et mi lasciorno stare, et tornai a salvamento in Roma. Tornato in Italia, il p. Pietro Pozzo mi disse, in Napoli, più volte, che, mentre lui era in Roma, havea inteso dire al beato Filippo : « facciamo oratione per m.s Marcello, che ha grandissimi travagli ». Et il p. Pompeo Paterio mi disse, all’hora, qui in Roma, che il [f. 768] beato Filippo havea ordinato a tutti li padri della Yallicella, che facessero continua oratione per me. Et m’hanno detto, che parlava spesso di me et che mi raccomandava a tutti li suoi figlioli spirituali. Et tengo, come ho detto, esser stato liberato per l’orationi del beato Filippo, miracolosamente, havendo passato infinitissimi pericoli in Costantinopoli, nell’Egitto e per tutto, per mare e per terra. Nell’anno 1599, del mese di settembre, mentre io habitavo in una casa delli padri della Trinità delli Monti *1803 al piede del monte, nella

    I*02 Equivoca qui, stranamente, il teste; e avrà voluto riferirsi alla fine del pontificato di Pio IV. Poiché il risanamento del quale si parla, di Pietro Vittrici, avvenne appunto circa la fine del 1565 (quel pontefice era morto il 9 dicembre), come confermano la deposizione del Vittrici, ff. 59-60 ; e la prima del Ferro stesso, f. 71. Gregorio X III morì, invece, il 10 apr. 1585. 1803 j Minimi, fondati da s. Francesco di Paola : la nazionalità dei religiosi diede origine a una « grande querellé » ; un breve di Paolo V, il 13 lu. 1606, rico­ nosceva il diritto che tutti gli abitanti del .convento dovessero essere francesi,

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 768-769

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    qual casa v’era et è un arbore di fichi brusciotti ; 1804 et, ogni mattina, una donna, chiamata mad.a Maddalena de Ricci, quale mi governava, mi mandava, ogni matina, per Camilla Ricci, sua figliola,1805 un piatto con cinque o sei fichi brusciotti. Una mattina, in detto anno et mese, essendo la tavola apparecchiata con detti fichi, io passegiavo per camera, mentre si metteva in ordine il pranzo, et presi uno di detti fichi, et lo mondai, come si fa un pero, e me lo mangiai. Et, essendomi parso quel fico buono, ne presi un altro, et lo mondai similmente, et me lo posi in bocca, et, subito che me Phebbi posto in bocca, sentii una amaritudine grandissima et, sentita questa ama­ ritudine, mi cavai il detto fico di bocca, et, vedendolo bello, stavo pensando, se era bene, che io me lo rimettesse in bocca, et s’era bene, che io lo mangiassi, si o no. Et, parendomi buono et bello alla vista mi risolsi di rimettermelo un’altra volta in bocca, per mangiarlo, perchè, altre volte, haveva sentita qualche amaritudine nelli cibi et poi non era stato niente. Et, havendo, all’hora, le spalle volte ad un quadro ad olio in tela del beato Filippo, quale era in detta mia camera, a capo al mio letto, sentii la voce del detto beato Filippo, forte et [f. 769] distinta, che la riconobbi, et mi diceva, con voce forte, due volte, in prescia: «"buttalo fuora, buttalo fuora ». Et, con la bocca piena di detto fico, subito sentita la voce del detto beato Filippo, andai, alla fenestra, et gettai via tutto quel fico, che havevo in bocca, et, subito, con la salvietta, che havevo in mano, mi nettai bene dentro la bocca, acciò non vi fusse restato qualche particella di detto fico, et poi mi sciacquai la bocca, quattro o cinque volte, con l’acqua. Et, doppo ch’io m’hebbi sciacquato et nettato la bocca, come ho detto, con tutto ciò, mi sentivo una amaritudine grande, in bocca, et mi sentivo venire meno, con un affanno grande, et così mi gettai sopra il letto, che stava in detta camera, et, a capo a detto letto, stava il quadro del beato Filippo. Et, subito gettato sopra il letto, cominciai a vomitare una meza catinella di materia gialla, viscosa, et amara come il tossico. Et, all’hora, subito, mandai a chiamare m.s Baldas­ sarre medico,1806 quale era medico di mia casa et delli padri della Trinità delli Monti, e stava incontro alla chiesa di S. Maria Madda­ lena 1807 delli Ministri dell’Infermi, et è morto alcuni mesi sono.

    sudditi del re e della corona di Francia, B onnard, Histoire du couvent royal de' la

    Trinité du Mont Pinolo à Rome, cit., pp. 65-153. 1804 Borgiotto, brogiotto, qualità di fico settembrino; varie forme dialettali, simili a quella usata dal teste riportano B attisti e A lessio , Dizionario etimologico italiano, I, cit., p. 565. isos pm sotto, per uno dei non rari « lapsus » del teste, queste due Ricci mutano nome : Margarita è chiamata la madre e Maddalena la figlia. Sarebbero morte circa il 1608, « l’anno passato », trovando sepoltura in S. Francesco a Ripa, f. 770. 1806 Questo medico Baldassarre non è altrimenti noto. 1807 S. Maria Maddalena alla Rotonda, chiesa anteriore al 1400; appartenente nei see. xv e xvi aU’arciconfraternita del Gonfalone, H u elsen , p. 379, e A r m e l l in i C ecchelli , pp. 384-85, 1383-84. Camillo de Lellis la ebbe in affitto, il 22 die. 1586, dal Gonfalone ; e una bolla di Gregorio XV, il 24 nov. 1621, la diede in definitiva proprietà ai Ministri degli infermi, che la ricostruirono poi nella forma presente, dedicandola nel 1727, M ichele A m ic i , Μ. I., Memorie storiche intorno a s. Camillo

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 769-771

    Quale, quando arrivò, mi fece pigliare una presa di triaca e belzuarro,1808 et il detto medico mi disse, che, se io mangiavo quel fico, io crepavo, perchè non ne mandai a basso se non un poco di saliva, et, con tutto ciò, mi diede tanto gran travaglio. E, domandando io al detto medico, come poteva essere quel fico avvelenato, mi rispose, che, stando quello arbore di fico, in detto giardino, vicino ad un muro vecchio, che vi sono alcune sorte di ragne, con la pancetta gialla, velenosi ; et che alcuno di detti ragni doveva haver votato il suo veneno in detto fico. Et, per assicurarmi della vita, volse il detto medico, che, per alcune matine, io seguitassi a pigliare alcune prese di triaca. Et io ho riconosciuto [f. 770] la vita, et la riconosco, dal detto beato Filippo, et l’ho rengratiato, nella Messa et fuori, in altre mie orationi, molte volte. Et a questo miracolo vi forno presenti mad.a Maddalena de Ricci et mad.a Margarita, sua madre, quali morirono, tutti dui, l’anno passato, et son sepolti a S. Francesco a Ripa. Et io raccontai anco questo miracolo, all’hora, al detto medico m.s Bal­ dassarre, quale restò maravigliato, et mi disse, che io havevo occasione di ringratiare il beato Filippo, perchè, se non era quella voce, che mi disse : « gettalo fuori, gettalo fuori », et se io mandavo giù detto fico, senz’altro morivo. Et la voce del beato Filippo fu voce chiara et distinta, forte et con prestezza ; et io riconobbi, che era la voce del detto beato Filippo, per il tempo grande, che io pratticai con lui. Et, quando sentii questa voce, io stavo per camera, passegiando, et havevo di già mangiato un altro fico, et, quando sentii quella voce del beato Filippo, m’atterii tutto e tremai come una fronda. 55. Circa questo tempo, del 1570, ammalandosi m.s Lorenzo Chri­ stiano, genovese, chierico, all’hora, di S. Pietro, figliolo spirituale del beato Filippo (quale hora è morto in Genova, sei anni sono in circa, et era arciprete del domo di detta città) et agravandoli il male, li medici di Palazzo, de quali non mi ricordo il nome, mi dissero, ch’io lo levassi da Borgo perchè era morto et lo menasse in casa mia, et così feci. Et, agravandoli il male, havea già persa la parola, nè pigliava più niente, nè conosceva, et agonizava ; et l’infermità sua era durata da doi mesi in circa, di febre continua pestifera, con petecchie. Et, in questo tempo, il beato Filippo non venne mai a visitare detto in­ fermo, se bene mi domandava spesso di detto infermo, et faceva pre­ gare continuamente per lui. Et, mentre il detto m.s Lorenzo agoni­ zava, et io havevo mandato a chiamare il parochiano di S. Lorenzo in Lucina (quale non mi ricordo come si chiamasse) in questo, senza [f. 771] che io, nè altri di casa, havesserò mandati a chiamare il

    de Lellis fondatore dei OC. RR. Ministri degl’infermi, nonché alla chiesa e casa di 8. Maria Maddalena dello stesso ordine in Roma. Roma, Tip. pontificia nel­ l’Istituto Pio EX (Artigianelli S. Giuseppe), 1913; e M abio V anti , Μ. I., 8. Camillo de Lellis e i suoi Ministri degli Infermi, 2. ed. Roma, Coletti [1958], pp. 130-35. isos Teriaca o triaca, bezaar, bezoar, famosi medicamenti e antidoti antichi : il primo già noto alla medicina greco-romana, il secondo, introdotto da quella araba. Si veda, tra la vasta letteratura, A lberico B enedicenti, Malati, medici e

    farmacisti ; storia dei rimedi traverso i secoli e delle teorie che ne spiegano l’azione sull’organismo. Milano, U. Hoepli, 1924-25; pp. 1017-30; 334-38, 1227-28, rispettiva­ mente per i due medicamenti.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 771-773

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    beato Filippo, venne lì, in casa mia, vicino a San Lorenzo in Lucina, et era un’hora et meza di notte, et mai c’era stato. Et venne con m.s Giovanni Animuccia, musico, suo figliolo spirituale, ridendo e con grandissima allegrezza, et domandandomi che faceva l’amma­ lato, gli dissi, che stava agonizando. Entrò il beato padre in camera dell’infermo, et, sapendo io il suo solito, mi ritirai, et viddi, che li mise le mani su la fronte, et tremava tutto, et faceva oratione, et mi chiamò, poi, et mi disse: « che s’ha da fare? » ; li risposi: « ho man­ dato a chiamare il parochiano, che li dia l’Oglio Santo » : et, poco doppo, venne il parochiano, et diede l'Oglio Santo al detto infermo, in presenza al beato Filippo, et v’ero io anco lì presente. Et, havuto che hebbe l’infermo l’Oglio Santo, si partì il parochiano ; et,, poco doppo, ordinò il beato Filippo, a noi, che eramo presenti, che alzas­ simo a sedere l’ammalato, et fu levato. Et il beato padre lo toccò su la fronte, et lo chiamò a nome : alla cui voce, l’ammalato aprì gli occhi, che già li teneva chiusi. Et il beato Filippo disse : « dateli qualche cosa », e così li detemo certo stillato, et lo pigliò ; et il beato padre diede al detto infermo certe cosette di zuccaro, da magnare et le magnò. E così rivenne, e cominciò subito a sentirsi meglio assai, et talmente, che a noi pareva guarito affatto, et li cessò l’affanno, et la notte riposò, e la matina venne il medico, quale si chiamava il s.r Pietro Crispo. E, toccandoli il polso, disse il detto medico: « hoimè, che cosa è questa? è guarito affatto ; non ha più febre » ; e dimandandomi : « come è stata questa cosa? ditemei, di gratia », et 10 li raccontai vil fatto, dicendoli, che il p. m.s Filippo era stato lì, e quello ch’havea fatto. Il medico all’hora soggiunse : « non è mara­ viglia, perchè è stata cosa divina, e non humana ; e so, chi è il p. m.s Filippo, so che è un huomo [f. 772] santo ». E così guarì subito. 11 medico 1809 era medico della famiglia del papa et nepote dell’arci­ prete di S. Lorenzo in Lucina, quale è morto. Et questo fatto, all’hora, tanto da detto medico, quanto da detto m.s Lorenzo, et anco da mia madre, chiamata Isabella Ferri, quale è morta vinticinque anni sono in circa, et da me, et da tutti di casa, fu tenuto per miracolo eviden­ tissimo del beato Filippo, et, come miracolo, n’havemo ragionato più volte insieme, et io l’ho raccontato moltissime volte per miracolo. Perchè, senza medicina humana di sortealcuna, essendo il detto infermo in agonia, solo ponendogli il beato Filippo le sue mani in capo, e facendo quello che ho detto, l’infermo tornò in sè, subito libero dalla febre, et affanno, et sano affatto : che solo gli restò la debolezza dell’infermità passata, che era consumato come un morto, ma non li ritornò più la febre, nè affanno, et, l’istessa notte, riposò bene, come fece, anco, l’altre notti seguenti. [f. 773] 82. D e opinione sanctitatis.. Io so, di certo, che il beato Fi­ lippo, tanto in vita sua, quanto doppo la morte, è stato, commune-

    1809 Era Pietro Crispo, nominato dallo stesso Lorenzo Cristiani, nel racconto fatto del proprio risanamento, f. 553 : era uno dei « medici di Palazzo », menzio­ nati anche al f. 770 dal teste. Si pensa perciò che il Ferro stesso, nella sua prima deposizione, intendesse dirlo «medico del papa», anzi che «del padre» [Filippo], come si legge al f. 61. Si veda la nota 254.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, fi. 773-774

    mente, da tutti quelli che lo conoscevano et praticavano intrinseca­ mente, tenuto per santo, tanto da huomini, come donne, da prencipi, da cardinali, da nobili, da ignobili, da religiosi di diverse religioni, et da ogni sorte di persone, non solo in Roma, dove stette per spatio di sessantadui anni continui, ma anco in Firenze, sua patria, dove lo chiamavano Pippo buono. Et io son stato in molte città, mentre il beato Filippo viveva, come in Napoli, Sicilia, Firenze, in Constantinopoli da alcuni padri Gesuiti, et altrove. Et, per tutto, ho ragionato di lui, et, anco, sentitone raggionare da altri, come di persona santa, et moltissimi mi pregavano, che io li raccomandassi alle sue orationi. Et, molto più, è stata la sua santità conosciuta doppo morte, et spero, che, ogni giorno più, il Signore la manifestarà. Io so, che, mentre il beato Filippo vivea, moltissimi religiosi et huomini di santa vita venivano da lui, per consigliarsi et pigliar pareri, come da huomo illuminato da Dio, et di questi ne potria nominare infiniti. Mi ricordo, per hora, di p. Franceschino1810 di s. Francesco a’ Santi Apostoli, quale era famoso predicatore, et huomo di santa vita, et veniva spesso, et riveriva il beato Filippo et il beato padre lo fece ragionare, molte volte, all’oratorio. Il medesimo faceva il p. Marcellino1811 d’ Aracoeli, huomo, anch’ egli, di santa vita ; il p. maestro Paolino, capo della riforma di s. Domenico ; il p. maestro Alessandro, del medesimo ordine di s. Domenico, qual poi fu vescovo di Forlì; fra Felice, cap­ puccino, huomo santissimo: quali, tutti, riverivano et parlavano del beato Filippo, come d’ un santo, et gli ho veduti, moltissime volte, venire a trovare il detto beato padre. Il medesimo facevano molte donne di santa vita, et ora mi ricordo di una sor Margherita di Spoleti,1812 dell’ordine di s. Domenico, [f. 774] quale era donna di

    ίδιο Francesco Visdomini, detto il Franceschino, conventuale, già ricordato nella nota 320. 1811 i] francescano Evangelista Gerbi detto il Marcellino, i domenicani Paolino Bernardini e Alessandro Franceschi sono già stati incontrati : si vedano le note 1347, 491, e 1790, 1646. 1812 i> i questa suor Margherita domenicana di Spoleto, estatica e stim m a tizzata (non altrimenti nota, a quanto pare) scrisse ampiamente Felice Figliucci, in una lettera diretta da quella città a Bonsignore Cacciaguerra, il 25 giu. 1556, cod. Vallicelliano O. 15, ff. 14-19; cf. B ordet-P onnelle , pp. 133-34 (vers, ital., 129). Tra i molti particolari, contenuti nella lettera e in un «post-scriptum», riferi: « Io, hieri, l’andai a visitare e mentre ch’io ci parlavo dell’amor di Dio, subito fu rapita, e stette così immobile circa mezz’hora, nè si vedeva in lei altro segno di viva, se non che le colavano dagli occhi alcune lagrime, come perle. Ritornata poi in sè io cominciai a riparlare di Dio, et ella mi diceva cose bellissime e le sue parole, si sentiva, che le uscivano dal cuore, piene di fuoco e d’amore, e mi venne a dire, che mi haveva veduto con li panni di san Domenico, e mi disse, che sperava, che Dio mi consolerebbe, e mi aiuterebbe, in questo mio desiderio, e che voleva pregare Iddio per me. Ma che a me toccava pregar per lei, perchè sarei presto sacerdote, et, allora, che terrei Christo in mano, potevo dimandarli ogni gratia ... », :. 17v-18. Avvisa, nella chiusa: «S e vi par di mostrare questa lettera a tutti cotesti miei fratelli, io la rimetto in voi. A m.s Filippo ho pensato, che sia commune, et alli reverendi padri m.s Theseo, e ms. Arrigo », e ancora : « D i gratia, mostratela a m.s Costanzo [Tassoni], il quale ancora serà buono a leggerla, perchè ha molto in pratica la mia mano, e m.ro Francesco vorrebbe, che la vedessero quelle donne di San Girolamo », f. 18. Il Figliucci, frequentatore, come si vede, di S. Girolamo della Carità, era in

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, f. 774

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    grandissima opinione di santità et di visioni ; et questa, fino dall’anno 1560, mi parlò del beato Filippo, in Spoleto, come d’una persona santa, et si raccomandava, con grand’humiltà, all’orationi di detto beato padre. Il medesimo faceva sor Catherina de Ricci, da Prato in Toscana, dell’ ordine di s. Domenico, della quale io lessi la vita, men­ tre ancor lei viveva,1813 et era donna di gran santità et estasi; et lei parlava del beato Filippo come d’un santo ; et ho inteso dire, che lei apparve al beato Filippo, mentre tutti dui vivevano, non si partendo sor Catherina da Prato, nè il beato Filippo da Roma. Sor Orsola di Napoli, donna di santa vita, quale hoggidì anco è viva, venendo a Roma, a tempo di Gregorio X III, so, che il detto papa la diede sotto la cura del detto beato Filippo, acciò la mortificasse et provasse il suo spirito et spesso il card. Santa Severina mi domandava, che cosa diceva il beato Filippo dello spirito et dell’estasi di sor Orsola. Et so, che il detto beato padre mortificò grandemente la detta sor Orsola, non solo con parole, ma anco negandogli la Communione: et a questo, più volte mi son trovato presente. Et detta sor Orsola habitava, d’or­ dine del papa e del card. Santa Severina, nella chiesa di S. Michele Archangelo in Borgo,1814 in compagnia d’alcune donne spagnuole, et detta chiesa era et è mio beneficio. Et parlavo spesso con detta sor Orsola, quale stimava et riveriva il beato Filippo come un santo, et diceva che niuno l’haveva conosciuta, se non lui. Io so, che, mentre il beato Filippo viveva, eran cercati li capelli et cose sue, per reliquie ;

    viaggio per Firenze, a rivestirvi l’abito domenicano in San Marco (e di là scrisse una lettera a F., il 18 lu. 1556). Senese, aveva studiato a Padova filosofia, e in questa professò il platonismo, pubblicando più opere, tra cui la versione in volgare delle lettere di Marsilio Ficino (Venezia, 1546-49). Fu cortigiano del card. Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, poi Giulio III. In religione prese il nome di Alessio, insegnò nel convento di San Marco e diede a luce il Catechismo, cioè istruzion

    del Concilio di Trento a parochi, pubblicato per comandamento di nostro SS. Signor papa Pio V (Roma, 1567 ; più volte ristampato). Viveva ancora nel 1582, e morì intorno a questo anno, E ugenio G arin , Utopisti italiani del ’500, ne La Città di vita, I, 1946, pp. 89-94. 1813 L ’espressione suona ambigua, perchè potrebbe significare sia che Cate­ rina de’ Ricci, durante la sua vita, venerava F. ; sia che il teste lesse la vita della claustrale pratese, mentre costei era viva ancora. In questo, ultimo caso, si potrebbe avanzare l’ipotesi che il Ferro vedesse qualche relazione manoscritta, composta effettivamente prima del 2 feb. 1590, in cui Caterina morì, cf. [C esare G uasti ] Degli scrittori di santa C. de R., notizia bibliografica. [Prato, presso 1 fratelli Giachetti, 1846], pp. 6-8; e si può forse aggiungere «U na revelatione di una beata serva del ordine dei predicatori in Prati di Toscana », registrata nell’e Inventarium bonorum », f. 19 v, e quasi certamente manoscritta. Delle vite stampate, prima è quella di Francesco Cattanì da Diacceto, 1592, cit. nella nota 264. 181A Chiesa assai antica, nominata S. Michele « de Porticu », ora Ss. Michele e Magno; appartenne alla « schola Frisonum » e si trova ricordata già in bolla di Leone IV, 10 ag. 854, H u elsen , p. 388, e A r m e l l in i -C ecchelli , pp. 950. Sulla casa del Ferro pressò questa chiesa, si veda la nota 250; e si può aggiungere che in quella o in altra prossima abitò, dalla fine del 1513 alla primavera del 1515,. Francesco Vettori, oratore fiorentino a Roma, com’egli descrisse nella nota lettera al Machiavelli, il 23 nov. 1513, P asquale V il l a r i , Niccolò Machiavelli e i suoi tempi illustrati con nuovi documenti, vol. II, Firenze, succ. Le Monnier, 1881, pp. 528-29, e cf. P ietro P aolo T rompeo, Piazza Margana. Roma, Staderini [1942], pp. 24-27.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 774-775

    et, quindici anni prima che il detto beato Filippo morisse, stando io, un giorno, intorno a detto beato padre, mentre si tosava, mi venne desiderio d’haver alcuni delli detti suoi capelli, per devotione. Et, di questo, non ne feci parola con alcuno ; con tutto ciò, mi disse subito il beato Filippo : « che guardi? vorresti un poco di questi ca­ pelli; non son santo, no, non son santo». Io so, che, non solo le persone basse tenevano il beato Filippo [f. 775] per santo, mentre viveva, ma anco molti cardinali. In particolare, so che il beato Carlo stimava molto il beato Filippo. Il card. Gesualdo,1815 so che, un giorno, venti anni prima che il beato Filippo morisse, si levò, in presentia mia, di dosso una pelliccia di martora bellissima,1816 che poteva valere da centocinquanta scudi, et la donò al detto beato padre et volse, che gli promettesse di portarla ; et il beato Filippo, per mortificarsi, la portò più di un mese, et, mentre la portava, caminava teso, et si guardava, come burlandosi di se stesso. Il card. Sirleto, più volte, in diversi tempi, et con diverse occasioni, parlò con me della santità del beato Filippo et lo stimava assai. Il medesimo faceva il s.r card. Paleotto, quale anco so che si confessava dal detto beato Filippo et si conosce se lo stimava per santo, dal libro, che compose et dedicò ad esso beato padre, mentre ancor viveva, intito­ lato De bono senectutis. Il card. Alessandrino stimava il beato Phi­ lippo per santo; et so, che il medesimo facevano il s.r Michele1817* et gli altri fratelli; et so, che il detto s.r cardinale andava alle Sette Chiese, con il beato Filippo, avanti fosse cardinale. Il card. Carafa (quale fu canonico di S. Pietro, avanti esser cardinale, et io, all’hora, leis Alfonso Gesualdo, del principi di Venosa, napoletano, fu creato il 26 feb­ braio 1561, da Pio IV, cardinale diacono di S. Cecilia; il 22 ott. 1563, trasferito all’ordine dei preti, con il titolo stesso, che mutò successivamente con altri, durante il lungo cardinalato. Dal 20 mar. 1591, vescovo di Ostia e decano del sacro Collegio, venne eletto il 25 feb. 1596 arcivescovo di Napoli; e nella sua sede morì, il 14 feb. 1603, dopo un governo esercitato con zelo e austerità, S parano, Memorie isteriche per illustrare gli atti della s. napoletana Chiesa, pt. I, cit., pp. 269-73; D aniello M aria Z ig arelli , Biografia dei vescovi e arcivescovi della Chiesa di Napoli. Napoli, stab. tip. di G. Gioja, 1861, pp. 148-52. Fu munifico, caritatevole, d’integro costume; e spese 17.000 scudi per la costruzione della chiesa di S. Andrea della Valle in Roma, poi completata dal card. Alessandro Peretti Montalto, che risarcì per quella somma gli eredi del Gesualdo, C haconO ldoini , Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. I li , cit., col. 936-37 ; D el T ufo , Historia della religione de’ padri Chierici regolari, cit., pp. 220-21; O rbaan, pp. 107-108. Prima del sett. 1586 pare abbia abitato il palazzo Patrizi alla Rotonda, come già ricordato nella nota 1576; ma nel febbraio 1600 trattava per prendere in affitto il palazzo del cardinale titolare di S. Lorenzo in Lucina, poi Fiano, O bbaan, p. 250 n., e cf. inoltre p. 104 n. 1816 Questa pelliccia è stata con probabilità riconosciuta in quella donata all’Oratorio di Firenze nel 1837, dai Torrigiani, B ordet-P onnelle , p. 93 e n. 4 (vers, ital., 89 e n. 1), e ancora conservata, con altre reliquie di F., nella chiesa di S. Firenze. I Torrigiani, come giova ricordare, furono, in linea patrimoniale, eredi dei Del Nero. 1817 Michele Bonelli, con breve del 15 sett. 1570, fu nominato « capitaneus generalis omnium legionar. status eccles. » ; prese parte alla battaglia di Lepanto e al trionfo celebrato in Roma, con il fratello Girolamo. Uno degli ultimi brevi di s. Pio V portò la nomina di Michele a « capit, generalis classis S. Stis », P astor, V. V III, pp. 565 e n. 2, 567, 583 n. 5.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 775-777

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    ero beneficiato) so che, doppo fu cardinale, parlava spessissimo, con me, del beato Philippo, et lo teneva per santo. Il medesimo faceva il card. Santa Severina, et ne parlò più volte con me. Il medesimo face­ va Cusano et Borromeo, quale è vivo, quali erano Panima del beato Filippo, et andavano, ogni giorno, a trovarlo nelle sue camere. Il medesimo so che facevano il card, di Verona, Gonzaga, Sfondrato (quale poi fu papa Gregorio XIIII), Aldobrandino (quale poi fu papa Clemente Ottavo), il card, di Firenze (quale poi fu papa Leo­ ne XI). Il card, di [f. 776] Cesi vecchio,1818 il card. Paravicino, il card. Visconti, et li papi stessi riverivano il beato Philippo. Et so, che papa Gregorio X III lo stimava assai, perchè il s.r Pietro Vittrice, quale era guardarobba di sua santità, mi disse che haveva raccontato al detto papa il miracolo, ch’haveva fatto il beato Filippo, nella per­ sona sua, con liberarlo da una infermità mortale, miracolosamente. Et tutti li sopradetti si consigliavano, et conferivano, con il beato Philippo, molte cose, non solo spirituali, ma anco temporali: et di queste cose n’è stata et è publica voce et fama. 83. Io so, che molti hanno ricevuto diverse gratie dal Signore, per mezo del beato Philippo, col raccomandarsi alle sue orationi : et di questo n’è stato et è publica voce et fama, tanto in Roma, come fuori, in diverse città et luoghi. Et io, sempre mi son raccomandato al beato Filippo, nelli miei travagli et pericoli, anco mentre il detto beato padre viveva, et, doppo la sua morte, ogni mattina, la prima cosa, dico tre volte : « Sancte Philippe, ora pro me » ; et il medesimo fo, molte volte, fra giorno. Et so, che, per mezzo suo, ho ricevute moltissime gratie dal Signore, et molte più ne spero ottenere. 84. Io ho veduto moltissimi ritratti1819 del beato Filippo, ad olio, in medaglie, in stampa di rame, quali erano et sono stampate, con molti miracoli intorno, alcuni; alcuni con le diademe, altri con splen­ dori, stampati con licenza di superiori. Et io ho un suo ritratto ad olio, in camera mia, et m’inginocchio, et vi fo oratione, come ad un quadro d’ un santo, et il medesimo so che fanno altri, in altri luoghi. Et so, che tutte le robbe sue son tenute et dimandate come reliquie ; et io, per me, ho della sua veste, delli capelli, et un fazzoletto,1820 et le tengo carissime, et n’ho veduto miracoli. Et il medesimo ho sentito da diversi, in diversi tempi et occasioni: et di questo ne è stato et è publica voce et fama. 85. Io mi son trovato, ogni anno, alla festa del beato [f. 777] Fi­ lippo, fatta, publicamente, nella chiesa di S. Maria in Vallicella et leis pier Donato Cesi, sul quale le note 454 e 1969, noto per le sue relazioni con F. : e detto « vecchio » in relazione con il vivente cardinale Bartolomeo Cesi, creato il 5 giu. 1596, da Clemente V il i . 1819 La iconografia di s. F. è realmente assai copiosa: si veda ciò che venne detto, appena toccando l’argomento, nelle note 803 e 1600 (incisioni) e 1129 (un quadro a olio), e inoltre l’indicazione della nota 1871. Pare esistessero ritratti dipinti mentre il santo viveva, f. 804. Per le opere di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, le note 1333, 1341 e 1419. 1820 Questi minori oggetti personali di F. non risultano tra quelli distribuiti, nominatamente, dopo la sua morte, agli oratorianì e ai devoti più illustri, secondo la lista contenuta in fine dell’e Inventarium bonorum » e in quella supplementare, indicata nella nota 1634.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 777-778

    in detta casa, et ho sentito, ogn’anno, in detta festa, alli 26 di maggio, diversi sermoni in chiesa, doppo il Vespero, in lode di detto beato padre. Alcune volte gli ho sentiti, che gli ha fatti il card. Baronio, altre volte, il s.r abbate Malfa, altre volte li padri di casa. Et, questa festa, so che si cominciò a fare publicamente, in chiesa, il primo anno doppo la morte di detto beato padre et in quel giorno ho veduto, che s’ornava detta chiesa, nel medesimo modo, che sogliono fare nelle feste più principali di detta chiesa ; et sempre ho veduto, che v’è stato grandissimo concorso di gente, di cardinali, vescovi, prelati, signori et signore d’ogni sorte, et grandissimo concorso di popolo, quali assiste­ vano anco al primo et secondo Vespero, et alla Messa, quali ho veduto, molte volte, che sono state cantate da vescovi, et, sempre, con musica bella a più cori, con diversi istrumenti : 1821 et questa è stata et è cosa publica. 86. Io so, che, subito doppo la morte del beato Filippo, si cominciorno ad essaminare testimoni et formarsi processo, sopra la santità sua et miracoli ; et, all’hora, fui essaminato ancor io, dal s.r Iacomo Butio, canonico di S. Giovanni Laterano, notaro dell’offitio del vicario di sua santità ; et sentii dire, all’hora, publicamente, che facevano fare detto processo il vescovo di Cassano et l’arcivescovo di Mon­ reale,1822 all’hora riformatori apostolici, et ne havevano, di questo, parlato con papa Clemente Ottavo, et so, che furno essaminati molti cardinali, vescovi, prelati, religiosi, et altre persone nobili: et questa è stata et è cosa publica et notoria. 87. Io so, che la camera, dove dormiva il beato Filippo, subbito doppo la sua morte, fu fatta una cappella, et ve si fece un altare, con un quadro, con l’effigie di detto beato padre, et si dipinsero [f. 778] molti miracoli principali di detto beato Philippo, intorno a detta camera, s’ornò il soffitto, et ve si cominciò a dir Messa : et questa è stata et è cosa publica. 88. Io so, che la. vita di detto beato Filippo è stata stampata, in Borna, con licenza di superiori, in lingua latina et in lingua toscana, composta dal p. Antonio Gallonio ; et so, che il card. Baronio, nelli suoi Annali, il card. Paleotto, nel libro De bono senectutis, et altri parlano della santità et miracoli di detto beato padre: et questa è stata et è cosa publica. 89. D e frequ en tia sepulchri. Io so, che, nella chiesa di S. Maria in Vallicella, a man dritta dell’altare maggiore, vi è una cappella, ornata tutta di diaspri, agathe, lapislazoli, coralli, madreperle et altre cose pretiose, nella quale so, che si conserva il corpo del beato Filippo, in una cassa di cipresso, ornata tutta di velluto cremesino, qual cassa sta in un’altra cassa di noce, foderata di broccato d’oro et argento, ornate tutte con trine d’oro et altri ricchi ornamenti, et io ho veduto

    1821 Sopra queste celebrazioni degli anniversari della morte di F. è stato già citato il diario del p. Francesco Zazzara nella nota 1422. Parecchio altro materiale di cronache del genere si conserva nell’Archivio della congregazione dell’Oratorio. 1822 Lewis Owen e Ludovico de Torres, rispettivamente ricordati nelle note 1183 e 225.

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 778-782

    71

    quel santo corpo, con molto mio gusto et consolatione. Et la detta capella, da tutti, comunemente, è stata chiamata, et si chiama la capella del beato Filippo ; et ho visto, che vi va gran concorso di gente, a far oratione et a raccomandarsi a detto beato, mossi solo da la devotione, et non da altro interesse, nè artificio humano. Et so, che vi son state dette et si dicono, ogni giorno, gran numero di Messe ; et so, che vi sono state portate et ve si portano moltissimi voti d’argento et altre cose. Et so, di certo, che si faceva il medesimo, al luogo, dove stava prima il corpo del beato Filippo, avanti si transferisse nella sua capella : et stava, in un luogo eminente, incontro all’organo di detta chiesa. Et so, che poco tempo doppo [f. 779] la morte del detto beato padre, cominciorno, a detto sepolcro, ad esser portati diversi voti, per gratie ricevute et sempre vi fu gran concorso di gente, che andavano a far oratione et raccomandarsi a detto beato Philippo. Et, di tutte le sodette cose, ne è stata et è publica voce et fama, et sono state et sono cose publiche et notorie, et sono state et sono vere et manifeste.

    [Qui è riportato il tratto, che è alle pp. 86-87 del I volume, da « Più volte, il beato Philippo, andandomi a confessare » fino a ·« nell’indovinare li loro peccati », con qualche piccola differenza o aggiunta, come : « et fu vero, che lo seppe, et son certissimo, che quel peccato non l’haveva possuto sapere. Et così, infinite volte, confes­ sandomi da lui, mi diceva li miei peccati, quando io me ne scordavo, Ragionando io, di diverse persone e diversi casi, con il detto beato Philippo (il che mi successe infinite volte) sentiva, interiormente, in spirito, la qualità delle persone e vita, di chi io li parlava ». « Ho inteso dire, da molti suoi figlioli spirituali, in diversi tempi, che lui andava in molte botteghe, et per le strade » ecc. Segue, poi, il tratto,

    che è alle pp. 87-88 del I volume, subito dopo il passo precedentemente citato, da « Nella sede vacante di Pio Quarto » fino a « sarà il cardinale Buoncompagno » terminando: « e t così f u» ] . Nell’anno 1562, del mese d’agosto, vicino alla festa di s. Bartolomeo, morì mio padre, chiamato Alfonso Ferro, quale è sepolto in S. Girolamo della Charità. Et il beato Filippo mi predisse la sua morte in questo modo : che io, all’hora, ero stato, molt’anni, in casa del card, di Gambaro,1823 et ero stato suo caudatario, et, all’hora, non facevo più niente, e mi teneva, molte volte, a mangiar a tavola sua. Et volendo il detto s.r cardinale andare a stare, tutta quella [f. 782] . estate, a mutar aria, a Ronciglione, mi pregò, che io andassi con lui ; et io li promisi, et, intanto, il s.r cardinale s’inviò verso Ronciglione, et io mi mettevo in ordine, per andar ancor io, che ce l’havevo promesso. Et, mentre mi mettevo in ordine, m’incontrai, per strada, nel beato Filippo, vicino a Corte Savella, il quale, vedendomi, mi disse : « dove vai? » ; et io dissi : « Padre, mi vado mettendo in ordine, per andare a trovare il s.r cardi­ nale Gambaro, mio padrone, a Ronciglione, che ce l’ho promesso ». All’ hora il beato Filippo mi guardò, e si fermò un poco et io vedevo, che faceva oratione, et si pose la mano alla bocca, soffiando, e poi mi disse : « non andate, perchè vostro padre morirà presto ; et state con lui, e 1823 Giovanni Francesco Gambara, sul quale le note 277 e 1788.

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    72

    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 782-783

    consolatelo ; non è honesto, che lo lasciate solo, ma che vi ritroviate alla morte sua ». Et io, sentendo queste parole dal beato Filippo, mi maravi­ gliai, perchè, mio padre, all’hora, era sano, et era molto tempo, che non era stato male, et era di età di sessantaquattro, sessantacinque anni, prosperoso, alto et grosso, che era una maestà a vederlo. Et, con tutto ciò, havendo sentito quello, che il beato Filippo m’haveva detto, cioè che mio padre saria morto presto, gli cresi, perchè io lo tenevo per santo et per profeta, et l’havevo provato in molte occasioni ; et, per questo, 10 non mi volsi partire da Roma, se bene gli havevo promesso al detto s.r cardinale. Et non passorno venti giorni, che venne una febre al detto mio padre, et, poi, in cinque giorni, si morì, et io mi trovai presente alla sua morte, gli feci fare testamento, et gli diedi grandissima conso­ latione, nella sua infermità et al tempo della sua morte. Et, doppo la morte di mio padre, più volte, mi disse il beato padre : « vedi, Marcello, se tu andavi col cardinale, che cosa era? che dici adesso? » et più volte ragionassimo insieme di questa morte di mio padre. Essendo finito l’Oratorio di S. Hieronimo, un giorno, andando fuora 11 beato Filippo, con circa venticinque suoi figlioli spirituali, arrivati [f. 783] che fussimo alla piazza di Campo di Fiore, mi chiamò il beato Filippo et mi disse : « che sorte di forastieri sono et pratticano in casa tua? » li risposi, che v’ erano alcuni gentilhuomini, de quali non fa bisogno farli il nome, et il beato padre mi disse : « avvertisci, che biso­ gna remediare, perchè è per seguirne la morte d’huomini ; considera le cose bene et remedia, che, alla giornata, scoprirai il tutto » : et questo mel disse, tenendo la mano al viso, gonfiando, in spirito ; nè mi disse altro. Et io restai fuor di me stesso, con grandissimi pensieri et tra­ vagli nelPanimo, non sapendo quello, che il beato Filippo volesse dire, con quelle parole. Et, arrivato a casa, mi misi inanzi un mio altarino, a far oratione et pregar Iddio, che mi facesse gratia che io scoprisse quello, che m’haveva detto il beato Filippo. Et, così, ogni giorno, stando sopra di me, et considerando l’attioni di coloro, che mi stavano et veni­ vano in casa, viddi et toccai con mano tutto quello, che m’haveva detto il beato padre, che era veramente mortalità d’huomini.1824 E questo ch’io scoprii, molti et molti giorni manti, il beato padre me l’haveva predetto: voglio inferire, che me n’accorsi molti giorni doppo, che il padre me l’haveva detto inanti. Circa l’anno 1570, havendo io havuto amicitia con m.s Fabritio Tribiano, da Recanati, qual era stato et era un gran peccatore homicidiale, et inviluppato in peccati gravissimi, quali, per honestà, li taccio ; et questo, io lo so perchè havevo pratticato e mangiato con lui, moltissime volte ; et, havendolo io, più volte, essortato a mutare vita e confessarsi, sempre fece repugnantia e mai volse farlo. Una matina, fra Paître, nel detto anno, mi venne a trovare, per farmi compagnia, e mi disse : « dove volete andare? » et io li disse che volevo andare alla Trinità de Monti, et dir Messa lì. Et venne meco et, tornando, lo feci restare a pranzo con me, havendolo pregato, più volte, per strada, che si volesse confessare

    1824 Oscuro, anzi enigmatico, rimane questo racconto, ripetuto quasi alla lettera dalla prima deposizione, f. 64; nella quale il teste aveva dichiarato che il fatto avvenne « a tempo de Pio Quarto ».

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    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 783-785

    73

    et lassar [f. 784] la mala vita et peccati, et lui sempre repugnava. Doppo pranzo, lo pregai, che venisse meco all’oratorio di S. Hieronimo della Charità, et lui non ci voleva venire in alcun modo; et, doppo haverli io fatto molte instanze, alla fine, se ben malvolentieri, ci venne. Et, per strada, pregandolo si confessasse, arrivati che fummo alla piazza di Navone, mi disse : « Marcello, io mi trovo tanti gran peccati ; io non mi posso, nè mi voglio confessare, perchè son tanto enormi, che non merito, che Iddio mi li perdoni, se ben sono certo, ch’iddio mi li può perdonare, io non mi voglio confessare, nè ce voglio venire ». Et io repli­ candoli, che si volesse confessare, che Iddio era benigno, et l’havria perdonati li suoi peccati, tanto feci, che lo condussi sin all’oratorio e vi trovammo il s.r Francesco Maria Tarusio, il quale è stato poi cardinale et hora è morto, et il detto s.r Francesco Maria prese un libro in mano e cominciò a legere alcune vite de santi. Intanto (non havendo io mai parlato al beato Filippo di questo m.s Fabritio, nè dettoli, che volevo menarlo all’Oratorio, nè meno a confessarsi, nè meno havevo detto cosa alcuna ad altri, che l’havessero possuto riferire al detto beato padre, ma solo era stato mio pensiero, venutomi l’istessa matina) et, arrivati lì all’ Oratorio, feci porre a sedere detto Fabritio vicino a me, senza dire ad alcuno quello, ch’io volevo fare, cioè procurare, che il detto Fabritio si confessasse dal beato Filippo. Mirabil cosa fu, che mi fece maravi­ gliare, et me ne sono sempre maravigliato, et ho raccontata questa cosa, moltissime volte, a diverse persone, cioè che a pena io m’ero posto a sedere appresso détto Fabritio, che veddi venire il beato Philippo, in spirito, tutto tremando, et, non sapendo niente, nè havendo mai visto, nè sentito parlare questo Fabritio, con tutto ciò, tremando, s’accostò al detto Fabritio, et, abracciandolo, li mise le mani su Ί viso, dicendoli : « di gratia, diteme li vostri [f. 785] peccati, che Iddio vi li voi per­ donare » ; et, così abbracciato, più volte, li replicò le medesime parole. Et quel povero huomo stava stupido, attonito, et li diceva : « non ho fatto niente ; non so che vi dite ». Et* quantunque il beato Filippo repli­ casse il medesimo, con tutto ciò, restò duro, stupido et attonito, che si vedeva, che il demonio lo teneva tutto occupato. Il beato padre, ciò vedendo, non si voleva partire, et lo voleva menare per forza in camera, per agiutare quell’anima. Et, vedendo io, che il beato padre, con quel­ l ’impeto di spirito, pativa assai, li dissi : « andate, Padre, che lo farò venire in camera ». Et, all’hora, il beato Philippo se n’andò in camera, et, vedendo che non andava, de lì a un quarto d’hora in circa, ritornò un’altra volta, facendo il simile, con più gran caldezza, pregandolo, che si confessasse, che Iddio li voleva perdonare li suoi peccati. Nè per questo quel poverello si mosse, ma, più stupido che mai, e più duro, si fermò a tutto l’ Oratorio, quale durava per spatio di due hore in circa, et, in questo tempo, il beato Philippo stava, tutta via guardandolo, tre­ mante al suo solito. Finito l’Oi*atorio, il beato Philippo non disse altro a detto Fabritio, ma ci partimmo insieme, et, arrivati alla piazza del Duca, io lo fermai, e ci posimo a sedere, in quelli poggi del detto palazzo, e cominciai a dirli : « pensate a’ casi vostri : hàvete visto, se Iddio è misericordioso, et se vi voi far la gratia, che ha revelato a questo servo suo, che ve voi far la gratia, e che debbiate confessare i vostri pec­ cati. Et questo servo d’ iddio non v’ha mai visto, nè parlato : havete

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    74

    23 aprile 1610. [283] Marcello Ferro, ff. 785-787

    visto, come è venuto in spirito e conosciuto le vostre miserie. Hora vi dico, per quello che ho visto hoggi, et quante volte v’ho pregato vi con­ fessassi, questa è l’ ultima chiamata, [f. 786] che Iddio v’ha fatta et credo certo capitarete male, poiché sete ingrato a Dio ». Et non passorno otto giorni, che fu preso, et condennato alla morte, et, se non fossero stati li favori de principi ch’haveva, l’haveriano fatto morire, e fu condennato in galera in vita.

    [Ripete, alla lettera, il racconto, che è nel I volume alla p. 80, da « L’istesso tempo, de l’anno del ’70 », fino a « m.s Domenico Giordano, beneficiato di S. Maria Maggiore, se ben mi ricordo»]. Circa l’anno 1575, un figliuolo spirituale del beato Filippo (non mi ricordo del nome : mi pare [f. 787] che fusse di casa Fortini) il beato padre li disse : « che danari havete? dove li tenete? » et lui disse : « in tal banco », nominando il banco, quale io non mi ricordo. All’hora il beato Filippo li disse: « levateli subito, che fra poco anderà fallito », et il figliolo spirituale li levò, et, de lì a circa doi mesi, il banco fallì. Et questo l’ho inteso, più volte, dalli figlioli spirituali di detto beato padre, et si diceva, publicamente, da tutti quelli dell’ Oratorio. Circa l’anno 1578 o 1579, venendo il s.r Giovanni Battista Magnano, nobile bolognese, foriero et cameriero secreto di Gregorio XIII, che haveva giocato et persi molti centinara de scudi in Palazzo, et stava di­ sperato, quando arrivò a Corte Savella, vicino a S. Girolamo della Charità, vidde, che il beato Filippo li andò incontro, non havendolo mai conosciuto, nè parlato, et li disse, in spirito, pigliandolo per mano: « non vi disperate, che Iddio v’agiuterà; e voglio che vi confessate, che vederete la gratia d’iddio ». E, pigliatolo per mano, ragionando seco per strada, lo menò in S. Hieronimo, et lo confessò. Et tutto questo, l’istesso m.s Giovanni Battista me l’ha raccontato per miracolo, che stava stupido, et si maravigliò, ch’il padre havesse conosciuto il suo cuore, che mai l’haveva visto, nè parlato, e mi disse : « veramente è un santo » ; e mel disse, de lì a doi o tre dì doppo che era seguito questo fatto, et io ero servitore del card, di Gambaro et il Magnano era stato scalco, et eramo amici. Et mi sogionse il detto Magnano, che, quando il beato Philippo li pose le mani sopra, si sentì tutto tremare e consolare; et questo mi referì in camera del card, di Gammaro, e lo diceva publi­ camente. Io Marcello Ferro, romano, sacerdote, affermo et depongo, per la verità, quanto nel presente processo si contiene ; quale io ho fatto scri­ vere da un mio amico, et l’ò letto tutto, et, per essere, quanto in esso si contiene, la verità, l’ò voluto la presente, di mia propria mano, sotto­ scrivere, questo dì 15 di settembre 1609. Io Marcello Ferro affermo quanto di sopra, per la verità, manu propria, con il mio giuramento, questo dì et anno sudetto.

    Petrus Mazziottus notarius.

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    26 aprile 1610. [284] Ortensia Previa, ff. 724-725

    75

    [f. 724] DIE 2 0 MENSIS APRILIS 1610

    Examinata fuit, in domo infrascriptae testis, Romae, m loco detto Pozzo Bianco, regionis Pontis, ad perpetuam rei memoriam, per me etc., de mandato etc., d.na Hortensia Previa, 1825 uxor d.ni Chrispoldi Ahiatii supradicti Rotae notarii, testis etc., aetatis annorum quadraginta trium in circa, quae, medio iuramento, tac­ tis etc., dixit, ut infra:

    [284]

    Doi anni o tre in circa, si ben mi ricordo, del mese di maggio o giugno, una matina, volendosi levar detto mio marito da letto, si sentì gravato et assalito di un dolore grandissimo di testa, con dirmi, che se sentiva un affanno per tutta la vita, che haveva la febbre, a caldo e a freddo. Et io, toccandolo, sentivo che brugiava, e mi pareva che fusse tanto gravato, che pareva li volesse uscir il fiato. E, non ostante che si trovava così affannato di febre e dolor di testa, mi disse, che era sforzato andar da mons. Giusto,1826 all’ hora auditor di Rota (quale habitava vicino casa nostra, qui in Monte Giordano) per un negotio, che importava per il suo officio, come notario di Rota. E, ancorché io lo pregasse e ri­ pregasse, non fu possibile ritenerlo, che non andassi. Insomma, andò, e da lì a mezz’hora, tornò a casa, lamentandosi de l’istesso dolor de testa e febre, con dir, che li era cresciuto. L’agiutai a meterlo a letto, dove stette sino a quattro hore, con detto affanno et gravezza, come di sopra, e, doppo detto spatio di quattro hore in circa, veddi mio marito, in un subito, allegro, dicendomi : « son guarito, mi sento bene e libero dal dolore di testa, e dalla febre, e da tutto il male. Mi sono racomandato, di core et con fede al beato Philippo Neri, il quale mi ha impetrata la sanità ». E questo, tanto lui come io, lo tenessimo, come sempre l’haverno tenuto, per miracolo e gratia particulare, riceuta da Dio benedetto, a intercessione di detto beato Filippo. Tanto più lo tengo per miracolo, perchè non vi fu usato medicamento di sorte nisuna, nè anco vi venne medico : et questo lo so, perchè non mi partii mai dalla presentia di mio marito, mentre durò detto male. In causa scientiae dixit [f. 725] prae­ dicta scire per ea quae supra deposuit ad quae se refert. Et tutto questo lo dico, con mio giuramento, per la verità, a gloria di Dio benedetto et honor di questo suo buon servo. Io Crispoldo Abbasio, marito de la sudetta Hortentia, mia moglie, per non saper lei scrivere, ho sottoscritto in nome suo, et, in segno, ha fatto la soprascritta croce di sua propria mano, questo dì et anno sud­ detto, manu propria.

    Petrus Mazziottus notarius.

    1825 Questa teste, illetterata, è nota soltanto per la presente deposizione. Il marito, Crispoldo Abbailo o Abbasio, che sottoscrive in luogo di lei, era comparso il 23 apr. 1610 (282), narrando in persona propria quanto accaduto. 1826 Alessandro Giusti, sul quale la nota 1135.

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    26 aprile 1610. [285] Giovanni Battista Conti, f. 788

    76

    [i. 788] DIB 26» MENSIS APRILIS 1610

    Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., per me etc., de man­ dato etc., ad perpetuam rei memoriam, d.nus Ioannes Baptista de Comitibus,1*27 filius q. d.ni Rodulphi de Comitibus, de Interamna■ testis etc., aetatis annorum viginti trium in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [285]

    Io son solito confessarme e communicarme, quasi ogni festa, nella chiesa della Yallicella. Il mio confessore è il p. Pompeo Paterio, in detta chiesa, et, ultimamente, che fu hieri, giorno di domenica e festa anco di s. Marco, mi communicai in detta chiesa, e, se piace al Signore Iddio, son in animo di continuar ciò sino alla morte. Non ho conosciuto il beato padre Filippo, ma ho ben letto la vita sua, et visto la frequentia e devotione del popolo, e voti, per gratie riceute da diversi, per interces­ sione di detto beato padre, alla capella in honor di detto beato fabricata nella Chiesa nova, a man destra ; e, in particulare, io posso testificare un miracolo, successo nella mia persona, il presente anno, che è questo, che qui di sotto dirò, che: A dì 16 di febraro 1610, mi posi in letto, con febre pestifera, soggiongendomi poi petecchie, et una resipola, che m’andava per tutta la vita, con dubio de medici, non m’arrivasse al cuore, che di già m’haveva preso tutte le spalle, dietro, tutto il braccio manco, et parte del petto, et mi pareva havere la bocca piena di cera, dove non poteva aprire quasi la bocca per parlare, con piangere dirottissimamente. Mentre io stavo così, nel crescermi il male, cominciai a tremare, con le mani et per tutta la persona, et, anco, verso l’undecimo giorno, cominciai a mancare di vedere, si che mi pareva havere un panno nelli occhi, et anco haver la mente estratta, che non intendevo facilmente, nè potevo discorrere; et il quarto giorno, se ben mi ricordo, cominciai a freneticare, et, per la gravezza del male, il giorno di s. Mattia, alle 23 hore et meza, mi fu portato il santissimo Sacramento, et fui comunicato per viatico. Et stetti così, da otto o nove giorni·, frenetico, desperato quasi del continuo da medici, et, l’undecimo, o quartodecimo, o quintodecimo della mia infermità, tenevano per certo il mio transito. Et tutto questo me l’hanno, doppo, detto m.s Gerardo Oarletti, mio cognato, et gli altri di casa mia. Dove, passando l’undecimo, arrivato al terzodecimo della mia infermità, il giorno istesso, che fu il lunedì, primo giorno di marzo, fui, prima, visitato dal mio padre spirituale, p. Pompeo Paterio della Chiesa nova, et da lui reconciliato. Quale, visto che stavo molto male, disse, lì in casa, che voleva andare al Refugio,1 1828 a quelle reverende, a far fare oratione 7 2 8

    1827 Giovanni Battista Conti, di Terni, fratello del teste Prospero (298) e figlio della teste Elena Mazza (312), che comparvero rispettivamente il 30 aprile e 11 maggio 1610, narrando similmente il risanamento di Giovanni Battista. 1828 Circa il 1593, Felice Orsini Colonna, vedova del vincitore di Lepanto, Ortensia Colonna e Giulia Orsini Rangoni pensarono di fondare una pia casa che accogliesse, in parti separate, « honeste zitelle », vedove e convertite. L’opera si ridusse alla prima di queste categorie; e, morte le due Colonna, l’oratoriano Pompeo Pateri, con lo sborso di 12.000 scudi, comprò per allogarla, sul Quirinale,

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    26 aprile 1610. [285] Giovanni Battista Conti. £. 788

    77

    per me. Doppo alquanto di tempo, l ’istesso giorno, fui visitato dalli reve­ rendissimi padri Agostino Manni, Francesco Lanteri et Michel Angelo Bucci ; 1829 et dal p. Agostino, in particolare, molto consolato ; et, nel suo partire, mi dimandò, s’io volevo cosa alcuna : a qual dimanda, stando io così aggravato da detti mali, stetti così un puoco sopra di me, et, così inspirato dal Signore, li dimandai, per carità, qualche reliquia del beato p. Philippo Neri, et lui mi rispose, che volentieri l’haverebbe detto al p. Francesco Zazzara ; e così, successivamente, il p. Lanteri mi rispose voler, in ciò, essermi procuratore. Et, de lì a non so che hore, venne il p. Francesco Zazzara, a visitarmi, et consolatomi, secondo il solito, et poi prese licentia da me. Et io, vedendo questo, tutto affannato, che non mi haveva portato qualche reliquia del beato, Philippo, come aspettavo, li dissi : « o, padre Francesco, ho detto al p. Agostino, che desideravo qualche reliquia, per carità, del beato Philippo ». All’hora lui mi rispose : « appunto io l’ho qui in petto, ma io non le do, se non a chi me le di-, manda » ; et, mostratami un pezzo di camiscia del detto beato padre, la voltò in una imagine dell’istesso, et messemela a capo il letto. Partito che egli fu, io dissi a Prospero, mio fratello, che me la ligasse al collo, et, subito legata, mesi la detta reliquia verso il core. Appena postovela, sentii tanta allegrezza in esso cuore, et rempimento di essa dentro di me, che m’inalzai alquanto, parendomi non poter stare dentro di me. Et, anco, in un subito, mi parve che dalli occhi mi cascasse un panno, dove che io incominciai a guardare per la camera et intorno al letto, ricono­ scendo, all’ora, dormire et essere da dovero in casa mia, che, per prima, io, per l’infirmità, tenevo non dormire in casa mia, ma, sotto una tra­ bacca, dormire in quella cantonata di barbiero 1830 su la piazza di « il palazzo con 11 granari, & horti dell’Acciaiolo », di fronte a S. Silvestro. Cele­ brata In questa chiesa la messa da Clemente V i l i , nella seconda domenica di maggio 1596, si aperse il « Refugio », dove entrarono dodici zitelle povere, cresciute a ventisei sulla fine del secolo ; e si eresse una chiesa sotto il titolo di S. Maria del Refugio, P anciboli, I tesori nascosti nell’alma città di Roma, pp. 561-65 (l’autore vi pubblica una « bella informatione », avuta dai Padri dell’Oratorio, probabil­ mente dal Pateri stesso). Avvisi del 28 gennaio e 24 ottobre 1612 informano che si trattava per trasferire l’istituzione « più dentro all’abitato della città », in un palazzo abitato dal cardinale di S. Eusebio, Ferdinando Taverna, ai piedi del Quirinale ; e una registrazione della Depositeria generale, in data 10 novembre 1612, riporta di fatto che il card. Scipione Borghese comprò dalla Camera Apostolica, per 11.000 scudi, il luogo « dove habitavano le zitelle del Refugio »... (e vi costruì egli il suo palazzo, ora Rospigliosi), O bbaan, pp. 198, 206, 311-12. La nuova fabbrica della chiesa e monastero, sotto il titolo di S. Maria delle Vergini, sorse nel 1613, nella via che ne ebbe il nome, P ancibolt, Tesori nascosti dell’alma città di Roma, con nuovo ordine ristampati, & in molti luoghi arricchiti ... In Roma, appresso gli heredi d’Alessandro Zannetti, 1625, pp. 373-74; e A b m e l l in i -C ecchelli , pp. 320-21. La chiesa è ora detta di S. Rita. 1829 Michelangelo Bucci, romano, sacerdote della congregazione deU’Oratorio; recitò l’orazione funebre latina per il card. Cesare Baronio, del quale lasciò due vite, ugualmente latine; e morì il 13 lu. 1616, precipitando nella cataratta della farmacia di casa, C alenzio , pp. XII-XIX. Se ne legge la biografia nell’AniNGHi, cod. Vallicelliano O. 59, ff. 322-334, in duplice redazione. 1830 Botteghe e un vero mercato si ebbero, durante secoli, dinanzi alla basilica di S. Pietri): ma, stranamente, non registra barbieri, tra la folla varia di altri artigiani e bottegai, lo studio documentato di Pio P ecchiai, Banchi e botteghe dinanzi alla basilica Vaticana nei secoli xiv, xv e xvi, in Archivi: archivi d’Italia e rassegna internazionale degli archivi, ser. II, XV III, 1951, pp. 81-123. Per le

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    78

    26 aprile 1610. [285] Giovanni Battista Conti, fi. 788-789

    S. Pietro. Et, anco, mi parve, così subbito, aprirmisi talmente la mente, che mi pareva poter intendere et capire qualsivoglia cosa facilmente : il che prima, non poteva fare. Cenato che hebbi, la detta sera et terzodecimo giorno della mia infermità, come ho detto, addormentandomi benis­ simo (il che non era solito : che, per il passato, mi si diede sin al papa­ vero in bevanda, per farmi dormire) mentre stava così dormendo, m’ap­ parve il beato p. Filippo, vestito come se stesse in casa nella Vallicella, ma il viso risplendente, et, accostato dalla banda ^dritta del letto dove dormivo, mi si appressò, dicendomi, con la mano dritta alzata : « figliolo, non dubitare, perchè non sarà niente », et, benedettomi, se ne andava via. Al quale volendo io parlare et ringratiarlo, con viso allegro, volendo proferire le parole, mi parve di non potere, ma essermi otturata la bocca ; et, così, non volendo mancare di ringratiarlo, alzai le mie mani giunte, et, tutto allegro, lo ringratiava, al meglio ch’io potevo, con grandissima mia allegrezza. Et così subito, nella mente mia, promisigli portare, alla sua santa sepoltura, una tavola o voto che sia, di tela di tre palmi lungo et un palmo e mezo largo, con il miracolo dipinto. Onde, venendo alla mattina, che era il martedì, et quartodecimo della mia infermità, giorno mio pericoloso, et nel quale i medici dubitavano della mia vita, come ho detto, trovandomi megliorato del tutto, cioè senza febre, quale non m’è tornata mai più ; et senza petecchie ; et la risipola non mi dava [f. 789] più fastidio : solo che mi sono, in quelle parti, tutto spellato ; con cessarmi anco subito il tremore sopradetto ; et vedevo, intendevo et discorrevo benissimo; et ricordandomi quello mi era successo la notte, ne ringratiai il Signor Iddio et il detto beato padre, del quale ne tenevo in camera un quadro, refermando il voto fatto la notte, come ho detto di sopra. Et, venuti li medici, la mattina, si maravigliorno, cioè il s.r Angelo di Bagnarea, et il s.r Meroldo Meroldi,1831 del trovarmi nel termine che ho detto. Finalmente, il detto s.r Angelo, non sapendo niente del miracolo, et la visione detta del beato padre, seguitò a venirci a visitarmi, fino al decimosesto giorno, et l’altro, cioè il s.r Meroldo Meroldi, si licentiò il venerdì o sabbato, se bene la loro venuta fu su­ perflua, potendomi io levare di letto, per la detta ricevuta sanità ; et, il decimosettimo giorno, io mi sentivo gagliardo anco della debolezza, ma, a preghiere di mia madre, non mi levai, se non la domenica, che fu il decimonono giorno dal dì che io mi ammalai, et uscii poi di casa il sabbato, che fu il vigesimoquinto giorno dal dì che io m’ammalai. Et, dalla detta domenica sino al detto sabbato, che uscii di casa, ogni giorno mi levai, spassegiando per casa. Et andai, il detto sabato, a visitare al­ cuni reverendi padri lì alla Vallicella, cioè, il p. Pompeo Pateri, et p. Francesco Zazzara, quali io non potei vedere ; il p. Prometeo Pere­

    adiacenze si trova, a esempio, che metà di una casa con bottega da barbiere nel borgo di S. Pietro, « versus viam novam quam fieri fecit papa Alexander » [Borgo Nuovo], donò, il 17 sett. 1501, l’arcidiacono Fabriano Cavallari alla chiesa di S. Sebastiano « in via Papae », O ttorino M ontenovesi, Roma ignorata. L’ordine dei Qirolamini e la chiesa di 8. Onofrio in Roma, in Roma, XV, 1937, p. 263. 1831 Sì trova il nome di questo medico nei ruoli di Gregorio XIV, M arin i , v . I, p. 472. Il G alletti ne trascrisse il necrologio, da libri di S. Maria della Pace: « 1615. 14 julii t Meroldus Meroldus q.m Iosephi Meroldi utinensis medicus phisicus ann. ciré. 65. LV », cod. Vat. lat. 7875, f. 176.

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    26 aprile 1610. [285] Giovanni Battista Conti, f. 789

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    grini, qnale, subito vistomi, si fece il segno della croce, dicendomi : « vedete, qui, in questo confessionario, ve ho detto il “ De profundis” » ; et il p. Angelo Yelli, qual, vistomi, alzò le braccia, con carità, dicendomi : « voi, morto resuscitato ; et io ancora fui, una volta, morto et poi resuscitato » ; et molti altri padri, tutti maravigliandosi. Venendo Phora del Vespro, me n’andai in chiesa, et stetti a tutto il Vespro in piedi, et, quello finito, me ne tornai a casa. Et questo fatto, con le conditioni sudette, io l’ho tenuto et tengo per miracolo, concessomi dal Signore per mezo del beato Filippo, perchè, in un tratto, io tornai in me, et, la sera, mangiai bene e dormii, et, la mattina, i medici mi trovorno senza febre, e mai più m’è tornata, si partirno in un subito le petecchie, la risipola non mi diede più fastidio, se non che mi spellai in quelle parti, et son guarito senza convalescenza. Del che mi disse il s.r Angelo, medico, che si maravigliava, che io mi fossi rihavuto sì presto, in questa stagione. Nè mi furno fatti, per guarire, doppo essermi posta sopra la reliquia del beato Filippo, altri rimedii, nè d’erbe, nè di parole, nè altri ; nè meno mi furno date altre reliquie, di sorte alcuna, se non de le dette del beato Filippo. Et tanto più lo tengo per miracolo, quanto che, domandando al detto p. Francesco, se il detto p. Agostino et il p. Lanieri gli havevano detto cosa alcuna, che mi portasse qualche reliquia del beato Filippo, sicome mi havevano promesso di dirli, mi rispose, che non gli havevano detto niente, et che lui s’era messo adosso la detta reliquia, con animo di portarla a un altro infermo. Et tengo, che, se, la sera, non havevo detta reliquia, sarei morto. Et, per segno della gratia ricevuta, feci su­ bito fare un quadro ad olio, secondo il voto da me fatto, come sopra, et lo portai alla cappella di detto beato Filippo, nella chiesa di S. Maria in Vallicella, dove si conserva il suo santo corpo, con la seguente iscrittione : « Io Giovanni Battista Conti da Terni, essendo, del mese di febbraio 1610, infermo, in letto, con febre pestifera, petecchie et una risipola, che m’ andava per tutta la vita, et di già m’haveva preso tutte le spalle dietro, tutto il braccio manco, et parte del petto, con altri mali, et ero desperato da medici, quali havevano detto, che, nel 14°, o 15° giorno della mia infermità, dubitavano assai della mia vita, et, nel 13° giorno, essendomi portata una reliquia del beato Filippo, quale havevo dimandata con grand’istanza, sentii subito meglioramento notabilissimo, et, la notte, in sogno, m’apparve il detto beato Filippo, con volto risplen­ dente, benedicendomi, con dirme: “ non dubitare, figliuolo, che non sarà niente” , et restai, subito, libero affatto dalla febre, resipola, et petecchie et altri mali, miracolosamente ; et, per gratitudine, ho fatto fare il presente quadro. Ex voto ». Il lunedì seguente, essendo stato così in piedi al detto Vespro la domenica suddetta, et uscendo di chiesa caldo, et facendo alquanto freddo, subbito mangiato, mi venne un gran dolore sotto la zinna manca (ma senza febre, che mai più come ho detto, doppo essermi posta la sudetta reliquia del beato Philippo, mi tornò) et, alle volte, detto dolore mi tratteneva il fiato, et fui forzato, subito, andare a letto. Dove, scal­ dato tutto, da capo a piedi, et il dolore seguitandomi, quando io ero sveglio et mi mettevo sopra, dove mi doleva, la sopradetta reliquia, subbito mi cessava il sopradetto dolore, et, quando mi dormivo, che levavo la mano dal detto loco, et cascava la detta reliquia, subbito mi

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    26 aprile 1610. [286] Sulpizia Serleti. f. 790

    tornava il dolore si fattamente, che mi svegliava; et io tornando a porverla, non mi dava fastidio: et così, a poco a poco, per spatio di doi giorni, mi lassò libero. Io Giovanni Battista Conti, da Terni, sopradetto, ho deposto quanto di sopra si contiene, per la verità, con mio giuramento, a gloria di Dio et honore del detto beato p. Filippo Neri, mano propria, questo dì et anno sopradetti. Io Giovanni Battista Conti mano propria. Petrus Mazziottus secre-

    tarius. [f. 790] DIE 26a APRILIS 1610

    Examinata fuit, Romae, in domo infrascriptae testis, prope rev.mum p. d.num Malvasiam, per me etc., de mandato etc., Sulpitia Sexleta 1832 de Stili, uxor m.ri Petri F odiis neapolitani, testis etc., aetatis annorum sexaginta in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [286]

    Dal primo anno di Pio Y , io mi cominciai a confessare dal beato Phi­ lippo Neri, qui in S. Gerolamo della Charità, dove ho continuato, sino che detto beato padre venne nella Chiesa nova, che hora saranno da venticinque in ventisei anni, che mi consigné, poi, al p. Giovan Fran­ cesco, quale, poi, fu creato arcivescovo d’Avignone.1833 Et questo mi confessò, sino che lui fu fatto arcivescovo, e dopoi mi son confessata, qualche volta, dal p. Soto. Et, hora, son solita confessarmi e communicarmi, come ho fatto per il passato, almeno due volte il mese. Il mio confessore, al presente, è il prete del Spirito Santo,1834 dove mi confesso e communico ; et, adesso, l’ ultima volta, mi son confessata et comunicata in S. Giovannino,1835 mia parocchia. Et, quando mi confessava il detto 1832 Sulpizia Serleti o Sirleti, di Stilo in Calabria, moglie del teste Pietro Focile (134 e 281), depose anche nel terzo processo, il 4 sett. 1610; e in questa occasione si dichiarò figlia del « q. Cola ». Era di umile condizione, povera e illetterata. Il nome del padre non risulta tra quelli dei sei fratelli e dei congiunti noti del cardinale Guglielmo Sirleto, il quale nacque in « un casale di Stilo detto Guardavalle », nel 1514, D omenico T accone-G allu oci , Monografia del cardinale Cl·. 8. nel secolo decimosesto. Roma, Società tipografico-editrice romana, 1909, pp. 2-3, 25; P asc h in i , « G. S. prima del cardinalato» in Tre ricerche sulla storia della Chiesa nel cinquecento, cit., pp. 155-57. 1833 Giovanni Francesco Bordini, eletto vescovo di Cavaillon il 21 feb. 1592, e arcivescovo d’Avignone I’l l mar. 1598. 1834 Anticamente chiesuola con monastero di monache, sotto il titolo di S. Aurea « castri Senensis » : la compagnia dei Napoletani, formata il 20 mag­ gio 1572, l’acquistò dalle monache di S. Sisto per farvi la sua sede e chiesa, il 30 genn. 1574. La chiesa presa a ricostruire dopo il 1581, era terminata avanti l’anno 1601, e ancora esiste in via Giulia, H u elsen , pp. 202-03; P ecchiai, La chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, cit., pp. 41, 50, 57, 67-70, e passim. Come già è stato detto nella nota 1759. il marito della teste, Pietro Focile, si trova tra i primi quattro guardiani della compagnia. 1835 S. Giovanni [Evangelista] « in Agina » o « in Ayno », come si trova detta, con cognome che rimane di oscura origine; registrata nel 1186 tra le filiali dì S. Lorenzo in Damaso; parrocchiale già nel see. xiv. L ’edificio della chiesa, profa­ nata al principio di questo secolo, esiste in via di Monserrato, sull’angolo di piazza Ricci, H uelsen , pp. 270-71; A bmf.l i .tni-C ecohei.l i , pp. 511-13, 1304-05 ; A ntonio M u n o z , Nelle chiese di Roma: ritrovamenti e restauri, nel Bollettino d’arte, V I, 1912, pp. 385-86 (a pag. 387, riprodotti pianta e disegno della facciata, del see. xvui).

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    26 aprile 1610. [286] Sulpizia Serleti. f. 790

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    beato p. Filippo, lo vedevo, sempre, che tremava, et si alzava con li piedi, che si vedeva, che si moveva tutta la vita, e pareva che andasse in estasi. Et il medesimo faceva, quando diceva la Messa, che la diceva con tanto tremore di tutto il corpo, e faceva tanti gesti, che, chi non conosceva il suo gran spirito, si saria scandalizato. Et io l ’ho veduto, due o tre volte, alto da terra più d’ un palmo ; et, una volta delle dette tre volte (credo che fusse la seconda volta) che lo viddi così alto da terra, mi scandalizai : « o » dicevo tra me stessa, « deve essere spiritato, questo padre ». Et, dopo che mi venne questo cattivo pensiero, mi vergognavo di confessarlo ; e, quando mi tornai a confessare dal detto beato padre, cominciai, a mezza bocca, a dire: « padre, ho detto . . . » et poi mi vergo­ gnavo a seguitare. A ll’hora, il beato Filippo mi disse : « di’ su, balorda : hai mormorato di me, è vero? » ; et io risposi : « padre, sì » ; et il beato padre disse : « di’ su : che cosa hai detto? » ; et io dissi : « padre, vi ho veduto alto da terra, mentre dicevi Messa » ; et il beato Filippo rispose subito: « sta’ cheta, sta’ cheta », mettendosi la mano alla bocca; et io dissi, che havevo detto, all’hora, nel cuor mio : « hoimè, deve essere spiritato questo padre ». A ll’ hora il beato Filippo fece un volto ridente, et mi disse : « è vero ; è vero ; sì che son spiritato ; sì, che son spiri­ tato ». Et io ho raccontato, più volte, queste cose al mio marito, mentre il detto beato Filippo viveva, e lui non se ne maravigliava, perchè lui ancora lo teneva per santo, et si confessava da detto beato Filippo ancor lui. Nel mese di febraro, vicino alla festa di s. Appollonia, essendo io stata, più di dufe anni, indisposta di una stretta di petto et asma gran­ dissima, talmentè che, la notte, moltissime volte, mi credevo di morire, et mi tenevano levata, da una banda mio marito et dall’altra banda un’altra donna ; e, per questa indispositione, mi ero consumata, che non parevo più essa, et rientrata gli ochi, che parevo una morta in piedi ; un giorno, vicino alla festa di s. Apollonia, mi sentì, la sera, vicino alle 24 hore, assalire da un accidente grande di tosse, con dolore, che mi sentivo commovere tutte le interiori, et mi sentì, nella gola, abondare, all’improviso, tanta quantità di sangue, che si sentiva et si vedeva, evi­ dentemente, subollire. Et ne cominciai, con gran dolore e vehemenza, a sputare gran quantità di sangue, in alcuni fazzoletti grandi, et spu­ tavo pezzi di sangue, coperti di una schiumacela come vesighe. Et io dicevo : « hoimè, questo è il polmone », e così passai tutta quella notte, con gran fastidio. La mattina seguente, venne, in casa nostra m.s Pietro Gallo, cirugico piemontese, quale habita nel vicolo del Pavone, vicino a Banchi, et, vedendomi così consumata, et con tanta abondanza di sangue, mi giudicò per mortale, et mi disse : « sorella, non ti voglio adulare ; confessatevi e communicatevi et accommodate le cose vostre » et altre simili parole. Et, sentendo io queste parole da detto m.s Pietro, mi furno come una trafitta al core et mi rincresceva morire affogata dal sangue, senza posser parlare et raccomandarmi al Signore. Et, all’hora, mandai a chiamare il s.r Iacomo da Fano,1836 medico, vicino alla Chiesa nova, il quale mi fece animo. Et, quel giorno, lo passai tutto con affanno,

    1836 Giacomo Agostini, già comparso come teste il 21 apr. 1610 (279); sul quale si veda la nota 1747. Depose anch’egli sul risanamento di Sulpizia Sirleti. 6

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    26 aprile 1610. [286] Sulpizia Serleti. ff. 790-791

    paura, tremore delle braccia, gambe et di tutta la vita, et havevo gran­ dissima paura di morire, e seguitai a sputare del sangue, se bene non in tanta quantità, quanto havevo fatto la sera manti. Et, quella sera, non volsi cenare, se non bebbi un poco, et dubitavo della notte seguente, che non mi sopragiungesse l’altra copia di sangue e mi affogasse. Et ricordandomi del beato Filippo Neri, fondatore della Chiesa nova, quale era stato mio confessore, mi raccommandai di tutto cuore a detto beato, et, con questo pensiero, andai, la sera, a letto. La mattina, vicino al­ l’alba del giorno, mi ero svegliata un quarto d’hora prima, e mi stavo raccomandando al detto beato Filippo, con la medema paura, affanno e travaglio della sera, et, in questo, mi apparve il detto beato Filippo, vestito da prete, bellissimo in volto, et io, come ho detto, era svegliata, et non dormiva, et lo vedevo come vedo hora. E mi disse, sorridendo : « che hai, balorda? » ; et io gli dissi, piangendo : « o padre, pregate per me » ; et il detto beato padre mi rispose : « non dubitare, balorda, non dubitare » e mi segnò, facendomi un segno di cróce, e sparì via. Et io, all’ora, chiamai mio marito, m.s Pietro, et gli dissi, che stavo bene, che mi era apparso il beato Filippo, bellissimo in volto, e mi haveva detto, che non dubitassi. E, da quel punto in poi, che io viddi il beato Filippo, non sputai più sangue, mi cessò quel tremore, et fui libera et sana. Et questo ho tenuto et [f. 791] tengo, che sia miraculo del detto beato Filippo, perchè mi cessò, in un tratto, il sangue, il tremore, la paura, e fui sana, come son stata, sempre, dopo, et non ci feci medicamento, prima, nè ci ho fatto altro medicamento, dopò, nè chiamai più il medico, perchè non bisognò, essendo sana. Nè meno ci havevo adoperato altro medicamento, nè di parole, nè di herbe, nè altre cose, e, la mattina istessa, io mi levai e feci le facende di casa, come non havessi havuto mai male, e, per allegrezza, saltai, dicendo: « non ho più male ». Nell’anno 1572, se ben mi ricordo, io havevo una figliola femina, quale era di età di tre anni, et si infermò a morte, et io ne sentivo gran fastidio et dolore, perchè non havevo altro figliolo. Et l’andai a dire al beato Filippo, qui in S. Girolamo, che pregasse Dio per quella putta, perchè non morisse. Et venne il detto beato Filippo, a vedere detta putta, et disse, a mio marito et a me, che la lasciassimo andare in Paradiso, et io piangeva. All’hora ci disse il beato Filippo : « non piangete, perchè volete figlioli, non dubitate, che haverete un figliolo maschio, che vi travagliarà assai et vi darà da fare ». Et così fu, perchè, in capo a due anni, mi nacque un figliol maschio, al quale ponemmo nome Bartolomeo, e morì dieci o undeci anni sono in circa, e morì alla guerra del gran mastro di Malta,1837 et era soldato su le galere. Et la profetia del beato

    1837 istituita il 3 mag. 1596 la « Congregazione generale delle galere », quasi ammiragliato dell’Ordine, si estese la guerra per mare e divennero più frequenti le scorrerie e i colpi di mano sulle coste nemiche, durante il breve magistero di Martin de Garzes, 1595-1601, e specialmente quello di Alof de Wignacourt, eletto il 9 feb. 1601. Eegistrano i fatti d’armi della continuata guerrìglia in questi anni B artolomeo D al P ozzo, Historia della sacra religione di S. Giovanni Gerosolimitano

    detta di Malta ... Parte prima che proseguisce quella di Giacomo Bosio dal­ l’anno 1571 fin al 1636. In Verona, per Giovanni Berno, 1703, pp. 381-481; e un manoscritto di Malta che attinge a fonti comuni con il Dal Pozzo, H annibal P. S ciclun a , Il gran maestro Alofio de Wignacourt (1601-1622) attraverso un

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 792

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    Filippo si verificò, perchè il detto mio figliolo Bartolomeo ci diede da fare assai, e ci diede molti fastidi et travagli. Del tutto ne sia ringratiato Dio benedetto. Insomma, dico, che tutto questo, che ho deposto qui di sopra, tutto è la verità, et, con mio giuramento, l’affermo, a gloria di Dio, et honor di questo suo buon servo. Et, per non saper io scrivere, farò, qui sotto, di mia propria mano, il segno della croce.

    Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 792] DIB 26“ MENSIS APRILIS 1610

    Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc·, per me etc., de man­ dato etc., ad perpetuam rei memoriam, admodum rev.dus d.nus D o­ minicus Miliaccius, *1838 preshiter 'Nepesinae diocesis, testis, aetatis annorum quinquaginta octo incirca, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [287]

    Un’altra volta, son stato esaminato dalla bona memoria del s.r Iacomo Butio, de l’anno 1596, si ben mi ricordo, sopra la vita, miracoli, et actioni di detto beato Filippo Nerei, fiorentino: al quale esamine io mi refe­ risco, e dico quanto in quello si contiene tutto è la verità, et hora lo confermo. Io son sacerdote, dall’anno 1576 in qua, et, per questo tempo, ho di continuo celebralo la Messa, quasi ogni giorno, purché non sia stato impedito da malatia, o viaggio, che è stato di raro. Et, questa mattina, ho anco celebrato la Messa, nella chiesa della Madonna del Refugio, a Monte Cavallo, dove son capellano e confessore di quelle zitelle. Ne l’altro mio essamine, come ho detto, et anco in quésto dico, la causa della cognitione del beato Filippo è dal tempo, che io lo cominciai a conoscere, et, come ho detto, tanto quello che ho detto nel primo esamine, quanto questo, che hora dico, sottoscritto di mia propria mano, quale ho fatto scrivere da un mio giovene et, doppo haverlo letto e riletto, sottoscritto, come ho detto, essere tutta la verità, con mio giu­ ramento, e come tale lo depongo. In oltre perchè, in quello primo esamine, non mi sono ricordato di alcune cose di sostantia, pertinente alle virtù, miracoli, profetie et altre cose, concernente alla sanctità di detto beato padre, ancorché, l’habbia qui, di novo repetite, quelle da me all’hora deposte, vi ho, anco, di più,

    manoscritto, in Archivum melitense, VI, 1925, pp. 89-137. Si veda inoltre E ttore R ossi , Storia della marina dell’ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta. Roma-Milano, Società editrice d’ arte illustrata, 1926, pp. 56-64. 1838 Seconda deposizione, consegnata scritta e datata 25 die. 1609, di Dome­ nico Migliacci, già comparso il 21 ag. 1595 (16). Il teste venne anche prodotto, il 12 ag. 1610, nel terzo processo; nel quale, dopo l’interrogatorio, venne nuova­ mente inserita la presente deposizione 287. Circa la biografia del teste, il documento, sommariamente indicato nella nota 228 e dal quale risulta che egli sopravvisse ancora molti anni, si conserva nell’Archivio di Morlupo, Prot. 33 f. 2S v. Datato 3 genn. 1639, esso reca, tra altro : « . . . declaravit quod in eventum in quem admodum R. D. Dominicus Miliaceus de Morlupo, Romae degens, suum praestet consensum... ».

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 792-793

    agionto altre cose, successe dopo la morte sua. E questo esamine fu da me sottoscritto, sotto li 25 di decembre 1609, che è questo quinterno, di fogli quattordici, che vi consegno, con mio giuramento, e dico, quanto in questo si contiene, tutto esser la verità, a gloria di Dio benedetto, et a honor di questo santo servo suo.

    Interrogatus de causa scientiae, dixit praedicta scure prout infra deposuit de loco tempore contestibus et aliis circunstantiis. [ f . 793] 5. Io ho inteso dire, più volte, da diverse persone, et con diverse occasioni, che, quando il beato Filippo venne, giovanetto, in Roma, andò a stare in casa di Galeotto Caccia, fiorentino, dove fece una vita aspera et quasi heremitica, et che non attendeva ad altro, principalmente, che all’oratione. So poi, di certa scientia, che attese a li studii di filosofia et theologia, perchè mentre io, dell’anno 1571 et 1572, studiavo filosofia, et havevo le materie fresche, moltissime et spessissime volte, esso beato padre m’interrogava, all’improviso, delle materie che io studiavo, et mi diceva le varietà dell’opinioni, sopra quelle materie, con tanta sotti­ gliezza et fondamento, che mi facevano stupire ; et il simile so, di certo, che faceva con altri : et di questo n’è stato et è publica voce et fama. 6. Io so, che il beato Filippo, dell’anno 1548, fu uno dei fondatori della compagnia della Santissima Trinità, detta de Convalescenti, di Roma, vicino a Ponte Sisto, la quale hebbe principio nella chiesa detta S. Salvatore in Campo ivi vicina. Nella qual compagnia, li fratelli che erano ammessi, frequentavano spesso li santissimi Sacramenti della Confessione et Communione, et, ogni mese, ve si faceva l’oratione delle Quaranta Hore, et il beato Filippo, con li suoi frequenti sermoni et parole infervorate d’amor d’ iddio, l’accendeva, grandemente, all’opere della pietà et charità verso il prossimo, et, con questi santi essercitii, moltissimi ne reduceva dalla mala vita alla buona, et faceva grandis­ simo frutto nell’anime et nelli corpi, alli poveri infermi, che escono, convalescenti, dall’hospedali ; et anco alli peregrini, che vengono a Roma a visitare li luoghi santi. Et questa compagnia fece grandissime opere di charità et prese gran nome l’Anno Santo 1550. L’anno, poi, 1555, fu donata a detta compagnia la chiesa, che si chiamava S. Benedetto re­ gionis Arenulae, da un certo m.s Francesco Agnenis, da Regnano, all’hora rettore di detta chiesa. Come, poi, si sia chiamata la detta chiesa di S. Benedetto la chiesa della Santissima Trinità, io non so altro, se non che credo perchè vi andò detta compagnia della Santissima Trinità. Et di detta donatione, fatta dal detto m.s Francesco, io ne sono infor­ mato, et ho veduto, moltissime volte, nella detta chiesa, avanti si rifa­ cesse, una pietra, sopra la porta dalla banda di fuora, con questa inscrittione o simile: « Fran.cus Agnenis de Rignano ecclesiam hanc deditArchiconfraternitati S.mae Trinitatis anno 1555 » .1839 Che il beato Fi­ lippo sia stato uno dei fondatori di detta compagnia della Santissima

    1839 Delle due iscrizioni note al F orcella, v . V II, p. 200, nn. 402 e 403, nelle quali appare il nome dell’antico rettore della chiesa di S. Benedetto « de Arenula » o « ad Regulam », la seconda reca : « Societas S. Trinitatis habito | auctoritate apostolica et |de consensu Francisci Agnenis |de Rignano rectoris huius | ecclesiae perpetuo usu | in meliorem formam | restauravit M D LVIII | Franciscus Agnenis de Rignano».

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 793

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    Trinità, io lo so de publica voce et fama, et lo so, perchè, in diversi tempi con diverse occasioni, molte volte, me l’ha detto il medesimo beato Filippo, et, in particolare, più volte, me lo disse, nell’anno 1593, con occasione, che io ero rettore et curato in detta chiesa. La qual cura io l’ho tenuta, dall’anno 1583 sino all’anno 1601 ; et, in detto anno 1593, essendo nati alcuni dispareri, fra alcuni signori delli deputati, di quel tempo, di detta compagnia et me, quali mi travagliavano grandissima­ mente, io andavo a conferire ogni cosa con il beato Filippo, quale era mio confessore. Et egli, più volte, mi disse, per consolarmi, che io havesse patientia, per amor suo, et che mi fosse raccomandata detta Compagnia, perchè l’haveva fondata lui,1840 et, anco, era stato causa dell’oratione delle Quaranta Hore,1841 che, ogni mese, si fanno dalla detta Compagnia :

    1840 II teste aveva già scritto al riguardo una speciale dichiarazione, di questo tenore : « Io Domenico Migliacci parocchiano della chiesa di S. Benedetto overo della Santissima Trinità di pellegrini e convalescenti del rione della Regola, in virtù della presente, dechiaro, come, in diversi tempi et in diverse occasione, più volte, ho sentito dire dal b. padre Filippo Neri, fundatore della congregatione del­ l’Oratorio, che lui è stato fondatore dell’archiconfraternita della Santissima Trinità sopradetta, et che il padre Persiano Rosa, confessore in S. Girolamo, di felice memoria, in questa opera, fu coadiutore et non fundatore, et, per dir le parole formale del santo padre Filippo: “ Io (diceva) sono il fundatore della compagnia della Santissima Trinità, et non il p. Persiano; è ben vero che il (sudetto poi cancellato ) p. Persiano mi ha aiutato assai, in questa opera” ; però mi esortava a haver patientia ; et spesso mi diceva : “ Te riccomando la chiesa della Santissima Trinità et la compagnia, e non guardare a tutte le cose” . Et, per esser così la verità, ho scritto e sottoscritto la presente di mia propria mano questo di 4 di decembre 1600. Io Domenico Migliacci mano propria ». Il documento è contenuto nel cod. A. IV. 15, f. 320, dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma. In margine, il p. Francesco Zazzara, annotò : « Perchè ci erano alcuni dispareri con alcuni delli deputati di detta Compagnia e questo dell’anno 1593 ». Inoltre è di sua mano l’attergato, al f. 326 v : « Fede del p. Domenico Migliacci, che il beato padre fu uno de fundatori della Compagnia della Santissima Trinità, il che depose in processo fo. 58 ». Della parte di F . nella fondazione della Compagnia della Trinità è stato già toccato nella nota 234. Ne parla anche il Gallonio, Vita lat., pp. 21-22, 23-25. Ma diversamente, nel 1601, C am il l o F anucci , Trattato di tutte l’opere pie del­ l’alma città di Roma, eit., pp. 54, 266, affermò che l’opera era stata « trovata » dal sacerdote senese Crescenzio Selva, « sagrestano » della chiesa di S. Lucia della Chiavica, appartenente alla Compagnia del Gonfalone. L ’asserzione venne oppugnata nel libro San Filippo Neri institutore, e fondatore dell’archiconfrater­

    nità della Ss.ma Trinità de Pellegrini, e convalescenti di Roma. Provato, e mostrato da G iacomo L aderchi prete della sua congregazione dell’ Oratorio. Con sedici lettere familiari indirizzate ad un amico... In Roma, nella stamperia di Girolamo Mainardi a Monte Citorio, 1730. Nel 1740, polemicamente con il Gallonio e il Bacci, N iccolò B andiera, Trattato degli studi delle donne, cit., p. 250, fa di F . soltanto uno dei quindici laici che il 16 ag. 1548 si adunarono a S. Girolamo della Carità, presso il p. Persiano Rosa, per dare principio alla Compagnia. Rispecchia, invece, la tradizione sulla preminenza ch’egli ebbe nella fonda­ zione quanto fu scolpito, sotto il busto, sulla porta d’ingresso all’atrio dell’Ospizio della Ss. Trinità dei Pellegrini, usato come refettorio : « S. Philippo Nerio | cuius consilio atque opera | Archiconfrat. Sanctiss. Trinitatis | instituta est ». Si veda la riproduzione nell’articolo del P resuttt, citato nella nota 1779, in Cosmos catho­ licus, II, 2° sem., 1906, p. 507. Memorie copiose sulla chiesa della Ss. Trinità dei Pellegrini e sulla arciconfraternita, raccolte dal p. L orenzo A gostini d. O., si trovano nella cartella A. III. 12 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma. 1841 per questa asserzione si abbiano presenti le note 235 e 324.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 793-794

    se bene il p. Persiano Eosa l’haveva agiutato [f. 794] assai. Et il detto p. Persiano era sacerdote et confessore, et habitava, ancor lui, nella medema chiesa di S. Girolamo della Charità, dove stava il beato Filippo, et è morto molti anni sono : et questo lo so di certa scientia. Per questo, il beato Filippo mi diceva spesso, che havessi patientia, in detta Com­ pagnia et non guardassi ad ogni cosa. Ho inteso anco dire, della s.ra Lu­ cretia Pichi di Capo di Ferro,1842 gentildonna romana (quale era d’ età d’anni ottanta in circa, et habitava vicino alla detta chiesa di S. Salva­ tore in Campo, quale era mia penitente, et è morta vent’anni sono in circa, et è sepolta in Aracoeli, nella loro capella) qual signora mi diceva, che il beato Filippo, mentre ancora era secolare giovanetto, andava, spesse volte, lì, in S. Salvatore in Campo, a sermoneggiare, a far ora­ tione et altre cose. Nella qual chiesa, come ho detto, all’hora si fondava la Compagnia della Santissima Trinità, perchè il beato Filippo si fece sacerdote nell’anno 1551 : et di questo n’è stato et è publica voce et fama. 8. Io so, di certa scientia, che, mentre il beato Filippo era sacerdote, et stava in S. Girolamo della Charità in Roma, in alcune stantiole alte, vicino al tetto, quali, hoggidì, anco si vedono, non volse mai, dalli s.ri deputati di detta Compagnia, pigliar salario, nè altra mercede, o ricompensa, per le fatighe sue, che faceva in detta chiesa et luogo, con celebrarvi ogni giorno, confessarvi, ogni giorno, grandissima quantità de confluenti d’ogni sorte, farvi fare l’oratorio, con molti sermoni ogni giorno: nel fine delli quali, per ordinario, vi ragionava ancor lui, con grandissimo spirito et fervore. Et, anco, vi faceva in un oratorio, sopra una nave di detta chiesa, nel qual luogo, ogni sera, vi concorreva gran quantità di gente, a fare oratione, parte mentale, parte vocale; et, tre volte la settimana, cioè il lunedì, mercordì et venerdì, dopo la meza hora dell’oratione mentale, ve si faceva la disciplina, per tanto spatio di tempo, quanto si diceva, in voce alta, un compendio della Passione di Nostro Signore, che comincia: « Recordemini, fratres charissimi », etc., et il salmo « Miserere mei Deus », et il salmo « De profundis », con il « Requiem aeternam » per li morti, con alcune altre orationi. Et, con tutto che facesse tante fatighe, in detto luogo, non volse, come ho detto, emolumento alcuno temporale, se bene lo pigliavano molti altri preti, huomini di santa vita, che vivevano in detto luogo, se bene ognuno man­ giava separatamente, et si guidava, nelle cose dello spirito, diversamente, secondo lo Spirito Santo gli guidava. Et di questo numero furno m.s Bonsignore Cacciaguerra, m.s Persiano Rosa, m.s Francesco d’Arezzo, m.s Francesco Spagnolo,1843 m.s Enrigo Pietra, m.s Teseo, m.s Giu­ 1842 A Lucrezia Pichi nei Capodiferro si registra fatto, il 5 giu. 1563, un pagamento di scudi 83 in risarcimento di tre casette abbattute « per fare il portone sotto il corridore della Via Angelica », L anciasti, v . I l i , p. 64. La gentildonna pose un’iscrizione, in S. Maria d’Aracoeli, al figlio Tiberio, canonico Vaticano, morto il 24 feb. 1571, F orcella, v . I, p. 183, n. 698; C asimiro da E oma , O. F . M., Memorie isteriche della chiesa e convento di 8. Maria in Araceli, cit., p. 288. Tiberio Capodiferro è stato già ricordato nella nota 447 (nella trascrizione del necrologio vi si aggiunga l’anno omesso: 1571). 1843 Questo Francesco detto lo Spagnolo, uno dei cappellani antichi di S. Giro­ lamo della Carità, è appena noto, per il nome e la fama di virtù, al B acci, 1. I, c. 9, n. 3; e niente, sostanzialmente, aggiunge il M abangoni, Vita del servo di Dio il p. Buonsignore Cacciaguerra, seconda numeraz., p. 37.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 794-705

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    liano Fuscherio, et altri. Et il detto beato Filippo non volse pigliar mai altro, se non la nuda camera ; et le camerette, che si vedono hoggi, le fece fare il beato Filippo, ma non a spese della Compagnia; et dette camerette, che fece fare, le fece, per quanto credo, per commodità della gente, che andava continuamente da lui. Et, in detto luogo di S. Giro­ lamo, osservò sempre il beato la medema parsimonia et asprezza nel mangiare et bere, quale havevo inteso dire, che haveva osservato sempre per il passato : et di questo ne è stata et è publica voce et fama. 9. In quanto alla frequenza del sermonegiare, che faceva il beato Filippo, et fervore suo in questo, mi rimetto a quello che dirò in altri luoghi. Et so, che cominciò questo essercitio dell’oratorio, che hoggidì si vede nella chiesa di S. Maria in Vallicella, nella sua camera in S. Girolamo, et, poi, crescendo il numero della gente, fece ampliare detto luogo ; et, crescendo anco più il numero, transferì quell’esercitio in S. Giovanni de Fiorentini, et, da S. Giovanni, poi, alla Vallicella. Et so che il detto beato, con questo essercitio, et con altri anco pii eserciti!,, come delle confessioni, communioni, orationi, discipline, visita delle Chiese, dell’infermi dell’hospedali, et simili, ridusse infinite anime alla cognitione et [f. 795] servitio di Dio. De quali molti restavano al secolo, vivendo, nelle case loro, christianamente (et di questi ne potria nominare moltissimi, come si vedeva in casa de Massimi, de Crescentii, de Vitelleschi, d’Astalli, della Molara, de Patritii et altri) ; molti altri ne restavano nella Congregatione dell’Oratorio ; ma, la maggior parte, li mandava in diverse religioni, et, in particolare, so che n’ha messi moltissimi nella religione di s. Domenico, delli Cappuccini, et Theatini : et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 10. Io so, che il beato Filippo haveva moltissimi figlioli spirituali, quali, nella via dello spirito, li governava diversamente, secondo la loro capacità : et mi faceva stupire, con quanta charità sopportava moltissimi incommodi, per causa loro, nè voleva havere nè hora, nè luogo, nè tempo, per se stesso. Et, con grandissima destrezza, trattava con le persone d’ogni stato: grandi, piccoli, et mezani, cardinali, prelati, artegiani, giovani, vecchi, putti etc. ; et, con questi modi dolcissimi, s’impatroniva tanto delli cuori delli suoi figlioli spirituali, che ne faceva, poi, quello che voleva ; nè saria stata cosa, ancorché difficile, che, ad un suo minimo cenno, non l’havessero fatta. Et, ogni giorno, andava crescendo il nu­ mero di quelli, che si mettevano sotto la sua obedientia, et, se havesse voluto il detto beato moltiplicar il numero della gente nella sua Congre­ gatione, saria ampliata, in brevissimo tempo, ma non volse mai. Io ho conosciuto, in quel tempo, mentre il beato Filippo stava in S. Girolamo, quasi tutti li padri vecchi di detta Congregatione, quali il p. Tarugi, il p. Perracchione, il p. Bordino, il p. Pompeo Pateri, p. Angelo Velli, p. Thomaso Bozzi, p. Cesare Baronio, p. Germanico, p. Gallonio, et altri, quali tutti il beato padre governava a cenno, senza vi fusse un minimo voto, et gli essercitava nelle mortificationi, nelle orationi, nel mandargli all’hospedali, et cose simili ; et, con questi essercitii, facevano grandis­ simo profitto nello spirito ; et, si vede, che molti sono riusciti persone insigni nella Chiesa santa, così in santità di vita, come anco in lettere : et queste sono state et sono cose pubbliche. 11. Io so, di certa scientia, che il beato Filippo, mentre stava in

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 795-796

    S. Girolamo della Charità, dell’anno 1571 e 1572, che cominciai a cono­ scerlo, faceva fare, in un oratòrio, ogni giorno, l’oratione mentale, per spatio di meza hora, l’estate ad hore 23, l’inverno a 24 ; et, tre giorni della settimana, la disciplina, come ho detto di sopra ; nel medemo modo, che si continuò lì, per molti anni, et, hoggi giorno, s’osserva nell’ora­ torio della Vallicella; et il dì dopo pranzo, ogni giorno, dopo esservi letto, per spatio di meza hora, un libro spirituale, faceva fare alcuni sermoni, di diverse materie, come della bellezza della virtù, della brut­ tezza del vitio, delle vite de Santi ; et haveva in usanza di proporre, esso beato Filippo, alcun dubio spirituale, al quale, doppo essersi dato da diversi diverse risposte, concludeva esso beato padre, con molto spirito, tutto quel santo essercitio, incitando molti alla cognitione di loro stessi, et della vanità del mondo, et amor di Dio ; et, finito questo essercitio, quale, per ordinario, durava per spatio di tre hore in circa, andava esso beato Filippo, accompagnato da gran quantità de gente, a diversi luoghi, per ricreare alquanto gli animi delli audienti : hora alla Minerva, nelli chiostri ; hora alli Cappuccini, a S. Silvestro di Monte Cavallo et luoghi simili. Et, alle volte, anco andava esso beato Filippo, di notte, alla detta chiesa della Minerva, accompagnato, anco, da altri suoi figlioli spiri­ tuali, et assisteva al Matutino, che cantavano li frati: et questo l’ho inteso, da diversi, publicamente, in quel tempo, si bene io non mi ci sono mai trovato presente. [f. 796] 12. Io so, che il beato Filippo, pregato da Fiorentini, prese la cura della loro chiesa di S. Giovanni ; ma lui non si volse partire dalle stanze di S. Girolamo della Charità, et mandò a convivere, in S. Gio­ vanni, molti delli suoi, come il Baronio et Tarugi, quali, poi, da papa Clemente 8°, furno fatti cardinali, il Bordino, quale fu poi arcivescovo d’Avignone, il p. Alessando Fedele, p. Angelo Velli, p. Talpa et altri. Quali tutti convivevano, in una mensa, con alcune poche regole, dategli da esso beato Filippo ; et, in quella chiesa fecero, per molti anni, ristessi esercitii spirituali delli quattro sermoni ogni giorno, eccetto il sabato, et dell’oratione della sera, come si faceva, prima, in S. Girolamo ; et, in questo tempo, molti altri si aggregorno alla loro Congregatione, come il p. Pompeo Pateri, p. Giulio Saviolo, p. Pietro Peracchione, p. Thomaso Bozzio, et altri. 14. Io so, che, vicino all’anno santo 1575, si cominciò la fabrica della Chiesa nova di S. Maria et S. Gregorio in Vallicella, quale era parochia, et di consenso di detto parochiano (quale hogi anco è vivo, et si chiama m.s Antonio Siciliano) al quale, di consenso di papa Gregorio XIII, assegnorno un’annua pensione di 200 scudi, mentre lui viveva.1844 Et,

    1844 Questo antico rettore della chiesa di S. Maria in Vallicella, Antonino de Aiuto o de Adiuto, de Adiuti, messinese, è stato già ricordato, nelle note 769 e 1647, per la pensione annua che si era riservata. Il 22 mag. 1592, nel suo testa­ mento, aveva fatto un legato di scudi 500 in favore della congregazione, per messe, Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, A. V. 15, f. 1 v ; ma sopravvisse, come risulta dalla presente deposizione, a lungo. Si trovano due minute di suppliche, senza firma nè data, che si riferiscono all’onere assunto di quella pensione. La prima, destinata al papa, invocava che egli assegnasse ad Antonino « benefitii o pensioni equivalente a detti frutti reservati », oppure « una pensione equivalente ad essi frutti alla congregazione », per quanto tempo rimanesse in vita

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 796

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    gettata la chiesetta a terra, che prima v’era, si cominciò la Chiesa nova, dove si diede principio all’eretione et confermatione della Congregatione dell’Oratorio, con breve apostolico di detto papa Gregorio XIII, nel quale anco concedeva molti privilegii a detta Congregatione: et questa è stata et è cosa publica et notoria. 15. Io so, di certa scientia, et l’ho veduto con proprii occhi, che, in pochissimo tempo, in dui anni in circa, si tirò tanto avanti la fabrica di detta nova chiesa, con l’elemosine di diverse persone, che, in capo a detto tempo, vi celebrò la prima Messa il s.r card, de Medici, quale fu poi Leone XI, et vi predicò il p. Lupo cappuccino. Et, poco doppo, li padri di detta Congregatione lasciorno la chiesa et casa di S. Giovanni de Fiorentini, per ordine di detto beato Filippo, et vennero a convivere et fare gli essercitii dell’oratorio, del giorno et della sera, che prima s’erano fatti in S. Girolamo et S. Giovanni de Fiorentini, nella nova chiesa della Yallicella : et questa è stata et è cosa publica et notoria. 20. Ho inteso dire, che, il giorno del Santissimo Sacramento del­ l’anno 1595, il beato Filippo disse la Messa, con tanta allegrezza, che pareva volesse cantare, et il p. Antonio Gallonio, di bona memoria, qual si trovò presente, me lo raccontò subito, come per una cosa notabile. Et, da quel che seguì poi là notte seguente, cioè la morte del detto beato padre, si fece coniettura, che sapesse per certo d’haver a passar di questa vita. Io so, che alcuni, in quella matina, si communicorno dal beato padre, et la sera disse l’offitio, con il card. Cusano: et questa è stata et è cosa publica et notoria. 21. Io so, che il beato Filippo, doppo la morte, apparse, anzi, l’istessa notte che morì, apparse a una monaca in S. Cecilia, chiamata donna Ortensia de AJiellis, alla quale il santo padre haveva promesso, in vita, d’haverne memoria. L’apparve tutto risplendente, et li disse molte belle cose, e fu su le 6 hore in circa : et io lo so, perchè lei me lo disse subito, et, all’ hora, io era confessore del detto monasterio di S. Cecilia. Essendo venuto a Roma, per alcuni suoi negotii, la bona memoria di m.s Alessandro Migliacci,1845 mio fratello, arciprete di Morlupo, l’anno 1595, del mese di maggio, intese da me come la santa memoria del nostro beato p. Filippo se ne stava in letto infermo, con pericolo di morte ; et, ritornandosi a Morlupo, lo pregai, che volessi raccomandarlo all’oratione

    Antonino. Nel secondo memoriale, diretto a un cardinale innominato, si supplicava analogamente che il prelato intercedesse « una pensione overo un beneficio di scudi duecento in Sicilia » per Antonino, con il fine di rendere liberi i frutti corrispon­ denti, a una migliore offlciatura della chiesa, « dove, con prediche e ragionamenti cotidiani della parola di Dio, con esercitio particolare di oratione e frequenza continua de sacramenti, con numero notabile de Messe et altri offitii divini et opere pie, con molto concorso di popolo, si tratta la salute dell’anime, essendo la chiesa situata nel più habitato e frequentato loco di Roma e della Corte, e, particolarmente, de forastieri d’ogni natione », Archivio della congregazione del­ l’Oratorio di Roma, Armadio C, cartella senza segnatura. « S.a M.a in Yallicella Documenti precedenti al 1575 ». 1845 Questo arciprete Alessandro Migliacci, ch’era venuto a Roma nel mag­ gio 1595, per contrasti con i feudatari di Morlupo, gli Orsini di Pitigliano (per le vicende del feudo, passato il 26 mar. 1613 al principe Marco Antonio Borghese, M artinori, Lazio turrito, pt. 2a, pp. 82-83), morì il 10 ag. 1608, nel suo paese.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 796

    di Maria Francesca Paluzzi,1846 hora detta sor Caterina monaca del Terzo Ordine di s. Domenico, vergine di molta bontà, alla quale il Signor Iddio l’ha comunicato molto lume. E, pregando la sudetta per salute del santo, li fu revelato, che di quella infermità doveva morire, come infatti avenne. Et, avisatolo io del successo, fece far oratione, per l’anima del beato padre, alla medema sor Caterina: e vedde, in spirito, quella benedetta anima gloriosa in cielo ; et li pareva, anco, di veder, vicino al luogo, dove se ne stava il beato padre, godendo Idio, molte anime sante, quale si erano salvate per causa del santo padre, ma non così belle e risplendente come il santo padre. Di tutto questo, che qui racconto, me ne avisò, con due lettere, subito, il sopradetto mio fratello : quale hoggi sono nelle mani del rev.do p. fra David da Casoli,1847 de l’ordine di s. Domenico e confessore della sudetta sor Caterina. E detta visione me l’ha confermata, ancora, con bona occasione, la sopradetta sor Caterina, essendo io restato suo confessore, per alcuni mesi, dopo la morte del­ l’arciprete, mio fratello, l’anno 1608 et 1609. Della bontà e lume comu­ nicatoli da Dio a detta sor Caterina, ne fa testimonianza il m.to rev.do p. fra Pietro della Madre di Dio,1848 scalzo carmelitano, generale di detto ordine e predicatore apostolico, in due lettere,1849 quali sono ap­

    1846 Caterina, prima Maria Francesca Paluzzi, povera contadina di Morlupo, dove nacque il 7 mar. 1573, fu terziaria domenicana. Diretta nella via spirituale e mistica dall’arciprete Alessandro Migliacci, che ebbe da F. consigli di trattarla con estrema severità, B ordet-P onnelle , p. 87 (vers, ital., 84), e poi dal domenicano Davide da Casoli (sul quale la nota successiva), venne a Roma più volte, in parti­ colare nell’anno santo 1(500; e abitò nell’ospedale della Ss. Trinità, nel monastero di S. Susanna e in quello di S. Cecilia in Trastevere, come ospite e conversa. Il card. Federico Borromeo la conobbe, e tenne con lei corrispondenza epistolare : diciassette lettere, scritte tra il 1610 circa e il 1614 circa, ha pubblicato dagli autografi, ora nell’Archivio generale dei Domenicani in Roma, G iu se p p e G abrieli, Lettere dì Federico Borromeo alla domenicana suor Caterina Paluzzi, in Memorie domenicane, anno 52, decimo della n. ser., 1935, pp. 3-33. Depose a Roma nel terzo processo per F., il 4 die. 1610, nominandosi « Catharina de Iesu Maria de Pauluzzi ... figliola del q. Pietro Pauluzzi e della q. Hortentia » e dichiarandosi « di anni 38 incirca » e vivente delle sue fatiche, « particularmente di tessere le tele ». Fondato nel 1620 un convento domenicano nella nativa Morlupo, ne divenne priora in perpetuo, e vi morì il 18 ott. 1645. La sua causa di beatificazione fu introdotta il 30 sett. 1852. 4847 David da Casoli, Nigri o Neri o Del Nero, comparve come teste il 7 mag. 1610 (305) esibendo le lettere, che sono inserite ai ff. 861-862. 1848 Pietro della Madre di Dio, Jeronimo de Villagrasa, nato nel 1565, a Daroca nell’Aragona, prese l’abito carmelitano il 22 genn. 1582 e fece professione un anno dopo; venne a Roma nel 1591, ancora diacono; fu il primo priore del convento di S. Maria della Scala, eretto da Clemente V i l i nel 1597, commissario generale della nuova congregazione italiana degli scalzi intitolata a S. Elia, dal 13 nov. 1609 al 1° mag. 1605; e il 26 apr. 1608, generale della congregazione stessa. Morì il 26 ag. 1608, a Nocera Umbra, e trovò sepoltura in S. Maria della Scala, S ilverio de S anta T eresa, O. C. D., Historia del Carmen descalzo en Espaûa, Portugal y America, t. V III. La reforma en el eœtranjero: Mograflas y fundaciones ( 1600-1618). Burgos, tip. « El Monte Carmelo », 1937, pp. 1-33. 1849 Tre lettere, datate 15 genn. 1602, 1° e 11 mar. 1608, risultano prodotte, di fatto al processo dal teste David da Casoli, e si leggeranno più avanti, ai ff. 859-861. Gli originali di esse sono nel ms. A. IV. 1, rispettivamente al ff. 79-80 v, 81 r-v ; e, la terza lettera, ai ff. 82-83 v.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 796-797

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    presso al sudetto fra David, domenicano, scritte a l’arciprete mio fratello. 28. D e v ir tu tib u s. Circa la santità e virtù, mentre ho conversato con il beato Filippo, insino dal principio, l’ho tenuto per homo santo, et, dall’esempio di tutte le virtù, et, anco, dalle parole infocate, che li uscivano dalla bocca. E mi pareva, che, con il confessarmi solo una volta la settimana, per gratia d’iddio, per l’orationi sue, mi mantenevo, con qualche poco di spirito, per tutta la settimana ; et credo questo ancor sia successo in altre persone. 29. D e fide. Circa la fede, io so, che il beato padre sempre è stato perseverante nella santa fede catholica, insino alla morte, havendola sempre defesa, et con le parole, insegnandola, et con fatti; volendo, ancor, per quella, metter la vita, essendoli venuto desiderio di convertir infideli alla santa [f. 797] fede catholica. Et è publica voce et fama, che volse andar all’Indie, per convertir quelle povere genti. Et, anco, quasi mi trovai presente, quando convertì il Paleologo1850 heretico, apostata dell’ordine di s. Domenico et heresiarca, non potendolo mai convertire doi theologi della Compagnia del Giesù famosissimi (uno de quali credo fosse il rev.do p. Paiz,1851 all’hora lettore di theologia nel Collegio Romano) e una volta andai, con il beato padre a visitarlo a Torre di Nona. Et, anco, convertì alla fede alcuni giovanetti hebrei romani de Carcossi : 1852 et è stata et è publica voce et fama. 30. D e spe. Non so cosa particolare, circa questa virtù, ma, per con­ seguenza, essendo le virtù concatenate et unite, e, che in sommo grado possedesse questa virtù, non ho difficultà nissuna. 31. D e ch aritate. Io so, che il detto beato padre era tanto infervorato nell’amor d’ iddio, che ad altro non pensava, se non di far cosa, che piacesse a Sua Divina Maestà e di altro non trattava, se non d’amar Iddio. E so, che ha patite molte persecutioni in S. Girolamo, da alcuni sacerdoti et, anco, da persone seculari. Et, lamentandosi, una volta, un certo sacerdote d’esser mal trattato in S. Girolamo, mi disse il santo padre: « Messer Pierleone Casella » ,1853 (che così si chiamava il prete),

    1850 Sulle vicende ultime del quale si vedano le note 519, 520, 963. Per le dottrine e le sue peregrinazioni in Europa si aggiunga : S tanislas K ot, Socianism

    in Poland: the social and political ideas o f the Polish Antitrinitarians in the sixteenth and seventeenth centuries. Translated from the polish 5 y E arl M orse W il b u r . Beacon Hill, Starr King press [1957], pp. 53-61, 80-81, 97.

    1851 II p. Diego Pàez tenne, nel Collegio Romano, la cattedra «d e contro­ versiis », dal 1561 ; e altre cattedre di teologia scolastica, tra il 1565 e il 1576. Nel 1580 era considerato uno dei teologi più autorevoli dell’istituto, V illoslada , Storia del Collegio Romano, pp. 42, 72, 83, 225, 323, 324, 325. Sul fatto accennato dal teste si veda la nostra nota 519. 1852 i quattro Corcos-Boncompagni, sui quali le note 169-170 e altre. 1853 Pierleone Casella, abruzzese, nato a L ’Aquila circa il 1540, appare nominato con lodi in una lettera di Luca Contile, scritta da Milano il 10 sett. 1560; e due gliene diresse l’autore stesso, il 22 luglio e il 10 ag. 1562, Delle lettere di L uca C ontile secondo volume, diviso in due libri. Nella inclita città di Pavia, appresso Girolamo Bartoli, ad instantia di Gio. Battista Turlini libraio, 1564, ff. 272 r-v, 384 v, 395 v ; cf. G irolamo T iraboschi, Storia della letteratura italiana, vol. IV. Milano, N. Bettoni e comp., 1833, p. 41. Fu prete, dottore di legge, prima cappellano di S. Girolamo della Carità, poi del Sancta Sanctorum al Laterano; nel quale ultimo ufficio gli fu sostituito un altro il 20 die. 1606, R ebaudengo, nota

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 797

    « si lamenta ; et io quante cose ho patite ; 1854 et è necessario haver patienza, per l’amor d’ iddio ». L’anno 1593, volendomi il Signore mortificare con una persecutione, e vedendo in me poca patienza, mi faceva, con molta dolcezza, la correttione, dicendomi : « come volete insegnare ad altri la patienza, essendo così impatiente? » e quel, che haveva esperimentato in se stesso, lo per­ suadeva all’altri et a me. Et questo è grandissimo segno d’amore, desi­ derar di patir per l’amor d’iddio. Et è publica voce et fama, che, per il gran calor dell’amor d’ iddio, di mezo inverno, faceva aprire le finestre, per refrigerar, in parte, quel gran calore, che sentiva nel cuore; et, anco spesso, si faceva far vento, con sciugatore et altre cose. 32. Una buona parte del tempo, il beato padre la spendeva in ora­ tione, perchè il tempo, che li avanzava, il giorno, doppo haver sentito le confessioni, se ne stava retirato e, spesso, in luoghi remoti, et, partico­ larmente, in certe loggie altissime, dove, lontano dalli tumulti, attendeva alla contemplatione: et io, alle volte, con alcune occasioni, l’ho visto, andando là su. Et è verissimo, che, in questa vita, essendo vestito di carne, viveva vita d’angeli ; et io, più volte, mirandolo in viso, mi pareva più presto veder un angelo, che huomo e tutto quello li aveniva, per il continuo commercio che haveva con Iddio, come un altro Moisè. Ho inteso, che, quando era giovane, andava spesso alle Sette Chiese, et, buona parte della notte, se ne stava, in oratione, nel cemeterio di S. Ca­ listo, detto hora di S. Sebastiano. Durò, anco, per molto spatio di tempo, d’andar, ogni notte, al Matutino alla Madonna della Minerva ; e quelli buoni frati, sentendo bussar la porta della chiesa, e sapendo esser il beato Filippo, per il contrasegno del bussare, andavano subito ad aprir la chiesa. Di più, mi ricordo, che, l’anno 1578 in circa, essendo io bene­ ficiato in S. Lorenzo in Damaso, e molto tribulato, per alcune tentationi, che havevo havuto il giorno, mi risolsi d’andarlo a trovar in S. Girolamo, et era tardo. Et, se bene temevo di non darli fastidio, sapendo che, in quel tempo, stava retirato in oratione, bussai alla porta della sua stanza, qual stava sopra l’ oratorio. Venne fuora, e, con molta charità, m’ascoltò

    in G allonio , Istoria di Elena de ’Massimi, pp. 68-71 (dove è stampata un’ode del Casella in morte della fanciulla). Compose una « Historia della capella e com­ pagnia del S.mo Salvatore in Laterano » ; della quale il R ebaudengo cita un mano­ scritto nell’Archivio Lateranense, e due altri sono i codici Barheriniani lat. 4585 e 4537 (sull’operetta, cf. G iovanni M arangoni, Istoria dell’antichissimo oratorio o

    cappella di San Lorenzo nel patriarchio Lateranense comunemente appellato Sancta Sanctorum ... In Roma, nella stamperia di San Michele, per Ottavio Puccinelli, 1747, pp. 6, 48, 88, 311). Pubblicato è il suo libro De primis Italiae colonis. De tuscorum origine & republica fiorentina. Elogia illustrium artificum. Epigrammata. Inscriptiones. Lug­ duni, sumptibus Horatii Cardon, 1606. Nel quale è un’iscrizione per il sepolcro di Bonsignore Cacciaguerra, in S. Girolamo della Carità, p. 173; ma diversa è quella che vi si legge, F orcella, v . IV, p. 250, n. 637. Altra iscrizione il Casella compose per Felice da Barbarano, p. 177 la pia vergine penitente del Cacciaguerra, morta il 20 apr. 1553; la quale era stata sepolta in S. Cecilia a Monte Giordano e, distrutta questa chiesa, venne traslata a S. Maria in Vallìcella, dov’è una nuova iscrizione con la data del 1674, F orcella, v . IV, p. 163, n. 395. Il Casella morì verso l’anno 1620, A lfonso D ragone™ , Le vite degli illustri Aquilani. Aquila, F. Perchiazzi, 1847, pp. 85-89. 1854 Su questi fatti è stata già apposta la nota 1800.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 797-798

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    e. consolò, dandomi, anco, remedio. E, perchè stava al scuro, li volsi portar il lume, e non volse, dicendomi : « vàttene con Dio, non voglio niente » e serrò la porta ; e mi essortò, che, ogni giorno dicessi l’offitio della Croce o vero del Spirito Santo. Et queste cose sopradette son state et son publiche, et è stata et è publica voce et fama. 33. D e d evo tio n e e t lachrim is. Io ho inteso dire, più volte, in diversi tempi et da diverse persone, che, mentre il beato Filippo era giovane, et, se ben mi ricordo, avanti fosse sacerdote,1855 haveva due coste rotte, dalla banda sinistra del cuore, et questo dicevano, publicamente, che era [f. 798] stata cosa miracolosa et effetto dell’orationi et contemplationi sue, perchè era huomo estatico. Et questo, in particolare, l’ho inteso dalla s.ra Lucretia Capo di Ferri, donna di ottanta anni, quale era mia penitente, et è morta venti anni sono in circhi, quale mi diceva, che il beato Filippo, avanti fosse sacerdote, si ben mi ricordo, haveva un gran tremore, et palpitatione, et fervore, nell’oratione, et questo lei l’haveva veduto, moltissime volte, mentre il beato Filippo, in quelli tempi, pratticava nella chiesa di S. Salvatore in Campo, nella qual chiesa stava la compagnia della Santissima Trinità de convalescenti. Et io, dall’anno 1571, che l’ho conosciuto et pratticato familiarissi­ mamente, l’ho veduto, moltissime volte, quando mi confessava, quando diceva Messa, et quando ragionava delle cose d’ iddio, et faceva oratione in publico, che veniva in tanto fervore, che balzava tutto, se si ritrovava a sedere, o ver sopra il letto, faceva tremare la sedia ed il letto ; mentre diceva Messa, alla quale io, moltissime volte, mi son trovato presente, nella chiesa di S. Girolamo et nella Vallicella, et, molte volte, gli ho servito alla Messa, l’ho veduto, molte volte, che veniva in tanto spirito, che faceva tremare fino la predella dell’altare, nel quale celebrava : et le dette predelle et sedie et letto l’ho vedute movere talmente,' come se fussero state mosse con due mani. Il che cagionava grandissima ammiratione e devotione Verso detto beato, non solo in me, ma so, che faceva anco, il medesimo in altri. Mi son trovato, ancor, presente et l’ho veduto, molte volte, che, per distrahersi da tanta vehementia di spirito, et, per non mostrare singolarità, quando si sentiva esser rapito in spirito, si faceva gran violenza, con tirarsi, molte volte, la barba ; altre volte, mentre diceva la Messa, si moveva per l’altare, si voltava, con scusa di far cacciar qualche cane, et altre cose simili, et a me, in particolare, mentre lo serviva alla Messa, m’ ha detto molte volte : « caccia via questi cani; manda via questi poveri », et io m’accorgevo, che lo faceva, per deviare quel gran tremore, che haveva. Con tutto ciò, era molte volte tanto astratto, che era necessario, che io gli ricordassi l’oratione, altre volte l’epistola, o l’evangelio. Et, quando veniva al « Memento », sempre faceva grandissimo moto, saltava, et si moveva tutto, et, in quelli tempi, sentii dire da mons. Recuperato,1856 che, nel dire la Messa, era stato 1855 II Gallonio, Vita lat., pp. 17-18, fa risalire al 1544 l’inizio dei noti fenomeni; ef. B ordet-P onnelle, pp. 81-82 e n. 3 (vers, ital., 79 e n. 1). Si veda la nostra nota 180. isse paolo Recuperati, sul quale la nota 230. Alla quale si aggiunga che il prelato fece una deposizione su F., raccolta in Faenza il 13 sett. 1597, e conservata nel ms. A. ì l i . 52, n.° 8, dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma. Il documento, che si estende per 10 fogli, porta in fine la fede degli Anziani di

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 798-799

    veduto un palmo alto da terra, et io l’ho veduto, alcune volte, elevato in punta di piedi, nell’elevatione del Santissimo Sacramento, si ben mi ricordo. Et m’accorgevo, molte volte, che lui s’astraheva tanto, in spirito, che bisognava, che sollecitasse, acciò la potesse finire. Da questa abondanza grande di spirito, nasceva, in detto beato Filippo, che, quando ragionava di nostro signore Giesù Christo, et, particolarmente, delli dolori, che patì, non poteva farlo, se non con gran pianto, et veniva in tanto fervore, che balzava tutto, et, anco, faceva tremare la sedia, o luogo, dove si trovava: et a questo, io, molte volte, mi son trovato pre­ sente, in diversi luoghi. Et, una volta, tra l’altre, nella chiesa di S. Ma­ ria in Vallicella, mi trovai presente, quando il beato Filippo, doppo haver sermonegiato in publico un altro prete di casa (non mi ricordo chi fusse: mi pare fosse il p. Francesco Maria Tarugi bona memoria, quale fu poi cardinale) volse il beato padre montare sopra la sedia, quale stava alcuni-scalini alta da terra, per ragionar lui. Et, in questo, venne in tanto fervore di spirito, et cominciò a prorompere in tante lachrime, che non poteva ragionare.1857 Del che accorgendosi, parendogli d’haver dato scandalo, essendo nemico di mostrare, nell’esteriore, segni di santità, cominciò a scusarsi, et dire, che le lacrime non erano segno, che l’huomo fosse in gratia di Dio, nè per questo si doveva fare [f. 799] conse­ quenza, che uno, che piangeva, quando ragionava di cose di devotione, fosse di santa vita, poiché le donne cattive sogliono facilmente piangere, quando sentono parlare di cose d’ iddio, et che si doveva fugire di moFaenza della persona del notaio, in data 17 sett. 1597 ; con la posteriore conferma sottoscritta di mano del teste : « Ego Paulus Recuperatus confirmo quae supra per me deposita sunt hac die 20 mensis maii 1609. Idem Paulus manu propria ». Esso contiene interrogazioni e risposte circa numerosi fatti specialmente di natura straordinaria e prodigiosa (il Recuperati era stato in familiarità, con F. durante una trentina d’anni). Per darne saggio, si può trascrivere: « 5 . Interrogato come sa, che due sante comparissero avanti di lui [Filippo], delle quali l’una havea un pezzo di pane in mano et se lo mangiava, così asciutto, et come sa, ch’alia dimanda sua, che significasse cosi fatta attiene, respondesse, che “ tu devi far vita heremitica nel mezzo di Roma” . Respose: Perchè me lo disse il p. Filippo, et me disse il nome delle sante, ma non me ne ricordo, ima sera al tardi, circa alle 24 hore, in quella camera, che ha l’entrata nel dormitorio di S. Girolamo, che fu mutata, poi, da e s s o ...» [f. 2 v]. « X I I . Interrogato se è vero che, facendosi la congregatione delle colpe, et che assistendo egli [Filippo], ima volta, et più, nè facendo come gli altri padri, [egli, il teste] importunamente dimandasse la cagione et che, havendo in mano la vita del p. Ignatio, santissimo huomo, gli mostrasse alcune attioni sue di esquisita humiltà et che egli li rispondesse: “ Non son santo, come il padre Ignatio”. Rispose: Signor sì, che è vero tutto quello, che è stato detto ... » [f. 4 v]. « Interrogato come egli sa, che, andando aU’audienza del papa, alcuna volta, et dubitando, con la memoria [sic] del Vicario dì Christo, di fare alcune cose sopranaturali, dicesse: “ Pregate per me, ch’io non faccia qualche pazzia” . Rispose : Io lo so, perchè l’ha detto a me, più d’una volta, et lo so anco da a ltr i... » [f. 6 v ]. «X X III. Interrogato se è vero, che sendo inferma una gentildonna de Galli, sua figliola spirituale, et havendola visitata, dicesse egli : “ Sta molto male, ma non voglio, che mora” , et sorridessi et così guarisse, et che la vedesse risanata da quella infirmità. Rispose : Tutto è vero ... » [f. 7 v]. issi h fatto dovette accadere circa il 1599, a quanto dichiararono Alessandro Alluminati, f. 123, e Giulia Lippi, f. 1021: la testimonianza di costei e la presente sono le meglio circostanziate. Si aggiunga anche la memoria fattane da Pompeo Pateri, f. 845. Il tempo corrisponde a quello del decadimento della salute di F., quando egli si ritirò dalle principali cariche sostenute, B obdet-P onnelle , pp. 439-41 (vers, ital., 419-21).

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 799

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    strare in publico certo fervore, per non cascare nel peccato di vanagloria. Et so di certo, che il detto beato Filippo, da quel giorno in poi, non volse mai più, in vita sua, ragionare in publico, in chiesa, all’oratorio : et questo, come ho sempre tenuto, per non fare mai più simili demon­ strationi in publico, se bene quel gran fervore et moto, mentre diceva Messa, mentre mi dava l’assolutione, quando mi confessavo da lui, et mentre ragionava delle cose d’ iddio in privato, gli durò fino alla fine della vita sua. Et so, che mentre si communicava, alla Messa, gustava tanto del Santissimo Corpo et Sangue di Christo, che leccava le dita, come fa un goloso, quando mangia qualche cosa che molto li piace : et io l’ ho osservato, spessissime volte. Nell’ultimi anni, non potendo cele­ brare in publico, essendo sforzato, per li continui ratti, di spedirsi presto, ottenne, dalla felice memoria di Gregorio XIIII, di poter celebrare in una capella privata,1858 vicino alla sua camera. Et io, per gratia del Signore, son stato presente alla sua Messa, et anco l’ ho servita, e (fu l’anno 1593, del mese di maggio) viddi che quel santo huomo empiva il calice di vino, e, poi, quando era a «Domine, non sum dignus», faceva andar via tutti (il p. m.s Antonio Gallonio di bona memoria et altri ser­ rava la porta) per poter gustare, a suo modo, quel Santissimo Sacrificio del Corpo et Sangue, e, poi, per più d’un’ hora, se ne stava in contempla­ tione, e poi s’apriva e finiva il resto della Messa. In questo medemo tempo, l’ho veduto che, ogni matina, diceva Messa, se non era impedito da infermità, et, quando stava male, ho inteso dire, che si communicava ogni giorno, o la notte, secondo l’accidenti della febre ; et questa usanza l’ha conservata fino all’ultimo giorno di vita sua. Et questo, per il tempo che sono stato in Roma, appresso di lui, che è stato per spatio di ventiquattro anni in circa, lo so di certa scientia et « de visu » ; in quanto, poi, all’altro tempo, lo so « de auditu », da persone degne di fede: in particolare, dal p. Antonio Gallonio, quale stava, di giorno e di notte, con detto beato padre ; et da altri, et anco « de publica voce et fama ». Et ho inteso dire, da più persone, doppo la sua morte, furono trovate molte cose miracolose, circa il cuore, et che alcune delle coste, della banda del cuore, erano inarcate, alla grossezza di un pugno et più : et di queste cose n’è stata et è publica voce et fama. 34. D e esta si et ra p tu . Servendoli io alla Messa, in S. Girolamo, alle volte, vedevo che affrettava la Messa, si tirava la barba, et faceva altre attioni, per distrahersi ; et, alle volte, era necessario, che io gli accen­ nassi, con il deto, quello che doveva dire nella Messa, perchè stava tutto

    1858 Quest’oratorietto era sito a metà della scala, per la quale si saliva alle stanze di F. : si veda la nota 198. Da una lettera di Germanico Fedeli, in data 5 genn. 1591, si apprende die F. non aveva fino allora usato del privilegio, e che si trattava di accomodare la cappella in una delle stanze, B ordet-P o n n e ix e , p. 466 e n. 1 (vers, ital., 444 e n. 19). L ’oratorietto è quello trasportato al primo piano e situato ora sulla cappella interna di s. Filippo. Sulla porta si legge : « Sacellum in quo I S. Philippus Nerius | postremis sua vita annis quotidie | sacrum facere et diu solus cum \ Deo agere consuevit ut omnium | pietati esset expositum in | ampliorem hunc locum integris | parietibus translatum est | Anno M.D.O.XXXV ». Si sa che il sito originario delle stanze di F. era incluso nell’edificio di abitazione primitiva dei Padri, sorgente già sull’area della presente via della Chiesa Nuova e andato distrutto.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 799-800

    assorto in Dio, et stava fuor di sè: et questo è stato et è publico et notorio, publica voce et fama. 35. D e vision ib u s. Ancorché il santo padre havesse visioni de santi (et non ho difficulté, perchè è publica voce et fama) tuttavia, quando occorreva, che ad alcuno apparisse Nostro Signore, la beata Vergine o altri santi, dava documenti et regole sodissime, per conoscere, se erano vere o false. E, domandandogli io conseglio, che doveva fare una vergine delle nostre del Terzo ordine di s. Domenico, di molta pietà, alla quale, frequentemente, appariva Nostro Signore, e, del continuo, s. Caterina di Siena, istruendola nella vita spirituale, mi disse : « le donne facil­ mente s’ingannano ; però, ditegli, che gli sputi in faccia, quando l’ occor­ rerà simile apparitione, e che non ne faccia conto, nè le desideri, e le disprezzi » .1859 E così si è governata, molti e molti anni, tenendosi hu­ mile, e, dubitando d’ -[f. 800] essere ingannata, sempre, sta in timore. Io so, che tra il beato padre Filippo et suor Catherina Ricci, monaca in S. Vincenzo da Prati, v’era familiarità grande, ancorché nè l’uno nè l’altro si fossero mai visti, nè parlati. E un certo fra Domenico1860 del Terzo ordine di S. Francesco, homo di molto spirito et figliolo spirituale del beato padre, andava spesse volte a Prati, dal monasterio di S. Vin­ cenzo, più volte, nella camera del santo padre, diceva alcune attioni di quella serva d’ iddio, e mi par, che il santo padre ce lo mandava. Occorse che, dopo la morte di detta suor Catherina, un certo padre di s. Dome­ nico, quale era stato confessore, scrisse la vita di detta suor Cathe­ rina,1861 et, anco, fece stampare la sua effigie, nel medemo libro (et io ne ho uno di quei libri) et, essendo mostrata quell’imagine al santo padre,

    isse Mancano elementi ,per identificare sicuramente questa visionaria con suor Caterina Paluzzi, sopra ricordata ampiamente dal teste, come fanno B ordetP onnelue , p. 87 (vers, ital., 84). Si potrebbe pensare piuttosto a Caterina da San Miniatello, sulla quale la nota 940: il teste Francesco Rosani fece una rela­ zione di lei proprio a Domenico Migliacci. Risulterebbe, in ogni maniera, da un documento dell’Archivio generale dei Domenicani in Roma, X, 560, f. 70 v, che F. aveva prescritto un severo trattamento anche per la Paluzzi, pur soggetta a visioni. 1860 Questo fra Domenico terziario francescano, che andava spesso a Prato nel monastero di Caterina de’ Ricci, non è noto altrimenti. 1861 Chi sia l’ autore del libro menzionato dal teste non sappiamo dire con certezza. Il Breve raccolto della vita et costumi di suor Caterina de’ Ricci del­ l’ordine di s. Domenico, del domenicano Francesco Cattani da Diacceto, stampato nei primi mesi del 1592, e cit. nelle note 264 e 1813, porta di fatto nel frontespizio, entro un ovale, un profilo delineato con la leggenda « Suor Caterina de Ricci ». Ma non si trova che il suo autore sia stato confessore della santa claustrale. La seconda biografia pubblicata, di S erafino R a z z i , O. P., Vita della ven. madre Suor

    Caterina de’ Ricci vergine nobile fiorentina monaca nel monastero di san Vin­ cenzio di Prato. In Lucca, Busdraghi, 1594 fu finita di stampare nel gennaio del 1594, [G uasti ] , Degli scritti di santa C. de’ R. cit., p. 1. Ma se il Razzi ebbe corrispondenza (non conservata) con Caterina, pare che sia stato confessore nel monastero di S. Vincenzo a Prato solo dopo la morte di lei, che avvenne il 2 feb. 1590, G u asti , Le lettere spirituali e familiari di santa C. de’ R., cit., p. C. Inoltre, non avendo noi potuto vedere un esemplare della prima edizione di quel­ l’opera (che ne ebbe diverse, almeno fino a una quinta, Firenze, Landini, 1641), non sappiamo dire se vi sia inserito un ritratto inciso della santa. Si avverta che il G allonio , Vita lat., p. 180, cita la biografia del R a z z i ; ma non dice, nella sua narrazione, che F., descrivendo l’aspetto fisico di Caterina, ne facesse il confronto con il ritratto del libro.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci. £. 800

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    rispose : « questa imagine non s’assomiglia niente ; era più bella sor Catherina Ricci » : et io lo seppi dalla bona memoria del p. Antonio Gallonio. Et questo è stato et è vero, publico et notorio, publica voce et fama. 37. D e charitate erga p roxim u m e t zelo anim arum . Del zelo dell’anime, è noto a tutta Roma quanto habbia fatigato, per convertir alla Maestà d’iddio anime, et quante persone, per mezo suo, habbiano lasciato il mondo et andate alle sante religioni, et è publica voce et fama, che molti delli suoi figlioli spirituali si sono fatti religiosi in diverse religioni. Io so di certo, che, ancorché il beato Filippo fosse dedi­ tissimo all’oratione, et saria volontieri stato sempre solo, con tutto ciò, il desiderio ardente, che haveva, della salute dell’anime, lo faceva, con tanta patientia et assiduità, assistere al confessionale, che si conosceva, evidentemente, che n’haveva gusto particolare. Perchè, ogni giorno, non solo le feste, ma anco gli altri giorni feriati, v’assisteva, dalla matina a buonhora fino vicino a mezzo giorno, et pareva, che non se ne sapesse par­ tire ; et se, alle volte, per qualche necessità si partiva, lasciava detto dove andava ; et che sarebbe tornato presto. La matina, avanti giorno, perchè non posseva confessare in chiesa, confessava in camera, essendo anco in letto: et questo lo so di certa scientia, che moltissimi suoi figlioli spirituali andavano a confessarsi da lui avanti giorno ; et io, moltissime volte, vi sono andato a buon’hora, et sempre trovavo, che era aperta la sua camera, et vi trovavo genti che s’erano confessati, et altri si con­ fessavano. Et haveva caro, che li suoi figlioli spirituali si confessassero spesso, et moltissimi ne confessava ogni giorno. Questo è vero, che, delle donne, ne confessava poche, massime respetto alli huomini. Io so di certa scientia che il beato Filippo andava, almeno una volta l’anno, con li suoi figlioli spirituali, et altri, che volevano andare, a visitare le Sette Chiese di Roma : et io vi sono stato, una volta, del mese di maggio ; ma, per ordinario, v’andava di carnovale. Et questa usanza si osserva, anco hoggi, dalli padri et fratelli di detta Congregatione dell’Oratorio ; et io vi son stato due volte solamente, et, all’hora, viddi, che il numero della gente passava forse il migliaro, et vi andavano molti religiosi di diverse religioni. Et l’ordine, che si teneva in quella andata, era bellis­ simo ; s’andava senza rumore, et, per le strade, si cantavano le letame o qualche salmo ; nelle chiese, vi faceva fare qualche sermoncino, da qualche religioso, o si cantava qualche laude spirituale ; la Messa si cantava, o in S. Sebastiano, o in S. Stefano Rotondo, dove si comuni­ cavano molte centinaia di persone ; la refettione, per ordinario, si faceva in uno giardino 1862 vicino alla detta chiesa di S. Stefano ; per il

    1862 Nei primi anni, a testimonianza di Monte Zazzara, la refezione si faceva « nella vigna de Massimi rincontro S. Stephano Rotondo », f. 20; la quale, come già detto nella nota 115, non risulta nota per documenti, e dovette essere presto abbandonata, forse perché ristretta. L ’altra fu quella Mattei, al presente villa Celimontana, sulla quale la nota 975. Si può aggiungere che la vigna dei Palluccelli (de Paluzzellis) fu comprata il 28 sett. 1553 da Giacomo Mattei, e che nel 1582 i Conservatori donarono l’obelisco già sul Campidoglio a Ciriaco Mattei, per la villa sul Celio. Ciriaco, nel suo testamento del 26 lu. 1610, ricordò cosi i lavori che vi aveva fatto : « Qual giardino, per prima et da quaranta anni sonno, era vigna et io, con molta spesa et sollecitudine et tempo l’ho redutto in forma di giardino ... », A doi.fo P e r n ie r a i dintorni della Navicella dal medio evo ai nostri giorni, in Capitolium, V II, 1931, pp. 170-71. Della fabbrica della villa, architettata 7

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 800-801

    mangiare, ogn’uno era provisto, senza portarsi niente, di pane et vino a sufficienza, un ovo per uno, una meza provatura, o vero salame, et qualche mela; et, la sera, tutti tornavano a casa contentissimi, paren­ doli esser stati in Paradiso. Et, in questo modo, [f. 801] guadagna­ va molte anime a Christo, et le tirava alla frequenza dei Sacramenti : et di queste cose n’è stata et è publica voce et fama, publico et notorio. 38. De charitate erga 'proximum circa corpus. Io so, che dava dell’elemosine, con molta charità, et, in particolare, ho visto, che, ogni mese, soleva dare un tanto a una religione, ancorché lui fosse povero : et questo è stato et è cosa publica. 39. De prudentia et discretione spirituum. Al servo d’ iddio Filippo concorreva ogni sorte di gente, per conseglio, e religiosi e seculari, e nobili e ignobili, e a tutti dava satisfatione. Et io, spesse volte, ci ho visto dei cardinali, prelati, religiosi, et altra sorte di gente. Quanto, poi, a guidar anime al servitio di Dio, haveva una maniera stupendis­ sima, e si accommodava alla natura di quelli che governava et era, da tutti [i] suoi figlioli spirituali, amato et temuto. Et ho esperimentato in me : alle volte, per qualche occasione, mi faceva qualche cappello,1863 l’altra volta mi faceva carezze. Homo veramente singolarissimo et non ha havuto pari nell’ età nostra, nè haverà per molto tempo da venire. E come manteneva la gioventù, acciò non pigliasse occasione di sviamenti, come l’accarezzava, come li trattava : « factus erat omnia omnibus, ut omnes lucrifaceret ». Et, in questa maniera, molti nobili si sono mante­ nuti nella vita spirituale, che, per gratia del Signore, sono l’ essempio di questa città : et questo è stato et è vero, publico et notorio, pubblica voce et fama. 40. De simplicitate. Ancorché il santo padre fosse huomo prudentis­ simo, nondimeno l’occultava, et trattava, con ogni semplicità, con ogni sorte di gente, senza cerimonie et con grandissima domestichezza ; e così in tutte l’altre sue attioni, come nel vestire, nell’andare, nel parlare et simili. Et questo è stato et è vero, publico e notorio.

    da Jacopo Del Duca, non resta quasi nulla : la migliore Idea se ne può avere dalla veduta e dalla pianta prospettica che ne dà G. B . F alda, Li giardini di Roma. La iscrizione recente che si legge (« Qui S. Filippo Neri | discorreva coi suoi disce­ poli I delle cose di | Dio ») è in una cimasa di marmo fermata sopra un sarcofago antico pagano, contro il plinto del quale è poggiato un banco di marmo, in cospetto del panorama della via di Porta S. Sebastiano. Il sarcofago, che ha la fronte scolpita rivolta al viale ora uscente dal casino della villa (il viale sembra corri­ spondere al mezzo dell’antico « teatro ») probabilmente sta, all’incirca, dove l’esedra del « teatro » si chiudeva al centro con l’edicola della testa colossale d’Alessandro Magno. La trasformazione della villa avvenne in conseguenza della spogliazione fattane dai Mattei, che vendettero le loro raccolte d’antichità sulla fine del see. xvni ; l’obelisco fu trasportato dove ora si trova dal Godoy (1820?). Sebbene non rimanga qualche memoria scritta che l'attesti, può darsi che F. amasse ritirarsi dietro l’emiciclo e che quindi quella tradizione locale sia da conservare, anche se non denoti materialmente che egli sedeva proprio su quel banco. Il già ricordato dipinto settecentesco, alla Vallicella, dà la rappresentazione dell’ordine seguito nella refezione. Per la visita alle « sette chiese » nel see. xvi e posteriormente, si veda ora G asbabri, L’ Oratorio filippino, cit., pp. 35-38, 56-61. 1863 pare o dare un cappello a imo, vale dargli o fargli un rabbuffo, con esempi dai see. xiv al xvi, T o m m a s e o - B f.i x i n i , Dizionario della lingua italiana, « ad vocem ».

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 801-802

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    41. De humilitate. Era humilissimo, in tutte le sue attioni, et, ancor­ ché fosse huomo di tanta santità, l’occultava, e spesso diceva : « povero me, io non ho mai fatto niente ». Et, una volta, nell’ultima sua infirmità, dicendoli io : « Padre, spero nel Signore Iddio, che non morrà di questa infermità, non permettendo il Signore restiamo abandonati della sua presentia, essendo tanto necessaria a tutti noi altri », rispose, mo­ strando dispiacere : « se io mi reputassi d’esser necessario, mi terrei dannato ; io non son buono a niente », o simili parole disse. Et questa virtù persuadeva ai suoi figlioli spirituali, come fondamento dell’altre virtù, et a me più volte : et questo è stato et è cosa publica et notoria. 42. De mundi contemptu et amore paupertatis. Io so, che non faceva conto il beato Filippo delli danari et altre cose temporali ; anzi, l’avaritia detestava, come peste dell’anima ; e, come vedeva uno che era avaro, ne faceva malissimo concetto. Desiderava, anco, che li suoi figlioli spirituali non havesserò benefitii ecclesiastici, et non sentiva bene di quelli, che, havendo un benefitio sufficiente, ne havessero un altro : et questo è stato et è cosa publica et notoria. 45. De penitentia et abstinentia. L’anno 1573, il beato Filippo mi fece andare in S. Girolamo,1864 con intento di farmi caminare per la strada della perfettione, dicendomi : « qùesto sarà il tuo novitiato ». E, per quel tempo che vi dimorai, viddi, che era parcissimo nel mangiare et bere ; et io lo so di certa scientia, perchè l’ho veduto, moltissime et spessissime volte, in diversi tempi mangiare et bere. Et vedevo, che la matina, pigliava un pezzo di pane et un fiaschettino di vino (quale, moltissime volte, lo mandava a pigliare da me) quale fiaschettino non teneva più d’ un 'bicchiere di vino : et questo era il suo pranzo della matina ; et questo poco, che mangiava la matina, non lo voleva meno mangiare sedendo, ma passegiando per camera. La sera, poi, la sua cena, per ordinario, era un paro d’ova, una frittata. La carne non l’ho veduto mangiar mai ; nè meno minestra ; o cose di latticinio, come cascio, ricotta et cose simili ; nè meno mangiava pesci et, poche volte, frutti. Ma quando, poi mangiava in compagnia d’altri (il che molte volte l’ho veduto che faceva, per mantenere li suoi figlioli spirituali et per tirarne delli [f. 802] altri) all’hora, nel mangiare et bere andava destregiando et cercava di fugire ogni sorte di singularità et dimostratione esteriore ; et, molte volte, l’ ho veduto mangiare con il s.r Fabritio de Massimi, m.s Francesco Maria Tarugi di bona memoria et con altri : et questo è stato et è cosa publica. 46. De patientia et mansuetudine. Io so, che il beato Filippo hebbe molte persecutioni, quali, sempre, sopportò patientissimamente, nè si lamentava, ma solo haveva grandissima compassione et pregava conti­ nuamente per loro ; et, con l’oratione, et con la sua mansuetudine et

    1864 II teste si fece sacerdote, come dichiarò al principio, nel 1576: entrò perciò in S. Girolamo della Carità come semplice ospite, o piuttosto aiutante e servitore di qualcuno dei cappellani stipendiati dalla Compagnia, forse di F. stesso. I cappellani avevano assegnate due stanze, fino al tempo del M arangoni, Vita del servo di Dio il p. Buonsignore Cacciaguerra, p. 66 (il quale descrisse anche la zazzera che essi portavano fino sopra le spalle, la zimarra con le maniche lunghe quasi fino a terra, la berretta da prete con sopra un cappello che veniva legato sotto il mento come quello degli uditori di Rota).

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 802

    patientia, molti si ravedevano del loro errore, et gli divenivano amicis­ simi ; altri, che persistevano nel loro errore, erano da Dio castigati. Et io, in particolare, ho veduto et conosciuto un certo m.s Vincentio Teccosio, medico, quale ho inteso dire, publicamente, più volte, che haveva molto travagliato il beato Filippo, per il passato, essendo lui uno delli deputati della Compagnia della Charità in S. Girolamo: quale l’ho conosciuto, poi, che amava detto beato cordialissimamente, lo lodava, l’obediva, et, in somma, lo seguitava come un cagnolino. Et, per il con­ trario, un certo m.s Attilio Serrano, vicario, all’ hora, di S. Lorenzo in Damaso, dove io ero benefitiato, perseguitando, contro ogni ragione^ anzi falsissimamente, o dicendo male di detto beato padre appresso di nostro signore papa Gregorio XIII, et mons. Contarello,1865 datario, quale si confessava dal detto Attilio, et non si ravedendo del suo errore, fu da Dio castigato, perchè morì, avanti passasse un anno ; et, in questo tempo, il detto Attilio hebbe lui una persecutione grandissima dalli frati di Monte Oliveto, perchè si scoprì, che era stato il detto Attilio in quella religione da cinque anni : et questa era cosa publica et notoria fra li figlioli spirituali di detto beato padre. Mi disse, anco, il beato Filippo, con buona occasione, che lui haveva patito assai, in quel luogo di S. Gi­ rolamo, dicendomi : « O Domenico, se tu sapessi quanto ch’ho patito in questo luogo ». Possedeva di maniera la virtù della mansuetudine, che, non solo compativa alle persone afflitte, et le consolava, et agiutava, con fatti e parole, ma haveva grandissima compassione delli animali, e non poteva sopportare li fosse fatto dispiacere. E, passando, una volta, per li macelli 1866 vicino alla piazza del Duca, un macellaro, con un corteilaccio, dette una gran ferita a un cane. Il padre cominciò a lamentarse, più volte, et disse : « O poveri animali, o poveri animali » ; et a questo mi trovai presente : et di queste cose ne è stata et è publica voce et fama. 48. D e virg in ita te et ca stita te. È publica voce et fama, che il santo padre sia stato sempre vergine, et è coniettura, poiché amava la purità straordinariamente. Dubitando sempre che li suoi figlioli spirituali non incorressero in qualche defetto contro la purità, dava avertimenti, del continuo, insegnava il modo per mantenersi et quando qualch’ uno non dubitava e non temeva, all’hora esso lo teneva per spedito. Alli confes­ sori, insegnava il modo, con il quale dovevano procedere con donne. Confessava pochissime donne, non havendo caro di confessarle. Voleva che, come peste, si fugisse il lor consortio. Ho osservato, ancora, che, occorrendomi qualche fragilità in sogno et confessandomi, sentiva la puzza et si voltava dall’altra banda : segno grandissimo, che possedeva lees Matthieu Cointerel, sul quale già la nota 522. Si aggiunga Ch . R oulet,

    Un bienfaiteur de Saint-Louis: Le cardinal Cointerel (1519-1585), in Annales de Saint-Louis-des-Français, IV, 1899, pp. 53-70.

    1866 Macelli, macellerie, anche adesso, botteghe dove si vendono carni macel­ late; ma si tenga presente che allora non esisteva mattatoio alla periferia e si abbattevano le bestie in piena città. Molti furono i luoghi e piazze di Roma che portarono questo nome, anche soltanto tenporaneamente. Tra quelli elencati da Gnoli, Topografia e toponomastica di Roma, pp 146-49, si possono ricordare, come più prossimi alle case abitate da F., via de’ Macelli, fino a un secolo fa prosecu­ zione di via del Gallo che da piazza Farnese, traversata la via dei Cappellari, proseguiva fino alla Cancelleria (fu poi incorporata a Campo di Fiori); e vicolo del Macello, parallelo a via dei Cartari, e che sboccava a S. Lucia della Chiavica.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 802-803

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    questa santa virtù della castità. Un medico, suo figliolo spirituale (mi pare che fusse Giovanni Battista Putei) 1867 quale sentiva gran tentatione, toccando il polso alle donne, lo conferì con il beato padre, quale gli diede un ligaccio delle sue calze. Quale portandolo adosso, non sentì mai più tentationi. Et questo l’ho inteso da altri figlioli spirituali del detto beato padre ; e questo è più di trentaquattro anni, che Fintesi dire dalli sopradetti, et ne è stata et è publica voce et fama. [f. 803] 49. D e diligentia et persevera n tia. Era tanto diligente, in sentir le confessioni, che, dalla matina all’alba sino a mezo giorno, stava ascoltando le confessioni, o in camera, o al confessionario, et anco mentre stava in letto ammalato. Mai si curò delli suoi, nè so, che mai sia uscito fuor di Boma, per tal causa ; anzi, essortava li suoi figlioli spirituali, massime a quelli, che desideravano far progresso nelle virtù, che non andassero alla patria, « perchè », diceva, « tra li parenti si perde e non si guadagna lo spirito ». Era inimicissimo dell’otio, et sempre, o faceva oratione, o diceva Messa, o legeva, o ragionava di cose spirituali, o cose simili. 79. D e m iraculis p o st m ortem . Io so, che, havendo io dato un poco d’ una pezza del rottorio del beato Filippo a sor Hortensia d’Anellis,1868 monaca nel monasterio di S. Cecilia in Trastevere, acciò la mettesse sopra una postema, che haveva in una zinna, doppo d’haverli io dato detta reliquia, li apparve, Fistessa notte, il beato padre e pose la sua mano sopra la postema di detta monaca, et li dette alcuni ricordi spirituali, et, la matina, si svegliò libera del detto male. Il qual male l’haveva havuto, da sei mesi in circa, secondo lei, per prima, più volte, mi haveva detto ; et li venne, per battersi il petto con una pietra. Et di questo s’era lamentata più volte, con me, come suo confessore e del monasterio ; et lei mi referì quanto ho detto, circa il miracolo ricevuto et la visione del beato padre, et mi pare, che l’habbia detto al rev.do m.s Pompeo Paterio. Et, di questo male della soddetta monaca, non credo che ne fossero consapevoli altri, che la madre badessa, quale si chiamava donna Cherubina Cardelli (quale è morta tre anni sono in circa) perchè la detta madre badessa mi disse, che io li comandassi, che si facesse veder dal medico, come io li comandai, et non lo volse fare. Perchè la suddetta monaca non voleva si scoprisse il male, e perchè dubitava ancora, che le monache non si credessero fosse un cancaro. Et questo fu miracolo, perchè guarì in instanti, et lei non ci fece medicamento alcuno naturale, nemeno si volse lasciare vedere dal medico. Tengo per certo, che havesse da Iddio gratia di vedere li secreti del cuore, come, in particolare, mostrò, una volta, di sapere alcuni segreti miei, se ben mi ricordo. Et, anco, lo sentii dire da mons. Recuperato, trenta anni sono, in circa, che un suo figliolo spirituale, chiamato m.s Lodovico Parisio, senza conferire cosa alcuna con detto beato padre, depositò, sopra un banco, una buona somma di danari, e, doppo, li scoprì tutto quello che haveva fatto. Il beato padre gli disse : « tu hai fatto male ; leva via quelli danari, da quel banco, quanto prima » e così fece. E, doppo alcuni giorni, fallì

    1867 Si è già detta, nella nota 1038, la ragione che fa ritenere trattarsi qui piuttosto del medico Antonio Fucci. 1868 Suor Ortensia Anelli comparve già come teste il 29 nov. 1595 (135).

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    102

    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 803-804

    il banco, e di tal fallimento non c’era pensiero alcuno, nè il padre sapeva quel banco. 82. D e opinione sa n ctita tis. Io so, che il beato Filippo era tenuto in opinione di santità, in Roma, mentre viveva, non solo dalle persone nobili et ignobili, da ecclesiastici et secolari, da sommi pontefici e cardi­ nali et altri prelati ; et era publica voce et fama, che la santa memoria di papa Pio Quinto Phonorasse e stimasse assai ; così la felice memoria di Gregorio X III, et altri sommi pontefici. Et ho visto molti cardinali venir in camera sua, a visitarlo et riverirlo, come homo di molta santità. Io so, che, in particolare, che il beato Carlo Borromeo lo stimava et honorava ; così altri illustrissimi cardinali, come Paleotto, Cusano et il card, di Verona, il card. Federico Borromeo, et, in particolare, il card, de Medici, che poi fu papa, chiamato Leone XI. E, non solo dalli sopradetti era tenuto in opinione di santità, ma ancora da persone reli­ giose, et, in particolare, dalla santa memoria del p. fra Felice da Cantalice, cappuccino, suo familiarissimo, con il quale incontrandosi il beato padre a Monte Cavallo, vicino a S. Maria Maddalena, dove erano molti suoi figlioli spirituali, et era presente ancor io, il p. fra Felice, quando vidde il santo padre, [f. 804] cominciò a correre alla volta sua, ri­ dendo, et, arrivato, si prostrò in terra et li hasciò le mani, et il beato padre l’abbracciò strettamente, e stettero un poco così, e, senza dir pa­ rola alcuna, si divisero. Et, più volte, m’è venuto in mente, che l’istesso intervenisse a loro, che intervenne a s. Lodovico, re di Francia, et al beato Egidio, compagno di s. Francesco, si come si racconta nella vita del detto beato Egidio, che, essendo il santo re venuto di Francia, a posta, per vedere il beato Egidio, e, arrivato al convento, lo fece chia­ mare, e, quando si viddero, si abracciorno, et stettero un gran pezzo così, senza parlare, et, dopo, si divisero, il re, partendosi, facendo il suo viaggio, et il santo frate Egidio tornò alla sua cella, senza pur che havessi detta una minima parola. Del che maravigliatosi li frati, dissero : « fra Egidio, che vói dire, che non havete fatte carezze al re, dicendoli qualche parola di compimento, come conveniva farsi a un re, così potente, e tanto nostro benefattore? » Rispose il santo : « il re et io hahhiamo assai parlato, havendo, ogn’uno di noi, esplicato il nostro concetto, senza lingua » .1869 83. Io so, anco, che, dopo morte, è stato tenuto, come, al presente, anco communemente si tiene, per homo santo ; et, quando morì, et il suo corpo era in chiesa della Vallicella, ci fu grandissimo concorso di gente d’ogni stato, a riverir et honorar quel santo corpo, toccandolo et baciandolo, come corpo santo. Io so, che, molti, per divotione, si fecero dare delle sue vesti, capelli, et altre cose. Ho visto molti andar a far

    lece h n0to racconto si legge nella compilazione Actus beati Francisci et sociorum eius, databile tra il 1318 e 1328, dalla quale passò nei Fioretti, cap. XXXIV, Actus beati Francisci et sociorum eius, edidit P a u l S abatier. Paris, Librairie Fischbacher, 1902 (« Collection d’études et de documents », t. IV), cap. 46, pp. 143-45; inoltre nella Chronica XXIV generalium, composta avanti il 1369, in Analecta francescana, t. I l l , cit., pp. 90-91, e anche in altre raccolte francescane, cf. W alter W . S eton, Blessed d ie s o f Assisi. Manchester, The University press, 1918 (« British society of Franciscan studies », voi. V ili), pp. 26-27, 43. Come si sa, l’episodio manca di fondamento storico, poiché s. Luigi IX re di Francia non fu mai in Italia.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 804

    103

    oratione al suo sepolcro : et questo è stato et è cosa publica et notoria a tutta Roma. 84. Io mi ricordo d’haver visto un ritratto, qual fu fatto, vivente il beato padre, da un certo pittore,1870 qual stava incontro a Corte Savella, et, dopo morte, n’ho visto infiniti ritratti et in diversi modi. Ho, ancora, inteso dire, che la felice memoria di papa Clemente 8° ne teneva uno in camera sua. Quali figure e ritratti, publicamente, ne ho visto, per tutta Roma, vendersi e da pittori et altri che vendono figure, con miracoli fatti dal beato padre, intorno al ritratto o figura, e con la diadema in testa et splendore,1871 si come è solito farsi all’altri santi: et questo è stato et è cosa publica. 85. Io ho visto, poco dopo la morte del beato padre, al suo sepolcro, appesa una lampada (qual so, che ci fu messa per ordine dell’abbate Mafia, all’hora visitatore apostolico) et, in processo di tempo, molte altre, quali, notte e giorno, ardono avanti quel corpo santo. Et anco so di certo che, ogn’anno, s’ è celebrata et si celebra la festa, nell’anniversario della sua morte, con molta solennità, intervenendoci molti cardinali e, più volte, ne ho visti molti, e cioè il card, de Medici, Paravicino, Cusano, Baronio, Tarugi, Perona 1872 et molti altri ; et anco molti prelati et una infinità di gente. E il suo sepolcro s’ornava et orna, con molto splendore, e così la chiesa ; et, anco, si cantava et si canta, ogn’anno, il primo e secondo vespero et la Messa, con bellissima musica et altre sorti d’instrumenti, e così si seguita ogni anno. Di più ogni venerdì, dopo la

    1870 Rimane sconosciuta l’identità di questo pittore, che ritrasse F. da vivo; nè vale a determinarla la ricerca negli « stati d’anime » di parrocchie nelle vici­ nanze di Corte Savella, tutti posteriori al see. xvi. 1871 Come già rilevato nella nota 1819, la ritrattistiea di F. è assai copiosa ; e questo teste conferma quale intenso smercio di opere dipinte e incise si faceva a Roma. La serie delle pitture conservate attende di essere enumerata e classificata. Parecchi sono ancora i ritratti conservati che si dicono dipinti dal vivo, e una « famiglia » di essi è attribuita a Cristoforo Roncalli : il santo vi è raffigurato di tre quarti verso la nostra sinistra, in sottana, il ferraiolo sulle spalle, la berretta in capo, la corona nella mano destra all’altezza della cintola. Questo tipo icono­ grafico è il più antico a noi noto, poiché si trova riprodotto nella stampa preposta al libro De bono senectutis del card. Gabriele Paleottl (si vedano le note 803 è 1876). Diverse stampe, alcune con l’anno della pubblicazione e la firma dell’autore, si trovano nel ms. A. III. 51 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, intitolato: «Fasciculus diversorum jurium, productus die 8 novembris 1610», per­ tinente alla causa di canonizzazione. Delle incisioni anteriori al 1610 (tre altre con data posteriore vennero successivamente inserite nel fascicolo) dà una som­ maria descrizione G. I ncisa della R occhetta, Contributo all'iconografia di san Fi­ lippo, ne L’ Oratorio di s. F. N., XVI, 1959, num. 7, pp. 1-4. 1872 Qualora non sia da emendare in Verona, e intendere che si tratti del card. Agostino Valier (sul quale la nota 429), si pensa a Jacques Davy Du Perron, antico calvinista, vescovo di Évreux, negoziatore dell’assoluzione di Enrico IV, per la quale arrivò a Roma il 12 lu. 1595, P astor, XI, p. 89; creato cardinale il 9 giu. 1604, e che ebbe il titolo di S. Agnese in Agone, il 7 genn. 1605. Un Avviso in data 23 sett. 1606 informa che il « cardinal di Perona », presente in Roma, era andato a S. Giovanni in Laterano per vedere il luogo nel quale si doveva collocare una statua in bronzo del re di Francia [questa statua di Enrico IV, opera di Nicolas Cordier, è tuttora in una rientranza nella testata del portico sistino di S. Giovanni in Laterano] O bbaan, p. 75. Egli morì a Parigi, il 5 sett. 1618, P. F eret,

    Le cardinal Du Perron orateur, controversiste, écrivain; étude historique et cri­ tique. Paris, Didier et c.ie, 1877.

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, ff. 804-805

    morte del santo padre, si radunavano molti delli suoi figlioli spirituali, nella camera dove morì, e si faceva un poco di sermone, quando da uno, quando da un altro, « de vita et virtutibus beati patris », et doppo si dicevano le letanie : e questo s’ osserva anco adesso ; e ci ho visto molti nobili, tra l’altri, il s.r Fabritio de Massimi, il s.r abbate Orescentio, l’ill.mo mons. auditor della Camera, suo fratello, et anco li altri fra­ telli,1873 il s.r Marcello Vitelleschi, il s.r Marco Antonio Vitelleschi, il s.r Camillo Pamphilio, il s.r Francesco della Molara ; et io mi ci son ritrovato molte volte. 86. Io so, che, dopo la morte, fu, per ordine di superiori dato ordine [f. 805] si cominciasse il processo della vita et miracoli del beato padre ; et so, che molti si sono essaminati, nel primo processo ; et ancor m’essaminai io, l’anno del 1595, et il notario, che mi esaminò, era la bona memoria di m.s Iacomo Butio, quale, con molta charità e patientia, continuò sempre, mentre visse, et era canonico di S. Giovanni Laterano et notario della Visita : et questo è stato et è publico et notorio. 87. Ho visto, ancora, nella camera dove morì il beato padre, acciò fosse honorata et riverita, essendo stata habitatione di quel santo huomo, essersi eretto uno altare, con l’effigie sua, vestito con habito sacerdotale, cioè con la pianeta : 1874 et, anco, intorno a detta camera, depinti molti miracoli, fatti dal detto beato padre, con un soffitto bellissimo indo­ rato : 1875 quali figure furono fatte dal Pomarancio, pittore eccellente ; et, in detto altare, ho inteso che si celebra : et questa è stata et è cosa publica. 88. Io ho visto, anco, un libro, composto dalla felice memoria del card. Paleotto, intitulato De bono senectutis,1876 e lo dedicò al beato Fi1873 Rispettivamente Giacomo, Pietro Paolo, Vincenzo, Giovanni Battista, testi, già comparsi, e inoltre Francesco e Angelo Crescenzi. Si veda la nota 216: 1874 Questo « quadro grande » di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio venne pagato all’artista il 19 magg. 1597, come già detto nella nota 1419. Il cenno qui fatto della raffigurazione permette di collegarla con il tipo iconografico rappre­ sentato da molte incisioni, che ritraggono il santo, così, ora a mani giunte ora a braccia aperte, e dal noto quadro di Guido Reni, fatto per la cappella di s. Filippo nella Chiesa Nuova. 1875 Nel ms. A. III. 4 (d) dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, « Esito 1595-1596. Esito di dinari spesi in honore del Santo Padre Filippo Neri », si conservano i conti di questo lavoro. Il 27 settembre, 3 ottobre e 16 otto­ bre 1597, furono pagati scudi 20, 10 e 10, « a m.ro Giovanni falegname a bon conto della soffitta delli denari del sudetto legato [di Bartolomeo Dotti] ». « Adì 17 detto [novembre 1597] a m.r0 Giovanni falegname per resto delli s. 60 che se li è pagata la soffitta della camera del santo padre delli s. 100 lasciati da m.s Bartolomeo Dotti, s. 20 ». « Adi detto al s.r abbate Crescentii per pagare la pittura e indora­ tura della sudetta soffitta delli denari del sudetto legato, s. 30 ». « Adì 4 dicem­ bre [1597] al s.r abbate Crescentii per pagare l’indoratura della soffitta della camera del santo padre », s. 10. « Adì 30 detto al sudetto per il sudetto conto, s. 25 ». « Adi 1 gennaro 159S al sudetto per il sudetto conto, s. 20 ». Per il Dotti, che lasciò il legato, si veda la nota 117. 7876 De bono senectutis, auctore G abriele P alaeoto S. R. E. card. Romae, ex typographia Aloysij Zanetti, 1595. L’opera, che sarebbe stata composta dal Paleotti a istanza di F., suo confessore, ebbe notevolmente fortuna : ristampata Antverpiae, ex typ. Plantiniana, 1598 (e posteriormente altre volte, come a esempio, Venetiis, Albritius, 1754), fu tradotta in volgare da frate Pietro da Piombino, Roma, Mar­ telli, 1597, e Mascardi, 1605 e 1609, F a n t u zzi , Notizie degli scrittori bolognesi, t. VI, cit., p. 257. L ’esemplare di presentazione, con gli stemmi di Clemente V ili , è nella

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    26 aprile 1610. [287] Domenico Migliacci, f. 805

    105

    lippo, e, nel principio del libro, v’ era l’effigie del beato padre molto del naturale et fu subito dopo la morte del santo padre. Et anco so, che il card. Baronio, nel Martirologio, cioè nell’annotatione, vi mette anco il beato padre et li dà il titolo di beato. Ho visto et letto la vita del beato padre, composta dalla bona memoria del p. Antonio Gallonio, e la latina, e la volgare, quale è stata sottoscritta da alcuni cardinali, dove si racconta la vita et miracoli di quel santo huomo : et questa è stata et è cosa publica et notoria. 89. D e freq u en tia sepulch ri. Ho visto, dopo la morte del santo padre, molte persone d’ogni qualità, frequentare il sepolcro, dove stava il suo corpo, su alto, incontro all’organo. E, ciò, per mera devotione ; nè v’era diligentia humana, cioè che li padri facessero prattica, acciò la gente concorresse a visitare detto corpo, ma solo erano spinte da mera devo­ tione. E, così, ho visto gran concorso alla sua capella, dove hora è riposto quel santo corpo ; et ho visto un’infinità di voti, d’argento et in tavole, fatti da quelli che, dal beato padre, hanno ottenuto qualche gratia. Et ho inteso dire, che il card. Cusano donò un bel drappo per il sepolcro ; e viddi, ancora, un altro drappo, che donò il card. Visconte, quale portò da Transilvania.1877 Et ho visto alcune lampade, quale ar­ dono alla detta capella, si come ho detto di sopra : qual capella si chiama la capella del beato p. Filippo ; nella quale molti vi celebrano la Messa, et io ci ho celebrato, alcune volte : e questo è publico e notorio. Io Domenico Migliacci affermo, come le cose, deposte da me nelli sopradetti articoli del beato p. Filippo Neri, fondatore della Congre­ gatione de l’ Oratorio, haverle viste con li occhi proprii, in parte, et, parte, anco haverle intese da persone, degne di fede et figlioli spirituali del sopradetto beato padre, quali familiarissimamente pratticavano con lui; et, per esser così la verità, ho sottoscritta la presente, di mia propria mano, questo dì 25 decembre 1609. Io Domenico sopradetto mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otariu s. Biblioteca Vaticana, Stamp. Barb. L. V II. 33. Piacque ai contemporanei, come attesta un Avviso del 10 lu. 1596, Orbaan , p. 62 n. 2 ; e fu assai ricercata, A lessio L e s m i , barnab., De vita, et rebus gestis Gabrielis Palaeoti 8. R. E. cardinalis primiq. Bononiensis archiepiscopi, & principis. Bononiae, typis Caroli Zeneri, 1647, p. 90. Il libro, ripieno di erudizione classica, porta un prologo « Christiano lectori », datato settembre 1595 ; nel quale si presenta per « vivum exemplar » la persona e la vita di F ., e se ne annunzia la recente sparizione, avvenuta quando Topera stessa era già composta, et. anche B acci, 1. IV, c. 9, n. 7. La pubblicazione avvenne prima del 3 nov. 1595 : si veda la nota 803. Con questi dati è da rettificare l’asser­ zione del teste Marcello Ferro, f. 775, per quanto si riferisce alla pubblicazione reale dell’opera, che avvenne dopo e non avanti la morte di F. Del ritratto inciso, intercalato tra il prologo e la « praefatio auctoris », è stato detto nelle note 803 e 1871. 1877 La gualdrappa donata dal Visconti è stata ricordata nella nota 1688. Del drappo del Cusani si trova menzione, con la stima del valore, nel citato ms. A. III. 4 (d) delTArchivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, « Esito 15951596. Esito de dinari spesi in honore del Santo Padre Filippo Neri » : « [1596] Adì 25 detto [maggio] per un parato di broccato d’argento e fioroni d’oro donato al sepolcro del santo padre dal s.r card.le Cusano, s. 120 ». L ’oggetto è registrato dal B acci, 1. IV, c. 9, n. 15, come « una coltre di broccato ».

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    106

    27 aprile 1610. [288] Vincenzo Valesio. f. 807

    [f. 807] DIE 27a MENSIS APRILIS 1610

    Examinatus fuit, in officio etc., per me etc., de mandato etc., ad perpetuam rei memoriam, rev.dus d.nus Vincentius Valesius,1*72 preshiter Siracusanae dioec., i. u. d. et in iure canonico etc. doctore, testis etc., etatis annorum quinquaginta duorum in circa, qui medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [288]

    Sono da ventisette anni in circa, che sono sacerdote ; mi feci sacerdote nella mia patria, in Saragusa, e, da diciotto anni in qua, ho, di continuo, celebrato Messa; alcune volte, impedito da viaggio o da malatia, ho lassato di dirla, la Messa ; e, dal 1592 in qua, sono stato di continuo in Roma, e, come ho detto, non essendo stato impedito da malatia, ho di continuo celebrato ; et questa matina ho celebrato nella chiesa di S. Gio­ vannino.* 1879 Ho conosciuto, mentre viveva, il beato Filippo, ma non ho hauto prattica con lui, nè ci ho mai ragionato, ma lo conoscevo, perchè mi andavo a confessar in la Chiesa nova, dal p. Pompeo Paterio: dove, sino alla morte di detto beato padre, sempre continuai di confessarmi, doì volte la settimana. E per non haver hauto con detto beato Filippo prat­ tica, nè conversatione, non so, nè posso dir niente di certa scientia : solo, che intendevo dir, che era un huomo da bene, servo di Dio, et che haveva odor di sanctità. E, doppo la morte, si è più verificato, che, oltre che l’ho inteso, ho anco visto de molti miracoli, delle gratie riceute, per intercessione di detto beato padre, e la devotione e frequentia del popolo, alla capella dedicata, in honor di detto beato padre, alla Vallicella, a man destra de l’altar maggiore. Et, in particular, ne posso, tra li altri, testificar uno, nella persona mia, che fu questo, che hora dirò. Che, de l’anno 1601, del mese di giugno o luglio, se ben mi ricordo, ritrovandomi in casa, et mentre stavo spassegiando, fui assalito, nella mente, da una tentatione tanto gagliarda di carne, che faceva alcuni motivi di sensualità alle volte, e questo mi durò per spatio di venti hore. Et ancorché, per questo tempo, mi aiutassi con oratione, con contrarie imaginationi, tuttavia, non fu mai possibile, che mi si levasse da mente questa così gagliarda tentatione, et imaginatione, et motivi di carne sudetta. E, durandome questa tentatione, il giorno doppo pranzo, per non star in otio, mi mesi a leggere il libro della vita e miracoli del beato Filippo Neri, fiorentino, fondator de l’Oratorio alla Vallicella, composto dalla bona memoria del Gallonio ; e, così legendo, arrivato a quel miracolo,

    iere Vincenzo Valesio, o Valesi, comparve, il 16 ag. 1610, anche nel terzo processo ; nel quale, dopo l’interrogatorio, fu inserita nuovamente la presente depo­ sizione del 27 aprile. La seconda volta, si dichiarò originario della « terra di Modica, diocesi di Siracusa », figlio di un Girolamo, con un’entrata di 200 scudi « de benefici et patrimonio », grazia ai quali viveva, « insieme con qualche altra cosa, che io mi guadagno ». Firma autografa alla fine di questa deposizione. 1879 g. Giovanni « in Ayno », a via di Monserrato, chiesa parrocchiale, sulla quale la nota 1835.

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    27 aprile 1610. [288] Vincenzo Valesio. ff. 807-808

    107

    che si narrava esser stato fatto in persona di un tal Stefano,1880 del 1595 (che è di esser stato liberato di una simile tentatione di carnalità, over periculo di cascar in quella), e, così, levatomi la beretta di testa, et alzando li occhi al cielo, nel mio cuore et mente, dissi queste formate parole : « et a me, beato padre? » volendo inferire, nel mio core : « per­ chè non intercedete per me, che mi si levi questa tentatione di sensualità e carnalità? » Gran cosa, che, in un subbito, finito appena dette parole subito mi si passò detta tentatione di sensualità e carnalità. E, paren­ domi cosa di stupore e sopranaturale, volsi far prova, se questa era actione sopranaturale, e miracolosa. Me forzai di ricordarme delle medesme tentationi, immaginationi di sensualità et carnalità, che, per innanzi, havevo havuto, e non fu possibile, che mi tornassero in memoria. E, forzandomi, per tre volte, di volermi ridur a memoria queste tale cattive imaginationi, tanto più mi forzavo mi venissero a mente, tanto più erano lontane da me, che niente me si ricordavano. Onde, essendo io certificato, che questo tutto era operato dalla divina bontà di Nostro Signore a intercessione di detto beato, ne ringratiai Nostro Signore Iddio et il beato padre santo. Anchorchè non haveva fatto voto nè pro­ posito di fare tabella nisuna, deliberai di farla, si come, in effetto, la feci, et la presentai al p. Gallonio, all’hora vivo. E, per questo ho voluto sempre tenere in petto la sua immagine depinta, per mia devotione, ricordevole di una gratia così signalata fattami et acciò, anco, sia noto un miracolo, così occulto, e mentale, sopranaturale, a tutti in esempio. E questo l’ho tenuto et tengo per certo, che sia stata operatione divina, a intercessione di detto beato padre et per suoi meriti. Et, oltre di questo, posso testificare un altro miracolo, che successe tre anni sono in circa, che fu questo, che hora dirò. Che io, come confessore delle moniche di S. Silvestro, fui chiamato a confessare una certa sor Tecla,1881 alla quale li era cascata la goccia, in maniera, che, [f. 808] volendola confessare, non sentivo, per l’impedimento che haveva nella lingua lei, se non con gran stento e con cenni: e questo fu la sera. Ma, il giorno seguente o susseguente, se ben mi ricordo, (so bene che era doppo Ve­ spero) e mi chiamò di novo a confessarla ; et, andando, mi disse, avanti si confessasse, che, havendo una immagine del beato Filippo avanti li occhi, se li raccomandò di core, che, almeno, li facesse gratia si potesse confessare. E così megliorò e fece la sua confessione, non solo ordinaria, ma anco generale: et io conobbi grandissima differenza, tra la prima volta che la confessai, alla seconda. E tutte le moniche, e, in particu­ lare, l’infermiere, lo tenevano et l’attribuivano, questo, a miracolo e gratia particulare di Dio benedetto, per interecessione di detto beato

    1880 Stefano Oalcinardi, Calcinari o Calcinalo (secondo forme varianti che si trovano del cognome), teste comparso il 28 ag. 1595 (22). Alla nota 314 si aggiunga che questo studente bolognese, rimasto in Roma, fu prodotto anche al terzo processo, il 21 ag. 1610, e che se ne legge nel G alletti il necrologio, da libri di S. Apollinare : « 1618. 6 aug. Mag.0UB d. Stephanus Calcinarius bononien. i. u. d. advocatus. Sep ex test.0 in eccl. S. Marcelli. XCVII », cod. Vat. lat. 7876, f. 26. Il G allonio , Vita lat., pp. 242-43, aveva narrato il fatto della tentazione da lui superata, omettendone il cognome. 1881 Suor Tecla Scalmani o Sciamani, sulla quale la nota 1583. Il temporaneo miglioramento di essa forma la materia delle deposizioni 257, 258 e 259.

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    108

    27 aprile 1610. [289] Ferdinando Sermei. f. 809

    Filippo, come io anco l’attribuisco a miracolo particulare, tanto più che, confessata che fu detta sor Thecla, et communicata, e pigliata l’Estrema Untione, cominciò a pegiorare, da quattro o cinque giorni doppo, se ne morì. E questo, che ho deposto in questo mio esamino, dico e dechiaro esser tutta la verità e, come tale, la confermo con mio giuramento, a gloria di Dio et honor di questo suo buon servo. Io Yincentio Yalesio sudetto ho detto quanto di sopra si contiene, per la verità, con mio giuramento et, in fede, ho sottoscritto, di mia propria mano, questo dì et anno sudetto. Io Vincenzo suddetto manu propria.

    Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 809] DIB 27» MENSIS APRILIS 1610

    Examinatus fuit, Romae etc., in officio mei etc., per me etc., de mandato etc., ad perpetuam rei memoriam, d.nus Ferdinandus Salmei,iss2 pictor m U rie, in Banchi nuncupatus, prope ecclesiam Sanc­ torum Celsi et Iuliani, testis etc., aetatis annorum quinquaginta novem in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [289]

    Io son solito confessarme et communicarme ogni quindici giorni almanco, qui nella Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Angelo Velli, e domenica passata fu l’ultima volta mi communicai. In questa causa del beato Filippo, mi son esaminato un’altra volta, de l’anno 1597, si ben mi ricordo, e tutto quello, che all’hora io deposi, dico tutto esser la verità e, come tale, lo confermo, e adesso, perchè in quello esamine mi scordai alcuni particulari, sopra il miracolo sucesso a doi miei figli, uno Giuseppe,1 1883 e l’altro Angelo, ho voluto, a perpetua memoria, 2 8 dechiararlo ampiamente, con le sue circostantie et altri particulari, che successero a l’ hora, come, qui di sotto, dichiaro, per esserme meglio ricordato, acciò sia noto e chiaro un tal fatto, a tutti li devoti, a gloria di Dio et honor di questo buon suo servo, ho voluto confermarlo, con mio giuramento et sottoscrittione di mia mano, come si vede. Nel mese di luglio l’anno 1597, mentre io habitavo vicino alla chiesa di S. Celso in Banchi, nella casa di detta chiesa, un mio figlio, chiamato Gioseppe, il quale ogidì è vivo et, a l’hora era di età d’anni quattro (che il detto mio figlio naque il mese di settembre, l’anno 1593) et stava male di febre continua, et ci venivano doi medici. De quali, uno si chiama s.r Iacomo Agustini, et l’altro si chiamava s.r Gioseppe Venturini,1884 qual era cognato di mons. Giovanni Francesco Bordini, a l’hora vescovo di Caviglione: qual medico è morto circa tre anni sono, et era medico di S. Spirito. Et il detto s.r Iacomo, per alcuni giorni, ci venne sera et mattina ; et il s.r Gioseppe ci veniva per sua cortesia. Et il detto mio figliolo hebbe da otto giorni di febre continua ardente, con gran affanno

    1882

    Ferdinando Sermei comparve già come teste il 23 sett. 1597 (211). 1883 Sulle varie narrazioni del risanamento di Giuseppe Sermei si veda la nota 1376. 1884 Questo medico è stato già ricordato nella nota 1373.

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    27 aprile 1610. [289] Ferdinando Sermei. ff. 809-810

    109

    al core, et, nel principio del male di detto mio figlio, gli volsi dare un pezzo di liocorno, da bere, et non lo volse: et io glielo volsi dare, pen­ sando, che fosse male de vermi. Poi, aggravando tuttavia il male, il quarto giorno venne in termine, che non pigliava più niente ; et era stato doi giorni, che non volse pigliar cosa alcuna da mangiare, se non un poco di stillato ; et mi pare che, per forza, li dessimo due o tre rossi d’ovi. Et un altro terzo giorno, non li si poteva dar lo stillato, nè per forza, nè per amore; li altri doi giorni prima, quel poco che li si era dato, ce lo dessimo per forza, con un imbottatore 1885 a questo effetto. Et il detto mio figlio, ne li ultimi giorni, dava certi strilli, et faceva atti brutti con la lingua et denti, et non parlava, se non che strillava, et menava la lingua: il che era cosa insolita. Et, vedendo questo, mia moglie Gismonda 1886 (quale morì ne l’anno 1599, d’ottobre) dubitando che il putto non morisse, chiamò una vicina, che era socera di un ban­ deraro, chiamata mad.a Finitia, quale so che è viva. Et detta mia moglie mandò un mio figliolo, chiamato Cesare, al p. Agostino Manni, alla Chiesa nova, qual era confessore di detta mia moglie, per alchune reli­ quie del beato Filippo, et il mio figliolo Cesare ci andò et retornò presto, che io ero in bottega, et andò subbito dalla madre et, portato sopra dette reliquie del beato Filippo a detto infermo mio figliolo, non credo che ci corresse un quarto d’ ora, che detta mia moglie mi chiamò, dicendo : « venite a vedere vostro figliolo ». Et io andai su, et trovai il putto, che, prima, [f. 810] havevo lasciato in termine di morte, lo trovai, che stava in una cunna, apresso il letto, et si cunnava da per se stesso, coleo in quella culla. Et detta mia moglie, subito, mi recontò, che haveva posta la reliquia, che haveva portata il detto Cesare, mio figliolo, datali dal p. Agostino, sopra il core del putto Giuseppe: qual reliquia era del beato Filippo Neri. Et mi disse che, subito che lei mise quella reliquia sopra il core del putto, subito si cessò il batter di quello, et che si era riavuto, nel modo che io lo vedevo, et che si era levato da sè da letto et andato in questa culla. Et, a l’hora, per allegrezza, et tenerezza, 10 piansi et mi ingenochiai avanti un quadro del beato Filippo, fatto a olio, et lo rengratiai di questa gratia et miracolo, fatto nel detto mio figliolo. Et, da lì a poco, in mia presenza, domandò del pane et merangolo, et mangiò, et, poco dopo, vennero altri putti, et cominzorno a far festa insieme: et io restai stupito, et, dopo haver rengratiato Iddio et 11 beato Filippo, tornai in bottega, a lavorare, che era da 21 hora in circa. Che io son pittore, et havevo gran famiglia di cinque figlioli maschi et una femina, et ero, come anco sono, povero. Et, per questo, non mi potei trattener molto intorno a detto mio figliolo Gioseppe, ma, visto il gran miracolo del beato Filippo, che l’haveva guarito in un instante, che, poco prima, l’havevo lassato, come morto, nel letto, retornai a lavo­ rare in bottega. Et, la mattina seguente, viddi vestito il mio figliolo less imbottatore si dice a Roma, ancora, per imbuto; e lo registra -F il ip p o C h ia p p in i , Vocabolario romanesco; ed. postuma delle schede a cura di B runo M ig lio r in i . 2a ed., con aggiunte e postille di U lderico R olandi . Roma, Casa ed. Leonardo da Vinci, 1943, p. 158. Nella lingua, equivale a colui che imbotta, T om maseo-B e l l in i , Dizionario della lingua italiana, « ad vocem ».

    1886 Sigismonda Sermei, teste il 13 sett. 1597 (209), con Fenizia de Domino (210), successivamente nominata.

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    110

    28 aprile 1610. [290] Giovanni Battista Martelli.'f. 812

    Gioseppe, quale, la sera avanti, stava per morire ; et uscì di casa, con li altri putti, a giocare, et non ha hauto più male, da allora in qua. Et io ho tenuto et tengo, che questo sia stato miracolo del beato Filippo Neri, havendolo, così in un tratto, guarito, che era stato male otto giorni, et, tre giorni, non haveva voluto pigliar niente, se non quanto ho detto, et li detti medici l’abbandonorno, che non ci venivano, vedendo che il putto non pigliava più niente, nelli ultimi giorni, et, per questo, non credo sapessero questo miracolo. Et so di certo, che a detto mio figliolo non vi fu adoperata alcuna sorte di medicina humana, in quel tempo, che si riebbe, nè in quelli tre giorni ultimi, et guarì affatto, in un instante, della febre, qual non li tornò più, et quella che aveva cessò subito, et guarì a fatto, subito che li furno poste sopra le reliquie del beato Filippo. Quali non sapevamo, niuno di casa, che reliquie fossero, perchè, subito che Cesare, mio figliolo, le portò dalla Chiesa nova, involte in una-carta, senza aprire detta carta, furno poste da mia moglie, come, dopò, lei mi disse, sopra il core del putto, qual stava, come ho detto, per morire. Et so, che non ci furno poste sopra altre reliquie, di sorte alcuna, et non ve intervenne altro medicamento, di erbe, o di parole, o altro, se non che l’arricominandorno al beato Filippo Neri. Et a questo miracolo furno presenti mia moglie Gismonda, mad.a Finitia, Làvora mia figliola, Cesare mio figliolo, che portò la reliquia, et anco Francesco, pur mio figliolo. Et questo lo tenni all’hora, come anco lo tiengo adesso, che fosse miracolo del beato Filippo Neri ; [f. 811] et l’ho raccontato, più volte, a diverse persone, con diverse occasioni. Anzi, mi ricordo, che mi disse mia moglie, che, l’istessa sera, dopo le cose dette, dopo che io andai in botega a lavorare, vestì detto mio figliolo Gioseppe, già sano, et stette burlando, con altri putti, per casa; ma io non lo viddi vestito, se non la mattina seguente, come ho detto, perchè io andai a lavorare, et il miracolo fu circa le 21 hore.

    [Segue il racconto della guarigione dell’ altro figlio Angelo, che ripete alla lettera quanto Ferdinando Sermei ha già deposto in prece­ denza (c f. I I voi. p. 190)1. In causa scientiae dixit praedicta scire per ea quae supra deposuit de loco, tempore et contestibus ut supra. Io Ferdinando Sermei, pittore, da Orvieto, afermo quanto di sopra, con mio giuramento, per la verità, a gloria di Dio e questo suo bon servo, di mia propia mano, questo dì et anno sudetto. Io Ferdinando mano propria.

    Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 812] DIE 28» MENSIS APRILIS 1610

    Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., ad perpetuam rei memoriam, magnificus d.nus Ioannes Baptista Martelli, 1887 de Firmo, Rotae notarius, testis etc., aetatis annorum sexaginta in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [290]

    1887 Giovanni Battista Martelli comparve già come teste PII die. 1600 (247).

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    28 aprile 1610. [290] Giovanni Battista Martelli, f. 812

    111

    . Io mi confesso e communico, tutte le domeniche e feste de Fanno, alla Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Giovanni Severano e spero, con la gratia del Signore, seguitar sino alla mia morte. Io sono stato esaminato un’altra volta, in questa causa del beato Filippo, sopra la vita, actioni e miracoli del detto beato padre, dalla bona memoria del s.r Iacomo Butio, e tutto quello si contine in quello esamine, tutto dico esser la verità, et hora confermo ; e, nel presente esamine, lo repeto, agiongendovi altri particulari, concernenti Fistessa essentia, che mi è parso, con più ordine, metterlo qui di sotto ; et, in confermatione della verità, l’ho sottoscritto, con mio giuramento, di mia propria mano. Circa la cognitione del beato padre, dico : l’ho conosciuto, ma non ho hauto con lui prattica, ma ho inteso la sua sancta vita, et visto la fre­ quentia de popoli, e devotione grande verso il detto beato padre, alla capella, in honor suo dedicata, nella Chiesa nova, a man destra de l’altare magiore. Et raconterò alcuni particolari, come qui sotto, de loco e tempore, testibus et contestibus. Et prima mi ricordo : Nel principio del pontificato della santa memoria di Clemente papa Ottavo, il s.r Girolamo Cordella,1888 da Fermo, di bona memoria, medico che era di detto papa, mio paesano e cordialissimo amico, un giorno, incon­ trandomi, per Roma, incontro la porta del palazzo di San Giorgio,1889 in Parione, che, all’hora, usciva dalla porta piccola della Chiesa nova (che era suo solito, se non era impedito, tirarmi nella sua carrozza) mi chiamò e, con gran maraviglia, mi disse: [C on tin u a , da·. « “ Martelli, hoggi” » fino a « con buone parole », com e al I I volu m e p . 2 7 5 , poi rip ren d e : ] e che, replicando lui le preghiere, il padre chiuse la porta della sua camera, lo segnò, e si pose sopra il suo corpo, e fece oratione, e che lui si sentì, subito, libero dal male ; et che detto beato padre gli haveva detto : « il Signore Dio vi ha guarito, ma non dite niente a nissuno ». Et di più, il detto s.r Cordella mi disse, che haveva detto a detto infermo : « ringratiate Dio, che havete buon medico ; e, nell’altre ocasioni dell’infirmità del luogo, non occorre più chiamarmi, che non

    isse G-irolamo Cordella, ricordato più volte, in particolare nelle note 171 e 210. 1889 Nella sua deposizione al terzo processo, il 27 ag. 1610, il teste si espresse così : « Questo, in specie, mi ricordo, che, nelli primi anni di Clemente Octavo santa memoria, passando avanti il card. S. Georgio in Parione, mi vedde. il s.r Girolamo Cordella bona memoria, fisico, il quale veniva dal vicolo stretto della Chiesa Nova, e mi chiamo e fermò », etc. Si tratta, sicuramente, di resi­ denza del card. Cinzio Aldobrandini, diacono di S. Giorgio in Velabro dall’l l ott. 1593 (sul quale la nota 1356). Prima del cardinalato e qualche tempo dopo, egli continuò ad abitare nella vecchia casa degli Aldobrandini, nella via ora dei Banchi Nuovi, all’angolo di vicolo del Pavone [il tratto del vicolo è ora detto via Giovanni Giraud], O bbaan, pp. 27, 41, e nostra nota 1576; dove ebbe ospitalità, come pare, il Tasso, V irginio P r in ziv a l l i , Torquato Tasso a Roma, ricerche storiche con do­ cumenti inediti e rari. Roma, Desclée Lefebvre e c. [1895], pp. 63-69. Ma in Ponte è la casa degli Aldobrandini; in Parione e più vicino alla Chiesa Nuova questo « palazzo di San Giorgio » ricordato dal teste. Pensiamo che possa essere il palazzo Nardini (o del Governo Vecchio, ricordato nella nota 1278), che sta sulla strada allora detta appunto di Parione : la « porta piccola » della Chiesa Nuova doveva essere, al tempo della deposizione, quella che, passando dove è ora la cappella di San Carlo o Spada, sboccava sul proseguimento della via del Corallo. A l luogo stesso riporta l’altro riferimento : « ... veniva dal vicolo stretto della Chiesa Nova ».

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    112

    28 aprile 1610. [290] Giovanni Battista Martelli, ff. 812-813

    havete bisogno del medico, havendolo in casa ». Di più, il detto s.r Cor­ della mi disse, che, veduto così gran miracolo, era stato sopra, alle stanze del detto beato p. Filippo, e gli haveva raccontato tutto il fatto, et dettoli : « Padre mio, non mi chiamate più, a medicare li vostri infermi di casa, ma medicateli voi, con questa virtù, che v’ha dato il Signore » ; et che detto beato padre sorrise alquanto, mettendo la cosa in burla et dicendoli, che voleva, continuasse la cura di casa. Et, di più, il detto s.r Cordella mi disse : « Martello mio, questo è stato un gran miracolo, [f. 813] questo è un gran santo » e non mi specificò chi fosse questo tale ammalato et infermo guarito come sopra miracolosamente, se bene mi disse, che era un giovane neofito di casa Buoncompagni. Et, molto tempo doppo, ho inteso, da diversi padri di detta Congregatione dell’ Oratorio, che il sopradetto infermo, guarito dal beato Filippo mira­ colosamente, come ho detto, fu uno, il quale hora è sacerdote, e si chiamdi p. Agostino Buoncompagni. Il qual Cordella, tirato da questa santità et questo miracolo, hebbe gran fede in detto servo di Dio, sintanto che, trovandosi egli ammalato in fin di morte, quale non poteva fuggire, per una cancrena che haveva nel membro, e che non ci era altro rimedio, che avventurare la vita, o con il ferro, o con il fuoco (che così discorreva lui stesso, et li medici, quale erano, fra gli altri, Antonio Porto il s.r Ridolfo, il s.r Odoardo1890 et altri et a questo io ero quasi sempre presente) mandò a dire al beato p. Filippo, nell’orationi del quale con­ fidava, che pregasse Iddio per esso et che quel tanto, che lui li mandasse a dire, farebbe ; et che il detto beato padre li mandò a dire che haverebbe pregato volontieri per lui et mandatoli la risposta e che, doppo, il beato padre li mandò a dire che si dovesse tagliare sicuramente, che camparebbe. E, con questa speranza, constantissimamente, con l’assistenza de duoi padri della Vallicella, quali li mandò il detto p. Filippo, si fece tagliare tutto il membro rasente, del qual taglio campò ; e diceva esser campato, per 1’orationi di detto beato padre e doppo fu fatto medico di nostro signore papa Clemente 8°. E questo tengo che fusse più gran miracolo, che il primo, perchè si levò di letto senza esser tenuto, et si fece tagliare, costantissimamente, da m.s Giuliano Cecchini, con mera­ viglia et stupore di tutti i medici, sì per esser il male incancrenato, sì per esser lui vecchio. Inoltre, mi occorre di dire, che mad.a Lucretia Cotta, figliola di m.s Bernardino Cotta, un giorno, mi disse, che il beato p. Filippo era un gran santo et era suo confessore, et che, una mattina, sentendosi lei oltremodo gravata nel cuore dai demonii (perchè la detta Lucretia è ossessa da demonii) che crepava, fece chiamare il detto beato Filippo, nella Chiesa nova, che era suo confessore, et li disse la sua vessatione dei demonii, nella parte del cuore, con grandissimo dolore. Et che il detto beato padre li disse, con imperio : « allenta, da una banda, la veste », e li pose la mano sua sopra il cuore, nel logo offeso, 1890 Costui era medico del card. Michele Bonelli, e si trova nominato in Avviso del 21 giu. 1595 : « L ’altr’ hieri il Papa mentre magnava fece alla sua presenza far collegio de 4 medici sopra lo stile del medicare, et dicono che Giro­ lamo Provenzale medico di S. B.ne con li testi stessi di Galeno in mano mostrasse al Zecca medico di Mont’alto, ad Odoardo di Alessandrino, et a quello del Duca di Sessa l’abuso di tardità in non cavar sangue al principio del male... », E rmete Bossi, Roma ignorata, in Roma, XI, 1933, p. 544.

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    28 aprile 1610. [291] Tullia Animuccia. f. 814

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    e la tenne per più d’ un quarto d’hora, e lei, tuttavia, si sentiva alleviata, sin che passò quell’affanno. Et che il detto beato padre, levata la mano, pose la detta mano al naso di detta Lucretia, dicendoli : « Lucretia, senti qua », e che lei sentì una puzza grandissima di solfo, che usciva da quella mano, e tornò a casa libera da quella pena. Et, con gran ros­ sore suo, fece quell’obedientia del beato Filippo, d’allentarsi la veste in chiesa, in presenza di gente.1891 E quanto si contiene in questo esamine, tutto dico esser la verità e, come tale, da me, con mio giuramento, affir­ mata e sottoscritta di mia propria mano. In causa scientiae dixit prae­ terita scire per ea quae supra deposuit. Io Giovanni Battista Martelli da Fermo ho detto quanto sopra si contiene, per la verità, con mio iuramento, a gloria di Dio et honor di questo suo servo, di mano propria, questo dì sodetto, l’istesso Giovanni Battista Martelli manu propria.

    Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 814] DIE 28a MENSIS APRILIS 1610

    Examinata fuit, Romae, in domo solitae habitationis infrascriptae testis, prope palatium d.norum de Altemps,1892 ad perpetuam rei memoriam, d.na Tullia Animuccia, 1893 uxor q. Rafaelis Gioiti, te-

    [291]

    1891 II fatto fil narrato da Giovanni Battista Martelli anche nella sua depo­ sizione al terzo procèsso, il 27 ag. 1610, in questi termini : « So ancora, che Lucretia Cotta (la quale morse tre o quattro mesi fa) una matina, trovandomi nella Chiesa nova (che a quel hora non era fatto la cuppula) veddi ne l’altar della Visitatione, quando il detto beato Philippo fece allentare la veste a detta mad. Lucretia, la quale li stava innanzi ingenochioni, e li mese la mano sopra il core: dove stette con detta mano, per un quarto d’hora incirca e tutto questo veddi io. Poi, mad. Lucretia, tra le altre gratie riceute da detto padre, mi disse che, in quella matina, era talmente tormentata nel core dalli demonii (perchè ne haveva li milioni adosso) che non poteva respirare, e che il detto beato padre la liberò da quel affanno e vexatione del core, che non li tornò mai più, e che, poi, per otto giorni continui, al beato padre li puzzò la mano di solfo. Et, per quanto detta mad. Lucretia mi diceva, che detto beato padre l’haveva liberata dal storcimento de l’occhio et perdita della vista quasi affatto, perchè era guercia e lusca, perchè li demonii l’havevano fatta così; et io l’ho vista, prima che fusse guercia e lusca, che era una bella donna ; e poi l’ho vista cosi guercia e lusca, cioè con li occhi piccoli, storti, e rentrati ; e, dopoi, l’ho visto sana e libera. E mi disse altre cose, che si contengono in uno esamine, del quale io me ne rogai e sottoscritta di man di Lucretia e mia, che è questo che mi mostrate, e riconosco tanto la mano di Lucretia quanto la mia. Quod examen Domini [Auditores] mandaverunt inseri et alligari et est prout infra » ms. A. IV. 1 dell’Archivio della congregazione del­ l’Oratorio di Borna, f. 295. Il racconta della stessa protagonista si legge più avanti, f. 820; e si veda la nota 1910, per l’inserimento di quella sua deposizione, non ostante la data, tra quelle del terzo processo. 1892 ii palazzo costruito sulla fine del see. xv da Girolamo Riario, sede circa il 1551 dell’ambasciatore di Spagna, fu rifatto con architettura di Martino Longhi il Vecchio per il card. Marco Altemps (sul quale la nota 438), T om ei , Un elenco dei palazzi di Roma, pp. 221-22; O bbaan, p. 344 n. 1893 Tullia Animuccia comparve anche al terzo processo, il 7 sett. 1610, e si dichiarò in quell’occasione figlia di Lorenzo e di Sigismonda, fiorentini, nomi­ nando anche i fratelli Giovanni e Paolo, musici a Roma (questi ultimi, rinnovanti i nomi degli zii, non sono noti altrimenti). Tullia venne a Roma da Firenze, 8

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    28 aprile 1610. [291] Tullia Animuccia. f. 814

    stis etc., aetatis annorum quinquaginta octo in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra: Io son solita confessarne e communicarme almeno ogni mese, alla Chiesa nova ; il mio confessore è il p. Agostino Manni, et, ultimamente, mi son confessata a S. Agostino et communicata alla parrocchia, qui a Santo Pulinara,1894 questa Pasqua prossima passata. Io conobbi il beato Filippo Neri, della Congregatione dell’ Oratorio, dell’età mia di sette anni, che, la prima volta, mi ci menò mad.a Lucretia,1895 moglie di m.s Giovanni Animucci, mio zio, che era mastro di capella di S. Pietro, e tutti due erano figlioli spirituali del detto beato Filippo. Et, la sera avanti, ero venuta in Borna, in compagnia di alcune donne, che detto mio zio mi fece venire, e mi teneva in casa, come figliola, et stetti in casa loro, sino alla età di quattordici o quindici anni. E, dopò, mi mandò a Firenze, dove mi trattenni circa a un anno e mezzo in circa : et, in questo tempo, conobbi la sorella del detto beato Filippo, quale era vedova, et mi pare che si chiamasse Elisabetta,1896 era donna molto honorata et comodissima e stava in un bel casamento, et stetti, un giorno, a pranzo con lei. Tornando poi a Borna, il detto mio zio mi maritò, se bene lui desiderava, che io mi facessi monaca. Et la detta mad.a Lucretia, spesso, mi ragionava della charità, della santità, et buone opere del detto beato Filippo. Et, tra l’altre cose, mi ricordo che, più volte, mi disse, in diversi tempi et in diverse occasioni, mentre sta­ vamo raggionando insieme di detto beato padre, che, mentre che ella habitava vicino alla chiesa di S. Giovanni de Fiorentini, insieme con il suo marito (il beato padre habitava nelle stanze di S. Girolamo della Charità) gli occorse, molte volte, che, la notte, si sentiva chiamare dal beato Filippo, che si levasse a fare oratione. Et questo, perchè il beato probabilmente dopo la morte del padre, e fu accolta nella casa dello zio Giovanni, il musicista famoso. A giudicare dal cognome del marito, sposò un parente di Lucrezia Giolia, moglie di Giovanni. Altre dovettero essere le nipoti di Giovanni Animuccia, che Filippo dotò (sulle quali le note 708 e 1712) : figlie forse di Paolo Animuccia, fratello del grande musicista, e anch’egli noto compositore di mottetti e specialmente di madrigali, maestro di cappella, o piuttosto organista, a S. Giovanni in Laterano, morto in Roma nel 1563, M ichele P occianti, O. S. M., Catalogus scriptorum florentinorum

    omnis generis, quorum, et memoria extat, atque lucubrationes in literas relatae sunt ad nostra usque tempora. Florentiae, apud Philippum Iunctam, 1589, p. 143; B a in i , Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina, v. I, cit., pp. 59-60, e 70 n. 109. Due mandati di pagamento, in data 22 giu. 1556 e 1° lu. 1556, fatti dalla Compagnia della Pietà per Paolo Animuccia, come « nostro organista », sono pubblicati da E m il io R o t in i , 8. Giovanni de’ Fiorentini. Roma, Edizioni « Roma », Marietti [1957] (« Le chiese di Roma illu­ strate », n. 39), pp. 95-96 (due mandati, inoltre, per Giovanni· Animuccia, aprile 1565 e aprile 1567, in conto di musiche eseguite nella chiesa stessa, p. 96). 1894 Santa Pulinara, la Pulinara, con denominazione corrente a Roma, per S. Apollinare : antica chiesa presso piazza Navona, menzionata già dal Liber pon­ tificalis nella biografia di Adriano I, 772-795; riedificata modernamente sotto Bene­ detto XIY, che la consacrò nel 1748, H tjelsen, pp. 200-01; A rm ei .l in i -C ecchelli, pp. 421-23, 1256. 1895 Lucrezia Giolia, morta il 6 mag. 1584; sulla quale la nota 616. 1890 Elisabetta, vedova di Antonio Cioni; morta nel 1602. Si veda la nota 110, e, più avanti, al f. 834. Ella depose, nel 1596, a Firenze (Extra Orbem, XX) : cf. nota 2416.

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    28 aprile 1610. [291] Tullia Animuccia. f. 814

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    Filippo gli diceva, che si levasse la notte a tal hora a far oratione, et che, se lei non si levava, l’haveria chiamata, et così gli interveniva. E questo lei lo raccontava per miraculo, perchè, com’ho detto, il beato Filippo stava a S. Girolamo et la detta mia zia vicino a S. Giovanni di Fiorentini, che lei sentiva sensibilmente la voce del beato padre, che la chiamava per nome, dicendogli, più volte : « Lucretia, Lucretia ». Et, la mattina, quando detta Lucretia, mia zia, andava confessarsi da esso, lui gli diceva : « non mi hai sentito, questa notte, quando ti ho chia­ mata? », et lei gli rispondeva, con maraviglia, di sì. Et detta mad.a Lu­ cretia mi ha detto, che questo del chiamare gli era intervenuto più volte. Et, di più, anco, mi disse che, stando, lei, una volta, in letto con la febre, andò il beato Filippo a visitarla e gli disse, che la mattina se­ guente andasse a S. Girolamo, a ritrovarlo. Et, rispondendoli lei: « Padre, come volete che io venghi, ch’ho la febre? », gli disse il beato padre: «non dubitare, che dimatina starai bene». Et, così, la notte, si sentì chiamare dal beato Filippo, et, la mattina, si levò sana, et l’andò a ritrovare a S. Girolamo, come gli haveva detto il beato padre, il giorno avanti. Di più, la detta Lucretia, mia zia, non mi ricordo con che occasione, mi raccontò che, andandosi un giorno a confessare, secondo il suo solito, dal beato Filippo, lui gli disse : « Lucretia, non sono sodisfatto di te. Va’ là a quel Crucifisso 18971 9et fa’ oratione, che il Signore 8 t’illumini ». Et lei fece l’ obedienza, e, nel pensare ai fatti suoi, si ricordò che, avanti havesse pigliato per marito m.s Giovanni Animuccia, haveva dato parola di pigliare un altro per marito. Et ritornando dal beato padre, subito che aprì la bocca, per raccontarli quello che gli era venuto in fantasia, gli disse il beato padre : « questo era quello, perchè io dicevo, che non ero sodisfatto di te ». Et si trovò, poi, che quel huomo, al quale lei haveva promesso, haveva preso un’altra moglie, et lei, con dispensa, restò con detto m.s Giovanni. Et questo lei lo raccontava per miraculo, perchè il beato Filippo gli lo disse, senza che le ne havesse detto una minima parola ; anzi, non si pensava a quella promessa, che haveva fatta a detto huomo. Mi ricordo che, un anno dopo la morte di m.s Giovanni Animuccia, quale, se bene mi ricordo, morì dell’anno 1574 o ’75,1898 tornando, una mattina, la detta mad.a Lucretia a casa, mi raccontò, che il beato Fi­ lippo haveva fatto cantare, la mattina, una Messa, nella chiesa di S. Gio­ vanni de Fiorentini, et anco haveva fatto dire delle altre Messe basse, in detta chiesa et in altri luoghi, per l’anima di detto m.s Giovanni, suo marito ; et che il detto beato Filippo li disse, che il detto m.s Giovanni era arrivato ; et detta mia zia intese, che fosse arrivato in Paradiso ; et, di più, li disse il detto beato Filippo, che, la sera avanti, il detto m.s Gio­ vanni era aparso, visibilmente, a uno,1899 ch’andava all’oratorio, lì a S. Girolamo, e gli haveva detto, che lo raccommandasse all’oratione del p. Filippo : et, per questo, lui haveva mandato in diverse chiese, a far dire delle Messe per l’anima sua, perchè era nel Purgatorio. Et questa

    1897 Questo Crocefisso, al quale fu mandato da F. anche Giovanni Angelo Crivelli a fare orazione, f. 97, è stato ricordato nella nota 370. 1898 II 25 marzo 1571 : si veda la nota 67. 1899 Alfonso Portoghese, ricordato nella nota 1570.

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    11G

    28 aprile 1610. [291] Tullia Animuccia. ff. 814-815

    medesima apparitione me l’ha raccontata m.s Gasparo Brisio,1900 marito di mad.a Delia Boscaglia. Mi ricordo, anco, che, nel principio che io conobbi il beato Filippo, mi raccontò la detta mad.a Lucretia, mia zia, che, stando ammalato, in casa sua, un gentilhuomo milanese, chiamato il s.r Prospero Crivelli, venne in termine di morte, et era figliolo spirituale del detto beato Fi­ lippo. Il quale, andando a visitare detto s.r Prospero, se gli raccomandò, et lui diceva, che voleva andare a S. Pietro, a pregare Dio per lui, acciò non morisse ; et che guarì miraculosamente, con maraviglia del me­ dico.1901 Molti anni dopò, venendo a morte il detto m.s Giovanni Ani­ muccia, mio zio, mad.a Lucretia lo raccommandò al beato Filippo, et il beato Filippo gli rispose : « lasciamolo andare, che non ci intervengha come intervenne a m.s Prospero Crivelli, la sanità del quale la dimandai assolutamente a Christo, e lui, dopo che fu guarito, ritornò a Milano, e faceva peggio di quello haveva fatto prima ». E diceva, che lui non voleva più tornare a pregare Iddio assolutamente per la salute di nessuno. Alcuni anni sono, mi raccontò mad.a Delia Buscaglia,1902 moglie di m.s Gasparo Brissio, che, stando lei in parto, con pericolo grandissimo di morte, non potendo parturire, mandorno per il beato Filippo. Quale, essendo arrivato, fece ingenocchiare tutti e fare un poco oratione. Et il beato padre gli mise il suo cappello sopra il corpo della donna, et, di lì a un poco, lo riprese e si partì. E, subito uscito di camera il detto beato padre, mentre scendeva le schale, la detta mad.a Delia partorì: non mi ricordo se era maschio o femina, ma, per quanto, mi disse, che, nel partorire, non si sentì gravata di dolori. Mi disse bene, che era stata molte hore come morta, che non si sentiva più, ma, come ho detto, per quanto lei mi raccontò, subito partorita, restò sana e libera, come se non havesse havuto dolor di parto. E questo miraculo me lo raccontò detta mad.a Delia, e mi disse, che lo teneva per miraculo, e come tale lo reputava per gratia particulare, ricevuta da Dio benedetto e interces­ sione di detto beato padre. Ancora, mi ricordo, che mad.a Lucretia, mia zia, mi raccontò che la s.ra Anna Boromea Colonna, nora del s.r Marco Antonio Colonna, es­ sendo stata molti anni con il suo marito, senza poter far figlioli, si rac­ commandò all’ oratione del detto beato padre, perchè desiderava di haver figlioli ; et il beato padre gli disse, che non ne dubitasse, che harebbe havuti dei figlioli maschi. Et de lì a poco tempo, ne [f. 815] hebbe uno, al quale fu posto nome Marc’Antonio, ch’è stato padre del contestabile Colonna che vive hoggi,1903 e poi ne fece un altro, al quale pose nome 1900 Gaspare Brissio non parlò dell’apparizione nelle due sue deposizioni, 2 ag. (2) e 11 die. 1595 (142). Ma il fatto era assai noto nella cerehia dell’Oratorio, e al processo lo deposero Monte Zazzera, f. 615; Francesco Valentini della Molara, f. 711; e Marcello Ferro, f. 745. Tullia Animuccia, nella sua deposizione al terzo processo, 7 sett. 1610, dichiarò esplicitamente che anche Gaspare Brissio aveva veduto ΓAnimuccia. 1901 Era Alessandro Petroni, sul quale la nota 444. 1902 Prima teste al processo, il 2 ag. 1595. 1903 Marco Antonio Colonna IV, già ricordato nella nota 851 : nel 1595, anno della nascita, fu dichiarato da Filippo III gran conestabile del regno di Napoli, e mori Γ8 mag. 1611, L i t t a , « Colonna di Roma », tav. IX. Portò il nome stesso del padre, perchè probabilmente battezzato dopo la morte di questo.

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    28 aprile 1610. [292] Francesco Sermei. f. 816

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    Filippo et la detta mia zia mi diceva, che la detta s.ra Anna teneva haver havuto li detti figlioli per intercessione del detto beato Filippo. Et so che tanto detto mio zio m.s Giovanni Animuccia, quanto detta mad.a Lucretia, mi contorno molt’altre cose meravigliose, ma, al pre­ sente, non me ne ricordo ; et lì, in casa, tutti lo tenevano per santo, et sempre si raccontava qualche miraculo di lui. Et, al presente, lo tengho per santo, come sempre l’ho tenuto, et vistolo tenere, communemente, da tutti ; et di continuo mi raccommando a lui, et l’adoro come santo. Ulterius dixit: Quanto in questo esumine si contiene, dico tutto esser la verità, e, come tale, con mio giuramento, l’affermo ; et, per non saper io scrivere, in segno della verità, ho fatto il segno della croce.

    In causa scientiae dixit praedicta scire de loco tempore contestibus quibus supra. Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 816] DIB 28* MENSIS APRILIS 1610

    Examinatus fuit, Romae, in officio mei etc., per me etc., de man­ dato etc., ad perpetuam rei memoriam, d.nus Franciscus Sermei,190* filius d.ni Ferdinandi Sermei pictoris, testis, etatis annorum viginti in circa, qui, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [292]

    Io son solito confessarmi et communicarme, almeno ogni mese, in S, Giovanni [de] Fiorentini. Il mio confessore è il padre Stella.1 1905 Que­ 4 0 9 sta Pasqua è l’ ultima volta mi son confessato e communicato, e spero, con la gratia del Signore, continuar, sino alla mia morte, et, anco, di fre­ quentar più spesso. Non ho conosciuto il beato Filippo, ma ho bene inteso la sanctità del beato Filippo, et visto molti miracoli et voti, attaccati, alla Chiesa nova, nella capella, dedicata a honor di detto beato padre, a man destra de l’altar maggiore, dove si vede, anco, la frequentia e devotione grande del popolo alla detta capella. Et, oltre alle cose udite, ne posso racontar una gratia e un miracolo, successo nella persona di uno mio fratello, chiamato Giuseppe, quale hoggi vive, che me ne ricordo benissimo, et fu, certo, un bellissimo miracolo, et il miracolo fu questo, che hora dirò, cioè che:

    [Il racconto della guarigione di Giuseppe Sermei, fatto dal fratello Francesco, non ha altri particolari speciali, rispetto ai racconti paral­ leli di Ferdinàndo, di Sigismonda, di Laura e di Fenizia de Domino, che quelli contenuti nel passo seguente:] Et io andai alla Chiesa nova, in compagnia di Cesere, mio fratello ;

    1904 Francesco Sermei, figlio del teste Ferdinando, pittore (211 e 289) e della teste Sigismonda (209), fratello di Laura, teste successiva. Comparve anche nel terzo processo, il 18 ag. 1610, dichiarando il cognome, finora non conosciuto della madre : Anseimi. Dopo l’interrogatorio, nel processo stesso, fu nuovamente inserita la presente deposizione del 28 apr. .1610. 1905 Non sappiamo se possa identificarsi con un Giovanni Battista Stella, prete romano, eletto il 13 nov. 1619 vescovo di Bitonto : morì il 15 die. 1621, in parrocchia di S. Nicola degli Incoronati, e fu sepolto in S. Lucia del Gonfalone, secondo il necrologio, che lo dice « tantorum meritorum », cod. Vat. lat. 7900, f. 79.

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    28 aprile 1610. [293] Laura Sermei. f. 818

    118

    et, mentre detto Cesere, mio fratello, andò a parlare al p. Agostino, io stavo aspettando, alla porta, con una paura grande, che il detto p. Ago­ stino non li desse le reliquie del beato Filippo, che noi aspettavamo. Di lì un poco, venne giù il mio fratello Oesere, con una carta involta, qual mi disse, allora, che glie la haveva data il p. Agostino, et che gli haveva detto, che erano reliquie del beato Filippo. Et, subbito hauta detta carta, ci mettessimo a caminare presto verso casa, et, arrivati, subito mia madre si fece a capo della scala, domandando, con istanza, se Cesere, mio fratello, haveva auto alcuna reliquia. Et, havendoli mio fratello detto, che ne haveva haute, delle reliquie del beato Filippo, in una carta, dal p. Agostino, poi li diede in mano a mia madre, quale viddi, che, subbito, senza guardar che ci fosse dentro, et andò, con quella, dal detto putto infermo, mio fratello. ... E come ho detto, l’havemo tenuto, tutti di casa, questo, per miracolo e gratia particulare, riceuta da Dio benedetto, per intercessione di detto beato padre ; e, come tale, lo confermo, con mio giuramento, per verità, a gloria di Dio et honor di questo suo buon servo. Io Francesco Sermei ho deposto quanto di sopra si contiene, per la verità, con mio giuramento, a gloria di Dio et honor di questo suo servo, mano propria, questo dì et anno sudetto. Io Francesco Sermei manu propria.

    Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 818] DIE 28* MENSIS APRILIS 1610

    Examinata fuit, Romae, in domo solitae habitationis infrascriptae testis, prope ecclesiam Sanctorum Celsi et Juliani in Banchi, ad futuram rei memoriam, d.na Laura Sermei, 1906 filia d.ni Ferdinandi Sermei et q. Sigismundae, coniugum, Civitatis Plebis, uxor olim q. Attilii Pelegrini,1907 pictoris, testis etc., etatis annorum triginta in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra:

    [293]

    Son solita confessarmi e communicarmi, tre volte la settimana, qui in S. Celso.1908 Il mio confessore è l’arciprete di detta chiesa. Non ho conosciuto il beato p. Filippo Neri, fiorentino, della Chiesa nova, ma ho bene visto la devotione e frequentia del popolo, nella cappella, dedicata in honor suo, a man destra de l’altar maggiore di detta chiesa, et l’ho inteso nominar per un santo e vero servo di Dio, et ho visto molti voti, per gratie riceute da Dio benedetto per intercessione di detto beato padre, come si vede, publicamente attaccati alla detta capella, et inteso, anco, che, di continuo, fa miracoli, che, tra li altri, ne posso dire e racontare doi, che sono soccessi in casa mia, in persona di doi miei

    1906 Laura Sermei, sorella del teste precedente; comparve anche nel terzo processo, il 18 ag. 1610, e in esso, dopo l’interrogatorio, venne nuovamente inserita la presente deposizione del 28 apr. 1610. La seconda volta, si dichiarò «nata a Civita della Pieve et allevata in Orvieto », e disse di vivere « della mia dote et fatica di mio padre et fratelli ». 1907 Attilio Pellegrini, pittore, è nome che non risulta dai repertori. 1908 g Celso in Banchi, chiesa parrocchiale già ricordata nella nota 1036.

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    28 aprile 1610. [293] Laura Sermei. f. 818

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    fratelli, uno chiamato Giuseppe e l’altro Angelo, tutti doi vivi. Del qual miracolo essendosene esaminato mio padre e mia madre, non credevo fusse necessario fusse anco io esaminata e però non sono stata esami­ nata ; vedendo esser necessario il mio esamine, ho voluto a gloria di Dio et honor di questo suo buon servo, farlo noto e racontarlo, a esempio de buoni, a perpetua memoria. Il qual miracolo, come di sopra, successo alli detti miei fratelli, dirò nel modo successe, et fu in questo modo, come seguita cioè, che: Nell’anno 1597, vicino la festa di s. Maria Maddalena, un mio fra­ tello, chiamato Gioseppe, quale hora è vivo et era, all’hora, d’età di quattro anni et stette male più d’otto giorni, di febre continua, et venne a tale, che, per tre giorni, non prese niente da mangiare, se non un poco di stillato, per forza, che mia madre gli lo diede con uno imbottitore, et, nell’ ultimo giorno, non pigliò niente, nè meno con l’ imbottitore, che teneva li denti serrati. Et lo tenevamo, tutti di casa, per morto, et io vedevo mia madre, che piangeva et s’affligeva assai, per la morte di detto suo figliolo. Et mi ricordo, che mio padre si era partito et andato a lavorare in bottega, che era et è pittore, et mia madre, vedendosi sola, mandò uno di casa a chiamare mad.a Finitia, socera d’ un banderaro, incontro a casa nostra, et piangeva, dicendo : « pregala che venghi, perchè non mi voglio trovar sola, quando more il mio Gioseppe ». Et subbito venne detta mad.a Finitia, e, vedendo che il mio fratello moriva, che stava con gli ochi serrati, et faceva li gesti di uno che more, cercava di consolare mia madre, ma lei tuttavia piangeva. In questo, si ricordorno del beato Filippo della Chiesa nova, del quale mia madre n’era devota assai et n’haveva ricevuto un altro miracolo, poco tempo prima, in un altro mio fratello, chiamato Angelo, quale all’hora era piccolo in fascia. Et, per questo, mandò Cesare, mio fratello, alla Chiesa nova, a pregare il p. Agostino Manni, suo confessore, che gli volesse mandare qualche reliquia del beato Filippo. Et il detto Cesare tornò presto, et, sentendolo mia madre, viddi che gli andò in contro, in capo alle scale, et gli disse: « l’hai havute? » et il detto Cesare disse: « madonna sì ». Et viddi, che gli diede una carta involta, et mia madre, senza guardare quello che v’era dentro, viddi, che prese in mano quella carta, et si voltò, con le braccia aperte, ad un quadro del beato Filippo, fatto ad olio, che era in quella camera, et disse, piangendo, che io la sentii : « o benedetto padre, le vostre orationi sole mi possono impetrar la vita al mio figliolo; o benedetto padre, fatemi la gratia ». Et poi viddi, che s’accostò al detto Gioseppe, che stava, come ho detto, per morire, et gli pose quella benedetta reliquia dalla banda del cuore, et non stette così dui o tre « Credi », che sentii, che mia madre chiamò quella mad.a Fini­ tia et gli disse : « venite a sentire, che il cuore del mio Gioseffo s’è quie­ tato ». Et, subito, il detto Gioseffo aprì li occhi, che li haveva tenuti serrati tutto il giorno, cominciò a parlare bene, che, in quelli tre giorni, non haveva mai parlato, et si voltò, guardando mia madre, et, in quelli tre giorni, era stato alla supina, con le mani serrate, come un morto, et domandò da magnare, dicendo : « mia madre, datemi del pane et del melangolo ». Vedendo questo gran miracolo, mia madre, subbito, chiamò mio padre, dicendo : « missere, venite su, a vedere vostro fi­ gliolo ». Et, in tanto, detto Gioseffo si levò, da se stesso, dal letto, et

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    28 aprile 1610. [293] Laura Sermei. ff. 818-819

    si pose in una cuna, et si ninnava da per esso ; et, quando arrivò missere, trovò che il detto Gioseffo stava nella cuna. Et, vedendo questo gran miracolo, tutti dui piangevano d’allegrezza, et s’inginocchiorno, a ringratiare detto beato Filippo, et tutti gridavano : « miracolo, mira­ colo », ancora quella mad.a Finitia ; et, subito, diedero, a detto Gioseffo, del pane et del melangolo, come haveva dimandato, et io viddi che lo mangiò benissimo, et tutti stavano maravigliati. Et, intanto, vennero delli altri putti, et cominciorno a burlare insieme, et mio padre tornò in bottega. Et, doppo, mia madre, l’istessa sera, vestì il detto Gioseffo ; et stette, così vestito, senza male alcuno, tutta la sera. Et questo mira­ colo fu doppo pranzo, verso la sera. Et so, che il detto Gioseffo, il giorno sequente, uscì di casa, et non hebbe più male alcuno et guarì affatto, tre « Credi » dopo che gli furono poste, da mia madre, sopra il core, le reli­ quie del beato Filippo. Et so, che, d’all’hora [f. 819] in qua, non è stato mai più male ; et so che, all’hora, non gli fu posto sopra altra reliquia, se non le dette, nè meno gli fu fatta alcuna sorte de medicina, nè con herbe, nè con olio, nè con parole. Anzi, il medico, quale mi ricordo che era m.s Iacomo da Fano,1909 non vi veniva più, che l’ haveva abandonato per morto. Et il miracolo fu subito. Doppo il miracolo, mi ricordo, che mia madre, con gran devotione, piangendo, aprì quella carta, et vi trovò dentro una pezzetta di tela, un poco imbrattata, quale seppe, doppo, dal detto p. Agostino, che era una pezza, che era servita per li rottorii del beato Filippo. Et questo miracolo l’havemo raccontato, tutti di casa, a moltissime persone, moltissime volte, et con diverse occasioni ; et, quando fu questo miracolo, noi habitavamo in Banchi, in una casa attaccata alla chiesa di S. Celso. Nel medesimo anno, pochi mesi prima che fosse questo miracolo detto, mi ricordo che Angelo, mio fratello, quale hoggi è vivo et all’hora era in fascia, et era stato otto giorni senza orinare. Et mia madre, ogni volta che lo sfasciava, mi chiamava et piangeva, dicendo : « poveraccia me, questa creatura non ha urinato niente » ; come diceva : « vedi, Laura, che il putto non ha orinato niente », et io vedevo li sciugatori asciutti. Et ogni volta che lo sfasciava, mi chiamava et piangeva, con diversi lamenti, et io vedevo sempre li sciugatori asciutti. Un giorno, in capo a detto tempo, mandò il detto mio fratello, nominato nell’altro miracolo, chiamato Cesare, a casa di una sua amica, chiamata mad.a Lavinia (quale era moglie d’ un medico portughese, quale stava et sta vicino alla Chiesa nova), a pregarla, che li volesse mandare un poco di reliquie del beato Filippo, che più volte detta mad.a Lavinia haveva detto a mia madre, che lei n’haveva: et quando vi mandò, era la matina. Et mi ricordo, che mia madre tenne il detto putto sfasciato, sin che tornò Cesare, mio fratello, con le reliquie del beato Filippo, che non mi ricordo in che cosa erano involte. Et quando mia madre sentì, il detto Cesare che veniva, l’andò incontro, a capo alle scale, et gli dimandò, se l’haveva havute. Et, dicendo lui di sì, viddi, che mia madre pigliò quelle reliquie, con grande devotione, et si voltò a pregare il beato Filippo, ma non mi ricordo le parole giuste che disse, senonchè viddi, che mia, madre haveva, in braccio, il putto sfasciato et le reliquie in mano, et s’inviò, 1909 Giacomo Agostini, sul quale le note 1747 e 1836.

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    29 aprile 1610. [294] Lucrezia Cotta, f. 820

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    così, verso il foco, per porsi a sedere. Et, a pena arrivata et messasi a sedere, gridò : « Giesù, miracolo, miracolo : son tutta bagnata », et mi mostrò il suo sinale et il fasciatore tutto bagnato. Et so, che il detto putto seguitò sempre a orinare bene et, dall’ora in qua, so, che mai più non ha patito di detta infermità d’orinare, et so, che non gli furno poste sopra altre reliquie, se non quelle, che ho detto, del beato Filippo. Il miracolo fu subito, et non furono adoprate altre medicine, nè d’herbe, nè di parole, nè untioni, nè altra cosa, in quel tempo del miracolo.

    Interrogata dixit prcdicta scire per ea quae supra deposuit et ulte­ rius dixit: Io, quanto ho detto in questo esamine, dico tutto esser la verità, e, come tale, con mio giuramento lo confermo, a gloria di Dio benedetto et honor di questo suo servo ; et perchè non so scrivere, ho fatto il segno della Croce, in segno della verità.

    Petrus Mazziottus notarius.

    [f. 820] DIE VENERIS 29* MENSIS APRILIS 1610

    Examinata fuit, 1910 Romae, in domo infrascriptae testis, regio­ nis Transtiòerim, in viculo nuncupato il Bologna,1911 d.na Lucretia

    [294]

    nuo Questa deposizione si presenta singolare anche per la sua collocazione. L ’originale, un fascicolo di 6 fogli, che incomincia « Due anni in circa prima che il beato Philippo Neri » e termina « ... Sacre Rotae notariis testibus. Petrus Mazziottus notarius », porta, al sommo del primo foglio la data : « Die veneris 25* septembris 1609 ». Ma, non ostante la data stessa, la deposizione originale si trova nel codice del processo da noi chiamato terzo (che pur si aperse il 19 lu­ glio 1610), ms. A. IV, 1 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, ft. 296-301; come inserita e allegata alla deposizione di Giovanni Battista Martelli, del 27 ag, 1610, che sta ai ff. 293v- 302 del manoscritto stesso ora citato. La depo­ sizione della Cotta manca invece nel codice del processo da noi chiamato primo, che per questa parte è il ms. A. III. 44 dell’Archivio della congregazione del­ l’Oratorio di Roma, contenente le deposizioni originali, firmate dai testimoni. Nè sapremmo dire le ragioni di tale omissione. Il fascicolo originale sopra descritto porta, nel margine superiore e nel mar­ gine sinistro del primo foglio, di mano del notaio Pietro Mazziotti, l’aggiunta che segue, con la nuova data : « Die 29* mensis aprilis 1610. In causa canonizationis beati Philippi Nerii, Florentini, Congregationis Oratorii de Urbe fundatoris, exa­ minata fuit Romae » etc. fino a « prout in dieto examine », come in questa nostra edizione. Sotto la data ultima e con raggiunta trascritta, la deposizione della Cotta confluì e si legge nel ms. C. I. 1 dell’Archivio della congregazione dell’Ora­ torio di Roma, con questa altra dichiarazione del notaio : « Originale infrascripti examinis Lucretiae Cottae fuit productum et inscriptum in processu examinum, fabricato a me, Petro Mazziotto, coram rev.dis patribus dominis Francisci Penia Rotae decano, Horatio Lancellotto et Dionisio Simone de Marquemont a sanctis­ simo domino nostro papa Paulo V, in hac causa canonizationis servi Dei Philippi specialiter deputatis iudicialibus commissaris, sub fol. 293. Ita est Petrus Maz­ ziottus notarius ». 1911 II vicolo del Bologna esiste ancora in Trastevere; prese il nome da certo « Alessandro detto Bologna, falegname », rammentato anche nei rendiconti delle spese per la « fabbrica d’Aracoeli », 1Ί1 giu. 1544, P. R omano [P ietro F ornahi] , Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, cit., p. 82.

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    29 aprile 1610. [294] Lucrezia Cotta, f. 820

    Gottaj1912 filia q. A.ni Bernardini C ottae1913 et Constantiae Cha­ rae, 1914 coniugum, testis, aetatis annorum quadraginta septem in circa, quae, medio iuramento, tactis etc., dixit ut infra: Mentre son stata sana, io mi solevo confessare e communicare ogni giorno, ma doppo sono in lecto, così malata, che sono circa sei mesi, serà da sette o otto volte, che mi son confessata e communicata. Il mio con­ fessore è il p. Vincenzo di s. Francesco,1915 scalzo. Ho conosciuto il beato Filippo Neri, e lui è stato mio padre spirituale, quale l’ho tenuto per un santo huomo e vero servo di Dio, e ho inteso dire, che ha fatto di molti miracoli, tanto in vita sua, come doppo la sua morte. E, in par­ ticulare, ne so alcuni, successi nella mia persona, quali li ho fatto scri­ vere, e, in segno della verità, l’ho sottoscritto, di mia propria mano.

    1912 Lucrezia Cotta, nominata già da parecchi testi al processo, fu moglie dello speziale Achille Marcelli, che dovette sposare circa il 1585, a quanto è da lei dichiarato nello strano racconto del suo affatturamento. Morì poco dopo la presente deposizione, « tre o quattro mesi » avanti il 27 ag. 1610 (si veda la nota 1891). Il teste notaio Giovanni Battista Martelli, che dà la notizia, aggiunge: « So che Lucrezia Cotta è morta perchè so che è stata sepolta nel monasterio novo delle Scalze Carmelitane [S. Lorenzo « in Ianuculo », dal 1610 nominato S. Egidio in Trastevere], per haverlo inteso dire dalli Padri Scalzi della Schala, e so che il suo corpo fu combattuto dove doveva esser seppellito », ms. 'A. IV. 1 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, f. 302. 1913 I Cotta furono antica e illustre famiglia milanese, diramata anche in Lombardia, sulla riviera di Genova e in più altri luoghi d’Italia; dalla quale uscirono parecchi eminenti personaggi, in particolare giureconsulti, C alvi , Famiglie notabili milanesi, v. II, cit., « Cotta », tav. I-IV. Pare assai probabile l’origine lombarda anche di questi Cotta romani. Bernardino è detto giudice criminale (si veda la nota 1923) e morì qualche tempo avanti il 18 sett. 1587, nel quale la vedova comparve al processo che si aperse subito dopo la morte di fra’ Felice da Cantalice, cod. Vat. lat. 5460, pp. 182-189. Il santo cappuccino, amico di F., frequentava la casa dei Cotta, che abitarono prima « in quella casa presso sant’Andrea » e poi presso Corte Savella, dal tempo del matrimonio di Bernardino. I particolari risul­ tano dalla deposizione citata della vedova, da quella fatta nel giorno stesso dal figlio Annibaie, pp. 189-192; e da altre, tra il 19 settembre e il 14 ottobre 1587, fatte da un antico servitore, un’antica serva, una conoscente e un’altra serva di casa, pp. 192-201. 1914 Costanza «Chara de Cottis » dovette sposare Bernardino circa o poco dopo il 1560. Nella deposizione citata alla nota precedente dichiarò che lei, il marito, i figli erano stati risanati per l’orazione di fra Felice, cod. Vat. lat. 5460; f. 77, pp. 182-189; e lei in particolare, da infermità mortale e da dolori dopo il parto, f. 5 e pp. 190, 195, 197, 198, 200, 202. Si trova il suo necrologio, trascritto nel G alletti da libri di S. Lorenzo in Damaso : « 1591. 15 luglio f La moglie del s.r Bernardino Cotta della par. di S. Catarina della Rota. XXX », cod. Vat. lat. 7873, f. 32. 1915 Vincenzo di s. Francesco, Juan de Gambart, nato a Valencia nel 1574, emise la professione nel convento di S. Maria della Scala in Roma, il 25 apr. 1599 ; partì da Roma il 6 lu. 1604, mandato dal papa ambasciatore e missionario in Persia, con i confratelli Paolo Simone di Gesù Maria e Giovanni Taddeo di s. Eliseo (sul viaggio e altre successive peregrinazioni, [H. C h ic k ] , A chronicle

    o f the Carmelites in Persia and the Papal mission o f the XV 11th and XVIIIth centuries, vol. II. London, Eyre & Spottiswoode, 1939, pp. 920-34, 970-73, 1022-26, e passim). L ’insigne missionario fu ancora in Roma nel 1610 e ritornò un’altra volta a Ispahan l’anno successivo. Morì il 9 ott. 1623, priore del convento di Palermo, A mbrosius a s . T eresia, O. C. D., Nomenclator missionariorum ordinis Carmelilarum discalceatorum. Reimpressum iuxta Analecta ord. Carni, disc. Romae, apud Curiam generalitiam, 1944, pp. 257-58.

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    29 aprile 1610. [294] Lucrezia Cotta, f. 820

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    E quanto in questo quinterno si contiene, tutto, dico, è la verità e, come tale, al presente la confermo, con mio giuramento, a gloria di Dio benedetto et di questo suo buon servo. I n causa scien tiae d ix it praedicta sc ir e , de loco tem p o re et c o n testib u s, p ro u t in d icto exam in e.

    Dui anni, in circa, prima che il beato Filippo Neri, fundatore della Congregatione dell’Oratorio, morisse, m’occorse un miracolo evidente. Et è, che io havevo patito, per otto anni prima, in circa, de travagli di demonii, per una fattura che m’era stata fatta, doppo che io ero stata dui anni e mezo con mio marito, quale si chiamava Achille Marcelli,1916 spetiale alla Chiavica di Santa Lucia (quale morì nel 1599, alli 26 di settembre, et fu sepolto in S. Crisogono,1917 qui in Trastevere) et havevo havuto, con lui, all’hora, dui figlioli ; un maschio et una femina. Et, che quella fusse fattura, si scoprì, che, più di un anno doppo, io vomitai detta fattura, nella chiesa dello Spirito Santo de Napolitani, in strada Giulia, in presenza di quattro cappuccini,1918 de quali non so il nome (se non d’uno, che si chiama fra Mattheo cercante,1919 quale è barba rossa et grasso) et del s.r Nicolò della Genga,1920 et altri, che non ri­ cordo. Et, avanti che io vomitassi detta fattura, il p. Angelo Pontelusio,1921 di Barletta, quale allora era rettore in detta chiesa dello Spirito Santo (quale è morto, diciotto anni sono in circa, et fu sepolto alla chiesa del Giesù) e detto p. Angelo mi tenne nelle sue mani, per scon­ giurarmi et liberarmi da detta vessatione di demonii, per spatio di sei anni in circa, ma il Signore non volse, che mi liberasse. Solo, in detto

    1916 Di costui era parente la teste suor Orsola Marcelli, già comparsa al processo il 25 sett. 1609 (273) : abitava nella casa stessa, in Trastevere, e fu presente anche lei alla liberazione di Lucrezia, compiuta da F. alla Chiesa Nuova, f. 642. La vita familiare dei Marcelli doveva essere, come si può immaginare, contrastata. La madre di Lucrezia, Costanza, raccontò al processo di fra Felice da Cantalice come venne indotta a perdonare, nel 1587, al genero Achille, al padre di lui Grandonio e alla madre Alessandra, cod. Vat. lat. 5460, pp. 184, 186. 1917 Titolo antichissimo in Trastevere, già comparente tra le sottoscrizioni dei concili romani del 499 e del 595, H u elsen , p. 238 ; A r m e l l in i -C ecch elij , pp. 847-50, 1281-82; M aurice M esnard, La basilique de Saint-Chrysogone à Rome. Città del Vaticano, 1935 (« Studi di antichità cristiana pubblicati per cura del P. Istituto di archeologia cristiana », IX) ; K r a u ib eim e r , Corpus basilicarum Christianarum Romae, v. I, cìt., pp. 144-64. 1918 uno era fra Felice da Cantalice, stranamente omesso nel racconto. Ciò depose la madre di Lucrezia, Costanza Cari, al processo per lui : « ... et qui in questa sacrestia [della chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, dove si riceveva la deposizione] se ci trovò presente fra Felice quando mia figlia vomitò la fattura, et ms. Angelo [il rettore della chiesa] lo potrà dire, et fra Felice gli Iigava il collo col suo cordone, et diceva : esci fuora maledetto » cod. Vat. lat. 5460, p. 187. 1919 Matteo della Posta, originario di Posta, in diocesi e provincia ora di Eieti, comparve nel terzo processo, il 31 ag. 1610- Questo laico cappuccino, cerca­ tore del convento di Eoma, fu per due volte guarito da Felice da Cantalice, che abitava nello stesso convento, M attia da S alò , O. F. M. Cap., Vita, in Acta sanctorum. Maii tomus IV. Antverpiae, apud Michaelem Cnobarum, 1685, p. 230. 1920 d ì costui, che doveva essere imparentato coi Della Genga già incontrati e nominati ancora più sotto, si trova il necrologio nel G alle t t i , da libri di S. Lorenzo in Lucina : « 1597. 30 7bre f II conte Nicolò della Genga nel palazzo di Aragona. LXXXV », cod. Vat. lat. 7873, f. 111. 192* Come abile a esorcizzare, nomina «m .s Angelo, che officia in questa chiesa dello Spirito Santo » la madre di Lucrezia, Costanza Cari, nella sua depo­ sizione al processo per fra Felice da Cantalice, cod. Vat. lat. 5460, p. 186.

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    29 aprile 1610. [294] Lucrezia Cotta, f. 820

    tempo, io vomitai, in presenza delli sopradetti, una mela, grossa più di un ovo, rossa, grinza ; et, doppo la detta mela, un gran malloppo di capelli ; et un osso, longo quando un deto, fasciato di capelli, fra quali erano tramesse alcune spille rintorte ; et, doppo questo, vomitai un bocale di sangue et marcia mescolate : et questo lo gettai in un catino di terra bianca. Et, quando io vomitai queste cose, io non mi confessavo, nè andavo dal beato Filippo, ma ci andai molt’anni doppo, et andai a confessarmi dal beato Filippo, con occasione, che si partì il mio con­ fessore, quale era il p. Anibaie Samanio, da Terni, all’hora parochiano di S. Cecilia a Monte Giordano. Et, come ho detto, quando io andai a confessarmi dal beato Filippo, havevo patito di detta vessatione di demonii da sette overo otto anni ; et il detto p. Anibaie, moltissime volte, haveva cercato diversi agiuti spirituali, per agiutarmi et liberarmi. Et quella donna, che m’haveva fatto la fattura, fu messa al Santo Offltio, et so che è morta, dui anni sono in circa, et so che confessò tutto il fatto, cioè : quando, in che luogo, con che occasione, in che cosa, et per quanto tempo haveva fatta detta fattura. Et questo lo seppi dal giudice, che essaminò detta donna, quale si chiamava Girolamo Burco 1922 (quale è morto alcuni anni sono) et questa fu cosa publica et notoria, et se ne potriano essaminare moltissime persone. Detta fattura, se bene io la vomitai, con tutto ciò, vi restorno li demonii, quali mi travagliavano, principalmente nelli occhi et nel cuore : talmente, che mi fecero storcere gli occhi, et rimettere la luce verso il naso, et mi fecero perdere quasi affatto la vista, e, quando volevo vedere un poco, bisognava che io ser­ rassi un occhio ; et al cuore mi dava tanta gran pena, travaglio et affanno, che, molte volte, venni a tal termine, che li sacerdoti, che mi vedevano, mi volevano far dare l’ Oglio Santo, pensando che mi morisse, et mi sentivo talmente strappare il cuore, che, molte volte, si mettevano due persone sopra il mio petto, per tenermi ferma et non possevano, et re­ stavo come morta. Et non possevo mangiare, et, per questi gran pati­ menti, io m’ero consumata talmente, che non mi reggevo in piedi, e bisognava, che fuss’agiutata a caminare.1923 Doppo li detti otto anni in

    1922 Nei « Liber parocMalis » di S. Maria in Vallicella, f. 126 v, si legge la nota necrologiea : « Die ult.° decembris 1614 D.s Hieronymus Burghus mediolanensis, legis doctor annor cire. 75 ... ». Se l’asserzione di Lucrezia è esatta, che 11 giudice di questo nome era già morto, l’omonimo del « Liber parochialis » doveva essere suo parente. 1923 Nel racconto dei suoi travagli, Lucrezia omette interamente quanto era accaduto alla morte di fra Felice da Cantalice, successa il 18 mag. 1587. In uno dei tre giorni che il corpo era rimasto sopra terra, esposto nella chiesa del con­ vento, era stata condotta dalla madre e « portata dentro al cancello sopra il corpo » : emise grandi strida e cadde tramortita, poi, alzatasi, andò a inginoc­ chiarsi dinanzi al Sacramento, dichiarandosi liberata. Tra la folla, era presente anche l’ambasciatrice di Spagna, contessa de Olivares, che la ricondusse a casa in cocchio. Questi e altri particolari si ricavano da varie deposizioni fatte al processo, aperto a brevissima distanza per il santo laico cappuccino, nel più volte citato cod. Vat. lat. 5460: quelle del primo teste, fra Marco « de Castro S. Angeli », diocesi di Tivoli, il 10 giu. 1587, f. 5 v ; del laico fra Alessandro Mazzoleni, 12 giugno, f. 13 ; e di altri, tra cui, meglio informato « de visu », fra Pietro da Bergamo, ff. 48-49. Ma, il 18 settembre, la madre di Lucrezia, Costanza Cari, nella sua narrazione del fatto, pp. 185-187, depose che la liberazione della figliola non era stata completa, per via dell’esorcizzatore non valente.

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    29 aprile 1610. [294] Lucrezia Cotta, f. 820

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    circa, come ho detto, che io ero stata in così gran tormenti, mi comin­ ciai a confessare dal beato Filippo. Il quale, havendo compassione alli miei gran tormenti, et, in particolare, delli occhi e del cuore, mi disse, che venisse da lui il tal giorno, determinandomi la giornata. Et mi disse che, se lui non era in chiesa, lo facesse chiamare dal p. Antonio Gallonio,*1924 come feci, et detto beato padre venne giù in chiesa subito : et questo fu in venerdì. Et, essendo il detto beato Filippo sotto la cuppola della chiesa di S. Maria della Vallicella, dove era ancor io, mi disse: « tu sei quella madonna Filambert » 1925 et mi diede un schiaffo, et io non risposi cosa alcuna. Poi mi disse : « slacciati la veste dalla banda del cuore, et va là alla cappella della Visitatione della Madonna », dove il detto padre confessava, et io feci l’obedienza. Dove arrivando detto beato Filippo, si pose a sedere in una sedia e mi comandò, che m’ingi­ nocchiasse vicino a lui, et, havendo io, per obedienza sua, sciolta la veste vicino al cuore, pose il detto beato padre una delle sue mani sopra il mio cuore, et l’altra mano sua se la pose sopra li suoi occhi, et così si pose in oratione. Et, mentre teneva il detto beato padre la sua mano ferma sopra il mio cuore, io sentivo polsegiare la sua palma della mano, che mi parevano tanti colpi di martelli, et erano frequenti frequenti, et lui tremava con tutta la persona. Et stette, così, in oratione, per spatio di meza hora ; et io, in quella meza hora, stavo in ginocchione, ferma, et non sentivo nè affanno, nè doglia, ma mi pareva d’essere come fuori di me. Passata che fu la detta meza hora, arrivò la s.ra Giulia marchesa Rangona (quale è morta molti anni sono et è sepolta lì alla Chiesa nova) et la moglie del conte Prospero della Genga 1926 (quale è morta) et, all’hora, le dette signore dissero al beato Filippo (che io l’intesi, che non

    Del fatto si trova memoria anche in un raro stampato : Vita \ et morte \ di F. Felice \ Capuccino. \Morto in Roma sotto Monte \ Cavallo, alli 18. di Maggio, \ l’Anno 1587. j| Stampato in Orvieto. Con licenza de’ Su- | periori. M.D.LXXXVIII. 4 ff.non num., 16,5x12 cm., Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma. C. I. 39. L ’innominato autore che andò a vedere il corpo subito dopo la morte riferisce : « Dicesi bavere mostrato duoi segni, liberato una indemoniata, & uno infermo. Nòdimeno di quella che è la figlia di Berardino Cotta già Giudice Crimi­ nale, per anco non si accerta la sanità, & di questa no hò udito còfermatione. Ma ieri in cocchio di Mósignore Reverendissimo S. Vitale, intesi che sopra ciò fosse fatta congregatione, dalla quale verisimilmente si sarà dato ordine di ricer­ care verità di questi segni. Da un padre Capuccino di venerando aspetto, che. fu presente quando la spiritata fu condotta al corpo, intesi come quivi fece gran­ dissime dimostrationi, mandàdo fuori la lingua gonfiata con i stridi al Cielo, e che posta la mano del morto da un frate sopra la lingua di lei ella cadesse tramortita, e desse segno di liberatione, per la quale s’era F. Felice più volte adoprato », pp. [4]-[5]. 1924 II quale narrò il fatto, Vita ital., p. 210, omettendo il nome della donna liberata. 1925 Non sappiamo determinare l’origine nè il senso preciso dell’espressione usata da F. Pensiamo che possa essere tratta da qualche filastrocca popolare e infantile, o da qualche canzone in voga, o da qualche romanzo o poema roman­ zesco; e che sia piuttosto romana che fiorentina. Ma non la registrano P. R omano [P ietro F ornari] e E rmanno P onti , Modi di dire popolari romani. Roma, A . R . S., Anonima romana stampa [1944] ; nè A ntonio M ünoz , Rota romanesca, IV. Nomi simbolici e modi di dire derivati da nomi di persone immaginarie, ne L’ Urbe, XII, n. 4, luglio-agosto 1949, pp. 30-38. 1920 Andriana di Montevecchio, ricordata con il marito nella nota 834.

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    29 aprile 1610. [294] Lucrezia Cotta, f. 820

    ero ancor partita) : « 0 , padre, che puzza è questa? », et il beato padre rispose : « io ho cacciato un demonio, che tormentava il cuore di costei ». Et io viddi, che il beato Filippo si levò su da sedere, et andò verso la sacrestia, et disse, lì, a tutti noi, che voleva andare a lavarsi quella mano, perchè ancor lui sentiva quella puzza. Et, doppo alquanto tempo, tornò, che tutte tre l’aspettavamo, et la puzza era puzza horribi­ lissima, peggio di solfo, et io non sapria a che puzza assomigliarla, et mi pareva una puzza infernale. Et intesi, allora, che, se bene il beato Filippo si lavò, all’hora, quella mano, et, anco, moltissime volte doppo, con tutto ciò, gli restò quella puzza, per spatio d’otto giorni in circa ; et, in me, la sentii per molte settimane. Et la verità è, che io, da quel giorno, che il beato Philippo mi pose la sua mano al cuore, fino al giorno d’hoggi, non ho mai più sentito, nè affanno, nè travaglio, nè quel strap­ pacuore, nè altra indispositione circa il cuore. Et questo fu miracolo evidentissimo del beato Filippo, perchè mi cessò in un tratto. Et n’havevo patito per spatio d’otto anni, come ho detto, et c’erano stati fatti tutti li scongiuri et remedii naturali et sopranaturali, et non c’era mai giovato cosa alcuna. E, quando andai dal beato Filippo, avanti mi po­ nesse la sua mano al mio cuore, stavo peggio che mai, et, posta la mano, come ho detto, restai subito libera dal male detto del cuore, et mai più n’ho patito. Io non fui, nel tempo che mi liberò dal male del cuore, liberata, dal beato Filippo, dal male delli occhi, et dalla vessatione, che mi davano li demonii circa detti occhi: che m’havevano, come ho detto di sopra, fatto perdere quasi a fatto la vista, et m’havevano fatto storcere tutti dui li occhi, et fatto rimettere la luce di detti miei occhi verso il naso, con grandissima mia pena, dolore et travaglio, et ero stata così molti mesi, che non mi ricordo il tempo preciso. Mi disse, un giorno, il detto beato Filippo : « non dubitare, Lucretia, che ti voglio liberare ancora, da questo gran male, che tu hai nelli occhi ». Et io havevo tanta fede in detto beato padre, che tenevo per fermo, che m’havessi da impetrarmi questa gratia dal Signore : massime, che, pochi giorni prima, m’haveva impetrata l’altra gratia, che ho detto, del cuore. Et, andando io, una mattina, secondo il mio solito, a confessarmi da detto beato Filippo (che, almeno, mi confessavo tre volte la settimana) essendo io inginocchione avanti esso beato padre, stese lui, in un tratto, tutte due le sue mani et le pose sopra tutti dui li miei occhi, facendo oratione, tremando tutto, secondo il suo solito, et, doppo haver tenuto le sue mani sopra li miei occhi circa un quarto d’hora, le levò ; et io restai, come se fussi restata in una stanza all’oscuro, et mi pareva essere cieca affatto, et non vedevo cosa alcuna ; et, all’hora, cominciai a gridare e dire al detto beato Philippo : « Hoimè, padre, voi m’havete accecata affatto », et il beato padre sentii, che sorrise un poco, et mi disse : « non dubitare, non dubitare, che non sarai cieca ». Et io stetti così, circa un’hora, senza vedervi niente, che mi pareva essere in una stanza, all’oscuro, nè mi partii, per quell’hora, di vicino al detto beato Filippo. Passato che fu il detto spatio di tempo d’ un’hora in circa, che non vi vedevo niente, mi sentii, in un tratto, come mi si levass’ un velo delli occhi, et comin­ ciai a vedere benissimo, gli occhi ritornorno al suo luogo : et, da quel tempo in poi, fino al giorno d’hoggi, sempre ho veduto benissimo, et mai

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    29 aprile 1610. [295] Olimpia di Simone pisano, f. 820

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    più ho patito male alcuno alli occhi. Et questo lo tenni, all’hora, come ho tenuto sempre, et tengo, che sia stato miracolo del beato Filippo, perchè havevo patito molti mesi, che non mi ricordo il tempo preciso, di simil vessatione di demonii negli occhi, et erano tutti dui sguerci, et la luce rientrata verso il naso. Et v’erano stati fatti moltissimi remedii naturali et agiuti d’orationi et scongiuri di molti servi di Dio, et niente m’era giovato ; e, doppo che il beato Filippo pose le sue sante mani sopra li miei occhi, come ho detto, passato un’hora in circa, mi ritornò la vista, et gli occhi ritornorno al suo luogo, come sono, per gratia del Signore, hoggidì, che sono d’età di quarantasei anni incirca et vi vedo benissimo, et lavoro, sopra la cambraia, senza occhiali. Alcuni giorni doppo che io hebbi ricevute le gratie, che io ho rac­ contate, del cuore et delli occhi, dal beato Philippo, m’occorse che, andandomi io a confessare da lui, secondo il mio solito, avanti che mi cominciassi a confessare, il detto beato padre mi guardò fissa in viso, poi mi disse: « che cosa hai fatto? tu sei mutata, da quello che eri l’altro giorno ; che cosa hai fatto? » Et io, vedendomi scoperta, mi mara­ vigliai assai, et gli dissi et confessai tutto il fatto, come era andato in collera et havevo gridato con una donna in casa. Et questo il beato Phi­ lippo me lo disse, subito che gli andai avanti, et inanzi che mi comin­ ciassi a confessare. Io Lucretia Cotta, per la verità, affermo quanto di sopra, etiam medio iuramento, prestato in mano del ifrascritto notaro presenti li frascritti testimonii questo dì sopradetto. Supradicta d ie, ego Ioa n n es B a p tista M a rtellu s. civis d rm a n u s. S a ­ crae R o ta e n ota riu s, in archivo R om a n ae Curiae d escrip tu s, fidem facio su pradicta quinque fo lia , p o st eoru ndem lecturam fu isse su bscripta d.nae L u cretia e C o tta e , in lecto iacen tis e t asseru isse etiam m edio iu ra m en to, tactis e t c ., om nia in dictis fo lü s con ten ta esse vera. A c tu m R o m a e in m on asterio n u p er in c e p to ,19271 8 situ m in R eg ion e T ran stibe2 9 r im , p ro p e ecclesiam S . M a ria e, p raesen tibu s ibidem d .n is L uca R em erio et C h rispoldo A b b a tto Sacrae R o ta e n otariis testibu s. P e tr u s M a zziottu s n otariu s. [Î. 820] DIB 29» MENSIS APRILIS 1610

    [295]

    E xa m in a ta fu it, in C am po F lo r a e , in dom o in fra scrip ta e te stis, ad perpetu a m rei m em oria , d.n a O lim p ia ,1929 S im on is P isa n i et B drtolom ea e, con iu g u m , pisana, u x o r Caesaris de C elia n o, aetatis an­ n oru m trigin ta octo in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    1927 Alcune pie donne dirette dal carmelitano Pietro della Madre di Dio (ricordato sopra, nella nota 1848) si riunirono il 7 gemi. 1601 in una casa presso la chiesetta di S. Lorenzo « in laniculo » ; il 29 lu. 1610 furono qui vestite le prime monache e apposta la clausura. Chiesa e monastero s’intitolarono di S. Egidio in Trastevere, Cenni storici sui conventi dei PP. Carmelitani scalei della provincia romana, cit., pp. 381-84. Come già detto nella nota 1912, Lucrezia Cotta vi fu sepolta. 1928 Olimpia, figlia di Simone, pisano, e moglie del giupponaro Cesare da Celano, depose anche nel terzo processo, il 6 sett. 1610.

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    29 aprile 1610. [295] Olimpia di Simone pisano, f. 820

    Io son solita confessarme e communicarme, almeno ogni mese, nella mia parrochia di S. Lorenzo in Damaso ; il mio confessore è il p. Ada(ma)ntio, capellano del Santissimo Sacramento,1929 in detta chiesa ; e, se piace al Signore, spero continuare e frequentar più spesso anco, sino alla morte. Io non ho conosciuto il beato Filippo Neri, ma ho bene inteso, che era una persona santa, et che ha fatto molti miracoli, et io ne posso raccontar uno, fatto da esso beato Filippo, dopo la sua morte, in persona di mad.a Drusilla,1930 moglie di m.s Antonio Fantino,1931 regattiero, che possono essere da quattordici anni in circa. Et fu che, habitando io, a quel tempo, insieme, in una istessa casa,1932 con detta mad.a Drusilla et altre gente, perchè in quella casa ci sta più famiglie, un giorno, detta mad.a Drusilla, stendendo certi panni nel mignano della loggia della detta casa, cadde giù nel cortile, che è alto da tre canne, et il cortile era di mattoni fatti in cortello. Et io sentì la voce d’un garzone di bottega, chiamato Lorenzo Savoiano,1933 che gridava : « correte, correte, che madonna Drusilla sta nel cortile, morta ». Alla quale voce, subito io corsi da basso et trovai la detta mad.a Drusilla distesa in terra, come morta, con il viso sopra la chiavica del detto cortile, tutta fracassata et piena di sangue, che haveva la testa rotta tutta, et la bocca spaccata, et una mano squarciata, con un occhio tutto in fora. Et, così, quelli di casa la portorno di peso, come morta, su in camera, dove io, con mad.a Anastasia,1934 mia commare, la spogliassimo et la mettessimo nel letto, che era come morta, che non gli batteva il polso, et era tutta fredda, che pigliassimo il scaldaletto, et non facevamo altro, che scaldarla, et non la potevamo mai scaldare, tanto era aggiacciata. Et io, et quelli di casa, et altri, che la viddero così mal condotta et fracassata, tutti tenevamo, che quella notte senza dubbio morisse, et che non la potesse campare. Et andando io, un giorno, in camera sua, a vedere come stava, mi disse detta mad.a Drusilla : « Dio tei perdoni, ch’adesso stavo in una gran consolatione », et mi raccontò come ragionava con il beato Filippo, quale gli era apparso, et che gli haveva preso di testa un fazoletto, et messoglilo, a poco a poco, alla gola, et poi tiratolo su, pieno di sangue, et che l’havevà guarita, et che, all’hora all’hora, s’era partito, dalla banda del mignano, dove lei era cascata. Et io viddi, che detta mad.a Drusilla stava assai bene, che parlava bene, che, per prima,

    1929 La Compagnia del Santìssimo Sacramento fondata nel 1501 nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso ottenne dal capitolo l’altare primo a sinistra dall’entrata principale, e promosse il culto eucaristico, mantenendo un cappellano, F antjcci, Trattato di tutte Vopere pie dell’alma città di Roma, cit., pp. 232-40; F onseca, De basilica S. Laurentii in Damaso, cit., pp. 208-15. 1930 Drusilla di Segni, comparsa al processo il 26 ott. 1595 (109), narrò in persona propria il fatto della caduta, accaduto alcune settimane avanti. Lo ripe­ terono poi parecchi testi, inclusi questi dell’aprile 1610 (295, 296, 297). Drusilla ricomparve nel terzo processo, il 27 ag. 1610. 1931 Antonio Fantini comparve già al processo il 12 agosto (9), il 17 ottobre (89) e il 7 novembre 1595 (116). Fu inoltre teste nel terzo processo, il 21 ag. 1610. 1932 La casa era in Campo de Fiori; vi abitava anche il teste Antonio Franchi, barbiere, e ne dà più ragguagli la deposizione successiva. 1933 II savoiardo Lorenzo Rouil, già comparso come teste il 27 nov. 1595 (132). 1934 Anastasia de Primis, prossima teste (297).

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    29 aprile 1610. [296] Guglielmo Gastaldi, f. 821

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    sempre stette come stordita, et haveva l’occhio al suo luogo, et la bocca guarita. Et io ne restai assai maravigliata, et io tengo, che sia stato un gran miracolo, perchè tutti tenevamo per certo, che non campasse da quella gran cascata, tanto era fracassata, pesta et mal condotta. Et mi ricordo, anco, che detta mad.a Drusilla haveva gonfio un ginocchio, come una pagnotta, et maestro Antonio,19351 6 barbiere, una sera ce lo 3 9 voleva tagliare, et lei non volse, che ci lo tagliasse quella sera, ma che s’aspettasse sino alla mattina. Et, venuto, la mattina, detto maestro Antonio, barbiere, per dare il taglio, trovò il ginocchio guarito, et restò maravigliato, dicendo, che era un gran miracolo et che, naturalmente, non poteva guarire, se non per miracolo. Et all’hora, detta mad.a Dru­ silla disse, che, quella notte, s’era raccomandata al beato Filippo, et che li era apparso di novo, et che l ’haveva guarita del ginocchio. Et, de lì a pochi giorni, si levò dal letto, sana e salva, sicome adesso si ritrova, con gran maraviglia mia et di tutti quelli, che l’hanno vista così fracas­ sata et mal condotta, come ho detto di sopra. Io ho visto tenere, publicamente, da tutti per santo, il detto beato Filippo Neri, sicome io lo tengo per santo, et a lui mi raccomando, come santo. E questo è quanto mi ricordo, in questo particulare ; e dico, che, quanto ho detto e deposto ili questo essamine, tutto essere la verità ; e come tale lo confermo con mio giuramento, e, per non saper scrivere, ho fatto il segno della croce. I n causa scien tiae d ixit praedicta scire p e r ea quae supra d eposu it. P e tr u s M a zziottu s n otarius.

    [f. 821] DIB 29* MENSIS APRILIS 1610

    [296]

    E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in Cam po F lo r a e , in dom o in frascripti te s tis , ad perpetu a m rei m em oria m , m a gister Q uillelm us Gastald u s ,193t ia n u en sis, h arM ton sor in Cam po F lo ra e, testis e t c ., etatis annorum trigin ta triu m in circa, qui, m edio iu ra m en to, tactis e tc ., d ix it u t in fr a :

    Ogni quindici giorni, almeno, mi reconcilio, et, una volta e dui il mese, mi communico, in S. Lorenzo in Damaso. Il mio confessore è il p. Domenico Ceciliano, confessore in detta chiesa. Io non ho conosciuto il beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova, ma l’ho bene inteso nominare per un sancto e vero servo di Dio, et ho letto la vita sua, che mi ha fatto piangere più di un par di volte. Inoltre, ho vista la gran devotione del popolo e fre­ quentia nella capella, ad honor di detto beato edificata nella detta Chiesa nova, a man destra de l ’altar maggiore, et visto molti miracoli, voti attaccati per gratie riceute da Dio benedetto a intercessione di detto

    1935 xi già ricordato Antonio Franchi, che comparve il 17 ottobre (90) e il 27 novembre 1595 (133). Era già morto quando Antonio Fantini comparve al terzo processo, il 21 ag. 1610. 1936 Guglielmo Gastaldi comparve anche nel terzo processo, il 31 ag. 1610;· e si dichiarò, nell’occasione, di Cesana, diocesi di Albenga.

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    29 aprile 1610. [296] Guglielmo Gastaldi, f. 821

    beato padre, li quali stanno attaccati pubicamente avanti la detta capella che tutti lo possono vedere e pubicamente è tenuto per un sancto e vero servo di Dio. Et io, tra li altri miracoli, che ho sentito dire, fatti dal detto beato, ne posso racontar uno bellissimo, che è questo, che hora dirò, che successe vicino a questa casa contigua, dove habito, et fu questo cioè: Ohe, quatordeci anni sono, io stavo, per lavorante, nella bottega di maestro Antonio de Franchis, barbiere in Campo di Fiore, in mezzo alla piazza, incontro alla fontana,1937 in una casa delle monache di S. Cosmato in Trastevere : 1938 quale maestro Antonio è morto, dieci o undici anni sono in circa, et è sepolto in S. Lorenzo in Damaso ; e, dopo la morte di detto maestro Antonio, io restai a lavorare, in detta bottega, per alcuni anni ; et questo s. Giovanni 1939 ha finito sett’anni, ch’io presi moglie, quale si chiama Domenica Riccia, parmesiana et a l’hora aprii bottega di barberia, nella casa attaccata a quella di maestro Antonio sopradetto e la casa è della Natione spagnola.1940 E mi ricordo che, quattordici anni sono in circa (che non mi ricordo precisamente il mese, et il giorno) mentre io lavoravo nella bottega del detto maestro Antonio de Franchis, sentii dire, lì in bottega, e mi pare che fosse un certo Lorenzo Savoiano et altri ancora, che dicevano, che mad.a Drusilla da Segni, moglie di m.s Antonio Fantini, regattiere lì in Campo di Fiore (quali stavano nella medesima casa di maestro Antonio, et ancora hoggidì vi stanno, e sono vivi)1941 era cascata, da una loggia, nel cortile, che sta dietro la bottega di detta casa, e che stava per morire, E io a l’hora, non andai a vederla, per non lasciar la bottega, perchè v’ era andato il padrone maestro Antonio, Lorenzo, et un altro garzone chia­ mato Domenico Ottolini,1942 et altri. E, dopò alquanto di tempo, io uscii di bottega, e andai nel detto cortile, e viddi, lì in terra, una gran quantità di sangue et la detta mad.a Drusilla non v’ era più, che l’havevano portata su di sopra, come morta. Nè meno c’era più una cariola, quali dicevano, a l’hora, ch’era caduta detta cariola, dietro alla detta mad.a Drusilla e s’era spezzata in più pezzi ; et il cortile, dove era caduta detta mad.a Drusilla, era matonato di mattoni in cortello ; e la loggia, di dove cadè, era alta tre canne in circa. Dalla quale, mi disse, dopò, detta mad-.a Drusilla, ch’era caduta nel detto cortile, mentre voleva stendere alcuni panni di bucata. La mattina seguente, 1937 Opera di Giacomo della Porta, fu collocata nel centro della piazza di Campo de Fiori, verso 11 1590, se non qualche anno prima; il 1° ott. 1581 già si concedevano once d’acqua « dal condotto della fontana ». Nel 1622 la forma origi­ nale fu alterata e si sovrappose alla vasca un coperchio. Rimossa nel 1899 per l’erezione del monumento a Giordano Bruno, venne nel 1924 trasportata nella piazza della Chiesa Nuova, C esare D ’ O nofrio, Le fontane di Roma, con documenti e disegni inediti. Roma, Staderini, [1957], pp. 57-60. 1938 xi monastero di S. Cosimato è stato già ricordato nella nota 1146. 1939 La Natività di s. Giovanni Battista, 24 giugno, probabilmente. 1910 La « natione » era costituita in Roma dai residenti originari dei diversi stati, che si riunivano generalmente in confraternite e per esercitare opere pie. Sulle fondazioni spagnole in Roma, si veda J usto F ernandez A lonso , Las iglesias nacionales de Espaûa en Roma. Sus origenes, in Anthologica annua, Publicaciones del Instituto espaiiol de estudios eclesiastìcos, 4, 1956, pp. 9-96. 1941 Antonio Fantini morì il 14 nov. 1615; e Drusilla, il 18 apr. 1616. Si vedano le note 135 e 877, rispettivamente. 1942 Comparso già come teste, il 6 die. 1596 (137).

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    29 aprile 1610. [296] Guglielmo Gastaldi, ff. 821-822

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    dopò che la detta mad.a Drusilla era caduta, io andai a visitarla, e la trovai, che stava molto mal condotta. Et havevo sentito dire, il giorno avanti, dal mio padrone maestro Antonio, e da Lorenzo, e Domenico, miei compagni, che l’havevano trovata in terra, come morta, che gli usciva gran quantità di sangue dalla bocca, se li menavano quasi tutt’i denti, haveva un labro spaccato, et il naso rotto, la testa infratta, et era tutta pesta. E, pochi giorni dopò, sentii dire, dal detto maestro Antonio, mio padrone, che alla detta Drusilla se gli era gonfio [f. 822] un ginochio, grosso come una pagnotta, e ch’era restato d’accordo di tagliarlo, la mattina ; e poi sentii dire, dal detto maestro Antonio, che lui non lo tagliò, perchè, la mattina, haveva trovato il ginochio sgonfio et guarito affatto, e che lo teneva per miracolo. E la detta mad.a .Dru­ silla mi raccontò il fatto, con dirmi, che, la medesima notte, che, la mattina, dovea esser tagliata nel ginochio, gli era apparso il beato Filippo, fundatore della congregatione dell’ Oratorio, e l’havea guarita. Mi disse ancora, a l’hora, la detta mad.a Drusilla (et anco me l’ha detto, dopò, altre volte) che, avanti che il beato Filippo la guarisse del ginochio, gli era apparso un’altra volta, mentre che lei non dormiva, e gli havea posto un fazzoletto in bocca, e l’havea cavato fuori, pieno di sangue, e così l’havea liberata, in un instante, dalle altre infirmità, ch’io ho detto. Et io, quando visitai, la mattina, detta mad.a Drusilla, la viddi, nel letto, come ho detto, molto mal condotta, ma non mi curai di vedere le sue ferite et altri mali, perchè l’havevo intese dire, il giorno avanti, dal mio padrone et altri, che le havevano vedute; et, di più, mi dissero, che havea un squarcio nella mano. E, pochi giorni dopò (che non mi ricordo, se fossero otto o dieci giorni) io viddi detta mad.a Drusilla sana, fuori di letto, senza alcuna ferita : anzi, a pena si conoscevano li segni. E, più volte, ha detto a diverse persone, et anco a me, che gli era apparso, più volte, il beato Filippo, visibilmente, mentre lei non dormiva, e l’havea liberata miracolosamente. E questo fatto è stato tenuto, da tutti quelli, che viddero la detta Drusilla nelli termini detti di sopra, per miracolo del beato Filippo, et così ho tenuto e tengo io. E questo, non solo perchè li detti meglioramenti e sanità furono in instante, ma anco perchè il detto maestro Antonio non vi fece medicamenti, se non d’alcune untioni, nè diede punti alle ferite, perchè, (come disse, a l’hora, più volte, et io anco Fintesi dire da lui e da altri) la tenevano per morta: et, hora, anco è viva, come credo, miracolosamente. I n causa scien tia e, d ixit praedicta scire, de loco tem p ore et contestid u s u t supra.

    Inoltre, dico, quanto in questo esamine si contiene, tutto dico, che è la verità, e, come tale, la confermo, con mio giuramento, et, in fede l’ho sottoscritto di mia propria mano, a gloria di Dio benedetto et honor di questo suo buon servo. Io Guglielmo Gastaldo dico et afermo quanto di sopra si contiene essere la verità et come tale la confermo, com mio giuramento, di mia propia mano, questo dì et anno sodetto. Io Guglielmo Gastaldo mano propia. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

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    29 aprile 1610. [297] Anastasia delli Primi, f. 823

    132

    [f. 823] DIB 29» MENSIS APRILIS 161«

    [297]

    E xa m in a ta fu it, R o m a e, in C am po F lo r e , in dom o in frascriptae te s tis , ad p erpetu a m rei m em oria m , d .n a A n a sta sia de P r im is ,194·3 m ed iola n en sis, vidua relieta q. P au li etiam mediolamensis, aetatis annorum quadraginta in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Mi soglio confessare e communicare, ogni domenica, nella mia parrochia di S. Lorenzo in Damaso ; il mio confessore è il p. Octavio, prete e confessore in detta chiesa ; e, se a Dio piacerà, ho animo continuare sino alla mia morte, et, più presto, frequentar più spesso. Io son venuta a Poma, con Paolo mio marito, nella sedia vacante di papa Gregorio Decimoquarto, di casa Sfondrato, del mese d’ottobre ; 1 1944 3 4 9 et, dall’hora, io et il marito mio cominciassimo a conoscere il beato Filippo Neri, che stava alla Chiesa nova, dal quale detto mio marito et io ci semo confessati, vicino tre anni, per insino che morse detto beato Filippo ; et io et il detto mio marito lo tenevamo per persona di santa vita. Io ho inteso dire, che ha fatti molti miracoli, et io ne so uno, che detto beato Filippo, doppo la sua morte, ha operato in persona di mad.a Drusilla, moglie di m.s Antonio Fantino, regattiero. La quale Drusilla, stando, quattordici anni sono circa, sopra il mignano della loggia della casa, dove tutti habitamo insieme, a stendere li panni, cadette dalla detta loggia, quale è alta da tre canne, giù nel cortile, che è fatto di mattoni in cortello, dove la trovò, come morta, distesa in terra, un lavorante della bottega, che si chiamava Lorenzo Savoiano. Et detto Lorenzo, subbito che la vidde, cominciò a gridare : « correte, che madonna Drusilla sta nel cortile, morta », et, così, tutti quelli, che erano in casa, corsero. Et io, andandovi, trovai, che la portavano su di peso, come morta ; et, arrivata di sopra, io e la mia commare mad.a Olimpia la spogliassimo et la mettessimo in letto, per morta, che non gli batteva il polso, et era tutta fracassata, pesta, et piena di sangue, et haveva la testa tutta rotta, et la bocca tutta squarciata, et la mano manca spaccata, et un occhio tutto in fora, et era tanto mal condotta, che tutti credevamo fosse morta. Et, doppo che l’avessimo messa nel letto, io pigliai il foco nello scaldaletto, et m’affaticavo di scaldarla, et non la potevo scaldare, tanto era agghiacciata : che stetti con lei sino alle 4 hore di notte, nella quale hora mio marito mi chiamò. Et, così, la lasciai quasi morta, che teneva per certo, che, quella notte, morisse ; si come, anco, tutti l’altri di casa la tenevano per morta, et per impossi­ bile, che potesse campare, tanto era mal condotta e fracassata. Et, una mattina, andando io a vedere detta mad.a Drusilla, lei, subbito che mi vidde, mi disse: « madonna Anastasia, sono guarita, che il beato Fi­ lippo m’ha guarito ». Et mi raccontò, come il detto beato Filippo gli era apparso, et che gli haveva preso un fazzoletto, che teneva in testa,

    1943 Anastasia (detta anche Pimpa, f. 262) delli Primi, o de Primis, fu teste anche del terzo processo, il 31 ag. 1610, dichiarandosi sarta. 1944 Gregorio XIV morì il 16 ottobre 1591; il successore, Innocenzo IX, fu eletto il 29 ottobre e incoronato il 3 novembre dell’anno stesso.

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    30 aprile 1610. [298] Prospero Conti, f. 824

    133

    et che gliel’havea messo alla gola, a poco a poco, et che poi l’haveva tirato su, pieno di sangue, et che detto beato padre se n’era andato via, poi, dalla parte del mignano, di dove era caduta detta mad.a Drusilla, et che così l ’haveva guarita. Et io, all’hora, risposi a detta mad.a Dru­ silla, dicendo: « sia benedetto Dio ». Et la viddi megliorata assai assai, et tengo che sia stato un gran miracolo, perchè tutti di casa tenevamo di certo, che di quella gran cascata non campasse. Di più, dopoi, viddi, ch’haveva un ginocchio gonfiato, che era grosso come una pagnotta ; et il barbiero, che era maestro Antonio barbiero, ce lo voleva tagliare, una sera, et lei lo pregò, che aspettasse sino alla mattina seguente ; et, venendo, la mattina, il detto maestro Antonio barbiero, per tagliare detto ginocchio, lo trovò sgonfiato, che non c’era più male, et detto barbiere restò maravigliato et stupito ; et mad.a Drusilla li disse, come il beato Filippo, quella notte, gli era apparso et gli haveva guarito il detto ginocchio, et il detto barbiero disse, che era un gran miracolo, che, naturalmente, non poteva guarire. Di poi che fu guarita dal ginoc­ chio, de lì a quattro o cinque giorni, mi disse detta mad.a Drusilla, che gli era apparso, la terza volta, il beato Filippo, et che li havea stropic­ ciata tutta la vita, et, la mattina seguente si levò di letto, sana e salva, come sta hoggidì et io tengo, che questo guarimento sia stato cosa mira­ colosa et miracolo del detto beato Filippo, al quale detta mad.a Dru­ silla si raccomandava con tutto il cuore ; si come l’hanno tenuto et tengono tutti quelli, che l’hanno veduta così cascata et quasi morta, come ho detto di sopra. Io sempre ho tenuto il detto beato Filippo Neri della Chiesa nova, tanto in vita, come doppo morte, per santo, et vistolo tenere, publicamente, da quelli che lo conoscevano. Et io, sempre, del continuo, mi sono raccomandata al detto beato Filippo, et gli raccomando li miei figlioli, che mi li facci buoni. Dico, anco, che, quanto si contiene in questo esamine, tutto esser la verità, e come tale, con mio giuramento, l’affermo, e, per non saper scrivere, farò il segno della Croce, in segno di verità. I n causa scientiae d ixit praedicta scire p er ea quae supra d eposu it. P e tr u s M a z z io ttu s notarius.

    [f. 824] DIE 30* MENSIS APRILIS 1610

    [298]

    E xa m in a tu s fu it, R o m e , in officio m ei e t c ., de m andato e t c ., ad p erp etu a m rei m em oria m , r e v .d u s d .n u s P r o sp e r de C o m itib u s , 1945 p r e sb ite r , rom a n u s, te stis e t c ., a eta tis annorum vig in ti n ovem in circa , q u i, m edio iu ra m en to , ta ctis e t c ., d ix it, u t in fr a :

    Io son solito celebrare Messa, quasi ogni matina ; ordinariamente la dico alla Vallicella, e, questa matina, ho celebrato in detta chiesa, nella 1945 prospero Conti, figlio della teste Elena Mazza (312) e fratello dell’altro teste Giovanni Battista (285). Comparve anche nel terzo processo, il 19 sett. 1611. Si legge nel G alletti il suo necrologio, da libri di S. Maria in Vallicella : « 1639. 22 aug. f R. d. Prosper de Comitibus annor. 52 par. S. Marie de Rotunda. V i l i ». cod. Vat. lat. 7879, f. 103.

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    134

    30 aprile 1610. [298] Prospero Conti, ff. 824-825

    capella del beato Filippo a man destra dell’altar maggiore. Io non ho conosciuto il beato padre mentre viveva, ma ho bene inteso, che è stato un gran servo di Dio et che ha fatto de molti miracoli, come anco si vede, publicamente, voti di gratie riceute da Dio benedetto, per inter­ cessione di detto beato padre. Inoltre, si vede la devotione grande, e la frequentia de popoli, nella detta cappella, che si racomandano al detto beato padre ; et, per quello si vede, è adorato per sancto, e, come tale, honorato e riverito publicamente. Et io, in particolare, lo reputo e lo riverisco come tale ; et, oltre li miracoli, che ho inteso, et gratie ricevute da particulari, come anco si vede in detta capella li voti attaccati, ne posso testificare di uno certo, che è miracolo grande, successo nella persona di mio fratello, chiamato Giovanni Battista, in una sua infir­ mité gravissima, che era ridotto a termine, abbandonato da medici. [A l racconto fa tto n e da G iovanni B a ttista C on ti [f. 285], il fra tello aggiunge che la erisipela « era tanto maligna et cattiva, che arrecava spa­ vento a chi la vedeva, et più volte li stessi medici affermorno (quali erano il s.r Angelo da Bagnarea et s.r Merollo Merolli) che non havevano visto mai cosa simile, poiché haveva reso quel corpo mostruoso, et era tanto adolorato, che non si poteva movere, nè toccare. Il quarto giorno della sua infirmité, il detto Giovanni Battista cominciò a freneticare, a tremar con le mani et tutta la persona ... ». D ic e , p u r e , ch e, dopo aver ricevu to il via tico , G iovanni B a ttista « così passò otto o dieci giorni, con con­ tinuo delirio, desperato quasi da medici, li quali mi dicevano Pundecimo, o quartodecimo, o quintodecimo giorno esser pericolosissimo il suo tran­ sito, et che, delle quattro parti di buono della sua sanité, ve ne erano svanite tre. Venendo, poi, Pundecimo et duodecimo della sua infirmité, il lunedì, che fu primo giorno di marzo e decimoterzo della sua infir­ mité, io fui a chiamare il rev.do p. Pompeo Pateri della Chiesa nova, quale era padre spirituale de l’infermo, et lo pregai, che venisse [f. 825] a darle l’ ultima benedittione, che gié mi pareva, che volesse incominciare ad agonizzare. Et incontrandomi, per le scale della Vallicella, con il rev.do p. Prometeo, li dissi, che Giovanni Battista se ne voleva andare in Paradiso ». P ro sp ero dice che il p . F ran cesco Zazzara diede la reliquia a G iovanni B a ttista , « con dire alcune orationi, quali 10 non sentii » ; che i m edici « concessero il vino » all’ am m alato, la sera del decim oquarto g io rn o, « Et seguitò, poi, il detto s.r Angelo visitarlo, sino al 16° giorno, et l’altro, cioè il s.r Merollo, si licentiò il venerdì o sabbato : non usando, dal detto giorno in poi, niun’altra sorte de medi­ camenti, se non il suo ordinario, nel mangiare, et mi disse il detto mio fratello, che si sentiva sì vigoroso, che si sarebbe potuto levare di letto, 11 decimosettimo giorno, ma, a preghiere mie et di mia madre, non si levò, se non la domenica »]. Et il detto Giovanni Battista, mio fratello, non mi disse cosa alcuna, nè a me, nè a mia madre, nè ad altri, ch’io sappia, della visione, che lui hebbe del beato Filippo, nella notte del 13° giorno della sua infermité, se non quando fu levato di letto, doppo molti giorni, dicen­ domi, che, la notte del 13° giorno della sua infirmité, mentre lui dormiva, gli apparve il beato Filippo, et gli disse: « non dubitare, figliolo, che, per questa volta, non saré niente », et che lo vedde, con un volto risplen­ dente, et lo benedisse, et che, per questo, la matina, si trovò sano. Et,

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    30 aprile 1610. [299] Fenizia de Domino, f. 827

    135

    di questa visione, non ne seppi, all’hora, cosa alcuna, et non so se non « de auditu », da detto mio fratello. Et tutte le altre cose, dette di sopra, le so di certa scientia. Et so, che il detto mio fratello ha portato, alla cappella del detto beato Filippo, nella chiesa di S. Maria in Vallicella, un quadro dipinto ad olio, con il miraculo, et con Piscrittione del mi­ raculo. Et quanto si contiene in questo mio essamine, tutto dico esser la verità, e, come tale, con mio giuramento, raffermo, et, in segno del vero, la sottoscriverò anco di mia propria mano. I n causa scien tiae d ix it praedicta scire de loco tem p ore e t con testibus de quibus supra.

    Io Prospero Conti, romano, affermo quanto di sopra si contiene, per la verità, con mio giuramento, tutto a gloria di Dio et honor di questo suo buon servo, questo dì et anno suddetti. Io Prospero suddetto mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otariu s.

    [f. 827] DIE 30* MENSIS APBILIS 1610

    [299]

    E xa m in a ta f u it , in dom o solitae habitationis in frascriptae te s tis , in via F lo rid a , 1946 R eg ion is 8 . A n g e li, ad perpetu a m rei m em oria m , d.n a F in itia de D o m in o , 1947 relieta q. A le x ii Z e lii, rom ana, te stis, a etatis annorum septuagin ta in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta ctis, d ix it u t in fr a :

    Son solita confessarme e communicarme ogni domenica et anco le feste, a gloria di Dio. Il mio confessore è il p. d. Vincenzo 1948 in S. An­

    1946 La determinazione di questa via Florida nel rione S. Angelo presenta qualche incertezza. Florida ebbe nome la lunga arteria tra ponte S. Angelo e S. Angelo in Pescheria, sebbene poi la denominazione venisse ristretta alla sola via del Pellegrino, G itoli, Topografia e toponomastica di Roma, pp. 106-06 ; ma pare difficile che la teste cristiana abitasse sul tratto di questa via Florida apparte­ nente al rione S. Angelo, perchè compreso nel Ghetto. Inclineremmo perciò a credere che la via Florida dove aveva la casa Fenizia corrispondesse a quella che anche al presente ne porta il nome da piazza Paganica (in prosecuzione a via Botteghe Oscure) al largo Arenula,* per quanto lo G itoli e P. R omano [P ietro F obnabi] , Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, p. 204, affermino che essa, anticamente detta dellOlmo, sia stata chiamata Florida (e propriamente Frorea) solamente ai primi anni del see. χνιιι. Nella sua deposizione al terzo processo, il 14 ag. 1610, la teste dichiarò, preci­ sando, di abitare nella parrocchia di S. Nicola dei Cesarmi. 1947 Seconda deposizione di Fenizia de Domino, comparsa già il 13 sett. 1597 (210). Ebbe un figlio teatino, che dovette portare il cognome di Zelio o Zelii. 7948 Dei due teatini di tale nome che dimoravano in questi anni a S. Andrea della Valle, confessore della teste fu più probabilmente don Vincenzo Fasulo, da Ruvo, entrato nel 1588, a quarantatrè anni, tra i teatini di quella comunità, ordi­ nato sacerdote a Venezia 1Ί1 mar. 1595 e trasferito a Milano, dove ebbe facoltà per la confessione delle donne nell’ottobre 1598. Tornato in S. Andrea della Valle il 6 giu. 1602, vi morì il 13 mag. 1616, Archivio generale dei Teatini, « Diar. S. A. della Valle», ff. 21, 104; F. M. M anco, «Elogia Theatinor. » f. 145. L ’altro, Vincenzo Riccardi, napoletano, professò tra i teatini in Napoli il 25 feb. 1596 e fu ordinato il 13 mar. 1604 in S. Andrea della Valle, alla quale comunità appartenne fino al 1653 ; ebbe nell’agosto 1604 facoltà di confessare le donne. Dotto nelle lingue bibliche e autore di parecchie opere, morì nel 1662, in luogo non registrato dal­

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    3 maggio 1610. [300] Lucrezia Citera Cianti. f. 829

    136

    drea della Valle. Sono circa quaranta e più anni, che ho conosciuto il beato p. Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio della Chiesa nova, e, sopra questo, mi sono esaminata un’al­ tra volta, dalla bona memoria del s.r Iacomo Butio. Et perchè, in quello esamine, mi scordai di racontare alcune circustantie, quale hora me ne ricordo bene, e desidero, a gloria di Dio et honor di questo suo buon servo, sia noto et manifesto a tutti, in quello esamine si conteneva un miracolo certo grande, fatto da Dio benedetto, a intercessione di detto beato p. Filippo, quale è questo, che hora raconterò, con più ordine, come successe et avenne giustamente. Che, ne l’anno 1597, vicino la festa di s. Maria Magdalena, mi trovai presente a un miracolo del detto beato Filippo, che fu che, stando male un putto, di quattro anni in cinque, figliolo di mad.a Sigismonda, moglie di Ferdinando 1949 pictore in Banchi, all’hora mio vicino, che, all’hora, habitava in Banchi anch’io) et il mercoledì avanti la vigilia di s. Iacomo apostolo, la detta mad.a Si­ gismonda mi fece chiamare, con gran furia, et, io andando in casa sua, mi disse, con gran lamento : « vedete, che Giuseppe, mio figliolo, more ». [/Si o m ette di rip orta re il segu ito del ra ccon to, perchè esso n on f o r ­ n isce particolari n u o vi, oltre quelli n arrati da S igism onda S erm ei (pp. 185-187 del I I v o i.), da F en izia de D om in o stessa (p. 188 del I I v o i.), da F erdinan do S erm ei {pp. 189-190 del I I v o i . ; e p p . 108-110 di questo volu m e), da F ra n cesco S erm ei (pp. 117-118 di questo volu m e), da Laura S erm ei (pp. 118-121 di questo vo lu m e )]

    E, questo miracolo, so che lo sanno il detto m.s Ferdinando, Cesare, Francesco, et Laura, suoi figlioli, et mad.a Sigismonda, sua madre, quale hora è morta. E questa è la verità, e, come tale, la confermo, con mio giuramento, a gloria di Dio benedetto e di questo suo buon servo. I n causa scientiae d ixit praedicta scire per ea quae su pra deposu it.

    Io Finitia di de Domino et Zelia afermo quanto di sopra, per la verità, con mio giuramento, mano propia, questo dì et anno sudetto. P e tr u s M a zziottu s n otarius.

    [t. 829] DIE MARTIS 3* MENSIS MAH 1610

    [300]

    E xa m in a ta f u it , Romane, in dom o solitae h aM tationis infrascrip ta e te stis, in loco nuncupato « la Ciam bella » ,1950 ad fu tu ram rei m em oria m , ill.is d.na L u cretia C itera de C ian tis , 1951 nobilis rom ana,

    l’obituario, A ntonio F rancesco V ezzosi , I scrittori de’ Cherici regolari detti Teatini, pt. II. In Roma, nella Stamperia della S. Congr. di Propaganda Fide, 1780, pp. 211-15. Il primo dei due, più anziano, doveva, nel 1610, avere più numerosa figliolanza spirituale. 1949 Sermei. Testi al processo furono Sigismonda (209) e Ferdinando (211 e 289), inoltre i figli Francesco (292) e Laura (293). 1950 II toponimo rimane nella via dell’Arco della Ciambella, tra le vie dei Cestari e di Torre Argentina; e deriva probabilmente dalla forma rotonda di una delle sale delle terme di Agrippa, tuttora in parte esistente, G n o u , Topografia e toponomastica di Roma, pp. 74-75. 1951 Si trova i l suo necrologio nel G a l l e t t i , da libri d i S. Maria sopra Mi­ nerva : « 1625. 25 ag.° Sep. la s.ra Lucrezia Citera de Cianti nella sep. de Cianti. LIX », cod. Vat. Lat. 7878, f. 54. La madre della teste, Giulia, è stata già ricordata

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    3 maggio 1610. [300] Lucrezia Citera Cianti. f. 829

    137

    u xor q. H o r a tii d a n t i , 1932 te stis e t c ., eta tis annorum quadraginta d uoru m in circa , quae, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Io son solita confessarme e communicarme ogni otto giorni alla chiesa del Giesù. Il mio confessore è il p. Mario Fanti,*1 1953 sacerdote in 2 5 9 detta chiesa, e spero, con la gratia del Signore, continuar sino alla morte. Io ho conosciuto il beato Filippo in vita, ma non ho havuto nè pratica, nè conversatione, nè anco li ho mai parlato, ma si bene era tenuto per huomo molto servo di Dio, da bene, e per un santo, e, perchè era tanto riverito appresso tutti, io li portavo et li havevo particular devotione. Et, una volta, se ben mi ricordo, del mese di novembre 1588, essendo io gravida di quattro mesi, e sopragiungendomi una uscita di sangue, di modo, che si giudicava, che era impossibile retenere la crea­ tura, et havendoci io fatto, humanamente, di molti remedii, per ordine della mammana Gironima (è morta) et del medico Giuseppe Grillo,1954 si ben mi ricordo (è vivo), e niuna cosa, che mi ordinavano mi era di giovamento ; io, allhora, ricordatomi della bontà di detto beato padre, per la devotione che li havevo, essendomi portato, da una certa mad.a Cassandra 1955 (quale era stata mia maestra, e, per sua devotione, lavava li panni al beato padre : quale al presente vive) un berettino bianco di tela, quasi novo, portato in testa da detto beato padre, et, subbito por­ tatomi detto berettino dalla detta Cassandra, come ho detto e dicendomi, lei quello era berettino del beato padre, io, con gran devotione, lo presi, e me lo mesi al corpo. E subito mi cessò l’ uscita, che non l’hebbi più : cosa miracolosa, che, sino poi al parto, non hebbi più mal nisuno. E, al mio tempo poi, partorii una figliola femina, li mesi nome Felice, e, in capo a diciassette anni, poi, morì zitella. E, come ho detto, messo il detto berettino sopra il mio corpo, mi cessò miracolosamente la detta uscita, perchè, essendomi durata circa doi mesi detta uscita, e, poi, messomi, subito, questo berettino del beato padre sopra il corpo, in un instante, subito, mi cessò detta uscita, e, poi, mai più hebbi più niente. Et io, con tutti di casa, lo tenessimo per miracolo, et al presente me ne

    nella nota 721. Per la famiglia della Oitara o della Cetera, anticamente dimorante in Trastevere, e alla quale appartenne Giacomo marito della b. Ludovica Albertoni, A mayden-B ebtini , V. I, pp. 313-14, e U go B oncompagni L udovisi , Roma nel Rina­ scimento, V. IV. Albano Laziale, Fratelli Strini, 1929, pp. 446-63. 1952 Orazio Cianti, morto nel 1603, è stato già ricordato nella nota 723. issa Questo cognome non risulta in documenti (cataloghi, registri d’ingresso nel noviziato di Borna, ultimi voti, elenchi di defunti, raccolte di necrologi). Per quanto i padri dell’antica casa professa del Gesù non siano stati inclusi per due secoli nei cataloghi della provincia romana, e non sia perciò facile l’accertamento, si ritiene che qui si tratti piuttosto del perugino Mario Franchi, entrato nel novi­ ziato di Borna il 24 nov. 1564. Fu rettore nei piccoli collegi di Sezze, Nola e Tivoli, predicatore a Borna, Frascati, Perugia e altrove; nel 1603, di nuovo, rettore a Tivoli. Scompare quindi dai cataloghi della provincia romana (ciò che confer­ merebbe, per quanto detto sopra, il suo passaggio al Gesù), e risulta infatti tra i sacerdoti di questa casa professa, nel 1615, dall’unico catalogo posseduto per essa in questi anni. Al Gesù morì, il 24 apr. 1627. 1954 Potrebbe essere, data anche la vicinanza di abitazione, la persona ricor­ data in un necrologio di S. Stefano del Cacco, trascritto dal G alletti : « 1610. 11 nov. f D. Joseph Grillius rom. in propria domo ann. 75. LXVIII », cod. Vat. lat. 7875, f. 124. 1955 Cassandra Baida, teste Γ8 mag. 1610 (308).

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    138

    3 maggio 1610. [301] Lucia de Yechis. f. 830

    ricordo, come se fusse stato hoggi, e, come ho detto, doppo messo detto berettino, non feci altri remedii, nè mi fu consegnata altra reliquia, che quella del beato p. Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Chiesa nova. E, di più, cinque o sei anni sono, ritrovandomi un altro berettino nero, di ciambellotto o mochaiale, vecchio e grosso, quale me l’haveva dato la detta mad.a Cassandra, dicendomi, che era . del detto beato padre, mi fu dimandato da mad.a Antonia,1956 quale sta in casa mia, che, per amor di Dio, glie lo prestasse, che lo voleva dar a mad.a Lucia, sua madre, per veder, se poteva liberarla dal dolor di testa. E così lo prestai, et, doppo alcuni giorni, mi riportò detto berettino, con dirmi, che havea hauto la gratia, da Dio benedetto, per intercessione di detto beato padre, la detta sua madre, e che, subito che si mese il berettino del beato padre in testa, subbito fu libera e sana, e mai più si è lamen­ tata di tal dolore. Et questo, non solo me lo ha detto la detta mad.a An­ tonia, ma, anco, me l’ha detto mad.a Lucia, sua madre. Et, per il miracolo, come ho detto, successo nella persona mia, e questo, nella per­ sona di mad.a Lucia, tengo il beato padre per un santo e vero servo di Dio. Et questo, che ho deposto, nel presente esamine, dico tutto esser la verità, e, come tale, la depongo con mio giuramento, a gloria di Dio benedetto et honor di questo suo buon servo. Io Lucretia Citera Cianti ho diposto quanto di sopra si contiene, con mio giuramento, per la verità : tutto a gloria de Dio benedetto et honore di questo suo bon servo, questo dì et anno sudetto. Io Lucretia mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otariu s.

    [f. 830] DIOTA DIE

    [301]

    E xa m in a ta fu it, R o m a e , uhi et p e r quern su pra , ad perpetu a m rei m em oria m , d.n a L ucia de V ec h is, filia q. G im iniani de V e c h is, honon ien sis, te stis e t c ., annorum sexa gin ta in circa, quae, m edio iuram c n to , ta ctis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Ogni mese, almeno, mi confesso e communico, e più spesso, secondo io sto bene. Il mio confessore è fra Mariano alla Kaceli e, quando non posso troppo caminare, mi confesso da fra Thomasso, frate della Mi­ nerva.1957 E sabbato passato, festa di s. Filippo e Iacomo, primo di maggio, mi confessai e communicai alla Minerva. Non ho conosciuto il beato Filippo, ma l’ho inteso nominare, per molto sancto e vero servo di Dio. Et perchè io havevo una doglia di testa, molto grande, quale mi era durata per spatio di più di dieci anni, et era tanto grande, che mi girava la testa e, qualche volta, mi faceva stare al letto ; e dicendomi Antonia, mia figliola : « mia madre, volete, che mi faccia prestare un berettino del beato p. Philippo della Chiesa nova, che l’ha la s.ra Lucre­ tia? » ; et io li replicai, dicendoli, che, di gratia, se lo facesse prestare.

    1956 Antonia de Vechis, teste prossima, nel giorno stesso 3 mag. 1610 (302), con la madre Lucia de Vechis, subito dopo nominata (301). 1957 parroco della chiesa è detto all’inizio della successiva deposizione.

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    3 maggio 1610. [302] Antonia de Vechis. f. 830

    139

    Et così me lo portò et io, con gran devotione, lo presi e me lo mesi in testa. Certo, miracolo grande, che, havendo io patito tanto gran dolore di testa, che, qualche volta, mi veniva fantasia batter la testa per le mura, tanto era gagliardo il dolore di testa, et essendomi durato detto dolor per spatio di dieci anni e più, subito messomi in testa detto beret tino, di mocchaiale o ciambellotto nero, coscito o imbastito con il filo bianco, mi cessò il dolor di testa. E non ne patisco più, e mai più ne ho patito, et, al presente, mi sento sana et libera della testa. Et questa l’attribuì a miracolo vero e gratia particulare, fattami da Dio benedetto, per intercessione di detto beato padre ; e non li ho fatto mai rimedio nisuno, nè ci ho havuto altre reliquie, se non, come ho detto, il detto berettino di detto beato p. Philippo. E questa è la verità, e, come tale, la depongo con mio giuramento, e, perchè non so scrivere, farò, in segno del vero, il segno della croce. DICTA DIE

    [302]

    E xa m in a ta f u it , R o m a e , u bi e t p er quem su pra , ad perpetu a m rei m em oria m , d.n a A n to n ia de V e c h is ,19SB q. Q-iminiani de V ech is et L u cia e co n iu g u m , rom a n a , testis e tc ., aetatis annorum quadraginta in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Son solita confessarme e communicarme, almeno ogni quindici giorni, qui alla Minerva, mia parrochia, dal parrochiano fra Thomasso, mio confessore, e, sabbato prossimo passato, mi confessai e communicai ulti­ mamente. Non ho conosciuto il beato padre, ma l’ho ben inteso nominare per un gran servo di Dio et un santo, et che ha fatto e fa di continuo de miracoli. Et, tra li altri, uno io ne so, che sueesse nella persona di mia madre, cinque o sei anni sono. E fu, che mia madre havendo una infirmità nella testa, per spatio di più di dieci anni, e sentiva tanto grande il dolore in testa, che, qualche volta, pareva li cascasse le cer­ velle, e, qualche volta, pareva li abrusciasse la testa, et, alle volte, era tanto eccessivo il dolore, che la faceva stare in letto ; havendo io inteso dalla s.ra Lucretia Citera, dove io sto, che, per una sua infirmità, haveva ricevuto la gratia, da Dio benedetto, per intercessione di detto beato padre, con haversi messo un berettino del detto beato padre sopra il corpo ; e mi diceva la detta signora, che la infirmità era una uscita di sangue, che non poteva retener la creatura, e che, messo detto berettino sopra il corpo, li cessò detta uscita subito ; e che l’attribuì a miracolo, e come tale lo tiene e lo raconta publicamente ; io pregai la detta s.ra Lu­ cretia, che mi facessi gratia di prestarme un altro berettino, che lei haveva, del detto beato, che era di mocchaiale o di ciambellotto, imba­ stito di filo bianco. E la detta s.ra Lucretia me lo diede, e lo portai a mia madre. Quale lo pigliò, con tanta devotione, che non si puoi dir più e se lo mese in testa ; e, gran cosa, che, subito, in un tratto, si sentì allegerita di tal dolore e libera affatto, che mai più ne ha patito, e lei non se ne è più lamentata, di tal dolore. E, in questo, non vi fu usato1 8 5 9

    1958 Antonia de Vechis, comparve anche nel terzo processo, Γ11 lu. 1611.

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    140

    4 maggio 1610. [303] Domenico Fabri, f. 832

    medicamento, nè rimedio nisuno, nè vi fu posto altra reliquia, se non questo berettino, che ho detto di sopra. E questo lo tengo per miracolo vero, e, come tale, lo testifico, con mio giuramento, per la verità. Io Antonia de Vechis affermo quanto è di sopra, [f. 831] per la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sudetto. Io Antonia mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    [f. 832] DIE 4» MENSIS MAH 1610

    [303]

    E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in officio m ei e t c ., p er m e e t c ., de m an­ dato e t c ., ad p erpetu a m rei m em oria m , fr . D om in icu s F a b r iu s ,1959 Ordinis P ra ed ica toru m , c o n fessor m onialium 8 . M ariae M agdalenae in M o n te Q u irin ali, te stis e t c ., aetatis annorum sexa gin ta triu m in circa, qui, m edio iu ra m en to , ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Son solito celebrar Messa di continuo, da trentasei anni in qua, purché non sia stato impedito da infirmità o d’altro impedimento. Non ho conosciuto il beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congre­ gatione de l’Oratorio della Chiesa nova, ma sì bene ne ho inteso dire gran cose, da diversi, in diverse occasione, e, particularmente, da frati de nostri, non solo mentre visse, ma anco doppo la sua morte, sempre ne ho inteso dire bene. E, in particulare, dico haver inteso dire, mentre io ero priore nel convento di S. Domenico in Camerino,1960 dal p. fr. Gre­ gorio Ozes, romano, allhora mio vicario (quale hora è vivo e si ritrova in detto monasterio) che lui haveva visto, mentre era giovenetto, innanzi si facesse frate de nostri, il beato Filippo, mentre faceva oratione, alto, tutto levato da terra. E mi par anco dicesse, che l’haveva visto, così levato in aria, circondato di splendore. E non mi ricordo, dove l’havesse visto, ma mi par che dicesse, haverlo visto, mentre iacea oratione ne l’oratorio. E, pochi giorni sono, qui, nella Minerba, me l’ ha confermato, dicendomi, che era vero, che haveva visto il detto beato padre, mentre faceva detta oratione, alto, sollevato da terra ; ma non hebbi avertenza di dimandarli altri particolari. E questo lo tengo sia la verità, perchè questo fra Gregorio è tenuto, nella nostra religione, per huomo literato e di vita religiosa, che non diria, in queste materie, una buscia. I n causa scien tia e, d ix it praedicta sc ir e , p er ea quae su pra d ep osu it, in fidem , se su bscripsit.

    Io fra Domenico suddetto affermo quanto di sopra, con mio giura­ mento, per la verità, manu propria, questo dì 4 di maggio 1610. Io fra Domenico mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    1959 La firma del teste Domenico Fabri, alla fine della deposizione, è autografa. Il monastero domenicano di S. Maria Maddalena al Quirinale, del quale si dichiarò confessore, è stato già ricordato nella nota 546. isso h convento di S. Domenico, a Camerino, al quale risulta versata già dal 1320 una elemosina annua della città ; nel 1578 passò alla provincia romana dell’ordine, essendo stato prima soggetto al vicario della congregazione della Marca, F ontana, De romana provincia ordinis Praedicatorum, cit., pp. 135-37.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, f. 833

    141

    [1. 833] DIE 7a MENSIS MAH 1610

    [304]

    E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in officio m ei e t c ., p er m e e t c ., de m an ­ dato e t c ., ad fu tu ra m rei m em oria m , adm odu m rev.d u s d .n u s P o m ­ p eiu s P a te r iu s , 1961 p r e sM te r p a p ien sis, C on grega tion is O ratorii de U r i e , te stis e t c ., a etatis ann orum sexa gin ta triu m in circa, qui, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Io entrai nella Congregatione de l’Oratorio, allhora nella chiesa di S. Giovanni de Fiorentini, de l’anno 1574, et ci entrai sacerdote. E, se ben mi ricordo, dell’anno 1576,1962 la detta nostra Congregatione si tra­ sferì nella Chiesa nova, dove starno anco di presente. E sempre, di con­ tinuo, ogni giorno, ho celebrato Messa, purché non sia stato impedito da infirmité; e spero, con la gratia del Signore, sino alla morte, di continuo, celebrar Messa, purché non sia impedito legitimamente. In questa causa del beato Filippo, io sono stato esaminato, doi altre volte, dalla bona memoria del s.r Iacomo Butio : al quale esamine io mi refe­ risco ; ma, perchè mi son sovenute molte altre cose, spectante alla vita, miracoli et altre actioni del detto beato, tanto mentre visse, quanto doppo la morte sua, quale non sono dette in quelli primi doi esamini, le ho voluto, nel presente esamine, con più ordine, mettere, tanto le cose,

    1961 Terza deposizione di Pompeo Pateri, comparso la prima volta il 27 ag. 1596 (183). Alla nota 1212 si aggiunga che egli depose anche al terzo processo, nei giorni 4, 6 e 7 agosto 1610; e che nel processo stesso fu nuovamente inserita la presente deposizione del 7 mag. 1610. La quale venne consegnata scritta e segue nell’ordine lo schema per articoli. Alla fine è la firma autografa. Il materiale delle tre prime deposizioni del Pateri si trova anche nel cod. A. III. 2 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma (contenente carte varie relative al processo). Partitamente : a) la deposizione del 27 ag. 1596, con aggiunte e correzioni, per lo più di mano del p. Francesco Zazzara, in vista della redazione della deposizione sistematica del .7 mag. 1610, e con un foglio presentante la deposizione stessa del 27 ag. 1596 ordinata in modo diverso da quello definitivo; δ) la deposizione del 3 ott. 1600, con aggiunte e correzioni come sopra, e in vista del fine sopra indicato ; c) « Sommario di quello ch’ho deposto nell’esame sopr’alla vita et morte del n.ro b. P.r« Filippo Nerio a 7 di maggio 1610 per gl’atti di m.s Pietro Matioto not. dell’ill.mo card.le Vicario ». Nel quale si legge, oltre quanto inserito nella deposizione citata, un curioso tratto sul cane Capriccio, sulla gatta e sulla lampada dell’abate Mafia al sepolcro (si veda la nota 2230; e, per altro sulla lampada, la nota 1422). 1962 II Baronio, in una lettera al padre, dà notizia del suo trasloco alla Val­ lic e li, presso la chiesa nuova che si costruiva : primi abitatori della casa furono egli, il Tarugi e il Lucei, C alenzio , pp. 147-49. La data della lettera stessa, quale fornisce questo editore, è « Di Roma li 14 di agosto 1578 » ; e tale si legge, dopo la cancellatura dell’originale « 1568 », nel cod. Vallicelliano Q. 46, f. 47 (il codice contiene, di mano di copista, una raccolta di lettere italiane del Baronio, « ad patrem, matrem, patruum et alios itemque aliorum ad Caesarem Baronium »). Ma B obdet-P onnelt .e , p. 295 e n. 5 (vers, ital., 284 e n. 4) adducono ragioni, che trove­ rebbero conferma nella data dichiarata dal Pateri in questa deposizione, per emen­ dare l’anno della lettera in 1576. Questo ultimo anno si legge anche nella copia della presente deposizione, reinserita nel terzo processo. Si tenga tuttavia presente che, ancora nel terzo processo, comparendovi il 4 ag. 1610, il Pateri disse che era a Milano, quando gli fu scritto dell’erezione e conferma della Congregazione nella chiesa della Vallicella (1575 o principio del 1576) e che, al ritorno in Roma (mar­ zo 1577), verificò la verità di quanto gli era stato scritto.

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    142

    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, fl. 833-834

    come ho detto nelli altri miei esamini, come le cose mi sono di novo ricordato, successe in vita e morte di detto beato Filippo, quali sono queste, scritte nel presente quinterno di fogli vintiquattro, Havendolo 10 letto e riletto, dico quanto in questo quinterno si contiene esser tutto 11 vero e, come tale, lo confermo con mio giuramento, per la verità, a gloria di Dio et honor di detto beato. [f. 834] In diversi tempi, da che io capitai alle sante mani del nostro beato p. Filippo Neri, fondatore della nostra Congregatione dell’ Ora­ torio di Roma, che fu l’anno 1574, son passato, da cinque o sei volte, dalla città di Firenze, dove, per diverse occasioni, mi ci sono fermato, quando un giorno et quando doi. Et sempre ho sentito, come al presente, che quella città è stata et è catholica et fedele alla Santa Madre Chiesa Cattolica et Romana : et di questo n’è stata et è publica voce et fama. Et una delle volte, che fu l’anno 1577, andando da Roma a Milano, visitai, in detta città, la s.ra Isabetta, sorella carnale del detto beato padre, che era vedova et cieca, qual stava assai nobilmente, et, con molta carità, mi ricevè, et, con molta modestia, mi domandò del beato padre, suo fratello, scorgendo in lei molta pietà et divotione. 2. Io ho sentito dire, più volte, che detto beato padre nacque, in detta città di Firenze, di Francesco Nerio et di Lucretia Soldi, di legi­ timo matrimonio, et che, nel battesimo, gli fu messo nome Filippo. Et, morendo detto beato padre, l’anno 1595, alli 25 maggio, si raccoglie, che nascesse l’anno 1515, il giorno o la notte avanti alla festa di s. Maria Maddalena, sua particolare devota: et di queste cose n’è stata et è publica fama. 6. Ho inteso, più volte, in diversi tempi, et da diverse persone, che il detto beato padre fu uno de primi fondatori della Compagnia della Santissima Trinità di Roma, in compagnia del p. m.s Persiano Rosa: opera tanto degna et necessaria, in questa città, quanto sa tutto il mondo, sì per la continua carità, che fa a tutti li pellegrini, che ven­ gono a Roma, quanto alli convalescenti, che éscono dall’hospedali.1963 Et di tutto questo n’è stato et è publica voce et fama. 8. Io so, che detto beato padre stette a S. Girolamo della Charità, da che fu fatto sacerdote, come, publicamente, sentei dire da diverse persone, et so, che stette sempre a spese proprie, senza mai pigliare, dalla Compagnia della Charità, cosa alcuna, eccetto che la stantia, assai piccola ; se bene, in detto luogo, ne fabricò alcune altre stantiole, per commodità delle gente, che andavano, che non capivano, et tutto a sue spese. So, ancora, che, in detto luogo di S. Girolamo, stavano una mano di sacerdoti, molto essemplari, quali conobbi tutti, come il p. Theseo Raspa, il p. Arigo Pietra, il p. Pietro d’ Arezzo, ed altri, de quali il primo fu il p. Bonsignore Cacciaguerra. Et, di questi padri, alcuni erano

    1963 L ’opera secondaria di assistenza ai convalescenti, che sarebbe stata esco­ gitata personalmente da F ., F austo G arofalo, L’ Ospedale della Ss. Trinità dei pellegrini e dei convalescenti. Roma, 1950 (« Collana di studi storici sull’ospedale di Santo Spirito in Saxia e sugli ospedali romani » [7]), pp. 16-17, è già menzionata nella bolla costitutiva di Pio IV del 20 apr. 1560; secondo una relazione del 1592, erano ricevuti « convalescenti degli altri hospitali per tre giorni e qualche volta più », op. cit., pp. 77 e 29. Si veda anche F anucci , Trattato dì tutte l’opere pie dell’alma città di Roma, cit., p. 55.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 834-835

    143

    stipendiati dalla sopradetta Compagnia della Charità, come cappellani, et altri vivevano del proprio, vivendo ogn’uno separatamente, come iacea detto beato padre, che, non solo faceva vita separata, ma molto parca, se non quanto la carità lo moveva, per guadagnare anime: che, alle volte, la sera delle feste, mangiava in compagnia, quando con uni, et quando con altri, a fine di tirare Fanime al Signore. Poiché, nella cena, che sempre era sobria, inanti et doppo, sempre, si trattava delle cose d’ iddio, del modo d’acquistar le virtù et fugire li peccati. Et io mi ci sono trovato in persona, l’Anno Santo del 1575 ; et di tutto questo n’è stata et è publica voce et fama. [f. 835] 8. Ho sentito, infinite volte, dire dalli pp. Francesco Maria Tarugi, Cesare Baronio (che poi furono cardinali), Alessandro Fedele, Germanico Fedele, et da molti altri, in quel principio, che, per mia buona sorte et ventura, capitai nelle mani del beato padre, che fu l ’anno 1574, il modo, che operò Nostro Signore, per mezzo del suo servo beato Filippo, in cominciare l’esercitio, tanto utile al mondo, dei sermoni cottidiani. Et fu, che, concorrendo gli suoi devoti, tirati dalla devotione et amore, che portavano al beato padre, andavano, il giorno, doppo il desinare, a S. Girolamo, nelle piccole et anguste stantiole sue, dove il beato padre gli tratteneva, quando con farli qualche sermoncino delle cose di Dio, et quando faceva leggere qualche libro spirituale, sopra il quale faceva discorrere a ciascuno secondo la capacità ; poi, sulla sera, usciva, con loro, alle stationi et perdonanze. Et questo è sempre stato et è voce et fama publica. 11. Ho sentito dire, più e più volte, dalli sopradetti padri, et da molti gentil’huomini, come dal s.r Fabritio de Massimi, romano, da m.s Gio­ vanni Manzuoli, fiorentino et da altri, che, vedendo il beato Filippo il gran frutto, che si faceva dell’anime, trattenendo tante persone, mas­ sime la gioventù, nell’hora del mezo giorno, con trattenimenti spirituali della parola di Dio (massime nei tempi dell’ estate, che il demonio meridiano non manca di suggerire, alle persone otiose, occasioni di pas­ sare il tempo con tanta offesa di Dio et detrimento dell’anime) il Signore spirò detto padre, doppo fattone orationi, come poteva haver luogo capace per le gente, che ogni dì crescevano. Si sentì cuore di pregare gli deputati della Charità a concedergli un andito, o vogliamo dire corritore, sopra una nave della detta chiesa di S. Girolamo, dove potesse capire la gente più commodamente, et gli fu concesso, con molta sua consolatione. Et, all’hora, il beato padre pensò di fare tale esercitio più formato, et cominciò a far sermonegiare gli sopradetti pp. Francesco Maria Tarugi et Cesare Baronio et altri suoi figlioli spirituali, a quali sempre il beato padre assisteva et, di quando in quando, dimandava qualche dubio, sopra di quello che s’era ragionato, a quelli, che sapeva, che erano capaci di dare risposte d’ edificatione. Et dove alcuno, per mo­ destia, o per timore, non dava così buona et chiara risposta, il beato padre suppliva, con parole, più infocate di spirito, che di soverchia eloquenza. Come sempre fece professione di fugire ogni apparato sover­ chio, volendo, che li suoi alunni s’avezzassero a tal modo di parlare la parola d’iddio, che ferissero più li cuori dell’auditori, che l’ orecchie. Vedendo il beato padre, che questo essercitio gli riusciva felicemente, crescendo, ogni dì più, l’audienza, non solo di domestici, ma delli estra­

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 835-836

    ni, pensò di fare et introdurre un essercitio utilissimo et necessariissimo, chi vuol vivere christianamente, et fu l’oratione della sera (dall\< Ave Maria » sino a un’hora di notte l’invernata ; et, l’estate, dalle 23 hore sino alle 24) meza hora d’oratione mentale et meza di vocale, et, tre volte la settimana, la disciplina, il lunedì, il mercordì et venerdì, nel modo et forma, che s’è sempre osservato, et s’osserva ancora hoggidì, non solo da domestici, ma anco da qualsivoglia persona, tanto poveri, come ricchi, senza distintione di persona, et a questi esercitii, non solo l’ho inteso come sopra, come forno cominciati, ma io l’ho visti et sentiti, da quel tempo, ch’io venni a Roma, sino a hoggi : et questo è stato et è cosa puhlica e notoria. [f. 836] 12. Sono informato, « de visu », della cura, che il beato padre pigliò, della chiesa di S. Giovanni della Natione Fiorentina, dalla quale fu pregato per un pezzo, e, doppo lunga oratione, accettò ; senza, però, moversi dalle sue stantie di S. Girolamo, ma vi mandò alcuni di suoi figlioli spirituali, et furno li pp. Francesco Maria Tarugio, Cesare Baronio (che poi forno fatti cardinali da papa Clemente Ottavo), il p. Giovanni Francesco Bordino (che poi fu fatto arcivescovo d’Avi­ gnone), il p. Alessandro Fedele, il p. Angelo Velli (hoggi preposito della nostra Congregatione dell’ Oratorio) il p. m.s Germanico Fedele (hoggi canonico di S. Pietro) et alcuni altri, alli quali la detta Natione di Fio­ rentini diede stantie et provisione, per tanti sacerdoti stipendiati ogn’anno : et questi, con altri che, a spese proprie, s’unirno, d’ordine del beato padre, si cominciò a convivere, come religiosi ben reformati, ancorché senza voto, et si cominciò più formalmente all’essercitio di sermoni cottidiani, quattro ogni giorno, et all’oratione, ogni sera, che, per essere il vaso più largo, et commodo, et ampio, vi concorreva et cresceva, ogni dì più, la gente, con molto frutto et edificatione. Et questo lo so, perchè, in quel tempo, che fu l’anno 1574, piacque alla Maestà del Signore, senza nissun merito mio, che io fossi accettato, dal beato p. Filippo, in così santa et mille volte beata Congregatione : et questo è stato et è pubblica voce et fama. 13. Nel tempo, ch’io entrai in S. Giovanni de Fiorentini, so che, più volte, sentivo dire, dalli pp. Francesco Maria Tarugio, Cesare Baronio, et altri, la gran borasca, che, poco manti che io entrassi, haveva susci­ tato il demonio, inimico et invidioso del frutto, che si faceva et che prevedeva si haveva da fare nell’anime, instigando alcuni suoi ministri, che. facessero, sotto spetie di zelo, sapere alla santa memoria di papa Pio V , che gli sermoni, che si facevano in S. Giovanni de Fiorentini, dove concorreva tanto popolo, che erano fatti da persone semplici et di poche lettere, et, perciò, ne poteva succedere qualche errore. Il santo pastore, come vigilante che era, diede orecchie et, con prudenza et segretezza, mandò dui padri venerandi et dotti, che, privatamente, an­ dassero a sentire et vedere tutto quello che si diceva et si faceva. Et questi furno doi frati della Minerva, dell’ordine di s. Domenico : uno chiamato il p. maestro Paolino da Lucca, et l’altro il p. maestro Ales­ sandro, detto l’hebraino,1964 huomini insigni, press’a quella religione,

    1984 Alessandro Franceschi, poi vescovo di Forlì ; sul quale la nota 1646.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri. fE. 836-837

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    tanto santa et dotta. Quali padri, doppo essersi pienamente informati, con sentire, più et pili volte, tutti quelli che sermonegiavano et tutti l’altri essercitii spirituali, che si facevano dalli detti padri, che stavano sotto la guida et l’obedienza del beato p. Filippo, fecero tal relatione a sua santità, che restò in modo sodisfatta et edificata, che, non solo favorì sempre detti essercitii, che si facevano all’Oratorio, ma si servì, ancora, delli sopradetti soggetti. Come fece, in particolare, del p. Fran­ cesco Maria Tarugi, al quale comandò (non havendo bastato il farli intendere semplicemente il desiderio suo) che andasse, con la bona memoria del card. Alessandrino, per maestro di camera, in quella [f. 837] gran legatione di Francia, Spagna et Portogallo.1965 Et questo fu sempre noto, come è publica voce et fama. 14. Io so che, vedendo il beato Filippo favorita l ’opera cominciata, da Dio et dal suo vicario in terra, et vedendo, ogni dì, crescere più il concorso, non solo all’essercitii spirituali, ma di sogetti, che pregavano esser ricevuti al convivere, che si faceva in S. Giovanni de Fiorentini, per aplicare le vite loro in tali essercitii, cominciò a pensare d’ havere nido proprio, per potere fondare meglio l’opera. Et, doppo lunghe orationi a Dio, come soleva fare in tutte l’ationi sue, con l’authorità et conseglio di papa Gregorio 13°, hebbe et ottenne la chiesa parochiale di S. Maria in Vallicella, per esser in sito commodo, a tutta Roma, per l’essercitii spirituali, lasciando l’entrata della parochia al rettore, che possedea detta parochia, che ancora vive hoggi, come è noto. 15. Trovandomi in Milano, dove fui mandato dal beato p. Filippo per alcuni negotì^, mi fu scritto dal p. Germanico Fedele, che s’era posto mano a fabricare una nova chiesa, stante che la chiesa havuta minacciava ruina, nè anco era capace al concorso del popolo. Et questo, non solo fu a me di meraviglia, ma a tutti quelli che sapevano, che il beato padre non haveva denari, nè fondamento certo di entrare in fabrica. Et s’ac­ crebbe meraviglia, mentre che si cavavano gli fondamenti, designati da mastro Matteo da Castello,1966 architetto de buoni di Roma, trovandosi 1965 h cardinale Michele Bonelli fu spedito da s. Pio V come legato in Spagna alla fine di giugno del 1571, per trattare con Filippo II intorno alla questione della crociata, al matrimonio del re di Portogallo con Margherita di Valois e all’affare del titolo a Cosimo de’ Medici, e inoltre con l’incarico di riprendere le trattative circa la « Monarchia sicula » e le controversie giurisdizionalistìche a Napoli. Il 18 novembre il legato si recò in Portogallo, ritornando a Madrid il 28 dicembre; nel gennaio 1572, continuò il suo viaggio verso la Francia, P astor, v . V il i , pp. 308-12. 1966 per ia parte di Matteo di Città di Castello, o di Castello, nel disegno e costruzione di S. Maria in Vallicella, si veda S trong, pp. 62-64; sull’architetto e le altre sue opere, T h iem e -B ecker , Allgemeines Lexikon der bildenden Kiinstler, 6. Bd. Leipzig, 1912, pp. 156-57 ; V enturi , Storia dell’arte italiana, XI. Architettura del cinquecento, pt. II, cit., pp. 950-52. Ma rimane scarsamente nota la personalità di questo artista, che ebbe cognome Bartolani (O skar P ollak , in Allgemeines Lexikon cit., lo confonde, a esempio, con il ticinese Matteo Castelli, da Melide, scalpellino), e viene menzionato, in genere, solo con accenni, come da A. B ertolotti.

    Artisti bolognesi, ferraresi ed alcuni altri del già Stato pontificio, in Roma nei secoli XV, XVI e x v i i , in Documenti e studi pubblicati per cura della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, v. I, 1886, II ; Studi, pp. 29-30; T esoroni, Il palazzo Piombino di piazza Colonna, cit., pp. 6, 7 ; U go D onati, Artisti ticinesi a Roma. Bellinzona, Istituto editoriale ticinese e A. Salvioni e c., 1942, pp. 42, 79; M ario Z occa, Sistemazioni urbanistiche del rinascimento nel Lazio, in Palladio, V II, 1943, p. 50, n. 10. io

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, fl. 837-838

    presente il beato padre, disse alti cavatori : « allargate più, allargate più », et così fu fatto, per ubidire, ma contro alla rationale de sopra­ stanti : et, ecco, che, in quello allargarsi, si trovò un muro antico, dove si fondorno gli fondamenti d’ una parte della chiesa, che speragnò molti centinara di scudi. Di modo che, senza assignamento alcuno, se non fidatosi nella Maestà di Dio, si diede principio a fondamenti, ne quali gettò la prima pietra l’arcivescovo di Firenze, all’hora ambasciatore del serenissimo gran duca di Toscana in Poma, che, poi, da papa Grego­ rio XIII, fu fatto cardinale, et, l’anno 1604, fu creato papa et chiamato papa Leone XI. Et, in diciotto o venti mesi, si fabricò tanta chiesa capace per l’audienza dal p. fra Francesco, detto il p. Lupo,1967 cappuccino, vero predicatore della parola di Dio a tempi nostri ; et, coperta la chiesa fatta, il sopradetto mons. arcivescovo vi cantò la prima Messa pontefi­ caie, con grandissimo concorso di popolo. Tutto questo mi fu scritto, in più volte, a Milano, non solo dal detto p. Germanico, ma da altri. Come, poi, con molta mia consolatione, trovai in fatto, l’anno 1577, di marzo, che tornai da Milano,1968 trovando la chiesa fatta et frequentata, havendo il beato padre lassata la chiesa et casa di s.ri Fiorentini et tirati tutti l’essercitii nella chiesa et casa novamente fondata: et di tutto questo ne è stato et è publica voce et fama. 16. Mi ricordo molto bene della strettezza grande, nella quale [f. 838] stavamo, per la poca habitatione, et ogni dì crescevano li sogetti, di modo che stavamo doi e tre per stantia, et molti stavano nelle stanze con tramezi di tavole et stando le cose a questo termine, il beato padre se ne stava tuttavia a S. Girolamo, raccomandando l’opera co­ minciata a Dio, che, sicome gli haveva fatto gratia che, col mezo d’ele­ mosine, haveva fatto tanta chiesa, che si poteva officiare, così si degnasse sovenire all’habitatione. Nè fu indarno l’oratione, poiché, all’improviso, la bona memoria del card. Pier Donato Cesis, inaspettatamente, si fece intendere, che voleva spendere, per servitio della nostra Congregatione, 30 mila scudi. Et la prima spesa fu d’ un nobile presente, che mandò a donare alla chiesa nostra, stando in Bologna legato,1969 di 3 mila et più scudi. Et poi ordinò all’abbate di Chiaravalle,1970 chierico di Camera, 1967 Alfonso Lobo, 11 famoso predicatore già ricordato nella nota 1116, tenne di fatto la prima predicazione quaresimale, nella chiesa inaugurata il 23 feb. 1577, domenica di Settuagesima: « . . . et sequenti quadragesima celebris ille et velut apostolus habitus ex hispania oriundus Lupus minorità (hoc annuente pontifice) frequentissimo populo est concionatus », B abokio, De origine Oratori), in Aevum, X, 1927, p. 633; B obdet-P onnelue , pp. 294-95 (vers, ital., 283-84). 1968 h fortunoso ritorno da Milano, dopo un viaggio durato sei mesi, fu narrato in maniera particolareggiata dal Pateri stesso, ff. 476-477 e 852-853. 1969 pier Donato Cesi (sul quale la nota 454) fu cardinale legato a Bologna dal 1580 al 1583; vi era stato già, avanti il cardinalato, commissario apostolico nel 1559, vice legato dal 1560 al 1564 e, per breve tempo, fino al principio del 1565, governatore, S alvatobe M u z z io l i , Annali della città di Bologna, t. sesto. Bologna, pe’ tipi di S. Tommaso d’Aquino, 1844, pp. 535-55, 612-24; t. settimo, pp. 5-7. Per le sue larghezze alla congregazione e l’acquisto del monastero di S. Elisabetta si vedano le note 979, 1227 e 1228. 1970 Ludovico Cesi, morto il 5 sett. 1581 in Roma, M abtinobi, Genealogia e cronistoria di una grande-famiglia umbro-romana, i Cesi, cit., pp. 22, 32; dal 1565 alla morte, abate commendatario di Chiaravalle Milanese, M ichele C affi , Del­

    l’abbazia di Chiaravalle in Lombardia; illustrazione storico-monumentale-epigraflca. Milano, ed. Giacomo Gnocchi libraio, 1842, p. 134.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, f. 838

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    suo fratello carnale, che comprasse la casa dell’Arditii1971 et il monaste­ rio delle monache di S. Elisabetta, come annesse et contigue alla chiesa nostra, come fu fatto in pochi mesi, essendo state trasferite le monache di S. Elisabetta nel monasterio di S. Iacomo delle Murate: quale casa et monasterio costorno da 12 mila scudi in circa. Et, nel medesimo tempo, tornato che fu il cardinale a Roma, dalla sua legatione, vedendo che il nostro beato padre se ne stava tuttavia a S. Girolamo, et sapendo il desiderio et bisogno nostro (ancorché, per modestia, non ardivamo di parlare, sapendo noi quanto il beato padre si compiaceva della vita solitaria) et che difficilmente haveriamo ottenuto l’intento nostro, si risolse il buono et affettionato cardinale di fare offitio, che papa Gre­ gorio X III gli comandasse, che venisse ad habitare con noi. Come fece subbito, (ancorché contra il suo senso) non lasciando, però, le stanze di S. Girolamo ; 1972 et fu il giorno di s. Cecilia dell’anno 1583, quando venne il beato padre ad habitare con noi, in due stantiole piccole, con quella consolatione nostra, che si può imaginare : et questo è stato et è publica voce e fama. 17. L’anno 1587, non ero in Roma, ma in Milano, mandato, dal beato padre, per negotii della Congregatione ; 1973 ma, al ritorno ch’io feci, trovai, che moltiplicavano li sogetti nella Congregatione, i quali il beato padre andava tuttavia incaminando, per lassare una casa tale, che vi potesse stare ogni persona, che volesse lassare il mondo per salvarsi, non havendo animo di religione (poiché, hoggidì, vi sono tante religioni, di numero et di bontà, come sia mai stato nella Chiesa di Dio) havendo l’occhio, che l’al'unni suoi, senza ligame di voti, nè semplici, nè solenni, 1971 Su questa casa e l’acquisto si veda la nota 1229. 1972 Ne ritenne le· chiavi, e vi ritornava e mandava spesso qualcuno dei suoi, secondo i particolari forniti dal B acci, 1. I, c. 18, n. 6 (al n. 5, la descrizione della burlesca processione con la quale se ne partì). Manca la notizia, ma è probabile che alla morte di F. le stanze nelle quali egli aveva abitato venissero riconsegnate dalla congregazione dell’Oratorio alla compagnia della Carità. Nel cod. A. III. 52, f. 29, dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma, si legge, di mano di Francesco Valentini della Molara, questo grazioso aneddoto : « Nell’anno 1587 incirca, del tempo d’estate, che non mi ricordo il mese, stando il beato Filippo nelle stanze della Vallicella, mi mandò, un giorno, alle stanze di Santo Girolamo, dove lui stava prima, e mi diede la chiave delle dette camere. Et, alla prima porta, in capo alle scale, mi provai, con la chiave, per aprire la detta serratura, et, ancora che vi provassi più volte, non la possei mai aprire. Et, doppo haver, più e più volte, con detta chiave, provato et riprovato, scesi la scala per andarmene. E mi pareva vergogna ritornare a dire al beato padre, che non havevo potuto aprire. Per questo, di novo, ritornai a riprovare, et non mi fu mai possibile, ch’io aprisse. Et tanto più mi maravigliavo di questo, quanto che, molte altre volte, vi ero stato, ad aprire detta porta, con la medema chiave. Et, doppo havere, molte volte, provato, di novo, ritornai su a riprovare, et havendo fatto il medemo molte volte, non solo non potei mai aprire ma nè anco voltare la chiave. Alla fine, fui forzato a ritornare alla Vallicella, et dissi al beato Filippo, che non havevo potuto aprire. All’hora, subito, il beato padre mi disse : “ Va’ via, che sei un balordo ; va’ et torna, va’ via ” . Et io, senza replicare, ritornai, per fare l ’obedienza, con la medema chiave, con intentione di riprovare. Et, appena arrivato, subito che misse la detta chiave dentro, subito aprii, con una facelità grandissima. Del che mi maravigliai assai, et l’attribuii, alla hora, come anco fo adesso, alla virtù dell’obedientia di detto beato padre, et alla fede, ch’io havevo alla sue parole, che lo tenevo per un santo ». 1973 La contestata eredità di Fabrizio Mezzabarba, per la quale si vedano le note 1214 e 1230.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 838-839

    ma solo col legame della charità, procurassero d’essere tali, che fussero religiosi di costumi, nell’interno et nell’esterno, che potessero salvar sè et aiutare a salvare altri: che fu sempre il scopo principalissimo del beato padre, come fu sempre et è noto et publica voce et fama. 18. Mi trovai in Borna, l’anno del 1592, quando il beato p. Filippo hebbe così grave malatia, dalla quale, miracolosamente, ne campò, come dissero li medici. Et l’istesso beato padre diceva, spesse volte, che la Maestà di Dio l’haveva campato, acciò che si preparasse meglio alla morte ; et, per far questo, che desiderava mettere in [f. 839] esecutione il desiderio suo, di tanti anni prima, di scaricarsi il peso della Congregatione, non solo delle fatiche, ma del nome ancora di preposito generale, come, in effetto, tanto pregò gli padri, che gli riuscì, ma non senza il mezo et authorità dell’illustrissimi s.ri cardinali Borromeo et Cusano. Quali, per indurre li padri più facilmente a compiacere al beato padre, ne diedero conto alla santa memoria di Clemente 8°, quale lodò lo spirito et desiderio del santo vecchio. Fu, donque, un giorno, convo­ cata la Congregatione di padri di casa, che solevano intervenire nei negotii gravi, in camera del detto beato padre, alla presenza delli sopra­ detti illustrissimi s.ri cardinali: pregò (per sua humiltà) la Congrega­ tione, gli volesse dare la sodisfattione, che tanto bramava, d’eleggere un altro preposito generale, che fosse atto al governo, lassando lui, come vecchio, acciò si potesse preparare alla morte, accennando la persona del p. Cesare Baronio. Assentirno tutti (benché mal volentieri) alla dimanda del beato padre, per non contristarlo, et « nemine discrepante » fu eletto il detto p. Cesare Baronio in preposito generale 1974 della nostra Congregatione, ancorché facesse quella resistenza che potè. Et durò nell’officio, sin tanto che, dal sopranominato pontefice, fu assonto al cardinalato, insieme con l’arcivescovo d’Avignone, che era il p. France­ sco Maria Tarugi « in minoribus ». Tutto questo so minutamente, perchè, a quel tempo, io ero (benché indegno et inetto) uno di quattro assistenti, et segretario 1975 della nostra Congregatione, et, come tale, toccò a me notare, nei libri nostri, tutto il successo di questa attione et questo fu et è publico etc. 19. L’anno 1595, del mese di maggio, il beato p. Filippo stette malis­ simo et deffidato da medici, per un flusso di sangue, che le venne dalla bocca. Stando in questo termine, che gli medicamenti non li giovavano, si voltò a medicamenti spirituali, con mandare a tutti gli monasteri di religiosi et religiose, acciò la Maestà di Dio facesse di lui quello che le piaceva : et io fui uno di quelli, che andai a molti monasterii. Ma, inanti ch’io partissi di camera, il p. Cesare Baronio gli diede l’ Estrema Ontione, presente l’ill.mo card. Borromeo et, dopo essersi alquanto convaluto e cessato un poco il sangue, il medesimo s.r card. Borromeo

    1974 La convocazione della congregazione nella camera di F., per la sua rinunzia dall’ufficio di preposito, avvenne il 6 luglio 1593; la nomina del Baronio, il 23 luglio. Sotto queste due date sono i decreti relativi, nel Libro III dei Decreti della congregazione, B ordet-P onnelle, pp. 486-87 (vers, ital., 464-65). 1975 Pompeo Pateri divenne segretario della congregazione il 3 giugno 1593; dalla quale data sono conservati al completo i decreti emessi dalla medesima. Ne descrivono la consistenza e la tenuta B ordet-P onnelle , pp. x x x v n - x x x v m (vers, ital., x x ix -x x x ) .

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 839-840

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    gli diede il santissimo Viatico. Et, mentre sua signoria illustrissima cominciò a proferire quelle parole, che si sogliono dire : « Domine, non sum dignus », si vede il beato padre alzarsi alquanto dal letto, et, con voce quasi da sano, con fervore grandissimo di spirito et lagrime, disse : « mai, mai ne fui degno, Signore, ma vieni, vieni, Signore » et molte altre parole, di molta compontione et humiltà, che mosse gli circonstanti a lagrime et meraviglie, vedendo un corpo, più morto che vivo, in un tratto, prorompere in tanta vehementia di spirito. A tutto questo io mi trovai presente, et, quello, che accrebbe la meraviglia, fu che, in doi o tre giorni, si levò da letto et celebrò, ogni mattina la santa Messa, conforme al solito suo quando non era più che agravato dal male (et in tal caso si communicava ogni mattina) et, in questo modo, seguitò il remanente della vita sua, che fu poco, sempre celebrando, ogni giorno, et confessando in camera, del continuo, ancorché, per la debolezza, stava a sedere sopra il letto. Et questo fu et è cosa publica et notoria. [f. 840] 20. È la verità, che tutti credevamo godere per un pezzo il beato vecchio, poiché, tante volte, s’era visto quasi che morto, et, per l’orationi, convalere. Ma egli, che sapeva essere vicino al tempo determi­ nato, ancorché stesse con la sua solita hilarità di viso, con tutti quelli, che, del continuo, praticavano in camera sua, a tutte Phore, nondimeno, alle volte, toccava qualche parola della morte sua, ma in modo tale, copertamente, come soleva sempre fare, nelle cose che li potevano dar laude, che non s’apprendeva parlasse di se stesso. Stando le cose a questo termine, avicinandosi la festa del santissimo Sacramento, doi o tre giorni prima [di] detta festa, si vedeva il santo vecchio Filippo (che sempre fu devotissimo di detta festa) celebrare con maggior affetto et devotione, et ancora più longamente stava, massime dall’ « Agnus Dei » alla purificatione stava assai et, per questo, ottenne licenza dal papa di poter celebrare privatamente, in un oratorio presso alla sua camera, solo che con uno, o pochi altri. Et, finalmente, gionta la festa, tanto da detto padre desiderata et aspettata (dico la festa del santissimo Sacra­ mento che fu alli 25 di maggio 1595), la mattina, doppo haver confes­ sato tutti quelli, che andorno in camera sua, che forno molti secolari et sacerdoti estrani, oltre a quelli di casa, andò alla capelletta sua a cele­ brare la santa Messa, con giubilo straordinario, et quasi che cantando, doppo la quale communicò alcuni, con le proprie mani. Finita la Messa, si retirò in camera, dove pigliò la sua solita colatione, ch’era pochis­ sima ; si riposò alquanto, poi cominciorno a entrare in camera alcuni domestici, con quali si trattenne, con la sua solita allegrezza, con far legere qualche historia di santi, o altra cosa spirituale. Sopragionsero, poi l’illustrissimo card. Cusano, mons. vescovo di Montepulciano,1976 il Spinelli, et l’illustrissimo card. Pamphilio,1977 all’hora auditore di Rota, con li quali, insieme con altri, disse il Matutino, et, finito, alcuni si reconciliorno. Quali partiti, essendo già l’ « Ave Maria » gli fu portata la solita cena sobria, che, per ordinario, era di doi ova et un’insalata cotta. Doppo cena, stettero molti di casa, in camera sua, un pezzo,

    1976 Spinello Benci, indicato singolarmente, subito dopo, come « il Spinelli », usando il prenome alla maniera di cognome ; su lui si veda la nota 223. 1977 Girolamo Pamphilj, sul quale la nota 12C3.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 840-841

    massime alcuni sacerdoti, che si reconciliavano la sera, a quali toccavano le prime Messe. Gionte le tre hore di notte, disse : « quante hore sono? » ; risposero : « sono tre » ; repigliò il beato padre : « tre et tre sei : andate tutti a dormire ». Alle sei hore, il p. m.s Antonio Gallonio, di bona memoria, che lo serviva, et che dormiva sotto la camera del beato Fi­ lippo, sentì passegiare. Andò di sopra et lo trovò passegiando, con un poco di catarro. Chiamò il spetiale di casa nostra,1978* quale subito cominciò a farli li soliti remedii : a’ quali diceva, con viso et voce placida : « se non havete altri rimedii che questi, io mi moro ». Si pose sopra al letto, a sedere, però ; et, in un subito, fu fatto, intorno al santo vecchio, un cerchio di padri di casa, fra quali, il primo, il p. Cesare, come capo, che gli diede la raccomandatione dell’anima, con abondanti lagrime, poi lo pregò a volerci benedire tutti. Alzò l’ occhi al cielo, poi, con un sguardo et un poco di movimento di mano, sedendo, senza un minimo motivo, che sogliono fare gli morienti, nè d’occhi, nè di bocca, ma con ogni compo­ sitione di corpo, come era d’anima, « obdormivit in Domino », nella solita sua camera, a sei hore e poco più, il giorno et anno sopradetti, a 25 venendo gli 26, l’anno 1595 : et questo fu et è publico. [f. 841] 22. Mi trovai ancora presente, quando, doppo spirata quella santa anima e, lavato che fu, et vestito da sacerdote, et portato da padri in chiesa nel cataletto. Et io fui, benché indegno, uno di quelli, che portorno il detto corpo, processionalmente. Dove, ancorché fosse a buon’hora assai (che forse non era levato il sole) in un tratto, fu piena la chiesa di popolo, d’ogni sesso et stato : chi piangeva, chi benediceva, chi lo toccava con divotione con le corone, chi le basciava la mano, chi pigliava delle rose, che, per devotione, gli erano state messe sopra il corpo, per portarle a casa, et, finalmente, con fatica si poteva difendere, che non gli pigliassero di vestimenti, adimandando, alcuni, di capelli, o altra cosa, con molta instanza et divotione, per tenerle per reliquie. Nell’hora, poi, conveniente, fu cantata la Messa, come si suole a’ morti, stando il corpo in chiesa: alla quale furono presenti cardinali, arcive­ scovi, et molti altri prelati, oltre al numerosissimo popolo, che concor­ reva, per vedere il corpo del beato Filippo, conosciuto et amato da tutta Roma : come fu et è noto, et è publica voce et fama. 23. A un’hora di notte in circa, doppo che, con fatica, fumo chiuse le porte della chiesa et casa nostra, per la moltitudine del popolo, che concorreva a vedere il corpo del beato padre, fu spogliato, per aprirlo, come fu fatto ; et, trovandomi presente, io restai ammirato, come non si sentiva un minimo odore, che offendesse, come si suole in simili attioni. Sentii, poi, la maraviglia et stupore, che hebbero li medici et chirurgici, in vedere il cuore del beato Filippo, di grandezza straordi­ naria. Per la quale grandezza, dicevano, che le coste, sopra il cuore, s’erano inalzate, per dar luogo al cuore ; massime, per la palpitatione grande, che pativa. Et molti altri particolari dissero li detti medici, attestando, che erano cose, non solo non più viste in altri corpi, ma

    1978 Alessandro Alluminati, sul quale la nota 416. Alla quale si aggiunga che egli morì in Carbognano, il 2 ott. 1605, e che fu sepolto il 6 nella chiesa di S. Eutizio : un estratto del suo necrologio è nel cod. A. III. 51, num. 36, Archivio della con­ gregazione dell’Oratorio di Roma.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 841-842

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    che era miracolo, che detto beato padre potesse vivere, se bene io non mi ricordo, così precisamente, le parole, che detti medici et chirurgici dissero, la medesima sera, doppo haver finito d’aprirlo et serrarlo, alPillustrissimo card. Borromeo, che volse aspettare, in casa nostra, sino alle doi o tre hore di notte ; et non mi ricordo bene, se vi fosse ancora la bona memoria del card. Cusano.1979 Et questo è stato et è cosa publica et notoria. 24. Per sodisfare al numeroso popolo, che concorse, parve necessario tenere il corpo del beato p. Filippo, tre giorni continui, insepolto. Et, ancorché fosse vestito di soliti panni di lana et lino sotto, et, sopra, il cammiso et pianeta di seta paonazza, [f. 842] tutto che fosse caldo, come suole essere al fine di maggio, non si sentì mai odore cattivo : anzi, molti dicevano sentire odore buòno et soave. Doppo. questo, fu sepolto nella sepoltura ordinaria, dove si solevano sepellire li altri sacerdoti nostri di casa, che sta manti l’altare magiore della chiesa nostra. Et, perchè c’era la scala commoda, io c’entrai nella sepoltura, et veddi ac­ commodare la cassa ordinaria, dove stava dentro il detto corpo del beato, presso alla cassa, dove era stato sepolto, poco inanti, un altro di nostri padri, et credo fosse il p. m.s Nicolò Gigli.1980 Doppo sepolto( non so se fosse il medesimo giorno, o il sequente) la bona memoria del card, di Firenze, che poi fu papa Leone XI et il s.r card. Borromeo ci fecero sapere, che havevamo fatto male, a sepellire alla sepoltura commune un huomo tanto insigne di santità et miracoli, et, però, si pensasse di trovarli altro luogo più decente, non sapendo quello che vorrà oprare la Maestà di Dio, per mezo di detto corpo. Pensorno gli padri dove si po­ tesse mettere, nè si trovò altro luogo, per obedire alli detti s.ri cardinali, che un luogo, dove era stata una porticella, che andava al pulpito,1981 che non serviva più, essendosi messo il pulpito altrove, che dove s’era designato al principio. Et questo fu et è publico. 25. Mi fu detto, da diversi, che, doppo alcuni mesi doppo la morte del beato Filippo, s’ erano cercate l’interiora del detto beato padre,1982 che 1379 Questo particolare non è notato nell’ampia relazione del G aix o n io , Vita lat., pp. 227-29; dove si omette anche la notizia della presenza del card. Federico Borromeo in casa, quella sera. isso Era appunto il Gigli, morto il 14 giu. 1591. issi Le particolareggiate indicazioni date qui e al foglio seguente sul luogo dove il corpo di F., trasportato dal primitivo sepolcro, restò fino al 24 maggio 1602 sono evidentemente importanti e attendibili, per essere il teste bene informato. Presentano tuttavia qualche incongruenza con quanto dichiarano altri testi, e noi abbiamo raccolto nelle note 460, 812, 1418 e 1560. Il riferimento a un pulpito primi­ tivo, del quale non risulta per altra parte alcuna notizia, fornisce un nuovo elemento alle informazioni fino a qui date sul luogo della seconda sepoltura. 1982 Questa ricognizione fu fatta il 26 genn. 1596 : si veda la nota 1105. Anche il Pateri omette di riferire, nella presente deposizione, la strana scoperta della sparizione del cuore avvenuta in quella occasione, e della quale parlarono Giovanni Battista Guerra, il 14 feb. 1596, f. 403, e Rodolfo Silvestri, il 13 mag. 1599, f. 575. Si può addurre sul fatto, che rimane assai oscuro, un tratto di una lettera scritta dal fratello laico oratoriano Michelangelo Tozzi al confratello Egidio Calvelli, con la data di Napoli, 21 nov. 1615, cod. A. IV. 15, f. 613, Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma : « Qua a Napoli cè una s.ra duchessa, che dice avere la reliquia dello Core del B. P. Filippo, datali dal Card.® Santa Severina, suo parente, et la pregò, che non dicessi niente, per alora eh era vivo. Ora eh è morto, là palesato et à saputo, che noi facevamo la testa d’argento e, quasi, ce la promesse,

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, f. 842

    forno poste nella sepoltura commune dei padri et coperte di terra et mi ricordo, che le veddi, manti che fossero portate nella sepoltura, dentro a un catino di terra bianca et, in capo a otto mesi, furno trovate senza fetore, come sogliono havere Paître, et intesi, che forno trovate fresche et senza mal odore, nel modo che forno sepolte, et, lavate dalla terra et fatte secare, procurai d’haverne una particella, quale hebbi da Giulio Severa, laico, all’hora, della nostra Congregatione, il quale era ricer­ cato da infinite persone, per haverne et tenerle, per divotione.1983 Come so, che le tengono quelli, a chi n’ho dato io, di quelle poche che mi toccorno, et ancora ne tengo, con molto mio contento. 26. Trovandomi, Panno del 1599, nell’ Abruzzo, nella città di Lan­ ciano^ dove ero stato mandato dalli nostri padri, per l’abbatia di S. Gio­ vanni in Venere, che havevamo in quelle parti, tornando da Roma il s.r abbate di Santo Salvo, di casa Piccolomini 1984 (il cui nome non mi ricordo, ma possiede Rabbatta nell’Apruzzo, presso al Vasto) mi diede nova, come havea visto, stando in Roma, il corpo del beato Filippo intiero. Cosa, che ancora non sapeva, ma, al ritorno ch’io feci a Roma, che fu il medesimo anno, trovai essere verissimo, come io lo veddi, et toccai, et intesi la causa, perchè fu fatta quella diligenza di scoprirlo. Et fu, che crescendo ogn’hora più la divotione al beato padre, per la fama, che s’ era sparsa, essersi trovato il beato corpo intiero doppo quattro anni, era tanto il concorso delle genti, d’ogni stato et grado, che desiderava vederlo, et portare le tavolette, per segno et gratitudine delle gratie ricevute, et, per la strettezza et angustia del luogo, dove stava, non si poteva dar sodisfattione a tutti, e andato all’orecchie della bona memoria del s.r Nerio Neri, nobile fiorentino et caro figliolo spirituale del beato padre mentre visse, si lassò intendere, che, per divotione et gratitudine di gratie ricevute, s’offeriva farli una capella et sepoltura più decente. Sentendo gli padri nostri l’offerta, parve necessario, inanti che por mano a cosa alcuna, di rivedere il corpo del beato padre,

    alora. Ora trova scusa, che l’à donata alli padri scalzi dello Carmine, di chi lei è devota e protretrice et ci à speso qualche migliaro di ducati, nella loro chiesa. Et di costì ci è scritto, chè dentro allo corppo del B. P. Io credo, che, costì, in casa, si deve sapere questa certezza, se c’è o non c’è ; et voi ancora, et il Guera et molti altri di costì lo devete sapere, aciò che questa sra duchessa della Miranda non ci dia parole, per essere state datte così a lei ancora ». 1983 Dato che gli Oratoriani non manomisero il corpo di F., queste «ex visce­ ribus » furono le sole reliquie corporali che si distribuirono ai devoti : se ne con­ servano non soltanto alla Vallicella, ma anche tuttora presso famiglie private (come quella di Filippo Rocchi, archiatro pontificio). 1984 L ’abbazia cistercense dei Ss. Vito e Salvo, nella diocesi di Chieti e Vasto, dalla giurisdizione della quale dipendeva San Salvo, detta già « città regia », comune a 125 chilometri da Chieti, J anauschek , Originum cistercensium tomus I, cit., p. 247. Alla bibliografia data in quest’opera si aggiungano : F rancesco S a v in i ,

    Septem dioeceses aprutienses medii aevi in Vaticano Tabulario. Notitiae ad dioe­ ceses Adriensem, Aprutinam, Aquilensem, Marsicanam, Pennensem, Theatinam et Valvensem pertinentes ex Vaticano Tabulario excerptae ac singillatim et iuxta chronologicum ordinem concinnatae. Romae, ex Officina typographica Senatus, 1912, pp. 302, 312, 313, 319, 325, 344; e H ermann H oberg, Taxae pro communibus servitiis ex Libris obligationum ab anno 1295 usque ad annum 1455 confectis. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1949 (« Studi e testi », 144), p. 337. Per il luogo, L orenzo G iu s t in ia n i , Dizionario geograflco-ragionato del regno di Napoli, t. V il i . Napoli, 1804, pp. 220-22.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, fl. 842-843

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    come fecero, il detto anno 1599, a dì 7 di marzo, et, nell’aprire il luogo et cassa dove stava, si trovò tanta polvere, terra et ragnatelle, che, con ragione, si poteva dubitare di trovare il corpo del beato fra­ cido. Et, tanto più, quanto che il luogo dove stava, quando vi fu posto [f. 843] (che era una porta in un pilastro, che andava dalla casa in chiesa) era stata chiusa in modo, che la calce era fresca, che causò, che gli panni tutti erano andati in polvere. Ma, mirabil cosa fu, che, non solo si trovò il corpo, dopo quattro anni, o poco meno, intiero, ma con la carne che cede al tatto a chi la tocca, come io, più et più volte, ho provato, come infiniti altri. Nettato che fu il beato corpo da tanta immonditia, d’ ordine dell’illustrissimo card, di Firenze, che poi fu papa Leone XI, fu rivestito di tutto ponto, non solo di vestiti da prete ordì-, narii neri, ma di vestiti ancora sacerdotali, come quando celebrava la santa Messa, et, finalmente, per segno delFaffettione, che detto cardinale portava al beato padre, gli pose, nel deto della destra mano, un anello d’ oro con un zafiro di valuta di molti scudi, et di più fece porre, sopra il suo petto, un crocifisso d’argento sopra una croce d’hebano et con fiori di seta, fu accommodato nella cassa di cipresso, nella quale, alcuni giorni prima, era stato posto, et serrato con chiave.1985 Et così fu et è voce et fama publica. 27. Credo, che il corpo del beato p. Philippo stasse in quel luogo, così angusto, circa a sette anni, nel quale tempo il s.r Nerio Neri fece finire la capella sontuosa, col luogo conveniente per mettere il detto corpo. Quale fu portato, se bene mi ricordo, l’anno 1602, del mese di magio, su le spalle di padri di casa nostra, et io fui uno d’ essi, con molta mia consolatione, precedendo gli altri padri, con torchie accese, et molti secolari, et, finalmente, seguivano li illustrissimi cardinali Francesco Maria Tarugi et Cesare Baronio et mons. Pamfilio, auditore di Bota in quel tempo, che poi fu fatto cardinale, et riposto la cassa di cipresso nella nova capella, fabricatagli dal s.r Nero sopradetto,1986 dove sta di molto ben custodito, dove si conserva benissimo, et dove, ogni giorno, viene visitato da ogni sorte di persone. Et questo fu et è publica voce et fama, publico et notorio. 28. Quante alle virtù, mi pare che fossero talmente nel beato padre nostro Filippo, quanto io habbia mai conosciuto in altro, poiché non faceva cosa nissuna a caso, nè diceva, ma sempre mirando in Dio et nell’acquisto dell’anime. Et press’a me tenevo e tengo per cosa certa, che era arrivato a tal colmo di virtù, che era padrone delle passioni sue, dominandole a posta sua, senza difficoltà, alcuna. Et così era tenuto, come di presente è, da tutti quelli che l’hanno pratticato, come era et è publica voce et fama. 29. D e -fide. Della Fede catholica, fu sempre talmente radicata nel­ l’animo del beato p. Philippo, che maggior desiderio non haveva, che di tirare Fanime di tutto il mondo alla cognitione della Santa Chiesa Ro-

    1985 Su questa ricognizione del 1599 si veda la nota 1453. Alle descrizioni datene si aggiunge una lettera al card. Tarugi, Roma, 3 apr. 1599, che una nota del p. Francesco Zazzara dichiara scritta dall’abate Giacomo Orescenzi, cod. A. III. 52, f. 7, Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma. 1986 Si vedano le note 1509, 1598 e 1599.

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    154

    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 843-844

    mana Catholica et Apostolica. Come ne diede segno, del desiderio che haveva, quando voleva andare all’ Indie, per tirare l’anime a Christo nostro Signore, se non fosse stato ritenuto dalli servi di Dio, à quali s’era raccomandato, per sapere, se così era la volontà di Dio, come soleva fare sempre nelle attioni sue. Et, sentendo, che Dio lo voleva a Borna, dove non manca mai occasione di convertire genti oltramontane et infedeli, si fermò. Mostrò, ancora, il beato padre il gran zelo che haveva d’acquistare l’anime a Christo nostro Signore, quando, con tanta charità et amorevolezza, abracciò et accarezzò quel gran heresiarca, detto il Paleologo, che stava prigione, dove andavano tanti et tanti theologi, per convertirlo,'con argomenti et dispute, nè mai fu possibile convincerlo, come fece il nostro beato padre, che talmente lo fermò, che, inanti che morisse, detestò la sua [f. 844] mala dottrina creduta et predicata. Nè minor segno fu, della sete, che haveva il beato padre, di tirar Panime alla santa Fede cattolica, quando, con l’orationi sue et lagrime, convertì quattro giovanetti hebrei,1987 fratelli carnali, che, ostinatamente, dice­ vano voler vivere et morire nella loro Lege, dove erano nati ; et, aprossimandosi il fine di quaranta giorni, che si sogliono dare a simili, senza speranza humana, il beato padre predisse, che, in breve, si sariano resi a credere la verità: come fu, ben presto, et furono battezzati da Cle­ mente Ottavo, Panno 1592, in S. Giovanni Laterano. Et col medesimo zelo della santa Fede, indusse la bona memoria del card. Baronio alli Annali dell’historia ecclesiastica, contra alle Centurie delli heretici,1988 anzi di Satanasso, come Pistesso Baronio attesta nell’8° tomo di detti Annali. Et molti, anzi, infiniti altri segni, che detto padre santo, nel corso della vita sua, ha dato, per le molte anime, che il beato padre ha tirato alla santa Fede et cognitione del vero Iddio, che, per brevità, si lassano: come fu et è publico. 30. D e sp e. Mi pare, che il nostro beato padre Filippo fosse di gran­ dissima speranza, poiché soleva dire, spesse volte (et io l’ho sentito dire più d’una et doi volte), nei negotii et salute dell’anime et de corpi: « come io ho tempo di fare oratione a Dio, di qualsivoglia gratia, ch’io le chiegga, tengo speranza d’ottenerla ». Et, un segno grande della gran speranza, che haveva del Paradiso, soleva dire a noialtri, quando ci vedeva malenconici, per il timore, che havevamo, della perdita sua cor­ porale, massime nell’ultimi anni et mesi, diceva : « pregate per me, che spero d’andar in luogo, dove potrò aiutarvi presso il Signore Dio ». Et così fu et è fama publica. 31. D e charitate in D e u m . Io posso dire non haver mai conosciuto huomo di maggiore charità, quanto haveva il nostro beato servo di Dio Filippo, verso Dio et verso il prossimo : che uno non può stare senza l’altro. Non si stancava mai in affaticarsi, per tirare l’anime a Christo, il giorno, quasi sempre, massime la mattina (cominciando all’alba del giorno, sino al tardo, quanto poteva dire la Messa che non passasse l’hora) sempre confessava in chiesa, o in camera. Ma, per il più, stava

    1987 I Coreos-Boncompagni, sui quali le note 169, 170 e altre. 1988 per J « centuriatori di Magdeburgo », oppugnati dal Baronio senza mai tuttavia nominarli, E duard F ueter, Storia della storiografia moderna, Trad: di Λ . S p in e l l i , v . I. Napoli, R. Ricciardi, 1943 [copertina: 1944], pp. 299-318.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 844-845

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    in chiesa ; ancorché, alle volte non ci fosse gente (che poche volte acca­ deva) stava aspettando et cercando di tirare anime a Ohristo, et, per questo, sempre diceva Pultima Messa. E, doppo desinare, sempre haveva gente in camera, e, per infiammare tutti a quell’amore et carità, che egli sentiva in sè, sempre faceva legere, da alcuno, l’historie et vite di santi. Et, non solo il giorno, ma la sera, et la notte : in modo tale, che, in fatti, osservava quello, che, tante volte, gli ho sentito dire: che non voleva mai hora particolare per sè, quando poteva giovare al prossimo, servando per sè la notte, che passava, per il più, in oratione. Et, per questo, la mattina (massime nelli ultimi anni suoi) stava un poco a letto più del solito, volendo, però, che la camera, dove stava;, stasse aperta a tutti quelli che andavano. Quali confessava, stando a letto, etiam che fosse infermo ; in modo che gli medici havevano che fare, ne’ mali gravi, a poterlo persuadere che non confessasse, nè parlasse : perchè sempre parlava delle cose di Dio, osservando molto bene il detto di s. Paolo apostolo.1989 Mi ricordo haver sentito, dalla bona memoria del card. Tarugi et da altri, che, al tempo della santa memoria di Pio Quinto, erano stati messi prigioni certi zingari, a torto, nè havevano chi facesse nè parlasse per loro : il beato Filippo, mosso da carità, andò dal papa, a informarlo, e gli aiutò.1990 Il medesimo fece, al tempo della santa me­ moria di Gregorio X III, per un baricello, che fu condennato a morte : et che non fece il beato Filippo, per liberarlo, sapendo che non meritava la morte? Ma, se la carità sua non le giovò a salvare il corpo, le giovò a salvare l’anima, poiché si accommodò talmente, alla volontà [f. 845] et permissione di Dio, che lassò grandissima speranza della salute sua.1991

    1989 La citazione pare fatta « ad sensum » : si richiama forse ai noto passo, in Epistola ad Philippenses, III, 20, « Nostra autem conversatio in caelis est ». i«o per l’episodio degli zingari, accaduto nel 1570, si veda la nota 489. 1991 Questo episodio, testimoniato, per quanto risulta, unicamente dal Pateri, e in forma sommaria, quasi reticente per l’omissione dei nomi (nè si sa che lo abbiano raccolto i biografi), richiede qualche notizia illustrativa. Il bargello era Giovanni Battista Pace, di Assisi, che si era distinto sotto Gregorio X III, tra altro con la distruzione della banda di certo Ardeatino, P ietro R omano [P ietro F ornari] , Roma nel cinquecento. Ponte (V rione), pt. II. Roma, Tipografia Agostiniana, 1941, p. 40 (pp. 39-41, elenco dei bargelli e informazioni su questo ufficio). Il 26 aprile 1583, in causa dell’arresto di due banditi di Norcia rifugiati in palazzo Orsini a Monte Giordano, avvenne una furiosa zuffa davanti a S. Sebastianello, in piazza di Siena (ora S. Andrea della Valle), tra la corte del bargello e una schiera di nobili capeg­ giata da Ludovico e Raimondo Orsini e rinforzata da bravi. Caddero morti Ottavio de’ Rustici, uno staffiere e un servo dei Massimi; e di ferite morirono, poco dopo, Siila Savelli e il diciottenne Raimondo Orsini. Il tumulto che ne seguì fu gravis­ simo, per la sete di sangue che invase i nobili e il popolo contro i birri, « con occisione di birri buttati dalle finestre, calpestati dalle carrozze et ammazzati impuni, con grand’ignominia e disprezzo della giustitia », come notò il S antori. I corpi straziati e le teste sopra le picche erano portati in orrendo trionfo, dai servitori degli Orsini, a Monte Giordano (nelle immediate vicinanze, come si sa, della Vallicella). Il bargello Pace, arrestato entro qualche giorno, fuggì, travestito ; ma, perseguitato da taglia, venne catturato qualche tempo dopo e ricondotto a Roma. Fu istruito il processo, durante il quale fino il suo avvocato, Rinaldo Aguselli, non osò difenderlo « per tema de’ signori Orsini, poiché tutta Roma andava sottosopra ». Il povero bargello, continua l’austero card. G iu l io A ntonio S antori, Autobiografìa, in Archivio della Società romana di storia patria, X III, 1890, p. 155, « abbandonato da tutti, con un memoriale fece ricorso a me, acciò, come protettore della carità [la Compagnia della Carità, che aveva appunto tra

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    156

    7 maggio 1610, [304] Pompeo Pateri, f. 845

    Et quant’altri essempii si potriano adurre, tanto di condennati alla giustitia, quanto a quelli che morivano ne i letti loro : che, per carità, stava le giornate et le notti ad aiutarli a ben morire; et, a questo offitio di carità, essortava li alunni suoi a essere pronti et solleciti : come fu et è publica voce et fama. 32. D e oration e et con tem plation e. Quanto all’oratione et contempla­ tione, si può veramente dire, che tutta la vita del beato Filippo fosse una continua oratione. Infinite volte, ho sentito dire, dal p. Francesco Maria Tarugi, et da altri padri di casa, et gentil’huomini, in diversi tempi et occasioni, che cominciò da giovanetto, poiché lassò li studii, per atten­ dere all’oratione. Et, per meglio unirsi con Dio, s’allontanava dal com­ mercio delli huomini, et se n’andava per le Sette Chiese, et, alle volte, pernottava sotto i porticali delle chiese, et, alle volte nel cemeterio di Callisto. Nè mai si satiava d’orare e contemplare. Et tanta era la dol­ cezza, che sentiva in tale essercitio, più presto d’angeli che d’huomini, che procurava, per quanto poteva, che tutti si dessero a questa oratione. Et, per questo, in quel tempo, procurò (per quanto ho inteso più volte dal card. Tarugi et da altri) insieme con m.s Persiano Rosa, che s’isti­ tuisse la compagnia della Santissima Trinità, et che, ogni prima dome­ nica del mese, si facesse l’oratione delle Quaranta hore, che non si sole­ vano fare. Nelle quali il beato padre vi pernottava, le notte intiere, invitando et esortando, con l’essempio, più che con le parole. Et perchè non sempre si può stare, qua giù, atualmente in oratione, soleva, con orationi iaculatorie, mantenere la mente sua, per quanto poteva, unita con Dio. Et a questo, di continuo, invitava et esortava li suoi figlioli spirituali, che pensassero d’havere sempre Dio inanzi li occhi. Et questo fu sempre, com’è hoggi, noto et publica voce et fama. 33. È cosa nota, a tutti quelli che pratticavano il nostro beato Filippo, del dono delle lacrime, ch’haveva. Intanto, che si faceva gran forza, a poter celebrare la santa Messa in publico, come sempre disse in chiesa, per fuggire la singolarità. Ma, negli ultimi anni della vita sua, hebbe gratia, dalla bona memoria di Gregorio X IIII, di poter celebrare, priva­ tamente, in un oratorio, dove, per il più, celebrava solo (eccetto quello, che lo serviva et alcuni più intrinsechi) per poter stare più a gustare et contemplare, con copia di lacrime, quel tremendo Sacrificio. Ma nel ricevere il sacratissimo Corpo et Sangue di nostro Signore, che tanto gustava, non voleva che ci restasse nissuno, dall’ « Agnus Dei », sino

    i suoi fini la difesa dei prigionieri], lo facessi difendere per giustitia. Nè io mancai del debito che conveniva, facendo pigliare il processo per farlo studiare ... ». Ma il papa, « non senz’alta maraviglia e scandalo del sacro collegio », ordinò che il Pace venisse decapitato. Il 14 giugno 1583, la sua testa, troncata la notte in prigione, stette per tre ore esposta in Castel Sant’Angelo, sopra un panno nero, in mezzo a due torcie. Il triste fatto è narrato, sulle fonti, da D omenico G n o l i , Vittoria Accor amboni, storia del secolo xvi ... corredata di note e documenti. Firenze, succ. Le Monnier, 1870, pp. 152-68; e, con qualche altra indicazione, dal P astor, v . IX, p. 781. Una rievocazione ne ha fatto, di recente, G ustavo B rigante C olonna , Il bargello che fu decapitato per aver fatto il proprio dovere, nella rivista Semaforo, V II, num. 4, apr. 1956, pp. 6-7. La deposizione del Pateri, sebbene non particolareggiata quanto si sarebbe desiderato, mostra F. impavido nella tentata opera di giustizia e sollecito confor­ tatore del misero condannato.

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    7 maggio 1610: [304] Pompeo Pateri, ff. 845-846

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    eh’haveva assonto il santissimo Sacramento; dove stava l’hore: quando doi, quando più e meno. E, inanti che andasse all’altare, quando cele­ brava in publico, mentre si vestiva, in sacrestia, per la celebrazione, cercava di fare o dire qualche cosa, per divertire alquanto la vehementia dello spirito. Et, quando era all’altare, s’affrettava, per abreviare, et, alle volte, si tirava la barba, per reprimere il fervore, che le causava lagrime, per la dolcezza, che sentiva, in trattare et ricevere quel sacra­ tissimo Sacramento. Mi ricordo, più volte, haverlo visto piangere, quando parlava delle cose d’ iddio, massime della Passione. Et, una volta tra l’altre, in chiesa nostra, salì sopra al banco, dove si fanno li sermoni (non mi ricordo l’anno) 1992 et, entrando a parlare della Passione del Signore nostro Giesù Christo, fu forzato scendere, per la vehementia delle lacrime: cosa, che fu notata da tutta l’audienza, che restò componta e ammirata. Era tanto il fervore et fuoco dell’amor di Dio, nel petto del beato p. Filippo, che, nel parlare delle cose d’iddio, nel far oratione, in qualsivoglia luogo, che faceva tremare, non solo le sedie, dove stava, ma il letto, dove stava appogiato, o a giacere, a certe [f. 846] hore. Et questo gli aveniva, quasi sempre, quando dava l’assolutione a suoi penitenti, che soleva porli le mani in capo, con quel tre­ more, che dava grandissima compontione: come io (benché con poco frutto) l’ho provato, per tanti anni. Il medesimo aveniva agli ammalati, dove era, ogn’hora, chiamato, tanto a’ poveri, come ricchi et grandi. Come gli haveva detto qualche cosa, faceva ingenocchiare tutti, dicendo : « facciamo oratione », et egli li metteva le mani in capo : et, in quel atto, si vedeva et si sentiva tremare, in modo, dalla vehementia dello spirito, che faceva tremare le lettiere, per grandi et forti che fossero. Et io, per gratia di Dio, l’ho provato: essendo infermo grave et con pericolo, l’anno del 1580 di dicembre, se ben mi ricordo, il beato padre mi visitò, un giorno, tra li altri, alle 24 hore, et, ponendomi quelle sante mani in capo, et con una breve oratione, et tremando, mi sanò miracolosamente, come dirò più di sotto, nelli miracoli. Et questo è et è stato publico et notorio. 34. E s ta s i et ra tti. Dell’estasi et ratti, si può dire che il beato p. Fi­ lippo fosse, quasi sempre, in astratto ; et si conosceva chiaramente, che si faceva violenza, per deviare la vehementia dello spirito. Ma, partico­ larmente, quando haveva finita la santa Messa, si vedeva tornare alla camera sua, tanto astratto, che a pena conosceva quelli, che incontrava. Et questo fu sempre et è publica voce et fama. 37. D e charitate erga p ro xim u m . Era tanto il zelo et carità verso il prossimo del beato Filippo, che non pensava, dì et notte, in altro, che in tirare l’anime al Signore Iddio, come ho detto sopra. Non solo per mezo delle confessioni, nelle quali spendeva, ogni dì, dall’alba sino al tardi, quanto si poteva tardare alla Messa, che sempre diceva l’ ultima, et bisognava che fosse gran cosa, che lo levasse dal confessionale. Inoltre, andava pensando a certi tempi, che il demonio suole far magior acquisto d’anime, come al carnevale. Trovò il beato p. Filippo una santa et divota inventione, per fugire l’occasioni: faceva uno invito alle Sette Chiese,

    1992 Dovette essere circa il 1590, come già detto nella nota 1857.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, fl. 846-847

    in quei giorni, dove, ogni anno, andava, con circa a mille persone. Quali andavano, con tanta divotione et ordine, che, per la strada, da tutti unitamente, s’andava cantando litanie, salmi et lode spirituali. Et, gionti a S. Stefano Rotondo, manti d’andare a S. Giovanni Laterano, si cantava Messa solenne, con musica di voci et instrumenti diversi, per dar tempo, che si potesse riconciliare il popolo, per fare la Commu­ nione. Quale sempre era di seicento o settecento persone, et, l’ Anno Santo del 1575 (che fu la prima volta, ch’io mi trovai a tal convito spi­ rituale) credo che fossero alla Communione circa a ottocento persone, alle quali si faceva un sermone. Finita la Messa, s’entrava in una vigna vicina,1993 dove si faceva una breve et parca colatione ; poi si seguiva a S. Giovanni, le Scale Sante et il resto delle chiese, in modo, che vi si metteva tutto il giorno. Un altro giorno, havria invitato a S. Maria degli Angeli, et là si facevano sermoni et si cantavano laudi spirituali. Et, a questa .foggia, faceva passare il carnevale, con acquisto di molte anime, poiché, nell’andare et tornare da tali essercitii, sempre s’accompagna­ vano molti, et, chi per curiosità, et chi per la novità della cosa, restavano presi, et si davano in preda al beato p. Filippo. Era tanto l’ardore, che detto beato padre haveva della salute dell’anime, che, legendo le lettere che venivano dall’Indie,1994 si risolse d’andare in quella vigna, a semi­ nare il verbo di Dio, con alcuni suoi alunni. Et, come che non soleva mai fare cosa d’importanza senza oratione et consigli, andò alle Tre Fontane, dove era un padre cisterciense di molta bontà et spirito, et credo si chiamasse il p. Agostino Ghettini, per quanto mi ricordo havere sentito dire dalla bona memoria del card. Tarugi. Qual padre, doppo fatta oratione, disse al beato padre, che la volontà d’iddio non era, ch’andasse a quelle Indie lontane, ma che restasse [f. 847] all’ Indie di Roma, dove concorre tutto l’ universo, et dove si può far cosa tanto grata a Dio, quanto che il bene, che si fa a Roma, si può dire che ne partecipa tutto il mondo. Come, in effetto, s’è visto e si vede, che l’instituto, fondato da detto beato Filippo, della parola di Dio quotidiana, oltre all’altri esser­ citii, quante anime si sono convertite, come sanno tutte le religioni, dove ne sono entrati tanti, et ogni dì n’entrano ; et in quanti luoghi si sono introdotti, et ogni dì s’introducono, tali essercitii, tanto necessarii al mondo, della parola di Dio, in quell’hore del mezo giorno. L’anno pas-

    1993 La vigna Mattei, ora villa Cellmontana, o la « vigna de Massimi rincontro S. Stephano Rotondo », f. 20 : come già avvertito nella nota 1862. 1994 prima della famosa visita alle Tre Fontane, che pare sia avvenuta avanti il 6 nov. 1556 (si confronti la nota 1656), F. poteva avere veduto qualcuna di queste edizioni romane: Avisi particolari delle Indie di Portugallo (per Valerio e Luigi Dorico, 1552), Nuovi Avisi di piu lochi de VIndia et massime de Brasil (per Antonio Biado, 1553), Avisi particolari delle Indie di Portugallo (apud Antonium Bladum, 1556) o altra edizione, quasi identica, dell’ anno stesso, R obert Streit , Ο. Μ. I., Bibliotheca missionum, 4. Bd. Asiatische Missionsliteratur 1245-1599. Aachen, Aachener Missionsdruckerei, 1928 (« Veroffentlichungen des Internationalen Insti­ tuts für Missionswissenschaftliche Forschung »), p. 177, n. 669; p. 193, n. 742; pp. 207-08, nn. 805-806. L ’« Inventarium bonorum » registra : « Novi advisi del India », f. 16 v. ; « Bre­ vissima relation della instruction de las Indias », f. 14. E, inoltre, a comprovare l’interesse di F. per le missioni: « L.re dal Giappone», f. 16; e «Historia della China di Gonzalez », f. 13.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, f. 847

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    sato, andando io alle Sette Chiese, con alcuni di nostri padri, il giovedì doppo Pascha di Resurretione, doppo essere stato un pezzo nella chiesa di Ss. Vincenzo et Anastasio alle Tre Fontane, parlammo con un vene­ rando padre vecchio assai, che era priore di detto monasterio, quale fu discepolo del sopradetto p. Agostino Ghettino ; et ci disse, che si ricor­ dava, quando il nostro beato padre andò dal suo maestro, per aiuto d’oratione et conseglio, se doveva andare all’ Indie, et della risposta, che le diede. Et questo fu et è vero et publica voce et fama. 38. D e caritate erga p r o x im u m , in his quae ad corpus p ertin en t. Gran charità era quella, che il nostro beato p. Filippo haveva verso il pros­ simo, infermo et sano. Egli rinovò questa santa opera, quasi scordata in quei tempi, di servire all’ammalati nelli hospedali, dove andava, con tanta sollecitudine, con suoi alunni, et charità, che col servire et esortare li poveri infermi, con parole pie et devote, molti d’essi, componti, risa­ nati che erano, si davano al medesimo essercitio di charità; et altri, che stavano in stato di morire, erano aiutati et confortati, a quel passo tanto pericoloso. Et, una volta, occorse al card. Baronio, mentre era giovine, che studiava (dal quale l’ho sentito dire) che, non havendo potuto, una mattina, andare, come soleva ogni giorno, all’hospedale di S. Spirito, vedendolo il beato p. Philippo, gli disse : « va’ all’hospedale ». Andò il buon giovine et, entrando nell’hospedale, dove tutti riposavano, per essere l’hora tarda, vide un infermo, che moriva, senza havere chi lo confortasse, nè che l’esortasse alla Confessione, in modo che moriva disperato. Et, con l’oratione del beato padre, che l’haveva mandato, et l’esortatione, che le fece, dispose il moriente alla Confessione et altri Sacramenti, in modo che morì,1995 con lasciare speranza della salute sua. Mi ricordo, ancora, d’haver sentito dire, dal sopradetto card. Tarugi, delli aiuti, che il nostro beato padre dava a poveri gioveni studenti, massime forestieri. Et, tra l’altri, raccontò, che, capitando il· card. Sirleto, di bona memoria, a Roma, giovanetto, « in minoribus », et man­ catoli li denari, pativa del necessario, come forastiero et lontano dalla patria sua. Il beato padre, prevedendo, forse, in spirito, che quel giovine doveva, con le virtù sue, ascendere, alla dignità, dove ascese, non havendo danari, per soccorrerlo, vendè li libri,1996 per zelo della charità. Et questo fu et è publico et notorio, publica voce et fama. 39. D e pru d en tia e t d iscretion e sp iritu s. Tra l’altre grafie insigni, che hebbe il nostro beato p. Filippo, fu la prudenza e discretione di spi­

    1995 JJ Baronio in persona depose questo fatto, il 1° sett. 1595, ft. 111-112 ; altro simile si trova narrato come accaduto al Tarugi, f. 520, e cf. nota 1329. 1996 Si legge anche nel terzo processo, cod. A. IV. 1 dell’Archivio della con­ gregazione dell’Oratorio di Roma, f. 156 v : « ... et ho sentito dire, dalli cardinali Baronio e Tarugio, che, una volta, non havendo altro, vendè alcuni libri, per dar elemosine et aiutare il card. Serleto, quando era giovane et haveva bisogno ». Manca la data del fatto, ma questo si può collocare tra il 1540, quando il Sirleto arrivò a Roma, e il 1545, quando egli, a cominciare dal marzo, ebbe assegnati quattro ducati d’oro al mese, quale « deputato a tradurre di greco in latino » a servizio del Concilio : In quegli anni si era industriato con l’insegnare ai « putti » e rivedere stampe per i tipografi, P aschini, « G. S. prima del cardi­ nalato », nel volume Tre ricerche sulla storia del cinquecento, cit., pp. 157, 164-68. Al tempo in cui usò quella carità al Sirleto, suo coetaneo anzi maggiore a lui di un anno, P. era quindi laico. Si veda anche la nota 1680.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 847-848

    riti. Et era tale, che, quasi del continuo, andavano persone, per conseglio per negotii, o per far risolutione della vita loro. Et con tanta maniera et prudenza procedeva, tanto con grandi, come con mezzani et inferiori, che con tutti s’accommodava et sodisfaceva a tutti. Et, a questo propo­ sito, oltre all’infiniti casi occorsi, che si potriano dire, dirò solo questo, che mi disse, un anno fa, il s.r Thomaso Minerbetti,1997 auditore della s.ra Fulvia Sforza.1998 Mi raccontò, che, essendo giovinetto, venne a Roma, con un compagno di studio 1999 (se ben mi ricordo) per far risolu­ tione della vita loro ; et, sentendo la fama della santità del beato p. F i­ lippo, andorno per conseglio. Et, vedendoli, disse al sopradetto s.r Tho­ maso : « che pensi di fare? » « Vorrei farmi prete ». Rispose il beato padre: «non [f. 848] ti farai prete, ma pigliarai moglie». Voltosi all’altro, che le disse haver animo di farsi monaco di s. Benedetto, rispose il beato padre: « anderai monaco, ma non persevererai ». Et così seguì, nell’ uno et nell’altro. Delli tanti et tanti, che il beato padre consigliò a entrare nelle religioni diverse, tutti hanno perseverato ; et quelli che, con­ tra il suo parere, facevano simili et altre risolutioni, non riuscivano ; più et più volte, n’ho sentito parlare dalli padri nostri vecchi di casa, quando si parlava di quelli, che entravano in religione. Et questo fu et è voce et fama publica. 40. D e sim p licita te. Haveva il nostro beato p. Filippo la semplicità, accompagnata con la prudenza, in alto grado, et, per questo, era tanto grato a principi et altri, che tanto si godevano di trattare e conversare seco. Poiché mai fu sentito dire una cosa per un’altra, parlava sempre bene de tutti, interpretando ogni cosa in buona parte. Nel vestire, andava tutto alla semplice, fugendo sempre et nascondendo questa virtù, per quanto poteva, come l’altre, et a questa virtù essortava sempre gli alunni suoi ; quali soleva riprendere molto, quando havesse conosciuto uno, che dicesse una bugia o copertamente. Et questo fu sempre et è publica voce et fama. 41. D e hum ilitate. Il studio dell’humiltà fu sempre principale nel beato p. Filippo, intanto che, quando gli veniva detto, che, per l’orationi sue, tale e tale era guarito da qualche infermità grave, o che si fosse emendato della vita passata, o qualsivoglia altra cosa, che ogni dì le passava per le mani, rispondeva a tutti, che la fede loro haveva ottenuto la gratia, et, quanto a sè, che era il più infimo huomo del mondo. Et quando, alle volte, pur sopra queste cose gli veniva parlato, diceva, che è magior gloria di Dio, quando si fa qualche cosa di buono,, per mezo d’instrumenti bassi. Come quando gli parlavano alcuni del frutto, che si sentiva dell’instituto dell’ Oratorio, che, in diversi luoghi, s’andava propagando (dove, ogni dì, si tratta della parola di Dio, et si fa ora­ tione: del quale ne fu autore il beato padre) rispondeva, che egli non hebbe mai intentione di fare nè fondare tal opra, ma la maestà di Dio, che vedeva il bisogno, che haveva il mondo di tal instituto, operò tal-

    1997 Tommaso Minerbetti comparve già come teste al processo il 20 apr. 1610 (278), raccontando con molti più particolari la predizione che segue. 1998 Fulvia Conti moglie di Mario Sforza di Santa Fiora, già ricordata nella nota 1745. 1999 Era Pietro Antonio Morelli, come il Minerbetti stesso narrò, f. 714.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri. £E. 848-849

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    mente, che, senza sua industria nè sapere, s’incaminò. Quando andavano, dal beato p. Filippo, religiosi et altre persone di santità di vita e dot­ trina, mai parlava di spirito, nè di lettere, ma di cose semplici et indif­ ferenti, per coprire la santità e dottrina sua ; e, quando occorreva, dava saggio di sè, tale, che ben scopriva quanto sapeva. Come, una volta, tra l’altre, in S. Giovanni de Fiorentini, dove stavamo, l’Anno Santo del 1575, si trovò mons. vescovo d’Aleria, che poi fu et morì vescovo di Pavia, chiamato Alessandro Sauli,2000 che fu della Congregatione di S. Paolo Decollato, huomo di santità et dottrina. Stando, dunque, in conversatione, doppo desinare, entrorno in disputa detto monsignore et il beato padre nostro nelle cose theologiche, che detto monsignore ne restò molto maravigliato, havendo sentito dire della santità, ma non della dottrina. Et, nel fervore della disputa, con bellisima maniera, si retirò, dicendo, che si rimetteva a quelli, che erano presenti, di casa, che studiavano theologia : cosa che non faceva esso. Nè minor saggio dava della dottrina sua, quando, nei raggionamenti et sermoni, che si facevano all’oratorio, a quali sempre assisteva, per tanti e tanti anni, se occor­ reva, che alcuno entrasse nelle cose scholastiche (nelle quali non voleva, che se c’entrasse, se non quanto era, alle volte, necessario : dicendo, che quel luogo non era per le cose scholastiche, ma per imparare l’acquisto delle virtù Christiane et fugire li peccati, et che, chi voleva dottrina, non mancavano le scole et cathedre, dove si poteva andare) sentendo, donque, quelli che, accidentalmente, toccavano cose theologiche, gli mortificava, et li faceva scendere dalla sedia, dove ragionavano, ancorché fosse nel mezo del ragionamento et, voltatosi a qualche persona insigne di dottrina, come spesso soleva essere (quando [f. 849] padri della Minerva, come il p. maestro Paolino da Lucca, il p. Alessandro, detto l’Hebraino, quando cappuccini et quando altri) proponeva il beato p. Filippo qualche ponto, sopra alla materia, che haveva toccato quel padre, ch’haveva ragionato, fatto scendere dalla sedia et, con brevità, si discorreva sopra al ponto et si dechiarava, non potendo fare, che il beato padre non mostrasse l’intelligenza, ch’haveva in tutte le cose. E, molte volte, l’ho sentito dire a giovani : « beati voi, che sete giovani, che potete fare del bene : cosa, che non ho mai fatto io ». Quando stava malato, soleva dire: « Signore, s’io risano, voglio cominciare a far qualche bene ». Poi sogiongeva « non mi fido, Signore, più di me, ma mi dispero, poiché, tante volte, ho promesso et mai ho cominciato ; se non m’aiutate, Signore, mai farò cosa buona ». Et, spessissime volte, si raccomandava all’orationi delli suoi figlioli spirituali, et, molto più, alli estranei, sempre con la mira di

    2000 Alessandro Sauli, patrizio genovese, nato nel 1534, a Milano; nel 1551 entrò nella congregazione di s. Paolo, detta dei barnabiti (dalla chiesa di S. Bar­ naba, in quella città), della quale fu fatto proposto, nel 1567, a trentaquattro anni; il 10 feb. 1570, venne preconizzato vescovo di Aleria in Corsica, da s. Pio V, e consacrato il 12 marzo, a Milano, da s. Carlo Borromeo ; traslato a Pavia, nel 1591, morì Γ11 ott. 1592, a Calosso d’Asti, durante la visita pastorale. Fu canonizzato nel 1904, da s. Pio X , P rem o li , Storia dei barnabiti nel cinquecento, cit., pp. 131-33, 158-64, 208-10, 230-35, 343-45; B offito, Scrittori barnabiti,' cit., v. I I I . Firenze, 1934, pp. 412-40. Non si sa che il grazioso aneddoto sia noto ai biografi del Sauli e di F. Intermediario della relazione tra i due si può pensare sia stato s. Carlo Borromeo. li

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 849-850

    coprire la gioia dell’humiltà. Et, quando s’accorgeva, che, per haver fatto, o detto cosa di profitto all’anime et edificatione del prossimo, dove ne potesse haver lode, diceva o faceva qualche cosa, ch’ era giudicata inetta, et tutto faceva con una semplice prudenza. Et quante volte era, dall’huomini, che giudicano solo l’esteriore, giudicato huomo ordinario, et se ne burlavano. Ma, quando consideravano bene l’attioni sue, resta­ vano convinti et presi dall’amor d’iddio et dalla santità del servo suo Filippo. Non voglio lassare di dire quello, che occorse, una volta, me presente: stava il s.r Fabritio de Massimi, romano, suo penitente, tra­ vagliato acramente, da persona grande et potente, criminalmente, a torto, come n’era certo il beato padre. Quale, come pieno di carità et compassione, si mosse ad andare a parlare al prelato,2001 che era il pre­ sidente di quel tribunale, che vedeva lui la causa. Quale era talmente male informato, che, non solo, non diede orecchie alla verità, che le voleva dire il beato padre, ma non volse sentire le ragioni, et lo trattò molto male di parole. Et non fu tanta la meraviglia, ch’io hebbi, in vedere et sentire, che un prelato, tanto grande per l’offitio ch’haveva, trattasse et strapazasse un padre di tanto honore et credito, quanto era conosciuto, non solo da tutta Roma, ma dall’istesso pontefice di quel tempo; non fu, dico, tanto l’horrore, ch’io sentii, quanto fu l’humiltà del beato padre nostro Filippo, quale, quanto più il prelato lo scherniva a un certo modo, tanto più il servo di Dio si humiliava, non facendo stima dell’ingiurie, ma si bene della persecutione, che veniva fatta al sopradetto gentil’ huomo innocente, come poi fu conosciuto et giudicato per tale. Et questo fu et è vero, per publica voce et fama. 42. D e m undi con tem p tu et am ore p au p erta tis. Fu tanto amatore della povertà, quanto, da giovinetto, sprezzò la patria, la casa propria, et l ’heredità di 15 mila scudi d’ un suo zio,2002 che stava a San Germano. Et io l’ho sentito dire, infinite volte, che desiderava, con tutto il cuore, d’arrivare a tanta povertà, per amor di Christo, che havesse bisogno d’un giulio. Et questo mostrò, tutto il tempo della vita sua, non solo nel vestire et vitto, tanto parco, ma nelle camere sue, quali stavano così abiette, quant’ erano piccole; et, se qualche cosa c’era di bono, gli era donato da persone, che non potevano far altro. Et questo fu sempre vero, come è notorio et publica fama. 43. D e m ortificatione. Stava il beato padre nostro talmente alla guardia di se stesso, che non perdeva mai occasione, che se gli offerisse, per mortificarsi et vincere se stesso. In modo tale, che egli era tanto essercitato, in questa virtù della mortificazione, che era veramente pa­ drone di se stesso. Soleva dire a suoi figlioli spirituali, che attendessero a cattivare la rationale, etiam nelle cose piccole, se volevano vincer le grandi, et far profitto nella via dello spirito. Et questo fu et è vero et notorio. [f. 850] 44. D e m agnanim itate et fiducia in D eu m . Fu tanta la fede, che il servo d’iddio Filippo haveva in Sua Divina Maestà et la magnanimità d’animo, quanto si può considerare da doi cose sole, che dirò, lassando le

    2001 Era Orazio Borghese, come riferì il teste Orazio Ricci, comparso succes­ sivamente, il β lu. 1610 (348), narrando il fatto con più particolari, f. 1028. 2002 Su questo parente Romolo, cugino del padre di F., si veda la nota 452.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, f. 850

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    molte altre, che se potriano dire. Gran fede hebbe il beato p. Filippo in por mano a far una chiesa, in mezo a Roma, et nel più habitato, tanto magnifica, senza haver speranza nè fondamento humano, se non in Dio. Et, quando fu finita, diceva, che, se fosse bisogno, per 1’honor di Dio et salute dell’anime, che confidarebbe in Dio, di farne una altra maggiore. Gran fortezza d’animo mostrò, quando un signore grandea lo minacciò d’ammazzarlo, s’andava più a visitareb una signora grande, sua zia, che stava gravissima inferma, per il sospetto ch’haveva, che il beato padre non andasse più per la robba, che per l’anima sua. Per il che fu pregato il beato padre, da suoi alunni et da molti gentiPhuomini, che conoscevano la qualità del signore et la potenza sua, che volesse astenerse d’andare a pericolo tanto manifesto. Rispose a tutti, che quella anima era costata cara a Dio: per il quale non voleva temere le minaccie d’ un huomo, benché potente, giovine et sano, quale saria morto prima della vecchia et grave­ mente inferma. Et così fu: risanò la signora, quale sopravisse molti anni, et il signore,' ch’era sano, all’improviso, se ne morì in pochi giorni.2003 Molti anni sono, fui mandato, molte volte, fuori di Roma, per alcuni negotii della nostra Congregatione, di tanta importanza, che meritavano altri sogetti che non ero io: che, solo a pensare hora, li pericoli, ch’io passai, et le difficoltà, stupisco et ne tremo. Et, mentre mi scusavo, di­ cendo quello, che era verissimo, che non ero atto a tal negotii, mi rispon­ deva il beato padre : « va’ , fidati in Dio et non discorrere, che ogni cosa passerà bene ». Et tanto si verificò questo, quanto che sanno li padri di casa nostra che', non ostante li contrasti, anzi, minaccie, non solo da persone ordinariè, ma da persone grandi, in temporale et spirituale, con il tempo, s’ottenne tutto quello, che giustamente si pretendeva, nè con altro agiuto, nelle difficoltà et pericoli, ne’ quali mi trovavo : 2004 solo che mi raccomandavo all’ orationi del santo padre, et, subito, mi riuscirno le cose in modo, che ne restai maravigliato. Et questo fu et è vero, notorio, e publica voce et fama. 45. D e p en iten tia et abstinen tia. Mi son trovato, infinite volte, a vedere quando voleva il beato padre cibarsi, cioè, quando gli portava quello, che n’havea cura. Yiddi, che, la mattina li portava un poco di

    a Seguiva qui : « sig. Giulio Colonna », poi accuratamente cancellato a penna. *> Seguiva qui : « la sig.ra Lavinia della Rovere » ; poi, tutto fu cancellato e, fra le righe, fu scritto, invece : « una signora grande ». c Seguivano alcune parole cancellate a penna ed illeggibili ; poi, « come so di certa scientia, se n’andò sano » ; poi, di nuovo, altre parole cancellate con maggior cura, forse : « Palestrina, dove ». Invece di esse, fu scritto, fra le righe : « ,ch’era sano, ».

    2003 Signiflcante, tra gli altri esempi offerti dal processo, è questa velatura di nomi, per riguardo a persone e famiglie potenti : qui, evidentemente, i nomi erano stati dichiarati dal teste, e vennero poi cancellati nel resoconto (ma nella depo­ sizione del Pateri al terzo processo, in data 6 ag. 1610, i nomi stessi ricompariscono). Sul fatto e i personaggi si veda la nota 172. 2004 Come già avvertito nella nota 1230, per un luogo similmente reticente e indeterminato della prima deposizione del Pateri, il teste deve riferirsi all’affare dell’eredità di Fabrizio Mezzabarba.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, fl. 850-851

    pane et un poco d’acqua avinata ; et, la sera, un’insalata et doi ova et qualche frutto. Carne, latticinii, nè pesci, mai, nè minestre; mangiava solo, se non alle volte (che era rarissimo) per tirare qualche anima a Chri­ sto, et, in tal occasione, fugiva, quanto poteva, la singolarità, gustando sobriamente carne et altre cose. In modo tale, che gli medici attestavano (massime negli ultimi anni) che, humanamente, non poteva vivere, con così poco cibo. Et se, alle volte, per obedire a medici, mangiava qualche cosa di sostantia, si lamentava, per un pezzo, che gli faceva male. In modo, che il nostro beato p. Philippo, in mezz’a Roma et tra gli huomini, fece vita heremitica. Et questo fu et è vero publico et notorio, publica voce et fama. 46. D e m ansuetudine et patientia. Ho sentito, più volte, dire della mansuetudine et patientia del beato padre nostro Philippo, dalla bona memoria del card. Tarugi et da altri, nelle persecutioni, derisioni, ingiu­ rie et villanie, che gli furno fatte, non solo da persone grandi et superiori (uno de quali fu il card, di Spoleti, vicario, all’hora, di sua santità, quale fu da Dio castigato di morte repentina) ma,da persone basse, che, in quel tempo, stavano nella chiesa di S. Girolamo, dove stava il beato padre, cioè sacerdoti apostati, [f. 851] che non lo potevano vedere. Quali poi, componti dalla longa patientia, che viddero nel servo di Dio, gli dimandorno perdono. Qual trovorno tanto pronto, in abbracciarli et perdonarli, che gli restorno devoti et affettionati. Nell’infermità, poi, ch’haveva il beato p. Philippo, le tolerava con tanta patientia et fortezza d’animo, ch’io stupivo, fra me stesso, che, per gravezza di male che havesse, non restava mai di ricevere le visite di tutti, con la solita sua hilarità et allegrezza, senza parlar di male, nè di dolore, se non quanto non poteva fare di manco, per rispondere, massime, a persone di qua­ lità. Et quello che più m’accresceva il stupore et meraviglia era, che, se bene, molte volte, era gravissimo et pericoloso di morte, nondimeno par­ lava con la solita sua voce ordinaria, come se fosse stato sano : cosa, che, per l’ordinario, non fanno gl’infermi gravi et, molto più, li gravissimi, che a pena possono parlare. Et questo è stato et è vero, notorio, et publica voce et fama. 47. D e o led ien tia . Dell’obedienza, virtù tanto principale, il nostro beato p. Filippo ne diede essempio con fatti, come n’ essortava gli suoi alunni, dicendoli, che non c’ era cosa più pericolosa della vita spirituale, che volersi regere di proprio parere ; et, per il contrario, non c’è cosa che più assicura l’attioni, et che tagli più i lacci, che tende il demonio, che fare la volontà d’altri. Come sempre osservò il beato padre, nelle cose gravi, che le passavano per le mani, non le faceva mai di suo parere, ma sempre col conferire con huomini spirituali, acciò ne facessero oratione ; et, poi, s’acquetava più al parere d’altri, che al suo. Et quando era chia­ mato, da sagrestani o chierici, a dire la Messa, lassava ogni cosa, sino all’oratione, et, subito, andava. Nelle malatie, poi, ancorché non fosse avezzo, in sanità, a mangiare carne, con tutto ciò, non replicava a medici il pigliare pisti et altre cose. Et questo fu sempre noto et publica fama. 48. D e virginali ca stita te. Dal principio, che nostro Signore Iddio mi fece gratia, ch’io capitassi alle mani del nostro beato padre, sempre sentivo dire della verginità et pudicitia sua, come veramente si scorgeva nel viso : anzi, si sentiva proprio odore di castità et purità, quando, per

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 851-852

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    riverenza, se li basciava la mano. Nel parlare, mai, da quella santa bocca, fu sentito parola, che potesse offendere un tantino, in questo genere. Ammalato, poi, per rimedii che gli si facessero, sempre, con tanta honestà, che mai si lassava vedere parte nissuna del corpo scoverta, se non per cose, che non si poteva far di manco, come per medicare rottorii, o ontioni allo stomaco et simili cose ; l’altre, sempre al coperto. Et io posso dire quello, che, in fatti, pratticai, con molta mia ediflcatione et ammiratione. Stando indisposto il beato padre, che ancora stava in S. Girolamo, d’ un cattarro, che le dava molto fastidio, li medici gli ordinorno, tra l’altre cose, che se le facessero le fregationi, cominciando alle coscie et tirando in giù alle gambe. Et, per mia bona ventura, toccò a me a farli quelle fregationi, per molti giorni ; nelle quali osservavo, con quanta honestà et modestia stava, senza mai lassarsi vedere manco un piede. Et, non solo non sentivo fatica (perchè si durava buon spatio di tempo) ma consolatione, toccando quelle virginee carni, che erano apunto come quelle di un figliolo di tenera età. Quando il beato padre non poteva cossi star assiduo, a certe hore, in chiesa, alle confessioni (che fu dalli doi ultimi anni in circa) confessava in camera, continuamente, gli huomini: come fece sino all’ ultimo giorno, et quasi che all’ ultime hore, come, a due, tre o quattro hore inanzi che morisse, confessò in camera. Distribuì tra le persone di casa le tante persone, che confessava ; et, tra l’altre donne, che ordinò si confessassero da me, fu un’honorata donna, chiamata mad.a Fulginia,2005 [f. 852] già decrepita, quale mi diceva, che s’era confessata dal beato padre da trenta anni et più, et che, per tanti anni, mai gli usò, se non parole più presto aspre, che altrimente. Et questo usava con tutte le donne; et così esortava gli alunni suoi, per fuggire tutte l ’occasioni et insidie del demonio, dicendo che, con brevità, si spedissero. A un proposito, mi disse, una volta, che mai haveva toccata donna. Et questo è vero et publico. 49. D e diligen tia et p ersevera n tia. Io posso dire non haver mai cono­ sciuto huomo più fermo, nè più stabile, come fu il nostro beato padre Filippo, quale, doppo che conobbe la volontà del Signore essere, che stasse in Roma, ad acquistare anime (et non all’Indie, dove haveva pen­ siero di andare, come ho detto di sopra) mai uscì dalle porte di Roma, nè alla patria, per morte del padre, nè per robba, nè per pigliare qualche poco di esalatione, ma sempre fermo, solo che alle Sette Chiese. Et, con grandissima diligenza et assiduità, stava al confessionale in chiesa, et, quando stava infermo, se non era impedito da medici, non restava mai di confessare gli huomini, massime gli sacerdoti et giovani. A quali soleva dire, spesso, che avertissero a non tralasciare mai gli essercitii spirituali, per piccoli che siano. Non solo sino all’ ultimo giorno della vita sua confessò, ma l’ultima hora, quasi, come ho detto di sopra. Et alli sermoni, moltissimi anni, perseverò ad assistere, ogni giorno, senza mai mancare, per occasione alcuna, se non era per infirmità sua grave, o d’altri, che non patisse dilatione ; all’hora et in tal caso, non abban­ donava mai, sino che essalavano le anime. Della perseveranza nel rigore

    2005 Fulginia Anerio, teste il 20 ott. 1595 (95), e morta il 1° genn. 1599; sulla quale la nota 828.

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, fl. 852-855

    della vita sua, per tante decine d’anni, non fu mai visto rallentare un tantino, sino all’ ultimo della vita sua, come ho toccato di sopra. Et così fu et è vero, publico et notorio, publica voce et fama. 59. D e dono p rofetin e. Del spirito prophetico, che haveva il beato padre Filippo, se ne potria fare un libro di gran volume, chi l’havesse osservato, in tutte l’attioni sue, quali soleva, però, per l’ordinario, co­ prirle, acciò non si capissero ; o vero attribuire, le cose ad altri, alla fede, all’orationi, et simili. Dirò quelle, che mi ricordarò, delle tante ch’ho visto in tanti anni, et sentito. Mi ricordo haver sentito dire dalla bona memoria del card. Tarugi, et da altri di casa nostra, che, tornando la bona memoria del s.r Costanzo Tassone da Milano, dove era stato per magiordomo del santo card. Borromeo, sentendo il beato p. Phi­ lippo, che detto Costanzo era gionto a Roma, et che saliva le scale, per visitarlo, chiamò il s.r Ottavio Paravicino, all’hora giovanetto et hora cardinale, et il s.r Germanico Fedele pur giovanetto et hora canonico di S. Pietro, et gli fece mettere in terra, inanti alla porta della camera, dove detto Constanzo haveva da entrare, et stavano, tutti doi, come se fossero morti. Entrato che fu, li fece levare, mostrando, con quella attione, che Costanzo haveva da morir presto, ancorché fosse gionto sano : come fu, che subito s’infermò, et, in pochi giorni, morì. Et, all’hora, li detti giovanetti et altri, che forno presenti a quella attione, intesero la profetia, coperta con quella cosa, che parve, all’hora, una burla. [Qui seguon o i tra tti, rip orta ti « ad litteram », dal vol. I I , p p . 118-119, da « Et l’ Anno Santo » fino a « mediante le oratione del santo padre » ; p . 1 2 0 , da « Un’altra cosa prewidde » fino a « quello che poi successe ». A g g iu n g e , p erò i n om i di T iberio R icciardelli e di G erm anico F e d e li, ta ciu ti nella preceden te deposizion e e conclude « Io tengo ancora il detto

    foglio scritto di mano del beato padre, come reliquia molto cara » ; p p . 1 2 0 -122, da « L’anno del 1581 » fino a « et la Madonna Santissima » ; p p . 1 2 2 -123, da « Un’altra, cosa mi pare de dire » fino a « un grandissimo danno alla nostra Congregatione », m a v i è chiaram ente enunciato il n om e di F ab rizio M ezza barba ].

    Ho sentito, ancora, dalla bona memoria del card. Baronio, et da altri di casa nostra, che, quando il cardinale sopradetto cominciò a sermonegiare all’oratorio, parlava sempre della morte et dell’inferno. Il beato p. Filippo li disse, che ragionasse sopra l’ historia ecclesiastica : al che tanto n’era il Baronio lontano, quanto che non n’haveva notitia nissuna, havendo, all’hora, lasciato lo studio delle leggi. L’obedienza lo fece cominciare si, ma in pochi ragionamenti s’arrese, dicendo al beato padre che gli pareva tempo perso, poiché il popolo non ne cavava utilità, ed egli vi s’affaticava assai. « Non discorrere », le disse il beato padre, « ma seguita l’impresa; et, come havrai detto tutto quello che saprai in tal materia, ricomincia ». Cattivosse il buon giovane e diede principio a opera tanto insigne et utile, quanto sa tutto il mondo : come ben previde il beato padre, col spirito profetico. Un altro caso occorse l’anno 1593 in circa. Si confessava da me un sacerdote, canonico di San Severino nella Marca, il cui nome non mi ricordo, quale, con molta passione, mi diceva, quasi sempre, doppo la confessione, che si pregasse per un suo fratello, chiamato Pier Filippo,

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    7 maggio 1610. [304] Pompeo Pateri, ff. 855-856

    167

    piovano, al quale s’era mossa lite, sopra la sua pieve,2006 et, per favore d’ un prelato grande, veniva privato detto piovano: quale era talmente esasperato, che già haveva lassato Messa et Officio, con animo di fare del male. Occorse, che, una festa, il detto canonico, suo fratello lo con­ dusse in chiesa nostra, et, apena inginocchiato, li venne voltato rocchio, dove stava il beato p. Filippo, per confessare, in una capella : quale mai havea visto, nè parlato seco. Mirahil cosa, che il piovano si sentì, dalla vista di detto beato padre, quodammodo tirato per forza, et andò a inginocchiarsi ai piedi suoi, etj senza che egli aprisse bocca, gli disse il beato padre : « sei tentato, e? confessati, et sappi, che, fra quindeci giorni, sarai libero da questa vessatione, perchè il prelato » (et nominò quello che le faceva contro) « sarà levato d’ufficio et tu tornarai a casa tua, libero et contento ». Sentito questo, il piovano, ammirato et con­ tento, si partì, aspettando, con desiderio, che s’effettuasse quello, ch’ havea sentito dal beato padre, numerando li giorni. Gionto il quintodecimo, et non sentendo mutatione di quello prelato, cominciò a mormorare più che mai, et forsi che il demonio tornava a metterli in animo il male, che voleva fare. Ma, nell’uscire di casa, s’incontrò l’aversario, che gli andò incontro et li disse: « io vi cedo, et vi do vinta la lite, poiché mon­ signore N. non mi può più dare aiuto, essendo stato fatto vescovo, et levato dall’offitio ». All’hora, tornato in sè, il piovano si ricordò della profetia fattagli dal servo d’ iddio Philippo, che era effettuata, et ne rese gratie a Dio et la racontò a me, a punto come passò. La bona memoria della s.r Beatrice Gaetana 2007 mi disse, che un capitano, che non mi ricordo il nome, gli disse, che, essendosi andato a confessare dal beato p. Philippo, per vergogna, lassava un peccato grave, et, doppo che il beato padre gli hebbe detto, più volte, se si ricor­ dava d’altro, et che ci pensasse bene, finalmente, non confessando altro, il beato p. Philippo gli disse : « o figliolo, come? [f. 856] non havete voi fatto il tal peccato? e come vi lassate ingannare dal demonio? » A ll’hora, il capitano, conoscendo, che non poteva sapere tal peccato, se non per revelatione di Dio, meravigliato et componto, accusò il suo peccato, confessandosi intieramente, predicando poi la santità del beato padre.2008 51. [S eg u on o i tr a tti del I I v o lu m e, p p . 2 5 6 -2 5 1 , da « Bertino Ric­ cardi » fino a « si riposò in pace » ; p . 2 5 6 , da « Mi occorre, ancora, che, trovandomi » fino a « li medici, la mattina », p o i segu ita : « che mi tro­ varono netto di febre ; e, la notte, mangiai, con tal gusto, come se non havessi havuto il male tanto pericoloso come hebbi ; et li medici ogn’altra cosa pensavano, che trovarmi sano affatto. Et furno li medici il s.r Mi­ chele Mercati et il p. Giovenale Ancina (che, all’hora, non era ancor sacerdote) quali si licentiorno : et io diedi lode e gratie a Dio et al beato

    2006 pier Filippo Lazzarelli, pievano della chiesa collegiata di S. Benedetto in S. Severino Marche, narrò il fatto nella sua deposizione, raccolta tra le « extra Urbem » (XXXIII), sotto la data 20 feb. 1597. Il fratello canonico, penitente del Pateri, era Pimandro. 2007 Beatrice Caetani moglie di Angelo Cesi, già ricordata nella nota 1292. 2008 parecchi sono i casi del genere narrati nel processo. Del tutto incerta rimane qui la identità del personaggio, nè si può dire se altri abbia accennato al fatto. Un racconto altrettanto reticente è, per esempio, nel G allonio , Vita lat., p. 167.

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri, f. 858

    168

    padre, che m’haveva impetrata la sanità. Della donna spiritata, che il santo padre sentiva la puzza, io ne sono informato, poiché mi diede cura di confessarla, et la confessai più volte; et, con questa occasione, il beato padre mi disse, più volte, che sentiva la puzza del demonio : et questa spiritata era donna romana ». F in a lm en te, è rip orta to il tra tto delle p p .1 2 3 -1 2 4 , da « Resta, hora, che io dica quello, che mi occorse Fanno passato, doppo la morte del santo padre. Alli 3 di decembre del 1595, fui assalito » fino a « quando serà il tempo »]. I n causa scien tiae d ix it praedicta scire p e r ea quae supra d eposu it de loco tem p ore et con testib u s in fidem se su bscripsit.

    Io Pompeo Pateri dico quanto in questo presente quinterno si con­ tiene tutto essere il vero, et, come tale, lo confermo con mio giuramento, con propria manò, questo dì et anno sopradetto. Io Pompeo sopradetto mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    [f. 838] DIB 7» MENSIS MAH 1610

    [305]

    E xa m in a tu s fu it, R om a e, in officio m ei e t c ., de m andato e t c ., p er m e e t c ., ad fu tu ra m rei m em oria m , adm odum r e v .dus fr . D a v id 2009 q. Ioa n n is B a p tista e N ig r i, de Casulis V allis L im a e, lucensis e t c ., sacerdos O rdinis P raed ica toru m , p redicator generalis et vicarius 8 . Ceciliae in C am po M arzo 2010 de U rb e, testis e t c ., aetatis annorum quinquaginta triu m in circa, qui, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Sono da trentasette anni, che io sono in questa religione, e sono da ventinove anni, in circa che sono sacerdote, e, doppo che sono sacerdote, ho di continuo, quasi, celebrato ; se non è stato per indispositione, io

    2009 David Nigri, o Neri o Del Nero, secondo forme varianti del cognome, nativo di Casoli, in vai di Lima, nel Lucchese (con il nome del luogo usò sotto­ scriversi e fu chiamato per lo più nell’ordine), lettore nel 1586, fu priore del con­ vento di Spoleto nel 1591, provinciale romano dal maggio 1607 al maggio 1609 e rettore del Collegio greco di Roma dal 15 febbraio al 16 luglio 1612, M asetti, Monumenta et antiquitates veteris disciplinae ordinis Praedicatorum, v. II, cit., pp. 126-27. Confessore di suor Caterina Paluzzi, fece conoscere questa al card. Federico Borromeo; morì nel 1616, G iu s e p p e G abrieli, Lettere di Federico Bor­ romeo alla domenicana suor Caterina Paluzzi, in Memorie domenicane, anno 52, decimo della n. ser., 1935, p. 18. Depose anche nel terzo processo per F., il 28 lu. 1610; e nel processo stesso fu nuovamente inserita la presente deposizione del 7 mag, 1610, e inoltre si allegarono gli originali dei documenti in essa contenuti, come si indi­ cherà nelle note subito sotto. 2010 S. Cecilia «d e Posterula» o di Campo Marzo, chiesuola risalente al sec. Xu ; dalla compagnia dei Materassai, che la ebbero nel 1575 e la restaurarono, fu dedicata anche al loro patrono s. Biagio ; ora si chiama volgarmente la Madonna del Divino Amore, H u elsen , pp. 228-29; A r m e l l in i -C ecchelli , p. 1273. Annoverata tra le filiali di S. Lorenzo in Damaso, passò poi sotto S. Lorenzo in Lucina; e dalla giurisdizione di questa seconda chiesa venne distaccata da Paolo V, l’8 nov. 1613, per conferirla ai domenicani, che già l’avevano avuta nel 1608 dal card. Paolo Camillo Sfondrati (con una rendita di 325 scudi annui) e la tennero fino a circa il 1626. Primo vicario ne fu David da Casoli, Z u cch i , Roma domeni­ cana, cit., v. II. Firenze 1940, pp. 10S-13.

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri, f. 858

    169

    non ho mai tralasciato. In questa causa del beato p. Philippo Neri, fio­ rentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio, io dirò quello, che, intorno alla sanctità della vita sua et miracoli, io so et ho inteso, et è in questo modo, che hora dirò, con mio giuramento, per verità. 82. Ho conosciuto il beato p. Philippo e, più volte trattato seco, da venticinque anni in qua, che sono dieci anni avanti la sua morte, e sempre tenutolo per un gran servo di Dio ; e sentito, per publica voce et fama, come, da tutti, a una voce, era tenuto per tale. Et, come tale, in vita sua, era riverito e visitato da molti illustrissimi cardinali, monsi­ gnori, e da ogni sorte di persone, huomini, donne, d’ogni stato e con­ ditione. 82. Ho sentito, anco, riferire, più volte, a più nostri padri vecchi, in più tempi, e con diverse occasioni, che detto beato padre, insieme con molti suoi figlioli spirituali, frequentava assai la chiesa e convento della Minerva, e, di giorno, in choro, e, di notte, al Matutino : e questo nelle feste, più in particolare. E quivi conveniva, con i suoi figlioli, ai ragio­ namenti et conferenze spirituali, che facevano quei nostri padri, per eccitarsi al fervore dello spirito, nella via del Signore. E so, che ha messo molti suoi figlioli spirituali nella nostra religione, et molti ancor vivono. 34. Ho, inoltre, più volte, sentito riferire, a più nostri padri gravi e timorati, in diversi tempi e diverse occasioni, come, al tempo di papa Paolo 4°, di felice memoria, havendo alcuni, sotto specie di zelo, mossa persecutione contro la dottrina, tanto sincera buona, vera e reale, del molto rev.do p. fra Girolamo Savonarola, ferrarese, dell’ordine di Pre­ dicatori, e predicator famosissimo, di cui, in un modo particolare, era divoto il beato p. Filippo ; e, trattandosi alle strette, dai contrarii, alla presenza del sommo pontefice, che s’abrugiassero l’opere sue ; et, oppo­ nendosi virilmente, alla difesa d’essa dottrina et opere, il dottissimo et divotissimo padre maestro fra Paolino Bernardini, da Lucca, dell’ordine di Predicatori, con alcuni altri padri ; e facendosi, perciò, 1’oratione de le Quaranta hore, nel convento della Minerva, nella camera del fuoco, che è a meza scala del dormitorio, col santissimo Sacramento, mentre attualmente si disputava in Palazzo « coram pontifice » ; e, trovandosi a detta oratione il beato Filippo, con molti altri, andò in estasi e fuori de sensi. E portato, a braccio, nella cella più vicina del novitiato, doppo certo spatio di tempo, ritornato in sè, tutto allegro, disse queste, o simili parole : « Bingratiamo Iddio, fratelli, che la vittoria è nostra ; la vittoria è stata nostra ; Iddio ha esaudito le nostre orationi ». E tutto fu verissimo, perchè, tornando, poco dopo, da Palazzo, il detto padre maestro Paolino, con i compagni, referirono, come, in quel tempo apunto, che fu l’estasi del beato Filippo, il papa, udite le ragioni frivole contra la dottrina del padre fra Girolamo, e sentito le risposte gravi del detto padre maestro Paolini, pronuntiò la sentenza in favore della dottrina predetta, e impose silentio a quelli, che l’impugnavano. E questa risolutione non poteva, humanamente, costare al beato Filippo, mentre stava in quell’ estasi ; ma si tenne, per fermo, da tutti, che l’havesse per divina rivelatione, per la divotione, che haveva al padre fra Girolamo e sua dottrina, et per la riverenza, ch’haveva al padre maestro Paolino, suo difensore. Il quale, oltre allo splendore della dottrina, fu, anco, di san­

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri, ff. 858-859

    tissima vita, riformatore della Provincia nostra di S. Catherina da Siena, e si dice, che, in vita e doppo morte, habbia fatti miracoli. 36. Attesto ancora, a gloria di Dio et a manifestatione della gloria di questo beato padre, ritrovarsi, al presente, in vita una gran serva [f. 859] di Dio, mia penitente. In terro g a tu s d ixit : Questa mia peni­ tente si chiama sor Catherina da Merlupo2011 (che prima si chiamava Francesca, avanti pigliasse Fhabito del Terzo Ordine nostro) di gran purità di vita, di grand’oratione e contemplatione, la quale, anco dal molto rev.do p. fra Pietro,2012 scalzo, della Madre di Dio, carmelitano (huomo stato tanto segnalato, che prima udiva le confessioni sue) era tenuto per certo, che havesse vere estasi e divine rivelationi, come ho visto io, che egli, per lettera di sua mano, afferma. Quale lettere sono queste tre, che io vi consegno. Quas m ihi n otario con sign a vit, ten oris u t in fra . La quale è di circa quaranta anni, del Terzo Ordine nostro di s. Domenico. E havendo, per certe lettere, scritte da un padre Alessandro Migliacci, l’anno 1595 (quale due altre lettere sono queste, che vi con­ segno » quas m ihi n otario con sign a vit, ten oris e tc ., che, al tempo, che passò da questa misera a gloriosa vita il beato Filippo, la confessava, compreso, come ella haveva havuto rivelatione della gloria sua, volsi io haverne quella certezza, che ne potevo havere, prima dalla bocca sua, e, poi, anco dalla sua penna, imponendogli, per obedientia, come suo padre spirituale, che, per giusti e ragionevoli rispetti, mi dicesse e scri­ vesse che cosa gli era passato per la mente sua intorno al beato Filippo, acciò si potesse considerare, se fusse stata vera o falsa apparitione. Ella, prima a bocca e poi in carta, di sua propria mano, scrisse, in questa maniera, l’anno 1609, del mese di ottobre come seguita cioè : « Io sor Catherina, per santa obedientia, referisco l’infrascritte cose. Havendomi comandato il mio rev.do padre confessore, ch’io facessi oratione particolare per il rev.do p. Filippo della Chiesa nova, che stava male, e li dicesse quello ne sentiva, et io, per obediènza, lo feci, e adesso lo scrivo, con molta mia mortificatione, per haver a mettere in carta le mie pazzie. E, se bene io non lo conosceva all’hora, mi parse vederlo, che stava male, e che sarebbe passato di questa vita, e li dissi quanto m’era parso d’havere visto et inteso. E lui mi disse, che tornasse di novo a pregare Dio per lui, e mi fece communicare per questo. E, dopo la Santa Communione, et a me mi vennero le mancationi solite, con quello calore et quiete, che solevano venirme. E mi parse di veder il beato padre, che stesse in paradiso, e che havesse grande gloria, e mi pareva che stesse a sedere, con habito di sacerdote, parato per dir Messa di bianco, e luceva come sole, et, attorno alla sua sedia mi pareva, che ci fusse grande spatio di loco, nel quale v’erano diversi ornamenti e nell’istesso c’era scritto, a lettere d’oro, le virtù, nelle quali s’era più esercitato, per darne gloria a Dio. Et, all’incontro della sua sedia, ma più basso, di lui, mi pareva di vederci altre anime, e lui, che guardava alla Santissima Trinità e quelle, a lui, mi pareva, che facessero come un’harmonia, cor­ rispondente con quella, che facevano gli angeli, di suoni e canti, e mi

    2011 Caterina Paluzzi, già ricordata nella nota 1846. 2012 L ’insigne carmelitano scalzo Pietro della Madre di Dio, già ricordato nella nota 1848.

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri. ff. 859-860

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    pareva, che li dava una grande gloria et honore. Et io stavo pensando, chi erano quelle anime che li portavano tanta reverentia, e mi parse di sentire, che quelle erano l ’anime che s’ erano salvate, per mezo suo ; e mi pareva che fussero sacerdoti e secolari, tanto huomini, come donne. E, referito che hebbi al mio rev.do padre confessore, quanto mi pareva d’haver passato, e lui mi disse, di che età e qualità mi pareva che fusse. E detto che l’hebbi, lui mi mostrò una imagine ; e mi disse, se io havevo mai vista quella. E li risposi, che si somigliava, a quello, che a me pareva d’haver visto ; e lui mi disse, che quell’era il suo ritratto ».2013 Quas lit­ teras e t m ihi con sign a vit ten oris e tc . idem que f r . D a v it, m edio iuram e n to , ta ctis e t c ., easdem r ec o g n o v it in fo rm a etc.

    E, per 1’intrinseca cognitione, ch’io ho dell’anima di questa bene­ detta suora ; e per la grande e profonda humiltà, che sperimento in lei ; e per la sincerità, e semplicità, e realità, che mostra in tutte le cose sue, senza haver pur primo moto d’insuperbirsi di cosa alcuna ; e per l’altre tante sue simili visioni, che tengo per vere, mi muovo a tenere per fermo, che anco questa, che hebbe, della beatitudine del beato Filippo, sia vi­ sione vera et reale. E per tale l’ adduco qui, in testimonianza della santità d’esso beato padre, il quale, appresso di me, è in tale opinione, che non sentirò di lui riferire cose sì grandi, che non sia preparato a crederne cose maggiori e lo supplico preghi per me. T en o r vero su pradictarum litera ru m , de quibus su pra fit m e n tio , s e ­ q uitur u t in fr a ; a tergo : « Al molto rev.do s.r mio osservandissimo il s.r Alessandro Migliacci, [f. 860] Arciprete di Morlupo » ; in tu s vero :

    « Giesù, Maria. Molto rev.do s.r mio osservandissimo. La gratia dello Spirito Santo sia sempre, con accrescimento continuo, nell’anima di V. S.ria. Se bene non conosco V . S.ria, non dimeno, per il bene, che, per mezzo suo, veggo che il Signore va operando, nell’anima di questa serva di Dio sor Francesca, gli sono molto affettionato ; et anche per rispetto del suo fratello, il s.r Domenico, al quale (se bene ho trattato poco) gli sono stato sempre affettionato et, hoggi, da lui ho inteso esser fratello di Y . S.ria : del che mi sono consolato. E, desiderando servirla in quel che Y . S.ria più brama, che è il tirar coteste sue anime al Cielo, mi sovenne un pensiero, et è, che V . S.ria e coteste anime divote potes­ sero goder de tesori, che il Signore, per sua misericordia, ci ha comu­ nicato, con facoltà di poterne far partecipi ad altri, cioè la singoiar protettione della Sacratissima Vergine. Sotto il cui glorioso titolo et protettione militano i frati, e confratri di questa religione, e portano l’habitino, o patientia, datoci da lei stessa, in contrassegno di questa fratellanza, et, insieme, delle molte indulgenze che godono. Et, propo­ nendo questo a suor Francesca, ella mi disse, che V. S.ria havea questo desiderio ; e così ho accettato e scritto V. S.ria nel libro di questa Com­ pagnia, insieme con sor Francesca, et altre di quelle sue compagne; et ho fatto fare e benedir questi habitini, o patientie, uno per V. S.ria, gli altri per sor Francesca e le sue compagne, et, quelli che avanzassero, per le persone divote, che lo ricercaranno. Et, insieme con questo, mando

    2013 L ’originale autografo di questa relazione di suor Caterina Paluzzi è al f. 88 del ms. Δ . IV. 1 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Eoma ; ha la relativa autentica al f. 89 v, ma non la data sopra dichiarata dal teste.

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri, ff. 860-861

    a Y . S.ria questa licenza, per poter accettare e benedir habitini per altri, et con la forma della benedittione, l’indulgenze et li capitoli, ch’hanno ad osservare. Spero, nel Signore, gioverà molto, per alcune anime, non essendo niente di laccio, per non v’esser obligo a peccato mortale, et essendo molto agiuto, per il guadagno spirituale. Questo habitino si porta sopra la camiscia, o giupone, e sotto la tonica, o soprana. Molte particolarità, che, così di queste gratie, come dell’Ordine, potea dire, mi riservo, a quando il Signore mi farà gratia, che possi passar da coteste bande, che mi sarà gran consolatione veder i fiori, e frutti, che produce al Signore cotesto benedetto paese. A sor Francesca ho parlato quattro o cinque volte, e (se bene non ho havuto tempo di far quella diligenza, che simili cose ricercano) in quel poco che l’ho trattata, sono rimasto edificato; e confido nel Signore, non la lascierà ingannare, essendo humile, obediente, e di retta intentione come è, et avendo così buona guida, come ha, in V . S.ria. L’ho dati (così per lei, come per le zitelle, sue compagne) alcuni libri spirituali e dei ricordi della s. madre Teresia di Giesù, quale diede principio a questa nostra riforma. V . S.ria se ne serva, d’un paro di questi ricordi, e si ricordi di me, nelle sue sante orationi e sacrificii e faccia che coteste anime fac­ ciano il medemo, acciò io, e tutti questi miei fratelli, correspondiamo alla vocation nostra, et agiutiamo a guadagnare molte anime al Signore, il quale empia V . S.ria del suo santo amore e timore, come desidero. Di Eoma, alli 15 di gennaro de 1602. Di V . S.ria aff.mo servo fra Pietro della Madre di Dio ». A terg o : « Al molto rev.do s.r mio in Christo osservandissimo il p. Alessandro Migliacci, Arciprete di Morlupo » ; in tu s vero : « Molto rev.do s.r mio osservandissimo. Ho si caro, che V . S.ria habbi comandato a sor Catherina scriva le cose, che l’han passato e passano, perchè ne seguiranno buoni effetti, massime di chiarir il suo spirito. Et non c’è inconveniente, essendo queste scritture in mano di persona fidata e secreta. Io le fo bon animo ; all’orationi e santi sacrificii di V. S.ria mi raccomando molto. Di Roma al primo marzo de 1608. Di Y . S.ria devo­ tissimo servo fra Pietro della Madre di Dio ». A terg o : « Al molto rev.do s.r mio osservandissimo il p. Alessandro Arciprete di Morlupo » ; intus vero : « Molto rev.do s.r mio osservan­ dissimo. La gratia dello Spirito Santo soprabondi sempre nell’anima di V . S.ria. Molto mi mortificai di trovarmi infermo, alla partenza di suor Francesca, con la quale desideravo scrivere a V. S.ria, ma, poi, accrescendomisi le fatiche et occupationi, con le prediche quadragesimali con­ tinue, non ho risposto a V. S.ria. Et hora dirò, brevemente, quello che m’occorre, circa Pinfirmità di sor Francesca. Nascendo dal principio so­ pranaturale, da dove nascono, è impossibile giovino le medicine naturali, ma serviran bene a guastarle [f. 861] più la complessione, attormentandola, da una parte, li sentimenti interni, d’altra parte, li remedii esterni. Et, in vero, non sono infermità, se non estasi, et, essendo estasi, è vanità di medici trattar di rimedii. Ma sono scusabili, perchè lei non dice quello che sente nell’anima, e, vedendo essi quello, che si vede nel corpo, non è maraviglia discorrino altrimente. Circa quella sua zia, madre, credo, de Preciosa, discorsi et m’informai molto di suor Fran­ cesca, et (per le sperientie che ho, in nostra religione, e quello che

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri, f. 861

    m’ insegna la S. Scrittura, e santi, massime s. Gregorio, e la ragione) io sono di parer, che sor Francesca mai la riprenda, perchè non farà frutto, ma danno, in lei et in altre, et tutte se disturbaranno per causa sua. Lo 2°, che se le permetta attendere all’opere di charità, che prima atten­ deva : così habbiam fatto noi con un simile, il quale ha occupato l’obedienza, nell’istess’opere di carità, che iacea al secolo, se ben parevan contrarie al nostro instituto : et è riuscito tale, che, oltre al frutto, che ha fatto ne prossimi, corporalmente e spiritualmente, Dio ha confermato questo, con far, per lui, molti miracoli, in vita et in morte. Et l’istesso è accaduto ad altri duoi santi nostri, che sono intrati, attempati, nella religione, et essa l’ha occupati nell’istessi essercitii che prima, et hanno glorificato molto al Signore. Et, se Y . S.ria sapesse il rigore d’obedientia, che si professa tra di noi, et, insieme, il rigore della retiratezza, si stupirla come s’ usò questo termino, con questi servi d’ iddio. Quando Dio vorrà, che V. S.ria venghi a Roma, se mi li ricorderà, io glieli raccontarò, et se consolerà molto ;yet, insieme, le dirò le ragioni, che mi for­ zano a dir questo che scrivo qui : la supplico, si serva di farlo mettere in opera, e, forse, l’effetti, più che ragioni, chiariran Y . S.ria di quello, che scrivo qui e dissi, a bocca, a suor Francesca. La quale potrà essercitar, in obedientia, quella sua zia, ordinandole vada a far quell’opere di charità, che soleva, e, così, essci-i^ndo l’opere di carità con obedienza, meritarà più. Et, havendo sodisfation in questa cosa giusta, la darà lei all’altre. Le medaglie, che vanno, in maggior numero etc. All’orationi di Y . S.ria e di tutte, mi raccomando assai. Il Signor Iddio conservi V . S.ria in gratia sua, con continuo accrescimento, come desidero. Di Roma, alli 11 di marzo de 1606. Servo di V. S.ria fra Pietro della Madre di Dio ».2014 S upra dictae tres ep istola e, de quibus su pra fit m en tio , fu eru n t r e c o ­ gn itae in fo r m a , p er m e e t c ., p rou t est in eisdem origin alibus, his v e r b is, d ie 8 m en sis m aii 1610. B . F r . N icolau s a C on cep tion e ,20152 * su bp rior et 6 1 0 m a g ister n ovitioru m in con ven tu S . M ariae de Scala de U rb e R e fo r m a ­ tu r u m , m ed io iu ram ento e t c ., ta ctis e t c ., reco g n o vit om nia in fo rm a et R . F r . C abrici a R e su r r e c tio n e , eiu sdem O rd in is, m edio iu ram ento e tc ., ta ctis e t c ., recog n ovit om nia in form a . T e n o r vero aliarum duarum litera ru m , de quibus su pra fit m en tio seq u itu r u t in fr a : A tergo : « Al

    molto magnifico e rev.do fratello osservandissimo m.s Domenico Migliacci,2018 Roma. » in tu s, vero : « Fratello carissimo.

    2014 Gli originali, con le relative autentiche, di queste tre lettere di fra Pietro della Madre di Dio sono ai ff. 79-80 v, 81 r-v, 82-83 v del ms. A. IV. 1 citato nella nota precedente. 2015 Nicolò della Concezione, Francisco de Marmol, nato a Medina del Campo nel 1573, prese l’ abito dei carmelitani scalzi 1’8 die. 1598 nel convento di S. Maria della Scala a Roma e fece professione un anno dopo. Esercitò più uffici nell’ordine, in Italia e nelle Fiandre; per ultimo, quello di vicario generale della congrega­ zione. Morì a Roma 1Ί1 nov. 1640, M arcellino di s . R osa, O. C. D., Series illustrata

    professionum emissarum a carmelitis discalceatis in coenobio S. Mariae de Scala, Urbis, ab initio congregationis italicae S. Eliae usque ad annum 1873, in Analecta ordinis carmelitarum discalceatorum, V il i , 1933, pp. 100-01. 2016 II teste Domenico Migliacci comparve la l’U genn. 1596 (151); si vedano le note 228 e 1838.

    prima

    volta

    al

    processo

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    7 maggio 1610. [305] David Nigri, ff. 861-862

    Y i mando li 16 scudi in tanto argento etc. Son tante le gratie, che, ogni dì, riceve questa donna da Iddio, ch’è cosa mirabile. S’io non vedessi, che lei sempre ci acquista maggior lume, maggior fervore, magior charità, magior humiltà, maggior spirito, et, in somma, maggior profitto in tutte le virtù, dubiterei di qualche illusione del demonio. Ma, vedendo in lei una profonda humiltà, una carità sviscerata, la mortificatione in tutte le cose, resignata, in tutto e per tutto, allo beneplacito di Nostro Signore, tanto nelle cose prospere, come avverse, obedientissima, con grandissimo desiderio di patire, e dispregio di se stessa ; oltre di questo, le dottrine, che gli sono rivelate, per acquistar la perfettione, son maravigliose, che li huomini, essercitati lungamente nello spirito, non rilave­ ranno : tutte queste cose mi fanno credere, che siano opre di Dio. Ogni giorno ha qualche visione, ma però è imaginaria. Lei parla del Paradiso e della gloria di beati, come solemo parlar noi del mondo e de li huomini. Secondo che viene la festa del santo, lei ha la visione della sua gloria ; et, anco, mi sa dire l’ effigie e la statura del santo, e li luochi che hanno in paradiso : chi più alto e chi più basso. Quando sta alla Messa, ogni mattina, vede Nostro Signore, con grandissima moltitudine d’Angeli, mentre si dice la Messa, che piglia tutto l’altare con il scabello, et, però, non può patire che nissuno s’accosti all’altare, eccetto quel che serve. Quando tornai da Eoma, che lassai la santa memoria del p. m.s Filippo amalato, io li dissi, che pregasse per lui, et anco li dissi, che dubitava, non fosse morto. De lì a doi giorni, mi riferì che il detto padre era vivo, ma che saria morto di quell’infermità, e mi disse, che l’haveva visto in letto, e mi diede tutte l’effigie del detto padre. L’ho detto, che preghi per quella monaca, che vuol uscire : lo farà. Mando tre mazzi di ... Non m’occorre altro. State sano e raccomandatemi [f. 862] al p. m.s Giu­ lio. Di Morlupo, li 20 di giugno 1595. Vostro fratello affettionatissimo Alessandro Migliacci ». A te r g o : « Al molto magnifico e rev.do fratello osservandissimo m.s Domenico Migliacci, Roma » ; in tu s vero : « Fratello carissimo, Li panni, che havete mandati etc. Quando io tornai da Roma, e lassai il p. m.s Filippo santa memoria, che stava così male, dissi a Francesca, che pregasse per lui, come fece. Et mi riferì, che lei l’haveva visto in letto, e mi dette tutti li segni e fattezze del detto padre, la fattezza del volto, la canutezza di capelli, la barba, e, finalmente, tutte le partico­ larità del suo corpo, e mi sogiunse, che lui sarìa morto di quell’infermità. Dopò la morte del detto padre, lo vidde in gloria ; e, tra l’altre gran­ dezze et honori che lui haveva, questo era uno (et forse il principale, doppo la fruitione della divina essenza) che, incontro alla sua seggia, più basso et più discosto, c’ era gran quantità di gente, quale s’era sal­ vata per mezo suo. Li soggionse anco un’imbasciata, che la facesse a me, et era questa : ch’io attendessi alla salute di questo popolo, che lui havria havuta particolare protettione di me. S’io volessi scrivere tutte le cose sue, ne faria un grandissimo volume, perchè, ogni giorno, ci son più cose da notare. L’altro giorno hebbe una bellissima visione, mentre stava alla Messa. Le pareva vedere la Madre Santissima, con il Figlio in braccio, che li faceva grandissima festa, come se desiderasse venire a lei ; e, replicando lei, che non n’ era degna, ma lo pregava, che, per mezo della santissima Communione, la volesse unire a lui, le rispose la Madonna :

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    7 maggio 1610. [305] David M gri. f. 862

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    « vedi, se desidera unirsi, che tutto arde d’amore » ; et, all’hora, li pa­ reva, che tutto il corpo et le membra di quel putto gettassero flamme di fuoco e l’avampò di maniera, che lei si sentiva ardere, et mi diceva, che quello era un foco dolce e soave, che infiammava ma non brugiava. E di questo foco lei, molte volte, è stata inflammata; e, particolarmente, questo inverno, quando erano quelle nevi così grandi, alle volte, sentiva tanto gran caldo, che sudava. Venerdì passato, vidde un padiglione grandissimo, il quale univa e copriva due seggie in Paradiso, se ben erano discosto l’ un l’altra. Dalle parte di dentro, era tutto scritto, a lettere d’oro, da una parte, le rivelationi e dottrine, che haveva havute da Dio; dall’altra, li ammaestramenti et ricordi datili dal suo confes­ sore. Di fuora, il padiglione era tutto lavorato di lavoro di quattro colori; verde, bianco, rosso e d’oro. Le frangie, che stavano attorno al padiglione, erano certi pomi rossi, con pietre preziose, e li pomi erano come melangoli. Il pomo, che manteneva il padiglione, era larghissimo, di color celeste stellato ; et, attorno, a modo di rota, c’erano serafini e, tra un serafino e l’altro, una pietra pretiosa, et, in mezo, un putto, che, per tutto, buttava fiamme di fuoco. In cima al padiglione et al pomo, c’era un albero bellissimo e grandissimo, con molti frutti di diversi colori. Gli fu rivelata la significatione di tutte le cose, che sarìa troppo lungo a riferirle. Io ho voto d’andar a Loreto, e, questo anno, ho commodità e di cavalli e di compagnia. Di gratia, andate al p. m.s Giulio, e diteli, in mio nome, se le pare, ch’io vada e raccomandatime a lui. M.s Belardino di Castel Nuovo starà in luogo mio. Provedetemi, vi prego, d’ un capellano, perchè, solo, non posso sodisfare etc., non m’oc­ corre altro. State sano e raccomandatime alle monache. Nostro padre e madre stanno bene e vi salutano. Di Morlupo, li 29 d’agosto 1595. Vostro fratello aff.mo Alessandro Migliacci. Francesca saluta voi e tutte le monache, e farà quanto mi scrivete ».2017 S u p ra scrip tae aliae duae ep i­ stola e fu eru n t recogn itae p er m e e t c ., p rou t est in eisd em origin alibus, his v erb is. D ie 21a m en sis M aii 1610 rev.d u s d .n u s D om in icu s M igliacciu s p r e sb ite r n ep esin u s, m edio iu ra m en to, tactis e tc ., reco g n o v it om nia in fo rm a . D ie 26 ° m en sis M a ii 1 6 1 0 , m agnificus d .n u s C h ristop h oru s M i ­ gliaccius i. u . d. n ep esin u s, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., recog n ovit om nia in fo r m a .201*

    Io fra David sopradetto affermo quanto di sopra, con mio giuramento, e, di mia propria mano, a gloria di Dio et honor di questo servo suo. Questo dì 7 di maggio 1610. Fr. David qui supra manu propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    2017 Gli originali, con le relative autentiche, di queste due lettere di Alessandro Migliacci, arciprete di Morlupo, sono ai fE. 84-85 v, 86-87 v, del ms. A. IV. 1 del­ l’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Eoma. 2°i8 La data dì questa autentica è, stranamente, posteriore a quella della deposizione, segnata nella sottoscrizione, subito sotto. L ’ìncongruenza, spiegabile con il posteriore inserimento dei documenti autenticati (l’autentica è scritta in margine, almeno nella sua ultima parte, e può essere stata aggiunta in uri secondo tempo tra la deposizione stesa dal notaio e la firma autografa del teste), si rileva anche nell’auteritica delle tre lettere di fra Pietro della Madre di Dio, prodotte più sopra dal teste. Nel cod. A. IV, 1, citato nella nota precedente, i due gruppi di documenti portano date di autenticazione come nel testo di questo processo, ma sono tutti registrati il 3 mag. 1610 dal notaio Pietro Mazziotti.

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    7 maggio 1610. [306] Antonino Berti, f. 863

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    [f.863] DIB 7a MBNSIS M AH 1610

    [306]

    E xa m in a tu s fu it, R o m a e , in officio m ei e t c ., p e r m e e t c ., de m a n ­ dato e t c ., ad p erp etu a m r ei m em oria m , f r . A n to n in u s quondam A n ­ ton ii d e B e r t is ,2019 ftoren tin u s, Ordinis P red ica toru m p r o fe ssu s, m a ­ g iste r in 8 . T h eolog ia , te stis e t c ., aeta tis ann orum sexa gin ta s e x in circa , q u i, m edio iu ra m en to , ta ctis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Sono circa cinquanta anni, che sono frate de l’Ordine de Predicatori et è quarantnno anno, che io son sacerdote ; et ho sempre celebrato, di continuo, purché non sia stato legitimamente impedito. Circa quanto mi domandate, sopra la vita, miracoli et actioni del beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova, dico, che posso testificare et far fede di molte cose, in particolare, come, qui sotto, con ordine dirò. Et, prima, raconterò l’occasione, come lo cominciai a conoscere, e, di mano in mano, le actioni sue mirabile, che a me mi son parse più notabili, degne di memoria, che sono queste, che seguitono, nel modo, che hora dirò et 82. Primo, attesto come, l’anno 1560, essendo io, d’età di sedici anni, venuto a Roma, mandato da mio padre, per esser mercante, stetti, in Banchi, solo quaranta giorni, secolare. Nel qual tempo cominciai ad haver cognitione del beato Filippo Neri, essendo condotto da uno de suoi spirituali, chiamato m.s Simone Grazini, e mi confessai dal beato Filippo nella chiesa di S. Girolamo della Charità, al quale conferii l’inspiratione, che havevo, d’esser religioso ; et egli, doppo alcune inter­ rogationi, per prova della volontà mia, mi consigliò a farmi religioso nella Minerva, dove havevo havuto l’inspiratione. Et, fino a quel tempo, era il sopradetto beato in grandissima opinione di santità e di vita segna­ lata di spirito tenuto, da secolari e persone religiose, massime da frati della Minerva, là dove frequentava quasi tutti li giorni festivi. Et haveva, fin a quel tempo, frequenza e moltitudine grande di figlioli spiri­ tuali, che, quando mi vestì, nella sagrestia della Minerva, era piena la sacrestia di suoi spirituali. Fra quali era il s.r Giovanni Battista Salviati, consobrino della regina di Francia Catherina Medici,2020 quale prima era tanto vano, avanti si convertisse e poi tanto disprezzato nel vestire semplice ; frequentava il visitare gli infermi, all’hospedale della Santissima Trinità, con gli altri spirituali del beato Filippo ; il s.r Fran­ cesco Maria Tarugi, che poi fu cardinale, et il s.r Costanzo Tassoni, Simone Grazini, e molti altri, quali io non conosceva, che erano lo specchio di Roma, con tanta modestia si vedevano andare, nella composi­ tione del volto, e della conversatione, tutti dediti alli essercitii spirituali.

    2019 Fra Antonino Berti, domenicano, fiorentino di nascita, depose anche il 28 lu. 1610, nel terzo processo ; nel quale venne poi nuovamente inserita la presente deposizione del 7 mag. 1610. 202° Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico, sposò Jacopo Salviati ; da ciò la parentela dei loro discendenti con i Medici discesi da Lorenzo il Magnifico, che Caterina regina di Francia ebbe come bisavolo. Maria Salviati, figlia di Jacopo, sposò a sua volta Giovanni de’ Medici, e ne nacque Cosimo, sicché i Salviati ebbero parentela anche con il ramo granducale, L etta, « Medici di Firenze », tav. IX-XII.

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    7 maggio 1610. [306] Antonino Berti, ff. 863-864

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    82. 2°. Attesto d’ haver veduto, più volte, nello stesso anno 1560, che ero novitio nella Minerva, il beato Filippo, con li suoi spirituali, in grande frequenza, massime nei giorni festivi, che, all’ hora, legeva, in chiesa, il salmo « Miserere mei, Deus » il molto rev.do padre priore della Minerva fra Vincentio Hercolani2021 perugino (che poi fu vescovo di Sarno, d’ Imola, e di Perugia) col quale havea molta intrinsichezza il beato Filippo. Et, non solo veniva egli, con li suoi spirituali, alle lettioni sacre, ma a ragionamenti spirituali, et all’orationi, al Matutino, la notte, che, molte volte, le festività principali, il coro della Minerva, la notte, era pieno di suoi spirituali. Et era sin’all’hora il romore del frutto, che detto beato faceva, nel convertire alla via di Dio molti. 82. 3°. Attesto, nell’anno 1594 in circa, che io ero maestro di novitii nella Minerva, andando a visitare il beato Philippo, in camera sua, alla Vallicella, haverlo trovato in mezzo a quattro o cinque illustrissimi car­ dinali : il card. Cusano, il card, di Firenze, il card. Aldobrandino (che furno poi Clemente 8° et Leone XI) et Borromeo il giovine, ai ragiona­ menti spirituali. E mi ricordo haver sentito dire, che dava loro le morti­ ficationi et, in particolare, sentii dire al p. fr. Ignatio da Magliano,2022 de l’ordine di s. Domenico della Minerva, che egli haveva dato, per morti­ ficatione, al card. Borromeo giovine, che stesse ginocchioni, avanti al­ l’altare del santissimo Sacramento, della Minerva, quanto durava a cantarsi la Compieta: et a me pare ricordarmi, d’haverlo veduto ingi­ nocchiato, dalla parte destra. 82. 4°. Attesto, come, l’istesso anno 1594 incirca, essendo andato a visitare il beato Filippo, in camera sua, alla Vallicella, mi disse, di propria bocca, queste parole : « quel che io ho havuto, da principio, di buono, l’ho havuto dalli vostri padri di S. Marco di Fiorenza »,2023 nominandomi, in particolare [f. 864] il p. fra Zanobi de Medici2024

    2021 2022

    ii domenicano Vincenzo Ercolani è stato già ricordato nella nota 1674. Fra Ignazio Festini comparve già come teste, il 1° sett. 1595 (34) ; e una seconda volta comparirà il 21 mag. 1610 (323). 2023 Queste relazioni di F. giovane con il convento di S. Marco di Firenze ebbero sicuramente grande importanza nella formazione del suo spirito. Manca, purtroppo, una storia di quel convento nel periodo post-savonaroliano : si sa che, non ostante le angherie subite (fu, tra altro, condannata all’esilio la campana « Piagnona », e portata al Monte fuori porta S. Miniato) e le dissensioni interne, per cui alcuni frati, incluso l ’annalista Roberto Ubaldini, si volsero alla parte medicea, vivi erano rimasti i fermenti savonaroliani, V incenzo M archese , O. P., Scritti vari. Firenze, Le Monnier, 1855, pp. 264-87, ultime di un « Sunto storico », rimasto incompleto, del convento. Numerose notizie si leggono tra i miracoli narrati nell’ultima parte dell’opera attribuita a P acifico B iirlamacchi , O. P., Vita del p. f. Girolamo Savonarola dell’ ordine dei Predicatori ... Nuova ed. In Lucca, nella stamperia di Jacopo Giusti, 1764, pp. 166-214. Nella nota 2416 si pubblicherà una lettera di Giovanni Battista Strozzi, Firenze, 23 die. 1595, dalla quale risulta l’importante notizia che il padre di F. era « piagnone » anch’egli : « buon huomo e tutto del venerando p. fra Girolamo ». 2024 « Fr. Zenobius Bernardi de Medicis, qui prius Leander vocabatur, accepit habitum a ven. p. fr. Matheo Marci die 25 mali circa horam primam noctis et dimidium 1503», «Liber vestitionum conv. S. Marci», f. 4 ; una postilla aggiunge: « obiit in conv. S. Marci 1547 », R istori -F araoni, 'Notizie e documenti inediti sulla vita di s. F. N., p. 38 n. 1. Zanobi de’ Medici raccolse da Jacopo Niccolini una profezia fatta da fra Girolamo la notte avanti il supplizio, sulla grandissima tribolazione che sarebbe sopravvenuta a Firenze, sotto un papa Clemente, pseudo

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    7 maggio 1610. [306] Antonino Berti, f. 864

    (già, molti anni sono, morto), et il p. fra Servatio Mini,2025 ch’erano vivi a qnel tempo, con quali pratticava. Et, in particolare, mi raccontò come, havendo questi due padri sopranominati fatto insieme comunella di confessarsi, ogni notte, inanzi che andassero al Matutino, per dirlo con più devotione, il Diavolo, invidioso di questo bene, una notte, due hore incirca inanzi Phora del Matutino, bussò alla cella di fra Zanobi de Medici, con dire : « su, presto, lévati, ch’è hora », et, venuto in chiesa, trovò il Demonio, che, in habito di frate, passegiava per la chiesa. Et posto che fu il p. fra Zanobi inginocchioni, al confessionario, per con­ fessarsi, il Diavolo, in forma di fra Servatio, si pose a sedere, ad ascol­ tare la confessione. Et, a ciascuno peccato di quel che si confessava, diceva il Diavolo: « è niente, è niente ». E sogiongendo il p. fra Zanobi un scrupolo più grave, il Diavolo disse: « è niente, è niente ». All’hora il predetto padre si segnò, col segno della Croce, e disse : « saresti tu mai il Diavolo delFInferno? » e subbito disparve il Demonio. 32. 5°. Attesto haver inteso raccontare al p. fra Francesco Cardone,2026 da Camerino, delPordine di Predicatori, nel novitiato della Minerva, alla presenza de novitii, Panno 1594 incirca, come il beato Filippo Neri era stato dieci anni alle catecombe di S. Bastiano, a fare molte peni­ tenze; e predicava il beato Filippo per santo, sì come era in concetto di santità, appresso a tutti li novitii, che erano a quel tempo dell’anno 1560. Che erano intorno a ventidue novitii, fra quali era fra Michele, che fu poi il card. Alessandrino ; il p. maestro Alessandro Hebreo, fu vescovo di Forlì; il p. Vincentio Éonardo,2027 vescovo di Hierace; fr. Pietro Martire2028 da Collescipoli, che fu provinciale ; frat’Ignatio da Magliano, che fu provinciale, et altri : tutti l’havevano in grandissima opinione di santità. 37. 6°. Attesto essermi trovato, Panno 1560, insieme con tutti li no­ vitii, che erano ventidue in circa, esser andato, insieme con il beato Filippo, et grandissima moltitudine di suoi figlioli spirituali, et altri, nella peregrinatione delle Sette Chiese. Quali andavano con tanto bello ordine di modestia e compositione, di ragionamenti santi e buoni, can-

    B urlamacchi , Vita del p. f. CHrolamo Savonarola, eit. nella nota precedente, p. 193. Il Consolini raccolse ancora dalla bocca di F. un bel aneddoto di fra Zanobi, che visitato un giorno dal dùca Cosimo, suo parente, nel sentire una campanella d’obbe­ dienza, lo lasciò subitamente, senza più dirgli parola, con un solo inchino, cod. S. Francesca Romana 13, f. 21 v, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma. 2025 α Fr. Servatius Benedicti de Minis de Florentia, prius dictus Albertus accepit habitum clericorum die 21 martii 1511 per fr. Ciprianum Petri tunc priorem, et sequenti anno fecit professionem », « Cronaca di S. Domenico di Fiesole », f . 101 v. Da altra fonte, non indicata : « Fr. Servatius Benedicti de Minis de Flo­ rentia clericus et sacerdos et filius huius conventus obiit in hoc eodem conventu an. 1546, mense julii die ... peractis in religione annis ΧΧΧΙΙΙΪ. Hic bonus fuit religiosus et lingua vernacula bonus versificator ... nonnullas composuit laudes », R istori-F araoni, 1. cit. nella nota precedente. 2026 Francesco Cardoni, teste al processo il 1° sett. 1595 (35). 2027 Vincenzo Bonardi, romano, Maestro del sacro Palazzo dal 1589 al 1591, fu eletto vescovo di Gerace il 20 mar. 1591 e mori I’l l mar. 1601, I nnocenzo T aurisano , O. P., HierarcMa ordinis Praedicatorum. Pars prima. Ed. altera. Romae, Unio typographica Manuzio, 1916, p. 51. 2028 Fra Pietro Martire Saracini. già ricordato nella nota 648.

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    8 maggio 1610. [307] Antonina Pecorini, f. 865

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    tando le letame, e salmi, e lande, si communicavano, et sidiceva la Messa, o a S. Bastiano, o in altra chiesa, e, doppo, a sedersopra un prato, se dava una breve refettione, con un sermone, fatto da chi il beato padre li comandava, et era di grandissima devotione. 34. 7°. Attesto, più volte, haver sentito, da più di nostri padri di s. Domenico, udito raccontare come, facendose, nella Minerva, l’anno 1559 incirca, l’oratione delle Quaranta hore, nella camera del fuoco, vicino al novitiato, per la persecutione, fatta da certi, contro l’opere del rev.do p. fra Girolamo di Ferrara (che cercavano, appresso de papa Paulo 4°, bona memoria, che fussero abrugiate) essendo il beato Filippo in quel luogo a orare, andò in estasi, e fu trasportato alla cella più vicina, e, quivi, risvegliato dall’estasi, disse : « vittoria, la vittoria è nostra ». E, domandato, dal priore della Minerva, che era il p. frat’Angelo da Diaceto (quale ho conosciuto, per esser stato, più volte, pro­ vinciale, e vescovo di Fiesole; e da lui fui ordinato sacerdote) e dal p. fra Felice da Castelfranco, qual vittoria fusse questa, che diceva, gli disse, che s’era havuto vittoria dell’opere di fra Girolamo e che Nostro Signore havea dato la benedittione.2029 Et io, più volte, l’ho sentito rac­ contare da nostri padri. 40. 8°. Attesto, che, nel beato Filippo, si vedeva una simplicità Chri­ stiana, et che egli occultava se stesso. Et io ero solito dire, che il beato Filippo era un romito, nel mezo di Roma, tanto alieno da ogni ambitione essendo ne’ favori a gola, a tempo di Gregorio X IIII et Clemente 8°. 41. 9°. Io attesto la sua profonda humiltà. Copriva la sua dottrina e prudentia con una simulata stoltitia, per levare il nome di santità, et faceva molte attioni di semplicità, come de dare ceffate a quelli, con chi parlava: et io l’ho veduto. 82. Ultimo. Attesto, alla opinione di santità, che io ho sentito, che è stato sempre appresso molti, et in vita, et in morte. E per tale sempre l’ho tenuto e tengo ; é lo prego, che preghi per me in Cielo, e per la mia salute. Io frat’Antonino Berti sopradetto affermo quanto nel presente exami­ ne si contiene, et esser la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sopradetto. Io frate Antonino sopradetto manu propria. P e tr u s M a zziottu s notarius.

    [f. 865] DIE 8* MENSIS MAII 1610

    [307]

    E xa m in a ta fu it, R o m a e , in dom o d.nae Cassandrae R a y d e , rom anae, in reg ion e P a rion is, p ro p e tem plu m 8 . M a ria e in V allicella, p e r m e e t c ., de m andato e t c ., ad perpetu a m r ei m em oria m , d .n a A n ­ ton in a ^2030 quondam P e tr i P au li alias P e c o r in i de A m en ta n a [la-

    2029 gui fatto, narrato talvolta con qualche variante, si può vedere la nota 1792. 2030 Antonina Pecorini, di Mentana, depose anche il 26 ag. 1610, nel terzo processo ; nel quale, inoltre, fu Inserita nuovamente la presente deposizione. Era una delle pie donne conviventi nella casa di Antonina Kaida, dove morì anche

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    8 maggio 1610. [307] Antonina Pecorini, f. 865

    cuna] aetatis annorum quadraginta se x in circa, quae, m edio iuram e n to , tactis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Sono ventisei anni, che sto in questa casa2031 di mad.a Cassandra et Antonina Raida, sorelle, vicino alla Chiesa nova di S. Maria et Gregorio in Yallicella ; e sempre son stata solita, tre volte la settimana e le feste, confessarme e communicarme qui, nella detta chiesa di S. Maria in Vallicella. Il mio confessore è il p. Angelo Yelli, e spero, con la gratia del Signore, seguitar così sino alla morte ; et hieri, a punto, mi confessai e communicai, come ho detto, in detta chiesa. Io ho conosciuto, mentre visse, il beato Filippo Neri, fiorentino, fon­ datore della Congregatione dell’Oratorio e lui fu il primo confessore mio in detta chiesa, et, per ordine suo, mi presi, poi, per confessore, il p. Angelo suddetto, quale, sino al presente, è mio confessore. Et questo beato p. Filippo io lo tenevo per un santo et vero servo di Dio, perchè, una volta (non mi ricordo del tempo) stando io a sentir la Messa, che celebrava il detto beato padre, all’altar maggiore di detta chiesa, sotto la tribuna, mentre alzava il Santissimo Sacramento, mi parve vederlo sollevato da terra alto circa un palmo. All’hora io me ne maravigliava e me ne stupivo, perchè stette così sollevato, per spatio di un « Credo » (si ben mi ricordo) e poi tornò al suo sesto e seguitò la Messa. E, quando tornai in casa, raccontai questa cosa, come per miracolo, e, di continuo, l’ho raccontato come tale. E sempre me sono imaginato, che, se non fusse vero servo di Dio, non havrebbe quella gratia, mentre alza il san­ tissimo Sacramento, di sollevarsi così da terra. Et lo teneva, anco, per santo et vero servo di Dio, perchè, quando mi confessava et mi voleva dar l’assolutione, mi pigliava, con le mani, il capo, e sentivo, che tre­ mava, e li batteva il cuore gagliardamente. E, in oltre, una volta, ritro­ vandomi in camera del detto, beato padre, circa doi anni avanti morisse, e mentre ragionavamo così insieme, mi scoprì alcuni miei pensieri, che io, non solo non li havevo palesati, ma non l’havevo mai detto, nè con­ fidato con nissuno. Vedendomi così scoperta, ne restai maravigliata assai, e, tra me, disse : « questo non lo può saper, se non per revelatione divina », perchè erano secreti, ch’io havevo nel mio core. E questo non ho voluto palesare mai a nessuno, et non l’ho publicato mai, se non adesso, in questa occasione. Non mi ricordo mi sia successo altro. Oltre ch’io l’havevo in opinione di santo, l’ho sentito, anco publicamente, tenere e reputare come santo. Et ho visto la frequentia et devotione

    Elena Massimo, che alla Pecorini rivolse parole tra le sue estreme. La teste fu provveduta dal testamento di Cassandra, e nominata in quello di Antonina Raida ; sicché viveva ancora nel 1622, anno dei due documenti (si veda più sotto), G allonio , Istoria di Elena de’ Massimi, cit., p. 19 e nota 1, dell’editore R ebaxjdengo. 2031 Questa casa delle due sorelle Antonina e Cassandra Raida era un con­ servatorio di « zitelle », diretto spiritualmente dal p. Antonio Gallonio : dovevano essere numerose, se il Tarugi, che vi predicò talvolta, G allonio , Istoria di Elena de’ Massimi, cit., p. 31, motteggiando graziosamente, le paragonava alle Undici­ mila vergini di s. Orsola, R icci , p. 173. In quest’anno 1610, lo « Stato d’anime » di S. Maria in Vallicella, f. 78, la descriveva nell’« isola del s.r Ugo Boncompagnio », come « casa del s.r Alessandro Foscherio al presente zitelle di mad.a Antonina». Si vedano anche la testimonianza di Vittoria Varese, f. 280; e le note 855 e 856, dove è trascritta una precisa indicazione data in opera del 1655.

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    8 maggio 1610. [308] Cassandra Raida, f. 868

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    grande del popolo al suo sepolcro, nella cappella a suo honor fabricata in detta chiesa, a man destra dell’altar magiore, dove si vede tanti mira­ coli et voti attaccati, di gratie ricevute, da Dio benedetto, per interces­ sione di detto beato padre. E tengo di certo, che lui è un santo, e che, per mezo suo, s’habbino molte gratie, come ne posso raccontare dui miracoli belli, fatti in mia presentia. [P er la guarigion e d’ A n to n in a R a id a , si rim anda al ra ccon to, più a m p io, che ne fa essa , 309 ; p er la guarigione di Ip e r m e str a D a m ia n i, si rim an da, sim ilm en te, al ra ccon to che ne fa essa s te ssa , 310] I n causa scien tia e d ix it praedicta scire p e r ea quae supra d eposu it de loco te m p o r e , e t con testib u s quibus supra e t ipsa n escien te scrib ere fecit sign u m cru cis. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    [i. 868] DIE 8a MENSIS MAII 1610

    [308]

    E xa m in a ta f u i t , R o m a e, in dom o solitae h abitationis in frascriptae te stis, in region e P a rio n is, p rop e ecclesiam S an ctae M ariae in V a llicella , p e r m e e t c ., de m andato e t c ., ad p erpetu a m rei m em oriam d .n a Cassandra R a yd a ,2032 u x o r q. A lex a n d ri R icci de C a su lis, r o ­ m ana, te stis e tc ., a eta tis annorum sexa gin ta n ove m in circa, quae, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Io son solita confessarme e communicarme tre volte la settimana e tutte le feste. Il mio confessore è il p. Angelo Velli et hieri mi confessai e communicai qui nella Chiesa nova. Ho conosciuto il beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Con­ gregatione de l’ Oratorio di Roma, venticinque anni avanti morisse, che, all’hora, stava in S. Girolamo. E, da l’anno 1575 in qua, è stato mio confessore, di continuo, il p. Angelo suddetto ; e, quando era impedito il detto p. Angelo, il mio confessore era il detto beato Filippo, e credo mi haverà confessato, in vita sua, da venti volte e più. E non mi ricordo altro, se non, quando mi haveva confessato, mi pigliava per la testa, e sentivo il tremore e il battimento grande del core. E, quando diceva Messa, l’ ho visto, più volte, voltar di qua et di là, e tremar, in modo, che pareva ballasse. Et, una volta, tra le altre, stando alla sua Messa, ne l’oratorio suo ad alto, nelle stantie de padri, et mentre volse com­ municare la s.ra marchesa Rangona, e me, ce portò il santissimo Sa­ cramento. Veddi, chiaramente, che la santissima Communione, che mi dava, non toccava le sue dita, ma stava sollevata, in maniera che non la toccava niente, e stava così fra le sue dita. E restai, di questo, mera­ vigliata assai, e, tornata a casa, io lo raccontai a tutti per miracolo, come credevo, sicuro per tale. Et io l’havevo per sancto e vero servo di

    2032 Cassandra Raida comparve anche l’8 mag. 1610, nel terzo processo, nel quale inoltre fu nuovamente inserita la presente deposizione. Il suo testamento si aperse il 7 giu. 1622, per gli atti di Giovanni Battista Martelli, notaio di Rota e teste, anch’egli, di questo processo, G allonio , Istoria di Elena de Massimi, p. 55 nota 1, dell’editore R ebaudengo.

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    8 maggio 1610. [309] Antonina Raida. £. 870

    Dio, e, come tale, l’ho visto tenere et reputare, publicamente, perchè, a quanti ne ho parlato, sempre, tutti, l’hanno tenuto per santo e vero servo di Dio. E, poi, si vede la frequentia e devotione grande del popolo al suo sepolcro et cappella, in honor suo fabricata nella detta chiesa, a man destra de l’altar maggiore, dove si vedono di continuo voti di gratie, ricevute da Dio benedetto, a intercessione di detto beato padre. Et, benché io habbi inteso molti miracoli e gratie ricevute, come ho detto, per intercessione di detto beato padre, ne so uno, di certa scienza, suc­ cesso a Antonina mia sorella, nel modo infrascritto. [P er la guarigione d’ A n to n in a B a id a , si rim anda al ra ccon to, che ne fa essa ste ssa , 309, m a qui, f . 8 6 9 , la sorella Cassandra p recisa : « E non

    so quello, che la detta Antonina dicesse, o facesse in detto oratorio, perchè io non v’andai a vederla ; ma so bene, e mi ricordo, che, quando lei uscì da detto oratorio, la viddi, che caminava senza bastone et allegra »]. In terro g a ta de causa scien tia e, de loco, tem p o re et con testib u s de quibus su pra et ipsa n escien te scribere fe c it signum crucis in signum v erita tis. P e tr u s M a zziottu s notarius.

    [f. 870] DIB 8a MENSIS MAII 1610

    [309]

    E xa m in a ta fu it, R o m a e , in dom o solitae h abitationis in frascriptae te s tis , in region e P a rion is, p ro p e ecclesiam S an ctae M ariae in V allicella, p e r m e e t c ., e t m andato e t c ., ad fu tu ra m rei m em oria m , d .n a A n to n in a R a y da , 2033 filia q. F ran cisci R a y d i et J u lia e, coniug u m , rom ana, te s tis , aetatis annorum sexaginta sep tem in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Son solita, quattro e cinque volte la settimana, e più e meno, confessarme e eommunicarme, oltre le feste, perchè, tutte le feste, io mi con­ fesso o communico, e, l’ ultima volta, fu hieri, che mi confessai et communicai, qui nella Chiesa nova. Il mio confessore ordinario è il p. An­ gelo Velli, e dall’anno 1575 in qua, che è mio confessore. Et, in assentia del p. Angelo, mi confessava il beato Filippo, mentre visse; et hora, quando è impedito il sudetto p. Angelo, mi confessa il p. Giovanni Severano. Et l’occasione della cognitione del beato Filippo fu, che il detto p. Angelo me ci mandò, perchè era tenuto per santo, et che mi benedi­ cesse, et anco me desse delle mortificatione. Et io lo tenevo per un sancto, e ho udito molte volte la sua Messa, e, più di dieci volte, tra le altre, l’ho visto, mentre alzava il santissimo Sacramento, alzato da terra, e sollevato da quattro dita, et quando poco più, e quando meno. Stava così, per spatio di un « Credo », e più e meno ; si vedeva, che si sfor2033 Antonina Raida anche comparve, il 26 ag. 1610, nel terzo processo, nel quale fu nuovamente Inserita la presente deposizione. Il suo testamento si aperse il 19 nov. 1622, per gli atti di Giovanni Battista Martelli, e porta in fine : « Actum Romae in ejus domo in qua inhabitat sita in Regione Parionis retro et prope dictam Ecclesiam novam ». Vi risulta che si elesse in questa la sepoltura, G allonio , Istoria di Elena de’ Massimi, pp. 19 e 55, note dell’editore R ebaudengo.

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    8 maggio 1610. [309] Antonina Baida, ff. 870-871

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    zava non alzarsi e non poteva far di meno. E, quando mi communicava me e li altri, tremava tutto, in modo, che si vedeva, che era la gran devo­ tione di spirito, che haveva. Li tremava anco le mani, che pareva li volesse cascare la particula del santissimo Sacramento. E, come ho detto, io l’ho per sancto e vero servo di Dio. E si vede, che continua la fre­ quentia e gran devotione del popolo, al suo sepolcro et capella, a honor suo dedicata, in detta chiesa, a man destra de l’altar maggiore, dove sono moltissimi voti di gratie, ricevute, da Dio benedetto, a intercessione di detto beato padre. Et ancorché io sia certa della santità di detto beato padre et haver inteso de molti miracoli fatti, ne posso raccontare alcuni, che sono successi in persona mia, e che, in mia presentia, sono successi ad altri, nel modo che hora dirò. Dell’anno 1590, se ben mi ricordo, essendo io, all’hora, d’età di qua­ rantasei anni e più, havendo fatte alcune fatiche straordinarie, per ser­ vitio di casa, mi venne un dolore grande, nel ginocchio sinistro ; e, molte volte, si gonfiava ; altre volte, s’interizivano li nervi di sotto al ginocchio, e mi davano un spasmo grande. E mi dava detto dolore, di quando in quando, la febre, et ero sforzata di stare, molte volte, in letto, per causa di detto gran dolore. Et, per questo, ci feci venire molti medici, in parti­ colare Antonio Porto et il s.r .Angelo da Bagnarea :2034 quale, una volta, mi trovò con una febre grande, et non mi possevo movere di tutta la persona, nè meno lassarmi movere. Mi medicò, anco, per questo male, il s.r Bernardino Castellano : et questi dui ultimi medici so, che sono hora vivi ; l’altro so, che è morto. E detti medici mi fecero, in diversi tempi, molti rimedii, mi purgorno più volte, mi fecero diversi fomenti e diverse ontioni ; et io vi portai un pelle di lepre, vicino a doi anni, et altre medicine. E, se bene detti medicamenti et remedii mi giovavano alquanto, con tutto ciò, sempre, il male mi ritornava, et, alle volte, con maggiori dolori et enfiationi. E questo gran male, nel detto ginocchio sinistro, mi durò e mi ritornò più volte, per spatio d’otto anni in circa. Nell’anno, poi, 1598, nel giorno della festa delli ss. Philippo e Iacomo apostoli,2035 se bene nella detta vigilia m’era ritornato il dolore grande nel ginocchio (e me s’era gonfio, e mi dava tanto fastidio, che non possevo alzare la gamba, e bisognava che io alzassi il ginocchio con tutte due le mani) con tutto ciò, il giorno della festa delli detti ss. apostoli, volsi, la mat­ tina, sforzarmi, et andai, appoggiata con un bastone, a sentire la Messa et a confessarmi et a comunicarmi nella chiesa di S. Maria in Vallicella, qui vicina a casa mia, e, mentre io stavo lì in chiesa, il detto ginocchio mi diede gran fastidio [f. 871] et gran dolore. Et il ginocchio era gonfio assai, rosso, et li nervi ritirati. E dopo haver fatte le mie devo­ tioni lì in chiesa, mi ritirai, con gran fatica e dolore, a casa. Et, arrivata a casa, mi ritirai nel nostro oratorio e, stando ancora in piedi, con gran pena, mi voltai, con fede, ad una effigie, che all’hora havevo et ancora ho hoggidì, del beato Filippo Neri, dipinta ad olio, con una cornice in­ torno, e gli dissi : « o beato Padre, vi prego con tutto il cuore, o beato Filippo benedetto, hoggi, che è la vostra festa, delli santi del vostro

    2034 Angelo Vittori, molte volte così nominato; teste al processo, come il Porti. 2035 Ricorrente, come si ricorderà, fino a Questi ultimi anni, il 1° maggio : era stata quella onomastica di F.

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    8 maggio 1610. [809] Antonina Raida, ff. 871-872

    nome, impetratemi gratia dal Signore, ch’io sia libera da così gran male, che fo voto e vi prometto, di portare una gamba di cera, al vostro sepol­ cro, per segno della gratia ricevuta ». Et io feci questo voto di cuore, perchè mi trovavo a mal partito ; et io son dura a far li voti, et non mi so ridurre a fare voti; con tutto ciò, questo voto io lo feci di cuore, et havevo havuto ispiratione di fare questo voto, il giorno avanti, quando mi venne il male, ma m’andavo trattenendo, perchè, come ho detto, non mi sapevo ridurre a far voto. Ma, vedendomi a mal partito, e che il male andava tuttavia crescendo, mi risolsi, e, subbito, fatto il voto detto, e raccomandatami al beato Filippo, subbito, io ne veddi e provai un gran miracolo, perchè, subbito, fatto il voto, ricevei la gratia, e fui, subbito, libera dal detto male e dolore, e mi trovai il ginocchio sgonfio e sano affatto e subito caminai bene, senza bastone et senza dolore alcuno. E, da quel punto in poi, mai più ho havuto male alcuno, nè dolore in detto ginocchio ; e questo io l’ho tenuto sempre e tengo per gran mira­ colo, ottenuto da Dio benedetto, per li meriti et intercessione di detto beato Filippo. E, quando io recevei questa gratia grandissima, io non v’adoperai alcune sorte di medicina naturale, nè d’ herbe, nè di parole, nè fomenti, nè untioni, come solevo fare l’altre volte, che havevo patito di simil male, ma solo feci il voto, e mi raccomandai di cuore, come ho detto, al beato Filippo, e non feci voto ad altri nè meno vi posi reliquie sopra d’altri santi. E, l’altre volte, che havevo patito di questo male nel detto ginocchio, mi soleva durare dieci e quindici giorni, se bene mi facevano moltissimi remedii, fomenti et untioni, come ho detto, et, poi, de lì a poco tempo, mi ritornava. E, l’ultima volta, come ho detto, nel secondo giorno, mentre il male, il dolore et l’enfiagione, come ho detto, stava in augumento, doppo essermi raccomandata e fatto il voto al beato Filippo, mi cessò subbito il dolore et il male, e mai più l’ho havuto. E li medici detti non seppero, all’hora, questo miracolo, perchè io, per quella volta, non l’havevo ancora chiamati, e mai più ho havuto, poi, bisogno di loro per questa causa. E, di questo fatto, ne sono informati molti : in particolare, mad.a Cassandra, mia sorella, et Antonina della Mentana, zitella, quale la tenemo in casa. E, subito che io hebbi com­ modité di chi mi comprassi il voto, feci comprare una gamba di cera, et la portai al sepolcro di detto beato padre, per segno della gratia rice­ vuta. E questo miracolo sempre me ne son ricordata e me ne ricordo benissimo, e l’ho raccontato a diversi, con diverse occasioni, come mi­ racolo. Di più, mi occorre di dire, che, otto o dieci anni prima che il beato Filippo morisse, mentre habitava qui alla Chiesa nova, mi disse, un giorno, detto beato padre : « Antonina, fa’ che tu non t’ammali senza mia licenza ». Et io, quando mi sentivo indisposta, e sentivo, che il male mi voleva venire, andavo a gettarmi inginocchioni inanzi a detto beato Filippo. E, se bene, per ordinario, mi confessavo al p. Angelo Yelli, con tutto ciò, spesse volte, mi confessai dal detto beato padre, in particolare, quando il p. Angelo era fuori di Roma o impedito. Et io havevo tanto fede al beato Philippo e lo tenevo per santo, che, quando mi sentivo male, andavo da lui, a domandargli licenza, con dirgli, se si contentava dare licenza al male, che venisse. E, [f. 872] quandò il detto beato padre mi diceva: « no, che non mi contento ; non voglio, che tu t’ammali », io

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    10 maggio 1610. [310] Ipermestra Damiani, f. 873

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    sentivo subbito notabilissimo meglioramento, et il male non andava più avanti: e questo mi occorse molte volte, in quelli dieci anni, che il beato padre vi^se. E questo io l’ho tenuto sempre e tengo per miracolo, perchè, senza che io facessi alcuna sorte dì medicamento naturale, solo con dirmi il beato Filippo : « non voglio, che tu t ’ammali », io mi risanavo. [P e r la guarigion e d’ Ip e r m e str a D a m ia n i, s i rim anda al p iù am pio ra ccon to che n e fa essa ste ssa , 310].

    Di più, m’occorre dire, che, sei anni, in circa, prima che il beato Filippo morisse, io diedi a mad.a Cassandra, mia sorella, un berettino di tela bianca, quale era del beato Filippo Neri, e noi l’havevamo in mano, perchè lavavamo, per nostra devotione, tutti li panni di lino, che adoprava detto beato padre; e, per questo, mandammo un berettino, delli detti, alla s.ra Lucretia Citara Cianti, come reliquia : qual s.ra Lucretia, all’hora, era inferma. E, doppo, ho saputo, che detta s.ra Lucretia ricevè un miracolo, nella persona sua, con detta reliquia del berettino del detto beato padre, ma non sono informata delle circostanze del miracolo.2036 Et so, anco, che la detta s.ra Lucretia hebbe, da noi, doppo la morte di detto beato padre, un altro berettino nero, quale havea adoperato detto beato Filippo, et l’havevamo cuscito noi, d’alcune sue vesti vecchie.20372 8 3 0 Io Antonina Raide affermo quanto di sopra si contiene per verità, con mio giuramento, questo dì et anno sudetto. Io Antonina mano propria. P e tr u s M a z z io ttu s n otarius.

    [f. 873] DIB 10» MAH 1610

    [310]

    E xa m in a ta f u it, R o m a e , in dom o m agnifici d .n i G abrielis I o b ,203S v ite r b ie n sis, region is P o n tis , p ro p e T u rrim S an gu in ea m ,2039 d .na Ip e r m e str a D am ian a ,2040 u x o r su pra scrip ti d .n i G a b rielis, testis e tc ., annorum vigin tiqu in qu e in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta c tis, d ixit u t in fr a :

    Sono solita confessarmi e communicarmi doi volte al mese almeno, qui alla Pollinara, mia parrochia. Il mio confessore è il parrochiano ; e 2036 Lucrezia della Citara Cianti, teste il 3 mag. 1610, depose già il fatto, al f. 829. 2037 p e r i « berrettini » di B ., usati come reliquie, si veda la nota 469. 2038 Dichiarò la teste, al terzo processo: « ... vivo alle spese di mio marito, che è banchiere e mercante, che si chiama Gabrielli Job, habita in Tor Sanguigna », ms. A. IV. 1, f. 327. Secondo la più precisa indicazione di Antonina Pecorini, f. 866, era « bancherotto » : vale a dire cambiatore di monete, attività antica e assai redditizia in Roma, P ietro R omano [P ietro F obnari] , Roma nel cinquecento. Ponte (V rione), [pt. I], Roma, Tip. Agostiniana, 1941, pp. 115-21. Botteghe di « nummolaj » furono nella piazza di Tor Sanguigna, P asquale A dinolfi , La torre

    de’ Sanguigni e Santo Apollinare. Quarto saggio Della topografia di Roma nell’età di mezzo dato sopra pubblici e privati documenti. Roma, tip. Menicanti, 1863, p. 14. 2039 Tor Sanguigna, ancora esistente, dà il nome alla piazza sulla quale prospetta, G n o l i , Topografia e toponomastica di Roma, p. 331. 2040 ipermestra Damiani comparve anche nel terzo processo, il 1° sett. 1610. La firma al termine della presente deposizione è autografa.

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    10 maggio 1610. [310] Ipermestra Damiani, f. 873

    l’ultima voltaiche mi confessai e communicai, fu la prima domenica del presente mese, nella detta chiesa. Ho conosciuto il beato Filippo, ma io non li ho mai parlato et l’ho inteso anco, mentre viveva, nominare, repu­ tare, e tenere per huomo santo, e, come tale, l’ho sempre tenuto, come anco lo tengo, sino al presente. Ho inteso, che fa de molti miracoli ; ho visto la frequentia e gran devotione del popolo, alla sua sepoltura et capella, in suo honor fatto, a man destra dell’altar magiore della Chiesa nova. E, come ho detto, ancorché habbi inteso de molti miracoli, che ha fatto il detto beato, in sua vita e doppo morte, io ne raconterò uno mira­ colo vero, successo nella mia persona, che è questo, che hora raconterò, nel modo che hora dico. Che, cinque anni sono, del mese di maggio, stando io, a l’hora citella, in casa di mad.a Cassandra et Antonina, sorelle, vicino alla Chiesa nova, m’occorse, che una genovese, chiamata la s.ra Maria Pelazzi, quale stava, a l’hora, nella medesima casa, s’havea da partire di Roma, per tornare a Genova. E, mentre lei votava la sua casa, viddi io un libro de l’ Ariosto,2041 quale io pigliai in mano, per leggerlo. E, quando volsi comminciare a leggerlo, mi ricordai, che havevo promesso, doi mesi prima in circa, al mio padre spirituale, p. Angelo Velli della Chiesa nova, di non leggere mai più libri profani e mondani. E se bene di questo non havevo fatto voto, nè meno havevo giurato que­ sta prommessa, con tutto ciò, il detto padre havea voluto, ch’io ce lo prommettessi, nel miglior modo ch’io possevo, dal giuramento in poi: e così gli havevo prommesso di fare. Con tutto ciò, havendo questo libro in mano, fui tentata di leggerlo, e, dopo haverne letto quattro o cinque stanze, mi venne maggiore scrupolo, e mi venne in pensiero : « o, se il Signore mostrasse qualche miracolo di questa mia disobedienza? » Et, in questo, stando con timore e rimordimento di conscienza, mi sentii in un tratto, scendere, in tutti doi gli occhi, tanta quantità d’humore focoso, e con tanta abondanza, che fui sforzata lasciare detto libro e lo nascosi sotto un pannacelo. Et fu tale la discesa e dolore, in un tratto, ch’io credevo certo essere cieca. Et, in un tratto, tutti doi gli occhi mi s’infiamorno e diventorno rossi, e vi sentivo un fuoco grandissimo, e, nel medesimo tempo, mi cominciorno, talmente e con tanta abondanza, a lacrimare tutti dui, che le lacrime mi calavano, a dieci a dieci, sopra le mani, quali mi brugiavano, come si fossero lacrime di fuoco, e m’ impedirno la vista. Tal, che venni giù a tastoni, per le scale, senza vedervi lume, a trovare mad.a Gasandra e mad.a Antonina, e gridavo e mi tor­ cevo per il dolore, che non trovavo luogo. Et, so, che dette donne mandomo a chiamare lo speciale della Chiesa nova, e non lo trovorno ; mandomo per il barbiere, per farmi attaccare le coppe, e non venne ; e tutti m’havevano compassione. E mad.a Antonina mi disse, che mi bagnassi gli occhi con l’acqua rosa, et io presi un poco d’acqua rosa, che havevamo in un fiasco, e mi toccai gli occhi, et, non solo mi giovò, ma mi fece

    2041 Certo VOrlando furioso, poiché più sotto si parla di « stanze » (solita­ mente, ottave). Per curiosità si può ricordare che F., ccfisso in Dio, con la continua oratione et meditatione », si faceva leggere, per dormire, « qualche libro profano, come Orlando et altri», f. 432; e che il poema ariostesco è registrato nell’® Inven­ tarium honorum » (si veda la nota 1089), sebbene non si conservi oggi più tra i libri di F., alla Biblioteca Vallieelliana, Sandri, La biblioteca di san F. N., cit., in Ecclesia, V, 1946, I, p. 237.

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    10 maggio 1610. [310] Ipermestra Damiani, ff. 873-874

    187

    peggio, e mi s’accrebbe il dolore e fuoco, che sentivo e, tanto più, questo male io lo tenevo per castigo di Dio, per la mia disobedienza, perchè io non havevo mai patito di mali d’occhi, nè meno pativo di discensa, nè di doglia di testa, ma sempre havevo havuto, come al presente ho, bonissima [f. 874] vista ; et havevo, come anco ho, bonissima testa ; et ero sempre stata di bonissima complessione. Et il detto male mi venne in un instante, come ho detto. E, dopo ci esser stata più di tre quarti d’hora, in questi dolori e spasmo delli occhi detto, mentre il male andava in fervore e crescendo, non sapendo quelli di casa che agiuto darmi, mi disse mad.a Antonina Raide, quale haveva ricevuto alcuni miracoli, nella persona sua, dal beato Filippo, ch’io andassi, con fede, a toccare un quadro del beato Filippo, quale tenevamo, a l’hora, in un oratorio, vicino al luogo, dove io a l’hora stavo (et era un ritratto del detto beato padre, dipinto ad oglio, con una cornice a torno : quale so, che, ancora hoggidì, le dette donne hanno, in detto loro oratorio) e che poi, con fede, mi toccassi gli occhi. Et io, trovandomi a mal partito (perchè, se il male fosse stato in ogni altra parte del corpo, mi pare, che non me ne sarei curata tanto ; ma, ne li occhi, m’incresceva troppo restar ciecha ; del che ne dubitavo, perchè a l’hora, come ho detto, non vi vedevo, e sentivo, che il male et il dolore andava crescendo) per questo, quando sentii, da detta mad.a Antonina, nominare il beato Filippo, andai subito, con fede, perchè io lo tenevo e tengo per santo, a toccare, con le mie mani, la detta effiggie del beato Filippo, e, per quanto m’accorsi dopo, venni giusto a toccare le mani del detto beato e, subito viddi e provai un miracolo gran­ dissimo. Perchè, subito ch’ebbi toccato detto quadro, con raccommandarmi a detto beato, mi toccai gli occhi e subito, nel medemo tempo, mi sentii sana affatto, mi cessò la lacrimatione, mi cessò, subito, quell’infiammatione e fuoco, che vi sentivo, mi cessò il dolore, e restai sana affatto, come sono hoggi, e mi ritornò la vista benissimo subito, e, da quel punto in poi, non ne ho mai più patito. Et, a questo miracolo, vi fu presente mad.a Antonina Raide et mad.a Antonina dalla Mentana, quali so, che sono vive, et habitano nella medesima casa, hora, dove io, a l’hora, ricevei il miracolo. Et io, a l’hora, non feci voto ad altro santo, nè vi posi sopra reliquie di sorte alcuna, nè meno vi feci alcuna sorte di medicina naturale, nè d’herbe, nè di parole, nè d’altra sorte. Et questo io, a l’hora, lo tenni e lo raccontai, a diverse persone, per miracolo, e così lo tengo hora ; e mi ricordo, che lo raccontai al p. Angelo Yelli, mio confessore, et ad altri. Io Ipermestra Damiani affermo quanto di sopra si contie[ne], per la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sudetto. Io Ipermestra mano propia. P e tr u s M a zzio ttu s notarius.

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    188

    11 maggio 1610. [311] Francesco de’ Rustici, f. 875

    [f. 875] DIE l l a MENSIS MAH 1610

    [311]

    E xa m in a tu s fu it R o m a e , in officio m ei e t c ., p e r m e e t c ., de m an ­ dato e t c ., ad p erpetu a m r e i m em oria m , ill.is d .n u s F ran ciscu s de R u stic is,2042 n oM lis rom a n u s, m iles M ilitia e I e s u C h risti,2043 te ­ s tis e t c ., aetatis annorum sexaginta o c to in circa, qu i, m ed io iuram e n to , tactis e t c ., d ix it u t m f r a :

    Son solito confessarne e communicarme, almeno ogni quindici giorni, alla Raceli o al Giesù.a II mio confessore è fra Mario,2044 in detta chiesa, et l’ ultima volta, che io mi confessai et communicai, fu domenica pas­ sata fece otto giorni, nella chiesa del Giesù, perchè sono della Congre­ gatione,2045 e spero, con la gratia del Signore, frequentar, per l’avenire, sino alla morte, più spesso. Ho conosciuto il beato p. Philippo Neri, fio­ rentino, fondatore della Congregatione dell’Oratorio, nella Chiesa nova, dal quale io andavo qualche volta, e ci pratticavo, et io l’ho tenuto sem­ pre per huomo dabene, vero servo di Dio, e di santa vita e, doppo la sua morte, l’ho sempre tenuto per beato. E che sia la verità, che lo tenevo, mentre viveva, per vero servo di Dio, una volta, se ben mi ricordo, de

    a Scritto sopra il rigo : o al Giesù.

    2042 Francesco de’ Rustici, identificabile con il teste, donò 1000 scudi all’arciconfraternita degli Orfani di S. Maria in Aquiro, nel 1603, e fu uno dei conser­ vatori del Comune nel 1614, F orcella, v . I, p. 446, n. 1371; v. II, p. 51, n. 114. Si leggono questi due necrologi, da libri di S. Stefano del Cacco e di S. Giovanni della Pigna ; « 1617. 29 martii f D. Franciscus Rusticus ann. ciré. 73. Sep. in eccl. S. Marip supra Minervam in sep. maior. LXVIII », « 1617. 30 marzo. Sep. il s.r Francesco de Rustici. LIX », cod. Vat. lat. 7875, f. 195. 2043 L ’ordine del Cristo, o «milizia di Gesù Cristo», fu istituito, dopo la soppressione dei Templari, dal re di Portogallo Dionigi I « il Liberatore », per la difesa del regno contro gli infedeli; e approvato da Giovanni XX II, il 14 mar. 1319. Dopo l’esonero dei cavalieri dall’obbligo dei voti, dato da Ales­ sandro VI, nel 1499, e l’unione del gran magistero alla corona del Portogallo stabilita da Giulio III nel 1550, l’ordine si andò evolvendo dal tipo di cavalleria regolare a quello onorario. Si vennero a creare due rami, poiché, oltre i re e gran maestri portoghesi, i papi conferirono la nomina a nuovi cavalieri d’ognì nazione, senza voti e obblighi. L ’ordine ebbe una riforma nel 1878 e nel 1905, per statutaria innovazione di s. Pio X, divenne « l’ordine supremo fra gli ordini equestri della Sede Apostolica », M ario G obino, Titoli nobiliari e ordini equestri pontifici; contributo al nuovo diritto araldico concordatario, in Atti della Acca­ demia delle scienze di Torino, v. 68, 1932-33 (in estratto, Torino, Bocca, 1933, pp. 26-27); G iacomo C. B ascapè, L’ordine sovrano di Malta e gli ordini equestri

    della Chiesa nella storia e nel diritto. Appendice: Gli ordini della repubblica di San Marino. Milano, casa ed. Ceschina [1940], pp. 121-29. 2044 y a inteso, a S. Maria d’Aracoeli, non solo per l’appellativo usato; ma anche per l’inserimento posteriore nel testo (vedi sopra) dell’indicazione : « o al Giesù ». 2045 La congregazione mariana dell’Assunta, detta poi dei Nobili, presso la chiesa del Gesù, già ricordata nelle note 307, 439, 1281 (sulla cappella, che ne è sede, si aggiunga P ecchiai, Il Gesù di Roma, cit., pp. 312-14, 325-26). Si trova, di fatto, nominato tra i fratelli, morti avanti il 1628 : « Francesco cav.e de Rustici ». cod. Vat. lat. 8047, f. 49.

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    11 maggio 1610. [311] Francesco de’ Rustici, f. 875

    189

    l’anno 1590 o 1591, essendo io creditore del q. s.r Mattheo Stendardo,2046 già mio cognato,2047 in una quantità de denari, che non sapevo la somma precisa, ma facevo il mio conto, che potesse essere il mio credito di domila e ducento scudi, e perchè non havevo scritture chiare, nè potevo mostrare più che tanto, e lui era huomo vecchio, e dubitavo non se mo­ risse, senza far mentione del fatto mio, mi venne in pensiero, un giorno, stando così travagliato, di andarmene dal detto beato p. Philippo, che gli havevo gran fede, e discorrere con lui di questo fatto, et fare quello mi havesse consigliato. E, la notte, non potendo dormire, pensando a que­ sto negotio, mi venne in pensiero, come ho detto, di andar dal detto beato padre. E, così, la matina seguente, senza che io havessi conferito tal negotio con nessuno, nè manco con mia moglie, mi conferii alla Chiesa nova, et andai a trovar, in camera, detto beato padre, e, giunto da lui, lo salutai. Et detto beato padre, subito mi vedde, disse : « vien qui ; sedi : so che cosa tu vói ; tornate tra doi giorni : io vi darò sodisfatione »

    2046 Matteo Stendardo, conte di Alife, nacque da Marino Boffa, puteolano, e da Giovannella Stendardo, ultima del ramo napoletano di questa famiglia; portò il cognome prima Boffa Stendardo, poi solamente Stendardo, V ittorio S preti, Enciclopedia storico-noMUare italiana, v. V I. Milano, 1932, p. 481 (Nicolò Franco, nel suo libello contro i Carata, faceva conoscere questa genealogia di Matteo « et l’errore che facevano questi Cesarini a non farlo buttar in fiume perchè quello non era della casa Stendarda », M ercati, I costituti di Niccolò Franco, cit., pp. 49-50). Nipote di Paolo IV è detto, anche nel processo, if. 928, 968, ma in realtà si tratta di un legame domestico piuttosto vago : il padre, Marino, sposò in altre nozze Belisandra, figlia di Giovanni Luigi della Lionessa e di Beatrice Carata, sorella di Paolo IV, C arlo B romato, Storia di Paolo IY pontefice mas­ simo, t. II. In Ravenna, per Antonmaria Landi, 1753, p. 113. Nella guerra tra spagnoli e pontifici, Matteo è ricordato tra i capitani, per azioni a Valmontone e a Palestrina, Della guerra di Campagna di Roma, et del Regno di Napoli, nel

    pontificato di Paolo ΙΙΠ . Vanno M .D.LVI et LVII, tre ragionamenti del signor A lessandro A ndrea, nuovamente mandati in luce da G irolamo R uscelli. In Venetia, per Gio. Andrea Valvassori, 1560, pp. 103-04. Fu anch’egli colpito dalla disgrazia che travolse i Carata, sotto Pio IV, e ne fu ordinato l’arresto ; ma riuscì a fuggire, R ené A ncel, O. S B., La disgrâce et le procès des Carafa d’après des documents inédits, in, Revue bénédictine, XXV, 1908, p. 213 n. 2. Ma erano corse false voci, contenute in un Avviso di Roma 8 giu. 1560, che egli era stato preso, con Torquato Conti, Cesare Brancaccio e altri, « li quali tutti sonno stati li seguaci delli Caraffa et più favoriti ». P astor, v . V II, p. 603. Della « conversione » di lui, operata tra quelle di altri signori da F., in epoca indeterminata, parlò Germanico Fedeli, f. 928. Si trova, di fatto, che Matteo Stendardo lo ricordò nel suo testamento, con un legato cospicuo, nel 1573 : « Item per tutte e singole cose male acquistate, essendo io stato soldato, lasso che se debbano dare et pagare al r.d0 M. Filippo Neri mio confessore scudi 1500 », L anoiani, v. IV, p. 71. Dopo Olimpia de’ Rustici (sulla quale la nota seguente), sposò Costanza Vitelleschi, che Matteo, con suo testamento in data 9 genn. 1593, fece usufruttuaria del capitale di 8000 scudi lasciati all’arciconfraternita dello Spirito Santo dei Napoletani, P ecchiai, La chiesa dello Spirito Santo dei Napo­ letani, cit., pp. 62, 79, 85. Si trova nel G alletti il necrologio, trascritto da libri dei Ss. Apostoli : « 1593. 2 febr. f II s.r Matteo Stendardo. Sep. a S. Silvestro di Monte Cavallo. XX VIII », cod. Vat. lat. 7873, f. 55. 2047 per avere sposato Olimpia de’ Rustici, morta a circa trentadue anni, il 31 ag. 1581; alla quale Matteo Stendardo pose un’iscrizione in S. Silvestro al Quirinale, F orcella, v . IV, p. 43, n. 101. Anche di lei si legge la nota di sepoltura, da libri dei Ss.Apostoli ; « 1581. 2 settembre t La s.ra Olimpia moglie de M. Matteo Standardi. Sep. nella chiesa di S. Silvestro de Teatini. XXVIII », cod. Vat. lat. 7872, f. 84.

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    11 maggio 1610. [312] Elena Mazza Conti, f. 876

    e ci trattennimo poi circa un’ hora a ragionare di altri negotii, senza far mentione niente di questo. E, nel fine, lui da sè mi licentiò, dicendomi : « da qua doi giorni, torna, che, in questo mezo, parlerò al s.r Mattheo, e farò che havrete sodisfatione » e mi licentiai. E, tra doi giorni, come mi haveva ordinato, tornai e mi disse : « ti ho accommodato » : come fu, perchè io hebbi scudi domila, con mia sodisfatione. Et questo, veramente, lo tenni, all’hora per miracolo, perchè come ho detto, questo negotio non l’havevo conferito con anima nata, e, dicevo, il detto beato padre non lo poteva saper, se non per rivelatione divina ; e, se non fusse stato vero servo di Dio, non haverebbe saputo questo negotio, come ho detto, che non l’haveva conferito con nessuno. Et tanto più l’attribuii a mira­ colo, perchè mi successe, conforme lui mi predisse, ancorché io lo tenessi desperato, e me ne stavo travagliato, e non Phavevo conferito con nisuno, come ho detto. Li detti ducati duimila io l’hebbi doppo la morte del detto s.r Mattheo. Et, oltre a questo negotio, mi disse anco : « o, tu hai d’haver de gran travagli », come veramente mi è successo : e, per questo, l’ho tenuto per vero servo di Dio, al quale me li racomando ogni matina. Dico, quanto in questo mio esumine ho detto, tutto esser la verità : come tale la confermo, con mio giuramento, tutto a gloria di Dio et honor di questo suo buon servo. I n causa scien tiae d ixit p raedicta scire p er ea quae supra d eposu it.

    Io Francesco de Rustici dico quanto in questa presente samina si contiene tutta essere la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sudetto. Io Francesco de Rustici manu propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    [f. 876] DIE 11» MENSIS MAH 1610

    [312]

    E xa m in a ta f u it, R o m a e , m d om o in frascriptae te stis, region is P o n tis , p e r m e e tc ., de m andato e t c ., ad fu tu ra m rei m em oria m , d .n a E len a M azza de C o m itib u s,204* u x o r d .n i R od u lph i de C o m itib u s, testis e t c ., a eta tis annorum quinquaginta in circa, quae, m edio i m a ­ m e n te , ta ctis e tc ., d ixit u t in fr a :

    Io son solita confessarme e communicarme ogni octo giorni, alla Chiesa nova. Il padre confessore mio è il p. Pompeo,2 2049 e da Pasqua in 8 4 0 qua, non mi sono possuta confessare nè communicare, perchè sono stata impedita da una gamba, et questa Pasqua mi confessai e communicai in S. Luigi, mia parrochia. Io non sono mai stata esaminata in nissuna causa, et questa è la prima volta, che io sono esaminata, in questa causa del beato Filippo Neri, fiorentino fondatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova. E per esser un miracolo molto bello, suc­ cesso nella persona di Giovanni Battista mio figliolo, mi è parso volerlo notificare e palesarlo, a gloria di Dio benedetto, e questo suo buon servo, come qui di sotto si contiene, et, prima mi è parso racontare il successo tutto, come avenne e perchè. 2048 Elena Mazza, di Terni, moglie di Rodolfo Conti e madre dei testi Giovanni Battista (285) e Prospero Conti (298), già comparsi il 26 e 30 aprile 1610. 2049 pateri, sul quale la nota 1212.

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    11 maggio 1610. [312] Elena Mazza Conti, ff. 876-877

    191

    Io non ho conoscinto il beato Filippo Neri della Chiesa nova, mentre lui viveva ; ho ben sentito dire, da diverse persone, che era un sant’huomo, et che fece molti miracoli in vita, et ne ha fatti, ancora, molti doppo morte, et io ho veduto, nella Chiesa nova, molti voti, nella sua capella, a man dritta dell’altare maggiore. Et, in particolare, ho veduto un mira­ colo grandissimo di detto beato, nella persona di Giovanni Battista, mio figliolo, d’età di ventidue anni in circa ; et è, che il detto Giovanni Bat­ tista, questo anno, il mercordì grasso, venne a casa mia infermo, accom­ pagnato da un servitore. Et, per la strada, s’era bagnato, perchè pio­ veva, et, quando arrivò a casa, viddi che s’andava appogiando per le scale, et io mi pensavo, che fosse qualche altra persona, perchè non sapevo niente, che lui si sentisse male. E, quando lo viddi, a capo alle scale, lui mi disse : « mia madre, mi sento male », et io lo viddi in faccia, che pareva un morto, pallido ; e lo toccai, che era caldo assai, che brugiava. E, subito, gli scaldai il letto, e lo feci colcare, e, la mattina seguente, feci chiamare il s.r Merollo Merolli,2050 medico, quale, fra gli altri medicamenti, gli diede una medicina, che lo mosse ventidue volte. Et io vedendo questo, restai come morta, perchè sapevo, che detto mio figliolo era di debole complessione ; et, quando viddi tanta grande mo­ tione, io lo tenni per morto ; et, in casa, non discorrevamo altro, se non della morte sua, con pensare quello che havevamo da fare doppo la sua morte. Et il detto s.r Merollo restò ancora lui maravigliato, in vedere tanta gran operatione, che haveva fatta la medicina, che gli haveva data ; et io, vedendo che il medico dubitava della vita di detto mio figliolo, gli dissi, a Ridolfo mio marito, se si contentava, che facessimo venire un altro medico ancora ; et lui disse di sì, e che chiamassimo il s.r Angelo da Bagnarea. Quale, quando venne, doppo haver veduto et interrogato detto Giovanni Battista, disse, che era molto pericoloso, e mi disse, che haveva tre mali pestiferi e tutti mortali ; et viddi, che detti medici si ritirorno insieme, in una camera, e stettero da un’hora et tre quarti discorrendo. Et, all’hora, era il sesto o settimo giorno della infirmità di detto mio figliolo, et io viddi, che, all’hora, era tutto pieno di petec­ chie, et haveva una risipola, che lo pigliava tutta la persona, dalla Cen­ tura in su, et, in particolare, tutte due le spalle, il collo, il braccio sinistro et mezzo il petto, et andava verso il cuore. Et il mio figliolo si lamentava, che gli pareva haver la bocca piena di cera, et vedevo, che durava fatica a parlare, et tremava con tutta la persona. Et andò sem­ pre pegiorando, fino al 13° giorno della sua infermità, nel qual giorno il s.r Angelo, medico, mi disse : « giovedì non ci vedremo più », perchè du­ bitava, per quanto lui disse, che, nel 14° o 15° dell’infermità, il detto mio figliolo morisse. [A lle deposizioni di G iovan ni B a ttista C o n ti 285 e di P ro sp ero C o n ti 298, la m adre E len a M azza aggiunge che « il giorno di S. Matthia apostolo, la sera, a 22 hore incirca, il detto Giovanni Battista fu com­ municato, per viatico, dal nostro parochiano di S. Luigi di Francesi ». E s s a dice della visita dei padri M a n n i, L a n teri e B u cci e p o i del p . Z azzara, « quali io non li conosco per nome, et non sentii quello che li detti

    2050 Meroldo Meroldi è stato gift ricordato nella nota 1831.

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    192

    12 maggio 1610. [313] Fiordelisa Sannesi. f. 878

    padri dissero a detto Giovanni Battista, perchè ero addolorata et occu­ pata nelle faccende di casa. Mi ricordo bene, che, in quel giorno, verso le 23 hore et meza, io vidi, in mano di Prospero, mio figliolo, un qua­ dretto piccolo di tela bianca, et mi disse, che, poco prima gli l’haveva portato uno delli detti padri della Chiesa nova, con dirgli, che era un pezzo della camiscia del beato Filippo Neri. Et viddi, che il detto Pro­ spero pose detta reliquia al collo di detto Giovanni Battista e, poco doppo (che non vi corse tre “ Credi ” ) sentii che il detto Giovanni Battista disse, che si sentiva meglio assai, da che gli era stata posta la reliquia del beato Filippo ... ». D o p o a ver d e tto d’ aver dato da cena a G iovan ni B a t ­ tista , la m adre so g g iu n g e : « Et io, la sera, non lo toccai, s’haveva la febre; ma so bene che, la matina, quando venne il s.r Angelo medico, disse, doppo haverlo toccato : “ allegramente ; non morirà più ; non vuol morire ; sta bene ; non ha febre ” . Et sentii, che parlava latino con l’altro medicò, suo compagno; et io, sentendo questo, tutta mi rallegrai ... ». E len a M azza dice dei m e d ic i: « ma noi non gli havevamo detto niente delle reliquie del beato Filippo » ; del figlio G iovan ni B a tista d ice, che « lui diceva, che si sentiva gagliardo, che si saria voluto levare. Ma io non volsi, che si levasse, per alcuni giorni, perchè era estenuato assai, et, per ordinario, lui è di poca complessione, e dubitavo, che non ricadesse »]. In terro g a ta de causa scien tia e, d ixit praedicta scire, p e r ea quae supra d ep o su it, de loco tem p ore et con testib u s de quibus supra. In terro g a ta r e s p o n d it: Io dico che quanto di sopra si contiene in

    questo, esumine tutto esser la verità ; e, come tale la confermo, con mio giuramento. E t ipsa n escien te scrib ere, fe c it sign um crucis. P e tr u s M a zzio ttu s n otarius.

    [f. 878] DIB 12» MENSIS MAH 1610

    [313]

    E xa m in a ta fu it , R o m a e, in palatio solitae habitationis ill.m i d .n i B ern a b ei S an n esii de B e ifo r te , C am erinen sis d iocesis, p er m e e tc ., de m andato e tc ., ad fu tu ra m r ei m em oria m , ill.m a d .na F lora delisa S an n esia ,2051 u xo r su pra d icti ill.m i d .n i B ern a b ei, testis e tc ., a eta ­ tis annorum sep tu a gin ta n ovem in circa , quae, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ixit ut in fr a :

    Son solita confessarme e communicarme, ogni domenica, alla Mi nerva o a S. Stephano del Oaccho. Il mio confessore è il curato della

    2051 Fiordelisa Sannesi, moglie del teste successivo, Barnabè o Barnaba: essi furono genitori del cardinale Giacomo (sul quale, più sotto) e di Clemente. La famiglia, originaria di Beiforte del Chienti, in diocesi di Camerino e provincia ora di Macerata, era stata di povera condizione, e crebbe per la protezione usata dal card. Pietro Aldobrandini a Clemente. Questi, nobilitato con titolo di mar­ chese, comprò, dopo la creazione a cardinale del fratello, il palazzo prima Maffei e Peretti alla Ciambella, e altro contiguo già Gabrielli, O bbaan, pp. 55-57 (56 n. 1. sulla protezione degli Aldobrandini), 359 n, 220 n. La teste, illetterata, comparve anche al terzo processo, il 14 ag. 1610.

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    12 maggio 1610. [314] Barnabè Sannesi. f. 878

    193

    Minerva, e fra Amico in S. Stephano ; 2052 et, domenica passata, mi communicai, nella capella qui in casa. Io non ho conosciuto il beato Fi­ lippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione dell’Oratorio nella Chiesa nova, ma l’ho inteso nominare per un sancto e vero servo di Dio, e che fa delli miracoli, et io ne posso raccontar uno, successo, nella mia persona, avanti Natale prossimo passato. Che, essendomi durato un catarro, su le spalle e la testa, per spatio di un mese in circa, con dolori, che non poteva movermi, nè il collo, nè la testa, e mi dava fastidio, non potevo star in letto, nè in piedi ; e, più rimedi che ci facevo, manco mi giovavano, anzi, mi sentivo sempre pegiorare ; e, così, venendo a visitarme il s.r Horatio Maglioni,2053 et sentendomi così lamentare, mi raconté alcuni miracoli di detto beato padre e mi disse che mi voleva portar un remedio, che mi haveria guarito subito. E così tornò e, dicendomi : « ecco il remedio, che ho portato », e ponendomelo sopra la fronte, in modo di strofinare, io sentendo mi giovava così subito, dissi : « Giesù, che cosa è questa? » Mi pareva che fusse ontione, che mi giovava in un subito, e replicai : « di gratia, seguitate » e lo feci seguitar, dove sentivo il dolore, sin tanto che mi sentii affatto libera del dolore et del catarro. Et, all’hora, cominciai a voltarmi intorno la testa, dove volevo, che prima non potevo movermi. Et il detto s.r Hora­ tio, all’hora, mi disse: «questa è una reliquia del beato Filippo». Et all’hora mi messi in oratione e ringratiai Iddio benedetto, mi havessi fatto questa gratia, per intercessione del beato Filippo. E cognobbi, che questo fu vero miracolo, perchè, doppo che mi furno poste dette reliquie, come ho detto, '■sopra il dolore, oltre che mi si partì, in un subito, il detto dolore, mdi più ne ho sentito dolore, e non ho hauto, nè sentito più detto catarro. E non ci adoperai altro medicamento, nè mi furno poste altre reliquie, che quelle del beato Filippo. E, da l’hora in qua, sempre l’ho tenuto per protectore di casa nostra, e lo conferii con detto mio marito, et il s.r cardinale, mio figliolo,2054 quali, tutti assieme, l’habbiamo preso per nostro protectore, et li habbiamo particulare devo­ tione. E questa è la verità, et per tale la confermo, con mio giuramento, et, per non saper io scrivere, farò qui di sotto il segno della croce, in segno della verità. S ign u m crucis. P e tr u s M a zziottu s n otariu s.

    [314]

    S u ccessiv e, exam in atu s fu it, ubi et p er quern su pra , ad p e r p e ­ tuam rei m em oria m , ili.m us d .n u s B ern abeu s S a n n e siu s 2055 de B el-

    2052 La chiesa di S. Stefano del Cacco, già ricordata nella nota 1331, tu data ai monaci Silvestrini nel 1563, da s. Pio V, con onere della cura d’anime; essi la restaurarono avanti il 1607, H uei .sen, p. 481; A rm e lu n i -Ceccheixi, p. 572. 2os3 Orazio Maglioni, teste il 24 mag. 1610 (326). 2054 Giacomo Sannesi sostenne vari uffici, fino a segretario della Consulta e protonotario apostolico; fu fatto cardinale, da Clemente V il i , nell’ultima crea­ zione del 9 giu. 1604, ricevendo il titolo presbiterale di S. Stefano al Celio. Ebbe il vescovado di Orvieto, il 20 giu. 1605, e mori il 19 feb. 1621, a Roma (il 20 feb­ braio, secondo riscrizione postagli sul sepolcro, in S. Silvestro al Quirinale, dal fratello Clemente, marchese di Collelungo, F o r c e l l a , v . IV, p. 50, n. 120), C h a c o n O l d o i n i , Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. IV, col. 358; P a s t o r , v . XI, pp. 189-90. 2055 Barnabé Sannesi depose anche al terzo processo, il 14 ag. 1610. Se ne legge il necrologio, nel G a l l e t t i , da libri di S. Stefano del Cacco : « 1615. 11 octob. 13

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    12 maggio 1610. [314] Barnabè Sannesi. ff. 878-879

    f o r t e , C am erinen sis e t c ., te stis e t c ., aetatis annorum sep tu a gin ta se x in circa , qui, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Ogni domenica, io sono solito confessarme e communicarme alla Mi­ nerva. Il mio confessore è il curato della Minerva, e, domenica prossima passata, mi communicai, ultimamente, come ho detto, in detta chiesa. Non ho conosciuto il beato p. Philippo, ma ho letto la vita sua,2056 et lo tengo per un santo e buon servo di Dio, e che fa de miracoli, e, doppo che io cominciai a legger la vita sua, io li ho posto particulare devotione, et, ogni giorno, mi ci raccomando in particulare. Ancor che io habbi inteso molti miracoli, che fa detto beato p. Filippo, uno ne posso rac­ contare, in la persona di Fiordelisa, mia moglie, che fu innanzi Natale, si ben mi ricordo, del mese di ottobre prossimo passato. Ohe, a detta mia moglie, li venne un catarro nel collo e spalle, che li gonfiava le corde del collo, e si sentiva tutta dolorata, in maniera che non poteva stare, nè trovava loco, nè in letto, nè a sedere, nè a spassegiare, et era tanto eccessivo il dolore, che, al più delle volte, li dava la febre. È, mentre stava così adolorata, che non trovava luogo, venne in casa il s.r Horatio Maglioni, quale portava un pezzo di reliquia del beato Filippo (io la viddi : mi pare, che fusse un pezzo di saietta nera ; era un pezzetto piccolo) e la pigliò, ponendola sopra il dolore, che se sentiva detta mia consorte. E, mentre metteva detta reliquia,- come ho detto, sopra dove si sentiva il dolore, la detta mia consorte diceva : « che cosa è questa? mi sento un gran giovamento ; di gratia, seguitate ». E così seguitando, per tutto, dóve sentiva il dolore, per spatio di un « Credo », et, finito di toccare, di mano in mano, dove toccava, levava subito il [f. 879] dolo­ re. Et cessò affatto il dolore, et lei, subito, si cominciò a movere, dove, prima, non si poteva movere, e li passò affatto il dolore, e mai più ne ha patito, da all’hora in qua. E non vi fu posto altro medicamento, nè altra reliquia, che questa del beato Philippo, et, da l’ hora, questo fu tenuto per miracolo, e, come tale, lo tenemo sino al presente. Il detto s.r Horatio, che portò detta reliquia, la portò in casa mia, ad mia petitione, perchè, un giorno, mentre ragionavamo, con detto s.r Horatio, sopra la vita e miracoli di detto beato padre, venne a un particulare, di uno miracolo particulare, dicendomi : « io mi ritrovo un pezzo di reliquia del beato p. Filippo appresso di me ; et, li giorni pas­ sati, trovandomi, in casa mia, in un appartamento, una donna, che haveva una creatura, che strillava e gridava, e, così mosso a compas­ sione, non sapeva che remedio darli, per guarirla, li mesi, sopra detta creatura, la detta reliquia », per quanto mi disse, et, subito messa, la creatura si quietò miracolosamente.2057 Et io, sentendo questo miracolo, lo pregai, e feci instantia, che, di gratia, portassi questa reliquia a detta mia consorte. Il detto s.r Horatio la portò volentieri e la pose, come ho detto, sopra il dolore, e se ne è reeevuta, di subito, la gratia, come ho detto. E, receuto questa gratia, di lì a pochi giorni, andai a visitar la

    t Ill.us d. Barnaba Sannesius de Bélforte picenus ann. 83. Sep. in eccl. S. Silvestri in Quirinali. LXVIII », cod. Vat. lat. 7875, f. 181. 2056 L a vita del G a l l o n i c i , probabilmente l’edizione italiana, pubblicata nel 1610. 2057 La « creatura » era Cecilia di Nicolò Beamo, e il fatterello si trova narrato dal Maglioni, al f. 917.

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    li maggio 1610. [315] Camilla Campioni, f. 880

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    capella et il sepolchro del detto beato padre, lì alla Chiesa nova, a renderne gratie a Dio benedetto et a detto beato padre, per la gratia riceuta. Et questa è la verità e, come tale, la confermo, con mio giura­ mento, di propria mano, a gloria di Dio e honor di questo suo buon servo. Io Barnabé Sannesio sopradetto affermo et approvo quanto di sopra, per la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sopradetto, mano propria. P e tr u s M a z z io ttu s n otarius.

    [f. 880] DIB 14» MENSIS M AH 1610

    [315] E xa m in a ta fu it, in dom o solitae habitationis d .n i P e tr i C on tin i , 2058 in via P a r io n is, p er m e e tc ., de m andato e tc ., ad p erpetu a m r ei m e ­ m oria m , d .n a Cam illa C a m p ion i,2059 filia q. M a rti C a m pion i, rom ana, testis e t c ., annorum trigin ta in circa , quae, m ed io iu ra m en to, tac­ tis e t c ., d ix it ut in fr a :

    Son solita confessarme e communicarme, ogni otto giorni, qui, nella Chiesa nova. Il p. Francesco Bozzio è il mio confessore, e, domenica passata, fu l’ ultima volta, che io mi confessai e communicai, in detta chiesa. Non ho conosciuto in vita il beato Filippo, ma lo veddi morto, sopra il cataletto nella Chiesa nova, et li basciai le mani; ci era gran quantità di gente, e tutti dicevano, che era un sancto, e che faceva mira­ coli. Et io, in particulare, ne racconterò alcuni, che io li so, e mi son trovato presente, nel modo che è qui di sotto. In prima, nell’anno 1595, nel mese di maggio, habitando io in casa di una mia zia, chiamata Felice Sebastiani,2060 nel rione di Parione avenne che, havendo infermo un figliolo, per nome Angelo, all’hora di anni sette, et in tal maniera, che era di già desperata la sua sanità dalli medici, come sentii, all’hora, publicamente, dire in casa, poi che era agravato da continue febri, e, di più, dal male di costa, o vero dalla puntura ; essendo così ridotto, io, in particolare, con comandamento del medico, l’assistevo di continuo, poiché so, che haveva domandato, che nome haveva e gli fu detto : « Angelo », et egli soggiunse e disse : « sarà Angelo di nome e di fatti, poiché egli è spedito ». Et haveva dato in un sonno tanto profondo, che non era bastante cosa alcuna, per deviarlo: non parlava, non faceva atto di sorte nessuna. Anzi, di più, si diceva, per casa, che se bene era piccolo, con tutto ciò bisognava darli l’Estrema Ontione. Hora, stando così in estremo e ridotto, si può dire, alla can­ dela, occorse, che Francesco, suo fratello carnale, d’età, all’hora, d’anni dodici in circa, andò alla chiesa di S. Maria e S. Gregorio in Vallicella,

    2058 h pittore Pietro Contini, che depose il 24 mag. 1610 (326), abitò nella parrocchia della Chiesa Nuova, « incontro al palazzo di S. Giovanni in Laterano » (di proprietà, s’intenda, della basilica). In questa « isola del pittore », descritta negli « Stati d’anime » dal 1610 al 1617, e a quanto pare nell’abitazione stessa, simile a un caravanserraglio, convivevano quasi una trentina di persone. 2059 Camilla Campioni risulta nominatamente registrata dagli « Stati d’anime » sopra citati negli anni 1610 e 1613, f. 276 r-v. 2000 Felice Sebastiani, teste il 14 mag. 1610 (317).

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    14 maggio 1610. [315] Camilla Campioni, ff. 880-881

    detta la Chiesa nova, e, veduto, in mezzo la chiesa, il corpo del beato p. Filippo Neri, fondatore della Congregatione dell’Oratorio di Borna, s’avicinò alla bara, dove era posto, e, baciatole le mani, pigliò, con gran devotione, certe frondi di rose incarnate e bianche, e, anco, un poco di quell’herba odorifera, che si mette nelle verdure, per nome formichella, et altre herbe, insieme, quali tutte erano sopra il corpo dell’istesso beato padre. Et, venuto a casa, se n’entrò in camera, dove dimorava l’infermo sopradetto, al quale io, di continuo, et, in quell’istante ancora, assistevo sola, senza la madre, la quale moriva di dolore, ogni volta che lo vedeva sì mal trattato. Venne, come dico, questo figliolo, et, accostatosi al letto, lo chiamò, et egli senza rispondere, aperse un poco gli occhi. Sogiunse il fratello, chiamato Francesco, con queste parole : « Angelo, ecco, che t’ho portato delle rose e delli fiori, che erano sopra il corpo del p. Filippo. Non dubitare, sta’ di buona voglia, che lui ti liberarà di questa malatia, e ti restituirà la sanità, per gratia di Dio, come fa et ha fatto a gli altri » e gliele sparse sopra il suo corpo. Il fratello infermo, non rispondendo, chiuse gli occhi, e si pose a dormire. E, svegliatosi poco doppo, cominciò a parlare, et a ridere, et, in tal maniera, a megliorare, che, con grand’ammiratione di tutti, in breve spatio di tempo, fu libero dal male, e se ne uscì fuori dal letto, sano e senza difetto di sorte alcuna. E, di questo, non solo ne fo fede io, quale sempre l’assistevo, ma, della subita sanità ricevuta, ne può anco affermare [f. 881] sua madre, mia zia, per nome Felice Sebastiani, sopradetta. Essendo io in casa della sopradetta mia zia Felice Sebastiani, oc­ corse, che, nell’anno 1597, se ben mi ricordo, la detta mia zia era molto mal trattata da un certo humore focoso, che li calava nelle gambe. Quale, secondo che calava, generava certe vesciche ; quali, crepate, usciva fuora certa acquacela et humore giallo, e, de lì, si causava un buscio, quale si poteva dire, che era una fornace di fuoco, tanto era infiammato, e, tanto più, quanto che la maggior parte delli busci erano profondi; et tal volta, arrivavano sino al stinco della gamba ; e di questi busci n’haveva da quindici, fra tutte due le gambe. E questo io lo so, perchè stavo, come hora sto, lì, in casa, e li viddi, perchè l’agiutavo, quando lei si doleva. E durò questa infermità da otto mesi in circa. Ora, stando così afflitta et adolorata, so, che lei fece chiamare il s.r Giovanni, chirurgico fiamengo, quale, vedendo questo, so, che disse, che non era male di burla, e disse che, per mitigare il dolore, gli haverebbe posto, all’hora, non so che unguento, ma bisognava trovar strada e via, per deviar quell’humore, poiché, per medicamenti, non si poteva seccare. E vi pose, secondo mi disse, poi, detta mia zia mad.a Felice, certi bollettini d’ un­ guento, e, vedendo lei, doppo che fu partito il cirugico sudetto, che non s’allentava il dolore, si pose a sedere, vicino ad un letto, et so, che prese la corona del beato p. Filippo, di mano ad una sua figliola, per nome Barbara,2061 e se la stroppicciò, quattro o sei volte, sopra le sue gambe : et questo fu la sera istessa, dell’istesso giorno, che ci venne il cirugico. E so, che, la mattina venente, volendosele medicare, conforme l’ordine del cirugico, diceva, che non sentiva dolore; e, levati che hebbe li bol­

    2061 Barbara Contini, teste il 14 mag. 1610 (319).

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    14 maggio 1610. [315] Camilla Campioni, ff. 881-882

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    lettini, trovò sanate afatto tutte le aperture e rifatta la sua carne, come se fosse stato un mese senza mal nissuno. Ma questo sì bene, che vi restorno le macchie, e, talvolta, ancora, lei, quando fa gran freddo, ce le vede. Et io viddi, all’hora, le gambe tutte due sane, senza buscio, o cicatrice alcuna, e con la pelle rifatta e sane del tutto. E, di questo fatto miracoloso, non solo ne fo fede io, ma anco la detta mia zia Felice Sebastiani, alla quale fu fatta la gratia, et il suo marito Pietro Contini, e Giulio Antonio Contini,2062 suo figliolo, et altri di casa. Nell’anno 1603, so che la sudetta mia zia mad.a Felice s’infermò, essendo gravida di quattro mesi, come da lei si diceva, et l’infermità consisteva in febri maligne et in pontura. Et, doppo d’esser stata in letto da tre a quattro giorni, crebbe, in tal maniera, il male, che il s.r Ridolfo Silvestri et il s.r Lorentio de Rossi 2063 la fecero molto peri­ colosa, et erano quasi fuora di speranza della sua vita, per quanto li detti medici, publicamente, dissero, lì in casa, e ne dubitavano, tanto più, quanto che non li potevano dar medicine per bocca, per esser lei gravida. Hora, essendo così agravata, si ricordò havere non so che poco di reliquia dell’interiori del beato p. Filippo Neri, et, con gran devo­ tione, se le fece portare, da una mia sorella carnale, per nome Tarqui­ nia Campioni,2064 et lei stessa, doppo d’haverle spolverizate un poco, gliele diede da bere, in un poco di brodo. Et so, che, preso che l’hebbe, hebbe non so che visione del beato [f. 882] p. Philippo, et si vidde, che tutta si consolò, e cominciò a star allegra, e, disse, che il beato padre gli havea detto, che teneva cura di lei e della creatura. E questo non lo disse a caso, poiché, la notte seguente, cominciò a sputar sangue, e a far tal meglioramento, che, la matina, venendo li medici, dissero, che se lei seguitava così a megliorare, sarebbe del tutto sana. E, per l’avenire, seguitò, di tal maniera, il meglioramento, che, licentiatisi li medici, lei si levò, sana e salva, dal letto. E so, che mandò il voto, in tavola, al sepolcro del beato p. Filippo, et, al tempo suo, partorì la creatura sana, et hoggi è viva. E, di questo, non solo ne fo certa testimonianza io, ma la sudetta mia zia Felice Sebastiani, e Tarquinia Campioni, mia sorella carnale, suo marito Pietro Contini, et il sudetto suo figliolo Giulio Antonio Contini. E tutto questo è quanto io so, et posso, per la verità, dire. I n causa scien tia e, d ixit praedicta scire, p e r ea quae su pra d ep osu it, de loco, tem p o re e t co n testib u s quibus su p ra , e t , n escien te scrib ere, fe c it sign u m cru cis. P e tr u s M a zzio ttu s n otariu s.

    som Giulio Antonio Contini, teste ii 15 mag. 1610 (320). 2063 a questo medico Lorenzo de Rossi, nobile senese, « medicae artis peritia | et morum probitate conspicuo », pose un’iscrizione nel 1650 nella chiesa di S. Cate­ rina da Siena in via Giulia l’arciconfraternita di questo titolo, fatta erede del patrimonio per opere di pietà e doti matrimoniali da assegnare a senesi, F orcella, V. V II, p. 347, n. 711. 2064 Teste successiva.

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    14 maggio 1610. [316] Tarquinia Campioni, f. 883

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    [f. 883] DIE 14* MENSIS MAH 1610

    [316]

    E xa m in a ta fu it, R o m a e , in dom o solitae habitationis d .n i P e tr i C o n tin i, in region e P o n tis , p e r m e e t c ., de m andato e t c ., ad p e r p e ­ tuam r e i m em oria m , d.na Tarquinia C a m p io n i2065 u xo r m a gistri Julii Caesaris B e lv is i, rom ana, te stis e tc ., a etatis annorum trig in ta sex in circa, q u e, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Son solita confessarme e communicarme, ogni quindici giorni, qui alla Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Francesco Bozzio. Domenica prossima, io mi confessai e communicai l’ultima volta in detta chiesa. Me ricordo, come un sogno, il beato Filippo Neri fiorentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova, e sempre l’ho tenuto per un sancto e vero servo di Dio, e come tale l’ho inteso sempre nomi­ nare, e che fa de miracoli di continuo. Et io ne posso raccontar, uno, in particolare, successo, nel modo dirò qui sotto, in persona di Felice Sebastiani, mia zia. Et è questo che, essendo io, nell’anno 1603, in casa d’una mia zia, Felice Sebastiani, quale all’hora stava et hora sta vicino alla Chiesa nova, occorse, che lei, per essersi scaldata et raffreddata, si pigliò una pontura, la quale li cagionò febri pestilentiali e dolori grandissimi. [I l raccon to della guarigione di F elice S ebastian i in C on tin i dalla

    « puntura », m en tre era gravida, n on p o rta n u ovi p articolari a quanto n e ha d e tto Cam illa C a m p ion i, sorella di Tarquinia 315 ed a quanto si ved rà n ella deposizione della stessa F elice 317]. Di poi seguitò, in tal maniera, a cessar il male, che restò, mira­ colosamente, libera et sana, in breve tempo, e, di questo fatto, ne fo così fede io, come la detta mia zia Felice Sebastiani, Camilla Campioni, mia sorella carnale, et Pietro Contini, suo marito, con Giulio Antonio Contini, suo figliolo. Et questo tutti di casa lo tenessimo per vero mira­ colo, fatto da Dio benedetto, a intercessione di detto beato padre. E questo è la verità, e, come tale, la confermo, con mio giuramento. E, per non saper scrivere, farò, in segno della verità, il segno della croce. I n causa scien tia e, de loco, tem p ore e t co n testib u s quibus supra. P e tr u s M a zziottu s n otarius.

    [f. 883-bis] DIE 14* MENSIS MÀII 1010

    [317]

    E xa m in a ta f u it , R om a e, in dom o solitae h abitationis d .n i P etri C o n tin i, in via P a rion is, p e r m e e tc ., de m andato e t c ., ad perpetu a m rei m em oria m , d.n a F e lix S ebastian a,2066 u x o r su pradicti d .n i P e tr i

    2065 Tarquinia Campioni è registrata nominatamente nei sopra citati « Stati d’anime » di S. Maria in Vallicella per gli anni 1610 e 1613, f. 276 r-v, quale moglie di Giulio Cesare Belviso, da Pesaro, detto qui maestro, e probabilmente anch’egli pittore : sono dati per figli Flavia, di anni 10, e Girolamo, di mesi 8, poi defunto (1610) ; Flavia Dominila, di anni 13, e Carlo, di anni 2 (1613). 2066 Felice Sebastiani, moglie del teste Pietro Contini (325) e madre dei testi Barbara e Giulio Antonio Contini (319 e 320). Depose anche al terzo processo nei

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 883 bis

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    C o n tin i, rom a n a , te stis e t c ., aetatis annorum quinquaginta in circa, q u e, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it u t in fr a :

    82. Tre volte la settimana e tutte le feste, son solita confessarme e communicarme qui, nella Chiesa nova. Il mio confessore è [il] p. Fran­ cesco Bozzio e, mercoledì passato, mi communicai l’ ultima volta, e spero seguitar sino alla morte, e megliorar, con la gratia del Signor Iddio. Io ho conosciuto il beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione de l’ Oratorio, nella Chiesa nova, in vita, e la prima volta, che io lo cominciai a conoscere, fu che, stando, una matina, alla sua Messa, lo vedevo tremare e saltare spesso. Quando tornai a casa, lo dissi a mio marito, che havevo visto la Messa di un prete, che mi pareva ballasse, e detto mio marito mi rispose : « non sai chi è questo? questo è il p. Filippo ; ha fatto questa chiesa ; et è un sancto ». All’hora, io lo cominciai a tener in veneratione, e, sempre, l’ho tenuto per un santo e vero servo d’ iddio, e, con quanti ne ho ragionato, tutti lo tengono per tale. Et, benché habbia io inteso de molti miracoli, fatti da Dio bene­ detto, per intercessione di detto beato, ne raconterò alcuni, successi nella mia persona propria, de’ miei figlioli, et d’altri, che io li so di certa scientia, et sono questi, che hora dirò. E, prima, che, nel giorno istesso, che il beato Filippo Neri, fondatore della Congregatione del­ l’Oratorio, morì, che fu l’anno 1595, delli 25 di maggio, mentre stava il suo santo corpo in chiesa, occorse, che Angelo, mio figliolo, d’età, al­ l’hora, d’anni sette in circa, si trovava in letto, con febre tale, che sempre vanegiava, e mai parlava a proposito, et, anco, di più haveva la pontura. La qual cosa vedendo il medico, chiamato s.r Lorenzo de Bossi, disse, a me et ad altri di casa, che era spedito, et che teneva di sicuro, che non sarebbe arrivato al settimo giorno ; e disse, che, havendo il nome, haveria anco havuto li fatti d’angelo. Et questa malatia detto mio figlio la pigliò, con l’occasione, che l’haveva menato il suo mastro (che non mi ricordo del suo nome) insieme con Francesco, anco mio figliolo, più grande, d’età d’anni dodici (quale è morto, dodici anni sono in circa, et è sepellito nella Chiesa nova) 2067 e, tornato, la sera, a casa, haveva detto Angelo una febre gravissima. Et, essendo arrivato al sesto giorno della sua infirmità, il detto Francesco, mio figliolo, andò, a caso, alla Chiesa nova, e, vedendo, come ho detto, il corpo del beato p. Philippo, nel cataletto, con moltissima gente atorno, s’accostò anch’egli. E, vedendo, sopra il detto santo corpo, rose e fiori, ne pigliò

    giorni 31 luglio e 2 agosto 1610, e, dopo il suo interrogatorio, venne nuovamente inserita nel processo medesimo la presente deposizione nel 14 mag. 1610. Si eresse con il marito il sepolcro nella Chiesa Nuova, come attestava questa Iscrizione su marmo rotondo : « Petrus Continus et Felix Sebastiani | coniuges romani sibi et posteris | suis sepulchrum elegerunt An. D. M. DC. I I I » . La quale venne sosti­ tuita, da un discendente, con altra, nel pavimento della nave di mezzo avanti l’altare della Purificazione : « D.O.M. Petro Contini | et Felici Sebastiani coniugi | s. Philippo Nerio | dum vixit apprime acceptis | equestri ex neapolitana | familia Franconi et Fontana | Laurentius Contini Yannieelli | nobilis romanus | avorum restaurato monumento | sibi posuit et suis posteris | an. Sal. MDCCLII», F o r c e l l a , V. IV, p. 153, η. 365; ν. IV, ρ. 183, η. 461. 2067 « Franciscus Continus çtatis annor, quatuordecim filius Petri Contini pictoris ... corpus sepultum ... die 11 iunii 1597 », « Liber paroçhialis », f. 39.

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    200

    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 883 bis-884

    una quantità, et li portò ad Angelo, suo fratello, ammalato, come ho detto di sopra. E, spargendoli sopra la sua testa et il suo corpo, gli diceva, che erano fiori, che stavano sopra il corpo del beato Filippo, e, che stesse allegramente, che il detto beato l’haverebbe guarito, con impetrarli la sanità da Nostro Signore. E tutto questo il detto Fran­ cesco lo fece, senza che io ne sapessi cosa alcuna, ma me lo disse doppo, et viddi li detti fiori et rose. Et, quando vi buttò sopra li detti fiori, v’era presente una mia nepote, chiamata Camilla Cam­ pioni, la quale, di continuo, assisteva a detto ammalato, et hoggi è viva. Doppo esser sparsi detti fiori, andai per vedere detto mio figliolo, 10 trovai tutto pezzato et negro ; e, vedendo questo, mi posi le mani sopra il viso, per non vederlo, e credevo, che fusse morto : all’hora mi retirai, con gran spavento; et, poco doppo, ritornai, per rivederlo, [f. 884] et lo trovai, ch’era rinvenuto, e diventato bianco come prima, et, in quello, si ruppe la pontura, che haveva, e cominciò a sputar sangue. E megliorò talmente, che, venendo il p. Francesco Bozzi, mio confessore, con volontà di volerli far dare l’Oglio Santo, perchè l’haveva visto, il giorno avanti, così gravato (et si guardava tutte le notti, perchè si dubi­ tava della sua vita) et, domandando il detto padre come stava, gli fu risposto, dalli astanti, tra quali ero anch’io, che era megliorato, in tal maniera, che il medico l’haveva assicurato. Il che udendo, restò mara­ vigliato, e si rallegrò molto, con dire, che il Signore l’haveva lasciato, per il meglio. Ma il detto padre, nè meno il medico seppe niente delle rose e fiori sparseli sopra, nè meno detto Angelo s’accorse di detti fiori, essendo fuora di sè, per il gran male che haveva. Di poi, seguitò a me­ gliorare in tal maniera, che, con gran maraviglia di tutti, in breve tempo, fu fuora del letto et risanato. Et, di tutto questo, non solo ne posso far fede io, ma Camilla mia nepote sudetta, la quale, di continuo, come ho detto, assisteva a detto ammalato. Uno anno o due doppo il sopradetto miracolo raccontato, occorse, che Barbara, mia figliola, all’hora d’età d’anni dodici in circa, s’era infermata di febre continua et due subintranti ogni giorno, et erano di già passati diciotto giorni, che stava in letto, così aggravata e ridotta a tal termine, che il medico, chiamato s.r Lorenzo de Bossi, dubitava della sua vita. Et il dolore, che io havevo, della perdita di detta mia figliola, mi veniva tanto più accresciuto, anche, della perdita di duecento scudi, che havevo sopra la sua vita.2068 Occorse, che, andando io alla Chiesa nova, raccontai il tutto al p. Francesco Bozzi, mio confessore, 11 quale, havendo inteso il fatto, come passava, mi fece buono animo, e mi diede una corona, ch’era stata del beato p. Filippo,2069 et mi disse, che io havessi fede, e ponessi la detta corona sopra la detta inferma mia

    2068 Sopra la vita di Elena Massimo erano stati posti 4000 scudi, ff. 168, 688. In realtà il totale era stato di 6000, dei quali 4000 andarono perduti, come Fabrizio precisò nel terzo processo, il 19 lu. 1610. F. gli disse : « Tu non hai voluto far a modo mio : tu’ danno ». Per assicurazioni del genere si vedano anche le note 564 e 1153. zoo» Risulta dall’ « Inventarium bonorum », f. 31 v, che il p. Francesco Bozzio aveva avuto « una corona d’aloe [sandolo] » ; e, inoltre, « una corona grossa di sandalo cedrino», si nota come a lui data, nella lista supplementare del cod. Vallicelliano O. 23 *, f. 449 v.

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 884-885

    201

    figliola. Arrivata ch’io fui in casa, mi raccomandai, di core, a detto beato, e posi la detta corona sopra l’inferma sopradetta mia figliola, come m’havea detto il mio padre confessore. Et fu cosa mirabile, perchè, subito posta la detta corona, non solo non tornorno le febri subintranti, quel giorno, a detta mia figliola, ma nemeno gli tornorno più per l’avenire; et, il sequente giorno, li cessò affatto quella febre continua, che haveva, et restò del tutto sana, senza che il medico gli facesse altra medicina naturale di sorte alcuna. Et di questo, non solo ne fo fede io, ma la detta Barbara, mia figliola, et mio marito, suo padre, Pietro Contini, et altri di casa. Al giorno seguente, mentre anco havevo in mano la detta corona del beato Filippo, doppo haver ricevuto la gratia della sanità della mia figliola Barbara suddetta, ricevei, nella persona mia, una gratia assai maggiore et di grande maraviglia. Et è che, essendo io stata otto mesi con dolori grandissimi, in tutte due le gambe, con un humore tanto focoso, che, calando per le mie gambe, per tutto, dove passava, vi lasciava un segno rosso. Nel qual segno vi si faceva una vesica, quale si rompeva, et buttava acqua gialla, e, dove si rompeva, non solo vi lasciava un buscio, ma ne generava quattro o cinque altri intorno, con grandissimo mio dolore. E, di questi busci, prodotti in questa maniera, n’haveva, fra tutte due le gambe, da quindici, e mi davano dolori tali, che, per sen­ tire qualche refrigerio, bisognava che di continuo, tenessi le gambe alte, sopra due coscini, et, nel caminare, che facevo per casa, sforzatamente, per la famiglia piccola che io havevo, sentivo grandissimi dolori, et ero sforzata gittarmi a sedere. Essendo, alla fine, ridotta a malissimi termini, mandai [f. 885] a chiamare m.s Giovanni fiamengo, cirugico, il quale, vedendomi, disse, che era un tristissimo male, et che non m’as­ sicurava, ch’io dovessi guarire, et che era un catarro salso, cagionato da humor melanconico, e da un’altra causa, qual non mi ricordo. E mi disse che, se bene il male era pestifero, si sarebbe sforzato di fare il possibile, acciò io, se non potevo risanarmi, almeno lo potessi sopportare. Et mi disse, per rimedio, che bisognava, ch’io mi purgassi, et poi pigliassi l’acqua di legno, et salsapariglia,2070 per diseccare parte di catarro, et che, poi, havrebbe fatto dui cauterii, uno per gamba, acciò quell’humore pigliasse, a poco a poco, quella strada. Et, in tanto, sopra li detti busci, vi pose alcune pezzette, con un unguento di colore di carne, quale non so che cosa fosse, e mi disse, che questo lo faceva, per mitigare un poco il dolore, che, all’hora vi sentivo grandissimo ; et, in particolare, sopra un stinco della gamba, vi havevo una cosa grossa come una noce, quale s’era aperta, et haveva fatto un buscio tale, che, distintamente, si vedeva l’ osso. Partito il detto m.s Giovanni fiamengo, cirurgico, restai molto sconsolata, e mi posai sópra una sedia, vicino al letto, dove stava la sopranominata mia figliola Barbera (già, per gratia del beato p. Filippo, liberata dalla febre) piangendo dirottamente. Stavo pensando che sarei restata inutile, havendo, in particolare, detto il cirurgico, che dubitava, ch’ io non sarei guarita. Hora, stando così affitta et adolorata, mi ricor­

    2070 Sulla salsapariglia, droga d’America venuta in uso in questo tempo e rimasta in voga per qualche secolo, si veda B e n e d i c e n t i , Malati, medici e farma­ cisti, V . I, cit., pp.730-31. L ’« acqua del legno » è stata già ricordata nella nota 864.

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    202

    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 885-886

    dai della gratia, ricevuta, il giorno avanti, dal beato p. Filippo, della sanità della mia figliola Barbara, con la corona dell’istesso beato padre, datami dal mio confessore nominato, p. Francesco Bozzi, sacerdote della Congregatione di S. Maria et S. Gregorio in Vallicella. Mi feci dare quell’istessa corona, quale ancora teneva la detta mia figliola, et la posi sopra le mie gambe, strofinandola, quattro o cinque volte, per tutto, dove bavevo il male, piangendo e raccomandandomi, di tutto cuore, al detto beato padre, al quale dicevo così : « Padre mio, Padre mio, si come m’havete fatta la gratia per mia figliola » (quale, come ho detto, haveva liberata, il giorno avanti, immediatamente, dalla febre, con havergli io posto adosso detta corona) « così vi prego », gli dissi, « che vogliate, anco, concedermi gratia di liberarmi, quantunque indegna peccatrice, da questo sì pestifero male ». Et stetti un pezzo, sempre repetendo ristesse parole, et feci voto, se mi faceva la gratia, di voler portare un paro di gambe d’argento al suo santo sepolcro. Et questo fu la sera, verso il tardi, et, con questo, me n’andai, la sera, a letto, e dormii bene tutta la notte, et, la mattina seguente, volendomi medicare le gambe, stavo di bona voglia, poiché non sentivo dolore alcuno. Et, guardandole, per levare et mutare li bollettini, postivi, il giorno avanti, dal cirugico, viddi un gran miracolo, perchè trovai tutte due le gambe liberate affatto dal male, senza alcun buscio ; e, per tutto dove era un buscio, si trovò risanato, con la sua pelle rifatta, come se non v’havesse havuto male. Solo vi restorno le macchie: quali macchie, anco hoggidì, quando fa gran freddo, vi si vedono. Del che, non solo io, ma tutti quelli di casa, che sapevano questo mio male, et l’altri, che si trovorno presenti, quando, la matina, le volevo mutare, quali venivano per vedere, restammmo maravigliatissimi, con renderne, meritamente, infinite gratie al beato Filippo : et portai il voto delle gambe d’argento al suo santo sepolchro. Il detto cirugico non venne più, perchè, essendo io liberata, non lo mandai più a chiamare, e non mi purgai altrimenti, nè si fecero li cauterii, ma stetti sempre bene, da quel giorno, che vi [f. 886] posi la detta corona, come ho detto, sino al dì presente, e mai mi son sentuta cosa alcuna. E, di questo miracolo evidentissimo, non solo ne fo fede io, ma, anco, lo deporrà una mia nepote, chiamata Camilla Campioni sudetta, la quale, ogni notte, si levava, sentendo il mio grande lamento, che facevo, e mi poneva delli coscini sotto le gambe, per allegerirmi un poco il dolore. Ne fanno, anco, fede mio marito Pietro Contini, et Giulio Antonio Contini, mio figliolo, il p. Francesco Bozzi, mio confessore sudetto, al quale, in quel tempo, lo raccontai, et altri di casa, quali si ritrovavano presenti, quando io mi lamentavo, per il gran dolore, ch’io vi sentivo. Et io non feci, all’hora, voto ad altro santo, nemeno posi, sopra le gambe, altre reliquie, se non la corona detta del beato Filippo, nè v’adoperai rimedio di sorte alcuna naturale, nè d’herbe, nè ontioni, nè parole, nè altre, se non il detto. L’anno 1603, essendo io gravida, di quattro mesi, d’ una figliola, chia­ mata per nome Domitilla, quale hoggi è viva, mi sopragiunse, un giorno, una febre maligna, con una pontura al petto, cagionata dall’esser io stata al vento et sudata. Hora, stando così, crebbe l’infermità, tra pochi giorni, talmente, che il s.r Ridolfo Silvestri, quale hora è morto, et il s.r Lorenzo de Rossi, medici, che in quel tempo mi medicavano, dubi-

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 886-887

    203

    tavano grandemente della mia vita, con havermi fatta quasi spedita, dubitando, che, nel settimo giorno, io fussi per morire. Stando io in tali termini, la sera avanti la festa di s. Antonio abbate, li 16 di gennaro dell’anno suddetto 1603, mi venne in mente il beato p. Filippo, e, rac­ comandandomi a lui, mi ricordai, che havevo una particella dell’interiori del detto beato padre, in una cartuccia, dentro un mio cassettino (quale particella l’havevo ricevuta da Giulio Severo,2071 modenese, laico della Chiesa nova, quale, hora, so che è morto) et mi la feci portare da una mia nepote, chiamata Tarquinia Campioni, quale hora è viva, et la feci, con gran fede, spolverizare, et, fatta polvere, la feci mettere dentro una scudella, con un poco di brodo consumato, et, con gran devotione, la bevei, con raccomandarmi, di cuore, a detto beato padre, che potessi, almeno, condurre l’anima di quella creatura al santo Battesimo. Doppo ch’io l’hebbi presa, tutti quelli di casa mi lasciorno sola, acciò, per al­ quanto tempo, io mi riposassi. Ma non potei dormire, anzi, subito uscite le genti di camera, non potendo io stare a giacere nel letto, per il gran dolore, ch’io havevo della puntura, stavo a sedere, con il capo chino, verso la parte destra del letto. E, stando così, con li occhi serrati, per riposarmi, mi sentii chiamare, dalla banda sinistra del letto, da una voce, che diceva: «figliola, figliola». Et, voltandomi, aprii gli occhi, et viddi, indegnamente, visibilmente, il beato p. Filippo, quale teneva una creatura nelle sue mani. Io, ciò vedendo, aprii le braccia, et dissi ; « o Padre mio ». Egli, poi, mi rispose, dicendo: « non dubitare, figliola, ch’io tengo cura di te, et protettione di questa creatura » : la quale creatura teneva egli in tutte due le mani, et era infasciata ; et, sotto alla creatura, v’ era un sciugatore bianco, quale pendeva, più della metà, di sotto alla creatura, dalla banda d’inanzi ; et la creatura, che mi mo­ strava, poteva essere quanto una di quattro mesi, come ero gravida io ; e, detto tutto questo, disparve. Et io viddi, all’hora, il beato Filippo, come quando, naturalmente, era vivo : et stava in sottana, con la beretta in capo ; et m’apparve in piedi, vicino al letto, dalla parte sinistra, come ho detto di sopra ; et io lo viddi tanto, quanto si poteva vedere dal letto in su, che poteva essere quanto dalla cintura in su. Et, partito che egli fu, restai consolata ; et, non senza ragione, mi disse, che teneva cura di me, poiché, l’istessa notte, me si ruppe la postema del petto, e cominciai a sputare sangue : come, di questo particolare, ne testifica Giulio Anto­ nio Contini, mio figliolo, quale assisteva, quella notte, essendo gli altri stanchi, et andatisi [f. 887] a riposare, per le altre notti, che eran stati in piedi, per guardarmi : tanto ero agravata dal male. Et, venendo, la mattina seguente, li due medici sudetti, vedendo il meglioramento no­ tabile, dissero, che, se seguitavo un altro poco a megliorare, che m’havrebbeno fatta del tutto sicura, et affatto fuora di qualsivoglia pericolo. Et andai, per l’avenire, tanto, di continuo, megliorando, per interces­ sione del beato p. Filippo, che fui affatto libera et sana. E, di più, a tempo suo, cioè, in capo delli nove mesi, partorii, et feci una figliola, alla quale posi nome Domitilla, come ho detto. E si conosce, propria-

    2071 Giulio Savera, teste la prima volta il 18 sett. 1595; sul quale, la nota 586. Si aggiunga che morì il 20 lu. 1603, a Eoma, secondo la fede contenuta nel cod. A. IV. 15, f. 462, Archivio della Congregazione dell’Oratorio di Koma.

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, f. 887

    mente, in detta creatura, un non so che d’agiuto sopranaturale, poiché è dotata (come, sempre, ha dimostrato, fin dalle fascie, et hora, di con­ tinuo, mostra) di modestia particolare, d’ingegno molto perspicace, et d’una facilità in apprendere le cose, che da tutti vien notata, per esser così piccola et così accorta. Et non solo la sanità, ma, anco, il parto felice, ch’ io hebbi, et le spetiali virtù, delle quali è dotata la detta crea­ tura, il tutto, in somma, riconosco haver ricevuto, per gratia et inter­ cessione del beato p. Philippo. E, del miracolo successo, ne mandai un voto, al suo santo sepolcro, in un quadro, nel quale feci pingere il beato Filippo, con la creatura nelle braccia, come m’era apparso, visi­ bilmente, mentre io ero desta, et non dormivo. Et, di questa mia sanità, per gratia ricevuta, non solo ne fo fede io, ma anco mio marito suddetto Pietro Contini, et Giulio Antonio, mio figliolo sopranominato, et Ca­ milla Campioni, et altri di casa. Et io, all’hora, non feci voto ad altri santi, nè hebbi reliquie di sorta alcuna, et sempre l’ho tenuto, come hora tengo, per miracolo del beato Filippo. Nell’anno 1599, havendo io un figliolo, chiamato Gregorio,2072 d’anni tre in circa, molto agravato d’ una malatia incurabile, quale era da tutti chiamata spetie di lepra, havendo egli tutto il corpo pieno di croste larghe, di più, accompagnate da certe cose minute, che parevano capi di spille, che, di continuo, li davano grandissimo prurito. Quali croste l’ havevano ridotto a termine tale, che, a mala pena, si poteva vestire et, la sera, quando s’haveva a spogliare, veniva, insieme con le calzette, il male attaccato, che era una compassione il vederlo. In oltre, quando se li mutava la camiscia, bisognava haverci grandissima patientia, poiché era quasi tutta attaccata ; et, quando se li levava, pareva, giusto, come s’havess’havuto la salda,2073 tanto era della putrefattione et humore di quelle croste piena. Di più, l’haveva indebolito, in tal maniera, li nervi tutti, et, in particolare, quelli delle gambe, che, quando si metteva in terra, perchè caminasse, se gli torcevano, come se fussero state senza congiunture et senza nervi, et non era possibile, che si potesse regere in piedi, et bisognava che, sempre, del continuo, qualcheduno di casa lo portass’in braccio, et ad una mia nepote, per il tanto portarlo in brac­ cio, gli havea dolentato tutte le braccia et la schiena. Et n’eravamo, tutti di casa, tanto infastiditi, che non se ne poteva più: non solo per essere il male, in se stesso, difficile ad esser, con remedii, reso sopporta­ bile ; come, anco, per esser stato così maltrattato, tutta l’invernata :

    2072 xjn primo Gregorio, dei molti figli di Felice, morto di nove mesi, era stato sepolto il 23 die. 1595 a S. Maria in Vallieella, « Liber parochialis », f. 32 v. In aggiunta a quelli nominati, il registro stesso enumera: Margarita, sepolta il 12 ott. 1585, p. 17; Paolo, morto il 4 giu. 1590, p. 2δ; Francesco, di giorni quattro, sepolto il 17 mag. 1598, f. 47 v ; Giacomo, di anni otto, sepolto il 28 ag. 1598, f. 47 v ; e Filippo, di anni quattro, sepolto il 21 sett. 1606, « in sepul. suç familiç ante sacellum B. Virginis », ff. 98 v-90. Viventi nel 1610, risultano dallo « Stato d’anime » dell’anno, f. 276 : Barbara, di anni venticinque; Giulio Antonio, di ventitré; Angelo, di diciotto; Caterina, di diciassette ; Gregorio, di tredici (« non è atto è sciemo ») ; Francesco, di undici ; e Domitilla, di sei. « Atto », si intenda, ai sacramenti, in occasione della Pasqua. 2073 Salda, acqua in cui sia stato disfatto amido, e serve per tener distesi e incartati i pannilini fini, le trine e sim., T o m m a s e o - B e l l i n i , Dizionario della

    lingua italiana.

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 887-888

    205

    stagione, per se stessa, fastidiosa a simile sorte di male; che, quando v’entrava il freddo, era cosa degna di compassione [f. 888] il vedere et il sentire quel figliolo, quel che faceva, poiché, di continuo, faceva un mormorio, che dava terrore a chi era presente. Et, non solo portò questo male tutto l’inverno, ma anco tutta la primavera, come si raccoglierà dalle seguenti. Hora, stando, tutti di casa, così, di malavoglia et infa­ stiditi, per la longa et diflìcile malatia ad esser curata, massime essendo di quelli tempi, ci venne in pensiero di mandarlo al santo sepolcro del beato p. Filippo, acciò lui impetrasse gratia, appresso nostro Signore, di fare quel che fusse per il meglio di quel figliolo. Et feci parlare, da mio marito, Pietro Contini, ad alcuni di quelli padri della Vallicella, quali, all’hora, havevano cura del santo sepolcro, quale, in quel tempo, era là su, dove è quella finestra con una gelosia, che sta incontro l’organo.2074 Et, havendo mio marito domandato questa gratia alli pa­ dri, gliela concessero, et il suo fratello, chiamato Angelo, ce lo portò, insieme con mio marito, et, havendolo presentato dinanzi al santo sepol­ cro, se li fece dire un « Pater noster » et un’ « Ave Maria », et suo padre, Pietro Contini sudetto, pregava il detto beato padre, che li facesse gratia di renderli la sanità. Et anch’io, stando in casa, non facevo altro, che pregare quel beato padre, per l’istesso. Et fatto questo, che fu di sera, et tornato a casa, in quell’istessa settimana, cominciò a caminar libera­ mente, come se mai havesse havuto male; et, anco, in breve tempo, si liberò dalla spetie di lepra, che l’haveva tutto consumato. Et il tutto riconoscemmo per gratia particolare et intercessione del beato p. Filippo, poiché, se bene, naturalmente, poteva risanarsi, nondimeno era impos­ sibile, che si risanasse così in breve tempo, essendo stato tanto tempo ammalato, che durò per otto mesi continui. Et, di questo, non solo ne fo fede io, ma anco il padre suo, Pietro Contini, et Angelo, suo fratello carnale che ce lo portò, et Giulio Antonio, anco suo fratello. Nell’anno 1595, essendo, nel mio vicinato di Parione, una donna, chiamata mad.a Berardina,2075 moglie d’ un certo Giulio Turco,2076 miniatore, qual habitava attaccato all’hosteria del Gallo,2077 in Parione, 2074 Da raccogliere è anche questa indicazione sul luogo del secondo sepolcro di F. : si veda la nota 1981. 2075 η racconto del fatto che segue è unico, per quanto risulta, nel processo. Ma si legge nel B a c c i , 1. IV, c. 2, n. 13, con la strana variante che la donna sarebbe stata « d’età d’ottant’anni in circa », là dove la deposizione la fa madre di « tre figlioli piccoli ». Secondo il biografo, la richiesta di preghiere a F. sarebbe stata fatta il giorno precedente alla sua morte, ed egli avrebbe risposto : « Và, che Bernardina guarirà e io morrò ». Non si sa a quale diversa fonte lo scrittore abbia attinto, ma si direbbe che Febee Sebastiani, adducente precise indicazioni, fosse meglio informata. 2076 π nome di Giube Turco manca nei repertori di miniaturisti. J o h n W .

    A dictionary o f miniaturists, illuminators, calligraphers, and copyists. P a o l o d ’ A n c o n a - E r h a r d A e s c h l i m a n n , Dictionnaire des miniaturistes du moyen Age et de la Renaissance dans les différentes contrées de l’Europe. Milan, U. Hoepli, 1949. Nel T h i e m e - B e c k e r , Allgemeines Lexilcon der Mldenden Künstler, Bd. XXXIII (Leipzig, 1939), p. 487, si registrano Cesare Turco, B r adley,

    London, Quaritch, 1887-89;

    di Ischitella, pittore a Napoli nella seconda metà del sec. xvi, e Girolamo e Fla­ minio del Turco, padre e figbo, architetti senesi. 2077 Una osteria del Gallo, ma in Ponte, era tra S. Celso e Monte Giordano. Nel 1467 la teneva « Crolla oste al gallo a monte lordano », e nel 1571 un tal Simone, G n o l i , Alberghi ed osterie di Roma nella rinascenza, cit., p. 91. Data la

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    206

    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 888-889

    dalla banda verso Monte Giordano, hora questa mad.a Berardina, es­ sendo cascata in una gravissima et longa infermità, per causa della quale fu desperata da medici, et, di più era tanto mancata, che doppo haver ricevuto il santo Sacramento dell’Eucharistia per viatico, il p. Antonio sotto parochiano di quel tempo, gli diede dell’Oglio Santo, per esser declinata alli ultimi termini, et, havendo ricevuto questo ultimo Sacra­ mento, non v’era niuna speranza, che dovesse campare. Anzi, stava in tal maniera, che le sue figliole et le sue di casa havevano messo il bagno al fuoco, per lavarla, stando aspettando, ad ogni momento, che passasse a miglior vita, poiché non conosceva, nè parlava più, nè pigliava cosa per bocca. Hora, stando così in agonia, venne il padre parrochiano suddetto, chiamato per nome p. Antonio Caroli,2078 vivente, et la visitò, et, vedendo che non parlava, gli disse ad alta voce : « orsù, Berardina, figliola, non dubitare » ; et sogiunse, alli suoi di casa : « io, adesso, voglio andare a raccomandarla all’ orationi del padre Filippo » (alPhora ancora vivente ; il qual padre era in gran concetto appresso di tutti) acciò, s’era per il meglio, impetrasse gratia appresso il Signore, della sanità di quell’inferma a morte. Hora, partitosi de lì, se ne andò, per quanto lui disse, subbito, alla camera del p. Filippo, et gli raccomandò caldamente questa inferma, con dirli, che era della sua [f. 889] parochia, che si volesse degnare di pregar nostro Signore per lei, essendo agravata di famiglia di tre figlioli piccoli, uno di quali era maschio, et Paître due femine. Hora, havendoglila raccomandata, per quanto ho inteso dire, si pose a far oratione per lei. La donna, poi, che stava a morte, poco doppo partito il suddetto p. Antonio, cominciò a sudare in tal maniera, che le sue genti si pensavano, che fusse il sudore della morte, et che alPhora se ne dovesse andare. Et, finito detto sudore, remase libera, sana, e, non solo rivenne in sè, ma fu libera dal male della febre, et, in tal maniera, che, in brevissimo tempo, uscì dal letto. Et io istessa l’havevo visitata, quando stava male, et ogn’ uno teneva per certo, che morisse; et, dipoi, anco, l’andai a visitare quando fu risanata, con rallegrarmi della sanità ricevuta. Et, andatoci, di novo, a visitarla il padre sottoparrocchiano sudetto, et trovatala risanata, fece conto dell’hora, et del ponto, che la raccomandò al p. Filippo, e trovò, che, in quell’istesso punto, lei haveva cominciato a sudare. Et si diceva, communemente, che era miracolo del p. Filippo, et che lui l’haveva risanata. Et, di questo, non solo ne fo fede io, ma anco una sua figliola vivente, quale si chiama Eufemia, et è maritata ad un barbiere alla Scrofa ; et una mia nepote, chiamata Tar­ quinia, et il mio marito, chiamato Pietro Contini, et Giulio Antonio, mio figliolo, quali tutti, in quel tempo, doppo d’esser io tornata dalla visita, che li feci, quando rihebbe la sanità, che fu di sera, me l’intesero rac­ contare, a cena, alla tavola, con dire, che il p. Filippo haveva fatto un miracolo, et era, che haveva liberata mad.a Berardina. Et ogn’ uno si maravigliò, sapendo loro, che communemente, si teneva per morta ; et questo miracolo lo fece Pistessa sera, che il beato p. Filippo morse.

    contiguità, in quel punto, dei rioni di Ponte e Parione, si potrebbe trattare della stessa. L ’insegna del resto era frequente, e altre osterie del Gallo esistevano, per esempio, a piazza Navona e vicino a S. Pantaleo. 2078 h teste Antonio Caroli, sul quale si veda la nota 1510.

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 889-890

    207

    Nell’anno 1599, stando io nella mia casa in Parione, per esser, per me et per la mia, famiglia, troppo grande, n’appigionai nno apparta­ mento a mad.a Delia, moglie di m.s Gasparo cieco.2079 Hora, venendo 10 e detta mad.a Delia a ragionare et discorrere, sopra le lodi et virtù del beato p. Philippo, suo padre spirituale et di tutta la casa sua, tra l’altre cose stupende, che tra di noi si dicevano di questo beato padre, mi rac­ contò un gran miracolo, occorso nella persona sua. Et è che, trovandosi lei, una volta gionta al tempo del parto, mentre si pensava di partorire felicemente, oppressa da grandissimi dolori, non potè mai partorire. Anzi, di più, per essere lei debole, per li tanti dolori, che haveva sop­ portati et di continuo sopportava, gli venne un accidente, quale la fece tramortire, et così, come morta, fu posta sopra il letto. Et questo diceva lei, che gliel’haveva raccontato, doppo, il suo' marito et altri ; et che, vedendo questo, il suo marito sopranominato Gasparo, subito ricorse al suo confessore, quale era il beato Filippo all’hora vivente ; et, trovatolo, 11 raccontò il caso occorso, e che volesse, per charità, venire ad aiutare la sua moglie, con l’orationi, poiché dubitava grandemente, che, in quell’accidente, non perisse. Et che, udendo il beato padre il caso, gli rispose : « non dubitare di niente, che il Signore l’agiuterà », et che, pigliato il mantello et il suo capello, andò, con esso lui, a casa sua a vederla. Et che, giunto che fu in camera sua et vistola meza morta, senza favella, con gli occhi chiusi, si levò il suo capello di testa, et lo pose sopra il suo corpo, et comandò a tutti, con dire : « ponetevi tutti inginocchioni et facciamo un poco d’ oratione per lei ». Et, postosi lui, con tutti li altri, in oratione, doppo breve spatio di tempo, si levò su, et s’accostò al letto, et la chiamò per nome, con dirli : « Delia » ; et che lei, subitamente, stando pure con gli occhi chiusi, gli rispose : « o pa­ dre », o veramente : « che vi piace? » Et il beato padre sogiunse : « horsù, figliola mia, non dubitare, che non sarà niente, con l’aiuto di Dio », et, detto quésto, la lasciò nel letto, come era, et fece animo alli circostanti, che stavano tutti turbati, et, in particolare, al suo marito, con dire, che non dubitasse, che non sarebbe stato altro. Et che, andandosene via, il suo marito andava [f. 890] con esso lui, per accompagnarlo sino alla chiesa, et, quando il beato padre gionse al mezzo delle scale della casa, si voltò, dicendo a Gasparo, suo marito : « torna indietro, et va’ su, che la tua moglie Delia ha partorito un figlio maschio ». Et, detto questo, subito tornò a dietro, e trovò, che lei haveva partorito, sicome gli haveva detto il beato padre, essendo sana et libera d’ ogni sorta di male ; et che il beato padre, havendo lasciato detto Gasparo, se n’andò alla sua chiesa. E, tutto questo che ho detto, come io l’ho raccontato, così, anco, me lo raccontò mad.a Delia sudetta (quale so, che hora è morta, et è sepolta nella Chiesa nova) alla quale Delia occorse il sopradetto mira­ colo ; anzi, di più, mi disse, che, havendo partorito, gli parve d’essersi destata da un sonno profondissimo, et fu sana affatto. Nell’anno 1596, venne da me una certa mad.a Gabriella da Cor­ tona,2080 d’età d’anni novantotto, et molto familiare della casa mia,

    2079 Delia Moscaglia e Gaspare Brissio furono, coinè si ricorda, i due primi testi al processo. 2080 gì trova la nota di sepoltura di Gabriella da Cortona nel «Liber paro-

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    208

    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, f. 890

    havendola pratticata da ventotto anni. Hora, venendo da me, et havendola io conosciuta per donna da bene et di qualche qualità, raccontan­ domi lei il suo bisogno, poiché non haveva cosa alcuna, nè casa, nè modo da potersi guadagnar tanto, da potersi governare, mi mossi a compas­ sione et la pigliai in casa mia. Et, con questa occasione, questa donna, in diversi tempi, mi raccontò, più volte, che lei haveva havuto cono­ scenza, molto tempo, del beato Filippo, quale all’hora stava in S. Giro­ lamo. Et, fra Paître cose, che mi raccontava della santità di detto beato padre, mi disse, più volte, che haveva tanta gran carità con tutti, e che 10 mostrò anco con lei, perchè tenne sempre cura di lei, sino dal tempo, che stava a S. Girolamo. Et che, essendo morto suo marito, il beato padre hebbe cura di tutta la sua fameglia, et, in particolare, d’ una sua figliola, quale egli maritò, et che poi si volse trovare alle nozze, et vi menò anco il p. Cesare Baronio, il p. Francesco Maria Tarugi (quali poi son stati cardinali) et il p. Giovanni Francesco Bordini (quale poi fu arcivescovo di Avignone) quali tutti erano giovani, che, di continuo, stavano con detto beato padre. Et che, nel tempo delle nozze, disse il beato padre : « Horsù, Cesare, et voi altri, cantate il “ Miserere ” per allegrezza». Et detta Gabriella disse: « o padre, adesso è tempo di nozze et volete si canti il “ Miserere” ? » Lui disse: « così si deve fare », et fece cantare il « Miserere ». Di più, mi disse, che, essendosi, una volta, andata a confessare dal detto beato padre, come soleva, doppo d’haver lei detto, che non haveva altro, il padre li replicò : « hai fatto altro? », et lei disse che no. Et che, all’hora, il padre li disse : « come, non ci è altro? camina via ; lévameti dinanzi ; va’ , et pensa bene li tuoi peccati, e non tornar da me, se non vi pensi bene ». Et che, all’hora, lei si pose davanti il santissimo Sacramento, et pensò, come l’haveva detto 11 beato padre, et, pensando, si ricordò d’un errore, che haveva fatto. Et, ritornata dal padre, glielo disse ; et il padre sopragiunse : « così pensi alli tuoi peccati? così fai l’essame della conscientia, avanti che venghi a confessarti? fa’ , che mai più ti intravenga » et li diede una buona penitenza. Et tutto questo, ch’io ho detto, l’ho inteso rac­ contare da lei istessa, quali, cose, mentre raccontava, sempre prorom­ peva in un grandissimo pianto, dicendo, che non haveva conosciute le sante qualità di questo beato padre. Et me rincresce assaissimo, che lei non sia viva ; che, se fusse viva, si sentirebbono cose di grandissima meraviglia, poiché m’ha detto, che da giovine l’havea conosciuto, sino al tempo che morse, et con essa lei trattava, come con una sua propria figliola. Nell’anno 1597, essendo mad.a Gabriella sopranominata d’anni no­ vantanove, venne ad incorrere in una grave infermità, et tale, che, di

    ehialis » di S. Maria in Vallicella, f. 87 (non pare dubitabile che si tratti dì costei, sebbene discordino stranamente l’età e l’anno di morte, in confronto a quelli dati dalla teste) : « D. Gabriella Alia q. Cristophori de Cortona et relieta q. Ioannìs Guglelmini de Cortona octuagenaria habitans in n.ra par.» apud d. Petrum Continum pictorem in Parione cui multum debebat ipsa d. Gabriella ob officia charitatis sibi ab ipso d. Petro et d. Pelice eius uxore praestita ... corpus eius sepul.™1 est in n.ra eccl.a in sepult. d. Petri Contini die XXI maij 1606». Dà invece l’anno 1607, per la morte, la teste Lucrezia Campioni, f. 898: la data del registro è, naturalmente, quella attendibile.

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    14 maggio 1610. [317] Felice Sebastiani Contini, ff. 890-891

    209

    quella, doppo breve tempo, ne morse. Hora, stando così inferma, il giorno avanti che lei morisse, stando agravata per la molta malatia et per li molti anni, s’era talmente declinata, che non si moveva più. Et, tutto in un tempo, s’alzò, con le braccia aperte, et, per non poter af­ fatto alzarsi, essendo così declinata, se n’andò, sino a piedi al letto, con le braccia aperte così, et, ridendo, diceva: « o padre Filippo mio ». Et, finito questo, si voltò dall’altra parte del letto, disse : « che fa là quel frataccio? » qual vogliono dire fusse il nemico dell’humana generatione. Venendo, poi, la matina seguente, non parlando più, stando in transito, et tuttavia agonizando, poco avanti che morisse, diceva, con voce bassa : « padre mio, padre mio », et non altro, et così morse. Et di questo tutto, non solo ne fo certa testimonianza io, che vi [f. 891] fui presente, ma anco una mia nepote, chiamata Lucretia quale, di continuo, l’assisteva. Nell’anno 1603, del mese di gennaro, essendo, nel mio vicinato, qui, vicino alla Chiesa nova, una donna, per nome Gironima, moglie di Gio­ vanni Pietro Vascone,2081 libraro, so che, essendo questa donna gravida di sei mesi, per quanto lei diceva (perchè era et è mia intrinseca) per il gran dolore, che hebbe, d’un suo figliolo, per nome Francesco, quale morse, per essere cascato sotto ad un cocchio et questo io lo so, perchè veddi detto Francesco, quando si medicava, che era con la testa tutta fracasata, et poi lo viddi morto, et, per questo, per quanto credo, si sconciò. Et questo lo so, perchè, essendo verso la meza notte, la detta donna si sentì le doglie, e, per quanto lei poi mi disse, il suo marito suddetto, con il suo figliolo Gasparo, erano usciti di casa ; et so, che quella notte era\un tempo molto travagliato ; et erano andati, per trovare la ricoglitrice, e> trattenendosi a venire, per la pioggia, tornò il figliolo maggiore Gasparo sudetto ; et, vedendosi solo, et la madre in tanto peri­ colo, chiamò la moglie di Bartolomeo Trapasso, spadaro, per nome Cecilia,2082 quale è pure nostra vicina, et ancora è viva, et, di poi, chiamò me. Et io, andando, trovai che già la detta mad.a Geronima haveva partorito doi putti maschi, quali viddi, che teneva in braccio la detta Cecilia, che era arrivata prima di me, et viddi, che la partoriente era a sedere sopra ad un scabello, mezza abandonata, per un’ambastia che gli era venuta, per non esser stata soccorsa in una necessità, che sole avvenire, massime alle partorienti di due figlioli. Hora, trovandola così, la soccorrei, in quel modo, che il Signore, per gratia sua, mi diede, et la posi nel letto. Et, de lì ad un’ hora, venne il marito, con la rico­ glitrice, et la soccorse, secondo l’uso delle donne partorienti. Et, r iv e ­ nuta che fu lei, l’istessa notte, mi raccontò, come, trovandosi sola, con le doglie, senza aiuto humano, et sentendosi di partorire, si raccomandò caldamente al beato p. Filippo, et, all’hora, secondo lei mi disse, vidde illuminarsi la sua camera d’ un gran splendore, et gli parve sentire una voce, nel cuor suo, che diceva : « non dubitare, non dubitare ; io son qui in tuo agiuto ». Et disse, all’hora, la detta donna: « véramente il

    2081 Girolama Vasconi comparve già come teste al processo il 27 giu. 1608 (266), narrando quanto qui depone ampiamente, anzi con qualche particolare in più, la vicina Felice. 2082 La chiamata di quest’altra vicina è omessa nel racconto, ora ricordato, di Girolama Vasconi. Trapassi fu, come si può ricordare per una curiosità, il cognome reale di Pietro Metastasio.

    u

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    14 maggio 1610. [318] Natale Rondanini. f. 894

    210

    beato Filippo m’ha soccorsa » ; et disse, che lei tenne per certo, et li parve la voce del beato Filippo. Et, più volte, anco doppo, con diverse occasione, et in diversi tempi, me l’ha raccontato, et mi disse, che sentì le dette parole lei, et in subito partorì, miracolosamente, senza li dolori soliti, due figli maschi, quali lei stessa, non essendoci altri, per paura che non morissero, gli haveva battezati con le sue mani; et, la matina, so, che lei mandò, all’alba, li sudetti figlioli, per le solite ceri­ monie della Chiesa, a S. Lorenzo in Damaso. Et questo lo so, perchè stetti lì tutta la notte, fino all’hora di pranzo. Et la detta donna, all’hora et doppo, anco, più volte, m’ha detto, che, in recognitione della gratia ricevuta dal beato p. Filippo, volse, che ad uno di quelli si ponesse nome Filippo, et, all’altro, Francesco, in memoria di quello che gli era morto. Et so, che detti dui figlioli morsero, il primo, doppo ventiquattro hore, et, il secondo, molti giorni dopoi, et furono, tutti dui, sepelliti nella Chiesa nova. Et, quando io arrivai, la notte, et viddi la detta donna, sola, in camiscia, appogiata ad un scabello ordinario, et vedendo, che, così, haveva partorito due creature, io dissi, tra di me, che era un mira­ colo, essendo viva, se bene non sapevo niente, di quello che era successo. Anzi, io ancora, vedendo questo, in cambio di sbigottirmi, sentii, dentro di me, non so che forza particolare, che mi dicesse : « soccorri questa donna », et così inanimita, l’agiutai, [f. 892] quanto potevo, con tutte le forze, sin che sopragionse la mammana. Per il che, dipoi, stimai cosa miracolosa et, quando lei mi raccontò il miracolo, io tenni, che tutto l’animo, che hebbi, come ho detto, in aiutare questa donna, fusse gratia particulare del beato p. Filippo, perchè mi pareva di sentirmi tutta animata, straordinariamente. Anzi, di più, venendo la detta ricoglitrice, gli disse : « figliola, tu hai la vita per questa donna », mostrandoli me, per l’aiuto che li havevo dato, non sapendo il miracolo occorso, et non faceva altro che dire che era miracolo che fusse viva. Et, di tutto questo, ne fo fede io, perchè fui presente, et, come ho detto, anco avanti io sapessi il miracolo del beato Filippo, con tutto ciò, tenevo, dentro di me, che fusse, senz’altro, cosa miracolosa. I n causa scien tiae de loco, tem p ore et con testib u s quibus su pra e t , n escien te scrib ere, fe c it sign um crucis. P e tr u s M a zzio ttu s notarius.

    [f. 894] DIB 14» MENSIS MAII 1610

    [318]

    E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in dom o in fra scrip ti te stis solitae ipsiu s h abita tion is, p e r m e e t c ., ad fu tu ram rei m em oria m , ill.is d .n u s N a ­ talis R on d an in u s ,2083 fa ven tin u s, e t civis rom a n u s, i. u . d ., te stis e t c .,

    2083 II teste risulta ricordato da due note neerologiche, trascritte nel Gal­ rispettivamente da libri di S. Nicolò dei Prefetti e S. Maria sopra Minerva : « 1627.. 21 decem, f II m. ili.® ed ece.*® signore Natale Rondanini da Faenza. Sep. alla Minerva. L X X III», «1627. 28 decern. Sep. il s.r Natale Rondanini nella sep. de’ suoi antenati. LIX », cod. Vat. lat. 7878, f. 156. Autografa è la sua firma alla fine della presente deposizione. Giova notare che la letterata Felice Zacchia Rondinini (1593-1666), F e b b a b i , Onomasticon, p. 699, entrata, come pare, nella famiglia dei discendenti del teste, l e t t i,

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    maggio Ì610. [318] Natale Rondanini. f. 894

    211

    aeta tis annorum sexagimta sep tem in circa, qu i, m edio iu ra m en to, ta ctis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Son solito, per ordinario, confessarme et communicarme ogni mese, e quando alla parrocchia,2084 et quando a S. Biascio.2085 Il mio confes­ sore è il curato d. Giovanni a S. Biagio, e d. Prospero a piazza Colon­ na,2086 e, l’ ultima volta mi son communicato, è stato questa Pasqua, nella detta mia parrochia di S. Nicola a Campo Marzio. Ho conosciuto il beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione de l’ Ora­ torio, nella Chiesa nova, con il quale ho, alcune volte, parlato, ma non ho havuto prattica e, in vita sua, io lo tenevo per un sancto huomo, devoto sacerdote, e buon servo di Dio, e, come tale, era tenuto da tutta la Corte. E, doppo la morte sua, legendo un libro, stampato sopra la vita sua et attioni,2087 tra le altre, leggendo, che esso, andando, di commise che una « iconem » di s. Filippo, a ex prototype Alexandri Algardi », si collocasse nelle catacombe di S. Sebastiano; e che il figlio di costei, un altro Natale Rondanini (o Rondinini, secondo la forma poi prevalsa), segretario di Alessandro V II e poeta (m. 1657), [ G i o v a n n i B e n e d e t t o M i t t a r e l l i ] , D e literatura

    faventinorum sire De viris doctis et scriptoribus urbis Faventiae. Appendix ad Accessiones historicas faventinas. Venetiis, apud Modestum Fentlum, 1775, coi. 155, compose un’iscrizione per il luogo stesso, A r i n g h i , Roma subterranea novissima, cit., t. I (Romae, 1651), pp. 463-65. Quest’ultima opera riproduce la bella iscrizione latina e fornisce un’immagine ideale della scultura, a figura intera, rappresen­ tante il santo in ginocchio e col petto scoperto. In realtà, l’originale di Alessandro Algardi, era un busto, o poco più della testa, di terracotta; e non sappiamo dove sia finito. Esso fu sostituito, recentemente, da un busto in marmo, come attesta l’iscrizione che si legge sotto : « Effigies fictilis | beatissimi Philippi Nerii | congregationis Oratorii fundatoris | hic olim posita | marmorea effecta | atque in nova aedicula recondita | Anno Domini MCMIII | pecunia Henrici Iacobi Christie | Congregationis Oratorii Londinensis | presbyteri | Generosus Calentius Congreg. Orat, de Urbe praep. | opus faciendum curavit ». Non si sa se si tratti esattamente di copia. Nella cripta, di fronte al busto e a tre lapidi commemorative della Pentecoste miracolosa, è stato allestito un altare in un arcosolio, e inaugurato il 31 maggio 1959, cf. L ’ Oratorio di s. F. N., anno XYI, n. 7, luglio 1959, pp. 9-10. Si veda anche la nota 403. 2084 S. Nicolò dei Prefetti, nominata subito sotto: chiesa ricordata già in documenti degli anni 1181-1185, esistente ancora nella via omonima, H u e l s e n , p. 406; A r m e l ì i n i - C e c c h e i x i , pp. 408, 1396; Zucom, Roma domenicana, cit., v. II (Firenze, 1940), pp. 157-66. 20S5 h nominare, assieme, due confessori, uno curato d’una chiesa di S. Biagio, l’altro addetto ad una chiesa nella piazza Colonna (quasi sicuramente S. Paolo, officiata dai barnabiti) fa pensare che si tratti, nell’uno e nell’altro caso, di religiosi appartenenti a quell’ordine. S. Biagio dell’Anello, già ricordata nella nota 992, era di fatto stata data in possesso ai barnabiti, il 25 mar. 1575, P r e m o l i , Storia dei barnabiti nel cinquecento, cit., pp. 264-69; e, sebbene sita nel rione Regola, a una certa distanza dalla prima, si può ritenere che fosse quella frequen­ tata dal teste, alternatamente, per la confessione. 2086 g. Paolo della Colonna era una piccola chiesa, eretta dai barnabiti presso la colonna di Marco Aurelio nel 1596 ; riedificata dopo un incendio, che la distrusse nel 1617, venne infine demolita nel 1659, per sistemare piazza Colonna, A r m e l l i n i C e c c h e l l i , pp. 378-79; C. P i e t r a n g e l i , nel catalogo: Comune di Roma. Mostre topografiche di Roma. Piazza Colonna. Palazzo Braschi, dicembre 1954-gennaio 1955, pp. 14, 25, 27; tav. IY, VI. 2087 I due riferimenti che seguono sono certamente al G a l l o n i o . Il racconto del primo fatto si legge nella Vita lat., pp. 25-26, e nella Vita ital., p. 25: si veda la nota 53. Il biografo scrive, circa l ’intervento dell’angelo : « ... Sed Domino opem ferente, ab Angelo confestim inter cadendum capillo capitis mirabiliter retinetur, indeque nulla laesus ex parte ab eodem incolumis retinetur » ; e, a

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    212

    14 maggio 1610. [319] Barbara Contini, f. 895

    notte, a usar carità ad alcune povere persone, cascò in una fossa cupa, posta nella strada, dicono li testimonii, che l’angelo lo levò, di quella fossa, per un capello ; et, legendo, ancora, un altro capo, nel quale più illustrissimi s.ri cardinali depongono, che detto beato p. Filippo, sendo da papa Clemente 8°, quale era nel letto, tormentato dalla chiragra, detto padre li volse toccare quella mano : il papa non voleva, et, toccata che l’ hebbe, cessò il dolore; et, così, io stavo sopra di me: pareva^ che io non credesse queste due actioni di questo santo huomo. Il dì seguente, la notte, dormendo, m’apparve,.tin sogno, tutto vestito di bianco candi­ dissimo, e si doleva, che io non credessi le cose sudette. E, per questo, poi, conobbi, che era bene a credere, che fossero vere le cose suddette, e mi risolsi, conforme al detto volgare : scherza co’ fanti e lassa star li santi. E questo fatto è stato, da me, come cosa degna d’amiratione, raccontata a diverse persone. Questo fu da quattro o cinque anni sono, si ben me ricordo, e questa è la verità, et per tale la confermo, con mio giuramento. Ita est: Natalis Rondininus, qui supra, manu propria. P e tr u s M a zzio ttu s notarius.

    [f. 895] DIE 14a MENSIS MAH 1610

    [319]

    E xa m in a ta fu it [Romae], in dom o solitae h abitationis d .n i P e tr i C on tin i, in via P a rion is, de m andato e tc ., p e r m e e t c ., ad perpetu a m rei m em oria m , B a rbera C o n tin i ,2088 filia d icti d .n i P e tr i C on tin i et F elicis con iu g u m , rom a n a , a etatis annorum vigin tiqu in qu e in circa, quae, m edio iu ram ento tactis e tc ., d ixit u t in fr a :

    Io son solita confessarme e communicarme, tre volte la settimana, qui nella Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Francesco Bozzio, e, do­ menica prossima passata, mi confessai e communicai, in detta chiesa. Non ho conosciuto il beato p. Philippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova. L’ho inteso nominare per un sancto e vero servo di Dio, et io lo tengo per tale, e tengo che faccia de molti miracoli, come ne posso raccontare uno, tra li altri, successo nella mia persona, che è questo. Che essendo io di età d’anni dodici in circa, m’ammalai con una febre pestilentiale continua e due altre, che quotidianamente me si rimettevano. Stando in tal termine

    margine, adduce la deposizione giurata del Baronio. Questi aveva tuttavia solo detto, come riferendo una narrazione diretta di F . : « . .. et, andando giù sentì tirar per i capelli in su, et non si fece male», ff. 112-113. Nella facile amplifica­ zione che del particolare pare abbia fatto il biografo, dovette avere presente il noto luogo scritturale di Habacue trasportato dall’angelo per un capello in Babilonia, Daniel, XIV, 35. Il racconto della liberazione di Clemente V i l i dalla chiragra (sul quale la nota 1087) si legge nella Vita lat., p. 214; e sono addotte appunto, in margine, ie testimonianze dei cardinali Cusani, Borromeo, Tarugi e Baronio. 2088 Barbara Contini, figlia dei testi Pietro Contini (325) e Felice Sebastiani (317), sorella di Giulio Antonio, teste sucessivo. Negli « Stati d’anime » di S. Maria in Vallicella, degli anni 1610-1617, f. 276 r-v, continua a essere registrata come dimorante in casa del padre.

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    15 maggio 1610. [320] Giulio Antonio Contini, f. 896

    213

    diciotto giorni continui, mi dissero, poi, quelli di casa, che fui quasi desperata dalli medici; e mi ricordo, che ero ridotta a tale, che non potevo ricevere pasto, nè cibo di sorte alcuna, tanto ero consumata et maltrattata dal male. Et tanto più m’attristava la malatia, quanto che vedevo tutte le genti di casa sottosopra, non sapendo io la causa, all’hora, ma, di poi, seppi che era, perchè io havevo certi danari in testa mia.2089 Ora, io stando così, mia madre, nomata Felice Sebastiani, mi disse poi, che narrò il fatto al p. Francesco Bozzi, suo confessore, et che lui, veden­ dola molto afflitta, per consolarla, li diede una corona, che era stata del beato p. Filippo Neri, acciò me la ponessi adosso, et che mi raccoman­ dassi a lui, che mi rendesse la sanità. E mi ricordo, che mia madre, ve­ nuta a casa, et entrata in camera, mi diede quella corona, con dirmi, che era la corona del beato p. Filippo, acciò che io la dicessi, e poi me la ponessi al collo, con pregarlo, che mi volesse far gratia di restituirmi la sanità. Io, recevendo, con grande devotione, la corona, la recitai ; finito che io hebbi di recitarla, mi raccomandai caldamente a quel beato padre, che mi facesse gratia di impetrarmi la sanità, e me la posi al collo. Fatto questo, conobbi il miracolo, perchè, subbito, mi sentii me­ gliorare, et in tal modo, che, non solo non mi tornorno, in quel giorno, le due febri, che mi solevano tornare, ma non mi ritornorno più ; et, il giorno seguente, mi cessò anco quella continua, che havevo, et affatto mi lasciò libera. Il che tutto riconobbi dalli meriti et gratie del detto beato Filippo Neri, perchè io, con medicamenti naturali, non potevo es­ sere, in niun modo, in sì breve tempo, sana. Et di questa verità, non solamento ne testifico io, ma ancora Felice Sebastiani, mia madre, e Pietro Contini, mio padre, et altri di casa. Et, all’hora, io non feci voto ad altri santi, nè meno hebbi altre reliquie, se non la corona detta del beato Filippo. I n causa scien tia e d ixit predicta sc ir e , p er ea quae su pra d eposu it e t , n escien te scrib ere, fe c it sign um cru cis. P e tr u s M a zzio ttu s n otariu s.

    [f. 896] D IB 15» MENSIS MAII 1610

    [320]

    E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in officio m ei e t c ., p e r m e e t c ., de m a n ­ dato e t c ., ad p erpetu a m rei m em oria m , d .n u s Iu liu s A n to n iu s C o n ­ tin u s,2090 filius d .n i P e tr i C o n tin i, rom a n u s, te stis e t c ., annorum v ig in titriu m in circa , qu i, m edio iu ra m en to, ta ctis, etc. d ixit u t in fr a :

    Quasi ogni domenica, son solito confessarme e communicarme, qui alla Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Francesco Bozzio, e, domenica

    2083 Duecento scudi, come dichiaro già la madre della teste, f. 884. 209° Giulio Antonio Contini, figlio dei testi Pietro Contini (325) e Felice Sebastiani (317), fratello di Barbara, teste precedente. Egli depose anche nel terzo processo, il 7 sett. 1610. Si trova il suo necrologio, trascritto nel Galletti, da libri di S. Maria in Vallicella : «1630. 3 iunii f Adm. r. d. Iulius Antonius Continus rom. an. 42 par. S. Thomç in Parione Sacrç Pçnitentieriç a secretis scriptor et Ss.mi PP. eleemosinarum pro pauperibus distributor. Sep. in sep. fam. V i l i », cod. Vat. lat. 7878, f. 195. Autografa è la sua firma in fine della presente deposizione.

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    214

    15 maggio 1610. [320] Giulio Antonio Contini, ff. 896-897

    passata, mi communicai ultimamente. Io mi ricordo, come un sogno, del beato Filippo Neri, fundatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova, perchè ero putto piccolo, a pena me ne ricordo. È ben vero, che, sempre, l’ho tenuto in gran veneratione, e lo tengo per un sancto e vero servo di Dio, e che faccia de molti miracoli, come si vede de voti, attaccati alla capella, in honor suo fabricata, a man destra de l’altar maggiore di detta chiesa, e la devotione e frequentia del popolo al suo sepolcro, in detta capella. Et, benché io habbi inteso de molti miracoli, fatti da Dio benedetto, per intercessione di detto beato padre, ne posso deponere alcuni, che io li so di certo, successi in casa mia, nella per­ sona di mia madre, e di un altro mio fratello, che sono questi. [G iu lio A n to n io C on tin i n arra, assegnandola al 1 5 9 8 , la guarigione della m adre F elice S ebastian i in C on tin i dal « catarro » alle g a m b e, d icen do, d i più di quanto risu lta da altre p a r ti, che eg li p iù v o lte aveva v isto le gam be m alate; che egli n on si trovò p resen te alla v isita del chirurgo G iovan n i fiam en go, m a la sera , a casa gli fu riferito quanto quegli aveva d e tto della m alattia: che F e lic e , « se bene era desperata da

    rimedii naturali, non per questo hebbe timore alcuno di non essere aiutata dalle preghiere delli santi. Et, essendo detta donna abandonata et afflitta, viddi, che, la sera, s’avicinò ad un letto, et, posta a sedere, si raccomandò di cuore al beato p. Filippo Neri, fondatore della Con­ gregatione dell’Oratorio di Roma, secondo ch’io viddi, dalli gesti che faceva, e parole che diceva » ; che la corona era ancora riten u ta in casa dei C on tin i com e appartenuta a s. F ilip p o ; ch e, la m attin a seg u en te, F e lic e « disse (et io anco la sentii) che non sentiva dolore di sorte alcuna,

    e, ringraziando il beato padre, diceva : “ sia ringratiato Dio et il beato padre, che m’hanno levato il dolore ” » ; che egli vid e la m adre m u oversi p er casa senza p en a , durante la giorn ata, m a che costa tò « de visu » la guarigione solta n to la sera ; si richiam a p er la gu a rigion e, alla m a dre, al padre ed alla cugina Cam illa Cam pioni. G . A . C on tin i racconta p oi l’ altra guarigione della m adre in cin ta , e la assegna al 1603. « E, quella

    notte, per esser tutti stanchi, per la vigilanza delle altre notti, assistei io stesso a detta mia madre inferma, quale riposò per un poco di tempo, e poi cominciò a sputar sangue. Et me n’accorsi, perchè, sempre, ogni volta che spurgava fuora il catarro, io li porgevo la catinella, dove lo buttasse, perchè il medico lo voleva vedere. Io, avvistomi che era sangue mi rallegrai assai, con pensare che, forsi, s’era rotta la pontura, che haveva » U dì quanto i m edici d issero, la m attin a seg u en te; si richiam a al p ad re, a Tarquinia ed a Cam illa. G . A . C on tin i ra ccon ta , p o i, la gua­ rig ion e del fra tello G reg o rio , richiam andosi al padre ed alla m adre ]. I n causa scien tia e, d ixit praedicta scire p e r ea quae su pra d eposu it.

    Io Giulio Antonio Contini affermo quanto di sopra si contiene, per la verità, con giuramento, questo dì et anno suddetto. Io Giulio Antonio Contini mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s n otariu s.

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    17 maggio 1610. [821] Lucrezia Campioni, f. 898

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    [f. 898] DIE 17» MENSIS MAH 1610

    [321]

    E xa m in a ta fu i t , R o m a e , in dom o d .n i P e tr i C o n tin i, in region e P a r io n is, de m andato e t c ., p er m e e t c ., ad fu tu ra m r e i m em oria m , d.n a L u cretia C am piona ,2091 rom a n a , u x o r m a gistri N icola i C icci, calceolarii, p rop e tem p lu m S a n cti A u g u s tin i 2092 de U r i e , te stis e t c ., aeta tis annorum v ig in ti se x in circa, quae, m edio iu ra m en to, ta c­ tis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Io son solita confessarme e communicarme ogni otto giorni, qui alla Chiesa nova. Il mio confessore è il p. Francesco Bozzio, et, Meri fece otto giorni, mi communicai in detta cMesa l’ ultima volta. Io non ho conosciuto il beato Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congrega­ tione de l’ Oratorio nella Chiesa nova, ma l’ho inteso nominare per un sancto e vero servo di Dio, e che lui faccia de miracoli, come si vede de voti attaccati al suo sepolcro, nella detta chiesa, e si vede la devotione, e frequentia del popolo a detto sepolchro. Ho ben inteso dir de molti miracoli, che lui fa, a chi, divotamente, se li racomanda, ma, in parti­ culare, io non ne posso dire, se non uno, al quale mi trovai presente, nel modo, che hora dirò. È che, nell’anno 1607, habitando io in casa di una mia sorella carnale Tarquinia Campioni, quale tiene una camera in casa di Felice Sebastiani, mia zia, moglie di Pietro Contini, avvenne che, havendo detto Pietro Contini ricevuto in casa sua, per carità, una certa donna povera, d’anni novantanove, chiamata, per nome, Gabriella, molto intrinseca, conforme lei diceva, del detto beato p. Filippo, poiché da giovane l’haveva conosciuto ; hora, essendo detta donna ammalata, et venendo al fine della sua vita, il giorno avanti al transito, non faceva motivo nissuno. Ma, tutto in un tempo, alzò la voce, con dire, a braccia aperte: « O, padre Filippo» et con riso, spesso replicava et diceva: « O padre Filippo, venite qua da me » et io l’interrogava : « dove è? » ella mi rispondeva : « non lo vedi che sta lì? eccolo là, vedi ». Et, il giorno seguente, che lei morse, poco inanzi che morisse, aprendo le braccia, venne sino da piedi al letto, strascinandosi, per non potersi alzare, dicendo : « padre mio, padre mio ». Et a tutto questo mi trovai presente, et intesi anco dire, che, stando lei nell’ultimo, diceva, movendo adagio le labra, et con voce ultima : « padre mio, padre mio », piano piano, et così passò a meglior vita. Di tutto questo ne fo fede io, et Felice Sebastiani, mia zia, et altri, che erano, all’hora, nell’istessa casa.

    2091 Lucrezia Campioni, sorella delle testi Camilla (315) e Tarquinia (316), depose anche nel terzo processo, 1Ί1 lu. 1610. Il fatto principale contenuto nella presente sua deposizione, la morte di Gabriella da Cortona, era stato più somma­ riamente narrato dalla teste Felice Sebastiani, f. 890: sull’anno preciso di morte della vegliarda si veda la nota 2080. 2092 Preceduta da una chiesa medievale, della cui esistenza erano rimaste incertezze fino agli studi più recenti, S. Agostino fu costruita nelle belle forme presenti, per munificenza del card. Guglielmo d’Estouteville, durante gli anni 14791483. La sua cappella del Crocifisso si dice essere stata frequentata da F., H u e l s e n , p. 528; A r m e l l i n i - C e c c h e l l i , pp. 538-39, 1231-32. Si veda, per l ’ultimo particolare, ai ff. 561-562.

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, f. 809

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    I n causa scien tiae, d ixit predicta scire p e r ea quae supra deposu it de loco tem pore et contestibus, quibus su pra e t c ., e t , n escien te scrib ere, fe c it sign um crucis. P e tr u s M a zziottu s n otarius.

    [f. 899] DIB 17» MENSIS MAII 1610

    [322]

    E xa m in a tu s f u it , R o m a e , in dom o ill.m i d .n i T iberii A s ta lli, r o ­ m ani, reg ion is P in e a e, p er m e e t c ., de m andato e t c ., ad fu tu ra m rei m em oria m , idem ill.m u s d.nu s T iberiu s A s ta llu s ,2093 n obilis rom anu s, te stis e t c ., annorum quinquaginta n ovem in circa, qui, m edio iuram e n to , ta ctis e t c ., d ixit u t in fr a :

    Son solito confessarne e communicaram, ogni domenica, al Giesù. Il mio confessore è il p. Francesco : non mi ricordo del cognome ; è padre lì nel Giesù. E, domenica prossima passata, che fu hieri, mi communicai, l’ ultima volta, nella medesima chiesa. Io son stato esaminato, in questa causa del beato Filippo Neri, fio­ rentino, fondatore della Congregatione de l’Oratorio nella Chiesa nova, nel processo in genere.2094 dinanzi a mons. Fidele,2095 come prelato e 2093 Tiberio Astalli, appartenente alla storica famiglia romana, A m a y d e n pp. 85-88, fu conservatore del Comune nel 1580, F o r c e l l a , v . I , p. 41, n. 74. Nel 1593 appare coinvolto in un fatto criminale (sul quale la nota 684), e venne sottratto alla condanna capitale per intervento di F., che lo ritenne inno­ cente, f. 227. Comparendo nel terzo processo, il 24 sett. 1610, egli dichiarò al riguardo : « Io fui, al tempo di papa Clemente, querelato di un homicidio et carce­ rato, perchè io mi costituì spontaneamente, havendomi imputato di homicidio, in persona di Fulvio Figliucci, et ne fu fatto il processo, et, trovato la verità e la mia innocentia, ne fui assoluto dal prop.0 [sic] papa Clemente ». Per F. egli aveva anche deposto, in antecedenza, nel secondo processo (si veda la nota seguente). Nel 1603 era uno dei custodi dell’ospedale del Ss. Salvatore al Laterano, F o r c e l l a , v. V i l i , p. 148, n. 412. Un’iscrizione, probabilmente ideale, in P i e r l e o n e C a s e l l a , De primis Italiae colonis, cit., pp. 178-79, con l’anno 1605 e il suo nome, dichiara : « Redempto in loco hac ipsa fabrica superne habitabili | Construxit, ornavit, dota­ vit, dicavitque | Basilicam suo cum altari pro eis [come corregge, in luogo eli reis, B e b t in i, V. I .

    l’esemplare Stamp. Barb. O. VII, 11, che reca innumerevoli emendazioni, e aggiunte all’opera ] vetusteis quae sub vocabulo S. Mariae de Astallis gentilicio cultu propriis in aedibus excitata maioribus steterant: & hoc [corretto haie, come sopra ] item sepulcrü sibi delegit, & posteris». Non s’intende quale fosse la «basilica» accen­ nata, mentre è chiaro il riferimento alla scomparsa chiesa gentilizia di S. Maria degli Astalli, detta più comunemente, per corruzione, S. Maria della Strada, inclusa nel nuovo tempio del Gesù, aperto al culto dall’Avvento del 1577 (si veda la nota 2156). I l sepolcro del teste fu in S. Maria di Aracoeli, come risulta dal suo necrologio, trascritto nel G a l l e t t i : « 1615. 18 mardi f D. Tiberius Astalli. Sep. in Araceli. Lib. II. Defun. S. Marci ». cod. Vat. lat. 7875, f. 173. Autografa è la sua firma alla fine della presente deposizione. 2094 II 17 giu. 1609, Tiberio Astalli era di fatto comparso nel secondo breve processo, detto « in genere », che si tenne dal 9 maggio al 29 giugno di quell’anno, cod. A . III. 23 dell’Archivio della congregazione dell’Oratorio di Roma [non numerato]. La sua deposizione contiene solo materia generica e comune. 2095 cesare Fedeli, referendario delle due Segnature (ma il suo nóme non è registrato dal K a t t e r b a c h ) , eletto vescovo titolare di Salona il 13 ag. 1607, fu vice­ gerente di Roma. Si trova nel G a l l e t t i il suo necrologio, trascritto da libri di S. Lorenzo in Damaso : « 1620. 27 decem, t Mons.r Cesare Fedele vicegerente vescovo di Salone vicario di S. Lorenzo in Damaso. XXX », cod. Vat. lat. 7900, f. 79.

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 899-900

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    giudice sopra ciò deputato. Al quale esamine io mi referisco, e confermo quanto in quello si contiene tutto per la verità. E, sebene, in quello primo esamine, io non dissi, se non in generale, conforme alli articoli della vita, actioni, e miracoli, e della sanctità sua, hora dico di molti parti­ culari. E, prima, la causa della cognitione, la vita, actioni, e sanctità sua e miracoli, tanto in vita, come doppo la sua morte, e altri particu­ lari, con ordine, come, qui di sotto, in questo quinterno di nove fogli, scritto di mia propria mano. Quale, hora havendolo letto e riletto, dico esser tutto la verità, e per tale, la confermo, con mio giuramento. In prima, dirò sopra la sua natività, il modo come lo so, come seguita, cioè : [f. 900] 1. Sì per inteso dire, corno anco ho visto, et è publica voce e fama, ch’in Firenze, quale è cità principalissima in Italia, dove, più volte, son stato, vi è stata sempre, et è ben fermata, la fede cattolica e vi è stata la fameglia de Neri, della quale è nato il beato Felippo; e questo ho inteso sempre dire, da molte decine d’anni in qua, et è publico e notorio. 2. Ho inteso sempre dire, ch’il detto beato padre era figlio legittimo di Franciesco Neri, e so il nome della madre, che si chiamava Lucretia de Soldi, ma l’ho saputo doppo la morte del beato padre ; ma del padre son molti anni ; e so, per publica voce e fama, fu battizato in Fiorenze, et è publico e notorio. 3. Ho inteso dire, più volte, da diverse persone, in diversi tempi, che, mentre il beato Filippo stava in Firenze, ch’era piccolo, e mentre anco era giovine, avanti venisse a Roma, era publicamente chiamato Pippo bono : dal che si va raccogliendo la santità e purità della sua vita, per esser, publicamente, chiamato per Pippo bono. Et, quando venne a Roma era chiamato Felippo buono. Et ho inteso dire, mentre stava in Fiorenze, cascò in loco pericolosissimo, ma non mi ricordo come, e fu liberato miracolosamente, senza farsi male : e questo l’ho inteso dire, da più persone, e ne è publica voce e fama. 4. Più volte, ho inteso dire, in diversi tempi, e da diverse persone, ch’il p. Felippo venne in Roma giovanetto, e, per publica voce e fama, ho inteso dire, che non volse mai più ritornare alla patria sua, nè meno, mai più, andò in alcun loco, cità, terra, castello, o altro loco di recrea­ tione, ma sempre stette in Roma, fin alla morte, continuamente, affatigando per servitio de Dio, e salute delPanime, ma sì bene andava spesso alle Sette Chiese: et questo fu il più lontano viaggio, che facesse, da che arrivò in Roma, fin alla sua morte; et io, da che l’ho conosciuto (che son decine d’anni) fin all’anno 1595, che detto beato morì, so, di certa scienza, che non fece maggior viaggio, che quanto ho detto di sopra delle Sette Chiese. E so, ch’ era pregato, alle volte, d’andar in alcun logo di recreatione, per qualche giorno ; andava destreggiando, e pigliando tempo, con dire: « un’altra volta, un’altra volta ».209e E questo è stato, et è publico e notorio, tra la giente che lo praticavano. 2 09 6 che F. non facesse mai altro viaggio fuori di Roma, al di là dell’itinerario delle « sette chiese », anche Fabrizio Massimo asserì esplicitamente, f. 645; e appare strano che il P a s s e r i , Arsoli e i nobilissimi signori Massimo, cit., p. 10, affermi, « per la costante tradizione e per tanti fa tti», che visitasse quel paese e abitasse il castello. Si è raccolta inoltre la tradizione che F., ospite in Bagnoregio del suo amico Angelo Vittori, pregando in una piccola chiesa davanti all’immagine di

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 900-901

    6. Io so, che il beato p. Felippo fu uno de fundatori della Compa­ gnia della Santissima Trinità : e questo l’ho inteso dire, in diversi tempi, e da diverse persone et è et era cosa publica. Li esercitii di detta compa­ gnia erano, e sono, di dar ricetto alli poveri convalescienti, quali escono dalli hospidali, et alloggiare li pelegrini, et altre opere di carità : che è stata cosa molto utile, a questa cità; e detta santa opera è stata et è nominata per tutto il mondo, nel particulare, nell’anno santo 1575 et del 1600. E questo è stato et è cosa publica. [f. 901] 8. Cominciai a confessarme dal beato padre sudetto, si ben mi ricordo, dell’anno 1584, e me ci menò il s.r Fabritio Massimi: che, al­ l’ora, il beato padre habitava alla Chiesa nova, e, da l’hora, fin alla sua morte, sempre conversai con detto beato padre. 18. Io so, che il beato padre, due anni avanti che morisse, renuntiò il governo della Congregatione, et il peso d’esser superiore, al p. Ciesare Baronio, quale, doppo la morte di detto beato, fu, da papa Clemente Ot­ tavo, fatto cardinale. Et so, che li padri di detta Congregatione non volevano, che detto beato padre lassasse d’esser superiore, mentre viveva, et ho inteso il detto beato Felippo si valse de favori d’alcuni cardinali, corno Cusano e Boromeo, per ottener, da detti padri, detta renuntia. Et questa è stata et è cosa publica. 19. Io so, di cierto, che il beato Felippo, l’anno, si ben mi ricordo, 1595, stette in letto, con febre continua, e talmente, che li medici, cioè m.s Agnielo da Bagniarea, m.s Ridolfo, e, credo, m.s Anton Porto, tenevano che detto padre havesse a morire di quell’infermità. E so, che, doppo fatto tal giuditio, il dì seguente, successe una festa di devotione del beato padre, e, desiderando di dir la Messa in quel giorno, e, la matina di detta festa, andandome io a confessare, trovai si era levato di letto, e disse voler dir Messa, corno poi intesi la disse, e seguitò di dirla, per molti giorni. E doppo passati alcuni dì, so, che detto beato padre fu, di novo, soprapreso di novo male, che li medici giudicavano, che ci fosse per poche hore di vita, ma non passò molto tempo, che, invece di morire, guarì di quel male, con stupore de tutti, e si levò dal letto, e tornò a dir la Messa, per molti giorni. E, la matina del « Corpus Do­ mini », andando io a vederlo e per reconciliarmi, lo trovai in letto, e mi riconciliò, et mi disse di volerse levare, che lo pregai a non farlo, tuttavia, mi disse sentirse bene, e che si voleva levare. Stetti, un pezzo seco, adimandai licenza. Intesi, poi, si era levato, e, la matina seguente, intesi, era morto, alle 6 hore. E delle sopradette cose è stata et è publica voce e fama. 22. Io so (e mi son trovato presente) il giorno che seguì, doppo la morte del beato, nella chiesa di S. Maria in Vallicella, poco doppo che li padri calorno in detta chiesa detto beato, dove trovai grandissima quantità di giente, homini, donne, nobili, igniobili (e doppo vi vennero cardinali, inbasciatrice di Spagna) che, per il gran concorso, non potevo Maria chiamata « dell’Olmo » o « di Jajaro », udisse angeliche armonìe, Q u i n t a r e l l i , Degli uomini illustri bagnoresi dell’ordine francescano, cit., p. 197. Ripete le notizie della visita di F. a Bagnoregio, altrettanto infondata che quella ad Arsoli, l’opuscolo di F r a n c e s c o P e t r a n g e e i P a p i n i , Un bagnorese a Roma. Dal libro inedito: Il ramo sotto gli scrosci, diario strapaesano (Roma 1945-1947). Viterbo, Agnesotti, 1957, p. 17.

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 901-902

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    accostarmi al santo corpo. E viddi, che ogniuno ciercava toccarlo, chi basarli una cosa, et chi un’altra, chi ciercava levarli qualche reliquia, che, con gran fatiga, si poteva defendere per que’ padri, et intendevo, continuamente, faceva miraculi. E, mentre stavo lì presente, occorse un caso d’un giovanetto et una giovanetta, che havevano le scrofole, che facendole toccare la mano di quel beato corpo, quelle, che toccorno, risanorno, e ne restò una, che non si resanò, per respetto non potè farla toccare, respetto alli staffieri dell’ inbasciatrice di Spagna, che la levorno via per forza, che non potè fenire di toccare quella parte. Intesi, poi, che era guarita benissimo, [f. 902] per mezzo della santità del beato, il quale, in un instante, operò tal miraculo.2097 E tornai, più volte, in detta chiesa e, sempre, trovai il detto concorso. E tutto è notorio, e publica voce e fama. 28. Ho conosciuto, molte decine d’anni, il beato Felippo, e, sempre, l’ho tenuto per un santo, pieno d’ogni vertù et perfettione; et, alli homini di vita bona, religiosi e persone ecclesiastiche, era un specchio di santità ; e, da tutti, era, per tale, reputato, reverito et stimato. Et è publica voce e fama. 29. Io so, che il beato p. Felippo, non solo fu cristiano perfettissimo, e molto zelante della fede cattolica, ma anco bon theologo, havendolo, molte volte, visto trattare, con homini theologi, di materia di theologia, e ne trattava molto sodamente, con sodisfatione di quelli. E so, che ha redotti molti alla fede nostra cattolica; et, in particulare, giovò assai alla conversione del s.r Ugo Boncompagnio,2098 già hebreo. Et a me è stato molto giovevole, faciendo molto capitale de suoi consegli, li quali furno tali, che, in particulare, d’ un mio travaglio, se io non l’havesse conferito seco, ne andava la mia vita, che tutto superai, con ubedire al suo bono e santo parere, corno anco mi è stato giovevole, in moltissime altre occasioni. E di tutto ne è publica voce e fama. 31. Io so, che il detto beato, per tutto il tempo, che lo ho conosciuto, sempre parlava delle cose de Dio, o faceva oratione, o diceva Messa, o confessava, o vero leggieva libri de santi, o dava qualche bon conseglio, o parere a qualch’ uno. Et io vi andavo spississimo, e sempre lo trovavo occupato in tali esercitii ; e li soi figlioli spirituali ne cavavano molto utile, dalle sue esortationi. Et so, che detto beato è stato causa, siano state stampate molte istorie de Santi, le quale non erano in luce, e non solo per mezzo delli Annali del s.r card. Baronio, ma, anco, per mezzo de molti libri stampati dal p. Tomasso Bozzi e dal p. Antonio Gallonio : quale so fece stampare un libro delli Instrumenti de martiri e la Vita delle Vergine Romane. Et era solito, detto padre, sempre, racontante qualche vita. Sempre l’ho trovato sciolto del proprio interesse, e cupido della salute delle anime, e zelante dell’honor de Dio. E di tutto ne è stato publica voce e fama. 32. Per tutto il tempo, che ho praticato con il detto beato padre, non l’ho visto mai otioso, ma sì bene, sempre, o raggionare di cose de Dio ;

    2097 gì tratta della teste Margherita de Magistris (113), il risanamento della quale fu ripetutamente narrato anche da altri. Si veda la nota 122. 2098 Fu ij più illustre convertito della famiglia dei Corcos; sul quale si veda la nota 170.

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 902-903

    e, quando non parlava, spesso, soleva affissar li occhi, che pareva stessi in estesi, e quando, altrimenti, diceva la corona, quale la maggior parte del tempo la portava in mano. Et, in cocchio, stava sempre estratto, e si poneva dietro alla carozza, per non essere visto. E spesso andavo seco, e ci menava sempre a qualche chiesa, o in qualche vignia, e, mentre noi ci trattenevamo in qualche trattenimento honesto, lui si ritirava in qualche loco, a contemplare, o a far oratione. E, mentre stava con noi, ci inparava qualche bel modo per orare, et alzare, alle volte, la mente a Dio e dire qualche oratione iaculatoria ; e, in particolare, alcune corone diverse, dirette a Nostro Signore, overo alla Beata Vergine. E, così, ci esortava a non passar il tempo otiosamente. E, nelle sue camere, haveva una scaletta, la quale andava in una loggietta, in cima alla casa, e spesso spesso, si ritirava là su, a far oratione, e contemplare. E mi recordo, che, la matina a bon’hora, di verno, vi si ritirava, solo con una camisola roscietta, lunga [f. 903] fin a ginocchio, che stupivo, quando tornava a basso, non fusse morto di freddo; che io, malamente, ben vestito, in bone stantie, me ne potevo defendere, e lui tornava caldo, corno che fusse stato al foco. E, più volte, m’aricordo haverle detto che non vi andasse, che se amazzava ; ma lui se ne burlava, et mi faceva tastar la mano, ch’era caldissima, et la mia era fredda. Ohe tutto credo ve­ nisse dal gran ardore, che havea dentro, delle cose di Dio. E tutto è notorio, publica voce e fama. Soleva, anco, sempre portar seco un libret­ to, dove erano ascritti li « Passii » 2099 e, quando si ritirava, quello apriva, e leggieva un poco : ma non potevo vederlo, che effetto faceva ; ma, sì bene, vedevo, che non poteva leggierlo molto, che restava inmobile, credo, per la meditatione di quel fatto della Passione ; che, per ritirarsi in lochi secreti, non si poteva ben vedere. E tutto è notorio. 33. Apresso di me è ciertissimo, corno anco appresso d’ogniuno, che ha praticato con il beato Felippo, che lui haveva una palpitatione di core, la quale, nel confessare, nel far oratione, nel dir la Messa, et parlare delle cose de Dio, si conoscieva benissimo, sì nel parlare, corno anco da l’alito, et altri segni. Si ben l’haveva più una volta, che l’altra, che credo venisse, secondo si trovava in fervore de spirito : poi che l’ oc­ casione di tal palpitatione ho inteso dir da molti, et anco medici, et in particulare dal s.r Angelo da Bagnarea, che questa era cosa soprana­ turale, di vivere, in quell’età, con tal palpitatione, la quale era senza fastidio : sì che concludevano fosse cosa miraculosa. 34. Io so, che, con gran fatiga, il beato Felippo tratteneva il grande

    2099 Anche Marcello Vitelleschi depose al terzo processo, il 3 sett. 1610, cod. A. IV. 1, f. 336 v : « E, per l’ordinario, quando andava alle recreationi, in qualche luogo, con noi altri giovani, portava seco li libri de Passii, e, mentre noi ci tratte­ nevamo, giocando alla boccetta o alla piastrella, lui si ritirava da una parte, in qualche luogo solitario, a leggere e far oratione ». Di quale contenuto esattamente, e se stampati o manoscritti, fossero il « libretto » e « libri de Passii », non sa­ premmo dire. Parecchie antiche edizioni italiane del genere, in latino e in lingua volgare, solitamente ornate di figure, registrano ì bibliografi, come M a x S a n d e b ,

    Le livre à figures italien depuis llfiH jusqu’à 1530, essai de sa bibliographie et de son histoire, II. Milan, U. Hoepli [1942], pp. 622-25, nn. 3579-3602; e Hhort-title cataloque o f books printed in Italy and o f Italian books printed in other countries from Vfi5 to 1600 now in the British Museum. London, Trustees of the British Museum, 1958, pp. 350-51. Non poche altre, certo, andarono perdute. Tra le nume­

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    17 maggio 1610. [822] Tiberio A stalli, ff. 903-904

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    inpeto e fervore del suo spirito, e, si ben s’aiutava molto, per distraerse e, particolarmente, avanti dicesse Messa, e mentre diceva Messa, faceva molti atti, che, chi non sapeva le cause, parevano allo sproposito, e di poca decentia. Ma tutto faceva, per non cadere in qualche estasi, e dar qualche scandolo a qualch’ uno, poco pratico delle sue vertù : sì che pa­ reva, ne l’altare, ci ballasse, alzandose nelli piedi, o qualche atto simile. E, mentre diceva Messa publica, era brevissimo; la quale diceva ogni giorno ; et io l’ho intesa moltissime volte ; e mai lassò di dir Messa, se non per causa d’infermità, e, per tal causa, si comunicava ogni matina. E questo l ’ho visto osservare, mentre l’ho praticato, et inteso il simile faceva in sua gioventù. E la devotione era tanta, che portava al san­ tissimo Sacramento, che sentiva gusto grandissimo nel comunicar altri, vedendosene molti segni esteriori, et, in particulare, nelle parole : « Do­ mine, non sum dignius», che, allora, si conosceva benissimo quella palpitatione, con anco il giesto della persona : che molte volte l’ho visto, et, anco, in persona mia. E di tutto questo ne è publica voce e fama. 35. Avanti il padre beato morisse, d’alcuni mesi avanti, so che hebbe una malatia, et io lo visitai più volte, et vi andava, per medico, il s.r Agnielo da Bagniarea. Il quale referì, un giorno, haver trovato il beato padre elevato dal letto con tutto il corpo, con sua grandissima maraviglia, e che detto padre faceva molti giesti, con le braccia aperte, parlando con la Madonna santissima molte parole, non accorgiendose d’ esser veduto da niuno. E, tornato in sè, accorgiendose d’esser stato veduto, si nascose, coprendose il viso, e restò con lagrime, [f. 904] E tutto questo so, perchè, tornando a visitar il padre, mi fu referto tutto il seguito da que’ padri, et, in particulare, dal p. Antonio Gallonio et anco dal s.r Fabritio Massimi, quali dissero haverlo inteso dal s.r Agnie­ lo medico. Me ricordo, nell’ultima malatia del s.r Patritio Patritii, che, andando detto beato padre a visitarlo, e, mentre era tenuto, il suo male, da noi, di poco pericolo di morte, il detto beato, doppo haver confessato detto s.r Patritio, fece grandissima instantia si comunicasse : che, dalla s.ra Panta,2100 sua moglie, fu tenuto per matto, et a me lo disse. Non­ dimeno fu comunicato ; et, poco doppo, l’istesso s.r Patritio, partito il beato padre, pigliandome per la mano, mi disse : « questo nostro padre

    rose, inoltre, non italiane contiene a esempio un'armonia o narrazione combinata elei quattro Vangeli, a opera di P h i l e s i u s R i n g m a n n , con venticinque grandi tavole la Passio domini nostri Je- \su Christi ex evangelistarum textu q. accuratissi- \me deprompta additis sanctissimis exquisitissi- | mis figuris. [Strassburg, Johann Knoblouch, 1507]. Qualcuna di queste edizioni illustrate doveva essere in possesso di F., poiché nell’« Inventarium bonorum » si registrano, al f. 14 v : « Misterii della passione di N. S.re con figure ». Ma egli doveva portare con sè, probabil­ mente, il testo delle quattro narrazioni evangeliche della Passione, in qualche forma. 2100 Pantasilea, detta Panta, Crescerai, moglie di Patrizio Patrizi, fu lodata per la bellezza, Μυτιό M a n f r e d i , Per donne romane, rime di diversi, pp. 407, 752. Rimasta vedova, si fidanzò con il dottore Fulvio Figliucci ; ma il promesso fu trucidato il 1° mar. 1593, come sopra ricordato. Di lei il G a l l e t t i trascrisse questa nota di sepoltura, da libri di S. Maria sopra Minerva : « 1608. 20 apr. Sep. la s.ra Panta Patrizi. LIX », cod. Vat. lat. 7875, f. 91. Il Patrizi e la moglie, senza figli, avevano preso in casa e dotato Pantasilea o Pantuccia .Astalli, figlia di Tiberio; la quale sposò nell’aprile 1592 Alessandro Oaffarelli che si fece esecutore, con un sicario, dell’uccisione del Figliucci. Panta­ silea Astalli Oaffarelli morì il 1° feb. 1666, vecchissima, Cod. Vat. lat. 1883, f. 129.

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 904-905

    è troppo precipitoso » ; che lo consolai, con mostrarli la natura del beato padre, zelante dell’anima sua : che, doppo poche hore, se ne morì. Et il medesimo intesi intervinne nella morte del s.r Vergilio Orescienti, che andò a visitar la moglie, doppo la morte, et prevedde quello teneva in pensiero quella signora, dolendose, in sè, che suo marito, giovane, era morto, e che lui, tanto vecchio, anco viveva. Che, senz’altro dirle detta signora, respose al suo pensiero, dicendole : « era ben raggione, che morisse io, vecchio, e non il vostro marito giovane ; ma alti son li segreti del Signore » : che quella signora restò stupita. E questo intesi, mentre detto s.r Patritio stava per morire: il quale morì poco doppo; et erano tutti dua amati da detto beato. E, di più ho inteso dire, al detto beato padre, più volte : « sancte Patrici, ora pro me », che lo teneva in Cielo, come più volte a me l’ha detto. 36. Da infenite persone, in diversi tempi, ho inteso dire, che il beato Felippo, sì in vita corno doppo morte, era apparso a diverse persone, e, si ben m’aricordo, al p. Giermanico Fideli, et ad altri, che non ho in memoria. 37. Il beato padre era dotato d’ogni vertù, e, in lui, la carità era grandissima e, ne l’acquisto delle anime, era zelantissimo, esercitando sempre la mente e il corpo di poter giovare al prossimo e le fatighe non le stimava, havendolo visto, di mezzo verno, tutta la matina, star in chiesa, al confessionario, nelli maggiori fredi dell’inverno, sopportan­ dolo, con grandissima carità, nonostante che tutti noi lo pregassimo di non star a quel freddo così rigoroso, nella chiesa anco fresca et humida. E, quando era infermo e con la febre, voleva, similmente, confessare ; et me, molte volte, mi ha confessato in tal stato. E, veramente, era un gran pescatore d’anime, poiché, in diversi modi, li tirava al servire Dio, e lui si accommodava con tutti, tirando li peccatori per diverse vie, dando trattenimenti a giovani, diversi, per trattenerli, per infervorarli ne l’amore de Dio e voleva che tutti di casa havessero patientia dell’inperfettioni de giovani, dandole occasioni di giochi di palla, di pia­ strella, di ruzzola,2101 acciò la gioventù si trattenesse. E lui dava audienza, in ogni tempo del giorno, dando sodisfatione ad ogniuno, e niuno se ne partiva da lui sconsolato. E così usava con li nobili, corno con li igniobili, e con ogni stato di giente, et andava a trovare le genti, a casa loro, che havevano qualche tribulatione, malatia, o altro. Et io, molte volte, sono andato seco, e visto la gran cari- [f. 905] tà usava al pros­ simo, nel compatirli. E, con li boni recordi, molti soi penitenti li ha redotti a farsi religiosi, farse frati, e, molte donne, monache : e tutto è notorio. 38. Io so, che il beato padre indusse molte persone laiche ad andare a far la carità a l’hospidali, corno hoggi que’ padri della Congregatione usano d’andarvi a consolarli, con qualche sussidio di confetti, ciambelle, brugnie, et altre cose, secondo li tempi, e servirli, aiutarli al mangiare, et altre carità. Et lui istesso andava ad aiutar li morienti, consolar li

    2101 Su questi noti giochi fanciulleschi, come erano fatti a Roma, si può vedere L u ig i Z anazzo, Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, Torino, Società tipografico-editriee nazionale (già Roux e Viarengo), 1908: piastrella, pp. 326-27; « a ruzzica », 372-73.

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 905-906

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    L

    infermi poveri e povere, in diversi stati tribulati: e son cose publiche e notorie. 39. La prudentia del beato p. Felippo, che, non solo io, ma da infeniti era conosciuta, et anco moltissimi s.ri cardinali, quali dimoravono con lui le ore, per descorrere le cose loro, et haverne il suo bon parere, corno, in questo particulare, l’ho inteso laudare dal s.r card, de Medici, che fu poi papa Lione, dal s.r card. Cusano, e dal s.r card. Boromeo et altri. Et, in me l’ho provato, che mi son stato molto giovevoli li soi pareri ; oltre, so, ha giovato, con li soi consegli, a molti religiosi. Et, in vero, da tutti li sodetti et altri, era reputato per un prudentissimo e santo homo. 40. Che il padre beato sudetto fosse semplice, non è da dubitare, e la sua semplicità era una semplicità cristiana, più tosto colore per coprire la sua prudentia trattando alla domestica, con niuna cierimonia, in tutte le sue attioni, sì nel vestire, corno nel trattarse in tutte le sue cose. E così esercitava li soi padri, li quali faceva farli, alla presentia de molti, e cardinali, molte cose semplici. Et questo lo so, perchè son stato presente, molte volte: che, qualche volta, io me ne ridevo con li altri. 41. Della sua humiltà, non è da dubitare : che mai, in tanti anni, che l’ho praticato, ho conosciuto in lui niun atto di compiacenza, nè niun atto d’ambitione. E tutti li soi atti, gesti et attioni erano pieni di gran­ dissima humiltà. Et molte attioni faceva redicole, per cielare la sua prudentia, e farsi conosciere per sciocco : e tutte queste cose son cose pubbliche. 42. Ohe il beato padre suddetto disprezzasse li honori e cose del mondo è notorissimo, da che lui non volse mai honori (como so ne ha potuto havere) nè tampoco robba ; poiché non volse mai da niuno niente, e lui viveva positivissimamente, che a pena arrivava al suo bisognio. 43. Io ho conosciuto quel beato padre tanto mortificato, che pareva fosse padrone assoluto anco de primi moti. Et, non solo si vedeva in se stesso, ma li premeva anco essercitarci li soi figlioli spirituali, imponen­ dole molte mortificationi, che ne son stato presente e viste molte. 44. Io ho conosciuto tanta confidenza haveva detto beato in Dio nostro Signore, che me istesso esortava haverla. E, perchè conferivo sempre le mie cose con lui, sempre me diceva : « non dubitare ; habbi confidenza in Dio, che ti provederà » : corno ho visto, sempre mi è riuscito. [f. 906] 45. La vita, che faceva il beato padre era tale, ch’io stupivo, corno potesse campare e mantenersi, in quell’età, con quelle forze, poiché, la matina, il suo pranzo era un po’ di pane, o una ciambella, e beveva un bichieretto di vino acquatissimo ; e, la sera, un ovo, o vero un’insa­ lata. E questo lo so, che li ho visto portar da mangiare ; et il p. Antonio Gallonio e il p. Giermanico Fidele, et altri, che li portavano da man­ giare, me dicevano, che mai mangiava altro. E so, che quando stava male, li medici andavano molto reservato in cibarlo, respetto de non alterare l’ uso suo, che ne stavano molto fastidiosi, per mantenerlo. E tal vito ha inteso, dalli suddetti et altri, l’haveva tenuto da che lo conoscievamo, et io l’ho visto alle volte. 46. Circa alla patientia e mansuetudine del beato padre suddetto, io non ho visto mai la maggiore, poiché, mentre l’ho conosciuto, per tanti

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 906-907

    anni, l’ho sempre conoscinto patientissimo, conpatendo le inperfettioni de molti, con molta patientia, che talvolta giudicavo fosse errore il tol­ lerare alcune cose con tanta patientia; in progresso di tempo, poi, cogniosceva, che guadagniava l’inperfettioni de molti, che si emenda­ vano, che, con la sua patientia e mansuetudine, li haveva guadagniati. La patientia, poi, in se stesso, ho visto, che, quando stava male, anco che fusse gravissimo, non si lamentava mai ; anzi, del suo male non ne parlava ; e, con tutto stesse gravissimo, confessava, nel letto, li soi penitenti, corno fece fin a l’ ultimo dì, che morse, che confessò me, in particulare.2162 E tutte le suddette cose sono notorie, et io l’ho viste, molte volte, andandolo a visitare spessissimo, e vistolo, infenite volte, ammalato. 48. Da che cominciai a praticare con il sudetto beato padre, sempre ho inteso dire, da diversi, che lui era vergine, et anco l’ho inteso dire, doppo.la sua morte. Et ho inteso dire, che, in sua gioventù, fu mandato a chiamare da una meretrice, con protesto di volerse confessare; che, andandoci il beato padre, trovò detta donna, che haveva mal cuperto le sue carni, poco meno che igniuda ; che detto beato, vedendo questo, se ne fuggì, correndoli dietro quella donna fin alle scale. Et era tale la sua purità, che, per quanto ho inteso, più volte, da quelli, che assistevano alle sue malatie, che, quando il medico li ordinava alcun servitiale, che lui se lo faceva mettere in camera, e la serrava, e poi se lo faceva da se stesso, non tolerando, che niuno lo vedesse. 49. Il beato padre era tanto diligente, ne l’operare in servitio della salute delle anime, che non guardava alli incomodi, ma sempre stava fisso nelli aiuti del prossimo, et in particulare nelle confessioni, che, la matina, ancorché fussero freddi grandissimi, sempre se ne stava in chiesa, confessando, patendo il freddo, e non curandosi de cosa alcuna ; et, altre volte, confessava in càmora. Nè si partiva mai, stando aspet­ tando li penitenti, trattenendose in orationi, o in dir Messa, o in cose simili; e, quando usciva, qualche volta, il giorno, era per causa di visitare qualche infermo, o qualche tribulato, o vero qualche chiesa ; e così perseverò sempre fino alla morte. [f. 907] 51. Mi ricordo, che, andando, un giorno, alle Sette Chiese, con il suddetto beato padre (e con noi ci venne il s.r Fabritio Massimi, s.r Patritio Patritii, s.r Marcello Vitelleschi, s.r Franciesco della Molara, il p. m.s Giovanni Francesco, che fu poi arcivescovo d’Avignone ; et il p. Antonio Gallonio) che, guastandose il tempo, il beato padre volse, che s’andasse a pranzo in una vignia, vicina a S. Paulo. E, conti­ nuando il tempo cattivo, doppo pranzo, il beato padre non giudicò fosse bene passar più avanti, e così ritornammo verso casa. Et, per strada, essendo in doi carozze et io andavo nella seconda, la prima, dove era il beato padre, intesi che cascò in una buscia: che, per il mal tempo di pioggia e oscurità, non si vedeva una carozza da l’altra, nè tampoco il cochieri potè vedere la buscia, dove cascò detta carozza. Che, per esser sì tristo tempo, non sapevamo che ci fare ; se non poi si vidde uscir detta2 0 1

    2102 h fatto non risulta espressamente notato dai biografi, nè riferito da altri, nel processo. Ma il B acci, 1. IV, c. 3, n. 2, riporta che F., la vigilia della morte, « ascoltò le confessioni di molti ».

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    17 maggio 1610. [322] Tiberio A stalli, ff. 907-908

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    carozza, sana e salva, che si pensava fosse morto il cocchiere, o, almeno, un cavallo, che era dentro la buscia. E questo, a tutti, parse un gran miracolo, e si crese fusse per mezzo del beato padre, quale si ritirò avanti S. Maria in Portico. Un’altra volta, andandome a confessare, mi confessai d’ un peccato di mormoratione d’una persona di qualità; e detto padre mi riprese, soggiongendome : « in breve, questo povero homo morirà ». Mi partii, all’ora, di Roma, per andar a un mio loco, per fermarmi l’estate; e, poco doppo che arrivai, mi venne nova, che quel tale, che il beato padre mi disse, che in breve morirebbe, era morto di malatia brutta. 82. Io so, mentre il beato Filippo visse, e doppo morte, sempre fu tenuto gieneralmente, sì da homini, como da donne, per homo santo; et io, particularmente, l’ho sempre tenuto, e reputato, e tengo sia tale ; e lo tengo per mio particulare advocato e protettore. E, mentre viveva, in tutte le mie cose, mi consultavo seco, come ho visto cardinali, infeniti prelati, religiosi d’ogni sorte ricorrere da lui, per parere, e lo veneravano, e lo tenevano corno un santo. 83. Io so, che, doppo la sua morte, molte persone, d’ogni stato, in caso di malatie e di travagli, son recorsi a racomandarsi al beato padre, e ne hanno conseguito delle gratie, e continuano più che mai nella sua protetione. E sono stati fatti molti retratti, alli quali fanno oratione continue. Ho visto, anco, fare una cappella bellissima, nella Chiesa nova, di molto valore di pietre e colonne pretiose, et il suo corpo messo sotto quello altare, dove oggi ce si cielebrano molte Messe, et il suo corpo sta dentrb d’ una cassa, ornata con velluto cremisino, broccato di oro e d’argieùto, et altri richi ornamenti. E ho visto il suo santo corpo, e vi concorrano molti a farci oratione ; similmente, ho visto la camere, dove stava, tutta ornata di pitture, con diversi miracoli fatti da quel beato. Et, il giorno della sua morte, nella chiesa, farsi festa, con Messa solenne, con l’asistentia de cardinali, al Vespero, con sermoni, trattando della santità del beato padre. Et ho visto moltissimi voti, alla sua capella, et una lampada sempre acciesa, e vene- [f. 908] rare le sue reliquie, come reliquie di santo. Andando io, molti anni sono, doppo la morte del beato padre, con tutta la mia fameglia, a Sambuci,2103 mio castello, per starci quel­ l’estate, per strada, sopra a Tivoli, in territorio di Castello Sant’Agnielo,2104 veddi, poco luntano dalla strada, un gran numero di giente, e sentivo gridare, che spinsi il cavallo a quella volta. E trovai molti homini di quel castello, che volevano menare una donna al castello, la quale mi dissero esser spiritata, e a niun modo la potevano condurre ; et, ultimamente, si era buttata in terra, con il viso verso la terra, che

    ,2oi3 gambuci, nel Sublacense, a circa 50 chilometri da Roma, in una vailetta che da Ciciliano scende verso l’Aniene. Il castello, che Tiberio Astalli aveva acqui­ stato nel 1584 dai Zambeccari, con il titolo marchionale, è ora dei Theodoli, M artinobi , Lazio turrito, pt. II, pp. 227-28; S ii .vestrei.l i , Città castelli e terre della regione romana, v. I, p. 3(38. 2104 Castel S. Angelo, ora Castel Madama, sulla linea ferroviaria Roma-Sulmona, a 39 chilometri da Roma; l’ultimo nome gli deriva dall’essere appartenuto a Margherita d’Austria, che vi fece residenza, M artinori, Lazio turrito, pt. I, pp. 146-47 ; S il v e s tr e ix i , Città castelli e terre della regione romana, v. I, pp. 370-72. 15

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    21 maggio 1610. [323] Ignazio Festini, f. 911

    non si poteva veder la faccia, e quelli homini stavano mestissimi, per non poterla condurre alle lor case, et era assai tardo. E, recordandome 10 d’havere una corona21052 6del beato padre, smontai e presi quella co­ 0 1 rona, e la misi adosso a quella spiritata, che non se ne poteva avedere. Che, messagliela adosso, subbito cominciò a gridare : « me hanno messo 11 foco adosso », e cominciò a currere, e così si condusse alla terra, senza altro fastidio. Et repigliai la corona, e me ne andai per il mio viaggio. Il giorno seguente, il marito di detta donna, con altri soi, vennero a tro­ varmi, pregandome li volesse imparare la recetta. Che li resposi, che questo non era medicamento, ma miraculo : che le posi una corona adosso, che era stata d’un santo ; e la virtù di quella corona, che era stata d’ esso santo, haveva operato tutto quello havevano visto; e restorno stupiti e devoti del padre. Io Tiberio Astalli confermo quanto sopra si contiene, per la verità, con mio giuramento, questo dì et anno sudetto. Io Tiberio, mano propria. P e tr u s M a zzio ttu s notarius.

    [f. 911] DIB 21» MENSIS MAH 1610

    [323]

    E xa m in a tu s f u it , R o m a e, in con ven tu B ea ta e M ariae su per M i ­ n erva m , p e r m e e t c ., de m andato e t c ., ad p erpetu a m r e i m em oria m , adm odum rev.d u s p . fra ter Ig n a tiu s F e s tin u s ,1109 de M alliano in S a lin is , Ordinis P raedicatoru m p r o fe ssu s, p rio r con ven tu s Sanctae M ariae su p er M in erva m de U r i e , te stis e t c ., èta tis annorum sep tu a ­ g in ta in circa, qui, m edio iu ra m en to, tactis e t c ., d ix it u t in fr a :

    Ego fr. Ignatius Festinus, de Malliano in Sabinis, Ordinis s. Domi­ nici, prior conventus Sanctae Mariae super Minervam de Urbe, cum es­ sem in seculo, aetatis meae annorum circiter decem et octo, et in publico gimnasio romano scholas frequentarem, et in illis vitiis et sceleribus essem involutus, quibus, ut plurimum, adulescentes implicari solent, et semel cum quodam iuvene rixatus essem, post rixam et hinc inde illatas contumelias, audita prius celebri fama et opinione sanctitatis beati Fi­ lippi Nerii, qui tunc, iudicio meo, quadragesimum secundum vel circa annum agebat, subministrante mihi Spiritu Sancto, accessi ad ecclesiam S. Hieronimi, ibique invento beato p. Filippo, ad pedes eius obvolutus, obnixe rogavi eum, ut me inter filios suos spirituales recipere vellet, et confessionem generalem omnium peccatorum meorum audire non dedi­ gnaretur. Qui, votis meis satisfaciens, mira benignitate me recepit, audivit, et saluberrimis verbis consolatus est. Postmodum cuidam iuveni (qui, si bene memini, fuit Ioannes Franciscus Bordinus, qui postmodum creatus fuit archiepiscopus Avenionensis) praecepit, ut me duceret et comitaretur ad Oratorium, quod erat super dictam ecclesiam S. Hiero-

    2105 Questa corona non si trova notata, come data a Tiberio Astalli, nell’« Inventarium bonorum », tra le cose distribuite di F. ; nè in una lista supple­ mentare, già citata, nel cod. Yallicelliano O. 32 i, f. 449. 2106 Seconda deposizione di fra Ignazio Festini, già comparso il 1° settem­ bre 1595 (34). La prima deposizione è in italiano.

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    21 maggio 1610. [323] Ignazio Festini, f. 911

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    nimi. Quo eam pervenissemus, commendavit me, coram multis adstantibus, d.no Francisco Mariae Taurusio, postmodum S. E. E. cardinali, qui vel sermonem habebat, vel aliquem librum spiritualem legebat. Et cum ei dictus d.nus Ioannes Franciscus dixisset : « Pater Filippus com­ mendat tibi iuvenem hunc», respondit: « E t ego eum Deo et Sanctis omnibus commendo ». Et, ab eo die, usque ad ingressum religionis, ita frequentabam ecclesiam S. Hieronimi, oratorium et cubiculum beati Fi­ lippi, ut mihi nil aliud magis placeret, nil magis me delectaret, aut gra­ tius esse posset, quam beatum p. Filippum videre, alloqui, cum eo esse, et ab eo quodcumque mortificationis genus recipere, cubiculum eius ver­ rere et mundare, cubile sternere, omne obsequii genus exhibere. Ego enim existimabam eum insignis et excellentis sanctitatis virum. Qua sanctitatis opinione illectus, libentissime in omnibus, etiam arduis rebus, me ei obsequentissimum exhibebam. Prima. Observasse me recolo, dum celebraret, saepe videbatur se movere et frequenter utrumque pedem, modo unum, modo alterum, at­ tollere, et quodammodo saltare. Quod ego efficere ipsum putabam, ad comprimendum impetum spiritus, a quo, tunc temporis, praecipue ra­ piebatur. Hinc, ut ego arbitror, non multam moram in celebrando con­ trahebat, et celeriter se expediebat, ut devotionem et vim spiritus astan­ tibus celaret, quod de more in suis actionibus et in humana conversatione observare solebat, comprimere scilicet spiritus sui abundantiam Et hac forte de causa, se omnibus amabilem et in vultum iucundam quandam hilaritatem praeseferebat. Quam ob causam, apud omnes, admirandae integritatis, innocentiae et simplicitatis opinionem comparavit. Con­ sueverat apud se hàbere et secum ferre librum, cui titulus est Collationes Patrum Ioannis Cassiani2107 et eum frequenter legere; ex cuius lectione, mirum in modum profecit et mihi dicebat librum illum non passim legen­ dum esse ab omnibus, sed bene dispositum animum requirere, et, prae­ via oratione, et attente legendum. Et hoc scio de visu et auditu ab ipsomet beato Philippo. Yix exprimi potest quantopere proximi salutem optaret. Hinc est quod, licet ipse solitariam vitam maxime amplecti cuperet, tamen seipsum totum animarum saluti impendebat, unde quotidie, et in dies magis, ad eum confluebant et veniebant omnis aetatis viri, et cum eis agere, et de coelestibus loqui, non modo in oratorio, sed in suo cubiculo, et ubi­ cumque sibi offerebat occasio, sedulo solebat. Observatum est etiam in eo quod, non modo inter celebrandum, sed etiam in familiaribus rerum divinarum colloquis, toto se corpore movere et contremiscere videbatur. Quam ob causam, qui haec videbant et audiebant, ad morum et vitae reformationem excitabantur, et ipsi beato patri sese regendos tradebant, Sacramenta frequentabant, plerique, eo dirigente et hortante, post sump­ tam Eucharistiam, et brevem orationem et gratiarum actiones, certis die­ bus, ad zenodochia accedebant, ibique, alacri vultu et magna charitate,

    2107 Nell’« Inventarium bonorum », tra i libri di F., si trovano registrati : « Io. Cassiano in folio cü Climaco | S.tor in folio », f. 11 ; « Io. Cassiani delle costituti et I vite de monaci», f. 12; « I o . Cassianus», f. 14 v ; «Io . Cassianus de Institutis cenobior. », f. 17.

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    21 maggio 1610. [323] Ignazio Festini. ff. 911-912

    cibaria ministrabant et affectuosis verbis consolabantur et eorum corda salutiferis adhortationibus reficiebant. Et hoc scio de visu etc. Quidam eius spiritualis filius, nomine Franciscus Fortinus, florentinus, absque licentia et obedientia beati patris, ad certum et praefini­ tum tempus, centum aureos cuidam amico gratis mutuaverat. Quo audito, beatus pater vocavit ad se praedictum Franciscum et ostenso ei quod non bene fecisset, praecepit ut statim praedictam pecuniam repeteret et restitui sibi curaret, nec ullo pacto expectaret prefixum mutui tempus. Obtemperavit Franciscus et, licet repugnaret sensus, utpote dedecori sibi ascribens et reputans ante praefinitum tempus pecuniam illam repe­ tere, fecit tamen quod sibi praeceptum erat et totam illam pecuniam recepit. Quo facto, amicus ille, qui mutuo eam acceperat, aere alieno gravatus, decoxit. De eodem beato patre hoc affirmare possum, quod ita orationi et rerum divinarum contemplationi deditus erat, ut, in quocumque loco, in quacumque actione et negotio, mentem a Deo non diverteret, diligentissime observans quod Apostolus ait : « Sine inter­ missione orate, in omnibus gratias agite ». Hac orandi assiduitate factum est, sicut etiam exterius apparebat, ut supra et extra se frequenter rape­ retur, praecipue, vero, dum celebraret, [f. 912] vix pedibus consistere poterat, immo toto corpore moveri et contremiscere videbatur. Hanc ob causam celerius, forte, quam vellet, sacrificium perficere satagebat: et hoc de visu et auditu respective ut supra. Animarum zelus et erga proximum charitas mirum in modum in eo elucebat, et, nulli parcens labori, omnibus opem ferre cupiebat. Quod praecipue in audiendis confessionibus observatum est. Nam tam prompte, tam alacriter, tanto studio huic operi vacabat, ut, non modo de die, sed et ante lucem, mane, in cubiculo venientes poenitentes, libentissime audi­ ret. Postmodum, adveniente luce, accedebat in templum : ibi, vel sedens in sella, vel stans, vel parumper deambulans, expectans paratus ad confessiones audiendas. Quem tanta gratia et affabilitate Deus dona­ verat, ut sola praesentia flagitiosorum animos attraheret. Hoc autem sibi maxime cordi erat, ut omnes ad orationem, mundi contemptum, ad pietatis opera, ad sacramentorum frequentiam, et Dei amorem excitaret et accenderet. Vix credi et explicari posset, quam prompte, quam ala­ criter, quam serena facie ei obsequerentur alumni, etiam in rebus arduis, sensui et humanae rationi repugnantibus. Memini ipsum cuidam fami­ liari filio et alumno, qui Bernardinus Corona vocabatur, et venustam barbam habebat, dixisse, et quodammodo praecepisse, ut sibi mediam barbam raderet.2108 Quod prompto animo fecisset, nisi beatus pater dictum suum revocasset, utpote qui non serio, sed ioco, et quasi tentane, eum hoc dixerat. Ipse tamen Bernardinus obedire et dedecus illud ferre paratus erat, ne obedientiae legem violaret. Alios alumnos et nobiles ad januas ecclesiarum mittere solebat, ibique, ab ingredientibus et egredientibus, eleemosinam petebant. Nonnullos ad privatorum domos mit-

    2108 I/ottuagenario Bernardino Corona, teste Γ11 ott. 1595 (79), aveva omesso di raccontare questa prova, a cui F. lo aveva sottoposto. Di F. stesso si trova che la metà della barba, fattasi radere per attirarsi le beffe, gli ricresceva rapida­ mente, come per incanto, V ian , Una raccolta di aneddoti filippini e oratoriani, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XI, 1957, p. 115.

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