Il linguaggio dei fiori


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Charlotte de Latour �

Il linguaggio dei fiori Traduzione di GIUSEPPINA GARUFI

Leo S. Olschki 2020

Al ritmo delle quattro stagioni, s'inseguono le intermittenze del cuore nelle fioriture che capi­

tolo dopo capitolo disegnano un erbario sentimentale e culturale.

È solo a partire dall'Otto­

cento infatti che il fiore diviene messaggero del cuore e il libro di Charlotte de Latour (dietro la quale si nasconde un piccolo mistero letterario), pubblicato a Parigi nel1819, compila una grammatica floreale arricchita da un elegante apparato iconografico, frutto dell'abile matita di Pancrace Bessa, uno dei più celebri pittori botanici francesi del periodo. Il trz/oglio non sboccia mai nelle giornate tempestose, aspetta che torni il sereno per sbocciare; e questa quiete di cui gioisce, sembra si espanda tutt'intorno. I /iorz� dice Plinio, sono

€14,00

la gioia degli alberi che li indossano.

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Prima ristampa 2011 Seconda ristampa 2020

·21·

Collana diretta da Lucia Tongiorgi Tomasi Luigi Zangheri

Charlotte de Latour

Il linguaggio dei fiori Traduzione di

GIUSEPPINA GARUFI

Leo S. Olschki 2020

Tutti i diritti riservati CASA EDITRICE LEO S. 0LSCHKI

Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze

www .olschki.it

ISBN 97 8 88 222 5759 8

INTRODUZIONE

IL LINGUAGGIO DEI FIORI:

DIVERTISSEMENT INTELLETTUALE E MOTI DEL CUORE IN ETÀ ROMANTICA

L'interesse razionale ed emotivo per il mondo della natura costituisce una significativa costante dell'età romantica, segnandone la riflessione filosofica, la letteratura, le arti visive e gli studi scientifici. In quest'ultimo ambito sono le scienze botaniche ad attrarre in particolare l'attenzione, finendo per configurar­ si come una entusiastica voga capace di superare barriere sociali e di genere. In Francia e in Inghilterra, ma anche in Italia, molte dimore, anche mode­ ste, nelle città e nel contado, appaiono dotate di giardini traboccanti di una eterogenea varietà di piante fiorite, acquisite nei floridi mercati specializzati e dagli orticoltori i cui affari conoscono ora un indiscusso successo. li diciannovesimo secolo può essere dunque a buon diritto definito 'il se­ colo dei fiori'. È in particolare presso la borghesia e i nouveaux riches che il fiore si impone come un motivo prediletto, prosperando non solo nelle aiuole dei giardini, ma, reciso, accuratamente disposto in vasi e contenitori negli om­ breggiati locali delle abitazioni. Soggetto favorito dei dipinti, esso ricorre an­ che nelle carte da parati, negli arredi e vivacizza tappezzerie e tendaggi. Molto ambìto dal gentil sesso di ogni rango, il fiore veniva intessuto e ricamato nelle stoffe degli abiti e, fresco o contraffatto, era usato, forse con eccessivo entu­ siasmo, come ornamento di cappelli e pettinature, oppure emergeva, civettuo­ lo, dalle scollature delle dame. Poesie di soggetto floreale erano particolarmente apprezzate dalle signore che si dedicavano a dipingere fiori in tenui acquerelli o a costruire ghirlande in delicati collages di carte multicolori. Le scoperte che caratterizzano le scienze botaniche ottocentesche, soprat­ tutto con lo studio sistematico e la diffu sione di molte specie esotiche, inco­ raggia un interesse sempre più diffuso per un approccio scientifico alle piante, agevolato dall ' uso di microscopi casalinghi. Accanto a ponderosi tomi vedono la luce numerose pubblicazioni divulgative che agevolano e dirigono tale eu-

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INTRODUZIONE

riosità. Sull'onda del successo delle Lettres élémentaires sur la botanique pub­ blicato da J e an J acques Rousseau nel 17 82, nel secolo successivo si moltip li­ cano operette dedicate a una "agevole botanica linneana" e alla "botanica per le signore", in cui la griglia scientifica si stempera nelle frequenti digres­ sioni storiche e letterarie, capaci di attrarre uditori più vasti e meno specializ­ zati. Caratteristica al proposito La botanique historique et littéraire che una si­ gnora del bel mondo, Stephanie Félicité Brulart de Gennlis, marchesa di Sillery, pubblicò a Parigi nel 1 8 1 0, in cui si dipanano una serie di aneddoti, leggende ed episodi storici tratti da fonti antiche e contemporanee, tutte per­ corse dal un inevitabile fil rouge floreale. Agli inizi dell'Ottocento il fiore, da sempre connesso al mondo degli af­ fetti, si carica poi di una più incisiva componente sentimentale, divenendone emblematica metafora e 'messaggero del cuore'. Da parte delle dame, ma non solo, è uso inviare 'missive floreali' che veicolano particolari stati d'animo - gioia, dolore, malinconia, e naturalmente amore - così come la poesia flo­ reale finisce per assurgere a vero e proprio genere letterario. Gli stampatori si adeguano alla moda sfornando sempre più numerosi 'flower books', elegan­ ti volumetti illustrati con raffinate incisioni e litografie colorate, che costitui­ vano un apprezzato presente. Tra i più fortunati, l'Histoire des Roses ( 1 8 1 8) di Charles Malo corredato da dodici tavole raffiguranti la 'regina dei fiori' del­ l'artista botanico Pancréace Bessa e Le Jardinier Fleuriste dédié aux dames ( 1 8 1 9) redatto da un anonimo "Amateur" che presenta un "Calendario di Flora" nel quale sono elencati i fiori tradizionalmente associati a ogni mese dell'anno. È in questo clima che si sviluppa il 'linguaggio dei fiori', che fu introdotto dall'Oriente in Europa da lady Mary Wortley Montagu, che aveva soggiornato a Costantinopoli dal 17 1 6 al 17 1 8 a seguito del marito ambasciatore. Nelle let­ tere che la nobildonna inviava in patria e che furono pubblicate nel 17 63 , vie­ ne descritta l'antica usanza locale di assegnare particolari significati simbolici e mnemonici (selam) a vari oggetti o elementi, colori, frutti, piante e, natural­ mente, fiori, oltreché alle modalità con cui questi venivano presentati e offerti. Si trattava dunque di un codice espressivo non verbale che permetteva di esplicitare pensieri e sentimenti "senza sporcarsi le dita di inchiostro". Questa grammatica floreale, che si diffuse rapidamente nei primi anni del diciannove­ simo secolo, vide il moltiplicarsi di opere dedicate a questa pratica, tra cui veri e propri dizionari sul tema, come l'Abécédaire de flore, ou language des /leurs,

méthode nouvelle de /igurer avec des /leurs les lettres, les syllabes, et les mots, pubblicato a Parigi nel 1 8 1 1 da B. Delachénaye. Celebre anche l'anonimo Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment che vide la luce a Londra nel 1 8 1 8, che presenta una serie di fiori -

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IL LINGUAGGIO DEI FIORI

corredati da un breve testo che spiega a quale sentimento sia associato ogni fiore, contestualmente a citazioni di versi poetici sull'argomento. Questo nuovo codice, che assurgerà poi a grande fortuna nell'Inghilterra vittoriana e quindi negli Stati Uniti, si valeva di fonti diversificate e anche ec­ centriche che vanno dalle simbologie orientali ai miti classici, alla storia delle religioni, agli esiti delle più moderne scoperte scientifiche, a citazioni letterarie e visive. La voga del linguaggio floreale si diffuse tanto profondamente che persino alcuni scienziati non poterono ignorarlo, come nel caso di Henry Phillips, pre­ stigioso membro della Royal Horticultural Society e autore di un serissimo te­ sto pomologico, che nel 1825 si dedicò a un dotto divertissement intitolato Flora! Emblems in cui passava in rassegna emblemi floreali associati ai senti­ menti. L'espressione figurativa più originale di questa moda si concretizzerà in­ tomo alla metà del secolo con l'opera dell'illustratore e caricaturista francese J.J. Grandville che concepì un vero e proprio universo popolato di piante e animali umanizzati (un singolare precedente di Walt Disney), che vivacizzano le pagine della favola Fleurs animées, nella quale affascinati figure di donne in guisa di fiori (si ricordi come il termine fiore sia femminile nella lingua fran­ cese) sono còlte nell'espressione di stati d'animo felici, sereni, dolenti e dram­ matici. Ma uno dei testi più noti sul linguaggio dei fiori che molto contribuì alla fortuna del genere, fu certamente Le Language des Fleurs di Charlotte de La­ tour, pubblicato in dodicesimo a Parigi dallo stampatore Audot senza data (ma era forse il dicembre del 1819, sebbene alcuni autori citino esemplari usciti un anno prima) , che fu presto ristampato, integrato e tradotto in tutta Europa. Già nel 1833 ne usciva una quarta edizione e ben presto apparvero anche copie fantasma, sotto nomi di altri autori, complicando una storia edi­ toriale ancora oggi difficile da decifrare. Anche l'autografia dell'autrice non è certa: sotto lo pseudonimo di de La­ tour sembra celarsi Louise Cortambert, moglie di François Eugène, geografo e bibliotecario del dipartimento delle carte geografiche della Bibliothèque Na­ tionale di Parigi. Nel 1835 apparve poi una delle più fortunate riedizioni dal titolo Language et emblème de /leurs, ad opera di uno scritto di un amico e seguace di Bemardin de Saint Pierre, Louis Aimé Martin, cui si devono le ce­ lebri Lettres à Sophie, sur la Physique, la Chimie, et l'Histoire Naturelle (1822 ) . Il volumetto di Charlotte de Latour, che qui presentiamo nell'agile e ac­ curata traduzione offerta da Giuseppina Garufi sulla base dell'edizione origi­ nale corredato da dodici tavole, era inizialmente venduto dall'editore-libraio per sei franchi o dodici franchi, a seconda se l'apparato iconografico fosse - VII -

INTRODUZIONE

stampato in bianco e nero o a colori con la raffin ata tecnica del punteggiato. L'editore pensò bene di stampame anche esemplari in pergamena, in carta ro­ sa con le tavole su seta ed edizioni di più imponente formato. Successive ri­ stampe presentano un modesto apparato illustrativo cromolitografato. L'edizione originale si configura con una veste molto accattivante, anche per la presenza delle tavole disegnate da Pancrace Bessa, già allievo e collabo­ ratore di Gérard van Spaendonck e di Pierre J oseph Redouté. Insegnante di disegno della duchessa di Berry, aveva collaborato con Redouté nella celebre opera dedicata a Les Roses che raffigurava la collezione floreale di Josephine Beauhamais; nel 1 823 era stato nominato pittore ufficiale di botanica presso il Museum d'Histoire Naturelle di Parigi. La consumata sapienza di questo raf­ finato pittore botanico si manifesta anche nella già citata l'Histoire des Roses di Charles Malo. La traduzione in incisione delle tavole del volumetto di Charlotte de la Tour spettò invece al litografo parigino Victor. Dodici delle tavole che corredano Le Language des Fleurs- piccoli capo­ lavori di pittura botanica - sono dunque dedicate ai fiori caratteristici di cia­ scun mese dell'anno, dalle primaverili primule agli invernali agrifoglio e mu­ schio, presentati singolarmente o in mazzetti di due o tre steli di specie diverse; una tavola finale offre poi l'immagine di dodici fiori ritenuti dagli an­ tichi "attributs de chaque heure du jour", dalla prima ora simboleggiata da un mazzo di rose sfiorite alla dodicesima rappresentata da viole del pensiero. Nell'antiporta è invece offerto un bouquet composto di rose, edera e mir­ to, simboleggianti rispettivamente Bellezza, Amicizia costante e Amore, men­ tre nel frontespizio, al di sotto del titolo, compare una idillica vignetta con una donna che impone sul capo di una bambina una ghirlanda di artemisia, sim­ bolo di protezione, mentre sullo sfondo un ramo di edera, simbolo dell'ami­ cizia indistruttibile, si avvinghia a un vecchio tronco spezzato. li motto sotto­ scritto precisa: "Te volla preservée de tous malheurs". Nell'introduzione l'autrice si rivolge a quelle giovani donne che non si so­ no saggiamente lasciate coinvolgere dalle "folles joies du m onde", ma che si sono piuttosto rivolte al piacevole passatempo rappresentato dall'"étude des plantes". Lo studio della natura e i giardini costituiscono infatti una fonte di inesauribile piacere e di conoscenze, sia che si desideri fabbricare liquori profumati o benefiche confetture con l'essenza dei fiori, sia che si voglia im­ mobilizzare sulla tela, sulla scorta della lezione pittorica di Spaendonck, "les nouances trop fugitives de la plus belle des fleurs". È nel testo che l'autrice affronta più direttamente il problema del linguaggio dei fiori, un sistema espressivo di grande suggestione che, pur essendo regolato da norme ben pre­ cise che investono forma, colore e modo di presentazione dei fiori, ben si pre-

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IL LINGUAGGIO DEI FIORI

sta, a suo avviso, molto più delle parole, ad esprimere i moti di "un cuore te­ nero e dotato di immaginazione viva e brillante". Segue una carrellata di fiori organizzati secondo le stagioni (i quattro ca­ pitoli sono infatti dedicati alla Primavera, all'Estate, all'Autunno e all'Inver­ no) , di ciascuno dei quali l'autrice si impegna in una puntuale descrizione dei soggetti, anche delle loro proprietà curative, e dei quali vengono elencati e motivati i significati simbolici, facendo ricorso a una congerie di fonti stori­ che, leggende, apologhi moralizzanti e testi letterari, antichi e moderni, citati con accorta e elegante levità mai venata dal tarlo della pedanteria. A versi di Anacreonte, Virgilio e Ovidio fanno riscontro citazioni da Le Roman de la Ro­ se, da Tasso, La Fontaine, Voltaire, Young, magari combinati tra loro e citati, forse anche a memoria, da volgarizzazioni coeve. Non mancano riferimenti agli uomini di scienza: tra gli antichi, lppocrate, Dioscoride, Galeno, l'Historia Naturalis di Plinio nella traduzione di Antoine Du Pinet; tra i moderni J ussieu, Linneo e soprattutto gli Etudes de la nature dello scrittore, viaggiatore e naturalista Bernardin de Saint Pierre, ispirati dal pensiero di Rousseau. Non mancano riferimenti alle già citate Lettres à Sophie di Aimé Martin, complicando così il rapporto tra l'autrice e forse il suo sup­ posto 'contraffattore' . Le Language des Fleurs (chiunque n e sia l'autore, m a a noi sembra opera squisitamente femminile) si configura dunque come il frutto ingegnoso e lieve di una letteratura di genere ottocentesca finalizzata a colte signore appassio­ nate di fiori e giardini, ma anche di storia, arte e poesia. n sagace editore poteva ben sperare che all'offerta di un garofano - sim­ bolo di "Amore vivo e puro" o di un giacinto - simbolo di "Benevolenza"­ venisse magari accluso anche il dono gentile di questo raffinato libretto che insegnava a decifrare gli affascinanti e segreti significati dei fiori. LuciA ToNGIORGI ToMAsr LUIGI ZANGHERI

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IX

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PREAMBOLO

Felice la ragazza che ignora le folli gioie del mondo, e non desidera altra dol­ ce occupazione che lo studio delle piante ! Semplice e ingenua, chiede alle pra­ terie i più leggiadri manti; ogni primavera le offre gioie mai provate, e ogni mat­ tina un mazzo di fiori ripaga di gioia la sua dedizione. Un giardino è per lei una fonte inesauribile di sapere e felicità. Talvolta con un'arte che incanta, i fiori le si trasformano fra le dita in liquori profumati, in essenze preziose, o in conserve benefiche; tal altra, seguendo le orme dei V an-Spaendonck, fissa sulla tela le più evanescenti sfumature della più bella fra i fiori; la pennellata esperta svela la regina della primavera con le sue forme sferiche, i suoi colori tenui, il verde splendente delle foglie, le spine che la proteggono, la rugiada che la bagna, la far­ falla che la sfiora. Nulla viene tralasciato, la si guarda, e anche in pieno inverno si direbbe, osservandola, di respirare ancora i profumi della primavera. Questi stu­ di, rivelandole il godimento della natura, le riempiono l'anima di emozioni incan­ tevoli, e le spalancano innanzi i viali incantati di un mondo pieno di meraviglie. I fiori, dice Plinio, sono la gioia degli alberi che li indossano. Quel sublime osser­ vatore avrebbe anche potuto aggiungere, e di chi li ama e di chi li coltiva. Inter­ preti dei più delicati sentimenti, i fiori prestano fascino all' amore stesso, a quel­ l' amore puro e casto che, scrive Platone, è un'ispirazione degli dei. L'espressione di questa passione divina deve essere divina pure, ed è per impreziosirla ancora che si è immaginato l'ingegnoso linguaggio dei fiori. Questo linguaggio, più che la scrittura, si presta a tutte le illusioni di un cuore tenero e di un'immaginazione viva e brillante. Ai bei tempi della cavalleria, l'amore cortese e leale attingeva di buon grado ad un talmente nobile linguaggio. I libri gotici sono ricchi di emble­ mi creati con i fiori: scopriamo nel romanzo di Parsifal che una ghirlanda di rose rappresenta un tesoro per gli amanti; leggiamo, in quello di Amadigi, che la pri­ gioniera Oriana, non potendo né parlare né scrivere all'amato, gli comunicò la sua infelicità lanciandogli dall'alto di una torre una rosa bagnata delle sue lacri­ me: quale seducente simbolo di dolore e amore ! I cinesi hanno un alfabeto co­ stituito per intero da piante e radici; leggiamo ancora fra le rovine d'Egitto delle lontane conquiste di popoli narrate con piante sconosciute. Questo linguaggio è dunque vecchio come il mondo; ma non può sfiorire, perché ogni primavera ne -

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PREAMBOLO

rinnova i caratteri, eppure la libertà dei costwni l'ha relegato negli svaghi dei ser­ ragli. Le splendide odalische se ne servono volentieri per vendicarsi del tiranno che oltraggia e disdegna le loro grazie: un semplice peduncolo di mughetto, lan­ ciato come per puro caso, rivela a un giovane icoglane che l'amata sultana, este­ nuata da un amore crudele, desidera aprirsi, desidera ricambiare un sentimento vivo e puro. Se gli si rinvia una rosa, è come se gli si dicesse che la ragione frena le intenzioni; ma un tulipano dal cuore corvino con petali infuocati, gli confermerà che i suoi desideri sono accolti e condivisi; questa ingegnosa corrispondenza, che non potrà mai né deludere né svelare alcun segreto, risveglia all'improwiso la vita, il ritmo e il piacere in questi luoghi malinconici che abitualmente abitano l'indolenza e la noia. Per noi, che viviamo senza costrizioni, e per cui la saggezza è una lusinga, una virtù, e non una cruda necessità, noi abbiamo lasciato all'amo­ re i suoi intimi misteri, e sono quelli che ne esercitano l'irresistibile seduzione; giacché la libertà, che questo dio persegue senza posa, è la sua più crudele nemi­ ca. L'amore ha bisogno di ali e di una benda; ha bisogno di strappare tutto al­ l'innocenza, di sottrarre tutto alla saggezza; perché sprezza i doni volontari, e non anela che ad ardue conquiste. Un dolce diniego seguito da È così tanto seducente ! . 1

un

dolce sorriso

..

Una mezza confessione attrae molto più che la compiuta certezza; e spesso ho visto il dono di un bouquet rendere un'amante più felice di quanto avreb­ bero potuto fare i più ricercati pensieri del più amorevole biglietto. L'arte di farsi amare è per le donne l'arte di farsi desiderare; più manifestano scrupolo­ sità e delicatezza e più conquistano gli omaggi che si rendono loro. Madame de Maintenon, che soggiogò il più incostante dei re, ci ha tramandato il suo segre­ to rivelando: «lo non lo congedo mai soddisfatto, mai awilito». li vero amore non conosce trucchi né calcoli; l'innocenza è la sua forza; è il solo che sostiene le unioni elette, i matrimoni felici; in assenza tutto scivolerebbe nel languore. Un cuore freddo non ha mai conosciuto l'abnegazione sublime; non ha mai provato quelle deliziose tenerezze che danno valore a un sospiro, a uno sguar­ do, a una parola appena sussurrata, a un fiore che si conserva e che si lascia prendere. Un cuore freddo è pure ugualmente distante dalla felicità e dalla vir­ tù; bisogna aver conosciuto l'amore, averlo combattuto per essere coraggiosi, comprensivi, generosi. Ma non è affatto nel cuore delle città, è nelle campagne, fra i fiori, che l'amore raccoglie tutta la sua forza; è qui che un cuore veramente 1

Marot.

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2

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PREAMBOLO

appassionato si eleva fino al suo creatore; è qui che le speranze eterne, mesco­ landosi ai sentimenti fugaci, arricchiscono gli amanti, e donano ai loro sguardi, ai loro gesti, quelle espressioni sublimi che toccano anche gli insensibili. È dun­ que specialmente per quelli che conoscono l'amore e che vivono la campagna, fuori dal tumulto del mondo, che abbiamo gettato le basi del linguaggio dei fiori. Questo linguaggio presterà il suo fascino anche all ' amicizia, alla ricono­ scenza, all'amore filiale, all'amore materno. L'infelicità stessa può attingere a questo tenero linguaggio: da solo in prigione, lo sciagurato Roucher si conso­ lava dedicandosi ai fiori che la figlia raccoglieva per lui, purtroppo ! e, pochi giorni prima di morire, le rinviò due gigli appassiti, per esprimere al contempo la purezza della sua anima, e la sorte che l'attendeva. Ho visto delle volte un bambino chiedere aiuto per la povera madre mostrando un bouquet; e sempre esibendo una rosa a colui che lo teneva schiavo, che il poeta Sadi lo convinse a spezzare le sue catene. Gli disse: «Tratta con giustizia il tuo servitore visto che ne hai l'autorità, poiché la stagione del potere è spesso tanto caduca quanto l'esistenza di questo bellissimo fiore». La maggior parte dei pensieri e dei sim­ boli che racchiudono quest'opera hanno tratto ispirazione da antiche usanze e dall'oriente. Nella ricerca delle origini, si è costantemente costatato come le epoche, più che rendere i linguaggi obsoleti, li arricchiscano perennemente di rinnovata grazia. Del resto, basta ben poco studio per questa scienza: la na­ tura se n'è fatta pieno carico. Sarà sufficiente assorbire le due o tre regole che verranno suggerite, e dare una scorsa al dizionario dei significati, per diventare esperti quanto l'autore stesso di questo libro. La prima regola sta nel ricordare che un fiore rivolto verso l'alto esprime un'idea, e che è sufficiente ruotarlo al contrario perché esprima l'esatto oppo­ sto: così, ad esempio, un bocciolo di rosa con le sue spine e le sue foglie vuol dire: temo, ma spero; ma se si porgesse lo stesso bocciolo rivolgendolo verso il basso, significherebbe: non serve né temere né sperare. Si afferrerà a pieno questa prima regola dando uno sguardo alla tavola che chiude l'opera. Ma ciò di cui non si è ancora parlato, sono le diverse sfumature di un sentimento; altrettanto importanti da comunicare, anche con un fiore solo. Consideriamo il bocciolo già preso ad esempio; spogliato delle spine, vorrà dire: ci sono buo­ ne speranze; spogliato delle foglie, esprimerà: c'è solo di che temere. Si può così modificare il significato di quasi tutti i fiori, al variare della loro posizione. La calendula, ad esempio , posta sul capo, significa, tormento dello spirito; sul cuore, mal d'amore; sul seno, noia. Va ancora aggiunto che il pronome io si esprime inclinando il fiore a destra, e il pronome tu inclinandolo a sinistra. Questi sono i primi dettami del nostro misterioso linguaggio: amore e amicizia dovranno aggiungervi le loro rivelazioni; questi sentimenti, i più sublimi della natura, non possono che perfezionare ciò che loro stessi hanno creato.

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3

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PRIMAVERA

MARZO

ERBETTA, TAPPETO ERBOSO Urn..ITÀ. Un giorno d'inverno, esasperata dai piaceri assordanti della città, mi sono ri­ fugiata in campagna. Qui, ogni sera la mia cara nutrice raggruppava attorno al fuoco un gruppo di ragazze che desideravano imparare la filatura del lino, o l'in­ treccio di cestini e forme di vimini per i formaggi. Spesso, nel vivo di queste inti­ me riunioni, capitava che si sollevassero, per puro caso, le più bizzarre curiosità. Non del fato, E dei suoi scherzi, o della magnificenza e grandezza dei re, Ma dei campi, e dei boschi E di ciò che di più innocente, di più delicato, di più prezioso conservano. 1

Una sera, durante una di queste serate; dopo aver raccontato una storia spettrale da far rabbrividire, la nutrice chiese alle ragazze quale fosse, a loro avviso, la pianta più utile in assoluto. «Mio padre, disse l'esuberante Ernesti­ na, sostiene sia la vite, perché il suo nettare riscalda in inverno, il pergolato rinfresca in estate, si può far uso della legna, il gregge si nutre del fogliame, e le radici possono essere scolpite, ad esempio il patrono del nostro villaggio è stato realizzato con un ceppo di vite. - Oh ! Se foste state nel mio paese, in­ tervenne una vivace biondina, preferireste il melo come me, perché il suo frut­ to, che è buonissimo, si conserva fresco quando gli altri sono già fuori stagio­ ne. E poi, la mela assomiglia ad un fiore, nutre l'uomo, se ne ricava un succo delizioso, l'albero che la produce offre la sua ombra all'agricoltore e ne ali­ menta il fuoco del camino. Tutti questi doni, il melo li offre, al contrario della vite, senza richiedere lavori troppo faticosi. - Sai, le dissi io, si deduce dall'en­ tusiasmo che mostri verso quest'albero, dai tuoi occhi azzurri, dalla carnagiol

La Fontaine.

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7

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PRIMAVERA

ne chiara, che sei nata in Normandia. Io invece, che non mi sono mai presa la briga di osservare i nostri campi, ho letto che in un paese molto lontano da qui, in India, un albero superbo offre agli uomini un vino dolcissimo, dei frut­ ti deliziosi, un riparo impenetrabile dalla pioggia e dai raggi solari, e una foglia con cui realizzare senza fatica un'infinità di graziosissimi oggetti, di cui ci si può anche vestire: quest'albero è la palma. - Vedi, cara, disse la vecchia nu­ trice con un tenero sorriso, tu hai letto nei libri le opere divine; da parte mia, che li osservo nella natura, credo che il grano, che nutre un'infinità di uomini, sia sicuramente la pianta più utile: la sua paglia copre i nostri tetti, si utilizza per realizzare stuoie e cappelli, e popolazioni intere patirebbero se il suo rac­ colto venisse a mancare; ma prima di decidere se sia il grano la pianta più utile in assoluto, dì la tua, Elisa, tu che giorni fa, fra tutti i fiori, hai scelto la sem­ plice violetta. A quale pianta daresti il riconoscimento dell'utilità? - Non cre­ do, rispose arrossendo la timida Elisa, che ci sia pianta più utile dell'erba dei prati. Tutte quelle citate, richiedono cura e dedizione, mentre l'erba cresce spontaneamente. Permette all 'uomo di riposarsi, cresce allo stesso modo in tutta la terra; e poi gli uccellini ne mangiano dei pizzichi, gli animali la bruca­ no, e gli uomini possono vivere dei derivati del loro latte. Credo pure che sia la più utile, perché da piccola ho sentito dire ad un vecchio saggio, che le cose più utili sono sempre le più comuni; e cosa trovereste al mondo di più comune dell'erba dei prati?». Le sue argomentazioni ricevettero piena approvazione, accrebbero la stima nella timida Elisa, e l'ammirazione per la prowidenza che, in una pianta così piccola, ha saputo riporre enormi potenziali.

SALICE DI BABILONIA MALINCONIA.

Ascolto il mormorio dei venti confondersi col brusio della pioggia. Sono triste, inquieta, separata da tutto ciò che amo, la società mi pesa e mi esaspera. Ma ovunque, la natura mi tende le braccia; come una cara amica sembra pa­ tire della mia sofferenza. In fondo agli alberi, ascolto l'usignolo, rimpiange certamente come me l'assenza di ciò che ama. In disparte sulla riva delle ac­ que, ecco il salice di Babilonia; estraneo, si tormenta sulle nostre sponde; si direbbe che mormori senza pace: L'assenza è il male più devastante ! 2

z La Fontaine.

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MARZO

Quest'albero, ahimè ! è uno sciagurato amante. Una mano crudele, esilian­ dolo dalla sua patria, l'ha separato per sempre dall'oggetto della sua tenerezza. Ogni primavera, accecato da una folle speranza, copre di fiori le lunghe fron­ de, e richiede ai venti le carezze di chi dovrebbe arricchirgli la vita; chino sul cuore delle fonti, non si direbbe che, sedotto dalla propria immagine, cerchi la felicità in fondo alle acque? Vana ricerca ! Né zefiro, né le ninfe delle fonti po­ tranno mai rendergli ciò che ha perduto, ciò che ininterrottamente anela. Sì, di tutti i mali per la via, L'assenza è il più penoso; Ecco perché quest'albero luttuoso È consacrato all a malinconia. 3 Amato e divino Salice, il lutto è il tuo compagno; Sii l'albero del rimpianto e il rifugio dell'affanno; Amico caro, nel tuo cintato scrigno, 4 Accogli e cela il nostro danno.

CASTAGNO D'INDIA Lusso. Da più di due secoli il castagno d'India popola le nostre terre, eppure non lo si vede spesso intrecciare la rigogliosa chioma con gli alberi delle foreste. Preferisce abbellire i parchi, adornare i castelli e ombreggiare la dimora dei re. Lo ammiriamo trionfare a Tuileries, dove disegna, tutt'intorno la monu­ mentale vasca d'acqua, delle scenografiche prospettive d'impareggiabile raffi­ natezza. Nel ]ardin du Luxembourg, ostenta superbo eleganza e magnificenza. Laggiù di castagni gli alti filari Curvarsi in volte e celarci le nubi. 5

È sufficiente che una giornata sia poco tempestosa, a inizio primavera, ed ecco questo splendido albero coprirsi improvvisamente d'un verde tenero. Che si creda il solo? nulla è comparabile all'eleganza del suo aspetto pirami­ dale, alla bellezza delle sue foglie e alla ricchezza dei suoi fiori, che alle volte lo fanno apparire come un immenso decoro interamente coperto da grappoli fio3 AlMÉ MARTIN, Lettres à Sophie. 4 M. DuBOs, Idylles. s CASTEL, Les Plantes, poema.

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PRIMAVERA

riti. Amante dell'opulenza e della ricchezza, copre di fiori l'erbetta verde che ripara, e offre alla voluttà un'ombra deliziosa. Ma altro non concede ai poveri se non che un bosco rado e un frutto amaro; solo talvolta dona loro un'esigua elemosina riscaldandoli con le sue foglie secche. I naturalisti, e soprattutto i medici, hanno attribuito a questo figlio dell'India mille grandi qualità che non possiede. Così questo splendido albero, come l'uomo di successo verso il quale è prodigo di ombra, trova adulatori, fa suo malgrado un minimo di bene, e abbaglia la volgarità di un lusso inutile. LILLÀ PRIMO BATTICUORE.

I lillà sono stati consacrati alle prime trepidazioni d'amore, perché niente è più ammaliante del loro aspetto al rifiorire della primavera. Così, la freschezza del verde, la flessibilità dei rami, l'abbondanza dei fiori, la bellezza così fuga­ ce, così effimera, il colore così tenue e così variegato, tutto in loro richiama quelle emozioni celestiali che abbelliscono la bellezza e donano all'adolescenza una grazia divina. Albano non è mai riuscito a disporre, sulla tavolozza che Amore gli aveva affidato, dei colori talmente vivi, talmente candidi, talmente delicati, in grado di esprimere la lucentezza, la delicatezza e la dolcezza delle tenui tinte che tin­ teggiano la fronte della prima adolescenza. Lo stesso Van-Spaendonck lascia­ va che il pennello indietreggiasse di fronte ad una corolla di lillà. La natura sembra essersi compiaciuta di aver fatto di ciascuno di questi grappoli un ar­ busto, sfavillante in ogni sua parte di pari bellezza e varietà. La digradazione del colore, dalla gemma porporina al fiore sbiadito, esercita l'attrattiva minore di questi suggestivi grappoli, mentre tutt'intorno la luce si espande e sprigiona le mille sfumature che fondendosi insieme in un'unica tonalità, creano quella fulgida armonia che scoraggia il pittore e abbaglia l'osservatore. Quale incom­ mensurabile impresa ha intrapreso la natura nel generare questo favoloso ar­ busto pensato quasi al solo scopo di compiacere i sensi ! Che unione di pro­ fumi, di freschezza, di grazia, di delicatezza ! Che varietà di dettagli, che armonia d'insieme ! Ah ! Senza dubbio, dall'origine delle cose, la Provvidenza l'aveva destinato a essere il perno che avrebbe annesso un giorno l'Europa al­ l'Asia. I lillà, che il viaggiatore Busbeck portò dalla Persia, popolano oggi i monti della Svizzera e le foreste della Germania. L'usignolo, al ritorno dai suoi pellegrinaggi, rivedendo i tralci da cui si era separato intrecciati ai rami spinosi che più ama, crede di dover festeggiare due primavere. -

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MARZO

Alle nostre colline e ai frutteti Racconta le sue avventure; Di città e di campi sconosciuti, Traccia le sfavillanti pitture, E anticipa le piste venture Agli uccellini appena conosciuti. Disegna i loro gruppi vagabondi Vagar per l' aere, Cercando lidi più fecondi; Narra di passaggi di maree, E di prati fioriti dei due mondi; E all'inno felice della stasi, Echeggiante fra i boschetti, Unisce pure i canti delle estasi Al delizioso sunto dei giretti. 6

MANDORLO SVENTATEZZA.

Simbolo della sventatezza, il mandorlo germoglia per primo al richiamo della primavera. Niente è più vivace né più ridente di quest'albero incantevo­ le, quando nei primi giorni di marzo appare, coperto di fiori, fra i boschetti ancora spogli. Le gelate tardive rovinano spesso i germi troppo precoci dei suoi frutti; ma per un effetto piuttosto singolare, anziché sciuparne i fiori, sembra che gli donino una rinnovata vivacità. Ho visto un filare di mandorli, tutto bianco il giorno precedente, battuto dal freddo durante la notte, assume­ re un colore roseo l'indomani mattina, e mantenere per più di un mese questa nuova chioma, che non perse finché l'albero non divenne interamente verde. La leggenda attribuisce al mandorlo un'origine commovente. Si narra che Demofoònte figlio di Tèseo e Fedra, fu spinto durante una tempesta, al ritorno dalla distruzione di Troia, sulle coste della Tracia, dove al tempo regnava la bel­ la Fillid e. La giovane regina accolse il principe, se ne innamorò e lo prese in sposo. Demofoònte, richiamato ad Atene per la morte del padre, le promise di tornare in un mese, e fissò il giorno del suo ritorno. La dolce Fillide contò tutti i minuti della sua assenza; alla fine giunse il giorno tanto atteso: Fillide cor­ se per nove volte sulla riva; ma, persa ogni speranza, lì morì di crepacuore, e fu mutata in mandorlo. Ma, Demofoònte tre mesi dopo ritornò; e disperato, ce-

6 AlMÉ MARTIN, Lettres à Sophie.

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lebrò un sacrificio sulla sponda del mare per confortare l'amata. Fillide apparve sensibile al suo pentimento e al suo ritorno, poiché il mandorlo che la imprigio­ nava sotto la corteccia all'improvviso fiorì; dimostrò, così, con quest'ultima prova, che la morte stessa non aveva potuto mutare i suoi sentimenti.

PERVINCA DOLCI RICORDI.

Ormai i venti hanno purificato l'atmosfera, disseminato il seme delle piante sul terreno, e allontanato le nuvole scure; l'aria è leggera e pura, il cielo sembra più alto sulle nostre teste, l'erbetta comincia a rinverdire tutt'intorno, gli alberi si ricoprono di germogli. La natura si adorna di fiori, ma prima prepara il fondo delle sue tele; stende una tonalità indefinita di verde cangiante all'infinito, che rallegra i nostri occhi e apre i nostri cuori alla speranza. Fin dai mesi scorsi ab­ biamo trovato, al riparo dei poggi, la violetta, la margherita, la primula e il fiore dorato del dente di leone. Ci avviciniamo ora al limitare del bosco, l'anemone e la pervinca qui costruiscono un lungo dedalo di verde e di fiori: queste due pian­ te complici si prestano reciproco fascino: l'anemone ha delle foglie flessibili marcatamente dentate e d'un verde tenero; la pervinca ha le sue sempreverdi, rigide e brillanti, il suo fiore è azzurro-violaceo, e quello dell'anemone è d'un bianco puro, rosato ai margini. Quest'ultimo sfiorisce in un giorno; ricordando­ ci le gioie vive e passeggere della nostra infanzia. La pervinca è consacrata ad una felicità duratura; il suo colore è quello che l'amicizia predilige, e il suo fiore era per J.-J. Rousseau il simbolo dei più dolci ricordi. «Mi stavo trasferendo, scriveva da qualche parte, alle Charmettes, con Madame de Warens; cammi­ nando lei vide qualcosa di blu fra la siepe, e mi disse: «ecco la pervinca ancora in fiore». Io non l'avevo mai vista; ma non mi abbassai ad esaminarla, e sono troppo miope per distinguere dalla mia altezza le piante per terra. Passando, le ho semplicemente dato un'occhiata, e sono passati quasi trent'anni senza che abbia rivisto della pervinca, o che ci abbai fatto caso. Nel 1764, quando ero a Gressier, con il mio amico M. du Peyrou, scalavamo una montagnola, do­ ve in cima possiede una graziosa sala che chiama a ragione Belvedere. Comin­ ciavo allora ad erborizzare un po'. Salendo, e guardando fra i cespugli, gettai un urlo di gioia: «Oh ! Ecco la pervinca, finalmente». Questa pianta, delizioso sim­ bolo del primo amore, si radica fortemente nei prati che orna; cingendoli per intero dei suoi flessibili ramoscelli; li ricopre di fiori che sembrano riprendere il colore del cielo. Così i nostri primi sentimenti, così vividi, così puri, così inno­ centi, sembrano avere un'origine celeste; segnano i nostri giorni d'un istante di felicità, ed è a loro che dobbiamo i nostri più teneri ricordi. - 12 -

MARZO

TULIPANO DICHIARAZIONE D 'AMORE.

Sulle rive del Bosforo, il tulipano è l'emblema dell'incostanza; ma anche della passione più violenta. Tanto che la natura fa in modo che cresca nei giar­ dini di Bisanzio, e racconta, alla bellezza prigioniera, che un amante sospira per lei, e che, se si degnasse di mostrarsi un attimo, con i suoi petali di fuoco e il suo cuore ardente, a dispetto di cancelli e chiavistelli, la sola vista gli man­ derebbe il viso in fiamme e il cuore in brace. Così un ragazzo inesperto, allon­ tanandosi dallo stato di natura, corteggia senza malizia; ma presto foggiato dal mondo, come il tulipano nelle mani del giardiniere, diventerà più seducente, più disinvolto, imparerà a piangere, ma avrà smesso d'amare. n tulipano, sotto il nome di tulipano, o di turbante, awolge la fronte al­ tezzosa degli spietati Turchi / che adorano il suo fiore, come simbolo dell'a­ more. Amanti dell'elegante stelo e dello splendido calice che lo corona, non si stancano d'ammirare i pennacchi d'oro, d'argento, di porpora, di lill a , di violetto, di rosso scuro, di rosa tenero, di giallo, di marrone, di bianco, e delle molte altre sfumature che si rincorrono, si congiungono, si fondono, si sepa­ rano sui ricchi petali senza mai confondersi. Fin dai primi giorni di primavera, si celebra, nel serraglio del sovrano, la festa dei tulipani. Si addobbano i patiboli, si preparano spaziose platee attrez­ zate con gradini ad anfiteatro, le si ricopre dei più ricchi tappeti, poi occultati da un numero infinito di vasi di cristallo, traboccanti dei tulipani più belli al mondo. La sera scende, tutto s'illumina; le candele espandono i profumi più soavi, lanterne colorate brillano dappertutto come ghirlande d'opale, di sme­ raldi, di zaffiri, di diamanti e di rubini; una quantità prodigiosa di uccelli im­ prigionati in gabbie dorate, tutti svegli per questo spettacolo, uniscono il loro canto ai melodiosi accordi degli strumenti suonati da invisibili suonatori; una pioggia d'acqua di rose rinfresca l'aria; le porte si aprono, e le giovani odali­ sche entrano a mescolare la freschezza del loro fascino e delle loro toilette a quella di questa festa incantata. Nel cuore del serraglio si intravede la tenda del sovrano; il sultano, indo­ lentemente disteso sui guanciali, sembra ergersi al centro dei doni che i signori della corte depongono ai suoi piedi; ma una nube s'addensa sulla sua fronte; guarda tutto con aria truce. Cosa ! La tristezza è penetrata nell'intimo di que-

7 ]ardin d'hiver, o Cabine! des fleurs, raccoglie ventisei elegie rare, scelte da Jean Franeau. Un vol. in -4°, stampato a Douay nel 1616.

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st' onnipotente mortale? che abbia perduto una delle sue province? che tema la ribellione dei suoi fieri giannizzeri? No, soltanto due poveri schiavi hanno turbato il suo cuore. Crede di aver visto, durante la solennità della festa, un giovane icoglane donare un tulipano alla bellezza che lo avvince. n sultano sconosce i segreti riservati agli innamorati: e così una vaga angoscia ha invaso il suo cuore; la gelosia lo tormenta e l'ossessiona; ma che può questo sentimen­ to, che possono cancelli e chiavistelli contro l'amore? Uno sguardo e un fiore sono bastati a questo diabolico dio, per fare di un orrendo serraglio un luogo di delizie, e per vendicare la bellezza oltraggiata dai ferri. I tulipani hanno ammiratori anche in Europa. Dal 1 644 al 1 647 la tulipanomania esercitò la sua influenza in Olanda. Du­ rante questi anni, il prezzo dei tulipani salì alle stelle e fece arricchire molti speculatori. I floricoltori quotavano maggiormente le varietà cui assegnavano nomi particolari. La varietà più ricercata era quella detta semper augustus; la si valutava 2000 fiorini; si sosteneva che fosse talmente rara, che esistessero sol­ tanto due fiori di questo tipo, uno ad Harlem, e l'altro ad Amsterdam. Un ti­ zio, per averne una, offrì quattromila seicento fiorini, più una splendida car­ rozza trainata da due cavalli e completa di accessori; un altro cedette per un bulbo dodici acri di terra. La passione per i tulipani fece perdere la testa a molti. Quelli che non po­ tevano procurarsene per mancanza di denaro contante, ne acquistarono con la permuta di terreni o di case. I fioristi e altri che si appassionavano alla colti­ vazione dei fiori, accumularono in brevissimo tempo un'immensa fortuna; da allora tutte le classi sociali vollero occuparsi del commercio dei tulipani; un'aiuola di tulipani costituiva il più grande tesoro che si potesse possedere, e valeva quanto il più imponente castello. Si racconta che un marinaio consegnate delle merci a un negoziante che coltivava tulipani per affari, ricevette per pranzo un'aringa, con la quale il marinaio andò via: mentre s'incamminava, vide dei bul­ bi in giardino, e credendo fossero bulbi comuni, li mangiò tranquillamente con l'aringa. In quel momento sopraggiunse il negoziante, e urlò per la disperazione: «Sventurato, il tuo pranzo mi ha rovinato; avrei potuto regalare un re ! ».

TRI FOGLIO FIBRINO CALMA, OZIO . Lungo questo lago le cui acque argentate riflettono un cielo senza nubi, vedete quei grappoli bianchi come la neve? Una tinta rosea colora leggermen­ te il dorso di questi splendidi fiori, e un ciuffo di filamenti di grande delica- 14 -

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tezza e d'un candore abbagliante sfugge le sue coppe d'alabastro. Nessun commento può eguagliare l'eleganza di questa pianta. Ma, per non dimenti­ carla, è sufficiente averla vista una sola volta dondolarsi mollemente sulla riva delle acque, accrescendone la trasparenza e la freschezza. n trifoglio non sboc­ cia mai nelle giornate tempestose, aspetta che tomi il sereno per sbocciare; e questa quiete di cui gioisce, sembra si espanda tutt'intorno.

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BIANCOSPINO SPERANZA. Che tutto si animi di speranza e di allegria, la rondine volteggia nell'aria, l'usignolo cinguetta nel boschetto, i fiori del biancospino annunciano l'arrivo delle belle giornate. Caro viticultore ! Tranquillizz ati, la fredda brina non di­ struggerà più le tenere gemme, promesse di lunghe fatiche. Sìi felice agricol­ tore ! n soffio teso del vento di tramontana non ingiallirà le pianure verdeg­ gianti; e, quando sarà tempo, si doreranno dei raggi del sole. Rimarrai senza fiato se, coltivando la tua eredità, avrai segnato i confini con una siepe di biancospino ! Non ci saranno tristi muraglie a rattristarti. Uno dopo l'altro, la verzura, i fiori e i frutti riempiranno i tuoi occhi; perennemente awolto in vibranti cori, vedrai il fringuello, la capinera, il cardellino, l'usignolo e il luche­ rino di ritorno dai lunghi viaggi abbellire il tuo recinto; accogli con gioia que­ sti ospiti amorevoli, vengono per servirti non per deprivarti. n bruco che dan­ neggia le tue piante, il moscerino che punge i tuoi frutti, ma è il solo nutrimento che chiedono per le loro famiglie. D'inverno, attirati dalle ceraséd­ de luccicanti che la mano della massaia non ha raccolto, 8 vedrai il merlo e il tordo, i cui amori tardivi avranno ritardato la partenza; da loro imparerai che non bisogna temere i rigori del freddo, dal momento che una stagione molto rigida li allontana sicuramente dai nostri campi, ma anche allora non saranno abbandonati: l'amabile pettirosso, allontanandosi dai boschi solitari, forse si awicinerà al tuo rustico focolare. Che i tuoi figli non attentino mai alla sua libertà; che alla vista della sua fiducia e della sua tristezza, i loro cuori si apra­ no alla pietà, che le loro piccole mani si tendano con precauzione per soccor­ rere la miseria di un uccellino. E già ! non chiede che qualche briciola super­ flua. Che i tuoi figli gliene offrano, basta una buona azione per gettare il seme della bontà nei giovani cuori.

s

Le cerasédde sono i frutti del biancospino; con cui si prepara una deliziosa bevanda.

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I trogloditi, che riportarono l'età d'oro sulla terra con le loro semplici tra­ dizioni, coprivano sorridendo i loro defunti di rami di biancospino, perché consideravano la morte come l'alba di una nuova vita da vivere per sempre insieme. Ad Atene, le damigelle portavano alle nozze delle loro compagne dei rami di biancospino, l'altare nuziale era illuminato da torce accese con la legna di questo arbusto, che, come risulta evidente, è da sempre simbolo di speranza. Annuncia le belle giornate, fra i greci era di buon auspicio per un matri­ monio felice, e fra i saggi trogloditi di una vita immortale. L'uomo si trascina, tristemente ! di struggimento in struggimento; Dalla madre nasce con doloroso canto, E ai suoi gemiti risponde un pianto, Entra al mondo condotto dal tormento: Ma la speranza a sé traendolo, asciuga il suo lamento, E cullandolo e assopendolo. 9

PRIMULA ADOLESCENZA.

I ciuffetti zafferano della primula annunciano il periodo dell'anno in cui l'inverno, allontanandosi, vede i bordi del suo mantello di neve decorati con un ricamo di verzura e fiori. Non è più la stagione della galaverna, non è ancora quella delle belle giornate. Similmente una ragazza rimane per un istante in bilico fra infanzia e adolescenza. Quando la timida Aglaia vedrà sbocciare la sua quindicesima primavera, vorrà ancora, ma non potrà più, con­ dividere i giochi scapestrati delle sue piccole compagne. Le osserva, e il suo cuore vorrebbe seguirle; vorrebbe imitarle e raccogliere le primule in fiore per fame dei mazzetti profumati da lanciare, riprendere e rilanciare ancora. Ma un impulso che non può governare allontana questa bellezza in fiore dalle gioie innocenti. Un pallore struggente si espande sulla sua fronte, il capo s'in­ clina, l'anima pena e sospira, desidera, teme un sentimento che ignora; sa che, come alla primavera segue l'inverno, i desideri d'amore supereranno quelli dell'infanzia. Carissima ! Tu conoscerai questi piaceri indissolubilmente legati all'amarezza e al pianto, il ritorno della primavera oggi li annuncia; e questo fiore ti sussurra che anche il tempo spensierato dell'infanzia non tornerà

9 SAINT-VICTOR, L'Espérance, poema.

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più per te. Purtroppo ! E fra qualche anno sboccerà ancora per dirti che amo­ re e adolescenza sono passati senza ritorno.

GLICINE DELLA CINA LA TUA AMICIZIA MI È CARA E DESIDERABILE.

n glicine è un rampicante elegante; i cinesi l'hanno eletto simbolo di un'a­ micizia tenera e delicata. Per svilupparsi, questa pianta vuole essere sostenuta e riparata ai piedi di un muro esposto a mezzogiorno. I suoi leggiadri fiori, di un blu pallido, disposti in lunghi grappoli pendenti, come quelli dell'acacia, sbocciano più volte ogni anno; ma è soprattutto nel mese di aprile che la piena fioritura inonda i più grandi alberi di ghirlande profumate. Celano i muri, in­ corniciano le finestre, penzolano, come una pioggia di fiori, dai tetti delle case, e si prestano a tutti i capricci, a tutte le esigenze di chi li coltiva con amore. Si sa, questa pianta è docile, è piacevole, è dolce come l'amicizia; e, per conservarla, cosa serve? ciò che il cuore generoso offre all'amico: tenerezza e premure.

MIRTO AMoRE.

Da sempre, la quercia è consacrata a Giove, l'alloro ad Apollo, l'ulivo a Minerva, e il mirto a Venere. Le foglie sempreverdi, i rami flessibili, profuma­ ti, carichi di fiori da sembrare destinati ad ornare la fronte di Amore stesso, hanno fatto sì che il mirto ricevesse l'onore di essere l'albero dedicato a Ve­ nere. A Roma, il primo tempio consacrato a questa dea era circondato da un boschetto di mirti; in Grecia, era addirittura adorata con il nome di Mirta. Quando Venere nacque dalle acque, le Ore comparirono al suo cospetto, e le fecero omaggio di una stola dai mille colori e di una ghirlanda di mirto. Dopo la vittoria su Pallade e Giunone, venne incoronata con del mirto dagli Amori. Sorpresa un giorno mentre usciva dai bagni da un gruppo di Satiri, si rifugiò dietro un cespuglio di mirto; e fu sempre con dei rami di mirto che si vendicò dell'audace Psiche, che aveva osato paragonare la sua fugace bellezza ad una bellezza immortale: da allora la ghirlanda donata dagli Amori alle volte ha cin­ to il capo del guerriero. Dopo il ratto delle Sabine, i Romani si incoronarono di mirto in onore di Venere guerriera, di Venere vittoriosa; questa corona ha condiviso nel tempo i privilegi del lauro, luccicando sulla fronte dei trionfato- 18 -

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ri. L'avo dell'Mricano minore vinti i Corsi, non si presentò più ai giochi pub­ blici senza una corona di mirto. Oggi che non si trionfa più al Campidoglio, le donne romane hanno con­ servato un solido gusto per questo grazioso arbusto; preferiscono il suo odore a quello delle più ricercate essenze, e versano nei loro bagni un'acqua distilla ta dalle sue foglie, sicure che l'albero di Venere esalterà la loro bellezza. Se nei secoli si è radicata questa credenza, se l'albero di Venere è considerato l'albe­ ro degli amori, se, pure, si è creduto che il mirto, attecchendo in un terreno, soppianta tutte le altre piante, così, l'amore padrone di un cuore non lascerà mai spazio a nessun altro sentimento.

ACANTO LE ARTI . L'acanto attecchisce nei paesi caldi, lungo il corso dei grandi fiumi. TI Nilo ammira le foglie del verde acanto.

Ciononostante cresce normalmente nei nostri climi, e Plinio assicura che si tratta di una pianta erbacea meravigliosamente utile come motivo decorativo. 1 0 I nostri avi, così capaci di apprezzare il bello, decoravano i loro mobili, i loro vasi e le loro vesti preziose con motivi delle sue foglie così deliziosamente den­ tellate. Virgilio narrava che sulla veste di Elena era ricamata una ghirlanda d'a­ canto a rilievo. Questo superbo poeta volendo esaltare un'opera di grande pregio, è ancora d'acanto che la veste. Dello stesso Alcimedonte io conservo un'opera uguale; Nella quale l'ansa di ciascuna coppa offre all'occhio estasiato 11 Un cesello con motivi a foglie del più flessuoso acanto.

Quest'affascinante modello per l'arte ne è divenuto l'emblema, e potrebbe esserlo anche del genio, che crea ciò in cui eccelle. Se qualche ostacolo impedi­ sce all'acanto di svilupparsi, si può osservare come ciò accresca le sue forze e ne rinnovi il vigore. Così l'artista si eleva e si forgia sugli ostacoli che deve vincere. Si narra che l'architetto Callimaco, passando accanto la tomba di una ra­ gazza sepolta da un anno, e deceduta pochi giorni prima di sposarsi, fu mosto Traduzione di Dupinet. 1 1 Langeac, traduzione delle Bucoliques di Virgilio.

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so da tenera compassione. Si avvicinò per riporre dei fiori, ma un'altra offer­ ta l'aveva preceduto. La nutrice della ragazza, aveva raggruppato i fiori e il velo dell'acconciatura del giorno delle nozze, e li aveva deposti in un piccolo cesto, riponendolo vicino la tomba, su una pianta d'acanto, e coprendolo poi con una larga tegola. La primavera seguente, le foglie d' acanto cinsero il pa­ niere; ma, ostacolate dai bordi della tegola, si curvarono, ripiegandosi verso le estremità. Callimaco, affascinato dalla spontanea decorazione, quasi fosse l'opera delle Grazie in lacrime, ne fece il capitello della colonna corinzia: ca­ ratteristica rappresentazione scultorea che oggi ammiriamo e riproduciamo ancora.

BUGLOSSA MENZOGNA. I cedimenti di una casa Si possono recuperare, ma non c'è rimedio 12 Per quelli d el viso !

TI più spirituale fra i moralisti, L a Bruyère, sosteneva: «Se alle donne fosse connaturata l'apparenza che sanno costruire con sapiente artificio, quando in un istante coprono la freschezza dell'incarnato, il viso truccato assume un co­ lorito plumbleo e luminoso per effetto del rossetto e del belletto, sarebbero inconsolabili». Questa realtà credo sia inconfutabile: così da nord a sud, da oriente a oc­ cidente, fra le società meno avanzate, fra le nazioni civilizzate, il piacere di truccarsi è universale. L'araba gitana, la turca stanziale, la bella persiana, la cinese dai piccoli piedi, la russa dal colorito acceso, l'inglese flemmatica, la creola indolente, e la francese vivace e leggera; tutte le donne desiderano pia­ cere, tutte amano truccarsi. Questo bizzarro piacere accomuna deserto e ser­ raglio. Duperron, racconta di una giovane di una tribù, che volendo attirare l'attenzione, prese furtivamente un piccolo pezzo di carbone, corse in un an­ golino a sminuzzarlo, lo massaggiò sulle gote, e tornò indietro trionfante, co­ me se questo ornamento avesse reso più sicuro l'effetto del proprio fascino. M. Castellan, nelle sue lettere sulla Grecia e sull'Ellesponto, tratteggia più o meno così il ritratto di una principessa greca che ritrasse a Costantinopoli: «non era affatto, diceva, la bellezza ideale che avevo immaginato. I suoi occhi

12 La Fontaine.

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APRILE

neri, dal taglio mirabile e sporgenti, brillavano come un diamante; ma le pal­ pebre scure deformavano l'espressione. Le sopracciglia, congiunte con un tratto, conferivano una sorta di durezza allo sguardo. La bocca, molto piccola e fortemente colorata, poteva essere valorizzata da un sorriso, ma non ho mai provato la soddisfazione di vederlo sbocciare. Le gote erano segnate da un rosso scuro, e, delle frange tagliate a mezzaluna le abbruttivano il viso. S'im­ magini infine la rigidità statica del suo contegno, la severità glaciale della sua fisionomia, e si crederà che abbia voluto rappresentare una madonna italia­ na». E dunque, il desiderio di piacere conquista parimenti la ragazza del de­ serto e la bella odalisca. n picco della civiltà e quello che ci riporta alla natura da cui il buon gusto mai si discosta. La Fontaine, quando tracciò il ritratto della madre di Amore scrisse: Niente manca a Venere, né il giglio, né le rose. Né l'unione squisita delle più leggiadre cose, Né il fascino segreto che ogni sguardo apprezza, 13 Né la grazia più bella ancor della bellezza.

Venere stessa non era priva di artifici. Che sia dunque concesso alla bel­ lezza di ricorrervi alle volte, ma che la verità traspaia sempre da una leggera menzogna, e che un po' di rossetto sia per la bellezza malinconica ciò che il sorriso è sulle labbra d'una madre che soffre e tenta di celare ai figli la tristez­ za, o di carpirla agli occhi dell'ottusa indifferenza. La buglossa è il simbolo della menzogna, perché la sua radice è utile per la composizione della maggior parte dei fard. Quello di cui costituisce la base è forse il più antico e meno pericoloso di tutti. Riunisce insieme più qualità, per­ siste più giorni senza rovinarsi, come per i colori naturali l'acqua lo ravviva, e non sciupa la pelle che abbellisce. Ma tal dolce, innocente, ingenuo pudor, Che colora il volto di un divino rossor, 1 4

nient'altro può reggere il confronto, e l'arte lo distrugge senza ritorno. Se si vuole piacere a lungo, se si vuole piacere sempre, allora si cancelli la menzo­ gna dalle labbra e dal viso, e con il poeta si ripeta: Non c'è bellezza senza verità, solo la verità è bellezza.

1 3 Adonis, poema. 1 4 VoLTAIRE, Henriade.

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PRIMAVERA

ONONIDE, ARRESTABUE OsTACOLO.

Un fascino incantevole da non poter descrivere annuncia ogni mattina l'al­ ba di una bella giornata. Alla vista di un così splendido incanto, anche il più freddo dei cuori ne è pervaso e si riempie di riconoscenza, l'imm aginazione spenta si riaccende, e tutto ciò che la colpisce immediatamente la scuote, la pervade, e assume le forme più suggestive. In una di queste deliziose mattine di primavera, oziavo sulle rive della Meuse, senza trucco e senza pensieri, gustavo il piacere indefinibile che l'alba mattutina regala all'agricoltore ogni mattina per consolarlo delle fatiche della veglia, e lo prepara ai lavori della giornata. Seduta ai piedi di un salice, sentivo la rugiada scivolare giù, quando improvvisamente a qualche passo da me ap­ parve un vecchietto sorridente che si appoggiava ad un biondino adolescente, energico e affascinante, come doveva essere l'amante di Psiche. Si fermarono sotto l'albero accanto al mio, chiacchierando di due giovani agricoltori, di cui uno, guidando il vomere dell'aratro, solcava la terra, l'altro dirigendo quattro vigorosi buoi aiutati da due vigorosi cavalli che, avanzavano a passo lento e cadenzato, tracciava lunghi e profondi solchi nel terreno. Di colpo il tiro ar­ ranca con sforzi vani, è bloccato come attanagliato da una mano invisibile. Una sferzata lo sollecita, i lineamenti si tendono, ma invano. Buoi e cavalli non ce la fanno ad avanzare. «Papà, disse il ragazzo, il carro si è senz' altro impuntato su una roccia o sulla radice di una vecchia quercia, cos'altro po­ trebbe fermare un tiro così forte e coraggioso? - Certamente una pianta molto fragile, rispose l'uomo, ma alla quale si è permesso mettere profonde radici; guarda ai tuoi piedi, osserva questi umili ramoscelli coperti da graziosi fiorel­ lini rosa e papilionacei; non tendervi la mano, perché questi fiori sono ricoper­ ti di spine lunghe e crudeli; sono le radici di questo tipo, così deboli in appa­ renza, che ostacolano, come vedi, lo sforzo dei due uomini e del forte e robusto tiro. Ma guarda, ecco che raddoppiando lo sforzo, l'ostacolo è scon­ fitto, la pianta è sradicata. Questa pianta, figlio mio, è l'ononide, detta anche volgarmente arrestabue: con i suoi deliziosi fiorellini, le sue lunghe spine e le radici profonde, è la sirena dei campi e il simbolo degli ostacoli che il vizio oppone alla virtù. Spesso, similmente, il vizio ci attrae con allettanti forme, e ci danneggia con invisibili catene. Per non esserne sconfitti, ricorda, figlio mio, ci vuole una volontà di ferro; e genio e modestia non incontreranno osta­ coli. - Papà, disse il ragazzo, non dimenticherò mai l'esempio della tua espe­ rienza. Ogni giorno me ne ricorderò al levar del sole». Con queste parole, l'uomo e il ragazzo si allontanarono, lasciando il mio cuore segnato dei loro -

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MAI.

APRILE

discorsi. Quante volte poi, fragile e indecisa, in lotta con me stessa, ho ripen­ sato alle parole di quell'uomo: lA volontà non conosce ostacoli!

CAPRIFOGLIO LEGAMI D'AMORE. La fragilità piace al vigore, e spesso le dona fascino. Ho visto qualche volta una piantina di caprifoglio intrecciare amorevolmente i teneri e delicati gambi al tronco nodoso di una quercia secolare; si racconta che questo fragile arbo­ scello desiderasse, slanciandosi verso il cielo, sorpassare in altezza la regina delle foreste; ma presto, percepita la vanità degli sforzi, lo si vedeva ripiegare con grazia e circondare il tronco amico di delicate merlature e profumate ghir­ lande. Così l'amore si compiace di tanto in tanto di unire una timida pastorella e un fiero guerriero. Triste Desdemona ! forza e coraggio ti hanno affascinata, la fragilità ha legato il tuo cuore al temibile Otello; ma la gelosia ti colpirà al cuore stesso di chi doveva proteggerti. Voluttuosa Cleopatra, soggiogavi il fie­ ro Antonio, e il fato non ha risparmiato né le tue grazie né la magnificenza del tuo compagno. Trafitti dallo stesso colpo, insieme vi abbiamo visti crollare e morire. E tu, umile e dolce La Vallière, l'amore per un grande re ha saggio­ gato il tuo fragile cuore e l'ha strappato alla purezza. Tenera liana, il vento dell'incostanza ti privò presto del caro sostegno, ma tu non striscerai mai per terra; il tuo nobile cuore, elevando i sentimenti al cielo, rivolgerà il suo spirito al solo degno di un amore immortale.

ERBA MEDICA VITA. L'erba medica cresce a lungo sullo stesso terreno, ma quando l' abbando­ na, è per sempre. Ecco perché di certo è il simbolo della vita. Nulla è più affascinante di un campo d'erba medica in fiore; si estende a perdita d'occhio come un immenso tappeto verde screziato di viola. Cara al­ l' agricoltore, questa pianta offre un abbondante raccolto, senza richiedere al­ cuna cura. La si falcia, e rinasce. Alla sua vista, la giovenca gioisce; la pecorella l'adora, delizia la capra e rallegra il cavallo. Cresce nei nostri climi, come un dolce dono che viene dal cielo. La possediamo senza sforzi, ne gioiamo senza attenzione, senza riconoscenza. Spesso la preferiamo ad un fiore che non ha altro merito che un luccichio fugace. Così troppo spesso sfuggiamo la felicità certa, per inseguire piaceri transitori che infine si sgretolano e fuggono via. -

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MAGGIO

MUGHETTO DI MAGGIO, GIGLIO DELLE CONVALLI FELICITÀ RITROVATA.

n mughetto ama le gole delle vallate, l'ombra delle querce, le rive dei ru­ scelli; fin dai primi giorni di maggio, i suoi fiori d'avorio sbocciano, ed espan­ dono il loro profumo nell'aria. A questo segno l'usignolo lascia le siepi e i ce­ spugli, e va in cerca di una compagna nel cuore delle foreste, una solitudine, una voce che sempre risponde al suo richiamo; guidato dal profumo del giglio delle convalli, il piccolo uccellino sceglie subito il suo rifugio; ci si stabilisce, ne allontana i rivali, e qui celebra, con canti melodiosi, la solitudine, l'amore e il fiore che, ogni anno, gli annuncia il ritorno della felicità.

OLIVELLA TUTELA. «Perché, chiedeva una giovane madre al vecchio pastore del paese, non ha piantato una siepe di spini invece che questa siepe di olivella fiorita che recinta il giardino?» L'uomo le rispose: «quando proteggi tuo figlio da un gioco pe­ ricoloso, il diniego è addolcito dalle tue labbra con un tenero sorriso, il tuo sguardo è una carezza; e, se si ammutolisce, la mano materna gli porge subito un giocattolo che lo consola: così la siepe del pastore deve allontanare gli in­ vadenti, e offrire fiori anche a coloro che respinge».

ERICA COMUNE SOLITUDINE.

I prati si copriranno sempre di fiori, le pianure di messi, le colline di pam­ pino verde, e le montagne di fitte foreste. -

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MAGGIO

Felici pastori ! Potete danzare fra i prati, coronarvi delle spighe di Cerere, inebriarvi dei doni di Bacco, e riposarvi all'ombra delle foreste; voi potete, perché tutto è gioia per chi è felice. Io, guidata dal mio spirito malinconico, indirizzerei i miei passi verso quei luoghi ameni, che l'umile erica, amante della solitudine, contende alle fatiche degli uomini: qui, seduta all'ombra di una ginestra, mi immergerei nelle mie malinconiche meditazioni, e presto mi verrebbero incontro da più parti, crea­ ture tristi, sofferenti, avvilite come me. La pernice cacciata dalla maggese che ha appena perso la sua famiglia; la cerva inseguita dai cani; la lepre stremata; il timido coniglio, timoroso sulle prime per il mio aspetto, si uniranno al mio pianto; forse verranno ai miei piedi in cerca di protezione dalla passione degli uomini per la caccia ! Anche le laboriose api mi circonderanno; e se strappassi un solo stelo di erica alle loro solitudini, verrebbero a depositare sulle mie ma­ ni il miele che raccolgono, sì ! per gli altri più che per loro stesse. E i rumorosi francolini dal canto squillante ! Scandiranno il tempo che fugge, senza lasciare nella desolazione né tracce né rimpianti. Dolci colombelle ! teneri usignoli ! i vostri singulti e sospiri sono diretti ai boschetti profumati; ma io non posso più sognare alla loro ombra; la voce del deserto vi raggela; per me è invece desiderabile: e al primo chiaro di luna, questa voce lugubre echeggerà nell'a­ ria. Sovrano della sua solitudine, il gufo uscirà dal tronco cavernoso di una vecchia quercia, appollaiato sui rami che nascondono il suo regno di muschio, i suoi suoni terrorizzano l'amante in pena che conta i minuti dell'assenza; fan­ no trasalire la madre che veglia il letto del figlio con la febbre: ma consolano l'infelice che ha rimesso alla tomba tutto ciò che ha amato sulla terra . . . Spesso questo canto lugubre ti desterà ! Sventurato Young ! Per parlarti della morte e dell'eternità: spesso sveglia anche me; e se, diversamente da te, non m'ispira versi sublimi, come a te m'ispira il distacco dal mondo e l'a­ more per la solitudine.

NARCISO EGOISMO.

li narciso dei poeti emana un dolce profumo; indossa una corona d'oro al centro di un ampio fiore, sempre bianco come l'avorio, e leggermente inclina­ to: questo fiore cresce naturalmente nei nostri climi; ama l'ombra e la fre­ schezza delle acque. Secondo la leggenda un giovane pastore fu mutato da Amore in questo fiore perché volle punirlo per l'indifferenza corrisposta ad un innamoramento -

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PRIMAVERA

fatale. Mille ninfe amarono lo splendido Narciso, e conobbero il supplizio di amare senza essere corrisposte. Eco, l'infelicissima Eco, fu sdegnata da que­ st'ingrato; era bella allora, ma la sua bellezza fu consunta dal dolore e dalla vergogna: un'impressionante magrezza ridusse il suo corpo; gli dei furono mossi da pietà; mutarono le sue ossa in pietra, ma non poterono consolare l'a­ nima, che gemeva ancora fra gli anfratti, dove tante volte aveva seguito l'uomo che non aveva potuto amare. Stremato dalla caccia e dal sole che seccava la terra, il bel Narciso si ri­ posò un giorno su un tappeto d'erba sulla sponda di una fonte le cui limpi­ de acque non erano mai state torbide: il pastore, attirato dalla frescura, volle dissetarsi; si sporse verso il cristallo terso di questo perfido specchio d'ac­ qua; scorse sé stesso, si ammirò, e vinto dalla bellezza della sua stessa imma­ gine, con gli occhi fissi su questo riflesso, rimase impietrito, da sembrare una statua deposta sulla riva. Amore, che punisce i cuori ribelli, abbellì quell'im­ magine di tutto il fascino che ispirava; dopo ne rise di un così ridicolo equi­ voco, abbandonando la sua vittima al delirio che l'avrebbe consumato. Eco, sola, fu testimone della sua agonia, del suo pianto, dei suoi sospiri, del vano amore che rimandava a sé stesso. Ancora sensibile, la ninfa rispose al tor­ mento benché non le fosse rivolto, rendendogli l'ultimo addio; anche spe­ gnendosi l'infelice cercò sul fondo delle acque l'equivoco che l'aveva vinto d'ammirazione; si narra anche, che sceso negli inferi, fu rifiutato e mandato alle acque tenebrose dello Styx , dalle cui sponde nessuno può staccarsi. Le Naiadi, sue sorelle, piansero la sua perdita, e coprirono il corpo dei loro lun­ ghi capelli; pregando le Driadi d'innalzare una pira per i funerali. Eco si unì alle ninfe, e unì al loro pianto una voce disperata. La pira fu innalzata, ma il corpo che avrebbe dovuto cremare non c'era più; si trovò al suo posto un fiore pallido e malinconico, piegato sulla sponda della fonte come Narciso su quella dello Styx. Da allora, le Eumenidi adornano le loro terribili fronti con una corona di questi fiori che loro stesse hanno consacrato all'egoismo, di tutti i furori il più triste e funesto.

TIGLIO AMoRE CONIUGALE.

Baud fu mutato in tiglio. li tiglio è simbolo dell'amore coniugale. Dando un'occhiata alle piante consacrate dalla mitologia del mondo classico, non si può non meravigliarsi dell'esattezza con cui si è saputo accostare le qualità -

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MAGGIO

delle piante a quelle dell'eroe che dovevano rappresentare. La bellezza, la gra­ zia, la semplicità, una dolcezza infinita, un lusso innocente, queste saranno nei secoli le caratteristiche e le peculiarità di una giovane sposa. Tutte qualità che si trovano riunite nel tiglio che, ogni primavera, si ammanta d'un verde tene­ ro, espande deliziosi profumi, offre alle giovani api il miele dei suoi fiori, e alle madri i suoi flessibili rami con cui realizzare graziosi oggetti. Tutto è d'utilità in questo bellissimo albero: si beve l'infuso dei suoi fiori, si lavora la sua cor­ teccia, se ne realizza delle tele, delle corde e dei cappelli. I greci ne facevano della carta fatta di liste come quella del papiro. Ho visto della carta realizzata con questa corteccia fabbricata alla nostra maniera, che poteva essere scam­ biata per raso bianco. Riuscirò a descrivere gli effetti incantevoli del fogliame, quando ancora fresco lo si vede mollemente agitato dal vento che crea volte, e verdi caverne? Si direbbe che queste giovani foglie siano state tagliate su una stoffa più soffice, più luminosa e più morbida della seta, di cui hanno i ma­ gnifici riflessi. Non si finisce mai di contemplare l'ampia ombra; si vorrebbe sempre riposare al suo riparo, ascoltare il suo fruscio, respirare i suoi profumi. n castagno imponente, l'acacia leggera hanno conteso per un attimo al tiglio il posto fra le strade e i viali pubblici; ma niente potrebbe sostituirlo. Sarà sem­ pre il decoro dei giardini nobiliari e il benefattore del povero cui dona stoffe, mobili e scarpe; Ombra, d'estate; i piaceri del focolare, d'inverno.

Sarà d'esempio per le spose rammentando che Baud fu loro modello. Bauci mutò in tiglio, Filemone mutò in quercia; Tuttora si rende loro omaggio, per meritare L'amore coniugale che le nozze fecero loro gustare. Si incurvano sotto il peso delle offerte senza nome, Gli sposi quasi si fermano sotto la loro protezione, 15 Si amano vecchi entrambi, malgrado il peso degli anni.

FRAGOLE BONTÀ ESEMPLARE. Uno dei nostri più celebri scrittori concepì il progetto di scrivere una sto­ ria generale della natura, emulando opere classiche e moderne. Ma una frago-

1 5 LA FONTAINE, Philémon et Baucis.

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PRIMAVERA

la, che per caso era cresciuta sulla sua finestra, lo fece desistere da un disegno tanto vasto; osservò la fragola, e colte le infinite meraviglie, capì che una sola pianta e le piccole creature che la abitano possono da sole riempire la vita di più saggi. Abbandonò dunque il suo progetto e rinunciò all'ambizioso titolo della sua opera, che più modestamente intitolò Études de la nature. È in que­ sto libro, degno di Plinio e Platone, che bisognerebbe imparare il piacere del­ l' osservazione sulle cose, della buona letteratura, e qui soprattutto leggere la storia della fragola. Quest'umile piantina cresce al limitare dei boschi e li co­ pre di quei frutti deliziosi che appartengono a chiunque voglia raccoglierli. È un dono generoso che la natura ha sottratto al diritto esclusivo della proprietà, e che si compiace di offrire parimenti a tutti i suoi figli. I fiori della fragola formano dei graziosissimi bouquet; ma quale mano barbara oserebbe racco­ glierli, sottraendo i loro frutti alla mano che, in futuro, li raccoglierà? Soprat­ tutto fra i ghiacciai delle Alpi questi frutti si trovano in tutte le stagioni. Quan­ do il viaggiatore, arso dal sole, stanco di scarpinare su queste rocce vecchie come il mondo, nel cuore di queste foreste di larici per metà incurvati sotto il peso delle valanghe, cerca vanamente un capanno dove riposarsi, una fonte per rinfrescarsi, vede improvvisamente spuntare, fra le rocce, un esercito di giovani donne che avanzano con ceste colme di fragole profumate; appaiono su tutte le alture, in fondo ad ogni precipizio. Sembra che ogni roccia, ogni albero sia protetto da una di queste ninfe che il Tasso immaginava sull a porta del giardino di Armida. Seducenti e meno pericolose, le contadine svizzere, offrendo le loro ceste al viaggiatore, lungi dall'arrestare il suo cammino, ritem­ prano le sue forze perché si allontani. Lo studioso Linneo fu guarito dai frequenti attacchi di gotta con cure a base di fragole. Spesso questo frutto ha restituito la salute a pazienti abban­ donati da tutti i medici. Si possono preparare mille deliziosi sorbetti, che ar­ ricchiscono le tavole più imbandite, e sono il lusso di ogni pasto campestre. Dappertutto queste bacche odorose, che contendono freschezza e profumo al bocciolo della più bella fra i fiori, rallegrano i sensi. Ciononostante alcuni molto distratti non apprezzano le fragole, e si perdono alla vista di una rosa. Bisogna meravigliarsene, come quando si vede della gente impallidire al rac­ conto di una buona azione, come se la ricerca della generosità fosse un insul­ to? Fortunatamente questi episodi non tolgono niente al gesto disinteressato di una buona azione, alla bellezza di una rosa, né alla bontà esemplare del più attraente fra i frutti.

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MAGGIO

TIMO VITALITÀ.

Insetti di tutte le forme, scarabei di tutti i colori, api operaie, farfalle leg­ gere, circondano senza posa i ciuffi fioriti del timo. Forse quest'umile piantina appare a questi leggeri abitanti dell'aria, che non vivono che una primavera, come un immenso albero antico quanto la terra, coperto di foglie sempreverdi su cui i fiori troneggiano come superbe anfore, colme di miele a loro uso. I greci consideravano il timo simbolo della vitalità; di certo, avevano osser­ vato come il suo profumo, sollecitasse la mente, e fosse benefico per gli anzia­ ni cui restituiva forze, agilità e grinta. La vitalità è una qualità battagliera associata da sempre al vero coraggio. È per questo che un tempo le dame ricamavano spesso, sul mantello dei loro cava­ lieri, un'ape che ronzava intorno ad un ramo di timo. Questo doppio simbolo aggiungeva che colui che l'aveva adottato avrebbe messo dolcezza in ogni azione.

VALERIANA ROSSA MITEZZA. La valeriana dai fiori rossi delle Alpi cresce nuovamente nei nostri giardi­ ni. TI suo manto è splendente, ma sempre un po' scomposto. Questa figlia del­ le montagne mantiene fra i fiori coltivati un portamento rustico che le confe­ risce un'aria disarmonica facendola apparire fuori posto; ciononostante questa bellezza goffa deve la sua fortuna ai suoi meriti; la radice è eccellente contro la maggior parte delle malattie che provocano debolezza; il suo infuso aguzza la vista, riaccende lo spirito, allontana la malinconia; fiorisce quasi tutto l'anno; la coltivazione la impreziosisce, ma non dimentica mai la sua origine campe­ stre, e la si vede preferire alle aiuole i fianchi di un'arida collina, o la cima di uno scalcinato muro. Le valeriane dei boschi e dei prati hanno le stesse virtù e qualità della valeriana rossa; ma la mano del giardiniere la trascura, perché manca della docilità che caratterizza quella delle Alpi.

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ESTATE

GIUGNO

LE ROSE Chi mai in grado di comporre versi non ha elogiato la bellezza della rosa? I poeti non sono riusciti ad accrescerne la grazia, né ad esaurirne l'elogio; l'hanno soprannominata, a ragione, figlia del cielo, gioia della terra, gloria della primavera; ma quale espressione ha mai reso il fascino di questo fiore, l'effetto voluttuoso d'insieme e la grazia divina? Quando sboccia, l'occhio se­ gue estasiato gli armoniosi contorni. Ma come descrivere le porzioni sferiche che la compongono, le sfumature seducenti che la colorano, il dolce profumo che esala? Eccola, in primavera, ergersi fra l'elegante fogliame, circondata dai numerosi boccioli; si direbbe che la regina dei fiori si crogioli al soffio d'aria che la dondola, che si adorni delle gocce di rugiada che la bagnano, che sor­ rida ai raggi del sole che la sfiorano; si direbbe che la natura si sia prodigata per fornirle a gara freschezza, bellezza delle forme, profumo, vivacità e gra­ zia. La rosa impreziosisce tutta la terra: ed è la più comune fra i fiori. TI gior­ no in cui la sua bellezza raggiunge il culmine, la si vede sfiorire; ma ogni pri­ mavera rinasce fresca e rinnovata. Molti poeti l'hanno cantata, ma non è sfiorito il suo elogio, e basta il nome per ringiovanire le loro opere. Emblema di tutte le età, interprete di tutti i sentimenti, la rosa si unisce alle nostre ce­ rimonie, alle nostre gioie, ai nostri dolori. La spensierata allegria se ne coro­ na, il casto pudore prende in prestito il dolce incarnato; le si paragona la bel­ lezza, la si dona come premio alla purezza, è l'immagine della giovinezza, dell'innocenza, e del piacere; appartiene a Venere, e, rivale della bellezza stessa, la rosa possiede come lei, la grazia affascinante ancora più che la bel­

lezza stessa. Anacreonte, poeta degli amori, ha celebrato la rosa, e per elogiarla ade­ guatamente, è sufficiente citarne i versi. Dei fiori canto la più bella, La rosa, che di primavera è tesor; Taide, alla mia canzone novella

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ESTATE

La tua voce unisci e il suo chiaror. Degli umani la folla affascinata Ammira quest'offerta ricercata, E degli dei la brezza pura Dei suoi odori è profumata. Nella stagione degli amori, Delle grazie la schiera ridente, Per tessere i ghirigori, Va a raccogliere la rosa nascente; Venere, ruba i suoi colori, Per sembrar più affascinante; La rosa è cara alle dotte sorelle, E il poeta felice ne è cantante; Nel cespuglio, per cogliere, La mano scivola e sfida la spina; Com'è dolce allora cogliere Dell'amore la gemma porporina, E in un attimo di splendore Assaporare l'essenza divina ! Delle feste l a rosa è l'onore, E in questi giorni in cui ogni bevitore A Bacco eleva l'animo intero; A lui, il lume è meno caro Che quest' amabil fiore. Senza rosa, che si può fare? Dei saggi che Apollo adora Leggete le parole armoniose; Lei tinge le dita all'Aurora; Delle ninfe le braccia graziose Le devono il chiarore che le decora, E del più tenero delle sfumature radiose Venere intera si colora. Spesso per i nostri mali il suo pudore È stato utile al Dio Epidauro, E le sue ghirlande sono ancora Ai morti l'ultimo favore. Se pure il tempo le fa affronto, n bosco della rosa è ancora ornato, E, fino al suo ultimo momento, n profumo della gioventù viene esalato. Ma come, è giusto che sia narrato La terra partorì questo bel risultato? Mentre scivolava sulla schiuma,

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GIUGNO

Emerse dalla valle commossa dell'onda Di Cipro l'incomparabile regina Afrodite, arrossendo d'esser nuda; Quando, dalla mente del creato Terribile e esalante guerra, Si slanciò la dea altera Gli dei per il suo aspetto hanno vacillato; Cibele, a questo duplice portento, Non oppose, per incantare lo sguardo, Che un bocciolo e il suo giovane gambo. L'Olimpo contemplandolo sorrise E sulla pianta sparse Nettare della dolce rugiada; Dai profumi del cielo annaffiata, All 'improvviso, fresca e maestosa, Comparve, sulla fronda spinosa, 1 La rosa che Bacco elesse.

UNA FOGLIA DI ROSA MAI INOPPORTUNA.

Ad Amadan si trovava un'accademia il cui statuto era formtÙato in questi termini: «Gli accademici penseranno poco, scriveranno poco, e parleranno ancora meno». n dottor Zeb, conosciuto in tutto l'oriente, venne a conoscenza dell'eventualità che si fosse liberato un posto in accademia: e accorse per at­ tenerlo; purtroppo arrivò tardi. L'accademia se ne rammaricò: aveva concesso al potere ciò che atteneva al merito. n presidente, non sapendo come recupe­ rare un rifiuto che imbarazzava l'intera assemblea, si fece portare una coppa che riempì d'acqua fino all'orlo, solo una goccia in più l'avrebbe fatta traboc­ care. Lo studioso comprese, con questo segno simbolico, che non c'era più posto per lui. Si ritirò avvilito, quando scorse un petalo di rosa ai suoi piedi. Alla sua vista, si fece coraggio; lo raccolse, e lo pose così delicatamente sull ' ac­ qua contenuta nella coppa, che neanche una goccia ne fuoriuscì. L'ingegnosa trovata ricevette il plauso di tutti i presenti, e il dottore fu ammesso, per ac­ clamazione, fra i membri degli accademici silenziosi.

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Anacreonte, traduzione di M. de Saint·Victor.

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ESTATE

Origine delle Rosières CORONA DI ROSE RICOMPENSA PER LA VIRTÙ .

San Medardo, vescovo di Noyon, nato a Salency, da famiglia illustre, isti­ tuì, dove nacque, il premio più toccante che la pietà abbia mai offerto alla vir­ tù. n premio consisteva in una semplice corona di rose; ma, per riceverlo, bi­ sognava che le concorrenti, le ragazze del villaggio, all'unanimità eleggessero, la più semplice, la più modesta e la più saggia. La stessa sorella di san Menar­ do fu eletta fra 532 , con coro unanime, prima rosière di Salency: ricevette la corona direttamente dalle mani del fondatore, e la consegnò, come esempio delle sue virtù, alle amiche d'infanzia. I secoli che hanno rovesciato regni, che hanno spezzato lo scettro di tanti re, hanno rispettato la corona di Salen­ cy: è passata di protettore in protettore sul capo dell'innocenza; possa poter incoronare per sempre, e donare felicità a chi la meriterà ! Quando M. de Fon­ tanes, un poeta, cantò in versi i verzieri, scrisse: Purtroppo ! bella rosière, Altri doteranno la dimora, Non ho né una cascina, né un armento, Ma di una rosa posso adornarti il cappello.

ROSA BORRACCINA AMoRE, vowrrÀ .

Osservando la rosa borraccina con le spine, senza punta, e il calice cir­ condato da un verde tenero e delicato, si direbbe che la voluttà abbia con­ teso questo fiore all'amore. Ma dame de Genlis raccontava che al ritorno dall'Inghilterra, tutta Parigi le fece visita per ammirare il primo roseto di questa varietà. Ma, Madame de Genlis era già celebre, e il roseto non era che il pretesto della folla per incontrarla: la modestia la fece incorrere nel­ l' errore; anche perché, questo roseto, originario della Provenza, è noto da parecchi secoli.

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GIUGNO

UN MAZZO DI ROSE SBOCCIATE FATE DEL BENE.

Questi fiori sembra che invitino i potenti a fare del bene: la riconoscenza è più dolce del loro profumo, e la stagione del potere è spesso più breve della loro bellezza. UNA ROSA BIANCA E UNA ROSSA PENE o ' AMORE.

TI poeta Bonnefons inviò, al suo amore, due rose, una bianca e l'altra dal più vivido aspetto: la bianca, per indicare il chiarore della pelle, e la rossa per simbo­ leggiare il fuoco del suo cuore; al bouquet aggiunse anche questi quattro versi: Per te, Dafne, questi fiori schiusi leggermente; L'una bianca, vedi, l'altra vivamente Splende: l'una dipinge il mio pallore, L'altra la mia passione: insieme il mio dolore.

UN ROSETO FRA UN CIUFFO D'ERBA. C'È SOLO DA GUADAGNARE A STARE IN BUONA COMPAGNIA.

Un giorno, raccontava il poeta Sadi, vidi un roseto circondato da un ciuffo d'erba. «Cosa ! Gridai, una vile piantina insieme a delle rose? Stavo per affer­ rare l'erba, quando mi disse umilmente: risparmiami, non sono una rosa, è ve­ ro, ma perlomeno dal mio profumo posso dire di aver vissuto con le rose».

FILOSOFIA DELLE ROSE Per arricchire le lezioni di saggezza, spesso le muse hanno preso in prestito agli amori una rosa. Questi splendidi fiori, emblema del piacere, hanno però breve durata. Si può dire della bellezza ciò che Malherbe diceva d'una fanciulla: Apparteneva a questo mondo dove le più belle cose Ricevono avverso destino; E da rosa visse come le rose, Lo spazio di un mattino.

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ESTATE

n celebre Roman de la Rose, che deliziò la corte di Filippo il Bello, sembra non sia stato scritto che per mettere in guardia dal dar retta ad un seduttore. Ecco la trama del libro, un amante appassionato, che si strugge e si dibat­ te, per possedere una rosa. Ma questo amante così tenero, che non trova nien­ te di pari alla rosa che adora, non può prima godere del suo dolce profumo, così la sdegna e l'abbandona. Questo romanzo in versi fu composto da Guillome de Lorris, e comple­ tato da J ean de Meung quarant'anni dopo. Adorata rosa ! al levarsi dell'aurora Uno sciame di zefiri ti sorvola; Ciascuno giura che ti adora, E con fedeltà eterna ti consola. Ma il sole, coricandosi fra le onde, Vede mutar in spregio il dolce amore: E schiere ingrate e vagabonde Senza pensiero fuggono col tuo colore. 2 Amata gemma appena esplosa Diffida di Cupido; Rimpiangerà il bocciolo Quando consumerà la rosa. 3

n pudore deve proteggere la purezza come la spina protegge la rosa 4 Giovane Egle, vuoi della rosa Conservare a lungo la freschezza? Sappi che in questo dolce fiore La natura ha saputo annodare Una foglia per celare 5 Una spina per salvaguardare.

L'adulto che parla d'amore ad una ragazza, è come il vento d'autunno che lascia appassire la rosa senza farla sbocciare (P.) .

2 Les Amours de Leucippe. 3 Hoffman. 4 V.]. Rosati. s Constant Dubos.

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GIUGNO

Una ragazza è il bocciolo ridente Della rosa che sboccerà; n suo boccio per Flora è da amare, E una spina la proteggerà. L'aculeo punge, assassina n vecchio che vuole carpire; Ma se è un giovane a venire, n bocciolo s'apre e non più spina. 6 Tu, la cui gloria è molto bella, Sei del gentil sesso delicato fiore, Sia la rosa tua modella, n suo chiarore viene dal pudore. Quest'ornamento della natura Sta celato sotto un arboscello, E, per proteggere la sua bellezza pura, Arma di spine il suo cancello. Ricca dei regali dell'aurora, Vuoi celarsi al dio del giorno, Meno la si guarda, e più la si onora: 7 La saggezza infiamma l'amor. Rosa, in chi vedo apparire Un chiarore così vibrante e mite, Morirai presto; e staremo a sentire Morirò prima di te: La morte, che sfugge la mia anima, Può raggiungermi con sgomento. Morirai un giorno senza tema, E io forse in un momento. 8

Smindride, della città di Sibari, un giorno lamentava che la grinza di una foglia di rosa gli aveva impedito di riposare. Per questo il filosofo Aristippe, respirando un giorno il profumo di una rosa, gridò: «Dannati siano gli scioc­ chi che hanno screditato sensazioni così soavi».

6 7 B

Guillemain. De Leyre. Abate di La Chassaigne.

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ESTATE

Oggetto d'amore e di filosofia, diceva Bernardin de Saint-Pierre, ecco la rosa, che affiora dalle fessure di una roccia umida, brilla di verde proprio, e zefiro la mantiene in equilibrio sul gambo ricoperto di spine, l'aurora la riem­ pie delle sue lacrime, e richiama, col suo profumo e col suo splendore, la ma­ no degli amanti. Talvolta una cantaride, annidata nella sua corolla, esalta il carminio col suo verde smeraldo; è allora che questo fiore sembra dirci che, simbolo di piacere per fascino e fugacità, porta in sé il rischio in superficie e il rimpianto nel cuore.

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LUGLIO

ARTEMISIA BEATITUDINE.

Incantevole fiore, non ho affatto dimenticato che hai protetto la mia infan­ zia; non ho affatto dimenticato quei giorni felici quando la mia nutrice, la vi­ gilia di San Giovanni, intrecciava, in segreto, i miei capelli biondi con una co­ rona di artemisia. E abbracciandomi mi diceva: «Cara piccolina, eccoti protetta, con cura, da tutte le paure, da tutti i crucci degli spiriti maligni e dal­ la cattiveria degli uomini». Rispondevo con tenere carezze alle sue attente pre­ mure; il mio giovane cuore si apriva alla fiducia; gli spiriti e la cattiveria erano per me la stessa cosa; ne avevo paura senza conoscerli. Ah ! Potessi oggi, an­ cora, indossare quella ghirlanda di fiori, e con un'innocente superstizione sconfiggere le avversità della vita ! Che non si pensi però che l'Artemisia sia una pianta senza utilità, senza virtù: riporto qui, in suo onore, ciò che ne scriveva Plinio, con la traduzione del vecchio Antoine du Pinet: «L'onore di scegliere il nome delle erbe non appartiene solo agli uomini, anche le donne ne sono affascinate, e hanno fatto la loro parte, infatti la regina Artémisia, moglie del ricco Mausoulus, re della Caria, s'industriò tanto, che battezzò col suo nome l'artemisia, che, d' all0r-. in avanti è stata battezzata par­ thenis. Tuttavia, ci sono varietà che hanno il n.Jme di arthemisia non grazie ad Artémisia, ma per via della dea Artémis Illithya, 9 del resto quest'erba è parti­ colarmente cara alle donne». In effetti, lppocrate, Dioscoride, Galeno, Zacu­ tus Lusinatus, e un esimio professore dei nostri giorni, 10 così come il celebre Alibert, hanno a loro volta esaltato le qualità dell'artemisia. Incantevole pianta, quando, piena di fiducia nelle tue soprannaturali virtù, credevo potessi proteggermi da ogni tipo di sofferenza, ignoravo che un tem-

9 Diana. 1 0 Gilibert.

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ESTATE

po una regina avesse conteso ad una dea la gloria di donarti il suo nome. Non sapevo che gli antichi sapienti, e gli studiosi d'oggi si occupassero delle tue virtù benefiche; ma queste superflue scoperte non hanno aggiunto niente alla mia riconoscenza. Se, un giorno in campagna mi smarrissi, e t'incontrassi, il mio cuore batterebbe all'impazzata, e i miei occhi si riempirebbero di lacrime; pensando alla mia infanzia felice, ai fuochi di San Giovanni, alla mia cara nu­ trice, alle ghirlande di fiori che sospendeva sul mio destino acerbo. Dolci ri­ cordi, ti devo ancora un istante di felicità.

GELSOMINO BIANCO COMUNE AMABILITÀ.

Ci sono persone dotate di un carattere positivo, che sembrano essere state messe al mondo per stare in società: hanno, nei modi, tanta spontaneità e na­ turalezza, che si adattano a tutte le posizioni, che si adeguano a tutti i gusti e valorizzano ogni carattere; sono così cortesi, che ascoltano comunque con in­ teresse qualsiasi cosa si dica, dimentiche di sé per compiacere; non adulano nessuno, non offendono mai: il loro merito è un vero dono, come quello d'un viso grazioso; piacciono, in una parola, perché la natura le ha volute amabili. n gelsomino sembra stato creato per essere espressamente il simbolo del­ l'amabilità. Quando, all'incirca nel 1560, gli esploratori spagnoli lo importaro­ no dall'India, se ne ammirava la flessuosità dei rami, la luce delicata dei fiori stellati; e si credeva che per curare una pianta così leggiadra e fragile, servisse riporla in serra calda; sembrò acclimatarsi: si provò negli aranceti e crebbe a meraviglia; la si piantò in piena terra, come oggi, senza ricevere alcuna cura, e superò i più rigidi inverni. Ovunque si vede l'amabile gelsomino tendere i suoi rami a nostro piacimento; li stende fra gli steccati, li intreccia ai pergolati, li allunga fra i boschi, li tiene fra i cespugli, e spesso li spiega in verdi tappeti lungo le terrazze e le muraglie. Altre volte pure, obbediente ai capricci e alle forbici del giardiniere, alza, un sottile rametto, una testa arrotondata, simile a quella di un giovane arancio; sotto ogni forma, offre una fioritura che profu­ ma, rinfresca e purifica l'aria dei boschetti: questi fiori delicati e attraenti of­ frono alla leggiadra farfalla delle coppe degne di lei, e alle diligenti api un miele squisito, abbondante e profumato. I pastori innamorati uniscono il gelsomino e le rose per impreziosire il dorso delle loro donne; e spesso questo semplice mazzetto, intrecciato a ghirlanda, corona la fronte della principessa. Si dice che il gelsomino, prima di arrivare in Francia, si trovasse in Italia: un duca della Toscana fu il primo a possederlo; tormentato da una gelosia mor-

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LUGLIO

bosa, questo bizzarro duca volle gioire da solo del suo affascinante tesoro; e impedì al giardiniere di donare un solo rametto, un solo fiore. n giardiniere sarebbe rimasto fedele, se non avesse incontrato l'amore; il giorno di festa in onore della sua donna, le donò un mazzo di fiori; e, per renderlo ancora più prezioso, lo intrecciò con un ramo di gelsomino. La ragazza, per conser­ varne la freschezza lo ripose nella terra fresca; il ramo restò verde tutto l'anno, e, la primavera seguente, lo ammirarono crescere e fiorire. La ragazza che ave­ va ricevuto delle nozioni dal fidanzato, lo coltivò; e lo moltiplicò con le sue mani. Era povera, e lui certo non ricco: una madre prudente impediva che unissero le loro miserie; ma l'amore aveva compiuto il miracolo, la ragazza seppe approfittarne: decise di vendere i suoi gelsomini, andarono a ruba tanto che racimolò un piccolo tesoro, da arricchirsene. Le ragazze toscane, per con­ servare il ricordo di questa avventura, portano, il giorno delle nozze, un bou­ quet di gelsomino, e hanno un proverbio che recita, se una ragazza merita di portare questo bouquet, è ricca da poter fare la ricchezza del marito. Mi piace pensare che il gelsomino francese discenda da quello che fu felicemente col­ tivato dalle mani dell'amore.

GAROFANO DEI FIORISTI AMORE VIVO E PURO. Dolce garofano, il tuo alito Estasia e rapisce i miei sensi; Sei tu che riempi il prato Di profumi soavi e intensi. Gli alcolati che esalano Dalla rosa fresca del mattino, Per me sono incantevoli, Ma la tua fragranza leggera e pura È un incenso che la natura 1 1 Alza in tributo ai cieli.

n garofano originario è semplice, rosso e profumato. La coltivazione ne ha raddoppiato i petali e moltiplicato la gamma di colori all ' infinito. Questi gra­ ziosi fiori si tingono di mille sfumature, dal rosa tenero fino al perfetto bianco, e dal rosso scuro al colore squill ante del fuoco. Si percepiscono pure sullo 11

M. CoNSTANT Duaos, Les Fleurs, idilli.

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ESTATE

stesso fiore due di questi colori che si urtano, si contrappongono e si confon­ dono. TI bianco puro è punteggiato di porpora, e il rosa è screziato di un rosso vivo e brillante. Comunemente si vedono anche questi splendidi fiori chiazza­ ti, tigrati, e altre volte nettamente rigati, così che l'occhio amm aliato crede di percepire nello stesso calice un fiore di porpora e uno d'alabastro. Quasi ugualmente vari nella forma come nel colore, il garofano schiude i suoi bellis­ simi fiori a ciuffetti, a coccarda, a pompon, e altre volte ancora prendono in prestito la forma e il colore della rosa; ma sempre conserva il suo delicato pro­ fumo, e tende a spogliarsi dell'esotica toilette per rimettere i suoi semplici fronzoli. Del resto persino la mano del giardiniere, che può raddoppiare, tri­ plicare, screziare e variare il suo manto, non saprà renderlo costante. Così la natura ha posto nel nostro cuore il seme più genuino del sentimento. L'arte e la società progredendo, e coltivando questo germe, l'abbelliscono, l'indeboli­ scono o l'esaltano. Cento cause insieme possono produrre effetti in costanti e variabili; ma malgrado i capricci, gli errori e gli scherzi incomprensibili del cuore umano, la natura dirige sempre l'amore allo scopo originario. La Rou­ chefoucauld scrisse: «il vero amore è come l'apparizione dei fantasmi, tutti ne parlano, ma in pochi li hanno visti». Cosa mai intendeva questo avvilente mo­ ralista per vero amore? Vuole far credere che il vero amore sia una chimera? No, il vero amore alberga in tutti i cuori; ma Ho visto l'amore ritratto in ogni stato; Vecchio, crudele, e irato; Dolce, infantile, cieco, denudato: Ognuno lo ferma come l'ha celebrato Generoso o sleale. Ma per meglio in vero definirne la forza vitale, Ciascuno modella col suo cervello Un Dio d'amore proprio e novello, E negl'intendimenti son passati, 12 Amori pari ai tipi degli innamorati.

Fu il buon Renato d'Angiò, Enrico IV d i Provenza, che, per primo, ha arricchito i giardini con garofani e rose rosse, a lui si deve anche l'uva mosca­ ta. Questo re, che amava i giardini, la pittura e le lettere, è l'autore di un'opera molto rara e interessante, che s'intitola: Queste de très-douce merci au cceur

d'amour.

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An toine Heroet.

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LUGLIO

VERBENA ESTASI .

Vorrei che i botanici aggiungessero una qualità morale a tutte le piante che descrivono: redigerebbero così una sorta di dizionario universale, compre­ so da tutti i popoli, e eterno quanto il mondo, poiché ogni primavera lo fa rinascere, senza alterarne il carattere. Gli altari del grande Giove sono stati distrutti; le foreste, testimoni dei misteri dei druidi, non esistono più; le pira­ midi d'Egitto spariranno un giorno, seppellite come la Sfinge sotto la sabbia del deserto; ma sempre il loto e l'acanto fioriranno sulle sponde del N ilo, sem­ pre il vischio crescerà sulla quercia, e la verbena sulle aride colline. Un tempo la verbena serviva per diversi tipi di divinazione; le si attribui­ vano mille proprietà, fra le altre quella di riconciliare i nemici; difatti tutte le volte che i romani inviavano gli araldi militari a portare alle nazioni la pace o la guerra, uno di loro era portatore di verbena. I druidi nutrivano per questa pianta una grande venerazione; prima di raccoglierla, celebravano un sacrifi­ cio alla Terra. Così i maghi, in adorazione del sole, tenevano nelle loro mani dei rami di verbena. Venere vittoriosa portava una corona di mirto intrecciata con la ver­ bena, e i tedeschi donano ancora oggi una ghirlanda di verbena ai novelli sposi, per porli sotto la protezione di questa dea. 1 3 Nel nord delle nostre province, i pastori raccolgono questa pianta sacra, con cerimonie e frasi soltanto a loro no­ te. Ne spremono il succo in base a determinate fasi lunari. E li si vede, medici e stregoni del villaggio, guarire uno dopo l'altro i loro padroni e da loro farsi te­ mere; poiché, se in grado di alleviare il dolore, possono, con gli stessi mezzi, gettare un maleficio sulle greggi o sul cuore delle ragazze. Assicurano che la verbena dà loro questo potere, soprattutto quando sono giovani e belli. È evi­ dente che la verbena è ancora, come un tempo, l'erba degli incantesimi.

LOGLIO VIZIO .

li Loglio è l'emblema del vizio; il suo gambo è simile a quello del frumento, cresce insieme alle migliori messi. La mano dell'agricoltore, sapiente e abile, estirpa quest'erba infestante con attenzione per non confonderla con il grano

13 BoucHET, Les Sérées, t. I, p. 1 80 bis.

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ESTATE

buono. Così un saggio maestro deve essere paziente per sradicare le inclinazio­ ni malvagie che nascono in un cuore giovane. Ma deve temere di soffocare i germi della virtù, sradicando quelli del vizio. La madre di Duguesclin si dispe­ rava vedendo sempre il figlio rientrare ogni giorno al castello sudicio, impolve­ rato e ferito; un mattino, decise di punirlo; ma una donna saggia le disse: «Guardati dal punirlo, verrà il giorno in cui gli stessi difetti che non tolleri fa­ ranno la gloria della sua famiglia e il rispetto del suo paese». Per una madre che commette un errore, molte altre si adoperano per coltivare il loglio nel cuore dei figli, e non si rendono conto che ha messo le radici al tempo della mietitura !

MALVA VISCHIO BENEFICENZA.

Simbolo della beneficenza, la malva vischio è alleata della povera gente. Cresce spontaneamente lungo il ruscello che la disseta, e intorno alla capanna che abita; ma si presta ad essere coltivata, e qualche volta si vedono i suoi steli confondersi fra i fiori dei giardini. Non è né amara, né ruvida, il suo aspetto è attraente e delicato; i fiori, d'un rosa delizioso, si armonizzano alle foglie e ai gambi, pure ricoperti da una peluria argentea e sericea. Colpisce parimenti per la delicatezza l'occhio che la guarda e la mano che la sfiora. I suoi fiori, i suoi steli, le sue foglie, la sua radice, tutto in lei è benefico. Si producono con il suo succo, sciroppi, pastiglie, paste eccellenti sia nel gusto che per la salute. li viaggiatore smarrito ha qualche volta trovato nella sua radice un ali­ mento gustoso e sostanzioso. Non serve altro che guardare ai propri piedi, per trovare nella natura prove d'amore e di attenzione. Ma questa tenera madre ha spesso nascosto nelle piante come negli uomini, le più grandi virtù nella più modesta apparenza.

ADONIDE DoLOROSI RICORDI. Non ho cantato che dell'ombra dei boschi, Flora, Eco, gli Zefiri e i loro leggeri aliti, n verde tappeto dei prati e l'argento delle fonti. Fra le foreste il mio eroe è vissuto; Fra i boschi Amore il suo riposo ha turbato. La mia Musa in suo favore di mirto si è ornata: Ho voluto celebrare l'amante di Citera,

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Adone, una vita dalle fuggenti ore, 14 Pianto dal Riso, compianto da Amore.

Adone fu ucciso da un cinghiale. Venere, che aveva abbandonato per lui le delizie di Citera, versò lacrime di dolore per la sua sorte: ma non andarono perse; la terra le accolse, e subito generò una pianta che si riempì di fiori, si­ mili a gocce di sangue. Fiori brillanti e passeggeri, fedeli simboli dei piaceri della vita, consacrati dalla bellezza stessa, ai dolorosi ricordi !

ACACIA - ROBINIA AMORE PLATONICO.

Le civiltà indigene dell'America hanno consacrato l'acacia al nume degli amori casti; i loro archi sono costruiti con il legno inalterabile di quest'albero, le frecce sono armate con una delle sue spine. Questi fieri figli del deserto, che niente può sottomettere, concepiscono un sentimento di estrema delicatezza; forse non riescono ad esprimerlo in parole, ma per loro trova espressione in un ramo di acacia fiorito. Qui una ragazza, come la civetta di città, porge que­ sto seducente linguaggio, e riceve, arrossendo, l'omaggio di chi ha saputo ac­ coglierla con rispetto e amore. È da più di un secolo che quest'albero è stato importato dalle foreste del Canada. TI botanico Robin, che per primo l'importò, gli diede questo nome. L'acacia, dispiegando la sua ombra leggera nelle zone boschive, i suoi fiori odorosi, e la sua deliziosa e fresca verzura, sembra prolungare la primavera. L'usignolo ama costruire il suo nido su questo recente abitante dei nostri cli­ mi: il dolce usignolo, quasi rassicurato dalle lunghe e robuste spine che pro­ teggono la sua famigliola, scende alle volte sui rami più bassi degli alberi, per lasciare ascoltare più da vicino i suoi incantevoli concerti.

1 4 LA FoNTAINE, Adonis, poema.

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GIGLIO COMUNE MAEsTosiTÀ.

È

il re dei fiori e la rosa è la regina.

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Dal centro di un ciuffo di foglie allungate che, si sviluppano, si riversano e si pressano l'une sulle altre, come a formare un trono circolare di verzura, si vede ergersi uno stelo elegante e superbo, che termina in un grappolo di lun­ ghi boccioli d'un verde tenero e lucente. n tempo insensibile ingrossa e im­ bianca i boccioli del bel grappolo, e, verso la metà di giugno, s'inclinano e si dispiegano in sei petali d'un biancore scintillante. La loro unione forma dei vasi ammirevoli, dove la natura ha racchiuso degli stami dorati, che espan­ dono ondate di profumo. Questi splendidi fiori, inclinati per metà sul gambo slanciato, sembrano chiedere e ottenere omaggio da tutta la natura; ma il gi­ glio, malgrado il suo fascino, ha bisogno di una corte per apparire in tutto il suo splendore. Da solo, sembra freddo e desolato; circondato da mille altri fiori, li oscura tutti: è un re, la grazia, è la sua maestosità. Qui non è facile trovare il giglio originario: viene dalla Siria; un tempo adornava gli altari del dio d'Israele, e coronava il capo di Salomone; ma regna nei nostri giardini da tempo immemorabile. Carlomagno voleva che condivi­ desse, con la rosa, la gloria di profumare i suoi giardini, e, se si vuol credere alle storie tramandateci dai nostri avi, il valoroso Clodoveo ricevette un giglio celeste il giorno in cui la vittoria e la fede gli furono donati. Per Luigi VII i fiori del giglio rivestivano il triplo simbolo del suo splendore, del suo nome e del suo potere: li inserì nello scudo, nel sigillo, nella moneta. Filippo Augu­ sto lo inserì nel suo stemma. San Luigi indossava un anello smaltato a rilievo raffigurante una ghirlanda di gigli e margherite, sul cui castone c'era inciso un crocifisso con il motto: Fuori da questo anello, potremmo trovare amore? per-

1 5 Boisjolin.

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ché in effetti, quest'anello rappresentava, per il magnanimo monarca, l' emble­ ma di ciò che aveva di più caro, la religione, la Francia, la moglie. Fu anche l'idea religiosa di Carlo V di fissare a tre il numero dei fiori di giglio; dal suo regno in poi, questo numero non è più stato modificato; ma, se il giglio celeste da Clodoveo in poi campeggiò sul mantello e sullo scudo dei re, diede anche il suo colore allo stendardo dei nostri guerrieri. li pennacchio di Enrico IV, che portò sempre la Francia alla vittoria, era bianco come un giglio: era il simbolo di un'anima pura, e di una gloria senza macchia.

VIOLACCIOCCA DEI GIARDINI BELLEZZA PERENNE.

I greci, che amavano i fiori, ignoravano l'arte di coltivarli e prendersene cura; crescevano nei campi, e li ricevevano sempre dalle mani della natura. Fu­ rono i romani ad apprendere, insieme alle arti della Grecia, il gusto dei fiori, e anche una viva passione per le corone, tanto che fu necessario difenderne l'u­ so nel dettaglio. Questi maestri di vita non coltivavano che violette e rose, e campi interi, coperti di questi fiori, presto sconfinarono sui diritti di Cerere. I prodi galli ignorarono a lungo ogni tipo di delizia: le loro mani guerriere di­ sdegnavano anche il vomere dell'aratro. Per loro, il giardino, dominio della donna, non conteneva che piante aromatiche e ortaggi. Ma infine i costumi si addolcirono, e Carlomagno, terrore del mondo e padre del suo popolo, s'in­ namorò dei fiori. Nelle sue capitolari, raccomandava la coltivazione del giglio, della rosa e della violacciocca. I fiori importati vennero introdotti nel terzo se­ colo. Ai tempi delle crociate, i guerrieri portarono varie piante dall'Egitto e dalla Siria. I monaci, allora abili agricoltori, se ne presero cura. Fecero dappri­ ma il fascino dei loro pacifici eremi; poi si estesero alle aiuole: e divennero la gioia delle feste e il lusso dei castelli. Ciononostante la rosa è ancora rimasta la regina dei boschetti, e il giglio il re delle vallate. La rosa, è vero, ha breve du­ rata, e il giglio, che fiorisce più tardi appassisce altrettanto presto. La violac­ ciocca, meno attraente della rosa, meno superba del giglio, ha una lucentezza più duratura: costante nei suoi benefici, offre tutto l'anno i suoi bellissimi fiori rossi e piramidali, diffondendo un odore persistente che rapisce i sensi. La più bella violacciocca è rossa: colore che le ha conferito il nome che la distingue, colore che contende in lucentezza il porpora di Tyr. C'è anche una varietà in­ cantevole di violacciocca bianca; ma anche violetta e screziata che non è affat­ to senza fascino; ma dopo che l'America, l'Asia e l' Mrica ci hanno donato i loro brillanti omaggi, si è trascurata la violacciocca, figlia dei nostri climi, così -

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cara ai nostri avi. Ciononostante, ho visto in Germania effetti sorprendenti re­ si con il solo merito di questo bel fiore. In un antico castello del Lussemburgo, sono stati disposti, su un immenso terrazzo, quattro file di vasi, bianco puro e dalla forma particolare, di maiolica solida allo stato rustico; questi vasi, dispo­ sti ad anfiteatro ai due lati della terrazza, erano carichi delle più brillanti vio­ lacciocche rosse. Posso assicurare che non avevo mai visto niente che potesse eguagliare questa attraente e rustica decorazione. Verso il tramonto, soprat­ tutto, si sarebbe detto che delle fiamme vive fuoriuscissero da questi vasi bian­ chi come la neve, e brillanti a perdita d'occhio su dei ciuffi di verzura. Mentre, un odore balsamico e benefico si sollevava tutt'intorno. Le donne più sensibi­ li, anziché esserne infastidite, si sentivano rallegrate e rinvigorite. Questo fiore spicca dunque, nelle aiuole, come una bellezza viva e pura che diffonde un senso di felicità intorno a sé; la salute, primo fra i beni, senza cui non c'è né felicità, né bellezza perenne.

GRANO RICCHEZZA.

I botanici assicurano che non si trova da nessuna parte il grano allo sta­ dio primitivo. Questa pianta sembra essere stata consegnata, dalla Provvi­ denza, alle cure degli uomini, insieme alla scoperta del fuoco, per assicurare la vita sulla terra. Con il grano e il fuoco, si è potuto conquistare e guada­ gnare gli altri beni. L'uomo, con il grano, può nutrire tutti gli animali do­ mestici che sostentano la sua vita e condividono le fatiche del lavoro: il pol­ lo, l'anatra, l'asino, la pecora, la capra, il cavallo, i bovini, il gatto e il cane che, con una metamorfosi meravigliosa gli rendono, in cambio, uova, latte, lardo, lana, sostegno, amicizia e riconoscenza. Il grano è la prima fonte di socializzazione, poiché la coltivazione e la lavorazione richiede forte impe­ gno, e aiuto reciproco: non a caso gli antichi chiamavano l'adorata Cerere, legislatrice. Un arabo, smarritosi nel deserto, e digiuno da due giorni, stava per morire d'inedia. Passando nei pressi di un pozzo, dove soggiornavano le carovane, scorse sulla sabbia una piccola sporta di cuoio; la raccolse: «Dio sia lodato, dis­ se, credo ci sia un po' di farina». Aprì in fretta il sacchetto; ma alla vista del con­ tenuto, gridò: «Che io sia maledetto ! non c'è che della polvere d'oro ! 1 6 ».

1 6 SADI, Gulistan o L'Empire des roses.

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UN BOUQUET DI DALlE LA MIA RICONOSCENZA SUPERA LE TUE CURE .

Questa pianta è originaria del Messico, dove un tempo se ne cucinavano le radici cotte sotto la cenere. All'inizio del secolo scorso, la si coltivava in Fran­ cia come pianta alimentare. Tuttavia presto venne abbandonata per via del sa­ pore fortemente aromatico; ma questo svantaggio ne fece la fortuna, poiché esclusa dagli ortaggi venne coltivata per i giardini. Colpiti dall a quantità e dall'altezza dei suoi steli, dalle foglie carnose d'un verde scuro e discreto, così terso da sminuire la vivacità dei fiori, sfavillanti con i dischi e i petali di velluto violetto e imporporati, i botanici furono entu­ siasti di coltivarli. Dapprima li coltivarono in una serra temperata dosando l'aria, l'acqua e un calore sapientemente calcolato. Fu così che poco alla volta la pianta iniziò a fiorire otto mesi l'anno, dai primi di luglio alla fine di febbraio. Ma, per magia ! Presto si comprese che non solo la dalia riconoscente mol­ tiplicava i colori all'infinito, ma che raddoppiava, triplicava, quadruplicava i petali della corolla, variandone regolarmente le sfumature e le forme, così va­ rie da richiamare l'aspetto della rosa, il pennacchio del garofano, lo sfarzo e la luminosità delle rigogliose peonie. I coltivatori attenti si accorsero pure di poter a piacimento accrescere o accorciare i gambi di questa pianta, ridurli a tre piedi d'altezza, o erigerli fino dieci, in modo da decorare con pari risultato le composizioni dei canestri e i cespugli dei giardini. Ma chi potrà mai descrivere la varietà infinita dei colori scuri, ricchi, lucen­ ti, abbaglianti di cui si veste quest'incantevole fiore? Chi mai renderà l'attraente varietà delle sfumature delicate, eleganti e vivaci? chi spiegherà il fascino che sprigionano tutti questi colori fusi insieme, abbinati, variabili all'infinito ! che sfarzo ! che ricchezza ! che attraente varietà ! la veste bianca appare tutta scre­ ziata di corallo e porpora; la veste porpora è variopinta d'oro e d'argento; ce ne sono i cui raggi si sposano col bianco più puro, col rosato più scuro, altre i cui petali sono orlati dei più ricchi colori dell'aurora; altre ancora, il cui cuore sprigiona fiamme; e alcune con le sfumature carminio della rosa. n manto dell'iris impallidisce vicino alle ricche ghirlande, che l'arte può ammirare in un solo fiore, un fiore così splendente che da solo dà vita e arric­ chisce un'intera aiuola. Così la dalia, importata dal Messico, e raffinata coltivata a Parigi, s'è poi diffu sa in Olanda, dove si realizzano pittoresche aiuole realizzate semplice­ mente del suo fiore. In seguito venne coltivata nei piccoli Stati della Germa-

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nia, dove decora i luoghi pubblici, le fontane e le tombe. Oggi la si trova dap­ pertutto, in Prussia, in Danimarca, in Svezia, dove il suo nome rievoca l'illu ­ stre botanico André Dahl di cui questo fiore porta il nome. In Inghilterra, la dalia è particolarmente oggetto d'un florido commercio. In Italia, i suoi ciuffi splendenti, un po' sottovalutati, si legano a quelli dei più nobili fiori. In Russia, si realizzano delle aiuole interne che si intravedono dalla strada o attraverso grandi vetrate di puro cristallo; alle volte questa vista lon­ tana offre la delicata parvenza di primavera ai tristi inverni di questi rigidi climi. La dalia è consacrata alla riconoscenza; se avesse due profumi, uno sareb­ be per l'amore.

CALENDOLA DEI GIARDINI PENA, DISPIACERE.

Ho visto in un'importante collezione un quadretto di Madame Lebrun. Quest'interessante artista aveva rappresentato il dolore come un giovane pal­ lido, esangue, con la testa inclinata prostrato dal peso di una ghirlanda di ca­ lendule. Tutti conosciamo questo fiore dorato, simbolo delle sofferenze dell'a­ nimo; offre ad un attento osservatore parecchi indizi significativi; fiorisce tutto l'anno; infatti i romani la chiamavano fiore delle calende, cioè di tutti i mesi. I suoi fiori non si aprono che dopo le nove del mattino fino alle tre del pome­ riggio; tuttavia, si rivolgono sempre al sole, e seguono il suo corso da oriente a occidente. Durante i mesi di luglio e agosto, i suoi fiori si lasciano scappare, durante la notte, delle scintille luminose; caratteristica in comune con i fiori del nasturzio, oltre allo stesso colore. Si può modificare in questo modo il triste significato della calendula. Uni­ to alle rose, diviene simbolo del dolce mal d'amore; da solo, esprime la noia; intrecciato ad altri fiori, rappresenta la catena volubile della vita, sempre in bilico fra bene e male; in oriente, un bouquet di calendule e papaveri esprime questa riflessione: «Lenirò il tuo dolore». È soprattutto con simili connubi che il linguaggio dei fiori si rende interprete dei nostri sentimenti. Margherita d'Orleans, discendente di Enrico IV, aveva per stemma una calendula rivolta al sole, e per motto: Non voglio seguire che lui solo.

Questa virtuosa principessa intendeva dire, con questa massima, che tutte le sue riflessioni, i suoi affetti, si rivolgevano al cielo, come la calendula al sole. -

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AGOSTO

RESEDA LE TUE QUALITÀ SUPERANO IL TUO FASCINO .

È trascorso appena un secolo da quando la reseda è stata importata dal­ l'Egitto. Linneo paragonava il suo profumo a quello dell'ambrosia. Questo profumo è più dolce, più penetrante all'alba e al tramonto che durante il resto del giorno. La reseda fiorisce dai primi giorni di primavera fino alla fine di ottobre: ma se ne può godere in inverno, tenendola in una serra temperata; allora, diviene legnosa, longeva, eretta, e diventa, con qualche cura, un piccolo arbusto dall'effetto incantevole. Lo stemma di un'illustre famiglia sassone ha come sostegno un ramo di reseda. Ecco in quale occasione questo modesto fiore si è unito agli antichi allori. Amalia di Nordbourg aveva diciotto anni; nulla mancava al chiarore della sua pelle, al suo spirito, al suo aspetto; il suo sguardo faceva sbocciare l'amore; solo il suono della sua voce l'avrebbe ispirato. Una madre, ancora giovane, aveva coltivato nella sua aiuola quest'amabile fiore. Quando si pre­ sentò in società per presentare la figlia, tutti furono stupiti nel constatare co­ me si prestassero reciproco fascino: alcuni s'interrogavano su quanto fosse sta­ ta bella la madre, altri sostenevano che la figlia sarebbe stata a lungo bellissima. Una folla di ammiratori circondava la ragazza che piaceva parimen­ ti per le sue grazie, le sue ricchezze e la sua modestia. Fra tutti gli spasimanti, notò il conte Walstheim. Walstheim s'innamorò per la prima volta. Un aspetto fiero, uno spirito vivace e complesso, un'aria tutta francese e una fortuna im­ mensa, avevano già in precedenza attirato sguardi d'interesse, nessuna tuttavia l'aveva colpito. Ma, a vederlo vicino ad Amelia, risultava evidente che fossero fatti l'uno per l'altra. L'invidia aveva stuzzicato gli animi, la gelosia stessa era costretta ad ammirare in questi amanti tutto ciò che di divino c'è sulla terra, la bellezza, lo spirito, la giovinezza, trasportati dalle illusioni del primo amore. Ma, purtroppo ! sulla terra, non c'è luce che non abbia la sua ombra. I successi di Amelia, stavano modificando il sentimento. n cuore apparteneva al suo amante; ma, pur amando lui, voleva piacere a tutti. E Walstheim aveva una debolezza, la gelosia; ma una forma di delicatezza tratteneva questo sentimen­ to in fondo al cuore; Amelia se ne accorse, e, anziché gestire una così funesta propensione, la sollecitò e ne rise. Cresceva insieme ad Amelia una ragazza unite da amicizia e legami di san­ gue. Charlotte non era bella, se così si può dire di chi ha buon cuore. Era po­ vera, un incidente l'aveva deturpata, delle sventure avevano dissipato la sua fortuna; ma era generosa, e, se faceva del bene, che lo immaginasse o che ne parlasse, tornava ad essere graziosa, la sua anima si infiammava e gli occhi -

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ESTATE

brillavano d'un fuoco di dolcezza. Quando stava in compagnia della cugina si sentiva felice, la serenità le distendeva i tratti, e appariva attraente, anche vi­ cino Amelia, ed anche agli occhi di Walstheim. Spesso l'aveva vista recarsi sot­ to un tetto cadente; e andarsene ricolma di gratitudine; le ragazze ammiravano i vestiti che Charlotte aveva filato per il giorno dd matrimonio della cugina; l'anziano cui aveva dato conforto le era grato, le madri erano serene ad affi­ darle i figli. «È un angdo dicevano i poveri, se fosse ricca saremmo felici». Spesso questo concerto di dogi aveva raggiunto il cuore di W alstheim. Una sera, in campagna, durante una riunione in casa della madre di Amelia si de­ cise di fare una passeggiata. Charlotte si fece attendere, Amelia s'innervosì. Ma quando il colonnello Formose, più conosciuto fra le donne che al campo d'onore, arrivò, l'agitazione di Amelia scomparve. Alla fine rinunciarono alla passeggiata. Quando Charlotte li raggiunse, nessuno le disse niente; perché nessuno sembrò accorgersi di lei. Walstheim, soltanto, scorgendo la segreta emozione nei suoi tratti, si disse: «Avrà fatto qualcosa di buono». Venne proposto un gioco, in cui le donne avrebbero scelto dei fiori e W alstheim avrebbe attribuito un significato. Iniziarono. Amelia prese una ro­ sa e l'appoggiò sul petto; Charlotte un ramo di reseda. Mentre Walstheim pensava a formulare i versi, i giochi continuarono, e infine dovette pagare la penitenza di abbracciare le donne. Sulle prime si accinse con gioia ad ese­ guire una così dolce penitenza; ma, avvicinandosi ad Amelia, rimase turbato, esitava, impallidiva, e, senza osare neanche avvicinarsi per baciarla, si ritirò con aria distaccata. li colonnello Formose sorrise; e, condannato alla stessa pe­ nitenza, si avvicinò ad Amelia, e gettando un'occhiata beffarda su Walstheim, disse: «E anch'io sarei discreto, un bacio sciuperebbe delle gote così pure; ma, dal momento che un soldato ubbidisce agli ordini, darò il bacio richiesto al fiore che ha scelto». Amelia sorrise e mise la mano sul bouquet. Ma, le labbra dell'intrepido colonnello sfiorarono il fiore sul più bd seno in assoluto. Walstheim si trattenne, tremando. E senza volerlo i suoi occhi si diressero su Charlotte, e comprese, che condivideva la gravità della sua pena. Ciononostante si volle leggere cosa W alstheim avesse scritto sui fiori scelti. Ma, strappò i versi scritti e dedicò alla rosa queste parole: Non visse che un giorno, non piacque che un momento.

E queste al ramo di reseda di Charlotte: Le tue qualità superano il tuo fascino.

Alla lettura, Amelia lanciò uno sguardo sdegnato a Walstheim e alla cugi­ na, continuando a flirtare con il colonnello. Quando s'accorse che Walstheim - 54 -

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AOUT.

AGOSTO

la ignorava, fece mill e stravaganze per attirare l'attenzione. n colonnello ne ap­ profittò abilmente, e tentò prima della fine della serata di farle una mezza di­ chiarazione; questa proposta fu così tonante, che Walstheim sentì; ma piutto­ sto che indignarsi, si complimentò con Formose per un trionfo così fulmineo, e si rivolse a Charlotte alla ricerca di un sostegno. Charlotte, incredula, osser­ vava prosternata la cugina; ma la rabbia e il dispetto erano uniti nel cuore fra­ stornato dell'altra ragazza, e futilmente la spinsero fra le braccia dell'uomo, che avrebbe fatto la sua sventura e infelicità. Fu così, infine, che Charlotte divenne la sposa di Walstheim: in pena, mal­ grado tutto, per la sorte della cugina; mentre il conte felice della sua scelta, volle consacrare per sempre l'istante della sua liberazione e della sua felicità, aggiungendo al suo stemma un ramo di reseda.

DATURA CARISMA FALLACE. Spesso un'indolente bellezza bloccata dall'apatia, languisce tutto il giorno e si nasconde ai raggi del sole. La notte, con incredibile civetteria, si mostra agli amanti. La luce incerta delle candele, complice dei suoi artifici, le presta un chiarore ingannevole; seduce e incanta. Ciononostante il suo cuore non cono­ sce l'amore, le servono dei prigionieri, delle vittime. Ragazzo imprudente, fuggi all'avvicinarsi di questa incantatrice; per amare e per piacere è sufficiente essere naturali, l'artificio è superfluo. Chi vi ricorre è sempre perfida e pericolosa. I fiori della datura, simili a quelle bellezze notturne, languiscono sotto un fo­ gliame opaco e sbiadito, finché il sole splende. Ma, al calar della sera, si rianima­ no, sfoggiano il loro fascino, e stendono le enormi campane che la natura ha ri­ vestito di porpora foderate d'avorio, e a cui ha affidato un profumo che attira, che inebria, ma che è così pericoloso, che asfissia, anche all'aperto, chi lo respira.

BIGNONIA SEPARAZIONE. Quante incantevoli armonie si generano dalla simbiosi fra piante ed ani­ mali ! La farfalla abbellisce la rosa, l'usignolo dà voce ai boschetti, l'ape, bot­ tinando, anima il fiore che le offre il dolce tesoro. Così, in tutta la natura l'in­ setto è destinato al fiore, l'uccello all'albero, il quadrupede alla pianta. L'uomo soltanto può gioire dell'insieme delle cose, e solo lui può rompere la catena di comunione d'amore, che lega l'universo. L'avida mano impruden-

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te vuole sottrarre una creatura all'ambiente che l'ha vista nascere e, non pen­ sando che alle proprie convenienze, dimentica il più delle volte la pianta che avrebbe fatto dimenticare alla nuova prigioniera le dolcezze della patria. Sra­ dica la pianta, non tollera l'insetto che la abita, l'uccello che l'abbellisce, e il bruco che si nutre delle sue foglie e si riposa sotto la sua ombra. Se si osserva la bignonia con il suo verde tenero e i suoi fiori porporini, qui dà sempre l'idea di essere una pianta esotica. Sempre gli preferiamo il grazioso caprifoglio, da cui l'ape succhia il miele, la capra bruca le foglie, e offre il suo frutto a orde di merli, di capinere, di fringuelli, di cardellini. Senza dubbio, la ricca bignonia cercherebbe di riequilibrare tutti questi vantaggi ai nostri occhi, se la vedessi­ mo animata dall'uccello mosca della Florida, che, nelle vaste foreste del Nuo­ vo Mondo, preferisce questo ricco fogliame a qualsiasi altro riparo: «Costrui­ sce il nido in una delle sue foglie che arrotola a cono; trova nutrimento nei fiori rossi, simili a quelli della digitale, dove beve dalle ghiandole nettaree; vi affonda l'esile corpicino che all'interno del fiore sembra uno smeraldo in­ cassato nel corallo, e talvolta si spinge così avanti, che si lascia rapire». 1 7 Que­ sto piccolo essere è l'anima, la vita, il prolungamento della pianta che ama; diviso da quest'ospite aereo, questa bella liana non è che una vedova desolata, che ha perso tutto il suo fascino.

TARASSACO o DENTE DI LEONE ORACOLO. Passeggiare in pianura, sulle chine delle colline, in alta montagna, e guar­ dare ai propri piedi, non si tarda a scorgere dei rosoni di verzura carichi di fiori dorati, o di sfere leggere e trasparenti. E riconoscere il proprio amico d'infanzia: è il dente di leone, l'oracolo dei campi; da consultare dappertutto. I denti di leone, come i figli degli uomini sono naturalmente sparsi sulla terra; li si trova nelle quattro parti del mondo, al polo e all'equatore, sulle rive delle acque e sulle rocce aride; ovunque si offrono alla mano che vuole coglierli, o all'occhio che intende consultarli; i loro fiori che si chiudono e si aprono ad una certa ora, fungono d'orologio al pastore solitario; e i suoi ciuffi piuma ti gli predicono calma o burrasca: Legge al cuore dei fiori, vede sulle loro foglie I disegni dell' altano, l'avvicinarsi della burrasca.

1 7 Études de la nature, t. I, p. 69.

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Ma queste bolle leggere servono pure per altri due impieghi. Se si vive lon­ tano dall'oggetto del nostro amore, si stacchi con attenzione una di queste pic­ cole sfere trasparenti; si carichi ciascuna delle piccole balze che la compongo­ no, di un tenero pensiero; poi ci si rivolga ai luoghi abitati dall'amore, si soffi, e tutti questi piccoli viaggiatori, messaggeri fedeli, porteranno ai suoi piedi i segreti omaggi. Se si desidera sapere se il nostro amore ricambia l'affetto, si soffi ancora; e, se resta un solo pennacchio, è la prova che non ci dimentica; ma questa seconda prova, va fatta con attenzione; bisogna soffiare dolcemen­ te; poiché, a nessuna età, anche in quella effervescente degli amori, bisogna soffiare troppo forte sulle dolci illusioni che arricchiscono la vita.

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I FIORI Nei climi temperati la primavera si ammanta di una veste verde smagliante di fiori, e deve solo alla natura tutti gli ornamenti. L'estate, con il capo coronato da fiordalisi e papaveri, fiera della messe dorata, riceve dalle mani degli uomini una parte del suo mantello, mentre l'autunno sembra offrire i frutti perfezionati dalle industrie. La pesca succulenta è tinteggiata dei colori della rosa, la squisita albicocca appare ricoperta di tutto l'oro che il cuore dei ranuncoli sprigiona, e l'uva del porpora delle splendide violette, la mela risplende del chiarore dei bril­ lanti tulipani: tutti questi frutti somigliano talmente a dei fiori che sembrano creati unicamente per il piacere della vista; invece dovunque forniscono cibo in abbondanza, e l'autunno che li riversa sulle nostre tavole sembra annunciare che la natura ha esaurito i suoi ultimi benefici. Ma all'improvviso Flora rigoglio­ sa si rigenera nei campi. Questa dea errante, figlia del commercio e dell'indu­ stria, era sconosciuta in Grecia e alla modestia dei nostri avi. Occupata a per­ correre la terra senza posa da due secoli, ci arricchisce delle spoglie del mondo. Arriva e le aiuole tristi, incolte, si rivestono di un nuovo chiarore: la margherita cinese si unisce all'elegante garofano dell'India, la reseda dei bordi del Nido cresce ai piedi della tuberosa orientale; l'eliotropio, il nasturzio, e la bella di notte del Perù, si crogiolano all'ombra della leggiadra acacia di Costan­ tinopoli; il gelsomino persiano si salda alla bignonia per coprire i pergolati, per abbellire i boschetti; la rosa di Damasco, la croce di Gerusalemme, che rievoca le crociate, erigono le loro teste scintillanti vicino la persicaria d'oriente; e l' au­ tunno, che un tempo non trovava che una ghirlanda di pampini, si meraviglia di ricoprire così numerosi ornamenti e di annodare al verde delle sue corone le ro­ se sempre fiorite che crescono nei campi di Bengali. Questa varietà così prezio­ sa, questi piaceri così puri, si devono a Enrico IV 1 che, fondando il Jardin des

1 Generalmente, si assume che il ]ardin des Plantes fu fondato da Luigi XIII; ma Enrico IV ebbe per primo l'idea. E al Louvre, nel Jardin de l'Infante, che amava far coltivare le piante che il viaggiatore Moquet portava con sé dalle differenti parti del mondo. (Si veda i Voyages de Moquet) .

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Plantes, sembrava voler annettere con catene di fiori il suo popolo a tutte le po­ polazioni del mondo. È quasi incredibile osservare come queste piante esotiche abbiano mantenuto il loro istinto e le loro peculiarità naturali ! La sensitiva si ritira nella mia mano come su quella di un americano; la calendula d' Mrica, an­ nuncia a me, come agli abitanti del deserto, i giorni secchi o piovosi. li convol­ volo del Portogallo mi avverte che, fra un'ora, quel che resta del giorno sarà tra­ scorso, e la bella di notte annuncia al timido amante che alla fine l'ora dell'incontro sta per scoccare. Nei loro più leggeri movimenti L'osservatore vede un presagio: E quelli, col loro dolce linguaggio, Indicano la fuga dei momenti Che li sciupano al loro passaggio. Sotto un cielo senza nuvole, Eccola là, prevedendo il temporale, Chiude i padiglioni lucenti; E sui bordi delle fresche montagnole, Al rumore lontano dei venti. Se l'una, dall'alba svegliata, Annuncia i lavori del giorno, E, sulla prateria smaltata, S'apre e si chiude a turno; L'altra s'addormenta ombreggiata, E della sera attende il ritorno, Per non mancare l'ora dell'amore E il piacere d'essersi risvegliata. n campagnolo, il lavoratore Vi leggono il destino della giornata; n tempo, la calma, la frescura, i beni e i mali dell'annata. Legge a cos'è destinata Nel calice di una fioritura. Libro affascinante della natura, Io amo la tua semplicità ! La tua scienza non è oscura, Ti amiamo per la tua verità, Ci trattieni con la voluttà, E ci affascini con la tua figura. Ma, dei più teneri sentimenti, I fiori offrono ancora l'incanto; Sono i piaceri del santo, Incantano gli amanti Che si servono del loro canto.

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Da quest'amabile e lusinghiera arte La bellezza non viene mai offesa, E spesso la sua anima oppressa Confida ai colori di un bouquet I dolci segreti della sua intesa. n loro linguaggio è quello del cuore: Esprimono la tenerezza; Esprimono il fervore E il desiderio di giovinezza. Senza mai dispiacere al pudore, L'amante li offre alla bellezza, E arde ancora, nella sua ebbrezza, Di donarle il buonumore Di cui un bouquet fa promessa. 2

MIOSOTIDE RICORDATI DI ME; NON TI SCORDAR DI ME.

Non ho visto mai miosotidi palustri così belle ed abbondanti come lungo le sponde di un ruscello del Lussemburgo. Gli abitanti chiamano questo rigagno­ lo vasca delle fate, o cascata della quercia incantata; questi due nomi, derivano certamente dalla bellezza della sorgente, che sgorga, gorgogliando, ai piedi di una quercia vecchia come il mondo. In partenza le acque di questo ruscello sal­ tano di cascata in cascata, sotto una lunga volta di verzura, che non abbando­ nano finché non scorrono lentamente lungo una vasta prateria; e qui, appaiono all'occhio estasiato come un lungo filo d'argento. La sponda più esposta al mezzogiorno è la sola ricoperta di una fitta bordura di non ti scordar di me; i graziosi fiorellini di questa pianta risplendono nel mese di luglio di un blu si­ mile a quello del cielo; e s'inclinano come se provassero piacere a specchiarsi nel cristallo d'acqua, di una purezza assoluta. Spesso nei giorni di festa le ra­ gazze dai bastioni della città, scendono sulle sponde di questo ruscello. A ve­ derle coronate dei fiori che bagna le si confonderebbe con altrettante ninfe, che celebrano dei giochi in onore della bagnante della quercia incantata. A ra­ gione, l'autore delle Lettres à Sophie racconta che la miosotide fu un tempo og­ getto di una toccante metamorfosi, forse meno toccante che la verità storica dei fatti. «Ho sentito raccontare in Germania, scriveva, che, molto tempo fa, due giovani amanti, la vigilia del loro matrimonio, passeggiavano lungo le sponde

z AlMÉ MARTIN, Lettres à Sophie, t. I.

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del Danubio; un fiore blu celeste si reggeva in equilibrio fra le onde e rischiava d'essere travolto. D ragazzo si precipitò, per afferrare lo stelo fiorito, e cadde inghiottito dalle acque. Si racconta che, con un ultimo sforzo, abbia lanciato questo fiore sulla riva, e che un istante prima di sparire per sempre gridò un'ul­ tima volta: «amami, non ti scordare di me». Per raccontare l'amore questi fiori sembrano fiorire; n loro linguaggio è solo una parola, ma com'è sublime Nella mano degli amanti sa sempre dire: Amami, non ti scordare di me . 3

ASTRO DELLA CINA VARIETÀ. Quando si vide per la prima volta l'astro della Cina sfavillante nelle aiuole; gli si attribuì il nome di astro cinese. In effetti gli splendidi fiori brillano come stelle e sono originari della Cina. Fu P. d'Incarville , missionario, che intorno al 1730 ne spedì i semi al ]ardin du Roi. Se ne ottenne sulle prime una varietà semplice, e d'un colore uniforme; ma, in seguito, la coltura raddoppiò, triplicò, quadruplicò all'infinito i fioroni satinati che coronano il suo disco. Una fra le più belle varietà trasforma i rosoni dorati dei larghi dischi in steli cavi simili alla peluria degli anemoni. Si suppo­ neva, erroneamente, che i cinesi non conoscessero che la varietà violetta espor­ tata; possiedono invece tutte le varietà che ammiriamo, e sanno anche sfruttare queste varietà per creare, con l'astro della Cina, decorazioni dall'aspetto così armonioso difficile da descrivere a parole. Per preparare queste decorazioni, coltivano questi fiori in vasi, poi ne separano colori, e sfumature, disponendoli con un'arte sublime, in modo da ottenere lunghi tappeti, che non s'interrom­ pono né si confondono. Spesso raddoppiano quest'effetto, ponendo quest'in­ canto fiorito nei pressi di un corso d'acqua. Io ho voluto provare questa deco­ razione di cui un esperto viaggiatore mi aveva ampiamente parlato, ma mi mancavano, per ottenere l'effetto desiderato, la varietà delle sfumature e anche dei colori, ma soprattutto l'ammirevole pazienza cinese, che non conosce osta­ coli. Ciononostante, la mia piccola aiuola, più radiosa che spenta, è piaciuta a chiunque la guardasse, e ci siamo meravigliati del fatto che niente di simile fosse tentato per l'arredo dei nostri giardini pensili e delle nostre feste.

3 Lettres à Sophie, t. I.

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Simbolo della varietà, l'astro della Cina deve ad una coltivazione ben riu­ scita il suo ammirevole fascino; la mano esperta del giardiniere ha arricchito i suoi dischi dorati di tutti i colori dell'arcobaleno. Così il pensiero può accre­ scere all'infinito, le potenzialità dello spirito. Maestoso e leggiadro, l'astro della Cina non è l'impudente rivale della rosa, ma ne fa le veci e si sostituisce all'eventuale assenza. TUBEROSA VoLUTTÀ. Com'è lusinghiero il suo balsamo, ma com'è pericoloso ! 4

Guy de la Brosse, che ha progettato il Jardin du Roi, scrive così nella sua originale opera sulla natura delle piante: «Non mi piacciono le ripetizioni inu­ tili di vecchie idee nei libri nuovi; piuttosto mi sembra più opportuno indaga­ re la verità alla sua fonte». li caro Guy de la Brosse aveva pienamente ragione; la natura è un libro insondabile, e sempre nuovo, tanto che ogni giorno si può incorrere in scoperte eccezionali. I frutti più appetibili, più gustosi, arricchiscono il cuore della terra dalla notte dei tempi, e ciononostante la maggior parte di questi beni preziosi e affascinanti ci sono sconosciuti, oppure lo erano: si consideri la tuberosa, co­ sì appariscente, così profumata, così perfetta da piacere a tutti; non è stata importata dall a Persia che nel 1 632 , da padre Minuti: fiorì in Francia per la prima volta, da M. de Peiresc, a Beaugencier, a Tolone. Questo bellissimo fiore era ancora modesto: ha raddoppiato i suoi petali molto dopo, grazie alle cure dell'abile coltivatore de Leyde, detto Lecour; da allora ad oggi si trova in tutta la terra. In Russia, non fiorisce, è vero, che per i re e per i loro stretti collaboratori; ma cresce naturalmente in Perù; cresce senza essere col­ tivato, e viene abbinato al luccicante nasturzio per adornare il dorso della focosa americana. La tuberosa, questa superba figlia d'oriente, cui l'illustre Linneo ha dato il nome d'eccellenza di polyanthe, fiore degno delle città, è qui oggi, come in Persia, il simbolo della voluttà. Un giovane icoglane, che riceve dalle mani della sua signora uno stelo di tuberosa in fiore, va in estasi; poiché così interpreta questo felice simbolo degli amori: «Il piacere supererà

la pena 5 ».

4 RoucHER, Les Mois, poema. s Secrétaire turc, p. 1 02 , v. 42 .

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Tutti riconoscono ed ammirano i grappoli bianchi e stellati della tuberosa; da questi incantevoli grappoli si slancia uno stelo alto e allungato, ed espande, dondolandosi nell'aria, un profumo pungente e inebriante. Se si vuole godere senza rischi di un odore così seducente, è preferibile tenersi a distanza. Se si vuole accrescere il piacere che offre, avvicinatevi con chi amate a respirarlo al chiaro di luna, nell'ora in cui l'usignolo sospira. Allora, per una segreta virtù, questi profumi soavi aggiungeranno un fascino indefinibile ai vostri deliziosi piaceri; ma, se imprudenti, ne godrete senza moderazione, se vi avvicinerete troppo, questo incantevole fiore non sarà che un pericoloso incantatore, che, inebrierà, versando in seno un veleno pericoloso. Così la voluttà che vie­ ne dal cielo affina e moltiplica le delizie di un amore casto; ma quella che a t­ tiene alla terra stordisce e ammalia la folle giovinezza. Nelle sue braccia innamorate l'imprudente l'ha stretta, Quando all'improwiso, rapiti dal dolce languore, Le braccia si prostrano ai piedi del fervore. Di questo impetuoso sconosciuto la giovinezza allarmata Vuole evitate i tratti del dio che l'ha incantata; Ma, già ! le resistenze mutano in piaceri. I suoi pianti in speranza, i rimpianti in desideri ! Confusa, ricade al centro delle sue catene: Un fascino involontario accompagna le sue pene: Vorrebbe odiare, non può che amare; n cuore cerca la calma e si lascia infiammare. È allora che ai suoi occhi si spalanca l'abisso: Ma un canale di fiori la conduce al delitto.6

BELLA DI GIORNO, O CONVOLVOLO DEL PORTOGALLO CIVETTERIA. Ai fuochi di cui l'aria scintilla S'apre la bella di giorno; Zefiro la adula con l'ala: La birichina ancora appella Le farfalle dattorno. Civette, ecco il vostro emblema: n gran giorno, allo scalpore date attenzione.

6 BERNIS, Épitre.

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Brillare è la vostra arte suprema; Senza fulgore, l'estasi medesima 7 Non ha attrazione.

ELIOTROPIO DEL PERÙ EBBREZZA: TI AMO. Chi vede il tuo fiore ne berrà il veleno ! Ha inebriato di piacere la saggezza E di desideri la fredda ragione. 8

Gli orientali sostengono che i profumi innalzano la loro anima verso il cie­ lo; è vero che esaltano e che danno una sorta di ebbrezza: la loro persistenza è così profonda, che unita ai ricordi regala, anche dopo molti anni, tutta la forza d'una sensazione presente. Luigi XIV amava appassionatamente l'odore delle tuberose. Quest'odore richiamava in lui, senza dubbio, un ricordo toccante di quell'incantevole figlia che mostrò al mondo come un re potesse essere amato per sé stesso. Made­ moiselle de la Vallière, dopo avere dato tutto per Luigi, fu nominata figlia d'o­ nore di Maria Teresa; la sua camera era accanto l'appartamento della splendi­ da principessa. Diventata madre nel cuore della notte, questa fragile amante ebbe la forza di soffrire senza commiserarsi; e, dal momento che la regina sa­ rebbe dovuta passare la mattina stessa accanto al suo letto per recarsi a messa, Mademoiselle de la Vallière, sperando di sviare i sospetti, fece coprire il cami­ no di tuberosa, e si alzò per andare al cospetto della regina. Così quest'infelice tentava di alleviare il suo tormento interiore provando, a rischio della sua stes­ sa vita, il suo rispetto per la virtù: un tempo, si credeva che l'odore delle tu­ berose fosse mortale per una donna debilitata, e quest'opinione non può non avere un fondo di verità. La contessa Eleonora, figlia naturale di Cristiano IV, re di Danimarca, ce­ lebre per le sventure, i crimini e l'esilio del conte Ulfeld, suo sposo, offre una prova abbastanza indicativa del potere dei profumi sui ricordi. Questa princi­ pessa aveva amato, a tredici anni, un ragazzo, suo fidanzato. n ragazzo morì nel castello stesso dove fervevano i preparativi per le nozze. Eleonora, dispe­ rata, volle dare l'ultimo addio al suo triste amore; si fece condurre nella came­ ra ardente. n corpo era steso in una cassa coperta di rosmarino. La scena, l'o-

7 Philippon de la Madeleine. s Bemis.

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dore, rimasero impressi in Eleonora; si sa, in questa circostanza, dimostrò un coraggio uguale al suo dolore, ma non riuscì più da allora a respirare l'odore del rosmarino senza essere preda delle più violente fitte. Un giorno, il celebre botanico Jussieu, erborizzando nelle Cordigliere, si sentì all'improvviso inebriato da deliziosi profumi: pensava che avrebbe sco­ perto un fiore straordinario, ma non vide altro che dei graziosi cespugli, d'un verde tenero, alla cui base spiccavano delicatamente delle spighette d'un blu sbiadito; si avvicinò a questi cespugli alti dieci piedi, e vide che i fiori di cui erano carichi si volgevano leggermente verso il sole, sembrava quasi lo con­ templassero con amore. Meravigliato da questa posizione, gli diede il nome di eliotropio. Questo nome è composto da due parole greche, helios, sole, e trepo, io mi volgo: fiore che si rivolge al sole. L'appassionato botanico, affasci­ nato dalla nuova conquista, si affrettò a raccogliere i semi di questa pianta, per spedirli al Jardin du Roi, dove sono poi cresciuti. Le donne accolsero questo fiore con entusiasmo: lo piantarono nei vasi più preziosi, e lo chiamarono erba dell'amore, ricevendo con indifferenza i bouquet in cui il loro fiore preferito non era stato inserito. È dunque sotto la protezione delle donne che l' eliotro­ pio peruviano, coltivato per la prima volta a Parigi, nel 1740, ha conquistato tutti e s'è diffuso in tutta Europa. Si domandò un giorno ad una bellissima donna che aveva una passione per l'eliotropio, quale fascino avesse ai suoi occhi un fiore triste e senza luce: «li profumo dell'eliotropio, rispose, è per la mia aiuola quello che l'anima è per la bellezza, la voluttà per l'amore, e l'amore per la giovinezza».

SOLE o GIRASOLE fALSA RICCHEZZA.

li girasole è originario del Perù, dove questi fiori erano adorati come im­ magine dell'astro del giorno. Le vergini del sole, nelle loro cerimonie religiose, indossavano una corona d'oro che rappresentava questo fiore immenso, sfavil­ lante nelle loro mani e sul loro seno. Gli spagnoli, rimasero abbagliati da que­ sto sfarzo, soprattutto, quando videro dei campi interi ricoperti da granturco e girasoli, imitati con tale maestria, che l'oro con cui erano realizzati, sembrò a questi avidi conquistatori quasi meno apprezzabile. Ma dopotutto, il fasto di quella popolazione americana che meravigliava, risplende ancora in tutto l'o­ riente: il trono del gran Mogol è sovrastato da una palma d'oro con dei frutti di diamante, gli intonaci della sala dove il monarca riceve gli ambasciatori, so­ no rivestiti da una vite d'oro smagliante, la cui uva è realizzata con ametiste, - 68 -

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zaffiri e rubini, che ne rappresentano il diverso grado di maturazione. Ogni anno, l'entusiasta possessore di tanta ricchezza viene pesato; i pesi sono dei piccoli frutti d'oro che vengono lanciati, dopo la cerimonia, ai cortigiani che si affannano per contenderseli. Ma questi cortigiani sono i più grandi si­ gnori dell'India; così la falsa ricchezza, al cui solo pensiero l'uomo volgare ri­ mane turbato e affascinato, avvilisce ugualmente chi la possiede e chi la desi­ dera. I meravigliosi giardini di Alcinoo, non racchiudono né palme, né viti, né messi d'oro e diamanti, ciononostante tutti i tesori del gran Mogol non po­ trebbero corrispondere uno solo di questi alberi che il divino Omero ricopriva di fiori e frutti in tutte le stagioni. Si narra che Pizia, benestante di Lidia, possedesse parecchie miniere d'o­ ro, e trascurasse la cura delle sue terre, impiegando i numerosi schiavi nei la­ vori in miniera. La moglie, di chiara saggezza e bontà, un giorno gli fece ser­ vire per cena delle pietanze d'oro. «Ti porto, gli disse, la sola cosa che hai in abbondanza: non si raccoglie che ciò che si semina; valuta tu se l'oro è un be­ ne così prezioso !», la sensibilità di Pizia rimase profondamente colpita, e rea­ lizzò come la Provvidenza non avesse consegnato la vera ricchezza all'avarizia degli uomini; ma che, come un'amorevole madre, si era riservata la premura di distribuirla ogni anno ai suoi figli, come ricompensa per il più degno dei mestieri. P. Jean de Bussières ha avuto l'idea singolare di dividere la sua Histoire universelle in un progetto, in cui tutti gli eventi della terra fossero paragonati ai fiori che ne ricoprono la superficie. Così, i tempi persecutori dei patriarchi, gli sembrava potessero rapportarsi all'iris, fiore che annuncia gli eventi; il tu­ lipano, alla veste di Giuseppe; il narciso, a Ciro e il girasole, ai tempi del gran­ de Costantino: poiché affermava, tutto lo sfarzo di questo fiore si riduce ad un inutile legno; così la potenza di un impero che si elevò tanto in alto, decadde presto. Questo testo singolare è dedicato alla Santa Vergine: risulta così evi­ dente come la simbologia floreale possa parimenti rappresentare le passioni che sconvolgono gli imperi, e le passioni che agitano gli amanti.

VIOLACCIOCCA DELLE MURAGLIE FEDELE AL DOLORE.

Gli inglesi chiamano quest'adorabile fiore violetta delle muraglie; in effetti ama crescere nelle fessure dei vecchi muri: la si vede su tutte le rovine, sulle case, sulle tombe. Spesso una pianta di violacciocca solitaria cresce nella mor­ tasa o nella feritoia di un antico castello. I suoi gambi fioriti sembrano com-

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piacersi di celare queste tristi invenzioni, che ancora attestano le atrocità e i disordini dell'epoca feudale. Un tempo i menestrelli e i trova tori indossavano un ramo di violacciocca come simbolo d'un affetto conservato nel tempo, e che resiste alle avversità. Quando il terrore regnava in Francia, una popolazio­ ne inferocita si scagliò sull'abbazia di Saint-Denis, per gettare al vento le ce­ neri dei re: dopo avere distrutto i marmi sacri, forse turbati dall'atto sacrilego, ne nascosero i resti dietro il coro della chiesa, in una corte cupa, dove la rivo­ luzione li ha dimenticati. Un poeta, visitando questo triste luogo, lo trovò sfol­ gorante di una decorazione inattesa: i fiori della violacciocca coprivano queste mura nascoste. Questa pianta fedele al dolore, espandeva in questo religioso recinto, dei profumi così soavi, che si sarebbero detti un pio incenso che si eleva al cielo. Alla vista, il poeta si sentì ispirato; scrisse: Ma quale fiore è che il pietoso istinto Sull'ala di zefiro soffia in questo punto? Come ! tu abbandoni il tempio dove vivono le radici, Sensibile violacciocca, amante dei cocci, n tuo tributo fedele accompagna i re? Ah ! giacché il terrore ha piegato al suo potere Del giglio sfortunato l'asta sovrana, Che i nostri giardini in lutto ti facciano regina; Trionfo senza rivale, e che il tuo santo fiore Cresca per la tomba, il trono, e il dolore 9 .

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TRENEUIL, Tombeaux de Saint-Denis.

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O C T ORltE .

:SOYEl U l UlE .

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EDERA AMICIZIA.

L'amore fedele trattiene con un ramo d'edera le rose passeggere che co­ ronano il suo capo. L'amicizia ha scelto per emblema l'edera che circonda di verde un albero mozzato, con queste parole: Niente può staccarmene. In Gre­ cia, l'altare nuziale era cinto da un'edera, e se ne donava un gambo ai novelli sposi, come simbolo di un legame indissolubile. I Baccanti, il vecchio Sileno, e Bacco stesso, erano coronati d'edera. Le foglie sempreverdi dell'edera era­ no, per questa corte gioiosa, il simbolo di una costante ebbrezza. Talvolta si è rappresentata l'ingratitudine come dell'edera che soffoca il suo sostegno: l'autore della raccolta di Études de la nature ha respinto questa calunnia; sti­ mando l'edera un modello per gli amici: «Niente, scrive, può separarla dal­ l' albero una volta che l'abbraccia; lo ripara con le sue foglie nella stagione crudele quando i rami anneriti non sostengono che la galaverna; compagna dei suoi destini, cade quando la si piega; la morte, stessa, non la separa, e arricchisce del verde costante il tronco ormai secco dell'appoggio di cui ha goduto». Queste idee, tanto toccanti quanto poetiche, racchiudono il merito di essere vere; l'edera cresce nella terra con le proprie radici, e non assorbe la linfa vitale dalle piante che la circondano; protettrice delle rovine, è orna­ mento delle vecchie mura che regge, non accetta affatto tutti i sostegni; ma, arnica costante, muore dove si lega.

CAPELVENERE DISCREZIONE.

Ad oggi, gli studi dei botanici su questa pianta non hanno raccolto che risultati tendenziosi, continua a celare alle attente ricerche il segreto dei suoi fiori e dei suoi frutti; non affida che allo zefiro i germi invisibili della sua gio­ vane famiglia. Questo dio sceglie da solo la culla dei suoi figli; delle volte si -

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compiace di formare, con l'ondeggiante chioma, l'oscuro velo che sottrae agli sguardi l'antro dove dorme, dall'inizio dei secoli, la bagnante solitaria; altre volte li porta sulle sue ali, e li fa sfavillare come verdi stelle in cima alle torri di un vecchio castello, o li dispone con attenzione a festoni leggeri, e ne decora i luoghi freschi e ombreggiati preferiti dai pastori. Così la felce mette in diffi ­ coltà la scienza, nasconde la sua segreta origine agli occhi indiscreti, ma si pre­ mura di dare risposta, con dei benefici, alla mano che l'interroga.

COLCI-ITCO BEI GIORNI PASSATI. Verso gli ultimi giorni d'estate s'intravede brillare, sull'umida verzura dei prati, un fiore simile allo zafferano primaverile: questo fiore è il colchico d'au­ tunno; lungi dall'ispirare, come lo zafferano, la gioia e la speranza, annuncia a tutta la natura l'allontanarsi delle belle giornate. Un tempo si riteneva che questa pianta, originaria dei campi della Colchi­ de, dovesse la sua nascita a qualche goccia del liquido magico che Medea pre­ parò per ringiovanire il vecchio Giasone. Quest'origine favolosa ha fatto a lungo considerare il colchico come un agente protettivo da ogni malanno. Le donne svizzere legano questo fiore al collo dei loro figli, e li credono pro­ tetti da ogni male. La stravagante opinione sulle virtù miracolose di questa pianta ha incantato uomini gravemente sofferenti, anche l'esperienza del ce­ lebre Haller, è stata vana per sconfiggere le superstizioni legate all'ignoranza. Ma dopotutto il colchico interesserà sempre i ricercatori, concentrati sui fe­ nomeni botanici più singolari. La corolla a sei dentelli screziati di violetto, non ha né foglie né steli; un lungo tubicino, bianco come l'avorio, che non è che un prolungamento del fiore, è il solo sostegno; è sul fondo di questo tubo che la natura ha posto il seme, che non dovrà maturare che la primavera seguente. li baccello che lo contiene, profondamente sepolto sotto l'erba, sfi­ da i rigori dell'inverno; ma, con le prime belle giornate, questa sorta di culla esce dalla terra, e si crogiola al sole, circondata da un ciuffo di larghe foglie dal verde splendente. Così, questa pianta, rovesciando l'ordine consolidato delle stagioni, unisce i suoi frutti ai fiori di primavera e i suoi fiori ai frutti d'autunno. Ma, da sempre, i teneri agnellini fuggono alla sua vista; la pasto­ rella si rattrista; e, se alle volte la malinconia intreccia una corona dei suoi fiori di un blu morente, la consacra ai bei giorni passati che sono andati per non tornare più.

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LAUROCERASO PERFIDIA.

Dalle parte di Trebisonda, sulle rive del mar Nero, cresce spontaneamente l'alloro venefico, che nasconde sotto la leggiadra e brillante verzura il più fune­ sto di tutti i veleni; quest'albero, che adorna i boschetti in inverno, si riempie in primavera di numerose piramidi di fiori bianchi cui seguono dei frutti neri si­ mili a piccole ciliegie; i fiori e le foglie hanno il gusto e l'odore della mandorla. Si racconta che una madre premurosa, un giorno di festa, avesse intenzione di preparare per la sua famiglia una deliziosa pietanza, mise qualche etto di zuc­ chero e un pugno di foglie di lauroceraso in una pentola di latte bollente. Alla vista della festa organizzata gli occhi di tutti si riempirono di gioia. Ma sorpre­ sa ! Non appena assaggiarono il cibo fatale i visi di tutti si contrassero, i capelli si drizzarono sulla testa, il respiro precipitò, mille sospiri confusi strinsero il petto, un furore orribile li percosse, li agitò e s'impadronì dei sensi. La madre, incredula, avrebbe voluto chiedere soccorso; ma colta dagli stessi sintomi, do­ vette condividere lo strano delirio cui non poté addurre rimedio. n sonno cal­ mò alla fine le vertigini di questa terribile ebbrezza. Ma come dovette sentirsi la povera madre, quando il giorno dopo un esperto le rivelò che aveva dato ai figli un veleno in tutto simile a quello della vipera? 10 Questo veleno, concentrato nell'acqua distillata o nell'olio essenziale di lauroceraso, è così violento, che è sufficiente metterlo a contatto con la più leggera ferita per uccidere un uomo robusto. Delle regole preventive hanno proibito, in Italia, la vendita di questo tremendo veleno. Ciononostante avidi distillatori lo distribuiscono sotto il no­ me di essenza di mandorlo amaro. Si dice anche che il profumo di questo ter­ ribile alloro, possa evocare dal cuore degli inferi il demone degli incubi ! Fuseli, celebre pittore inglese, ha visto e dipinto con pennellate sublimi e bizzarre gli effetti di una simile imprudenza. Si pensi che ·ma ragazza in preda al mal d'a­ more, per assicurarsi sogni sereni, ripose sotto . a cuffia un ramo di lauroceraso. E presto un sonno pesante le serrò le palpebre. n fantasma evocato da un pro­ fumo che non può non riconoscere, apparve, e si sedette con il viso contratto in una smorfia sul petto dell'incauta ragazza. n dolore era rivelato da ogni tratto dell'imprudente ragazza, il capo si voltava con fatica, le braccia cadevano ai bordi del letto, il seno palpitava e si sollevava ansimante, si sentiva soffocare, l'arresto cardiaco sembrava minacciarla. Tormentata da una serie di sogni in­ coerenti, vedeva città assediate, vedove in lacrime, amanti stesi in bare sangui10

Fu Fontana che ottenne questo risultato.

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nanti; e trasportata in un deserto, in una notte buia e gelida, un assassino l'in­ seguiva con un pugnale, e il più spaventoso precipizio ostacolava la fuga; dei movimenti convulsi agitavano le membra, le mani si chiudevano, i piedi bloc­ cati non potevano tentare alcun movimento. Cercava invano di gettare un urlo, le labbra tremanti non riuscivano ad articolare; si sforzava inutilmente di aprire le palpebre paralizzate. Avrebbe voluto camminare, correre, nuotare, volare, trascinarsi; ma la volontà non ha potere sul sovrano del sonno. L'odioso demo­ ne comprimeva ancora il suo seno, si muoveva, stava in equilibrio, roteava gli occhi sanguinanti nelle orbite, ascoltava i suoi accenni imploranti e gioiva del­ l' orrore e della disperazione.

TUSSILAGINE ODOROSA RENDERE GIUSTIZIA. n genio, dissimulato sotto un'apparenza modesta, non colpisce gli occhi dell'uomo volgare. Ma se gli sguardi di un uomo illuminato lo incrociano, su­ bito è riconosciuto, e ottiene l'ammirazione di coloro cui l'ottusa indifferenza aveva impedito di comprendere. Un giovane mugnaio olandese, sentendosi portato per la pittura, si esercitava, nel tempo libero, a rappresentare i luoghi in cui viveva. n mulino, il gregge cui badava, un verde incantevole, i contrasti del cielo, delle nuvole, del vapore, della luce e delle ombre, ed ecco che le pennellate inesperte li riproducevano fedelmente. Non appena un quadro fu finito, lo portò in un negozio di belle arti, che corrispose, quanto bastava per fame un altro. Un giorno di festa, il locandiere del luogo, volendo abbel­ lire la sala in cui riceveva i suoi ospiti, acquistò due di questi quadri. Un cele­ bre pittore soggiornò in questa locanda, e ammirò il realismo dei paesaggi, of­ frì cento fiorini per quello che era stato stimato appena uno scudo, e, commissionandone, promise di comprare per lo stesso prezzo tutte le opere dello stesso autore. Ed ecco la reputazione del giovane pittore consolidata, e il suo destino compiuto. Ma tanto saggio quanto felice, non dimenticò il vec­ chio mulino; se ne trova l'immagine in tutti i suoi quadri, veri e propri capo­ lavori. Chi crederebbe che le piante hanno lo stesso destino degli uomini, e che hanno bisogno di un mentore per essere apprezzate? La tussilagine odorosa, malgrado l'odore soave, è vissuta a lungo del tutto ignorata ai piedi del monte Pila, dove senz' altro sarebbe fiorita ancora se un botanico, M. Villau de Grenoble, non avesse saputo apprezzarne le qualità be­ nefiche. Questa pianta profumata sboccia in una stagione in cui tutti gli altri fiori sono appassiti: e come il grande artista fece l'elogio del pittore sconosciu-

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to, M. Villau fece quello dell'umile fiore; gli riservò una posizione privilegiata nelle sue opere; e, da allora, la tussilagine, coltivata con cura, profuma sin dai primi giorni di dicembre i saloni più eleganti.

GERANIO SCARLATTO STUPIDITÀ. La baronessa Madame de Stael si innervosiva tutte le volte che si tentava d'introdurre, in società, un uomo privo di spirito. Un giorno un amico volle presentarle un giovane ufficiale svizzero, dall'incantevole aspetto. Sedotta dal­ l'apparenza, si animò, e rivolse mille apprezzamenti lusinghieri al nuovo arri­ vato che sulle prime sembrò ammutolito dalla sorpresa e dall ' ammirazione. Ma dopo un'ora che ascoltava senza aprire bocca, lei cominciò a diffidare del suo silenzio, e gli rivolse delle domande talmente dirette, cui dovette ne­ cessariamente rispondere. Purtroppo ! non rispose che sciocchezze. Madame de Stael si rivolse allo ra, irritata per avere sprecato attenzioni e interesse, verso l'amico, e disse: «In verità, caro, mi ricordi il mio giardiniere, che stamattina pensava di farmi piacere portandomi un vaso di gerani; ma io non l'ho accet­ tato, pregandolo di non portarne più in mio omaggio. - E perché mai? chiese l'uomo, stupito. - Perché, se vuoi saperlo, il geranio è un fiore tinto comple­ tamente di rosso: tanto che quando lo si osserva piace; ma quando lo si stringe leggermente, non esala che un odore repellente». Dicendo così, Madame de Stael si alzò e uscì, lasciando le gote del giovane tanto rosse quanto l'abito e il fiore cui era stato appena paragonato.

CIPRESSO LUTTO. In tutti i luoghi in cui questi alberi incrociano il nostro sguardo, il loro lu­ gubre aspetto suggerisce malinconici pensieri. Le loro alte piramidi rivolte al cielo, gemono sollecitate dal vento. La luce del sole non riesce a penetrare l'o­ scuro spessore, e quando gli ultimi raggi proiettano la loro ombra sulla terra, vi si riconoscerebbe un nero fantasma. Nei boschi fioriti, il cipresso si erige come le raffigurazioni della morte, che i romani, mostravano ai loro convitati, nell'impeto della loro folle gioia. Gli antichi hanno consacrato il cipresso alle parche, alle furie e a Plutone: e lo piantavano nei pressi delle tombe. Le popolazioni orientali hanno la stessa

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tradizione. I loro cimiteri non sono spogli o abbandonati: ricoperti d'ombra e di fiori, sono i luoghi delle cerimonie, sono viali pubblici che congiungono i viventi a chi li ha preceduti. È noto il rispetto che i cinesi dimostrano per le tombe degli avi. Spesso nei pressi di Costantinopoli, si vede una famiglia di armeni stringersi nel recinto di un monumento funebre. Gli anziani trovano spazio per meditare, i bambini si liberano alla gioia, e talvolta dei giovani amanti si giurano amore di fronte agli amici presenti e a quelli che hanno per­ duto. Più lontano si può anche scorgere l' orfanello solitario seduto ai piedi del cipresso che copre i genitori; vicino le loro tombe, si sente protetto. La vedova sola, prostemata sulla pietra che copre il suo sposo, prega, cerca nell'immagi­ ne stessa della morte la speranza che la consoli; ma la madre disperata che ha perso i figli non può trovare consolazione. 1 1 E tu, triste cipresso, Amico fedele dei defunti, protettore della loro cenere, n tuo fusto, caro alle anime malinconiche e tenere, Lascia al mirto la gioia e la gloria al lauro. Tu non sei l'albero felice dell' amante, del guerriero, Io lo so che è il tuo lutto a compatire le pene.

BELLA DI NOTTE TIMIDEZZA. Solitaria amante delle notti, Perché questi timidi voti, Quando la mia musa al giorno che rigetti Si appresta a rivelare le tue doti? Si, per pudore, agli indiscreti Occulta i tuoi fiori porporini; E a noi estorsori dei tuoi tratti Permetti ancora che li si indovini. Quando l'alba viene a svegliare Le brillanti figlie di Flora, Solo tu sembri sonnecchiare E temere il chiarore dell'aurora. Quando l'ombra cela le loro tintarelle, Tu riprendi allora la tua postura,

Il

Geremia, XXV, 1 5 .

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E dell'assenza delle tue sorelle Consoli la natura. Sotto il velo misterioso Dello spaurito candore, Non vuoi mostrarti al curioso, E non ne emerge che il tuo splendore. Si indaga, si vuole scoprire Le dolci ricchezze da te celate; Ah ! ma per ancora abbellire, 12 dona il tuo segreto alle nostre amate .

QUERCIA 0SPITALITÀ.

Gli antichi credevano che la quercia, nata insieme alla terra, avesse offerto ai primi uomini cibo e riparo. Quest'albero consacrato a Giove faceva ombra alla culla di questo dio, quando nacque in Arcadia, sul monte Liceo. La corona di quercia meno stimata fra i greci della corona d'oro, sembrava ai romani la più auspicabile delle ricompense. Per attenerla bisognava essere cittadini, avere uc­ ciso un nemico, riconquistato un campo di battaglia, e salvato la vita ad un ro­ mano. Scipione l' Mricano rifiutò la corona civica, per avere salvato il padre nel­ la battaglia della Trebbia: rifiutò questa corona, perché nell'azione stessa era implicita la ricompensa. In Epiro, le querce di Dodone fornivano responsi ora­ colari; quelle della Galli a racchiudevano i misteri dei druidi. I celti adoravano quest'albero: era il simbolo dell'ospitalità, virtù che gli era cara, tanto che dopo il titolo di prode, quello di amico e straniero era ai loro occhi il più importante. Gli amadriadi, le fate e i geni non incantano più le nostre oscure foreste; ma l'aspetto maestoso di una quercia incute ancora ammirazione, rispetto e timore. Ricca di forza e di vigore, quando svetta con la cima altera, ed estende le braccia immense, dà l'idea di una protezione certa, di un'imperatrice. Spo­ glia del verde, immobile, battuta dal fulmine, richiama l'immagine di un an­ ziano che ha vissuto secoli fa, e non condivide le agitazioni della vita. I venti impetuosi lottano talvolta contro questa fiera ginnasta: dapprima sussurra, ma presto un suono sordo, profondo, malinconico fuoriesce dai corpulenti rami. Tendendo l'orecchio, si direbbe di sentire una voce confusa e misteriosa che racconta delle ancestrali superstizioni della terra.

12 Constant Dubos.

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In Inghilterra, una sola quercia ha dato riparo a più di quattromila soldati, nello stesso paese, nei pressi di Shrewsbury, la quercia reale, ancora verdeg­ giante, ricorda le sofferenze di Carlo II, fuggitivo nel suo stesso regno. Questo principe trovò un riparo, un asilo, ma suo padre no .. . Che orribile ricordo richiama, purtroppo ! l'Inghilterra non è stata la sola a macchiarsi del sangue dei propri re . . . Alle porte di Parigi, s i mostra ancora, nel bosco di Vincennes, il posto oc­ cupato un tempo dall a quercia sotto cui San Luigi, come un tenero padre, pregava per rendere giustizia al suo popolo.

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AMARANTO IMMORTALITÀ.

L'Amaranto è l'ultimo regalo dell'autunno. Gli antichi avevano associato questo fiore agli onori supremi, cingendone la fronte degli dei. Alle volte i poeti hanno accostato la sua vivacità al triste e cupo cipresso, volendo così esprimere quanto i loro rimpianti fossero indissolubilmente legati a ricordi im­ mortali. Omero racconta che ai funerali di Achille i T essali si presentarono con il capo coronato di amaranto. Malherbe, come se la propria gloria appar­ tenesse agli eroi che celebra, disse a Enrico IV: La tua lode nel mio verso, D'amaranto coronata, Non sarà qui ultimata Ma lo sarà nell'universo.

L'amore e l'amicizia si sono anche adornati d'amaranto. Nella ghirlanda di Giulia, si legge questa quartina: Io sono il fiore d'amore che d'amaranto ha il nome, Che di Giulia adora i lucenti lumi, Desistete, o rose: ho io l'immortal nome, Sta solo a me di coronare i numi.

In un sentito idillio, M. Constant Dubos ha elogiato questo fiore che con­ sola dei rigori dell'inverno. Dopo aver pianto la perdita dei fiori e della prima­ vera, scrive: Ti vedo, bello e nobile amaranto ! Vieni ad offrire, per lenire il mio tormento, Del tuo velluto il ricco manto; Così la mano dell'amico sempre accanto, Quando tutto sfugge, viene ad asciugare il pianto.

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n tuo dolce aspetto, della mia lira dolente, Ha rianimato l'accordo languente: Ultimo tributo di Flora fuggente, Che tramanda, con il fiore cresciuto lentamente, n ricordo del suo primo presente.

La regina Cristina di Svezia, che volle immortalarsi rinunciando al trono per coltivare le lettere e la filosofia, fondò l'ordine dei cavalieri dell'amaranto. La decorazione di quest'ordine era una medaglia d'oro impreziosita da un fio­ re d'amaranto a rilievo, con questa incisione: Dolce nella memoria. Nei giochi floreali, a Tolosa, il premio ai più bei versi lirici è un amaranto d'oro. Clemenza Isaure ne aveva fatto il simbolo dell'immortalità.

PREZZEMOLO CERIMONIA. n prezzemolo aveva buona reputazione fra i greci. Nei banchetti, corona­

va i capi di leggeri ram etti, che si credeva sollecitassero l'allegria e l'appetito. A Roma, nei giochi istmici, i vincitori venivano coronati di prezzemolo. Si credeva che questa pianta fosse originaria della Sardegna, dal momento che questa provincia è rappresentata sulle medaglie antiche sotto forma di una donna accanto ad un vaso da cui fuoriesce un mazzetta di prezzemolo; ma questa pianta cresce naturalmente in tutti i luoghi freschi e ombreggiati della Grecia, e anche nelle nostre province meridionali. Guy de la Brosse so­ stiene che cresca pure nei dintorni di Parigi, sul monte Valeriano; ma è pre­ sumibile che la pianta che indica con questo nome non sia il vero prezzemo­ lo, poiché si attribuisce a Rabelais la sua introduzione in Francia, che, se bisogna dare credito ai sapienti, l'importò da Roma insieme alla lattuga ro­ mana; se così fosse, avrebbe fatto bene ad attribuire il suo nome a questo modesto dono. n Rabelais, come la Regina Claudia, è stato celebrato dai go­ losi di tutte le età. Peraltro, il bellissimo verde di questa pianta accresce la raffinatezza e l'eleganza delle pietanze che contorna: è il lusso del lesso di manzo con verdure; consente ai cibi più deliziosi di farsi apprezzare al me­ glio. Un rametto d'alloro e una coroncina di prezzemolo sono le prerogative che si convengono al dio delle cerimonie. Queste piante si sono prestate ai più nobili usi; ma, nel secolo dei gastronomi, non è il caso di rievocare cosa si facesse nel secolo degli eroi.

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CORNIOLO SELVATICO DuRATA. Il corniolo non è più alto di diciotto piedi: vive secoli; ma è molto lento a cre­

scere; fiorisce in primavera, ciononostante non offre i suoi frutti d'un rosso ac­ ceso che all'inverno. I greci avevano consacrato quest'albero ad Apollo, senza dubbio perché questo dio presiedeva alle opere dello spirito che richiedono mol­ to tempo e riflessione. Affascinante simbolo caro a coloro che desideravano col­ tivare le lettere, l'eloquenza e la poesia, e che peraltro, per meritare la corona di alloro, indossavano a lungo quella della pazienza e del pensiero. Dopo che Ro­ molo tracciò i confini della sua città natale, lanciò il giavellotto sul monte Pala­ tino. Il giavellotto, realizzato in legno di Corniolo, mise radici, crebbe, produsse rami, foglie, divenne un albero; questo prodigio fu considerato lieto presagio della forza e della potenza che avrebbe caratterizzato quest'impero nascente.

PAGLIA INTERA UNIONE.

PAGLIA SPEZZATA ROTTURA. La tradizione di spezzare la paglia, per esprimere che tutti i giuramenti sono rotti, risale agli albori della monarchia; si potrebbe dire che ha un'origine quasi regale. I vecchi cronisti raccontano che nel 922 , Carlo il Semplice, vedendosi ab­ bandonato dai principali signori della sua corte, commise l'imprudenza di convocare l'assemblea al Campo di Maggio, a Soissons. Qui cercò dei soste­ nitori, non trovò che dei faziosi la cui debolezza accresceva l'audacia. Gli uni gli rimproverarono l'indolenza, gli sperperi e la cieca fiducia nel ministro Haganon; gli altri si sollevarono contro le concessioni a Raoul, capo dei nor­ manni. Oppresso dai loro moti sediziosi, pregò, promise, credette di uscirne con nuove promesse, ma invano. Toccato nel vivo e senza risorse, la loro au­ dacia non trovò più remore: dichiararono che non l'avrebbero più riconosciu­ to come loro re. Proferite queste parole, rincarate dalla violenza e dalle vessa­ zioni, si diressero ai piedi del trono, spezzarono le paglie che tenevano in mano, le gettarono bruscamente per terra, e si ritirarono, dimostrando con questo gesto la rottura definitiva. -

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Quest'esempio è il più antico che ci sia pervenuto; ma, dimostra che, da molto tempo, questo modo di sciogliere un giuramento doveva essere in uso, visto che i grandi vassalli non ritennero fosse necessario aggiungere una sola parola che potesse servire a spiegare l'azione: erano quindi certi d'essere stati compresi, e così fu. Tanto tempo divide questa impressionante scena da quella più comica del Dépit amoureux di Molière; ciononostante l'una ha la stessa origine dell'altra: prendono spunto dalla stessa tradizione popolare; indipendentemente dalla distanza nel tempo. Ciò che serviva a destituire un re, a rovesciare un governo, oggi non può che spezzare un cuore. Sfortunati gli amanti le cui rotture si sono concluse come le rivoluzioni dei vecchi tempi ! MAZZO DI FIORI MORIREMO INSIEME. Si sa che una certa quantità di fiori e di frutti vizia l'aria, finché non è più respirabile e causa la morte. Questa triste proprietà ha ispirato al poeta tedesco Freiligrath una toccan­ te elegia; intitolata: La vengeance des fleurs. Al ritorno da un corso di botanica, due ragazze tornano a casa, chiudono le finestre, si stendono e s'addormentano. Ai loro piedi, in una cesta, si trova­ no i fiori che hanno da poco raccolto. Imprudenti ! Arriverà la madre, chi le avvertirà del pericolo che corrono? Già l'aria è malsana, l'atmosfera della stan­ zetta pesa e non è più respirabile, e le due ragazze oppresse si dibattono silen­ ziose sul letto. All'improvviso, dal centro della cesta di fiori si sollevano gli spi­ riti del narciso e della tuberosa. Queste due ninfe leggere danzano in cerchio cantando: Ragazze ! ragazze ! Perché ci avete tolto la vita? la natura non ci dà che un giorno, e voi l'avete spezzato ! Oh ! Com'era bella la rosa ! Com'era ra­ dioso il sole ! E ciononostante bisogna morire ! Ma noi saremo vendicate ! . .. E, così dicendo, le due ninfe sempre volteggiando, gemendo, si avvicinarono al letto delle ragazze, e soffiarono sul loro viso i velenosi profumi. Povere ragaz­ ze ! le guance livide ! le labbra pallide ! le braccia contorte ! Già ! il loro cuore non batte più, non respirano; si sono spente insieme. I fiori si sono vendicati !

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INVERNO

DICEMBRE

FOGLIE MORTE TRISTEZZA. MALINCONIA.

L'inverno avanza; gli alberi hanno perso le foglie dopo essere stati spoglia­ ti dei frutti; il sole, allontanandosi, riversa sw fogliame dei colori cupi e me­ tallici; il pioppo si copre d'un dorato pallido e spento, mentre l'acacia ripiega le leggere foglioline, che i raggi del sole non sveglieranno più: ciononostante la betulla lascia ondeggiare la lunga chioma già priva di ornamenti, e l'abete, che deve conservare la verde piramide, la mantiene in equilibrio nell'aria. Si vede la quercia immobile; resiste alla forza del vento, che non riuscirà a spogliare la sua cima altera; ma la regina delle foreste cederà alla primavera le foglie rosse dell'inverno. Si direbbe che ogni albero sia turbato da passioni differenti; l'u­ no si inclina sentitamente, come se volesse rendere omaggio a chi non vacillerà sotto la tempesta; l'altro sembra volere stringersi al compagno, sostegno della sua fragilità, e, mentre confondono, intrecciano i loro rami, un terzo si agita senza trovare pace, come se fosse circondato da ogni sorta di nemico: il rispet­ to, l'amicizia, l'odio, l'ira, penetrano a turno dall'uno all'altro. Così, battuti dai venti, e agitati da tutte le passioni, emettono lunghi muggiti, si direbbero le grida confuse di un popolo in allarme: non c'è voce che emerga; solo rumori sordi, profondi, uguali a sé stessi, che spingono l'anima in un inquieto delirio: spesso si vedono cadere per terra, già non più verdi, nuvole di foglie morte; coprono il sole di una veste vacillante. Com'è estasiante contemplare il tem­ porale che le spinge, le disperde, le scuote, e tormenta questi tristi resti di una primavera che non tornerà. I prati hanno perduto il vigore. Appena una gemma isolata Inclina una fronte senza colore Nella vallata disabitata; Un cupo e triste vapore Vela la riva desolata,

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INVERNO

E sulla foresta ondeggiata I venti soffiano con furore. Ah ! nelle foreste senza protezione Lungo i poggi sfioriti, La sera, al rumore sordo del ciclone, Camminando sui tristi relitti, Andrò a vedere il restante fogliame Cadere sui fili d'erba appassiti. Cedendo al malumore, Là, degli amici scomparsi Invocherò le ombre care E, con i sensi dolcemente scossi, Lascerò la mia vita scorrere Rivolgendo le mie mire Ai tempi dove non sarò più. 1

SORBO PRUDENZA.

Ogni albero, ogni pianta ha una fisionomia che le appartiene, e che le con­ ferisce una personalità. n mandorlo sventato desidera donare quanto prima i suoi fiori alla primavera, correndo il rischio di rimanere senza frutti per l' au­ tunno, mentre il sorbo, che cresce lentamente, non dà i suoi frutti finché non riacquista tutte le forze, e allora il suo raccolto è assicurato. Ecco perché è sta­ to eletto simbolo della prudenza. Quest'albero, così leggiadro, così resistente, mantiene tutto l'inverno i suoi frutti di un rosso acceso; li si vede spiccare fra la neve; è una messe che non si raccoglie che in inverno, e che la Prowidenza ha riservato agli uccellini.

VISCHIO COMUNE Io SUPERO OGNI OSTACOLO. n vischio è un piccolo arbusto che cresce sulla cima degli alberi più mae­ stosi; la quercia superba ne viene cinta, e lo nutre della propria sostanza. I druidi avevano una sorta di adorazione per una fragilità così superiore alla for­ za; il tiranno della quercia gli sembrava parimenti temibile per gli uomini e per

l AlMÉ MARTIN, Lettres à Sophie, t. I.

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DICEMBRE

gli dei. Ecco cosa raccontavano per avvalorare questa tesi: un giorno Balder disse alla madre Friga, che pensava che sarebbe morto. Friga scongiurò il fuo­ co, i metalli, le malattie, l'acqua, gli animali, i serpenti, di non fare alcun male a suo figlio, e gli scongiuri di Frida erano così influenti, che niente poteva op­ porvi resistenza. Balder si diresse allora nei combattimenti degli dei, al centro delle frecciate, senza temerle. Loke, suo nemico, volle scoprirne la ragione; si mutò in una vecchietta, e andò a trovare Friga. Le disse: «Durante i combat­ timenti, le frecce e le rocce cadono su tuo figlio senza ferirlo. - Lo credo bene, disse Friga; tutti questi elementi hanno prestato giuramento, non c'è niente nella natura che possa ledergli: ho ottenuto questa grazia da tutto ciò che ne abbia un qualche potere; non c'è che un piccolo arbusto cui non l'ho chie­ sto, perché mi è sembrato troppo fragile; si regge sulla corteccia di una quer­ cia, e ha appena una radice; vive senza terra; si chiama mistiltein; è il vischio». Questo raccontò Friga. Loke immediatamente si diresse alla ricerca di que­ st'arbusto; e, recatosi all'assemblea degli dei mentre combattevano contro l'in­ vulnerabile Balder, dal momento che i giochi erano dei combattimenti, si av­ vicinò al cieco Heder: «Perché, disse, non lanci delle frecce anche a Balder? Sono cieco, rispose Heder, e non ho armi». Loke gli presentò il vischio della quercia, e gli disse «Balder è davanti a te». li cieco Heder lanciò il vischio; Balder cadde ferito a morte. Così il figlio invulnerabile d'una dea fu ucciso da un ram etto di vischio lanciato da un cieco. Questa è l'origine del rispetto portato dai galli a quest'arboscello.

UNO STRATO DI MUSCHIO AMoRE MATERNO.

J.J. Rousseau, tormentato a lungo dalle sue passioni, e perseguitato da quelle di altri uomini, dedicò gli ultimi anni della sua vita allo studio della na­ tura; non s'interessava, non amava che lei, e la passione per la botanica addol­ cì tutti le sue sofferenze e alleviò ogni patimento: lo studio del muschio so­ prattutto aveva per lui un fascino particolare: «è lui, affermava spesso, che dona alle campagne un'aria gioiosa e fresca; abbellisce la natura dove i fiori sfioriscono, e dove gli steli appassitisi si confondono con la polvere dei campi. In effetti, è in inverno che i muschi offrono agli occhi dei botanici il verde smeraldo, le nozze segrete, gli affascinanti misteri delle urne e delle anfore che racchiudono la loro discendenza». Come gli amici che non si scoraggiano né per l'infelicità, né per l'ingrati­ tudine, i muschi banditi dai campi coltivati, avanzano verso i terreni aridi e - 87 -

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incolti, per concimarli della loro stessa sostanza, che poco a poco rende la ter­ ra fertile; si estendono alle paludi, e presto le trasformano in valide e ridenti praterie. L'inverno, quando niente è più in vegetazione, sono loro che trasfor­ mano l'anidride carbonica che vizia l'aria che respiriamo, per purificarla e os­ sigenarla; in estate formano, all'ombra delle foreste, dei tappeti erbosi dove i pastori, l'innamorato e il poeta amano riposarsi; gli uccellini ne tappezzano i nidi che preparano alla famigliola che nascerà, e lo scoiattolo ne riempie la dimora circolare. Che dico? Senza queste piante, così sottovalutate dagli uo­ mini, una parte del globo sarebbe totalmente inospitale. Ai confini del mondo, i lapponi ricoprono di muschio i sotterranei, dove, si raccolgono le famiglie, e sfidano gli inverni più lunghi; i numerosi branchi di renne non si cibano d'altro; e ciononostante procurano ai loro proprietari dei deliziosi latticini, un cibo nutriente e delle calde pellicce: riunendo, per lo svantaggiato lappone, tutti i vantaggi che si ricevono separatamente dai bovi­ ni, dai cavalli e dalle greggi. I lapponi, riuniti intorno a grandi tegami, celebra­ no, al suono dei tamburi magici, le aurore boreali che illuminano le lunghe notti; cantano delle virtù dei loro avi o delle loro stesse gesta, mentre le loro donne, sedute accanto, tengono al caldo, in culle di muschio, i neonati avvolti in pellicce d'ermellino. Popolazioni fortunate, che ignorate le nostre guerre, le cerimonie, i pro­ cessi, le miserie ! Ogni giorno, nella tranquillità dell'innocenza, ringraziate gli dei di essere nati in un posto sereno, di avere tradizioni semplici, un'aria pura e del muschio profumato ! La natura, benefica in questi climi malinconi­ ci, ricopre di muschio tutto ciò che vegeta e respira, come un vello vegetale pensato per proteggere i figli più sfortunati dalle galaverne, e per riscaldarli sul suo seno materno.

LE CORONE SIMBOLI DEI FIORI FRA DIFFERENTI POPOLAZIONI.

Dal momento in cui si affacciarono sulla terra una famiglia, un prato, un albero, un ruscello, si amano i fiori. Le popolazioni orientali, società meno avanzate, non anelano ad altro se non che a vivere per l'eternità in un incan­ tevole giardino distesi sui campi in fiore e attorniati da belle donne; del resto in queste lussureggianti terre, la donna non è che un grazioso fiorellino creato per addolcire la vita, e distrarre dalle preoccupazioni. Si coltiva la bellezza nei serragli d'Asia, come una rosa in un'aiuola, e si esige dalle donne che siano belle come una rosa. Le popolazioni religiose che abitano le sponde dell'Indus -

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e che bevono le acque del Gange, considerano alcuni fiori che non verranno mai colti, come le dimore passeggere delle ninfe e delle silfidi. n dovere di an­ naffiare queste piante predilette, è riservato alle Bramine ancora vergini, che pure le intrecciano per ornare i templi e sé stesse. Le giovani baiadere copro­ no il loro capo con una gigantesca corolla di aristolochia; realizzano collane di fiori di mougris, e cinture di fiori di plumeria. Nel sontuoso Egitto, questa pas­ sione è spinta il più avanti possibile, si pensi che Amasis, da semplice segre­ tario, divenne generale dell'esercito del re Partanis, per avergli donato una ghirlanda di fiori. Successivamente, lo stesso Amasis sedette sul trono d'Egit­ to; un trono valse addirittura il premio di una semplice ghirlanda. I greci, di­ scepoli degli egiziani, si dedicano alla stessa passione. Ad Atene, tutti i giorni si esponevano al mercato delle ceste che venivano immediatamente vendute. E proprio qui awenne la celebre lite fra Pausias, famoso pittore di Sicione, e la fioraria Glycéra, sua moglie; fu, raccontava Plinio, un immenso piacere os­ servare scontrarsi l'opera naturale di Glycéra contro l'arte di Pausias, che all a fine dipinse la moglie stessa, seduta mentre realizzava una ghirlanda di fiori. I fiori erano non solo allora, come oggi, l'ornamento degli altari e i fronzoli del­ la bellezza; ma i giovani se ne coronavano durante i giochi, i preti durante le cerimonie, i convitati durante i banchetti; bouquet e ghirlande erano appesi alle porte in circostanze liete e, estraneo ai nostri costumi, i filosofi stessi in­ dossavano delle corone, e i guerrieri se ne ornavano il capo nei giorni di trion­ fo: dopotutto le corone divennero presto il premio e la ricompensa per il ta­ lento, la virtù, e le grandi imprese. n tempo, che ha rovesciato gli imperi, non ha cancellato questo linguaggio emblematico, giunto fino a noi in tutta la sua efficacia; le corone di quercia, di mirto, di rose, di alloro, sono ancora desti­ nate ai guerrieri, ai poeti e agli amori. I fiori un tempo consacrati agli dei era­ no i simboli del loro essere e della loro forza. n giglio superbo apparteneva a Giunone, il papavero a Cerere, l'asfodelo ai Mani, il giacinto e l'alloro ad Apollo, l'ulivo a Minerva, l'edera a Bacco, il pioppo ad Ercole, il cipresso a Plutone, la quercia a Giove. n significato, l'interesse e l'uso dei fiori, si tra­ mandò dai greci ai romani, che spinsero questa passione alla follia; cambiava­ no tre volte corona durante un solo pasto, ritenevano infatti che una ghirlanda di rose rinfrescasse la mente e preservasse dai fumi del vino; e pure, volendo godere di una doppia ebbrezza, sparsero dei fiori intorno l'acqua, in modo da produrre l'effetto che avrebbero dovuto prevenire. Heliogabale faceva cospar­ gere dei fiori più rari, i suoi giacigli, gli appartamenti e i portici, e, molto pri­ ma di lui, sembra che Cicerone rinfacciò a Verre d'avere attraversato la Sicilia su una lettiga, seduto su delle rose, con una corona di fiori sul capo e al collo. Durante il medioevo la cultura dei fiori venne tralasciata. Nei tempi di de­ vastazioni e barbarie, la terra sembrava stringersi al suo seno e a malincuore -

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accordare agli uomini un tributo. La passione per i fiori si diffuse con l'amore cortese; il regno della bellezza fu anche quello dei fiori, che presero vita, la composizione dei bouquet non fu più casuale, da allora ogni fiore racchiuse un significato. Se un cavaliere si congedava per una lunga impresa, la sua ghir­ landa, formata da violacciocche rosse e fiori di ciliegio, sembrava suggerire al­ l' amata: «conserva il mio ricordo e non ti scordar di me». Se invece avesse scelto una dama, e le avesse chiesto l'onore di servirla, e la donna, si fosse mo­ strata con una corona di margherite bianche, la risposta era: «Ci penserò». Se invece desiderava rendere felice l'innamorato, realizzava una corona di rose bianche, che avevano il dolce significato di Ti amo! Ma se la proposta veniva rifiutata, il fiore del dente di leone indicava che il suo cuore batteva già per qualcun altro, pertanto lo spasimante non avrebbe dovuto riporre alcuna spe­ ranza, e perdere tempo. Le foglie d'alloro indicavano felicità assicurata; il gi­ glio delle convalli o il gladiolo, la nobiltà e la purezza delle azioni e del com­ portamento; dei rametti di tasso annunciavano un'unione felice, e un mazzetta di basilico indicava che si era irritati e confusi. Un tempo l'amore armato di un bouquet poteva osare di tutto, un fiore in mano esprimeva spesso più di quan­ to non si sarebbe osato dire nel più tenero bigliettino. I turchi, come tutti gli orientali, hanno adottato il linguaggio dei fiori; ma l'hanno corrotto aggiungendo al loro significato quello dei nastri, delle stoffe e di mille altre cose; tuttavia hanno conservato la più viva passione per i fiori, e, malgrado l'innata avarizia, spendono spesso molto più per un bouquet che per un diamante. La festa dei tulipani è di una tale magnificenza, che la de­ scrizione apparirebbe fantastica perfino nelle Mille et une Nuits. La scoperta di un nuovo mondo, i viaggiatori, i saggi e gli abili coltivatori, hanno poi talmente moltiplicato la varietà dei fiori dei giardini, che la più mo­ desta aiuola brilla soprattutto in autunno dei tributi della terra intera. Ogni fiore ci trasmette un piacere e un'emozione sempre nuova. Si è cercato di fis­ sarne qualcuna cercando, nella natura di ogni pianta, il nesso con il nostro senso morale. La poesia da sempre regala questi felici connubi; le più evoca­ tive immagini, i più attraenti paragoni. È sufficiente dunque dare un'anima ai fiori perché il loro linguaggio, passando di bocca in bocca, diventi un giorno un linguaggio universale. Le corone di un tempo saranno per sempre i primi messaggeri di quest'affascinante linguaggio; altri verranno presi in prestito dai popoli orientali, che l'hanno arricchito di nuovi caratteri con i loro più splen­ didi fiori; e altri �celti in questo libro immenso i cui fogli sono sparsi per tutta la terra.

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IL LINGUAGGIO DEI COLORI. Giacché il dio del giorno nelle sue dodici crociere Abita tristemente dell'acquario la costellazione, Che i monti sono ancora assediati dalle bufere, E che i prati ridenti sono inghiottiti dall'alluvione;

in una parola, poiché i mesi d'inverno ci offrono ancora qualche fiore sbiadito, bisogna farvi fronte, riprendendo l'uso che gli antenati sapevano fare dei colori. Ai bei tempi della cavalleria, dove la bellezza regalava corone, dove tutte le cerimonie erano dei giochi battaglieri, dove tutti i giochi erano un omaggio reso alla gloria e alle dame, si sentì la necessità di creare un nuovo linguaggio che potesse, parlando soltanto agli occhi, evocare sentimenti che le labbra non osavano esprimere. Questa fu l'origine dell'ingegnosa unione delle conversa­ zioni e dei colori che caratterizzavano i cavalieri. Quando un amante disperato si presentava sulla lizza, dimostrava il suo amore con prove di valore; ma il gonfalone e il mantello, abbinati al rosso e al violetto, annunciavano la pena dell' anima: se, dopo la vittoria, la dama decideva di voler mettere fine al suo tormento, mostrava il giorno dopo il verde dello spino bianco, intrecciato a nastri rosa, con il significato di speranza d'amore. La cotta d'arme di un cavaliere, tinta di grigio rossastro, indicava che la gloria lo allontanava da più dolci combattimenti. Il giallo, unito al verde e al violetto, testimoniava che aveva conquistato l'amata, e non doveva scon­ trarsi con guerrieri modesti. Ma i nostri padri si sono spinti ancora più lontano; e l'arte di lasciare dia­ logare i colori fu ampiamente perfezionata, si è addirittura stilato un manuale di abbigliamento morale per l'uomo e per la donna, di cui qui verranno ricor­ dati alcuni brani tratti da un libro gotico, tanto curioso quanto singolare. 2

2 Le langage des couleurs en armes, livrées et devz�es, testo di fondamentale importanza per sa­ pere e conoscere di ciascun colore proprietà e virtù. E in vendita a Lyon, vicino Notre-Dame-de­ Monfort, da Olivier Amoulet. Un piccolo vol. in- 1 8 , gotico, senza data.

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ABBIGLIAMENTO MORALE DELL'UOMO SECONDO I COLORI .

«E, in primo luogo, il berretto o cuffia, deve essere scarlatto, che significa prudenza; il cappello deve essere di colore ceruleo, che dimostra ingegno, in segno dell'ingegno che viene da Dio che è nei cieli, il cielo è colore ceruleo; e, così, l'ingegno si unirà alla prudenza. li farsetto sarà nero, che significa ricco del coraggio che deve racchiudere il cuore e il corpo dell'uomo; i guanti sa­ ranno gialli , che denota libertà e gioia di vivere; la cintura deve essere violetta, che significa amore e cortesia; la saia verrà conciata scura, che significa dolore e tristezza, di cui siamo ogni giorno vestiti».

ABBIGLIAMENTO MORALE DI UNA DAMA SECONDO I COLORI.

«E, prima di tutto, signora o signorina devono indossare le pantofole nere, che denotano semplicità; ciò indica alle donne il dovere di camminare con natu­ ralezza e non inorgoglite. E, ancora, la dama, di qualunque status sia, deve por­ tare le giarrettiere, che dovranno essere bianche e nere, da cui traspare il fermo proposito di perseverare nella virtù, poiché il bianco e il nero, non cambiano mai naturalmente. Dopo, la cotta dev'essere di un damascato bianco, che dimostra onestà e castità imprescindibili in una donna; idem, dev'essere il pezzo davanti di tessuto cremisi, che sarà detto la parte dei pensieri devoti e ardenti verso Dio». «Infine, la veste di una gran dama dovrà essere di tessuto dorato, che rap­ presenta il buon contegno; del resto, l'oro piace alla vista della gente; e il buon contegno di una dama è motivo per essere apprezzata e riverita». Ecco gli abiti dalla perfetta moralità; ma il nostro secolo potrà mai trovarli interessanti? non ispireranno piuttosto terrore alle donne? in una parola, la moda oserà mai presentare degli abiti soffocati da rigide virtù? Ecco cosa non si oserebbe dire. È da tempo che si rievoca la saggezza dei nostri padri, e tuttavia non si è visto ancora in niente che ci si sia presi la briga di imitarli. Non si andrà più nel dettaglio per quanto riguarda questo paragrafo, nel quale sono comunque inclusi i significati dei principali colori.

IBERIDE DI PERSIA, TLASPI PERENNE INDIFFERENZA. Vedi come in primavera tutto si arricchisce: Le grazie fanno fiorire la rosa; L'aria tace, il torrente si assopisce, - 92 -

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E nel cuore dei mari si riposa. In questo cristallo brillante e puro, Già il cigno si tuffa e nuota, Mentre l'uccello durante la traversata Fende lentamente il cielo azzurro; Del giorno più dolce è il baleno; Le nuvole oscure sono escluse, Dai tesori che racchiude il terreno Le gemme si sono schiuse; Sui rami, sotto la copertura, Dappertutto nasce il frutto o il fiore La vite ha ritrovato la sua frescura, 3 L'ulivo il suo frutto, il riparo dal calore.

La bella stagione, che risveglia tutta la natura, e che ispira al poeta degli Amori i versi più deliziosi, sembra sfiorire invano per la fredda iberide: questa pianta, in tutte le stagioni, mostra le foglie verdi e i corimbi bianchi e inodore; spesso per cogliere i suoi semi, la mano del giardiniere stacca il velo fiorito che persistentemente li ricopre. Così, la primavera e l'amore passano senza abbel­ lire quest'insensibile. La maternità accade senza sciuparla; conserva la sua fi­ gura fino al suo sfiorire; e, sebbene il suo chiarore richiami quello di altri fiori, è molto poco per consolare della loro assenza, e per impedire di rimpiangere le loro grazie e i dolci profumi. È senza dubbio per via dell'aspetto che non cambia mai, che le donne d'o­ riente, che hanno inventato il linguaggio dei fiori, hanno attribuito all'iberide di Persia il simbolo dell'indifferenza.

VIBURNO LAUROTINO lo MUOIO SE TI NEGHI.

Questo grazioso arbusto, originario della Spagna, arricchisce i boschetti d'inverno; si mostra brill ante di verde e di fiori in un periodo in cui gli altri ne sono spogli. Né il soffio ardente dell'estate, né la fredda tramontana d'inverno lo pri­ vano del suo fascino; tuttavia, per conservarlo, bisogna assicurargli assidue cu­ re. Simbolo di un'amicizia costante e sincera, cerca sempre di piacere, ma muore se lo si trascura.

3 Anacreonte, traduzione di Saint-Victor.

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ALLORO GLORIA.

Ho visto in Italia, a Isola Bella, degli Allori grandi come querce. Sulla cor­ teccia di uno di questi allori, si leggeva: Marengo. Questa parola era stata in­ cisa, da Bonaparte, una sera, di passaggio, quando stava raggiungendo il suo esercito. Nessuno poteva allora immaginare che l'illustre guerriero avesse se­ gnato così in anticipo il campo della sua vittoria. Sotto questo alloro, Bonapar­ te sognò l'impero del mondo. Oh ! grandezza ! Oh ! miseria ! la parola è soprav­ vissuta all'impero, e all'eroe ! Si leggeva ancora nel 1 8 1 6, ma andava svanendo mentre cresceva, come l'eroe che l'aveva tracciata, e che non fu mai grande quanto a Sant'Elena. I greci e i romani consacrarono le corone d'alloro ad ogni tipo di gloria. Se ne coronavano il capo i guerrieri e i poeti, oratori e filosofi, vestali e impera­ tori. Questo grazioso arbusto cresce diffusamente nell'isola di Delfi, sulle sponde del fiume Peneo. Qui, i suoi rami aromatici e sempreverdi si slanciano all'altezza dei grandi alberi; e si ritiene che, per qualche facoltà segreta, allon­ tani il fulmine dalle rive che incanta. L'affascinante Dafne era figlia del fiume Peneo; venne amata da Apollo; ma preferendo la virtù all'amore del più eloquente degli dei, per paura d'essere se­ dotta ascoltandolo, fuggì; Apollo la inseguì; e quando stava per raggiungerla, la ninfa invocò il padre, che la mutò in alloro. L'innamorato, non stringendo fra le braccia che un'insensibile corteccia, fece risuonare questo lamento: Giacché del cielo la volontà gelosa, Non permette che tu sia mia sposa, Sìi il mio albero per lo meno, che il tuo felice fogliame Abbracci la mia faretra, il mio arco e le mie chiome; Ai muri del Campidoglio, alle brillanti feste Dove Roma sfoggerà le sue numerose conquiste, Tu sarai dei vincitori ornamento e onore. I tuoi rami rispettati dalla nemica folgore, Del palazzo dei Cesari proteggeranno l'entrata; E come del mio capo la giovinezza consacrata Non proverà mai le ingiurie del tempo, 4 Che la tua foglia conservi di primavera un eterno tempo.

4 M. DE SAINT-ANGE, Métamorphoses d'Ovide.

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UN RAMO DI AGRIFOGLIO PREVIDENZA.

La previdenza della natura si rivela perfettamente in quest'ammirevole pianta. I grandi agrifogli che crescono in abbondanza nella foresta di Need­ wood, hanno una cintura di spine che si erige a otto o dieci piedi d'altezza; a quest'altezza le foglie cessano di essere una difesa; diventano tenere e rag­ gruppate: la pianta non ha più bisogno di protezione contro nemici che non possono raggiungerla. Quest'albero, dal verde brillante, è l'ultimo decoro delle foreste spoglie d'inverno; le sue bacche servono per nutrire gli uccellini che non emigrano; presta loro il suo fogliame, che si rivela un tetto ospitale pronto per riceverli durante la brutta stagione. Anche i daini e i cervi stessi vi cercano riparo: si nascondono dietro la neve che si accumula tutt'intorno, scivolando sulle foglie, disposte come delle tegole di un padiglione cinese, di cui quest'albero imita la forma elegante e piramidale. Sembra quasi che la natura, teneramente previdente, si sia presa cura di conservare tutto l'anno le foglie di questo delizioso albero, e di averlo armato di spine per proteggere le altre creature innocenti che vengono a cercare rifugio: è un amico la cui forte mano li protegge quando tutto sembra abbandonarli.

LAUREOLA FEMMINA, o DAFNE CIVETTERIA, VOGLIA DI PIACERE.

n gambo dell'aureola femmina, o dafne, è ricoperta da una corteccia spes­ sa che gli conferisce la parvenza del legno secco. La natura, per nasconderne la deformità, ha circondato ciascuno dei suoi rami d'una ghirlanda di fiori porporini, che si allungano a spirale, e terminano in un ciuffetto di foglie che richiama la forma di una pigna. Un profumo indefinibile, soave e pericoloso, esala dai suoi steli leggeri, che spesso fioriscono verso la fine di gennaio. Questa pianta appare fra la neve, rivestita della sua affascinante veste; si direbbe una ninfa imprudente e civettuola, che, semi congelata, si veste, in pieno inverno, dell'abito primaverile.

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BUCANEVE CONSOLAZIONE.

L'aquilone geme, la galaverna sovraccarica gli alberi spogli; un tappeto bianco, uniforme, copre la terra; gli uccelli tacciono, l' acqua prigioniera non mormora; i raggi pallidi d'un sole sbiadito rischiarano le campagne; il cuore umano si rattrista, sembra che tutto sia spento nella natura. Un fiore delicato appare all'improvviso sotto il velo di neve che copre i campi; mostra ai nostri occhi esterrefatti le campanelle d'avorio, che portano in grembo un leggero punto di verde, come se fossero state contrassegnate dalla speranza. Sbocciando sulla neve, questo splendido fiore sembra sorride­ re ai rigori dell'inverno, e dire: sono qui a mitigare le vostre inquietudini; sono qui a consolarvi dell'assenza delle belle giornate.

ALOE DOLORE, AMAREZZA.

L'aloe si lega al suolo con deboli radici, e cresce nel deserto; il suo sapore è molto aspro. Così, il dolore ci allontana dal mondo, ci separa dalla terra, e riem­ pie i nostri cuori d'amarezza. Queste piante vivono quasi interamente d'aria; hanno una forma singolare e bizzarra. V aillant ha scoperto molteplici varietà molto diffuse nei deserti di Namaquois; alcune hanno delle foglie lunghe sei piedi, carnose e armate di un lungo aculeo: dal centro di queste foglie si erige un alto scapo leggero dell'altezza di un albero, tutto adornato di fiori; altre si erigono, come dei cactus, irte di spine; altre ancora sono screziate, e simili a ser­ penti che strisciano per terra. Brydone ha visto l'antica città di Siracusa tutta ricoperta di grandi aloe in fiore; i suoi gambi eleganti donano al promontorio che segue la costa, l'aspetto di una foresta incantata. Queste piante crescono molto bene nei nostri giardini; la collezione del Museo di Parigi è la più com­ pleta al mondo. Queste piante magnifiche e mostruose sono state esportate in Africa; crescono nelle rocce, sulla sabbia arida, nella stessa atmosfera rovente respirata dalle tigri e dai leoni. Bisognerebbe ringraziare la natura amica che, nelle nostre terre, solleva dappertutto, sulle nostre teste, pergolati di verde, e stende sotto i nostri piedi tappeti di zafferano, violette e margherite.

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AGNOCASTO fREDDEZZA. CASTITÀ.

Dioscoride, Plinio e Galeno narrano che le sacerdotesse di Cerere prepa­ ravano il loro letto verginale dei rami odorosi di questo arboscello, ricoperto di lunghe spighe di fiori bianchi porporini o violetti, considerati come il pal­ ladium della loro castità. Le nostre religiose bevevano un'acqua distillata da questi rami, per allontanare dalle loro celle solitarie i desideri terreni. Molti ordini di suore portavano abitualmente con sé un coltello il cui manico era realizzato del legno di Agnocasto; come strumento che rendesse i loro cuori insensibili. Da allora, questo grazioso arbusto è stato nei tempi il simbolo della freddezza.

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GINEPRO COMUNE ASILO, SOCCORSO.

Gli antichi avevano consacrato quest'arbusto alle Eumenidi; il fumo dei suoi rami verdi era l'incenso che offrivano soprattutto agli dei degli inferi; si bruciavano le bacche durante i funerali, per scacciare i malefici. n contadino semplice delle nostre campagne crede ancora che il profumo dei chicchi di ginepro purifichi l'aria, e allontani gli spiriti maligni dalla sua umile casa. Gli inglesi e i cinesi amano decorare i loro giardini con quest'albero selva­ tico, talvolta screziato d'un giallo dorato, ma difficile da coltivare; indipenden­ te, ama crescere al limitare delle foreste; delle creature fragili e timide cercano spesso rifugio sotto i lunghi rami che coprono il suolo; la lepre, senza più scampo, si rannicchia con fiducia sotto il suo fusto, il cui odore intenso fa per­ dere le tracce ai cani; spesso il tordo gli affida la sua famiglia, e si ciba dei dolci frutti, mentre l'entomologo studia, fra i suoi rami irti di spine, mille scintillanti insetti, indifesi, ma che danno l'idea di comprendere che quest'albero proteg­ gerà la loro fragilità. TASSO TRISTEZZA. C'è sempre, fra i vegetali, qualcosa che affascina, attira o respinge. n tasso è, per tutti i popoli, simbolo di tristezza: un tronco privo di corteccia, un verde scuro, fortemente in contrasto con il frutto rosso simile a delle gocce di sangue, tutto ammonisce il viaggiatore dal tenersi alla larga dalla pericolosa ombra. 5 Quest'albero secca le piante che lo circondano e inaridisce la terra che lo nutre.

s Se si dorme all'ombra di un tasso, la testa si annuvola, diviene pesante, e presto si provano violente fitte. I rami del tasso intossicano gli asini e i cavalli, il suo succo è pericoloso per l'uomo, ma i suoi frutti non sono fatali, dal momento che i bambini ne mangiano impunemente.

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I nostri antenati, spinti forse da un istinto naturale, facevano in modo che cre­

scesse nei cimiteri; destinando la sua ombra alla morte e il suo legno alla guerra; il legno infatti serviva a costruire archi, lance e balestre; anche i greci lo utiliz­ zavano per lo stesso scopo. Per molto tempo ha fatto da decorazione ai giardini, dove veniva potato perché assumesse le forme più bizzarre; oggi invece la sua coltura è del tutto abbandonata; in Svizzera, dove cresce male, i contadini nu­ trono una profonda venerazione; lo chiamano l'arco di Guill aume, e si evita di spogliarlo dei rami. In Olanda, nei giardini curati ad arte, dove tutto è simme­ tria, dove anche la sabbia stessa dei viali è disposta a caselle, si vedono spesso ergersi, ai quattro angoli di un quadrato perfetto, dei vasi, delle piramidi, o delle immense bocce di tassi, che rievocano gli antichi capolavori dei sapienti giardi­ nieri di un tempo. I greci, che avevano delle idee chiare sulla straordinaria bel­ lezza della natura, rattristati come oggi dal triste aspetto di quest'albero, aveva­ no immaginato che la sventurata Smilax, il cui amore non venne corrisposto dal giovane Crocus, fosse racchiusa sotto la sua corteccia. Un tempo, tutte le piante parlavano agli uomini di eroi, di dei o d'amore; se si ascolta la loro voce, ci sus­ surreranno anche della Prowidenza, che, dopo averle adibite ai nostri bisogni, ne ha riservato alcune per il piacere e l'ozio; questa madre accorta offre, serven­ dosi dei vegetali, balocchi all 'infanzia, corone all ' adolescenza, frutti squisiti a tutte le età, alcove comode e deliziose ombre. Se siamo malinconici, il salice ci sostiene con dolci sospiri; se innamorati, il mirto ci offre i suoi fiori; se ricchi, il castagno ci offre l'imponenza della sua ombra; se tristi, il tasso soffre, e sembra dire: fuggi il dolore, devasta il cuore come io devasto il terreno che mi nutre; la tristezza è tanto pericolosa quanto la mia ombra per il viaggiatore.

MARGHERITINA INNOCENZA.

Malvina, piegata sulla tomba di Fingal, piangeva il valoroso Oscar, e il fi­ glio, morto prima di venire alla luce. Le vergini di Morven, per alleviare il suo dolore, le ruotavano intorno, ce­ lebrando, con i loro canti, la morte del prode e del neonato. li prode è caduto ! E il rumore delle sue armi è risuonato nella pianura: l'infermità, che toglie il coraggio; la senilità, che disonora l'eroe, non potranno scalfirlo; è caduto ! e il rumore delle sue armi è risuonato nella pianura. Ricevuto nel palazzo delle nuvole dove abitano i suoi antenati, beve con loro dalla coppa dell'immortalità. O ragazza d'Oscar ! Asciuga le lacrime del dolore; è caduto ! è caduto ! e il rumore delle sue armi è risuonato nella pianura.

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Poi, una voce più soave, le sussurra ancora: il bambino, che non ha visto la luce, non ha conosciuto l'amarezza della vita; la sua giovane anima, trasportata su ali brillanti, arriva con la diligenza dell'aurora nd palazzo dd giorno. Le anime dei bambini che hanno, come lui, spezzato senza dolore le catene della vita, pro­ tesi sulle nuvole d'oro, lo accolgono, e gli aprono le porte misteriose del giardino dei fiori. Qui, il gruppetto innocente, non conosce il male, si occupa eternamente di racchiudere, nell'impercettibile germe, il fiore che ogni primavera deve sboc­ ciare: tutte le mattine, questa giovane milizia viene a spargerne i semi sulla terra con le lacrime dell'aurora; in milioni di mani delicate è racchiusa la rosa nel suo boccio, il seme del grano nel suo involucro, i grandi rami di una quercia in una sola ghianda, e, talvolta una foresta intera in una semenza invisibile. Noi l'abbiamo visto, o Malvina ! Abbiamo visto il bimbo che rimpiangi, cullato su una leggera nebbia; s'è avvicinato, e ha versato sui nostri campi una messe di nuovi fiori. Guarda, o Malvina ! fra questi fiori, se ne distingue uno dal disco d'oro, circondato da lamelle d'argento; una dolce sfumatura porpora abbellisce i raggi delicati; cullato sull'erba da una brezza leggera, si direbbe un bimbo che gioca su un verde prato. Asciuga le tue lacrime ! TI prode è morto coperto dalle sue la­ crime, e il fiore dd tuo seno ha donato un fiore nuovo alle colline del Cromia. La dolcezza di questi canti lenì il dolore di Malvina; prese la sua arpa d'o­ ro, e cantò l'inno del nuovo nato. Da quel giorno, le ragazze di Morven hanno consacrato la piccola marghe­ rita alla prima infanzia; è, dicono, il fiore dell'innocenza, il fiore del nuovo nato.

NOCCIOLO PACE, RICONCILIAZIONE.

Ci fu un tempo in cui nessun legame univa gli uomini; sordi alle grida del­ la natura, l'amante abbandonava la sua donna uscendo dal suo abbraccio; la madre strappava al figlio morente il frutto selvatico che doveva saziare la sua fame. L'infelicità li riuniva un istante, all'improvviso la voce di una quercia carica di ghiande, o di una creatura coperta di faggine, li rendeva ostili. La terra era allora satura di lutto. Non c'era legge, religione, linguaggio: l'uomo sconosceva il suo genio; la ragione in sonno, e spesso più crudele delle bestie feroci ne imitava le terrificanti urla. Gli dei ebbero pietà degli umani; Apollo e Mercurio si trasfigurarono e scesero sulla terra. li dio dell'armonia ricevette dal figlio Maia una scaglia di tartaruga di cui fece una lira, e gli donò in cambio una bacchetta di noccio­ lo, con il potere di far amare la virtù, e di riavvicinare i cuori divisi dall ' odio e - 1 00 -

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dall'invidia; così armati, i due figli di Giove si presentarono agli uomini. Per primo, Apollo spiegò come la saggezza avesse creato l'universo; descrisse co­ me furono prodotti gli elementi, come l'amore unisse con un forte legame tut­ te le parti della natura; e infine come gli uomini dovessero placare, con la pre­ ghiera, l'ira degli dei: alla sua voce, le madri pallide e tremanti avanzarono, tenendo i figli fra le braccia; la fame fu sospesa, il desiderio di vendetta si al­ lontanò da tutti i cuori. Allora Mercurio toccò gli uomini con la bacchetta ri­ cevuta da Apollo. Slegò loro la lingua, e insegnò ad esprimere i pensieri con le parole. Successivamente insegnò che l'unione fa la forza, e che non si ricava niente dalla terra senza l'appoggio reciproco. La pietà filiale, l'amore per la terra si levarono alla sua voce per unire il genere umano, e il commercio venne eletto collante del mondo. L'ultimo pensiero il più sublime, consacrato agli dei, invitò gli uomini all'amore e alla pietà. La bacchetta di nocciolo, donata al dio dell'eloquenza dal dio dell'armo­ nia, ornata di due ali leggere e circondata da serpenti, è ancora, sotto il nome di caducità, il simbolo della pace, del commercio e della riconciliazione.

VIOLETTA MODESTIA. Avevo quindici anni quando un languore inesprimibile s'impossessò dei miei sensi. Piangevo senza dolore, e ridevo senza gioia; e, come impaurita dal­ la vita, un desiderio segreto che finisse mi perseguitava senza posa. Gli occhi spenti, i colori sbiaditi, un passo che arranca, una voce sottile, caricavano di ansia e timore l'anima della mia cara madre; le sue premure non mi toccavano; scossa dal suo pianto, piegata sul suo seno, le mie mani stringevano le sue, la sentivo farsi carico del mio dolore. Cercavo di sorridere per rassicurarla, ma non sentivo il coraggio che volevo ispirare. Da quando stavo in questo stato gli alberi erano spogli, e l'inverno in tutto il suo rigore regnava sovrano nei nostri campi. Seduta vicino al fuoco scoppiettante, il suo calore mi prosciugava, e la minima sensazione di freddo mi faceva trasalire. Ogni sera, stanca di me stes­ sa, mi addormentavo senza speranza nel domani. Tuttavia una notte, me ne ricordo, era quella del l O febbraio 1 8 . . . all'im­ provviso un raggio di sole illuminò la mia fronte, e una voce delicata e sottile mi incoraggiò a vivere. Rianimata da questo sogno, mi svegliai: il cielo era pu­ ro, i primi raggi del giorno doravano la mia finestra; mi sono vestita in fretta, e mi diressi, attraverso la neve, verso la vasta foresta che corona le alture delle nostre case. Arrivata in questa solitudine, spossata per la fatica, mi sono ap- 101 -

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poggiata ad una quercia, e rincorrevo con lo sguardo i superbi prati bagnati dall a Meuse, e la vallata fiorita dove, l'ultima primavera, avevo ancora condi­ �iso dei momenti con le mie bizzarre amiche; tutto era scomparso: la Meuse straripata ricopriva la campagna delle sue acque. Malinconica, ripresi la via di casa, quando un raggio di sole illuminò il tronco muschiato della quercia su cui ero appoggiata; subito vidi ai miei piedi un piccolo tappeto di verzura, e mi sentii assorta nel più soave profumo. O sorpresa ! Venti ciuffi di violette carichi di fiori si presentarono ai miei occhi ! Non saprei dire cosa provai: un dolce rapimento penetrò i miei sensi: no, mai questi fiori mi erano sembrati così gioiosi ! si sollevavano sull'erba come su un altare di verzura. I profumi soavi, la purezza di questo raggio di sole, questo sconfinato tappeto di neve che si estendeva all'infinito, e che sembrava avere rispetto di questi luoghi; la quercia che proteggeva, che coronava della sua chioma bronzata questo an­ golo di primavera, tutto mi rapiva in un trasporto simile all'amore. E fu allora che l'estasi promessa in sogno mi scorse nelle vene, e ho creduto di respirare in un istante tutti i fiori della primavera, tutti i piaceri della spensieratezza. Ma a questo sentimento così vivo e così puro, se ne affiancò un altro di tristezza: non avevo accanto chi potesse sentire e condividere la mia innocente gioia. Ma raccolsi un bouquet di queste violette, lo strinsi a me, e dissi: adorati fiori, vi consacro all'amica che avrò. Che la violetta sia dunque per te, Elisa, la cui amicizia, mille volte più dolce di questi profumi, ha ridato vita alla mia anima esasperata dal mondo a vent'anni, come a quindici lo era di me ! che la violetta sia il tuo fiore, mia cara amica ! Simbolo di modestia. L'oscura violetta, amante dell'erbetta dei prati, Alle lacrime della rugiada mischia le sue doti. Sembra voler celare, sotto le loro patine propizie, D'un profumo prodigo le discrete delizie: È l'emblema di un cuore che sparge di nascosto Sulla timida mestizia un beneficio modesto. 6

ROSA DI GUELDRE, O PALLA DI NEVE BUONA NOTIZIA.

Da qualche anno, attraversando una delle più ridenti contrade della Sviz­ zera tedesca, mi è capitato di sentire raccontare questa deliziosa leggenda:

6 M. Boisjoslin.

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Una ragazza, di appena quindici anni, era deceduta. E sepolta nei pressi della sua casa. Ma non riusciva a scegliere, neanche per i cieli, di separarsi dai campi che aveva amato. All'improvviso le apparse il suo angelo custode; felice di realizzare il suo de­ sidero, le chiese in che fiore desiderasse essere mutata: