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Italian Pages 263 Year 1992
John Chadwick
Il mondo miceneo
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C) Oscar Studio Mondadori
John Chadwick
Il mondo miceneo Traduzione di Cesare Saletti
Arnoldo Mondadori Editore
©Cambridge U-n/versity Press, 1976 1980, Anmfd11 Mrmdadori Editore S.p.A., Milano I ediz/011e Oscar Stt1dio Mo11dadori ottobre 1980
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Sommario
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Prefazione
21 I L'ellenizzazione della Grecia 37 'II La documentazione scritta 61 III Geografia micenea 91 IV Il popolo delle tavolette 101 V La struttura sociale e il sistema amministrativo 119 VI ·La religione 141 VII L'agricoltura 181 VIII Artigianato, industria e commercio 21 O IX Arnìi e guerra 235 X Omero lo pseudostorico 245 XI La fine del mondo miceneo 252 256 258
Bibliografia Indice delle illustraziòni Indice analitico
Il mondo miceneo
Prefazione
Non si può certo dire che manchino libri sulla civiltà che si sviluppò in Grecia nella tarda Età del bronzo, nel periodo cioè che va dal XVI al XIII secolo e che noi chiamiamo col nome di miceneo. Ma quest'epoca remota è stata fino a non molto tempo fa riserva gelosa degli archeologi, essendo nota soltanto attraverso la muta testimonianza di palazzi, tombe, vasellame, sigilli in pietra, affreschi e altri materiali tanto durevoli da resistere a più di trenta secoli di interramento. E, al momento attuale, quasi tutti i libri che hanno tentato di descrivere questa civiltà sono stati scritti da archeologi, il cui interesse, anche quando essi hanno mostrato consapevolezza di altre dimensioni, si è sempre accentrato sui resti materiali. Dal 1939 noi sappiamo che nei palazzi micenei si conosceva la scrittura, e dal 1952 sappiamo inoltre che i testi redatti con tale sistema grafico, identico a quello usato a Cnosso nel XIV secolo, celano una forma arcaica della lingua greca. In un mio libro, The Deciphrement of Linear B I ho trattato la decifrazione di questa scrittura operata da Michael Ventris. Un capitolo del libro era dedicato a una breve descrizione della vita nella Grecia micenea, cosi come si poteva ricostruire sulla base delle nuove testimonianze documentarie. Ma la ricerca su queste fonti scritte è ora progredita a tal punto che non è possibile una semplice revisione di quanto già esposto. ~ necessario scrivere un libro completamente nuovo per descrivere la Grecia micenea qtJale ora comincia ad apparire sulla' base delle tavolette scritte. 1 Cambridge 1958, Il cdiz. 1967; trad. it. Lineare B: l'enigma della scrittura micenea, Einaudi 1959, 19733; reprints 1977. ·
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A prima vista i contenuti di queste sono deplorevolmente monotoni: lunghe liste di nomi, registrazioni di bestiame, granaglie e altri prodotti, libri contabili di anonimi impiegati. Qua e là rompe questa noiosa uniformità la vivida descrizione di un tavolo o di un carro riccamente decorati. Ma, per la maggior parte, le tavolette sono documenti fondamentalmente noiosi e poveri di vita. Il loro unico pregio è l'assoluta originalità: esse infatti presentano le parole e le cifre annotate direttamente da quegli uomini e da quelle donne che crearono la stessa civiltà che tanto splendidi tesori ha lasciato alla vanga degti archeologi. Ci sono ora accessibili le 1·egistrazioni di dive1·si fatti, compilate da funzionari e impiegati di quattro diversi organismi monarchici; esse costituiscono una documentazione solida e attendibile al pari dei resti materiali e possono servire da valido fondamento per deduzioni di natura storica. Una serie di motivi ci ha permesso di progredire nell'interpretazione dei documenti. La scrittura e le regole che ne governavano l'uso sono ora meglio intese; la natura del dialetto si è fatta più chiara e il significato di parole che dapprima · risultavano oscure è stato spesso chiarito. Lo studio dei testi originali ci ha messo in grado di proporre in molti casi letture senz'altro migliori; e, in particolare, la ricomposizione dei diversi frammenti che costituiscono singole tavolette ci ha consentito di ricostruire, interamente o in parte, molti nuovi testi da una massa di pezzi prima incomprensibili. Ma forse il più grande passo in avanti è stato realizzato con l'identificazione dei singoli canestri, filze d'archivio potremmo dire, in cui le tavolette erano conservate, prima che una conflagrazione li facesse precipitare al suolo in un ammasso confuso. Ciò è stato possibile in molti casi mediante il riconoscimento della grafia di diversi impiegati. Mentre un'unica tavoletta è spesso come un singolo cartoncino rimosso da uno schedario, un intero canestro rivela gran parte degli avvenimenti che furono alla base delle registrazioni stesse. ~ sembrato quindi necessario un libro che presentasse un quadro della Grecia micenea quale può essere ora ricostruito in base alla testimonianza offerta dai documenti scritti. Questi sono ovviamente complementari delle fonti archeologiche, alle quali ho quindi attinto copiosamente; ma l'interesse maggiore è riservato alle nuove testimonianze che ora possediamo sulla vita economica di questo periodo. Una discussione particolareggiata di ogni gruppo di documenti finora noti sarebbe però divenuta ben presto noiosa;
Prefazione
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tutti i gruppi princip~li sono discussi in Documents in Mycenaean Greek.2 Vi sono ancora alcuni gruppi troppo poco chiari perché possano contribuire a una sintesi del tipo che si cerca di realizzare in questa sede; ma, quando guardo indietro e considero i progressi che abbiamo fatto negli ultimi vent'anni, mi sento sicuro che col passar del tempo, e specialmente se si troveranno nuovi testi, sarà possibile trarre anche da queste tavolette nuove fonti d'informazione, quello che ancora manca per un quadro generale completo. Alcuni miei colleghi penseranno indubbiamente che in alcuni punti io mi sia spinto troppo oltre, nel ricostruire un modello che valga a chiarire i documenti. Qui posso dire soltanto che un certo modello deve pur esserci, in quanto essi sono fonti autentiche e coeve; e se il modello da me proposto è errato, ne adotterò volentieri uno migliore, qualora esso mi venga offerto. Ma quel che io non accetto è l'atteggiamento disfattista che rifiuta addirittura di elaborare un modello, solo perché non se ne possono verificare tutti i particolari. I documenti. esistono; quindi vi furono le circostanze che portarono a scriverli, e l'esperienza mi ha dimostrato che non è impossibile arrivare a fare delle congetture per molte di esse. Cercando di riunire tutta la documentazione su ogni argomento considerato, è spesso necessario trattare -lo stesso documento sotto titoli diversi. Per quanto possibile, si sono evitate ripetizioni mediante rinvii; ma il lettore dovrà accettare che questi rimandino sia avanti sia indietro, e forse attendere il seguito delle argomentazioni per avere la prova su cui si basano alcune conclusioni. Non ho avuto ovviamente spazio per discutere tutte le diverse teorie che sono state avanzate; ma ho cercato di presentare quella che al momento attuale io considero l'interpretazione più probabile dei documenti, seguendo per la maggior parte dei casi l'opinione che riscuote il generale consenso: in alcuni punti, tuttavia, ho adottato soluzioni secondo opinioni mie, variamente sostenute e difese, e talora mi sono trovato costretto ad avanzare soluzioni nuove. In alcuni casi una più ricca giustificazione dei miei punti di vista è rimandata a una prossima presentazione in altra sede; come, per esempio, la mia particolareggiata confutazione di alcune opinioni correnti sulla geografia del territorio di Pilo. Ho citato opere recenti senza caricare per quanto possibile il testo con un apparato di note; i rimandi danno il nome dell'autore, la data di pubblicazione e, se è il caso, 2
Ventris-Chadwick, 1956; II ediz., Chadwick, 1973.
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il numero della pagina; la citazione completa si trova nella bibliografia, che in un libro come questo è inevitabilmente selettiva. Se per l'esperto può essere irritante leggere « una tavoletta di Cnosso », altrettanto fastidioso può essere per il lettore comune trovarsi di fronte a sfilze di numeri incomprensibili. Ho adottato quindi una soluzione di compromesso iriserendo, di solito tra parentesi, il rimando esatto alle tavolette, in modo da non interrompere la discussione. Per quanti desiderano seguire questi rimandi, devo spiegare le convenzioni oggi generalmente in uso. La località di provenienza del documento è abbreviata con le due prime lettere del nome secondo la traslitterazione dal greco: KN Cnosso; MY = Micene; PY = Pilo; TH Tebe. Le tavolette sono inoltre classificate da sigle di due lettere, che informano l'esperto anche sul soggetto a cui le tavolette stesse si riferiscono: per esempio, le sigle che iniziano con A- indicano elenchi di uomini e di donne, quelle che iniziano con C- bestiame, con L- tessuti, con R- armi e così via. Infine, ogni tavoletta ha un numero di serie che, dopo una prima sperimentazione a Pilo, è ora considerato fisso; tuttavia si possono avere legittimi mutamenti qualora due frammenti numerati risultino chiaramente appartenere a un'unica tavoletta. I testi sono normalmente citati secondo l'edizione più recente: KN J. Chadwick, J.T. Killen, J.-P. Olivier, The Knossos Tablets IV (Cambridge 1971); MY J.-P. Olivier, The Mycenae Tablets IV (Leiden 1969); PY = E.L. Bennett, J.-P. Olivier, The Pylos Tablets TranJ. Chadwick, « Minos » (Salamanca) scribed (Roma 1973); TH 10 ·(1969), 115-137 e Thebes Tablets II, Suppl. a « Minos », n. 4 (1975). :B forse questo il momento in cui dire qualcosa della scrittura chiamata Lineare A, perché, anche se a rigore essa esula dal tema di questo libro, sarà -inevitabile farvi qualche riferimento. Tra il XVIII e il XV secolo a.C. i Cretesi adoperarono una scrittura indigena, che essi usarono sia per le annotazioni sia per le iscrizioni dedicatorie. Questa è chiaramente la fonte da cui derivò la Lineare B; in effetti, è verosimile che i Greci abbiano cominciato a servirsi di scribi minoici, che allora adattarono la loro scrittura per esprimere graficamente la lingua greca. Noi possiamo quindi capire molto del contenuto delle tavolette in Lineare A; sappiamo come funziona il sistema di scrittura e siamo in grado di assegnare valori approssimati alla maggior parte dei segni sillabici. Ma, anche se conosciamo il significato di _alcune parole, è risultato finora impossi-
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Prefazione
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bile chiarire in maniera convincente quale sia la lingua che ne è alla base. Ulteriori progressi dipenderanno in gran parte dalla scoperta e dalla pubblicazione di altri testi. Può risultare utile inserire a questo punto una breve nota di cronologia. Non c'è modo per datare esattamente gli avvenimenti all'interno dell'intera Età del Bronzo della Grecia; ci basiamo su una sequenza che è in primo luogo quella data dagli stili della ceramica, che in alcuni luoghi possiamo rapportare cronologicamente con la storia, più precisamente datata, dell'Egitto. Gli archeologi adottano pertanto una classificazione in Antico Bronzo, Medio Bronzo e Tardo Bronzo, usando i termini di Antico Elladico, Medio Elladico e Tardo Elladico per il continente e di Antico Minoico, Medio Minoico, e Tardo Minoico per Creta. Questi periodi sono suddivisi in tre sottoperiodi e ognuno di questi può essere ulteriormente distinto in fasi diverse. Per quanto possibile, questo libro presenta datazioni per secoli, ma bisogna tener presente che anche queste sono semplici approssimazioni. La seguente tabella offre una indicazione di massima dei principali avvenimenti. Secolo XX (o prima) XVI
xv XIV XIII XII VIII(?)
Gli antenati dei Greci fanno la loro comparsa in Gre.cia; inizio del Medio Elladico. Inizio del Tardo Elladico o Miceneo. Agli inizi, grande eruzione di Thera; circa alla metà del secolo, invasione greca di Creta. (inizi) Distruzione di Cnosso (Tardo Minoico III A). (fine) Inizio del Tardo Elladico III B. Fioritura della civiltà micenea. Verso la fine, distruzioni a Tebe, Micene, Pilo e in altre località. Tardo Elladico III C. Epoca di Omero.
Nel corso di questo libro vengono citate molte parole micenee, per cui risulta necessario spiegare il sistema di trascrizione che si è seguito. I segn~ della Lineare B possono essere trascritti alfabeticamente secondo un sistema elaborato all'inizio della decifrazione, In esso, ogni segno sillabico è sostituito da una forma alfabetica convenzionale, che dà una approssimazione del suono della parola così come noi possiamo ricostruirla. Ma, poiché un certo numero di suoni sono omessi nella ~crittura e vengono lasciati all'im-
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maginazione del lettore, siamo spesso costretti a dare due trascris zioni: la prima è la rappresentazione fedele dei segni della Lineare B, indicata dall'uso di trattini per separare le sillabe (p. es. a-to-roqo); la seconda presenta una forma ricostruita che indica la pronuncia che 11oi crediamo dovesse effettivamente avere la parola stessa (nel caso citato anthroquòi). Anche i termini del greco classico sono qui traslitterati secondo l'alfabeto latino. Il sistema usato per la Lineare B richiede alcune precisazioni. Le grafie sillabiche sono talora approssimative, perché la scrittura non presenta le distinzioni che sono importanti nel greco. Così la forma aspirata delle sorde, che nel g1·eco antico venivano pronunciate come le sorde normali ma con una emissione di fiato, non è indicata in maniera specifica; k può stare anche per kh, t anche per t/1, p anche per ph. Neppure sono state annotate le equivalenti sonore, eccetto il caso di d; per cui k sta anche per g, e probabilmente z ha i valori di ts e dz. In trascrizione è usata la lettera r, che può leg~ersi però tanto r quanto /. La lettera q è usata col valore di qu (o kw) e può essere aspirata (quh) o sonora (gu). Di solito non c'è nessun segno per h. La lettera j va pronunciata come l'y consonantico inglese; w come in inglese. Nel corso dell'opera di decifrazione fu osservato che alcuni segni sembrnvano duplicare il valore di altri, e questi furono contrassegnati con l'aggiunta di un numero: così ra2 e ra3. Ma ora sappiamo che tutti i segni di questo tipo hanno valori speciali: ra2 sta per rya o lya come sillaba unica, ra3 per rai o lai. E così a2 sta per ha, al per ,ii, ma sono entrambi facoltativi e con questi valori può essere usata anche a. Ci sono inoltre segni sillabici che contengono la semivocale w: per es. dwe, dwo, nwa; essi compaiono raramente pe1·ché le parole greche che li contengono sono rare, e il w fu eliminato nel g1·eco classico. La trascrizione dei numerali è semplice, ma va ricordato che i segni numerici micenei sono come quelli romani e non sono « posizionali». Gli ideogrammi invece sono più difficili, dato che essi non sono modi di scrivere parole greche, quanto piuttosto simboli di conteggio aggiunti ai numeri per specificare cosa viene contato. Sembra esservi stata una certa libertà nell'elaborare un ideogramma; per esempio, i segni per diversi tipi di vasi sono in effetti piccoli disegni schematici. Ma la maggior parte di essi si era già standardizzata nella scrittura-madre, la Lineare A, e questi erano semplicemente modelli convenzionali. Siamo riusciti a chiarirne per la maggior parte il significato, ma ne rimangono .altri tuttora oscuri.
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Il metodo di trascrizione, ora adottato universalmente per convenzione internazionale, è quello di rappresentare gli ideogrammi con parole latine idonee che vengono, se necessario, abbreviate. Di conseguenza, se si guardano edizioni recenti, si troveranno indicazioni singolari, come VIR, MUL, GRA, OLIV, CUR, EQU; ma in questo libro esse sono state sempre interpretate e saranno date sempre in italiano: uomo, donna, frumento, olive, carro, cavallo e così via. Un problema particolare è rappresentato dai segni per le misure di peso e di capacità. Dopo una serie di sperimentazioni, abbiamo fissato un sistema convenzionale, servendoci, per rappresentare tali misure, delle lettere maiuscole, da L a Z. Il loro uso sarà chiaro attraverso la discussione presentata al cap. VII, pp. 141-49; si vedano anche le figure 42, 44 e 45. Un altro problema ci si presenta a proposito dei toponimi greci. In alcuni casi esistono forme e pronunce specifiche di uso corrente in italiano, e sarebbe da pedanti alterare termini familiari come Atene, Corinto o Micene. Ma, anche quando una località ha mantenuto lo stesso nome dall'Età del Bronzo ai nostri giorni, la sua pronuncia è ovviamente mutata. Così quella che in età micenea era (presumibilmente) Mukiinai divenne in epoca classica Mykénai (dove y ha valore di il) ed è nota ai Greci di oggi come Mikine. Quindi le parole micenee ricostruite sono scritte con u piuttosto che con y, con a per il successivo é, con qu e con gu per i successivi p e b o t e d secondo il contesto, e con w dove nulla sopravvive in seguito; di conseguenza guasileus per il classico basileus, wanax per il classico anax, e così via. Quando non si tratti di forme riçostruite, i toponimi greci, sia antichi sia moderni, per i quali esiste la corrispondente· forma italiana, sono stati indicati secondo tale forma (Pilo, Micene, Cnosso, Festo ecc.). I toponimi che non hanno corrispettivo in italiano, se antichi, sono stati semplicemente traslitterati dalla grafia greca, se modérni, sono stati indicati come figurano nell'Atlante Internazionale del Touring Club 1taliano,3 seguendo le convenzioni grafiche 3
Dall'Atlante Internazionale del Touring Cl. lt., Milano, 19688 , pp. 79-80.
LINGUA E GRAFIA La lingua greca ha conservalo nella scrittura quasi immutata l'ortografia classica, senza tener conto della profonda tra5formazione fonetica; si è determinata così una forte divergenza Ira la forma grafica dei vocaboli e la loro pro-
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1v1 adottate (talora, per comodità di reperimento, si aggiunge il nome italiano che, pur se poco diffuso, compare però in alcuni atlanti di più facile consultazione). Non è il caso di dire che questo libro non sarebbe stato scritto senza l'aiuto e i consigli di molti amici. Ma è un piacere ricordare i nomi di coloro che hanno letto in maniera critica gli abbozzi o la prima stesura dell'intero libro o di parti di esso: il Dr. J.T. Killen, la Dr. C.G. Thomas, Miss C.W. Shelmerdine e Mrs. C. Murray. Mrs. B. Black ha svolto la maggior parte del lavoro di dattilografia. Sono debitore verso un gran numero di persone e di istituti per il permesso di riprodurre fotografie; un elenco completo è dato a parte. Ma devo ricordare specialmente Mr. Henry Hankey, che ha realizzato il disegno dello scriba miceneo al lavoro. A tutti va il mio ringraziamento. La mia speranza è che il libro interessi non solo coloro che studiano la fase iniziale della civiltà greca, ma anche il lettore non spe~ialistico. Mi piacerebbe ricordare qui in maniera particolare i molti amici greci, e offrire loro questo piccolo contributo alla loro storia in cambio delle tanto piacevoli visite che ho fatto in Grecia, e dei molti onori che da parte loro ho ricevuto. La lingua greca presenta una linea continua di sviluppo dal XIV secolo a.C. fino ai giorni nostri, e gli echi dell'Età del Bronzo greca sono stati magistralmente illustrati da un poeta contemporaneo, P .A. Sinoxekhithike kambanolalima triandatrion eonon. poulos: « Risuonò uno scampanio di campane vecchio di trentatré secoli ».
/.C.
Cambridge, Giugno 1975
nuncia. Nella tavola è riprodotta fedelmente la grafia greca, traslitterata secondo il sistema classico latino fondato sulla corrispondenza originaria dei due alfabeti (per semplicità di scrittura, si è tuttavia preferito traslitterare le Jet· tere p e cp rispettivamente in r e /, anziché in rh e ph, secondo l'uso classico). Per la pronuncia greca moderna si vedano le avvertenze a fianco dello schema di traslitterazione. I nomi greci sono dati nella forma risultante dai documenti statistici e cartografici ufficiali, che si attengono generalmente alle no1·me della lingua letteraria (katliareuousa). Nella lingua comune (démotiké) i nomi hanno sovente una forma diversa. Alfab. grecc traslitterazione avvertenze per la pronuncia latina A,
a;
a
=a ai= tra a e e au
= av
(ii
tedesco); accentato= iii
(af davanti a consonante sorda)
Prefazione
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B, {3
b
=V
r,
g
spirante velare sonora; davanti ai suoni e, i = i; davanti a k, x, eh = n velare gg ng gutturale gk iniziale = g gutturale: non iniziale ng gutturale gl, gn g gutturale + l, n = dh dentale spirante. (come in inglese the)
Y
= gh:
=
A, 6 E, t
z,
=
d e
~
z
H, TJ 0, i}
e
I,
~
K, x A,). M, µ N, "
th
i k l
m n
=e
ei = i eu = ev (e/ davanti a consonante sorda) = s sonora =i th: dentale spirante sorda (come in inglese thing) =i
=
=k =l
=m =n
nk iniziale =g; non iniziale= ng nt iniziale= d; non iniziale= nd
a.~
X
=X
o
o
=O
o,
oi ou
Il,~
p
P, P I:, a
r s
(ks)
=i
=u
=p
mp iniziale= b; non iniziale= b o mb =r = s aspra (s sonora davanti a consonante sonora)
u
=t ts = z sorda o e palatale tz = z sonora o g palatale =i yi i nei dittonghi au, eu, ou (= av, ev, u)
T,"" Y, u
=
y
=
, cp X, X IJ', ljJ
f
=I
eh ps
n,w
= ps
ò
=o
= gutturale spirante (eh tedesco)
L'accento se cade su un dittongo è segnato sulla seconda vocale, anche se nella pronuncia prevale la prima (au, eu = àv, èv). La dieresi " indica che due vocali contigue si pronunciano separatamente (ai = a-i, non e; o"i = o-i non i, ecc.). Nella pronuncia comune sono taciute la -n finale, e nella desinenza -ion le lettere -on. Le parole o le locuzioni chiuse tra asterischi sono date irt traduzione diretta dell'autore (N.d.T.).
-
\
Divl/j; .
.
,oo miglia
o o r-.1
100 Km
L:_:__J altezze oltre i 1000 m
La Grecia e l'Egeo
o
o
Lemno
()
,t)
~~ a
Chl°é.)
o~
Thera:> (qi-ri-ja-to) ricorre quattro volte in tavolette che elencano uomini e donne, e in alcuni casi appare nello stesso contesto la parola per « schiavo ». Sembrerebbe probabile che piccoli quantitativi di schiavi fossero acquistati, anche se rimane oscuro presso chi essi venivano comprati. Anche qui singoli privati possono possedere schiavi (Ap 628.1, Ai 824). Ma la maggior parte degli schiavi elencati nelle tavolette non sono chiamati in maniera cosi specifica e, anche se la loro condizione è indubbiamente umile, ci si può chiedere se fossero proprio nella stessa situazione degli schiavi della Grecia classica. Le tavolette di Cnosso presentano ingenti gruppi di donne impegnate nella produzione tessile in alcune delle città principali (vedi p. 201); e un'ampia serie di documenti paralleli di Pilo mostra che la ragione di questo censimento è l'assegnazione delle rnzioni. In entrambi i casi le donne sono accompagnate da bambini, ma non hanno mariti. Le ragazze sono più numerose dei ragazzi, ma a Pilo c'è una serie distinta di tavolette che elencano gruppi di uomini, indicati semplicemente come « i figli del tale e talaltro gruppo di donne ». Questi sono probabilmente giovani che erano al momento troppo grandi per essere classificati come ragazzi e a cui era consentito di restare con le prnprie madri; a questi gruppi sono talora aggiunti alcuni ragazzi, probabilmente i ragazzi più grandi che si avvicinavano all'età in cui sarebbero stati classificati come adulti. f! difficile immaginare donne e bambini in questa situazione, nutriti e probabilmente alloggiati nel palazzo, se il loro status non era effettivamente la schiavitù. La situazione può essere stata leggermente diversa a Creta, dato che qui le donne sono molto spesso indicate come « donne di Pesto », « donne di Dawos » e cosi via, e si può dimostrare che esse vivevano effettivamente in queste città, e non erano donne originarie di questi luoghi trasfet'ite a Cnosso. Il fatto che in tutti i casi esse hanno con sé i propri figlioletti va contro qualunque sistema di lavoro a corvée; perché se alle donne fosse stato richiesto di fare tanti giorni lavorativi all'anno per il palazzo, ed esse fossero state nutrite dal palazzo solo per quel periodo, non è certamente credibile che avessero portato con sé i loro figlioletti e avessero ritirato le razioni anche per loro. Una comunità assicura sempre che le donne anziane si prendano cura dei bambini, esclusi gli infanti, mentre le madri sono assenti. P, dunque molto probabile che queste donne dipendessero in continuità dal palazzo, e poco importa allora se esse erano davvero chiamate « schiave ». I gruppi di giovani ricordati sopra difficilmente
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sarebbero stati definiti in maniera cosi singolare se non fossero stati figli di schiave. L'assenza di schiavi maschi, se si escludono questi ultimi, è una conferma del loro status. E una realtà provata della vita antica il fatto che si richiede un alto grado di organizzazione sociale per mantenere degli uomini in stato di schiavitù permanente. Quando si conquistava una città o si faceva una scorreria, era consuetudine uccidere tutti i maschi adulti e deportare in cattività soltanto le donne e i bambini. A tempo debito i maschietti saranno cresciuti e, se il loro numero era grande, sarà stato difficile mantenerli in stato di schiavitù. La designazione speciale dei giovani riflette senza dubbio l'insolita situazione dell'esistenza di un certo numero di s~hiavi maschi adulti. In un caso (Ad 684) troviamo una enigmatica nota aggiuntiva la quale precisa che cinque giovani e un ragazzo sono figli di alcuni rematori e anche di un gruppo di tessitrici, ma è difficile intenderne il significato. I gruppi di donne a Pilo sono indicati in due modi: o con un termine riferito all'attività che svolgevano - come macinatrici di grano, addette ai bagni, lavoratrici del lino, filatrici e così via - oppure con un termine geografico che, dato che la loro sede di lavoro è indicata a parte, deve riferirsi alla loro origine. I mestieri elencati, relativamente almeno a quelli che abbiamo interpretato, sono tutti umili; alcune sono lavoratrici domestiche, ma il maggior numero è legato alla manifattura dei tessuti, e di questo tratteremo più avanti, al capitolo VIII, p. 201. I termini geografici sono veramente sorprendenti, perché tre dei luoghi sono nomi ben noti, ma sono tutti sull'altra sponda dell'Egeo; e anche se, come abbiamo già visto, i toponimi si ripetevano frequentemente in aree diverse, sarebbe una strana coincidenza se tutti e tre appartenessero alla medesima area. « Donne di Milatos » non proverebbe niente, dato che in epoca classica c'era una città con questo nome nell'isola di Creta; ma la più famosa è la città della Ionia, chiamata in età posteriore Milétos (Mileto). E noto da tempo che Mileto era un'importante colonia micenea, e forse la si può identificare con la città chiamata dagli Ittiti Millawanda, benché la cosa comporti alcune difficoltà di natura linguistica. Ma abbiamo anche « donne di Knidos », altra città ionica, a 100 Km a sud di Mileto; e « donne di Làmnos » (Lcmnos), grande isola dell'Egeo nord-orientale. Oltre a queste, troviamo donne chiamate A-swi-ja (Aswiai) da Asia, probabilmente la regione chiamata in seguito Lidia, che nei documenti ittiti è citata come Assuva; e donne di Zephyros, là dove è registrata Zephyria, come un antico nome dell'area di Alicarnasso. Quattro dei cinque toponimi sono
La struttura sociale e il sistema amministrativo
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della costa asiatica dell'Egeo, e l'altro è quello di un'isola non molto lontana dalla costa. Sembra inevitabile dover concludere che queste donne provenivano da una parte lontana del mondo miceneo. Ma in che modo queste donne furono portate a Pilo da un'area tanto distante? Si potrebbe pensare che esse costituissero il bottino di incursioni piratesche da parte delle navi di Pilo; ma un gruppo è specificamente indicato come « catturate», il che vuol dire che le altre non lo erano. Inoltre, è assai difficile che i Greci micenei avessero depredato colonie micenee, e sappiamo che almeno Mileto lo era; la presenza di ceramica micenea in una necropoli presso Alicarnasso fa pensare che anche là vi fosse un avamposto miceneo. Quindi sembra più probabile che queste località fossero degli empori micenei, attraverso i quali i prodotti di lusso della Grecia venivano scambiati con merce anatolica, tra cui gli schiavi. Sarebbe assai utile ricercare nella penisola di Cnido (il cui nome attuale è Re~adiye Yarmadasi, in Turchia) e nell'isola di Lemn.o tracce dell'attività commerciale micenea. Pochissimo ancora conosciamo degli insediamenti sulla costa turca risalenti all'Età del Bronzo, anche se sono note le colonie greche dell'Età del Ferro. E interessante constatare che per i Greci valeva la pena di mantenere insieme questi gruppi di donne straniere e i loro figlioletti; probabilmente non tanto per ragioni umanitarie quanto invece per sfruttare nel modo più completo i loro eventuali requisiti particolari e farle rassegnare meglio alla loro sorte. Uno degli aspetti più ripugnanti del commercio degli schiavi d'Africa nel XVIII secolo era il modo con cui i bambini venivano separati dalle madri al loro arrivo nel Nuovo Mondo. Dato che ciascun gruppo di donne può essere menzionato tre volte, è possibile fare una certa stima della completezza delle registrazioni. La lista migliore è la serie Aa, che si divide in due parti, ciascuna delle quali è redatta da uno scriba diverso; queste parti corrispondono alle dtie Province. La serie Ab non contiene tavolette riguardanti la Provincia Ulteriore ed è pertanto incompleta, probabilmente perché le notizie relative a questa Provincia non erano ancora arrivate a Pilo. Quindi ciascun gruppo . della Provincia Citeriore potrebbe essere indicato. su tre serie di tavolette (Aa, Ab, Ad); quelli della Provincia Ulteriore solo su due (Aa, Ad). Quarantanove sono i gruppi che conosciamo, ed è improbabile che qualche gruppo della Provincia Citeriorè non sia rappresentato da nessuna delle tre fonti, mentre può darsi il caso che tra le registrazioni della Provincia Ulteriore un gruppo, o anche due, sia andato totalmente perduto.
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Ogni tavoletta della serie Aa elenca un numero di donne, un numero di l'agazze e un numero di ragazzi. Vengono poi le annotazioni DA 1 o T A I oppure entrambe; queste sono abbreviazioni che verranno discusse in seguito. La serie Ab è come la Aa, ma a DA o T A non segue alcuna cifra, e il testo finisce con la registrazione di un quantitativo di frumento e di uno eguale di fichi, presumibilmente le loro razioni. La serie Ad elenca uomini e ragazzi, la cui sola qualifica è di essere figli di uno dei gruppi di donne noto dalle altre serie; uomini adulti sarebbero. stati certamente classificati a parte, sicché deve trattarsi di giovani in età appena sufficiente per essere indicati come uomini (forse dai 15 anni in su), e i ragazzi saranno i ragazzi pit1 grandicelli che potevano essere aggregati con profitto a gruppi di lavoro formati da giovani uomini piuttosto che ai gruppi in cui lavoravano le madri. Il numero dei ragazzi elencati nei gruppi delle donne è inferiore a quello delle ragazze, e la differenza andrà imputata· a questo spostamento, Il numero delle donne in ogni gruppo va da uno a trentotto. I bambini sono, in media, quasi dello stesso numero delle donne, e ciò non sorprende se pensiamo che alcune delle donne elencate saranno state d'età troppo avanzata per una possibile gravidanza; inoltre ci sono più ragazze che ragazzi, per la ragione enunciata precedentemente. Il numero totale delle donne, tenendo conto di eventuali tavolette mancanti, è dell'ordine di 750, e all'incirca eguale è quello dei bambini. Di queste, circa 450 sono a Pilo, e ciò prova che il nome si riferisce a tutta l'area, e non solamente al palazzo scavato; infatti gli archeologi hanno provato l'esistenza di un grande complesso di edifici nella zona più bassa che circonda la collina su cui sorgeva il palazzo. Altre 100 donne all'incirca sono in località diverse della Provincia Citeriore, e grosso modo 200 nell'Ulteriore, più della metà delle quali a Leuktron, l'importante dipendenza reale che era forse la capitale della Provincia Ulteriore. I gruppi di lavoro di giovani uomini ne contano circa 275, tenendo in considerazione che mancano delle cifre, più 100 ragazzi; anche in questo caso circa i due terzi del totale sono dislocati a Pilo. La determinazione delle razioni delle schiave di Pilo presenta un quadro interessante. f: ovvio che la misura della razione fosse più o meno proporzionale al numern di donne e bambini, ma no1, sembra che si seguisse una formula semplice, anche se è improbabile che, per gruppi diversi, si usassero misure arbitrarie. Un primo spiraglio sul sistema si aprì grazie a questa mia scoperta: calcolando una
La struttura sociale e i/ sistema amministrativo
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razione-base di due decimi di unità per ogni donna e di un decimo per ogni bambino, nessun gruppo riceveva meno di questo minimo di base. Ma la maggior parte dei gruppi riceveva un po' di più, e sembrò che le misteriose sigle DA e T A fossero in qualche modo connesse con i supplementi. Uno degli ostacoli che si frappose a un ulteriore esame fu l'imprecisione di coloro che lessero le cifre sulle tavolette: la lettura venne poi perfezionata da una revisione attenta da parte del loro principale editore (Bennett, 1957). Questi rese possibile a due studiosi di compiere, .indipendentemente l'uno dall'altro, il passo successivo: L.R. Palmer (1959) e H. Ota (1959) - quest'ultimo in un articolo pubblicato in giapponese e conosciuto in Europa soltanto in seguito - proposero entrambi il seguente schema di correlazioni (tutti i numeri vanno intesi come decimi di una unità maggiore): T A = 2, DA= 5, TA DA = 7 o 9. Ciò significa che TA DA possono stare o per 1 TA + 1 DA= 7, o per 2 TA + l Da= 9; e benché questo 2 non sia mai specificato, una serie notevolmente simile di tavolette di Cnosso (Ak) presenta in effetti le attese registrazioni DA 1 e T A 2, anche se in questo caso non sono calcolate le razioni. Palmer spiegò le misteriose abbreviazioni TA e DA come riferite a personale di controllo, dove T A sarebbe una donna, per la quale egli postulò la stessa razione di una lavoratrice, DA un uomo compensato con una misura molto più alta. Egli poi produsse documenti che tendevano a dimostrare che gli uomini avevano una razione equivalente a due volte e mezzo quella delle donne. L'errore insito in questa argomentazione sarà discusso nel capitolo VII. lo proposi a mia volta una leggera modifica alla teoria: sarebbe certo sorprendente che noti venissero usati gli ideogrammi per uomo e donna, se l'entità totale del gruppo era, rispetto a quanto risultava, effettivamente maggiore di una, due o tre persone. Inoltre una donna (Ab .388, cfr. Aa 785) sembrerebbe avere un supervisore donna tutto per sé. Ma se si suppone che i supervisori fossero tutti donne e che rientrassero nel totale già dato, si deve correggere la teoria con la sola ammissione che i supervisori di grado minore fossero compensati nella misura di quattro (invece che due) decimi, e quelli di grado superiore nella misura di sette decimi. Tutte le cifre acquistano allora un senso, perché dobbiamo certamente aspettarci che allo staff di controllo venga attribuito di più che a coloro che sono affidati alla sua sorveglianza; e possiamo andare addirittma oltre, e immaginare che DA sia una abbreviazione del vocabolo scritto da-ma
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o du-ma, che già sappiamo che significa soprintendente (sia uomo che donna?), e che T A stia per tamiii, che ricorre poi in Omero per « soprintendente donna », « governante ». C'è un solo punto che non si accorda con l'ultima teoria: una tavoletta (Ab 555) presenta un supplemento di 45 decimi invece del massimo di 9, osservato altrove. Ma ora non può esservi dubbio che si tratta di un semplice errore, e Palmer (1963, 117) ha acutamente indicato come esso· si sia potuto verificare: lo scriba, a un certo punto del suo lavoro, può avere semplicemente omesso il segno per « decimi », che avrebbe dovuto precedere gli ultimi quattro trattini che indicano lt: unità, scrivendo cosi 16 invece di 12,4. Qualunque sia la causa dell'errore, sarebbe interessante sapere se lo sbaglio del contabile si tradusse nella realtà e se il gruppo fortunato ricevette le sue razioni in più. La misma effettiva delle razioni è argomento che dobbiamo rimandare a una discussione successiva (vedi p. 147). Un documento di Pilo (An 607) sarebbe di importanza assolutamente straordinaria per la nostra conoscenza della schiavitù micenea, se solo fossimo sicuri della sua interpretazione. Esso elenca un totale di tredici donne, ma perfino questo non è del tutto certo, tanto inabile è il suo estensore; sembra che egli abbia cambiato parere sul numern a metà strada, e in ogni caso non ha rispettato la regola normale di iniziare ogni registrazione su una riga nuova. Ma il fatto più interessante è che la tavoletta registra i padri e le madri delle donne. Queste sono divise in quattro gruppi, che sono presumibilmente famiglie: uno consta di sei donne, due di Lre, e una t·egistrazione reca soltanto una donna. Dato che i genitori di questa sono indicati con la stessa formula impiegata per una delle altre famiglie, non ci sarebbe scopo di fare una registrazione separata se non nel caso che padre e madre fossero persone diverse. I nomi dei genitori non sono riportati, ma è indicata la loro varia condizione. Sembrerebbe che in ogni famiglia uno o l'altro dei genitori fosse schiavo, e le tredici donne tutte insieme sono chiamate schiave. Sarebbe quindi facile balzare alla conclusione che i figli di unioni tra liberi e schiavi erano schiavi; ma ci sono troppi elementi sconosciuti per consentirci di considerare questa conclusione più che una possibile ipotesi. Quello che determina alcune difficoltà è che qno dei genitori è lo schiavo di una divinità. Schiavi (o serventi) di una divinità si trovano spesso a Pilo, ed è chiaro che non si tratta di schiavi nel senso comune del termine.
VI
La religione
Le difficoltà di interpretare i muti reperti degli archeologi si fanno particolarmente gravi nel campo della religione. In nessun museo che raccoglie testimonianze dell'Età del Bronzo mancano oggetti cui è attribuito un carattere religioso. Qualunque figura umana può essere interpretata come un'immagine divina; qualunque vaso di difficile interpretazione è detto « rituale »; e una struttura architettonica inesplicabile può sempre essere etichettata come tempio o ambiente destinato a cerimonie sacre. Ora è perfettamente vero che tutte le religioni hanno prodotto ovunque un gran numero di rappresentazioni di figure divine in aspetto umano, molti manufatti particolari il cui uso sarebbe difficile immaginare, a giudicare dal loro aspetto, nonché forme architettoniche peculiari e specifiche. Finché noi siamo informati da altre fonti still!l religione che Ii produsse, non c'è problema nell'interpretazione dei resti materiali. Ma supponiamo di dover dedurre il contenuto del Cristianesimo dalla scultura, dalla decorazione, dall'arredamento e dalla pianta di alcune chiese, senza poter contare assolutamente sul l'aiuto di testi scritti; sarà subito chiaro quanto sia azzardato cercare di farlo sull'unica base dei resti materiali. Eppure fino a pochi anni fa questo è stato l'unico modo per affrontare il tema della religione micenea. La sola alternativa è stata quella di tentare di scoprire la preistoria della religione greca classica, congetturandone le origini e ipotizzando il significato dei suoi miti. Non dovrebbe esservi bisogno di sottolineare il pericolo di trattare i miti come se fossero storia, se non si assistesse ancor oggi a tentativi di questo tipo. Uno dei più infelici va indicato nelle note aggiunte da Robert Graves alla sua mirabile esp.osizione dei miti greci (The Greek
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Myths, 1958). Ma l'idea che il mito sia una forma primitiva di storia è dura a morire. L'equivoco nasce in parte da una incapacità di definire che cosa è un mito; il termine viene applicato indiscriminatamente a storie di dei e a storie di uomini, a racconti sull'origine del mondo e a spiegazioni di fenomeni naturali. L'unica cosa comune a tutte queste narrazioni è che non possono venir considerate vere alla lettera. Eppure il test applicato è la plausibilità. Se leggiamo che le mura di Troia vennero costruite per opera degli dei, questo è scartato come invenzione, o almeno come grossolana ed evidente esagerazione; ma se leggiamo invece che Troia fu saccheggiata da uomini, la cosa deve essere accettata come fatto storico. Sembra che a nessuno sia venuto in mente che non abbiamo alcun diritto di scegliere meticolosamente a quali miti credere e quali invece scartare. Non posso fare a meno di pensare che la funzione dei miti ha poco a che fare con la storia; ma questo è un argomento che non posso svolgere in questa sede. Una delle ovvie e quasi inevitabili conseguenze dell'accostamento alla religione attraverso l'archeologia è stata la confusi o ne tra minoico e miceneo: infatti un famoso libro fu intitolato The Minoan-Mycenaean Religion (Nilsson, 1927). Ma alla luce di ciò che noi ora sappiamo sulla storia del mondo egeo nel II millennio a.C. è chiaro che, per quanto il risultato finale sia stata una fusione, esistevano in origine due tradizioni distinte, la minoica a Creta e la micenea sul continente. Quella micenea stessa sarà stata difficilmente omogenea. I popoli antichi raramente si sentirono tanto sicuri come gli Ebrei, da respingere apertamente gli dèi dei loro vicini; quasi sempre trasferirono e assorbirono nel proprio altri sistemi religiosi con cui vennero in contatto, o attraverso il fenomeno del sincretismo, identificando cioè la divinità straniera con una delle proprie avente attributi analoghi, o inserendo la nuova divinità nel numero di quelle già esistenti. Se potessimo essere certi che gli abitanti preellenici della G1·ecia e di Creta praticavano una religione singola e uniforme, la fu. sione sarebbe di due soli elementi; ma in realtà dobbiamo essere pronti a riconoscere la possibilità di una triplice origine dei dati classici. L'analisi della religione classica ha facilmente determinato la separazione di due 1ivelli: da w1 lato le divinità cosiddette olimpiche, che avevano sede non tanto sul monte Olimpo vero e proprio, nella Grecia settentrionale, quanto in una 1·emota regione del cielo; dall'altro un gruppo meno attraente, noto agli esperti come ctonio, che si im-
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maginava avesse la sua sede entro o sotto la superficie della terra; il loro termine tecnico significa semplicemente « terrestre ». È ipotesi ragionevole che l'elemento ctonio rappresenti la religione degli uomini preellenici, e l'elemento olimpico la religione dei nuovi venuti protogreci. Ma anche quest'opinione è probabilmente una semplificazione eccessiva, ed esiste una testimonianza linguistica che è stata troppo spesso trascurata. Dodici sono le divinità olimpiche tradizionali: Zeus, Poseidon, Hermes, Ares, Apollo, Efesto, Dioniso, Hera, Artemide, Afrodite, Athena, Demetra. Di queste, Demetra fu probabilmente inserita nel gruppo in un secondo momento, essendo in origine la dea della Terra; e Dioniso fu sempre considerato una divinità inclusa nel pantheon olimpico molto tardi, finché tale comoda opinione venne rovesciata dalla scoperta del nome del dio su due tavolette di Pilo. Il fatto linguistico cui si è fatto ce,nno, e che va particolarmente considerato, riguarda i nomi delle divinità. Se questi culti risalivano all'epoca precedente la dispersione dei popoli indoeuropei, dovremmo aspettarci di trovare che i nomi degli dei presentino paralleli in altre lingue. In realtà, solo un nome si trova altrove. Zeus è il regolare sviluppo greco di una forma che si può ricostruire in *Dyeus, e le associazioni di questo nome mostrano che egli era concepito come il dio del cielo limpido. È noto nel Veda come Dyaus pitar, esattamente come luppiter latino, che incorpora la parola per « padre». Indubbiamente questo nome fu portato in Grecia dagli antenati dei Greci: Zeus ha una ascendenza impeccabile. Ma è piuttosto sorprendente scoprire che nessuno degli altri dei olimpici partecipa di questa antica nobiltà di origini, perché, dovunque i loro nomi ricompaiono al di fuori della Grecia, pare trattarsi di casi di derivazione. Naturalmente sono stati compiuti grandissimi sforzi da parte di studiosi ansiosi di fornire etimologie agli altri nomi. Ogni manuale di religione greca dedica grande spazio alla spiegazione dei nomi; ma anche una piccola ricerca rivela che di ciascun nome esistono spiegazioni numerose, diverse e reciprocamente contraddittorie. Per qualche ragione questo fatto non desta i sospetti degli esperti di religione; volonterosamente essi continuano imperturbati a fondare le loro teorie sul supposto significato originario del nome. Il linguista esperto, però, è ben consapevole di una pecca che invalida ogni conclusione di questo tipo. Una etimologia non è esattamente un'ipotesi che due parole superficialmente simili abbiano un'origine comune; è
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un pl"incipio basilare che le parole confrontate debbano avere o uguale significato o almeno significati abbastanza vicini da potersi dimostrare in maniera plausibile il modo con cui uno si è sviluppalo dall'altro. Ma un nome proprio, ipso facto, non ha significato, se non nel suo riferimento specifico. Non c'è quindi alcuna maniera per controllare le etimologie addotte dei nomi di divinità, se questi non sono, come Zeus, patrimonio ereditario di un certo numero di lingue della stessa famiglia. Tutto ciò che noi possiamo fare è giudicare se il significato proposto per il nome è plausibile; se non lo è, possiamo respingere la spiegazione avanzata; ma se lo è, questo non prova che esso sia corretto. Ogni esposizione relativa a una divinità che inizi con una spiegazione del significato del suo nome dovrebbe essere considerata con grave sospetto. Esaminiamo brevemente il nome di Poseidon, il dio del mare, dei terremoti e dei cavalli, dato che esso è uno di quelli per i quali maggiormente si pretende un'origine indoeuropea. La forma del nome varia negli antichi dialetti greci. Omero ha Poseidiion, che noi ora sappiamo essere la forma micenea: in altri dialetti si presenta spesso nel tipo Poteidiin, e questo ci consente di postulare un originario * Poteidiion. Possiamo allora analizzarlo come composto di potis (greco classico posis, «marito »; cfr. il sanscrito patis, « signore » e il latino potis, aggettivo che significa « capace, in grado di »). La seconda sillaba presenta un dittongo che sorprende, ma che si può spiegare come vocativo (Potei, « o Signore »), dato che successivamente forme di questo tipo sono talora considerate invariabili; questo è probabilmente il caso del latino Iuppiter. Il secondo elemento della parola composta fu visto nella sillaba dii, essendo -on desinenza comune dei nomi di uomo. Questo dii fu interpretato come un vocabolo per « ter1·a », sicché il nome intero significava « il signore (o marito) della terra ». Ma questo vocabolo ricorre in tutta la letteratura greca soltanto in esclamazioni, come nel famoso passo dell 'Agamennone di Eschilo, in cui Cassandra rompe un lungo silenzio con l'allarmante grido: ototototoi popoi da! Nessuna delle due parole iniziali sono note al vocabolario greco; sono semplicemente grida senza senso, l'opop-op-op-op che si sente ancora oggi in Grecia come grido di sorpresa. Ed è strano· che sia stato detto che Eschilo intendeva da come invocazione alla terra, dato che Cassandra era la sacerdotessa del dio olimpico Apollo. C'è solo un'altra fonte per questo vocabolo misterioso, che fa parte dello stesso gruppo di .nomi, Démétér, o, nella sua forma più
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antica. Diimiiter. Dato che Demetra è indubbiamente la dea della terra, e miiter è la parola greca per « madre », dii deve significare « terra »: come dovevasi dimostrare. Questa è ovviamente una dimostrazione a circolo chiuso, anche se è accolta dalla maggior parte degli esperti di religione greca. Non si può difendere la propria analisi di un nome divino scomponendone un altro per addurre la conferma. Ogni Greco era consapevole delle funzioni materne di Demetra; se il suo nome presentava la più leggera somiglianza con la parola greca per « madre », esso sarà stato inevitabilmente deformato in modo da rafforzare quella somiglianza. Ma, se il primo elemento era inteso nel significato di «terra», come mai non si realizzò la trasformazione in *Giimater, nome trasparente a ogni persona di lingua greca? Alcuni lettori forse si meraviglieranno per il fatto che non trovo convincenti queste due etimologie. Posso rispondere soltanto che la mia esperienza del modo in cui si formano le lingue mi rende molto sospettoso, perché parole che non si capiscono vengono sempre deformate per dar loro un significato. Una semplice somiglianza è di necessità quasi sempre ingannevole; la linguistica è piena di sorprendenti paralleli, come il latino habeo ed il tedesco habe, che sono identici nel significato, ma che non possono assolutamente essere posti in relazione reciproca. Gli altri nomi di divinità sono ancor meno suscetti_bili di analisi etimologica. Alcune teorie si possono facilmente confutare; Hermes non ha nulla a che fare con i tumuli (hermata), perché questa parola aveva in origine l'iniziale w-, mentre Hermes (miceneo Hermahas) non l'ha. Hera non è la Salvatrice (cfr. il latino seruiire) per una ragione analoga; il suo nome può essere connesso con héro «eroe», ma la cosa non aiuta, perché anche questa è parola etimologicamente oscura. Apollo non è il distruttore, anche se ai Greci piaceva far giochi di parole sul verbo apollumi « distruggo ». Afrodite (gr. Aphrodite) non ha probabilmente alcun legame con aphros « schiuma », nonostante le pitture che romanticamente la rappresentano mentre esce dalle onde spumeggianti. Dionysos contiene probabilmente il nome del padre, Zeus (genitivo Dios), dato che ora il miceneo conferma il w che ci si deve aspettare, Diwo-; ma la seconda parte del nome composto rimane oscura. Nomi come Hephaistos e Athenii presentano modelli che si riscontrano in toponimi di ongme pregreca. Non si deve dimenticare che intercorrono almeno 600 anni tra
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l'arrivo in Grecia degli antenati dei Greci e i primi dei nostri testi micenei. Nessuna meraviglia quindi che, qualunque credenza religiosa essi abbiano portato con sé, essa .;ia stata trasformata al di là di ogni possibilità di riconoscimento al tempo in cui noi possiamo avere la percezione di qualche aspetto, anche frammentario, della loro vita religiosa; né sorprende che molto sia cambiato anche nei successivi 600 anni, prima di avere il quadro completo e preciso della religione classica. Se, per avere lumi sugli dei, ci rivolgiamo ai documenti, andiamo incontro a una delusione anche maggiore. Non esistono testi teologici e neppure inni, nessuna dedica templare, nemmeno le brevi iscrizioni che i Minoici ponevano talvolta su oggetti votivi. Gli dei compaiono solamente come destinatari di alcune merci distribuite dagli amministratori del palazzo. Il nome di un dio non è mai scritto in un modo particolare, per cui talvolta rimaniamo incerti se un nome sia quello di un uomo o di un dio. Tutto ciò che possiamo fare è identificare certi nomi come corrispondenti a nomi di divinità classiche e poi, procedendo per analogia, identificare come nomi di dei alcuni di quelli rimasti senza corrispondenza. Uno dei primi testi che attrasse la mia attenzione nel 1952, quando cominciai ad applicare alle tavolette di Cnosso i valori dati in via sperimentale da Ventris ai segni della Lineare B, fu V 52. Si tratta di una piccola tavoletta, scritta su due righe (fig. 37), spezzata a
37. Tavoletta di Cnosso (V 52) con
nomi di quattro divinità greche
destra ma con un piccolo frammento che dà una parte della continuazione della riga inferiore. Eccone la trascrizione: a-ta-na-po-ti-ni-ja 1 [ e-nu-wa-n-10 I pa-ja-wo [
] po-se-da [
Nessuno studioso di greco leggerebbe la prima parola senza dividerla in Athcìnii potnia, « Athena signora », quasi echeggiando la forma
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omerica: potni(a) Athenaie. Tuttavia' è ancora in dubbio se questa sia realmente l'interpretazione esatta, come sarà chiarito quando discuteremo in modo più particolareggiato di Potnia. E-nu-wa-ri-jo è chiaramente il nome Enualios, usato spesso nella letteratura greca come alternativo di Ares, il dio della guerra, anche se in alcuni casi H nome è attribuito a un dio diverso, detto figlio di Ares. Pa-ja-wo fece pensare all'omerico Paieon, che prima sarebbe stato Paiawon, poi Paiiin, nome alternativo di Apollo, se non si tratta anche qui di una divinità diversa. Po-se-da [ potrebbe essere integrato in pose-da-o, forma già familiare dalle tavolette di Pilo, che si trascrive come Poseidiion. Si trattava allora qui di quattro dèi greci ben noti. Uno qualunque sarebbe potuto risultare un'illusione, ma quattro in un solo elenco sarebbero troppi per una semplice coincidenza. Successivamente fu ritrovato un frammentino che si unisce ai due pezzi e colma la lacuna della riga inferiore. Si accerta così che pa-ja-wo [ è in realtà pa-ja-wo-ne, dativo, e le altre registrazioni possono essere nello stesso caso. La scritta è quindi la registrazione di qualcosa di offerto, uno per uno, a questi quattro dei. Nella tavoletta però non è indicato a cosa si riferisce il numero 1; forse questo era detto nella parte mancante, ma la cosa sembra improbabile. f.: forse più significativo il fatto che la tavoletta fa parte di un gruppo singolare di tavolette, che sono forse esercizi di scrittura piuttosto che vere registrazioni (vedi p. 222). Un altro documento (Tn 316), scoperto poco dopo tra i testi di Pilo (fig. 38), è chiaramente di carattere religioso perché riporta i nomi di Zeus e di Hera e quella che deve essere la forma micenea di Hermes, ancora una volta tre divinità olimpiche. Tuttavia c'è voluto parecchio tempo per arrivare a una possibile spiegazione del documento stesso, e rimane ancora un buon numero di problemi irrisolti. Non solo si tratta di un documento isolato, che non si può confrontare con nessun altro; è anche l'esempio di scrittura più disgraziato tra quelli giunti sino a noi. E costituito da una tavoletta piuttosto grande, scritta sulle due facce, anche se, su entrambe, le ultime righe non sono iscritte; presenta tracce di erasione frequente e di riscrittura; i segni sono tracciati frettolosamente; almeno in due punti lo scriba ha omesso un segno per errore; e in alcuni punti il testo è così confuso da risultare illeggibile. Lungi dal pianificare con cura la sua tavoletta mediante righe corrispondenti a giorni del mese, come si è supposto, parrebbe che lo scrivano, quando si mise al lavoro, .non avesse un'idea chiara del suo
38. Registrazione relativa a un grande rito religioso a Pilo: Tn 316 (le due facce della tavoletta)
testo. Pare che egli abbia cominciato su una faccia, ma, insoddisfatto, abbia cancellato tutto ciò che aveva scritto e, rigirata la tavoletta, abbia ricominciato sul retro. Completata meno della metà del testo, pur avendo segnato le righe per il successivo paragrafo, rigirò ancora la tavoletta e continuò sull'altra faccia che era stata erasa. Anche questa termina con righe non iscritte come se dovessero esservi riportate altre cose. La spiegazione più facile di questo pasticcio è che lo scrivente stesse cercando di registrare le decisioni di una riunione straordinariamente burrascosa. Ma perché egli non fece poi una copia corretta e pulita destinata a essere conservata negli archivi, gettando poi via questa brutta copia? La risposta più probabile è che non ne ebbe il tempo; il che avrebbe
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senso se la tavoletta fosse stata scritta negli ultimi giomi, forse nelle ultime ore, in cui il palazzo fu in vita. Come vedremo più avanti, questa supposizione corrisponde perfettamente a quel poco che sappiamo sulla caduta di Pilo. Il testo inizia con una parola che può benissimo essere il nome di un mese: po-ro-wi-to-jo. Possediamo altre tavolette, spesso di carattere religioso, che registrano la data con il nome di un mese al genitivo; qui purtroppo il termine per « mese » non figura accanto al nome, e, benché l'uso altrove riscontrato corrisponda all'ipotesi, non è del tutto certo che questa sia l'interpretazione giusta. L.R. Palmer (1955, 11) fece un'eccellente proposta: il nome del mese sarebbe Plowistos, che significherebbe « il mese della navigazione ». I Greci temevano m0lto di affrontare il mare durantè i tempestosi mesi invernali e riprendevano a navigare verso la fine di marzo; pertanto un mese con quel nome cadrebbe intorno a questo periodo del nostro calendario. I mesi greci erano ovviamente mesi lunari - furono· i Romani a staccare · il computo dei mesi dal ciclo lunare - e il segno della mezzaluna è impiegato sulle tavolette per significare mese. Compaiono poi, a sinistra di ogni paragrafo, i due segni per il nome PYLOS, scritti a grandezza quasi tre volte maggiore di quella normale. Non c'è dubbio che il testo riguardi la capitale. Un altro toponimo figura però nel testo immediatamente successivo; l'azione, nel primo paragrafo, ha luogo in uno dei distretti principali, Pa-ki-ja-ne. Questo nome non può essere ricostruito con certezza, ma in questo libro è trascl'itto Sphagiiines. L'apparente contraddizione si spiega con il fatto che Pilo non è la capitale di uno dei nove distretti; ma ci sono altre indicazioni che Sphagiiines fosse il nome del distretto in cui si trovava il palazzo (vedi p. 73). Si è tentati di collocare il sito presso il centro moderno di Chora, esattamente a nord del palazzo, perché la scoperta che vi è stata fatta di tombe micenee, che divennero in epoca successiva il luogo di un culto religioso, fa pensare che la sua fama come centro sacro sopravvisse al crollo del mondo miceneo. La formula~ con cui ha inizio ogni paragrafo ha suscitato discussioni, e la prima parola non può essere spiegata in modo soddisfacente sulla base del greco di età successiva; ma l'ipotesi miglior