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Italian Pages 490 [497] Year 2019
pontificia universitas gregoriana rhetorica biblica et semitica
Pietro Bovati – Roland Meynet IL LIBRO DEL PROFETA AMOS Seconda edizione rivista
PEETERS
Il libro del profeta Amos
Pietro Bovati – Roland Meynet
Il libro del profeta Amos Seconda edizione rivista Rhetorica Biblica et Semitica XXI
PEETERS LEUVEN – PARIS – BRISTOL, CT 2019
SOCIETÀ INTERNAZIONALE PER LO STUDIO DELLA RETORICA BIBLICA E SEMITICA
Esistono molte associazioni che hanno come oggetto lo studio della retorica. La più conosciuta è la «Società internazionale per la storia della retorica»; ma ce ne sono anche altre. La RBS è la sola: • che si dedica esclusivamente allo studio delle opere letterarie semitiche, essenzialmente la Bibbia, ma anche di altre, fra cui i testi musulmani; • che di conseguenza si preoccupa di elencare e descrivere le leggi specifiche di una retorica che ha presieduto alla elaborazione di testi, la cui importanza non è per nulla inferiore a quella del mondo greco e latino del quale la civiltà occidentale è l’erede. Né bisognerebbe dimenticare che questa stessa civiltà occidentale è anche erede della tradizione giudaico cristiana, che trova la sua origine nella Bibbia, cioè nel mondo semitico. Più in generale, i testi che noi studiamo sono i testi fondatori di tre grandi religioni: giudaismo, cristianesimo e islam. Un tale studio scientifico, condizione previa per una migliore conoscenza reciproca, non farebbe che concorrere a un ravvicinamento tra coloro che proclamano di appartenere a queste diverse tradizioni. • • •
La RBS promuove e sostiene la formazione, le ricerche e le pubblicazioni: soprattutto nel campo biblico, tanto del Nuovo quanto dell’Antico Testamento; ma anche nel campo degli altri testi semitici, specie dell’Islam; e perfino in autori nutriti con i testi biblici, come s. Benedetto e Blaise Pascal.
La RBS accoglie e raggruppa prima di tutto ricercatori e professori universitari che, nelle diverse università o istituti, lavorano nel campo della Retorica Biblica e Semitica; incoraggia in tutti i modi gli studenti, soprattutto dottorandi, nell’apprendimento delle tecniche di analisi a lei proprie. Essa è aperta anche a quanti si interessano alle sue ricerche e intendono sostenerle. Società internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica Pontificia Università Gregoriana Piazza della Pilotta 4 — 00187 Roma (Italia) Per altre informazioni sulla RBS, vedi: www.retoricabiblicaesemitica.org. ISBN 978-90-429-4134-2 eISBN 978-90-429-4135-9 D/2019/0602/119 A catalogue record for this book is available from the Library of Congress. Prima edizione: © 1995, Edizioni Dehoniane Roma Seconda edizione: © 2019, Peeters, Bondgenotenlaan 153, B-3000 Leuven, Belgium No part of this book may be reproduced in any form or by any electronic or mechanical means, including information storage or retrieval devices or systems, without prior written permission from the publisher, except the quotation of brief passages for review purposes.
Rhetorica Biblica et Semitica Molti pensano che la retorica classica, ereditata dai Greci attraverso i Romani, sia universale. Essa sembra infatti normare la cultura moderna, che l’Occidente ha diffuso su tutto il Pianeta. Ma è giunto ormai il tempo di abbandonare un tale etnocentrismo: la retorica classica non è unica al mondo. La Bibbia ebraica, i cui testi sono scritti soprattutto in ebraico ma anche in aramaico, segue una retorica ben diversa della retorica greco-latina. Bisogna dunque riconoscere che esiste un’altra retorica, la «retorica ebraica». Quanto agli altri testi biblici, dell’Antico e del Nuovo Testamento, che sono stati tradotti o composti direttamente in greco, essi obbediscono in gran parte alle stesse leggi. Si può dunque parlare non solo di retorica ebraica ma, più largamente, di «retorica biblica». Queste stesse leggi sono state inoltre riconosciute operanti nei testi accadici, ugaritici e altri, precedenti o coevi alla Bibbia ebraica, poi nei testi arabi della Tradizione musulmana e del Corano, successivi alla letteratura biblica. Occorre dunque ammettere che questa retorica non è solo biblica; e si dirà che tutti quei testi, che appartengono, a diverso titolo, alla stessa area culturale, dipendono della stessa retorica, che verrà chiamata «retorica semitica». Contrariamente all’impressione che il lettore occidentale inevitabilmente prova, i testi della tradizione semitica sono composti e ben composti, a condizione ovviamente di essere analizzati in funzione della retorica alla quale appartengono. Si sa che la forma del testo, la sua disposizione, è la porta principale che apre l’accesso al senso. Non che la composizione fornisca, direttamente e automaticamente, il significato. Quando tuttavia l’analisi formale permette di operare una divisione ragionata del testo, di definire in modo più oggettivo il suo contesto, di mettere in evidenza l’organizzazione dell’opera ai diversi livelli della sua architettura, allora si trovano riunite le condizioni che permettono d’intraprendere, su basi meno soggettive e frammentarie, il lavoro dell’interpretazione.
Prefazione alla seconda edizione Questa riedizione del commento al profeta Amos ha comportato una revisione della presentazione grafica delle tavole, riscritte secondo le norme del Trattato di retorica biblica del 20081. Alcune analisi poi sono state migliorate, in particolare quella della sequenza centrale del libro (5,1-17); inoltre sono state corrette le sviste tipografiche e introdotte alcune utili precisazioni. Tutto ciò rende migliore il prodotto, ma non giustificherebbe una sua nuova pubblicazione, che, tra l’altro, non ha avuto un aggiornamento bibliografico. Esaurito già da qualche tempo, non reperibile in forma elettronica su Internet, questo commentario ad Amos mantiene tuttavia una sua importante funzione, per il fatto che si presenta come un’interpretazione sistematica e coerente dell’intero libro, fondata su rigorosi principi di composizione. A differenza dei commentari cosiddetti classici, che continuano a proporre letture frammentarie, basate su analisi di versetti singoli o, al massimo, di pericopi brevi e isolate, questo nostro commentario mostra come l’opera letteraria che porta il nome del profeta di Tekoa sia costruita organicamente; la sua comprensione necessita di conseguenza il confronto sistematico fra le sue diverse unità letterarie, sia all’interno delle varie sequenze e sezioni in cui è suddiviso, sia nei rapporti tra le unità maggiori. Il lettore che avrà l’umile pazienza di seguire l’analisi della composizione retorica e di constatare le relazioni fra gli elementi testuali, sarà in grado di apprezzare la pertinenza, l’originalità e la verità dell’interpretazione delle singole pericopi e dell’intero libro. Osiamo così ritenere che questo nostro studio possa essere additato come un modello che incoraggi l’attenzione ermeneutica ai fenomeni di composizione letteraria semitica, quale indispensabile base per una adeguata accoglienza della tradizione biblica. Il libro di Amos costituisce pure un patrimonio di indiscusso valore per la comprensione del profetismo. È in questa raccolta che per la prima volta vengono espressi i motivi letterari che saranno ripresi e sviluppati dai profeti successivi, come gli oracoli contro le nazioni (1,3–2,3), l’invito iniziale all’ascolto (3,1.9.12; 4,1; 5,1; 8,4), i pronunciamenti sotto forma di «lamento» (5,1) o introdotti da hôy (5,18; 6,1), l’utilizzazione di inni liturgici in contesti polemici (4,13; 5,8; 9,5-6), il ricorso all’ironia per denunciare le perversioni degli uditori (3,2; 4,4; 5,19; 6,3), la critica ai rituali sacrificali (4,4-5; 5,21-27), la narrazioni di «visioni» (7,1-9; 8,1-3; 9,1), il racconto della vocazione profetica (7,10-15), la minaccia della «fine» (8,2; 9,9-10), ecc. Di fronte a una tale inventiva letteraria, il desiderio di studiare a fondo il libro di Amos non può che essere incoraggiato e promosso. 1
340.
Vedi R. MEYNET, Trattato di retorica biblica, Bologna 2008, Cap. 5, «La riscrittura», 279-
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Il libro del profeta Amos
Non da ultimo, il tema della giustizia, pervasiva componente dell’opera di Amos — come abbiamo dimostrato nel nostro commentario — costituisce oggi un’istanza di straordinaria attualità per la società contemporanea, bisognosa di parole coraggiose e penetranti, sapienti e benefiche, intrise di arguta sapienza e di luminosa forza spirituale. Le pagine di Introduzione e di Conclusione al presente volume forniranno ulteriori conferma agli assunti che abbiamo qui brevemente accennato. Roma, 16 settembre 2019 Pietro Bovati – Roland Meynet
Introduzione Ciò che i cristiani chiamano «l’Antico Testamento» e un certo numero di loro anche «la Bibbia» — distinguendolo così dal Nuovo Testamento — dagli ebrei è comunemente chiamato TaNaK, un acronimo che designa l’insieme costituito dalla Legge (Tôrâ), dai Profeti (Nebiyyîm) e dagli Scritti (Ketûbîm), ossia i libri sapienziali. Così, tra la Torah e gli Scritti il corpus profetico rappresenta un buon terzo della Bibbia ebraica. Soprattutto se si segue l’usanza ebraica di raggruppare in questa categoria i libri di Giosuè, dei Giudici, i due libri di Samuele e i due dei Re, chiamati «profeti anteriori», per distinguerli dai «profeti posteriori», Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori. Una simile disposizione ha l’effetto, tra gli altri, di fare prendere coscienza che la profezia in Israele è iniziata decisamente prima dei profeti scrittori, i cui oracoli sono giunti fino a noi. Il corpus profetico rappresenta un elemento terzo della Bibbia ebraica in un secondo senso: il profeta infatti svolge una funzione decisiva tra il Re e il Sacerdote, assicura il nesso tra il sacerdote, che si consacra a studiare e a spiegare la Torah (i comandamenti), e il governante, che esercita il potere guidato dalla saggezza proveniente dalla Legge. Egli interpreta: dice la Parola di Dio nelle circostanze particolari di una storia concreta, articolando la sapienza eterna del comandamento del Signore con la verità del momento presente. Egli vede, parla, denuncia. Interviene nelle questioni personali, come Natan, che su incarico di Dio rimprovera a Davide il suo peccato (2Sam 11–12); come Elia, inviato dal Signore ad annunciare al re Acab il castigo a lui riservato per la morte di Nabot (1Re 21). Interviene soprattutto nei problemi pubblici, sia economici e sociali che politici e religiosi. È il terzo polo tra Dio e gli uomini, l’istanza mediatrice e critica che il Signore suscita per richiamare il popolo e specialmente i capi all’osservanza della Legge e alle esigenze dell’alleanza. Se le parole di alcuni profeti hanno cominciato a essere messe per iscritto, a partire dall’ottavo secolo, due secoli e mezzo prima della grande catastrofe dell’esilio di Gerusalemme, se molti secoli prima della nostra era si è introdotta l’abitudine di leggere, di sabato nella sinagoga, un passo dei profeti dopo la lettura della Torah, se i loro libri sono stati definitivamente inseriti nel grande insieme biblico poco dopo la caduta del secondo tempio, tutto ciò avvenne non solo perché così si intendeva conservare il ricordo del passato, ma probabilmente anche perché si aveva coscienza che il loro messaggio superava la loro epoca e doveva servire ai loro successori. Detto in altro modo, perché le loro parole riguardavano le generazioni successive, compresa la nostra.
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Il libro del profeta Amos
Nel vasto corpus profetico Amos occupa un posto di primo piano. Non per la sua lunghezza, dal momento che conta solo nove capitoli1, al posto dei sessantasei di Isaia, dei cinquantadue di Geremia o dei quarantotto di Ezechiele. Ma in primo luogo perché è il primo profeta «scrittore». Certo, è stato preceduto da molti altri profeti in Israele — Samuele al tempo di Saul; Natan sotto il regno di Davide; Elia, dopo Eliseo, nel regno del nord, sotto i re Acab e Ioram, per non citare che i più conosciuti —, ma è il primo le cui parole sono state messe per iscritto e che sono giunte fino a noi. Anche l’epoca di Amos è particolarmente importante2. La fine dell’ottavo secolo vedrà la presa di Samaria, la fine del regno del nord e la grande deportazione della sua popolazione in Assiria (721). Tuttavia, vi è ancora sentore di tutto questo, quando Amos lascia la sua città, Tekoa in Giuda, per proclamare la parola di Dio in Israele. Al contrario, il regno del nord raggiunge l’apice della sua prosperità e della sua grandezza sotto la guida del suo re, Geroboamo II. Il commercio estero è fiorente, il lusso si diffonde tra le classi alte della società. Grazie all’indebolimento di Aram, regno confinante a nord, e ai problemi che affrontano i lontani assiri, la pace regna alle frontiere, notevolmente ampliate tanto da ritrovare praticamente le dimensioni dei regni gloriosi di Davide e di Salomone (2Re 14,25-28). Nessuno può negare che il presente sia splendido e nessuno dubita che l’avvenire sia saldamente assicurato. Ed ecco che un pastore del sud si alza per denunciare l’ingiustizia e la perversione del culto e per annunciare l’imminente arrivo di una catastrofe radicale, da cui Israele non si potrà risollevare. La preminenza temporale di Amos rispetto agli altri profeti scrittori e l’importanza specifica della sua epoca non basterebbero però a fare della sua piccola raccolta ciò che in realtà è, un grande libro. Se le sue poche pagine sono unanimemente riconosciute come tali, è per il fatto che il messaggio ivi contenuto appare veramente ricco e la loro forma particolarmente incisiva. La sua denuncia impietosa dell’ingiustizia occultata e dello sfruttamento dei deboli eretto a sistema, la sua accusa contro pratiche cultuali, la cui munificenza non riesce a mascherare la intrinseca perversità, in poche parole, la sua radicale critica di tutte le istituzioni sociali e religiose supera nettamente i limiti della sua epoca e trova risonanze in molte altre situazioni storiche e in molte altre aree geografiche. Il messaggio di Amos è universale e le sue parole non possono non essere accolte sempre e ovunque come quelle di un contemporaneo e di un compatriota3.
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Diciannove piccole pagine nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme, sulle quasi due mila pagine dell’Antico Testamento (ebraico e greco). 2 Sull’epoca di Amos, cfr. S. COHEN, «The Political Background»; M. HARAN, «The Rise»; J. GARCÍA TRAPIELLO, «Situación histórica»; Ph. J. KING, «The Eighth»; E. LIPIŃSKI, «Jéroboam II». Alle pagine 76 e 185 si troveranno due cartine geografiche; la prima riporta solo i nomi propri usati nella prima sezione; la seconda quelli usati nel resto del libro. 3 Sull’influenza di Amos nella storia delle idee, cfr. R. MARTIN-ACHARD, Amos.
Introduzione
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Non sorprende dunque che la letteratura sul profeta di Tekoa sia così abbondante. Vi sono infatti pochi libri biblici che abbiano dato origine a un così grande numero di commentari e di studi specifici4. Benché molto studiato, Amos però non è di agevole lettura. La comprensione di un certo numero di versetti è particolarmente difficile, a causa, tra l’altro, di termini ed espressioni usate esclusivamente in questo libro. Inoltre, in molti passi il lettore subodora che il profeta si riferisca a situazioni o avvenimenti socio-politici e religiosi, probabilmente ben conosciuti dai suoi uditori, ma ignorati dal lettore odierno; per altro gli altri documenti dell’epoca sono di poco aiuto per decifrare le allusioni del profeta. Ciò che soprattutto sconcerta il lettore — ma questa caratteristica non si limita ad Amos — è l’impressione di disordine che lascia la lettura di ampi tratti del suo libro: «Il libro di Amos è un curioso miscuglio di ordine e di disordine»5. È soprattutto, ma non esclusivamente, la seconda sezione (3–6) che sembra una specie di zibaldone; i sottotitoli delle nostre traduzioni moderne non riescono che a sottolinearne l’incoerenza. Bibbia di Gerusalemme 3,1-2 3,3-8 3,9-12 3,13-15 4,1-3 4,4-5 4,6-12 4,13 5,1-3 5,4-7 5,8-9 5,10-13 5,14-15 5,16-17 5,18-20 5,21-27 6,1-7 6,8-11 6,12 6,13-14
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Elezione e castigo La vocazione profetica è irresistibile Samaria, corrotta, perirà Contro Betel e le case lussuose Contro le donne di Samaria Illusioni, impenitenza, castigo di Israele Dossologia Lamento su Israele Senza conversione non c’è salvezza Dossologia Minacce Esortazioni Imminenza del castigo Il giorno del Signore Contro il culto esteriore Contro la falsa sicurezza dei grandi Il castigo sarà terribile
Traduzione Ecumenica della Bibbia Richiamo dell’elezione e annunzio del castigo Azione di Dio e profezia Contro Samaria Contro le donne di Samaria Contro lo zelo nei riti L’indurimento Lamentazione funebre su Israele
O la vita o la morte
Una speranza illusoria Dio rifiuta il culto di Israele Contro l’euforia delle autorità La distruzione della capitale La giustizia è impazzita Vittoria per niente
La bibliografia recentemente redatta da A. VAN DER WAL, Amos. A Classified Bibliography, contiene circa 1600 titoli, per il periodo che va dal 1800 al 1985. 5 É. OSTY, La Bible, 1975.
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Anche nelle altre due sezioni (1–2 e 7–9) si rilevano, secondo i commentatori, incoerenze nella composizione: «dei brani (sono) evidentemente fuori posto: 7,10-17, il racconto dell’incidente di Betel, si inserisce malauguratamente tra la terza e la quarta visione. Il suo posto normale sarebbe dopo 9,7 o 9,10»6. Un giudizio simile, così frequente nell’esegesi moderna, tradisce la difficoltà che si prova quando si cerca di cogliere i rapporti logici che legano i passi contigui, anzi l’impossibilità quasi di leggere insieme unità letterarie che sembrano estranee le une alle altre. È fondamentalmente questa difficoltà che il presente commento intende affrontare. Lo fa nella convinzione che i testi biblici non dipendano dalle regole di composizione della retorica — e della logica — greco-latina, ma che possono venire sottoposti a un’analisi che tenga seriamente conto della peculiare specificità della retorica biblica. Questo interesse per i fenomeni di composizione non dipende da una preoccupazione archeologica, né in primo luogo estetica. Fra le numerose operazioni necessarie al lavoro esegetico, lo studio della strutturazione letteraria non solo delle piccole unità, ma ancor più degli insiemi, dalla «sequenza» che raggruppa più pericopi, fino al libro nella sua totalità, è essenziale per comprendere e interpretare il messaggio. Certo, ciò che noi chiamiamo «analisi retorica» non esaurisce l’esegesi, ma rappresenta una tappa indispensabile del lavoro. Non si esagera dicendo che l’individuare la composizione dei testi tende a diventare uno dei tratti principali dell’esegesi attuale. Infatti in passato gli esegeti hanno generalmente accordato poca importanza all’organizzazione dei libri biblici. Non sarà dunque inutile presentare qui una panoramica su come tale questione è stata affrontata nel corso dei secoli. L’indagine si limiterà ad alcuni esempi significativi, con un’attenzione particolare al modo in cui le diverse epoche hanno analizzato una sequenza di Amos, cioè i versetti 1-17 del capitolo 5, che la critica recente ha identificato come un’unità particolarmente strutturata. L’EPOCA PATRISTICA, ovvero la parafrasi versetto per versetto L’esegesi antica non sembra dimostrare particolare interesse per la composizione dei libri biblici. I commentari dei Padri seguono il testo generalmente frase 6 É. OSTY, La Bible, 1975. Bisogna rilevare che quei passi, che formano il centro delle sequenze, per lo più sono percepiti come elementi estranei, ritenuti perciò secondari. Si giunge fino alla loro eliminazione nella lettura liturgica: così la prima lettura della XXVI domenica del tempo ordinario dell’anno C (Am 6,1.4-7) corrisponde esattamente alla nostra sequenza B6, meno il passo centrale che ne fornisce la chiave interpretativa (nella XV domenica del tempo ordinario dell’anno B, invece, si legge solo la parte centrale dell’episodio di Betel, ossia Am 7,12-15, che forma il passo centrale della nostra sequenza C2). Nel lezionario feriale, il lunedì della XIII settimana del tempo ordinario (anni dispari) si legge Am 2,6-10.13-16, ossia la nostra sequenza A2 (l’oracolo contro Israele), da cui tuttavia è stato espunto il passo centrale (2,11-12); il venerdì della stessa settimana sarà la volta della nostra sequenza C3 (8,4-14) a essere amputata proprio del passo centrale (8,8) e della fine dei passi estremi (8,7 e 13-14), che sono molto importanti.
Introduzione
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per frase, o tutt’al più per piccole unità di senso. Così, per esempio, Teodoro di Mopsuestia7 inizia il suo commentario con un riassunto generale del libro ma nel corso dell’opera non si preoccupa della sua composizione8; se lungo tutto il suo commentario egli presenta il testo per piccole unità, le spiegazioni che seguono sono date frase per frase, e persino sintagma per sintagma. Lo stesso avviene per Cirillo d’Alessandria9, la cui introduzione si limita a una presentazione del profeta e della sua storia10. L’esegesi di Girolamo11 è normalmente fatta versetto per versetto, con occasionali raggruppamenti da due a quattro versetti, raramente di più (3,3-8; 6,2-6; 6,7-11). Girolamo divide il suo commentario in tre libri (I: 1,1–3,15; II: 4,1–6,1; III: 6,2–9,15), ma questa divisione non sembra corrispondere a una organizzazione del contenuto (in particolare la divisione tra i libri II e III dopo 6,1). L’EPOCA SCOLASTICA, ovvero un tentativo di gerarchizzazione Con l’avvento della scolastica si sviluppa una estrema cura dell’organizzazione logica. Nell’analisi dei testi le divisioni e le sottodivisioni si moltiplicano in modo assai dettagliato. Così, per esempio, Alberto Magno12 divide il capitolo 5 di Amos in due grandi parti di differente lunghezza: 1. Bisogna piangere e cosa bisogna cercare piangendo (5,1-20) 2. Il cattivo modo di cercare il Signore (5,21-27).
La prima di queste due parti si suddivide a sua volta in due: 1.1 Nella prima piange la pena della condanna (5,1-17) 1.2 Nella seconda (piange) la pena dei sensi (5,18-20).
Le sottodivisioni della sottoparte 18-20, e soprattutto della seconda grande parte (21-27), sono sempre più esitanti e vaghe. L’organizzazione di 5,1-17, invece, è più serrata, soprattutto all’inizio, per cui merita di essere riprodotta integralmente13:
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In Amosum, 241-304. In Amosum, 243-244. 9 In Amos, 407-582. 10 In Amos, 407-410. 11 Commentariorum, 211-348. 12 In Amos, 181-269. 13 Con una visualizzazione grafica che evidentemente non è quella di Alberto Magno, ma che riproduce fedelmente le sue esplicite suddivisioni. 8
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Il libro del profeta Amos
1. CIÒ CHE BISOGNA CERCARE PIANGENDO (5,1-5) 1.1 Perché e cosa bisogna piangere (5,1-3) 1.1.1 Perché bisogna piangere 1.1.2 Cosa bisogna piangere nella colpa 1.1.3 Cosa bisogna piangere nei castighi 1.2 Cosa bisogna cercare (5,4) 1.3 Cosa non bisogna cercare (5,5-6) 2. MINACCE CONTRO QUANTI NON CERCANO (5,6-13) 3. COME BISOGNA CERCARE (5,14-17) 3.1 Insegna a cercare (5,14-15) 3.2 Insegna a piangere (5,16-17)
Nonostante le esitazioni14 e la mancanza di rigore15, l’approccio scolastico introduce una grande novità rispetto all’epoca patristica. Esso non si limita a commentare il testo per piccole unità di senso, ma ricerca un’organizzazione gerarchizzata del discorso, almeno all’interno di ogni capitolo. Pur non vedendo l’organizzazione concentrica di Am 5,1-17, Alberto Magno aveva proposto una divisione globale tripartita ed altre suddivisioni che anticipano, almeno parzialmente, la nostra stessa analisi16. DOPO LA SCOLASTICA, ovvero il ritorno al commento versetto per versetto Lo sforzo di sistematizzazione della scolastica non è stato seguito dai commentatori dei secoli seguenti. Così B. Arias Montanus17 espone a lungo il contenuto del libro, ma senza molta chiarezza; egli lo divide in quattro sezioni (1–3; 4–6; 7–9,6; 9,7-15), ma all’interno di queste grandi unità commenta versetto per versetto, come i Padri. P. Palacios de Salazar18 è più ricco di divisioni, anche all’interno dei capitoli, ma il tutto risulta un po’ artificiale: ecco le prime tre delle cinque parti del capitolo 5: 1. Nella prima, Dio, nella sua giustizia, predice a Israele la calamità che sta per arrivare. Ma nella sua misericordia lo richiama alla penitenza, perché possa scampare alla devastazione (1-9). 2. Fa di nuovo la stessa cosa nella seconda parte (10-15). 3. Fa lo stesso nella terza, senza però richiamare alla penitenza (16-17).
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Per esempio, circa la collocazione del versetto 6, che appartiene a due unità differenti. Lo sforzo di precisione nell’analisi è molto appariscente all’inizio, ma in seguito scema notevolmente. 16 Si confronti con la nostra tavola, p. 199. 17 Commentaria, 285-432. 18 In XII Prophetas, 217-336. 15
Introduzione
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Anche F. Ribera19 commenta versetto per versetto, sebbene faccia precedere il suo commentario da un riassunto capitolo per capitolo. Ecco quello del capitolo 5: «Egli enumera i loro peccati e minaccia loro la prigionia; li esorta quindi alla pietà, affinché non cadano in sciagure così gravi; se non lo fanno, afferma che nessun sacrificio potrebbe placarlo». È difficile vedere qui una organizzazione molto precisa. Per più di due secoli si procederà in modo simile, per esempio con i commentari di C. a Lapide20, di A. Calmet21 e di J.N. Alber22. IL DICIANNOVESIMO SECOLO, ovvero il ritorno dei piani Pur senza riprendere le molteplici sottodivisioni della scolastica, i commentatori del XIX secolo nel loro insieme cercano di delineare un piano dell’opera. Così E.F.C. Rosenmüller consacra alcune pagine della sua introduzione all’organizzazione del libro di Amos23, che divide in due grandi parti (molto disuguali): le minacce fino a 9,10, le promesse da 9,11 a 15. Le minacce si suddividono a loro volta in due: comminationes nudae (1,2–6,14) e comminationes figuratae (7,1–9,10). La suddivisione della parte chiamata «minacce nude» (cioè dirette, non velate) merita di essere citata, poiché si fonda esplicitamente su un criterio formale, e ciò rappresenta una novità: Alcune si distinguono per una formula d’introduzione: 1) Dopo una dichiarazione generale (1,2), denuncia dei crimini delle nazioni (1,3–2,16). 2) Dopo un prologo simile a 1,2 (3,4-8), accusa contro Israele (3,1-15). 3) Accusa contro i grandi e, in seguito, contro tutti gli abitanti del regno d’Israele (4). 4) Lamentazione contro le dieci tribù (5,1-17) e contro Giuda e Israele (5,18–6,14).
Nonostante ciò, nel corso del commentario procede per capitoli, ognuno preceduto da un riassunto. LA STROFICA, ovvero la teoria dei cori alterni Sulle orme di tutta una serie di autori tedeschi e inglesi del XIX secolo (F. Köster, H. Ewald, G. Baur, C.A. Briggs, D.H. Müller, J.K. Zenner), W.R. Harper organizza il libro di Amos secondo una disposizione strofica24. Questa infatuazione per la strofica, condivisa da un grande numero di commentatori
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In librum, 321-468. Commentaria, 246-339; divide il capitolo 5 di Amos in tre parti (1-9; 10-20; 21-27), senza nessuna spiegazione. 21 Commentaire, 841-884. 22 Interpretatio, 336-406. 23 Scholia, VII, 2-4. 24 «The Utterances»; ripreso in Amos and Hosea; cfr. in particolare la sua esposizione storica e la sua presentazione della teoria strofica, pp. clxiv-clxix. 20
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Il libro del profeta Amos
dell’inizio del XX secolo25, oggi è stata quasi del tutto abbandonata. Vale tuttavia la pena di ricordare A. Condamin, poiché alcune sue osservazioni preannunciano le più recenti scoperte. Secondo questo autore nei poemi biblici spesso si susseguono «strofa», «antistrofa» e «strofa alternante» (o «intermedia»). Strofa e antistrofa sono tra loro simmetriche — o parallele —, mentre la strofa alternante ha un carattere diverso e va collocata al centro, tra i due gruppi di strofa – antistrofa. Nel 1933 egli presenta così gli oracoli dei primi due capitoli di Amos26: Preludio (1,2) 2 versi. I. (1,3-5) Contro Damasco. 2+3 versi.
II. (1,6-8) Contro i Filistei. 2+3 versi.
III. (1,9-12) Contro i popoli fratelli di Israele. Tiro ed Edom 3+3 versi. I. (1,13-15) Contro Ammon. 2+3 versi.
II. (2,1-3) Contro Moab. 2+3 versi. III. (2,4-5) Contro Giuda. 2+2 versi.
I. (2,6-8) Contro Israele: Accusato di ingiustizia e d’immoralità. 3+3 versi.
II. (2,9-12) Benefici di Yhwh per Israele: L’Esodo. Profeti e Nazirei 3+3 versi. III. (2,13-16) Minaccia di castigo. 5 versi.
I. (3,1-4) Nessun effetto senza causa. La disgrazia che minaccia Israele ha quale causa la giustizia di YHWH. 2+2+3 versi. 25
II. (3,5-8) Nessuna causa senza effetto. Quando Yhwh parla, il profeta deve profetizzare. 2+2+3 versi.
H.J. Elhorst, M. Löhr, W. Riedel, E. Baumann, K. Marti; cfr. W.R. Harper, cxxxv-clxiv. In Poèmes de la Bible, 60. Le pagine di quest’opera consacrate ad Amos erano state pubblicate più o meno tali e quali nel suo articolo «Amos 1,2–3,8». 26
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Più di trent’anni prima, già scriveva a proposito di questo testo: «L’importante è riconoscere nel poema dei raggruppamenti di versi dalla forma speciale, dall’andamento più mosso, così da esprimere un’idea più forte. In questo canto profetico di minaccia, il punto culminante è riservato alle nazioni più criminali, colpevoli di tradimento e ostilità nei confronti di un fratello (prima strofa alternante), quindi a Giuda, reo di prevaricazione e di idolatria (seconda strofa alternante)»27. In seguito si vedrà che questa interpretazione — che d’altronde difende l’autenticità di tutto il poema — concorda in parte con la nostra propria analisi. LA STORIA DELLE FORME, ovvero i commentari «atomistici» Per tutta una categoria di commentatori moderni la questione della strutturazione del libro praticamente non sembra porsi. Certo, di solito i versetti non vengono analizzati separatamente, gli uni dopo gli altri, ma per piccoli gruppi. J.L. Mays sembra essere il rappresentante più caratteristico di questa tendenza. È vero che all’inizio della sua opera28 egli segnala che «un grande insieme di detti» (1,3–6,14) può essere distinto dalle visioni (7–9); egli dice anche che «in 3,1– 6,14 si può notare una organizzazione degli oracoli in gruppi, a motivo di formule iniziali ricorrenti, quali: “ascoltate questa parola” [...] e “Guai a” [...]. I curatori della raccolta, a quanto sembra, hanno preso gli oracoli che avevano le stesse parole introduttive e le hanno utilizzate come intestazioni per piccole sequenze di lunghezza più o meno uguale. A parte ciò non esiste nessuno schema dimostrabile di una disposizione secondo l’ordine storico, geografico o tematico»29. Nel corpo del suo commentario, tuttavia, non adotta per nulla queste constatazioni generali sulla composizione del libro, ma suddivide il testo di Amos in una serie di 33 unità, in genere molto brevi; solo in due si trovano delle sottodivisioni, cioè gli oracoli contro le nazioni (1,3–2,16) e le visioni (7,1–8,3); per il resto, si tratta di unità formate da uno a otto versetti30. Il commentario di H.W. Wolff31 può ancora essere incluso nella medesima categoria, anche se le sue 23 unità sono un po’ più lunghe. Anche per lui, a parte la serie degli oracoli contro le nazioni dei capitoli 1–2 e le visioni dei capitoli 7–8, il libro di Amos è una raccolta disorganica di piccole «forme», ossia di unità letterarie differenti. A parte la raccolta primitiva degli oracoli contro le nazioni (senza gli oracoli contro Tiro, Edom e Giuda, considerati delle aggiunte), nessun gruppo di oracoli, neppure 5,1-17 — pur trattato come un’unità letteraria — è studiato come un insieme coerente. Ciò che lo interessa anzitutto è ritrovare la storia del 27
«Les chants lyriques», 353. Mays, 12. 29 Ibid., 14. 30 Cfr. il suo indice: Amos, V-VI. 31 Dodekapropheton 2. Joel und Amos; trad. inglese: Joel and Amos (d’ora in avanti sarà citata questa traduzione). 28
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testo e dunque datare le piccole unità, o forme, che la tradizione avrebbe raccolto nel libro. Nemmeno si immagina la possibilità di un reale lavoro di redazione, cioè di un’organizzazione logica del materiale. LA STORIA DELLA REDAZIONE, ovvero l’avvio di raggruppamenti Pur restando fedeli a una prospettiva fondamentalmente critica, che ha di mira la «ricostruzione» del testo autentico, un numero sempre maggiore di autori riconosce che il libro presenta una qualche organizzazione letteraria. Così L. Alonso Schökel e J.L. Sicre Diaz32, dopo aver classificato gli elementi da cui è composto il libro, evidenziano i criteri seguiti dai redattori per organizzare questi elementi: «Possiamo raggruppare i diversi elementi che compongono il libro di Amos nel modo seguente: oracoli contro le nazioni (1–2); oracoli contro Israele (3–6; 8,4-14; 9,7-10); frammenti di un inno (4,13; 5,8; 9,5-6); cinque visioni (7,1-9; 8,1-3; 9,1-4); oracoli finali di salvezza (9,11-15). Questo materiale, così eterogeneo, è stato organizzato dai redattori tenendo conto di due criteri: contenuto e parole di aggancio, come si osserva in questo schema: 1,3: così dice il Signore a Damasco 6: “ “ “ “ a Gaza 9: “ “ “ “ a Tiro 11: “ “ “ “ a Edom 13: “ “ “ “ a Ammon 2,1: “ “ “ “ a Moab 4: “ “ “ “ a Giuda 6: “ “ “ “ a Israele 3,1: Ascoltate questa parola 4,1: Ascoltate questa parola 5,1: Ascoltate questa parola 5,7: Guai 5,18: Guai 6,1: Guai 7,1: Questo mi fece vedere il Signore 7,4: Questo mi fece vedere il Signore 7,7: Questo mi fece vedere il Signore (7,10-17: conflitto con Amasia) 8,1: Questo mi fece vedere il Signore 8,4: Ascoltate questo 9,1: Io vidi il Signore»33.
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Profeti, 1079-1129. Profeti, 108s. Da notare che il primo «Guai» (5,7) non si trova nel TM, ma è «restituito» dai commentatori; ugualmente in 7,7 nel testo non compare «il Signore» e in 7,1; 7,4 e 8,1 il testo dice: «Questo mi fece vedere il Signore DIO». 33
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Secondo questi due autori, quindi, il libro di Amos è diviso in quattro blocchi: A) Oracoli contro le nazioni straniere (1,3–2,5), che culminano con un oracolo contro Israele (2,6-16). B) Oracoli contro Israele (3,1–6,14). Questo blocco può essere diviso in tre sezioni (3–4; 5,1-17 e 5,18–6,14). C) Le visioni (7,1–9,10). D) Oracoli di salvezza (9,11-15)34. Essi fanno notare che 5,1-17 ha «una struttura concentrica molto interessante»; ne danno questo schema35: 4,13 inno 5,1-3 elegia 5,4-6 cercare 5,7.10.13 GUAI 5,14-15 cercare 5,16-17elegia 5,7-18 inno vedendosi però costretti ad anticipare l’inizio della sezione (4,13), a spostare i versetti 7-8 per farli corrispondere a 4,13 e a supporre un «Guai» all’inizio del versetto 7. Gli autori stessi riconoscono la fragilità della loro costruzione: «La disposizione però non è del tutto chiara e presuppone una trasposizione (solo plausibile). E sarebbe ancor meno legittimo attribuire al profeta questa composizione». La maggior parte degli altri commentari organizzano il libro in modo analogo, alcuni, come J. Lippl – J. Theis36, A. Weiser37 e P.G. Rinaldi38, solamente in due sezioni (1–6 e 7–9), mentre la maggior parte in tre (1–2; 3–6; 7–9), come A. van Hoonacker39, J. Touzard40, R.S. Cripps41, R. Gordis42, Th.H. Robinson – F. Horst43, S. Amsler44, W. Rudolph45; quanto a quelli che lo dividono in quattro
34 Profeti, 1086: questa divisione sostanzialmente concorda con quella proposta nel presente studio. 35 Profeti, 1107. 36 Die zwölf Kleinen Propheten, 109-110: titolo e prologo (1,1-2); prima parte (1,3–6,14); seconda parte (7,1–9,10); epilogo (9,11-15). 37 Das Buch der zwölf Kleinen Propheten, 129-131. 38 I profeti minori, I. 39 Les douze petits prophètes, 204-205. 40 Le livre d’Amos, 34-41. 41 A Critical and Exegetical Commentary on the Book of Amos. 42 «The Composition». 43 Die zwölf kleinen Propheten, 70. 44 Amos, 163-164. 45 Joel – Amos – Obadja – Jona, 100-102.
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sezioni, come É. Osty46 e L. Monloubou47, ciò dipende dal fatto che costoro considerano l’epilogo (9,11-15) una sezione a parte48. Tuttavia, questa organizzazione globale non deve illudere, poiché molti non vi si attengono. All’interno delle grandi sezioni si verifica sempre lo stesso frazionamento della storia delle forme: così, per esempio, Amsler divide la sua seconda sezione (3–6) in 19 unità e la sua terza sezione (7–9) in 18 unità, di cui sette di un solo versetto (o anche meno), dodici di due versetti e sette di tre versetti. Il commentario di J.A. Soggin49 costituisce un altro esempio significativo: seguendo i generi letterari identificati da Wolff e da Rudolph si colloca apertamente nella corrente della storia delle forme; è vero che distingue dei grandi insiemi nel libro, ma li ritiene in parte ricostruiti. Se i capitoli 3–6, intitolati «Parole di Amos da Tekoa I» sono analizzati di seguito, divisi in quindici unità, nei capitoli 7–9, invece, l’ordine del testo è stravolto: le cinque visioni all’inizio sono presentate insieme, seguite da un «intermezzo» (il racconto dell’incidente di Betel), dopo il quale un nuovo insieme di «Parole di Amos da Tekoa II» riunisce i cinque piccoli elementi restanti; infine, l’epilogo è trattato a parte. Anche quando qualcuno di questi autori delinea una strutturazione interna delle grandi sezioni, «questi piani restano insufficienti, perché la ripartizione delle unità si basa solo sulla ripresa di una formula introduttiva come “Ascoltate questa parola” o “Guai a...” [...]. Le imprecisioni nelle diverse organizzazioni dello scritto ci sembrano provenire dal fatto che le ricerche generalmente sono state condotte a partire dall’ipotesi accettata nell’esegesi classica: i libri profetici riportano piccole unità letterarie. Queste sono state riunite in collezioni, che sono ammassi di materiale vario, raggruppato per la ripresa di uno stesso vocabolario, per analogia di contenuto, ecc.»50. Se si concede ai redattori un certo ruolo nell’organizzazione del materiale da loro raccolto, la prospettiva rimane anzitutto e soprattutto storica. Lo scopo di una simile esegesi è sempre quello di datare le differenti unità che compongono il libro; essa cerca di pervenire alla comprensione del libro tramite la ricostituzione della sua genesi o la ricostruzione del suo sviluppo storico; e ciò dovrebbe permettere di mettere in evidenza le teologie particolari dei suoi molteplici strati redazionali. Gli interventi successivi sul testo originale sono spesso concepiti come dei deterioramenti, alterazioni di forme altrimenti perfette, glosse che disturbano l’armonia originaria. Così, per limitarci a un esempio preciso e limitato, M.J.A. Soggin scrive a proposito di 5,1-17: «Nuovamente ci confrontiamo con una sezione tutt’altro che semplice, che una redazione ha stravolto con criteri che ormai ci sfuggono. La situazione si complica per la presenza nei versetti 8-9 di una delle dossologie di 46
Amos – Osée, 15-16. «Amos», DBS VIII, 707-708. 48 Cfr. la presentazione di C. COULOT, «Propositions». 49 Il profeta Amos. 50 COULOT, «Propositions», 173 (nostre sottolineature). 47
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Amos, che alcuni autori trattano come una sezione a parte, mentre altri preferiscono collocarla alla fine del passo, in modo che “il Signore”, con cui conclude il versetto 17, possa apparire come soggetto del participio col quale inizia il versetto 8»51. Per S. Amsler «i tre passi innici sembrano appartenere a una medesima unità letteraria». E prosegue: «La principale difficoltà si trova al capitolo 5, dove nei versetti 4-17 un errore del copista ha curiosamente mescolato due pericopi differenti assieme a un frammento innico e a un aforisma isolato. È dunque meglio leggere questi versetti dissociandone gli elementi»52. Bisogna infine citare quanto scrive H.W. Wolff, quando affronta questo stesso insieme: «In 5,1-17 si trovano insieme gli oracoli più disparati. Solo cinque possono essere attribuiti con una ragionevole certezza alla prima raccolta delle «parole di Amos di Tekoa» (versetti 1-3. 4-5. 7+10. 11. 12 + 16-17). Il materiale restante appartiene molto probabilmente a strati successivi d’interpretazione (6 + 8 + 9.13.14-15). Infatti la sola ragione per trattare insieme questi oracoli è metodologica. Dal versetto 1 al versetto 17 le affermazioni sono così curiosamente legate le une alle altre, da una parte, e così difficili da comprendere nelle loro relazioni mutue, dall’altra, che è meglio discutere insieme le questioni concernenti le unità retoriche originali, la loro forma e il loro sviluppo storicoletterario che ha portato allo stato del testo così come l’abbiamo oggi»53. Quando affronta i versetti 7 e 10, non esita ad affermare: «La connessione [tra questi versetti] sembra così evidente che l’interpolazione del versetto 7 nel testo trasmesso deve essere attribuita a un errore del copista. Inizialmente 5,6 + 8 [-9] era un’aggiunta posta in margine, da dove ha potuto molto facilmente essere inserita nel corpo del testo in differenti luoghi nel corso delle trascrizioni successive»54. Queste citazioni, un po’ lunghe, illustrano chiaramente l’atteggiamento spregiativo dei cultori della storia delle forme, e anche di quelli della storia della redazione, verso i redattori, che secondo loro avrebbero dato al testo la sua organizzazione — se si può utilizzare questo termine — attuale55. L’ANALISI RETORICA, ovvero la ricerca di una logica ebraica Commentando l’articolo di C. Coulot citato in precedenza56, R. MartinAchard scrive: «Questo saggio si ricollega alla preoccupazione di altri biblisti 51
Il profeta Amos, 121 (nostre sottolineature). Amos, 163. L’A. aggiunge tuttavia una nota: «Si tratta dell’unico spostamento di versetti che ci siamo permessi nel commentario, anche se certi altri raggruppamenti avrebbero presentato più d’un vantaggio (i frammenti innici, le visioni)». 53 Joel and Amos, 231. 54 Joel and Amos, 233. 55 Analoghe considerazioni in Rudolph, 184-186, che identifica tre blocchi e che commenta 5,1-17 nell’ordine: a) 1-3; b) 4-6 e 14-15; c) 7.10-12.16-17 (8-9). In particolare, egli ritiene che i versetti 8-9 siano mal collocati e che il versetto 13 sia una glossa. 56 C. COULOT, «Propositions». 52
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[...] di prendere sul serio l’insieme del documento biblico, senza rinchiudersi in una spiegazione atomistica dei testi. A questo proposito una lettura sincronica di un libro come quello di Amos può felicemente completare una ricerca imperniata soprattutto sull’aspetto diacronico del messaggio del profeta e dei suoi rimaneggiamenti»57. I nuovi approcci possono essere denominati «retorici», secondo le due accezioni che attualmente si danno a questo termine, quello della retorica classica, di origine greco-latina58, o quello di una retorica biblica di cui si è cominciato a scoprire le leggi più di due secoli fa59. Pur con mezzi diversi, se non addirittura opposti, le due retoriche hanno un comune intento: cercare di scoprire la logica che ha presieduto all’organizzazione dei testi così come ci sono pervenuti. Ancora una volta, Am 5,1-17 permetterà di illustrare la specificità dell’analisi retorica, in rapporto agli studi di tipo genetico60. Quasi contemporaneamente e, pare, in modo indipendente tre studiosi hanno scoperto la composizione concentrica dell’unità formata dai diciassette versetti del capitolo 5 di Amos 61, testo che abbiamo visto in precedenza dissezionato dai cultori del metodo storico-critico. Non si possono accusare i primi due di questi esegeti di essere affetti dalla «malattia del chiasmo»62, che farebbe vedere loro questo genere di composizione ovunque: e infatti sembrano ignorare completamente gli autori più conosciuti in questo ambito63. 1) Rapida e poco elaborata, l’analisi di C. Coulot non è che una piccola parte dello studio che egli ha consacrato all’insieme del libro64; egli ha notato molto bene che «in 5,16-17 abbiamo una ripresa tramite inclusione del tema del lutto menzionato in 5,1»; che «i versetti 5,14-15 riprendono il tema dell’esortazione a
57
Amos, 74. Questo è il senso del «rhetorical criticism», essenzialmente americano; cfr. per esempio, W. WUELLNER, «Where is Rhetorical Criticism Taking Us?». 59 Cfr. R. MEYNET, L’analisi retorica. 60 Cfr. D.W. WICKE, «Two Perspectives». 61 C. COULOT, «Propositions», 179-180; J. de WAARD, «The Chiastic Structure»; W. SMALLEY, «Recursion Patterns»; quest’ultimo studio è ripreso e sviluppato in J. de WAARD – W. SMALLEY, A Translator’s Handbook, 189-214. Si troveranno elementi complementari d’analisi in A. SPREAFICO, «Amos: struttura formale»; N.J. TROMP, «Amos V 1-17»; D.W. WICKE, «Two Perspectives»; J. JEREMIAS, «Tod und Leben», 137, attribuisce la composizione concentrica a un redattore dell’epoca dell’esilio o del primo post-esilio. 62 Diagnosticata da X. LÉON-DUFOUR, «Bulletin d’exégèse du Nouveau Testament», 267; cfr. la reazione di R. MEYNET, Avez-vous lu saint Luc?, 10. 63 De Waard, «Recursion Patterns», 172, sembra pensare di essere il primo ad avere scoperto la struttura concentrica di Am 5,4-6; N.W. LUND lo aveva segnalato più o meno cinquant’anni prima di lui: «The Presence», 108 (ripreso in Chiasmus, 42) e T. BOYS più di un secolo prima di Lund (A Key, 126); cfr. R. MEYNET, L’analisi retorica, 121. 64 La sua presentazione della composizione concentrica di 5,1-17 occupa una pagina e mezzo (179-180). 58
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ricercare qualcuno o qualche cosa per vivere, già presente in 5,4-6»; e, infine, che tutta la costruzione è imperniata sul versetto 1065: – tema del lutto (qynh) – tema del resto (š’r) – drš – ḥyh – tema dell’ingiustizia – immagine di un castigo – tema dell’ingiustizia – annuncio di un castigo – tema dell’ingiustizia – drš – ḥyh – tema del resto (š’r) – tema del lutto (’bl; mspd)
5,1-2 5,3 5,4-6 5,7 5,9 5,10 5,11 5,12 5,14 5,15 5,16-17
2) Le otto pagine di J. de Waard sulla struttura concentrica di Am 5,1-17 sono un modello di chiarezza, di concisione e di intelligenza. Anzitutto bisogna citare le tre frasi che situano il suo metodo rispetto alla ricerca storico-critica: «La ricerca sulla “preistoria” del testo o il tentativo di ritrovare gli strati della tradizione testuale ci sono serviti solo occasionalmente. Tali studi hanno i loro meriti, sebbene si debba notare che in passato sono state spesso prese delle decisioni in questo ambito sulla base di una pretesa mancanza di relazioni significative all’interno di un determinato discorso. Oggi che la ricerca sul senso delle strutture del discorso è divenuta sempre più la preoccupazione comune dei linguisti e dei filologi, i ricercatori sono molto più prudenti e ci si deve augurare che nessuno ormai voglia più difendere la tesi che determinate relazioni significative non esistono con il pretesto che esse non sono ancora state scoperte»66. De Waard isola anzitutto le differenti «sottounità o paragrafi» del discorso e le analizza in se stesse; rileva in particolare la composizione concentrica di tre di queste unità (4-6; 7; 10-13) e la composizione parallela di 14-15. Mette però in evidenza anche i legami che uniscono queste differenti unità tra loro67.
65
«Propositions», 180. «The Chiastic Structure», 171. 67 Su questo studio si possono esprimere solo alcune riserve: da una parte il fatto che divida in tre unità — apparentemente messe sullo stesso piano delle altre — ciò che noi consideriamo una sola unità, ossia il passo innico formato dai versetti 8-9; dall’altra, il fatto che egli giudichi il versetto 13 un’inserzione secondaria, posta tra parentesi (175-176). Un altro limite, che gioca a suo favore, consiste nel fatto che egli sembra ignorare totalmente le ricerche anteriori sulle strutture concentriche: l’indipendenza della sua scoperta può essere considerata la garanzia che egli non seguiva una moda, poiché non la conosceva. 66
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Egli perviene al seguente schema d’insieme68: A 1 2 3 B 4 5 6 C
7
D 8a 8b 8c E 8d
Yhwh è il suo nome!
D’ 9 C’ 10 11 12 (13) B’ 14 15 A’ 16 17
3) W.A. Smalley non ignora la letteratura metodologica69. Il suo punto di partenza è la composizione concentrica della medesima sequenza 5,1-17 a cui consacra due pagine70. Attorno a questa scoperta Smalley organizzerà — in modo poco convincente — tutta una costruzione del libro; il suo schema conclusivo71 mostra infatti che i dodici elementi del resto del libro, la cui estensione va da mezzo versetto (1,2b) a ventiquattro versetti (5,18–6,14), farebbero da cornice ai brevissimi nove elementi della sequenza 5,1-17 (da uno a quattro versetti). Entrambi i blocchi separati dalla sequenza 5,1-1772 avrebbero una composizione concentrica73.
68
«Recursion Patterns», 176. Fa riferimento all’opera, allora recente, di K.E. BAILEY, Poet and Peasant, e alla bibliografia di A. DI MARCO, «Der Chiasmus», ripresa in Il chiasmo nella Bibbia. 70 «Recursion Patterns», 120-122. 71 «Recursion Patterns», 122. 72 I cui limiti nel frattempo sono variati: nello schema delle pagine 124-125, 5,1-3 e 5,16-17 non appartengono più alla sequenza identificata all’inizio, ma ai due blocchi che la racchiudono. 73 Alcune righe di De Waard esprimono bene la lezione che si può trarre da questo genere di errori: «Purtroppo è scarso il lavoro linguistico realizzato nell’ambito del chiasmo. Le definizioni, che abitualmente se ne danno, si limitano al livello della frase [...] Ma per quanto riguarda l’analisi delle grandi unità di discorso, la ricerca linguistica si trova ancora ai suoi primordi» («The Chiastic Structure», 177). Queste ultime parole richiamano curiosamente, e non senza qualche ragione, 69
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Questa breve indagine mostra come sia emersa progressivamente la preoccupazione di comprendere il modo in cui i testi sacri sono organizzati. Il lavoro della scuola storico-critica ha avuto il merito in mettere in risalto le asperità del testo. La ricerca attuale, che si sforza di determinare con crescente rigore la composizione degli scritti biblici, attesta la novità di un atteggiamento metodologico, cosciente di situarsi all’interno del mondo culturale che ha prodotto i testi oggetti di studio74. Questa nuova prospettiva sembra promettere un approccio migliore a un tesoro che resterà sempre da scoprire75. Il presente commentario intende apportare, in questa prospettiva, il suo contributo allo sforzo comune. Il libro di Amos è organizzato in tre sezioni: 1–2; 3–6 e 7–976. Infatti, dopo il titolo, la prima sezione (o sezione A) è un insieme di oracoli contro otto nazioni differenti; l’ultima sezione (o sezione C) è caratterizzata da una serie di visioni, di cui non si trova traccia nei capitoli precedenti; quanto alla sezione centrale (sezione B) è la più ampia e la più complessa. Il presente commentario risulta così organizzato: comprende tre grandi parti corrispondenti a ognuna delle tre sezioni del libro di Amos; ogni sezione è suddivisa in sequenze, ossia insiemi di passi (o pericopi); all’interno di ogni sequenza ogni passo è analizzato anzitutto in se stesso, dopo di che si studia l’insieme della sequenza come un tutto strutturato. Alla fine di ogni sezione, dopo lo studio delle sequenze che la compongono, un’ultima tappa è dedicata alla composizione della sezione.
quelle di T. BOYS, che all’inizio del secolo scorso scriveva che il metodo era — già! — «nella sua prima infanzia» (Tactica Sacra, 4). 74 Si consulterà con profitto l’opera recente di G.F. HASEL, Understanding the Book of Amos, dove l’autore fa il punto della ricerca attuale (sulla composizione del libro, 91-99). 75 Resterà sempre — possiamo immaginarlo — il problema di dare credito al testo «finale» e alla coerenza logica della sua forma ultima; anche di fronte a segni evidenti di organizzazione retorica si dubiterà dell’importanza del redattore nella composizione dei testi biblici. Così, per esempio, C. WESTERMANN, dopo avere notato la disposizione delle unità letterarie nell’insieme, afferma: «La concatenazione dei brani non si fonda su un piano, fosse anche quello di un redattore» («Amos 5,4-6.14.15», 116). 76 Non tutti i commentari sono d’accordo su questa suddivisione; a pagina 19 si è fornita una lista di autori e di opinioni, elenco d’altra parte molto limitato e che non riporta le ragioni delle varie divisioni del testo. Una rassegna delle diverse modalità di strutturazione del testo di Amos si trova in A. van der WAL, «The structure of Amos». È certo che su questo punto a causa da una parte della poca attenzione accordata a tale questione e dall’altra di una certa debolezza metodologica, l’esegesi non ha raggiunto un consenso sufficiente; ciò appare con chiarezza negli ultimi due commentari scientifici più importanti: Andersen – Freedman, sulla base della loro teoria riguardante i diversi titoli dati al popolo di Israele, pensano che il libro di Amos sia organizzato in tre parti: 1–4; 5–6; 7–9; Paul, al contrario, senza tuttavia attribuire alla sua divisione una funzione interpretativa significativa, suggerisce di vedervi quattro sezioni: 1,3–2,16; 3,1–5,17; 5,18–6,14; 7,1–9,10.
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Il libro del profeta Amos Abitualmente l’analisi si articola in quattro tappe:
– la prima tappa, intitolata «TESTO», consiste nello studio dei più importanti problemi testuali e lessicografici, la cui soluzione determina la traduzione adottata77. Questa prima tappa è premessa all’analisi dei singoli passi. La traduzione sarà molto letterale al livello dei passi, più leggibile analizzando le sequenze78; – la seconda tappa studia dettagliatamente la «COMPOSIZIONE» del testo; ogni unità letteraria da una parte viene «riscritta» in una tavola che ne vuole visualizzare l’organizzazione, e dall’altra descritta in modo formale. Per facilitare la lettura, la riscrittura del testo e la descrizione della sua composizione si trovano sulla stessa pagina o sulla pagina di fronte. Dato che il presente commentario si caratterizza essenzialmente per l’importanza data all’operazione dell’analisi retorica, si comprenderà perché questa seconda tappa è particolarmente dettagliata. Bisognava infatti giustificare in modo molto preciso la divisione adottata, in tutti i livelli successivi della composizione del testo, non solo all’interno del passo (o pericope) per mostrarne la coerenza interna, ma anche — e ancor più — ai livelli superiori della sequenza (ed eventualmente della sottosequenza) e della sezione (e della sottosezione); – una terza tappa, chiamata «CONTESTO BIBLICO», consiste nel chiarire il testo studiato mettendolo in relazione con altri testi biblici pertinenti. Questa operazione è condotta solo quando lo si ritiene necessario; – infine, l’ultima tappa è il punto di arrivo di tutto il lavoro precedente: la nostra «INTERPRETAZIONE» cerca di cogliere i rapporti semantici che strutturano il testo e che sono suggeriti dalla composizione del testo ed eventualmente da altre operazioni, in particolare dal raffronto con altri testi biblici.
77
Nella traslitterazione dell’ebraico e del greco seguiamo le norme di Bib 70 (1989) 579-580. Quando le annotazioni sul testo non si trovano dirimpetto alla tavola che ne presenta la struttura retorica, abbiamo premessa una traduzione (senza organizzazione) per facilitare la lettura. 78
ABBREVIAZIONI E SIGLE
ABBREVIAZIONI USUALI ABI al. AT BCE BJ BHS ed. Fs. Mél. NT LXX PG PL PUG TM TOB
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LIBRI BIBLICI Le abbreviazioni dei libri biblici sono quelle adottate dalla Bibbia di Gerusalemme.
COMMENTARI I commentari al libro di Amos sono citati solo con il nome dell’autore in minuscolo, a cui segue il numero della pagina. Per esempio: Wolff, 142.
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Il libro del profeta Amos
SIGLE DEI PERIODICI E DELLE COLLANE AB ACEBT AfO AION AJSL AnBib ANET AOAT ATD AUSS BA BAR BASOR BBB BEATAJ BeO BEvT Bib BibIll BibOr BibRev BiLeb BK BM BN BS BT BWANT BZ BZAW BZfr CBOT CBTJ CBQ CCSL CSANT CuTM DBAT DBS
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Sigle e abbreviazioni EHS EstBíb ÉtBib EvT ExpTim FRLANT FzB HAR HAT HSM HTR HUCA IBS ICC IEJ JANES JAOS JBL JETS JNES JNSL Joüon JPOS JQR JSOT JSS JTS KHCAT LD MUSJ NAWG NedThTijd NorTT NTOA OBO OTE OTS PThMS RB RevScRel RHR
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30 RivB RSR SBF SBL Diss SBS ScEsp ScriptHier SEÅ SJLA SOTSMS SR StBib SBT TB THAT ThQ TLZ TSK TTZ TWAT TZ UBL UF VD VT WMANT VTS ZAH ZAW ZDMG ZDPV Zorell
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Il libro del profeta Amos Rivista Biblica Italiana Recherches de Science Religieuse Studii Biblici Franciscani Liber Annuus Society of Biblical Literature Dissertation Series Stuttgarter Bibelstudien Science et Esprit Scripta Hierosolymitana Svensk Exegetisk Årsbok Studies in Judaism in Late Antiquity Society for Old Testament Study Monograph Series Studies in Religion / Sciences Religieuses Studi Biblici Studies in Biblical Theology Theologische Bücherei Theologisches Handwörterbuch zum Alten Testament, I-II, ed. E. JENNI & C. WESTERMANN, München 1971, 1976. Theologische Quartalschrift Theologische Literaturzeitung Theologische Studien und Kritiken Trierer theologische Zeitschrift Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament, ed. G.J. BOTTERWECK, H. RINGGREN, al., Stuttgart 1970Theologische Zeitschrift Ugaritisch-Biblische Literatur Ugarit-Forschungen Verbum Domini Vetus Testamentum Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament Vetus Testamentum (Supplement) Zeitschrift für die Althebraistik Zeitschrift für die Alttestamentliche Wissenschaft Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins F. ZORELL, Lexicon hebraicum et aramaicum Veteris Testamenti, Roma 1968. Zeitschrift für systematische Theologie Zeitschrift für Theologie und Kirche Zeitschrift für wissenschaftliche Theologie
GLOSSARIO DEI TERMINI TECNICI
1. TERMINI CHE INDICANO LE UNITÀ RETORICHE Capita spesso, nelle opere esegetiche, che i termini «sezione», «passo», ma soprattutto «brano», «parte», non vengano utilizzati in modo univoco. Ecco l’elenco dei termini che indicano le unità testuali ai loro successivi livelli. I LIVELLI «INFERIORI» (O NON AUTONOMI) A parte le prime due (il termine e il membro), le unità dei livelli inferiori sono formate da una, due o tre unità del livello precedente. TERMINE
il termine corrisponde generalmente a un «lessema», ossia una parola che appartiene al lessico: sostantivo, aggettivo, verbo, avverbio.
MEMBRO
il membro è un sintagma, o gruppo di «termini» connessi tra loro mediante stretti rapporti sintattici. Il «membro» è l’unità retorica minima; può anche capitare che il membro comprenda un solo termine (il termine di origine greca è «stico»).
SEGMENTO
il segmento comprende uno, due o tre membri; si parlerà di segmento «unimembro» (il termine di origine greca è «monostico»), di segmento «bimembro» (o « distico») e di segmento «trimembro» (o « tristico»).
BRANO
il brano comprende uno, due o tre segmenti.
PARTE
la parte comprende uno, due o tre brani.
I LIVELLI «SUPERIORI» (O AUTONOMI) Sono tutti formati o da una o da più unità del livello precedente. PASSO
il passo – equivalente della «pericope» degli esegeti – è formato da una o da più parti.
SEQUENZA
la sequenza è formata da una o da più passi.
SEZIONE
la sezione è formata da una o da più sequenze.
LIBRO
infine il libro è formato da una o da più sezioni.
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Il libro del profeta Amos
È talvolta necessario ricorrere ai livelli intermedi della «sottoparte», della «sottosequenza» e della «sottosezione»; queste unità intermedie hanno la stessa definizione della parte, della sequenza e della sezione. VERSANTE
complesso testuale che precede o segue il centro di una costruzione; se il centro è bipartito, il versante corrisponde a ciascuna della due metà della costruzione.
2. TERMINI CHE INDICANO I RAPPORTI TRA LE UNITÀ SIMMETRICHE SIMMETRIE TOTALI COSTRUZIONE PARALLELA
figura di composizione in cui le unità in rapporto due a due sono disposte in modo parallelo: A B C D E | A’B’C’D’E’. Quando due unità parallele tra loro incorniciano un unico elemento, si parla di parallelismo per designare la simmetria tra queste due unità, ma l’insieme viene considerato (l’unità di livello superiore) come una costruzione concentrica: A | x | A’. La «costruzione parallela», è detta anche «parallelismo» (che si oppone a «concentrismo»).
COSTRUZIONE SPECULARE
figura di composizione in cui le unità in rapporto due a due sono disposte in modo antiparallelo o «a specchio»: A B C D E | E’D’C’B’A’. Come la costruzione parallela, la costruzione speculare non ha un centro; come la costruzione concentrica, gli elementi in rapporto si corrispondono a specchio. Quando la costruzione comprende soltanto quattro unità, si può parlare anche di «chiasmo»: A B | B’A’.
COSTRUZIONE CONCENTRICA
figura di composizione in cui le unità simmetriche sono disposte in modo concentrico: A B C D E | x | E’D’C’B’A’, intorno a un elemento centrale (questo elemento può essere un’unità di uno qualsiasi dei livelli di organizzazione testuale). La «costruzione concentrica», è detta anche «concentrismo» (che si oppone a «parallelismo»).
COSTRUZIONE ELITTICA
figura di composizione in cui i due fuochi dell’elisse articolano le altre unità testuali: A | x | B | x | A’.
Glossario dei termini tecnici
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SIMMETRIE PARZIALI TERMINI INIZIALI
termini o sintagmi identici o simili che indicano l’inizio di unità testuali simmetriche; l’«anafora» della retorica classica.
TERMINI FINALI
termini o sintagmi identici o simili che indicano la fine di unità testuali simmetriche; l’«epifora» della retorica classica.
TERMINI ESTREMI
termini o sintagmi identici o simili che indicano le estremità di un’unità testuale; l’«inclusione» dell’esegesi tradizionale.
TERMINI MEDI
termini o sintagmi identici o simili che indicano la fine di un’unità testuale e l’inizio dell’unità che gli è simmetrica; la «parola gancio» dell’esegesi tradizionale.
TERMINI CENTRALI
termini o sintagmi identici o simili che segnano i centri delle due unità testuali simmetriche.
Per maggiori dettagli, vedi R. MEYNET, Trattato di retorica biblica, Retorica Biblica 10, Bologna 2008.
REGOLE PRINCIPALI DI RISCRITTURA – all’interno del membro, i termini sono generalmente separati da spazi; – ogni membro è generalmente riscritto su di una sola riga; – i segmenti sono separati da una riga bianca; – i brani sono separati da una riga tratteggiata; – la parte è delimitata da due filetti; lo stesso vale per le sottoparti. – all’interno del passo, le parti sono incorniciate (salvo che non siano molto corte, come un’introduzione o una conclusione); le eventuali sottoparti sono disposte in cornici contigue; – all’interno della sequenza o della sottosequenza, i passi, riscritti in prosa, sono disposti in cornici separate da una riga bianca; – all’interno della sequenza, i passi di una sottosequenza sono disposti in cornici contigue. Per le regole di riscrittura, si veda il Trattato, cap. 5, 279-340 (sulla riscrittura delle tavole sinottiche, si veda cap. 9, 467-504).
1. Parole di Amos, ruggito del Signore Il titolo del libro: 1,1-2
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1. Parole di Amos, ruggito del Signore
TESTO 1
Parole di Amos, che fu tra i pecorai di Tekoa, che ebbe visioni contro Israele, al tempo di Ozia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo figlio di Ioas, re di Israele, (nei) due anni prima del terremoto; 2 e disse: «Il Signore da Sion ruggisce e da Gerusalemme emette la sua voce: ne sono desolate le praterie dei pastori ed è inaridita la vetta del Carmelo».
VERSETTO 1: Parole La prima parola del libro di Amos1 pone un problema di traduzione, poiché in altri contesti viene giustamente tradotta con «storia» (cfr. 1Re 11,41: «Il resto della storia di Salomone...»); dal momento che il libro di Amos, come quello di Geremia, non riporta solo «parole» del profeta, ma anche materiale biografico, alcuni pensano di doverla tradurre con «Storia di Amos» o «Racconto di Amos»2. Tuttavia, poiché il materiale biografico è estremamente ridotto (7,1017) e d’altra parte perfettamente inserito negli oracoli, ci si attiene qui alla traduzione «parole». Il parallelismo tra 1 («Parole di Amos») e 2 («e disse») è un ulteriore argomento a favore di questa traduzione3. tra i pecorai Il termine ebraico (nōqēd), tradotto con «pecoraio», ricorre solamente un’altra volta nella Bibbia, in 2Re 3,4, riferito al re di Moab, Mesa, che «inviava al re di Israele centomila agnelli e la lana di centomila arieti». Anche se il termine ebraico ha originato numerose discussioni4, si può ritenere che Amos fosse un pastore (cfr. Am 7,14). Alcuni ritengono che fosse benestante5, altri, invece, che fosse di umili condizioni6. che ebbe visioni Le due proposizioni di 1bc iniziano con lo stesso pronome relativo, invariabile in ebraico. Il primo ha chiaramente come antecedente «Amos», mentre il
1 Secondo J.J. STAMM, «Der Name», il nome Amos significa probabilmente «sostenuto (da YHWH)», o forse «sostenitore (dei genitori, della famiglia)». 2 Così Andersen – Freedman, 185. 3 Cfr. Ch.D. ISBELL, «A Note on Amos 1:1», che propone di tradurre «parole di Amos diffuse tra i nōqedîm di Tekoa», identificando così la profezia di Amos con le scuole sapienziali dei «pastori» di Tekoa. 4 Cfr. P.C. CRAIGIE, «Amos the nōqēd». 5 Come per esempio Wolff, Rudolph, Soggin; cfr. anche J.-L. VESCO, «Amos de Teqoa», 483; R.R. WILSON, Prophecy and Society, 268. 6 Così J. GARCÍA TRAPIELLO, «Situación histórica».
Il titolo: 1,1-2
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secondo potrebbe riferirsi a «parole» («parole... che vide...»). La soluzione che attribuisce loro lo stesso antecedente sembra da preferirsi7. due anni Questo complemento di tempo probabilmente non indica una data puntuale (come in Gen 11,10), bensì una durata (cfr. Gen 41,1; 45,6; 1Re 16,8); potrebbe essere tradotto con «nei due...» (= «durante i due anni che precedettero il terremoto8»). VERSETTO 2: praterie Questa parola non designa solo i campi dove pascolano i greggi, ma anche i luoghi dove si abita (Gb 5,3.24; Pr 3,33); potrebbe essere quindi tradotta anche con il termine più generico «possedimenti». I nomi divini saranno tradotti come segue: yhwh ’ădōnāy ’ădōnāy yhwh ’ĕlōhîm ’ĕlōhèkā yhwh ’ĕlōhèkā yhwh ’ĕlōhê ṣebā’ôt yhwh ’ĕlōhê haṣṣebā’ôt ’ădōnāy yhwh ’ĕlōhê ṣebā’ôt ’ădōnāy yhwh haṣṣebā’ôt
Il SIGNORE (53 volte) Il Signore (3 volte: 7,7.8; 9,5) Il Signore DIO (19 volte) Dio (1,11)9 il tuo Dio (due volte: 4,12; 8,14) il SIGNORE tuo Dio (9,15) Il SIGNORE Dio degli eserciti (6 volte: 4,13; 5,14.15.27; 6,8) Il SIGNORE Dio degli eserciti (6,14) Il Signore DIO, il Dio degli eserciti (3,13) Il Signore DIO degli eserciti (9,5)
7 Con Rudolph, 110, e Andersen – Freedman, 188-189, e contro Wolff, 117, perché sembra incongruo comprendere che Amos abbia «visto» «parole di Amos». Del resto, l’antecedente «parole» si troverebbe troppo distante dal secondo relativo. È vero che i verbi di percezione talvolta sono scambiabili; esistono infatti espressioni come «vedere la parola» (cfr. Ger 2,31). Su questo fenomeno, cfr. B. KEDAR-KOPFSTEIN, «Synästhesien». 8 È difficile datare il terremoto a cui si riferisce Amos (cfr. anche Zc 14,5); sembra si tratti di quello, di cui gli archeologi hanno ritrovato tracce a Hazor e Samaria e che avvenne verso il 760 (cfr. Y. YADIN – Y. AHARONI – R. AMIRAN – T. DOTHAN – I. DUNAYEVSKY – J. PERROT, Hazor II, 24-26, 36-37; J.A. SOGGIN, «Das Erdbeben»; W.G. DEVER, «A Case-Study»). 9 A cui bisogna aggiungere ’ĕlōhêhem («loro dei»: 2,8) e ’ĕlōhêkem («vostri dei»: 5,26).
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1. Parole di Amos, ruggito del Signore
COMPOSIZIONE La delimitazione di questo passo non pone nessun problema particolare, perché si differenzia chiaramente dalla serie degli oracoli che seguono. Comprende due brani. Il primo (1), che contiene una sola frase complessa, è narrativo; il secondo (2) invece riporta delle parole, introdotte da una breve frase narrativa (2a). IL PRIMO BRANO (1,1) Comprende tre segmenti. Il primo segmento, che è un unimembro (1a), svolge la funzione di titolo. Il secondo segmento (1bc)10 presenta il personaggio di Amos. Il terzo (1d-g) precisa il tempo in cui costui è vissuto. 1
PAROLE di AMOS, – che fu : che ebbe-visioni
tra i contro
– al tempo di Ozia, : e al tempo di Geroboamo . (nei) due anni
figlio di Ioas, prima
pecorai di TEKOA, ISRAELE, re re
di GIUDA di ISRAELE, del terremoto;
·················································································································· 2
e DISSE: – «Il SIGNORE – e da GERUSALEMME
da SION emette
ruggisce la sua voce:
: ne sono desolate : ed è inaridita
le praterie la vetta
dei pastori del CARMELO».
I due membri del secondo segmento (1bc) cominciano con lo stesso pronome relativo. I primi termini di ogni membro abbinano il mestiere di Amos («pecoraio») e la sua funzione (veggente); alla fine dei membri dapprima il nome della sua città di origine, «Tekoa»11, e poi il nome del destinatario delle sue parole, «Israele»12. 10
Le lettere che seguono il numero dei versetti indicano le righe del testo secondo la strutturazione retorica presentata dalla tavola. 11 Tekoa è una località situata 17 km a sud di Gerusalemme, al margine del deserto, a 825 metri d’altezza. Sull’origine giudaica di Amos, cfr. S. WAGNER, «Überlegungen»; H. GOTTLIEB, «Amos und Jerusalem»; recentemente, M.E. POLLEY, Amos and the Davidic Empire, ha sostenuto la tesi che Amos fosse un giudeo nazionalista, che pronunciò i suoi oracoli contro le nazioni e contro il regno di Israele, al nord, perché questi avevano disgregato il regno di Davide. 12 Dopo la morte di Salomone nel 931 le tribù del nord rifiutano di sottomettersi alle richieste del suo successore, Roboamo, provocando lo scisma tra la tribù di Giuda da una parte, l’unica sottomessa al potere della linea davidica, e le tribù del nord dall’altra, che saranno governate da varie dinastie. Il nome Israele abitualmente designa solo il regno del nord, mentre quello del sud è chiamato Giuda.
Il titolo: 1,1-2
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Il terzo segmento (1d-g) è un trimembro che precisa l’epoca («giorni», «anni») del ministero di Amos; l’ultimo membro è più preciso dei primi due, poiché i regni dei due re citati, Ozia e Geroboamo, durarono una quarantina d’anni13, mentre il periodo che precede il terremoto si riduce a due anni. I due primi membri sono rigorosamente paralleli e terminano con i nomi dei due regni, del sud e del nord; questa opposizione riprende quella che si trovava già nel segmento precedente (1bc) tra «Tekoa» (che si trova in Giuda) e «Israele». IL SECONDO BRANO (1,2) Dopo un segmento unimembro narrativo (2a), il secondo brano comprende due segmenti bimembri di parole (2bc e 2de). Il secondo segmento (2bc) enuncia l’azione di Dio; il terzo (2de) gli effetti della sua parola; il secondo segmento dice il luogo d’origine della parola di Dio («Sion» – «Gerusalemme», al sud), il terzo segmento indica il luogo di destinazione di questa parola (il «Carmelo», al nord14). Le due montagne, di «Sion» e del «Carmelo», qui hanno la funzione di termini estremi; il leone che «ruggisce» e i «pastori» (2b.d) si contrappongono come termini finali dei primi membri nei due segmenti bimembri. DA UN BRANO ALL’ALTRO – «Parole» e «dice» nei primi membri (1a e 2a) hanno la funzione di termini iniziali; alle «parole» del profeta «Amos» (1a) nel primo brano corrisponde la «voce» ruggente del «Signore» nel secondo (2c). – Si ritrova la medesima opposizione tra sud e nord: «Tekoa» e «Israele» (1bc) poi «Giuda» e «Israele» (1df) da una parte, «Sion» – «Gerusalemme» (2bc) e «il Carmelo» (2e) dall’altra. – I «pecorai» di Tekoa (1b) e i «pastori» del Carmelo (2d) formano una specie di inclusione per l’insieme del passo. – Soprattutto se sono compresi come due castighi di Dio, il «terremoto» (1g) e la siccità (2de) svolgono la funzione di termini finali per ogni brano.
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Ozia regna su Giuda dal 781 al 740; quasi contemporaneamente Geroboamo II governa Israele dal 783 al 743. Gli autori collocano la profezia di Amos intorno al 760. 14 Il massiccio montagnoso del «Carmelo», che si trova a nord del territorio del regno di Israele, è lussureggiante, come il Libano (Is 35,2) a motivo dell’abbondanza di piogge; il castigo annunciato dal profeta rappresenta dunque una calamità estrema, poiché la siccità raggiungerà la parte del paese meno esposta a questo flagello (Is 33,9; Na 1,4).
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1. Parole di Amos, ruggito del Signore
CONTESTO BIBLICO IL PROFETA Il profeta dice la parola di Dio La relazione tra la parola del profeta (1) e quella di Dio (2) è ancora più chiaramente espressa all’inizio del libro di Geremia: «Parole di Geremia, figlio di Chelkia... A lui venne rivolta la parola del SIGNORE, al tempo di Giosia...» (Ger 1,1-2). Il profeta vede Il verbo «vedere» («avere visioni») è un termine tecnico largamente utilizzato nei libri profetici15, e specialmente nelle soprascritte16, per indicare la comunicazione di una rivelazione divina a un profeta. In 7,12, rivolgendosi a Amos, Amasia utilizzerà il termine «veggente» in parallelo con il verbo «profetizzare»17. I RESPONSABILI Pastori e re Il termine «pastori» (2d) e il suo sinonimo «pecorai» (1b) possono essere messi in relazione con «re», termine che ricorre due volte (1d.f), dal momento che questi tre termini designano i responsabili, o del gregge o del popolo: infatti il re o i capi spesso sono presentati metaforicamente come i pastori del loro popolo (Ger 2,8; 3,15; 23,1ss; Ez 34,2ss; ecc.). Il leone Il leone che «ruggisce» è il nemico tipico del pastore (Am 3,12; 1Sam 17,3437; Ger 25,34-38); d’altra parte però rappresenta l’animale sovrano per eccellenza, colui al quale nessuno può comandare («si è sdraiato, si è accovacciato come un leone, come una leonessa; chi oserà farlo alzare?»: Gen 49,9). Il leone è dunque un’immagine tipica del re ed entra nella medesima serie dei termini precedenti. Il leone è anche l’emblema della tribù di Giuda, che simboleggia in questo modo la sua supremazia sulle altre tribù (Gen 49,8-12)18. 15
Is 30,10-11; 47,13; Ez 12,27; 13,6-9.16-23; ecc. Cfr. H.F. FUHS, Sehen und Schauen; cfr. anche, a proposito di Am 7,12 e del titolo «veggente» dato al profeta, le nostre indicazioni bibliografiche, p. 312. 16 Is 1,1; 2,1; 13,1; Abd 1,1; Na 1,1; Ab 1,1. 17 Insieme a ḥzh («avere una visione») i termini della radice r’h («vedere») esprimono la stessa idea (Am 7,1.4.7.8; 8,1.2; 9,1; cfr. anche 1Sam 3,1; Is 6,1; Ger 1,11-13; Ez 1,1; ecc.). 18 Sul mondo metaforico di Amos in generale, cfr. H. WEIPPERT, «Amos»; cfr. anche M. WEISS, «Methodologisches».
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Così, dunque, un «pecoraio», Amos, si oppone ad altri «pastori», i «re» d’Israele. Questa opposizione però ne segnala un’altra, quella del «Signore» che «ruggisce» (cfr. Ger 25,30; Os 11,10; Gl 4,16; Gb 37,4) contro questi stessi «pastori»; la parola profetica che viene da Giuda, l’autorità di colui che risiede a Gerusalemme in Giuda, cioè Dio stesso, si contrappone all’autorità di coloro che esercitano il potere a Samaria in Israele. INTERPRETAZIONE IL PROFETA I primi due versetti del libro di Amos costituiscono l’introduzione19. Essi cercano di esprimere cosa sia un profeta e a quale titolo sia egli autorizzato a parlare. L’esperienza profetica è allora presentata tramite due metafore, quella della visione e quella dell’ascolto. Parola e visione Amos non è chiamato profeta, almeno non esplicitamente20, e non si precisa direttamente che egli riceva la parola di Dio, come per esempio sarà il caso di Geremia (Ger 1,2). Al contrario, di lui si dice per prima cosa che è un «pecoraio», un modo per distanziarlo dalla «professione» di profeta. Nel conflitto che l’opporrà ad Amasia in 7,12-15 egli stesso rifiuterà con forza il titolo di profeta: «Non sono profeta, né figlio di profeta», a cui opporrà il suo stato di «mandriano e coltivatore di sicomori»: non è per «mangiare il proprio pane», come tanti altri profeti, che egli proclama la parola di Dio21. Questo modo di presentarlo indica, in negativo, che egli non esercita la funzione di profeta come un mestiere appreso da un maestro o dal proprio padre, e che non è questo lavoro ad assicurargli la sopravvivenza; in altre parole, da una parte non è economicamente interessato a questa attività, e dall’altra non riceve la propria competenza da un uomo. Amos non è divenuto profeta imparando dagli uomini, ma per rivelazione diretta di Dio. Positivamente, Amos viene qualificato come profeta quando afferma di aver ricevuto delle visioni. Fin dall’inizio del libro è la visione che fonda lo statuto di profeta. Il profeta parla perché ha visto qualcosa, perché ha fatto un’esperienza interiore di conoscenza che fonda la certezza assoluta, che sostiene il suo messaggio22. Il profetare non riceve la sua forza dall’intrinseca
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Sul titolo del libro, cfr. D.N. FREEDMAN, «Headings»; H.F. FUHS, «Amos 1,1». Al contrario di altri profeti: Ab 1,1; Ag 1,3; Zc 1,1. 21 Cfr. in Mi 3,5 una critica ai profeti che annunciano la pace a quanti danno loro da mangiare, e la guerra se non ricevono niente. 22 Questa caratteristica della profezia, che attraversa tutto l’Antico Testamento, si ritrova nel Nuovo: la qualità della parola di quanti sono inviati nel mondo come nuovi profeti è legata all’esperienza della visione del Risorto, come sintesi fondamentale della comprensione di tutta la 20
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1. Parole di Amos, ruggito del Signore
ragionevolezza del contenuto, bensì dalla sua origine divina. La pretesa del profeta è che la visione fonda e autorizza la sua parola. Parola e ascolto Le «parole di Amos» (1,1a) dicono che «il Signore emette la sua voce» (1,2c). Amos parla perché ha ascoltato: ha udito una parola di Dio, ha percepito il ruggito della sua collera. Egli non smetterà di ripeterlo, specialmente nella seconda sezione del libro (capitoli 3–6): «Ascoltate la Parola di Dio!» Ci sono dunque due voci, quella di Amos e quella di Dio; tuttavia queste due voci sono una sola voce, perché quella del profeta non è che l’ascolto e l’obbedienza alla parola di Dio, e il ruggito di Dio diventa il ruggito di Amos stesso. La parola profetica è fondata sul fatto che Amos ha percepito nel silenzio del proprio cuore una parola che dice la verità assoluta. Chi dice che Amos ha veramente ascoltato la parola di Dio? Sono i discepoli del profeta che hanno ricevuto questa parola come frutto di un vero ascolto di Dio e che ce la trasmettono come tale. La maggior parte dei critici ritiene che i primi due versetti del libro di Amos non vadano attribuiti alla penna del profeta di Tekoa, ma siano piuttosto da attribuire a chi ha raccolto e pubblicato la collezione di oracoli. Così facendo essi hanno avviato il movimento di trasmissione inaugurato dal profeta. Amos ascolta, e di conseguenza chiama gli altri ad ascoltare, a loro volta, la parola che egli proclama. Il profeta rimanda tutta la propria autorità all’autorità di Dio; essendo però quest’ultima invisibile e nascosta, l’uditore è invitato a un atto di fede. Un ascolto autentico della parola profetica richiede un atteggiamento di fiducia da parte di colui che ascolta solo la parola di un uomo, ma che in essa scorge veramente la presenza di Dio e ne sente effettivamente la voce. Coloro che con fede ascoltano le parole del profeta sentiranno la voce di Dio e così potranno raggiungere a loro volta, in un certo qual modo, l’esperienza vissuta dal profeta di fare nella sua visione. Risulta così vero che non c’è autentica comprensione senza adesione di fede: credo ut intelligam. I DESTINATARI L’introduzione al libro di Amos mette in scena vari personaggi. Anzitutto, il profeta e il Signore, che parlano a una sola voce: sono i locutori. Seguono i destinatari, coloro che ascoltano o dovrebbero ascoltare: si tratta di Israele, che evidentemente designa il regno del nord, governato da Geroboamo. Ma viene nominato anche Ozia, re di Giuda.
Scrittura. Tutta la Scrittura si riassume in una visione: il Crocifisso è risorto! Questa visione autorizza la parola.
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La geografia Le numerose annotazioni geografiche hanno come prima funzione quella di indicare che la parola di Dio si incarna in un luogo particolare; nel caso specifico, la parola parte da Tekoa (1,1b), nel sud di Giuda, per giungere al Carmelo (1,2e), nel nord di Israele. Inoltre, la geografia ha qualcosa a che vedere con il concetto di autorità. Ciò è evidente per il re: precisare che Ozia è «re di Giuda» è un modo di marcare i confini del territorio sul quale esercita il suo potere. Per quanto riguarda Amos, le annotazioni geografiche sono particolarmente significative: il fatto che provenga da Tekoa in Giuda, per parlare contro Israele, solleva la questione dell’autorizzazione ad esercitare tale funzione. Amasia glielo rinfaccerà chiaramente: «Vattene nel paese di Giuda e mangia là il tuo pane e là profetizza, ma a Betel non continuare più a profetizzare, perché è santuario del re e casa del regno» (7,12). L’autorità del profeta sembra in effetti limitata e sottomessa a un’altra autorità, quella del re. Infine, per quanto concerne Dio, Egli parla da «Sion» e da «Gerusalemme», la montagna dove risiede e la città dove regna, ma la sua influenza si estende fino alla montagna del Carmelo: la sua voce si impone su tutto. I personaggi Parlare dei due regni, quello del sud e quello del nord, è anzitutto un modo tradizionale di indicare la totalità del popolo23. Bisogna tuttavia notare che qui il rapporto tra i due regni è particolare: da Giuda viene la parola che è indirizzata a Israele. La parola è rivolta a Israele. Il nord rappresenta la parte più importante del paese, numericamente, politicamente, economicamente. In 6,2 Amos rimprovererà a Israele di considerarsi «la prima delle nazioni»; e di fatto il regno del nord conobbe una grande prosperità sotto Geroboamo II, che nel corso dei quarant’anni del suo regno riuscì ad ampliare notevolmente le frontiere del proprio stato. La profezia di Amos si rivolge dunque a chi tende a comportarsi da dominatore. La parola viene da Tekoa in Giuda (1,1b) e dalla montagna di Sion a Gerusalemme (1,2bc). Si indica così che è il sud ad aver ricevuto il messaggio, in quanto l’ha accolto e trasmesso; i giudei sono dunque il veicolo tramite cui giunge doppiamente la parola di Amos. Il fatto però che la parola venga dal sud non significa automaticamente che Giuda sia buono e Israele cattivo. In 2,4-5 Giuda sarà accusato come le altre nazioni e come Israele. Non è per nulla sostenuta l’ideologia che riconoscerebbe a Sion un predominio sul regno ritenuto secessionista. Il fatto che Dio parli «da Gerusalemme» sembra piuttosto significare, in primo luogo, che Dio parla da dove vuole. Inoltre, se egli parla 23
Altri profeti diranno la stessa cosa parlando di «due sorelle» (Ger 3,6ss; Ez 23).
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1. Parole di Amos, ruggito del Signore
«da Sion» e non da altri luoghi, forse è anche perché, secondo la tradizione biblica, in questo luogo si manifesta la sua fedeltà all’elezione. E di fatto dopo la distruzione generale provocata dal terremoto, il primo atto di Dio sarà quello di restaurare «la capanna di Davide che è caduta» (9,11). Infine, nella Bibbia la scelta di Sion è un modo tradizionale di mostrare come un piccolo regno sia capace di distruggere tutti gli imperi della terra. Dio distrugge coloro che hanno autorità, coloro che sono forti, per fare emergere l’unica verità, cioè che lui solo è il Signore e che si compiace di chi è debole24. IL MESSAGGIO Il contenuto del messaggio di Amos è indicato metaforicamente con due immagini, quella del terremoto e quella della siccità. Il terremoto La menzione del terremoto (1,1f) non è solo un punto di riferimento temporale, un modo di datare la profezia di Amos in relazione a un avvenimento passato ancora presente nella memoria dei contemporanei. Non si tratta solo di un semplice fenomeno geologico dagli effetti devastanti. Il termine ebraico che designa il terremoto appartiene alla stessa radice di un verbo usato spesso dalla Bibbia in contesto bellico (Is 9,4; 29,6; Ger 10,22). Una grande battaglia ha gli stessi effetti di un sisma: è accompagnata da un immenso fragore; e anch’essa fa tremare la terra (Ger 8,16; 51,29). La guerra prende persino dimensioni apocalittiche: la disfatta di una nazione è come identificata al crollo di montagne e colline, allo sconvolgimento del cielo, all’oscurarsi del sole e delle stelle (Gl 2,10; 4,15-16). Il terremoto, in quanto cataclisma cosmico, rivela che quanto è ritenuto solido in realtà non lo è. Il terremoto ha dunque una funzione apocalittica, cioè rivelatrice: una cosa sola sussiste per sempre, il regno di Dio e la sua parola. Quanto poteva sembrare una protezione e garantire la sicurezza — case, palazzi, o caverne —, proprio questo uccide con il suo crollo. Tutto ciò che nel mondo pretende di salvare sarà distrutto, affinché appaia nella sua unica solidità il solo Dio. La siccità Dio ruggisce, la terra inaridisce (1,2de)25. La siccità non è semplicemente un evento meteorologico. Il fatto che sia legata al ruggito del leone lascia intendere 24
Sul rapporto tra Amos e le tradizioni di Gerusalemme, cfr. H. GOTTLIEB, «Amos und Jerusalem». 25 Amos, o il redattore del titolo del suo libro, ha unito due motivi letterari, che con una terminologia simile, quasi stereotipata, si ritrovano altrove, ma separati: a) il Signore ruggisce da Sion (Ger 25,30: in relazione con «praterie»; Gl 4,16: collegato a «scuotimento della terra e del cielo»); b) la siccità che raggiunge la cima del Carmelo (Is 33,9; in Na 1,4-5, è collegata con il terremoto).
Il titolo: 1,1-2
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che anche qui viene evocato un contesto bellico. Il leone è, infatti, un’immagine tradizionale del nemico che attacca: il suo solo ruggito terrorizza, nessuno può resistere alla sua forza: «Contro di lui ruggiscono i leoni, fanno udire i loro urli. La sua terra è ridotta a deserto, le sue città sono state bruciate e nessuno vi abita» (Ger 2,15). Come la siccità, anche la guerra devasta tutto. La devastazione raggiunge la cima del Carmelo, che non inaridisce mai (Is 33,9). L’immagine del terremoto che distrugge anche ciò che è solido e quella della siccità che invade tutta la terra possono essere unificate sotto il concetto di fine. Il messaggio di Amos non ha un tono negativo solo perché prospetta una qualche punizione; il profeta annuncia piuttosto fin dall’inizio la catastrofe, come sarà detto esplicitamente, per esempio in 8,2: «È giunta la fine per il mio popolo Israele». Questo tema è sviluppato specialmente nell’ultima sezione del libro, nei capitoli 7–9, mentre i capitoli 3–6 rappresentano il tentativo di suscitare la conversione di Israele, proprio per evitare la fine. La parola profetica è dunque la parola autorevole che distrugge ogni autorità: essa rivela che «ogni carne è come l’erba» (Is 40,6) e afferma che solo Dio rimane per sempre e che solo il suo regno non avrà fine. Per questa ragione essa ha una valenza apocalittica: solo accettando di passare attraverso la distruzione è possibile udire la parola che annuncia la ricostruzione della casa crollata. Solo chi avrà ascoltato la prima parola di Amos: «Il Signore ruggisce da Sion, e da Gerusalemme emette la sua voce», potrà intendere la parola dell’ultimo capitolo: «In quel giorno rialzerò la capanna di Davide che era caduta [...] e sprizzano le montagne il mosto [...] e berranno il loro vino» (9,11-14).
LE NAZIONI E ISRAELE SOTTO IL GIUDIZIO DI DIO Sezione A Am 1,3–2,16
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Il libro del profeta Amos
La prima sezione del libro di Amos è organizzata in tre sequenze, due lunghe, che racchiudono una sequenza molto più breve. – A1: Gli oracoli contro le nazioni straniere. La prima sequenza (1,3–2,3) è formata dai sei oracoli pronunciati contro le nazioni che circondano Israele: – A2: L’oracolo contro Giuda. La sequenza centrale (2,4-5) contiene solo il breve oracolo pronunciato contro il regno di Giuda: – A3: L’oracolo contro Israele. Quanto all’ultima sequenza (2,6-16), anch’essa è costituita da un solo oracolo, molto più lungo, rivolto a Israele: IL FORMULARIO DEGLI ORACOLI IN TUTTA LA SEZIONE I primi due capitoli contengono otto oracoli (1,3-5. 6-8. 9-10. 11-12. 13-15. 2,1-3. 4-5. 6-16), che iniziano tutti con la medesima formula, con la sola variante del nome del destinatario: Damasco, Gaza, Tiro, Edom, i Figli di Ammon, Moab. COSÌ DICE IL SIGNORE: «Per tre e per quattro
delitti di ....... non ammetto-revoca;
·································································
perché essi .....
Degli otto popoli, di cui si tratta in questa sezione, l’ultimo, Israele, è il solo che non sarà castigato dal «fuoco». Se si tiene conto del castigo con il fuoco, comune ai primi sette oracoli, il formulario è il seguente: Così dice il SIGNORE: =
«Per tre + e per quattro
delitti di ............ NON AMMETTO-REVOCA;
······················································································
= perché essi hanno .................. ............., + INVIERÒ IL FUOCO CONTRO ...... 1 + ED ESSO DIVORERÀ ... PALAZZI
La struttura parallela di questi oracoli appare così con chiarezza: «perché essi hanno...» introduce la descrizione di ciò che viene qualificato come «delitti» 1
In 1,14 il quinto oracolo presenta la leggera variante «appiccherò» al posto di «invierò». Secondo D.N. FREEDMAN («Deliberate Deviation»), si tratta di un fenomeno stilistico conosciuto: in un settenario la quinta formula spesso è leggermente differente dalle altre sei (questo si ritrova anche in Am 4,4-5; 6,1-6; Gen 49,25-26, ecc.). Secondo S. SEGERT, «A Controlling Device», questo accorgimento serviva a controllare la precisione del copista nel trascrivere testi ricchi di ripetizioni. La funzione retorica di questa variante in Am 1,14 sembra essere quella di segnare l’inizio dell’ultima sottosequenza della sequenza A1.
La sezione A
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fin dall’inizio dell’oracolo; «invierò il fuoco su...» esplicita il castigo annunciato con «non ammetto-revoca». La prima sezione dunque è organizzata in tre sequenze. La prima (A1) contiene i primi sei oracoli (1,3–2,3), la terza e ultima sequenza (A3) è costituita dall’oracolo contro Israele (2,6-16); tra queste due lunghe sequenze il breve oracolo contro Giuda (2,4-5) costituisce da solo la sequenza centrale (A2), con la funzione di articolare le altre due sequenze. L’oracolo contro Israele (2,6-16) si distingue dai precedenti: non solo per la sua lunghezza — conta infatti undici versetti, al posto dei due o tre negli altri oracoli — ma anche per la sua forma concentrica. La forma dell’oracolo contro Giuda (2,4-5) lo accomuna agli oracoli precedenti, e più precisamente al terzo e al quarto (1,9-10 e 11-12); a prima vista, sembra quindi far parte della medesima lista. Tuttavia se ne differenzia, poiché è il solo a non essere abbinato con un altro. Inoltre, la colpa di Giuda è differente da quella dei popoli precedenti: Giuda non è accusato di un delitto contro un altro popolo, ma di un peccato contro «la Legge del Signore». Si potrebbe pensare allora che l’oracolo contro Giuda sia accoppiato con l’oracolo contro Israele; l’oracolo contro Giuda si distingue però molto nettamente dall’oracolo seguente per forma e lunghezza. I primi sei oracoli sono organizzati in tre sottosequenze che contengono ciascuna due oracoli; l’insieme forma una sequenza costruita concentricamente.
Oracoli contro
Oracolo contro
Oracolo contro
SEI NAZIONI STRANIERE
GIUDA
ISRAELE
1,3–2,3
2,4-5
2,6-16
2 Gli oracoli contro le nazioni straniere Sequenza A1: 1,3–2,3
Questa sequenza contiene i primi sei oracoli della sezione A: contro Damasco, Gaza, Tiro, Edom, i Figli di Ammon e Moab. Ognuno di questi oracoli forma un passo. Anche se isolabili, questi passi costituiscono una serie organicamente strutturata. Infatti dei legami formali li uniscono due a due1; ogni coppia di oracoli forma dunque una sottosequenza. A loro volta, le tre sottosequenze (le tre coppie di oracoli) sono agganciate tra loro da «termini medi», così che l’insieme formi una sequenza. I due passi della sottosequenza centrale (1,9-10 e 1,11-12) hanno una forma «semplificata» rispetto agli altri; per questa ragione gli autori generalmente li ritengono «non autentici»2.
L’oracolo
contro DAMASCO
1,3-5
L’oracolo
contro GAZA
1,6-8
L’oracolo
contro TIRO
1,9-10
L’oracolo
contro EDOM
1,11-12
L’oracolo
contro AMMON
1,13-15
L’oracolo
contro MOAB
1
2,1-3
Questa è anche la conclusione di D.L. CHRISTENSEN, «The Prosodic Structure»; la sua ricostruzione del testo di Amos, al fine di ottenere una prosodia più regolare, non si fonda tuttavia su criteri convincenti. L’accoppiamento degli oracoli a due a due è riconosciuto anche da H. GESE, «Komposition». 2 Molti autori pensano che gli oracoli contro Tiro, Edom e Giuda non siano autentici (cfr. J.L. SICRE, “Con los pobres”, 92); per esempio, per J. BARTON, Amos’s Oracles, 24, l’oracolo contro Giuda «sicuramente» non è autentico, quello contro Edom non lo è «quasi certamente», quello contro Tiro non lo è «molto probabilmente».
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere A. GLI ORACOLI CONTRO DAMASCO E GAZA (la prima sottosequenza: 1,3-8) 1. L’ORACOLO CONTRO DAMASCO (1,3-5)
TESTO 3
Così dice il SIGNORE: «Per tre delitti di Damasco e per quattro non ammetto-revoca; perché hanno trebbiato con erpici di ferro il (paese di) Galaad, 4 invierò il fuoco sulla casa di Cazael che divorerà i palazzi di Ben-Adad 5 e spezzerò il chiavistello di Damasco ed eliminerò chi presiede da Bikeat-Aven e chi detiene lo scettro da Bet-Eden e sarà deportato il popolo di Aram a Kir, dice il SIGNORE.
VERSETTO 3
per tre... e per quattro Questa espressione viene interpretata in modo diverso: sia come una quantità indefinita3, sia come un’addizione, 3 + 4 = 7, che indicherebbe la somma di tutti i delitti4, sia come una progressione culminante in un fatto decisivo5. In quest’ultima prospettiva il quarto delitto, quello precisato dal segmento seguente, sarebbe il più grave dei quattro, oppure sarebbe la quarta volta che lo stesso reato viene commesso: il Signore perdonerebbe tre volte, ma interverrebbe irrevocabilmente la quarta6. delitti La radice di questo termine abitualmente designa una «ribellione», la «violazione» da parte di un vassallo dell’alleanza conclusa con il proprio sovrano (pš‘ be = «ribellarsi contro»: 1Re 12,19; 2Re 1,1; 3,5.7; ecc.) Il sostantivo peša‘ significa semplicemente un delitto, un crimine, forse con una connotazione d’infrazione a un accordo, a un patto, o più comunemente di trasgressione contro una legge7. non ammetto-revoca Lett.: «non lo farò ritornare». Questa espressione è stata intesa dai commentatori in vario modo, a seconda del senso dato al verbo, e a seconda del 3 W.M.W. ROTH, «The Numerical Sequence», ritiene che la sequenza numerica indichi un numero indefinito, non ben precisato. Così, S.E. LOEWENSTAMM, «The Phrase»; cfr. anche Soggin, 55-56. 4 Cfr. M. WEISS, «The Pattern». 5 Cfr. G. SAUER, Die Sprüche Agurs, 90. 6 Cfr. B.K. SOPER, «For Three Transgressions». 7 Secondo H. SEEBASS, TWAT VI, 799.
Sequenza A1: 1,3–2,3
53
referente del pronome suffisso. Dal momento che essa è ripresa identicamente all’inizio degli otto oracoli della sezione, sembra preferibile l’interpretazione che convenga a questi otto usi e che rispetti l’ambiguità del pronome dell’originale: così il senso «non lo farò ritornare (dall’esilio)»8 non può essere accettata, perché non si adatterebbe a tutti gli oracoli. «Non revocherò (il mio decreto, la mia decisione)» è l’interpretazione ritenuta ai nostri giorni dalla maggioranza dei commentatori9 e adottata dalla maggior parte delle traduzioni (usi affini in Nm 23,19-20; Est 8,8)10. perché Questa congiunzione subordinante traduce la stessa particella ebraica, ‘al, tradotta con la preposizione «per» nella prima parte del versetto. trebbiato con erpici di ferro La metafora fa riferimento alla prima tappa della trebbiatura. La spulatura, cioè la separazione dei chicchi di grano dalle glume che li contengono, era ottenuta facendo passare sulle spighe una piattaforma di legno, sotto la quale erano conficcate delle punte di selci o di ferro (Is 28,27-28)11. Il ferro connota probabilmente la forza e la violenza (Gs 17,16.18; Gdc 1,19; 4,3; 1Re 22,11; Sal 2,9; ecc.). L’immagine indica una vittoria schiacciante riportata con le armi (il «ferro») sul territorio di Galaad (cfr. Is 41,15-16; Mi 4,13), forse con una allusione allo sfruttamento economico del territorio12. 8
M.L. BARRÉ, «The Meaning», ritiene che l’espressione supponga un contesto di alleanza e significhi che Yhwh non riprenderà con il ribelle una relazione di vassallaggio (= non lo farò ritornare ad essere in relazione di alleanza con me). 9 Cfr. Wolff, 128, 153-154; Rudolph, 129-130; Soggin, 56; Paul, 46-47. 10 Un’altra interpretazione (sostenuta, tra gli altri, da Hesselberg) merita di essere segnalata: «non lo (= il fatto che essi abbiano commesso questi delitti) farò ritornare [su loro]», cioè «non renderò [a loro] pan per focaccia», «[a loro] non la farò pagare»; questa è anche la traduzione di Isacco Abrabanel (cfr. G. RUIZ, Don Isaac Abrabanel, 35) che però dà alla frase un valore interrogativo (domanda retorica che equivale a: «non perdonerò»). Il ragionamento sarebbe quindi il seguente: «Per tre delitti di X e per quattro non li punirò, ma perché hanno... (li punirò)». Questo senso dell’espressione è ampiamente attestato altrove (Sal 28,4; 54,7; Pr 12,14; Gdc 9,56). Tuttavia, se si può ammettere che il pronome suffisso sia un neutro che rimanda a «tre e quattro delitti», una prima difficoltà viene dal fatto che il destinatario non è nominato. Inoltre, niente indica che la preposizione tradotta da «perché» sia opposta a quelle dei due membri precedenti. Infine, questa interpretazione non sembrerebbe molto adatta all’oracolo contro Israele, in cui la denuncia dei delitti è molto sviluppata. In cambio, il vantaggio di questa soluzione sarebbe quello di permettere di comprendere in modo più naturale, sembra, la corrispondenza tra i «tre e quattro» delitti dell’inizio del versetto 3 e l’unico delitto denunciato da quanto segue. 11 Cfr. J. SONNEN, «Landwirtschaftliches», specialmente p. 195-199; cfr. anche H. WILBERS, «Étude». 12 Il territorio di Galaad si trova a est del Giordano, separato da Ammon a sud dallo Iabbok e da Basan a nord dallo Iarmuk. All’epoca di Amos, Galaad faceva parte del regno di Israele, ma era frequentemente invaso e razziato dai suoi vicini del nord, gli Aramei di Damasco (cfr. 2Re 10,32-
54
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
VERSETTO 5
il chiavistello Si tratta della sbarra che serviva a bloccare dall’interno le porte della città. «Spezzare il chiavistello» significa dunque «forzare la porta»13. Bikeat-Aven e Bet-Eden Vari sono stati i tentativi di localizzare «Bikeat-Aven» (che significa «La Valle dell’Iniquità») e «Bet-Eden» (che significa «La Casa del Piacere»): secondo Wolff14, sarebbero soprannomi di regioni, riferiti il primo alla valle della Beqaa, tra la catena del Libano e quella dell’Anti-Libano, il secondo alla regione di Bît-Adini, sulla riva sinistra dell’Eufrate: con una sorta di merismo verrebbe così indicato l’intero territorio sottoposto al re di Damasco. Se invece si considera sinonimico il parallelismo dei tre membri di 5abc, avremmo dei qualificativi della stessa città di Damasco (5a), oppure della residenza regale («casa» e «palazzo» del versetto 4). Kir La localizzazione di Kir è incerta; in 2Re 16,9 si parla di una deportazione degli abitanti di Damasco a Kir, operata dal re d’Assiria (733-732). L’importante è che secondo Am 9,7 si tratta del luogo da cui provengono gli Aramei, come Caftor è il luogo d’origine dei Filistei, e l’Egitto il paese da cui è uscito Israele. COMPOSIZIONE Questo oracolo, come i sei successivi, ha la dimensione di un passo. Le formule d’introduzione (3a) e di conclusione (5e) di oracolo sono considerate delle parti, pur avendo l’estensione di un segmento unimembro. L’oracolo stesso (3b-5d) costituisce la seconda parte; le sue due sottoparti (3bc e 3d-5d) cominciano con le stesse parole (tradotte dapprima con «per» in 3b, poi con «perché» in 3d), che in tal modo svolgono la funzione di termini iniziali. La prima sottoparte (3bc) ha solo un segmento bimembro. La seconda sottoparte (3d-5d) è formata da due brani, che riprendono e sviluppano i due membri della sottoparte precedente:
33 e soprattutto 13,7: «il re di Aram li aveva distrutti, riducendoli come la polvere che si calpesta»: lo stesso verbo di Am 1,4); sulla storia del territorio, cfr. M. OTTOSON, Gilead. 13 G.R. DRIVER, «Playing on Words», vede un gioco di parole sul termine berîaḥ (= «sbarre» delle porte) che può essere inteso come «quelli che sono prosperi». 14 Wolff, 156-157.
Sequenza A1: 1,3–2,3
55
– il primo brano (3de) ha solo un segmento bimembro15, che denuncia il crimine (sebbene il verbo sia alla terza persona plurale, il soggetto si riferisce a «Damasco»); 3
Così dice il SIGNORE: –
«Per + e per
tre quattro
– perché hanno trebbiato – il (paese di) GALAAD,
delitti di DAMASCO non ammetto-revoca; con erpici
di ferro
·········································································································
+ 4 invierò il fuoco + che divorerà
sulla casa i palazzi
di Cazael di Ben-Adad
+ 5 e spezzerò + ed eliminerò + e chi detiene
il chiavistello chi presiede lo scettro
di DAMASCO da Bikeat-Aven da Bet-Eden
il popolo
di ARAM
= e sarà deportato
a Kir», dice il SIGNORE.
– segue un lungo brano (4-5d), che, come 3c, annuncia il castigo: questo brano ha tre segmenti, . un bimembro che riguarda l’incendio del palazzo regale (4), . un trimembro che annuncia la presa della capitale e la caduta della monarchia (5abc), . e infine un unimembro che predice la deportazione del popolo (5d; quest’ultimo segmento si distingue dai precedenti, poiché ha per soggetto «il popolo»). «Cazael» e «Ben-Adad»16, alla fine dei membri del primo segmento (4), assieme a «colui che presiede» e «colui che detiene lo scettro» nel trimembro seguente (5bc), designano il re; dato il parallelismo dei tre membri 5abc, è possibile comprendere «il chiavistello» in senso metaforico, poiché il re tra le
15
Sebbene il suo secondo membro abbia solo un termine, il segmento 3de viene considerato un bimembro: da una parte l’ultima parola del membro precedente ha un accento disgiuntivo nella punteggiatura massoretica, dall’altra nel passo parallelo (1,6-8) anche il segmento corrispondente (6de) è un bimembro (con lo stesso accento sull’ultima parola del primo membro). La traduzione, aggiungendo «(paese di)», ha cercato di rendere la particella ’et + l’articolo, che nell’originale precedono il nome di Galaad. 16 Cazael, ufficiale di Ben Adad II, assassinò il suo signore e regnò al suo posto nella seconda metà del IX secolo (2Re 8,15); noto per la sua crudeltà (2Re 8,12), fece ripetutamente guerra a Israele (2Re 8,28-29; 9,14-15; 10,32-33; 13,3-7.22-25). Suo figlio, Ben Adad III (circa 797-773), continuerà a combattere gli Israeliti (2Re 13,3), da cui però sarà più volte sconfitto (2Re 13,24-25).
56
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
altre funzioni ha anche quella di difendere la sua città contro gli assalti dei nemici17. CONTESTO Secondo il libro della Genesi gli Aramei sono i discendenti di Nacor, fratello di Abramo (22,20-21); Betuel, padre di Rebecca (moglie di Isacco), e Labano, padre di Lia e Rachele (mogli di Giacobbe), appartengono al medesimo ceppo (22,22; 25,20; 28,2; ecc.). Secondo Dt 26,5 Giacobbe stesso sarebbe un «arameo». Queste tradizioni attestano dunque uno stretto legame (di parentela o di affinità) tra Israele e l’insieme delle popolazioni aramee. Nonostante ciò, altri testi parlano di ostilità e di guerre. Gli Aramei occupavano un vasto territorio (Siria) a nord-est di Israele; la loro capitale, Damasco, venne conquistata da Davide (2Sam 8,5-6), ma in seguito numerose guerre opposero Aram a Israele per il possesso dei territori limitrofi (1Re 20,1-34; 2Re 16,6, ecc.)18. Il regno degli Aramei perse la sua autonomia quando venne sottomesso dall’impero assiro di Salmanassar III nel 73219. INTERPRETAZIONE Il crimine di Damasco consiste nel trattare la regione di Galaad come una tenuta agricola da cui trarre profitto: «hanno trebbiato» infatti allude alla battitura del grano. Gli Aramei hanno potuto farlo perché disponevano di «erpici di ferro», probabile allusione al loro potente armamento. Ricorrendo a questo linguaggio metaforico, Amos denuncia quindi il dispiegamento di una violenza avida esercitata contro un popolo vicino. La sanzione divina s’abbatte sul potere («lo scettro») dei governanti. Il fuoco che distrugge la reggia («la casa», «i palazzi»)20, l’incendio che devasta la capitale significa che il regno è stato definitivamente abbattuto21. La potenza che 17
D.T. TSUMURA, «“Inserted Bicolon”», vede un rapporto privilegiato tra 5a (distruzione della porta della città) e 5d (esilio), così come tra 5b e 5c (riferimento al sovrano arameo). Quest’analisi sembra esatta a livello del versetto; ma, a livello del passo, la nostra proposta risponde meglio all’insieme. 18 Per la storia degli Aramei di Damasco e i loro rapporti con Israele, cfr. A. JEPSEN, «Israel und Damaskus»; M.F. UNGER, Israel and the Arameans; B. MAZAR, «The Aramean Empire»; J.A. SOGGIN, «Amos VI: 13-14»; E. LIPIŃSKI, «Aram et Israël»; W.T. PITARD, Ancient Damascus; G. REINHOLD, Die Beziehungen. 19 L’importanza del mondo arameo continuò tramite la diffusione della lingua aramaica, che divenne progressivamente la lingua franca di tutto il Medio Oriente. 20 P. HÖFFKEN, «Eine Bemerkung», pensa che l’espressione «casa di Cazael» non designi né il palazzo né la dinastia né la capitale, ma l’intero territorio dello stato governato da Damasco. L’argomentazione addotta (sulla base di un testo assiro) non ci convince. 21 Invece di bruciare la paglia dopo la trebbiatura (cfr. 1,3), il fuoco consuma il luogo dove è stato ammucchiato il raccolto.
Sequenza A1: 1,3–2,3
57
si credeva al sicuro, al riparo dietro «il chiavistello di Damasco», è annientata. Il popolo che occupava altri territori (Galaad) è condannato a non avere più possedimenti propri; è trattato come il bottino che si porta via dopo una spedizione militare.
2. L’ORACOLO CONTRO GAZA (1,6-8) TESTO 6
Così dice il SIGNORE: «Per tre delitti di Gaza e per quattro non ammetto-revoca; perché hanno deportato dei deportati in massa per consegnarli a Edom, 7 invierò il fuoco sulle mura di Gaza che divorerà i suoi palazzi 8 ed eliminerò chi presiede da Asdod e chi detiene lo scettro da Ascarona e rivolgerò la mia mano su Accaron e perirà il resto dei Filistei », dice il Signore DIO. VERSETTO 6
hanno deportato popolazioni intere Lett.: «hanno deportato con una deportazione totale»22. Non si tratta di un provvedimento di natura politica, ma della cattura di prigionieri — al termine di guerre o razzie — a scopi commerciali: «per consegnarli a Edom», cioè per venderli23. VERSETTO 8
rivolgere la mano contro Nel Sal 81,15 questa espressione ricorre in parallelo con il verbo «abbattere»; significa «alzare le mani», ossia «esercitare la forza» per colpire (cfr. anche Ez 38,12). il resto In genere questa parola designa i sopravvissuti di una catastrofe; se anche questo «resto» è destinato a «perire», ciò significa che il popolo sarà sterminato (Ger 15,9). In altri casi (Ger 39,3; Ez 36,3-5; ecc.) il termine significa
22 La LXX, al posto di šelemâ («totale»), legge šelōmōh («Salomone»); G. GARBINI, «La deportazione», adotta questa interpretazione. 23 Questa pratica è evocata nel racconto di Naaman; la sua giovane schiava israelita era stata rapita dagli Aramei nel corso di una razzia nel territorio di Israele (2Re 5,2). Edom, situato a sudest di Israele, al di là dell’Araba, faceva grande uso di schiavi, soprattutto per sfruttare le proprie miniere. Tra gli altri esempi, 2Cr 28,17 riferisce che sotto il regno di Acaz (736-716) Edom fece una sortita contro il suo vicino Giuda facendo prigionieri.
58
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
semplicemente «gli altri»; dopo un elenco (qui: Gaza, Asdod, ecc.) si dice: «e il resto (gli altri) periranno»24. COMPOSIZIONE 6
Così dice il SIGNORE: –
«Per + e per
tre quattro
– perché hanno deportato – per consegnarli
delitti di GAZA non ammetto-revoca; dei deportati a EDOM,
in massa
····························································································
+ 7 invierò il fuoco + che divorerà
sulle mura i suoi palazzi
di GAZA
+ 8 ed eliminerò + e chi detiene + e rivolgerò
chi presiede lo scettro la mia mano
da Asdod da Ascalona su Accaron
il resto
dei FILISTEI»,
= e perirà
dice il Signore DIO.
Questo passo ha la stessa costruzione del precedente. I membri 7a e 8abc terminano con quattro dei cinque nomi (come in Sof 2,4) della pentapoli filistea25; manca il nome di Gat (menzionato in 6,2), che forse era stata distrutta (cfr. 2Re 12,18; 2Cr 26,6), o che è inclusa ne «il resto dei Filistei»26. La «deportazione totale» di 6d e lo sterminio del «resto» dei Filistei (8d) formano un’inclusione per la sottoparte 6d-8d. CONTESTO I Filistei fanno parte dei «popoli del mare» provenienti da Caftor, tradizionalmente identificata con l’isola di Creta27 (Ger 47,4; Am 9,7; cfr. anche Dt Forse c’è un gioco di parole tra še’ērît pelištîm e l’espressione stereotipata še’ērît ûpelētâ (alla lettera: «un resto e uno scampo»): 2Re 19,31 = Is 37,32; Ez 9,14; Esd 9,14; cfr. anche 2Re 19,30; Ez 9,8.15. 25 Il paese dei Filistei, o Filistea, si trova a sud-ovest di Israele. La Filistea non era organizzata in uno stato centralizzato, ma formava un insieme di cinque città-stato comunemente chiamato «la pentapoli filistea» (cfr. Gs 13,3; Gdc 3,3); Gaza ne era la città più importante (cfr. la cartina, p. 185). Sui Filistei, cfr. M.-L. e H. ERLENMEYER – M. DELCOR, «Philistins»; T. DOTHAN, The Philistines; R.K. HARRISON, «Philistine Origins». 26 Secondo H.E. KASSIS, «Gath», Gat sarebbe una città cananea, governata da un re cananeo vassallo dei Filistei; B. MAZAR, «Gath and Gittaim», distingue due città di Gat, una al nord e l’altra al sud; quest’ultima sarebbe la «Gat dei Filistei» di cui parla Am 6,2. 27 Cfr. p. 386 (Am 9,7). 24
Sequenza A1: 1,3–2,3
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2,23). Sono già menzionati nella storia di Abramo (Gen 21,22-34) e d’Isacco (Gen 26,1-33), in relazione con la località di Bersabea. Non fanno parte della lista dei popoli che abitano il paese di Canaan al momento della conquista; tuttavia, in Gs 13,2-3 la pentapoli filistea fa parte dei territori che dovranno essere conquistati dopo la morte di Giosuè (Gdc 3,1-3). Molto noti sono gli scontri bellici di vari eroi biblici (Sansone, Saul e soprattutto Davide) con i Filistei, la cui minaccia si affievolisce durante la monarchia, senza però cessare completamente. Al tempo del re Ioram (852-841) «costoro attaccarono Giuda, vi penetrarono e razziarono tutti i beni della reggia, asportando anche i figli e le mogli del re» (2Cr 21,16-17). INTERPRETAZIONE Il crimine di cui Amos accusa i Filistei è quello di disporre degli uomini come se si trattasse di mercanzia. C’è quindi la denuncia della «deportazione», come violenza perpetrata contro uomini, anzi contro una moltitudine; e c’è, indirettamente la critica dell’interesse economico, poiché la deportazione viene presentata come la «consegna» di una merce. La buona intesa tra Gaza ed Edom, grazie agli eccellenti rapporti commerciali, si consolida a spese delle vittime. Alla meticolosità del loro delitto, una «deportazione totale», corrisponde una punizione che enumera dettagliatamente le città responsabili. Essi hanno deportato tutti; saranno dunque distrutti totalmente, poiché «il fuoco» non lascerà alcun resto.
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere 3. GLI ORACOLI CONTRO DAMASCO E GAZA (1,3-8)
COMPOSIZIONE DELLA SOTTOSEQUENZA 3
Così dice il SIGNORE:
– «Per tre delitti + e per quattro non ammetto-revoca;
di DAMASCO
– – + 4 INVIERÒ IL FUOCO SULLA CASA + CHE DIVORERÀ I PALAZZI
DI DI
+ 5 e spezzerò il chiavistello + ed eliminerò chi presiede + e chi detiene lo scettro
di Damasco da Bikeat-Aven da Bet-Eden
= e sarà deportato il popolo
Cazael Ben-Adad
di ARAM a Kir», dice il SIGNORE.
6
Così dice il SIGNORE:
– «Per tre delitti + e per quattro non ammetto-revoca;
di GAZA
– – + 7 INVIERÒ IL FUOCO SULLE MURA + CHE DIVORERÀ I SUOI PALAZZI + 8 ed eliminerò chi presiede + e chi detiene lo scettro + e rivolgerò la mia mano = e perirà il resto
DI
Gaza
da Asdod da Ascalona su Accaron; dei FILISTEI», dice il Signore DIO.
I destinatari sono «Damasco» (3b) e poi «Gaza» (6b): si noti tuttavia la menzione di altre località, Asdod, Ascalona ed Accaron nell’oracolo contro Gaza (8), Bikeat-Aven e Bet-Eden nell’oracolo contro Damasco (5). In riferimento a Israele, Damasco è il nemico del nord, mentre i Filistei sono il nemico del sud.
Sequenza A1: 1,3–2,3
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I crimini di ognuno (3d e 6d) sono differenti, ma entrambi terminano con un nome di popolo: tuttavia, mentre «Galaad» è vittima del crimine di Damasco, «Edom» ne è il beneficiario e il complice (la vittima non è nominata nel secondo oracolo). La sanzione (4 e 7) è inizialmente molto simile, ma nel primo passo concerne il re di Damasco («Cazael», «Ben-Adad») e i suoi palazzi, mentre nel secondo tocca la città e i palazzi di Gaza; rispetto a 4b, in 7b si noti l’abbreviazione tramite il pronome possessivo. Anche il seguito del castigo (5a-d e 8a-d) è molto simile (un trimembro con soggetto di prima persona all’inizio, seguito da un unimembro con soggetto di terza persona); i sintagmi «eliminerò chi presiede» e «chi detiene lo scettro» sono ripresi identicamente in 8ab come in 5bc, ma non nella stessa posizione (queste occorrenze lessicali sono proprie di questi due oracoli). Ogni oracolo termina con il nome del popolo colpevole in questione, «Aram» in 5d e i «Filistei» in 8d (che così rimandano ai nomi delle città all’inizio di ogni passo, «Damasco» in 3b e «Gaza» in 6b); i segmenti finali degli oracoli, 5d e 8d, sebbene con parole differenti, hanno la medesima struttura sintattica (a parte l’ampliamento «a Kir» nel primo caso). «Sarà deportato» (alla lettera: «saranno deportati») di 5d e «hanno deportato» di 6d svolgono la funzione di termini medi, ma, mentre la deportazione fa parte del castigo nel primo caso, nel secondo costituisce il crimine (la corrispondenza è propria di questa coppia di oracoli). Infine le formule di conclusione di oracolo (5e e 8e) sono leggermente differenti, dal momento che la seconda ha un ampliamento finale con l’aggiunta ’ădōnāy. INTERPRETAZIONE Nelle aggressioni di Damasco e dei Filistei non si denuncia solo la loro violenza, ma soprattutto il loro carattere sistematico, il fatto di non porsi alcun limite. Il trebbiare con erpici di ferro denota la ferocia dell’operazione militare, ma anche l’efficacia tecnica di uno sfruttamento metodico. Più esplicitamente, il rastrellamento operato dai Filistei viene qualificato come «totale» quasi si volesse definire perfetto, senza sbavature, il genocidio di intere popolazioni. È per questa ragione che Damasco e Gaza saranno sistematicamente puniti: la capitale presa e la dinastia estinta, il popolo d’Aram sarà ricondotto al luogo d’origine, le sue conquiste e il suo impero saranno così annullati (1,5d); il castigo dei Filistei sembra ancor più radicale, poiché essi periranno senza lasciare un resto (1,8d). Secondo la legge del taglione la sanzione è proporzionata al delitto. La ripetuta menzione di re e governanti (5bc + 8ab), dei loro palazzi e delle loro città fortificate (4b + 7ab) sottolinea il carattere ufficiale dei crimini commessi. Infatti la violenza viene esercitata non da persone o gruppi privati, ma dalle più alte autorità. Il crimine è tanto più grave perché poggia sulla perver-
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere
sione del potere, che giustifica politicamente l’uso della forza. Da qui una sanzione politica, che segna la fine delle nazioni stesse.
B. GLI ORACOLI CONTRO TIRO ED EDOM (la seconda sottosequenza: 1,9-12) 1. L’ORACOLO CONTRO TIRO28 (1,9-10) TESTO VERSETTO 9
l’alleanza tra fratelli Si tratta non dell’alleanza stipulata tra due popoli fratelli, ma dell’alleanza, in base alla quale i due contraenti s’impegnano a considerarsi fratelli29. COMPOSIZIONE 9
Così dice il SIGNORE: –
«Per tre + e per
delitti quattro
– perché hanno consegnato – e non ricordarono
di TIRO non ammetto-revoca; dei deportati in massa l’alleanza tra fratelli,
a EDOM
···········································································································
+ 10 invierò + che divorerà
il fuoco
sulle mura i suoi palazzi».
di TIRO
Questo passo è più breve dei precedenti: ha solo due parti, la formula d’introduzione (9a) e le parole dell’oracolo (9b-10); la formula di conclusione di oracolo, presente alla fine degli oracoli precedenti, qui non è ripresa. Come negli oracoli precedenti, la seconda parte ha due sottoparti: la prima (9bc) è identica a quella degli oracoli precedenti, la seconda (9d-10b) ha due brani: il primo (9de) è un bimembro, che riferisce il delitto specifico di Tiro; il secondo (10) ha un solo segmento bimembro, l’annuncio del fuoco30. 28
Per un’informazione bibliografica sui Fenici, cfr. P.M. BIKAI, «Suggested Readings». Il termine «fratello» è usato non solo nei trattati stipulati tra contraenti paritetici, ma anche in quelli di vassallaggio (cfr. E. GERSTENBERGER, «Covenant», 40-42), dove spesso è usata la coppia «padre» – «figlio» (cfr. D.J. McCARTHY, Treaty and Covenant, 35,98). Sull’espressione «alleanza di fratelli», cfr. J. PRIEST, «The Covenant» (l’autore prende posizione a favore dell’autenticità dell’oracolo). 30 Per questo passo sembrerebbe più normale non ricorrere alla categoria di sottoparte: i due segmenti bimembri 9d-10 infatti si possono considerare un solo brano (e non una sottoparte 29
Sequenza A1: 1,3–2,3
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CONTESTO Chiram, re di Tiro31, già amico di Davide (2Sam 5,11; 1Re 5,15), aveva concluso con Salomone, re dell’intero popolo d’Israele, un’alleanza (1Re 5,26); in 1Re 9,13 Chiram chiama Salomone «fratello mio»32. Il prestigio e la ricchezza di Tiro, ottenuti grazie al commercio navale e all’artigianato, divennero proverbiali in Israele; nello stesso tempo i profeti denunciavano il suo orgoglio e la sua mancanza di rispetto verso gli altri popoli (Is 23,1-16; Ez 26,2-28,19; Gl 4,4-8; Zc 9,2-4). Il Sal 83,7 annovera Tiro tra i nemici di Israele. INTERPRETAZIONE Il delitto di Tiro è identico a quello di Gaza (1,6): «hanno consegnato dei deportati in massa a Edom» (1,9); ciò sembra supporre un’intesa tra questi due regni costieri per perpetrare un identico commercio con lo stesso alleato, Edom33. Un’intesa che è complicità nel crimine, una associazione per delinquere, che è proprio il contrario dell’«alleanza fraterna», che Tiro ha «dimenticato» nei confronti dei popoli deportati e venduti34. La sanzione è identica alla prima parte della punizione contro Gaza (1,7). Forse si indica così, semplicemente, il medesimo destino di distruzione definitiva. 2. L’ORACOLO CONTRO EDOM (1,11-12) TESTO VERSETTO 11
distruggendo le sue viscere Complementare al verbo precedente («inseguire»), il secondo verbo del segmento significa «distruggere»; questa accezione porta a interpretare «le sue viscere» come quelle di «suo fratello», così che i due membri si trovino in un rapporto di successione cronologica (insegue e poi mette a morte), o, meglio, di formata da due brani aventi ciascuno solo un segmento bimembro); anche 9bc sarebbe allora un brano. Ciò non cambierebbe il fatto che l’oracolo formi una parte e che l’insieme 9-10 abbia la dimensione di un passo. L’opzione scelta è determinata dalla preoccupazione di armonizzare l’analisi di tutti gli oracoli. 31 Città fenicia costruita su un’isola rocciosa (cfr. Ez 26,4.14) vicina al litorale; solo molto più tardi Tiro sarà collegata con la terra grazie alla diga costruita da Alessandro Magno per facilitarne la conquista. Questa particolare posizione geografica doveva favorire la sua vocazione commerciale marittima (Is 23,3; Ez 27,9-25.33; 28,4-5; Zc 9,3). 32 Cfr. H. DONNER, «Israel und Tyrus», secondo il quale la relazione tra Salomone e la città di Tiro è storicamente attendibile, mentre non lo è quella di Davide con Chiram. 33 L’intesa tra Filistei e Fenici è attestata anche da Ger 47,2 e Gl 4,4. 34 H. CAZELLES, «L’arrière-plan», pensa che il contesto storico dell’oracolo sia la guerra siroefraimita.
64
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
progressione (ha inseguito con la spada fino ad ucciderlo)35. Se invece si interpreta «le sue viscere» in riferimento a «Edom», il senso sarebbe che Edom ha «distrutto» («ha soffocato») in se stesso «la voce del sangue» o «la pietà»36, sentimento che l’ebraico rende con una parola che fa riferimento al «ventre», luogo e simbolo anzitutto dell’amore materno, ma evocatrice anche dell’affetto che dovrebbe legare tra loro i fratelli, soprattutto se gemelli37. ha dilaniato... Il problema principale di questo segmento è quello di determinare la funzione sintattica di «collera» e di «furore». Sono state prese in considerazione tre possibilità (dalle versioni antiche e dai commentatori): queste due parole sono o soggetti («perché... la sua collera ha dilaniato costantemente, e il suo furore si è mantenuto stabilmente), oppure, modificando il TM, sono complementi oggetto («Perché... [Edom] ha dilaniato la sua collera costantemente, e ha mantenuto il suo furore stabilmente»), oppure sono complementi di strumento («perché... ha dilaniato costantemente con la sua collera, e si è mantenuto stabilmente nel suo furore»). Qui si adotta la prima soluzione38, malgrado le difficoltà che essa comporta (in particolare l’assenza del complemento oggetto). La nostra tradu35
M. FISHBANE, «The Treaty Background» e «Additional Remarks», afferma che il termine raḥămâw esprime la speciale relazione giuridica che lega i contraenti un patto. Noi pensiamo che in Am 1,11 possa essere connotata una «relazione di alleanza», confermata anche dal termine «fratello»; ma la traduzione proposta da Fishbane («i suoi amici», «i suoi alleati») ci sembra discutibile. R.B. COOTE, «Amos 1:11», propone invece di interpretare raḥămâw nel senso astratto di «misericordia» (legata all’alleanza); e traduce «and spoiled his covenant mercy». Sh.M. PAUL, «Amos 1:3-2:3», suggerisce di tradurre il termine raḥămâw con «giovane», «donna» (sulla base di Gdc 5,30 e della stele di Mesha); lo scopo di questa scelta filologica sembra essere il tentativo di collegare l’oracolo contro Edom con l’oracolo contro Ammon (che avrebbe il tema corrispondente dell’uccisione delle donne incinte). Infine, M.L. BARRÉ, «Amos 1:11 Reconsidered», sulla base dello studio della coppia rdp – šḥt (inseguire – distruggere), ritorna alla proposta di Fishbane («ha distrutto i suoi alleati»); così anche Andersen – Freedman, 266-267. 36 Cfr. un’espressione simile, applicata a Dio, nel Sal 77,10: «Può Dio aver dimenticato la misericordia? Può la collera aver chiuso le sue viscere?». Sulla radice rḥm, cfr. S.D. SPERLING, «Biblical rḥm I» (soprattutto, p. 158). 37 Il capostipite eponimo del popolo di Edom è il figlio maggiore di Isacco, Esaù (soprannominato «Edom» perché era rosso di capelli: Gen 25,25.30); Esaù-Edom è «il fratello» del secondo figlio di Isacco, Giacobbe (soprannominato Israele). La loro ostilità è antichissima, dato che il racconto biblico narra che i due gemelli si combattevano già nel seno della madre Rebecca (Gen 25,22-23). Anche se le tradizioni patriarcali sono state raccolte e redatte in un’epoca posteriore a quella di Amos, è abbastanza probabile che il profeta di Tekoa e in ogni caso il redattore finale del suo libro ne fossero a conoscenza. Questa osservazione vale anche per le tradizioni che riguardano Lot e i suoi discendenti, Ammoniti e Moabiti. Su queste tradizioni e il loro radicamento storico, cfr. J.R. BARTLETT, «The Brotherhood of Edom»; cfr. anche V. MAAG, «Jakob – Esau – Edom»; J.R BARTLETT, «Moabites and Edomites»; e soprattutto le due monografie di M. WEIPPERT, Edom e di J.R. BARTLETT, Edom and the Edomites. 38 Seguiamo la scelta dei commentatori moderni, come Wolff, 130; Rudolph, 127; Soggin, 6567; Andersen – Freedman, 267-274; scelta confermata anche da D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 642-643.
Sequenza A1: 1,3–2,3
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zione, che collega un verbo al modo finito («ha dilaniato») con un gerundio («mantenendosi»), come nel segmento precedente (11de), sottolinea il parallelismo tra i due segmenti del brano. VERSETTO 12
Teman e Bozra Teman è un clan discendente da Esaù-Edom (Gen 36,11.15) e designa una regione (e forse una città), mentre Bozra è un’importante fortezza di Edom. I due nomi servono a designare l’insieme della nazione edomita (Is 34,6; Ger 49,7.13.20.22; Ez 25,13). COMPOSIZIONE 11
–
Così dice il SIGNORE: «Per tre + e per quattro
delitti non ammetto-revoca;
di EDOM
– perché ha inseguito – distruggendo
con la spada
suo fratello le sue viscere,
–e –e
costantemente si è mantenuta
la sua ira stabilmente,
ha dilaniato la sua collera
·····································································································
+ 12 +
invierò che divorerà
il fuoco i palazzi
su Teman di Bozra».
Questo oracolo ha la stessa costruzione generale del precedente. Nel primo brano della seconda parte, là dove si descrive il delitto (11d-g), il secondo segmento segna una progressione rispetto al primo: infatti l’odio descritto in 11de è detto senza fine in 11fg39. Il brano, che annuncia la punizione (12), non ripete il nome di «Edom», ma nomina due sue località, alla fine dei membri. CONTESTO Le tradizioni bibliche sottolineano la stretta parentela tra gli Edomiti e il popolo di Israele40 e al tempo stesso la loro costante rivalità. L’inimicizia di Edom verso Israele è evocata nei racconti della Genesi (cfr. in particolare 25,23;
39 Ci si domanderà forse per quale ragione i tre ultimi segmenti (11d-12) non siano stati considerati semplicemente come un solo brano (del tipo AA’B). La soluzione adottata (un primo brano che descrive il delitto in 11d-g e un secondo brano che annuncia il castigo) mira alla massima coerenza nella descrizione dell’insieme degli oracoli, come si vedrà in seguito. 40 Cfr. nota 38.
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere
27,41-45; 32,8-9) e attestata da certi oracoli profetici (Ez 25,12; 35,5.11; Abd 10.12.14)41 e da Sal 137,7 e Lam 4,21. INTERPRETAZIONE Due sono i tratti principali che rendono il crimine di Edom particolarmente grave; in primo luogo, l’omicidio («inseguire con la spada») è un fratricidio, cioè la negazione di un rapporto tra fratelli, che secondo la natura («le viscere») avrebbe dovuto essere ispirato all’amore; in secondo luogo, una condotta simile è dilatata nel tempo, perché la collera si perpetua («costantemente», «stabilmente»), mentre per natura sarebbe destinata a placarsi. La sanzione divina contro il delitto di Edom si manifesta come un fuoco che divora; questo fuoco segnerà la fine di una collera senza fine e farà cessare la violenza («la spada»), distruggendo la fonte della violenza stessa («i palazzi di Bozra»).
3. GLI ORACOLI CONTRO TIRO ED EDOM (1,9-12) COMPOSIZIONE DELLA SOTTOSEQUENZA L’elemento primo di somiglianza tra le enunciazioni dei delitti è che «fratello» di 11d (ribadito da «loro pietà»42 di 11e) riprende «fratelli» di 9e43; bisogna però notare il carattere per dir così perfetto dei crimini: la deportazione verso Edom è «totale» in 9d, il furore di Edom «si mantiene stabilmente» in 11d. La differenza principale è che il crimine ha solo un bimembro nel primo caso (9de), mentre ne ha due nel secondo (11de e fg). Gli annunci di castigo (10 e 12) sono molto simili; tuttavia «mura» di 10a non è ripreso in 12a, mentre 10b è abbreviato con il pronome possessivo; solo «Tiro» è nominato in 10, poiché si tratta di una città-stato, mentre per il paese di Edom in 12 vengono nominate due sue località. Il nome di Edom è citato due volte: è non solo il colpevole designato nel secondo passo (11b), ma anche il complice, o in ogni caso il beneficiario, del crimine di Tiro nel primo passo (9d).
41 Secondo Wolff, 160, il testo di Amos 1,11 si applicherebbe al comportamento degli Edomiti al momento della presa di Gerusalemme da parte delle truppe di Nabucodonosor nel 586, come testimoniato da Ez 35,5; Abd 14, ecc. La scarsità delle conoscenze storiche deve invitare tuttavia ad adottare un atteggiamento prudente per quanto riguarda l’applicazione dei testi biblici ad avvenimenti precisi. 42 Cfr. nota 36. 43 «Mantenersi» di 11g può essere messo in relazione con «ricordarsi» di 9e (in posizione identica, nell’ultimo membro dei brani dedicati ai delitti), poiché questi due verbi sono usati in parallelo (Sal 103,18; 119,55) avendo per oggetto la Legge o i comandamenti: nel testo di Amos, il fatto di «mantenere» la collera equivale a «non ricordarsi» dell’alleanza.
Sequenza A1: 1,3–2,3 9
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Così dice il SIGNORE:
– «Per tre delitti + e per quattro non ammetto-revoca;
di TIRO
– – + 10 INVIERÒ IL FUOCO SULLE MURA + CHE DIVORERÀ I SUOI PALAZZI». 11
DI
Tiro
Così dice il SIGNORE:
– «Per tre delitti + e per quattro non ammetto-revoca;
di EDOM
– – – – + 12 INVIERÒ IL FUOCO SU + CHE DIVORERÀ I PALAZZI
Teman Bozra».
DI
INTERPRETAZIONE Ancora una volta vengono denunciati i crimini dei popoli limitrofi di Israele, del nord prima, e del sud poi. La loro vittima non è designata direttamente, ma è probabilmente l’insieme di Israele, che è loro vicino, anzi loro fratello. La progressione da un oracolo all’altro viene doppiamente sottolineata: da una parte, la relazione fraterna è più forte tra Edom e Israele, poiché — almeno secondo le tradizioni patriarcali — essi sono fratelli secondo la carne e non solo secondo l’alleanza; dall’altra, viene solo sottolineato il carattere spietato della ostilità di Edom, la cui ira non si placa (11fg), ma viene altresì marcata la gravità del suo crimine che produce la morte (11de) invece della semplice deportazione (9d). Il delitto di Edom raggiunge per dir così il suo culmine per il fatto che, oltre alla sua colpa diretta, egli è designato come complice di Tiro, beneficiando della deportazione di cui quest’ultimo si è reso colpevole (9d). Mentre Tiro è accusato di non essere stato fedele all’alleanza, di non essersene «ricordato», Edom al contrario sarà punito per non aver dimenticato «la sua collera» e «il suo furore», che ha «mantenuto» «costantemente» e «stabilmente». I due atteggiamenti sono simmetrici e si ricollegano. Infatti, mentre l’alleanza tra fratelli è sancita per stabilire un vincolo e un’unione, la deportazione invece allontana e separa. Lo stesso avviene per la «pietà», sentimento che unisce massi-
68
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
mamente quanti sono usciti dalle medesime viscere materne; l’«inseguire con la spada» illustra al contrario una volontà di contatto che non ha più di mira la vita, ma la morte. C. GLI ORACOLI CONTRO AMMON E MOAB (la terza sottosequenza: 1,13–2,3) 1. L’ORACOLO CONTRO I FIGLI DI AMMON (1,13-15) TESTO 13 Così dice il Signore: «Per tre delitti dei Figli di Ammon e per quattro non ammettorevoca; perché hanno sventrato le (donne) incinte di Galaad al fine di allargare il loro territorio, 14 appiccherò il fuoco sulle mura di Rabba che divorerà i suoi palazzi, nel fragore nel giorno di guerra nel turbine nel giorno di bufera, 15 e andrà il loro re in deportazione lui e i suoi principi insieme», dice il Signore
VERSETTO 13
i Figli di Ammon Questa designazione etnica (con «figli di») è unica nell’elenco di denuncia delle otto nazioni a cui sono rivolti gli oracoli di Am 1–2 (cfr. anche «Figli d’Israele» in 2,11). È il nome abituale degli Ammoniti44. sventrato Il verbo bq‘ significa «fendere»; applicato al muro di una città o alla frontiera di un paese, viene ad assumere il senso di «conquistare» (Is 7,6: Hiphil; 2Cr 21,17; 32,1)45; per Amos la conquista di un paese («al fine di allargare il loro territorio») equivarrebbe così a un massacro. L’atto di sventrare le donne incinte, talvolta associato a quello di uccidere i bambini, è un’espressione corrente per dire il totale annientamento di una popolazione (2Re 8,12; 15,16; Os 14,1). territorio La parola ebraica gebûl designa in primo luogo la «frontiera», il limite tra due regioni; per metonimia, significa poi la regione, il territorio delimitato da certi confini.
44
Il territorio di Ammon si trova a est del Giordano, a sud di Galaad e a nord di Moab. Rabba (14a) ne è la capitale (cfr. la cartina, p. 86); per un’informazione più generale, cfr. D.I. BLOCK, «Bny ‘mwn». 45 Cfr. P. JOÜON, «Notes» («[qb au sens de conquérir», 316-317).
Sequenza A1: 1,3–2,3
69
VERSETTO 14
appiccherò La formula abituale, «invierò il fuoco», presenta qui una variante, che probabilmente ha la funzione di segnare il passaggio alla terza sottosequenza46. il loro re L’ebraico malkām (= «il loro re») «sembra evocare volutamente il nome di Milkom, dio degli Ammoniti»47. Ciò sarebbe coerente con l’abitudine dei profeti, e anche di Amos, di fare spesso dei giochi di parole, specialmente con i nomi propri (cfr. Bet-El in 2,8; Galgala in 5,5; ecc.). COMPOSIZIONE 13
–
Così dice il SIGNORE: «Per tre + e per quattro
delitti dei non ammetto-revoca;
– perché hanno sventrato – al fine
le (donne) incinte di allargare
FIGLI DI AMMON
di GALAAD il loro territorio,
············································································································
+ 14 appiccherò il fuoco + che divorerà
sulle mura i suoi palazzi,
di Rabba
+ nel fragore + nel turbine
nel giorno nel giorno
di guerra di bufera,
il loro re e i suoi principi
in deportazione insieme»,
= 15 e andrà = lui
dice il SIGNORE.
Questo passo riprende la struttura completa dei primi due oracoli. Il brano, che descrive il castigo (14-15b), è del tipo AA’B, poiché i primi due segmenti (14) enunciano quanto Dio farà contro le fortezze («appiccherò il fuoco», alla prima persona), mentre il terzo (15ab) predice la conseguenza ultima del castigo («e andrà», alla terza persona) contro gli uomini.
46 47
Cfr. p. 48. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 644.
70
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
CONTESTO Secondo Gen 19,38 gli Ammoniti discendono dalla seconda figlia di Lot e sono dunque in un certo qual modo imparentati con i discendenti di Abramo. I racconti biblici riportano i conflitti tra Israeliti e Ammoniti, specialmente a proposito della regione di Galaad (Gdc 11,8-33; 1Sam 11,1-11; 2Sam 10,1-14; 12,26-31). INTERPRETAZIONE La denuncia di Amos è particolarmente vivida: un interesse di natura politica («estendere il territorio») ha portato i «Figli di Ammon» a uccidere le madri, a sventrare le donne «incinte», atto di particolare crudeltà, che intendeva porre fine per sempre alla popolazione di Galaad. Si tratta di uno sterminio che conclude in modo spietato una campagna militare (cfr. 2Re 8,12; 15,16; Os 14,1)48. Dio interviene per punire il crimine degli Ammoniti: il fuoco che incendia la loro capitale Rabba è la conseguenza di una guerra distruttiva. La forza, di cui i re e i principi di Ammon avevano dato prova sventrando le donne incinte, viene annientata dalla bufera che s’abbatte sul loro regno; coloro che pretendevano di ampliare il proprio territorio a spese di un popolo vicino, devono quindi abbandonare il proprio paese per partire in esilio.
2. L’ORACOLO CONTRO MOAB (2,1-3) TESTO VERSETTO 1
per (farne) calce Lett. «per la calce». Dato che la produzione della calce richiedeva un fuoco molto intenso, è possibile che Amos usi una espressione metaforica per descrivere l’accanimento di Moab49 contro Edom (un’espressione simile si trova in Is 33,12). Il significato probabile è quello di un’azione che distrugge completamente: le «ossa inaridite» di Ez 37,1ss costituiscono pure l’immagine di un popolo distrutto, senza speranza di ripresa (37,11).
48
Cfr. M. COGAN, «Ripping». Moab si trova a est del mar Morto, tra Edom a sud e Ammon a nord (cfr. la cartina, p. 76); Keriot (2b) è una città (non identificata) di Moab, forse un altro nome della sua capitale, Ar. Secondo D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 645, Keriot sarebbe la sede di un importante santuario consacrato al dio Kamosh. Sui Moabiti, cfr. G. RENDSBURG, «A Reconstruction». 49
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VERSETTO 2
tumulto Il termine ebraico (šā’ôn) indica un rumore fragoroso, spesso nel contesto di una battaglia (Is 13,4; 17,2; Os 10,14; ecc.) il governante Il medesimo termine ebraico (šōpēṭ) può designare il «giudice» e il «governante», o «governatore». Noi preferiamo la seconda accezione a causa del parallelismo con «i principi» (cfr. 1,15). COMPOSIZIONE Questo passo assomiglia molto a quello precedente. L’ultimo brano della parte centrale (2-3b) comprende tre bimembri, ma invece di essere del tipo AA’B (come nella parte precedente in 1,14-15b), è del tipo ABA’: i segmenti estremi cominciano con un verbo alla prima persona singolare, mentre il segmento centrale inizia con un verbo alla terza persona. Il nesso tra il crimine (1de) e il castigo (2-3b) qui è particolarmente ben evidenziato, poiché all’azione di bruciare di Moab risponde il fuoco di Dio. Da notare d’altra parte la corrispondenza tra il crimine che colpisce «il re» di Edom e la punizione che raggiunge «il governante» (e «i principi») di Moab. 1
Così dice il SIGNORE: –
«Per tre + e per quattro
delitti non ammetto-revoca;
di
MOAB
– perché ha bruciato – per (ridurle in) calce,
le ossa
di
EDOM
del re
·········································································································
+ 2 invierò + che divorerà = e morirà = nel fragore + 3 ed eliminerò + e tutti i suoi principi
il fuoco i palazzi
su di
nel tumulto al suono
MOAB del corno
il governante ucciderò
da essa con lui»,
MOAB Keriot
dice il SIGNORE.
72
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
CONTESTO Secondo Gen 19,37 il popolo di Moab discende dalla figlia maggiore di Lot; come Ammon, suo «cugino», è dunque imparentato con la famiglia di Abramo. Numerosi sono i racconti che illustrano i rapporti, spesso conflittuali, tra Moabiti e Israeliti; celebre è la storia di Balak, re di Moab, che chiamò il profeta Balaam a maledire Israele (Nm 22–24). Amos fa riferimento all’ostilità di Moab nei confronti di Edom; non esistono attestazioni bibliche che confermino e illustrino più dettagliatamente questo episodio. La crudeltà dei Moabiti è forse emblematicamente descritta nell’episodio del re Mesa che, sulle mura della città, offre in olocausto il proprio primogenito (2Re 3,27). INTERPRETAZIONE Bruciare le ossa del re di Edom è il delitto di cui è accusato Moab; più che di profanazione di una tomba50 o di accanimento contro un cadavere si tratta di un’azione che intende mettere fine («bruciare») definitivamente («per farne calce»)51 alla dinastia regnante su un territorio vicino. Ma il fuoco, che ha calcinato le ossa del re di Edom, distruggerà i palazzi di Moab; invece di una pace attesa dall’eliminazione del nemico confinante, arriverà il fragore della guerra, che terminerà con la morte della popolazione e lo sterminio dei governanti: la dinastia dei principi di Moab sarà eliminata.
3. GLI ORACOLI CONTRO AMMON E MOAB (1,13–2,3) COMPOSIZIONE DELLA SOTTOSEQUENZA I Figli di Ammon e Moab sono popoli limitrofi, situati entrambi a est del Giordano, il primo a sud di Galaad, il secondo a nord di Edom. I crimini (13de e 1de) sono, in un certo senso, complementari: entrambi dimostrano l’accanimento contro i nemici, ma ancor prima della loro nascita («hanno sventrato le donne incinte») per quanto riguarda gli Ammoniti, fin dopo la morte invece («hanno bruciato le ossa») per quanto riguarda i Moabiti. Gli annunci di castigo (14-15b e 2-3b) comprendono entrambi tre bimembri, sebbene disposti in modo differente52; i primi segmenti sono molto simili («Rabba» e «Keriot» sono nomi di città); «fragore» è ripreso nei secondi segmenti (14c e 2d; in coppia con «turbine» in 14d e «tumulto» in 2c), «principi» nei secondi membri degli ultimi segmenti (15b e 3b; in coppia con 50 Un atto di profanazione ancor più grave è profetizzato dall’«uomo di Dio» contro l’altare di Betel e i sacerdoti del santuario, in 1Re 13,2: «si bruceranno (śrp) sull’altare ossa umane (‘aṣmôt ’ādām)»; da notare le assonanze con Am 2,1d: śārepû ‘aṣmôt melek ’ĕdôm. 51 Wolff, 162. 52 Cfr. p. 69-71.
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«re» in 15b e «governante» in 3a)53; i due brani terminano con due sinonimi, «(tutti) insieme» e «con lui» (15b e 3b). Si noti che le due occorrenze del termine «re» (15a e 2d) svolgono la funzione di termini medi. Le formule di conclusione di oracolo (15c e 3c) sono identiche. 1,13 Così dice il SIGNORE: + «Per tre delitti + e per quattro non ammetto-revoca;
dei
FIGLI DI AMMON
di
Rabba
– – : 14 appiccherò il fuoco sulle mura : che divorerà i suoi palazzi, - nel FRAGORE nel giorno di guerra - nel turbine nel giorno di bufera, = 15 e andrà il loro RE in deportazione = lui e i suoi PRINCIPI
insieme », dice il SIGNORE.
2,1 Così dice il SIGNORE: + «Per tre delitti + e per quattro non ammetto-revoca;
di MOAB
– – : 2 invierò il fuoco su Moab : che divorerà i palazzi
di
Keriot
- e morirà nel tumulto Moab - nel FRAGORE al suono del corno = 3 ed eliminerò il GOVERNANTE in essa = e ucciderò tutti i suoi PRINCIPI con lui», dice il SIGNORE.
53
La struttura della sottosequenza sembra così confermare la vocalizzazione del TM in 1,15, contro la correzione proposta da É. PUECH, «Milkom» («E Milkom andrà in esilio, insieme ai suoi sacerdoti e ai suoi capi»).
74
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
INTERPRETAZIONE Ognuno dei due popoli ha attaccato il suo «prossimo», gli Ammoniti il loro vicino del nord, i Moabiti il loro vicino del sud. Il loro crimine è estremamente grave. Infatti non si sono accontentati di uccidere, ma si sono accaniti contro la vita, oltre i suoi stessi limiti: gli uni sono arrivati a sopprimere degli esseri ancor prima della loro nascita; gli altri hanno inteso fare sparire quanto restava del re di Edom, dopo la sua morte. Uccidendo i nascituri con le loro madri, i Figli di Ammon hanno voluto distruggere anche l’avvenire; bruciando le ossa del re di Edom, Moab ha voluto mettere fine per sempre alla discendenza reale. Si potrà notare una certa progressione nella sanzione: infatti, mentre i capi degli Ammoniti saranno deportati, quelli di Moab saranno uccisi, e non solo i loro capi ma anche tutto il loro popolo. In ogni caso, gli atti di guerra saranno puniti dalla guerra, e il fragore della battaglia risponderà al silenzio a cui erano state ridotte le vittime. D. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (1,3–2,3) COMPOSIZIONE I rapporti tra la prima e l’ultima sottosequenza I nomi di «Galaad» e di «Edom» appaiono, in posizioni simili, nella denuncia del delitto, anzitutto Galaad in 1,3c e in 1,13c, poi Edom in 1,6c e in 2,1c. Bisogna tuttavia notare che se Galaad è sempre la vittima, di Damasco nel primo oracolo, dei Figli di Ammon nel quinto oracolo, il ruolo di Edom è ambivalente: è vittima di Moab nell’ultimo oracolo, ma è complice e beneficiario del delitto di Gaza nel secondo oracolo. «Chi presiede da» (cioè il sovrano) di 1,5b e 1,8a, in coppia con «chi detiene lo scettro» di 1,5c e 1,8b, annunciano «il loro re» e «il governante» di 1,15a e di 2,3a, in coppia con «i suoi principi» di 1,15b e 2,3b. «Eliminerò» è ripreso due volte nella prima sottosequenza (1,5b.8a), una sola volta nell’ultima sottosequenza (2,3a). La coppia «deportazione» – «morte» si ritrova nel medesimo ordine: «sarà deportato» in 1,5d e «andrà in deportazione» in 1,15a; «perirà» in 1,8d e «ucciderò» in 2,3b (preceduto da «morirà» in 2,2b); la sanzione contro queste due coppie di nazioni è dunque parallela, probabilmente con una progressione nella gravità della pena, essendo la morte più «definitiva» della deportazione. I rapporti tra la sottosequenza centrale e le altre due I due oracoli della sottosequenza centrale si distinguono dagli altri quattro: da una parte, la gravità dei delitti viene esplicitata (tradimento e vendetta), dall’altra e in modo correlativo, il castigo è molto più breve; infine la formula di conclusione di oracolo è assente.
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Come nelle altre due sottosequenze, si ritrova la coppia «deportazione» – «morte», ma non più nei castighi, bensì nei delitti: il crimine di Tiro è quello di avere «deportato» (9c), quello di Edom di avere «inseguito con la spada suo fratello» (11c). 1,3 COSÌ DICE IL SIGNORE: . «Per tre delitti di DAMASCO e per quattro non ammetto-revoca; – perché hanno trebbiato con erpici di ferro il (paese di) GALAAD, 4 INVIERÒ IL FUOCO SULLA CASA DI Cazael CHE DIVORERÀ I PALAZZI DI Ben-Adad + 5 e spezzerò il chiavistello di Damasco + ed eliminerò chi presiede da Bikeat–Aven + e chi detiene lo scettro da Bet–Aven . e sarà deportato il popolo di Aram a Kir», DICE IL SIGNORE. 6
COSÌ DICE IL SIGNORE: . «Per tre delitti di GAZA – perché hanno deportato dei deportati in massa 7 INVIERÒ IL FUOCO SULLE MURA DI Gaza + 8 ed eliminerò chi presiede da Asdod + e chi detiene lo scettro da Ascalona + e rivolgerò la mia mano su Accaron . e perirà il resto dei Filistei»,
e per quattro non ammetto-revoca; per consegnarli a EDOM, CHE DIVORERÀ I SUOI PALAZZI
DICE IL SIGNORE DIO.
9
COSÌ DICE IL SIGNORE: . «Per tre delitti di TIRO – perché hanno consegnato – e non ricordarono l’alleanza tra
e per quattro non ammetto-revoca; dei deportati in massa a EDOM, FRATELLI, 10 INVIERÒ IL FUOCO SULLE MURA DI Tiro CHE DIVORERÀ I SUOI PALAZZI.»
11
COSÌ DICE IL SIGNORE: . «Per tre delitti di EDOM e per quattro non ammetto-revoca; – perché ha inseguito con la spada suo FRATELLO – distruggendo le sue viscere e ha dilaniato costantemente la sua ira, e la sua collera si è mantenuta stabilmente, 12 INVIERÒ IL FUOCO SU Teman CHE DIVORERÀ I PALAZZI DI Bozra». 13
COSÌ DICE IL SIGNORE: . «Per tre delitti dei FIGLI DI AMMON e per quattro non ammetto-revoca; – perché hanno sventrato le ( donne ) incinte di GALAAD – al fine di allargare il loro territorio, 14 appiccherò IL FUOCO SULLE MURA DI Rabba che DIVORERÀ I SUOI PALAZZI : nel fragore nel giorno di guerra nel turbine nel giorno di bufera = 15 e andrà il loro re in deportazione = lui e i suoi principi insieme», dice il SIGNORE. 2,1 COSÌ DICE IL SIGNORE: . «Per tre delitti di MOAB perché ha bruciato per (farne) calce le ossa del re 2 INVIERÒ IL FUOCO SU Moab : e morirà nel tumulto Moab = 3 ed eliminerò il governante in lei = e ucciderò tutti i suoi principi con lui»,
e per quattro non ammetto-revoca; di EDOM che DIVORERÀ I PALAZZI DI Keriot nel fragore al suono del corno dice il SIGNORE.
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere
Il secondo e il terzo oracolo sono collegati tra loro dalla ripresa di «deportati in massa» e di «consegnare» in 6c e 9c, che fungono da termini medi per le prime due sottosequenze. Il legame tra il quarto e il quinto oracolo è meno evidente; tuttavia «viscere» (lett. «seno materno», al plurale) in 11d sembra annunciare le [donne] «incinte» di 13d, che sarebbero così termini medi per le ultime due sottosequenze. Nei due casi si sarà notato che questi termini medi si trovano in posizioni simili, all’inizio dell’annuncio dei delitti: 6d, 9d, 11e, 13d. INTERPRETAZIONE LE NAZIONI VISTE DA ISRAELE Un primo modo di interpretare il testo è quello di immedesimarsi con l’ascoltatore del tempo di Amos: il primo destinatario degli oracoli del profeta è infatti il popolo di Israele (1,1). È consentito immaginarlo radunato a Betel in occasioni di una celebrazione festiva (2,8). Vicinanza geografica Il testo è caratterizzato da continui riferimenti geografici concernenti territori e città, la cui posizione rispetto a Israele appare significativa. Le sei nazioni incriminate confinano tutte con Israele. Si ha l’impressione che i primi quattro paesi facciano da cornice a Israele a mo’ di punti cardinali54: abbiamo anzitutto Damasco a nord(-est) nella parte interna del paese, e Gaza a sud(-ovest) vicino al Mediterraneo; seguono Tiro a nord(-ovest) sulla costa, ed Edom a sud(-est) nella zona interna55. Ne risulta un sistema incrociato, secondo lo schema seguente: (3) TIRO
(1) DAMASCO .
. .
. . . (Israele) . .
. . GAZA (2)
. . EDOM (4)
54 Come in Sof 2,4-15: Filistei a ovest, Moab e Ammon a est, Etiopia a sud e Assur a nord (A. SPREAFICO, Sofonia, 147). 55 L’organizzazione degli oracoli secondo i punti cardinali costituisce uno dei motivi per cui il testo di Amos viene ritenuto riprodurre un rituale d’esecrazione magica, sul modello dei testi egiziani; cfr. A. BENTZEN, «The Ritual Background»; G. FOHRER, «Prophetie und Magie». La critica di M. WEISS, «The Pattern», mostra che in ogni caso l’elenco delle nazioni in Amos non segue l’ordine dei testi egiziani (che abitualmente è: sud – nord – ovest e infine l’Egitto).
Sequenza A1: 1,3–2,3
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Potrebbe darsi però che questa figura sia solo una proiezione delle nostre moderne categorie geografiche, e che l’unico punto pertinente della costruzione sia l’opposizione nord – sud56; tanto più che questa opposizione si ritrova nella coppia seguente, Ammon – Moab57. Questa ricorrenza avrebbe lo scopo di significare la totalità: dal nord al sud viene commesso lo stesso delitto e, di conseguenza, sarà applicata la medesima sanzione58. Vicinanza di relazione I popoli menzionati non hanno solo un rapporto di prossimità spaziale con Israele; essi fanno altresì parte della sua storia e delle tradizioni che la interpretano. La menzione ripetuta della parola «fratello» (1,9.11), al centro della sequenza, invita a considerare le relazioni di parentela, di affinità, di alleanza che Israele intrattiene con i suoi vicini. Dal momento che gli oracoli sono abbinati, bisogna cercare quale è la caratteristica di ogni coppia di nazioni. Aram e i Filistei, all’inizio della sequenza, sono degli stranieri, nemici tradizionali di Israele59. Gli ultimi due popoli sono cugini di Israele: Lot, il padre di Moab e di Ammon, era nipote di Abramo, essendo figlio di Aram, il fratello di Abramo. Tiro ed Edom, al centro, gli sono molto più vicini: il primo è in rapporto di alleanza fraterna con Israele (cfr. 1Re 5,26 e 9,13); Edom (cioè Esaù) è ancora più intimo di Israele (cioè Giacobbe), poiché sono fratelli di sangue, essendo entrambi figli di Isacco. Da questo punto di vista, la sequenza ha una costruzione concentrica, poiché la sottosequenza centrale è il punto culminante della progressione. Come ogni centro di una struttura concentrica, essa non ne costituisce solo il climax, ma anche la chiave interpretativa: la presenza dei fratelli al centro non solo indica il culmine del tradimento di Tiro ed Edom, ma rivela anche che tutti i popoli sono fratelli e che la violenza è fratricida. Israele vittima? Ascoltando questa prima proclamazione di Amos, gli Israeliti non potevano che rallegrarsi: punendo i popoli loro avversari60, il verdetto irrevocabile di Dio 56
Isaia, da Gerusalemme, situa però gli Aramei ad oriente e i Filistei ad occidente (Is 9,11). L’ordine dei due popoli negli oracoli contro le nazioni è Moab-Ammon in Ger 48-49; Sof 2,8-9, ma Ammon-Moab in Ez 25. 58 Nord e sud indicano la totalità in Am 9,7 (Filistei – Aram); 6,2 (Calne, Camat – Gat); 6,14 (Lebo-Camat – Araba). 59 Così saranno presentati insieme in Is 9,11 (cfr. anche Ez 16,57). 60 Y. Kaufmann, citato da Sh.M. PAUL, «Amos 1:3-2:3», 399, propone di vedere nell’ordine delle nazioni la lista alternata dei nemici di Israele e di Giuda: Aramei (nemici di Israele), Filistei (di Giuda), Tiro (di Israele), Edom (di Giuda), Ammon (di Israele), Moab (che attacca Edom, supposto alleato di Giuda). Sh.M. Paul, da parte sua, pensa che l’organizzazione sia «letteraria». Infatti, Aramei e Filistei sono uniti in Am 9,7 e in Is 9,7ss (più precisamente in 9,11) che sarebbe stato influenzato da Am 4,10-12; i Filistei e Tiro spesso sono citati insieme (Gl 4,4-8; Ger 47,4; Ez 57
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere
(1,3.6.9, ecc.) ristabiliva infatti, ai loro occhi, il diritto della vittima, cioè di Israele. Questo aspetto merita di essere considerato, con precisione, nel testo. Galaad viene nominato due volte, in posizione simmetrica, come vittima di Damasco, suo vicino del nord nel primo oracolo (3c), poi come vittima dei Figli di Ammon, suoi vicini del sud nel quinto oracolo (13c). Situato al di là del Giordano, il territorio di Galaad è la parte di Israele più esposta e più difficile da proteggere dagli attacchi dei nemici. La vittima di Edom non è nominata, ma è chiaramente designata come «suo fratello» (11c): è probabile che si tratti ancora di Israele. Le vittime di Gaza e di Tiro non sono formalmente identificate. Per quanto riguarda i Filistei, il parallelismo complementare che unisce l’oracolo che li concerne a quello che è rivolto contro Damasco poteva facilmente indurre gli ascoltatori di Amos a riconoscersi quali vittime dell’uno e dell’altro popolo. Non è impossibile che, come per inerzia, gli Israeliti si siano riconosciuti anche oggetto dell’azione violenta di Tiro61. Così fino alla fine, il destinatario poteva pensare che fosse sempre Israele a subire ingiustizia. Ma l’ultimo oracolo produce un effetto di sorpresa, poiché chi patisce la violenza di Moab non è Israele, ma Edom (1c)62. La scelta di Edom come vittima finale non poteva essere migliore. Edom, infatti era già stato nominato tre volte prima dell’ultimo oracolo, sempre in qualità di reo: secondo il quarto oracolo, nel centro della composizione, egli si è anzi reso colpevole del delitto più grave, quello di uccidere senza pietà il proprio fratello, che per di più è suo gemello. Eppure è proprio lui l’ultima vittima! Il sapiente effetto di sorpresa così creato è ricco d’insegnamento. Come chiunque, Israele potrebbe avere la tendenza a considerarsi la sola vittima di tutti gli altri. Con grande finezza il profeta dissipa questa illusione etnocentrica. Se il peggiore avversario di Israele, suo fratello nemico, colui che per di più è complice dei crimini di molti altri, è anch’egli sottoposto a violenza, Israele non è l’unica vittima delle estorsioni commesse dalle nazioni. Sarebbe troppo semplice! Se ne deduce allora, in primo luogo, che il reo per antonomasia, Edom, viene a subire la legge del contrappasso; in secondo luogo che la vittima può essere chiunque, qualsiasi popolo che venga trattato dal vicino non come fratello, ma come un oggetto di cupidigia e di sfruttamento. 25,16-17.26; Zc 9,3-6; Sal 83,5), anche a motivo della loro prossimità sul litorale mediterraneo; Edom, Moab e Ammon, collegati tra loro dalla vicinanza geografica e dai legami etnici, sono menzionati insieme in Dt 23,4-8; Is 11,14; Ger 48-49; Ez 25,2-14; Dn 11,41 (Ammon e Moab in Gen 19,37-38; Sof 2,8-11; Ne 13,1ss). Inoltre, per il testo di Amos, queste nazioni sono legate tra loro da parole-gancio o temi esclusivi (su questo punto il nostro studio integra le osservazioni di Paul). 61 Cfr. Gl 4,6. Per Hakham, 6, i primi cinque popoli sono chiaramente colpevoli di crimini contro Israele; secondo questo autore si può interpretare anche il delitto del sesto popolo, Moab, come diretto contro Israele, «perché a quell’epoca il re di Edom era alleato di Israele». 62 È forse la ragione per cui Moab, il figlio maggiore, non è nominato prima di Ammon, suo fratello minore, come sarebbe normale, ma dopo di lui.
Sequenza A1: 1,3–2,3
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Il fatto che la vittima sia in tutti i casi il vicino, colui che si trova dall’altro lato di una frontiera, che separa ma al tempo stesso unisce, rivela l’importanza del rispetto da accordare ai confini. Quando la frontiera non è più la legge che definisce i due popoli nella loro propria identità, quando non è più la membrana che consente gli scambi, ma solo un fastidioso ostacolo al proprio sviluppo, essa non può che essere travalicata dal più forte. Ma distruggendo il prossimo o vendendolo come schiavo, l’aggressore non nega solamente l’altro come proprio fratello; egli rinnega anche la sua stessa qualità di fratello, distrugge se stesso. La guerra tra popoli non produce vincitori; fa solo vittime. LE NAZIONI VISTE DAL PROFETA AMOS63 Rispetto ad altre raccolte di oracoli contro le nazioni (cfr. Is 13–23; Ger 46– 51; Ez 25–32; ecc.), il testo di Amos si distingue per la sua brevità e soprattutto per l’accentuato schematismo con cui sono presentati il delitto commesso e la sanzione minacciata. Il medesimo crimine Si può affermare con sicurezza che per Amos l’ambito internazionale è contrassegnato da un’uniformità impressionante: tutti i popoli commettono lo stesso tipo di crimine (chiamato sempre peša‘) e tutti lo commettono ripetutamente («per tre delitti... e per quattro»). Ogni nazione ha un suo nome proprio, suoi propri territori e città; ma il comportamento sostanzialmente è identico: ognuno fa guerra al proprio vicino64. La guerra ha una duplice motivazione. La prima è di natura economica: si attacca il vicino per depredarlo. Questo è particolarmente evidente nei primi tre oracoli65: Damasco considera Galaad un campo da mietere (1,3), Gaza e Tiro sono specializzati nel commercio di schiavi (1,6.9)66. 63 Intendiamo parlare del redattore ultimo del libro di Amos, più che del personaggio storico al quale è attribuita la profezia. In genere gli autori negano, in parte (come Harper, Wolff, Soggin) o totalmente (come V. FRITZ, «Die Fremdvölkersprüche»), l’autenticità dei primi due capitoli, o per ragioni di forma letteraria o per questioni di verosimiglianza storica. Non mancano tuttavia autori che sono più favorevoli all’autenticità (come W. RUDOLPH, «Die angefochtenen Völkersprüche»; D.L. CHRISTENSEN, «The Prosodic Structure»; G. PFEIFER, «Die Fremdvölkersprüche»; Sh.M. PAUL, «A Literary Reinvestigation»). L’accurata analisi di B. GOSSE, «Le recueil», mostra che l’insieme della sequenza ha subito una revisione deuteronomistica. 64 La parola «guerra» non è menzionata da Amos nella denuncia dei delitti, ma solo nell’annuncio della sanzione (1,14); tuttavia è chiaro che gli atti ai quali il profeta si riferisce sono delle campagne militari. La storia di un popolo è spesso narrata facendo il resoconto delle sue guerre, delle sue conquiste e delle sue disfatte, quasi come una illustrazione del detto homo hominis lupus (cfr. J.L. SICRE, “Con los pobres”, 101-102). 65 Ciò non significa, di per sé, che la guerra per ragioni economiche sia esclusiva di Damasco, Gaza e Tiro. Secondo le leggi di composizione (e quindi di «economia») testuale, ciò che si dice di Damasco e di Gaza vale anche, in un certo qual modo, per Ammon e Moab che costituiscono la sottosequenza corrispondente (la somiglianza nella sanzione tra le due sottosequenze estreme
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2. Gli oracoli contro le nazione straniere
La seconda motivazione della guerra è di tipo politico: in una campagna militare, infatti, non si punta solo a fare bottino, ma anche ad affermare il proprio dominio sul territorio altrui («al fine di allargare il loro territorio» in 1,13). Nel testo di Amos questo aspetto è evidenziato soprattutto negli ultimi tre oracoli, contro Edom, Ammon e Moab. L’azione di Tiro nei confronti del «fratello» è quella di uccidere (1,11), così come fanno gli Ammoniti con le donne incinte di Galaad (1,13) e i Moabiti con la dinastia del re di Edom (2,1)67. Questa specificità della violenza, tendente a sopprimere l’altro, non era presente nei primi tre oracoli; tuttavia essa è necessaria per illustrare la volontà di incontrastato dominio che regola i rapporti internazionali. Nella sottosequenza centrale (1,9-12) il comune delitto delle nazioni viene interpretato nella sua valenza giuridica, o forse, meglio, alla luce del diritto che regola o dovrebbe regolare i rapporti tra le nazioni. Il concetto di «fratello» (1,9.11) e quello di «alleanza» (1,9), correlato al primo, dicono il contrario della guerra; il «diritto» dell’alleanza afferma, in primo luogo, che le relazioni tra le genti devono ispirarsi all’aiuto reciproco (e non al sopruso, come è denunciato a proposito delle deportazioni 1,9); in secondo luogo, che in caso di tensione e di controversia la collera deve placarsi per lasciare il posto all’intesa e alla riconciliazione (ossia il contrario della furia omicida: 1,11). In conclusione, tutti rubano, tutti uccidono, tutti mancano alla parola data nell’impegno di alleanza68. La medesima sanzione Per porre fine a un’azione criminosa ripetuta e universale, Dio interviene con un verdetto irrevocabile («non ammetto-revoca»)69 che s’abbatte su tutti. Il giudizio «universale» si manifesta non solo nel fatto che tutte le nazioni sono colpite (da nord a sud), ma anche nel fatto che tutto all’interno della nazione stessa è sottomesso alla punizione: l’elenco delle città e il binomio sovrano – popolo (1,5.8), nella prima sottosequenza, sono in questo senso particolarmente significativi per illustrare che nessun «resto» (1,8) potrà sottrarsi al giudizio divino. Come si addice al giusto giudizio di Dio, la sanzione corrisponde al delitto in conformità alla norma del taglione. La punizione si realizza per mezzo della conferma questa interpretazione). Analogamente, il crimine di Tiro getta luce su quello di Edom (si tratta di passi legati tra loro da una struttura identica). 66 La deportazione ha una chiara valenza economica, poiché si sottolinea esplicitamente la «consegna» a Edom. 67 Cfr. l’interpretazione, p. 72. 68 Secondo J. MAUCHLINE, «Implicit Signs», 288-289, le nazioni avrebbero infranto il legame fraterno a cui si erano impegnate nell’unità del regno davidico; così Ph.J. KING, Amos, 49. 69 Probabilmente si può vedere una contrapposizione tra la ripetizione del delitto commesso dalle nazioni (tre – quattro) e la parola «unica» del verdetto divino (parola che produce il suo effetto punitivo proprio perché non viene annullata da un’altra parola dello stesso tipo). Più esattamente forse, il verdetto divino senza remissione pone fine a una serie di crimini giunti al loro culmine.
Sequenza A1: 1,3–2,3
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guerra (cfr. 1,14), in cui i colpevoli subiscono una disfatta irreparabile, definitiva, senza remissione. Questo viene letteralmente espresso dalla frase, ripetuta in ogni oracolo: «invierò il fuoco contro...» (1,4.7.10.12.14; 2,2); infatti, l’incendio delle città (generalmente le capitali) segnava la fine di ogni resistenza militare70. L’aspetto bellico è specificato dal fatto che l’incendio colpisce le mura (1,7.10.14)71 e i palazzi (1,4.7.10.12.14; 2,2), cioè le costruzioni fortificate, che senza dubbio alcuno adempivano una funzione difensiva nelle città; lo spezzare il chiavistello (1,5), la metafora della «bufera» (1,14 in parallelo con il termine «guerra») e il suono del corno (2,2) appartengono al campo semantico della guerra. Lo stesso vale per la deportazione della popolazione (1,5.1572) e l’uccisione dei sovrani o della classe dirigente (1,5.8; 2,373), disposizioni che i vincitori prendevano per premunirsi contro futuri atti di ostilità. L’aspetto economico della guerra, la sua finalità d’arricchimento (menzionata sopra) è qui punita mediante la distruzione con il fuoco, che «consuma» «case» e «palazzi» (1,4.7.10.12.14; 2,2); per Amos il «palazzo» certamente è un simbolo di ricchezza (cfr. 3,9.10.11; 6,8). L’aspetto politico della guerra, la sua intenzionalità dispotica è direttamente sanzionata dal verdetto del Signore; il testo insiste molto su questo punto, soprattutto nelle sottosequenze estreme, proprio là dove la sanzione è letterariamente più sviluppata. Viene punito colui che si è installato nel potere, colui che «presiede» nello stato (1,5.8), cioè «chi detiene lo scettro» (1,5.8), il «re» (1,15), il «governante» (2,3) come pure i «principi» (1,15; 2,3): la loro volontà di potere e di dominio sui territori altrui, volontà che si era espressa nella guerra portata ad altri popoli e regni, è annientata per sempre. Chi aveva fatto guerra, uccidendo e deportando in modo spietato74, era venuto meno al diritto delle genti, aveva tradito i patti, aveva rinnegato la relazione di 70
Si pensi alla caduta di Gerusalemme con l’incendio del tempio e dei palazzi associato all’abbattimento delle mura (2Re 25,9-10). 71 Si noti che le «mura» sono menzionate una volta sola in ognuna delle tre sottosequenze; si verifica anche in questo caso il fenomeno retorico dell’economia. 72 La deportazione, come sanzione, viene esplicitamente menzionata nel primo dei due oracoli delle sottosequenze estreme. 73 L’esecuzione dei sovrani viene esplicitamente menzionata in 2,3, a conclusione di tutta la sequenza; in questo versetto il verbo «uccidere» è usato in parallelo con il verbo «eliminare» (che si ritrova anche in 1,5.8, in posizione identica), al quale attribuiamo sostanzialmente il medesimo significato di soppressione fisica. 74 In ogni oracolo delle sottosequenze estreme il castigo si attua prima con la deportazione (1,5d e 1,15a), poi con la morte (1,8d e 2,2b.3b). Nella prima sottosequenza la deportazione subita è il castigo della morte data (1,3c) e inversamente la morte subita è il castigo della deportazione attuata (1,6c); questo sistema incrociato non è ripreso esattamente nell’ultima sottosequenza, poiché se la deportazione di 1,15 sanziona la morte data in 1,13c, la morte ricevuta dal colpevole in 2,2b-3b non sanziona una deportazione (2,1c). Nella sottosequenza centrale si ritrova la medesima alternanza tra deportazione e morte, ma solo nell’enunciazione del crimine (1,9c e 1,11cd), poiché il castigo si riduce al fuoco. Deportazione e morte sono dunque sia delitti perpetrati dalle diverse nazioni sia castighi inflitti da Dio. Se ne deduce forse che Dio può usare i crimini degli uni per punire gli altri. Ciò significa
82
2. Gli oracoli contro le nazione straniere
fraternità che deve vigere tra i popoli (1,9.11). Con il suo verdetto Dio ristabilisce la giustizia, impone il diritto sulla terra. Egli giudica i giudici del mondo75.
soprattutto da una parte che tutti i popoli sono indistintamente implicati nella violenza e dall’altra che è Dio a condurre la storia, poiché egli retribuisce ciascuno secondo le sue opere. 75 Il formulario usato da Amos — in particolare l’uso della preposizione ‘al («per» – «perché»), con il termine peša‘ («delitto») — interpreta l’avvenimento storico come l’esecuzione di una sentenza divina inappellabile. Questa è diretta proprio a quelle autorità, che avrebbero dovuto salvaguardare il diritto; «chi detiene lo scettro», in 1,5.8, è colui che «presiede» anche alla funzione giudiziaria; il «governante», in 2,3, — alla fine della sequenza — è precisamente il «giudice» (šōpēṭ).
3 L’oracolo contro Giuda Sequenza A2: 2,4-5
TESTO 4
Così dice il SIGNORE: «Per tre delitti di Giuda e per quattro non ammetto revoca; perché hanno rigettato la Legge del SIGNORE e i suoi precetti non hanno mantenuto, e li hanno traviati le loro Menzogne che seguivano i loro padri, 5 invierò il fuoco su Giuda che divorerà i palazzi di Gerusalemme». VERSETTO 4
le loro Menzogne Si sono proposte tre spiegazioni per chiarire questa parola1: si tratterebbe o delle false ragioni addotte per giustificare le trasgressioni alla Legge, oppure degli oracoli dei falsi profeti, oppure — e questa pare l’opinione più plausibile — si farebbe riferimento agli idoli, in opposizione al «Signore» del segmento precedente. che seguivano... Lett.: «che andarono i loro padri dietro di loro». «Menzogne» sembra l’antecedente più normale di questa frase relativa, soprattutto se si accetta che questo termine designi gli idoli.
1
Esposizione dettagliata delle opinioni in G. PFEIFER, «“Ich bin in tiefe Wasser geraten”», 337-338.
84
3. L’oracolo contro Giuda
COMPOSIZIONE 4
Così dice il SIGNORE: –
«Per tre + e per quattro
delitti di GIUDA non ammetto-revoca;
– perché –e
hanno rigettato i suoi precetti
la Legge
–e – che
li hanno traviati andarono
i loro padri
del SIGNORE non hanno mantenuto, le loro Menzogne dietro di loro,
···········································································································
+ 5 invierò + che divorerà
il fuoco i palazzi
su GIUDA di Gerusalemme».
Questo oracolo ha la medesima costruzione del quarto (1,11-12); tuttavia il nome del paese di «Giuda» è ripreso in 5a come in 4b, prima che ricorra quello della sua capitale, «Gerusalemme», in 5b. Nel brano che denuncia il delitto (4dg) i membri estremi hanno quattro termini, mentre gli altri ne hanno solo tre o due; «menzogne», alla fine del primo membro del secondo segmento (4f), si contrappone, anche a motivo della forma plurale, a «Signore», alla fine del primo membro del primo segmento (4d). Da notare la costruzione concentrica del primo segmento: – perché HANNO RIGETTATO : la Legge del SIGNORE : e i suoi precetti – NON HANNO MANTENUTO.
INTERPRETAZIONE Dopo i primi sei oracoli, in cui le nazioni sono accusate di delitti contro il loro vicino, l’oracolo contro Giuda crea la sorpresa. Infatti, anche se, come agli altri popoli, subisce il castigo del fuoco, il delitto da lui commesso è molto diverso: Giuda non è accusato di avere perpetrato atrocità contro i paesi limitrofi, ma di avere trasgredito «la Legge del Signore». E la Legge non è stata violata nei precetti che regolano i rapporti con il prossimo, ma nei comandamenti che riguardano il Signore stesso; infatti le «Menzogne» (4f), a cui Giuda è andato dietro, sono gli idoli che ha servito al posto del solo vero Dio. La sorpresa è ancora più grande se si pensa che Gerusalemme (e quindi tutto il regno di Giuda) si è costantemente vantata di essere la sede dell’autentico culto di YHWH, in contrapposizione con i santuari del nord, accusati di favorire pratiche idolatriche (1Re 12,28-33; 2Re 17,7-12.16-18); basti citare, come diametralmente opposto
Sequenza A2: 2,4-5
85
ad Am 2,4, il testo di Is 2,3: «Da Sion uscirà la Legge e da Gerusalemme la parola del Signore». Se questo oracolo, così diverso dai precedenti e dal successivo, è il perno di tutta la sezione, dato che articola la sequenza sulle nazioni a quella dedicata a Israele, sarà necessario ritornarvi a suo tempo. Infatti il centro di una costruzione è la chiave di volta che tiene insieme tutte le altre parti e dà loro coesione. Il suo senso non può essere pienamente compreso se non nelle sue relazioni con il resto del testo, ed è questo senso che permette di cogliere la logica del tutto che esso articola.
86
3. L’oracolo contro Giuda
A
A R A M
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E D O M • Te ma n
4 L’oracolo contro Israele Sequenza A3: 2,6-16
Questa sequenza comprende un solo passo formato da sette parti di differente lunghezza, organizzate concentricamente. Formula di introduzione di oracolo
6a
DENUNCIA DEI CRIMINI DI ISRAELE
RICORDO DELL’AZIONE DI DIO
6b-8
A FAVORE DI ISRAELE
9-10
Azione di Dio: profeti e nazirei DOMANDA e formula di enunciazione di oracolo
11-12
Azione di Israele: nazirei e profeti
ANNUNCIO DELL’AZIONE DI DIO
ANNUNCIO DEL CASTIGO DI ISRAELE
Formula di conclusione di oracolo
CONTRO ISRAELE
2,13
2,14-16a
2,16b
1. FORMULE DI INTRODUZIONE E DI CONCLUSIONE (2,6A E 16B) Da un punto di vista tecnico questi segmenti unimembri devono essere considerati delle parti: infatti, il primo (6a) non entra nella composizione della parte seguente, poiché introduce tutto l’oracolo e non solo i versetti seguenti; ugualmente, l’ultimo segmento (16b) non conclude solo la parte precedente, ma tutto l’oracolo contro Israele.
88
4. L’oracolo contro Israele 2. DENUNCIA DEI CRIMINI DI ISRAELE (2,6B-8)
TESTO 6b
Per tre delitti di Israele e per quattro non ammetto-revoca; perché vendono per denaro l’innocente e l’indigente per una questione di sandali; 7 essi che calpestano sulla polvere della terra la testa dei miseri e il cammino dei poveri distorcono; e un uomo e suo padre vanno dalla ragazza al fine di profanare il mio nome santo; 8 e su vestiti presi in pegno si sdraiano presso ogni altare; e bevono il vino dei multati nella casa dei loro dèi.
VERSETTO 6
vendono per denaro l’innocente L’interpretazione degli antichi, sostenuta ancora da alcuni moderni, vede in questa espressione le malversazioni dei giudici che si lasciano comprare per condannare un innocente (questa interpretazione privilegia il termine s≥addîq). Un’altra interpretazione, la più diffusa tra i commentatori moderni, vede nella parola «innocente» un sinonimo di «povero», il termine corrispondente nel secondo membro: si tratterebbe di debitori che, non potendo rimborsare il loro debito («il denaro» che avevano preso in prestito), venivano venduti dai loro creditori1 (questa interpretazione privilegia il termine ’ebyôn). Infine, secondo una terza interpretazione2, Amos non denuncerebbe il fatto che si riduca qualcuno in schiavitù per ottenere il rimborso di un debito, ma che il padrone venda uno schiavo a uno straniero3, operazione questa che rende schiavi definitivamente. Sembra che la seconda interpretazione — il creditore che fa applicare una sentenza di vendita — sia la più probabile, in particolare a motivo del parallelismo con il secondo membro del segmento. per una questione di sandali. L’opinione comune è che i sandali rappresentino un valore minimo. Il povero avrebbe contratto un debito per procurarsi un paio di sandali4 e non potrebbe restituire la somma; la condanna alla schiavitù sarebbe ingiusta, perché la sanzione è sproporzionata rispetto al delitto. Se i sandali, come il mantello, facevano parte del necessario corredo di ogni persona, l’ingiustizia verso il povero sarebbe ancora più odiosa: egli infatti sarebbe venduto come schiavo per 1 Questa pratica è bene attestata sia nei codici legislativi sia nei testi narrativi: Es 21,2-4. 7-11; Dt 15,12ss; 2Re 4,1; cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 285-286; H. GOSSAI, «Ṣaddîq». 2 Cfr. B. LANG, «Sklaven und Unfreie», 484-486; G. FLEISCHER, Von Menschenverkäufern, 47ss. 3 Questa usanza è condannata da Ez 27,13; Gl 4,6; Ne 5,8; cfr. anche la storia di Giuseppe in Gen 37,25-28. 4 B. LANG, «Sklaven und Unfreie», 483, segue Rudolph, 141, e dice che «per denaro – un paio di sandali» significa «a motivo di un debito»: i «sandali» hanno un significato traslato e sono da intendere come un «contratto di debito».
Sequenza A3: 2,6-16
89
il fatto che si era dovuto procurare ciò che è indispensabile alla sopravvivenza. Un’altra interpretazione sarebbe che il povero è venduto a bassissimo prezzo, al valore di un paio di sandali. Sarebbe l’equivalente di «venduto per trenta sicli» (Es 21,32: il prezzo di uno schiavo; Zc 11,12: un prezzo beffardo) o «per venti sicli» (Gen 37,28: il prezzo per cui viene venduto Giuseppe); potrebbe esserci anche un’allusione a un baratto: il povero è semplicemente scambiato contro un oggetto di scarso valore, senza che il ricco guadagni un gran che (cfr. Sal 44,13)5. VERSETTO 7
quelli che calpestano... Questo membro presenta delle difficoltà per diverse ragioni. Anzitutto, la costruzione sintattica («essi che calpestano» traduce un participio giustapposto all’infinito di 6d, lett. «a causa del loro aver venduto...») sembra strana e induce diversi autori a vedere in questo segmento un’aggiunta posteriore. Un’altra difficoltà deriva dal fatto che questo membro (a differenza del membro seguente e dei due precedenti) consta di cinque termini: alcuni, quindi, vedono nella «polvere della terra» un’aggiunta da sopprimere per restituire regolarità ritmica al segmento6. Ma anche il senso del verbo crea dei problemi. Quanti lo considerano participio di š’p, «desiderare», lo interpretano in varie maniere: «quelli che, oltre ai loro beni, desiderano le persone stesse dei poveri», o «quelli che desiderano i beni materiali, anche a costo di incolpare i poveri», o «quelli che desiderano di vedere la polvere della terra sparsa sulla testa dei poveri»7; oppure, «quelli che desiderano anche la polvere della terra che i poveri spargono sulla propria testa»8. Ma il participio può derivare non solo da š’p, ma anche da šwp, «calpestare», «pestare»: si tratterebbe quindi di «quelli che calpestano sulla polvere della terra la testa dei miseri». Il sintagma «la testa dei miseri» è preceduto dalla preposizione be: molto probabilmente si tratta di un caso di «transitivo con preposizione»9. il cammino dei poveri distorcono. Nei procedimenti giudiziari intentati dai poveri, i potenti stravolgono l’iter della giustizia per difendere i propri interessi10. 5
Sulle calzature nell’Antico Testamento, cfr. P. SAVAGE, «Ancient Footwear». Rudolph, 138. Questa lettura, già supposta da J. WELLHAUSEN, Skizzen, 6,72, è difesa da C.C. TORREY, «Notes on Amos», 151-152, come un caso di doppia lettura: gli Israeliti che calpestano la testa dei poveri; i sandali che calpestano la polvere della terra. 7 È l’ipotesi sostenuta da Rosenmüller, 45, sulla scia di Rashi e Kimchi. 8 Così D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 681-684, che interpreta il sintagma š’p ‘al nel senso di š’p ’el (cfr. Qo 1,5): «Essi sono avidi della polvere...». 9 Joüon, 125b. 10 P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 172. 6
90
4. L’oracolo contro Israele
un uomo e suo padre vanno dalla ragazza... Questo segmento è il più discusso di tutto il passo (alcuni traducono: «padre e figlio» o, come la BJ, la TOB, e già la LXX: «figlio e padre»). Anzitutto l’espressione «un uomo e suo padre» è unica; se si intende ’îš nel senso distributivo di «ciascuno», può significare «ogni uomo e suo padre», ossia «ogni uomo come suo padre». Inoltre, la parola «padre» può essere intesa non come il genitore, ma come il responsabile, il capo. Il sintagma «vanno dalla ragazza» è stato spesso inteso come andare da una ragazza per avere un rapporto carnale con lei; ma il verbo tradotto con «vanno», costruito con la preposizione ’el («verso»), non è mai usato per parlare di relazioni sessuali11. Diversi commentatori vedono nel personaggio femminile una prostituta o una prostituta sacra12. Ora, nella Bibbia la parola na‘ărâ non designa né la prostituta (zōnâ) né la prostituta sacra (qedēšâ), ma semplicemente «la ragazza». Se si include questo personaggio nella lista di «innocente», «indigente», «miseri» e «poveri» di cui si parla nei due segmenti precedenti, potrebbe trattarsi della giovane schiava domestica, di cui abusano sia il giovane padrone sia il padre13. Se, al contrario, si vede in questo segmento una preparazione dei due segmenti successivi, allora si tratterebbe di una divinità femminile, ironicamente designata dal profeta come «la ragazza», oppure meglio di una donna che accoglieva i pellegrini per un pasto sacro (chiamato mrzḥ) — non necessariamente nel tempio14 — e l’espressione sarebbe un modo di schernire i pellegrini: invece di dire che vanno al tempio15, Amos avrebbe scelto l’espressione provocatoria «vanno dalla ragazza»16. In ogni modo sembra che non si debba dissociare la menzione della ragazza dal luogo in cui un uomo e il proprio padre vanno, il tempio e i suoi altari.
11 Sh.M. PAUL, «Two Cognate Semitic Terms», ha sostenuto, soprattutto sulla base dell’accadico, che il sintagma hlk ’l in Am 2,7 designa i rapporti sessuali. Pur criticando Paul, N.M. BRONZNICK, «More on hlk ’l», difende la stessa posizione, mostrando come hlk e bw’ possano essere considerati intercambiabili (bw’ ’el è spesso usato nel senso sopra menzionato: Gen 16,2; 30,3; 38,8; 2Sam 16,21). 12 Per esempio, Snaith, 43; Weiser, 141-142. 13 È l’opinione oggi più corrente: cfr. Wolff, 202-203; Rudolph, 142-143; J.-L. VESCO, «Amos de Teqoa», 491-492. 14 H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 33-36. 15 Il verbo hlk, spesso con la preposizione ’el, è usato per il pellegrinaggio: cfr. Gen 22,3.5 (nel racconto di Gen 22 si dice che «padre e figlio» «andavano» insieme verso la montagna del sacrificio: 22,6.8); Es 3,18; 5,3; 8,23; Dt 26,2; 1Re 2,3.5; Is 2,3.5; Ger 3,6; Qo 4,17. 16 Un po’ come oggi si direbbe di certi giovani che vanno in chiesa non tanto per pregare quanto per incontrare le proprie ragazze.
Sequenza A3: 2,6-16
91
VERSETTO 8
la casa del loro dio Dato che il nome di «Dio» ha una forma al plurale, ’ĕlōhîm, è difficile decidere se si debba tradurre con un singolare («la casa del loro dio») o con un plurale («la casa dei loro dei») 17. In ogni caso, sembra che Amos faccia qui un gioco di parole con Bet-El («la casa di Dio»). COMPOSIZIONE Questa parte comprende due sottoparti; la seconda (6d-8) precisa i crimini di cui si parla nella prima (6bc). – 6b «Per tre + e per quattro – perché vendono – e l’indigente . 7 calpestando . e il cammino
delitti di ISRAELE non ammetto-revoca; per denaro per una questione
l’innocente di sandali,
sulla polvere della terra dei poveri
la testa dei miseri DISTORCONO;
···································································
e un uomo e suo padre vanno dalla ragazza al fine di profanare il mio nome SANTO; ···································································
: 8 e su vestiti = presso
: e il vino dei = nella casa
presi-in-pegno ALTARE, ogni
SI SDRAIANO,
multati del loro DIO.
bevono,
LA PRIMA SOTTOPARTE (6BC) La prima sottoparte è il segmento bimembro con cui iniziano tutti gli oracoli precedenti. La sanzione («non ammetto-revoca») qui annunciata sarà sviluppata nei versetti 13-16. LA SECONDA SOTTOPARTE (6D-8) Questa sottoparte comprende tre brani. I due bimembri del primo brano (6d7b) hanno una composizione analoga, con i complementi oggetti come termini medi: «l’innocente18 e l’indigente...» nel primo segmento, «la testa dei miseri e il 17
Cfr. Mays, 47. Si può dire che «innocente» si contrapponga a «multati» (termini estremi della seconda sottoparte); infatti, la radice ‘nš (pagare una multa) è usata, in contesti legali, come sanzione per un 18
92
4. L’oracolo contro Israele
cammino dei poveri...» nel secondo; da notare che «innocente» e «indigente» nel primo segmento sono al singolare, mentre «miseri» e «poveri» nel secondo sono al plurale; i quattro termini di questo elenco, poi, sono omogenei e sostanzialmente sinonimi. – 6b «Per tre + e per quattro – perché vendono – e l’indigente . 7 calpestando . e il cammino
delitti di ISRAELE non ammetto-revoca; per denaro per una questione
l’innocente di sandali,
sulla polvere della terra dei poveri
la testa dei miseri DISTORCONO;
···································································
e un uomo e suo padre vanno dalla ragazza al fine di profanare il mio nome SANTO; ···································································
: 8 e su vestiti = presso
: e il vino dei = nella casa
presi-in-pegno ALTARE, ogni
SI SDRAIANO,
multati del loro DIO.
bevono,
Anche l’ultimo brano (8) comprende due bimembri, perfettamente paralleli termine a termine; l’alternanza dei numeri (plurale, singolare) del primo brano si ritrova anche qui, ma capovolta («vestiti» e «vino»). Da un brano all’altro i verbi tradotti con «distorcono» (7b) e «si sdraiano» (8a) in ebraico sono omonimi (yaṭṭû), hanno cioè la stessa radice, e, benché il primo sia all’hiphil e il secondo al qal, hanno esattamente lo stesso significante; alla fine dei membri, che racchiudono il brano centrale, questi due verbi svolgono la funzione di termini medi a distanza. Per quanto riguarda il brano centrale (7cd), esso comprende un solo segmento bimembro che si distingue da quelli che lo racchiudono, essendo l’unico il cui soggetto è lessicalizzato («un uomo e suo padre») e l’unico che implica una proposizione finale (7c). La parola «santità» (7d: alla fine del segmento) annuncia i termini cultuali dell’ultimo brano, «altare» e «casa del loro dio» (8b e d: alla fine dei segmenti). Così il brano centrale assicura il passaggio dal primo brano all’ultimo dove non si parla più semplicemente di ingiustizia, ma di ingiustizia legata al culto, e probabilmente giustificata da esso19.
torto fatto ad altri (Es 21,22; Dt 22,19). Il «multato» dunque è il colpevole. L’opposizione tra i due termini risulta anche da Pr 17,26: «Non sta bene multare (‘nš) il giusto (ṣaddîq)». 19 Harper, 48, ha visto bene che questo segmento è il climax della parte: è una delle ragioni per cui egli propone di spostarlo alla fine.
Sequenza A3: 2,6-16
93
CONTESTO L’espressione «la casa del loro dio» — o «dei loro dèi» — (bêt ’ĕlōhêhem) (8d) di sicuro allude ironicamente al santuario di Betel (in ebraico: bêt ’ēl, «casa di Dio»)20. Sito già nominato nella storia di Abramo (Gen 12,8; 13,3-4), Betel quale centro cultuale è soprattutto collegato con le tradizioni di Giacobbe: qui il patriarca ha avuto la famosa visione della scala poggiata sulla terra e la cui cima raggiungeva il cielo, e per questa ragione chiamerà questo luogo «casa di Dio (bêt ’ĕlōhîm) e porta del cielo» (Gen 28,10-19). Bisogna notare che, sempre nelle tradizioni di Giacobbe, Betel è collegata con l’istituzione della decima (Gen 28,22) e con i cerimoniali di alleanza (Gen 35,1-15), tra i quali va ricordata la libazione (Gen 35,14). Meta di pellegrinaggio (dove ci si reca con abbondanza di viveri e di vino: cfr. 1Sam 10,3), questo santuario diventa un centro importante con Geroboamo I, che lo rende uno dei templi regi, come strumento della sua politica di separazione da Giuda (1Re 12,26-33). È qui che Amos vede e parla (Am 7,10-17). 3. RICORDO DELL’AZIONE DI DIO A FAVORE DI ISRAELE (2,9-10) TESTO VERSETTO 9
la cui statura uguagliava quella dei cedri Letteralmente, «che come la statura dei cedri [aveva] la sua statura»; la parola «statura» di per sé significa «altezza», «grandezza», spesso con una connotazione di altezzosità, superiorità (Ger 48,29; Ez 31,10.14; Pr 16,18; 2Cr 32,26)21. Da notare la costruzione chiastica, che presenta alle estremità l’elemento di paragone: + il quale come la statura dei cedri – LA SUA STATURA +
20
– e IMPONENTE LUI come
le querce».
Sulle tradizioni bibliche di Betel e sui dati provenienti dall’archeologia, cfr. H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 49-52; Ph.J. KING, Amos, 41-42. 21 L’idea di grandezza e di orgogliosa superiorità è collegata con il nome stesso del cedro: cfr. Gdc 9,15; 2Re 14,9; 19,23; Is 9,9; Ez 17,22-23; 31,3; Sal 80,11; 92,13; ecc. Con la medesima sfumatura, in Is 2,13 e Zc 11,2 la quercia (o terebinto) sta in parallelo con il cedro.
94
4. L’oracolo contro Israele
COMPOSIZIONE Il primo brano (9) è formato da due segmenti: il primo è un trimembro (9abc) del tipo ABB’ («cedri» e «querce» si richiamano nei due ultimi membri), il secondo è un bimembro (9de) dove «frutto» e «radici» da una parte e «al di sopra» e «al di sotto» dall’altra indicano la totalità mediante il merismo; le due ricorrenze di «avevo distrutto» svolgono la funzione di termini iniziali per ognuno dei due segmenti. Il secondo brano (10) ha solo un trimembro del tipo ABA’, dove il termine «paese» segna il punto di partenza e di arrivo; in mezzo (10b) la lunga attraversata del deserto. Le due ricorrenze di «E io» (9a e 10a) fungono da termini iniziali per i due brani (io – loro in 9; io – voi in 10), mentre quelle de «l’Amorreo» (9a e 10c) fungono da termini estremi. +
9
L’AMORREO
davanti a loro
. che come la statura . e imponente
dei cedri lui
la sua statura come le querce,
–e –e
il suo frutto le sue radici
al di sopra al di sotto.
E IO
AVEVO DISTRUTTO
AVEVO DISTRUTTO
············································································································· 10
= =e
E IO
+ perché
vi avevo fatti salire vi avevo fatto andare
dal paese nel deserto
di Egitto quarant’anni
ereditaste
il paese
dell’AMORREO.
CONTESTO L’Amorreo fa parte dell’elenco canonico delle popolazioni che occupavano la terra promessa prima che Israele ne prendesse possesso (Gen 15,19-20; Es 3,8.17; Dt 7,1 ecc.); talvolta però questo solo popolo, come se rappresentasse tutti gli altri, viene identificato con il Cananeo (Gen 15,16; Dt 1,27)22. Qui forse si allude alla statura gigantesca degli abitanti di Canaan (Nm 13,32-33; Dt 1,28; 2,10.21; 9,2)23.
Cfr. M. NOTH, «Num. 21» («Anhang: Der Gebrauch von yrma im AT.», 182-189); J. van SETERS, «The Terms» (soprattutto, p. 72-78). 23 Cfr. L. PERLITT, Riesen, 21-23. 22
Sequenza A3: 2,6-16
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4. LA PARTE CENTRALE (2,11-12) TESTO VERSETTO 11
nazirei Come i profeti, i nazirei rappresentavano un gruppo speciale di uomini consacrati a Dio, probabilmente come guerrieri per la «guerra di YHWH» (come Sansone?), e legati da voti, tra cui quello di astenersi da bevande alcoliche (Nm 6,1-4; Gdc 13,5.7; 16,17)24. COMPOSIZIONE + 11 E ho suscitato =e
tra i vostri figli tra i vostri giovani
NON È COSÌ, FIGLI D’ISRAELE? = 12 E avete-fatto-bere + e ai PROFETI
ai NAZIREI avete ordinato:
dei PROFETI dei NAZIREI. ORACOLO DEL SIGNORE. del vino “Non profetizzate”.
Questa parte ha un solo brano formato da tre bimembri disposti concentricamente. I segmenti estremi contrappongono quanto il Signore ha fatto per i Figli d’Israele (11ab) e quanto questi ultimi hanno fatto in cambio (12); i quattro membri dei segmenti estremi si corrispondono chiasticamente («profeti» e «nazirei», poi «nazirei» e «profeti»). Al centro (11c) abbiamo la domanda rivolta ai «Figli d’Israele» (la parola «figli» si trovava già all’inizio: 11a), seguita dalla formula «oracolo del Signore»25.
24
Cfr. F. PARENTE, «Die Ursprünge des Naziräats»: pur ammettendo che la scarsità dei dati rende difficile la ricostruzione di un quadro istituzionale sicuro, l’autore sostiene che esista un rapporto tra il nazireato e la guerra; questa opinione è criticata da G. MAYER, TWAT V, 331. Bisogna ricordare che Giuseppe, l’antenato eponimo della tribù dominante del regno del nord, fiero della sua forza guerriera, riceve il titolo di «consacrato (nāzîr) tra i suoi fratelli» (Gen 49,26; Dt 33,16). 25 Spesso il centro di una costruzione è occupato da una domanda; cfr. R. MEYNET, L’analisi retorica, 226.240-241; Il vangelo secondo Luca, 730. Nel libro di Amos il fenomeno è frequente: 3,4-6 (centro di B1); 5,25 (centro di B5); 6,2 (centro di B6); 6,12 (centro di B7); 8,8 (centro di C3); 9,17 (centro di C4).
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4. L’oracolo contro Israele 5. ANNUNCIO DELL’AZIONE DI DIO CONTRO ISRAELE (2,13)
TESTO VERSETTO 13
schiacciare Tale verbo ricorre solo in questo testo di Amos; da qui la difficoltà di coglierne il senso. Alcuni lo interpretano così: il carro, pesantemente carico di covoni, scava profondi solchi nella terra, scricchiola ed è sul punto di rompersi; in questa immagine essi vedono un’allusione al terremoto che fende il suolo26. Altri, ancora, pensano che Dio stesso si dichiara schiacciato dal peso del popolo e delle sue ribellioni e non può più sopportarlo27. L’interpretazione tradizionale che attribuisce a Dio l’azione di schiacciare sembra preferibile28. Per un verso, infatti, essa corrisponde meglio al seguito del testo (14-16), dove il castigo annunciato è una disfatta schiacciante. D’altro canto, essa sembra rimandare alle immagini utilizzate nella parte simmetrica (9-10): Dio, che aveva «fatto salire» il suo popolo, lo farà discendere, lo schiaccerà a causa dei suoi crimini (da notare che «al di sopra» ricorre in 9d e in 13a)29. COMPOSIZIONE . 13 Ecco . come
io
SCHIACCERÒ
SCHIACCIA
il carro
sotto di voi carico di covoni.
Questa parte è molto più breve della precedente: essa comprende un solo segmento, i cui due membri stabiliscono un paragone tra Dio («io») e il «carro» che schiaccia «sotto di voi» come si schiacciano «i covoni».
26
Così Wolff, 171, che rimanda a 1Sam 6,7-14; 2Sam 6,3 (l’arca!) e Gen 45,19-27 (il trasporto di Giacobbe e della sua famiglia); tuttavia, l’utilizzo di carri per il trasporto di prodotti agricoli non è chiaramente attestato. H. GESE, «Kleine Beiträge», 417-424, cercava di rispondere a questa obiezione: secondo lui fa allusione al terremoto, quale ultimo segno — e il più terribile — della caduta di Israele (cfr. Am 9,1-4). Ugualmente Rudolph, 148-149, dice che l’immagine dominante è quella del terremoto; egli attribuisce al verbo ‘wq il significato di «ondeggiare», «barcollare» (già V. MAAG, Text, 91). Cfr. anche Soggin, 76-77. 27 Così Andersen – Freedman, 334-335. 28 Invece di un carro talmente carico di covoni da affondare, si potrebbe pensare all’immagine di una slitta caricata di pesi e usata per trebbiare i covoni sull’aia (cfr. Ph.J. KING, Amos, 112). 29 Lo studio di filologia comparata condotto da H.-P. MÜLLER, «Die Wurzeln», porta ad adottare il significato di «scricchiolare» per Am 2,13; la connotazione del rumore che prelude a uno schianto può accordarsi con l’allusione al terremoto, e meno con la trebbiatura del grano.
Sequenza A3: 2,6-16
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6. ANNUNCIO DEL CASTIGO DI ISRAELE (2,14-16) TESTO VERSETTO 16
il saldo di cuore Questa espressione (’ammiṣ libbô), unica nella Bibbia, designa il coraggioso; «saldo di forza» (’ammiṣ kōaḥ) si ritrova in Gb 9,4 (cfr. anche 9,19 e Is 40,26)30. COMPOSIZIONE31 + 14 E verrà meno - e il robusto - e il PRODE
LA FUGA
all’AGILE non rinsalderà non SALVERÀ
la sua forza la sua vita,
····································································································
. 15 . .
e chi tira e l’AGILE e chi monta
con l’arco di piedi a cavallo
non resisterà non (si) salverà non SALVERÀ
la sua vita,
····································································································
- 16 e il saldo + nudo
di cuore FUGGIRÀ
tra i PRODI in quel giorno.
Questa parte comprende tre brani (14, 15 e 16) di un solo segmento, organizzati in modo concentrico. Il primo brano (14a) è un trimembro di tipo ABB’: i suoi due ultimi membri sono perfettamente paralleli. Il secondo brano (15) è un trimembro che enumera tre tipi di combattenti: l’arciere, «l’agile di piedi», cioè il fante, infine il cavaliere. L’ultimo brano (16) è un bimembro, i cui due membri sembrano contrapporre il coraggio alla fuga. I primi due brani terminano con la ripetizione di «non salverà la sua vita», che così funge da termine finale. I due brani estremi si richiamano chiasticamente: si tratta dello stesso tipo di personaggi, i «valorosi» (16a e 14c), mentre «saldo» di cuore riprende il verbo «rinsaldare» di 14b; tuttavia, mentre «la fuga» è impossibile all’inizio (14a), il coraggioso della fine riesce a «fuggire» (16b). «Nudo» (16b) non si oppone a «vestito», poiché in questa parte non si parla di abiti, ma a «l’arco» e a «cavallo», e più ampiamente a tutto ciò che rappresenta «la forza» di un soldato; «nudo» connota dunque la debolezza e il disonore attribuiti a colui che è disarmato. 30 Per esprimere il «coraggio» in ebraico esiste una terminologia molto varia (cfr. B. COSTACURTA, La vita minacciata, 272). 31 R. RENDTORFF, «Zu Amos 2,14-16», ottiene una costruzione differente, con un parallelismo molto più accentuato, spostando «e l’agile di piedi non salverà la sua vita» (15b) prima di «e il robusto non rinsalderà la sua forza» (14b). La sua analisi però tiene presente solo un elemento («salvare» – «la vita») e non rende conto dell’insieme del passo 2,14-16.
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4. L’oracolo contro Israele 7. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (2,6-16) 6
COSÌ DICE il SIGNORE:
«Per tre delitti di ISRAELE e per quattro non ammetto-revoca; perché vendono per denaro l’innocente e il indigente per una questione di sandali; 7 essi che calpestano sulla polvere della terra la testa degli miseri e il cammino dei poveri distorcono; e un uomo e suo padre vanno dalla ragazza al fine di profanare il mio nome santo; 8 e su vestiti presi-in-pegno si sdraiano presso ogni altare; e bevono il VINO dei multati nella casa del loro dio. 9
E IO avevo distrutto l’Amorreo davanti a loro la cui statura uguagliava quella dei cedri lui che era imponente come le querce e avevo distrutto il suo frutto al di sopra e le sue radici AL DI SOTTO. 10 E IO vi avevo fatto salire dal paese di Egitto e vi avevo fatto andare nel deserto quarant’anni perché ereditaste il paese dell’Amorreo. 11
E ho suscitato tra i vostri figli dei profeti e tra i vostri giovani dei nazirei. NON È COSÌ, FIGLI D’ISRAELE? ORACOLO del SIGNORE. 12 E avete-fatto-bere ai nazirei del VINO e ai profeti avete ordinato: “Non profetizzate”. 13
Ecco IO schiaccerò SOTTO DI VOI come schiaccia il carro carico di covoni.
+ 14 E verrà meno la fuga all’agile - e il robusto non rinsalderà la sua forza - e il prode non salverà la sua vita; . 15 e chi tira con l’arco non resisterà . e l’agile di piedi non salverà la sua vita . e chi monta a cavallo non salverà la sua vita. + 16 E il saldo di cuore fra i prodi nudo fuggirà in quel giorno», ORACOLO del SIGNORE.
Sequenza A3: 2,6-16
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COMPOSIZIONE Le formule di introduzione e di conclusione di oracolo («Così dice il Signore»: 6a e «Oracolo del Signore»: 16b) trovano eco proprio al centro del passo: infatti, l’ultimo membro del segmento centrale della parte centrale, «oracolo del SIGNORE» (11c), riprende identicamente l’ultima parte (16b). Solo qui viene utilizzato il nome del «Signore»32. IL GIOCO DEI PRONOMI Alle estremità le parti 6b-8 e 14-16a sono alla terza persona (al plurale nell’una33, al singolare nell’altra; in quest’ultimo caso però le forme singolari sono termini collettivi che indicano categorie comprendenti numerose persone). Le parti che fanno da cornice al centro (9-10 e 13) sono alla prima persona singolare, sottolineata tre volte (9a.10a.13a) dall’uso di «io» (’ānōkî): «io avevo distrutto» in 9a e c, «io vi avevo fatto salire» in 10a, «io vi ho fatto andare» in 10b da una parte, e dall’altra «io schiaccerò» in 13a. Nella parte centrale (11-12), infine, la prima persona singolare del primo segmento (11ab; come nella parte precedente) si contrappone alla seconda persona plurale dell’ultimo segmento (12; è l’unico punto di tutto il passo in cui il soggetto è «voi»). VOCABOLARIO Le parti 6b-8 e 14-16 non hanno nessun lessema comune; tuttavia l’elenco dei forti e degli agili della fine si contrappone a quello dei deboli all’inizio; «nudo» di 16a richiama «vestiti» di 8a (quelli che hanno spogliato gli altri saranno a loro volta spogliati)34. Le parti 9-10 e 13 contrappongono due azioni di Dio che «ha fatto salire» il suo popolo dal paese d’Egitto e che «lo schiaccerà»; «sotto» è ripreso nelle due parti (9d e 13a)35. Sia «frutto» (9d) che «covoni» (13c) rimandano all’ambito agricolo e, più precisamente, alla raccolta. Da notare inoltre la ripresa di un elemento di paragone, «come» (9b e 13b). Il «vino» si ritrova alla fine della seconda parte e alla fine della parte centrale (8c e 12a), quindi come termine finale di queste due parti; non contenti di bere un vino non loro (all’inizio), fanno bere ai nazirei un vino, che hanno promesso per voto di non bere (al centro). 32 Da notare che il segmento centrale della seconda parte (7cd) termina con la menzione del «nome» del Signore e che la seconda parte termina con «i loro dei» (8d). 33 Eccetto «non ammetto-revoca», in 6c, proprio all’inizio. 34 Si potrebbe notare anche la duplice ricorrenza del verbo omonimo, tradotto con «distorcono» e con «si sdraiano» nel secondo passo (7b e 8a), e, nel penultimo passo, la duplice ricorrenza di «non salverà la sua vita» (14c e 15c). 35 Si potrà osservare il gioco di parole tra «l’Amorreo» (’ĕmōrî) all’inizio e alla fine del terzo passo (9a, 10c) e «i covoni» (‘āmîr) alla fine del quinto (13b).
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4. L’oracolo contro Israele
Da notare anche che le due uniche ricorrenze di «Israele» appaiono all’inizio (6b) e nel segmento centrale della parte centrale (11c) e che, analogamente, le due uniche ricorrenze di «oracolo del Signore» assicurano il raccordo tra questo segmento centrale e l’ultima parte del passo (16b). IL GIOCO DEI PERSONAGGI Deboli e forti All’inizio, la parte 6b-8 descrive i crimini di Israele contro i deboli del paese. Correlativamente, alla fine, la parte 14-16 annuncerà che chi aveva usato la propria forza per opprimere il debole, sarà reso debole a sua volta davanti a un nemico più forte di lui; le sei ricorrenze dei termini che designano i forti alla fine («l’agile» di 14a e 15b, «il robusto» e «il prode» di 14bc, «il saldo» tra «i prodi» di 16a) sembrano corrispondere ai sei termini che all’inizio designano i deboli: «innocente» e «indigente» in 6de, «miseri» e «poveri» in 7ab, persone indebitate («presi-in-pegno» e «multati») in 8. Dio e il suo popolo Alle estremità, Dio è assente. All’inizio (6-8), Dio sembra presente, ma in realtà il suo nome è profanato, e il santuario è la casa di altri dei; alla fine (1416), Dio, la sua forza e la sua salvezza sono scomparsi. Al contrario, nelle parti che inquadrano il centro Dio è presente: in 9-10 distrugge l’Amorreo per dare la sua eredità a Israele; in 13 schiaccerà il suo popolo (che a sua volta subirà la sorte dell’Amorreo!). Nella parte centrale (11-12) l’azione di Dio (che manifesta dunque la sua presenza tramite l’impegno dei nazirei nella guerra e tramite la parola dei profeti) è distrutta dai Figli d’Israele. Questa parte centrale, dunque, intorno alla domanda di 11c, riprende i due tempi del primo versante del passo, ma in ordine capovolto: dono + colpa (11ab + 12), invece di colpa + dono (6b-8 + 9-10). INTERPRETAZIONE DELITTO E SANZIONE La bipartizione in delitto e sanzione, che struttura gli oracoli contro le nazioni, può essere utilizzata anche per comprendere l’oracolo contro Israele; in questo oracolo, infatti, esiste una relazione diretta tra due generi di azioni, quelle dell’accusato, Israele, che sono ingiuste, e quelle del giudice, Dio, che è giusto. La giustizia di Dio si manifesta nel fatto che la sanzione è proporzionata al crimine36. 36
J. BARTON, «Begründungsversuche», afferma che nel profetismo c’è una discrepanza tra il crimine denunciato e la minaccia rivolta al colpevole (questo si ritroverebbe anche in Am 2, dove il crimine di Israele è meno grave di quello delle nazioni); noi pensiamo invece che i profeti, in
Sequenza A3: 2,6-16
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Le interpretazioni abituali di questa sequenza sono per lo più fondate su questo rapporto semplice tra crimine e castigo. Infatti, per motivi di critica letteraria i versetti centrali (9-12) vengono considerati redazionali: secondo diversi autori, altre parti del testo sono ritenute non autentiche, la maggioranza degli esegeti è comunque d’accordo nel riconoscere nei versetti centrali un vocabolario, uno stile e dei temi che non appartengono ad Amos, ma sarebbero da attribuire a una redazione deuteronomistica. Questi versetti, essendo ritenuti secondari, quindi meno importanti, sono trascurati nell’interpretazione del pensiero di Amos37. La figura del testo, così come la tradizione l’ha trasmesso, è concentrica: se la coppia delitto–sanzione occupa le estremità della sequenza (delitto all’inizio in 6-8 e sanzione alla fine in 14-16), ciò che si trova tra queste due parti non si accorda pienamente con la bipartizione delitto–sanzione; ai versetti 9-10 Dio interviene alla prima persona per ricordare una serie di azioni che non sono punitive; ai versetti 10-13 il «voi» si riferisce di sicuro a quelli («essi») a cui si dirige la denuncia del delitto (6-8) e l’annuncio della sanzione (14-16), ma con un fortissimo valore di richiamo dell’uditore; l’interrogativo del versetto 11, infine, non riguarda solo quanto è stato affermato poco prima — ossia che Dio ha mandato profeti e nazirei — e non è unicamente una richiesta di consenso fatta da Dio all’uditore; essa concerne la totalità del testo e invita a riconoscere tutte le forme di peccato denunciate fin dall’inizio, nonché il carattere necessario e giusto delle conseguenze che ne seguiranno. Se il centro di tutto l’oracolo è una domanda (11c), ciò vuole anche dire che c’è qualcosa da capire. Lo sforzo intellettivo — sapienziale — richiesto all’uditore costituisce la mediazione della sua adesione. Solo se si «vede» come in queste poche parole Dio, mediante il suo profeta, interpreta in verità la totalità di una storia, si potrà dire: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto» (Gv 4,39) e aderire alla parola, cioè credere e convertirsi. L’uditore è invitato a comprendere il problema della relazione tra delitto e sanzione, poiché il castigo annunciato sembra sproporzionato in rapporto al peccato denunciato. Insomma, sembra che la chiave interpretativa di questo oracolo sia la seguente: la gravità estrema del peccato di Israele consiste nel fatto che la sua ingiustizia rimane nascosta; peggio ancora, è perversa. generale, forniscano una ragionevole motivazione della giusta sanzione applicata da Dio ai colpevoli. 37 Il versetto 10 talvolta è considerato «secondario» e attribuito alla redazione deuteronomistica (cfr. W.H. SCHMIDT, «Die deuteronomistische Redaktion»; opinione criticata da T.R. HOBBS, «Amos 3,1b and 2,10»). Diversi autori pensano che i versetti 10-12 non siano autentici: Wolff, 169; J. VOLLMER, Geschichtliche Rückblicke, 24-25; L. MARKERT, Struktur und Bezeichnung des Scheltworts, 73-74; M. KÖCKERT, «Das Gesetz und die Propheten», 147-148. Come già detto a proposito della serie dei sei oracoli contro le nazioni, ben lungi dal dovere essere considerati negativamente, questi interventi redazionali devono essere ritenuti l’interpretazione «autentica» del profeta Amos. Senza dubbio bisogna arrivare ad affermare che senza questa «interpretazione» noi non abbiamo più il vero Amos, ma un’altra interpretazione, una ricostruzione singolarmente impoverita.
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4. L’oracolo contro Israele
IL DELITTO Tutti i commentatori concordano nel riconoscere che Amos denuncia degli atti contrari alla giustizia38, ma la natura esatta di questi delitti non è molto chiara e a prima vista essi non sono così gravi da meritare una condanna così severa. Bisogna osservare che in realtà qui si tratta di atti di valore simbolico, che hanno essenzialmente la funzione di svelare la radice del comportamento di Israele e la natura del male a cui esso aderisce. Atti legali... Molti tra gli atti denunciati appaiono legali, ossia conformi alla legge, o quanto meno a un’interpretazione di questa legge; in ogni modo a usanze non disapprovate da essa39. Secondo la legge l’istituzione del prestito comporta una sanzione, per cui il debitore insolvente può essere venduto (6c), o quanto gli appartiene, il suo vestito per esempio, può essere preso in pegno (8a). Anche se regolamentato e limitato dalla legge40, l’appropriarsi del pegno è del tutto legittimo, e si può pensare che il creditore abbia il diritto di ricorrervi come compenso parziale e temporaneo del danno subito. Anche il vino di quelli che sono stati multati (8c) fa riferimento a una procedura penale conforme al diritto41. È vero, Amos vuole mostrare che la legge non è veramente osservata: l’innocente è venduto per un debito minimo, i vestiti presi in pegno sui quali ci si sdraia dovrebbero essere restituiti prima del tramonto (Es 22,25-26), la multa dovrebbe essere l’indennizzo di un danno e non un’occasione per sbevazzare. 38 Il tema della giustizia (sociale) è così centrale nella predicazione profetica, in particolare in Amos, che ha dato occasione a innumerevoli studi; segnaliamo qui quelli più direttamente incentrati sui testi di Amos (si troveranno complementi bibliografici nei contributi più recenti): L. RANDELLINI, «Ricchi»; G.J. BOTTERWECK, «Die soziale Kritik»; «“Sie verkaufen”»; M. FENDLER, «Zur Sozialkritik»; J.L. VESCO, «Amos de Teqoa»; H.B. HUFFMON, «The Social Role»; J.L. SICRE, “Con los pobres”, specialmente 87-168; A. BONORA, «Amos difensore»; R. BOHLEN, «Zur Sozialkritik»; D. PLEINS, Biblical Ethics, specialmente 163-180; G. WITASZEK, I profeti Amos e Michea; J.A. DEARMAN, Property Rights; G. FLEISCHER, Von Menschenverkäufern; M.D. CARROLL, Context for Amos. 39 Sul rapporto tra la profezia di Amos (la sua critica sociale) e i testi legislativi (ossia il Codice dell’Alleanza: Es 20,22-23,19), cfr. in particolare E. WÜRTHWEIN, «Amos-Studien»; P.-E. DION, «Le message»; J.L. VESCO, «Amos de Teqoa», 503-504; Y. OSUMI, Die Kompositionsgeschichte, 168-177. 40 Il mantello preso in prestito deve essere restituito al cadere della notte, perché il povero possa proteggersi dal freddo per dormire (Es 22,25-26; Dt 24,10-13). L’importanza del vestito per la povera gente è attestata dalla lettera di Yabneh-yam, del VII secolo, in cui un lavoratore agricolo si lamenta presso l'autorità locale, perché gli sarebbe stato abusivamente sequestrato il mantello: cfr. J. NAVEH, «A Hebrew Letter»; R.W. SUDER, Hebrew Inscriptions, 62-63 (per maggiore informazione bibliografica). 41 La radice ‘nš (multare) indica un provvedimento punitivo di risarcimento (Pr 17,26; 19,19; 21,11; 22,23 = 27,12) conforme al diritto e regolata da giudici (Es 21,22; Dt 22,19); la pratica è attestata persino nei rapporti internazionali (2Re 23,33 = 2Cr 36,3). Naturalmente il procedimento legale può colpire ingiustamente un innocente (Pr 17,26).
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Nonostante ciò, Amos non parla dei crimini più palesemente contrari alla legge: né omicidio, né furto, né adulterio, né idolatria sono menzionati. Ma ciò che è gravissimo è che proprio all’interno di una certa legalità si celi l’ingiustizia. ... avallati dai giudici... La procedura giudiziaria, che ha la funzione di difendere il debole, è purtroppo subordinata all’interesse economico e all’abuso di potere. In modo più o meno diretto, infatti, Amos fa riferimento a decisioni giudiziarie prese pubblicamente dai tribunali. La vendita di un uomo soprattutto, ma anche il sequestro del vestito e il provvedimento dell’ammenda erano degli atti pubblici che dovevano essere compiuti con le garanzie del diritto, così che da una parte si potesse procedere rapidamente all’esecuzione e dall’altra venisse dichiarata conclusa l’azione penale rivendicativa. Inoltre l’espressione «il cammino dei poveri distorcono» (7b) deve essere probabilmente interpretata in un senso giuridico, come una manipolazione delle procedure giudiziarie intentate dagli indigenti contro i ricchi. L’ingiustizia commessa contro i poveri è di ordine economico, poiché fin dall’inizio si tratta di denaro. Essa è opera dei benestanti, dei potenti, ma deve basarsi sulla legalità per ricevere un’approvazione sociale: è dunque necessario che venga approvata dagli interpreti ufficiali della legge, i magistrati, che in Israele sono identificati con l’autorità, cioè i capi, gli anziani, il re42. ... sacralizzati dalla religione Alla legittimazione da parte dell’autorità giudiziaria, subentra l’elemento religioso che «consacra», cioè legittima definitivamente, l’agire degli Israeliti. Nel culto il nome di Dio conferisce una parvenza di santità, di perfezione, di garanzia ultima nella giustizia a quanti si recano al santuario. È vero, nella denuncia del peccato di Israele, ai versetti 6-8, una lunga serie di termini fa riferimento ai poveri e ai bisognosi, ma il segmento centrale (7cd) sposta l’attenzione da un aspetto puramente sociologico e giudiziario alla sfera cultuale e religiosa, quando è evocato il Santo Nome di Dio, subito seguito dalla menzione degli altari e del tempio (8b.d). A motivo della specificità del vocabolario utilizzato, sembra che l’insieme della denuncia del peccato si collochi nel contesto religioso del pellegrinaggio. L’itinerario parte dalla città o dal villaggio alle porte, dove si svolgono le transazioni commerciali, il pellegrino si è procurato il «denaro» della decima e «i sandali» per il viaggio; egli si muove «calpestando» ciò che potrebbe ostacolarlo, scartando ogni «cammino» che gli impedisca di «andare verso» il tempio; giunto al termine del suo percorso, dopo essersi tolto rispettosamente i 42 Nel racconto della vigna di Nabot (1Re 21) il re (o meglio la regina) si serve degli «anziani e notabili» della città per istruire un processo: la condanna giuridica di Nabot consente al re di entrare legalmente in possesso della vigna tanto bramata; cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 158ss.
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4. L’oracolo contro Israele
«sandali», potrà «sdraiarsi» a fianco della «ragazza» su «vestiti presi-in-pegno» e darsi alla festa «bevendo il vino»43 di coloro che aveva fatto «multare». Questa interpretazione si basa in particolare sui ripetuti verbi di movimento: «calpestare sulla polvere della terra», «distorcere il cammino», e soprattutto «andare verso»44 e «sdraiarsi». Bet-El, «la casa di Dio», è la sede tipica del pellegrinaggio, e molto probabilmente Amos, con un gioco di parole, allude a questo santuario, proprio alla fine della denuncia del peccato di Israele («nella casa dei loro dei»); ora, a Bet-El si porta la decima (in «denaro») e si fanno libazioni (di «vino»)45. Questa immagine del pellegrinaggio permette di discernere la perversione in atto. Invece di «andare verso» Dio nel suo tempio, si «va verso» «la ragazza». Sembra che Amos, giocando sistematicamente con le parole, faccia riferimento alle licenze sessuali che si praticavano in occasione delle feste ai santuari: ciò che attira verso il tempio non è il desiderio di «lodare» Dio (lehallel), ma «la ragazza», con la conseguenza di «profanare» (leḥallel) il santo Nome del Signore46. Invece di «prostrarsi» per adorare o di «inchinarsi» in atteggiamento umile, essi «si sdraiano». Anche se Amos non usa il verbo «accostarsi (con)», škb, l’accezione sessuale sembra chiara; se l’idea della prostituzione sacra non è la più probabile, il testo fa senz’altro riferimento a ciò che capitava nelle feste, anche religiose, nel corso delle quali l’allegria sfociava in manifestazioni di esuberanza vitale, fino agli eccessi licenziosi che in una simile atmosfera dovevano apparire legittimi47. Così, gli altari non sono luoghi per il sacrificio ma di piacere, e invece di spandere la libazione in onore del Signore48, il vino viene 43 Il collegamento tra il «denaro» della decima e il «vino», in un contesto di festa cultuale, è esplicitamente indicato in Dt 14,25-26 (cfr. anche 12,17-19; 14,22-23); la legge del Deuteronomio, analogamente a quella di Nm 18,21-32, richiede che in questa circostanza non si trascuri il levita (Dt 14,27), che, non avendo proprietà (Dt 18,1-2), viene associato alle categorie strutturalmente povere dell’orfano e della vedova (Dt 14,29; 16,11.14). Per celebrare lo svezzamento di suo figlio, Anna, madre di Samuele, porta con sé a Silo «un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino» (1Sam 1,24); se ne può dedurre che l’aspetto celebrativo della festa religiosa comporti il mangiare (carne) e il bere (vino) nel luogo sacro (1Sam 1,14-15) — «presso l’altare», direbbe Amos; nella medesima linea cfr. 1Sam 10,3 (pellegrinaggio a Betel). La festa — come ne parla Amos — non è l'occasione per condividere con il povero, ma per celebrare lo sfruttamento delle classi misere. 44 Cfr. p. 90. 45 Sul rapporto tra la vendemmia e la celebrazione (hillûlîm) — mangiare e bere — nel tempio (bêt ’ĕlōhêhem), cfr. Gdc 9,27. 46 La congiunzione lema‘an, tradotta con «al fine di», abitualmente indica la finalità di un’azione; tuttavia essa viene utilizzata anche con significato consecutivo (Joüon, 169g). Si avrebbe così lo stravolgimento della finalità della visita al tempio, con la conseguente profanazione del santo Nome di Dio. 47 Cfr. Pr 7,14-18; cfr. K. van der TOORN, «Female Prostitution», specialmente 202-205. Il rapporto tra «vino» e «amore», motivo ricorrente in molte letterature, è attestato anche nella Bibbia: cfr., per esempio, Gl 4,3; Pr 31,3-4; Ct 2,4; 5,1; 7,10; 8,2; Est 1,10-11; Gdt 12,12-13.20. 48 Non si conoscono con precisione i rituali seguiti nei santuari dell’VIII secolo; è verosimile però che la libazione di vino, atto religioso comune nell’antichità e documentato nei cerimoniali biblici (cfr. Es 29,40; Lv 23,13; Nm 28,14; 15,5.7.10; Dt 32,38; Os 9,4), fosse una pratica corrente anche al tempo di Amos.
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bevuto dagli stessi offerenti. Infine, il fatto che il rapporto con Dio sia sostituito dal rapporto con «la ragazza» appare più grave per il fatto che le prescrizioni cultuali prevedevano l’astinenza sessuale per chi era chiamato a entrare in contatto con la santità di Dio49. Questa usanza non è solo un tabù: essa significa che la vita non è prodotta dalla potenza e dal vigore dell’uomo, ma la si riceve solo da Dio50. Il fatto che «un uomo e suo padre» vadano insieme dalla ragazza sarebbe una circostanza aggravante: inteso come un caso di incesto, questo peccato appartiene alla categoria delle colpe «sessuali», con la specifica perversione del rapporto con l’origine, la confusione cioè che non riconosce più la differenza tra colui che dà la vita e colui che la riceve; se, al contrario, si intende la parola «padre» nel senso più ampio di «capo», il peccato consisterebbe nel fatto che i responsabili autorizzano, o quanto meno non proibiscono queste pratiche, favorendo così la perversione cultuale per il mantenimento dei propri interessi. La perversione della storia Nelle tradizioni legislative il pellegrinaggio è legato alle tre feste agricole, gli Azzimi, Pentecoste e le Tende51; lo scopo primo della celebrazione di questi pellegrinaggi era l’azione di grazie in occasione dei raccolti. La prima di queste tre feste, quella degli Azzimi, nella Legge è legata all’avvenimento dell’uscita dall’Egitto52; probabilmente l’epopea della vittoria sul nemico è lo sfondo di questi pellegrinaggi. E ciò spiegherebbe il passaggio dalla denuncia del peccato (6-8) al ricordo dei benefici di Dio (9-10). Il senso di questo richiamo non si limita a mettere in risalto l’ingratitudine di Israele; riducendo l’Esodo (l’uscita dall’Egitto, oggetto della fierezza di Israele in 3,1 e 9,7) alla storia della distruzione dell’Amorreo, Amos smaschererebbe la perversione degli Israeliti. Ricordare che Dio ha radicalmente distrutto ciò che era forte a favore del suo popolo allora debole, sarebbe un modo di denunciare il peccato di Israele che perverte il senso della sua storia: ora infatti sono i forti «Figli d’Israele» (11c) che schiacciano i piccoli. Di più, essi hanno distorto l’azione stessa di Dio, nella misura in cui l’evocazione del suo nome sembra dare ragione agli attuali prepotenti, mentre invece il nome di Dio è chiamato santo perché abbassa i potenti e innalza gli umili53. Questo richiamo alla distruzione totale dell’Amorreo implica anche una minaccia: se Israele si comporta come l’Amorreo, come le nazioni pagane,
49 Cfr., per esempio, Es 19,15; 1Sam 21,5. I rapporti sessuali determinano un’impurità (Lv 15,18) che costituisce un impedimento all’esercizio del culto (Lv 22,3). 50 Lo stesso vale, analogicamente, per il digiuno e per l’astinenza dal vino: fondamentalmente tali pratiche significano che solo Dio sazia e dà la gioia. 51 Cfr. Es 23,14-17; 34,18-23; Dt 16,1-17; Lv 23,4-8.16-21.34-36. 52 Cfr. R. de VAUX, Le Istituzioni dell’Antico Testamento, 473-482 (solo molto più tardi le altre due feste saranno collegate ad avvenimenti della storia di Israele, il dono della Legge del Sinai per la festa delle Settimane o Pentecoste, il soggiorno nel deserto per Sukkôt o festa delle Tende). 53 Cfr. il Magnificat (Lc 1,46-55); cfr. R. MEYNET, Il vangelo secondo Luca, 55-56.
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4. L’oracolo contro Israele
per le quali conta solo l’esercizio della forza, allora esso sarà schiacciato come loro. Tuttavia, la perversione denunciata dal profeta non è ancora completa. Amos menziona ancora un’altra azione di Dio dopo la storia dell’Esodo e della conquista, e un’altra azione di Israele che falsa l’agire di Dio. Mentre precedentemente le azioni di Israele (6-8) e quelle di Dio (9-10) potevano sembrare giustapposte, nel cuore della sequenza esse sono chiaramente correlate (11-12). Dio suscita profeti e nazirei: sono due realtà che in Israele conservano la memoria di un’autorità, di una forza, di un referente irriducibile alle interpretazioni umane e ai disegni personali. Il profeta porta la parola di Dio e ne interpreta la volontà; il nazireo testimonia che ci sono forza e coraggio veri solo nel Signore. La perversione degli Israeliti consiste nel corrompere i nazirei, facendoli entrare nella propria logica, ricollegandoli a una sorgente di forza e di coraggio conosciuta, quella procurata dal vino; ancor più grave, facendo tacere i profeti, le autorità si sostituiscono all’autorità suprema di Dio, che aveva ordinato ai profeti di parlare54. La perversione raggiunge così il suo culmine, poiché nessuno parla più, perché non c’è più posto per la critica e la contestazione55. Così viene descritta la società a cui si rivolge Amos, società in cui della triade «re – sacerdote – profeta» rimangono solo i primi due termini: l’autorità del re, dunque, non è più riferita a un’altra autorità che la sorpassa e la controlla, e la sacralità senza parola si riduce a un semplice commercio, quello degli scambi economici e del consumo (6.8), quello della prostituzione (7). GIUDIZIO E SALVEZZA All’inizio del versetto 13 l’espressione «Ecco io» introduce l’annuncio del castigo56. Quindi tutto il secondo versante della sequenza è consacrato alla punizione. Questo è nettamente più breve del primo versante. L’azione di Dio contro Israele è presentata come punizione mediante due immagini. Il carro L’immagine del carro (13) non è chiara. Che vi si veda un carro talmente carico di covoni da fendere il terreno sotto le ruote, come se ci fosse un terremoto, o si pensi a una slitta usata per trebbiare il grano57, queste interpretazioni hanno in comune un accentuato tono escatologico58: si annuncia la fine. D’altro canto, l’immagine del carro colmo evoca l’accumulo di ricchezze che sono occasione di morte; l’oppressione dei poveri, calpestati sulla polvere della 54
Il rifiuto del profeta è il rifiuto di tutta la storia di Israele quale atto divino; per questo provoca la fine: cfr. M. KÖCKERT, «Das Gesetz», 149. 55 Cfr. Am 5,13; la stessa cosa sarà espressa sotto forma di racconto in 7,10-17. Cfr. Th.W. OVERHOLT, «Commanding the Prophets». 56 Come in molti testi profetici; cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 73. 57 Cfr. supra, p. 96. 58 Si ritroverà questo in 7,7-9; 8,1-3.
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terra, trova qui forse la sua contropartita, o la sua punizione, tramite la pressione e lo schiacciamento sotto le ricchezze stesse. Nel contesto del pellegrinaggio al tempo del raccolto questa immagine potrebbe rappresentare una specie di rovesciamento ironico di quanto Amos vede con i propri occhi: la benedizione di raccolti abbondanti che dovrebbe essere promessa di vita si trasforma in maledizione e annuncio di morte. Se, come nel caso dell’oracolo di Damasco (1,3), si tratta dell’immagine della trebbiatura, essa implicherebbe una connotazione guerriera che preparerebbe bene il passo seguente. La fuga Nella guerra59, che Dio fa al suo popolo ribelle, si rivela la vanità della potenza militare (14-16)60: la forza non può salvare, le armi e l’agilità non servono a niente61. Solo il debole sembra potersi salvare, scapperà solo chi è nudo, colui che si è spogliato di ogni arma e di ogni protezione (16). Senza dubbio in contrapposizione con quelli che avevano accaparrato i vestiti che dovevano proteggere il corpo dei poveri. La sequenza termina così con questa immagine della nudità, che è come lo svelamento del peccato nascosto e perverso di Israele. Quasi che l’intervento di Dio avesse lo scopo di distruggere ciò che occulta il peccato, cioè le istituzioni stesse, tempio e regalità, divenute la minaccia fondamentale, nella misura in cui invece di essere strumenti di giustizia sono il luogo del suo pervertimento. Questa nudità significa la situazione di vergogna destinata, «in quel giorno», alla classe dirigente di Israele, una sconfitta umiliante che rivelerà l’ingiustizia verso i poveri e la strumentalizzazione della religione. Dio si rivelerà come giusto giudice nella misura in cui non risparmierà il suo proprio popolo.
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La guerra era già evocata dalla distruzione dell’Amorreo e dalla menzione dei nazirei. La fuga significa la sconfitta in battaglia; come tale, essa rivela dunque un giudizio divino (cfr. Lv 26,17.36-37; Dt 28,25). L’aspetto umiliante della fuga (2Sam 19,4) è ulteriormente sottolineato quando si è costretti ad abbandonare tutto, persino ciò che serve per combattere (Gdc 4,15-17). Fuggendo, si spera di avere salva la vita, ma talvolta la fuga — come dice Amos (2,1416; 9,1-4) — è senza scappatoia (Ger 25,35; 46,5). 61 Cfr. Is 30,16-17. 60
5 Israele e le nazioni sotto il giudizio di Dio L’insieme della sezione A: 1,3–2,16
COMPOSIZIONE I primi due capitoli formano una sezione strutturata concentricamente: agli oracoli contro le sei nazioni della prima sequenza corrisponde il grande oracolo contro Israele che costituisce l’ultima sequenza. Al centro l’oracolo contro Giuda, la cui funzione è quella di collegare le altre due sequenze: Oracoli contro sei nazioni
Oracolo contro Giuda
Oracolo contro Israele
I LEGAMI TRA LE TRE SEQUENZE Tutti questi oracoli iniziano esattamente allo stesso modo: «Così dice il Signore: Per tre delitti di X e per quattro non ammetto-revoca». Ogni oracolo sviluppa poi i due elementi di questa formula introduttiva: la denuncia di una ingiustizia e l’annuncio di una sanzione. Queste somiglianze evidentemente sortiscono l’effetto di stabilire una relazione tra tutte le nazioni. Certo, i crimini sono differenti, ma tutti sono chiamati «delitti». Le sanzioni non sono esattamente le stesse per tutti, ma tutti saranno ugualmente puniti con la guerra. I LEGAMI TRA LE SEQUENZE ESTREME La somiglianza è più grande tra gli oracoli contro le sei nazioni che confinano con Israele: questi formano un blocco dotato di consistenza propria, che deve dunque essere distinto dal resto della sezione. Questa prima sequenza è però da considerare nella sua relazione con l’altro grande blocco che gli fa da pendant in fine di sezione, l’oracolo contro Israele. Il titolo del libro (1,1-2) annunciava chiaramente che le parole di Amos sono rivolte a Israele; la prima sezione non punta solamente a proporre un confronto tra ognuna delle otto nazioni coinvolte, ma tra l’insieme delle nazioni straniere da una parte e Israele dall’altra. La funzione di questa correlazione è proprio quella di dire qualcosa di specifico su Israele e di mettere ancor più in rilievo il suo peccato.
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5. Israele e le nazioni sotto il giudizio di Dio
Le due sequenze estreme sono nettamente più lunghe del passo centrale1. L’oracolo contro Israele inizia con la stessa formula di ognuno dei sei oracoli della prima sequenza. Questa formula iniziale mette dunque Israele sullo stesso piano delle sei nazioni della prima sequenza. Le somiglianze tra le nazioni e Israele Si devono dunque poter rilevare gli elementi di somiglianza tra il delitto di Israele e quello rimproverato alle nazioni («per tre delitti... e per quattro...»); lo stesso deve avvenire per la sanzione comune a tutti («non ammetto revoca»). a) Somiglianza nel delitto Sia in Israele che nelle nazioni straniere, si tratta sempre della violenza esercitata contro uomini, vittime innocenti del sopruso2. Mentre però presso le genti l’azione violenta è perpetrata contro degli stranieri3, per quanto riguarda Israele il delitto è commesso all’interno del paese, contro membri dello stesso popolo, da un gruppo contro un altro gruppo di cittadini4. L’interesse di natura economica che spinge le nazioni a occupare territori altrui, a deportare e a «consegnare» degli esseri umani, induce certe persone in Israele a «vendere» il povero innocente, a spogliarlo, a portargli via il frutto del suo lavoro (vino). Certo, il lettore non riconosce in questi delitti la vistosa crudeltà dei massacri conseguenti alle spedizioni militari; il profeta tuttavia vi vede una crudeltà ancor più indegna, poiché la mancanza di pietà verso i poveri è camuffata dall’apparato giudiziario e dalle festive celebrazioni religiose. Il rapporto conflittuale tra Israele e un altro popolo (l’Egitto e soprattutto l’Amorreo) è presentato nell’ultima sequenza come l’evento costitutivo, fondatore di Israele stesso (2,9-10). Ma non si tratta certo di una giustificazione della violenza: nell’uscita dal paese d’Egitto e nella distruzione dell’Amorreo non si rivela il trionfo del forte sul debole, ma al contrario, il prodigio — compiuto da Dio — della vittoria dell’inerme contro colui «la cui statura uguagliava quella dei cedri» e «che era imponente come le querce». Questo fu il «giudizio» di Dio nel passato; e questa sarà anche nel futuro la sanzione divina contro ogni forma di violenza. 1
Le sequenze estreme contano ciascuna 16 versetti, contro i due versetti dell’oracolo contro Giuda; ma questa uguaglianza del numero dei versetti è ingannevole: infatti l’oracolo contro Israele conta 39 membri, mentre la prima sequenza ne conta 65 (bisogna tuttavia notare che dei 65 membri della prima sequenza molti sono pure ripetizioni, fenomeno che non si verifica nella terza sequenza). 2 Cfr. S. AMSLER, «Amos et les droits de l’homme». 3 Questi stranieri sono dei vicini, più o meno imparentati o legati da vincoli di alleanza; ma sono sempre definiti da un nome proprio, che significa la loro differenza rispetto agli altri. 4 Si può dedurre dal testo che gli oppressori appartengono alla classe ricca, amministratori della giustizia e gestori della vita politica del paese; è tuttavia interessante notare che, stando al puro tenore verbale, i responsabili dell’ingiustizia non sono qualificati in modo preciso: è questo un modo per dire che Israele è vittima di se stesso.
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Nel corso della prima sequenza Israele viene anche presentato nei suoi rapporti con le nazioni, quale vittima della violenza dei suoi vicini: è il «debole» oppresso da un popolo «più forte»5. Ma, visto alla luce della storia passata di Israele (la vittoria sull’Amorreo) e della sua storia presente (l’oppressione dei poveri), tutta la prima sequenza assume un altro significato: Dio interveniva per punire, per mezzo di nazioni criminali, il reato di Israele. Tutto questo — come dirà Amos esplicitamente in 4,10 — avrebbe dovuto indurre Israele alla conversione; ma, non avendo ottenuto il suo effetto, ecco che il verdetto irrevocabile del Signore colpirà Israele allo stesso modo in cui raggiungerà le nazioni limitrofe. b) Somiglianza della punizione. Nell’ultima unità letteraria Amos non ripete la formula di condanna mediante il fuoco che scandiva tutta la prima sequenza (1.4.7.10.12.14; 2,2). Se — come si è già visto — il fuoco significa una guerra totale che sfocia in una disfatta irrimediabile, perché né le mura, né i palazzi, né le sbarre delle porte potranno servire a qualcosa contro il fuoco, bisogna osservare che la stessa punizione è predetta anche per Israele (2,14-16): ci sarà la guerra, e nessuna difesa, nessun armamento potrà impedire che Israele venga vinto e costretto a una fuga vergognosa. Per tutti arriva la fine6, per Israele come per le nazioni7. La specificità di Israele a) Specificità nel delitto Nella lunga descrizione del delitto di Israele alcuni esegeti hanno pensato di vedere le tre, le quattro — o perfino le sette — violazioni che non erano state 5
Infatti, Galaad viene nominato due volte (1,3.13), ma Israele probabilmente è vittima anche negli altri oracoli, eccettuato l’ultimo. 6 Il concetto di fine è espresso dal verbo ’bd («venir meno», «perire»), che significa anche «morire» (Dt 7,20; 2Sam 1,27; Is 41,11; ecc.); tale verbo appare nella prima sequenza per esprimere la scomparsa del «resto dei Filistei» (alla fine della prima sottosequenza: 1,8); e ritorna nella terza sequenza per indicare che ogni possibilità di fuga verrà meno a Israele (2,14). Dal punto di vista della composizione retorica la prima sottosequenza della prima sequenza (1,3-8) ha un rapporto privilegiato con le ultime due parti della terza sequenza (2,13-16). Oltre alla ripetizione del verbo ’bd, c’è la ripresa di una metafora agricola: alla «trebbiatura con erpici di ferro» (1,3) corrisponde il carro carico di covoni — o, secondo un’altra interpretazione, la slitta che funge da trebbia per schiacciare i covoni — (2,13). La menzione del ferro (1,3) allude sicuramente all’armamento militare descritto in 2,15; è un segno di forza, di cui parla ripetutamente 2,14-16. Volendo essere esaustivi, si potrebbe sottolineare anche il rapporto di paronomasia tra il primo popolo nominato, ’ărām (1,5d) e l’ultimo, ’ĕmōrî (2,9a e 10c), come pure la somiglianza dei sintagmi «Bet-Eden» (= «casa del piacere») all’inizio del primo passo (1,5c) e bêt ’ĕlōhêhem («casa del loro dio») all’inizio dell’ultimo (2,8d). 7 W. DIETRICH, «JHWH, Israel und die Völker», sostiene che nei primi due capitoli Amos non annunci la fine dell’esistenza di Israele. Certo, il profeta non parla di genocidio; egli però profetizza una disfatta militare che, letta alla luce degli oracoli contro le nazioni, significa la distruzione di quel sistema politico, che definiva Israele come un regno determinato.
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5. Israele e le nazioni sotto il giudizio di Dio
esplicitate nella denuncia dei delitti commessi dalle nazioni. In realtà non si tratta tanto di una serie di atti differenti gli uni dagli altri, quanto di un’unica azione di ingiustizia nascosta sotto il velo della procedura giudiziaria e della celebrazione rituale (2,6-8). Questa è la caratteristica della condotta di Israele, che rende il suo delitto più grave e più insopportabile. Un’ulteriore aggravante è il fatto che con il suo crimine il popolo di Dio contraddice il senso delle proprie origini (2,9-10). Inoltre, non solo Israele rifiuta di convertirsi, ma al contrario arriva a imporre ai nazirei e ai profeti di cambiare vita (2,11-12). Il dono di Dio che dà a Israele la sua fisionomia è così sottomesso, asservito ad una perdurante e ripetuta logica di ingiustizia. b) Specificità nella punizione Sarebbe strano — e ingiusto — un trattamento più favorevole da parte di Dio nei confronti di un popolo, peccatore come gli altri, anzi più responsabile di loro. Il destinatario delle parole di Amos, che aveva ascoltato con soddisfazione gli oracoli della prima sequenza, deve udire con vergogna la propria denuncia8. Alla domanda: «Non è così, Figli d’Israele?» (2,11), è costretto a rispondere di sì. La punizione sarà sostanzialmente identica, ma, se Israele confessa il suo peccato, il castigo che subirà avrà un significato diverso. Nella vergogna della fuga (2,16) una qualche salvezza si rivelerà possibile. LA FUNZIONE DELL’ORACOLO CONTRO GIUDA L’oracolo contro Giuda assicura il legame tra le altre due sequenze. Oltre alla somiglianza nella forma, che lo avvicina agli oracoli della prima sequenza, e al legame specifico di parentela, che lo collega a Israele, bisogna sottolineare i rapporti che questo breve passo centrale ha con i nuclei centrali delle sequenze che lo racchiudono. La sua forma è simile a quella dei due oracoli centrali della prima sequenza, poiché questi tre oracoli terminano con i segmenti che annunciano il castigo con il «fuoco» (2,5 come 1,10 e 12); lo stesso verbo «mantenere» è ripreso in 1,11g e in 2,4e. L’oracolo contro Giuda non ha la stessa forma del centro dell’ultima sequenza (2,11-12); nonostante ciò, bisogna notare il rapporto tra «la Legge del Signore» (4d), rigettata da Giuda, e i «profeti» (11a.12b), mandati dallo stesso Signore, ugualmente rigettati da Israele. I tre centri, quelli della prima e della terza sequenza così come il centro di tutta la sezione (l’oracolo contro Giuda) si corrispondono: essi mettono in serie: – da una parte «fratello» (1,9.11), «padri» (2,4) e «figli» (2,11), – dall’altra «l’alleanza» (1,9), «la legge» (2,4) e «i profeti» (2,11-12).
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Rudolph, 136; Sh.M. PAUL, «A Literary Reinvestigation», 197; R.B. CHISHOLM, Jr, «“For Three Sins”».
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CONTESTO Il libro di Amos fornisce la prima attestazione di una raccolta di oracoli contro le nazioni; questo insieme è sufficientemente esteso e organizzato da avere ispirato la redazione di collezioni simili negli altri libri profetici. Amos, però, è il solo a presentare gli oracoli contro le nazioni all’inizio del libro; Isaia, Ezechiele e Sofonia li collocano in una posizione più o meno centrale (Is 13–23; Ez 25–32; Sof 2,4-15), mentre Geremia9 e Gioele li situano alla fine della loro opera (Ger 46–51; Gl 4,1-14). La particolarità contenutistica di tali raccolte, il fatto cioè che le profezie di condanna siano rivolte a popoli diversi da quello di Israele, induce spesso gli interpreti a considerarle un settore a parte, senza precisi rapporti con il resto del libro, indirizzato invece al destinatario principe della parola profetica, il popolo di YHWH10. È comunque universalmente ammesso che l’oracolo contro una nazione nemica prepara l’annuncio di salvezza per Israele11, così come la parola di consolazione per Israele prevede la punizione dei suoi nemici12. Una correlazione simile si trova effettivamente in Am 9,11-12; ma, per quanto riguarda i capitoli 1–2, la prospettiva è totalmente rovesciata: la punizione delle genti non prepara la salvezza di Israele, è invece il segno premonitore del suo proprio castigo13. Solo Am 1–2 segue un rigido schema letterario, lo stesso per tutti i popoli14. Inoltre, solo in Amos la colpa attribuita alle nazioni riguarda esclusivamente la violenza nei rapporti internazionali. Infine, solo in Amos il rapporto tra Israele e le genti, rigorosamente richiesto dalla struttura retorica del testo, è posto come l’obiettivo essenziale dell’atto interpretativo.
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Ci si riferisce evidentemente alla disposizione del TM; è risaputo che il testo greco della LXX ha collocato la serie degli oracoli contro le nazioni (a cui d’altronde questa versione ha dato un ordine particolare) dopo il capitolo 25, cioè al centro del libro, conformandosi così all’ordine dei due altri grandi profeti, Isaia ed Ezechiele. 10 La scarsa attenzione accordata al rapporto tra gli oracoli contro le nazioni e gli altri insiemi letterari dei rispettivi libri è causata o almeno favorita da considerazioni di critica letteraria: gli esegeti ritengono generalmente che non solo ci furono aggiunte e rimaneggiamenti vari in epoche successive, ma che l’idea stessa della raccolta sia il frutto di una redazione posteriore, e quindi senza interesse per chi si occupa del testo «originario». 11 Cfr., per esempio, Is 14,1-2; Ger 46,27-28; 50,4-7.16-20.33-34; 51,34-36; Ez 28,24-26. 12 Cfr. Is 40,15-26; 43,14; 45,14-17; 47,1-15; Ger 30,8.16; Ez 36,2-7; ecc. 13 Questo è pure la prospettiva di Sofonia, che prosegue gli oracoli contro le nazioni (2,4-15) immediatamente con una profezia di condanna nei confronti di Gerusalemme (cfr. A. SPREAFICO, Sofonia, 137). Anche Geremia annuncia una medesima condanna per tutti, ma in ordine inverso: Gerusalemme, prima, e poi tutte le nazioni (Ger 25,8-13.18-26) dovranno bere il calice della collera di Dio. 14 La struttura dell’oracolo contro le nazioni rimane sostanzialmente la stessa; ma lungo i secoli viene modificata, con l’inversione, la sostituzione o l’eliminazione di alcuni dei suoi elementi; cfr. Y. HOFFMANN, «From Oracle to Prophecy».
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5. Israele e le nazioni sotto il giudizio di Dio
INTERPRETAZIONE IL PECCATO DI TUTTI I POPOLI: IL CULMINE DELLA COLPA Tutte le nazioni senza eccezione sono colpevoli. Tutte sono accusate non solo di avere commesso diversi crimini, ma anche e soprattutto di avere raggiunto il colmo del peccato. Gaza (1,6) e Tiro (1,9) sono entrambi accusati di avere «deportato in massa»: il loro delitto non si è dunque limitato a qualche razzia; essi si sono proposti di fare sparire popolazioni intere. Quando si rimprovera agli Ammoniti di avere «sventrato le (donne) incinte di Galaad» (1,13), non viene loro imputata tanto la crudeltà di questo delitto quanto la volontà di portare all’estremo limite la distruzione di una popolazione: massacrando sia le donne che i figli che esse portano in grembo, viene radicalmente soppressa la possibilità di un avvenire per tutto un popolo. Tramite una nuova specie di merismo che unisce i Moabiti ai loro fratelli Ammoniti, la medesima volontà di annientamento totale spinge Moab a bruciare persino le ossa del re di Edom (2,1): infatti, essi non si accontentano di farlo morire, ma il loro desiderio malvagio li spinge a oltrepassare i limiti stessi della vita, allo scopo di sopprimere radicalmente ogni possibilità futura per il popolo di Edom. Questa volontà di compiere il delitto fino in fondo è presente anche al centro della prima sequenza: qui infatti si sottolinea che la collera e l’accanimento di Edom sono senza fine e durano per sempre (1,11). Per quanto riguarda Israele, viene fortemente sottolineata la medesima idea di compiutezza del peccato, sebbene in modo diverso. Anche Israele è colpevole di un delitto, per così dire, perfetto, che parte dalla città e giunge fino al tempio, coinvolgendo i diversi livelli della vita sociale, politica, giurisdizionale e anche cultuale (2,6-8). Lo stesso vale per Giuda (2,4), nella misura in cui la sua disobbedienza alla legge del Signore non è puntuale ma dura da sempre: i figli infatti continuano a comportarsi come i loro padri. IL PECCATO DELLE NAZIONI: «DIMENTICARE L’ALLEANZA» I diversi delitti delle nazioni che confinano con Israele e Giuda sono tutti presentati in un contesto di guerra. In campo internazionale ogni nazione è definita dal fatto di occupare un determinato territorio, di possedere delle particolarità culturali, regolate da leggi specifiche, e di avere una sovranità propria. Ora, nei primi sei oracoli si afferma che tutto ciò viene trasgredito: ogni nazione è accusata di avere commesso un crimine contro un’altra nazione, di avere attentato all’identità dell’altra. Le relazioni internazionali sono regolate da trattati di alleanza, o sono basate su costumi ancestrali. La legge fondamentale di queste relazioni è che ogni popolo deve essere rispettato nelle proprie frontiere. La frontiera funge da linea legale, che definisce una nazione rispetto a un’altra: all’interno delle frontiere di una nazione esiste un popolo, diverso dai popoli
La sezione A: 1,3–2,16
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limitrofi, con la propria autonomia economica, amministrativa e politica15. La «trasgressione» del limite indicato dalle frontiere attenta alla vita delle persone e dei popoli, non solo alla loro vita fisica, ma altresì alla loro esistenza politica. Il delitto delle nazioni può essere letto su due livelli. Il primo livello di lettura è quello della violenza: l’aggressione, l’uso della forza, del ferro e della spada sono il segno della volontà di dominare ingiustamente un altro e di sopprimerlo. Il secondo livello di lettura è quello dell’infedeltà a un accordo. La parola stessa «alleanza» è usata esplicitamente al centro della sequenza (1,9) e, negli oracoli contro Tiro ed Edom, la menzione del tradimento dell’alleanza è segnalata dalla parola «fratello» (1,9.11). Il concetto di fraternità si rapporta strettamente con i trattati di alleanza, trattati che legano due persone o due popoli in relazione paritetica. Non si tratta dunque solo di una violenza, di una semplice oppressione del vicino; è la fiducia su cui si fonda un patto a essere tradita. Certo, esistono rapporti etnici più o meno stretti tra determinate nazioni, ma qui non è tanto la relazione fondata sui legami di sangue a essere in questione. Il profeta intende mostrare piuttosto che ogni popolo ha tradito la propria parola, non riconoscendo più l’altro come il proprio simile ed esercitando contro di lui una violenza arbitraria. Questo è nettamente espresso dalla formula: «non ricordarono l’alleanza». Non sono i patti a durare, ma «la collera». IL PECCATO DI ISRAELE: «AI PROFETI AVETE ORDINATO: “NON PROFETIZZATE!”» In Israele, come presso le nazioni, l’ingiustizia si manifesta su due livelli. Il primo è quello del dominio del forte sul più debole: le vittime sono poveri o innocenti che non possono difendersi. Il centro dell’oracolo contro Israele, però, esprime ciò che veramente costituisce il suo peccato: la radice di tutte le sue colpe è l’infedeltà alla parola e il fatto che non ha voluto ascoltare i profeti. Questi ultimi rivelano un’autorità superiore, quella di Dio, che richiede l’obbedienza alla sua parola. Il delitto degli Israeliti consiste nell’avere voluto darsi un’altra legge e nell’imporre ai profeti la propria volontà. Al centro della sequenza contro le sei nazioni straniere, la parola «fratelli» appare due volte (1,9.11); al centro della sequenza contro Israele, la parola «figli», ripreso dal sinonimo «giovani», è in seguito ripetuta nella domanda centrale: «Non è così, Figli d’Israele?» (2,11). «Ho suscitato tra i vostri figli dei profeti»: questa espressione può essere riferita a Dt 18,18, dove Dio promette di suscitare tra i Figli d’Israele un profeta come Mosè. Così, dunque, se i rapporti tra le nazioni devono essere retti dalla fedeltà a una parola mutuamente scambiata tra fratelli, in Israele le relazioni tra padri e figli sono sottomesse a una parola superiore, quella che esce dalla bocca di Dio. La legge, trasmessa dal 15
C. GIRAUDO, La struttura letteraria della preghiera eucaristica, 26ss, mostra come nei trattati di alleanza la determinazione delle frontiere sia uno degli elementi decisivi per la stipulazione di un accordo tra due stati. Sul concetto di delimitazione e di sovranità territoriale nell’ambito del diritto internazionale, cfr. B. CONFORTI, Diritto internazionale, 193-199; J. TOUSCOZ, Droit international, 104-114.
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5. Israele e le nazioni sotto il giudizio di Dio
padre, consente al figlio di entrare nella vita, mediante l’obbedienza, avendo un riferimento fondante a un dono che «discende dall’alto». A causa del peccato, però, ai figli non si trasmette la legge di Dio, legge che rivela la paternità del Signore, il quale ha donato la libertà dalla schiavitù dell’Egitto e il possesso ereditario del paese dell’Amorreo. Ciò che la parola di Amos denuncia e smaschera è la pretesa delle «autorità» di imporre il proprio volere, annullando così l’autorità di Dio: e invece di donare, i capi rendono schiavi e derubano. IL PECCATO DI GIUDA: «HANNO RIGETTATO LA LEGGE DEL SIGNORE» L’oracolo contro Giuda è peculiare per quanto concerne il crimine denunciato. Non si tratta di ingiustizia nei rapporti tra gli uomini o tra i popoli. Si menziona invece il fatto che essi hanno tradito la Legge di Dio, aggiungendovi un’allusione all’idolatria, «le Menzogne che avevano seguito i loro padri». Si deve notare che gli idoli non vengono presentati mediante il concetto tradizionale di «vanità»16, o abominio, o simili; Amos sceglie un termine appartenente al campo della parola: la Menzogna si sostituisce alla Legge di Dio. La parola «Legge» richiama «alleanza» di 1,9; non c’è infatti nessun patto che non sia regolato da una serie di norme che lo definiscono e gli danno statuto normativo. Ciò significa che Giuda «non osservando» la legge, «non ha conservato» l’alleanza con il suo Dio, ha tradito un impegno, ha seguito la menzogna. Con le loro ribellioni le nazioni pagane esprimono il dilagare della violenza, frutto di avidità e d’orgoglio invidioso; per il fatto di «mantenere» una collera senza fine (1,11), esse rivelano il rifiuto della riconciliazione che conduce a rinnovare il rapporto di alleanza. Esse seguono senz’altro (e Amos lo suggerisce indirettamente) degli ideali menzogneri, gli stessi d’altronde che segue Giuda (come sottolinea esplicitamente Amos), quegli «dèi dimenticati» che sono il potere e la ricchezza17. Il profeta parla delle «menzogne» seguite dai «padri» (2,4): ancora una volta dunque appare una figura di autorità, il padre, che, invece di essere strumento dell’obbedienza alla verità di Dio, è tramite di una storia di ribellione (cfr. 2,7 e 2,11-12). Amos però non accusa i padri, ma i figli, ai quali rimprovera di avere seguito la via tracciata dai padri, piuttosto che obbedire alla Legge emanata dal Signore. Giuda, così, rivela di fronte a tutti i popoli, che il cuore della ribellione consiste nel rifiuto di obbedire a Dio, nel rifiuto della sua paternità, della sua sovranità. Questo oracolo svela la vera radice del peccato, di questo peccato che produce l’ingiustizia nel mondo, tanto sociale che internazionale18. Giuda è in grado di riconoscere che il rifiuto della Legge del Signore è il principio dell’ingiustizia. Secondo la critica letteraria l’oracolo contro Giuda, cioè il centro di tutta la sezione, è secondario, come pure il centro della prima sequenza (gli oracoli contro Tiro ed Edom) e il centro dell’ultima sequenza contro Israele (concer16
Wolff, 164. Cfr. J.L. SICRE, Los dioses olvidados. 18 Rudolph, 121. 17
La sezione A: 1,3–2,16
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nente i profeti e i nazirei). Ora, risulta che proprio questi tre centri costituiscono l’interpretazione fondamentale del quadro presentato dal profeta. Con l’oracolo su Giuda si fa redazionalmente presente la lettura fatta a Sion e a Gerusalemme: la rivelazione del senso di tutta l’ingiustizia che si dispiega nel mondo. Certo, pure in Israele il peccato non consiste solo nel fare del male al prossimo, ma anche nell’opporsi a Dio e alla sua parola. Tuttavia, questo viene detto esplicitamente e sinteticamente in Giuda: il principio di ogni male è la disobbedienza alla Legge di Dio19. I primi due capitoli di Amos potrebbero essere accostati ai primi tre capitoli della lettera di Paolo ai Romani. La prima sezione del libro di Amos, infatti, delinea un quadro della storia, secondo cui tutti i popolo sono peccatori. La radice di questo peccato comune è l’idolatria, il fatto di non riconoscere Dio come Dio; questo è la fonte di ogni ingiustizia. La conseguenza sarà una distruzione totale e tutti saranno ugualmente sottomessi a una sanzione irrevocabile. Il fuoco che divora è l’immagine che meglio esprime l’annientamento. La deportazione, messa in parallelo con la morte, non è una punizione puntuale; essa rappresenta la morte di un popolo poiché, fuori dalle sue frontiere, esso non viene più riconosciuto come popolo. Con l’eliminazione dei governanti sparisce il segno dell’autonomia politica della nazione. Si annuncia dunque la fine delle nazioni. Nel caso di Israele la sanzione è presentata in modo differente; anch’esso dovrà però affrontare la guerra, nella quale persino il forte tra i prodi non potrà scampare. Un piccolo segno di speranza, tuttavia traspare nel personaggio finale che scappa nudo. La tonalità generale rimane pur sempre molto pessimista. La guerra è segno di ingiustizia, ma al tempo stesso è segno del giudizio di Dio contro l’ingiustizia. Questo testo, una delle prime pagine scritte della tradizione di Israele, parla (già) della fine. Il lettore non vede per ora su cosa apre il giudizio di Dio. La visione di Amos (1,1) evoca il terremoto. Solo nella pagina finale (9,11-15) trasparirà il futuro della ricostruzione e della vita. Ma prima sarà necessario passare attraverso il fuoco.
19 Per M. KÖCKERT, «Das Gesetz und die Propheten», 153-154, l’oracolo contro Giuda (trasgressione contro la Legge) e, nell’oracolo contro Israele, la denuncia dell’opposizione ai profeti suscitati da Dio (2,12), sono opera del redattore deuteronomista che ha voluto in questo modo illustrare la «totalità» della trasgressione del popolo di Dio.
ISRAELE DOVRÀ ATTRAVERSARE LA MORTE Sezione B 3,1–6,14
120
Le livre du prophète Amos
La seconda sezione del libro di Amos comprende sette sequenze, organizzate in modo concentrico: B1: Una trappola per
B2: Moltiplicare le ricchezze
B3: Moltiplicare i sacrifici
i figli d’Israele
3,1-8
non salverà
i figli d’Israele
3,9–4,3
non salverà
i figli d’Israele
4,4-13
VERGINE D’ISRAELE
5,1-17
B4: LAMENTO FUNEBRE SULLA
B5: Un culto pervertito
B6: Una ricchezza pervertita
non salverà
la Casa d’Israele
5,18-27
non salverà
la Casa d’Israele
6,1-7
la Casa d’Israele
6,8-14
B7: Il veleno per
Le sequenze estreme sono brevi e in un certo qual modo fungono da introduzione e conclusione; i titoli a loro dati intendono sottolineare i rapporti che intercorrono tra loro. Mentre le sequenze B2 e B6 denunciano la perversione della ricchezza, le sequenze B3 e B5 denunciano la perversione del culto. Infine, la sequenza centrale, B4, che articola la denuncia della perversione della giustizia e quella del culto, annuncia la fine per Israele.
6 Una trappola per i Figli d’Israele Sequenza B1: 3,1-8
La prima sequenza della seconda sezione è composta da un solo passo, organizzato in cinque parti. TESTO 1
Udite questa parola che dice il Signore contro di voi, Figli d’Israele, contro tutta la famiglia che ho fatto salire dalla terra d’Egitto dicendo: 2 «Solo voi ho conosciuto fra tutte le famiglie del suolo. Perciò punirò contro di voi tutte le vostre colpe». 3 Vanno due insieme se non si sono accordati? 4 Ruggisce il leone nella foresta e preda non c’è per lui? Emette il leoncello la sua voce dalla sua tana se non ha preso? 5 Cade l’uccello nella trappola a terra ed esca non c’è per lui? La trappola sale dal suolo e non ha preso proprio nulla? 6 Se suona il corno nella città, il popolo non tremerà? Se c’è male nella città, il Signore non (lo) ha-fatto? 7 Poiché il Signore Dio non fa cosa (alcuna) se non rivela il suo disegno ai suoi servi i profeti. 8 Il leone ha ruggito. Chi non temerà? Il Signore Dio ha parlato. Chi non profetizzerà? VERSETTO 2
solo voi L’interpretazione tradizionale accorda all’avverbio raq (= «solamente») il valore di una scelta esclusiva. Tuttavia, il fatto che in 9,7 Israele stia in un elenco con altri popoli — i Filistei che Dio ha fatto uscire da Kaftor, gli Aramei da Qir, come gli Israeliti dal paese d’Egitto — potrebbe indurre a vedere nell’avverbio raq un senso di scelta non esclusiva, un semplice valore enfatico (cfr. Dt 4,6; 1Re 21,25)1; si potrebbe anche tradurre con «proprio voi ho conosciuto»2.
1
H.J. van der MERWE, «The Old Hebrew “Particles” ’ak and raq», pensa che, anche dove va tradotta con «certamente», «senza dubbio», la particella raq mantiene la sua funzione restrittiva. 2 Soggin, 82s, critica la traduzione «vi ho conosciuto» e preferisce: «ho avuto con voi un rapporto speciale», intendendo con ciò un rapporto di elezione (cfr. Gen 18,19 e Ger 1,5). Qui si preferisce la traduzione «conoscere» per mantenere anche il senso «ispettivo» del verbo yd‘ (P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 222-226) che ben s’accorda con il verbo pqd, inteso come un visitare punitivo (ibid., 345-347).
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6. Una trappola per il Figli d’Israele
punirò Di solito la frase è tradotta: «vi punirò per tutte le vostre colpe»; la traduzione qui adottata, in un certo senso più letterale, sottolinea l’azione di Dio contro il colpevole (ripresa della preposizione ’al, presente già due volte al versetto 1). VERSETTO 3
si sono accordati Nel testo masoretico questo verbo deriva dalla radice y‘d («mettersi d’accordo», «convenire», o «essere d’accordo»); la LXX invece ha tradotto come se il verbo derivasse dalla radice yd‘ («conoscere»). Qualunque siano i motivi che hanno indotto la LXX a questa lettura (probabilmente una metatesi)3 e se è senza dubbio preferibile attenersi al testo ebraico, bisogna sottolineare il rapporto di paronomasia tra il verbo di 3b (nô‘ādû = «si sono accordati») e quello di 2a (yāda‘tî = «ho conosciuto»), rapporto non indifferente per l’interpretazione del testo. VERSETTO 5
trappola ed esca La parola paḥ designa ogni specie di trappola. Per quanto riguarda môqēš, spesso utilizzato in coppia con paḥ (Gs 23,13; Is 8,14; Os 9,8; Sal 69,23)4, bisogna osservare che esso designa sia la trappola, sia una delle sue parti (il pezzo di legno che tiene aperta la trappola), sia per metonimia tutto ciò che serve come trabocchetto5. COMPOSIZIONE La prima sequenza della sezione è composta da un passo, suddiviso in cinque parti: tre parti relativamente lunghe (1-2; 4-6; 8) sono collegate tra loro da due brevi parti formate ciascuna da un solo segmento bimembro (3 e 7). LA PRIMA PARTE (1-2) Questa parte è costituita da due brani (1 e 2). Il primo brano comprende due segmenti trimembri (1abc e 1def), i cui membri si corrispondono specularmente: alle estremità «dicendo» corrisponde a «parola», seguono le due proposizioni relative e, infine, due sintagmi che iniziano con lo stesso «contro»; il secondo 3 J. de WAARD, «Translation Techniques», sostiene che con gnōrizein la LXX ha tradotto proprio il verbo y‘d. 4 Cfr. E.Z. MELAMED, «Break-up», 126. 5 Così D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 646-647.
Sequenza B1: 3,1-8
123
segmento (1def) qualifica il destinatario, i «Figli d’Israele», con cui termina il primo segmento (1d). Il secondo brano (2) comprende due segmenti bimembri: il primo (2ab) dà ragione del secondo (2cd); da notare la ripresa di «tutte» in posizione identica nei secondi membri. Il secondo brano corrisponde al primo in modo chiastico: infatti 2ab ricorda il passato come 1def («tutte le famiglie» rimanda a «tutta la famiglia», e «suolo» corrisponde a «terra»); i segmenti estremi annunciano la minaccia («contro di voi» in 2c come in 1c). «Tutta» di 1d sarà ripreso due volte, ma al plurale, in 2b e 2d. + 1 Udite questa parola : CHE dice
: CHE ho-fatto-salire = dicendo:
il SIGNORE – CONTRO di voi, Figli d’Israele, – CONTRO tutta la famiglia dalla TERRA d’Egitto
······················································································································
= 2 «Solo voi .. fra tutte
ho conosciuto le famiglie del SUOLO;
+ perciò punirò .. per tutte
CONTRO di
voi le vostre colpe».
LA SECONDA PARTE (3) La seconda parte è molto breve: racchiude un solo segmento bimembro. . 3 Vanno . se non
due insieme si sono accordati?
Questo segmento è una domanda, come le altre sei della parte successiva. Se ne distingue, però, per diverse ragioni: dal punto di vista formale è un segmento unico, mentre tutti quelli che seguono saranno doppi (il leone e il leoncello in 4, l’uccello e la trappola in 5, il corno e il male in 6); dal punto di vista del contenuto assomiglia a un proverbio che sarà come esemplificato da ciò che segue; infine, ciò che qui è neutro, anzi persino positivo, sarà sviluppato con immagini negative che parlano di cattura e di guerra.
124
6. Una trappola per il Figli d’Israele
LA PARTE CENTRALE (4-6) + 4 Ruggisce – e preda
il leone non c’è per lui?
+ Emette . se non ha preso?
il leoncello
nella foresta la sua VOCE
dalla sua tana
············································································································
+ 5 Cade – ed esca
l’uccello nella trappola non c’è per lui?
a terra
+ La trappola : e non ha preso
sale proprio nulla?
dal suolo
············································································································
+ 6 Se SUONA : il popolo
il corno non tremerà?
nella città,
+ Se c’è : il SIGNORE
male non (lo) ha-fatto?
nella città,
Le sei domande di questa parte esprimono tutte una relazione di causalità6, anche se è difficile precisare il senso di questa relazione 7. Il significato è chiaro: non c’è causa senza effetto, non c’è effetto senza causa. La parte comprende tre brani. I primi due (4 e 5) sembrano andare insieme e distinguersi dall’ultimo (6): i due segmenti dell’ultimo brano, infatti, iniziano con un’altra particella interrogativa (’im, tradotta con «se») rispetto a quella dei segmenti che precedono (hă, tradotta con l’inversione del soggetto); inoltre, i primi due brani sono consacrati ad animali, bestie feroci (4) e uccelli (5), mentre l’ultimo (6) mette in scena esseri umani; infine, i secondi membri dei primi segmenti (4b e 5b) sono del tutto simili, a parte «preda» ed «esca»; il verbo «prendere» è ripreso in posizione identica (4d e 5d). Ciononostante, i brani estremi si corrispondono, poiché il suono del corno (6) ricorda i ruggiti del leone e del leoncello (4); inoltre, esiste un rapporto privilegiato tra il ruggito del leone e il Signore (cfr. 1,2 e 3,8). D’altro canto, si specificano i luoghi, «foresta» e «tana» nel primo brano, «città» nell’ultimo.
6
Cfr. Sh.M. PAUL, «Amos 3:3-8» e l’analisi complicata di Andersen – Freedman, 286-290. G. PFEIFER, «Unausweichliche Konsequenzen», critica il concetto di causalità applicato a questo testo di Amos (sarebbe troppo radicato nella filosofia occidentale) e interpreta la relazione tra gli avvenimenti come quella di un’«inevitabile conseguenza». 7 Cfr. E.R. HOPE, «Problems of Interpretation in Amos 3,4».
Sequenza B1: 3,1-8
125
LA QUARTA PARTE (7) La penultima parte è di nuovo molto breve e comprende un solo segmento bimembro: =7 =
Poiché NON FA il Signore DIO NON RIVELA il suo disegno se
cosa (alcuna) ai suoi servi i profeti.
Questo segmento è del tipo A (b c ) / A’ (c’b’); da notare che i due membri cominciano ugualmente con kî e che le denominazioni dei due personaggi sono doppie in ogni membro («Signore + Dio» e «servi + profeti»). Questo segmento si distingue dalle due parti che gli fanno da cornice, essendo il solo a non essere una domanda. L’ULTIMA PARTE (8) + 8 Il LEONE = Chi
HA RUGGITO. non temerà?
+ Il Signore DIO = Chi
HA PARLATO. non profetizzerà?
L’ultima parte comprende due segmenti bimembri paralleli. Nei primi membri la parola di Dio (8c) è paragonata al ruggito del leone (8a). I secondi membri (8b e d) sembrano complementari e pare che indichino la totalità di quelli che ascoltano, il popolo che teme, il profeta che parla a nome di Dio.
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6. Una trappola per il Figli d’Israele
L’INSIEME DEL PASSO + 1 Udite questa PAROLA . contro tutta la famiglia
che DICE il SIGNORE contro di voi, Figli d’Israele, che ho-fatto-salire dalla TERRA d’Egitto dicendo:
······················································································································
. 2 «Solo voi ho conosciuto fra tutte le famiglie del SUOLO. + Perciò punirò contro di voi tutte le vostre colpe». 3
Vanno due insieme se non si-sono-accordati?
+ 4 RUGGISCE – e preda + Emette . se non
IL LEONE non c’è per lui? il leoncello la sua voce ha PRESO?
nella foresta dalla sua tana
···································································································· l’uccello nella trappola a TERRA
+ 5 Cade – ed esca + La trappola : e non
non c’è per lui? sale ha PRESO proprio nulla?
dal SUOLO
····································································································
+ 6 Se suona : il popolo + Se c’è : il SIGNORE
il corno non tremerà? male non (lo) ha fatto?
nella città, nella città,
7
Poiché il Signore DIO nonn fa C COSA (alcuna) se non rivela il suo disegno ai suoi servi i profeti.
+ 8 IL LEONE HA RUGGITO. = Chi non temerà? + Il Signore DIO HA PARLATO. = Chi non profetizzerà?
I legami tra le parti estreme Le due ricorrenze di «parlare» in 1a e 8c (con lo stesso «YHWH» come soggetto) svolgono la funzione di termini estremi per l’insieme del passo. D’altra parte, viene qui fortemente sottolineato un nesso tra la parola di Dio e la profezia. Questo legame è molto chiaro in 8cd, ma appare già fin dalla prima parte, in cui è praticamente impossibile distinguere tra la parola del profeta e la parola di Dio stesso: 1a infatti può essere inteso come una parola del profeta (che parla di Dio in terza persona), mentre il seguito della prima parte (1b-2) presenta parole di Dio (in prima persona).
Sequenza B1: 3,1-8
127
I legami tra la parte centrale e le parti estreme Il brano centrale della parte centrale (5) richiama la prima parte (1-2): infatti, la coppia «terra» e «suolo» si ritrova in 5a e c, come pure in 1b e 2a; viene ripreso lo stesso verbo «salire», «ho-fatto-salire (dalla terra)» in 1b e «sale (dal suolo)» in 5c8. Complementariamente, i brani estremi (4 e 6) sono in relazione con l’ultima parte (8): «il leone» che «ruggisce» si ritrova come termine iniziale della parte centrale (4a) e dell’ultima parte (8a), «tremerà» di 6b è sinonimo di «temerà» di 8b, «YHWH» ricorre in 6d e in 8c. Nei versetti 4, 6 e 8 si ha un elemento sonoro: «ruggire» in 4a e 8a, «voce» in 4c, «suona il corno» in 6a, «parlare» e «profetizzare» in 8c e d. La funzione di raccordo delle parti intermedie (3 e 7)9 Il versetto 3 assicura la transizione tra le due parti limitrofe. È una domanda grammaticalmente simile a quelle che seguono: il primo membro inizia con la particella interrogativa con cui iniziano i quattro segmenti successivi (hă in 4a.4c.5a.5c), il suo secondo membro inizia con la medesima particella con cui inizia 4d (biltî ’im). Il legame con la prima parte è segnalato dal rapporto di paranomasia tra i verbi tradotti con «mettersi d’accordo» e con «conoscere» di 2a10: i due che camminano insieme perché si sono messi d’accordo sarebbero dunque in primo luogo Dio e il suo popolo11. Allo stesso modo il versetto 7 assicura la transizione tra le parti che lo racchiudono. Il legame con la parte centrale è marcato dalle due ricorrenze dello stesso verbo «fare», il cui soggetto è identico («YHWH») in 6d e in 7a, che così fungono da termini medi. Il legame con l’ultima parte è suggerito dalla ripresa di «parola» (in ebraico dābār, qui tradotto con «cosa»: 7a) e «parlare» (8c), di «Signore Dio» (7a e 8c) e di «profeti» – «profetizzare» in 7b e 8d. Le due parti di raccordo (3 e 7) si relazionano tra loro: il versetto 7 indica infatti un accordo tra Dio e il profeta, significato che può avere anche il 8
A ciò si potrebbe aggiungere il rapporto paronomastico tra le due ricorrenze di «rete» (paḥ in 5a e c) e le due ricorrenze di «famiglia» (mišpāḥâ in 1b e 2a); si noti inoltre una certa assonanza tra môqēš («esca») e mišpāḥâ. 9 Secondo H. GESE, «Kleine Beiträge», 424-427, i versetti 3 e 7 sono delle aggiunte secondarie; il brano autentico è costituito da 3,4-6.8. W. EICHRODT, «Die Vollmacht des Amos», 124-125, considera il versetto 7 un’aggiunta secondaria, mentre lascia aperta la questione per il versetto 3. Per D.K. STUART, Studies in Early Hebrew Meter, 199-201, i versetti 3-6 e 8 sono due poemi indipendenti. Per J. LIMBURG, «Sevenfold Structures», 220, al contrario, 3-6 e 8 (7 è una parentesi) formano una sequenza «sette-più-uno». Sui nessi logici tra le diverse unità del testo, studiate con le categorie della retorica classica, cfr. Y. GITAY, «A Study». Recentemente, A.G. AULD, «Amos and Apocalyptic», sulla base di un’analisi accurata di vocabolario pensa di potere datare Am 3,7 nel periodo dei libri di Esdra e Daniele, in circostanze in cui Dio si sente come obbligato a rivelare il suo «segreto» di minaccia distruttiva. 10 Cfr. p. 122. 11 Per il rapporto con ciò che segue, cfr. p. 123.
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6. Una trappola per il Figli d’Israele
proverbio del versetto 3. Così, questi due versetti mettono in relazione due specie di rapporti, quello che dovrebbe legare il popolo al suo Dio, e quello che unisce Dio e i suoi profeti. CONTESTO Il centro della sequenza (3,5) riprende due volte la parola «trappola» (paḥ). Come le immagini del leone e del corno che la racchiudono, quella della trappola indica una minaccia. Vi è però una netta differenza: la trappola è un’insidia nascosta: non è visibile e nessuna voce la segnala12. La trappola funziona solo a queste condizioni: se l’uccello la vedesse o la percepisse, non ci cadrebbe dentro. Is 24,17-18 (ripreso da Ger 48,43-44) predice così la sventura che inevitabilmente si abbatterà sulla città: Terrore, trabocchetto, TRAPPOLA chi sfugge al rumore del terrore e chi risale dal trabocchetto
per te, abitante della terra: cadrà nel trabocchetto, sarà preso nella TRAPPOLA.
La nostra traduzione ha cercato di rendere il gioco di sonorità dell’originale: paḥad, wāpaḥat wāpāḥ, (terrore, trabocchetto, trappola). L’ultimo termine della serie è proprio quello che usa Amos. Esso indica un’insidia definitiva e inevitabile. La stessa immagine si ritroverà in Qo 9,12: «L’uomo non conosce neppure la sua ora; simile ai pesci che sono presi dalla trappola fatale e agli uccelli presi al laccio, l’uomo è sorpreso dalla sventura, che improvvisa si abbatte su di lui». La ripresa di «trappola», «cadere», «sventura», come anche di una parola della stessa famiglia di «laccio» («sono presi») mostrano che l’immagine è tradizionale per indicare un’insidia difficile da evitare. INTERPRETAZIONE L’ENIGMA DELLA TRAPPOLA La trappola del passato: la benedizione La duplice trappola, su a cui è imperniata la sequenza, è un enigma, rafforzato dalla sua formulazione interrogativa. La prima trappola in cui Israele rischia di cadere è rappresentata da ciò che si dice di lui fin dall’inizio (3,2), cioè il rapporto che lo lega a Dio, espresso nei termini della teologia dell’elezione e dell’alleanza13. Il libro di Amos denuncia spesso l’atteggiamento del popolo che fonda la sua sicurezza su una relazione con Dio indiscussa: in 3,14 «i corni 12
Leone e rete, come minaccia insidiosa, sono associati nel Sal 10,9. Secondo Y. HOFFMANN, «A North Israelite Typological Myth», Amos critica l’idea che l’esodo (cfr. 2,10-11; 3,1; 9,7) sia un evento teologico costitutivo che determina una volta per tutte la protezione di YHWH per il suo popolo; questo sarebbe un atteggiamento tipicamente «giudaico». 13
Sequenza B1: 3,1-8
129
dell’altare» sono il simbolo per eccellenza del rifugio che Dio stesso sarà obbligato a rispettare; in 5,18 «il giorno del Signore» rappresenta per quanti l’aspettano un intervento divino, che non può non essere a loro favorevole; in 6,1 la montagna di Samaria (come quella di Sion) è per i suoi abitanti una garanzia di sicurezza assoluta; in 9,7 l’uscita dall’Egitto è per gli Israeliti un dato sul quale Dio stesso non può ricredersi. Così, sono proprio le azioni compiute da Dio nel passato a favore di Israele a costituire una trappola per lui. La memoria del dono di Dio al suo popolo si trasforma per lui in tentazione e pericolo, perché rischia di nascondere i peccati (che uccidono). Affinché Israele possa evitare l’inganno della falsa sicurezza riposta nella sua elezione e venga liberato dal pericolo dello stravolgimento dell’alleanza, Dio si manifesta come colui che non cammina più pacificamente con lui, si presenta come un leone, cioè come un nemico: il salvatore diventa il distruttore14, colui che ha fatto uscire il suo popolo dall’Egitto è colui compie il male nella città15. La trappola del presente (e del futuro): la maledizione Concretamente, i Figli d’Israele si trovano ad affrontare una sventura (3,6.8). I mali che si sono abbattuti su Israele (mali di cui parla 4,6-11) non sono stati capiti, dal momento che invece di «ritornare» al Signore, il popolo moltiplica le cerimonie cultuali (4,4-5). E questo vale ancor più per il disastro che si abbatterà su Samaria e che metterà fine al regno del nord. In questa maledizione presente e futura consiste la seconda trappola. Sperimentare il male dopo aver visto il bene non è facile da capire. Come può Dio fare il male? Come spiegare la distruzione dopo l’elezione16? Per allontanare una simile sventura, o in ogni caso per evitare che sia disattesa, ecco che Dio rivela ai profeti l’esistenza della trappola17. Dio non agisce senza rivelare il suo disegno ai suoi servi, i profeti (3,7)18. La distruzione stessa è una parola: è rivelatrice di senso per mezzo della parola profetica19.
14
«Il distruttore» è una sorta di titolo del leone (Ger 2,30; 4,7). Cfr. Is 8,14s: il Signore è «trappola (paḥ) e trabocchetto (môqēš) per chi abita in Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati (nilkādû)». M.J. MULDER, «Ein Vorschlag», suggerisce di tradurre: «Se c’è del male nella città (cioè un male fatto dagli abitanti), forse il Signore non agirà?»; questa interpretazione appiana le difficoltà del testo, ma fa sparire proprio l’aspetto enigmatico che è il tratto più significativo del passo. 16 Cfr. F. LINDSTRÖM, God and the Origin of Evil, 199-214; H.L. BOSMAN, «Does Disaster Strike». 17 La rappresentazione spesso evocata è quella del «consiglio divino», al quale il profeta è ammesso, in modo da divenire il portavoce della volontà di Dio (cfr. 1Re 22,19-23; Is 6,1-13; Ger 23,18.22); su questo tema, cfr. E.C. KINGSBURY, «The Prophets»; E.Th. MULLEN, Jr, The Divine Council; M.E. POLLEY, «Hebrew Prophecy»; W. WERNER, Studien, 167-181; A. MALAMAT, «The Secret Council». 18 L’agire di Dio (‘śh dābār al versetto 7) è legato alla sua parola (dibbēr al versetto 8). 19 Cfr. A.S. KAPELRUD, «God as Destroyer». 15
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6. Una trappola per il Figli d’Israele
LA RIVELAZIONE DELLA TRAPPOLA Il richiamo alla conversione Tramite il suo profeta Dio rivela l’esistenza di una trappola, affinché il popolo la possa evitare20. È proprio di ogni profezia denunciare il peccato, affinché colui che l’ha commesso lo riconosca. La trappola più grande, infatti, è credersi giusti quando si è peccatori. La prima condizione per evitare di cadere nella trappola è quella di vederla. Dio visita il peccato di Israele e lo punisce per impedirgli di continuare a praticare l’ingiustizia, credendosi egli al riparo da ogni pericolo e giustificato sotto pretesto di essere il popolo dell’alleanza. Questi viveva in una beata sicurezza: l'udire la minaccia del profeta dovrebbe indurlo a temere Dio e quindi a convertirsi. Amos vuole essere questa voce del leone che turba e scuote le coscienze, avviando, per l’annuncio di un castigo imminente, un cambiamento di vita. Questo invito all’ascolto risuonerà in modo lancinante lungo la prima parte della sezione (sequenze B2–B4). Magari il popolo ascoltasse! Il grido di lamento Purtroppo la parola del profeta non è ascoltata. Non riesce a suscitare il timore; al contrario, viene combattuta e tacitata. Allora si farà sentire un’altra parola del profeta, il grido di lamento di chi constata che la sventura si è abbattuta sul popolo. Questo lamento sarà il leitmotiv della seconda parte di questa sezione (sequenze B4–B6)21. La parola del profeta si mostrerà vera, perché la minaccia si compirà. La catastrofe, però, non sarà uno scacco, dal momento che susciterà il timore di Dio, e in quel momento per Israele si dischiuderà una nuova occasione di ascolto e di conversione. Lo testimonia l’esistenza stessa del libro di Amos, la cui proclamazione è finalmente stata ascoltata da quelli che ce l’hanno trasmessa.
20
Cfr. 1,1-2 e 7,1-6. Cfr. A. SCHENKER, «Steht der Prophet». A partire da 5,18; ma la lamentazione è già annunciata in 5,1-17, sequenza centrale della sezione, dove l’invito ad ascoltare (5,1) e a convertirsi (5,4-6.14-15) sono uniti alla lamentazione (5,1-3.16-17). 21
7 Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele Sequenza B2: 3,9–4,3
Questa sequenza1 è formata da tre passi (3,9-12; 3,13-15; 4,1-3), contraddistinti dalla ripetizione del verbo «udire» come termine iniziale (3,9a.13a; 4,1a); questo verbo non si trova altrove nella sequenza. I passi estremi comprendono due parti: denuncia del peccato (3,9-10 e 4,1) e annuncio del castigo (3,1112 e 4,2-3). Il passo centrale si distingue dagli altri due, perché è interamente consacrato all’annuncio del castigo. Invito alle nazioni straniere a vedere Annuncio
i tesori ingiusti di Samaria
dell’invasione
3,9-10 3,11-12
ANNUNCIO CHE DIO DISTRUGGERÀ – GLI ALTARI – E LE CASE
DI BETEL DEI RICCHI
Invito ai ricchi di Samaria ad ascoltare la condanna della loro ingiustizia Annuncio
1
della deportazione
3,13-15
4,1 4,2-3
Anche Rudolph, 162-163, ritiene che 3,9–4,3 sia un’unità, suddivisa in quattro parti: 3,9-11; 3,12 (13); 3,14-15; 4,1-3.
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele 1. INVITO ALLE NAZIONI STRANIERE (3,9-12)
TESTO 9
Fate udire sui palazzi in Asdod e sui palazzi nel paese di Egitto e dite: Radunatevi sulle montagne di Samaria e vedete: numerosi disordini dentro di essa e oppressioni in mezzo ad essa; 10 e non conoscono la dirittura nel fare, oracolo del Signore, essi che tesaurizzano violenza e rapina nei loro palazzi. 11 Perciò così dice il Signore Dio: Un nemico accerchia il paese: farà scendere da te la tua forza e saranno saccheggiati i tuoi palazzi. 12 Così dice il Signore: Come strappa il pastore dalla bocca del leone due zampe o un pezzo d’orecchio, così saranno strappati i Figli d’Israele, abitanti a Samaria, con una sponda di letto e un damasco del divano. VERSETTO 9
palazzi Il termine «palazzo» — che ricorre tre volte nella prima parte (3,9-10) — designa la parte fortificata dell’abitazione del re (1Re 16,18; 2Re 15,25) o, più genericamente, la zona residenziale di una città (Sal 122,7). La connotazione difensiva è certamente presente, poiché in Am 1,7.10.14 «palazzi» sta in parallelo con «mura»2. disordini Questo termine astratto, variamente interpretato dalle versioni antiche, secondo i moderni significa «confusione», «disordine», «costernazione» e non esclude una connotazione di paura o di terrore (espressioni simili in Ez 22,5; Zc 14,3; 2Cr 15,5)3. oppressioni La Vulgata ha inteso questo termine in senso passivo (quelli che soffrono l’oppressione), il Targum al contrario in senso attivo (gli oppressori). I moderni in genere seguono la prima interpretazione. Sembra, però, che la traduzione con un sostantivo astratto, come per il termine parallelo «disordine», abbia il vantaggio di includere sia gli oppressori che gli oppressi.
2
Secondo V. MAAG, Text, 125, il sostantivo deriverebbe dalla radice rmh I, che significa «fondare», «costruire» una casa. Secondo Wolff, 188, è più probabile che i contemporanei di Amos percepissero un’affinità con la radice rwm, «essere alto, elevato». Sulla terminologia, cfr. anche U. HÜBNER, «Wohntürme». 3 Cfr. B. COSTACURTA, La vita minacciata, 67-68.
Sequenza B2: 3,9–4,3
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VERSETTO 11
Un nemico accerchia il paese L’estremo disaccordo delle versioni antiche attesta la problematicità della frase. A seconda della vocalizzazione adottata, la prima parola venne tradotta con «Tiro» (LXX e Aquila), «seggio» (Simmaco), «forza» (Teodozione), «è schiacciato» (Vulgata); i moderni concordano nel vedervi un sostantivo che significa «avversario», «nemico». Il seguito della frase non è chiaro e si sono proposte diverse correzioni. Qui si adotta l’interpretazione attualmente più seguita4. VERSETTO 12
un damasco Le versioni antiche interpretano in modo estremamente vario; la LXX ha tradotto con «sacerdoti» (hiereis), il termine ebraico che significa «letto» (‘āreṣ), cosa che aveva stupito anche Girolamo; inoltre, sempre la LXX traduce en Damaskōi («nella città di Damasco») la parola che in ebraico fa riferimento a una parte del letto o a uno dei suoi accessori. I moderni hanno studiato molto questo testo, che nel secolo scorso era ritenuto irrimediabilmente corrotto. È chiaro che, a motivo del parallelismo, si tratta di un elemento del letto5. Pur non essendo certo il significato di stoffa «damascata», data l’omofonia tra la parola in questione e il nome proprio della città di «Damasco», sembra sia opportuno conservare il gioco di parole del TM6.
4 Cfr. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 648-649, che propone di tradurre: «Una stretta (o: una forza ostile) e ciò tutt’intorno al paese!»; così aveva già tradotto Rosenmüller, 77. 5 I. RABINOWITZ, «The Crux», propone di leggere ûbad miššōq ‘āreṣ (un pezzo della gamba del letto) invece di ûbidmešeq ‘āreṣ, testo incomprensibile; la sua proposta è seguita da H.R. MOELLER, «Ambiguity». Per H. GESE, «Kleine Beiträge», l’ultima parte del versetto significa «il capezzale del letto» (opposta alla «gamba» del letto: p’h), opinione accettata da Wolff, 196,198, e da S. MITTMANN, «Amos 3,12-15». 6 Un’accurata analisi del testo in D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 650-653, il quale pensa che nel termine qui tradotto con «damasco» si debba vedere «il secondo bracciolo ai piedi del letto, caratteristico dei letti di origine siriana»; l’allusione alla città di Damasco (dove questi letti venivano costruiti) verrebbe così confermata.
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
COMPOSIZIONE Questo passo comprende due parti successive (9-10 e 11-12). La prima è consacrata alla descrizione del peccato di Samaria, mentre la seconda, introdotta da «Perciò», annuncia il castigo futuro che essa merita per i suoi crimini. + 9 Fate-udire + e : e dite: Radunatevi - e vedete: -e + 10 e non conoscono + essi che tesaurizzano + 11 Perciò
in Asdod nel paese di Egitto di SAMARIA
numerosi disordini oppressioni
dentro di essa in mezzo ad essa;
la dirittura nel fare, violenza e rapina
Oracolo del SIGNORE, nei loro palazzi.
così dice
- Un nemico . . + 12
sui palazzi sui palazzi sulle montagne
il Signore DIO: accerchia farà scendere da te e saranno saccheggiati
il paese: la tua forza i tuoi palazzi.
··········································································································· Così dice il SIGNORE:
- Come il pastore : due zampe
strappa o un pezzo
- così saranno strappati i Figli d’Israele, : con una sponda di letto e un damasco
dalla bocca del leone d’orecchio, abitanti a SAMARIA, del divano.
La prima parte è formata da tre segmenti. Il primo (9abc) è un trimembro del tipo AA’B: Filistei (rappresentati da «Asdod») ed Egiziani sono citati come testimoni contro Samaria (questi tre nomi propri stanno in posizione finale). Il secondo segmento (9de), che inizia anch’esso con un imperativo, è un bimembro parallelo termine a termine. Il terzo segmento (10) sviluppa il segmento precedente; «palazzi» forma un’inclusione con la stessa parola in 9a e b7. La seconda parte comprende due brani: i segmenti unimembri con cui essi cominciano (11a e 12a) sono formule di introduzione di oracolo molto simili. Il secondo segmento del primo brano (11bcd) è un trimembro: i due ultimi membri di quest’ultimo in ebraico terminano con lo stesso pronome (possessivo in italiano). Nel secondo brano (12) il segmento introduttivo è seguito da due segmenti bimembri paralleli (12bc e 12de): sono i due termini di un paragone introdotti da «come» e «così»; «strappare» è ripreso all’inizio di ogni segmento, Le parole ’ôṣerîm («tesaurizzano») e miṣrāyim («Egitto») sembrano avere un rapporto di paronomasia; lo stesso vale per šōd («rapina») e ’ašdôd («Asdod»). Il gioco di parole con Asdod potrebbe essere all’origine della scelta di questa città (che alcuni, seguendo la LXX, propongono di correggere in «Assur», per ottenere un migliore parallelismo con «Egitto»: cfr. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 647). 7
Sequenza B2: 3,9–4,3
135
la seconda volta però al passivo, stabilendo una complementarietà tra chi compie l’azione nel primo membro e chi la subisce nel secondo. Da una parte all’altra, la parola «palazzi», che forma inclusione nella prima parte (9ab e 10b), si ritrova alla fine del primo brano della seconda parte (11d)8. La formula di conclusione, «oracolo del Signore», alla fine della prima parte (10a), trova una duplice eco nelle formule di introduzione di oracolo con cui iniziano ciascuno dei due brani della seconda parte (11a e 12a). Infine, il nome «Samaria» è ripreso in posizioni simmetriche, alla fine dell’ultimo membro del primo segmento della prima parte (9c) e alla fine del primo membro dell’ultimo segmento della seconda parte (12d)9. CONTESTO MOSTRARE LA PROPRIA RICCHEZZA L’oracolo di Amos è da collocare nella tradizione, che imponeva a un re di far mostra delle proprie ricchezze agli ambasciatori dei paesi stranieri. Così, «la regina di Saba, quando ebbe visto tutta la saggezza di Salomone, il palazzo che egli aveva costruito, i cibi della sua tavola, gli alloggi dei suoi dignitari, l’attività dei suoi ministri, le loro divise, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tempio del Signore, rimase senza fiato. Allora disse al re: «Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua saggezza! Io non avevo voluto credere a quanto si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non hanno visto; ebbene, non me n’era stata riferita neppure una metà!» (1Re 10,4-7); segue poi uno scambio di sontuosi regali, per sancire l’amicizia tra i due sovrani e la loro alleanza. Venuto a conoscenza della malattia di Ezechia e della sua guarigione, il re di Babilonia gli inviò dei doni per congratularsi con lui; allora, «Ezechia gioì al loro arrivo. Egli fece vedere agli inviati tutta la camera del suo tesoro, l’argento e l’oro, gli aromi e i raffinati profumi, il suo arsenale e quanto si trovava nei suoi magazzini; non ci fu nulla che Ezechia non facesse vedere nella reggia e in tutto il suo regno» (2Re 20,13). Isaia condannerà severamente questa iniziativa: esibire le proprie ricchezze ha infatti lo scopo di incutere rispetto e ammirazione nel visitatore e di indurlo a rinsaldare i legami di alleanza; e ciò sembra contraddire la fiducia che si deve riporre solo in Dio. Isaia, perciò, predice che tutte queste ricchezze saranno portate a Babilonia (20,17)10.
8 Su questo unico indizio G. PFEIFER, «Die Denkform», 477, reputa che l’unità letteraria si limiti ai versetti 9-11. 9 Inoltre, la parola «damasco», alla fine della seconda parte (12e), sembra rinviare a «Asdod» dell’inizio della prima parte (9a), come i due poli, sud e nord, tra i quali si trova Israele. 10 Cfr. Ch. BEGG, «Hezekiah’s Display (2 Kgs 20,12-19)»; id., «Hezekiah’s Display: Another Parallel»; id., «Access to Heavenly Treasuries».
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
In Ez 23,40-45 Gerusalemme e Samaria invitano uomini da paesi lontani per stringere un’alleanza (vista sotto la metafora della relazione amorosa) e si esibiscono davanti a loro come fanno le prostitute. TESORO E TERRORE Pr 15,16 collega il motivo della ricchezza con quello della paura: «Poco con il timore di Dio è meglio di un grande tesoro con il terrore»11. Questo proverbio è ambiguo: ci si può infatti domandare chi sia terrorizzato, se quelli a scapito dei quali il tesoro è accumulato, oppure quelli che hanno da temere che le proprie ricchezze vengano loro sottratte. In ogni caso, per quanto grande possa essere, un tesoro non vale niente se è associato alla paura. Solo il timore di Dio può garantire la sicurezza e la tranquillità (cfr. Is 33,6). INTERPRETAZIONE IL CRIMINE DI ISRAELE (3,9-10) Il rivolgersi del profeta ai palazzi di Asdod e dell’Egitto è uno dei momenti tipici della procedura di accusa12. Personaggi «terzi» sono invitati, come testimoni o arbitri, a constatare — a «vedere» (9d) — il delitto commesso da Israele. In altri testi biblici, sono «il cielo e la terra» (Dt 32,1; Is 1,2; Sal 50,4) a essere convocati a testimoniare, qui sono invece i rappresentanti delle nazioni pagane. Questo procedimento ha un tono sapienziale: rivolgersi a un estraneo per convincere il proprio interlocutore è un mezzo universalmente usato, che risulta molto efficace. Il profeta si indirizza a un altro, ma il suo intento è di parlare a Israele: è un modo indiretto per dire che questi non «vede» ciò che altri vedono. Tra l'altro l’oracolo in un primo momento sembra diretto «contro»13 i palazzi delle nazioni pagane di Asdod e d’Egitto, cosa che doveva suscitare favorevolmente l’interesse dell’uditore israelita14. Amos invita i palazzi di Asdod e d’Egitto, cioè i loro governanti, a visitare «l’interno» dei palazzi di Samaria e ad ammirare come tesori i loro «disordini» e le loro «oppressioni», la loro «violenza» e la loro «rapina»15. È vero, i palazzi di Samaria contengono ricchezze16; ma non è questo che gli ambasciatori sono invitati a vedere. Mentre dovrebbero trovare i segni della sicurezza, della 11
«Tesoro» rimanda a «quelli che tesaurizzano» in Am 3,10; «terrore» è la stessa parola (al singolare) che in Am 3,9 è stata tradotta con «disordini» (al plurale). 12 Cfr. L.A. SINCLAIR, «The Courtroom Motif»; M. O’ROURKE BOYLE, «The Covenant Lawsuit», 343-344; P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 69. 13 La preposizione ‘al è stata tradotta con «su», così da mantenere una certa ambiguità. 14 Israele probabilmente riteneva le nazioni interpellate quali suoi tradizionali nemici: in Am 1,6, i Filistei sono presentati come quelli che hanno deportato popolazioni intere e l’Egitto è il paese che aveva ridotto Israele in schiavitù (2,10; 3,1). 15 Sul vocabolario dell’oppressione cfr. J. PONS, L’Oppression dans l’Ancien Testament. 16 Amos descrive dettagliatamente il lusso delle case di Samaria (6,4-6); egli parla di «case di pietra squadrata» (5,11), di «case d’avorio» (3,15), di «case importanti» (3,15).
Sequenza B2: 3,9–4,3
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tranquillità e del lusso dei sovrani17, il profeta chiama a constatare la confusione, il disordine e il terrore che essi fanno regnare. La regina di Saba aveva potuto ammirare persino la splendida foggia degli abiti dei servi di Salomone: il benessere dei più umili è infatti uno dei segni più eloquenti della ricchezza di uno stato. Nel caso di Samaria, al contrario, gli stranieri sono sollecitati ad accettare che la ricchezza dei potenti si basa sullo sfruttamento e l’oppressione di una parte della popolazione18. Apparirà che non sono terrorizzati solo i poveri, ma anche i ricchi, i quali vivono nel timore che i propri tesori vengano loro sottratti. Con ironia mordace il profeta fa aprire le porte dei palazzi per svelare ciò che vi sta nascosto e gelosamente custodito. E per di più lo fa scoprire da popoli stranieri. Come nella prima sezione del libro (Am 1–2), il mettere Israele in relazione con i suoi vicini ha per funzione di rivelarne l’ingiustizia. Le nazioni sono colpevoli e hanno dunque, per dir così, competenza per testimoniare contro Israele19. LA SANZIONE La punizione è proporzionata al crimine commesso. Gli ambasciatori, che sulle prime avrebbero dovuto venire in qualità di visitatori pacifici, per concludere in seguito un trattato di alleanza20, diventano «il nemico» che accerchia il paese. L’ostentazione della forza e del lusso dei palazzi, allo scopo di infondere rispetto e timore, così da evitare la guerra, diventa al contrario ciò che la provoca21. Il palazzo — cioè ciò che era elevato — sarà abbassato, perché il nemico lo abbatterà; quanto vi era gelosamente custodito sarà portato via come bottino di guerra. L’abbassamento e la devastazione sono intrinsecamente connessi con ciò che i palazzi rappresentano. Dal punto di vista «economico», il palazzo serve a difendere la proprietà. Ma ciò scatena l’avidità in due modi: chi costruisce un palazzo intende riempirlo, è tentato di accumularvi dei beni e, di conseguenza, è portato a opprimere gli altri per sottrarre loro ciò che possiedono. Ma accumulare tanta ricchezza scatena l’avidità degli altri palazzi, che, a loro volta, vogliono arricchirsi con i beni altrui. Dal punto di vista «simbolico», poi, il palazzo, a motivo della sua posizione elevata, è il segno per eccellenza del potere e della «forza» e manifesta il prestigio, la dignità e la gloria di coloro che lo abitano. Ancora più che lo splendore del vestito (cfr. Lc 7,25) e la qualità del
17
Cfr. Ger 48,7; 49,4. Cfr. Ger 51,13; Pr 10,2. 19 Questo potrebbe essere il senso dei giochi di parole tra ’ašdôd («Asdod») e šōd («rapina»), come tra miṣrāyim («Egitto») e ’ôṣerîm («tesaurizzano»); cfr. nota 7. 20 Il tesoro (cioè l’oro e l’argento) può servire a comprare alleanze favorevoli (cfr. 1Re 15,1820; 2Re 12,18-19; 16,7-9; Is 30,6-7). 21 Cfr. 1Re 14,25-26; 2Re 14,13-14; 24,13; Ger 15,13 (= 17,3); 20,5; 48,7; 50,37; Dn 1,2; ecc. 18
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
cibo, esso consacra la differenza e la superiorità. Per questo in 6,8 il palazzo sarà messo in relazione con «l’orgoglio di Israele». Questi due aspetti, quello economico e quello simbolico, saranno soppressi quando i palazzi saranno saccheggiati e quando forza, dignità e gloria saranno abbattute. La pena del contrappasso si attua proprio nel colpire ciò che era occasione ed espressione di peccato. La punizione ha la funzione di fare sparire il «luogo» del peccato. Il leone è l’equivalente simbolico del nemico (11), il pastore designa colui che esercita una responsabilità di governo e, di conseguenza, abita nei palazzi. L’azione distruttrice del leone, che può essere paragonata al saccheggio (11), è particolarmente efficace: solo dei resti, solo dei brandelli possono essere salvati, cioè un piccolo numero fra gli abitanti di Samaria con pochi avanzi di quanto possedevano. Come i resti dell’animale sbranato servivano a provare che una fiera aveva attaccato il gregge (Es 22,12), così «una sponda di letto e un damasco del divano» attestano l'intervento devastatore del leone22. Il leone è l’esercito nemico, ma al tempo stesso è il Signore (cfr. 3,4.8), che punisce l’ingiustizia di Israele facendo sì che i predatori diventino a loro volta preda. Alla fine della prima sezione (2,16), solo colui che è nudo — spogliato di ogni sicurezza — ha la possibilità di fuggire; così nel nostro passo la povertà e l’umiliazione costituiranno una possibile salvezza per il piccolo resto di Israele.
2. ANNUNCIO DELLA DISTRUZIONE (3,13-15) TESTO VERSETTO 13
il Dio degli eserciti Il titolo «il Signore, il Dio degli eserciti» (Yhwh ’ĕlōhê ṣebā’ôt) fa riferimento alle potenze celesti con cui Dio trionfa nella battaglia (1Sam 4,4; 15,2; 17,45; 2Sam 5,10; ecc.). Questa espressione, che evoca la certezza dell’intervento salvifico di Dio (cfr. Sal 24,10; 46,8.12; 48,9; 59,6; ecc.), è utilizzata da Amos (3,13; 4,13; 5,14.15.16.27; 6,8.14; 9,5) — allo stesso modo degli «inni»23 — soprattutto per marcare l’intervento del Signore come giudice che punisce24.
22 Rudolph, 164: «non c’è nessuna salvezza; i resti sono la prova (probante) della morte dell’animale». 23 Cfr. p. 169-170. 24 Gli studi su questa espressione sono numerosi: B.N. WAMBACQ, L’épithète divine Jahvé Seba’ôt; V. MAAG, «Jahwäs Heerscharen»; M. LIVERANI, «La preistoria»; J.L. CRENSHAW, «hwhy wmv twabc»; T.N.D. METTINGER, «YHWH SABAOTH»; M. GÖRG, «ṣb’wt»; Z. TALSHIR, «The Representation»; T.N.D. METTINGER, In Search of God, 123-157.
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VERSETTO 15
le case importanti A motivo del parallelismo con «case d’avorio» nello stico precedente, diversi autori seguono la congettura di Marti, che corregge in «case d’ebano»25. Con le versioni antiche, Wolff traduce rab con «numerose»26. Ma questo aggettivo può significare anche «grande», «importante»27. Secondo la TOB, che traduce «grandi case», si tratta di edifici «dotati di numerosi vani»; è l’equivalente della «grande casa» di Am 6,11 (cfr. Is 5,9: battîm rabbîm – gedōlîm weṭôbîm). COMPOSIZIONE + 13 Udite e attestatelo + oracolo del Signore DIO,
contro la CASA di Giacobbe, il Dio degli eserciti:
···················································································································
– 14 perché nel giorno – per i suoi crimini,
del mio intervento, contro Israele
= interverrò . e saranno troncati . e cadranno
contro gli altari i corni a terra.
= 15 E colpirò . e periranno . e spariranno
la CASA le CASE le CASE
di BET-El dell’altare d’inverno sulla casa d’estate d’avorio importanti;
··················································································································· SIGNORE.
+ oracolo del
Questo passo termina con la formula di conclusione, «oracolo del Signore» (15d). A questo brano finale, formato da un solo segmento unimembro, corrisponde il brano iniziale (13), formato da due segmenti bimembri: il primo (13a) è un appello enfatizzato dal secondo segmento (13b). Il brano centrale (14-15c), introdotto da «perché», è dunque una spiegazione di quanto è stato appena annunciato. Inizia con un segmento bimembro (14a), che ricorda la ragione dei castighi che seguiranno, ossia i «crimini di Israele». I due trimembri, che seguono (14bcd e 15abc), espongono dettagliatamente i castighi meritati da Israele per i suoi «crimini» (da notare la ripresa lessicale: «punirò» in 14a e in 14c); i primi membri dicono l’azione di Dio (14c e 15a), i successivi ciò che ne deriverà (14de e 15bc). Da sottolineare la quadruplice ripresa di «casa» nell’ultimo trimembro; questa parola appariva già nel primo segmento del passo (13a) e persino nel nome «Bet-El» (= «la casa di Dio») nel primo membro del primo 25
Marti, 178. Wolff, 199; così Rosenmüller, 89. 27 G.S. GLANZMAN, «Two Notes», propone di tradurre «case di persone importanti». Lo stesso fa J.L. SICRE, “Con los pobres”, 119, che cita Is 5,9 (dove ricorre la stessa espressione). 26
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
trimembro (14c). Due specie di edifici saranno dunque distrutte: il santuario (14cde) e le abitazioni umane (15abc). CONTESTO IL RIFUGIO E L’ELEZIONE La menzione dell’altare e dei suoi corni rinvia alla tradizione del rifugio. In 1Re 1,50 Adonia, che si era ribellato contro Salomone, per sfuggire alla punizione si aggrappa ai corni dell’altare; fa giurare al re che non lo ucciderà e quest’ultimo gli concede la grazia28. Sarebbe probabilmente eccessivo collegare il santuario di Betel29 con una tradizione particolare del diritto di asilo30; l’espressione «i corni dell’altare» evoca comunque questa realtà per Betel. È certo, invece, che il santuario di Betel è legato alle tradizioni patriarcali di Giacobbe (cfr. 3,13: «casa di Giacobbe») e dunque ha qualcosa a che fare con l’elezione31. LE CASE D’ESTATE E LE CASE AVORIO I commentatori discutono se si tratti di due case differenti32 o di due parti del medesimo edificio33. In ogni caso, era un segno sicuro di ricchezza, certamente non alla portata dei poveri. Per esempio, Ger 36,22 parla della «casa d'inverno» del re Ioiakin34. In 1Re 22,39 si riferisce che il re Acab aveva costruito una casa d’avorio (cfr. anche 1Re 10,22; Sal 45,9). Decorazioni in avorio, probabilmente del IX secolo, sono state scoperte a Samaria, tra cui un listello (proveniente dal palazzo di Acab) raffigurante un leone che azzanna un toro35. INTERPRETAZIONE La sanzione annunciata è motivata dai «crimini» di Israele (14b), che però non vengono descritti dettagliatamente; tutto il passo è infatti consacrato all’annuncio di una duplice punizione. L’intervento di Dio si manifesta nella 28
Cfr. anche Es 21,13-14; 1Re 2,28; Ne 6,11. Su Betel, cfr. p. 93. 30 È pur vero che i racconti eziologici, riportati da Gen 28,10-22 e 35,1-15, menzionano il fatto che Giacobbe stava fuggendo da suo fratello. 31 Secondo Wolff, 201, l’espressione «casa di Giacobbe» è connessa con il tema dell’elezione (Is 8,17; Mic 2,7; Abd 17s), ma il testo di Amos non lo garantisce in modo sicuro. 32 Questa è l’opinione, ben documentata, di Sh.M. PAUL, «Amos III 15» e di Ph.J. KING, Amos, 64-65. 33 Harper, 78. 34 L’iscrizione di Barrakab, re di Sam’al (nella Siria nord-occidentale, dell’anno 730 circa) dice: «I miei padri (i re di Sam’al) non avevano una buona casa; avevano la casa di Kilamu [sic] che era la loro casa per l’inverno e anche la loro casa per l’estate; io ho costruito questa casa» (ANET, 655). 35 Cfr. Ph.J. KING, Amos, 145. 29
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distruzione di tutte le «case»: la sua azione è duplice: egli colpisce anzitutto BetEl, la «casa di Dio», cioè il santuario, e poi le altre «case», cioè le abitazioni civili dei potenti. LA DISTRUZIONE DELLA «CASA DI DIO» La punizione riguarda anzitutto Betel, il santuario del regno del nord, legato alla tradizione di «Giacobbe» (13a), e concerne in particolare l’altare e i suoi corni. Si può immaginare che, se a Betel il culto fosse stato contaminato da pratiche idolatriche, Amos sarebbe stato più esplicito su questo punto. Sembra perciò che nella menzione dell’altare e specialmente dei suoi corni si debba vedere il riferimento al santuario come luogo di rifugio. Siccome d’altro canto Betel è il luogo specifico dove l’israelita fa memoria dell’elezione di Giacobbe, è chiaro che in questo santuario egli si senta più difeso e protetto dal «Dio di Giacobbe». Questo permette di comprendere meglio la critica indiretta che Amos dirige contro Betel: questi corni dell’altare a cui la casa di Giacobbe si afferra, cioè l’elezione in cui Israele ripone tutta la propria fiducia, tutto ciò sarà abbattuto. Ciò è in sintonia con quanto già detto nella sequenza precedente, dove, secondo le parole del profeta, Israele rischiava di cadere nella trappola dell’elezione: il fatto che Dio lo abbia scelto fra tutte le famiglie della terra poteva indurlo a ritenere di possedere un'automatica garanzia di salvezza36. LA DISTRUZIONE DELLA CASA DEGLI UOMINI Ma non sarà solo «la casa di Dio» a essere abbattuta; Dio colpirà anche «le case» degli uomini. Queste abitazioni sono le dimore dei potenti. Infatti solo i ricchi avevano i mezzi per costruire una casa per l’inverno e una per l’estate. Ed era un grandissimo lusso il poterne decorare l’interno con avorio. Nella tradizione biblica la casa ha un valore simbolico analogo a quello dei corni dell’altare. Da una parte è il segno concreto dell’insediamento nella terra di Canaan: si passa infatti dall’abitazione precaria e mobile, rappresentata dalla tenda, alla dimora costruita, luogo di residenza fissa. E con ciò si indica la fine dell’esodo, la realizzazione della benedizione promessa ai padri (cfr. Dt 6,10-11; Os 11,11; Sal 78,69; ecc.). D’altra parte, da un punto di vista antropologico, la casa è il segno della sistemazione personale. Un uomo costruisce una casa quando fonda una famiglia e assicura così le condizioni per una vita autonoma. Più la casa è solida e ricca, più si pensa di avere raggiunto stabilità e sicurezza 37.
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Il rapporto tra questo passo e la sequenza precedente è rafforzato dalla ripetizione di un sintagma simile: come l’uccello adescato «cade sulla rete a terra» (3,5), così «i corni dell’altare cadranno a terra» (3,14). 37 Casa e vigna hanno un analogo valore simbolico: piantare una vigna, come costruire una casa, è il segno che si è arrivati nella terra di Canaan e che si può gioire dei suoi migliori frutti.
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
Questa sicurezza, dice Amos, sarà annientata, perché ottenuta con lo sfruttamento del povero38. Il giudizio di Dio prospetta una distruzione totale: le case «periranno»39 e «spariranno». Ciò significa che sarà la fine dell’insediamento nella terra promessa. La punizione non sembra toccare direttamente gli uomini, ma le cose, altari e case, gli uni con una funzione religiosa, le altre con una funzione sociale. Tuttavia non sono tanto delle cose a essere distrutte, quanto ciò che è costruito dal peccato (lo sfruttamento dei poveri che ne è la causa efficiente) e per il peccato (per renderlo solido, stabile, sicuro, ossia come causa finale). La casa, però, non è solo frutto dell’ingiustizia; essa funziona in un certo qual modo come una fortezza per proteggere le ricchezze da un eventuale attacco. In una parola, la casa è il simbolo della ricchezza che sembra in grado di proteggere da qualsiasi sventura. È questo che deve essere distrutto. Lo stesso santuario non è esente da contaminazione con l’ingiustizia; anzi, esso rischia di proteggerla, consacrarla e promuoverla40. Ecco perché deve essere abbattuto. Non sono dunque solo i luoghi a essere colpiti, ma anche le istituzioni politiche e cultuali che favoriscono l’ingiustizia e ingannano Israele, facendogli credere di essere definitivamente al riparo nelle proprie case e nel proprio tempio.
3. INVITO AI RICCHI DI SAMARIA (4,1-3) TESTO 1
Udite questa parola, vacche di Basan, che (stanno) sulla montagna di Samaria, che opprimono i miseri e tartassano gli indigenti, che dicono ai loro signori: Fate venire e beviamo! 2 Lo giura il Signore Dio nella sua santità: Ecco dei giorni vengono contro di voi e vi (si) porterà via con degli arpioni e il vostro seguito con degli ami da pesca; 3 e (dalle) brecce uscirete una davanti all’altra e sarete gettate verso l’Ermon, oracolo del Signore.
I problemi testuali di questo passo sono numerosi e importanti. In diversi punti la traduzione proposta è congetturale. VERSETTI 1-3
il gioco del femminile e del maschile. Una delle maggiori difficoltà deriva dal fatto che nell’insieme del passo non c'è coerenza nell’uso dei generi: infatti, il femminile dell’apostrofe, «vacche di 38
Questa affermazione è suffragata dai passi contigui a 3,13-15, specialmente 3,9-10 («oppressioni», «violenze», ecc.) e 4,1 («quelle che opprimono», ecc.), ma anche da 2,6-8, dove si parla dei «delitti di Israele» (stessa terminologia di 3,14). 39 Il verbo ’bd era già usato in 1,8 (cfr. p. 58) e 2,14 (dove era stato tradotto con «venire meno» (cfr. p. 97 e 98). 40 Rudolph, 166: il terremoto distruggerà, in un colpo solo, i segni e i prodotti («Zeugnisse und Erzeugnisse») dell’ingiustizia.
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Basan», si ritrova nei participi tradotti con «che opprimono» (1d), «e tartassano» (1e) e «che dicono» (1f), nel pronome suffisso di «il vostro seguito» (2d), nei verbi «uscirete» (3a) e «sarete gettate» (3b); al contrario, l’imperativo «Udite» (1a), i pronomi suffissi di «loro signori» (1f), «contro di voi» (2b) e «vi» (2c) sono al maschile41. La critica letteraria non riesce a spiegare adeguatamente queste variazioni (che in un testo all’origine solo al femminile si sarebbero introdotte delle aggiunte al maschile); tale anomalia non può nemmeno ricevere una giustificazione grammaticale né essere addebitata a una trascuratezza stilistica. Sembra che la strada più ragionevole sia quella di vedervi un’interpretazione maschile di una metafora femminile: l’uso occasionale del maschile avrebbe la funzione di ricordare che in realtà i personaggi di cui si parla sono degli uomini piuttosto che delle donne42. VERSETTO 1
loro signori Dal momento che il pronome suffisso è al maschile, alcuni pensano che si tratti dei padroni dei «poveri» nominati nel membro precedente. Altri, al contrario, ritengono che si tratti dei mariti delle donne di Samaria (cfr. l’uso dello stesso termine con il significato di «marito» in Gen 18,12). Comunque sia, bisogna rilevare nel termine «signori» la connotazione di autorità. VERSETTO 2
il vostro seguito Questo sintagma è usato parallelamente con «voi» (2c). Alcuni intendono «ciò che viene dopo di voi» (cioè «la vostra discendenza»); altri «ciò che è rimasto» (cioè «i sopravvissuti»)43, altri «le vostre damigelle» (cioè «le vostre serve»); altri ancora correggono ’etkem («voi» in 2c) in ’appekem («il vostro muso») e intendono ’aḥărîteken come «il vostro didietro, il vostro posteriore»: l’immagine sarebbe quella delle vacche tirate in avanti dall’anello, fissato al loro muso, e spinte da dietro con un pungolo. Altri, infine, pensano che si tratti delle «ultime» (della fila), un modo per indicare la totalità. Qualunque sia la soluzione adottata, bisogna certamente conservare l’idea della totalità.
41
Il femminile alla seconda persona plurale viene spesso rimpiazzato dal maschile (Joüon, 150a). 42 Questa è l’interpretazione di Girolamo: «loquitur ad principes Israel»; così anche Rosenmüller, 90-91 e A. NÉHER, Amos, 82ss. 43 Cfr. G.F. HASEL, «“Remnant”»; cfr. p. 374, a proposito di Am 9,1.
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arpioni44, ami da pesca Le versioni moderne, come quelle antiche, presentano una grandissima varietà di interpretazioni di questi due termini45. Potrebbe trattarsi di picche o di pungoli. In ogni caso è impossibile escludere un rapporto con l’immagine della «pesca». VERSETTO 3
e sarete gettate verso l’Ermon Con la maggioranza degli esegeti sembra che si debba leggere il verbo all’hophal e non all’hiphil46, e che d’altra parte si debba ripristinare il h finale (scomparso per dittografia)47. Un gran numero di soluzioni sono state proposte per interpretare l’ultima parola dell’oracolo. Alcuni vi vedono un nome comune, che potrebbe significare l’alcova delle prostitute, dal momento che i nemici vincitori avevano l’abitudine di avviare le prigioniere alla prostituzione. Altri vi leggono un nome di luogo, che le antiche versioni identificavano talvolta con l’Armenia. In genere i moderni propongono una leggera modifica della prima lettera (ḥermônâ al posto di haharmônâ): ciò determina un’opposizione sud – nord alle estremità della sequenza (Egitto e Filistea in 3,9, Ermon in 4,3)48. COMPOSIZIONE Questo passo è formato da due parti: la prima (1) descrive i crimini di Samaria, la seconda (2-3) annuncia il castigo per questi crimini. La prima parte comprende tre segmenti. Il primo (1abc), che è un trimembro, costituisce come l’indirizzo. I due successivi sono dei bimembri: il crimine di quelle che vengono nominate nel primo segmento è stigmatizzato in relazione in primo luogo alle vittime, «miseri» e «indigenti» (1de), e poi ai complici (1fg): dopo avere oppresso i bisognosi, esse fanno la festa con i loro «signori». Alle estremità il parlare delle vacche (1fg) si contrappone alle parole del profeta, cioè di Dio (1a).
44 S.J. SCHWANTES, «Note on Amos 4,2b» pensa che il termine ṣinnôt (come hopla con cui la LXX l’ha tradotto) significhi «corde» (dall’accadico ṣinnatu). A.J. WILLIAMS, «A Further Suggestion» dice che l’immagine della pesca evoca probabilmente il conflitto con il mostro del caos. Pare che si tratti piuttosto di una metafora del giudizio. 45 Cfr. Sh.M. PAUL, «Fishing Imagery», il quale, dopo avere passato in rassegna numerose proposte, dà la seguente traduzione: «e voi sarete trasportate in cesti e le ultime in recipienti da pescatori». 46 Il testo simile di Ger 9,18 presenta una difficoltà testuale analoga. 47 Così D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 655. 48 D.N. FREEDMAN – F.I. ANDERSEN, «Harmon», leggono ḥarmôn, identificato con la città di Hermel, nel nord della Siria, presso Qadesh sull’Oronte.
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Alle estremità della seconda parte (2a et 3c) due segmenti unimembri simili segnano i limiti della parte (sono formule di introduzione e di conclusione di oracolo). Un trimembro del tipo ABB’ annuncia la cattura (2bcd), seguito da un bimembro che predice la deportazione (3ab). + 4,1 Udite : vacche : che (stanno) sulla montagna
questa parola, di BASAN, di SAMARIA,
- che opprimono - e tartassano
i miseri i poveri,
- che dicono - Fate venire
ai loro signori: e beviamo !
+ 2 Lo giura il Signore
DIO nella sua santità: ··································································································
: Ecco che dei giorni - e (si) porterà via - e il vostro seguito - 3 e (dalle) brecce - e sarete gettate
vengono voi con degli ami
contro di voi con degli arpioni da pesca;
uscirete
una davanti all’altra verso L’ERMON,
·································································································· SIGNORE.
+ oracolo del
La formula di introduzione all’inizio della prima parte (1a) trova una duplice eco alle estremità della seconda parte (2a e 3c). I nomi di luogo, «Basan» – «Samaria» (1bc) ed «Ermon» (3c) formano un’inclusione. Le due ricorrenze di «signore/i» (1f e 2a) fungono da termini medi, così come le due ricorrenze di «far venire» (1g) e «vengono» (2b)49. CONTESTO LE VACCHE DI BASAN L’oracolo è rivolto alle «vacche di Basan». Evidentemente si tratta di una metafora, che designa persone grasse e potenti. Il Basan, un altopiano situato a nord-est di Israele, tra l’Ermon e lo Yarmuk, era celebre per i suoi allevamenti. I «tori di Basan» (Ez 39,18; Sal 22,13), come del resto gli «arieti di Basan» (Dt 32,14) sono proverbiali per la loro forza. In diversi passi biblici questa fertile regione è assimilata al Carmelo (Is 33,9; Ger 50,19; Na 1,4)50. Il Basan è famoso anche per le foreste di querce, spesso messe in parallelo con i cedri del Libano 49
Cfr. Y. MISHAEL, «Behold, the Days are Coming». Forse c’è anche un gioco di parole tra «fate venire» (il verbo bw’ significa anche «entrare», all’hiphil «far entrare») alla fine della prima parte e «uscirete» all’ultimo versetto (3a); ci si ricorderà che l’articolazione tra yṣ’ e bw’ è tipica dello schema letterario dell’Esodo. 50 Ciò rimanderebbe alla «vetta del Carmelo» nel prologo del libro (Am 1,2).
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
(Is 2,13; Ez 27,5-6; Zac 11,1-2), con un valore simbolico di forza, più che di fertilità (Is 2,12-17). L’INFLUENZA NEFASTA DELLE DONNE Nella storia di Israele le donne hanno talvolta un’influenza negativa sui loro mariti e ispirano loro comportamenti contrari alla legge del Signore (Is 3,12). La figura più caratteristica che Amos poteva avere in mente era quella di Gezabele, moglie di Acab, una straniera di Tiro, che aveva introdotto a Samaria culti idolatrici; essa era ricordata soprattutto per il ruolo svolto nel famoso episodio della vigna di Nabot: su consiglio della moglie, Acab fece assassinare Nabot per impadronirsi della vigna che quest’ultimo non voleva cedere (1Re 21). Questo episodio pare del tutto tipico per illustrare l'istigazione femminile a fare il male. La regina Atalia, che fece sterminare la famiglia reale di Giuda, è un altro personaggio femminile conosciuto per la sua nefasta influenza (2Re 11). Nelle raccolte profetiche esistono inoltre testi che hanno di mira esplicitamente le donne. In Is 3,16-24 il profeta accusa le figlie di Sion di inorgoglirsi e di pavoneggiarsi con ricchi ornamenti: esse verranno interamente spogliate. In Is 32,9-14 le donne stolte e sicure di sé (cfr. Am 6,1) sono minacciate di essere private di tutto e di dovere indossare l’abito di lutto. In Ez 13,17-23 il profeta condanna le donne che praticano la magia. L’ESILIO Il motivo dell’esilio è molto frequente in tutta la letteratura biblica. In Amos nella prima sezione è una specie di ritornello, che annuncia la punizione contro i re stranieri; nella seconda sezione si ritrova in 5,5.27; in 6,6-7 è la sanzione fondamentale a cui Israele è condannato; infine, ritornerà nell’ultima sezione in 7,11.17; 9,4 e 14, come somma di tutte le minacce di Amos contro il popolo di Dio. Con l’esilio infatti si conclude il ciclo della storia di Israele che era iniziato con l’esodo e la conquista del paese di Canaan (2,9-10), quale realizzazione della promessa fatta dal Signore ad Abramo, Isacco e Giacobbe (cfr. Es 6,8; Dt 1,8; 6,10; ecc.). L’esilio, da questo punto di vista, è l’espressione che definisce la fine di un popolo. L’IMMAGINE DELLA PESCA L’immagine della pesca, spesso legata a quella della rete o del laccio (Am 3,5; Qo 9,12), significa il giudizio finale: tirare il pesce fuori dal suo elemento vitale equivale alla sua sentenza di morte (Ger 16,16; Ez 29,4-5; 32,3; Ab 1,14-15).
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INTERPRETAZIONE IL CRIMINE L’interpretazione abituale vede nelle persone incriminate da Amos le mogli dei signori di Samaria, che sarebbero le istigatrici della loro politica di oppressione contro i poveri, le uniche vittime esplicitamente nominate nel passo. La motivazione dell’ingiustizia delle donne di Samaria è esplicitata dalle parole che rivolgono ai loro signori, «Fate venire e beviamo!» che alluderebbero alle gioiose libazioni dei banchetti descritti in 6,1-7. Le donne, dunque, sarebbero essenzialmente quelle che invitano gli uomini al piacere, non solo sessuale, ma più ampiamente a quello che consiste nel godersi la vita51. L’interpretazione finora considerata non è tuttavia la sola possibile. L’immagine delle vacche di Basan si può applicare, non alle mogli dei signori di Samaria, ma agli uomini stessi. L’indizio più forte per appoggiare questa lettura è, a nostro avviso, la mescolanza continua di femminile e maschile: lungi dal rendere oscuro il testo, ciò potrebbe essere un accorgimento stilistico con la funzione di segnalare la vera identità dei destinatari (maschili) dell’oracolo. La feroce ironia del profeta sarebbe così raddoppiata. Amos non tratta gli uomini di Samaria come «tori di Basan»52, ma come «vacche», accentuandone così la pesantezza e grassezza al posto della forza virile. Se dunque Amos prende di mira gli uomini, l’espressione «loro signori» di 1f sarebbe da intendere in un senso che sembra caratteristico di Amos: gli oppressori non agiscono soli, ma di concerto con quelli che comandano, di modo che le loro trame siano protette dalla connivenza del potere politico e degli organi giurisprudenziali. Ci sarebbero, quindi, da una parte i «miseri» e gli «indigenti», e dall’altra i ricchi con i governanti, i signori con i principi e i re, i capi delle grandi famiglie insieme ai funzionari della corte53. Ciò che è esplicitamente condannato da Amos non è la ricchezza in quanto tale, ma l’oppressione dei poveri. Certo, si può pensare che proprio lo sfruttamento degli indigenti permetta alle vacche di essere così pasciute: esse si nutrono di ciò che portano via agli altri (cfr. anche Ger 5,28; Ez 34,3.8.20-22). 51 H.M. BARSTAD, «Die Basankühe»; id., The Religious Polemics, 37-47, sostiene un’opinione differente: secondo lui il termine designa tutto il popolo dedito al culto di Baal e ai riti di fecondità. P.F. JACOB, «Cows of Bashan», riprendendo un’idea di K. Koch, suggerisce di vedere nel termine «vacche» un titolo onorifico che si erano attribuite le donne di Samaria, adoratrici di YHWH, rappresentato come il toro (di Samaria); questo suggerimento non è tuttavia provato. 52 L’immagine del toro, abituale per designare i capi (Is 10,13; 34,7; Ger 50,27; Sal 68,31; ecc.), è applicata in particolare a Giuseppe ed Efraim (Dt 33,17): il rapporto con i signori di Samaria in questo caso sarebbe particolarmente pertinente. 53 Questa interpretazione sarebbe coerente con quanto è stato detto a proposito dell’enigmatica espressione di 2,7 («un uomo e suo padre»), dove non si tratterebbe solo di un rapporto incestuoso, ma del fatto che ognuno con il proprio «padre», cioè con l’autorità da cui dipende, commette l’ingiustizia. Diverse riprese terminologiche potrebbero giustificare il rapporto tra 2,6-8 e 4,1-3: non vi si parla solo di «miseri» e di «indigenti», ma anche di «bere» (come momento culminante dei comportamenti ingiusti), ed è evocata infine la stessa «santità» di Dio.
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Ma, dopo la denuncia dell’ingiustizia, l’oracolo termina con il tema del bere. Il vino54 ha una grande importanza nel libro di Amos55. Bere vino significa avere pieno possesso della terra, godere di un insediamento stabile nel paese dell’Amorreo. È il segno per eccellenza che la benedizione di Dio si è realizzata con il compimento dell’esodo: il grappolo portato da quanti sono andati a perlustrare il paese, in Nm 13,23, è il simbolo della sua fertilità. Godere del frutto della vigna che non si è piantata è una delle manifestazioni più caratteristiche del dono gratuito che Dio fa a Israele (cfr. Dt 6,11; Gs 24,13). Di solito la vigna è citata alla fine dell’elenco dei favori divini: è posta alla fine, perché contrariamente agli altri è un bene non indispensabile. D’altra parte, è il simbolo della piena manifestazione vitale: infatti, il vino, che rallegra il cuore di Dio e degli uomini (Gdc 9,13; Sal 104,15; Sir 31,27-28), è uno degli elementi essenziali della gioia e della festa. Il fatto che il tema del bere qui sia collegato con l’ingiustizia sembra significare che essa raggiunge il suo culmine nell’essere esaltata e solennizzata; la celebrazione dei ricchi è perversa non solo perché è frutto di oppressione, ma anche perché festeggia la violenza e se ne compiace. Il godimento che tra loro condividono i ricchi, i mariti con le proprie matrone, i possidenti con i governanti, risulta ancor più insopportabile al profeta perché essi trovano il loro piacere nel superfluo, mentre le loro vittime sono prive del necessario. LA SANZIONE La sanzione è presentata come un atto di autorità. Colui che si appresta a infierire è presentato come «Signore» (2a), in opposizione ai «signori» di cui si è parlato sopra (1f). Si pone così il problema dell’autorità: chi è dunque il vero padrone? Il Signore fa riferimento alla sua «santità»; questo termine ha a che vedere con il potere, poiché esprime la qualità di un essere trascendente, totalmente altro, che quindi infonde riverenza e timore: avvicinarsi al «Santo» infatti può costare la vita (cfr. Es 19,12; 2Sam 6,6-7; Is 6,5; Ger 30,21). Quando Dio pronuncia un giuramento «nella sua santità», Dio mette in gioco la sua suprema autorità. «Il giuramento accompagna frequentemente il pronunciamento giudiziario del re56. Lo scopo di tale atto, di cui non si fa menzione in sede legislativa, sembra essere quello di garantire la irrevocabilità della sentenza, di impedire cioè che, mosso da qualche altro interesse, il re possa in seguito mancare di parola e alterare il verdetto. In questa linea va probabilmente inteso il 54
Il testo di 4,1 non parla di vino, forse per rispettare la metafora delle «vacche» che chiedono da bere. Tuttavia sembra che l’imperativo «Fate venire e beviamo» esprima l’invito a una celebrazione festiva, impensabile senza il vino. 55 Questo tema — che era già presente alla fine dell’accusa di 2,6-8 — si ritroverà anche in 5,11 dove la punizione annunciata si conclude con la privazione di vino, come pure in 6,6 dove la descrizione del lusso termina con la menzione del vino (e dei profumi). Ultima menzione del vino in 9,13-14, dove si descrive la beatitudine di Israele (dopo la catastrofe). 56 Cfr. 1Sam 14,44; 19,6; 2Sam 4,9-11; 12,5; 19,24; 1Re 1,51-52; 2,23-24, ecc.
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giuramento di Dio (il quale naturalmente non può giurare che per se stesso) in occasione di solenni decisioni aventi il carattere del verdetto giudiziario»57. In questo oracolo di Amos non si tratta dunque solo di una promessa o di una minaccia, ma di una sentenza giudiziaria irrevocabile. Dio mette in gioco la sua autorità di giudice, che non si accontenta di denunciare il delitto, ma irroga anche una sanzione proporzionata alla colpa. Vincolando la sua parola alla stessa santità, si impegna a che la sanzione sia applicata. L’esecuzione non è però annunciata per un futuro immediato. Pur essendo fissata in modo irrevocabile, tuttavia è rimandata ai giorni che verranno. I giorni del Signore, di cui si attende con impazienza la venuta, sono abitualmente i giorni di festa (5,18), poiché sono giorni in cui Dio visita il suo popolo per fargli grazia. Se questa connotazione del testo è possibile, l’ironia di Amos non potrebbe essere più sferzante. In ogni caso non c’è da stupirsi che la punizione venga differita, che sia previsto un tempo tra il verdetto e l’esecuzione. Probabilmente affinché sia lasciato spazio alla conversione del popolo peccatore. Il fatto che Dio pronunci una condanna irrevocabile non vuole dire che essa sia irreversibile: essa sarà tale solo se il colpevole non cambia atteggiamento. L’immagine principale che si ricava dalla descrizione della sanzione è quella di un condannato condotto al supplizio. Il verbo «uscire» (3a) appartiene al vocabolario tecnico, usato nei testi legislativi per l’esecuzione della sentenza58. Normalmente si fa uscire il condannato dalla città, affinché il supplizio avvenga al di fuori, e il «sangue» non contamini il luogo dove abitano gli uomini. Nel testo di Amos, la città è stata presa, e i condannati non escono dalle porte, ma dalle brecce che il nemico ha praticato nelle mura. Ciò che proteggeva il colpevole — la città con le sue mura — è stato abbattuto e, come bestiame da macello, le vacche di Basan sono condotte fuori, l’una dopo l’altra per l’esecuzione. La menzione dell’Ermon, comunque si risolvano le questioni testuali, può fare pensare che la pena sia quella dell’esilio. Infatti, il verbo «gettare» designa spesso la condanna dell’esilio59. In questa pena è tuttavia possibile scorgere una connotazione di condanna a morte, perché lo stesso verbo (soprattutto all’hophal) indica frequentemente l’atto di gettare i cadaveri nella fossa60. A noi moderni l’esilio appare meno grave della morte, dal momento che un esiliato almeno conserva la vita. Per Amos però l’esilio è una punizione radicale che significa la fine, la morte del popolo in quanto tale. In quell’epoca i ricchi e i governanti non erano uccisi, ma deportati, per sfilare incatenati dietro il cocchio del vincitore e significare così la sottomissione che il trionfatore imponeva agli altri popoli. I signori di Samaria verranno spogliati delle loro ricchezze e del loro 57
P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 330, n. 34. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 343, n. 79 (testi legislativi: Lv 24,14.23; Nm 15,36; Dt 17,5 ecc.; testi narrativi: 1Re 21,10-13; 2Re 11,15). 59 Cfr. Dt 29,27; 2Re 17,20; 24,20; Ger 7,15; 9,18; 22,28; 52,3; ecc. 60 Cfr. Am 8,3; e Gs 8,29; 10,27; 2Sam 18,17; 20,21-22; 2Re 9,25-26 (dove «gettare» è collegato con «prendere» come in Am 4,2-3); 13,21; 1Re 13,24-25.28; Is 14,19; 34,3; Ger 14,16; 22,19; 26,23; 36,30; 41,9. Rudolph, 168-169, sembra criticare questa prospettiva. 58
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potere e saranno umiliati agli occhi di tutti. Per loro, la fine è arrivata, ma in un modo particolare: chi si credeva al sicuro, perché era ricco, è invece portato via come una vacca al mattatoio. L’accostamento delle due immagini, quella delle vacche e quella della pesca, può sembrare alquanto sorprendente, ma non è la prima volta che il profeta usa un simile linguaggio surrealista: la parte centrale della sequenza precedente ne era già un bell’esempio61.
4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (3,9–4,3) COMPOSIZIONE Le uniche tre ricorrenze del verbo «udire» segnano l’inizio di ognuno dei tre passi (3,9a.13a; 4,1a). Le formule di introduzione e di conclusione di oracolo nel passo centrale (3,13-15) svolgono la funzione di termini estremi: «oracolo del Signore» in 15d, «oracolo del Signore Dio, il Dio degli eserciti» in 3,13b (in coppia con «udite e attestatelo contro la casa di Giacobbe» in 13a). Nei due brani di 3,11-12 tali formule si trovano come termini iniziali; nella parte simmetrica (4,2-3) svolgono la funzione di termini estremi. Nella prima parte del primo passo (3,9-10) «fateudire» di 9a e «oracolo del Signore» di 10a svolgono la funzione di termini estremi; nella parte simmetrica (4,1) «udite + questa parola» (1a) funge da termine iniziale. I due passi estremi riguardano «la montagna di Samaria»62 (le due ricorrenze di questo sintagma fungono da termini iniziali per questi due passi, alla fine degli ultimi membri dei trimembri iniziali, in 3,9c e 4,1c). Il primo e l’ultimo passo sono suddivisi in due parti che si richiamano parallelamente: crimine all’inizio (3,9-10 e 4,1) e sanzione poi (3,11-12 e 4,2-3). Il passo centrale riprende lo stesso movimento; ma al contrario di quanto avviene nei due passi estremi, i crimini non sono esposti dettagliatamente, ma solo richiamati in modo globale (3,14a). D’altronde, il passo centrale è il solo in cui si annunci la distruzione del tempio di Betel, oltre a quella delle abitazioni civili. Da notare la ripresa di «oppressioni» – «opprimono» in 3,9e e in 4,1d, la similarità tra le immagini di caccia («leone» in 3,12) e di pesca (4,2cd) per descrivere il castigo63, la complementarietà tra il sud all’inizio del primo passo («Asdod» e «l’Egitto» in 3,9) e il nord come termini estremi dell’ultimo passo («Basan» in 4,1a e «Ermon» in 4,3b). Da sottolineare anche la ripresa di «giorno/i» + «contro» in 14a e in 2b.
61
Am 3,4-6; cfr. p. 124. In 3,9c il plurale «montagne» è un «plurale di generalizzazione»; non designa dunque un sito differente da quello indicato in 4,1c (Joüon, 136j). 63 Caccia e pesca ricorrono insieme in Ger 16,16. 62
Sequenza B2: 3,9–4,3 – 3,9 FATE-UDIRE sui palazzi in Asdod – e sui palazzi nel paese di Egitto – e dite: Radunatevi sulle montagne di SAMARIA, . e vedete: numerosi disordini dentro di essa . e OPPRESSIONI in mezzo ad essa; . 10 e non conoscono la dirittura nel fare, oracolo del SIGNORE, . essi che tesaurizzano violenza e rapina nei loro palazzi. + 11 Perciò così dice il Signore DIO: - Un nemico accerchia il paese: - farà scendere da te la tua forza - e saranno saccheggiati i tuoi palazzi. + 12 Così dice il SIGNORE: . Come strappa il pastore dalla bocca del leone due zampe o un pezzo d’orecchio, . così saranno strappati i Figli d’Israele, abitanti a Samaria, con una sponda di letto e un damasco del divano. + 13 UDITE e attestatelo contro la casa di Giacobbe, + oracolo del Signore DIO, il Dio degli eserciti. 14 Perché nel giorno in cui punirò i crimini di Israele contro di lui = punirò a causa degli altari di Bet-El . e saranno troncati i corni dell’altare . e cadranno a terra. = 15 E colpirò la casa d’inverno sulla casa d’estate . e periranno le case d’avorio . e spariranno le case importanti, + oracolo del SIGNORE. – 4,1 UDITE questa parola, – vacche di Basan, – che (stanno) sulla montagna di SAMARIA, . che OPPRIMONO i miseri e tartassano i poveri, . che dicono ai loro signori: Fate venire e beviamo! + 2 Lo giura il Signore DIO nella sua santità: . Ecco che dei giorni vengono contro di voi . e (si) porterà via voi con degli arpioni . e il vostro seguito con degli ami da pesca; - 3 e (dalle) brecce uscirete una davanti all’altra - e sarete gettate verso l’Ermon, + oracolo del SIGNORE.
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
CONTESTO Il tema del «tesoro» (3,10: «coloro che tesaurizzano») appartiene alla tradizione sapienziale64. Appartengono allo stesso campo semantico anche le parole «sapere» e «diritto»: «non conoscono la dirittura nel fare» (3,10)65. È importante notare che l’ingiustizia non consiste solo negli atti, nella violenza esercitata contro le persone, ma trova la sua origine nella falsità dello spirito, nel fatto di non comprendere, di non intendere (il che è il contrario della sapienza: cfr. Pr 1,6-7). Per questo motivo gli abitanti di Samaria sono invitati a «udire» all’inizio dell’ultimo passo (4,1a). INTERPRETAZIONE ASCOLTARE LA PAROLA DI DIO È DIFFICILE... La sequenza è composta da tre passi che iniziano con un imperativo del verbo «udire» (3,9.13; 4,1); questo fatto potrebbe essere interpretato come un semplice accorgimento retorico per segnalare l’inizio di certe unità letterarie, se non fosse accompagnato da una serie molto accentuata di formule (sette), le quali ribadiscono che l’oggetto dell’ascolto è la parola del Signore: «oracolo del Signore» (3,10), «perciò così parla il Signore Dio» (3,11), «così parla il Signore» (3,12), «oracolo del Signore Dio, il Dio degli eserciti» (3,13), «oracolo del Signore» (3,15), «Lo giura il Signore Dio nella sua santità» (4,2), «oracolo del Signore» (4,3)66. Verrebbe così significata la difficoltà di Amos di far intendere a Israele ciò che Dio gli ha rivelato (3,7), di profetizzare (cioè di dare l’allarme) in modo da suscitare il timore (3,8) per la minaccia che pesa sulla casa di Giacobbe (3,4-6). ... PER I RICCHI Questa situazione è provocata dalla ricchezza di cui gode il regno di Samaria, e dagli effetti che la ricchezza induce. Che vi sia ricchezza traspare dal riferimento ai palazzi (3,9.10.11), alle case d’inverno e d’estate, alle case d’avorio, alle case importanti (3,15), ai tesori (3,10), al mobilio (3,12), alla prosperità di Basan (4,1), al fatto di bere (vino) (4,1). Una simile ricchezza ha determinato un senso di sicurezza e di forza (3,11): chi abita in Samaria ha la coscienza di essere sulla «montagna» (3,9; 4,1), è persuaso cioè di avere predisposto un sicuro sistema economico e politico67, e di godere di una superiore 64 Cfr. L. ALONSO SCHÖKEL – J. VÍLCHEZ LÍNDEZ, Sapienciales I. Proverbios, 549. La sapienza produce ricchezza (Pr 8,18-21); la stoltezza invece dilapida tutto (Pr 21,20). 65 La sapienza consiste nel fare ciò che è retto (Dt 4,6; Pr 1,2-3; 2,6-9; ecc.). Questo dovrebbe in un certo qual modo definire tutto il popolo di Israele (Gen 18,19; Is 51,7; Sir 24,23; Bar 4,1-4); è certo che la conoscenza di ciò che è retto appartiene, o meglio dovrebbe appartenere in modo speciale ai magistrati e ai governanti (Dt 1,13; 17,20; 2Sam 14,20; 1Re 3,9-12.28; Is 9,5-6; Ger 5,4-5; Mic 3,1; ecc.); cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 161-162. 66 Il fenomeno è caratteristico di questa sequenza. 67 Cfr. Ger 48,7; 49,4; Ez 28,4-5.
Sequenza B2: 3,9–4,3
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protezione garantita dalla «casa di Dio» e dai corni degli altari del santuario (3,14). Chi sta in Samaria può darsi al bere, celebrando la sua stessa forza (4,1). LA RICCHEZZA D’ISRAELE È CRIMINALE... Ora Amos, a nome di YHWH, proclama che tutto questo è criminale (3,14)68, che la ricchezza di Israele è ingiusta, perché i suoi tesori (3,10) e la sua proverbiale prosperità (4,1: di Basan) coincidono con lo sfruttamento dei poveri, con l’oppressione dei miseri (3,9-10 e 4,1). Quando il profeta dice «ricchezza» dice contemporaneamente «violenza e rapina» (3,10). La difficoltà della denuncia di Amos sta anche nel fatto che il crimine non è poi molto chiaro. In ogni società e in ogni epoca ci sono ricchi e poveri, e le leggi dell’economia sono spesso fatali per le classi degli indigenti69. Il profeta fa allora dell’ironia per cercare di scuotere la tranquilla sicurezza dei signori di Samaria; immagina di convocare dei visitatori per... una constatazione di reato (3,9), oppure chiama «vacche» (4,1) personaggi che senza dubbio pensavano di meritare titoli più onorifici. ... E SARÀ DUNQUE DISTRUTTA Ma il suo vero ricorso, la sua ultima risorsa è la minaccia, l’annuncio di una «logica» interna alla storia umana, secondo la quale i predatori diventeranno una preda (3,11s; cfr. Pr 22,23) e chi ha trattato gli uomini con disprezzo subirà la sorte riservata agli animali (4,2-3). Far comprendere a una società prospera che è prossimo il giorno dello sfacelo (3,14 e 4,2) è un compito quasi impossibile; chi è ricco pensa di cavarsela sempre. Ma Dio ha pronunciato il suo verdetto e l’ha giurato (4,2)70. Egli stesso interviene per colpire (3,14-15) sotto la veste del nemico che abbatte i palazzi (3,11) e deporta in esilio (4,2-3). Sono distrutte le case degli uomini (3,15), sono distrutti gli altari della «casa di Dio» (3,14); in una parola, viene annunciata la fine (l’esilio: 4,3) della casa di Giacobbe (3,13).
68
Cfr. Mic 6,10. Si potrebbe ritenere, proprio perché vengono nominati i «deboli» e i «poveri» (4,1), che i colpevoli appartengano a una classe ben definita, quella dei ricchi, rappresentati dalla metafora delle «vacche di Basan» (4,1). L’insieme della sequenza, tuttavia, sembra piuttosto parlare di un «sistema» nel quale l’insieme della città di Samaria (3,12) e tutto Israele (3,14) sono coinvolti, come se la logica dello sfruttamento dei poveri fosse un crimine comune alla totalità del popolo. 70 Dal punto di vista giuridico, si può vedere un certo crescendo nei tre passi della sequenza: nel primo (3,9-12) la convocazione dei rappresentanti delle nazioni straniere (Asdod ed Egitto) ha la funzione di dare la notitia criminis (cfr. l’importanza del verbo «vedere» in 3,9); nel secondo (3,13-15) si ha l’appello alla testimonianza (con il verbo tipico: ‘wd be in 3,13); nel terzo infine (4,1-3) viene pronunciata la sentenza (significata dal giuramento di 4,2). Quest’ultima diventa inevitabile proprio perché nessun elemento a discolpa e nessun elemento di pentimento inducono a sospendere il procedimento giudiziario. Si noti comunque che il verdetto è pronunciato (4,2), ma l’esecuzione della sentenza non è immediata (4,2b-3). 69
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7. Moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli d’Israele
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8 Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele Sequenza B3: 4,4-13
Questa sequenza comprende tre passi. Al centro un lungo passo (6-11) in cui ogni sottoparte termina con un segmento identico (6d.8c.9e.10e.11d); alle estremità due passi più brevi (4-5 e 12-13), che apparentemente non hanno molti punti in comune, almeno dal punto di vista formale. La delimitazione di questa sequenza non è dunque assicurata anzitutto da caratteristiche formali, da riprese lessicali cioè o da precise tematiche alle estremità, tali da fare chiaramente inclusione, come nel caso di altre sequenze, per esempio quella precedente o quella seguente. I limiti di questa unità sono forniti soprattutto da quelli delle due sequenze che la racchiudono. La costruzione della sequenza B2, infatti, è fortemente accentuata e lo stesso si deve dire della B4. Sul piano dei criteri interni di composizione bisogna però notare anzitutto l’equilibrio delle masse tra i tre passi della sequenza (due passi relativamente brevi che fanno da cornice a un passo nettamente più sviluppato), ma soprattutto il fatto che i due passi estremi si corrispondono a livello contenutistico, come si vedrà in seguito (anche se ciò non è confermato da convincenti ricorsi formali); i tre passi anzi sono uniti da una stessa tematica, sebbene questa non appaia a prima vista1. Invito ironico rivolto da Dio ai Figli d’Israele a moltiplicare le loro attività di culto Ricordo dei molteplici tentativi di Dio di far ritornare a lui il suo popolo con castighi di ogni specie Invito drammatico rivolto da Dio a Israele a incontrare il suo Dio in un ultimo castigo
1
4,4-5
4,6-11
4,12-13
La costruzione di questa sequenza è già stata riconosciuta da W.R. HARPER, «The Utterrances», 251s (cfr. Amos and Hosea, 90ss).
8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
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1. INVITO IRONICO A MOLTIPLICARE I SACRIFICI (4,4-5) TESTO VERSETTO 4
ribellatevi e ribellioni Queste due parole appartengono alla stessa radice della parola tradotta con «delitti» nei primi due capitoli: «Per tre delitti di... e per quattro...» (e anche in 3,14). In Is 1,28 e 1Re 12,19, fra altri esempi, esse esprimono piuttosto la ribellione, la rottura di un’alleanza. Galgala Mentre Betel2 è il santuario principale del regno del nord, dopo Geroboamo I (1Re 12,29), Galgala, situato tra Gerico e il Giordano, dai tempi della conquista costituiva il punto di incontro di tutte le tribù (Gs 4,19-24; 1Sam 11,15)3. Probabilmente questa funzione era ancora attiva ai tempi di Amos (cfr. anche Os 4,15; 9,15; 12,12). (ogni) mattino Letteralmente, «al mattino», il che potrebbe indicare il mattino successivo all’arrivo al santuario4, ma forse meglio «ogni mattino» (cfr. Ger 37,21; 1Cr 16,40)5. (ogni) terzo giorno Letteralmente, «il terzo giorno». Dato il modo abituale di computare, questa strana espressione può significare due giorni dopo l’arrivo al santuario. Sembra più probabile che si faccia allusione, ironicamente, alla decima triennale (cfr. Dt 14,28-29; 26,12-15)6: «la decima che dovete portare ogni tre anni, portatela
Su Betel, cfr. p. 93. Secondo H.-J. KRAUS, «Gilgal», a Galgala veniva in particolare celebrata la festa dell’esodo e della conquista. Si veda anche J. MAUCHLINE, «Gilead and Gilgal»; H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 52-54; Ph.J. KING, Amos, 40-41. 4 Wolff, 219. 5 Rosenmüller, 100. 6 Rosenmüller, 101. 2 3
Sequenza B3: 4,4-13
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dunque ogni tre giorni!»7. Il tema della moltiplicazione dei sacrifici è un luogo comune della critica profetica (Is 1,11; Ger 7,21; Mic 6,6-8)8. VERSETTO 5
pane fermentato in azione di grazie e offerte volontarie L’offerta di pane fermentato in sacrificio di lode è prescritta in Lv 7,13. Sulle offerte volontarie cfr. Es 35,29; Lv 22,18.21; Dt 12,6; 23,24; ecc. COMPOSIZIONE + 4 Venite + a Galgala
a Bet-El moltiplicate
e RIBELLATEVI, le RIBELLIONI:
················································································································
. fate-venire . (ogni) terzo
(ogni) mattino giorno
i vostri sacrifici le vostre decime
: 5 e bruciate : e proclamate
pane-fermentato le vostre offerte-volontarie,
in azione-di-grazie fate-udire,
··················································································
- poiché così - figli = oracolo
voi amate, di Israele, del Signore DIO!
Questo passo è formato da tre brani. Il primo (4ab), che comprende un solo bimembro, definisce come criminale — e quindi condanna — il pellegrinaggio e il culto di Betel e di Galgala; il segmento è caratterizzato da un parallelismo molto accentuato, con due parole della radice pš‘ come termini finali. Il secondo brano (4c-5b), che comprende due bimembri, enumera quattro azioni cultuali 9 compiute nei santuari; l’ultimo membro insiste per due volte (con «proclamate» e «fate udire») sulla pubblicità data alle «offerte volontarie» da parte di coloro che le portano. Il terzo brano (5cd), che comprende un solo bimembro, è la conclusione del passo: «così» (o «questo») di 5c rimanda a tutto ciò che precede, e il secondo membro (5d) è una formula abituale di conclusione di oracolo. I primi due brani (4-5b) sono contraddistinti da un elenco di sei imperativi («venite», «ribellatevi», «moltiplicate», «fate venire», «proclamate» e «fate 7
La stranezza dell’espressione di Am 4,4, oltre a certi paralleli ugaritici, hanno indotto H. CAZELLES, «La dîme», a postulare che il termine m’śr, significhi non «decima», ma «libazione»; l’analisi approfondita di N. AIROLDI, «La cosiddetta “decima”», porta a concludere che in epoca pre-esilica la m’śr fosse «un’offerta cultuale imbandita a YHWH e consumata alla sua presenza nella grande festività di Israele» (209). 8 Secondo W. BRUEGGEMANN, «Amos IV 4-13», 9-10, la menzione del «mattino» e del «terzo giorno» fa riferimento alla tradizione sinaitica (cfr. Es 19,11.16; 24,4; 34,2). 9 Questa enumerazione corrisponde a «moltiplicate» di 4b.
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8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
udire»), a cui bisogna aggiungere l’infinito tradotto con «bruciate», perché anch’esso ha valore di imperativo10; da notare inoltre i due verbi della stessa radice, «venite» (4a) e «fate venire»(4c), che fungono da termini iniziali11. INTERPRETAZIONE Il tono di questo passo è eminentemente ironico, anzi, sarcastico. Il Signore infatti non potrebbe incitare i Figli d’Israele a peccare. I numerosi imperativi non funzionano come altrettanti comandamenti, ma come una denuncia sferzante. Infatti, tutti gli atti cultuali, conformi alla Legge e sicuramente eseguiti con scrupolosità, in ossequio ai riti previsti, dal profeta sono qualificati come ribellioni, crimini, peccati contro Dio12. La prima caratteristica degli atti cultuali è la loro molteplicità: i Figli d’Israele non si accontentano di andare in pellegrinaggio, e in pellegrinaggio in diversi santuari, ma vi «moltiplicano» le cerimonie. I riti compiuti sono molteplici per la loro diversità (sacrifici, decime, offerte di vegetali13, offerte votive), molteplici anche per il loro numero (i termini che designano le pratiche cultuali sono praticamente tutti al plurale). L’abbondanza dei sacrifici è segno di generosità, ma probabilmente ancor più di prosperità. Tanto che ci si può domandare da dove provengano tutte queste ricchezze. Il nostro testo non lo dice esplicitamente, ma lo suppone, dato il contesto prossimo, quello delle sequenze che racchiudono la sequenza B3, e quello remoto dell’insieme del libro di Amos: moltiplicare le offerte equivale in un certo qual modo a moltiplicare gli atti di ingiustizia verso i poveri, dato che la grande ricchezza proviene dallo sfruttamento dei più deboli. La decima sarà tanto più consistente quanto più abbondanti saranno stati i profitti; e la generosità delle offerte volontarie sarà proporzionata ai propri ricavi. Il culto dunque ancora una volta diventa un modo di «consacrare» l’ingiustizia; si pretende infatti di «giustificarsi» sacrificando una parte di ciò che si è rubato. L’offerta consiste non solo nel sacrificare una parte di ciò che si ha, ma anche nel consacrarla a Dio: il sacrificio è offerto al Signore per onorarlo, per significare la sua sublime santità, per riconoscere che è Lui che ha dato quanto si 10 Cfr. Joüon, § 123u.x; A. RUBINSTEIN, «A Finite Verb». Secondo D.N. FREEDMAN, «Deliberate Deviation», in un settenario la quinta formula è leggermente differente dalle altre sei (cfr. p. 48, nota 1). 11 È forse possibile considerare che «Bet-El» e «Isra-El(e)» fungano da termini estremi, non solo a motivo della loro assonanza, non solo perché sono nomi teofori, ma soprattutto perché Betel è il santuario specifico di Israele (1Re 12,28-29). Si può riconoscere anche un rapporto di opposizione tra «ribellioni» (4ab) e «figli» (5d) (cfr. Is 1,2: «ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me»). 12 H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 54-58, tenta di provare che i riti praticati dagli Israeliti erano rivolti non a YHWH, ma a divinità pagane. Questa interpretazione sembra inesatta, non fondata sul testo di Amos; essa non mette in risalto il carattere distorto della religiosità degli Israeliti, nei confronti della quale Amos adotta un discorso ironico. 13 D. EDELMAN, «The Meaning of Qittēr», mostra che il verbo qṭr (piel) designa l’atto di bruciare l’offerta vegetale sull’altare in un rito sacrificale.
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possiede. La ripetuta scansione dei pronomi possessivi («i vostri sacrifici», «le vostre decime», «le vostre offerte volontarie») e l’insistenza posta sulla pubblicità data all’atto compiuto («proclamate», «fate udire») indicano chiaramente che i Figli d’Israele non cercano la gloria di Dio, ma il proprio autocompiacimento, la propria gloria: «Fatele udire, poiché così voi amate, Figli d’Israele!»14.
2. RICORDO DEI CASTIGHI PASSATI (4,6-11) Questo passo comprende cinque unità (6; 7-8; 9; 10; 11) fortemente contraddistinte da termini finali identici. Le prime due, di cui più avanti si vedranno le somiglianze, sono da considerare come le due sottoparti della prima parte; similmente, le ultime due unità formano le due sottoparti dell’ultima parte. La terza unità (9) forma la parte centrale del passo. LA PRIMA PARTE (6-8) TESTO 6
Ma proprio io vi ho dato pulizia di denti in tutte le vostre città e penuria di pane in tutti i vostri siti: e non siete tornati da me, oracolo del Signore. 7 Ma proprio io, vi ho sottratto la pioggia fino a tre mesi dalla mietitura; e facevo piovere su una città e su un’altra città non facevo piovere; su un campo pioveva e il campo sul quale non pioveva pativa siccità; 8 ed erravano due o tre città verso un’altra città per bere acqua, ma non erano saziate: e non siete tornati da me, oracolo del Signore. VERSETTO 6
pulizia di denti Traduzione letterale; l’espressione significa che la popolazione non avrà niente da mangiare a causa della carestia. VERSETTO 7
fino a tre mesi dalla mietitura Cioè durante i tre mesi che precedono la mietitura15 (che si fa in maggio – giugno). L’assenza totale di pioggia durante questo periodo ha per risultato che «il campo patisca siccità» (7f).
14
Rudolph, 177, fa notare che tutte le «offerte» sono commestibili: il culto a Dio si trasforma in un lauto banchetto, ed è proprio questo che amano gli Israeliti. 15 Rosenmüller, 105.
8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
160 VERSETTO 8
ed erravano due o tre città verso un’altra città Le città senza acqua (7d) cercano approvvigionamento presso quelle che hanno beneficiato della pioggia (7c), ma il fabbisogno non è soddisfatto (8b). Il verbo «errare» (cfr. 8,12; 9,9) indica un movimento incerto, senza uno scopo preciso16: la ricerca si dimostra dunque vana (cfr. Sal 59,16; 109,10; Lam 4,14-15)17. COMPOSIZIONE + 6 MA PROPRIO IO HO DATO : pulizia : e penuria
A VOI
di denti di PANE E NON SIETE TORNATI DA ME,
in tutte le vostre CITTÀ in tutti i vostri siti: oracolo del SIGNORE.
+ 7 MA PROPRIO IO HO SOTTRATTO A VOI la pioggia + proprio tre mesi dalla mietitura; – e facevo piovere – e su un’altra CITTÀ
su una CITTÀ non facevo piovere ;
·································································································
: su un campo : e il campo
sul quale non pioveva
– 8 ed erravano due o tre CITTÀ – per bere ACQUA, E NON SIETE TORNATI DA ME,
pioveva pativa-siccità; verso un’(altra) CITTÀ ma non erano saziate: oracolo del SIGNORE.
La prima sottoparte (6) comprende un trimembro, con gli ultimi due membri paralleli termine a termine, seguito da un bimembro conclusivo (6d). La seconda sottoparte (7-8) è nettamente più lunga: quattro bimembri precedono il bimembro conclusivo (8c). Questi quattro segmenti si organizzano in due brani paralleli: 7ab e 7ef infatti riguardano la campagna, mentre 7cd e 8ab riguardano le città (la parola ricorre due volte in ogni segmento). Così il primo brano (7a-d) riporta l’azione di Dio sulle campagne e poi sulle città, mentre il secondo brano (7e-8b) descrive il risultato di queste azioni sulle campagne e poi sulle città. D’altronde i due segmenti centrali (7cd,7ef) sono accomunati dal fatto 16
Questo è provocato dall’incertezza sul luogo dove recarsi o forse dal panico. Non sembra che Amos descriva, come pensa Paul, 145, un movimento a zigzag prodotto dalla disidratazione. 17 Ciò rappresenta il realizzarsi di una maledizione: cfr. Lv 26,26; Dt 28,30-31.38-40; Os 4,10; 5,6; 9,12; Am 5,11; ecc. Il tema è presente nei trattati di alleanza: D.R. HILLERS, Treaty Curses, 28-29.
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161
di distinguere tra coloro che ricevono acqua e coloro che ne sono privi. Le due ricorrenze di «tre» (7b e 8a) formano un’inclusione per i primi due brani (7-8b). Le due sottoparti 6 e 7-8 sono unite tra loro dai termini iniziali «Ma proprio io»18 a cui segue l’opposizione «vi ho dato» – «vi ho sottratto» (6a e 7a), dalla ricorrenza di «città» (6b e 7cd.8a)19 e dai lessemi complementari «pane» e «acqua» (cfr. Is 3,1), proprio prima del segmento conclusivo (6c e 8b); da notare inoltre che «non erano saziate» di 8b forma un’inclusione con «pulizia di denti» di 6b. Mentre nella prima sottoparte sono tutti («tutte» in 6bc) affamati, nella seconda si ha sia «una città» su due (7cd) sia «un campo» su due (7ef) che sono privi di pioggia, sia due o tre contro uno (8). LA SECONDA PARTE (9) TESTO 9
Vi ho colpito con la ruggine e il carbonchio; i vostri numerosi giardini e le vostre vigne, e i vostri fichi e i vostri olivi li ha mangiati la cavalletta: e non siete tornati da me, oracolo del Signore. VERSETTO 9
giardini e vigne Le due parole designano cose molto simili: si tratta di un luogo recintato, in prossimità delle abitazioni, nel quale sono compresenti diverse coltivazioni, tra cui la vigna (1Re 21,2). la ruggine e il carbonchio La «ruggine» è un inaridirsi delle spighe causato dai venti orientali, caldi e secchi. Il «carbonchio» è una malattia dei cereali, che negli elenchi di maledizioni viene associata alla ruggine (Dt 28,22; Ag 2,17) e alle «cavallette» (1Re 8,37 = 2Cr 6,28, dove abbiamo una terminologia sinonimica). Queste malattie però non attaccano solo i cereali, ma anche altre piante. la cavalletta Il senso di questa parola non è sicuro; può significare anche «il bruco».
C’è una leggera variazione tra le due espressioni: 4,6: wegam ’ănî, e 4,7: wegam ’ānōkî. La stessa opposizione complementare tra città e campagna, che è chiara nella seconda sottoparte, si ritrova probabilmente anche nella prima: il termine che, in 6c, è messo in parallelo con «città» (6b) e che è stato tradotto con «siti» indica probabilmente sia i villaggi sia le campagne. 18 19
8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
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COMPOSIZIONE + 9 VI HO COLPITO = i vostri numerosi
con la ruggine giardini
e il carbonchio; e le vostre vigne,
= e i vostri + LI HA MANGIATI
fichi la cavalletta:
e i vostri
E NON SIETE TORNATI DA ME,
olivi
oracolo del SIGNORE.
Questa parte è più breve delle altre due: prima della formula conclusiva (9e) ci sono due segmenti bimembri, il primo a sei termini (9ab) e il secondo a quattro termini (9cd); questi due segmenti sono costruiti chiasticamente, oggetti al centro (9bc), verbi e calamità alle estremità (9a e d). LA TERZA PARTE (10-11) TESTO VERSETTO 10
la peste O in senso più ampio «l’epidemia». La parola si trova spesso in parallelo complementare con «la spada» (Lv 26,25; Ger 21,7.9). al modo di Egitto20 Questa espressione rimanda alla quinta piaga d’Egitto (Es 9,3), che consiste in una «peste assai grave» abbattutasi sul bestiame. Questo male diventa emblematico del castigo divino (cfr. Dt 28,27). con la cattura dei vostri cavalli Il sostantivo šebî è in genere usato per indicare lo stato di «cattività», la condizione di prigionia di chi è stato vinto; per questa ragione equivale spesso alla deportazione e all’esilio. All’infuori di Am 4,10 non esistono altri casi in cui questo termine sia applicato ad animali (il verbo šbh, = «fare prigioniero», «portare via», è però usato per il bestiame in Es 22,9). Il distico è peraltro ben costruito: da una parte, «giovani» e «cavalli» rappresentano l’élite dell’esercito; dall’altra, «spada» e «cattura» costituiscono una coppia frequentemente utilizzata per indicare la disfatta militare (Dt 32,42; Ger 15,2; 43,11; Ez 30,17; Am 9,4; Dn 11,33; Esd 9,7; ecc.).
20
Così Rosenmüller, 110-111, che cita le espressioni simili di Is 10,24.26 ed Ez 20,30.
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alle vostre narici Letteralmente, «e alle vostre narici»21; il TM è leggermente corretto, sulla base della LXX22. VERSETTO 11
come Dio ha sconvolto Sodoma e Gomorra Questo paragone, che rimanda a Gen 19,23-25, indica sempre una distruzione totale: Dt 29,22; Is 13,19; Ger 49,18; 50,40; Sof 2,9. L’espressione di Amos si ritrova identica in Is 13,9 e Ger 50,40; ciò sembra dimostrare che si tratti di una frase fatta, di un detto proverbiale. Os 11,8, con identica funzione, evoca il nome di Admà e Zeboìm; e Dt 29,22 elenca tutte e quattro le città per parlare del disastro di un paese diventato «zolfo, sale, arsura». un tizzone strappato all’incendio Come lo furono Lot e la sua famiglia (Gen 19,12-16). Un’espressione simile si ritrova in Zc 3,2. COMPOSIZIONE + 10 HO inviato
CONTRO DI VOI la peste al modo di EGITTO
– e ho ucciso di spada – con la cattura + e ho fatto salire
la puzza
i vostri giovani dei vostri cavalli dei vostri accampamenti
alle vostre narici:
······················································································ E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE.
+ 11 HO sconvolto + come Dio : e foste
PRESSO DI VOI ha sconvolto SODOMA come un tizzone strappato
e GOMORRA all’incendio:
······················································································ E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE.
Come la prima parte, anche l’ultima (10-11) comprende due sottoparti. La prima sottoparte (10) è formata da due brani; il primo è un insieme concentrico di tre segmenti, unimembri alle estremità (10°.10d, entrambi riguardanti lo 21
Si può pensare a un waw pleonastico (cfr. M.H. POPE, «“Pleonastic” waw»). Rudolph, 171, pensa che si tratti semplicemente di un errore di trascrizione. 22 Il fetore manifesta la corruzione e quindi la morte: cfr., a proposito delle piaghe d’Egitto, Es 7,18.21 (moria di pesci nel Nilo); 8,10 (moria di rane); e nei testi profetici di annuncio di sventura, Is 34,3 (morte di uomini); 50,2 (moria di pesci); Gl 2,20 (morte di uomini).
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8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
stesso flagello della peste che ammorba gli accampamenti), bimembro al centro (10bc che descrive la sventura della guerra); il secondo brano è il solito segmento bimembro di conclusione (10e). La seconda sottoparte (11) inizia con un trimembro del tipo AA’B (11abc); il secondo membro riprende sotto forma sostantivata (lett.: «di uno sconvolgimento di Dio») il verbo, con cui inizia il primo segmento. Le due sottoparti sono legate tra loro dalla ripresa, nei primi membri, dello stesso bākem (tradotto prima con «contro di voi», poi con «presso di voi»), preceduto da un verbo di identica forma (10a e 11a) e seguito da «al modo di Egitto» e «come... Sodoma e Gomorra» (10a e 11b), stilemi questi ultimi che sottolineano come la disgrazia che colpiva Israele era simile a quelle che si erano abbattute sulle nazioni ribelli. L’INSIEME DEL PASSO (4,6-11) COMPOSIZIONE Mentre nella prima parte (6-8) si tratta solo di mancanza di pane e di acqua, nell’ultima parte invece (10-11) si tratta della morte, a causa della peste, della guerra e del fuoco dal cielo; c’è dunque un netto crescendo della punizione, fino alla catastrofe finale, evidenziata dalla distruzione totale e definitiva di Sodoma e Gomorra23. Nella seconda sottoparte di ogni parte (7-8 e 11) si ritrova ugualmente il tema del resto: infatti 11c presenta Israele come un tizzone salvato dal fuoco, il che evoca le città scampate alla siccità in 7c-f24. La parte centrale (9) funge da transizione tra le due altre parti25. I flagelli, che qui vengono enunciati, provocheranno la carestia e la fame, come nella prima 23 Rudolph, 180, pensa che il testo di Am 4,14 faccia allusione a un terremoto e non a un evento bellico; noi, al contrario, riteniamo che il riferimento alla catastrofe di Sodoma e Gomorra indichi la gravità della punizione, senza peraltro escludere che il disastro possa essere la conseguenza di una disfatta militare. 24 Da notare la complementarietà tra l’acqua (siccità) e il fuoco (incendio). 25 In una composizione concentrica l’elemento centrale — come fosse un perno o una chiave di volta — riveste sempre una grande importanza semantica, anche se ciò non è sempre evidente a prima vista; ciò non impedisce affatto che al tempo stesso possa esserci un crescendo tra l’inizio e la fine del testo. Ciò si verifica, per esempio, nel vangelo di Luca, dove la progressione narrativa, che ha il suo culmine nei racconti finali della risurrezione, non impedisce che le due sequenze centrali (9,1-50 e 9,51–10,42) abbiano un ruolo di primissimo piano nella costruzione del vangelo e forniscano così una chiave di lettura essenziale per la sua interpretazione (cfr. R. MEYNET, Il vangelo secondo Luca). Lo stesso si verifica nel presente passo di Amos che enumera una serie di punizioni in crescendo, dalla carestia fino a una catastrofe simile a quella di Sodoma e Gomorra. Bisogna tuttavia notare che è al centro che si menzionano le «vigne» colpite «dalla ruggine e dal carbonchio»; orbene, il tema del vino (insieme a quello del palazzo) è usato da Amos per denunciare il culmine del peccato di Israele, che è la festosa celebrazione dell’ingiustizia (cfr. 2,8.12; 4,1; 6,6). Ecco allora che si rivela la giusta punizione: come i palazzi sono abbattuti, così anche la vigna è colpita, e la festa interrotta (4,9; 5,11.17). Nell’oracolo finale di Amos (9,11-15) si annuncia che la città verrà ricostruita, le vigne (e i giardini) saranno ripiantati (la stessa coppia di 4,9), di nuovo si berrà il vino (9,14), la cui abbondanza sarà il sigillo dell’evento escatologico
Sequenza B3: 4,4-13
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sottoparte della prima parte («pane» in 6 e «mangiare» in 9); queste calamità possono d’altronde preludere a quelle che seguiranno immediatamente: come la peste, la ruggine e il carbonchio sono malattie, mentre le cavallette sono degli invasori che saccheggiano come gli eserciti stranieri che uccidono e devastano in 10bc; da notare anche il rapporto tra «colpire» (9), che è un termine militare, e «spada» (10). Infine, bisogna ricordare che ognuna delle cinque unità del passo termina con lo stesso ritornello26 (6d.8c.9e.10e.11d). : 6 Ma proprio io vi ho dato - pulizia di denti in tutte le vostre città - e penuria di pane in tutti i vostri siti: E NON SIETE TORNATI DA ME,
oracolo del SIGNORE.
7
: Ma proprio io vi ho sottratto : la pioggia fino a tre mesi dalla mietitura; + E FACEVO PIOVERE SU UNA CITTÀ . e su un’altra città non facevo piovere; + SU UN CAMPO PIOVEVA . e il campo sul quale non pioveva pativa-siccità; : 8 ed erravano due o tre città verso un’(altra) città : per bere acqua, ma non erano saziate: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. : 9 Ho colpito voi con la ruggine e il carbonchio; - la moltitudine dei vostri giardini e le vostre vigne, - e i vostri fichi e i vostri olivi : li mangia la cavalletta: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. : 10 Ho inviato contro di voi la peste al modo di Egitto - e ho ucciso di spada i vostri giovani - con la cattura dei vostri cavalli : e ho fatto salire la puzza dei vostri accampamenti alle vostre narici: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. : 11 Ho causato-sconvolgimenti presso di voi : come Dio ha sconvolto Sodoma e Gomorra + E FOSTE COME UN TIZZONE STRAPPATO ALL’INCENDIO: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE.
(9,13). Case e vigne sono il segno del possesso stabile della terra di Canaan; questo dono divino, divenuto per Israele una trappola, proprio questo il Signore distrugge per indurre il popolo a ritornare da lui. Su questo tema, cfr. J. DÖLLER, «Der Wein». 26 Cfr. W.P. BROWN, «The So-Called Refrain», specialmente 435-436: l’autore afferma che il ritornello non solo unifica le diverse parti, ma assicura anche la transizione al tema del giudizio (4,12).
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8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
CONTESTO I commentatori27 hanno evidenziato i legami di questo passo (4,6-11) con altri elenchi di castighi nella Bibbia: – le piaghe d’Egitto in Es 7–12, che terminano con la morte dei primogeniti; – gli annunci di punizione alla fine del Codice di Santità in Lv 26,14-39, concatenati in una accumulazione progressiva (come nella serie di Amos): «Se nemmeno dopo questo mi ascolterete, io vi castigherò sette volte di più...» (Lv 26,18); «Se nonostante questi castighi non vorrete correggervi per tornare a me, ma vi opporrete a me, anch’io mi opporrò a voi...» (Lv 26,23-24), ecc.; – le maledizioni di Dt 28,15-4628; – infine, la preghiera di intercessione di Salomone in 1Re 8,30-37 (= 2Cr 6,2131). Questo ultimo testo è senz’altro il più pertinente per comprendere l’insieme della sequenza B3: nella sua preghiera, infatti, Salomone domanda che ogni volta che una calamità cadrà sui Figli d’Israele a causa del loro peccato, il Signore perdoni loro, perché, «ritornati a Lui», essi lo supplicano nel suo Tempio (1Re 8,33.35). In Am 4,4-5 (e indirettamente anche in 4,12-13) vediamo che gli Israeliti si recano al Santuario, probabilmente per invocare da Dio la fine delle calamità descritte in 4,6-11. INTERPRETAZIONE Questo lungo passo forma una serie molto bene strutturata di cinque oracoli che hanno in comune il ricordare castighi inflitti da Dio a Israele: infatti il Signore si presenta all’inizio di ogni oracolo come l’esecutore di una sanzione, e ogni volta questa sanzione è applicata allo stesso colpevole, i «Figli d’Israele», di cui si parla alla fine del passo precedente (4,5). Ma questo oracolo molteplice si distingue nettamente dagli altri oracoli di Amos che parlano di punizione: mentre altrove abbiamo delle minacce per il futuro, i castighi di cui si tratta qui sono già attuati e vengono ricordati come fatti passati. Mentre altrove le minacce di sanzione hanno spesso la funzione di invitare alla conversione, qui è esplicitamente detto che i castighi passati hanno fallito il loro scopo e non hanno indotto Israele a tornare dal suo Dio29. Considerato fuori dal suo contesto, questo passo potrebbe sembrare strano: poiché nessuna delle molteplici punizioni inflitte da Dio è motivata dalla denuncia di un crimine, si potrebbe avere l’impressione che Dio castiga arbitrariamente. L’accusa però non è assente, anzi: agli Israeliti si rimprovera di non avere capito la lezione di così tante sventure, di non avere colto che si trattava di 27
Cfr. Wolff, 213. Cfr. Wolff, 213-214. Il rapporto tra Am 4,6-11 e le maledizioni dell’alleanza è stato evidenziato in particolare da H. REVENTLOW, Das Amt des Propheten bei Amos, 75-90, specialmente 82-87, e da F.Ch. FENSHAM, «Common Trends». 29 Il motivo è ripreso in Is 9,12 e Ag 2,17: Dio colpisce, ma il popolo non mostra alcun pentimento e così vanifica l’azione divina. 28
Sequenza B3: 4,4-13
167
punizioni attuate da Dio affinché si convertissero, o nel caso in cui avessero capito, di non averne tenuto conto. La denuncia è sottolineata dalla ripetizione del medesimo ritornello, «e non siete tornati da me», che evidenzia l’identità della cattiva condotta di Israele pur nel variare delle lezioni che gli sono state impartite, e pur nella loro spaventevole progressione: sebbene Dio avesse colpito ogni volta più forte, la lezione non è stata compresa meglio. Il peccato di Israele è contraddistinto dall’ostinazione nel male e dal rifiuto di ascoltare. Il tema del resto30 (7-8 e 11), che appare subito dopo l’annuncio di un castigo irreversibile implicante la totalità (6 e 10), non suggerisce un provvedimento ulteriore nell’intento di moderare una prima punizione troppo severa; al contrario, esso evidenzia e ribadisce la gravità della pena. Come le due zampe e il pezzo d’orecchio d’una pecora, come la gamba del letto o una coperta del divano (3,12), il minuscolo resto ha come prima funzione quella di attestare e rivelare ciò che è avvenuto: infatti, se non rimanesse assolutamente niente e nessuno, non si potrebbe misurare l’estensione della catastrofe; mentre invece di fronte a miserabili rovine, materiali o umane, tutti potranno constatare che è capitato un disastro31. Dire di qualcuno che ormai gli restano gli occhi per piangere, non vuole dire che egli, malgrado tutto, conserva pur sempre qualcosa, ma che la sua disgrazia è estrema. Se il resto è veramente infimo, come un miserabile tizzone strappato all’incendio, ciò indica non solo la gravità della punizione ma soprattutto che solo Dio poteva esserne l’autore; la catastrofe subita da Israele non poteva essere un semplice incidente storico, ma doveva chiaramente apparire come la punizione severa di un peccato particolarmente grave.
3. INVITO DRAMMATICO A INCONTRARE DIO (4,12-13) TESTO 12
Perciò così farò a te, Israele; poiché questo devo fare a te: preparati a incontrare il tuo Dio, Israele; 13 infatti ecco colui che plasma le montagne e crea il vento e manifesta all’uomo quale è il suo pensiero, che fa dell’aurora oscurità e cammina sulle alture della terra32, Signore Dio degli eserciti è il suo nome!
30 Il tema del resto è chiaramente espresso nelle parti estreme del passo; potrebbe essere ritrovato in qualche modo anche al centro (4,9) se, come suggerisce D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 657, (seguendo in ciò un’interpretazione di Yefer ben Eli), si traduce «la maggior parte dei vostri giardini», intendendo che «la maggior parte di essi sono stati distrutti e solo alcuni sono stati salvati». 31 Cfr. G. PFEIFER, «“Rettung”». 32 Su questa espressione, cfr. J.L. CRENSHAW, «Wedōrēk»: passando in rassegna tutti i casi in cui ricorre l’espressione «camminare sulle alture della terra» (oltre ad Am 4,13, Mic 1,3; Dt 32,13; 33,29; Gb 9,8; Ab 3,15.19; Is 58,14; 63,3; Lam 1,15; e anche Sir 9,2 e 46,9); questo autore esclude la connotazione mitologica e preferisce un’interpretazione metaforica (di vittoria). Mentre U. DEVESCOVI, «Camminare sulle alture», vi vede l’indicazione generica della sovranità e dell’im-
8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
168 VERSETTO 12
perciò così farò La formulazione di questo versetto non è chiara: ciò dipende dal fatto che la minaccia divina rimane generale («farò a te») e la stessa proposizione viene ripetuta in termini quasi identici: Lett.:
Perciò poiché
così farò questo farò
a te, Israele; a te...
L’interpretazione abituale vede nella prima proposizione l’annuncio di una sanzione definitiva, motivata dal rifiuto della conversione di cui parlano i versetti precedenti, e nella seconda proposizione la giustificazione dell’imperativo che segue («preparati»). È possibile rilevare una sfumatura modale nel secondo «farò» e tradurre: «poiché questo devo fare a te», «poiché così devo agire verso di te»33. VERSETTO 13
quale è il suo pensiero La parola ebraica śēaḥ è un hapax, assimilato, quanto al significato, alla forma piuttosto frequente śîaḥ34. fa dell’aurora oscurità L’espressione ebraica è ambigua: letteralmente, «che fa aurora oscurità». La TOB traduce: «che dalle tenebre produce l’aurora»; la LXX aveva interpretato: «che fa aurora e tenebra». Noi seguiamo la posizione della BJ e di Dhorme, così da sottolineare il carattere minaccioso della teofania divina, come in 5,8: «e il giorno in notte ottenebra».
mensità di Dio, CRENSHAW, «Wedōrēk», 43 e Wolff, 224, pensano che Amos alluda alla conquista dei santuari cananei (situati sulle «alture») e dunque al trionfo di YHWH sulle divinità pagane. 33 Rudolph, 171, giudicando che il TM presenti una banale ripetizione della stessa idea, suggerisce (basandosi sul Targum) di correggere in: «poiché tu hai fatto questo a te, preparati...»; la proposta manca di fondamento. 34 Così Wolff, 223-224 (che stabilisce un rapporto con 3,7); Soggin, 107; Andersen – Freedman, 456. H.-P. MÜLLER, «Die hebräische Wurzel», 369, rileva l’anomalia della parola sia per le consonanti che per la vocalizzazione e dice che l’idea di una comunicazione divina è estranea a un inno cosmologico. Tuttavia — e questa è la nostra opinione —, se la radice ebraica esprime spesso una comunicazione sapienziale (cfr. Pr 6,22; Is 53,8; Sal 77,4.7; e anche Sir 6,35; 8,8; 32,4; 44,4), non è impensabile che Amos la utilizzi per indicare la deliberazione e la conseguente sentenza del Dio giudice di tutta la terra (in sintonia con l’inno teofanico che prelude al giudizio). Ci scostiamo quindi da D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 657-660, il quale ritiene (seguendo Rudolph, 181-182) che Amos parli dei pensieri inespressi dell’uomo, cioè di ciò che si cela dietro il comportamento ostinato di Israele.
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COMPOSIZIONE Questo passo comprende due parti parallele tra loro. La prima parte (12) è un trimembro del tipo AA’B: nei due primi membri, che cominciano con una congiunzione («perciò» e «poiché»), Dio annuncia ciò che «farà»; il terzo membro indica quanto il destinatario è chiamato a fare, tenuto conto di ciò che Dio si appresta a compiere; i membri estremi terminano con la stessa apostrofe, «Israele», che così forma un’inclusione per questa prima parte. La seconda parte (13) comprende due brani. Il primo brano (13a-e) enumera in tre segmenti — bimembri alle estremità e unimembro al centro — cinque azioni di Dio, espresse con il participio. «Montagne» e «alture» si corrispondono nei membri estremi; «plasma» (13a), «crea» (13b) e «fa» (13d) sono sinonimi. Il segmento centrale (13c) si distingue dagli altri quattro, poiché è il solo a mettere in scena «l’uomo». Il secondo brano (13f) è un unimembro dove è finalmente nominato colui le cui azioni sono state descritte nel primo brano. Il verbo «fare» è ripreso nelle prime unità di ogni parte (12a.b e 13d), il nome di «Dio» nelle seconde unità (12c e 13f). Lo stesso movimento è ripreso nelle due parti: azioni di Dio (12ab e 13a-e), tramite cui Egli si rivelerà (12c e 13f). Le due parti iniziano con una congiunzione, che indica una relazione di causalità («perciò così» e «infatti ecco»). Mentre nella prima parte Dio si rivolge a «Israele» alla prima persona, la seconda parte è tutta alla terza persona e si indirizza all’«uomo» in genere (13c). + 12 PERCIÒ + poiché = preparati
così questo devo a incontrare
+ 13 INFATTI ecco colui che plasma + e colui che crea :e + + e
FARÒ a te, FARE E a te:
Israele;
il tuo o Dio,
Israele.
le montagne il vento
che manifesta
all’uomo
quale è il suo pensiero,
colui che fa colui che cammina
(del)l’aurora oscurità sulle alture della terra,
··········································································································· = SIGNORE E Dio degli eserciti è il suo nome!
CONTESTO Nel libro di Amos esistono tre brevi testi, dalla critica contemporanea chiamati talvolta «dossologie» o considerati frammenti innici: 4,13; 5,8-9; 9,5-635. 35 Tra i numerosissimi studi sull’argomento segnaliamo: J. JEREMIAS, Theophanie; G. von RAD, «Gerichtsdoxologie»; W. BERG, Die sogenannten Hymnenfragmente; J.L. CRENSHAW, Hymnic Affirmation; S. BERGLER, Die hymnischen Passagen; C.I.K. STORY, «Amos – Prophet of Praise»; T.E. McCOMISKEY, «The Hymnic Elements»; K. EBERLEIN, Gott der Schöpfer, 229-236;
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8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
La loro interpretazione presenta dei problemi, per il fatto che non si capisce la loro funzione nel contesto in cui si trovano: in genere essi vengono ascritti al genere letterario dell’inno, il che sembra strano in oracoli di condanna. Diversi autori ritengono che tali versetti siano stati introdotti secondariamente, a scopo liturgico. Di fatto essi appaiono come delle meteoriti, poiché sono inseriti in modo maldestro nel loro contesto attuale36; spesso perciò si propone di trasporli, oppure di raggrupparli allo scopo di ricostruire l’inno primitivo, i cui frammenti sarebbero stati disseminati in diverse parti del libro37. Se si suppone che Amos abbia profetizzato in un contesto liturgico38 (si pensi al racconto di 7,10-17, in cui Amos viene cacciato dal santuario di Betel, e anche alle altre menzioni o allusioni al tempio, che si susseguono nel corso del libro, e specificatamente nel primo passo della nostra sequenza B3, in 4,4-5), si può ragionevolmente dedurre che il profeta abbia udito spesso cantare degli inni in onore del Signore e della sua gloria. Non è dunque impensabile che Amos stesso abbia scritto questi testi39, imitando o addirittura parodiando degli inni liturgici40 (si ritrova un fenomeno analogo in Gb 5,9-16; 9,5-10)41; il suo intento non era infatti di sposarne l’aspetto celebrativo, bensì di farne un momento della procedura forense (anche Gb 7,1819 opera uno slittamento analogo, alterando il Sal 8 in senso «giudiziario»)42. Infine, bisogna sottolineare che questi supposti «frammenti innici» — o queste cosiddette «dossologie» — nella composizione del testo occupano delle posizioni assolutamente privilegiate43: nella sequenza B3 (in 4,13) l’inno adempie chiaramente alla funzione retorica di conclusione; nella sequenza B4 W.R. HERMAN, «The Kingship»; M. LATTKE, Hymnus. Cfr. anche gli studi citati nelle note seguenti. 36 In proposito, tipico è quanto scrive B. DUHM, «Anmerkungen», 7, su Am 4,13: «(Si tratta di) un frammento appartenente a un poema recente, di cui sono state conservate altre righe in 5,8.9 e 9,5.6 (8,8), e che originariamente doveva essere stato scritto tra le righe completate solo a metà del vecchio manoscritto. È connesso con il versetto 12 (testo autentico) mediante una transizione artificiosa e maldestra». 37 Cfr. F. HORST, «Die Doxologien»; A. VACCARI, «Hymnus propheticus» (che ai tre testi di Amos aggiunge Ger 10,12-13 e 31,35); G.J. BOTTERWECK, «Zur Authentizität»; F. CRÜSEMANN, «Studien». 38 Cfr. A. BENTZEN, «The Ritual Background»; E. WÜRTHWEIN, «Amos-Studien»; cfr. anche A.S. KAPELRUD, Central Ideas in Amos, 81; H. REVENTLOW, Das Amt. 39 A questa conclusione giungono C.I.K. STORY, «Amos – Prophet of Praise»; G. PFEIFER, «Jahwe». 40 Cfr. H. GOTTLIEB, «Amos und Jerusalem», specialmente 432-437; e più in generale (per quanto riguarda l’adozione di tradizioni cultuali), G. FARR, «The Language of Amos». 41 Cfr. J.L. CRENSHAW, «The Influence». 42 F. FORESTI, «Funzione semantica», 175-180, ritiene che gli inni di Amos abbiano echi significativi soprattutto nel Deutero-Isaia, in Gb 9 e 12 e nel Sal 104; la loro funzione è quella di annunciare una teofania punitiva. Anche J.L. CRENSHAW, «Amos and the Theophanic Tradition», pensa che Amos abbia distorto il materiale tradizionale della teofania, usandolo per il giudizio di Israele. 43 K. KOCH, «Die Rolle», mostra il rapporto tra questi «frammenti» e il contesto in cui sono inseriti.
Sequenza B3: 4,4-13
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(5,8-9) si trova a occupare il centro di questa unità letteraria (che è anche il centro del libro); e pure nella sequenza C4 (9,5-6), cioè l’ultima sequenza di minaccia, l’inno è posto nel cuore della costruzione. La posizione strategica di questi «inni» indica dunque che l’autore — o il redattore — attribuisce loro un’importanza decisiva quali momenti particolarmente rivelatori di Dio: è proprio qui infatti che il suo «nome» e i suoi titoli vengono proclamati. INTERPRETAZIONE Il Dio che si manifesterà a Israele è il creatore44 onnipotente, il sovrano dell’universo, che plasma le montagne e il vento, forze queste che sovrastano l’uomo e sfuggono al suo controllo45. È un Dio attivo che produce qualcosa di radicale, in relazione con l’origine46. Il Dio creatore, che Israele deve apprestarsi a incontrare47, è il giudice supremo. «Colui che cammina sulle alture della terra» viene a giudicare il mondo 48. Il «fare» di Dio non si riferisce solo alla creazione, ma consiste altresì in un atto di giustizia; l’azione prima e originaria di Dio ha per oggetto «le montagne e il vento», la seconda concerne Israele: Dio agirà verso il suo popolo come il Dio della creazione, cioè come una forza irresistibile — il Dio degli eserciti —, alla quale tutto deve sottomettersi. Ci sarà un «incontro» (12c); e Israele è invitato a prepararsi perché sarà qualcosa di decisivo49. Come al Sinai il popolo aveva dovuto predisporsi per la teofania di YHWH50, così Israele è chiamato oggi ad assistere a una manifestazione divina. L’incontro con il suo Dio (12c) equivale a una rivelazione del disegno che il creatore forma per ogni uomo (13c). Il passo nel suo insieme 44
Il testo di Am 4,13 sarebbe la prima attestazione letteraria biblica del concetto di creazione; in proposito cfr. i recenti studi di A. ANGERSTORFER, Der Schöpfergott, specialmente 66-75; K. EBERLEIN, Gott der Schöpfer, specialmente 229-236; Th.J. FINLEY, «Dimensions»; W. HERRMANN, « Wann wurde Jahwe», specialmente 168-169; H.-J. ZOBEL, «Das Schöpfungshandeln Jahwes». 45 Wolff, 223. Dal canto suo, Rudolph, 182, ritiene che il binomio montagna – vento, poiché designa, da una parte, ciò che è visibile e stabile, e, dall’altra, ciò che vi si oppone, sia un merismo significante la totalità della creazione. 46 Il verbo yṣr (plasmare), come br’ (creare) e ‘śh (fare), fa riferimento all’atto creatore (cfr. Is 43,7; 45,7.18; ed evidentemente Gen 1–2); su questa terminologia cfr. in particolare P. HUMBERT, «Emploi»; W.H. SCHMIDT, Die Schöpfungsgeschichte, 164-167; M. REISEL, «The Relation». 47 Il contesto (in particolare il rapporto tra 4,12 e 4,13) non sembra favorire l’interpretazione di G.W. RAMSEY, «Amos 4,12», 190-191, che traduce l’invito di 4,12 «preparati a chiamare i tuoi dèi, Israele». L’idea è ripresa da R. YOUNGBLOOd, «tarql in Amos 4:12», con una piccola correzione. 48 Cfr. Mic 1,3-4; Sal 50,1ss; 68,2-3; 96; 98. 49 A.V. HUNTER, Seek the Lord!, 115-121. 50 Cfr. Es 19,11.15; cfr. anche 19,17; 34,2. Secondo W. BRUEGGEMANN, «Amos IV: 4-13», la frase «preparati a incontrare il tuo Dio, Israele» è una formula liturgica che predisponeva alla stipulazione o al rinnovamento dell’alleanza, includendo una minaccia e al tempo stesso un appello alla conversione (pp. 1-6). Secondo questo autore l’insieme della sequenza costituisce una liturgia di rinnovamento dell’alleanza (pp. 13-15); noi riteniamo invece che qui si intenda indicare proprio la fine dell’alleanza stessa.
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8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
presenta un aspetto assai enigmatico. Sembra tuttavia che vi si possa scorgere un uso drammatico del riferimento alla creazione, non per mettere in valore la vita, ma per sottolineare la mortalità dell’essere umano: si tratta di una specie di giudizio ultimo, di ultima teofania che rivela chi è Dio, quale è il suo nome (13f), quale è il suo pensiero (13c) e quale sarà la conseguenza di un rifiuto ostinato della conversione.
4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA COMPOSIZIONE I LEGAMI TRA I PASSI ESTREMI Entrambi terminano con formule di conclusione di oracolo (5d e 13f), che tuttavia sono diverse. Il nome di Israele vi è ripreso, alla fine del primo passo (5c) e due volte nel primo segmento dell’ultimo passo (12a e c), fungendo così da termini medi a distanza (sono le uniche ricorrenze di questa parola in tutta la sequenza). Il primo passo è contraddistinto da un lungo elenco di azioni che i Figli d’Israele sono invitati (ironicamente) a compiere; anche l’ultimo passo riporta un lungo elenco, ma questa volta si tratta delle azioni di Dio. Gli atti cultuali della prima parte sono enunciati all’imperativo; l’unico imperativo dell’ultima parte (12c) sembra rimandare proprio a tutti quelli della prima parte: infatti l’intera serie degli atti liturgici «proclamati» (5b) è ordinata all’«incontro con Dio»51. Da notare anche che il nome di «Dio» («Elohîm» in 12c e in 13f) si trovava già, in forma abbreviata, nel nome «Bet-El» («la casa di El») proprio all’inizio della sequenza (4a): così «Venite a Bet-El» di 4a corrisponde a «preparati a incontrare il tuo Dio» di 12c, perché si va al santuario per incontrare il Signore. I LEGAMI TRA I PRIMI DUE PASSI – All’abbondanza dei sacrifici nel primo passo (4-5) si oppone la mancanza di cibo all’inizio del secondo (6); il rapporto è particolarmente sottolineato dalla menzione del «(pane) fermentato» all’inizio del versetto 5 da una parte e, dall’altra, dall’uso nel versetto 6 della parola niqyôn («purezza») che è un termine cultuale (cfr. Os 8,5; Sal 26,6). Così gli Israeliti portano offerte affinché Dio conceda (ntn) loro in cambio l’abbondanza della benedizione; ma di fatto Dio «darà» (6) la carestia. – Alla decima, portata ogni «tre giorni» (4,4), potrebbe corrispondere la siccità al «terzo mese» della mietitura (4,7); la moltiplicazione (rbh) dei delitti all’inizio del primo passo (4,4) provoca la distruzione dei numerosi (rbh) giardini al centro del secondo passo (4,9). 51
Le parole «proclamate» e «incontro» appartengono alla stessa radice, qr’.
Sequenza B3: 4,4-13
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I LEGAMI TRA I DUE ULTIMI PASSI – Il verbo hpk («sconvolgere»), con cui è descritta la catastrofe di Sodoma, prepara in un certo qual modo la descrizione del Dio creatore (e distruttore): infatti, in 5,8, in un inno simile a quello di 4,13, i verbi ‘śh («fare») e hpk («mutare») saranno usati congiuntamente per descrivere le azioni di Dio. 4,4 VENITE A BET - EL e ribellatevi, a Galgala moltiplicate le ribellioni: fate-venire ogni mattino i vostri sacrifici ogni terzo giorno le vostre decime 5 e bruciate pane-fermentato in azione-di-grazie e PROCLAMATE le vostre offerte-volontarie, fate-udire, poiché così voi amate, Figli d’Israele,
oracolo del Signore DIO!
6
Ma proprio io vi ho dato pulizia di denti in tutte le vostre città e penuria di pane in tutti i vostri siti: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 7
Ma proprio io vi ho sottratto la pioggia fino a tre mesi dalla mietitura; e facevo piovere su una città e su un’altra città non facevo piovere; su un campo pioveva e il campo sul quale non pioveva pativa-siccità; 8 ed erravano due o tre città verso un’altra città per bere acqua, ma non erano saziate: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 9
Ho colpito voi con la ruggine e il carbonchio; la moltitudine dei vostri giardini e le vostre vigne, e i vostri fichi e i vostri olivi li mangia la cavalletta: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 10
Ho inviato contro di voi la peste al modo di Egitto e ho ucciso di spada i vostri giovani con la cattura dei vostri cavalli e ho fatto salire la puzza dei vostri accampamenti alle vostre narici: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 11
Ho sconvolto presso di voi come Dio ha sconvolto Sodoma e Gomorra e foste come un tizzone strappato all’incendio: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE.
12
Perciò così farò a te, ISRAELE; poiché questo devo-fare a te: PREPARATI A INCONTRARE
IL TUO DIO,
ISRAELE:
13
infatti ecco colui che plasma le montagne e colui che crea il vento e che manifesta all’uomo quale è il suo pensiero, colui che fa dell’aurora oscurità e colui che cammina sulle alture della terra, SIGNORE Dio degli eserciti è il suo nome!
8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
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4,4 VENITE A BET - EL e ribellatevi, a Galgala moltiplicate le ribellioni: fate-venire ogni mattino i vostri sacrifici ogni terzo giorno le vostre decime 5 e bruciate pane-fermentato in azione-di-grazie e PROCLAMATE le vostre offerte-volontarie, fate-udire, poiché così voi amate, Figli d’Israele,
oracolo del Signore DIO!
6
Ma proprio io vi ho dato pulizia di denti in tutte le vostre città e penuria di pane in tutti i vostri siti: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 7
Ma proprio io vi ho sottratto la pioggia fino a tre mesi dalla mietitura; e facevo piovere su una città e su un’altra città non facevo piovere; su un campo pioveva e il campo sul quale non pioveva pativa-siccità; 8 ed erravano due o tre città verso un’altra città per bere acqua, ma non erano saziate: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 9
Ho colpito voi con la ruggine e il carbonchio; la moltitudine dei vostri giardini e le vostre vigne, e i vostri fichi e i vostri olivi li mangia la cavalletta: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 10
Ho inviato contro di voi la peste al modo di Egitto e ho ucciso di spada i vostri giovani con la cattura dei vostri cavalli e ho fatto salire la puzza dei vostri accampamenti alle vostre narici: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE. 11
Ho sconvolto presso di voi come Dio ha sconvolto Sodoma e Gomorra e foste come un tizzone strappato all’incendio: E NON SIETE TORNATI DA ME, oracolo del SIGNORE.
12
Perciò così farò a te, ISRAELE; poiché questo devo-fare a te: PREPARATI A INCONTRARE
IL TUO DIO,
ISRAELE:
13
infatti ecco colui che plasma le montagne e colui che crea il vento e che manifesta all’uomo quale è il suo pensiero, colui che fa dell’aurora oscurità e colui che cammina sulle alture della terra, SIGNORE Dio degli eserciti è il suo nome!
I LEGAMI TRA I TRE PASSI – Come i passi estremi terminano con una formula di conclusione di oracolo, così le cinque unità del passo centrale terminano con una formula di conclusione di oracolo identica, ma più breve di quelle del primo e dell’ultimo passo. – Le cinque ricorrenze di «e non siete tornati da me» del passo centrale corrispondono tematicamente a «venite a Bet-El» di 4a e a «preparati a incontrare il tuo Dio» di 12c: in tutta la sequenza si tratta di un solo e identico problema, quello dell’incontro tra Dio e il suo popolo.
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– I tre passi sono fortemente contraddistinti dalla ripetizione, o piuttosto dall’accumulazione: abbiamo una serie di sei imperativi ironici nel primo passo, al centro un elenco di cinque punizioni che terminano con lo stesso ritornello; infine una lista di cinque participi «innici» nell’ultimo passo. INTERPRETAZIONE I Figli d’Israele vanno al santuario di Betel per celebrare, in ricordo del loro padre Giacobbe, l’elezione divina; vanno a Galgala per commemorare, rammentando la conquista di Giosuè, il dono che Dio ha fatto loro della terra e dei suoi prodotti. Essi amano il culto: e provano tanto più soddisfazione nel portare le loro offerte alla casa di Dio quanto si reputano colmi di benedizioni, non rendendosi conto o rifiutando di ammettere che queste ricchezze sono frutto di ingiustizia52. Essi pretendono così di incontrare la divinità nel benessere e nell’abbondanza; ma il Signore deride questa loro pretesa; anzi, egli vi contrappone il ricordo dei molteplici tentativi fatti per indurre il suo popolo a ritornare a Lui, mediante le «percosse» della carestia e del disastro bellico. Non si va al santuario, in realtà, solo quando tutto va bene e non si manca di nulla, vi si accorre ancor più in tempo di sventura53. Gli Israeliti sono anzi più inclini a moltiplicare i sacrifici e le offerte54 quando la necessità si fa più pressante55, e in tempi di pubblica calamità non esitano a dare alle loro azioni liturgiche il massimo di fasto e di pubblicità. Ma Dio invece si burla di tutto ciò! Un simile rifiuto si spiega solo nella logica della denuncia contro l’ingiustizia. Dio infatti ascolta la voce dei poveri e interviene punendo i responsabili dell’oppressione. C’è chi affama i poveri? Ebbene, Dio manda penuria di pane così che non si abbia nulla da mettere sotto i denti. C’è chi è sempre intento a ubriacarsi mentre gli indigenti sono assetati? Dio manda allora una siccità tale che non ci sarà più nulla da bere. Se si confida nella propria forza e la si usa per la violenza, Dio manda la disfatta militare e la distruzione con il fuoco. Dio rifiuta i loro sacrifici perché non sono il segno di un’autentica conversione. I loro doni somigliano piuttosto ai regali che i colpevoli hanno l’abitudine di offrire ai giudici corrotti per comprarne il favore: e questo i Figli d’Israele sanno farlo bene (5,12). Ma Dio non si lascia corrompere, e continua a colpire. Più egli punisce, più gli Israeliti pagano: la molteplicità dei sacrifici è paradossalmente il risultato dei molteplici castighi di Dio; la ricchezza delle offerte sembra il giusto prezzo da pagare perché tutto torni alla normalità. Infatti, a ogni punizione non fa seguito un ritorno a Dio, ma un viaggio a Betel. 52
Come viene tematizzato nella sequenza precedente. Diversi autori hanno pensato che la presente sequenza potesse venire interpretata come un rîb (un procedimento accusatorio) intentato da Dio contro il suo popolo: cfr. W. BRUEGGEMANN, «Amos IV 4-13»; J.L. CRENSHAW, «A Liturgy»; G.W. RAMSEY, «Amos 4,12»; M. O’ROURKE BOYLE, «The Covenant Lawsuit»; J. BLENKINSOPP, «The Prophetic Reproach». 54 Cfr. Is 1,11; Ger 6,20 e Mic 6,7. 55 Cfr. R. PRESS, «Die Gerichtspredigt». 53
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8. Moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli d’Israele
Ci sono dunque due serie di azioni, i sacrifici dei Figli d’Israele a Betel e le punizioni di Dio nelle città e nelle campagne. Ma le due serie sono semplicemente giustapposte: Israele moltiplica gli atti cultuali per Dio, ma Dio non gradisce, Dio moltiplica le azioni punitive per Israele, ma Israele non capisce. Queste due serie di azioni allora si distorcono, assumendo la forma di una spirale insensata: Dio punisce perché Israele commette l’ingiustizia e perverte il culto, credendo di aggiustare le cose con atti cultuali, senza tuttavia tornare al Signore; ma a ogni punizione di Dio corrisponde una raddoppiata attività liturgica. Più Dio punisce, più si va a Betel; e più si va a Betel più Dio punisce. Non c’è nessuna convergenza tra la volontà di Dio e quella del suo popolo: ciò che Israele ama (4,5), Dio lo odia (5,21s) e Israele non capisce ciò che Dio vuole. Come uscire da questa spirale? Solo Dio si rivelerà capace di farlo. Gli atti di culto moltiplicati nel tempio di Betel o di Galgala sono una parodia dell’incontro con Dio, le punizioni ripetutamente inflitte a Israele non sono mai servite a far tornare il popolo dal Signore. «Perciò» il Signore annuncia che compirà qualcosa di decisivo, tale da consentire l’incontro di Israele con il suo Dio (4,12). Al fare degli Israeliti nei santuari si oppone un fare di Dio nella sua creazione: in realtà è solo lui che fa, che crea e che salva. La teofania di Dio si presenta come un’azione liturgica nella misura in cui il popolo, come si necessita per un servizio religioso, deve «prepararsi» (Es 19,11.15 e 34,2). Ma, come al Sinai, sarà una liturgia in cui il popolo non farà nulla, ma avrà la rivelazione delle opere attuate solo dal Signore. Quest’ultima manifestazione di Dio rimane tuttavia misteriosa. Essa viene descritta in termini apocalittici, con un coinvolgimento totale degli elementi cosmici. È un modo di significare la fine. La fine dei templi anzitutto, di Betel e di Galgala, poiché non è in questi luoghi che si produrrà la rivelazione e l’incontro di Dio. Ma anche la fine dei tempi e il dissolversi del mondo, dal momento che Dio si presenta come il creatore che disfa ciò che aveva fatto all’inizio: mentre la sua prima azione era stata quella di creare la luce (Gen 1,35), ora si appresta a fare dell’aurora l’oscurità (4,13). Ciò prepara il lamento funebre della sequenza che segue.
9 Lamento funebre sulla Vergine d’Israele Sequenza B4: 5,1-17
Nei suoi limiti e nella sua composizione questa sequenza è già stata identificata da diversi autori già da molti anni1. Essa è formata da cinque passi organizzati concentricamente. Lamento funebre del profeta
Invito a cercare il Signore
sulla Vergine d’Israele
5,1-3
e non il culto
5,4-6
PER VIVERE
ANNUNCIO DEL CASTIGO CHE SI ABBATTERÀ - SU QUELLI CHE PRATICANO L’INGIUSTIZIA - E FANNO TACERE I PROFETI
Invito a cercare la giustizia e non il male
Lamento funebre di Israele
1
Cfr. p. 19-24.
sui propri morti
PER VIVERE
5,7-13
5,14-15
5,16-17
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele 1. LAMENTO DEL PROFETA SULLA VERGINE D’ISRAELE (5,1-3)
TESTO VERSETTO 1
lamentazione qînâ è il termine tecnico per il canto funebre (cfr. 2Sam 1,17; Ger 7,29; 9,9.19; ecc.). In questo caso si tratta quindi di un canto di lamentazione su Israele, di cui si piange la morte come quella di una giovane donna. VERSETTO 2 è caduta Questo verbo, usato tra l’altro nell’espressione «cadere di spada» (Nm 14,3.43; 2Sam 1,12; 3,29; Is 31,8; Sal 78,64), che equivale a «morire di spada» (Ger 21,9), non indica dunque una semplice caduta, ma la morte violenta, causata dal nemico (un crollo da cui «non ci si rialza»: Ger 25,27). È un termine che appartiene al genere letterario della lamentazione (cfr. 2Sam 1,19.25; 3,34; Lam 1,7; 2,21; cfr. anche Is 21,9 e Ger 51,8). la vergine Israele «Israele» non è complemento del nome «vergine» (come per esempio in Dt 22,19 dove si parla di una giovane israelita), ma apposizione (come nell’espressione «il popolo di Israele»; cfr. Ger 18,13; 31,4.21). La parola betûlâ, tradotta con «vergine», designa la ragazza non ancora sposata2. VERSETTO 3
fare uscire mille, cento Con questa espressione si designa il contingente militare di una città (stato), rappresentato dagli uomini atti a prendere le armi, che potevano essere mobilitati sia per un’offensiva militare sia per la difesa del paese. La maggior parte dei commentatori ritiene che il testo di Amos parli di due città di differente grandezza; tuttavia, dato che la parola «città» è usata una sola volta, alcuni pensano che si tratti della stessa città, che, assediata due volte, perde ogni volta il novanta per cento dei suoi uomini; la prima interpretazione sembra più verosimile.
2
Amos è il primo a coniare questa espressione, ripresa in Ger 18,13; 31,4.21; più comune è l’espressione «figlia di Israele» (bat yiśrā’ēl), sempre per designare il popolo.
Sequenza B4: 5,1-17
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per la Casa d’Israele Poiché questo sintagma sarà ripreso al versetto seguente (4a), diversi esegeti pensano che si tratti di una dittografia3. Altri lo spostano dopo 3a, a motivo dell’evidente legame sintattico. Tuttavia, lo spostamento non è necessario, perché la posizione di questo complemento si spiega per ragioni retoriche. COMPOSIZIONE + 1 Udite questa + una
PAROLA
lamentazione,
che io porto contro di voi, Casa d’Israele:
··················································································································· e non potrà RIALZARSI, la vergine Israele, sul suo suolo, nessuno che la RIALZI.
. 2 È caduta, . è stata gettata + 3 Poiché così
DICE il Signore DIO: ···················································································································
– La città . resterà (con)
che ne faceva uscire
– e quella . resterà (con)
che ne faceva uscire
MILLE CENTO,
CENTO
DIECI ···················································································································
per la Casa d’Israele.
+
Ogni parte è formata da due elementi: da frasi che possono essere chiamate «narrative» (1ab; 3a.f) e dalla descrizione di una sventura (1c-2.3b-e). I segmenti «narrativi» sono un bimembro all’inizio della prima parte (1ab; il secondo membro con «lamentazione» esplicita anzitutto il tipo di «parola» pronunciata dal Signore4, in seguito il nome del destinatario, «Casa d’Israele», che corrisponde a «voi») e due unimembri alle estremità della seconda parte (3a e f)5; i membri 1a e 3a presentano il locutore («io» alla prima persona nel primo caso, «il Signore Dio» alla terza persona nel secondo caso), mentre i membri 1b e 3f definiscono il destinatario («la Casa d’Israele» nei due casi). I brani, che descrivono la sventura, sono entrambi formati da due segmenti bimembri; nel secondo brano si noterà la gradazione inversa alla fine dei membri, da «mille» a «cento» e da «cento» a «dieci». Da una parte all’altra la parola «vergine» (1c) 3
Rudolph, 187, elimina il sintagma, considerandolo un’aggiunta inutile che altera la regolarità del verso. 4 «Innalzare» + «un lamento» costituiscono un’espressione tecnica (Ger 7,29; 9,9; Ez 19,1; 26,17; 27,2.32; 28,12; 32,2); qui, il sintagma è come scomposto e i suoi due elementi sono distribuiti in due membri differenti. 5 La BHS propone di trasporre 3f dopo 3a, dando come giustificazione il fatto che l’inizio del versetto 4a («Poiché così parla il Signore alla Casa d’Israele») riprende, in contiguità, i due membri di 3a e 3f.
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
corrisponde a «città» (3b), essendo un termine utilizzato per designare la città (spesso la capitale)6. INTERPRETAZIONE L’ANNIENTAMENTO DEL POPOLO La parola che Dio rivolge a Israele per bocca del suo profeta è definita fin dall’inizio una «lamentazione», cioè il canto funebre che si intona su un morto. E si tratta della morte più triste che ci sia, quella di una giovane che non ha conosciuto le gioie del matrimonio né la soddisfazione della maternità7, una morte prematura e doppiamente drammatica, perché la vergine che sparisce senza discendenza non lascia traccia del suo stesso esistere. La seconda strofa del canto funebre interpreta questa metafora. Sebbene un piccolo numero sfugga alla distruzione provocata dalla disfatta militare, la realtà non è meno grave della sua immagine: non c’è più nulla da fare per Israele, che non potrà rialzarsi da un simile disastro8. Se pochi individui sono risparmiati, resta tuttavia che il popolo nel suo insieme è come annientato9. UN PARADOSSALE APPELLO ALLA VITA La parola di Amos annuncia dunque proprio la fine, e la profezia non potrà non realizzarsi. Ma il fatto stesso che la lamentazione sia anticipata e sia chiamata, persino per i morituri, «parola» da ascoltare (5,1), impone di comprenderla come il segno di una sollecitudine che, in definitiva, vuole la vita. Infatti i due termini «parola» e «lamentazione» si oppongono: la prima è indirizzata a esseri viventi, a cui ci si rivolge con stile diretto, alla seconda persona; l’altra parla di 6
Cfr. A. FITZGERALD, «BTWLT»; cfr. anche J.J. SCHMITT, «The Virgin of Israel». Come la figlia di Iefte, che piange la propria verginità (Gdc 11,37-39): Rudolph, 188. 8 La diminuzione nel numero, così da passare da un grande popolo a un piccolo gruppo, è reputata una maledizione (Lv 26,22; Dt 4,27; 28,62; Is 10,19; 16,14; Ger 42,2; ecc.), diametralmente opposta alla promessa fatta ai patriarchi di renderli numerosi come le stelle del cielo e come la sabbia del mare (Gen 15,5; 22,17; 26,4; 28,3; Es 32,13; Dt 1,10; 10,22; ecc.). Un motivo letterario, presente in una grande varietà di forme nei testi di minaccia, è quello di indicare la sproporzione tra la cifra iniziale e la cifra finale, applicata talvolta agli uomini, talvolta ai raccolti; per esempio: «In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe, sarà smunta la floridezza delle sue membra... Vi resteranno solo racimoli, come alla bacchiatura degli ulivi; due o tre bacche sulla cima dell’albero, quattro o cinque sui rami da frutto» (Is 17,4.6); «Il Signore ti farà sconfiggere dai tuoi nemici: per una sola via andrai contro di loro e per sette vie fuggirai davanti a loro» (Dt 28,25); «Si andava a un mucchio da cui si attendevano venti misure di grano e ce n’erano dieci; si andava a un tino da cinquanta barili e ce n’erano venti» (Ag 2,16); «Dieci iugeri di vigna produrranno solo un bat [45 litri], e un comer [450 litri] di seme produrrà un’efa [45 litri]» (Is 5,10). Le cifre date da Amos in 5,3 hanno così un valore proverbiale; ciò non toglie che è proprio dopo una severa sconfitta che si contano le perdite, e i dati statistici rivelano la gravità del disastro. 9 Sul tema del «resto», significativo in particolare per la teologia dell’esilio, cfr. W.E. MÜLLER – H.D. PREUSS, Die Vorstellung; G.F. HASEL, The Remnant; O. CARENA, Il resto di Israele; J. HAUSMANN, Israels Rest. 7
Sequenza B4: 5,1-17
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un defunto, alla terza persona. Come se attraverso la prova della morte e il dolore del lutto si aprisse uno spiraglio per il futuro, quello di una parola (di Dio) finalmente intesa, che porta con sé la conversione e la speranza di vita rinnovata. E così ci colleghiamo con il tema sviluppato nel passo seguente.
2. INVITO A CERCARE IL SIGNORE (5,4-6) TESTO 4
Poiché così dice il Signore alla Casa d’Israele: Cercate me e vivrete 5 e non cercate BetEl e a Galgala non venite e a Bersabea non passate perché Galgala di sicuro sarà deportato e Bet-El diventerà niente. 6 Cercate il Signore e vivrete; altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e (la) divorerà e nessuno lo spegne a Bet-El. VERSETTO 5
Galgala di sicuro sarà deportato La traduzione non può rendere le allitterazioni dell’originale10: kî haggilgāl gālōh yigleh11. CONTESTO Può darsi che nella medesima linea ci sia un gioco di parole anche nel membro seguente, «e Bet-El si ridurrà a niente (‘āwen)»: come in Os 4,1512; 5,8; 10,5, il nome di Bet-El (bêt ’ēl = «la casa di Dio») sarebbe storpiato in quello di bêt ’āwen, «la casa del niente, della vanità»13, con probabile allusione al peccato di idolatria, causa del disastro. Questa traduzione sembra migliore di quella della TOB e di Dhorme, «Betel diventerà iniquità», poiché il contesto parla di punizione o almeno di sventura imminente.
10
Rosenmüller, 123, commenta dicendo che è come se un francese dicesse: «Et Paris périra». I giochi di parole con nomi propri, negli oracoli di condanna, hanno un effetto canzonatorio: cfr. Is 10,28-32; Ger 6,1; Os 10,5; Mic 1,10-15; Sof 2,4; ecc. 11 Sulla predilezione di Amos per la radice glh per indicare l’esilio (utilizzata 13 volte in 9 testi: al qal, 1,5; 5,5 (bis); 6,7; 7,11 (bis), 17 (bis); all’hiphil, 1,6; 5,27; gôlâ, 1,15; gālût, 1,6.9), cfr. D.E. GOWAN, «The Beginning». 12 Il testo di Os 4,15, «Non andate a Galgala, non salite a Bet-Aven, non giurate per il Signore vivente», assomiglia moltissimo a Am 5,5; in Os 4,15 si può vedere anche un’allusione al santuario di Bersabea (cfr. Am 8,14) il cui nome evoca il giuramento (cfr. Gen 21,22-24); cfr. I.H. EYBERS, «The Use of Proper Names», 83. 13 Su Bet-Aven come santuario diverso da Bet-El o come deformazione del nome con funzione polemica, cfr. E.A. KNAUF, «Beth-Aven»; N. NA’AMAN, «Beth-aven»; Z. KALLAI, «BETH-EL».
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
COMPOSIZIONE = 4 Poiché così dice
il SIGNORE
alla Casa d’Israele:
+ Cercate
ME E VIVRETE ·············································································································· – 5 e non cercate : . ea ea . perché : e – diventerà niente.
Bet-El Galgala
non venite
BERSABEA
non passate
Galgala Bet-El
di sicuro sarà deportato
·············································································································· Cercate il SIGNORE E VIVRETE;
+6
= altrimenti piomberà = e (la) divorerà
come fuoco e nessuno lo spegne
sulla casa di Giuseppe a Bet - El.
Questo passo è organizzato in tre parti. La prima parte (4a) è formata da un solo segmento unimembro, una delle formule abituali di introduzione di oracolo. La seconda parte (4b-6a) comprende alle estremità due segmenti bimembri quasi identici (4b.6a; nel secondo segmento «il Signore» esplicita il pronome «io» del primo segmento). Il brano centrale (5) è formato da due bimembri (5abc.5efg) che racchiudono un unimembro (5d); la costruzione di questo brano è perfettamente concentrica; tuttavia bisogna notare che i primi tre membri sono dei comandi negativi, mentre gli ultimi due, dando la motivazione («perché») di questi comandi, indicano un futuro. La terza parte (6bc) comprende un solo segmento bimembro che enuncia il castigo che seguirà, se l’imperativo precedentemente enunciato non viene eseguito; i due membri terminano con «la casa di Giuseppe» e «la casa di Dio» («Bet-El»). Le parti estreme si corrispondono: «Casa d’Israele» in 4a da una parte e «casa di Giuseppe» e «Bet-El» dall’altra fungono da termini estremi per tutto il passo; la parola del «Signore» di 4a può essere messa in relazione con il fuoco di 6bc, poiché colui che «piomba14 come un fuoco» divorante è sempre «il Signore» (6a). Il nome di Bet-El ricorre tre volte nel passo (5b.5f.6c).
H. TAWIL, «Hebrew xlch / xlc», pensa che la stessa radice significhi «procedere (rapidamente)» [= piombare su] e «bruciare». 14
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INTERPRETAZIONE CERCATE IL SIGNORE E NON I SANTUARI L’ordine dato, per sfuggire alla lamentazione (1-3) e ottenere la vita (4), è «cercare il Signore». Nella tradizione biblica questa espressione equivale a partire in pellegrinaggio alla volta del santuario (Gen 25,22; Dt 12,5; 1Sam 9,9; ecc.) per ricevervi l’oracolo che enuncia la condotta da tenere15. Ora, Dio adesso dice che «cercarlo» non equivale più ad andare al santuario. Non si deve andare più a Betel, a Galgala o a Bersabea16, perché tutti i santuari saranno distrutti. E andarci significherebbe dunque cercare di essere coinvolti nella distruzione generale e volersi buttare nell’incendio che nessuno potrà spegnere. Perché non un solo luogo è votato alla rovina, non solo Betel, il santuario specifico del regno del nord, ma anche Galgala, il luogo sacro dove si ritrovano tutte le tribù di Israele, e persino Bersabea. Un modo per dire che la critica non è rivolta a un tempio tra altri o a un culto particolare che è andato degenerando. Tutti i luoghi di culto sono in causa, nessuno esente; e gli Israeliti non avranno dimora alcuna, dove rifugiarsi contro la minaccia di morte che pesa su di loro. LA CASA DI DIO (BET-EL) E LA CASA DI GIACOBBE Infatti, non si annuncia solo l’annientamento dei santuari. Poiché per Galgala è predetta la deportazione, e poiché il fuoco si abbatterà non solo sul tempio di Betel ma anche sulla casa di Giuseppe, è chiaro che tutto il popolo di Israele sarà sottoposto alla distruzione. L’insistenza sulla fine dei santuari significa che non si tratterà tanto di una sventura destinata a colpire degli individui, per quanto numerosi siano, ma sarà piuttosto il crollo istituzionale della Casa d’Israele, dato che la caduta del dispositivo cultuale è il simbolo dello sfacelo di tutte le istituzioni. Questa distruzione potrebbe spiegarsi come l’eliminazione di ciò che trascina Israele nell’illusione: Dio abbatte i santuari, perché il suo popolo confida nelle strutture, invece di cercare Lui, la vera Vita. LA FINE DEL SANTUARIO In questo annientamento dei santuari da parte di Dio, bisogna tuttavia rilevare un grande paradosso. Il santuario infatti è per sua natura il luogo dove l’uomo si ricorda di Dio e lo celebra, dove si cantano inni in suo onore, il luogo in cui il suo nome è presente. Ora, secondo il testo di Amos, il Signore si rivela come Dio, proprio distruggendo ciò che porta il suo nome, riducendo a niente ciò che è riconosciuto come la sede della sua presenza. Come se, per manifestarsi, Dio 15
Rudolph, 190. A proposito di Betel, cfr. p. 93; a proposito di Galgala, cfr. p. 156. Il santuario di Bersabea, che segnava la frontiera meridionale del territorio di Israele, è legato soprattutto alle tradizioni patriarcali di Abramo (Gen 21,25-33), Isacco (26,23-33) e Giacobbe (28,10; 46,1-5). Sul sito, cfr. H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 198-201; Ph.J. KING, Amos, 47-48. 16
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
distruggesse il luogo della propria rivelazione. Si tratta dunque di un segno escatologico, ultimo. Dal momento che il tempio è figura del cosmo in cui Dio è presente, il crollo del tempio rappresenta non solo la fine della casa di Giuseppe, ma anche quella del cielo e della terra. Il fuoco inestinguibile è un segno di questa distruzione finale. È il momento dell’apocalisse, il momento enigmatico per eccellenza. Contro questo momento si dispiega la resistenza di Israele come popolo particolare, ma anche quella di ogni essere umano di fronte a ciò che egli considera la condizione necessaria e indispensabile della propria individualità personale. In altri termini, la distruzione del corpo (5,1-3), di cui il tempio è il simbolo, è il segno escatologico in cui Dio si manifesta come Dio.
3. ANNUNCIO DEL CASTIGO (5,7-13) TESTO Essi mutano in assenzio il diritto e la giustizia a terra buttano. 8 Lui che fa le Pleiadi e Orione, lui che muta in mattino l’ombra e il giorno in notte ottenebra, lui che chiama le acque del mare e le spande sulla faccia della terra Signore è il suo nome: 9 lui che scatena la rovina sul forte e la rovina sulla cittadella viene. 10 Odiano alla porta il censore e chi parla con integrità aborriscono. 11 Perciò, poiché calpestate il misero prelevando da lui una imposta sul grano, avete costruito case di pietra-squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino. 12 Poiché so che sono numerosi i vostri delitti ed enormi i vostri peccati. Opprimono l’innocente, accettano bustarelle e gli indigenti alla porta sviano. 13 Perciò il prudente in questo tempo tace, poiché è un tempo di male questo.
7
VERSETTO 7
17
assenzio Il nome di questa pianta amarissima viene spesso usato in parallelo con «veleno» (Am 6,12; cfr. anche Dt 29,17; Ger 9,14; 23,15)18. Il senso dell’espressione di Amos sembra dunque essere il seguente: essi trasformano in cosa ripugnante e strumento di morte il giudizio che, come il sorgere della luce, dovrebbe invece portare verità e vita.
17
Il versetto 7 appare isolato; per questa ragione viene talvolta spostato dopo il versetto 10 (Rudolph, 194). Il testo della LXX, molto differente da quello del TM, anticipa in un certo qual modo i versetti seguenti: kurios ho poiōn eis hupsos krima kai dikaiosunēn eis gēn ethēken («il Signore che fa in alto il giudizio e (de)pone sulla terra la giustizia»). J.D.W. WATTS, «Note on the Text of Amos V 7», ha proposto una ricostruzione forzata del testo ebraico sulla base della traduzione greca; ma la sua proposta non è stata seguita dai commentatori. 18 Cfr. W. McKANE, «Poison».
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VERSETTO 8
le Pleiadi e Orione Questa è la traduzione dei commentatori moderni: essi seguono la LXX, che così intende queste due parole anche in Gb 38,31, dove designano chiaramente delle costellazioni19. VERSETTO 9
scatena Le altre ricorrenze di questo verbo nella Bibbia (Sal 39,14; Gb 9,27; 10,20 dove significa «rallegrare») non aiutano a capire il testo di Amos. Dal momento che l’oggetto del verbo è «la devastazione», il verbo sembra indicare qualche cosa che appare improvvisamente, come il lampo di un fulmine20. VERSETTI 8-9
Ecco una traduzione assolutamente letterale: 8
9
FACENTE Pleiadi e Orione e MUTANTE in mattino l’ombra e il giorno in notte ottenebra; lui IL CHIAMANTE21 le acque del mare e le spande sulla faccia della terra. Il Signore (è) il suo nome! Lo SCATENANTE la rovina sul forte e la rovina sulla cittadella viene.
La difficoltà maggiore di questo brano sta sicuramente nel cogliere le relazioni logiche tra le proposizioni22. Linguisticamente esse sono poco evidenziate: la particella copulativa we collega i tre membri 8ab, i due membri del secondo segmento (8c) nonché i due ultimi membri dell’ultimo trimembro (9). Ma il gioco tra participi e verbi in tempo finito sembra pertinente: ogni segmento termina
19 Selon K. KOCH, «Die Rolle», 523-526, questi astri connoterebbero eventi disastrosi e avrebbero un rapporto privilegiato con divinità preposte alla tutela della giustizia. Ulteriori precisazioni in S. MOWINCKEL, «Die Sternnamen», 36-52, e Harper, 117. 20 Così D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 662-663. Sulle difficoltà del versetto 9, cfr. L. ZALCMAN, «Astronomical Illusions in Amos», che, con una traduzione simile a quella che è stata qui adottata, difende il TM contro le numerose congetture proposte per «emendarlo». Contrariamente a quanto pensa Wolff, 241 (che sostiene che il v. 9 sia un’aggiunta posteriore), Zalcman ritiene che il versetto 9 faccia parte integrante (e conclusiva) del «materiale dossologico». 21 Secondo S. SPEIR, «Bemerkungen zu Amos», 307, il verbo qr’ significa «radunare». Non sembra che una simile connotazione, probabilmente implicita nell’atto di «convocare» (che può essere una «chiamata a raccolta»), sia filologicamente provata; il testo di Amos parla piuttosto della convocazione degli esecutori di una sentenza, come in Is 46,11; Ger 1,15; 25,29; Ez 36,29; 38,21; ecc. 22 Dello stesso avviso è anche F. FORESTI, «Funzione semantica», 173-174.
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
con un verbo in tempo finito23, mentre gli altri membri sono al participio (a parte 8d che è una frase nominale). È chiaro che i tre membri che contengono un verbo in tempo finito descrivono una calamità: le tenebre (8b), l’inondazione (8d), la distruzione della cittadella (9). I commentatori vedono in questi due versetti24 un inno o un frammento innico. Se per lingua e stile essi assomigliano agli inni che celebrano le gesta di Dio, è chiaro però che si tratta di un uso ironico del linguaggio innico per annunciare un castigo: infatti, invece di essere delle manifestazioni di potenza contro i nemici, i prodigi di Dio si abbatteranno su coloro che li cantano. VERSETTO 11
calpestate Hapax. Una delle numerose soluzioni proposte ritiene che si tratti di una dissimilazione della radice bws, «schiacciare», «calpestare» (Is 63,18; Ger 12,10)25. un’imposta sul grano È difficile sapere concretamente a quale istituzione si riferisca questa espressione. Sembra designare una tassa imposta ai contadini e che gravava soprattutto sui più poveri (cfr. 1Sam 8,15; Ne 5,15)26. VERSETTO 12
compenso Il termine kōper designa tecnicamente il compenso in denaro offerto quale risarcimento per un’offesa arrecata. In certi casi però questo termine è usato in parallelo o come sinonimo di «bustarella» (1Sam 12,3; Pr 6,35)27. 23 Secondo Joüon, 112l, «in alcuni testi poetici che celebrano la grandezza di Dio, l’uso dei tempi, e specialmente del qatal, è molto particolare» (oltre ad Am 5,8, cfr. Ger 10,12-13; Sal 135,7). 24 La maggioranza dei commentatori moderni considera il versetto 9 un’aggiunta tardiva (cfr. F. FORESTI, «Funzione semantica», 172). È indubbio però che, chiunque ne sia l’autore, il testo presenta un’intenzione esplicita di collegare l’azione del Dio creatore con quella del Dio distruttore (Rudolph, 200; Andersen – Freedman, 492). In questa prospettiva le congetture tendenti a interpretare il versetto 9 in un senso astronomico, per armonizzarlo con il versetto precedente, non sembrano necessarie: cfr. G. HOFFMANN, «Versuche zu Amos», 110-111; B. DUHM, «Anmerkungen», 9-10. 25 Così Rudolph, 195; Andersen – Freedman, 499-500. Seguendo la proposta di H. TORCZYNER, «Presidential Address», 6-7, diversi autori fanno risalire la radice ebraica all’accadico šabāšu, con il significato di «imporre un tributo»: V. MAAG, Text, 70; Wolff, 230; Soggin, 122-123; J.L. SICRE, “Con los pobres”, 125. 26 Cfr. Paul, 172-173. 27 Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 178.
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sviano Stravolgono il normale iter della giustizia (cfr. Am 2,7). VERSETTO 13
il prudente... tace Il versetto 13 viene generalmente considerato un’aggiunta tardiva 28. Il termine maśkîl è di solito tradotto con (uomo) «prudente», «sensato», «accorto»29; in genere si ritiene che il verbo yiddōm derivi dalla radice dmm («restare in silenzio») e possa significare sia il fare silenzio che il morire (Es 15,16; 1Sam 2,9; Ger 47,6; ecc.)30. COMPOSIZIONE La composizione di questi sette versetti non si impone in modo evidente e si può esitare tra diverse soluzioni31. Vari autori vi riconoscono tre unità: il versetto 7 da una parte, al quale corrisponderebbe per ragioni tematiche l’insieme dei versetti 10-13; il centro sarebbe quindi costituito dai versetti 8-932. Un’altra possibilità sarebbe quella di organizzare questi versetti in due passi: il primo (79) comprenderebbe la denuncia dell’ingiustizia (7), poi un annuncio di castigo (8-9), con la ripresa dello stesso verbo «mutare» (o «sconvolgere») a fungere da legame tra le due unità; i limiti del secondo passo (10-13) sarebbero segnati dall’inclusione formata dall’opposizione tra chi «rimprovera» («il censore») e chi «parla con integrità» in 10 e chi «tace» in 13; si potrebbe dire che i due passi così delimitati formano una sottosequenza, il che sarebbe un modo per significare la loro unità. Sembra però che la soluzione più soddisfacente sia quella di considerare l’insieme dei versetti 7-13 un solo passo. Questo passo comprende cinque parti: le parti estreme (7 e 13) e la parte centrale (10) hanno un solo segmento bimembro, mentre le altre due (8-9 e 1112) sono nettamente più lunghe (otto membri per la prima, dieci per la seconda).
28
Cfr. Wolff, 249-250, che lo sposta dopo i versetti 16-17; Rudolph, 185. Per altre interpretazioni, cfr. nota 39. 30 Paul, 175-176, al contrario, assegna il verbo a una radice omonima dmm con il senso di «gemere», «lamentarsi», «mormorare» (cfr. Is 23,2; Sal 4,5): l’ultima parte del passo si armonizzerebbe così con la lamentazione descritta ai versetti 16-17. 31 Cfr. la rassegna degli autori, p. 21-24. 32 C. Coulot, da parte sua, ritiene che il versetto 10 occupi il centro della sequenza. 29
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
7
Essi mutano e la GIUSTIZIA
in assenzio a terra
il diritto buttano.
le Pleiadi in mattino in notte
e Orione, l’ombra ottenebrerà.
le acque sulla faccia
del mare della terra,
è il suo nome! la rovina sulla cittadella
sul forte verrà.
alla porta con INTEGRITÀ
il CENSORE aborriscono.
calpestate sul grano
il MISERO,
+ case
di pietra-squadrata - ma non abiterete
avete costruito, in esse;
+ vigne
pregiate - ma non berrete
avete piantato, il loro vino.
+ 8 Lui che fa . lui che muta . e il giorno - Chiama - e le spande + il SIGNORE . 9 Egli scatena . e la rovina 10
Odiano e chi PARLA – 11 Perciò, – una imposta
PRENDENDO da lui: ·····························································································
·····························································································
- 12 -
so che
– opprimono – e gli INDIGENTI 13
Perciò poiché è un tempo
numerosi e enormi
i vostri delitti i vostri peccati:
il GIUSTO, alla porta
sviano.
il prudente di male
in questo tempo TACE questo.
PRENDONO
un compenso
La prima parte (7) è un bimembro costruito concentricamente, con i verbi alle estremità e i complementi oggetto al centro; i termini «assenzio» e «terra», si corrispondono in quanto connotano entrambi qualcosa di negativo: = 7 mutano in assenzio il DIRITTO e la GIUSTIZIA a terra = buttano.
La seconda parte (8-9) è formata da tre segmenti, trimembri alle estremità (8abc.8f-9), bimembro al centro (8de). Il primo segmento (8abc) è un trimembro
Sequenza B4: 5,1-17
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del tipo ABB’; i sei termini degli ultimi due membri, infatti, si corrispondono tra loro secondo lo schema A(bc) / (b’c’) A’: + lui che muta = in mattino l’ombra = e il giorno in notte + ottenebra33.
L’ultimo segmento (8f-9), sempre del tipo ABB’ è parallelo al primo segmento. Infatti, come 8a presenta una sorta di titolo di Dio, il primo membro dell’ultimo segmento (8f) esplicita il nome di Dio. I due membri seguenti hanno la stessa composizione di 8bc, A(bc) / (b’c’)A’: + lui che scatena = la rovina sul forte = e la rovina sulla cittadella + viene.
Il segmento centrale infine (8de) è un bimembro, i cui membri sono complementari; come 8bc e come 9ab, annunciano uno sconvolgimento totale. L’ultimo segmento si distingue dagli altri due, poiché l’onnipotenza di Dio non si esercita più sugli elementi cosmici, ma sulle opere dell’uomo34. La terza parte (10) è un bimembro, i cui membri sinonimici sono costruiti in modo concentrico: i verbi alle estremità, i complementi oggetto al centro: + odiano alla porta : il censore : e chi parla con integrità + aborriscono.
La quarta parte (11-12) è organizzata in tre brani. Il primo comprende una causale introdotta da «poiché» (11a) che regge una participiale (11b). Nel brano centrale i due segmenti sono strettamente paralleli (11cd.11ef). Dicono le conseguenze del comportamento ingiusto denunciato nel primo brano. Il terzo brano, che comincia con «poiché» come il primo brano, torna sulla causa del castigo annunciato nel brano centrale. Nei segmenti estremi (11.12cd) si corrispondono «il misero» e «gli indigenti», «un’imposta sul grano» e «bustarelle», infine — e soprattutto — il verbo «prendere»: gli ingiusti rubano sia al misero che viene tassato sia ai ricchi di cui accettano i compensi per fare pendere il piatto della 33
Dal punto di vista sintattico (e non solo dal punto di vista lessicale), questi due membri sono costruiti in modo speculare: CHE MUTA in mattino l’ombra e il giorno in notte OTTENEBRA. 34 Ritroviamo qui lo stesso tipo di fenomeno presente nella parte centrale della sequenza B1: i due primi brani erano metaforici (con le immagini del leone e dell’uccello, in 3,4 e 5), mentre il terzo serviva a decifrare o ad applicare le metafore precedenti (il suono del corno nella città, segno della guerra imminente, in 3,6).
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
bilancia in loro favore. Gli attributi qualificativi dei peccati, «numerosi» ed «enormi», sembrano rimandare a quelli delle case e delle vigne (11c.e). L’ultima parte (13) è un bimembro, con un parallelismo sintetico; il secondo membro favorisce la spiegazione del primo. 7
Essi mutano e la GIUSTIZIA
in assenzio a terra
il diritto buttano.
le Pleiadi in mattino in notte
e Orione, l’ombra ottenebrerà.
le acque sulla faccia
del mare della terra,
è il suo nome! la rovina sulla cittadella
sul forte verrà.
alla porta con INTEGRITÀ
il CENSORE aborriscono.
calpestate sul grano
il MISERO,
+ case
di pietra-squadrata - ma non abiterete
avete costruito, in esse;
+ vigne
pregiate - ma non berrete
avete piantato, il loro vino.
+ 8 Lui che fa . lui che muta . e il giorno - Chiama - e le spande + il SIGNORE . 9 Egli scatena . e la rovina 10
Odiano e chi PARLA – 11 Perciò, – una imposta
PRENDENDO da lui: ·····························································································
·····························································································
- 12 -
so che
– opprimono – e gli INDIGENTI 13
Perciò poiché è un tempo
numerosi e enormi
i vostri delitti i vostri peccati:
il GIUSTO, alla porta
sviano.
il prudente di male
in questo tempo TACE questo.
PRENDONO
un compenso
Il legame tra la parte centrale (10) e quella seguente (11-12) è marcato da «perciò»; in modo simile, «perciò» di 13a assicura il legame tra la quarta parte e la quinta. Il legame tra le prime due parti è dato dalla ripresa dello stesso verbo «mutare» in 7a e in 8b: poiché essi sconvolgono la giustizia, Dio sconvolgerà l’ordine del mondo. Si può notare una certa progressione tra la prima parte, la parte centrale e l’ultima parte (7.10.13): tutte e tre sono collocate «alla porta» (10a) dove si tiene
Sequenza B4: 5,1-17
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«il giudizio» (7a), ma mentre la prima parte denuncia solo lo stravolgimento della giustizia, nella parte centrale il peccato è aggravato dal fatto che essi odiano chi censura la loro ingiustizia, tanto che nell’ultima parte colui che critica è ridotto al silenzio. CONTESTO LO «STRAVOLGIMENTO» DELLA GIUSTIZIA Is 5,20-23 presenta un testo parallelo a quello di Am 5,7-13 in cui si denuncia la perversione di Gerusalemme mediante una serie di «Guai», che sono il segno di una condanna imminente: Guai a coloro che chiamano che rendono che rendono
il male bene le tenebre luce l’amaro dolce
Guai a coloro che sono sapienti e si reputano
ai loro occhi intelligenti.
Guai a coloro che sono gagliardi valorosi essi che assolvono e l’innocente
nel bere nel mescere il colpevole del suo diritto
e il bene male, e la luce tenebre, e il dolce amaro
vino, bevande inebrianti, per bustarelle privano.
L’opposizione «dolce» – «amaro» ricorda quella di «giustizia» e «assenzio» in 7a; il cambiamento della luce in tenebre si ritrova in 8bc; «bere il vino» ricorre in 11f, il tema delle «bustarelle» in 12c. L’AGGRAVANTE DEL PECCATO: IL RIFIUTO DEL PROFETA Il peccato non consiste solo nel praticare l’ingiustizia, ma anche nel fare tacere chi condanna un simile comportamento. Questo richiama la sequenza A3, dove, dopo avere denunciato l’ingiustizia (2,6-8: all’inizio della sequenza), il Signore rimprovera agli Israeliti di avere imposto il silenzio ai profeti (2,11-12; al centro della sequenza)35. CREAZIONE E «DE-CREAZIONE» Il versetto 8abc fa riferimento al racconto della creazione e più specificamente alla creazione della luce in Gen 1,3-5; vi si riprendono le stesse parole, «tenebre», «giorno», «notte», «mattino». In 8c Dio si appresta a disfare ciò che aveva fatto al principio e che è ricordato in 8b, mentre 8a rimanda alla creazione delle stelle in Gen 1,16. Il versetto 8de ricorda la separazione delle acque dalla terraferma in Gen 1,9-10, ma evoca anche il racconto del diluvio (Gen 6–9)36. In 35 36
Cfr. p. 95 e 105-96; cfr. anche, oltre ad Am 7,10-13, Ger 11,18-19.21; 18,18; Ne 9,26. Andersen – Freedman, 491.
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
Ger 4,23-26 la punizione divina è presentata come ritorno della terra al caos, senza luce, senza vita. INTERPRETAZIONE IL DELITTO DI ISRAELE Il primo versetto (7) dà il tono a quanto segue: l’immagine dell’assenzio fa emergere la perversione nel giudicare. Coloro che chiamano il male bene e il bene male, che preferiscono le tenebre alla luce, che scambiano il dolce con l’amaro e l’amaro con il dolce, trasformano il giudizio non solo in una bevanda disgustosa e ripugnante, ma anche in una pozione tossica; essi buttano la giustizia in terra come se fosse un cadavere37. Mutano un’istituzione fatta per la vita in uno strumento di morte. Invece di vegliare affinché il misero ottenga il necessario per vivere, essi si avvalgono della legalità per praticare l’ingiustizia. «L’imposta sul grano» (11) è probabilmente una tassa prevista per legge, emanata dal potere politico, oppure sancita da un costume tradizionalmente accettato. Resta però che il povero è come torchiato e privato persino del pane, indispensabile per la sopravvivenza. Il furto è un crimine, ma in sé non è perverso. Al contrario, servirsi della legge per opprimere gli indifesi, sottrarre al povero, in nome della giustizia, il poco che ha è un crimine molto più grave, poiché i piccoli sono derubati, ed è un delitto perverso perché la giustizia stessa viene strumentalizzata per attuare il male. Il loro peccato va anche oltre, dal momento che non si accontentano di sottrarre al povero una parte delle sue magre risorse, ma accettano anche il denaro che il ricco offre loro per aggiustare i processi e stravolgere il corso della giustizia a loro vantaggio (12). Forse Amos fa allusione al dispositivo della compensazione, che consisteva nel pagare una certa somma quale ammenda per reati minori. Ora, non solo esistono dei delitti che non ammettono alcuna forma di risarcimento (cfr. Nm 35,31-32), ma è chiaro altresì che, in ogni caso, il magistrato disposto a intascare bustarelle è effettivamente corrotto (1Sam 12,3)38. Tale meccanismo di arricchimento rende i giudici complici dei ricchi nello sfruttare i poveri: i soldi che essi ricevono dal ricco provengono già dall’ingiustizia perpetrata da quest’ultimo contro i miseri; e di più essi l’accettano perché il povero non recuperi ciò a cui ha diritto e il ricco conservi il frutto della sua rapina. Chiamano giustizia l’ingiustizia, tanto che il giudizio è divenuto amaro e mortale come l’assenzio. Una simile perversione è aggravata dal fatto che essi sono sordi a ogni correzione; infatti, non sopportano chi parla con equità e rettitudine e odiano chi, rimproverando la loro ingiustizia, potrebbe salvarli (10). Così facendo, la loro 37 La medesima espressione che in Am 5,7, è stata tradotta «buttano a terra», in Is 28,2 significa «abbattere», «gettare a terra», ed è l’azione con cui «un uomo potente e forte, inviato dal Signore», distruggerà Samaria. 38 Per ulteriori sviluppi, cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 178-179.
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ingiustizia arriva al culmine. Non solo rifiutano di ascoltare la critica e non accettano l’invito a cambiare atteggiamento, ma il loro odio è foriero di tali minacce, che l’uomo prudente si vede costretto a tacere (13)39. Così sono ridotte al silenzio sia la voce del povero che sporge querela sia quella dell’avvocato che tenta di difenderlo; la corruzione ha raggiunto il suo punto estremo. Poiché nessuno è in grado di porvi rimedio, non resta altro che l’intervento di Dio stesso. IL CASTIGO DI DIO Dio conosce tutti i peccati, «sa» che sono «numerosi» ed «enormi» (12) 40. Egli interverrà per castigare e il suo intervento sarà proporzionato alla gravità del male41: a un’ingiustizia che ha raggiunto il suo culmine corrisponderà dunque una punizione radicale. Dal momento che Israele ha completamente stravolto l’ordine delle relazioni tra gli uomini (7) — ordine che doveva servire la vita, difenderla, proteggerla e promuoverla —, la risposta di Dio non potrà essere che uno sconvolgimento totale (8). Ai participi che qualificano i crimini dei Figli d’Israele non come azioni puntuali e passate, ma come loro condotta presente e permanente, rispondono i participi che descrivono la condotta abituale di Dio (8-9). Come in un inno, usando un linguaggio che ne riprende la forma, il profeta evoca, con il nome di Dio, le sue qualità e i suoi attributi; egli ricorda i suoi prodigi, non come atti del passato, ma come la sua presenza attuale all’opera nella storia. Tuttavia, la forma innica è per dir così deviata dalla sua funzione normale; quasi volesse parodiare la condotta tortuosa degli ingiusti, Amos distorce l’inno e lo trasforma in un annuncio di castigo. Tanto che invece di essere una celebrazione del Dio creatore e salvatore, il suo canto diventa la descrizione di una teofania punitiva, la manifestazione del Dio che separa la luce dalle tenebre, cioè che viene a giudicare il mondo42. Infatti, se il Signore è il creatore dei luminari celesti e se dalle tenebre fa sorgere la luce, è anche l’Essere che cambia il giorno in notte, e fa piombare la rovina sul forte, il Dio che si appresta a disfare la creazione, riconducendo le acque del mare sulla terraferma. Viene quindi annunciata una catastrofe dalle proporzioni cosmiche. È la fine del mondo43. E, infatti, è proprio ciò che 39
Cfr. A.J.O. van der WAL, «Amos 5:13»; diversa è l’opinione di G.V. SMITH, «Amos 5:13», che interpreta la frase come la condanna dei ricchi a un silenzio di morte. Nella stessa linea si era già pronunciato J.J. JACKSON, «Amos 5,13»: «perciò l’uomo di successo si lamenterà in quel tempo». Sembra però che il riferimento al «censore» (in quanto sapiente), e indirettamente al profeta stesso, non solo sia possibile, ma spieghi meglio l’imminenza del disastro (cfr. l’interpretazione della sequenza C2, p. 350). 40 «Conoscere» è un termine giuridico: designa la tappa che precede e rende possibile l’incriminazione e la condanna (cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 222-225). 41 Al versetto 12 i crimini sono qualificati come «numerosi» e i peccati come «enormi». 42 P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 335-340. 43 Il senso di distruzione totale è evocato soprattutto dal riferimento al diluvio, che è peraltro un motivo comune dell’Oriente antico: cfr. A. OHLER, Elementi mitologici, 92-100.
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succederà agli abitanti di Samaria: di tutto ciò che hanno fatto e costruito — sull’oppressione e sull’ingiustizia — non ne potranno approfittare: non abiteranno le case che hanno edificato e non berranno il vino delle vigne che hanno piantato (11). Saranno privati del frutto dei loro misfatti (cfr. Os 8,7; Mic 6,15; Sof 1,13; Ag 1,6)44. Il «sistema» perfetto eretto dai potenti è dis-fatto dal creatore del mondo — e questo è il segno stesso della sua sovranità —, perché il nome di YHWH non solo è il nome del creatore, ma anche quello del Dio della giustizia. Ciò che potrebbe apparire come un semplice fatto della storia di Israele, la caduta di Samaria, è visto come una de-creazione45. La predizione del castigo prende esattamente la direzione opposta rispetto alla benedizione con cui era annunciato l’insediamento nella terra di Canaan (Dt 6,10-12; Gs 24,13); è la realizzazione della maledizione (Dt 28,30.38-42). Il popolo sarà strappato dalla sua terra e altri godranno dei beni che Dio gli aveva donato. Sarà la fine del popolo, in qualche modo la sua de-creazione.
4. INVITO A CERCARE LA GIUSTIZIA (5,14-15) TESTO VERSETTO 15
forse La Settanta ha letto «affinché» in parallelo con «così» di 14c. COMPOSIZIONE + 14 Cercate . affinché
IL BENE viviate:
= e sarà così – come (voi) dite.
e non
il male
il SIGNORE, il Dio degli eserciti, con VOI,
··················································································································
+ 15 Odiate . e promuovete
il male alla porta
e amate IL BENE il diritto:
= forse avrà–pietà il SIGNORE il Dio degli eserciti – del RESTO DI GIUSEPPE.
Questo passo comprende due brani paralleli (14.15), ognuno formato da due bimembri. I primi membri di ogni brano (14a.15a) sono sinonimi e i loro termini si corrispondono chiasticamente. I loro secondi membri (14b.15b) sono molto differenti, ma sembrano complementari: infatti, il primo concerne il bene proprio 44 45
In senso contrario cfr. Is 62,8-9. Lo stesso avverrà, analogamente, per la fine di Gerusalemme (Ger 4,23-26).
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di quelli a cui è rivolto il discorso; il secondo invece il bene di quelli con cui sono in relazione, nell’ambito giudiziario. Gli ultimi segmenti di ogni parte (14cd e 15cd) sono dei bimembri che enunciano le conseguenze positive connesse con l’osservanza dei comandi sopra riportati; i loro primi membri si corrispondono termine a termine, i loro secondi membri sono nettamente più brevi dei primi. «Voi» alla fine del primo brano è esplicitato come il «resto di Giuseppe» alla fine del secondo. I due brani del passo sono del tutto simili e sembrano in apparenza significare la stessa cosa. Non si dovrebbe però ignorare la loro complementarietà. Il secondo brano (15) riguarda chiaramente l’esercizio della giustizia «alla porta» (15b); la ripresa del verbo «odiare», come al versetto 10 nel passo precedente, è una conferma supplementare che ci si trova in ambito giurisdizionale. Al contrario, il primo brano inizia con il verbo «cercare», come nel passo simmetrico (4-6), dove questo stesso verbo ricorre tre volte e dove si parla del culto; è nel santuario che gli Israeliti «dicono» e proclamano che «il Signore è con» loro46. È al cospetto di Dio infatti che Mosè e Giosuè pregano per domandare che il Signore sia con loro (Es 32,30ss; Gs 7,6-15); ed è a Betel che si sale per consultare Dio per conoscere la sua volontà (Gdc 20,18.26)47. INTERPRETAZIONE L’APPELLO AL BENE L’invito di Amos, «Cercate il bene e non il male» (14a), «Odiate il male, amate il bene» (15a), sembra enunciare dei principi evidenti, e anche piuttosto banali; ma un’epoca di confusione è contrassegnata appunto dal non sapere più distinguere una cosa dall’altra (cfr Is 5,20: «chiamano il male bene e il bene male»). L’imperativo implica due aspetti. Il primo (14) riguarda la ricerca del proprio bene; gli Israeliti vanno al santuario ritenendolo la sede della vita, dato che Dio vi è presente; ora, Amos invita i suoi uditori a identificare meglio questo bene che essi ricercano e che non si trova a Betel (5). Il secondo aspetto potrebbe essere espresso così: la ricerca del proprio bene consiste nell’amore per il bene fatto agli altri, cioè nel cercare la giustizia (15b) che si attua in tribunale, come annuncia il passo precedente. Il diritto instaurato o ristabilito è lo strumento, la mediazione della vita.
46
Il Sal 46, per esempio, situato in un contesto di guerra e di distruzione cosmica, ha come ritornello (ai versetti 8 e 12): «Il Signore degli eserciti è con noi, nostro rifugio è il Dio di Giacobbe!»; cfr. anche Gen 28,15; 2Sam 5,10; Zc 8,23. Sulla formula «Il Signore è con...», cfr. H.D. PREUSS, «...ich will mit dir sein!»; K.H. NEUBAUER, «Erwägungen zu Amos 5,4-15». 47 Sul tema della «ricerca» di Dio intesa come consultazione dell’oracolo sacerdotale, cfr. O. GARCÍA DE LA FUENTE, La búsqueda de Dios, 165-276; cfr. anche G. CROCETTI, «Cercate me e vivrete»; A.V. HUNTER, Seek the Lord!, 56-105.
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
LE CONSEGUENZE DELL’OBBEDIENZA ALL’APPELLO Gli Israeliti vedono nel santuario il luogo che significa la presenza di Dio («Dio sarà con voi, come voi dite»: 14c), presenza celebrata in parole, nella confessione di fede e nella preghiera di Israele (cfr. Sal 46). Al contrario, Amos dice che la presenza di Dio, il suo agire a favore dei suoi, si realizzerà solo a condizione che il popolo manifesti il suo amore, non per i sacrifici (4,5), ma per il bene, un bene che è il compimento della giustizia. C’è già un giudizio all’opera nella storia, quello che Dio creatore sta attuando contro la perversione ostinata dei capi di Israele (8-13). Tuttavia, la decisione di amare oggi il diritto e la giustizia, operando un giusto giudizio a favore dei poveri, può salvare il resto di Giuseppe (15cd). Di fronte all’esercito nemico, che sta per abbattere la gloriosa forza di Efraim, il Dio degli eserciti salverà solo quanti cercheranno il bene, quanti ameranno il diritto.
5. LAMENTO DI ISRAELE SUI PROPRI MORTI (5,16-17) TESTO VERSETTO 16
chi conosce la nenia Questa espressione designa i piagnoni di professione o le prefiche (cfr. Ger 9,16) o più semplicemente quelli che conoscono i canti utilizzati in occasione delle cerimonie di lutto. Il chiasmo lessicale («contadino» – «cordoglio» / «gemito» – «chi conosce») si combina con un parallelismo grammaticale (complemento oggetto + complemento relativo: Amos scrive «e (chiameranno) il gemito a coloro che conoscono il lamento» invece di: «(chiameranno) al gemito quelli che conoscono il lamento»48. le vigne Qualcuno, sulla base di una diversa vocalizzazione, ha proposto di tradurre con «vignaioli», così da favorire il parallelismo con «contadino» del versetto 1649.
48 Cfr. S. TALMON, «Emendation», 291; D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 664-665, propone invece di vedervi un gioco di parole con il verbo qr’ («chiamare, «gridare»), e traduce: «Si inviterà il contadino al cordoglio e si proclamerà: lamento! a quanti sono esperti di nenie». 49 H. GESE, «Kleine Beiträge», 432-436.
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COMPOSIZIONE + 16 Poiché il Dio
così DICE degli eserciti,
il SIGNORE, il Signore:
·································································································· in tutte le piazze (ci sarà) GEMITO
- e
in tutte le strade
: e chiameranno : e il GEMITO sarà : 17 e in tutte le vigne = poiché io passerò +
diranno:
Ahi! Ahi!
il contadino per chi conosce (ci sarà)
al cordoglio la NENIA. GEMITO
in mezzo a te,
·································································································· DICE il SIGNORE.
Questo passo è formato da tre brani: due segmenti narrativi (16ab.17c) racchiudono la descrizione del castigo (16c-17b). L’ultimo segmento (17c) è un unimembro, che riprende solo il verbo («dice» = «parla») e il soggetto («Il Signore») del primo segmento che è un bimembro (16ab). La parte centrale (16c-17b) comprende tre segmenti; il primo (16cd) è un bimembro, che riguarda la città con le sue «piazze» e le sue «strade»; il secondo (16ef-17a) riguarda la campagna con i «contadini» e le «vigne»; il terzo segmento (17b) è un unimembro breve: alla fine viene così rivelata l’identità sia di chi produrrà una simile catastrofe («io passerò») sia di chi la subirà («in mezzo a te»). Da notare la triplice ripresa di «gemito/i» (16c.16f.17a), nonché la triplice ricorrenza di «tutte» (16cd.17a). CONTESTO LA MORTE DEI PRIMOGENITI D’EGITTO Il verbo di 17b, «passerò», è lo stesso utilizzato in Es 12,12.23 per descrivere l’azione di Dio che «passa» nel paese d’Egitto per colpire i primogeniti degli Egiziani. Come nell’oracolo di Amos, dove i canti di lutto si sentono ovunque, «un grande grido risuonò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto» (Es 12,30).
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
INTERPRETAZIONE IL CANTO FUNEBRE...50 Il grido che si alza ovunque in Israele non è un grido di aiuto, perché è troppo tardi per aspettare un qualsiasi soccorso. È un grido di dolore, ma non del dolore che aspetta conforto da un altro. È il canto del lamento funebre, inutile per il morto eppure doveroso rituale imposto ai vivi, intonato non per suscitare compassione, ma solo per dare sfogo all’angoscia di un animo tormentato quasi ad esorcizzare la morte. Gemendo sul prossimo, infatti, ognuno piange la propria fine. Si tratta in realtà proprio di questo: la nenia viene cantata non solo per quanti sono stati uccisi, ma anche per i sopravvissuti, che, rendendosi perfettamente conto di essere finiti come popolo, fanno il lamento funebre su tutto Israele. ... SU TUTTO ISRAELE Infatti, la morte si diffonde ovunque, nelle città e nelle campagne. Non c’è una piazza, non una strada, non una vigna dove non risuonino gemiti e canti funebri51. Non sono stati colpiti solo i cittadini ricchi, quelli che sfruttavano i poveri, perché la disgrazia coinvolge anche i contadini poveri e oppressi. Chi godeva della vita, chi non aveva mai conosciuto le lacrime e non sapeva cantare i lamenti funebri si ritrova nella stessa condizione di chi aveva l’abitudine di essere schiacciato, di chi era abituato ai pianti e conosceva il lamento. IL SENSO DEL CASTIGO Questa distruzione e questo massacro sono opera di Dio. Il Signore ha cura di precisarlo, forse perché vuole che il popolo non si inganni sul significato di tali eventi, e capisca che si tratta di una punizione e colga il senso del castigo. Dato che la sanzione assomiglia a quanto Dio fece contro gli Egiziani per liberare il suo popolo, se ne può dedurre, da una parte, che Israele è stato ribelle al suo Signore come lo fu il Faraone, e, d’altra parte, che l’uscita dall’Egitto non è un privilegio che protegge Israele; il Signore, infatti, è proprio il Dio che «passa in mezzo» a un popolo per «punire» le colpe (cfr. 3,1-2)52. 50
Sul rituale del «lamento», cfr. P. HEINISCH, Die Trauergebräuche; H.W. WOLFF, «Der Aufruf»; E. LIPIŃSKI, La liturgie pénitentielle dans la Bible, 27-41; C. HARDMEIER, Texttheorie und biblische Exegese; M.I. GRUBER, Aspects of Nonverbal Communication, II, 401-479. 51 Le «vigne» sono il luogo tipico dei festeggiamenti dopo il raccolto (cfr. Gdc 9,27; Is 16,10; Ger 48,33): il contrasto con il lamento intonato dal contadino è dunque fortissimo (Rudolph, 199). Il testo che meglio evoca la situazione descritta da Amos in 5,16-17 è Is 24,7-11: «Lugubre è il mosto, la vigna languisce, gemono tutti [...] Non si beve più il vino tra i canti [...] Per le strade si lamentano, perché non c’è vino; ogni gioia è scomparsa, se ne è andata la letizia dal paese». Cfr. anche Gl 1,10-12. 52 Se il verbo ‘br («passare») viene considerato tipico del rituale di alleanza (cfr. Gen 15,17; Ger 34,18-19), si può anche ritenere che il passaggio punitivo del Signore attui ciò che era iscritto, come maledizione, nella struttura stessa dell’alleanza (cfr. M.J. HAUAN, «The Background»).
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6. L’INSIEME DELLA SEQUENZA COMPOSIZIONE DELLA SEQUENZA I cinque passi finora analizzati formano una sola sequenza strutturata concentricamente. I LEGAMI TRA I PRIMI DUE PASSI (5,1-3; 4-6) 1
Udite questa parola che io porto contro di voi una lamentazione, CASA DI ISRAELE: È caduta, non potrà rialzarsi, la vergine Israele; è stata gettata sul suo suolo, e nessuno che la rialzi. 3 Poiché così dice il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci per la CASA D’ISRAELE. 2
4
Poiché così dice il Signore alla CASA D’ISRAELE: Cercate me e vivrete 5 e non cercate Bet-El e a Galgala non venite e a Bersabea non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato e Bet-El si ridurrà a niente. 6 Cercate il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà e nessuno che lo spenga a Bet-El.
«Casa d’Israele» è ripreso come termine iniziale (1.4). Il versetto 4a riprende, unendoli, i due membri estremi del versetto precedente53; così il nome del destinatario è usato tre volte. I LEGAMI TRA GLI ULTIMI DUE PASSI (5,14-15; 16-17) 14
Cercate il bene e non il male affinché viviate e così IL SIGNORE, IL DIO DEGLI sarà con voi, come voi dite.15 Odiate il male e amate il bene e promuovete alla porta il diritto: forse IL SIGNORE, IL DIO DEGLI ESERCITI, avrà pietà del resto di Giuseppe. ESERCITI,
16
Perciò così dice IL SIGNORE, IL DIO DEGLI ESERCITI, il Signore: In tutte le piazze ci sarà gemito e in tutte le strade diranno: Ahi! Ahi! e chiameranno il contadino al cordoglio e al gemito chi conosce la nenia 17 e in tutte le vigne ci saranno gemiti poiché io passerò in mezzo a te, dice il Signore.
«Il Signore, il Dio degli eserciti», che ricorre due volte nel quarto passo (14. 15), è ripreso all’inizio del passo seguente (16); come il nome del destinatario, «Casa d’Israele», era usato tre volte nelle prime due parti, anche il nome del mittente è usato tre volte nelle ultime due.
53
Da notare inoltre che l’espressione «e nessuno che» ritorna in 2a e in 6c.
200
9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
I LEGAMI TRA I PASSI ESTREMI (5,1-3; 16-17) 1
Udite questa parola che io porto contro di voi una LAMENTAZIONE, Casa d’Israele: È caduta, non potrà rialzarsi, la vergine Israele; è stata gettata sul suo suolo, e nessuno che la rialzi. 3 Poiché così dice il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci per la Casa d’Israele. 2
[...] 16
Perciò così dice il Signore, il Dio degli eserciti, il Signore: In tutte le piazze ci sarà
GEMITO e in tutte le strade diranno: Ahi! Ahi! e chiameranno il contadino al cordoglio e al GEMITO chi conosce la NENIA 17 e in tutte le vigne ci saranno GEMITI poiché io passerò
in mezzo a te, dice il Signore.
Annunciano entrambi un castigo contraddistinto dalla morte e dal lamento. Le tre ricorrenze di «gemito/i» e di «nenia» dell’ultimo passo rimandano al loro sinonimo «lamentazione» nel primo passo (1b). Mentre nel primo passo si tratta solo di città, nell’ultimo passo oltre alla città, connotata dai termini «piazze» e «strade» di 16bc, si parla anche della campagna («contadino» e «vigne»). I LEGAMI TRA IL SECONDO E IL QUARTO PASSO (4-6; 14-15) 4
Poiché così dice il Signore alla Casa d’Israele: CERCATE me e vivrete 5 e NON CERCATE Bet-El e a Galgala non venite e a Bersabea non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato e Bet-El si ridurrà a niente. 6 CERCATE il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di GIUSEPPE e la divorerà e nessuno che lo spenga a Bet-El. [...] 14
CERCATE il bene e non il male affinché viviate e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi dite. 15 Odiate il male e amate il bene e promuovete alla porta il diritto: forse il Signore, il Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di GIUSEPPE.
Sono degli inviti a «cercare» ciò che è bene: il secondo passo tocca il rapporto ai luoghi di culto (Betel, Galgala e Bersabea), il penultimo concerne il rapporto «alla porta», sede dell’amministrazione della giustizia. Vi troviamo elementi simili, ma disposti diversamente: il secondo passo è organizzato in modo concentrico, il penultimo in modo parallelo. I primi membri di ogni brano del secondo passo (14a.15a) richiamano «cercate me» e «cercate il Signore» di 4b e 6a. «Affinché viviate» di 14a ricorda le due ricorrenze di «e vivrete» di 4b e 6a. I due passi terminano con il nome di «Giuseppe» (sono le due uniche ricorrenze di questo nome in tutta la sequenza). I secondi segmenti 14b e 15b rinviano, per opposizione, agli ultimi due membri del passo simmetrico (6bc). Contrariamente al secondo passo (4-6), il quarto passo (14-15) non è introdotto da una formula
Sequenza B4: 5,1-17
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di oracolo; si noterà però che la ripresa di «il Signore il Dio degli eserciti», alla fine di ogni brano del penultimo passo, sembra corrispondere alla formula di introduzione di 4a, all’inizio del secondo passo che presenta anche il nome del «Signore». I LEGAMI TRA I CINQUE PASSI 1
Udite questa PAROLA che io porto contro di voi una lamentazione, Casa d’Israele: 2 È caduta, non potrà rialzarsi, la vergine Israele; è stata GETTATA SUL SUO SUOLO, e nessuno che la rialzi. 3 Poiché così DICE il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci per la Casa d’Israele. 4
Poiché così DICE il SIGNORE alla Casa d’Israele: Cercate me e vivrete 5 e non cercate BetEl e a Galgala non venite e a Bersabea non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato e Bet-El si ridurrà a niente. 6 Cercate il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà e nessuno che lo spenga a Bet-El. 7
Essi che mutano in assenzio il diritto e la giustizia A TERRA DEPONGONO. 8 Lui che fa le Pleiadi e Orione lui che muta in mattino l’ombra e il giorno in notte ottenebra lui che chiama le acque del mare e le spande sulla faccia della terra Il Signore è il suo nome: 9 lui che scatena la rovina sul forte e la rovina sulla cittadella viene. 10 ODIANO alla porta il censore e chi PARLA con integrità aborriscono. 11 Perciò, poiché calpestate il misero prelevando da lui una imposta sul grano, avete costruito case di pietra-squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato VIGNE pregiate, ma non ne berrete il vino. 12 Poiché conosco che sono numerosi i vostri delitti e enormi i vostri peccati. Opprimono l’innocente, accettano un compenso e gli indigenti alla porta sviano. 13 Perciò il prudente il questo tempo tace poiché è un tempo di male questo. 14
Cercate il bene e non il male affinché viviate e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi DITE.15 ODIATE il male e amate il bene e promuovete alla porta il diritto: forse il Signore, il Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe. 16
Perciò così DICE il SIGNORE, il Dio degli eserciti, il Signore: In tutte le piazze ci sarà gemito e in tutte le strade DIRANNO: Ahi! Ahi! e chiameranno il contadino al cordoglio e al gemito chi conosce la nenia 17 e in tutte le VIGNE ci saranno gemiti poiché io passerò in mezzo a te, DICE il SIGNORE.
A parte quella del versetto 3 (al centro del primo passo), le formule di oracolo occupano delle posizioni simmetriche nella sequenza: all’inizio (1a) e alla fine (17b), ma anche alla cerniera dei primi due passi (4a) e alla cerniera degli ultimi due (16a), dove iniziano in modo simile con «Poiché/Perciò così dice il Signore».
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
1
Udite questa PAROLA che io porto contro di voi una lamentazione, Casa d’Israele: 2 È caduta, non potrà rialzarsi, la vergine Israele; è stata GETTATA SUL SUO SUOLO, e nessuno che la rialzi. 3 Poiché così DICE il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci per la Casa d’Israele. 4
Poiché così DICE il SIGNORE alla Casa d’Israele: Cercate me e vivrete 5 e non cercate BetEl e a Galgala non venite e a Bersabea non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato e Bet-El si ridurrà a niente. 6 Cercate il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà e nessuno che lo spenga a Bet-El. 7
Essi che mutano in assenzio il diritto e la giustizia A TERRA DEPONGONO. 8 Lui che fa le Pleiadi e Orione lui che muta in mattino l’ombra e il giorno in notte ottenebra lui che chiama le acque del mare e le spande sulla faccia della terra Il Signore è il suo nome: 9 lui che scatena la rovina sul forte e la rovina sulla cittadella viene. 10 ODIANO alla porta il censore e chi PARLA con integrità aborriscono. 11 Perciò, poiché calpestate il misero prelevando da lui una imposta sul grano, avete costruito case di pietra-squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato VIGNE pregiate, ma non ne berrete il vino. 12 Poiché conosco che sono numerosi i vostri delitti e enormi i vostri peccati. Opprimono l’innocente, accettano un compenso e gli indigenti alla porta sviano. 13 Perciò il prudente il questo tempo tace poiché è un tempo di male questo. 14
Cercate il bene e non il male affinché viviate e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi DITE.15 ODIATE il male e amate il bene e promuovete alla porta il diritto: forse il Signore, il Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe. 16
Perciò così DICE il SIGNORE, il Dio degli eserciti, il Signore: In tutte le piazze ci sarà gemito e in tutte le strade DIRANNO: Ahi! Ahi! e chiameranno il contadino al cordoglio e al gemito chi conosce la nenia 17 e in tutte le VIGNE ci saranno gemiti poiché io passerò in mezzo a te, DICE il SIGNORE.
Mentre nel secondo passo (4-6) si prendono di mira i santuari (Betel, ma anche Galgala e Bersabea) e il culto a Dio che vi si rende, il passo simmetrico (14-15) riguarda la porta delle città e la giustizia che vi si amministra agli uomini. Le due occorrenze di «male» (13.14) fanno da parola-gancio fra il terzo e il quarto passo; similmente, «alla porta», che ricorre due volte nel passo centrale (10a.12c), è ripreso nel passo seguente (15a). Bisogna anche aggiungere le due ricorrenze del verbo «odiare», con cui iniziano il versetto centrale della terza parte (10) e la seconda sottoparte della quarta parte (15). Infine, si può notare che il verbo bw’ («venire», «arrivare») si ritrova nel secondo passo (4) e nel passo centrale (9).
Sequenza B4: 5,1-17
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«Gettata sul suo suolo» del versetto 2 nel primo passo annuncia in un certo qual modo «a terra depongono» di 7b all’inizio del passo centrale: come la prima espressione, la seconda evoca probabilmente l’idea di morte. Questa stessa connotazione è senza dubbio presente anche in 7a, nel termine «assenzio»54. I termini che indicano il parlare (dbr, ’mr) si ritrovano in punti strategici della sequenza: alle estremità (1.17) e alla cerniera dei due primi passi e degli ultimi due (4.16), ogni volta con Dio come soggetto; tre ricorrenze del verbo «dire» (3.14.16) hanno Dio come soggetto la prima volta, gli Israeliti le altre due volte; infine, al centro del passo centrale (10), «chi parla», in parallelo con «il censore», è colui che critica gli ingiusti; non bisogna dimenticare evidentemente l’opposizione tra «parlare» (10) e «tacere» (13), con soggetti probabilmente identici. CONTESTO La giustapposizione dei primi due passi della sequenza presenta delle difficoltà: «Come si può spiegare che alle parole che proclamano la decisione irrevocabile di YHWH a proposito della severa decimazione di Israele si aggiunga un’esortazione che lascia aperta una prospettiva di vita?»55. Questa contraddizione è spiegata in vari modi dai commentatori56. Alcuni ritengono che l’imperativo del versetto 4 sia ironico, come lo erano quelli dell’inizio della sequenza precedente: «Venite a Betel e ribellatevi» (4,4)57. Altri pensano che così si manifesti l’assoluta libertà di Dio, l’unico che possa dire: «Tu morirai» e, subito dopo, senza alcuna transizione né giustificazione: «Tu vivrai»58. Altri sono dell’avviso che si debba separare l’annuncio di morte dall’offerta di vita: il primo sarebbe rivolto ai signori di Samaria, ingiusti e oppressori, la seconda agli innocenti e oppressi. Quest’ultima interpretazione sembra tuttavia da escludersi: tanto nel primo quanto nel secondo oracolo il discorso è infatti rivolto all’insieme della «Casa d’Israele», ed è impossibile distinguere due destinatari diversi. Si deve notare che la maggioranza degli esegeti non ricorre alla critica letteraria per spiegare questa apparente contraddizione, non attribuisce cioè i due oracoli a fonti o tradizioni diverse. A commento di questo problema, Wolff scrive: «Solo come una reminiscenza di qualcosa di dimenticato o addirittura di inopportuno, dalle profonde tenebre della morte escono le parole seguenti: “Cercate me e vivrete!”» (v 5b). Ma Amos non ha appena pronunciato queste
54 Quest’ultima parola potrebbe essere messa in relazione con «le vigne», di cui gli Israeliti non «berranno il vino» (11d); «vigne» si ritroverà ancora nel passo finale (17). 55 Wolff, 237. 56 Wolff, 237s; A.V. HUNTER, Seek the Lord!, 61-65; J. JEREMIAS, «Tod und Leben». 57 Cfr. C.C. RANDALL, «An Approach to Biblical Satire»: l’autore distingue diverse sfumature della «satira»; questa può prendere la forma dell’invettiva (che ricorre eventualmente all’arma del ridicolo, come in Am 5,14-15), oppure può assumere la forma del sarcasmo (come nel lamento funebre di Am 5,1-2) o dell’ironia (come in Am 5,18-20). 58 Cfr. F. HESSE, «Amos 5,4-6.14f».
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
parole, che esse vengono di nuovo offuscate da oscure minacce (v 5b)»59; ciò significa che praticamente non c’è speranza alcuna. È possibile spiegare l’apparente contraddizione tra l’annuncio di una morte ineluttabile e l’appello alla vita ricorrendo alla logica della lite (o rîb) bilaterale60, nel nostro testo intrapresa da Dio, l’accusatore, contro Israele, il colpevole. Nel rîb, l’atto di accusa si presenta spesso come una sentenza, quasi fosse un verdetto giudiziario irrevocabile pronunciato contro l’accusato. Ma si tratta di un «genere letterario», cioè un modo di dire che sottolinea la gravità del reato compiuto, il quale inevitabilmente comporterà pesanti conseguenze, se l’accusato non cambierà condotta. L’atto di accusa è l’anticipazione condizionale della sentenza. L’accusatore dice ciò che succederà, se i fatti contestati si rivelassero fondati e nessun altro elemento intervenisse a modificare per modificarla. Nella lite bilaterale chi accusa enuncia sempre la sanzione sotto forma di minaccia, cioè come un’eventualità condizionata dalla reazione della parte avversa. Come quando Giona proclama: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4): la sua minaccia presenta tutte le caratteristiche di un ultimatum, ma è implicitamente l’offerta di una conversione che apre alla prospettiva di salvezza61. Nelle liti tra il Signore e il suo popolo si propone quindi un’alternativa: «Se fai così vivrai, altrimenti morirai». Anche laddove non viene espressa in modo esplicito, questa alternativa è strutturalmente presente nella lite bilaterale: essa appartiene intrinsecamente all’atto di accusa, anche quando l’accusatore pronuncia il hôy, «guai a», o intona la qînâ, il canto funebre. Nel giudizio — quando cioè un giudice interviene come terzo tra le due parti in controversia — l’accusa cerca la condanna del colpevole; nella lite bilaterale, invece, essa mira a un cambiamento di vita dell’accusato e a una riconciliazione tra le parti avverse, e perciò lascia sempre una porta aperta alla conversione e quindi al perdono. In questo testo di Amos l’alternativa si percepisce in particolare grazie alla congiunzione «altrimenti (piomberà come fuoco)...» (6b), nonché grazie alle espressioni «e così il Signore...» (14) e «forse...» (15)62. Tra i numerosi testi di lite bilaterale che potrebbero essere presentati come paralleli al testo di Amos, Is 1,2-20 è una buona illustrazione di come la prospettiva di morte può articolarsi con la promessa di vita. L’accusa assume diverse forme, tra cui, al versetto 4, quella della lamentazione come in Am 5,1-2 59
Wolff, 251. Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 73-77. 61 Cfr. J.M. BERRIDGE, «Zur Intention»; S. AMSLER, «Amos, prophète de la onzième heure». 62 La nostra prospettiva si differenzia quindi da quella di numerosi studiosi dei profeti, che pensano che la profezia autentica non invitasse alla conversione, ma annunciasse piuttosto l’irrevocabile giudizio di Dio; questa tesi sembra essersi affermata dopo lo studio di H.W. WOLFF, «Das Thema “Umkehr”», la cui conclusione è che il motivo del pentimento ha solo un ruolo subordinato negli oracoli di minaccia (o di salvezza); cfr. in particolare R. SMEND, «Das Nein des Amos». Noi seguiamo piuttosto la linea di Th.M. RAITT, «The Prophetic Summon», per il quale la minaccia costituisce un elemento caratteristico dell’appello alla conversione; cfr. anche H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 59-67. 60
Sequenza B4: 5,1-17
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e 16-17 introdotta da hôy («Guai»); ai versetti 8-9 ritroviamo, come in Am 5,3, il tema della distruzione e del resto: «È rimasta sola la figlia di Sion come una capanna in una vigna... Se il Signore non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sodoma, simili a Gomorra». Dopo una simile predizione, presentata come già realizzata, seguono gli imperativi, come in Am 5,4-6: «Lavatevi, purificatevi... Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia...» (Is 1,16-17). Questi imperativi dischiudono la prospettiva del perdono: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve...» (18), come in Am 5,14-15; l’ostinazione nel peccato però provocherà la disgrazia: «Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada» (in Am 5,6, il fuoco «mangerà» o «divorerà»). L’imperativo che esprime quanto Dio vuole è connesso con il rifiuto delle prestazioni di tipo cultuale: «Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero...» (11ss), come in Am 5,5 (e già 4,4-5). INTERPRETAZIONE Questa interpretazione dell’insieme della sequenza si sviluppa in tre paragrafi, corrispondenti a tre linee semantiche, che attraversano la sequenza ed emergono nei suoi punti strategici. L’articolazione di queste linee semantiche e il loro intrecciarsi dà coesione e forza al testo. LA RICERCA DEL BENE La sequenza presenta in modo esplicito l’articolazione tra due temi centrali del libro di Amos, la giustizia e il culto, temi che in altre sequenze sono presentati in modo solo implicito63, oppure non sono evidenziati con pari intensità all’interno di una medesima unità letteraria64. Nel passo centrale infatti (5,7-13) è chiaramente presente l’accusa profetica contro l’ingiustizia commessa a danno degli indigenti; e nei passi contigui al passo centrale è invece la questione del culto a essere toccata65. Il modo con cui Amos presenta l’articolazione fra giustizia e culto è senz’altro originale: negli atti compiuti dai Figli d’Israele infatti il profeta vede un 63
Come in 2,6-8. Così nella sequenza B2, dove il riferimento ad attività cultuali è solo evocato dalla menzione dei «corni dell’altare» di Betel (nella parte centrale, in 3,14), in un insieme dominato dalla denuncia dell’oppressione dei poveri; oppure — come si vedrà — nella sequenza B5, dove il riferimento alla giustizia è appena accennato (in posizione centrale, in 5,24), in un’unità letteraria consacrata alla denuncia di un culto che il Signore non accetta. 65 Ciò è evidente nel secondo passo (5,4-6) dove il profeta invita a non recarsi più nei santuari tradizionali di Israele. Il quarto passo (5,14-15) presenta la congiunzione dei due temi, perché parla di giustizia (instaurare la giustizia in tribunale: 5,15), ma — indirettamente — anche del culto: il verbo «cercare» (5,14) infatti evoca il pellegrinaggio (cfr. 5,4), le espressioni «il Signore... sarà con voi» e «il Signore avrà pietà» alludono a quanto si spera di ottenere nel tempio grazie alle azioni sacre. 64
206
9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
movimento dell’animo, un orientamento globale del desiderio; è qui che, a nome del Signore, egli reclama un cambiamento. Nel secondo e quarto passo66 il desiderio di vita della Casa d’Israele si identifica con la ricerca del Signore: «Cercate il Signore e vivrete» (6). L’espressione «cercare il Signore» fa parte del linguaggio religioso tradizionale; essa connota una situazione di bisogno che viene soddisfatto rivolgendosi a Dio, di solito recandosi presso un santuario per ricevere un oracolo, una promessa, una benedizione (cfr. Ml 3,10). Amos interpreta questa espressione dissociando il nome del Signore, identificato con il bene, dalla realtà del santuario, identificato con il male: «Cercate me (e vivrete) «Cercate il bene
e non cercate Bet-El» e non il male (affinché viviate)»
4-5 14
La prima cosa da fare dunque è operare un cambiamento di direzione: bisogna allontanarsi dal santuario, perché è un luogo pericoloso, un luogo di morte e non di vita: vi piomberà infatti un fuoco che nessuno potrà spegnere (6). Allora, dove cercare il Signore per avere la vita? Amos indica un altro luogo, la porta della città: la sede del tribunale, là dove è possibile instaurare la giustizia, è il luogo del «bene» per eccellenza67. Questo bene viene inteso in due sensi. Da una parte il bene come ciò che si deve amare e promuovere: a ciò corrisponde la serie «cercare il Signore» (6), «cercare il bene» (14), «amare il bene» (15), «promuovere alla porta il giudizio» (15); dall’altra è il bene come risultato, come promessa di vita: questo è espresso da «e vivrete» (4 e 6), «il Signore... sarà con voi», «il Signore avrà pietà del resto di Giuseppe» (15). Il bene etico, da amare e da promuovere, produce la presenza del Signore e la sua misericordia per i Figli d’Israele (Os 10,12). Dal santuario alla porta. Ma anche alla porta si impone un cambiamento di direzione, un diverso orientamento del desiderio e dunque dell’agire. «Odiate il male e amate il bene», dice Amos (15)68, perché di fatto gli Israeliti fanno il contrario. Questa necessità di mutamento trapela dal passo centrale (7-13). Cosa amano e cosa odiano i destinatari del testo? Essi cercano il bene, inteso però come benessere: infatti hanno costruito case solide e belle69, hanno piantato vigne deliziose (11); per il loro comodo, non hanno esitato a «prendere» ciò che 66
Sullo stretto rapporto tra 5,4-5 e 5,14-15, entrambi caratterizzati da una nota anticultuale, cfr. K.W. NEUBAUER, «Erwägungen zu Amos 5,4-15». 67 Il verbo «cercare» (drš) ha una precisa collocazione nell’ambito della procedura forense: indica l’atto dell’«inchiesta», preliminare all’incriminazione e all’emissione della sentenza (P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 220-229). L’azione indagativa è comunque solo un aspetto della ricerca di un corretto giudizio (Is 1,17; 16,5). 68 I verbi «amare» e «odiare» sono usati nei testi di natura giuridica, come Is 1,23; Mic 3,2; Sal 11,7; Sap 1,1; ecc. (cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 176-177). 69 Sono le «pietre squadrate» a dare alle case un aspetto lussuoso (come per il tempio di Salomone: 1Re 5,31; 6,36; 7,9.11-12) e a renderle solide (cfr. Is 9,9; Lam 3,9): ricchezza da un lato e tranquillità dall’altro sono proprio gli aspetti che Amos denuncerà in modo specifico nella sequenza successiva (6,1-7).
Sequenza B4: 5,1-17
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serviva loro, l’imposta sul grano (11), o un compenso per un accomodamento giudiziario (12); amano la «porta» in quanto sede delle transazioni commerciali e fanno del tribunale che vi si trova il luogo del «mercato». Di conseguenza, odiano quanto può ostacolare il loro modo di vivere: «opprimono l’innocente» (12), «odiano il censore», «aborriscono chi parla con integrità» (10) 70. L’amore per la ricchezza porta all’odio della giustizia71. La ricerca del bene ridotto al solo benessere si realizza attraverso alcune tappe: si «spreme» il povero per ricavarne tutto ciò che può dare (11), si alterano le procedure giudiziarie (12), si tenta anche di corrompere Dio coinvolgendolo nel sistema instaurato (5); un simile processo si compie, cioè raggiunge la sua «perfezione» quando si riesce a fare sì che nessuno parli, nessuno protesti, nessuno dica che il loro presunto bene produce un «tempo di male» (10 e 13-14). LA PAROLA DI VERITÀ Tutta la sequenza però è struttura dalla ripetizione, in posizioni strategiche, della linea semantica della parola. Se gli Israeliti odiano «chi parla con integrità» (10; al centro di tutto l’insieme), il Signore continua a parlare, per mezzo del profeta, suo portavoce: all’inizio e alla fine della sequenza (1 e 17), all’inizio del secondo e del quinto passo (4 e 16). La sua parola si modula secondo tre aspetti diversi: anzitutto è denuncia dell’ingiustizia (soprattutto nel passo centrale, in particolare ai versetti 7.11-12); è poi esortazione alla conversione (nei passi contigui al passo centrale); infine, è profezia di sventura (nel passo centrale, ai versetti 8-9 e 11, e nei passi estremi, ai versetti 1-3 e 1617). È soprattutto quest’ultimo aspetto a dover essere sviluppato. L’atto giurisdizionale, quello del giudice che fa giustizia, è un atto di parola, che mette fine a tutte le altre parole, quelle dell’accusatore e quelle dell’accusato; con la sua sentenza decreta ciò che è bene e ciò che è male, decide chi è innocente e chi colpevole, destina il primo alla vita e il secondo alla punizione, talvolta capitale. La parola del giudice è carica di autorità; perciò quanto egli decreta «fa» legge, diventa costume. Ecco allora che in Israele possono parlare, con autorevolezza, solo i capi, ai quali è demandato, direttamente o per interposta persona, il compito di giudicare, e quindi di governare il popolo. È prudente non opporsi alla parola del capo (13). Ma il profeta non ha paura; e osa presentarsi con una parola che giudica la parola dei magistrati, esprimendo un verdetto che condanna chi nel tribunale (alla porta) ha commesso ingiustizia. Poiché i giudici hanno «mutato in assenzio il diritto» (7), il Signore muterà le leggi cosmiche per fare ricadere la sventura su quanti pensavano di essere al di sopra di ogni giudizio (8-9). 70
Cfr. un vocabolario simile in Mic 3,9. «Non sempre si vede che il sopruso e la violenza, nella corrotta amministrazione [...] sono fatalmente indotti nella comunità umana dalla sopravvalutazione del bene economico, che trova la sua attuazione nel profitto di uno a scapito di tutti gli altri» (P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 195). 71
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9. Lamento funebre sulla Vergine d’Israele
I sacerdoti, nel santuario, celebrano, con la parola, le lodi di Dio, e in suo nome, promettono: «il Signore il Dio degli eserciti, sarà con voi!» (14). Il profeta si alza a nome di Dio e trasforma la lode di Dio in una teofania di giudizio, invitando a fuggire dal luogo sul quale, invece della benedizione, scenderà il fuoco distruttore (6). Perché, nel tempio, la parola non è più pronunciata in verità. Il verdetto divino che annuncia la morte mette in movimento una parola, una parola popolare, che invade tutto Israele: è il canto di lamento, intonato dal profeta (1) e ripreso in tutte le piazze e in tutte le campagne dove «diranno: Ahi! Ahi!» (16). Anche se interviene un cambiamento di vita — possibile ma non probabile —, il giudizio di YHWH punirà il peccato di Israele: è infatti tipico del Signore esercitare la misericordia, ma non lasciare impunita la trasgressione (Es 20,5; 34,6-7; Nm 14,18; ecc.). La parola (di condanna) del Signore suscita una parola (di lamento) in Israele, parola che dice la sofferenza e, come tale, chiede misericordia: in questa prospettiva una qualche speranza di vita traspare anche alla fine della sequenza. MORTE E VITA Con il motivo del lamento funebre, che racchiude l’insieme dell’unità letteraria (primo e ultimo passo), il tema della morte annunciata e subita appare senz’altro come molto significativo. Esso non è senza rapporto con il resto della sequenza: la vergine-Israele è «gettata sul suo suolo» (2), perché la giustizia è stata per dir così uccisa (7b); la morte è sopraggiunta, perché un veleno (l’assenzio) è stato fatto ingoiare al popolo (7a); un tempo di sventura per i poveri e per i giusti (13) produrrà tenebra72 e devastazione (8-9), il regno cadrà e non si risolleverà più (1). Eppure rimane un’apertura alla vita, laddove si ha un vero desiderio del Signore (secondo e quarto passo: 4.6.14): ma «cercare il Signore» non significa solo diventare giusti, praticando il bene, ma è anche amare il suo giudizio, accettare il suo verdetto che rivela e punisce il peccato, è accettare la sofferenza della morte, attendendo la misericordia per il «resto di Giuseppe» (15).
72 Il rapporto semantico tra «tenebra» e «morte» è chiaro; in 5,8 la correlazione è accentuata dal termine ṣalmāwet; sebbene all’origine designasse semplicemente «la profonda oscurità» (cfr. D.W. THOMAS, «twmlc»), nella tradizione massoretica questa parola è vocalizzata come se fosse composto da ṣēl («ombra») e da māwet («morte»); cfr. anche la traduzione della Settanta: skia thanatou.
10 Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele Sequenza B5: 5,18-27
Questa sequenza comprende tre passi. I passi estremi (18-20 e 26-27) annunciano il castigo, il passo centrale (21-25) denuncia un culto non accompagnato dalla pratica della giustizia.
Chi aspira al giorno del Signore non potrà sfuggire al nemico
5,18-20
NON I SACRIFICI RICHIEDE IL SIGNORE MA LA GIUSTIZIA E IL DIRITTO
5,21-25
Chi si è fabbricato le proprie divinità dovrà portarsele con sé nella deportazione
5,26-27
210
10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele 1. NON SI POTRÀ SFUGGIRE AL NEMICO (5,18-20)
TESTO VERSETTO 18
Guai Con le versioni moderne, anche noi traduciamo con «guai» la particella ebraica hôy, che esprime non tanto un’invettiva, quanto un lamento di fronte a una situazione disperata (si potrebbe tradurre anche con «ahimé!») 1. VERSETTI 18 E 20
sarà In ebraico abbiamo tre frasi nominali, cioè senza verbo; le versioni di solito traducono con verbi al futuro (piuttosto che al presente); ciò si impone, se le tre proposizioni vengono intese come una risposta all’attesa espressa in 18a. D’altro canto, la simmetria di questa prima parte con l’ultima (27) — che è chiaramente al futuro — conferma questa scelta2. VERSETTO 19
in casa La Settanta traduce «nella sua casa». Il contesto fa intravedere che la casa in cui si cerca rifugio è la casa di Dio, cioè il santuario. Questo è confermato dall’uso del verbo bw’ («venire»), che in 4,4 ha come complemento Bet-El («la Casa di Dio») e in 5,5 il santuario di Galgala.
1 Cfr. W. JANZEN, Mourning Cry; H.-J. KRAUSE, «Hôj». Gli oracoli che iniziano con hôy, il loro genere letterario, il loro Sitz im Leben, sono stati oggetto di un ampio dibattito esegetico: E. GERSTENBERGER, «The Woe-Oracles»; R.J. CLIFFORD, «The Use of hôy»; G. WANKE, «yAa und yAh»; J.G. WILLIAMS, «The Alas-Oracles»; W. JANZEN, «“’Ašrê” and “hôy”»; J. VERMEYLEN, Du prophète Isaïe, II, 603-631; R.E. CLEMENTS, «The Form and Character»; D.R. HILLERS, «Hôy and Hôy-Oracles»; S. HORINE, «A Study of the Literary Genre». Non condividiamo l’opinione di J.J.M. ROBERTS, «Amos 6,1-7», 156, che considera la particella hôy come una semplice esclamazione (che egli traduce con «Ehi») utilizzata per attirare l’attenzione degli ascoltatori. 2 Tradurre al presente (come fa Rudolph, 202) è grammaticalmente possibile, ma il contesto evoca la «sorpresa» che coglierà gli abitanti di Samaria nel momento (futuro) in cui il Signore si manifesterà.
Sequenza B5: 5,18-27
211
VERSETTO 20
Sì hălô è interpretato non come una particella interrogativa, ma come avverbio con valore enfatico3. COMPOSIZIONE + 18 Guai + Che mai (sarà) + Esso (sarà)
a coloro che aspirano per voi tenebra
al giorno del SIGNORE! il giorno del SIGNORE? e non luce.
··································································································
. 19 Come fugge un uomo e si imbatte
davanti a un leone in un orso;
. e (allora) entra in casa e lo morde
e appoggia la sua mano al muro un serpente.
·································································································· tenebra il giorno del SIGNORE e non luce,
+ 20 Sì, è +e
buio
senza chiarore.
Il primo passo comprende tre brani. L’ultimo brano (20), che è un bimembro, corrisponde al primo brano che è un trimembro (18abc): vi si riprende «tenebra... e non luce» e «giorno del Signore». Tra i due (19), un paragone formato da due trimembri: + Come fugge + davanti a . e si imbatte in
un uomo UN LEONE UN ORSO
– e allora entra in casa – e appoggia la sua mano al muro . e lo morde UN SERPENTE.
La «casa» (che è un rifugio) e il «muro» (che è un sostegno) sono, come la «fuga», da mettere in relazione con la «luce» (18c e 20a) e con il «chiarore» (20b), perché evocano la speranza della salvezza; i tre animali pericolosi invece rimandano alla «tenebra» (18c.20a). INTERPRETAZIONE L’ENIGMA DEL GIORNO DEL SIGNORE L’espressione «il giorno del Signore» ha dato luogo a un grande dibattito tra gli studiosi. Le ipotesi sull’origine e il significato di tale concetto sono andate 3
Cfr. Joüon, 164d. Così la intende Hakham, 44. Cfr. M.L. BROWN, «“Is It Not?”».
212
10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele
moltiplicandosi. Secondo G. von Rad, per esempio, si tratterebbe del giorno della guerra santa, in cui Dio salva il suo popolo4; per altri invece si dovrebbe pensare a una ricorrenza festiva e a un ambito cultuale5. Bisogna però riconoscere che la maggior parte delle ipotesi non tengono sufficientemente conto del contesto di questo breve passo, nel quale questa espressione ricorre tre volte. È significativo che diversi esegeti, tra cui Wolff, separino i versetti in questione (18-20) dal seguito (21-27), considerandoli due oracoli distinti. Il ritenere invece — come è nostra convinzione — che i versetti 18-27 formino una sola sequenza (un solo oracolo) non potrà non incidere sull’interpretazione della prima parte dell’oracolo e quindi sulla comprensione dell’idea stessa del «giorno del Signore». La nostra posizione è giustificata dal fatto che tutti riconoscono nel testo di Amos la prima attestazione letteraria dell’espressione «il giorno del Signore»: è necessario dunque comprenderla a partire dal suo preciso contesto. IL FUTURO Per comprendere cosa significhi «il giorno del Signore», bisogna tenere presente il contesto cultuale nel quale si svolge tutta la sequenza6. Bisogna allora evocare il tempo e il luogo in cui vengono celebrate le gesta di Dio: il luogo è il tempio, il tempo è quello della festa e del pellegrinaggio. «Il giorno del Signore» ha evidentemente una dimensione temporale: è il giorno consacrato alla manifestazione di Dio e alla sua celebrazione. È il giorno di festa, al quale viene attribuita un’importanza del tutto particolare, non solo perché vi si fa memoria delle azioni salvifiche di Dio, ma anche perché è il momento in cui questi eventi si riproducono nella storia degli uomini7. Facendone memoria durante il rito liturgico, il popolo riconosce, invoca e attesta la presenza attiva di Dio nell’oggi della celebrazione. Ora, questo giorno di festa, al quale si aspira come a un tempo di gioia e di luce, di salvezza celebrata e di vita rinnovata, viene qualificato da Amos come tenebra: è un giorno nefasto. La celebrazione non porterà la luce ma l’oscurità, non darà la vita ma la morte, la morte di chi sarà vittima del serpente, la morte del popolo che sarà deportato al di là di Damasco. Il cambiamento del giorno di festa in giorno di giudizio punitivo introduce una modalità letteraria che si andrà affermando nel profetismo posteriore, per cui il «giorno del Signore» diventerà sinonimo di giorno 4
G. von RAD, Theologie 2, 119. Cfr. Wolff, 255. Era già l’opinione di Harper, 131. Per una rassegna delle opinioni in proposito, cfr. A. SPREAFICO, Sofonia, 98-105; alla sua bibliografia, già abbondantissima, si possono aggiungere alcuni titoli più recenti: J. GRAY, «The Day of Yahweh»; D. STUART, «The Sovereign’s Day of Conquest»; G. EGGEBRECHT, «Die früheste Bedeutung»; H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 89-110; O. LORETZ, Regenritual, 77-112; M. WEINFELD, «The Day of the Lord». 6 Non tenendo conto del contesto, K.A.D. SMELIK, «The Meaning of Amos V 18-20», ritiene che «coloro che aspirano al giorno del Signore» siano i falsi profeti che annunciano in ogni occasione l’intervento vittorioso di YHWH a favore del suo popolo. 7 Y. HOFFMANN, «The Day of the Lord», dice che in Amos il concetto di «giorno del Signore» fa riferimento a certi eventi connessi con l’apparizione di Dio (teofania). 5
Sequenza B5: 5,18-27
213
escatologico: verrà così evocato l’ultimo giorno, l’ultima manifestazione di Dio, nella quale Egli rivelerà la sua assoluta potenza distruggendo l’intero universo. È chiaro che nel libro di Amos questa prospettiva è solo abbozzata; tuttavia i profeti successivi, riprendendo e sviluppando lo stesso tema, hanno ribadito esattamente il significato attribuitogli da questo primo profeta8. Metaforicamente, il giorno del Signore è da collegarsi anche con una dimensione spaziale, suggerita dal paragone del versetto 19. Dopo aver parlato dell’aspirazione alla festa, il testo introduce il tema della fuga verso una «casa»; è probabile che Amos alluda così a Bet-El, «la Casa di Dio». Il giorno del Signore si celebra nel santuario. Ora, è proprio nel tempio, considerato luogo di rifugio, là dove ci si considera al sicuro da ogni pericolo, che sopraggiunge la morte9. Il recinto sacro, dove si attende l’atteso intervento salvifico di Dio è invece sede dell’azione del serpente mortale (cfr. 9,3). È paradossale che tutto quanto Israele persegua, si trasformi in un luogo di morte. Ancora una volta, ritorna il tema della trappola, come nella sequenza d’apertura della sezione (3,18)10: colui che tenta di sfuggire a un grave pericolo va a rifugiarsi proprio nella trappola dove lo aspetta la morte11.
2. CIÒ CHE RICHIEDE IL SIGNORE (5,21-25) TESTO 21
Odio, rigetto le vostre feste e non posso sentire le vostre assemblee: 22 anche se mi offrite olocausti, e le vostre feste non gradisco e l’oblazione delle vostre pingui bestie non guardo. 23 Togli via da me il frastuono dei tuoi canti e la musica delle tue arpe non ascolto. 24 Ma scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne. 25 Sacrifici e offerta mi avete presentato nel deserto, per quarant’anni, Casa d’Israele? VERSETTO 21
le vostre feste... le vostre assemblee Il termine ḥag («festa») fa riferimento a quelle celebrazioni, che implicavano un pellegrinaggio al santuario12. Il termine ‘ăṣārâ significa «riunione» cultuale festiva13.
8
Cfr. G.F. HASEL, «The Alleged “No”». Il verbo nws, «fuggire» (Am 5,19), funge da termine tecnico per designare la liceità, per un omicida (involontario), di sottrarsi alla vendetta, trovando scampo in un luogo di rifugio: Nm 35,6ss; Dt 4,42; 19,3ss; Gs 20,3ss; 1Re 2,28-29. 10 L’uso del paragone (il riferimento esplicito al leone) e le ripetute domande retoriche ricordano lo stile (e anche il tema) della sequenza B1 (3,1-8). 11 Cfr. J.L. HELBERG, «Disillusionment». 12 Cfr. B. KEDAR-KOPFSTEIN, «gh;, ḥag)». 13 Cfr. E. KUTSCH, «Die Wurzel», 65-67. 9
214
10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele
VERSETTO 22
l’oblazione Il termine ebraico, spesso tradotto con «sacrificio (pacifico)», sembra che designi un banchetto sacrificale, a conclusione di una celebrazione liturgica14. COMPOSIZIONE : 21 Odio, : e non posso-sentire
rigetto
le vostre feste le vostre assemblee,
: 22 anche se : e le vostre offerte : e l’oblazione
mi offrite
olocausti, non gradisco non guardo.
delle vostre pingui-bestie
·······································································································
– 23 Togli-via da me – e la musica
il frastuono delle tue arpe
dei tuoi canti non ascolto.
+ 24 Ma scorra + e la giustizia
come acqua come torrente
il diritto perenne.
·······································································································
- 25 Sacrifici - nel deserto,
e offerta per quarant’anni,
mi avete presentato Casa d’Israele?
Il primo brano (21-22) comprende due segmenti, un bimembro e un trimembro. Il primo segmento riguarda il pellegrinaggio e la riunione («feste» e «assemblee»), che sono come la preparazione all’atto cultuale esplicitato dal secondo segmento: «olocausti», «offerte» e «oblazione di pingui bestie» (22). I verbi alla prima persona sono posti all’inizio dei membri nel primo segmento, e alla fine degli ultimi due membri del secondo segmento15. Il terzo brano (25) comprende un solo segmento bimembro16: vi si contrappone l’assenza di «sacrifici e offerte» del passato («nel deserto») alle «offerte» attuali del primo brano (22b). Al centro del passo (23-24) ci sono due bimembri fra loro tematicamente opposti17: il primo esprime ciò che Dio rifiuta, il secondo ciò che
Wolff, 263. Sui sacrifici chiamati šelāmîm, cfr. B.A. LEVINE, In the Presence of the Lord; sui sacrifici in genere, cfr. R. de VAUX, Les sacrifices de l’Ancien Testament; L. ROST, Studien zum Opfer; J. MILGROM, Studies in Cultic Theology; G.A. ANDERSON, Sacrifices. 15 Ciò rappresenta un fenomeno di chiusura (cfr. R. MEYNET, L’analisi retorica, 205, a proposito di Sal 146,7-9). 16 I suoi termini sono paralleli dal punto di vista sintattico: abbiamo infatti due complementi oggetto seguiti dal sintagma verbale, e due complementi — uno di luogo, l'altro di tempo — seguiti da un’apostrofe che nomina il soggetto del verbo. 17 Il primo è del tipo A (b c) / (b’c’) A’. Nel secondo segmento (24) i soggetti, «il diritto» e «la giustizia», fungono da termini medi. 14
Sequenza B5: 5,18-27
215
desidera (i verbi hanno un valore di imperativo)18. Mentre nei brani estremi il Signore si rivolge agli Israeliti alla seconda persona plurale, nel brano centrale usa la seconda persona singolare. INTERPRETAZIONE PERCHÉ DIO RIFIUTA IL CULTO19? Il primo versante del passo (21-23) è strutturato fondamentalmente da un’opposizione semplice: da una parte l’elenco degli atti cultuali, diversificati e molteplici, compiuti dagli Israeliti, e dall’altra l’unico atto divino, che, sebbene espresso in modo diversificato, dice sempre la stessa cosa, il rifiuto di ogni azione sacra. L’opposizione è sottolineata dalla ripetizione del possessivo («le vostre feste», «le vostre assemblee», «le vostre offerte», «le vostre pingui bestie», «i tuoi canti», «le tue arpe»), che ha un tono chiaramente dispregiativo; questa modalità letteraria20 contrasta con una terminologia tecnica che esprime la medesima realtà mediante espressioni come «la festa del Signore»21 o «sacrificio per il Signore»22. Come spiegare che il Dio che ha prescritto tali istituzioni chiamandole «la mia festa»23, «il mio sacrificio»24, manifesti ora un così violento disprezzo per l’insieme del culto di Israele, cominciando dalle assemblee in occasione delle grandi feste che richiedono il pellegrinaggio (21), passando per il cerimoniale delle offerte e dei sacrifici (22), fino alla preghiera solennizzata dal canto (23)? IL SIGNORE NON VUOLE I SACRIFICI MA LA GIUSTIZIA Il testo di Amos risponde a questa domanda in due modi25. Il primo (operato all’interno della parte centrale, tra il versetto 23 e il versetto 24) potrebbe essere così riassunto: Dio non vuole i sacrifici, ma pretende la giustizia. In consonanza con il detto «voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio invece degli olocausti» (Os 6,6; cfr. anche 1Sam 15,22; Pr 21,3), il profeta Amos ribadisce che il Signore è un Dio di giustizia e perciò non può essere onorato e celebrato 18 È forse il suono a unire tra loro i due segmenti: canti e musica in 23 e il gorgogliare dell’acqua in 24. Questo rapporto è forse sottolineato dall’assonanza tra «arpe» (nbl) e «torrente» (nḥl). 19 Il tema della critica profetica del culto è stato molto studiato; ecco alcuni tra i titoli più importanti: P. VOLZ, «Die radikale Ablehnung»; R. HENTSCHKE, Die Stellung; E. WÜRTHWEIN, «Kultpolemik»; H. SCHÜNGEL-STRAUMANN, Gottesbild; H.J. BOECKER, «Überlegungen»; V. KRECH, «Prophetische Kultkritik». 20 Si tratta di un artificio frequentemente attestato nei testi profetici di critica al culto: cfr. Is 1,11.14; 43,23-24; Ger 6,20; 7,21; Os 5,6; Sal 50,8-9; e in Amos: 4,4; 5,21-23; 8,10. 21 Cfr. Es 10,9; 12,14; 13,6; Lv 23,6; Nm 29,12; Dt 16,10; ecc. 22 Cfr. Es 12,27; 18,12; 24,5; Lv 17,5; Nm 6,17; ecc. 23 Cfr. Es 23,18. 24 Cfr. Es 23,18; 34,25; 1Sam 2,29. 25 Il tema è stato ampiamente discusso dalla letteratura esegetica; per un primo orientamento e per una informazione bibliografica, cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 120-122, 179-181.
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10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele
senza che i suoi fedeli producano, come un torrente vitale (24), delle azioni conformi al diritto26. Invece del vano fluire delle parole (Is 29,13), invece della melodia del canto e delle arpe, YHWH desidera la parola che salva gli innocenti, mediante un giudizio giusto27. Il secondo modo con cui il testo risponde alla domanda sul rifiuto degli atti di culto ci viene dal collegamento tra la prima parte (21-22) e l’ultima (25), cioè dal confronto tra ciò che Israele fa al presente e ciò che avvenne nel momento fondatore della sua storia, durante i quarant’anni del deserto28. Allora il popolo non faceva niente per Dio, al contrario era lui che provvedeva al loro nutrimento (Os 11,4): il Signore che si rivela nell’esodo non ha bisogno di niente, perché è lui il principio originario di vita. Nel deserto era il Signore ad essere la sorgente, era YHWH a far scaturire l’acqua dalla roccia che dissetava e ridava forze; ora alla «Casa d’Israele» — intesa come popolo e anche come casa regnante — viene richiesto di adoperarsi nella storia, al presente, per essere torrente perenne di giustizia, cioè di vita per tutti, specialmente per il povero.
3. NON SI POTRÀ SFUGGIRE ALLA DEPORTAZIONE (5,26-27) TESTO VERSETTO 26
e porterete Nel testo ebraico la forma verbale indica un’azione futura. Alcuni autori, seguendo la Settanta, traducono al passato («avete portato»), interpretando il versetto come un antico peccato di Israele, commesso forse durante il periodo del deserto.
26
Questa interpretazione non concorda dunque con quella di J.Ph. HYATT, «The Translation», che traduce la coppia mišpāṭ – ṣedāqâ con «redenzione» e «salvezza» provenienti da Dio; i testi in un certo senso paralleli di Am 5,7 e 6,12 impongono in realtà che il versetto 24 venga inteso come un imperativo rivolto all’uomo. 27 Cfr. Is 1,11-17; cfr. A.V. HUNTER, Seek the Lord!, 106-114; J.L. SICRE, “Con los pobres”, 130-132. 28 Su questo punto Amos segue una tradizione che, radicalizzata, si ritrova in Ger 7,22: «Io non parlai né diedi comandi sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d’Egitto». Esistono diversi tentativi per accordare Am 5,26 (non ci sono stati sacrifici durante i quarant’anni trascorsi nel deserto) con le tradizioni narrative di Esodo e Numeri (che parlano di atti sacrificali importanti: per esempio, Es 24,4ss; Nm 9,1ss); si veda, in proposito, Rosenmüller, 151-154, il quale propende a interpretare Amos quasi dicesse che non ci furono sacrifici a Dio nel deserto perché i riti erano privi di disposizione interiore e frammisti a un culto idolatrico. Questa lettura lascia peraltro insoddisfatti. La difficoltà di accettare il testo di Amos è confermata dall’interpretazione di Joüon, 161b, che scorgendo nella particella hă- (usata di solito per le proposizioni interrogative) una «sfumatura esclamativa», traduce: «Ma certo, mi avete offerto sacrifici e oblazioni nel deserto»! Il contesto contraddice questa soluzione.
Sequenza B5: 5,18-27
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Sikkut e Kiyyun Questo versetto viene interpretato dai commentatori in svariati modi29. Taluni, adottando una vocalizzazione diversa da quella del TM, ritengono che kēwān e sakkût sarebbero delle divinità di origine mesopotamica, corrispondenti a dei titoli di Saturno, la divinità astrale, preposta alla tutela della giustizia30. COMPOSIZIONE - 26 -
E VOI PORTERETE e
-
la stella che avete fatto
: 27
······························································································ E DEPORTERÒ VOI al-di-là di Damasco,
. dice . il DIO
Sikkut Kiyyun
il Signore; degli eserciti
vostro vostri
re simulacri
dei vostri per
dèi voi.
è il suo nome!
Il primo brano (26) comprende due brevi segmenti, i cui quattro membri terminano (in ebraico) con pronomi alla seconda persona plurale. Il secondo brano (27) comprende un solo segmento trimembro del tipo ABB’. I due brani iniziano con un verbo al futuro; i nomi dei falsi «dèi», «Sikkut» e «Kiyyun», si contrappongono al «nome» del «Dio degli eserciti», «il Signore» (da sottolineare una connotazione astrale: riferimento alla stella per Kiyyun, e, per il Signore, agli «eserciti», che sono gli esseri celesti con cui Dio riporta la vittoria). Si può rilevare una certa opposizione semantica tra i due brani: gli Israeliti «portano» le divinità, mentre il Signore «deporta» gli Israeliti.
29
È impossibile entrare qui nella complessità dei problemi filologici e storici posti da questo versetto; se il TM è difficilmente comprensibile, le diverse congetture per renderlo più chiaro non riescono a raccogliere l’unanimità dei consensi: cfr. S. GEVIRTZ, «A New Look»; Ch.D. ISBELL, «Another Look». H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 118-126, dopo un’accurata analisi, ritiene che l’unica conclusione certa è una polemica contro alcune divinità pagane di natura astrale. 30 Recentemente R. BORGER, «Amos 5,26», ha messo in discussione il rapporto tra Am 5,26 e un testo di scongiuro mesopotamico che era servito per identificare nei nomi propri di Amos due divinità del panteon babilonese (Sagkud, cioè Ninurta, e Kayyamānu = Kewan, cioè Saturno). In ogni modo è chiaro che il testo attuale di Amos allude a un culto idolatrico. Per O. LORETZ, «Die babylonischen Gottesnamen», i versetti 5,26-27 sono di un autore postesilico; per quanto riguarda kywn, è plausibile il riferimento al pianeta Saturno. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 665-668, pensa che il termine sikkût del TM debba essere rivocalizzato sukkôt, e traduce «porterete i baldacchini del vostro Re».
218
10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele
INTERPRETAZIONE LA DEPORTAZIONE E LA MORTE L’annuncio minaccioso dell’esilio (27) occupa spesso nel libro di Amos l’unità conclusiva di una sequenza: oltre al caso della presente sequenza B5, questo motivo si ritrova anche nella sequenza B2 (4,3) e nella sequenza B6 (6,7). Tale prospettiva equivale, in un certo senso, a quella della morte che segna la conclusione della sequenza B4 (5,16-17) e che nella sezione seguente si ritroverà alla fine delle sequenze C2 (8,3), C3 (8,14) e C4 (9,10). L’alternanza tra la deportazione e la morte era già stata rilevata nella prima sezione del libro, a proposito degli oracoli contro le nazioni vicine: deportazione per Damasco (1,5) e morte per i Filistei (1,8), deportazione per gli Ammoniti (1,14) e morte per i Moabiti (2,2-3). Per Israele la deportazione assume il valore di fine, anzitutto perché è direttamente operata da Dio, che è colui che ha fatto uscire dal paese d’Egitto tutte le tribù d’Israele (3,1). Il fatto che il popolo sarà condotto in esilio in un paese lontano, al di là di Damasco, sottolinea il carattere definitivo dell’azione compiuta dal Dio degli eserciti. IL CASTIGO DELL’IDOLATRIA Che in Amos venga annunciato l’esito conclusivo della storia di Israele, lo si ricava chiaramente dal secondo brano del nostro passo (27); e, a nostro avviso, ciò è ribadito anche nel brano iniziale (26), anche se quest’ultimo è di solito interpretato diversamente. Infatti alcuni autori, rilevando che l’inizio del testo fa allusione a un culto idolatrico, pensano che questo debba essere inteso come la causa dell’esilio, come il peccato che ha determinato la deportazione di Israele; per questa ragione essi correggono il testo ebraico31. In realtà, se il versetto 26 parla dell’idolatria («i vostri dei che avete fatto per voi») 32, esso dice anche che i colpevoli di tale azione porteranno, come in processione, le statue delle divinità alle quali viene riconosciuta una dignità regale («vostro re») 33. Ora, ciò significa che gli Israeliti saranno condannati a servire, in terra straniera («al-di-là di Damasco» in 27), le divinità straniere (Sikkut e Kiyyun) che si erano date come sovrani34. Doversi prostrare davanti a delle immagini, invece di adorare il Dio vivente, è una maledizione: «Il Signore ti disperderà tra tutti i popoli, da 31
Cfr. p. 217. Si noti peraltro che è l’unico punto in tutto il libro di Amos in cui si parla di idolatria. 33 Nella parola malkekem («vostro re») è stata vista un’allusione al dio Moloch; per la discussione del problema (anche in 1,15; 2,1 e 7,13), cfr. É. PUECH, «Milkom»; G.C. HEIDER, The Cult of Molek; J. DAY, Molech. 34 Un’interpretazione diversa potrebbe essere suggerita dall’accostamento con Os 10,6, che a proposito del vitello d’oro di Betel dice: «Sarà portato anch’esso in Assiria come offerta per il grande re». Israele, deportato in terra straniera, porta con sé, come atto di sottomissione, gli idoli, che si è fatti e che sono stati sottomessi dal dio vincitore; ma è il Dio degli eserciti, il Signore, che deporta Israele (5,27), è lui che trionfa su questi stessi idoli, mostrando che la loro regalità (5,26) è menzognera. 32
Sequenza B5: 5,18-27
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un’estremità della terra fino all’altra; là servirai altri dèi, che né tu, né i tuoi padri avete conosciuto, dèi di legno e di pietra» (Dt 28,64)35. Come dice Geremia, è una condanna conseguente all’idolatria stessa: «Vi scaccerò da questo paese verso un paese che né voi né i vostri padri avete conosciuto, e là servirete divinità straniere giorno e notte, poiché io non vi userò più misericordia» (Ger 16,13); «Come voi avete abbandonato il Signore e avete servito divinità straniere nel vostro paese, così servirete gli stranieri in un paese non vostro» (Ger 5,19). A nostro avviso, anche per Amos la deportazione è articolata a una sudditanza alle divinità che erano state servite già prima dell’esilio. 4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (5,18-27) COMPOSIZIONE I RAPPORTI TRA I PRIMI DUE PASSI 18
GUAI a COLORO CHE ASPIRANO al giorno del Signore! Che mai sarà per voi il Giorno del Signore? Esso sarà tenebra e non luce. 19 Come fugge un uomo davanti a un leone e si imbatte in un orso; e allora entra in CASA e appoggia la sua mano al muro e lo morde un serpente. 20 Sì, è tenebra il giorno del Signore e non luce, e buio senza chiarore. 21
ODIO, rigetto le vostre feste e non posso-sentire le vostre assemblee: anche se mi offrite olocausti, e le vostre offerte non gradisco e l’oblazione delle vostre pingui bestie non guardo. 23 Togli-via da me il frastuono dei tuoi CANTI e la MUSICA delle tue arpe non ascolto. 24 Ma scorra come acqua il diritto e la giustizia come torrente perenne. 25 Sacrifici e offerta mi avete presentato nel deserto, per quarant’anni, CASA D’ISRAELE? 22
– «Casa», al centro del primo passo (19c), è ripresa alla fine del secondo (25b). – Il primo passo inizia con una domanda, al centro del primo brano, in 18b; a questa domanda fa eco, alla fine del passo (20), il segmento che inizia con la particella hălô. Il secondo passo termina con una domanda (25). – Il primo passo inizia con il grido tipico del lamento funebre (hoy, «guai a»), pronunciato da Dio — o dal profeta a suo nome — su Israele; il secondo passo è incentrato sui «canti» e la «musica» con cui Israele pretende di celebrare il suo Signore (23). – Infine, mentre il primo passo menziona (all’inizio: 18) il desiderio degli Israeliti («aspirano al giorno del Signore»), tutto il primo brano del secondo passo (21-22) descrive a lungo quanto il Signore «odia» (21), ossia gli atti cultuali degli Israeliti (celebrati nei giorni di «feste», cioè nel «giorno del Signore»). 35
Cfr. anche Dt 28,36.
220
10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele
I RAPPORTI TRA GLI ULTIMI DUE PASSI 21
Odio, rigetto le vostre feste e non posso-sentire le vostre assemblee: anche se mi offrite olocausti, e le vostre offerte non gradisco e l’oblazione delle vostre pingui bestie non guardo. 23 Togli-via da me il frastuono dei tuoi canti e la musica delle tue arpe non ascolto. 24 Ma scorra come acqua il diritto e la giustizia come torrente perenne. 25 Sacrifici e offerta mi avete presentato nel deserto, per quarant’anni, Casa d’Israele? 22
26
E voi porterete Sikkut vostro re e Kiyyun vostri simulacri, la stella dei vostri dèi che avete fatto per voi. 27 E deporterò voi, al-di-là di Damasco, dice il Signore; Dio degli eserciti è il suo nome!
– Mediante la ripresa dei possessivi «vostro/i» (alle estremità del secondo passo 21-22 e 25, e in tutto il terzo passo 26-27) si accentua il rapporto tra gli atti cultuali compiuti attualmente nel santuario del Signore e quelli che in futuro avranno per oggetto le divinità pagane. – Si può vedere una relazione tra «presentare» (25) e «portare» (26), due atti cultuali che in un certo qual modo stanno in rapporto di opposizione: al Signore che è il vero Dio non si presentano offerte, perché è Lui a dare; i falsi dei al contrario devono essere trasportati, perché non hanno vita, non sono altro che immagini. – Si può rilevare anche un rapporto di paronomasia tra weyiggal (radice gll; il diritto che «scorre») al centro del secondo passo (24a) e wehiglêtî (radice glh; Israele che sarà «deportato») alla fine del terzo passo (27a). Probabilmente il gioco di parole fa riferimento al nome del santuario di Galgala; già in 5,5 «Galgala» stava in rapporto evidente con la deportazione (kî haggilgāl gālōh yigleh). I RAPPORTI TRA I TRE PASSI Il primo e l’ultimo passo (18-20; 26-27) predicono il castigo futuro. Annunciato con delle immagini nel primo passo, è definito chiaramente come deportazione nell’ultimo. Il nome del «Signore», autore della punizione, vi ricorre quattro volte (18a.18b.20a.27b); il nome del destinatario è menzionato solo alla fine del passo centrale (21-25) consacrato alla denuncia del culto, al quale si oppone la pratica della giustizia. La prima parte (21-22) concerne il presente, l’ultima il passato (25); la parte centrale (23-24) è all’imperativo.
Sequenza B5: 5,18-27
221
18
Guai a coloro che aspirano al giorno del SIGNORE! Che mai sarà per voi il Giorno del SIGNORE? Esso sarà tenebra e non luce. . 19 Come fugge un uomo davanti a un leone e si imbatte in un orso; . e allora entra in casa e appoggia la sua mano al muro e lo morde un serpente. 20 Sì, è tenebra il giorno del SIGNORE e non luce, e buio senza chiarore. 21
Odio, rigetto le vostre feste e non posso-sentire le vostre assemblee: anche se mi offrite olocausti, e le vostre offerte non gradisco e l’oblazione delle vostre pingui bestie non guardo. 23 Togli-via da me il frastuono dei tuoi canti e la musica delle tue arpe non ascolto. 24 Ma scorra come acqua il diritto e la giustizia come torrente perenne. 25 Sacrifici e offerta mi avete presentato nel deserto, per quarant’anni, Casa d’Israele? 22
26
E voi porterete Sikkut vostro re e Kiyyun vostri simulacri, la stella dei vostri dèi che avete fatto per voi. 27 E deporterò voi, al-di-là di Damasco, dice il SIGNORE; Dio degli eserciti è il suo nome!
INTERPRETAZIONE IL PROBLEMA DEL CULTO IDOLATRICO La sequenza è molto omogenea dal punto di vista tematico; nei suoi tre passi illustra tre diverse modalità dell’azione cultuale. In primo luogo (18-20) il profeta parla del giorno del Signore, della ricorrenza sacra, a cui tutti gli antichi attribuivano grande importanza, come segno dell’obbedienza al «cielo»; gli astri che, senza la minima trasgressione, indicavano la volontà del Dio altissimo, segnavano le date fauste e le date infauste, fissando così il calendario delle ricorrenze festive. Il tema della festa fa passare al secondo aspetto del culto (21), quello più vistoso, consistente nelle cerimonie complesse che si svolgono nel santuario (21-23). Tutti i popoli hanno sempre manifestato la loro devozione religiosa, dispiegando un’imponente attività liturgica. Il tema del fare (suggerito dai verbi causativi «far-salire» in 21 e «far-venire», o «presentare», in 25) fornisce la transizione alla terza e ultima espressione del culto che consiste nel fabbricare («fare» in 26) gli oggetti sacri, le immagini da venerare. I templi antichi, anche in Israele — come risulta dagli scavi archeologici — prevedevano tutto un dispositivo visivo di statue e di rappresentazioni della divinità, atte a infondere riverenza e a facilitare la preghiera. Non si sa quando in Israele venne rigorosamente applicato il divieto di fabbricare immagini di Dio. Se ci si attiene alla storia raccontata nel libro dei Re da una parte e nei libri profetici dall’altra, i re di Israele — a cominciare da Geroboamo I, il fondatore di Betel (1Re 12,28-33) — non mancarono di «consacrare» i santuari e di intronizzarvi immagini sacre, dèi ai quali veniva attribuita una forza salvifica. Secondo l’opinione corrente degli esegeti, la legge
222
10. Un culto pervertito non salverà la Casa d’Israele
dell’aniconismo in Israele venne imposta solo dopo l’esilio, proprio in concomitanza con l’avvenuta distruzione del tempio di Gerusalemme. Nel libro di Amos non si trova un’insistita denuncia dell’idolatria, come avverrà invece nei profeti successivi. Tuttavia, la sequenza B5 permette di vedere che per il profeta di Tekoa esiste un rapporto tra l’attività idolatrica (il riconoscimento e l’adorazione degli dei) e il culto praticato in Israele in onore del Signore. Questo legame è messo in evidenza proprio dalla strutturazione della sequenza. Amos parla dell’idolatria evocando i nomi di Sikkut e Kiyyun (26) e usando l’espressione «la stella dei vostri dei»; ora, questi dèi fabbricati da Israele tradiscono una fiducia automatica nel «giorno» previsto da un calendario liturgico regolato dagli astri, scandito dal regolare ritorno della luce dopo le tenebre (18.20). Israele si è fatto degli dèi, ma si è anche costruito la «casa» del suo Dio, il muro a cui si appoggia e che ritiene sia una valida garanzia contro ogni pericolo (19). Tutto questo è idolatria, nella misura in cui l’agire umano pretende di darsi un’auto-assicurazione di salvezza. Il portare in processione le statue degli dèi (26) è senz’altro un equivalente di «servirli», cioè venerarli, adorarli; ma il popolo, con analogo spirito idolatrico, porta sacrifici e offerte al proprio Dio (22.[25]), perché pretende di imporre al Signore ciò che Lui, Dio, non vuole, poiché immagina di poterlo trattare come qualcuno che si può corrompere o sedurre. Ciò che libera l’azione liturgica dalla sua componente idolatrica è l’azione di giustizia (24), torrente che lava, acqua che salva. È CAMBIATO IL VOLTO DEL SIGNORE Di fronte al culto di tipo idolatrico che Israele dispiega, YHWH presenta un volto inatteso, contrastante con la tradizione religiosa e quindi con l’attesa del popolo di Dio. Cominciamo dall’ultimo passo per risalire al primo. Il discorso di Amos termina con l’immagine di YHWH che invece di essere il Signore dell’esodo, si manifesta come il Dio della deportazione (27): se l’idolatria è il rifiuto di servire l’unico Signore, la storia rivelerà che tale crimine produce la schiavitù. Il rifiuto dei sacrifici, il rigetto delle feste, il non esaudimento della preghiera (al centro del testo: 21-23) sono tratti sicuramente inaspettati presso il Dio che ha promesso la sua presenza ai patriarchi e che si è legato al suo popolo con il vincolo dell’alleanza. Ma un culto senza giustizia è inutile, inefficace, mortifero. Come mortifera è la celebrazione di un «giorno del Signore» (all’inizio della sequenza) dissociata dalla vera fede: Dio, celebrato come luce di vita nei cantici (cfr. Sal 27,1; 36,10; 37,6; 44,4; 97,11; ecc.), si rivela come tenebra (18.20); lui, che, secondo le parole degli inni, si premura di proteggere dal leone e dal dragone (Sal 91,13), manda ora il serpente per uccidere (19). Ma, se il volto di Dio è mutato, ciò avviene solo perché Israele ha deformato l’atto di adorazione, che è riconoscenza e riconoscimento del creatore, in atto di manipolazione del sacro.
Sequenza B5: 5,18-27
223
IL VALORE DELL’IMPERATIVO Come nella sequenza precedente (B4: 5,1-17), la prospettiva di Amos è catastrofica. Il nostro testo è infatti racchiuso tra un annuncio di morte (tenebra, serpente che morde: 18-20) e la predizione dell’esilio (27). Al centro (24), l’imperativo divino che esige l’azione di giustizia appare isolato, e in un certo senso inutile. Possiamo ribadire al proposito, quanto già detto nella sequenza precedente: la minaccia profetica, proprio perché minaccia, è un’offerta di possibile salvezza. Inoltre, la giusta punizione per il peccato non impedisce che al resto di Israele sia proposto un cammino di conversione e di vita. Questo testo infatti — come tutta la profezia di Amos e come la letteratura preesilica in genere — può essere letto su due livelli. Il primo è quello dei contemporanei del profeta: un appello al bene, che purtroppo non venne ascoltato; una salvezza, resa possibile dalla pazienza divina, che non si è realizzata. Questo primo livello tra l’altro ha la funzione di dare una «qualche» giustificazione alla catastrofe dell’esilio. Il secondo livello di lettura è quello degli editori del testo di Amos, di coloro cioè che dopo l’esilio hanno ascoltato come «parola del Signore» le parole del pastore di Tekoa. Anche dopo la catastrofe si pone la questione del trovare la via della vita e ristabilire con Dio un rapporto di verità. Come prima dell’esilio, anche dopo si ripresenta costantemente la tentazione di un culto senza giustizia. Amos si ricongiunge allora idealmente all’ultimo Isaia, quando dice che la luce della vita (18.20) scaturisce solo dall’atto di giustizia (24): il vero culto consiste nel «condividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri senza tetto, nel vestire chi è nudo»: «allora la tua luce sorgerà come l’aurora, [...] la tua luce brillerà fra le tenebre, la tua oscurità sarà come il meriggio» (Is 58,7-8.10).
11 Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele Sequenza B6: 6,1-7
Questa sequenza è formata da tre passi. Il primo passo (1) è un’invettiva diretta contro quanti credono che Israele sia migliore degli altri popoli; nel secondo (2-3) il profeta si rivolge direttamente ai suoi uditori per invitarli a confrontarsi in modo corretto con le altre tre nazioni; il terzo passo (4-7) corrisponde al primo: quanti si consideravano la primizia delle nazioni, saranno la primizia dei deportati tra le genti.
Guai a quanti si credono la primizia
VOI NON SIETE MIGLIORI
Essi saranno la primizia dei deportati
delle nazioni
6,1
DEGLI ALTRI
6,2-3
tra le nazioni
6,4-7
226
11. Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele 1. GUAI A QUANTI SI CREDONO I PRIMI (6,1)
TESTO VERSETTO 1
gli spensierati in Sion La Settanta traduce: «quelli che disprezzano», tradendo un senso di imbarazzo davanti a un attacco di Amos contro gli abitanti della capitale di Giuda. Per risolvere la difficoltà, i moderni hanno proposto un gran numero di correzioni1. Ci sembra preferibile seguire il TM, interpretandolo come un’applicazione a Gerusalemme di ciò che era originariamente indirizzato al solo regno di Samaria2. e viene verso di loro la Casa d’Israele Le versioni antiche si distanziano notevolmente dall’ebraico e quelle moderne accumulano le congetture3. Il problema non è tanto testuale quanto interpretativo4.
1
V. MAAG, Text, 37, per esempio, rifacendosi a Ehrlich e Budde, corregge in big’ônam = «nella loro superbia»; Rudolph, 215, suggerisce di leggere babbīṣārôn (come in Zc 9,12) = «nella fortezza». W. von SODEN, «Zu einigen Ortsbenennungen», 214-216, propone di emendare Ṣiyyôn in ‘iyyôn, nome di una città del regno di Israele (cfr. 1Re 15,20; 2Re 15,29). 2 Cfr. Wolff, 270 (che riprende l’opinione di Marti) e Andersen – Freedman, 560. 3 Ecco alcuni esempi: V. MAAG, Text, 37-38 (sulla base di commentari anteriori) propone «sono come degli dèi nella Casa d’Israele»; W.L. HOLLADAY, «Amos VI 1bß»: «il raccolto di pane/cibo della casa di Israele». Su questo punto Rudolph, 216, afferma: «non si può evitare di fare delle congetture», e quindi corregge ûbā’û («vengono») in we’ābû («acconsentono», «obbediscono»); il suo suggerimento è accettato, senza commento, da Soggin, 137. J.J.M. ROBERTS, «Amos 6,1-7», 157, propone di rivocalizzare i verbi all’imperativo, e mediante una leggera correzione ottiene: «Individuate le migliori tra le nazioni e andate da loro, Casa d’Israele». 4 Wolff, 271,274, per il quale la frase è una glossa deuteronomistica al versetto 1ba, pensa che lāhem («verso di loro») debba riferirsi alle nazioni, e denuncia il fatto che Israele è diventato seguace dei popoli pagani. Andersen – Freedman, 560, forniscono una nuova lettura sintattica dell’ultima proposizione del versetto: soggetto della proposizione sono «le nazioni» (appena menzionate), che «sono venute per il loro interesse («for themselves / on their own account»: dativo etico) verso la Casa d’Israele» (bêt yiśrā’ēl è considerato un locativo). Noi pensiamo invece che il popolo di Israele (qui chiamato «Casa d’Israele») vada dai notabili di Samaria (e di Sion) per ottenere sicurezza, protezione e anche giustizia (cfr. Rosenmüller, 167); il sintagma bw’ le, infatti, può essere inteso come una tappa della procedura forense; cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 198-202.
Sequenza B6: 6,1-7
227
COMPOSIZIONE + 1 Guai +e
agli spensierati ai fiduciosi
: designati (come) : e viene verso di loro
in nella montagna di la primizia la casa
SION SAMARIA,
delle NAZIONI di ISRAELE.
Questa breve parte comprende due segmenti bimembri. Il primo (1ab) mette in parallelo complementare le capitali del sud e del nord, «Sion» e «Samaria». Il secondo segmento (1cd) mette in parallelo complementare «le nazioni» e «Israele». INTERPRETAZIONE Senza riferirsi al contesto più ampio, non si riesce facilmente a identificare i destinatari di questo breve passo. Si può comunque ritenere che si tratti di coloro che, residenti nella capitale (quella del regno del sud, Gerusalemme, e quella del regno del nord, Samaria), possono confidare in dispositivi economici e militari tali da garantire la loro sicurezza. Probabilmente l’oracolo è diretto in particolare ai dirigenti dei due regni: a essi infatti si rivolge la Casa d’Israele, per ottenere la tranquillità e forse anche perché vengano soddisfatte le loro richieste economiche e giuridiche. A prima vista non è chiaro perché il profeta minacci guai a tali destinatari; ciò trasparirà solo dall’insieme della sequenza. Fin dall’inizio tuttavia si mette in discussione la tranquillità, la fiducia posta non nel Signore, ma nella «montagna» (1b), vista come la sede di una presenza divina (Sion5), o come cittadella ricca e ben difesa (i palazzi di Samaria6). In questo senso Amos è l’iniziatore della tradizione profetica che, criticando una falsa concezione della pace7, invita a riporre la propria fiducia solo nel Signore8. Inoltre, questo testo critica e condanna un «titolo» di cui si vantano i destinatari dell’oracolo, quello di essere l’élite, il fior fiore delle nazioni. Di fatto non viene intonato un lamento funebre (Ahimè per...) che evoca con nostalgia la grandezza del defunto — come nel lamento di Davide su Saul e Gionata (2Sam 1,19) —, quanto piuttosto una profezia di sventura (Guai a...) — come nello «scongiuro» di Balaam su Amalek: «Amalek è la prima delle nazioni, ma il suo avvenire sarà eterna rovina» (Nm 24,20). Essere il primo tra i popoli, essere alla testa di tutte le nazioni appartiene a Israele in quanto popolo dell’alleanza: al primogenito del Signore (Es 4,22) è infatti riservata la benedizione che lo destina a essere «in testa e non in coda» (Dt 28,13). La città di Gerusalemme ha Cfr. Sal 46; 48; 76; 84; 87. Am 3,9-10; cfr. Os 10,13-15. 7 Cfr. Ger 6,13-14; 8,10-11; 28,8-9. 8 Cfr. Is 26,3-4; 31,1; 50,10; Ger 17,5-8; 39,17-18; Sof 3,1-2; ecc. 5 6
228
11. Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele
specificamente fatto proprio questo primato, riconosciuto a Giuda tra le tribù di Israele (Gen 49,10): la collina di Sion, «elevata sulla cima dei monti», è la sede dell’istruzione e della pace, verso la quale affluiscono le nazioni (Is 2,2-5). Ma un primato nella benedizione è rivendicato anche da Giuseppe, cioè dalla tribù di Efraim, che vanta una tradizionale forza economica e militare (Gen 49,22-26; Dt 33,13-17): i capi di Samaria, che amano paragonarsi a Davide (Am 6,5 all’interno della presente sequenza), intendono come lui essere posti «a capo di nazioni» (2Sam 22,44). Questa pretesa, fondata sull’elezione, è la trappola — di cui parla Am 3,5 — che provoca la sventura di Israele.
2. VOI NON SIETE MIGLIORI DEGLI ALTRI (6,2-3) TESTO VERSETTO 2
Calne, Camat, Gat Calne e Camat erano le capitali di due stati del nord della Siria. Per Gat, cfr. p. 589. il loro territorio... Nella scia di Wellhausen molti invertono i pronomi del testo ebraico: «il vostro territorio è più grande del loro territorio?», così da ristabilire forse la simmetria con il membro precedente; questa correzione però non è necessaria, se si considera che il parallelismo non è sinonimico, ma complementare: «voi non siete né migliori né peggiori — né più grandi né più piccoli — delle altre nazioni». Così è possibile fare un paragone tra Samaria e le città menzionate, e vedere nel destino disastroso di questi regni (indirettamente evocato) la predizione della sorte di Israele. VERSETTO 3
l’impero Secondo diversi autori la parola šebet farebbe difficoltà, poiché significherebbe il fatto di sedersi senza fare niente, uno stato dunque di «inattività»10. Per questo motivo sono state proposte diverse correzioni: per esempio, «un anno (šenat) di violenza»11 che formerebbe un ottimo parallelismo con «il giorno di male», oppure «rapina (šōd) e violenza»; o ancora «distruzione (šeber) e 9
Lo stato costrutto ḥămat rabbâ è strano: cfr. Joüon, 131n, che traduce «Ḥamat-Capitale». J. REIDER, «Etymological Studies», 122, a partire dall’arabo, propone di tradurre «attacco», «assalto»; questo suggerimento è rimasto isolato. 11 Cfr. V. MAAG, Text, 38. 10
Sequenza B6: 6,1-7
229
violenza»12. Di fatto la forma verbale (infinito costrutto) ha funzione di sostantivo e significa anche «risiedere», l’«insediarsi» e anche il «governare»; seguendo quest’ultimo senso, la traduzione qui adottata si riallaccia a quella della Volgata (solium iniquitatis)13. COMPOSIZIONE – 2 Passate – e andate di là – e scendete
a Calne a Camat a Gat
e vedete, la GRANDE dei Filistei.
········································································································· MIGLIORI DI QUEI REGNI? È PIÙ GRANDE DEL VOSTRO TERRITORIO? ········································································································· 3 Voi che respingete il giorno DI MALE,
SIETE O IL LORO TERRITORIO
+ + avvicinate
l’impero
della violenza;
Questo passo, tutto alla seconda persona plurale è formato da tre segmenti, un trimembro (2abc) seguito da due bimembri (2def e 3). Il primo segmento enumera tre città che gli Israeliti sono invitati a visitare. Il secondo segmento è una doppia domanda, i cui membri sono complementari. I due membri dell’ultimo segmento (3) sono pure complementari: il primo può essere compreso sia come una proposizione concessiva («sebbene...»), sia come una causale («perché...»). Il segmento centrale collega gli altri due: il suo secondo membro riprende «grande» di 2b, e «migliori» (lett. «buoni») del suo primo membro si contrappone a «male» di 3a. La domanda, al centro (2de) come capita spesso nei testi biblici, mette in relazione tra loro il destino di certi regni distrutti (2a-c: evocazione del passato) e l’avvenire di Israele (3: riferimento al futuro). INTERPRETAZIONE Anche questo secondo passo è abbastanza enigmatico. Infatti, il profeta non dice esplicitamente ciò che gli Israeliti devono andare a «vedere» nei tre paesi vicini14. Molti pensano che queste città fossero cadute sotto il dominio del 12
Rudolph, 216, propone «un cessare (radice šbt) violento», cioè una fine violenta. Soggin, 137-138, esita tra «fine» e «dominio». 13 Cfr. Wolff, 272; Andersen – Freedman, 562. 14 Andare a vedere dai vicini è un modo di dire che intende semplicemente stabilire un confronto tra Israele e alcune località tipiche (cfr. Ger 2,10). È probabile che il paragone tra Samaria con i regni (mamlekôt) di Calne, Camat e Gat riguardi il destino futuro di Samaria: ciò sembra coerente con la critica di Amos a coloro che si sentono tranquilli (6,1), perché probabilmente possono contare su un’invidiabile posizione territoriale e su un’abbondante ricchezza (6,4-6). La domanda del profeta smaschererebbe allora la pretesa sicurezza (bṭḥ) dei governanti di (Gerusalemme e di) Samaria; e vi si potrebbe vedere l’eco di un motivo letterario, quello dell’invito alla resa rivolto da un conquistatore a una città assediata, come fece il grande coppiere di Sennacherib, quando gridò in lingua giudaica, per essere capito bene dagli abitanti di Gerusalemme: «Udite le
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11. Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele
nemico quando queste parole vennero pronunciate, e che Israele avrebbe dovuto imparare la lezione da quanto era già capitato alle altre città15. Neppure l’ultimo segmento è molto chiaro e forse anch’esso ha un doppio senso. Infatti «il giorno di male» e «l’impero della violenza» possono designare la disgrazia che sta per sopraggiungere, cioè l’invasione, l’occupazione e la deportazione. Ma possono sottintendere anche la situazione interna e attuale di Israele: al fine di garantire la loro posizione privilegiata ed evitare «il giorno sventurato» di un rovesciamento di situazione, i ricchi governanti insediano e impongono la loro violenza contro i poveri, sfruttati per la stabilità stessa del governo. La «grandezza» o il «benessere» (il regno «buono») non sono affatto garanzie assolute contro il disastro: la violenza produce il «male» (3).
3. VOI SARETE I PRIMI A ESSERE DEPORTATI (6,4-7) TESTO 4
Essi che giacciono su letti d’avorio e sono sdraiati sui loro divani, e che mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli dentro la stalla, 5 che improvvisano sulle corde della cetra, come Davide si ritengono nell’arte musicale, 6 che bevono in coppe da vino e con la primizia degli unguenti si profumano, e non soffrono per la rovina di Giuseppe! 7 Perciò ora saranno deportati la primizia dei deportati e (così) cesserà il banchetto degli sdraiati.
parole del gran re, il re di Assiria. Dice il re: Non vi inganni Ezechia, perché egli non potrà salvarvi. Ezechia non vi induca a confidare (bṭḥ) nel Signore... Gli dèi delle nazioni hanno forse liberato ognuno il proprio paese dalla mano del re di Assiria? Dove sono gli dèi di Camat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvaim? Hanno essi forse liberato Samaria dalla mia mano?» (Is 36,13-20; cfr. anche 37,9-13). La relazione con Am 6,2 appare ancora più forte in Is 10,9-11, dove il re d’Assiria proclama: «Forse come Carchemis non è anche Calno? Come Arpad non è forse Camat? Come Damasco non è forse Samaria? Come la mia mano ha raggiunto quei regni (mamlekôt) degli idoli, le cui statue erano più numerose di quelle di Gerusalemme e di Samaria, non posso io forse, come ho fatto a Samaria e ai suoi idoli, fare anche a Gerusalemme e ai suoi simulacri?». Il motivo letterario attestato a proposito di Gerusalemme, come pure il nome di alcune città (Calno / Calne, Camat) potrebbe spiegare il riferimento a Sion in Am 6,1. 15 D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 668-669, attribuisce le affermazioni del versetto 2 agli «aristocratici» che vogliono infondere fiducia alla «Casa d’Israele», perché essa teme un’invasione assira; essi invitano a visitare tre città che, seppur piccole, non erano ancora cadute sotto il dominio assiro (ciò avverrà solo tra il 738 e il 711). E traduce: «valgono esse più di questi regni e il loro territorio è più grande del vostro?». Questa interpretazione pare forzata, e attribuire il titolo (al plurale) di «regni» a Samaria non convince. J.J.M. ROBERTS, «Amos 6,1-7», 158-159, pensa che il ministero di Amos si sia protratto oltre il regno di Geroboamo II; il profeta poteva dunque riferirsi alla campagna assira del 738 che sfociò nella conquista di Calne e nella distruzione delle mura di Gat (2Cr 26,6).
Sequenza B6: 6,1-7
231
VERSETTO 5
improvvisano Alcuni pensano che il verbo prṭ sia un sinonimo di «cantare»16. si ritengono Il senso del verbo è stato discusso17; noi seguiamo la versione di Vaccari, dando al sintagma kelê sîr (strumenti musicali) il valore di accusativo di limitazione (Joüon, 127b); per metonimia, si usa il nome di oggetti per significare il risultato ottenuto (l'arte musicale). VERSETTO 6
coppe da vino La parola tradotta con «coppe» è sempre usata in contesto cultuale e designa i «vasi per l’aspersione» (Es 27,3; 38,3; Nm 7,13.19.25; ecc.). Per questa ragione alcuni autori vedono in questo passo la descrizione di un banchetto sacro18. VERSETTO 7
festa. banchetto Il termine ebraico (come i suoi equivalenti nelle altre lingue semitiche) designa una riunione religiosa incentrata su un pasto liturgico (in Ger 16,5, di tipo funerario)19.
16
Cfr. J.A. MONTGOMERY, «Notes from the Samaritan». D.N. FREEDMAN, «But Did King David Invent Musical Instruments?», ritiene che si debba tradurre: «come Davide improvvisano [e non: inventano] per loro su strumenti musicali». Così la TOB: «cantando come Davide le proprie melodie». P. LOHMANN, «Einige Textkonjekturen zu Amos», 275-276, giudicando improbabile che la classe alta di Samaria si divertisse a inventare strumenti musicali, proponeva di correggere l’ultima parte del versetto in «parole per la musica» (millê al posto di kelê); come per ogni congettura, immediata la replica di H.J. ELHORST, «Amos 6,5», a difesa del TM. Altre opinioni ancora in Paul, 206-207. 18 U. DAHMEN, «Zur Text», propone di correggere il TM secondo la LXX; la lettura suggerita («bevono vino purificato... con l’olio migliore si consacrano») lo porta a concludere che il versetto 6a sia un’aggiunta della redazione sacerdotale post-esilica. 19 In proposito esiste una bibliografia particolarmente abbondante; ecco alcuni titoli recenti tra i più importanti: O. LORETZ, «Ugaritisch – biblisch mrzḥ»; H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, specialmente 127-142; M. HELTZER – E. LIPIŃSKI, ed., Society and Economy, 144ss; Ph.J. KING, Amos, 137-161; id., «The marzeaḥ Amos Denounces»; id., «The marzeaḥ: Textual and Archaeological Evidence»; Th.J. LEWIS, Cults of the Dead, 80-94; J.L. McLAUGHLIN, «The marzeaḥ at Ugarit». 17
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11. Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele
COMPOSIZIONE + 4 Essi che giacciono + e sono SDRAIATI . e che mangiano . e i vitelli
su letti sui loro divani,
d’avorio
gli agnelli dentro
del gregge la stalla,
···································································································
+ 5 che improvvisano + come Davide
sulle corde si ritengono
della cetra, nell’arte musicale,
. 6 che bevono . e con la PRIMIZIA
in coppe degli unguenti
da vino si profumano,
. e non soffrono
per la rovina
di Giuseppe!
ora la PRIMIZIA il banchetto
dei deportati degli SDRAIATI.
– 7 Perciò . saranno deportati – e (così) cesserà
Questo passo è formato da tre parti. La prima (4-6b) comprende due brani, ciascuno formato da due bimembri. «Mangiare...» (4cd) va con «che giacciono» e «sdraiati» (4ab), dal momento che per banchettare gli antichi si sdraiavano su divani20; i canti (5a) e la musica (5b), poi, sono tradizionalmente legati al «bere» (6a)21. Si può dire che questa parte è costruita in parallelo, perché «mangiare» e «bere» si corrispondono tra loro all’inizio dei secondi segmenti (4c.6a); mentre il primo brano (4) descrive l’attività principale del banchetto, il mangiare, il secondo (5-6) enumera le raffinatezze che lo accompagnano, musica, bevande e profumi22. L’ultima parte (7) comprende solo un segmento trimembro del tipo ABB’; gli ultimi due membri riprendono in modo speculare i segmenti estremi della prima parte, dal momento che «primizia» si ritrova in 7b e in 6b, «sdraiati» in 7c e in 4b. La parte centrale (6c) è molto breve e ha un solo segmento unimembro.
20
Al waw («e»), che coordina i due segmenti, può essere attribuito un valore finale. Ciascuno dei due segmenti ha la stessa struttura sintattica: participio nei primi membri (5a e 6a), verbo finito nei secondi membri (5b e 6b). 22 Si noterà che i verbi si trovano prima all’inizio dei membri (4a.4b.4c.5a), poi in seconda posizione (in 5b), infine in ultima posizione (6b); in ciò si riconoscerà un fenomeno di chiusura (cfr. p. 214, nota 15). 21
Sequenza B6: 6,1-7
233
INTERPRETAZIONE L’INGIUSTIZIA La punizione sembra del tutto esagerata e senza proporzione alcuna con il crimine denunciato. Non è per nulla evidente che sia un delitto il banchettare e il rallegrarsi con la musica e il gioire del vino e dei profumi. Al contrario, la ricchezza non è forse uno dei segni palesi della benedizione divina? Eppure, dice Amos, la gravità della colpa può manifestarsi solo nella severità della sanzione. Il crimine dei ricchi è gravissimo e consiste nel non preoccuparsi per nulla degli altri. Non solo mangiano e bevono da soli, senza condividere con quanti hanno fame e sete, ma sono altresì rei di omissione di soccorso nei confronti di chi si trova in difficoltà: Giuseppe (cioè il popolo) è ferito, sofferente, e i responsabili non se ne curano23. Molto forte è il contrasto tra la lunga, dettagliata descrizione dei banchetti, dove domina il piacere e il lusso, e la brevissima denuncia centrale (6c), che parla di un corpo ferito. Di fatto, il peccato è ancor più insopportabile, perché se i ricchi hanno beni in abbondanza, se hanno potuto procurarsi letti d’avorio e i profumi più raffinati, se mangiano le carni più prelibate e bevono vini squisiti, se si svagano inventando nuovi strumenti musicali, ciò avviene perché la povera gente ha sofferto per loro: essi dunque «mangiano il pane dell’empietà e bevono il vino della violenza» (Pr 4,17). La punizione sarà proporzionata al loro delitto: poiché hanno privato gli altri del necessario, saranno privati dei loro banchetti; poiché hanno voluto essere i primi nella qualità della vita, saranno i primi ad assaporare l’infamia della deportazione. L’EMPIETÀ L’oracolo di Amos è probabilmente da leggersi su un altro livello, perché il profeta gioca forse con le valenze religiose della celebrazione festiva. Secondo alcuni autori infatti24 il «banchetto» (marzeaḥ) designa il pasto sacro, quello che era usanza celebrare in onore di Baal. La descrizione di Amos corrisponde a quelle che si trovano nei documenti provenienti da Palmira, e i cinque elementi che definivano questi banchetti vi sono elencati dal profeta nello stesso ordine: i letti d’avorio, i vitelli da stalla, il suono delle arpe, il vino nelle coppe e i migliori profumi. Anche in questo caso la sanzione è proporzionata al crimine: perché nel culto di Baal hanno festeggiato la stabilità del loro possesso della 23
J.L. SICRE, “Con los pobres”, 134-135, pensa che la frase di 6,6, «E non soffrono per la rovina di Giuseppe», non si riferisca alla situazione di miseria del popolo, ma alla catastrofe militare e politica che colpirà Israele (cfr. Is 30,26; Ger 6,14; 8,11.21; ecc.). Le due linee interpretative, invece di escludersi, paiono piuttosto complementari: la prima risulta dal contesto generale di Amos, che ripetutamente (per esempio, in 2,6-8; 3,9-10; 4,1; 5,11-12; ecc.) sottolinea il rapporto tra il godimento della ricchezza e l’oppressione dei poveri; la seconda è più direttamente legata al contesto immediato (6,1-7): la celebrazione del banchetto esprime il sentimento di presunzione — denunciato dal profeta all’inizio della sequenza — di chi, colpevolmente, rifiuta di pensare alla sventura che sta per abbattersi su tutto il popolo. 24 Per esempio, H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 127-142; Ph.J. KING, Amos, 137-161.
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11. Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele
terra (Baal infatti è un dio locale, legato essenzialmente al territorio), saranno deportati e cesserà così la loro ridicola celebrazione.
4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (6,1-7) COMPOSIZIONE + 1 Guai agli spensierati in Sion + e ai fiduciosi nella montagna di Samaria, : designati come la PRIMIZIA delle nazioni : e viene verso di loro la Casa d’Israele. 2
Passate a Calne e vedete, e andate di là a Camat la GRANDE e scendete a Gat dei Filistei.
FORSE SIETE MIGLIORI DI QUEI REGNI? O IL LORO TERRITORIO È PIÙ GRANDE DEL VOSTRO TERRITORIO? 3 Voi che respingete il giorno di MALE, avvicinate l’impero della violenza. + 4 Essi che giacciono su letti d’avorio + e sono sdraiati sui loro divani, . e che divorano gli agnelli del gregge . e i vitelli dentro la stalla, + 5 che improvvisano sulle corde della cetra, + come Davide si ritengono nell’arte musicale; . 6 che bevono in coppe da vino . e con la PRIMIZIA degli unguenti si profumano, e non soffrono per la rovina di GIUSEPPE! 7
Perciò ora . saranno deportati la PRIMIZIA dei deportati . e così cesserà il banchetto degli sdraiati.
I tre passi precedentemente analizzati formano una sola sequenza. I LEGAMI TRA I PRIMI DUE PASSI Le «nazioni» (1c) annuncia «quei regni» di 2d; Calne, Camat e Gat (2abc) sono paralleli a Sion e Samaria (1ab).
Sequenza B6: 6,1-7
235
I LEGAMI TRA I DUE ULTIMI PASSI Le due uniche indicazioni temporali appaiono come termini finali: «il giorno» (di sventura) in 3a e «ora» in 7a. I LEGAMI TRA I PASSI ESTREMI I passi estremi (1 e 4-7) si richiamano: – la prima parte dell’ultimo passo (4-6b) esplicita e sviluppa, con la lunga descrizione del banchetto, l’inizio del primo passo (1ab) che si limitava a una denuncia molto generica; – la parte finale dell’ultimo passo (7) corrisponde alla fine del primo passo (1cd): quelli che si piccano di essere «la primizia» delle «nazioni» (1c) saranno «la primizia dei deportati» (fra le nazioni); i verbi con cui terminano i passi, «partirà» di 7c e «viene verso di loro» di 1d, si contrappongono; – infine, l’ultimo membro del primo passo (1d) annuncia il centro dell’ultimo passo (6c), con la sua ripresa di nomi propri (Israele, Giuseppe) che sono sinonimi: mentre «la Casa d’Israele» viene verso di loro, essi non si preoccupano della rovina di «Giuseppe». INTERPRETAZIONE TRANQUILLITÀ E VIOLENZA Gli abitanti di Samaria (e di Sion), i loro capi in modo particolare, hanno creato un sistema che appare perfetto: una ricchezza, che sfocia nel lusso (4-6), sta a fondamento di una serena tranquillità (1), che non è turbata né dalle sofferenze dei poveri (6c), né dall’eventuale minaccia delle nazioni vicine (1c e 3a). È questo risultato apparentemente perfetto dell’organizzazione economica e politica di Israele che Amos denuncia con una sola espressione: «l’impero della violenza» (3b). Nel centro della sequenza questa parola di giudizio, che si fa carico della sventura del popolo (6c), apre a un futuro immediato di condanna (7a): quanti hanno instaurato un regime di sfruttamento subiranno la privazione di tutto mediante l’esilio (7). L’ORGOGLIO CHE SI CONFRONTA CON GLI ALTRI Nel centro della sequenza Amos pone una domanda abbastanza enigmatica25. Sembra che egli voglia invitare i cittadini di Samaria a riflettere sul significato del fare confronti con altri regni (2de). Paragonarsi significa mettersi su una scala di valori: e Israele naturalmente si mette al primo posto (1c). Probabilmente questo avviene a motivo delle tradizioni religiose che insistono sull’elezione di Israele, chiamato a primeggiare su tutte le nazioni (Dt 28,13); certamente anche 25
Non si sa molto bene tra l’altro cosa rappresentassero all’epoca le città-stato nominate dal profeta.
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11. Una ricchezza pervertita non salverà la Casa d’Israele
a causa del benessere presente che appare come un favore celeste. Se gli Israeliti, sdraiati per mangiare e per bere (cfr. 2,8), rallegrati dalla musica e dai canti (cfr. 5,23), partecipano a un rituale sacro, è chiaro che sono convinti di essere pienamente benedetti dal loro Dio. Israele si confronta con le nazioni (1c), i suoi capi vogliono pareggiarsi a Davide (5b). Il desiderio del primato porta a volere il meglio di tutto ciò che esiste (simbolicamente rappresentato dal profumo di prima scelta: 6b), così che appaia universalmente che essi sono i migliori! Questo atteggiamento non porta solo alla violenza — come detto sopra — ma anche all’orgoglio, a una fierezza che diventa stolta, che non vede più la minaccia della catastrofe. Gli Israeliti sono «spensierati», perché credono di poter contare sulla propria grandezza (2e), anzi sul loro primato fra le nazioni (1c). È questa vana superbia che Amos denuncia. Camat la grande è caduta (2b), e questo è un segno anticipatore del destino di Samaria: la Casa d’Israele sarà umiliata dalla deportazione. E con l’esilio cesserà per sempre il lusso sprezzante nei confronti dei poveri, la pretesa sicurezza, l’orgoglio di essere i primi, e, infine, la confusione che tende a coinvolgere il Signore nell’ambiguità di celebrazioni e di banchetti, che non hanno nulla di sacro.
12 Il veleno della Casa d’Israele Sequenza B7: 6,8-14
Questa sequenza è formata da tre passi. I due passi estremi (8-11 e 13-14) denunciano l’orgoglio di Israele e ne annunciano il castigo. Al centro (12) un breve passo enigmatico.
Dio ha ripugnanza dell’orgoglio dei palazzi di Giacobbe Scena funebre Dio distruggerà tutte le sue case
DIO DEPLORA LA LORO DEGENERAZIONE
6,8 6,9-10 6,11
6,12
Essi si compiacciono della propria forza sulle nazioni straniere
6,13
Dio li farà opprimere tutti da una nazione straniera
6,14
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12. Il veleno della Casa d’Israele
1. DIO DISTRUGGERÀ L’ORGOGLIO DEI PALAZZI DI GIACOBBE (6,8-11)
TESTO 8
Lo giura il Signore Dio per se stesso, oracolo del Signore, il Dio degli eserciti: Ho ripugnanza, io, dell’orgoglio di Giacobbe e i suoi palazzi li odio. Consegnerò la città e quanto contiene. 9 E sarà: se rimangono dieci uomini in una casa, moriranno. 10 E li porteranno il suo parente e becchino per far uscire le ossa dalla casa e dirà a chi sarà in fondo alla casa: “C’è ancora qualcuno con te”? e dirà: “Finito” e dirà: “Zitto! Poiché non bisogna menzionare il nome del Signore”. 11 Poiché ecco il Signore comanda: e colpirà la casa grande in frantumi e la casa piccola a pezzi. VERSETTO 8
Ho ripugnanza La radice t’b in realtà significa «desiderare»; viene perciò corretta in t‘b («aborrire»)1, oppure considerata un eufemismo (per evitare un’espressione spiacevole)2. VERSETTO 10
il suo becchino Secondo alcuni commentatori la parola mesārēp deriverebbe dalla radice śrp («bruciare») e non dalla radice srp (hapax). La maggioranza degli autori interpreta il participio ebraico come «addetto alla cremazione», alcuni invece ritengono che il termine designi piuttosto colui che brucia dei profumi in onore del defunto3. Dato che non era costume abituale in Israele il praticare la cremazione dei cadaveri, diversi autori hanno pensato che il testo di Amos evochi una situazione di epidemia, per la quale si era resa necessaria la incinerazione. Noi abbiamo tradotto «becchino», pensando in generale a chi si occupa dei morti. Un altro problema deriva dal fatto che non si sa se il «parente» e «il becchino» siano due persone distinte o si tratti solo di un familiare che s’incarica di seppellire o cremare i suoi morti. La grande diversità tra il TM e la Settanta, nonché le divergenze tra le interpretazioni moderne, attestano l’estrema difficoltà di questo versetto4. 1
Andersen – Freedman, 571. Soggin, 142. M. DAHOOD, «Amos 6,8» ha suggerito di dividere la parola metā’ēb in mat + ’ēb e di tradurre: «Davvero io sono nemico dell’arroganza di Giacobbe»; la proposta non ha raccolto consensi. 3 G.R. DRIVER, «A Hebrew Burial Custom», proponeva di tradurre «uno che unge con resina»; nel mondo biblico il rito di ungere i corpi per la sepoltura è infatti meglio attestato della cremazione. Cfr. Paul, 215-216. 4 V. MAAG, Text, 164-167, fa derivare il termine dalla tradizione cananea e gli attribuisce il senso di «il parente vivo più prossimo»; Wolff, 280, in forma dubitativa, suggerisce una diversa organizzazione sintattica della frase: «quando (qualcuno) prende il suo parente ed è costretto a fare 2
Sequenza B7: 6,8-14
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e dirà... È difficile sapere quali siano i soggetti dei tre «e dirà». Molti pensano che il primo (10c) sia «il parente» (o il «parente e il becchino») del segmento precedente; il secondo (10e) è certamente «chi (starà) in fondo alla casa», al quale è stata posta la domanda; il terzo potrebbe essere di nuovo il primo interlocutore, cioè il parente; ma potrebbe anche trattarsi della stessa persona, che, dal fondo della casa, aggiunge le ultime parole. Per quanto riguarda l’identità di quest’ultimo, la maggioranza pensa che sia l’unico sopravvissuto dei dieci abitanti della casa. Questa interpretazione, però, contraddice il versetto 9, secondo cui tutti e dieci sono morti. Potrebbe darsi che i due brani (9-10b e 10c-i) descrivano due scene differenti e complementari: la prima sarebbe consacrata ai morti, la seconda — che si svolgerebbe in un luogo e con personaggi diversi — descriverebbe la paura dei sopravvissuti che si rintanano in fondo alle case e non vogliono farlo sapere a nessuno. non bisogna menzionare il nome del Signore Anche questa frase è variamente interpretata5. Sembra preferibile metterla sulla bocca di uno dei personaggi della scena descritta, piuttosto che considerarla un commento fatto dal profeta stesso. Il sintagma hzkyr be («menzionare», «pronunciare») si trova anche in Gs 23,7; Is 48,1; Sal 20,86.
uscire i cadaveri dalla casa»; Rudolph, 222-223, cambia radicalmente il testo (affermando che, essendo incomprensibile nella sua forma attuale, impone delle congetture) e muta l’ordine dei versetti; Soggin, 143-144, critica le diverse opinioni senza veramente giustificare la propria scelta («un suo parente»); Andersen – Freedman, 572, evitano di tradurre e riproducono le consonanti mśrp; D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 669-671, riprende la tradizione dei Qaraiti, e traduce «zio materno». La presente traduzione (che riprende l’interpretazione della Vulgata) è dunque una possibilità, discutibile, fra le tante, tutte criticabili. 5 Cfr. Rosenmüller, 194-196. 6 Cfr. H.A. BRONGERS, «Die Wendung», 17; l’autore traduce così il testo: «Taci! Non è consigliabile menzionare qui il nome del Signore», e ritiene che l’evocazione del nome attiri l’attenzione e quindi la punizione di Dio.
240
12. Il veleno della Casa d’Israele
COMPOSIZIONE + 8 (Lo) giura + oracolo
il Signore DIO del SIGNORE,
= Ho ripugnanza, = e i suoi palazzi : e CONSEGNERÒ
io, la città
per se stesso, il Dio degli eserciti: dell’orgoglio di Giacobbe (li) odio. e quanto-contiene:
- 9 E sarà: se rimangono moriranno;
dieci uomini
in una
casa,
- 10 e lo porterà per far-uscire
il suo parente le ossa
e becchino dalla
casa;
···························································································
. e dirà a chi sarà “C’è ancora (qualcuno) con te”?
in fondo alla casa:
. e dirà: “Finito”! . e dirà: “Zitto! Poiché non bisogna menzionare il nome del SIGNORE”. + 11 Poiché ecco
il SIGNORE
comanda:
= e COLPIRÀ la casa grande in frantumi = e la casa piccola a pezzi.
Le parti estreme (8; 11) sono tra loro parallele7: esse presentano il locutore (8ab.11a), «il Signore» che dapprima «giura» e «comanda», e poi annuncia il castigo che ha deciso (8cde.11bc): «consegnerò» (8e) corrisponde a «colpirà» (11b); «la casa grande» e «la casa piccola» di 11bc designano, per merismo, l’insieme delle case della città: allo stesso modo «la città e quanto contiene» di 8e è pure un’espressione di totalità. La parte centrale (9-10) comprende due brani, il primo di stile narrativo (910b), il secondo in forma di dialogo (10c-i). Vi si espongono le conseguenze sulla popolazione del decreto di Dio enunciato nelle parti estreme; da notare la ripresa di «casa» alla fine dei membri estremi del primo brano (9-10b) e alla fine del primo membro del secondo brano (10c), nonché la ripetizione come termine iniziale di «E dirà» all’inizio dei tre segmenti del secondo brano (10c-i). Le due occorrenze di «casa» in 11bc corrispondono alle tre della parte centrale (9a.10b.10c), e — come già detto — rinviano a «palazzi» e a «città» della prima parte (8de).
7
Ciò induce Rudolph, 224, a spostare il versetto 11 prima del versetto 9.
Sequenza B7: 6,8-14
241
INTERPRETAZIONE LA DISTRUZIONE L’orgoglio di Giacobbe8 e la sua alterigia si manifestano nella grandiosità dei suoi palazzi e delle sue fortezze (cfr. Is 2,7.9,12-17). Egli ripone la sua fiducia non nel suo Dio, ma nella propria forza (cfr. Is 2,22)9. È però solo il Signore che comanda; e i dirigenti, quelli che abitano i palazzi, sono nelle sue mani. Da Dio stesso saranno consegnati al nemico, loro che pensavano di avere costruito delle cittadelle sicure e imprendibili. E saranno distrutte non solo le grandi case. Anche le piccole case del popolo saranno trascinate nella distruzione della città tutta intera. La colpa dei governanti ricadrà su tutti, tutta la città soccomberà con la cittadella. LA MORTE Il castigo non si limiterà alle costruzioni, ma toccherà anche i loro abitanti. Tutti saranno colpiti. I pochi, che saranno sfuggiti alla spada del nemico (5,3), periranno nella casa in cui si sono rifugiati; e bisognerà bruciare i loro corpi, come si bruciano i cadaveri in caso di epidemia. La morte è il giusto prezzo del crimine, poiché l’orgoglio di Israele ha raggiunto il suo culmine. L’orgoglio infatti consiste nel credersi onnipotenti, nel ritenersi Dio (cfr. Is 14,13-14; Ez 28,2), nel comportarsi come se Dio non esistesse. La sanzione di un simile peccato è la morte (cfr. Gen 3,19; Is 14,15; Ez 28,8-10). IL SILENZIO Per quanti sono sfuggiti alla morte e si nascondono in fondo alle case, c’è una sola via d’uscita: un silenzio assoluto. Se il loro nascondiglio venisse scoperto, per loro sarebbe finita e cadrebbero in mano al nemico. Si deve far credere che siano scomparsi, che non esistano più, che siano morti come quelli caduti sotto i colpi della spada. Questo genere di morte è ancora peggiore della morte fisica, poiché è una sparizione che ci si impone liberamente. Il silenzio appare così come una sorta di contrappasso del peccato commesso: l’orgoglio consiste nel non ricordare Dio, nel dimenticare che a Lui appartiene la gloria, consiste nel non lodarlo, e tacere sulla sua potenza. Ne deriverà che l’uomo sarà ridotto al silenzio. Di fatto la sola parola che pronuncerà sarà proprio un invito al silenzio.
L’espressione «orgoglio di Giacobbe» di 6,8 (che ritorna in 8,7; altrove ricorre solo in Sal 47,5 e Na 2,3) sta chiaramente in parallelo a «i suoi palazzi»; gli abitanti di Samaria sono fieri della propria ricchezza e forza, dimenticando o negando che ciò di cui devono vantarsi è (solo) il nome del Signore (cfr. J. JEREMIAS, «Jakob im Amosbuch», 142-148). 9 Facendo la sua comparsa alla fine della sezione B, il concetto di «orgoglio» manifesta l’arroganza dei potenti, che altrove è descritta come dispotismo arbitrario, ingiustizia, vita lussuosa, presunzione (Wolff, 282). 8
242
12. Il veleno della Casa d’Israele
Perché evocare il nome del Signore sarà fare appello al suo giudizio e di conseguenza attirare su di sé la morte.
2. DIO DEPLORA LA DEGENERAZIONE DI ISRAELE (6,12) TESTO VERSETTO 12
con i buoi Per ristabilire il parallelismo fra i due stichi del versetto, molti autori suggeriscono di dividere in due l’ultima parola babbeqārîm che verrebbe letta: babbāqār yām, e tradotta: «o si può arare il mare con i buoi?»10. Per quanto ingeniosa e seducente, questa correzione non si impone, tanto più che non è suffragata da nessuna versione antica11. COMPOSIZIONE + 12 Possono correre + o vi si ara
sulla ROCCIA
i CAVALLI? con i BUOI?
– Sì, avete mutato – e il frutto
in VELENO della GIUSTIZIA
il DIRITTO in ASSENZIO.
Questo passo comprende due segmenti bimembri: il primo è una doppia domanda retorica, il secondo è la risposta — anch’essa doppia — a queste domande. «Diritto» e «giustizia» sono incompatibili con il «veleno» e «l’assenzio», come i «cavalli» non possono correre «sulla roccia» né «i buoi» «ararvi». INTERPRETAZIONE L’inizio di questo breve passo è un proverbio senz’altro enigmatico e quindi aperto a varie interpretazioni. I destrieri usati in tempo di guerra e i buoi di cui ci
10
La congettura risale J.D. Michaelis (1782) ed è stata accettata da numerosi commentatori, tra cui anche Wolff, 284; Rudolph, 225-226; Soggin, 146; Andersen – Freedman, 576-578; e, con una leggera variante, da O. LORETZ, «Amos VI 12». 11 M. DAHOOD, «Can One Plow without Oxen?», 14,23, propone di dare alla preposizione be il senso privativo di «senza»: «Si può forse arare senza buoi?». Noi seguiamo la proposta testuale di D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 671-672, che applica la metafora all’incapacità del profeta di fare penetrare la sua parola in cuori induriti.
Sequenza B7: 6,8-14
243
si serve per arare in tempo di pace sono certamente animali utilissimi 12. Ma sia gli uni che gli altri non servono a nulla in terreni irti di rocce. Sarebbe pazzo il comandante che volesse lanciare i suoi cavalli in tali zone: vi perderebbe cavalli e carri. Nessun contadino sensato rischierebbe di spezzare il suo aratro dissodando delle pietre. E tuttavia è simile a questo il comportamento degli Israeliti. Hanno tra le mani gli strumenti del diritto e della giustizia, che sono, se bene utilizzati, i mezzi migliori per salvare la vita degli innocenti. Essi sono tanto stupidi da cambiarli in veleno e in assenzio13, da farne strumenti di morte. La loro mancanza di intelligenza impedisce loro di vedere che non solo stanno avvelenando i poveri, ma stanno anche condannando se stessi alla morte non praticando la giustizia. Per il fatto che vogliono correre sulle rocce con i propri cavalli, tutto andrà perso, non solo le bestie, ma anche i carri e i loro cocchieri. Inoltre, gli Israeliti sono riusciti a fare qualcosa di incredibile: hanno unito due cose che si oppongono, trasformando il diritto in veleno, come se avessero fatto della roccia un terreno praticabile e arabile. Hanno malamente snaturato le cose, hanno preteso di mutare l'ordine della creazione (cfr. anche 5,7-8). Il proverbio inoltre può essere applicato anche a Dio: infatti, cosa può fare Dio con gli Israeliti diventati come una roccia, duri come pietra, incapaci di lasciarsi scalfire da qualsiasi parola? Avendo cambiato la giustizia in assenzio, essi non sono più in grado di percepire l’invito della parola profetica che chiama alla giustizia.
3. DIO FARÀ SCHIACCIARE GLI ORGOGLIOSI (6,13-14) TESTO 13
Essi si rallegrano per Lo-Dabar e dicono: “È proprio per la nostra forza che ci siamo presi Karnaim.” 14 Poiché ecco suscito contro di voi, Casa d’Israele, oracolo del Signore, il Dio degli eserciti, una nazione, e vi opprimeranno dal varco di Camat fino al torrente dell’Araba. VERSETTO 13
Lo-Dabar Probabilmente si tratta di una città ammonita, a nord dello Iabboq (spesso identificata con quella di cui si parla in Gs 13,26; 2Sam 9,4-5; 17,27). Amos
12 Secondo A. COOPER, «The Absurdity of Amos 6:12a», sia i cavalli che i tori (o i bufali) alludono alla forza militare di Israele rivolta invano contro la «roccia», cioè il potere militare nemico (con un’eventuale allusione alla città di Sela, fortezza edomita). 13 I termini qui tradotti con «veleno» e «assenzio» sono spesso usati in coppia (Dt 29,17; Ger 9,14; 23,15; Lam 3,19); in questo testo di Amos vengono divisi per le esigenze del parallelismo dei due stichi (cfr. E.Z. MELAMED, «Break-up», 142).
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12. Il veleno della Casa d’Israele
probabilmente gioca con il significato di questo sintagma che potrebbe essere tradotto: «proprio niente»14. Karnaim Città a nord del medio Yarmuk (1Mac 5,26.43-44; 2Mac 12,21.26). Questo nome proprio consente forse un altro gioco di parole, poiché significa «le due corna», segno di vigore (Ger 48,25; Zc 2,1-4)15. VERSETTO 14
dal varco di Camat al torrente dell’Araba L’identificazione di lebô’ ḥămāt è discussa: alcuni pensano al «varco di Camat» (città siriana a nord di Damasco), altri a una località nella Beqaa libanese. Lo stesso vale per il «torrente dell’Araba» da alcuni identificato con il wâdî Kelt (che passa per Gerico), da altri con il wâdî Kefrein, un altro affluente del Mar Morto (il mare dell’Araba), proveniente però dalle montagne di Moab. Comunque sia, nominando i punti estremi del territorio di Israele, viene designata la totalità del territorio (Nm 34,5.8; Ez 47,15-17.20; 48,1 e soprattutto 2Re 14,25); si tratta di un’espressione equivalente a «da Dan a Bersabea» (Gdc 20,1; 1Sam 3,20; 2Sam 3,10; 17,11; ecc.). 2Re 14,25 ci informa che Geroboamo II (re di Israele al tempo di Amos) «ristabilì i confini di Israele dall’ingresso di Camat fino al mare dell’Araba secondo la parola del Signore Dio di Israele, pronunziata per mezzo del suo servo il profeta Giona». Nella profezia di Amos si può allora cogliere come una crudele ironia: per mezzo di un altro profeta il Signore decreta la perdita dell’intero territorio su cui Geroboamo aveva regnato. COMPOSIZIONE La prima parte (13) comprende un solo segmento trimembro del tipo ABA’. La seconda (14) comprende due segmenti, un bimembro e un trimembro. Nel primo segmento «una nazione» (14b; il complemento oggetto si trova lontano dal verbo, alla fine del segmento) si oppone a «Casa d’Israele» alla fine del primo membro (14a). Gli ultimi due membri dell’ultimo segmento (14de) terminano con nomi di luogo. La prima parte descrive l’atteggiamento d’orgoglio degli Israeliti in seguito alle loro conquiste (marcate da nomi di città); la seconda parte annuncia il castigo in seguito a cui Israele subirà un’occupazione totale (indicata da nomi di località).
14
D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 672-673, suggerisce di tradurre «per un nulla... doppiocorno», accennando in nota all’eventuale allusione a nomi di città. 15 Come avviene non di rado nei testi profetici, anche in Amos i nomi geografici vengono «interpretati» quasi fossero portatori di un significato (per esempio, 1,5; 3,9; 5,4; ecc.); cfr. I.H. EYBERS, «The Use of Proper Names», specialmente p. 87; H. BLOCK, «Geografie bij Amos».
Sequenza B7: 6,8-14
245
– 13 Essi che si rallegrano per Lo-Dabar . essi che dicono: “Non è proprio per la nostra forza – che ci siamo presi Karnaim?” = 14 Poiché ecco = Oracolo del SIGNORE,
suscito contro di voi, il Dio degli eserciti,
Casa d’Israele, una nazione:
·································································································
: e vi opprimeranno : dal Varco di Camat : fino al Torrente dell’ Araba.
INTERPRETAZIONE UN ORGOGLIO RIDICOLO Amos deride i sentimenti degli Israeliti vittoriosi16. Di cosa si rallegrano? D’aver preso «Lo-Dabar»! Non si rendono neppure conto che si sono impadroniti di «proprio niente». Essi si attribuiscono il merito di avere abbattuto Karnaim, gloriandosi dunque della loro forza, e non capiscono che l’esito delle battaglie è nelle mani di Dio che dà la vittoria a chi vuole17. Il castigo mostrerà la vanità del loro agire e delle loro pretese. LA GRAVITÀ DEL PECCATO La punizione sembra davvero sproporzionata rispetto al delitto: in effetti l’occupazione e l’oppressione di tutto il paese, dal nord al sud, non sono commisurate alla conquista di due città. Ma, attribuendo alla propria forza le vittorie ottenute, e gloriandosi di così insignificanti risultati, hanno negato la potenza di Dio, hanno rinnegato il Signore, Dio degli eserciti. Per fare riconoscere la sua esistenza e la sua potenza sovrana, Dio non ha altro mezzo che quello di distruggere il potere di Israele e sottometterlo all’oppressione di un’altra nazione18. Spogliati della loro forza, saranno obbligati a spogliarsi del loro orgoglio e forse a fare ritorno al Signore, lui che solo potrà salvarli e liberarli. 16
Sui dati storici, cfr. J.A. SOGGIN, «Amos VI:13-14». La fierezza posta dagli abitanti di Samaria nel loro apparato militare potrebbe essere motivata o confermata da tradizioni sacrali, che attribuiscono a Giuseppe (e a suo figlio Efraim in particolare) una speciale valentia bellica e un ruolo di dominio sugli altri: cfr. Gen 49,22-26; Sal 78,9 e soprattutto Dt 33,13-17, che all’ultimo versetto dice: «Come primogenito di toro, egli è di aspetto maestoso e le sue corna sono di bufalo; con esse cozzerà contro i popoli, tutti insieme, sino ai confini della terra. Tali sono le miriadi di Efraim e tali le migliaia di Manasse» (le corna di Giuseppe si sono dunque scontrate con «due-corna» – Karnaim!). 18 L’espressione «una nazione», con il suo carattere indefinito, non può non ricordare la maledizione di Dt 28,49ss: «Il Signore solleverà contro di te da lontano, dalle estremità della terra, una nazione... della quale non capirai la lingua, una nazione dall’aspetto feroce, che non avrà riguardo per il vecchio, né avrà compassione del fanciullo... Ti assedierà in tutte le tue città...». 17
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12. Il veleno della Casa d’Israele 4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (6,8-14)
COMPOSIZIONE + 8 Lo giura il Signore DIO per se stesso, + oracolo del Signore, il Dio degli eserciti: - Ho ripugnanza, io, dell’ORGOGLIO DI GIACOBBE - e i SUOI PALAZZI li odio. = Consegnerò la città e quanto contiene. – 9 E sarà: se rimangono dieci uomini in una CASA, MORIRANNO. – 10 E li porteranno il suo parente e becchino per far-uscire le ossa dalla CASA. . e dirà a chi sarà in fondo alla CASA: “C’è ancora qualcuno con te”? . e dirà: “Finito”! . e dirà: “Zitto! Poiché non bisogna menzionare il nome del SIGNORE”. + 11 Poiché ecco il SIGNORE comanda: = e COLPIRÀ la CASA grande in frantumi e la CASA piccola a pezzi. 12
Forse corrono sulla roccia i cavalli? Sì, avete mutato in VELENO il diritto
o vi si ara con i buoi? e il frutto della giustizia in ASSENZIO.
- 13 Essi si rallegrano per Lo-Dabar - e dicono: “È proprio per la NOSTRA FORZA - che ci siamo presi Karnaim”. + 14 Poiché ecco suscito contro di voi, CASA D’ISRAELE, + Oracolo del Signore, il Dio degli eserciti, una nazione, = e vi OPPRIMERANNO dal varco di Camat fino al torrente dell’Araba.
I passi estremi (8-11; 13-14) si corrispondono, pur essendo di lunghezza e forma diverse. Le prime parti (8.13) denunciano «l’orgoglio» (8c) di Israele, che ripone la sua fiducia nella propria «forza» (13b). Ciò di cui il Signore «ha ripugnanza» (8c) e ciò che «odia» (8d) si oppone a ciò di cui gli Israeliti «si rallegrano» (13a). Mentre essi avevano «preso» (13c) delle città straniere («Lo Dabar» in 13a e «Karnaim» in 13c), il Signore «consegnerà» la loro stessa «città» (8e). Le ultime parti (11.14), che iniziano con «poiché ecco» (11.14a), annunciano un castigo che coinvolgerà tutto: tutte le case della città (grandi e piccole), tutto il territorio (da nord a sud). Il passo centrale (12) si distingue dagli altri due, poiché è il solo in cui viene denunciata la perversione della giustizia. Il «veleno» e il suo sinonimo l’«assenzio», entrambi strumenti di morte, sono collegati con la scena funebre attorno a
Sequenza B7: 6,8-14
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cui ruota la parte precedente (9-10). La domanda (a mo’ di proverbio) in 12ab si trova, come capita spesso, al centro della sequenza. La formula «oracolo del Signore, il Dio degli eserciti», che ricorre all’inizio delle parti estreme e che designa il locutore, forma inclusione per l’insieme della sequenza; lo stesso vale per «Giacobbe» (8c) e «Casa d’Israele» (14a), che designano i destinatari dell’oracolo. Si noterà anche che il termine «casa», che ricorre cinque volte nella prima parte (9a.10b.10c.11b.11c), è ripreso nell’ultima parte con il sintagma «Casa d’Israele» (14a); l’espressione «per la nostra forza» di 13b, infine, può essere messa in relazione con «per se stesso» di 8a. INTERPRETAZIONE ORGOGLIO E INGIUSTIZIA Come nella sequenza precedente, Amos denuncia l’orgoglio degli Israeliti (8c) e la loro ingiustizia (12cd). Quest’ultima però è solo accennata, per cui ci si può chiedere, in un primo momento, se il profeta intenda ricordare le trasgressioni descritte in precedenza (5,7), oppure se voglia definire stravolgimento del diritto e della giustizia il comportamento superbo di Israele. La gente di Samaria è fiera dei suoi palazzi (8c), come delle sue conquiste militari (13): sono proprio questi successi esteriori e questa potenza manifestata all’interno che Dio non può sopportare (8cd), perché è arroganza che giustifica ogni azione, anche violenta, perché è arroganza che rifiuta Dio. MORTE E OPPRESSIONE Come nelle sequenze precedenti, il profeta annuncia la sanzione divina, usando il binomio «morte» (9b-10) ed esilio (14). Quest’ultimo è espresso piuttosto con la variante dell’invasione nemica e la conseguente schiavitù19. Più che in altri testi Amos presenta la sanzione irrevocabile di Dio — qui accompagnata da un giuramento che impegna la persona stessa del Signore (8a) — come un giudizio definitivo, che coinvolge tutte le case (11) e tutte le famiglie (9-10) in un silenzio di morte (10h); tutto il paese è sottoposto allo straniero (14). Questa totale sottomissione a un’altra nazione è certamente il contrappasso per l’orgoglio conquistatore degli abitanti di Samaria; così come la morte punisce la superbia di quei palazzi, che, luoghi di feste e di banchetti, non pensavano di diventare un deposito di ossa di morti. L’umiliazione davanti al nemico che uccide, è però, paradossalmente, la via per ritrovare la propria verità, una saggezza umile e credente. Tu che hai detto: «È proprio per la nostra forza che ci siamo presi Karnaim» (13bc), oserai dire davanti ai tuoi uccisori: «Io sono un dio? Ma sei un uomo e non un dio in balia di chi ti uccide» (Ez 28,9). 19
Il verbo tradotto con «opprimere» è caratteristico della schiavitù in Egitto (Es 3,9; 22,20; 23,9; 1Sam 10,18; Is 19,20; cfr. anche Dt 26,7), vista come prototipo di tutte le oppressioni patite dagli Figli d’Israele.
13 Israele dovrà passare attraverso la morte L’insieme della sezione B: 3,1–6,14 La seconda sezione del libro di Amos ha sette sequenze. Le prime tre formano una sottosezione contraddistinta dal verbo «ascoltare», anche le ultime tre formano una sottosezione contraddistinta da «guai a»; la quarta sequenza infine funge da cerniera tra la prima e l’ultima sottosezione. Qui si esamineranno i fenomeni di tipo retorico che, confermando la precedente suddivisione in sequenze, provano che la sezione B è composta secondo il seguente schema: B1-B2-B3 B4 B5-B6-B7 – La prima tappa sarà consacrata all’analisi dei rapporti formali che uniscono le tre sequenze della prima sottosezione (B1.B2.B3). – La seconda tappa studierà le relazioni tra le tre sequenze dell’ultima sottosezione (B5.B6.B7). Ognuna di queste due tappe terminerà con un’interpretazione della sottosezione. – La terza tappa infine sarà dedicata allo studio dei rapporti tra le tre componenti della sezione: anzitutto le relazioni tra le due sottosezioni estreme (infatti le loro sei sequenze si corrispondono specularmente: B3–B5, B2–B6, B1–B7); in seguito si analizzerà la specificità e la funzione della sequenza B4 (questa sequenza centrale infatti funge da chiave di volta su cui poggiano le due sottosezioni che la racchiudono); il percorso terminerà con una interpretazione d’insieme della sezione B.
I. ULTIMO APPELLO PER I FIGLI D’ISRAELE (prima sottosezione: 3,1–4,13) COMPOSIZIONE RELAZIONI TRA LE PRIME DUE SEQUENZE (B1 E B2) Dal punto di vista del contenuto globale, B1 e B2 sono piuttosto diverse tra loro: la prima si presenta infatti come un annuncio del tema e utilizza un linguaggio prevalentemente metaforico, a carattere piuttosto enigmatico (questo si riscontra soprattutto nel passo centrale: 3,1-6). B2, invece, pur facendo ricorso a metafore1, sviluppa la denuncia profetica in modo esplicito. 1
Nei passi estremi: nel primo ricorre l’immagine del pastore e del leone (3,12), nell’ultimo quella delle vacche e della pesca (4,1.2).
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte SEQUENZA B1 (3,1-8)
1
UDITE questa parola che il Signore ha detto contro di voi, figli d’Israele, contro tutta la stirpe che ho fatto salire dal paese d’Egitto dicendo: 2 “Solo voi HO CONOSCIUTO fra tutte le stirpi del suolo. Perciò io punirò contro di voi tutte le vostre colpe”. 3
Camminano forse due uomini insieme senza essersi messi d’accordo? 4
Ruggisce forse il LEONE nella foresta se non ha qualche preda? Il leoncello manda un grido dalla sua tana se non ha preso nulla? 5 Cade forse l’uccello sulla rete a terra senza che ci sia un’esca per lui? Scatta forse la tagliola dal suolo se non ha preso qualcosa? 6 Risuona forse la tromba nella città, senza che il popolo TREMI ? Avviene forse nella città una sventura, senza che il Signore l’abbia FATTA? 7
In verità, il Signore Dio non FA cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servitori, i profeti. 8
Ruggisce il LEONE. Chi mai non TEME ? Il Signore Dio ha parlato. Chi può non profetare? SEQUENZA B2 (3,9–4,3)
9
FATELO UDIRE nei palazzi di Asdod e nei palazzi del paese d’Egitto e dite: adunatevi sui monti di Samaria e osservate i numerosi DISORDINI in essa e le violenze al suo interno: 10 NON CONOSCONO il FARE corretto, oracolo del Signore, violenza e rapina accumulano nei loro palazzi. 11 Perciò così dice il Signore Dio: il nemico circonderà il paese, sarà abbattuta la tua potenza e i tuoi palazzi saranno saccheggiati. 12 Così dice il Signore: Come il pastore strappa dalla bocca del LEONE due zampe o il lobo d’un orecchio, così scamperanno gli Israeliti che abitano a Samaria su un cantuccio di divano o su una coperta da letto. 13
UDITE e attestatelo contro la casa di Giacobbe, oracolo del Signore Dio, Dio degli eserciti: Quando punirò i crimini d’Israele, punirò gli altari di Betel; saranno spezzati i corni dell’altare e cadranno a terra. 15 Demolirò la casa d’inverno insieme con la casa d’estate e andranno in rovina le case d’avorio e scompariranno le grandi case. Oracolo del Signore. 14
4,1 UDITE questa parola, o vacche di Basan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo! 2 Il Signore Dio ha giurato per la sua santità: ecco, verranno per voi giorni, in cui sarete prese con ami e le rimanenti con arpioni da pesca. 3 Uscirete per le brecce, una dopo l’altra, e sarete cacciate oltre l’Ermon, oracolo del Signore.
Termini iniziali «Il paese d’Egitto» è menzionato all’inizio delle due sequenze (3,1 e 3,9)2. Ciò sorprende per il fatto specialmente che l’Egitto non era elencato fra le nazioni della sezione A. — Le due occorrenze di «conoscere» sono fra loro in opposizione pertinente: Dio «ha conosciuto» Israele (3,2), Israele «non conosce» la rettitudine (3,10). Nei due casi la conseguenza («perciò») è una punizione (3,2 e 3,11)3. — «Udire» ricorre in 3,1 (all’imperativo, in forma normale) e in 3,9 (all’imperativo, in forma causativa). Il fatto che questa radice sia ripetuta anche dopo, in B2, all’inizio degli altri due passi (3,13 e 4,1) stabilisce un ulteriore
2
Un riferimento all’Egitto si trova anche in 4,10 (B3); sulla relazione fra le tre sequenze, cfr. p. 258. 3 In ebraico le due congiunzioni ‘al kēn e lākēn hanno un significato pressoché identico.
La sezione B: 3,1–6,14
251
nesso tra le prime due sequenze (questo rapporto è peculiare alle prime due sequenze della sottosezione). Termini centrali L’uccello che «cade a terra» al centro di B1 (3,5) può essere messo in relazione con i corni dell’altare, anch’essi destinati a «cadere a terra», al centro di B2 (3,14). Apparentemente disparate, queste due espressioni significano comunque la fine, e anzi la morte4. Termini estremi L’espressione «Udite questa parola» appare solo all’inizio dei passi estremi (3,1 e 4,1)5. — Si può notare che le due espressioni «tutta la famiglia che ho fatto salire dalla terra d’Egitto» (3,1) e «dalle brecce uscirete una davanti all’altra e sarete gettate verso l’Ermon» (4,3) fungono da termini estremi: infatti indicano l’inizio (esodo) e la fine (esilio) della storia del popolo di Israele (con opposizione geografica tra Egitto al sud e Ermon al nord)6. Dalle estremità al centro o dal centro alle estremità7 Il verbo pqd, tradotto con «punire», è utilizzato solo in queste due sequenze: ricorre all’inizio di B1 (3,2) e al centro di B2 (3,14), accompagnato ogni volta da «le vostre colpe» – «i crimini di Israele». — Il verbo «fare» ricorre al centro di B1 (detto di Dio: 3,6.7) e all’inizio di B2 (detto di Israele: 3,10). — I tre brani della parte centrale di B1 (3,4-6) annunciano, in un certo qual modo, la seconda parte dei passi estremi di B2: 3,11 annuncia la conquista del paese, 3,12 riprende l’immagine del leone, 4,2 usa la metafora della pesca
come 3,6 predice quella della città. già presente in 3,48. che richiama quella della caccia in 3,5.
4 Il verbo «cadere» in Amos connota il fatto di morire (cfr. in particolare 5,2; 7,17; 8,14): cfr. T. GILES, «The Dual Occurrences»: l’autore concentra il suo interesse soprattutto su 5,2; 7,2.5; 9,11, testi in cui appare il tema del giudizio e della salvezza. 5 Questa espressione ricorrerà ancora solo in 5,1, all’inizio della sequenza centrale della sezione. 6 Il rapporto è sottolineato dall’uso del verbo «uscire» in 4,3, che — anche se non in Amos (che preferisce «salire»: 2,10; 3,1; 9,7) — è uno dei verbi tipici dell’esodo. 7 Si verifica qui la legge n° 4 di Lund: «Esistono anche numerosi casi in cui le idee compaiono al centro di un sistema e alle estremità di un sistema corrispondente, ed è evidente che il secondo sistema è stato costruito per corrispondere al primo. Chiameremo questo fenomeno la legge dello spostamento dal centro verso le estremità» (cfr. R. MEYNET, L’analisi retorica, 120). Di fatto ci limiteremo a segnalare dei rapporti senz’altro significativi, la cui funzione strutturante risulta però meno evidente. 8 L’immagine del leone funge soprattutto da termine medio tra la fine di B1 (3,8) e l’inizio (relativo) di B2 (3,12: alla fine del primo passo); si potrebbe aggiungere il tema della paura verso la fine di B1 (3,6: «tremare»; 3,8: «temere») e all’inizio di B2 (3,9: «disordini», la cui radice è collegata alla paura: cfr. p. 132).
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte SEQUENZA B2 (3,9–4,3
9
Fatelo udire nei palazzi di Asdod e nei palazzi del paese d’Egitto e dite: adunatevi sui monti di Samaria e osservate i MOLTEPLICI disordini in essa e le violenze nel suo interno: 10 non sanno agire con rettitudine, oracolo del Signore, violenza e rapina accumulano nei loro palazzi. 11 Perciò così dice il Signore Dio: il nemico circonderà il paese, sarà abbattuta la tua potenza e i tuoi palazzi saranno saccheggiati. 12 Così dice il Signore: come il pastore strappa dalla bocca del leone due zampe o il lobo d’un orecchio, così saranno strappati gli Israeliti che abitano a Samaria su un cantuccio da letto o su una coperta di divano. 13
Udite e attestatelo contro la casa di Giacobbe, oracolo del Signore Dio, Dio degli eserciti: 14 Quando punirò i CRIMINI di ISRAELE, punirò gli ALTARI di BETEL; saranno spezzati i corni dell’ALTARE e cadranno a terra. 15 COLPIRÒ la casa d’inverno insieme con la casa d’estate e andranno in rovina le case d’avorio e perirà la MOLTITUDINE delle case. Oracolo del Signore. 4,1 Udite questa parola, o vacche di Basan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: Fate venire, beviamo! 2 Il Signore Dio ha giurato per la sua santità: ECCO, verranno per voi giorni, in cui sarete prese con ami e le rimanenti con arpioni da pesca. 3 Uscirete per le brecce, una dopo l’altra, e sarete cacciate oltre l’Ermon, oracolo del Signore. SEQUENZA B3 (4,4-13) Venite a BETEL e RIBELLATEVI! A Galgala MOLTIPLICATE le RIBELLIONI! Fate venire ogni mattina i vostri SACRIFICI e al terzo giorno le vostre decime. 5 Bruciate pane fermentato in azione di grazie e fate-udire le vostre offerte spontanee, poiché così amate, figli d’Israele, oracolo del Signore Dio! 4
Eppure vi ho lasciato a denti asciutti in tutte le vostre città e con mancanza di pane in tutti i vostri villaggi: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 7 Eppure vi ho rifiutato la pioggia tre mesi prima della mietitura; facevo piovere sopra una città e non sopra l’altra; un campo era bagnato di pioggia, mentre l’altro, su cui non pioveva, seccava; 8 due, tre città si muovevano titubanti verso un’altra città per bervi acqua, senza potersi dissetare: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. ————————————————————————————————————— 9 VI HO COLPITI con ruggine e carbonchio la MOLTITUDINE dei vostri giardini e le vigne; i fichi, gli oliveti li ha divorati la cavalletta: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. ————————————————————————————————————— 10 Ho mandato contro di voi la peste, come contro l’Egitto; ho ucciso di spada i vostri giovani, mentre i vostri cavalli diventavano preda; ho fatto salire il fetore dei vostri campi fino alle vostre narici: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 11 Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra; eravate come un tizzone strappato da un incendio: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 6
Perciò ti tratterò così, ISRAELE! Poiché questo devo fare di te, preparati all’incontro con il tuo Dio, o ISRAELE! 13 ECCO colui che forma i monti e crea il vento, che manifesta a l’uomo qual è il suo pensiero, che fa con l’alba le tenebre e cammina sulle alture della terra, Signore, Dio degli eserciti è il suo nome. 12
La sezione B: 3,1–6,14
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RELAZIONI TRA LE ULTIME DUE SEQUENZE (B2 E B3) Il rapporto tra i tre passi che formano entrambe le sequenze è particolarmente interessante dal punto di vista tematico: essi sono infatti costruiti come ad incastro. In B2 i passi estremi (3,9-12 e 4,1-3) si riferiscono alla città di Samaria e agli atti ingiusti che vi si commettono. A questi due passi corrisponde il passo centrale di B3 (4,6-11), che descrive la punizione divina contro la città, punizione motivata proprio da quanto il profeta denuncia nella sequenza precedente. Così, all’accumulo di tesori (3,10) corrisponde la carestia (4,6), al bere celebrativo (4,1) fa da pendant la siccità (4,7-8); la guerra e l’invasione minacciate in B2 (3,11 e 4,2-3) si trovano attuate in B3 (4,10-11). D’altra parte, il passo centrale di B2 (3,13-15) fa riferimento al santuario di Betel (di cui si annuncia la distruzione). Ora, questa tematica cultuale è sviluppata nei passi estremi di B3: questo è chiarissimo nel passo iniziale (4,4-5), dove si parla dei riti compiuti a Betel e che sono denunciati come delitti, ma anche — seppur indirettamente — nel passo conclusivo (4,12-13), dove il profeta annuncia l’incontro con Dio servendosi di una terminologia cultuale, che evoca la punizione. Vanno inoltre considerati gli elementi seguenti: Una formula strutturante La formula «oracolo del Signore» (con leggere varianti9) è tipica di queste due sequenze10. La distribuzione è la seguente: quattro volte in B2 [in ognuno dei passi estremi (3,10 e 4,3) e due volte nel passo centrale (3,13.15)] e sei volte in B3 [una volta nel primo passo (4,5), cinque volte nel passo centrale (4,6.8.9.10.11)]; l’ultimo passo termina con una formula solenne11, diversa da tutte le precedenti, che conclude non solo B3, ma anche, in un certo modo, l’insieme delle due sequenze (4,13). Termini iniziali e centrali identici La radice rbb / rbh («moltiplicare», «moltitudine», «numeroso») collega l’inizio e il centro delle due sequenze; dal punto di vista semantico il rapporto è simmetrico: B2
B3
3,9 «numerosi disordini» 4,4 «moltiplicate le ribellioni» = (1° passo) gravità della COLPA 3,15 «numerose case» 4,9 «moltitudine dei vostri giardini = (centro) gravità della SANZIONE
9
È interessante vedere queste varianti nelle loro reciproche relazioni (dal centro alle estremità): 3,13 (passo centrale di B2, all’inizio): «oracolo del Signore DIO, il Dio degli eserciti». 4,5 (primo passo di B3, alla fine): «oracolo del Signore DIO». 4,13 (ultimo passo di B3, alla fine): «SIGNORE Dio degli eserciti è il suo nome». 10 La formula non si trova in B1, mentre nella sezione B ricompare solo nell’ultima sequenza (B7), dove funge da termine estremo (6,8.14). 11 Cfr. nota 10.
254
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Vi è complementarietà tra i vari aspetti: alla molteplicità dei crimini di Samaria (3,9) corrisponde la molteplicità dei riti liturgici, pure criminali, di Betel (4,4), molteplicità di atti ingiusti dunque sia nell’ambito amministrativo che in quello cultuale. La sanzione di un tale crimine consiste nella distruzione delle case «numerose» (o «importanti») nella città, e dei numerosi giardini (e vigne) in campagna. Ne deriva un’idea di totalità, nel peccato e nella punizione. Termini iniziali In Amos l’imperativo «fate-udire» (alla forma causativa) è usato solo due volte: nel primo passo di B2 (3,9), come primo imperativo di una serie («dite», «radunatevi», «vedete»), e nel primo passo di B3 (4,5), come ultimo imperativo di una serie («venite», «ribellatevi», «moltiplicate», ecc.)12. Termini centrali – «Colpire» ricorre al centro della seconda sequenza (3,15) e al centro della terza (4,9), con lo stesso soggetto (Dio) alla prima persona singolare13. – Non ci sono altre riprese lessicali tra i passi centrali delle due sequenze, eccetto il termine šēn (tradotto in 3,15 con «avorio», alla fine del passo; e con «denti» in 4,6, all’inizio del passo); in entrambi i casi questa parola è in relazione con un evento punitivo. Termini finali Alla fine delle due sequenze l’avverbio «ecco» (4,2 e 4,13) indica l’imminenza della sanzione14. Termini estremi – La parola «montagna», che funge da termine iniziale per i passi estremi di B2 (3,9 e 4,1), sempre in riferimento a Samaria, ricompare in 4,1315: se si privilegiano le ricorrenze al plurale, si può dire che «le montagne» di 3,9 e 4,13 funge da termine estremo per l’insieme delle due sequenze. – Il fatto che il destinatario venga interpellato al singolare all’inizio (B2: 3,11: «la tua forza», «i tuoi palazzi») 12
Si potrebbe forse notare altresì la menzione di due nomi di località in 3,9 (Asdod ed Egitto) e in 4,4 (Betel e Galgala). 13 Il verbo si trova anche in 6,11 (B7) e in 9,1 (C 4). In B1 e in B2 il termine centrale è «cadere»; in B2 e B3 è «colpire»: si ha dunque una continuità all’interno della sottosezione, dato che i centri presentano tutti un verbo di «distruzione» (quale punizione divina). 14 P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 73. Per quanto concerne l’insieme della sezione B, il termine «ecco» compare nei passi sopra citati e due volte nella sequenza conclusiva (B7: 6,11 e 6,14, come conclusione dei passi estremi). Nelle altre sezioni si trova una volta nella sezione A (2,13: introduce la punizione e quindi la conclusione di A3), e 7 volte nella sezione C (6 volte per indicare il sopraggiungere della punizione: 7,1.4.7.8; 8,1.11; e una volta per annunciare la salvezza, al centro dell’ultima sequenza: 9,13). 15 In Amos il termine è presente altrove solo in 6,1 e 9,13.
La sezione B: 3,1–6,14
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e alla fine (B3: 4,12: «ti farò», «il tuo Dio») potrebbe avere stessa funzione di termine estremo. Altrove si usa sempre il plurale («voi»). Termini medi Quattro ricorrenze del verbo «venire» (bw’) collegano la fine di B2 (ultimo passo) con l’inizio di B3 (primo passo), in modo chiastico per quanto riguarda la forma verbale: B2 4,1: «fate-venire» (causativo) 4,2: «vengono»
B3 4,4: «venite» 4,4: «fate-venire» (causativo).
Il collegamento semantico tra la proposta che le «vacche» di Basan fanno ai loro «signori» di portare da bere (4,1) e le offerte apportate dai Figli d’Israele al loro Signore, è senz’altro efficace (4,4). Si può aggiungere che gli Israeliti «vanno» a Betel (4,4) nella speranza che i giorni che «vengono» (4,2) siano prosperi, e non capiscono che il loro stesso movimento, essendo criminale, trascina con sé la sventura. Dal centro alle estremità e dalle estremità al centro – «Crimini» (o «ribellioni» e «ribellarsi»)16 e «Betel»17 ricorrono al centro di B2 (3,14) e all’inizio di B3 (4,4)18. – Il tema del resto «strappato» alla bocca del leone o all’incendio ricorre in 3,12 e in 4,1119. – Il verbo «bere» appare nel passo finale di B2 (4,1: prima parte del passo): le «vacche» di Samaria chiedono da bere (probabilmente vino). Questo stesso verbo ricorre nel passo centrale di B3 (4,8: prima parte del passo): le città colpite dalla siccità cercano da bere (acqua). Queste due occorrenze si contrappongono: in B2 si tratta di un bere celebrativo, collegato con l’oppressione; in B3 di un bere difficoltoso (le città non sono «saziate»), frutto della punizione. – Nella sezione B gli unici casi in cui il nome «Israele» è utilizzato senza altre specificazioni per designare il popolo si trovano in B2 (3,14: al centro della sequenza) e in B3 (4,12: due volte, alla fine della sequenza)20. 16
Si tratta della radice pš‘ che caratterizza indubbiamente queste due sequenze: infatti il sostantivo («crimine») compare otto volte nella sezione A (vi svolge il ruolo di termine iniziale per gli oracoli contro le nazioni); nella sezione B questa radice (prima sostantivo, poi verbo) ricorre solo nei testi citati sopra, e al centro della sequenza centrale (come sostantivo: 5,12); essa è assente nella sezione C. 17 Oltre ai passi citati, nella sezione B il santuario di Betel viene menzionato solo nella sequenza centrale (5,5-6: tre volte). 18 Una medesima radice (zbḥ) = sacrificare) collega il termine «altare» (3,14: due volte, al plurale) con «sacrifici» (4,4: al plurale); nei due testi si fa riferimento a Betel e alle sue attività cultuali. 19 Si noti la posizione: alla fine del primo passo per B2 (3,12), e come conclusione del passo centrale per B3 (4,11); in entrambi i casi, in connessione con un paragone: «come il pastore strappa...» (3,12), «come un tizzone strappato...» (4,11).
256
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
RELAZIONI TRA LE SEQUENZE ESTREME (B1 E B3) SEQUENZA B1 (3,1-8) 1
Udite questa parola che il Signore ha detto contro di voi, figli d’Israele, contro tutta la stirpe che ho fatto salire dalla terra di Egitto dicendo: 2 “Solo voi ho conosciuto fra tutte le stirpi del suolo. Perciò io punirò contro di voi tutte le vostre COLPE”. 3
Camminano forse due uomini insieme senza essersi messi d’accordo? 4
Ruggisce forse il leone nella foresta se non ha qualche preda? Il leoncello manda un grido dalla sua tana se non ha preso nulla? 5 Cade forse l’uccello sulla rete a terra senza che ci sia un’esca per lui? Sale forse la tagliola dal suolo se non ha preso qualcosa? 6 Risuona forse la tromba nella città, senza che il popolo tremi? Avviene forse nella città una sventura, senza che il Signore l’abbia fatta? 7
In verità, il Signore Dio non fa cosa alcuna
SENZA AVER RIVELATO IL SUO CONSIGLIO AI SUOI
SERVITORI, I PROFETI. 8
Ruggisce il leone. Chi mai non teme? Il Signore Dio ha parlato. Chi può non profetare? SEQUENZA B3 (4,4-13)
4
Venite a Betel e RIBELLATEVI! A Galgala moltiplicate le RIBELLIONI! Fate venire ogni mattina i vostri sacrifici e al terzo giorno le vostre decime. 5 Bruciate pane fermentato in azione di grazie e fate-udire le vostre offerte spontanee, poiché così amate, figli d’Israele, oracolo del Signore Dio! 6
Eppure vi ho lasciato a denti asciutti in tutte le vostre città e con mancanza di pane in tutti i vostri villaggi: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 7 Eppure vi ho rifiutato la pioggia tre mesi prima della mietitura; facevo piovere sopra una città e non sopra l’altra città; un campo era bagnato di pioggia, mentre l’altro, su cui non pioveva, seccava; 8 due, tre città si muovevano titubanti verso un’altra città per bervi acqua, senza potersi dissetare: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. —————————————————————————————————————————— 9
Vi ho colpiti con ruggine e carbonchio la moltitudine dei vostri giardini e le vigne; i fichi, gli oliveti li ha divorati la cavalletta: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. —————————————————————————————————————————— 10
Ho mandato contro di voi la peste, come contro l’Egitto; ho ucciso di spada i vostri giovani, mentre i vostri cavalli diventavano preda; ho fatto-salire il fetore dei vostri campi fino alle vostre narici: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 11 Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra; eravate come un tizzone strappato da un incendio: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 12
Perciò ti farò così, Israele! Poiché questo devo fare di te, preparati all’incontro con il tuo Dio, o Israele! 13 Ecco colui che forma i monti e crea il vento, CHE FA SAPERE ALL’UOMO QUAL È IL SUO PENSIERO, che fa con l’alba le tenebre e cammina sulle alture della terra, Signore, Dio degli eserciti è il suo nome.
Termini iniziali I sinonimi «colpe» e «ribellioni» ricorrono all’inizio delle sequenze (alla fine del primo passo di B1 in 3,2 e all’inizio del primo passo di B3 in 4,4)21. 20
Altrove questo fenomeno si ritrova nella sezione A in 1,1 (Titolo) e in 2,6 (titolo della sequenza A3); nella sezione C in 7,9 (due volte).16; 9,7. 21 La parola «crimini» è ripresa anche al centro di B2 (cfr. p. 258).
La sezione B: 3,1–6,14
257
Termini finali Le due sequenze riprendono, verso la fine, la stessa idea di rivelazione fatta da Dio agli uomini: 3,7 4,13
«se non RIVELA «e che MANIFESTA
il suo disegno all’uomo
ai [...] profeti» quale è il suo pensiero».
Bisogna inoltre notare che ogni volta queste espressioni sono precedute dal verbo «fare» ripetuto due volte (3,6.7; 4,12)22. Termini centrali – Al centro della sequenza B1 (3,4-6) ci sono tre fatti (il leone che ruggisce, l’uccello che cade nella rete, il corno che suona nella città), che dovrebbero essere come un avvertimento, come un segnale d’allarme destinato a incutere il «timore» (di Dio). Al centro della sequenza B3 (4,6-11) ci sono cinque fatti23, che non hanno ottenuto l’effetto sperato, avvertimenti disattesi che non hanno prodotto il pentimento (il «ritorno» al Signore)24. Nelle due sequenze è Dio a essere all’opera in tali azioni: è Lui che fa (3,7) ed è Lui il «leone» (3,8); è sempre Lui il soggetto esplicito di tutte le azioni descritte in 4,6-11, ed è Lui che — come si è detto sopra — fa conoscere all’uomo i suoi disegni (3,7 e 4,13). – La parola «città» appare due volte al centro di B1 (3,6) e cinque volte al centro di B3 (4,6-8); secondo quanto detto appena sopra, si tratta dell’ultimo «fatto» in B1 e del primo in B3. Abbiamo indubbiamente a che fare con una concentrazione importante, perché in Amos questo termine ricomparirà solo altre quattro volte (5,3; 6,8; 7,17; 9,14)25.
22
L’importanza strutturante del verbo «fare» per la sottosezione verrà discussa più avanti (p.
256). 23 In realtà questi cinque fatti possono essere ridotti a tre: la carestia causata dalla siccità (4,68: analizzando il passo, si è visto che questi due elementi formano una sola parte), la distruzione della vegetazione (4,9), e infine la peste prodotta dalla guerra (4,10-11: anche questi versetti formano una sola parte). 24 Forzando un po’ le cose, si potrebbe forse dire che questi due passi, entrambi costruiti in modo concentrico, si corrispondono punto per punto. Partendo dalla fine, è certo che il suono del corno (3,6) rimanda alla guerra (4,10-11; si pensi tra l’altro al rapporto tra «la guerra» di Am 1,14 e «il corno» di 2,2). Il rapporto tra i primi «fatti», leone (3,4) e siccità (4,6-7), sembra a prima vista strano; trova però una conferma in Am 1,2 (il leone ruggisce e la siccità colpisce la vetta del Carmelo). Restano i «fatti» centrali, per i quali non sembra possibile individuare un rapporto significativo. 25 Si può forse aggiungere che, sempre nei passi centrali, «salire» di 3,5 è ripreso da «faresalire» di 4,10; questa ripetizione non sembra sottolineare un rapporto significativo (bisogna notare inoltre che questo stesso verbo ricorre anche in 3,1).
258
13. Israele dovrà passare attraverso la morte SEQUENZA B1 (3,1-8)
1
UDITE questa parola che il Signore ha detto contro di voi, FIGLI D’ISRAELE, contro tutta la stirpe che ho fatto salire dalla terra di Egitto dicendo: 2 “Solo voi ho conosciuto fra tutte le stirpi del suolo. Perciò io punirò contro di voi tutte le vostre colpe”. 3
Camminano forse due uomini insieme senza essersi messi d’accordo? 4
Ruggisce forse il leone nella foresta se non ha qualche preda? Il leoncello manda un grido dalla sua tana se non ha preso nulla? 5 Cade forse l’uccello sulla rete a terra senza che ci sia un’esca per lui? Scatta forse la tagliola dal suolo se non ha preso qualcosa? 6 Risuona forse la tromba nella città, senza che il popolo tremi? Avviene forse nella città una sventura, senza che il Signore l’abbia fatta? 7
In verità, il Signore Dio non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servitori, i profeti. 8
Ruggisce il leone. Chi mai non teme? Il Signore Dio ha parlato. Chi può non profetare? SEQUENZA B2 (3,9–4,3)
9 FATELO UDIRE nei palazzi di Asdod e nei palazzi del paese d’Egitto e dite: adunatevi sui monti di Samaria e osservate i numerosi disordini in essa e le violenze nel suo seno: 10 non sanno fare la rettitudine, oracolo del Signore, violenza e rapina accumulano nei loro palazzi. 11 Perciò così dice il Signore Dio: il nemico circonderà il paese, sarà abbattuta la tua potenza e i tuoi palazzi saranno saccheggiati. 12 Così dice il Signore: come il pastore strappa dalla bocca del leone due zampe o il lobo d’un orecchio, così scamperanno i FIGLI D’ISRAELE che abitano a Samaria su un cantuccio da letto o su una coperta di divano. 13
UDITE e attestatelo contro la casa di Giacobbe, oracolo del Signore Dio, Dio degli eserciti: 14 Quando punirò i crimini d’Israele, punirò gli altari di Betel; saranno spezzati i corni dell’altare e cadranno a terra. 15 Demolirò la casa d’inverno insieme con la casa d’estate e andranno in rovina le case d’avorio e scompariranno le grandi case. Oracolo del Signore.
4, 1 UDITE questa parola, o vacche di Basan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo! 2 Il Signore Dio ha giurato per la sua santità: ecco, verranno per voi giorni, in cui sarete prese con ami e le rimanenti con arpioni da pesca. 3 Uscirete per le brecce, una dopo l’altra, e sarete cacciate oltre l’Ermon, oracolo del Signore. SEQUENZA B3 (4,4-13) 4 Venite a Betel e ribellatevi, a Galgala moltiplicate le ribellioni! Fate-venire ogni mattina i vostri sacrifici e al terzo giorno le vostre decime. 5 Bruciate pane fermentato in azione di grazie, FATE-UDIRE le vostre offerte spontanee, poiché così amate, FIGLI D’ISRAELE, oracolo del Signore Dio. 6
Eppure vi ho lasciato a denti asciutti in tutte le vostre città e con mancanza di pane in tutti i vostri villaggi: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 7 Eppure vi ho rifiutato la pioggia tre mesi prima della mietitura; facevo piovere sopra una città e non sopra l’altra città; un campo era bagnato di pioggia, mentre l’altro, su cui non pioveva, seccava; 8 due, tre città si muovevano titubanti verso un’altra città per bervi acqua, senza potersi dissetare: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 9 Vi ho colpiti con ruggine e carbonchio la moltitudine dei vostri giardini e le vigne; i fichi, gli oliveti li ha divorati la cavalletta: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 10 Ho mandato contro di voi la peste, come contro l’Egitto; ho ucciso di spada i vostri giovani, mentre i vostri cavalli diventavano preda; ho fatto-salire il fetore dei vostri campi fino alle vostre narici: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 11 Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra; eravate come un tizzone strappato da un incendio: e non siete ritornati a me, oracolo del Signore. 12
Perciò ti farò così, Israele! Poiché questo farò a te, preparati all’incontro con il tuo Dio, Israele! 13 Ecco colui che forma i monti e crea il vento, che fa sapere all’uomo qual è il suo pensiero, che fa con l’alba le tenebre e cammina sulle alture della terra, Signore, Dio degli eserciti è il suo nome.
La sezione B: 3,1–6,14
259
RELAZIONI TRA LE TRE SEQUENZE (B1.B2.B3) Termini iniziali La prima sequenza (B1) inizia con l’imperativo plurale «Udite» (3,1). La seconda sequenza (B2) inizia con una serie di imperativi al plurale: il primo di essi appartiene alla stessa radice di quello di 3,1: «Fate-udire» (3,9); inoltre il secondo passo di questa sequenza inizia con «Udite» (3,13) e il terzo con «Udite questa parola» (4,1), come all’inizio della prima sequenza (3,1). La terza sequenza inizia con una serie di sette imperativi al plurale; l’ultimo di essi è lo stesso di quello con cui inizia la seconda sequenza: «fate-udire» (4,5). — L’espressione «Figli d’Israele» ricorre in ogni primo passo: in B1 (3,1: all’inizio del passo), in B2 (3,12: alla fine del passo) e in B3 (4,5: alla fine del passo). Ciò risulta tanto più pertinente se si considera che questa espressione non ricorre altrove nella sezione B26; coniugata con «udire», indica i destinatari della sottosezione. Termini estremi Le due ricorrenze estreme della parola «terra» sembrano formare un’inclusione (3,1: «terra d’Egitto» e 4,13: «le alture della terra»). Anche se tale termine ricorre altrove nella sottosezione (3,5.9.11.14), il rapporto tra inizio e fine è particolarmente pertinente dal punto di vista semantico: in 3,1 «il paese d’Egitto» è il luogo della manifestazione salvifica (l’elezione) del Signore, manifestazione originaria che crea la «famiglia» di Israele (3,2), scelta tra tutte le altre; in 4,13 «le alture della terra» si riferiscono alla sede cosmica scelta da Dio per la sua manifestazione escatologica in vista del giudizio di Israele (4,12), cioè della sua punizione. — Collegato a quanto detto, si può aggiungere che il termine «suolo» (’ădāmâ) in 3,2 indica la dimensione universale dell’agire divino «al principio»; a ciò corrisponde la parola «uomo» (’ādām) in 4,13, che è il referente universale dell’agire e del rivelarsi escatologico di Dio. Altri elementi strutturanti la sottosezione «Colpe» alla fine del primo passo di B1 (3,2) ha un sinonimo all’inizio di B3 in «ribellioni» (4,4); questa stessa parola ricorre al centro di B2, tradotta con «crimini» (3,14). — Associato alla parola «terra», il nome «Egitto» collega le sequenze: in B1 (3,1: inizio del primo passo), in B2 (3,9: inizio del primo passo), in B3 (4,10: inizio dell’ultima parte del passo centrale). Si tratta delle tre uniche occorrenze in tutta la sezione27.
26
L’espressione «Figli d’Israele» altrove compare solo in 2,11 (al centro della sequenza A3) e in 9,7 (al centro della sequenza C4). 27 L’Egitto viene menzionato altrove in 2,10 (A3); in 8,8 (C3) e in 9,5-7 (C4).
260
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
La parola «Egitto» porta con sé la questione del rapporto tra Israele e le altre nazioni28: B1 (3,1-2): B2 (3,9): B3 (4,10):
Egitto e «tutte le famiglie del suolo», Egitto e Asdod, Egitto e Sodoma – Gomorra.
Se in B1 si ha l’elezione (solo voi tra tutte le nazioni), in B3 Israele viene identificato, quanto al destino, con le nazioni peccatrici punite dal Signore («al modo di Egitto» in 4,10; «come Sodoma e Gomorra» in 4,11). Nella sequenza B2 le nazioni (Egitto e Filistei) sono convocate come testimoni del reato, che avrà la sua sanzione proprio in B3. — Un altro elemento lessicale, attestato nelle tre sequenze, ha un ruolo particolarmente significativo. Il verbo «fare» presenta un’importante concentrazione nella sottosezione: due volte in B1 (3,6.7), una volta in B2 (3,10), tre volte in B3 (4,12.13)29. Queste ricorrenze sembrano rilevanti semanticamente a motivo delle loro somiglianze e delle loro differenze. In B1 il Signore «ha fatto» (3,6: perfetto) e «farà» (3,7: imperfetto); in B3 il Signore «farà» (4,12: imperfetto) e «fa» (participio): sempre con una connotazione negativa di punizione (3,6: collegato a «male»; 4,12: dal contesto della «non-conversione» si deduce che l’azione di Dio è un castigo definitivo). In B2 il soggetto del verbo non è più Dio ma gli Israeliti, che «non conoscono la dirittura nel fare» (in 3,10 collegato a «violenza e rapina», antonimi di «diritto e giustizia»); ciò provocherà il «fare» punitivo di Dio, che è invece un’azione di giustizia. INTERPRETAZIONE ASCOLTATE Uno dei tratti caratteristici della prima sottosezione è l’imperativo di ascoltare o di fare ascoltare30. Evidentemente non si tratta di una semplice percezione acustica; il profeta non cerca tanto di farsi udire quanto piuttosto di far «intendere» ai suoi uditori la parola del Signore (3,1), di fare comprendere ciò che sta per accadere nella città (3,6), così che i Figli d’Israele non cadano nella trappola mortale (3,5). In questo senso la profezia di Amos ha una forte connotazione sapienziale31. Ciò traspare soprattutto dall’uso di espressioni proverbiali e di domande 28 Questo rapporto innerva semanticamente tutta la sezione A; nella sezione B è pure importante per la sottosezione finale (B5–B6–B7): cfr. in particolare 5,26-27; 6,1-2.13-14; nella sezione C ricompare soprattutto in 9,7 (C4) e in 9,12 (C5). 29 Altrove: nella sezione B solo in 5,8 e 5,26; nella sezione C solo in 9,12.14 (sequenza C5). 30 Cfr. p. 259 (Termini iniziali). 31 Ci si ricollega così a una delle tesi care a H.W. Wolff che situa la «patria spirituale» di Amos nella corrente sapienziale di origine tribale (cfr. in particolare Amos’ geistige Heimat). Più che di un’appartenenza sociologica di Amos a un circolo di sapienti (cosa difficile da dimostrare sulla sola base del testo scritto), è giusto parlare di una chiara parentela della sua profezia con le tradizioni sapienziali documentate nella Scrittura e conosciute anche dai documenti letterari del Vicino Oriente antico.
La sezione B: 3,1–6,14
261
enigmatiche collocate al centro della prima sequenza (3,3-6)32, dalla presenza massiccia nella seconda sequenza di un vocabolario tipicamente sapienziale33, dal frequente ricorso all’ironia34, e infine dalla lista delle azioni divine, elencate al centro della terza sequenza, di cui Israele non ha colto il senso (4,6-11). Il ruggito del leone non si spiega senza una preda, un uccello non cade a terra se non c’è una trappola e il corno non suona nella città senza mettere in allarme la popolazione (3,4-6); allo stesso modo le lezioni del Signore, cioè la carestia, la distruzione dei raccolti, la guerra (4,6-11) non devono forse essere percepite dagli abitanti di Samaria come un avvertimento? È la parola profetica che si fa carico di diffondere e «fare intendere» questo decisivo monito sapienziale. Infatti il Signore agisce; e il suo «fare», che è il senso stesso della storia, non si compie senza essere comunicato, rivelato, fatto «conoscere» all’uomo (4,13) mediante il servitore di Dio, che è il profeta (3,7). Il «consiglio» (3,7) o «disegno» (4,13) del Signore, trasmesso alle montagne di Samaria, nei santuari di Israele sarà inteso? FIGLI D’ISRAELE Uno degli elementi caratteristici di questa sottosezione è che i destinatari della profezia sono designati «Figli d’Israele» (3,1.12; 4,5). Questo titolo è coerente con la dimensione sapienziale di cui si è appena parlato: basti pensare a quante volte in Proverbi e negli altri scritti sapienziali il locutore si rivolge al figlio (o ai figli) invitandolo all’ascolto (Pr 1,8; 4,1.10.20; 5,1.7; ecc.). D’altra parte è interessante notare che l’atto della elezione di Israele da parte del Signore è espresso con il verbo (sapienziale) «conoscere» (3,2), nel quale forse si può cogliere una sfumatura giuridica, cioè l’atto con cui un padre (o un sovrano) «riconosce» il proprio figlio (o il proprio vassallo, o servitore) come soggetto di una relazione di alleanza35. Il Signore ha «conosciuto» i Figli d’Israele, ma 32 La domanda è presente anche nell’ultimo passo della prima sequenza (3,8), dando un tono interrogativo a quanto segue. 33 Cfr. «disordine» (mehûmâ) in 3,9, «conoscere», «rettitudine» e «tesaurizzare» in 3,10, «miseri» e «poveri» in 4,1, ecc. Cfr. J.L. SICRE, «Con los pobres», 163-165. 34 È ironico il saldare l’elezione alla punizione (3,1-2), l’invitare gli ospiti stranieri ad ammirare gli «orrori» di Samaria (3,9), il paragonare gli scampati a un assedio a «due zampe o un pezzo d’orecchio» (3,12), oppure il parlare dei potenti signori di Samaria chiamandoli «vacche di Basan» (4,1), o il sollecitare il pellegrinaggio a Betel per moltiplicarvi il crimine (4,4) e il definire la carestia «pulizia di denti» (4,6), ecc. 35 L’interpretazione dei capitoli 3–4 in un contesto di alleanza è stata sostenuta da diversi autori che, in modo più o meno esplicito, vedono nel testo di Amos un rîb, cioè una procedura giuridica avviata in caso di infrazione all’alleanza; si vedano in proposito gli articoli di W. BRUEGGEMANN, «Amos IV, 4,13» e di M. O’ROURKE BOYLE, «The Covenant Lawsuit». A nostro avviso non pare possibile ravvisare in questi due capitoli un «formulario» preciso; pensiamo tuttavia che la struttura dell’alleanza — fondata sull’evento dell’esodo (3,1) ed evocata dal riferimento al Sinai (4,12: «preparati a incontrare il tuo Dio, Israele») — possa fornire un valido quadro interpretativo, all’interno del quale comprendere i riferimenti alla trasgressione («crimini») e alla maledizione (cfr. P. BEAUCHAMP, «Propositions»).
262
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Israele non ha «capito» ciò che Dio esige (la legge), né riconosciuto ciò che Egli ha compiuto (le piaghe della maledizione). LA RIBELLIONE DI ISRAELE Israele viene accusato di ribellione. La radice pš‘ (3,14 e 4,4) può considerarsi tipica per definire l’insubordinazione del vassallo (del figlio), il suo rifiuto di riconoscere il volere del sovrano. Amos anticipa Isaia che metterà in bocca al Signore questo oracolo: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati (pš‘) contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende» (Is 1,2-3). In effetti la «violenza e la rapina» (3,10), cioè l’oppressione dei poveri (3,9 e 4,1), mostrano che Israele «non sa agire con rettitudine» (3,10), cioè non sa ciò che Dio vuole. Se infatti l’alleanza si fonda sull’esodo (3,1) e se l’esodo è essenzialmente il riconoscimento del debole, dell’oppresso, della vittima (come appare tra l’altro in 2,9-10), come possono gli abitanti di Samaria contraddire così sfacciatamente quanto YHWH ha fatto? Essi edificano sul sopruso (3,9-10) e celebrano lo sfruttamento dei miseri (4,1); non sanno più riconoscere ciò che Dio ama. Essi «amano» andare a Betel per offrire sacrifici e doni (4,4-5); solo questo intendono e «fanno intendere», ma non conoscono il Signore, che vuole la misericordia, non i sacrifici (Os 6,6). Il fatto che «moltiplichino» le loro azioni cultuali (4,4) è probabilmente dovuto a una serie di «piaghe», che il Signore ha inflitto al suo popolo: essi fanno un’offerta (magari di pane fermentato) ed Egli risponde con la carestia di pane (4,6); ne presentano un’altra (magari una libazione) ed Egli manda la siccità (4,7-8), e così via (4,9-11). Ciò significa che Israele non comprende il senso delle punizioni: il Signore «colpisce» (3,15 e 4,9), perché l’azione punitiva è uno strumento indispensabile della correzione sapienziale paterna; è il mezzo necessario per raddrizzare chi è indisciplinato36. Una piaga dopo l’altra (una maledizione dopo l’altra) fino a ridurre Samaria a un «tizzone strappato all’incendio»37, non producono l’emendazione, il «ritorno» (4,6, ecc.): Israele manifesta così che non capisce il senso di quanto Dio opera nella sua storia. L’alleanza volge alla fine.
36
Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 35-36. Nel testo di Is 1 la ribellione dei figli obbliga Dio a colpire fino a non lasciare nulla di intatto (1,5-6); come in Am 4,11, anche in Isaia appare il motivo del resto insignificante («un casotto in un campo di cocomeri») e il paragone con Sodoma e Gomorra (Is 1,8-9). 37
La sezione B: 3,1–6,14
263
IL DIO DI TUTTA LA TERRA Ecco un’ultima azione di Dio, che al tempo stesso è la sua ultima «rivelazione» (4,13): YHWH si presenta come il creatore del cosmo per annunciare un intervento distruttore («l’oscurità»), la cui ampiezza è proporzionata al suo stesso nome. È «l’uomo», l’essere umano, senz’altra qualifica etnica, culturale o religiosa, il destinatario dell’azione e della comunicazione divina: la «protologia»38 profetizza l’escatologia che appare misteriosa, enigmatica, ma nella quale si incontreranno finalmente l’uomo e il suo Dio (3,3 e 4,12).
38
Facciamo allusione alla terminologia della creazione e al nome ’ādām di 4,13.
264
13. Israele dovrà passare attraverso la morte II. SVENTURA PER LA CASA D’ISRAELE ULTIMA SOTTOSEZIONE (5,18–6,14)
Questa sottosezione è molto omogenea dal punto di vista del contenuto. Anche i rapporti di tipo retorico sono particolarmente accentuati. COMPOSIZIONE RELAZIONI TRA LE PRIME DUE SEQUENZE (B5 E B6) SEQUENZA B5 (5,18-27) 18
GUAI a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebra e non luce. 19 Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; e va in CASA, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. 20 Certo sarà tenebra e non luce il giorno del Signore, e oscurità senza splendore alcuno. 21
Io odio, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; 22 anche se voi mi immolate olocausti, io non gradisco i vostri doni e l’oblazione delle vostre BESTIE GRASSE io non la guardo. 23 Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: la musica delle tue arpe non posso sentirla! 24 Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne. 25 Mi avete forse presentato sacrifici e offerta nel deserto per quarant’anni, CASA D’ISRAELE? 26
Voi porterete via Sikkut vostro re e Kiyyun vostre immagini, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti. 27 E io vi DEPORTERÒ al di là di Damasco, dice il Signore, il Dio degli eserciti è il suo nome. SEQUENZA B6 (6,1-7) 1
GUAI agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria, designati come la primizia delle nazioni, ai quali va la CASA D’ISRAELE! 2
Passate a Calne e guardate, andate di lì ad Camat la grande e scendete a Gat dei Filistei. Siete voi forse migliori di quei regni o il loro territorio è più grande del vostro? 3 Voi che respingete il giorno di male, avvicinate l’impero della violenza. 4
Stesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani, mangiano gli AGNELLI del gregge e i VITELLI cresciuti nella stalla. 5 Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali; 6 bevono il vino in larghe coppe e si ungono con la primizia degli unguenti, ma non soffrono per la rovina di Giuseppe. 7 Perciò ora saranno DEPORTATI i primi fra i DEPORTATI, e così si allontanerà la festa degli sdraiati.
Queste due sequenze sono costruite parallelamente, con simmetrie che compaiono all’inizio, al centro e alla fine. Termini iniziali – Le due sequenze iniziano con la particella esclamativa (hôy), che introduce il lamento funebre. Se ci si attiene al TM (quindi senza le correzioni congetturali degli esegeti), sono queste le due uniche sequenze a iniziare con hôy (5,18 e 6,1), il che sottolinea la loro affinità tematica.
La sezione B: 3,1–6,14
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– Si può aggiungere il riferimento alla «casa» e la ripresa del verbo «venire» (bw’) (5,19 e 6,1). Termini centrali – Il binomio «il diritto e la giustizia» (5,24) si contrappone a «l’impero della violenza» (6,3). – Il verbo ngš (hiphil), tradotto con «presentare» (5,25) e con «avvicinare» (6,3)39. Israele «presenta» sacrifici, invece «del diritto e della giustizia»; egli «avvicina» così l’impero della violenza. Termini finali Le due sequenze terminano con il verbo «deportare» (5,27 e 6,7), che è un termine particolarmente significativo. Altre relazioni (dal centro alle estremità) – Ricorre lo stesso vocabolario della musica40: «canti» e «arpe» in 5,23, «arpa» e «strumenti musicali» in 6,5. – Il tema della musica è preceduto ogni volta dalla menzione degli animali (sacrificati): «pingui bestie» in 5,22, «agnelli» e «vitelli da stalla» in 6,4. – Le ricorrenze del verbo swr, tradotto con «togli via» in 5,23 e con «partirà» in 6,7; forse si ha un gioco di parole con šîr («canto») di 5,23 e 6,5. – Il tema del «giorno» («del Signore» in 5,18.20; «della sventura» in 6,3), con una significativa opposizione del sintagma verbale («aspirano a» in 5,18; «respingete» in 6,3). – Infine, la terminologia della regalità: «re» in 5,26 e «regni» in 6,2.
39 40
Questo verbo ricorre altrove solo in 9,10 (hiphil) e in 9,13 (niphal). «Canti» di 5,23 e «(arte) musicale» di 6,5 traducono la stessa parola ebraica, šîr.
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
RELAZIONI TRA LE ULTIME DUE SEQUENZE (B6 E B7) SEQUENZA B6 (6,1-7) 1
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria, designati come LA PRIMIZIA delle NAZIONI, ai quali va LA CASA D’ISRAELE! 2
Passate a Calne e guardate, andate di lì ad Camat la grande e scendete a Gat dei Filistei. Siete voi forse migliori di quei regni o il loro territorio è più grande del vostro? 3 Voi che respingete il giorno di male, avvicinate l’impero della VIOLENZA. 4
Stesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. 5 Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali; 6 bevono il vino in larghe coppe e si ungono con la primizia degli unguenti, ma non soffrono per la rovina di Giuseppe. 7 Perciò ora saranno deportati i primi fra i deportati e così svanirà la festa degli sdraiati.
SEQUENZA B7 (6,8-1) 8
Ha giurato il Signore Dio, per se stesso! Oracolo del Signore, Dio degli eserciti. Detesto GIACOBBE, odio i suoi palazzi, consegnerò la città e quanto contiene. 9 Se sopravviveranno in una sola casa dieci uomini, anch’essi moriranno. 10 Lo prenderà il suo parente e chi prepara il rogo, portando via le ossa dalla casa; egli dirà a chi è in fondo alla casa: “Ce n’è ancora con te?”. L’altro risponderà: “No”. Quegli dirà: “Zitto! non si deve dire nulla, per il nome del Signore.” 11 Poiché ecco: il Signore comanda e colpirà la casa grande in frantumi e quella piccola a pezzi. L’ORGOGLIO DI
12
Corrono forse i cavalli sulle rocce o vi si ara con i buoi? Sì, avete cambiato il DIRITTO in veleno e il frutto della GIUSTIZIA in assenzio. 13
Essi si rallegrano per Lo-Dabar dicendo: “Non è per la nostra forza che abbiamo preso Karnaim?”. 14 Poiché ecco, io farò-alzare contro di voi, CASA D’ISRAELE, — oracolo del Signore, Dio degli eserciti — una NAZIONE che vi opprimerà dall’ingresso di Camat fino al torrente dell’Araba.
Termini iniziali – Si noti il rapporto tematico tra «la primizia delle nazioni» (6,1) e «l’orgoglio di Giacobbe» (6,8)41. Termini finali – Si noti l’opposizione tra «non soffrono (per la rovina di Giuseppe)» in 6,6 e «si rallegrano (per Lo-Dabar, cioè per un niente)» in 6,13. – Forse esiste anche una contrapposizione tra «giacciono» – «sdraiati» di 6,4 e «faccio alzare (contro di voi)» di 6,14.
41
Se l’espressione «l’orgoglio di Giacobbe» ha a che fare con il santuario, si potrebbe intravvedere un collegamento con il nome «Sion» (6,1), che allude alla collina sacra di Gerusalemme. In ogni modo c’è un rapporto tra Sion – Samaria (6,1) e «la città» (6,8).
La sezione B: 3,1–6,14
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Termini centrali – Entrambi i centri sono occupati da una domanda retorica (6,2 e 6,12). – C’è opposizione tra «(l’impero della) violenza» (6,3) e la coppia «diritto – giustizia» (6,12). Termini estremi – Si parla della «Casa d’Israele» esclusivamente all’inizio di B6 e alla fine di B7, ogni volta in relazione con altre «nazioni» (6,1 e 6,14). – Si può aggiungere che all’inizio (6,1) Sion – Samaria indicano la totalità di Israele, mentre alla fine (6,14) Camat – Araba esprimono la totalità del territorio42; l’idea di tranquillità e di sicurezza (6,1) si contrappone a quella di oppressione da parte di una nazione straniera (6,14). Termini medi – La fine di B6 e l’inizio di B7 presentano quadri contrastanti: da una parte, una scena di vita (6,4-6: mangiare e cantare), dall'altra, una scena di morte (6,9-10: portare via le ossa in silenzio). Relazioni tra i centri e le estremità – Camat ricorre in 6,2 e in 6,14; si può aggiungere il riferimento a un «territorio grande» (6,2) che viene totalmente occupato (6,14). – Esiste un qualche collegamento anche tra la «casa» di Israele (6,1) e la «casa» come luogo di distruzione (6,9-11: cinque volte).
42
Questo nesso inviterebbe a conservare la menzione di Sion (6,1) giudicata per lo più sospetta dagli studiosi di critica letteraria.
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
RELAZIONI TRA LE SEQUENZE ESTREME (B5 E B7) SEQUENZA B5 (5,18-27) 18
Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebra e non luce. 19 Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; e va in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. 20 Certo sarà tenebra e non luce il giorno del Signore, e oscurità senza splendore alcuno. 21
IO ODIO, respingo le vostre feste e non posso-sentire le vostre riunioni; 22 anche se voi mi immolate olocausti, io non gradisco i vostri doni e l’oblazione delle vostre bestie grasse io non la guardo. 23 Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: la musica delle tue arpe non posso sentirla! 24 Piuttosto scorra come acqua il DIRITTO e la GIUSTIZIA come un torrente perenne. 25 Mi avete forse presentato sacrifici e offerta nel deserto per quarant’anni, casa d’Israele? 26
Voi porterete via Sikkut vostro re e Kiyyun vostre immagini, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti. 27 E io vi deporterò al di là di Damasco, dice il Signore, il Dio degli eserciti è il suo NOME.
SEQUENZA B7 (6,8-14) 8
Ha giurato il Signore Dio, per se stesso! Oracolo del Signore, Dio degli eserciti. Detesto l’orgoglio di Giacobbe, ODIO i suoi palazzi. Consegnerò la città e quanto contiene. 9 Se sopravviveranno in una sola casa dieci uomini, anch’essi moriranno. 10 Lo porterà il suo parente e chi prepara il rogo, portando via le ossa dalla casa; egli dirà a chi è in fondo alla casa: “Ce n’è ancora con te?”. L’altro risponderà: “No”. Quegli dirà: “Zitto! non si deve dire nulla, per il NOME del Signore.” 11 Poiché ecco: il Signore comanda e colpirà la casa grande in frantumi e quella piccola a pezzi. 12
Corrono forse i cavalli sulle rocce o vi si ara con i buoi? Sì, avete cambiato il DIRITTO in veleno e il frutto della GIUSTIZIA in assenzio. 13
Essi si rallegrano per Lo-Dabar dicendo: “Non è per la nostra forza che abbiamo preso Karnaim?”. 14 Poiché ecco, io susciterò contro di voi, casa d’Israele, — oracolo del Signore, Dio degli eserciti — una nazione che vi opprimerà dall’ingresso di Camat fino al torrente dell’Araba.
La sezione B: 3,1–6,14
269
Termini iniziali – Il tema della morte segna l’inizio delle due sequenze: in B5 viene espresso attraverso delle immagini («tenebra e non luce»: 5,18 e il serpente che morde: 5,19); in B7 mediante la menzione esplicita della morte (6,9) e la descrizione del funerale (6,10). – Si potrà notare anche una certa opposizione tra l’aspirazione degli Israeliti (5,18) e l’orrore provato da Dio (6,8). Termini finali – L’espressione «il Signore, il Dio degli eserciti» ricorre alla fine delle due sequenze (5,26 e 6,14)43. Termini centrali – Al centro di ogni sequenza ricorre, nel medesimo ordine, la coppia «diritto» e «giustizia» (5,24 e 6,12). Termini medi – Nell’ultimo passo di B5 e il primo passo di B7 è menzionato «il nome» (5,27 e 6,10) assieme a «il Signore, il Dio degli eserciti» (5,27 e 6,8); inoltre, lo stesso verbo «portare» è ripreso in 5,26 (gli idoli) e in 6,10 (il morto). Dal centro alle estremità – Il passo centrale della sequenza B5 inizia con dei verbi (alla prima persona singolare e avente per soggetto Dio) che ricorrono all’inizio della sequenza B7; da rilevare specialmente la ripresa del verbo «odiare» (5,21 e 6,8).
43
L’espressione è usata anche in 6,8 (formando così un’inclusione per l’ultima sequenza).
270
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
RELAZIONI TRA LE TRE SEQUENZE (B5.B6.B7) SEQUENZA B5 (5,18-27) 18
GUAI a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebra e non luce. 19 Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; e va in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. 20 Certo sarà tenebra e non luce il giorno del Signore, e oscurità senza splendore alcuno. 21
Io odio, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; 22 anche se voi mi immolate olocausti, io non gradisco i vostri doni e l’oblazione delle vostre bestie grasse io non la guardo. 23 Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: la musica delle tue arpe non posso sentirla! 24 Piuttosto scorra come acqua il DIRITTO e la GIUSTIZIA come un torrente perenne. 25 Mi avete forse presentato sacrifici e offerta nel deserto per quaranta anni, casa d’Israele? 26
Voi porterete via Sikkut vostro re e Kiyyun vostre immagini, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti. 27 E io vi DEPORTERÒ al di là di Damasco, dice il Signore, il Dio degli eserciti è il suo nome.
SEQUENZA B6 (6,1-7) 1
GUAI agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria, designati come la primizia delle nazioni, ai quali va la casa d’Israele! 2
Passate a Calne e guardate, andate di lì ad Camat la grande e scendete a Gat dei Filistei. Siete voi forse migliori di quei regni o il loro territorio è più grande del vostro? 3 Voi che respingete il giorno di male, avvicinate l’impero della VIOLENZA. 4
Stesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. 5 Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali; 6 bevono il vino in larghe coppe e si ungono con la primizia degli unguenti, ma non soffrono per la rovina di Giuseppe. 7 Perciò ora saranno DEPORTATI, i primi fra i DEPORTATI e così svanirà la festa degli sdraiati.
SEQUENZA B7 (6,8-14) 8
Ha giurato il Signore Dio, per se stesso! Oracolo del Signore, Dio degli eserciti. Detesto l’orgoglio di Giacobbe, odio i suoi palazzi, consegnerò la città e quanto contiene. 9 Se sopravviveranno in una sola casa dieci uomini, anch’essi MORIRANNO. 10 Lo prenderà il suo parente e chi prepara il rogo, portando via le ossa dalla casa; egli dirà a chi è in fondo alla casa: “Ce n’è ancora con te?”. L’altro risponderà: “No”. Quegli dirà: “Zitto! non si deve dire nulla, per il nome del Signore.” 11 Poiché ecco: il Signore comanda e colpirà la casa grande in frantumi e quella piccola a pezzi. 12
Corrono forse i cavalli sulle rocce o vi si ara con i buoi? Sì, avete cambiato il DIRITTO in veleno e il frutto della GIUSTIZIA in assenzio.
13
Essi si rallegrano per Lo-Dabar dicendo: “Non è per la nostra forza che abbiamo preso Karnaim?”. 14 Poiché ecco, io susciterò contro di voi, casa d’Israele, — oracolo del Signore, Dio degli eserciti — una nazione che vi OPPRIMERÀ dall’ingresso di Camat fino al torrente dell’Araba.
La sezione B: 3,1–6,14
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Termini iniziali I due hôy («guai»), con cui iniziano le prime due sequenze (B5: 5,18 e B6: 6,1), esprimono un lamento funebre (cfr. 5,17) e annunciano la cerimonia funebre dell’ultima sequenza (B7: 6,9-10). In B7 il tema non compare immediatamente all’inizio; è però come inquadrato dal solenne giuramento di Dio — che esplicita la condanna definitiva della città, sede dei palazzi — (6,8) e dall’ordine di colpire la casa (6,11), che è proprio il luogo in cui si celebra il funerale. Tutto ciò costituisce la conclusione, molto marcata, di una serie testuale (la fine della sottosezione e dell’intera sezione B). Termini finali Le prime due sequenze (B5.B6) terminano con l’annuncio della deportazione (5,27 e 6,7) e, in modo complementare, l’ultima sequenza (B7) si chiude con l’oppressione esercitata nel paese da parte delle truppe occupanti (6,14)44. Unione dei termini iniziali e dei termini finali L’unione dei termini iniziali (funerale / morte) e finali (deportazione – oppressione) è particolarmente pertinente per indicare la sanzione che si abbatte sul colpevole. Già nella sequenza A1 (gli oracoli contro le sei nazioni) questa coppia (morte – deportazione) serviva a esprimere la sanzione. Il fatto che nell’ultima sequenza (B7) gli elementi tematici si presentino con delle varianti sottolinea la funzione conclusiva di tale unità letteraria per l’intera sezione B. Termini centrali – «Diritto» e «giustizia» nelle sequenze estreme (B5: 5,24; B7: 6,12) si contrappongono a «violenza» nella sequenza centrale (B6: 6,3). – Una domanda retorica (che aspetta una risposta negativa) ricorre in ognuno dei passi centrali; la collocazione di queste domande merita di essere evidenziata: B5 (5,25) : alla fine del passo centrale B6 (6,2) : al centro del passo centrale B7 (6,12) : all’inizio del passo centrale.
Il fenomeno della domanda posta al centro di un’unità letteraria conferma una legge della retorica biblica45. Ma la domanda interessa anche per il suo significato in una dinamica giuridica. Al centro di un discorso che si presenta come definitivo (hôy è un’anticipazione del lamento funebre che risuonerà in tutto Israele), si trova, almeno per le prime due sequenze, un’apertura all’uditore 44
Come si è detto sopra, l’ultima sequenza dice la stessa cosa, ma con una variante significativa. 45 Cfr. R. MEYNET, L’analisi retorica, 226 e 243.
272
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
(«Casa d’Israele», in 5,25, «voi» in 6,2). Tutto ciò potrebbe essere accostato ai rîb profetici, dove non mancano le domande (fittizie) poste all’uditore46 (cfr., per esempio, Is 1,5.11; Ger 2,5.11.14.17-18; Mic 6,3.6-7; e anche Dt 32,6.30.34.37; Sal 50,13.16-17.21)47, come un invito a confessare il proprio peccato48. Nell’ultima sequenza la domanda non è più rivolta all’uditore; il tono si è fatto proverbiale ed esprime un’impossibilità (quella della conversione di Israele), causa ultima questa della sanzione definitiva e ineluttabile pronunciata dal Signore. Altro elemento strutturante L’espressione «Casa d’Israele» ricorre: . alla fine del passo centrale della quinta sequenza (5,25) . alla fine della prima parte della sesta sequenza (6,1) . nell’ultimo versetto della settima sequenza (6,14). Questa espressione definisce il destinatario dell’ultima sottosezione (B5–B6– B7); essa corrisponde a «Figli d’Israele», sintagma tipico della prima sottosezione (B1–B2–B3). Altre relazioni – Il rapporto con le nazioni: mentre una nazione straniera viene menzionata, come nemico futuro, alla fine di B5 («al di là di Damasco» in 5,27) e alla fine di B7 («suscito contro di voi... una nazione» in 6,14), la sequenza centrale (B6) nel suo centro (6,2) fa riferimento a diverse città straniere, che in passato hanno subito ciò che devono aspettarsi le città di Sion e di Samaria (6,2). – La prima sequenza della sottosezione (B5) è consacrata alla fiducia che Israele ripone nel culto; la seconda (B6) descrive la fiducia che i capi ripongono nella propria ricchezza; detto in altro modo, B5 ha di mira la perversione del culto, mentre B6 quella della giustizia. La terza (B7) sembra stigmatizzare la fiducia che il popolo ripone nella propria forza (6,13), cioè nell’esercito, a meno che l’espressione di 6,8, tradotta con «l’orgoglio di Giacobbe», non designi il tempio, in opposizione complementare a «palazzi» di 6,8; l’ultima sequenza fungerebbe allora da conclusione riassuntiva delle due sequenze precedenti.
46 Sono domande di vario tipo: esse possono equivalere all’accusa stessa, ma possono anche essere un invito a discolparsi o a fornire una qualche spiegazione del proprio comportamento. 47 Si tratta di alcuni testi di rîb presentati da J. HARVEY, Le plaidoyer prophétique. 48 Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 63-67.
La sezione B: 3,1–6,14
273
INTERPRETAZIONE LA CASA (DI ISRAELE) In questa sottosezione (5,18–6,14) il profeta ha scelto l’espressione «Casa d’Israele» per qualificare i destinatari dei suoi oracoli (5,25; 6,1.14); questo sintagma sembra designare l’intera popolazione del regno di Samaria49. La parola «casa», ripresa anche in 5,19 e 6,11 per indicare un edificio (in 6,8 si parla dei «palazzi») offre una prima pista per l’interpretazione d’insieme di questa unità letteraria. La casa è anzitutto un luogo di protezione: entrati in casa, ci si sente difesi dai muri contro la minaccia esterna (5,19), specialmente se si abita in un «palazzo» (6,8), costruito con «pietre squadrate» (cfr 5,11). Ora, Amos dice che proprio là dove ci si sente al sicuro il serpente morde (5,19); a provocare la catastrofe è proprio il crollo degli edifici, grandi e piccoli (6,11), forse in seguito a un terremoto. E ciò vale sia se si è cercato scampo nella «casa di Dio» (5,19.21), sia se si è contato sulla solidità dei «palazzi» di Samaria (6,8): ciò in cui si confida, invece di proteggere, consegna alla morte (6,8). La casa, inoltre, designa la famiglia, riunita intorno alla stessa mensa, che, nell’atto del mangiare e del bere insieme, significa la vita donata e condivisa. Il banchetto descritto da Amos (6,4-6) esprime la celebrazione della vita. Ma questa scena contrasta vistosamente con il quadro immediatamente successivo, nel quale, invece di una festa conviviale, si ha un funerale (5,9-10): il «parente» è qui assimilato al becchino, che svuota la casa delle ossa (dei morti). La famiglia si è rivelata così non come l’ambito dove si comunica la vita, ma come il luogo dove un frutto velenoso ha dato la morte (6,12). Infine, casa può designare anche una dinastia e connotare così la stabilità istituzionale e il prestigio di una famiglia regnante. La «Casa d’Israele» ha esteso il suo territorio (6,2), sottomettendo con la forza altre città (6,13); evidentemente tutto ciò è merito e vanto dei governanti che traggono dalle proprie conquiste garanzie per un futuro («un giorno», direbbe Amos: 6,3) favorevole. Ma il profeta contrappone alle speranze dei sovrani di Israele la prospettiva dell’esilio (5,27; 6,7) e della sottomissione a una potenza straniera (6,14): il loro primato sarà quello di essere i primi a subire la sventura (6,7). I SENTIMENTI DEGLI ISRAELITI E IL SENTIMENTO DI DIO In collegamento più o meno esplicito con la tematica appena sviluppata, la sottosezione descrive non solo gli atti, ma anche i sentimenti provati dai protagonisti del dramma: gli Israeliti, da una parte, Dio dall’altra. 49
La menzione di Sion, accanto a Samaria (6,1), rende problematica, nel testo attuale, l’identificazione del destinatario: rispetto alla prima sottosezione (capitoli 3–4), più chiaramente rivolta agli abitanti di Samaria, questa sottosezione è meno ricca di riferimenti precisi (mancano per esempio i nomi dei santuari) e perciò più facilmente applicabile a diversi uditori e a diverse situazioni storiche.
274
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Ciò che occupa il cuore della gente di Samaria è espresso all’inizio di ognuna delle tre sequenze. Anzitutto c’è un’«aspirazione» generale, un comune desiderio di salvezza (di «luce»), che si esprime nell’attesa del «giorno del Signore» (5,18.20), una specie di fuga (5,19) della mente verso un’oasi di sicurezza; la festa religiosa, con la folla radunata (tutta la «Casa d’Israele» partecipa infatti al pellegrinaggio), con i suoi solenni riti sacrificali e la sua gioia espressa nella musica e nei canti (5,21-24), è come una casa in cui ci si rifugia (5,19), dicendo: «Siamo salvi!» (cfr. Ger 7,10). Sembra quasi che Amos descriva i sentimenti dell’orante, che si reca al santuario dell’alleanza, recitando: «Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia languisce e si strugge per gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente» (Sal 84,2-3); oppure: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 42,3). Cambiamo scena — cambiamo sequenza — e portiamoci sulla montagna di Samaria, o, se si vuole, sulla collina di Sion: qui domina un sentimento di tranquillità, di serena fiducia (6,1). Il motivo di tale interiore sicurezza sembra derivare dalle tradizioni religiose che fanno di Israele il primogenito di Dio, il popolo privilegiato, la «primizia delle nazioni»; le montagne, su cui sono costruite le capitali, le mura e i palazzi fortificati, esprimono visivamente quel senso di forza e di protezione, che ha come fondamento (invisibile) l’aiuto del Dio di Giacobbe. Prendendo lo spunto da qualche salmo, si potrebbe pensare che «andando» verso (6,1) le montagne di Samaria (o di Sion) — un movimento che è come un pellegrinaggio, in parte religioso, in parte giuridico o politico — la «casa di Samaria» pensi nel suo cuore: «Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra... il Signore degli eserciti è con noi, nostro rifugio è il Dio di Giacobbe» (Sal 46,2-3.8.12)50. Mangiare e bere allegramente, accompagnando come Davide il canto sugli strumenti musicali (6,4-6), è la conseguenza di un cuore rassicurato, senza preoccupazioni: non è forse beato chi si rifugia nel Signore, nel luogo da Lui scelto? Un ultimo sentimento: «l’orgoglio di Giacobbe» (6,8). Da quanto detto, la Casa d’Israele aveva molte ragioni per essere fiera: la scelta privilegiata, operata dal Signore, aveva fatto scaturire, infatti, prosperità e sicurezza. Da un lato il santuario, dall’altro i palazzi di Samaria; in un felice connubio l’aspetto religioso e quello politico producono come frutto ultimo anche la vittoria militare (6,13) e l’espansione territoriale (5,2). Forse Amos ha udito cantare a Betel: «Perché terribile è il Signore, l’Altissimo, re grande su tutta la terra. Egli ci ha assoggettati i popoli, ha messo le nazioni sotto i nostri piedi. La nostra eredità ha scelto per noi, orgoglio di Giacobbe suo prediletto» (Sal 47,3-5). Orbene, dice Amos, il Signore non ama l’orgoglio di Giacobbe, il Signore lo «odia» (6,8). Il sentimento dell’odio, in Dio, contrasta vistosamente con l’atmosfera di serenità e di gioia vissuta dalla Casa d’Israele; e questo divario 50
Cfr. anche Sal 68,16-17; oppure 48,2-4; 125,1-2; ecc.
La sezione B: 3,1–6,14
275
appare persino crudele se si pensa che gli Israeliti venivano a celebrare proprio ciò che Dio non può sopportare51. «Odio, rigetto le vostre feste» (5,21): il Signore prova come un senso di nausea all’odore delle vittime sacrificate, un senso di fastidio per «il frastuono» dei canti e della musica (5,21-23). «Detesto l’orgoglio di Giacobbe, odio i suoi palazzi» (6,8): è una dichiarazione giurata (6,8) di condanna da parte del Signore, il Dio degli eserciti, quasi un’anti-promessa, il rovesciamento del giuramento di alleanza, in cui Israele poneva intera fiducia. Guai a chi spera (5,18), guai a chi ha fiducia (6,1); e si potrebbe aggiungere: guai a chi è sazio, guai a chi ride (6,4-6), guai a chi, per conquistare il mondo, ha perso la sua anima (6,13-14). GIUSTIZIA E VIOLENZA Il motivo dell’impressionante contrasto tra i sentimenti degli Israeliti e il sentimento di Dio è dichiarato al centro di ognuna delle tre sequenze che compongono la sottosezione (5,24; 6,3; 6,12); la «Casa d’Israele» ha instaurato l’impero della violenza, invece di far progredire il regno del diritto e della giustizia. Il profeta denuncia quindi la violenza di una liturgia non aperta al dono della vita (5,24), la violenza di un benessere che disprezza la sofferenza della gente (6,6), la violenza della guerra (6,13), intrapresa dalla classe dominante per compiacersi della propria forza. Si tratta di una violenza sottile, esercitata nel canto e nella musica, intessuta di valori sacrali, così da trasformare l’ingiustizia in cibo desiderabile e rendere invece amaro e ripugnante l’atto di giustizia (6,12). L’esilio (5,27 e 6,7) e la morte (6,9) faranno capire a Israele la menzogna con cui ha occultato la sua ingiustizia?
51
La contrapposizione dei sentimenti sembra confermata anche dal gioco di parole tra l’inizio della sequenza B5: «Coloro che attendono [hammit’awwîm] il giorno del Signore» (5,18) e l’inizio della sequenza B7: «Detesto [metā’ēb] l’orgoglio di Giacobbe» (6,8).
276
13. Israele dovrà passare attraverso la morte III. L’INSIEME DELLA SEZIONE
COMPOSIZIONE Le due sottosezioni sopra analizzate sono simmetriche e si corrispondono specularmente: ALLA VERGINE D’ISRAELE
AI FIGLI D’ISRAELE
ALLA CASA D’ISRAELE
LAMENTO
B4 FUNEBRE
moltiplicazione
perversione
B3
B5
del culto
del culto
moltiplicazione
perversione
B2
B6
delle ricchezze
delle ricchezze
B1
B7
trappola
veleno
Riprendendo sinteticamente i titoli attribuiti a ogni sequenza (cfr. lo schema di p. 120), questo quadro mette in evidenza le relazioni principali: – tra le sequenze del primo versante (B1–3: rivolte ai «Figli d’Israele») e quelle del secondo versante (B5–7: rivolte a «la Casa d’Israele»), mentre la sequenza centrale (B4) si rivolge alla «Vergine d’Israele»; – tra le sequenze B2 e B3 (la moltiplicazione) e tra le sequenze B5 e B6 (la perversione); – tra le sequenze B3 e B5 (il culto) e tra le sequenze B2 e B6 (le ricchezze); – tra le sequenze estreme (B1 e B7: minaccia). La sequenza centrale (B4) ha una fisionomia specifica e svolge la funzione di chiave di volta tra le due sottosezioni che la racchiudono. RAPPORTI TRA LE DUE SOTTOSEZIONI ESTREME RELAZIONI TRA LE SEQUENZE B3 E B5 Tra queste due sequenze i rapporti sono molto accentuati; esse hanno la medesima tematica, ossia la denuncia della perversità del culto.
La sezione B: 3,1–6,14
277
SEQUENZA B3 (4,4-13) 4
VENITE A BETEL e ribellatevi! A Galgala moltiplicate le ribellioni! Fate venire ogni mattina i vostri sacrifici e al terzo giorno le vostre decime. 5 Bruciate pane fermentato in azione di grazie e fate-UDIRE le vostre offerte spontanee, poiché così voi amate, FIGLI D’ISRAELE, oracolo del Signore Dio. 6 Eppure vi ho lasciato a denti asciutti in tutte le vostre città e con mancanza di pane in tutti i vostri villaggi: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 7 Eppure vi ho rifiutato la pioggia tre mesi prima della mietitura; facevo piovere sopra una città e non sopra l’altra; un campo era bagnato di pioggia, mentre l’altro, su cui non pioveva, seccava; 8 due, tre città si muovevano titubanti verso un’altra città per bervi ACQUA, senza potersi dissetare: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 9 Vi ho colpiti con ruggine e carbonchio la moltitudine dei vostri giardini e le vigne; i fichi, gli oliveti li ha divorati la cavalletta: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 10 Ho mandato contro di voi la peste, come contro l’Egitto; ho ucciso di spada i vostri giovani, mentre i vostri cavalli diventavano preda; ho fatto salire il fetore dei vostri campi fino alle vostre narici: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 11 Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra; eravate come un tizzone strappato da un incendio: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 12
Perciò ti farò così, Israele! Poiché questo devo fare di te, preparati all’incontro con il tuo Dio, o Israele! 13 Ecco colui che forma i monti e crea il vento, che manifesta all’uomo qual è il suo pensiero, che fa con l’alba le tenebre e cammina sulle alture della terra, SIGNORE, DIO DEGLI ESERCITI È IL SUO NOME.
SEQUENZA B5 (5,18-27) 18
Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebra e non luce. 19 Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; e VA IN 20 CASA, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. Certo sarà tenebra e non luce il giorno del Signore, e oscurità senza splendore alcuno. 21
Io odio, respingo le vostre feste e NON posso-sentire le vostre riunioni; 22 anche se voi mi fate-salire olocausti, io NON gradisco i vostri doni e l’oblazione delle vostre bestie grasse io NON la guardo. 23 Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: la musica delle tue arpe NON posso udirlo! 24 Piuttosto scorra come ACQUA il diritto e la giustizia come un torrente perenne. 25 Mi avete forse presentato sacrifici e offerta nel deserto per quarant’anni, CASA D’ISRAELE? 26
Voi porterete via Sikkut vostro re e Kiyyun vostre immagini, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti. 27 E io vi deporterò al di là di Damasco, dice il Signore, IL DIO DEGLI ESERCITI È IL SUO NOME.
Termini iniziali Il verbo «venire» (bw’), all’inizio di B3 (4,4), ricorre anche al centro del primo passo di B5 (5,19). Questo rapporto è particolarmente significativo, perché nei due casi si fa allusione al pellegrinaggio al santuario: «Betel» (= «casa di Dio») in 4,4 e «casa» in 5,19. — La parola «giorno» («terzo giorno»: 4,4; «giorno del Signore»: 5,18.20) sembra pertinente nella misura in cui evoca la festa religiosa.
278
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Termini finali La coppia «YHWH» + «il Dio degli eserciti», con riferimento esplicito a «il suo nome», ricorre solo in queste due sequenze e ne segnala la fine (4,13 e 5,27)52. — Gli ultimi passi di ogni sequenza hanno altri punti in comune: . alla fine della terza sequenza il Signore si presenta come il Dio di Israele («il tuo Dio, Israele»: 4,12), mentre alla fine della quinta sequenza al popolo eletto si attribuiscono altre divinità («i vostri dei»: 5,26); . il verbo «fare» alla fine della quinta sequenza è usato per denunciare l’idolatria dei Figli d’Israele (5,26); alla fine della terza sequenza (4,12-13) con altri due sinonimi («plasmare» e «creare») definisce l’azione creatrice. Termini estremi Si può ravvisare un rapporto tra «Galgala» (4,4) e «deportazione» (5,27) a causa del gioco di parole esplicitato da Am 5,5 («Galgala sarà deportato») 53. Termini centrali I passi centrali delle due sequenze hanno diversi punti in comune: — in 4,10 Dio «fa salire» la puzza alle loro narici; in 5,21 essi «fanno salire (presentano)» i loro olocausti (che Dio disprezza); — in 4,8 Israele cerca «acqua» da bere; in 5,24 Dio richiede che il diritto scorra come «l’acqua»; — al ritornello negativo del passo centrale di B3 («e non siete tornati da me») corrisponde la ripetizione del rifiuto divino nel passo centrale di B5: «non posso sentire» (5,21), «non gradisco» (5,22), «non guardo» (5,22), «non ascolto» (5,23). Termini medi Tanto alla fine della terza sequenza che all’inizio della quinta si parla della manifestazione di Dio (4,12: «preparati a incontrare il tuo Dio, Israele»; 5,18s: «guai a coloro che aspirano al giorno del Signore»). — In entrambi i casi Dio è presentato come colui che provoca l’oscurità invece della luce (4,13 e 5,18.20). Dalle estremità al centro Il culto è il tema dominante delle due sequenze: — il motivo delle azioni liturgiche, rifiutate dal Signore, ricorre nel primo passo della terza sequenza (4,4-5) e nel passo centrale della quinta sequenza (5,21-25); — «feste» e «assemblee» all’inizio del passo centrale di B5 (5,21) ricordano «Venite a Cfr. J.L. CRENSHAW, «wmv twabc hwhy», che fornisce i seguenti dati: – yhwh ṣeba‘ôt šemô: 12 volte: Is 47,4; 48,2; 51,15; 54,5; Ger 10,16; 31,35; 32,18; 46,18; 48,15; 50,34; 51,19.57 (mai in Amos). – yhwh ’ĕlōhê ṣeba‘ôt šemô: 2 volte: Am 4,13; 5,27. – yhwh šemô: 4 volte: Am 5,88; 9,6; Es 15,3; Ger 33,2. 53 Cfr. p. 181. 52
La sezione B: 3,1–6,14
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Betel» dell’inizio di B3 (4,4); — l’elenco degli atti cultuali del primo passo di B3 inizia con il vocabolo generico «sacrifici» (4,4), mentre l’elenco del passo centrale di B5 (21-22) è sintetizzato alla fine dalla stessa parola (5,25; accompagnata da «offerta»); — «Figli d’Israele» alla fine del primo passo di B3 (4,5) corrisponde a «Casa d’Israele» alla fine del passo centrale di B5 (5,25); — il primo passo di B3 termina con un verbo, il cui antonimo segna l’inizio del passo centrale di B6: «voi amate» in 4,5 e «io odio» in 5,21; — gli Israeliti «fanno udire» le loro celebrazioni (4,5) e Dio non vuole «ascoltare» (5,23). SEQUENZA B3 (4,4-13) 4
VENITE A BETEL e ribellatevi! A Galgala moltiplicate le ribellioni! Fate venire ogni mattina i vostri sacrifici e al terzo giorno le vostre decime. 5 Bruciate pane fermentato in azione di grazie e fate-UDIRE le vostre offerte spontanee, poiché così voi amate, FIGLI D’ISRAELE, oracolo del Signore Dio. 6
Eppure vi ho lasciato a denti asciutti in tutte le vostre città e con mancanza di pane in tutti i vostri villaggi: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 7 Eppure vi ho rifiutato la pioggia tre mesi prima della mietitura; facevo piovere sopra una città e non sopra l’altra; un campo era bagnato di pioggia, mentre l’altro, su cui non pioveva, seccava; 8 due, tre città si muovevano titubanti verso un’altra città per bervi ACQUA, senza potersi dissetare: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 9 Vi ho colpiti con ruggine e carbonchio la moltitudine dei vostri giardini e le vigne; i fichi, gli oliveti li ha divorati la cavalletta: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 10 Ho mandato contro di voi la peste, come contro l’Egitto; ho ucciso di spada i vostri giovani, mentre i vostri cavalli diventavano preda; ho fatto salire il fetore dei vostri campi fino alle vostre narici: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 11 Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra; eravate come un tizzone strappato da un incendio: e NON siete ritornati a me, oracolo del Signore. 12
Perciò ti farò così, Israele! Poiché questo devo fare di te, preparati all’incontro con il tuo Dio, o Israele! 13 Ecco colui che forma i monti e crea il vento, che manifesta all’uomo qual è il suo pensiero, che fa con l’alba le tenebre e cammina sulle alture della terra, SIGNORE, DIO DEGLI ESERCITI È IL SUO NOME.
SEQUENZA B5 (5,18-27) 18
Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebra e non luce. 19 Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; e VA IN 20 CASA, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. Certo sarà tenebra e non luce il giorno del Signore, e oscurità senza splendore alcuno. 21
Io odio, respingo le vostre feste e NON posso-sentire le vostre riunioni; 22 anche se voi mi fate-salire olocausti, io NON gradisco i vostri doni e l’oblazione delle vostre bestie grasse io NON la guardo. 23 Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: la musica delle tue arpe NON posso udirlo! 24 Piuttosto scorra come ACQUA il diritto e la giustizia come un torrente perenne. 25 Mi avete forse presentato sacrifici e offerta nel deserto per quarant’anni, CASA D’ISRAELE? 26
Voi porterete via Sikkut vostro re e Kiyyun vostre immagini, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti. 27 E io vi deporterò al di là di Damasco, dice il Signore, IL DIO DEGLI ESERCITI È IL SUO NOME.
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
RELAZIONI TRA LE SEQUENZE B2 E B6 I rapporti tra queste due sequenze sono molto accentuati dal punto di vista retorico. Le due sequenze si corrispondono anche per il contenuto: in esse è massimamente sviluppata la polemica contro la violenza della ricchezza quale manifestazione dell’ingiustizia. Infatti nella sequenza B2 si parla di «palazzi» e di «tesori» («tesaurizzare»: 3,10), di «case d’inverno e d’estate», di «case d’avorio», di «case importanti» (3,15) e del «bere» celebrativo delle «vacche» con i loro signori (4,1); in B6 si parla della «primizia delle nazioni» (6,1), di un «grande territorio» (6,2) e della raffinatezza dei banchetti (6,4-6). Questa ricchezza va di pari passo con «l’oppressione» e la «violenza» (3,9-10; 6,3). Termini iniziali Le due sequenze iniziano con «la/e montagna/e di Samaria» (3,9 e 6,1) 54. Questo sintagma, che ricorre anche all’inizio dell’ultima parte di B3 (4,1), non è ripreso altrove nella seconda sezione, e neppure nel resto del libro. La montagna di Samaria è un luogo che si visita: in B2 sono i governanti di Asdod e d’Egitto che vengono ad ammirarne le ricchezze; in B6 è la Casa d’Israele che vi si reca per cercare tranquillità o per beneficiare di qualche provvedimento di giustizia. Termini finali Entrambe le sequenze terminano con l’annuncio della deportazione (4,3 e 6,7). Si può forse aggiungere che «i primi tra i deportati» (lett.: «alla testa dei deportati» in 6,7) corrisponde a «una davanti all’altra» (4,3). — La menzione del «bere» (4,1 e 6,6) compare al centro dei due passi finali: essa è particolarmente pertinente, perché indica che si celebra la propria forza (4,1) e la propria sicurezza (6,1) e al tempo stesso l’ingiustizia. Termini estremi Si notino le riprese lessicali di «letto» e «divano» (3,12 e 6,4; uniche occorrenze in Amos), in posizione strategica (alla fine del primo passo in B2, all’inizio dell’ultimo passo in B6). — Si può intravedere un rapporto tematico anche tra «non conoscono la rettitudine nel fare» (3,10) e «non soffrono per la rovina di Giuseppe» (6,6).
54
Il riferimento alla «montagna di Samaria» è presente anche in 4,1 (termine iniziale dell’ultimo passo di B2); poiché il sintagma non ricorre altrove, vi si può vedere un tratto caratteristico di queste due sequenze. «Montagne» (al plurale) ricorre in 4,13, dove ha una funzione strutturante (cfr. p. 254, i rapporti tra B2 e B3) e in 9,13. Samaria è nominata ancora nella sequenza B2 (3,12), e da ultimo alla fine di C3 (8,14).
La sezione B: 3,1–6,14
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SEQUENZA B2 (3,9–4,3) 9
Fatelo udire nei palazzi di Asdod e nei palazzi del paese d’Egitto e dite: adunatevi sui MONTI DI SAMARIA e vedete i numerosi disordini in essa e le violenze nel suo interno: 10 non sanno agire con rettitudine, oracolo del Signore, VIOLENZA e rapina accumulano nei loro palazzi. 11 Perciò così dice il Signore Dio: il nemico circonderà il paese, sarà abbattuta la tua potenza e i tuoi palazzi saranno saccheggiati. 12 Così dice il Signore: come il pastore strappa dalla bocca del leone due zampe o il lobo d’un orecchio, così saranno strappati gli Israeliti che abitano a Samaria su un cantuccio di letto e una coperta di divano. 13
Udite e attestatelo contro LA CASA DI GIACOBBE, oracolo del Signore Dio, Dio degli eserciti: perché nel giorno del mio intervento a causa dei crimini d’Israele, interverrò contro gli altari di Betel; saranno spezzati i corni dell’altare e cadranno a terra. 15 Colpirò la casa d’inverno insieme con la casa d’estate e andranno in rovina le case d’AVORIO e scomparirà la moltitudine delle case. Oracolo del Signore. 14
4,1 Udite questa parola, o vacche di Basan, che siete sul MONTE DI SAMARIA, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: Fate venire, beviamo! 2 Il Signore Dio ha giurato per la sua santità: ecco, verranno per voi giorni, in cui sarete prese con ami e le rimanenti con arpioni da pesca. 3 Uscirete per le brecce, una dopo l’altra, e sarete cacciate oltre l’Ermon, oracolo del Signore.
SEQUENZA B6 (6,1-7) 1
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sul designati come la primizia delle nazioni, ai quali va LA CASA D’ISRAELE!
MONTE DI
SAMARIA,
2 Passate a Calne e vedete, andate di lì ad Camat la grande e scendete a Gat dei Filistei. Siete voi forse migliori di quei regni? O il loro territorio è più grande del vostro? 3 Voi che respingete il giorno di male, avvicinate l’impero della VIOLENZA. 4
Stesi su letti d’AVORIO e sdraiati sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. 5 Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali; 6 bevono il vino in larghe coppe e si ungono con la primizia degli unguenti, ma non soffrono per la rovina di Giuseppe. 7 Perciò ora saranno deportati i primi fra i deportati e così partirà la festa degli sdraiati.
Termini centrali A «il giorno in cui punirò» (3,14) corrisponde il «giorno di male» (6,3) che gli abitanti di Samaria cercano di allontanare55. Dalle estremità al centro e dal centro alle estremità All’inizio di B2 (3,9) le nazioni straniere sono invitate (con una serie di imperativi) a recarsi presso Israele (per constatarne il peccato), mentre al centro di B6 (6,2) si invita Israele (con una serie di imperativi) a visitare tre città straniere (per verificare il castigo che hanno subito). Si noti la menzione di due città filistee, «Asdod» (3,9) e «Gat» (6,2), nonché la ripresa del verbo «vedere». 55
La parola «giorno», al plurale, ricorre anche in 4,2, sempre con una connotazione negativa («contro di voi»).
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
— Il termine «violenza» appare in 3,10 e in 6,3: sono le uniche due occorrenze di questa parola in Amos56. — L’aggettivo rab ricorre all’inizio (3,9: «numerosi disordini») e al centro (3,15: «case importanti») di B2; è ripreso due volte al centro di B6 (6,2: «Camat la grande»; «il loro territorio è più grande...»). Viene così espressa la valenza di grandezza, importanza, superiorità che ben si accorda con 6,1, dove si dice che Israele è come «la primizia delle nazioni». — A «la casa di Giacobbe» di 3,13 corrisponde la «Casa d’Israele» di 6,1. — «Case d’avorio» (3,15) e «letti d’avorio» (6,4) si richiamano come due manifestazioni del lusso. — Il verbo yrd («scendere») è presente, nella sezione, solo nelle sequenze B2 e B6 (altrove solo in 9,2): alla forma causativa in 3,11 («farà scendere»... collegato a «la tua forza»), e alla forma normale in 6,2 («scendere»... collegato a qualcosa di grande). PARTICOLARITÀ DELLE SEQUENZE ESTREME (B1 E B7) I rapporti tra queste due sequenze non sono molto marcati, né da indizi retorici, né dall’omogeneità del contenuto. Il fenomeno può essere spiegato retoricamente. La sequenza B1 ha un evidente carattere introduttivo; perciò, a parte un preciso fenomeno di inclusione (di cui si parlerà in seguito sotto il titolo di «termini estremi»), non esistono relazioni significative tra le due sequenze. Di fatto la sequenza B7 dal punto di vista del vocabolario e del contenuto (data la sua stretta parentela con la sequenza B6) è particolarmente collegata alla sequenza B2. Si può avanzare l’ipotesi che le sequenze B6 e B7 esemplifichino il fenomeno classico della compensazione57. Ciò potrebbe essere visualizzato da questo quadro un po’ schematico: Ascoltate, (B1) sfruttatori (B2) devoti: (B3) vivrete cercando il bene; altrimenti moriranno
(B4)
quelli che pregano (B5) tranquilli (B6) e fieri (B7). 56
Dal punto di vista tematico la parola «violenza» è collegata a «oppressione» (3,9 e 4,1) e forse a «disastro» (6,6); questa terminologia si trova solo in queste due sequenze. 57 La compensazione, vista al livello dell’unità letteraria minima, può essere così spiegata: quando in un segmento bimembro un termine del primo membro non è ripreso nel secondo membro, spesso è compensato da un altro termine che non ha corrispondenze nel primo membro: per esempio, «Lodate IL SIGNORE nel santuario, L’ALTISSIMO nell’assemblea dei santi» (il verbo «lodate» non è ripreso nel secondo membro, ma la sua assenza è compensata dai due termini «l’assemblea dei santi», che corrispondono all’unico termine «nel santuario» del primo membro).
La sezione B: 3,1–6,14
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SEQUENZA B1 (3,1-8) 1
Udite questa parola che il Signore ha detto contro di voi, figli d’Israele, contro TUTTA LA che HO FATTO SALIRE dalla terra di Egitto dicendo: 2 “Solo voi ho conosciuto fra tutte le stirpi del suolo. Perciò io punirò contro di voi tutte le vostre colpe”. STIRPE 3
Camminano forse due uomini insieme senza essersi messi d’accordo? 4
Ruggisce forse il leone nella foresta se non ha qualche preda? Il leoncello manda un grido dalla sua tana se non ha preso nulla? 5 Cade forse l’uccello sulla rete a terra senza che ci sia un’esca per lui? Scatta forse la tagliola dal suolo se non ha preso qualcosa? 6 Risuona forse la tromba nella città, senza che il popolo tremi? Avviene forse nella città una sventura, senza che il Signore l’abbia fatta? 7 In verità, il Signore Dio non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servitori, i profeti. 8
Ruggisce il leone. Chi mai non teme? Il Signore Dio ha parlato. Chi può non profetare?
SEQUENZA B7 (6,8-14) 8
Ha giurato il Signore Dio, per se stesso! Oracolo del Signore, Dio degli eserciti. Detesto l’orgoglio di Giacobbe, odio i suoi palazzi, consegnerò la città e quanto contiene. 9 Se sopravviveranno in una sola casa dieci uomini, anch’essi moriranno. 10 Lo prenderà il suo parente e chi prepara il rogo, portando via le ossa dalla casa; egli dirà a chi è in fondo alla casa: “Ce n’è ancora con te?”. L’altro risponderà: “No”. Quegli dirà: “Zitto!: non si deve dire nulla, per il nome del Signore.” 11 Poiché ecco: il Signore comanda e colpirà la casa grande in frantumi e quella piccola a pezzi. 12
Corrono forse i cavalli sulle rocce? O vi si ara con i buoi? Sì, avete cambiato il diritto in veleno e il frutto della giustizia in assenzio. 13
Essi si rallegrano per Lo-Dabar dicendo: “Non è per la nostra forza che abbiamo preso Karnaim?”. 14 Poiché ecco io FACCIO-ALZARE contro di voi, casa d’Israele, — oracolo del Signore, Dio degli eserciti — una nazione che vi opprimerà DALL’INGRESSO DI CAMAT FINO AL TORRENTE DELL’ARABA.
Termini estremi All’inizio della prima sequenza il Signore afferma che interverrà «contro» la famiglia dei «Figli d’Israele» che ha «fatto salire» dalla terra d’Egitto (3,1), perché sono stati scelti fra «tutte le famiglie» del mondo; alla fine dell’ultima sequenza Dio afferma che «suscita contro» (alla lettera: «fa alzare») la «Casa d’Israele» «una nazione» straniera (6,14)58. Il castigo imminente viene quindi presentato come un anti-esodo59.
58 Si noti l’insistenza sull’idea di totalità: a «tutta la famiglia...» di 3,1 corrisponde «dal varco di Camat fino al torrente dell’Araba» di 6,14. 59 Questo potrebbe venire confermato dall’uso del verbo «opprimere» che, in altri testi, allude esplicitamente alla schiavitù in Egitto (cfr. p. 247, nota 19).
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Le domande al centro Al centro delle due sequenze si trovano delle domande il cui significato non è immediatamente trasparente. In entrambi i casi abbiamo a che fare con degli animali (leone, uccello; cavalli e buoi). Forse si può scorgere una relazione d’opposizione tra i due tipi di domande: nella prima sequenza (B1) (3,4-6) si elenca una serie di cose omogenee tra loro (3,3), che alludono al castigo di Israele; il centro dell’ultima sequenza (B7) inizia con una doppia domanda, che introduce un’affermazione in cui vengono presentate, prima sotto forma di immagine (6,12ab), poi in modo diretto (6,12cd), delle cose fra loro assolutamente eterogenee, che fanno riferimento al peccato di Israele. Dal centro alle estremità – La parte centrale della prima sequenza termina con l’intervento divino contro «la città» (3,6), mentre la parte iniziale dell’ultima sequenza annuncia che il Signore consegnerà «la città» (6,8). – In B1 «il Signore Dio» parla e la sua parola (diventata parola profetica) è come il ruggito di un leone che avverte del pericolo (3,7-8); nell’ultima sequenza, al contrario, «il Signore Dio» non avverte più, ma pronuncia un giuramento che equivale a una sentenza irrevocabile (Dio giura per se stesso: 6,8) e che produce il silenzio (6,10). – Si può forse anche ravvisare un rapporto, fondato su un vocabolario sinonimico, tra ciò che «prende» il leone o ciò che è «preso» nella rete (3,4-5: lkd) e ciò che gli Israeliti hanno «preso» con la propria forza (6,13: lqḥ); si avrebbe così un gioco ironico tra la fierezza conquistatrice degli abitanti di Samaria che si rivela insensata, perché, in realtà, equivale a cadere in una trappola. Termini iniziali Probabilmente sussiste un rapporto di opposizione tra «solo voi ho conosciuto» (3,1), segno di elezione, e «ho ripugnanza... odio» (6,8), segno di rottura della relazione.
La sezione B: 3,1–6,14
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SPECIFICITÀ DELLA SEQUENZA CENTRALE (B4) LUNGHEZZA La sequenza centrale è più lunga delle altre; il computo seguente tiene conto del numero dei membri60: B1 28
B2 43
B3 50
B4 61
B5 29
B6 25
B7 28
TEMI E VOCABOLARIO PROPRI DELLA SEQUENZA CENTRALE Il comando di cercare la vita La serie dei termini che indicano la ricerca della vita è specifica di questa sequenza: «cercare» (5,4.5.6.14), «vivere» (5,4.6.14), «avere pietà» (5,15)61. Questa serie va collegata con la forma verbale dell’imperativo (caratteristica dei due passi simmetrici 5,4-6 e 5,14-15), che solo in questa sequenza ha un’esplicita finalità positiva, quella di ottenere la vita, il che equivale a evitare il fuoco inestinguibile (5,6) e a essere graziati (5,15). L’imperativo contraddistingue invero anche la prima sottosezione, sotto forma di un invito ad ascoltare e a fare ascoltare62; tuttavia esso non è direttamente articolato ad una prospettiva di salvezza, ma appare piuttosto come la comunicazione pubblica di una sentenza63. Nell’ultima sottosezione poi (sequenza B5: 5,23-24) abbiamo un imperativo molto simile a quello della sequenza centrale: infatti Dio domanda di non intraprendere la strada del culto (5,23; simile a 5,4-6); e chiede invece di praticare la giustizia (5,24; simile a 5,14-15). Tuttavia nella sequenza B5 non viene esplicitata nessuna apertura ad un’eventuale salvezza.
60 La differenza risulta anche se, adottando un computo meno preciso, si ricorre al numero dei versetti: B1 B2 B3 B4 B5 B6 B7 8 10 10 17 10 7 7
Si noti che l’ultima sottosezione (B5–B7) è più breve della prima (B1–B3): 24 versetti contro 28 (82 membri contro 121). 61 A questa serie si può forse aggiungere la radice š’r (restare, resto): 5,3 e 5,15. Il tema del «resto» (con diversa terminologia) è presente anche in altri sequenze (cfr. p. 303), ma la radice š’r, per quanto riguarda la sezione, ricorre solo qui, e solo qui, in tutto il libro di Amos, è riferita a Israele (in 1,8 si tratta del resto dei Filistei, in 9,12 del resto di Edom). 62 Esso segna l’inizio di ogni sequenza e domina nella sequenza (centrale) B2. 63 Anche nella sezione C l’imperativo di ascoltare riappare (all’inizio della sequenza centrale C3: 8,4); come si vedrà, quest’ultima sezione è la presentazione «visiva» del giudizio divino su Israele, ma questo giudizio non ha lo scopo di indicare un cammino di salvezza.
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
La giustizia in tribunale Specifici della sequenza B4 sono i numerosi termini che indicano l’azione processuale che ha luogo nel tribunale: – solo in B4: «porta» (5,10.12.15), «il censore» (5,10), «(chi parla) con integrità» (5,10), «aborrire» (5,10)64, «opprimere» (5,12), «compenso» (5,12); lo stesso vale per «buttare» (5,7), «calpestare» (5,11: hapax), «prudente» (5,13), «tacere» (5,13), «promuovere» (5,15); – altrove in Amos, ma non nella sezione B: «l’innocente» (5,12; anche in 2,6), «sviare» (5,12; stesso verbo anche in 2,7.8)65. Questo tema è particolarmente importante in B4: si tratta infatti del crimine di ingiustizia specificatamente denunciato in questa unità letteraria (nella prima sottosezione l’ingiustizia consisteva nello sfruttamento economico dei poveri; nell’ultima sottosezione Amos denuncia invece il lusso sconsiderato e l’orgoglio incosciente). Questo reato è particolarmente grave: da una parte perché viene compiuto proprio nella sede della «giustizia», dall’altra perché il verdetto giudiziario ha come risultato di fare tacere ogni voce critica, anche quella del profeta. Il «fare la giustizia», sotto forma di «promuovere la giustizia alla porta», è l’imperativo di cui si parlava sopra. È l’atto che esprime la scelta tra bene e male, tra amore e odio (5,14-15). È qui che avviene la «decisione», il verdetto che muta il giudizio divino sulla storia di Israele, lasciando spazio alla grazia (5,15). Il lamento Tipica di questa sequenza è anche la serie di termini che si ricollegano al lamento funebre: «lamentazione» (5,1), «gemito» (5,16-17), «lutto» (5,16), «nenia» (5,16), nonché l’espressione «Ahi! Ahi!» (5,16)66. Questo vocabolario e questo tema si contrappongono al linguaggio celebrativo67 usato per descrivere i gaudenti (specialmente in B6: 6,4-6), ma anche per designare le cerimonie cultuali (per esempio in B3: 4,4-5 e in B5: 5,21-22). 64 I termini elencati sopra non hanno un esclusivo valore forense; tuttavia il contesto in cui si trovano li rende atti a significare un qualche atto o momento procedurale; per t‘b, per esempio, cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 55, 174. 65 Anche l’espressione «imposta sul grano» (5,11) ha un rapporto indiretto con la serie sopraelencata, perché indica un provvedimento di tipo giuridico, che eventualmente si può fare valere in tribunale. Si noti che la parola «grano» è usata anche nella sequenza centrale della sezione seguente (C3) in 8,5.6, con «umili» e «indigente» (a loro volta presenti anche nella sequenza B4, in 5,11 e 12). 66 A questo elenco si possono aggiungere: «vergine» (5,1; si tratta infatti della persona su cui si pronuncia il lamento), «abbandonata» (5,2) e «potere» (5,2; alla lettera «continuare a»: queste due ultime radici verbali servono per descrivere un irreversibile evento di morte), «contadino» (5,16; che è chiamato a lamentarsi), «piazze» (5,16) e «strade» (5,16; i luoghi in cui risuonerà il lamento). 67 Cfr. V. MAAG, Text, 116, 144-146.
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Infatti in 8,10 il profeta dirà: «Muterò le vostre feste (come in 5,21) in lutto (come in 5,16) e tutti i vostri canti (come in 5,23; 6,5) in lamentazione (come in 5,1)»68. Il cosiddetto inno Tutta una serie di termini del «frammento innico» di 5,8-9 sono esclusivi della sequenza B4: «Pleiadi e Orione» (5,8), «ombra» (5,8), «notte» (5,8), «scatenare» (5,9), «cittadella» (5,9); inoltre non sono usati altrove nella sezione B: «ottenebrare» (5,8), «mare» (5,8), «spandere» (5,8). È indubbia comunque la parentela tra 5,8-9 e la fine di B3 (4,13): vi si ritrova infatti lo stesso genere letterario, con la ripresa di motivi identici: il tema della creazione (verbo «fare» in 4,13 e 5,8), il motivo del passaggio dalla luce alle «tenebre» (i termini sinonimici «aurora» e «oscurità» in 4,13; «mattino» e «ombra», «giorno» e «notte» in 5,8), l’espressione concernente il «nome» (3,13 e 5,8). Caratteristica dell’inno della sequenza B4 (rispetto a B3) è la dimensione chiaramente catastrofica dell’intervento divino, suggerita dalla frase «Lui che chiama le acque del mare e le spande sulla faccia della terra» (5,8), interpretata come «distruzione» nel versetto seguente («lui che scatena la rovina sul forte»: 5,9). Da questo punto di vista l’inno di B4 fa come da transizione all’altro “frammento innico” che si trova nella sezione C, in 9,5-6 (C4), nel quale, oltre all’espressione «Signore è il suo Nome» (9,6), ritorna alla lettera la frase «lui che chiama le acque del mare e le versa sulla faccia della terra» (9,6), in un contesto in cui le acque hanno una speciale rilevanza. Nell’inno della sezione C manca invece il riferimento all’«oscurità», così caratteristico dei primi due «frammenti»69. Questi rapporti ribadiscono il ruolo centrale, di perno, che ha la sequenza B4 nell’insieme del libro di Amos. MOTIVI ASSENTI DALLA SEQUENZA CENTRALE Il rapporto con le nazioni È curioso — e quindi da sottolineare — il fatto che il rapporto di Israele con le nazioni non venga per nulla evocato nella sequenza B4, mentre è presente non
68 Nella sequenza C3 (al centro della terza sezione) si ha una ripresa della terminologia del lamento funebre (8,10); inoltre, la frase «cadranno e non si rialzeranno più» (8,14), nonché la menzione delle «vergini» (8,13) rimandano alla terminologia di 5,1. Tutto ciò stabilisce una relazione supplementare tra le due sequenze centrali delle sezioni B e C. 69 Si deve comunque notare che, anche se non è sotto la forma dell’«inno», il tema dell’«oscurità» è presente pure nella sezione C, ed esattamente nella sequenza centrale (C3): «farò tramontare il sole a mezzogiorno e ottenebrerò (radice ḥšk, come in 5,8) la terra in pieno giorno (yôm, come in 5,8)» (8,9). Il tema è tra l’altro immediatamente collegato, in 8,10, con la terminologia del «mutamento» (radice hpk) che si ritrova in 5,8 per indicare proprio l’azione di ottenebrare.
288
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
solo nella sezione A (di cui costituisce il motivo conduttore), ma anche in tutte le altre sequenze della sezione B. Infatti lo si ritrova: – in B1: il ricordo dell’uscita dall’Egitto (3,1) e dell’elezione di Israele fra tutte le nazioni della terra (3,2); – in B2: la menzione di Asdod e dell’Egitto (3,9), il riferimento al nemico (3,11), l’evocazione delle nazioni con l’esilio verso l’Ermon (4,3); – in B3: la menzione dell’Egitto (3,10), di Sodoma e Gomorra (3,11), il cui destino è paragonato a quello di Israele; – in B5: una probabile evocazione delle nazioni si ha con i nomi delle divinità pagane Sikkut e Kiyyun (5,26), nonché la menzione dell’esilio al di là di Damasco (5,27); – in B6: la menzione di diverse città straniere (6,2); – in B7: riferimento alle città conquistate (6,13), e alla «nazione» che opprimerà Israele (6,14). In B4 le nazioni sono evocate solo indirettamente dal tema della guerra (5,3: campagna militare che riduce Israele a un misero resto; e forse 5,6 con il tema del fuoco che può evocare l’incendio che mette fine a un assedio) e dell’esilio (5,5: gioco di parole su Galgala). Il fatto che questo rapporto, peraltro così frequentemente trattato da Amos, non sia tematizzato proprio nella sequenza centrale è difficile da interpretare: forse il profeta vuole concentrare tutta l’attenzione sul rapporto tra YHWH e Israele, secondo quanto annunciato programmaticamente in 4,12 (alla fine della sequenza precedente): «preparati a incontrare il tuo Dio, Israele». Il passato Anche se il tema è meno importante del precedente, si può anche constatare che la sequenza centrale della sezione B manca di riferimenti alla storia passata del popolo. Nella sezione A, la sequenza contro Israele comprendeva una parte consacrata all’evocazione della storia dell’esodo e della conquista (2,9-10; a ciò bisogna aggiungere il richiamo al fatto che Dio ha suscitato profeti e nazirei in 2,11). Nella prima sottosezione della sezione B Amos ricorda l’esodo e l’elezione (inizio di B1: 3,1-2); anche il passo centrale di B2 (4,6-11) può essere considerato un’azione di Dio nel passato, utile alla salvezza del popolo: il Signore ha punito, è vero, ma per indurre alla conversione e quindi alla salvezza. Nell’ultima sottosezione (al centro di B5: 5,25) Amos ricorda il periodo di quarant’anni trascorsi nel deserto. Come appare comunque, i riferimenti al passato non sono frequenti nel libro di Amos. Secondo la nostra interpretazione (sviluppata specialmente per la sequenza B1) Amos vede nel ricordo del passato una «trappola» che rischia di perdere Israele. Ora, nel momento in cui il profeta, parlando a nome di Dio, fa un ultimo tentativo di portare Israele a ricercare Dio in verità, l’evocazione del passato come garanzia del futuro potrebbe risultare controproducente. Sembra
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che nella sequenza centrale Amos concentri tutte le sue energie sull’adesso della «decisione». LA FUNZIONE DELLA SEQUENZA CENTRALE NELLA SEZIONE B Si tratta ora di vedere come il vocabolario di questa sequenza, attraverso i temi che esprime, strutturi l’insieme della sezione. Si studieranno dapprima i rapporti della sequenza centrale con la prima sottosezione, poi con l’ultima, e infine con l’insieme. Si terminerà con un’interpretazione dell’insieme della sezione. Articolazione di B4 con la prima sottosezione Si parlerà qui del vocabolario che ricorre solo nella prima sottosezione e nella sequenza B4; potrà trattarsi di una esclusività assoluta, nel senso che la tematica non compare altrove nel libro di Amos, o di un’esclusività relativa, in quanto essa non ricorre altrove nella sezione B. Udire Il collegamento più significativo tra la prima sottosezione e la sequenza B4 è l’imperativo con cui inizia ogni sequenza, e in particolare — sempre come termine iniziale — dell’imperativo della radice «ascoltare»70: B1 (3,1) – B2 (3,9.13; 4,1) – B3 (4,5)71
e
B4 (5,1).
A questo elemento formale72 e lessicografico corrisponde l’uso esclusivo della radice dbr («parlare»): B1 (3,1 bis.7.8)
B2 (4,1)
e
B4 (5,1.10),
a cui bisogna aggiungere la «formula del messaggero» che ricorre solo73 in B2 (3,11.12)
e
B4 (5,3.4.16).
70 Il verbo «udire» ricorre ancora un’altra volta nella sezione B, in 5,23 (B5), ma non è all’imperativo, è in frase negativa, e ha Dio come soggetto (Dio che non vuole ascoltare). Nella sezione C il verbo è utilizzato ancora tre volte: 7,16; 8,4.11; fra queste tre ricorrenze quella di 8,4 merita di essere evidenziata: abbiamo l’imperativo, che funge da termine iniziale della sequenza centrale dell’ultima sezione. 71 A «udire» si può aggiungere il verbo qr’ («chiamare», «convocare»): in B3 (4,5) per la convocazione al culto, in B4 (5,16) per la convocazione al lutto; questa radice è usata nella sezione B anche in 4,12 (sempre in B3: liqra’t: «a incontrare») e altrove solo in 7,4 e 9,12. 72 Alla forma dell’imperativo corrisponde evidentemente un discorso rivolto a un «voi» (che diventa un «tu» alla fine della sottosezione: 3,12). Come si vedrà in seguito, nell’ultima sottosezione le parole del profeta si indirizzano piuttosto (almeno all’inizio) a «loro». 73 Nella sezione A la formula del messaggero introduce tutti gli oracoli contro le nazioni (e quindi appare otto volte); nella sezione C la formula è utilizzata solo una volta, in 7,17 (C2) a cui si può aggiungere 7,11 («Così dice Amos»).
290
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Tutto ciò costituisce un insieme coerente: il profeta si presenta come il portatore di una parola che dovrebbe essere ascoltata, perché è la parola del Signore (3,7-8); il contenuto della parola da ascoltare sarà l’oggetto del paragrafo seguente. Il crimine La terminologia generale del reato, espresso come «crimine», «colpa», o «peccato», si estende dall’inizio della prima sottosezione fino alla sequenza centrale compresa74: B1 B2 B3 B4
3,2 3,14 4,4 5,12
: : : :
«colpe» «crimini» «crimini» «crimini»76 «peccati»
= = = = =
’āwōn pš‘ pš‘ 75 pš‘ ḥaṭṭā’â.
L’evocazione di Betel entra nella serie dei termini che designano il crimine: infatti vi si svolge un culto che invece di cancellare la colpa, la moltiplica (4,4); si noti tra l’altro la progressione nella menzione dei santuari77: B2 (3,14) : Betel B3 (4,4) : Betel e Galgala B4 (5,5-6) : Betel e Galgala e Bersabea
evocazione della distruzione evocazione della distruzione.
Quanto al tema dell’«in-giustizia» le uniche parole che collegano la prima sottosezione alla sequenza centrale sono la coppia «misero» (dal) – «indigente» (’ebyôn): B2 (4,1) e B4 (5,11.12).
Il giudizio divino Si è già notato il rapporto tra il «frammento innico» (che ha un valore giudiziario) di 4,13 (B3) e quello di 5,8-9 (B4); qui78 bisogna aggiungere che nei due passi abbiamo il verbo «fare» e il sostantivo «terra» (come luogo dell’agire di Dio).
74 Questo vocabolario non ricorre più nella sezione B. Nella sezione A la parola «crimine» (pš‘) introduce, generalmente, l’accusa contro le nazioni (ricorre quindi otto volte); ’āwōn non si trova altrove; la stessa cosa si può dire di «peccato» (ḥaṭṭā’â), anche se la radice ḥṭ’ si ritrova un’altra volta in 9,10. 75 O «ribellioni», come si è tradotto nelle relative tavole. 76 Tradotto con «delitti» nelle relative tavole. 77 Galgala è menzionato solo in 4,4 e 5,5; il nome di Betel ritorna in C2 (7,10.13); quello di Bersabea è ricordato nella sequenza C3 (8,14). 78 Oltre a quanto si è già detto p. 287.
La sezione B: 3,1–6,14
291
Inoltre è interessante osservare le ricorrenze della radice yd‘ («conoscere», «sapere»), che ha una certa relazione con la procedura indagativa che culmina con il giudizio: B1 B2 B4
(3,2) : DIO «conosce» Israele; da qui il giudizio punitivo. (3,10) : gli abitanti di Samaria non «conoscono» la rettitudine; per questo non possono che giudicare male. (5,12) : DIO «conosce» il crimine di Israele; si prepara così la sanzione. (5,16) : agli abitanti di Samaria non resta che rivolgersi a quanti «conoscono» la lamentazione funebre.
La sanzione Il verbo «cadere», come simbolo di morte, collega la prima sottosezione alla sequenza centrale: B1 B2 e B4
(3,5) (3,14)
: l’uccello cade nella trappola : i corni dell’altare cadono a terra
(5,1)
: è caduta la vergine d’Israele.
Una coppia di parole, piuttosto generiche e dalle valenze diverse, come «terra» e «suolo», è usata solo nelle prime quattro sequenze della sezione: «terra»: «suolo»:
B1 (3,1.5) – B2 (3,9.11.14) – B3 (4,13) B1 (3,2.5)
e B4 (5,7.8) e B4 (5,2).
In alcuni casi si evoca, indirettamente, il rapporto con la sanzione: «cadere» o «restare» a terra è un simbolo di morte (3,5.14; 5,2.7), così come un paese assediato e sconfitto (3,11) evoca la possibilità dell’esilio. Non sembra che tutte le ricorrenze citate sopra evochino la stessa tematica. Ma pare chiaro che la parola «terra» ricorda qualche cosa della storia della salvezza: uscito dalla terra d’Egitto (3,1), il popolo si è insediato stabilmente sulla sua terra. Ecco dunque i termini che alludono a questo evento: – il verbo «abitare» è tipico di questo insieme testuale79: B2 (3,12): Amos parla degli «abitanti di Samaria» proprio nel passo in cui dice che il paese sarà attaccato dal nemico (3,11); B4 (5,12): fa riferimento alle case di pietra edificate dagli Israeliti, segno di un insediamento duraturo, e afferma che non saranno abitate.
– Anche il sostantivo «vigna» è esclusivo di questi testi: B3 B4
79
(4,9) : le vigne vengono colpite da Dio. (5,11) : le vigne saranno colpite da Dio. (5,17) : le vigne sono il luogo del lamento funebre.
La radice yšb si trova anche nella sezione A, in 1,5.8 dove designa colui che è «insediato», cioè il governante; nella sezione C ricorre in 8,8; 9,5.14.
292
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Vengono dunque colpite le case (cfr. 3,11.15) e le vigne, i due segni del risiedere stabile nel paese: viene così messa in questione la storia iniziata con l’uscita dalla terra d’Egitto (3,1). ARTICOLAZIONE DI B4 CON L’ULTIMA SOTTOSEZIONE Il destinatario Il primo tipo di collegamento tra la sequenza centrale e l’ultima sottosezione è dato dalla ripresa del medesimo qualificativo usato per designare il destinatario della parola profetica, e cioè «Casa d’Israele»: B4 (5,1.3.4)
e
B5 (5,25) – B6 (6,1) – B7 (6,14).
Nella prima sottosezione i destinatari erano chiamati «Figli d’Israele»; se si tiene conto del fatto che l’invito ad ascoltare è caratteristico della prima sottosezione, la connessione tra le tre componenti della sezione B si presenta così: sottosezione B1–B3
sequenza B4
sottosezione B5–B7
Udite Figli d’Israele
Udite Casa d’Israele
Casa d’Israele
A nostro avviso questa differenza nella designazione del destinatario non implica una differenza semantica né obbliga a postulare una diversa redazione; riteniamo che essa abbia piuttosto la funzione retorica di evidenziare le divisioni tra le unità letterarie e di mostrarne anche le articolazioni80. Il nome «Giuseppe» compare solo in B4 (due volte: 5,6.15) e in B6 (6,6). Non ricorre altrove; propriamente Amos non usa questo appellativo per designare il destinatario dell’oracolo, ma vi fa riferimento come vittima potenziale o reale della cattiva condotta dei responsabili di Israele.
80
Nel loro commentario Andersen – Freedman hanno consacrato un gran numero di pagine all’analisi della terminologia che serve a qualificare il destinatario degli oracoli di Amos; la loro tesi è che certe espressioni designano solo il regno del nord, mentre altre sono riservate all’insieme del popolo (compreso quindi anche il regno di Giuda). La loro analisi non ci convince e neppure concordiamo con la loro divisione del testo di Amos: Book of Doom: 1–4; Book of Woes: 5–6 (cfr. P. BOVATI, recensione in Bib 73 (1992) 416-421). Basandosi sui nomi dei destinatari, K. KOCH, Amos, distingue i capitoli 3–4 («Figli d’Israele») da 5,1–9,6 («Casa d’Israele»); secondo questo autore la formula di 7,1 («Così mi fece vedere il Signore») non dà inizio a una nuova sezione. L’indizio rilevato (la diversità nel modo di chiamare il destinatario) è esatto, ma il modo di interpretarlo non è metodologicamente corretto; altri elementi devono concorrere alla determinazione di un’unità letteraria: per esempio, la ripetizione della formula di «visione», con il suo aspetto narrativo, separa chiaramente il capitolo 7 da quanto precede.
La sezione B: 3,1–6,14
293
Il genere letterario del «lamento» La formula d’inizio dell’oracolo in hôy (tradotta «Guai a») è caratteristica del secondo versante della sezione B: essa si trova all’inizio di B5 (5,18) e di B6 (6,1)81. In B4 la formula compare alla fine della sequenza, in una forma leggermente diversa (hô hô, tradotta «Ahi! Ahi!»), ma il rapporto con le sequenze successive è chiaro. Il tema del funerale, connesso con la lamentazione, ricorre all’inizio della sequenza centrale (B4) e all’inizio dell’ultima sequenza (B7). In quest’ultima non compare più il tema del lamento, ma quello del silenzio, il che segna la conclusione di una serie tematicamente coerente. Ecco come può essere presentato il collegamento tra B4 e l’ultima sottosezione: B4
e
B5 guai (5,18)
lamentazione (5,1) funerale (5,1-2) ahi! ahi! (5,16)
–
B6
–
B7
guai (6,1) funerale silenzio (6,9-10)
È abbastanza caratteristico dell’ultima sottosezione il fatto che il profeta, proprio perché usa il genere letterario dell’oracolo in hôy, non si rivolga direttamente al destinatario, ma ne parli alla terza persona82. Questa peculiarità è talvolta attestata nel «lamento» funebre (cfr. 2Sam 1,19ss; Am 5,1-2). Così sembra che si sottolinei l’impossibilità di rivolgersi a qualcuno che non può né ascoltare né rispondere. Il crimine Come si vedrà in seguito, la denuncia profetica presenta una notevole continuità tematica all’interno di tutta la sezione: infatti si ripete costantemente che il Signore non può perdonare il reato di ingiustizia. È dunque naturale che una tale unità tematica si riscontri anche nella relazione tra la sequenza centrale e l’ultima sottosezione. Per quanto riguarda il vocabolario (dell’ingiustizia), bisogna segnalare due rapporti significativi: – la coppia «diritto» – «giustizia» compare al centro della sequenza centrale, poi al centro delle sequenze estreme dell’ultima sottosezione: B4 (5,7)
e
B5 (5,24) – B7 (6,12);
81 Non condividiamo l’opinione di quanti, senza alcuna base testuale, postulano una «restituzione» della parola hôy in 5,7 e in 6,13 (cfr. Wolff, 228,286; Rudolph, 195,225; Soggin, 122; Andersen – Freedman, 483-484,579); come si è mostrato in precedenza, nel TM l’articolazione tra le sequenze è assicurata senza necessità di introdurre arbitrari aggiustamenti. 82 Questo vale parzialmente per le ultime tre sequenze della sezione B; il profeta infatti si rivolge al destinatario anche direttamente, usando spesso il «voi». Il riferimento indiretto è comunque specifico dell’ultima sottosezione; ricorre soprattutto in B7, dove il Signore per designare il destinatario non usa la seconda ma la terza persona: «ho ripugnanza dell’orgoglio di Giacobbe [...] consegnerò la città e quanto contiene» (6,8).
294
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
– il verbo «prendere», che in B4 ha un ruolo importante di denuncia dell’ingiustizia, ricorre alla fine della sottosezione (in B7) per indicare una conquista orgogliosa che Dio punisce: B4 (5,11-12)
e
B7 (6,13).
La sanzione Come per l’accusa profetica, anche per la sanzione la sezione nel suo insieme presenta una grande continuità tematica. Ecco gli elementi lessicali che stabiliscono una relazione precisa tra la sequenza centrale e l’ultima sottosezione: – la radice glh, tradotta «deportare», nella sezione B appare per la prima volta in B4 (5,5: minaccia, collegata al nome di Galgala); essa ricorre in seguito come termine finale delle due sequenze successive; nell’ultima sequenza si ha la variante «opprimere»83: B4 (5,5)
e
B5 (5,27) –
B6 (6,7)
– [B7 (6,14)];
– la sequenza centrale e l’ultima sequenza hanno in comune il tema della progressiva «riduzione» del numero fino alla scomparsa totale: B4
5,3:
B7
6,8-9:
«La città che ne faceva uscire mille resterà con cento e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci». «Consegnerò la città e quanto contiene; se rimangono dieci uomini in una casa, moriranno»;
– la radice mwt («morire») nella sezione B è presente solo in 6,9 (B7), nel testo appena citato84; la radice ḥyh («vivere») compare, a sua volta, solo nella sequenza centrale (B4: 5,4.6.14)85. Anche questo è un indizio importante dell’articolazione tra la sequenza centrale e l’ultima sottosezione; – la radice qwm serve a indicare la sanzione: all’inizio di B4 (5,2) è la Vergine d’Israele che non può «rialzarsi» e che nessuno può «rialzare»; in B7 (6,14, cioè alla fine della sezione) Dio «suscita (= fa alzare)» una nazione che opprimerà Israele. Questo termine assicura una sorta di transizione alla sezione C, dove la radice qwm è molto usata (7,2.5.9; 8,14; 9,11)86.
83
Cfr. p. 269 (Termini finali). La radice compare altrove: nella sezione A in 2,2, e nella sezione C in 7,11.17; 9,10. 85 La radice si ritrova anche nell’espressione di 8,14: «Viva il cammino di Bersabea»; la sua funzione semantica però non è la stessa di quella indicata per la sezione B. 86 Nella sezione A questa radice ricorre solo in 2,11. 84
La sezione B: 3,1–6,14
295
ARTICOLAZIONE DI B4 CON L’INSIEME DELLA SEZIONE Ora bisogna sottolineare, in modo specifico, gli elementi di natura lessicale (e tematica) che attraversano tutta la sezione e che hanno un preciso punto di inserzione nella sequenza centrale: questa funge da perno per l’articolazione dell’insieme della sezione87. Il locutore – Il sintagma «YHWH, il Dio degli eserciti» ricorre, oltre che in 4,13 e 5,2788 anche in 3,13 (preceduto da ’ădōnāy), al centro della prima sottosezione; e in 5,14.15.16 (quest’ultimo seguito da ’ădōnāy), nella sequenza centrale; 6,8.14 (quest’ultimo con la leggera variante dell’articolo: haṣṣebā’ôt), in posizione di chiusura per l’ultima sottosezione, come termine estremo dell’ultima sequenza (B7)89. – YHWH + «nome» ricorre in 5,8 nell’inno collocato al centro della sequenza centrale; e anche in 6,10, ma con una formulazione diversa: «Silenzio! Non bisogna menzionare il nome del Signore» (come se fosse la fine degli inni!)90. Lo schema seguente illustra il fenomeno limitatamente alla sezione B (nella sezione C appare solo in 9,5-6): Sequenza
B1
B2
B3
B4
B5
B6
B7
Inizio 6,8 (6,10) Centro
5,88
3,13 Fine 4,13
5,14 5,15 5,16
5,27
6,14
La funzione strutturante del vocabolario concernente il titolo di «Dio degli eserciti» sembra abbastanza chiara; infatti, . il riferimento esplicito al Nome si trova al centro della sequenza centrale (B4: 5,8) e alla fine delle sequenze contigue (B3: 4,13 e B5: 5,27); 87
Cfr. J. JEREMIAS, «Tod und Leben», 135. Cfr. p. 278. 89 La distribuzione dei nomi e dei titoli di Dio nel libro di Amos è l’oggetto dello studio di S. DEMPSTER, «The Lord is His Name»; concordiamo con l’autore circa l’importanza dei titoli lunghi («il SIGNORE, il Dio degli eserciti») per l’organizzazione del libro di Amos, ma non condividiamo la sua divisione del testo, basata su un criterio unico, quello dei titoli di Dio appunto, senza tenere conto di altri decisivi criteri retorici. Lo studio dei nomi di Dio in Amos era già stato fatto da N.M. LOSS, «Uso e valore», senza tuttavia che ne fossero tratte deduzioni sull’organizzazione del libro di Amos. 90 Lo stesso si ha in 9,6 nell’inno che sta al centro della sequenza C4. 88
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13. Israele dovrà passare attraverso la morte
. il titolo semplice «Signore, Dio degli eserciti» si trova al centro della prima sottosezione (B2: 3,13; una sola volta preceduto da ’ădōnāy) e alla fine dell’ultima sottosezione (B7: 6,8 e 6,14: due volte, l’ultima ricorrenza con una leggera variante che potrebbe suggerire la conclusione del fenomeno); inoltre, si trova nella parte finale della sequenza centrale (B4: 5,14.15.16: tre volte, l’ultima ricorrenza è ampliata da ’ădōnāy)91. L’uditore Nonostante la varietà di vocabolario indicata nei paragrafi precedenti92, è chiaro che tutta la sezione ha un unico destinatario, cioè la classe dirigente del regno di Israele93. Il riferimento esplicito a Samaria (nelle sequenze centrali delle due sottosezioni B2 e B6) invita a pensare che il termine «città» (3,6; 4,6-8; 5,3; 6,8) possa essere ragionevolmente applicato alla capitale, residenza del sovrano e dei notabili di Israele. La denuncia profetica Due temi che hanno il loro punto focale nella sequenza centrale (B4) attraversano l’insieme della sezione: il primo concerne la «giustizia» e include tutto ciò che definisce (positivamente o negativamente) le relazioni tra gli uomini; il secondo concerne il «culto» e qualifica gli atti che manifestano la relazione con Dio. Si comincerà con la giustizia, perché è il tema più costantemente presente. + L’ingiustizia di Israele e la giustizia di Dio Il vocabolario che illustra questa tematica è ricco e di varia natura. Sarebbe troppo lungo compilare una lista esaustiva, per mostrare come certi termini abbiano delle connotazioni attinenti alla giustizia o all’ingiustizia: per esempio, i vocaboli «casa» o «letto» in Am 3–6 fanno allusione al lusso ingiusto prodotto 91 La sequenza B6 (6,1-7) è originale, dal momento che non presenta nessuna di queste espressioni e non contiene neppure una volta il nome di YHWH, che in forma semplice o con l’aggiunta di ’ădōnāy è invece attestato in tutte le altre sequenze (B1: 4 volte: 3,1.6.7.8; B2: 7 volte: 3,10.11.12.13.15; 4,2.3; B3: 7 volte: 4,5.6.8.9.10.11.13; B4: 8 volte: 5,3.4.6. 8.14.15. 16.17; B5: 4 volte: 5,18bis.20.27; B7: 4 volte: 6,8.8.11.14). Il destinatore della sequenza B6, cioè Dio, è assente nella sequenza, anche perché non prende mai la parola alla prima persona (il neretto indica i testi dove YHWH non è usato da solo). 92 Bisogna ricordare, anzitutto, l’espressione «Figli d’Israele» per la prima sottosezione e «Casa d’Israele» per la sequenza centrale e l’ultima sottosezione. Riteniamo che i nomi «Israele» (3,14; 4,12), «Giacobbe» (3,13; 6,8) e «Giuseppe» (5,6; 5,15; 6,6) siano dei sinonimi; per esempio, l’espressione «Casa d’Israele» è usata per indicare il destinatario di un oracolo (5,4) che riguarda la «casa di Giuseppe» (5,6); l’orgoglio di Giacobbe (6,8) provoca la punizione della «Casa d’Israele» (6,14; termini estremi della sequenza B7); e così via. 93 La menzione di Sion in 6,1, nel TM, non cambia il destinatario globale della sequenza B6; secondo la nostra interpretazione una simile menzione ha la funzione di indicare che quanto è stato proclamato per il regno del nord si può applicare, allo stesso modo, al regno di Gerusalemme.
La sezione B: 3,1–6,14
297
dallo sfruttamento del povero, con una sfumatura quindi non immediatamente deducibile dal significato primo di queste parole. Ci si limiterà alla ripresa di alcuni termini chiave94, soprattutto per mostrare il ruolo centrale di B4; questi termini sono i binomi «bene» e «male», «diritto» e «giustizia», «violenza» e «distruzione», ai quali si aggiungeranno i termini che designano la vittima dell’ingiustizia: «indigente», «misero», «innocente»: B1
male (3,6)
B2
violenza e «distruzione» (3,10)
miseri poveri (4,1)
B3 B4
male (5,13) bene / male (5,14-15)
«distruzione» (5,9)
B5 B6
diritto e giustizia (5,7)
misero innocente indigenti (5,11-12)
diritto e giustizia (5,24) bene male (6,3)
B7
violenza (6,3) diritto e giustizia (6,12)
Da questa tavola risulta chiaramente che la sequenza B4 è la chiave di volta per quanto concerne il vocabolario generale riguardante la giustizia95. Si noti che quando appare «violenza» (in B3 e in B6), non si usa la coppia «diritto e giustizia» (B4, B5, B7). L’opposizione «bene» – «male» può essere messa in rapporto con la coppia «amore» – «odio»96 (cfr. 5,14-15): B3
(4,5)
gli Israeliti «amano» le cerimonie (= i crimini).
·······················································································································
B4
(5,10) (5,15)
gli Israeliti «odiano» il censore, chi parla con rettitudine. gli Israeliti invitati a «odiare» il male e ad «amare» il bene.
·······················································································································
B5
(5,21)
Dio «odia» le feste degli Israeliti.
B7
(6,8)
Dio «odia» i palazzi degli Israeliti.
94
Cfr. V. MAAG, Text, 228-235. La sequenza B3 è l’unica che non contiene nessun termine significativo di questa lista; il vocabolario di cui parleremo oltre mostrerà però che questa sequenza si articola bene con l’insieme. 96 Il binomio «amare» – «odiare» ha il proprio posto nel campo semantico della giustizia (anche forense): Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 112, 176-177. 95
298
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Si ha dunque un’opposizione tra il sentire degli Israeliti e quello di Dio; questo si manifesta nella sezione B anche mediante l’uso del verbo hpk, tradotto in diversi modi, ma il cui senso generale è quello di «cambiare»: B3 (4,11) Dio «sconvolge» (Israele) come ha sconvolto Sodoma ·····················································································
B4 (5,7) (5,8)
gli Israeliti «mutano» in assenzio il diritto. Dio «muta» in mattino l’ombra.
·····················································································
B7 (6,12) gli Israeliti hanno «cambiato» il diritto in veleno.
Il verbo hpk, direttamente collegato con il vocabolario della «giustizia» (cfr. 5,7 e 6,12), sottolinea l’opposizione tra l’agire di Dio e quello degli Israeliti; questa opposizione è riscontrabile anche nelle occorrenze del verbo ‘śh, generalmente tradotto con «fare», verbo che ha pure una certa parentela con il procedimento giudiziario97: B1
(3,6) (3,7)
Dio ha «fatto» il male nella città. Dio non «fa» nessuna cosa (parola) senza prima rivelarla ai profeti.
B2
(3,10)
Gli Israeliti non sanno «fare» ciò che è retto.
B3
(4,12) Dio «farà» per Israele (= in rapporto con il giudizio). (4,13) Dio «fa» dell’aurora oscurità (= in rapporto con il giudizio).
B4
(5,8)
Dio «fa» le Pleiadi e Orione (= in rapporto con il giudizio).
B5
(5,26)
gli Israeliti «hanno fatto» degli idoli.
Si tratta di un fare con diverse connotazioni, ma senz’altro in rapporto con l’idea di fare «giustizia». Gli Israeliti non sanno farla; Dio, invece, agendo, ristabilisce il diritto conculcato. C’è un altro termine che sembra far parte del campo semantico della giustizia nella sezione B: sono le parole delle radici rbb e rbh, che significano la molteplicità o l’importanza e sono usate da Amos per denunciare la gravità del crimine98, a cui corrisponde la gravità della punizione99: B2 B3 B4 B6 97
(3,9) «numerosi disordini». (3,15) «le case importanti» (4,4) «moltiplicate le ribellioni». (4,9) «ho colpito... la moltitudine dei vostri giardini e vigne».
crimine punizione crimine punizione
(5,12) «numerosi sono i vostri delitti». (6,2) «il loro territorio è più grande del vostro territorio?»
crimine punizione.
Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 101-103, 168-169, 186-187, 325, 339. Si potrebbe pensare che nella sezione B l’aggettivo «numeroso» corrisponda all’espressione «per tre crimini [...] e per quattro...», che introduce gli otto oracoli della sezione A: la recidività nel crimine lo rende oggetto di una sentenza irrevocabile severissima. 99 La gravità della punizione, in senso quantitativo, è anche illustrata dal numero di persone che muoiono (5,3 in relazione con 6,9); cfr. quanto affermato a p. 293-294. 98
La sezione B: 3,1–6,14
299
Anche il binomio oppositivo «luce» – «tenebre» appartiene al campo semantico della giustizia100; gli Israeliti attendevano l’intervento divino come luce di vita, ma il Signore afferma che farà giustizia trasformando la luce in tenebre; il vocabolo «giorno» acquista quindi una valenza giuridica, in quanto opposto alla notte e all’oscurità101. Sotto la stessa rubrica si può collocare anche la terminologia attinente al «Nome» del Signore, in particolare l’espressione «Dio degli eserciti»: se la teofania è la manifestazione del Nome di Dio, e se essa corrisponde all’entrata della corte in un tribunale, se d’altra parte il processo si svolge al mattino, appena sorge il sole, ecco allora che Amos parla di un avvento del Signore che trasforma la speranza del mattino in un’ora di tenebra, perché viene per condannare a morte. Se il nome del «Dio degli eserciti» conserva una connotazione bellica e se ha di più una certa connotazione celeste (in riferimento alle potenze del cielo), esso non è mal situato nella presentazione di un Dio sovrano che viene a giudicare la terra: B2
3,13 «il Signore DIO, il Dio degli eserciti» 3,14 «nel giorno in cui punirò» 4,13 «colui che fa dell’aurora oscurità»
B3 4,13 «SIGNORE, Dio degli eserciti è il suo nome» B4
5,8 5,8 5,14 5,15 5,16
«che muta in mattino l’ombra e il giorno in notte ottenebra»
... «SIGNORE è il suo nome» «il SIGNORE, il Dio degli eserciti» «il SIGNORE, il Dio degli eserciti» «il SIGNORE, il Dio degli eserciti, il Signore»
B5
5,27 «Dio degli eserciti è il suo nome»
5,18 «il giorno del SIGNORE... il giorno del SIGNORE... sarà tenebra e non luce» 5,20 «sarà tenebra il giorno del SIGNORE e non luce, e buio senza chiarore»
B6 6,3 B7
«respingere il giorno di male»
6,8 «il SIGNORE, il Dio degli eserciti» 6,14 «il SIGNORE, il Dio degli eserciti»
Infine bisogna rilevare il tema del «bere», soprattutto in rapporto al «vino» (quindi con la vigna), poiché Amos vi ritorna spesso come motivo di biasimo e come luogo di condanna: 100
Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 335-340. Non è menzionata la ricorrenza della parola «giorno» al plurale (4,2); l’opposizione alle tenebre infatti non sembra palese quando il termine è usato solo per indicare il futuro. Nemmeno sembra pertinente per il tema qui trattato l’espressione «il terzo giorno» (o «ogni tre giorni) di 4,4, dato che in questo caso viene usata per indicare una scadenza. 101
300
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
B2
(4,1)
«fate venire e beviamo».
crimine
B3
(4,8) (4,9)
«ed erravano... per bere acqua». «ho colpito... la moltitudine dei vostri giardini e VIGNE».
punizione
B4
B6
(5,11) «avete piantato VIGNE pregiate, ma non ne berrete il vino». (5,17) «e in tutte le VIGNE ci saranno gemiti».
punizione
(6,6) «bevono in coppe da vino».
crimine
+ Il culto degli Israeliti Meno dominante del tema precedente, meno appoggiato su ricorrenze lessicali, il riferimento al culto è tuttavia un motivo importante in tutta la sezione B. È manifestato anzitutto dalla menzione dei nomi dei santuari e dal vocabolario propriamente cultuale («altari», «sacrifici» e «offerte»); infine dai verbi di movimento che suggeriscono l’idea del pellegrinaggio (ai quali bisogna aggiungere anche il verbo «cercare»). Tra questi verbi riveste una particolare importanza il verbo bw’ (tradotto in modi diversi, anche perché si presenta in forme verbali differenti e in contesti disparati): sembra che Amos lo usi talvolta con una certa ironia per indicare la cattiva strada intrapresa dagli Israeliti102. Ecco il quadro d’insieme103:
102 Per il verbo bw’, nella lista sono state incluse anche le ricorrenze di 4,2 e di 5,9: all’azione degli Israeliti che «vengono» al santuario o «fanno venire» da bere e da mangiare, corrisponde la venuta della sventura come giudizio di Dio (cfr. anche 8,2.9.11). 103 Le sequenze estreme B1 e B7 non presentano nessun riferimento cultuale. Pure nella sequenza B6 il vocabolario non evoca chiaramente atti liturgici; tuttavia, come indicato sopra, alcuni autori vedono nel banchetto descritto in 6,4-6 un’azione di tipo religioso.
La sezione B: 3,1–6,14
301
SANTUARI
CULTO
MOVIMENTO
B2
Betel 3,14
gli altari i corni dell’altare 3,14
«fate venire» 4,1 «dei giorni vengono» 4,2 [= castigo]
B3
Betel – Galgala 4,4
sacrifici, decime, ecc. 4,4-5
«venite... fate venire» 4,4
B4
Betel, Galgala, Bersabea 5,5-6
«cercatemi... non cercate... non venite... non passate... cercate il Signore» 5,4-6 «la rovina viene» 5,9 [= castigo]
B5
feste, assemblee olocausti, ecc. canti, musica 5,21-23 sacrifici e offerta 5,25 «vostri simulacri» 5,26
«entra in casa...» 5,19
B6
[banchetto] 6,4-6
«viene verso di loro la Casa d’Israele» 6,1
La sanzione La punizione divina, che sanziona il crimine di Israele, è presentata con una certa varietà terminologica; i motivi più ricorrenti sono (1) la distruzione (degli edifici o della città intera), talvolta con una menzione esplicita (2) della morte degli abitanti104, e (3) la deportazione (del popolo) come condizione duratura.
104
La morte è evocata da immagini in diverse sequenze:
B1 (3,4-5)
B2 (3,12) B5 (5,19)
«Il leone ruggisce nella foresta senza che ci sia una preda per lui?...» «L’uccello cade nella trappola a terra senza che ci sia un’esca per lui?...» «Come strappa il pastore dalla bocca del leone due zampe o un pezzo d’orecchio... «ed ecco lo morde un serpente».
La sequenza centrale tuttavia è certamente quella in cui la presenza della morte è più forte, in particolare a motivo del canto funebre che ricorre alle estremità (5,1 e 5,16-17). L’invito a cercare il Signore (5,4-6) e il bene (5,14-15) non è motivato dal desiderio di evitare una punizione limitata, ma da quello di sfuggire al castigo capitale della morte: «Cercate me e vivrete...» (5,4; anche 5,6.14).
302
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
B1 B2
B3
(3,6)
«il corno suona nella città... (1) c’è male nella città». (1) (3,11) «saranno saccheggiati i tuoi palazzi». (1) (3,15) «colpirò la casa d’inverno sulla casa d’estate e periranno le case d’avorio e spariranno le case importanti». (1) (4,3) «dalle brecce uscirete...» (1 e 3) (4,11) «ho sconvolto... come Sodoma e Gomorra». (1)
B4
(5,2) «è caduta, non potrà rialzarsi...» (2) (5,3) «la città che ne faceva uscire mille... resterà con dieci». (2) (5,5) «Galgala sarà deportato e Betel annientato». (3 e 1) (5,11) «case di pietra squadrata... non vi abiterete». (1)
B5 B6 B7
(5,27) «vi deporterò». (3) (6,7) «ora saranno deportati». (3) (6,8) «consegnerò la città e quanto contiene». (2) (6,9) «se rimangono dieci uomini in una casa, moriranno». (2) (6,11) «colpirà la casa grande in frantumi e la casa piccola a pezzi». (2)
In questo contesto va segnalato l’uso del verbo «uscire» che, forse in opposizione al verbo bw’ (venire, entrare) — di cui si è parlato nel paragrafo sul culto (movimento di pellegrinaggio) —, connota negativamente tre sequenze strategicamente importanti: B2 (4,3)
«dalle brecce uscirete» (verso l’esilio).
B4 (5,3)
«la città che ne faceva uscire mille... resterà con dieci» (la spedizione militare termina con una disfatta impressionante).
B7 (6,10) «il becchino per fare uscire le ossa dalla casa» (per il funerale).
Qualcosa di simile vale per la radice nś’ («portare»): B2 (4,2) B4 (5,1) (5,3) B5 (5,26) (5,27) B7 (6,10)
«vi si porterà via... voi uscirete». «questa parola che io porto contro di voi, una lamentazione». «la città che faceva uscire». «e voi porterete Sikkut». «e vi deporterò». «e li porterà il suo parente... per fare uscire le ossa».
esilio morte esilio morte
Infine, si può rilevare il tema del «resto», che nella sezione B è presente in diverse sequenze, con diversa terminologia. Esso sottolinea l’entità del disastro; al centro della sezione però segna un’apertura alla speranza:
La sezione B: 3,1–6,14 B2
(3,12)
B3
(4,11) «e foste come un tizzone strappato all’incendio». (nṣl)
B4
(5,3) (5,15)
«la città che ne faceva uscire mille... resterà con dieci». (š’r) «forse il Signore... avrà pietà del resto di Giuseppe». (š’r)
B7
(6,9)
«se rimangono dieci uomini in una casa, moriranno». (ytr)
303
«come il pastore strappa... così saranno strappati i Figli d’Israele». (nṣl)
INTERPRETAZIONE Il tono generale della sezione B (come del resto l’insieme della profezia di Amos) è piuttosto tragico; l’ironia105, che affiora nei giochi di parole o nel mutamento di senso imposto a espressioni, situazioni e opinioni convenzionali, non rende il testo meno drammatico, anzi ne accentua l’aspetto disperato, come se le parole non servissero più per farsi intendere, ma esprimessero via via sempre più nettamente le sconsolate riflessioni di un uomo di fronte alla catastrofe. Il profeta inizia dicendo: «Ascoltate», ma termina ripetendo «guai». Il tema del funerale domina di fatto tutto il secondo versante della sezione106, ma affiora già nella scena delle «vacche» trascinate fuori dalle brecce della città e «gettate» lontano, come cadaveri (4,2-3), ed è certamente evocato dal fetore che sale dall’accampamento (4,10), dopo che la spada ha seminato la morte fra i giovani di Israele. La qînâ, la lamentazione (5,1), occupando il centro della sezione, suggerisce quindi come interpretare sinteticamente l’insieme della profezia di Amos. Colpisce allora che, nel cuore della sezione, e solo qui, risuoni l’invito a prendere una decisione107, a scegliere un bene che produce la vita (5,4-6.14-15). Si è già sottolineato questo punto, ma è importante riprenderlo ora, perché costituisce in un certo qual modo il perno intorno al quale ruota l’intero testo. Tutti i commentatori sono d’accordo nel riconoscere che Amos denuncia l’ingiustizia sociale: l’oppressione dei poveri, il lusso che offende la miseria della povera gente, una conduzione politica, che, perseguendo il prestigio di pochi, porta allo sfacelo l’intera nazione. E tutti notano il rapporto di questo tema con il rifiuto, da parte di Dio, dell’attività cultuale, di quella sorta di perversa compensazione che è la celebrazione di una festa pensata dai dirigenti di Samaria come il dispositivo ideale per fare tutti contenti, Dio e l’insieme del popolo. Si potrebbe ritenere allora che, almeno indirettamente, il messaggio di 105
Anche nell’ultima sottosezione si può ravvisare l’uso frequente dell’ironia: si pensi alla fuga che termina nella casa dove il serpente morde (5,19), o alla «prima delle nazioni» (6,1) che diventa la prima nella deportazione (6,7), oppure al compiacimento degli Israeliti che dicono: «con la nostra forza abbiamo preso “un bel niente”» (6,13). Per la prima sottosezione, cfr. p. 261, nota 34. 106 Cfr. J. JEREMIAS, «Tod und Leben», 134. 107 Rudolph, 190.
304
13. Israele dovrà passare attraverso la morte
Amos possa riassumersi in un insegnamento bipolare: da una parte, per quanto riguarda i rapporti con Dio, si devono abbandonare i riti sacrificiali, dal momento che i santuari verranno distrutti dal fuoco; e, per quanto riguarda il prossimo, si deve praticare il diritto e la giustizia, cioè si deve giungere a un regime di equità sociale, che rispetti il diritto dei poveri. Indubbiamente tutto questo, benché rappresenti una riduzione molto semplificata della parola di Amos, traduce sinteticamente il messaggio etico del profeta (e di buona parte della Scrittura). Tuttavia non si è ancora toccato il cuore del testo (profetico), testo che parla di giustizia, intendendo con ciò un retto giudizio. Tutta la «ribellione» di Israele, che nella città si esprime come oppressione e sfruttamento dei poveri, e nei santuari come inutile moltiplicazione delle offerte sacrificali, è sospesa alla chiave di volta dell’istituzione giudiziaria108. Il tribunale infatti è la sede del «giudizio», dell’atto di parola che separa il bene dal male e decide della vita e della morte. Grazie a questo necessario strumento della vita sociale i dirigenti di Samaria hanno creato l’impero della violenza (6,3): i fatti, sottoposti a giudizio, vengono interpretati in modo perverso, così che quanto è giusto diventa cosa disgustosa come l’assenzio e quanto è male diventa oggetto d’amore (5,7.14-15; 6,12). L’ingiustizia può diventare sistema solo reggendosi sulla perversione della parola che giudica. Ma ecco allora che, alla «porta», si alza qualcuno che «parla con integrità» (5,10) e che dice qual’è il vero giudizio. Con la sua parola il profeta pronuncia la sentenza, che, venendo da Dio, è giusta e irrevocabile; e che, proprio perché giusta, trasforma in tenebra ciò che gli uomini ingiusti chiamano luce (5,8; cfr. anche 4,13; 5,18.20). Contro la perversione, che si autogiustifica con un giudizio di approvazione, può ergersi solo una parola che attesti l’imminente e fatale sopraggiungere della morte (5,1-2.16-17; ecc.), quale condanna del male propugnato come bene. Ecco allora che vengono articolati fra loro, secondo una logica concatenazione, i tre aspetti costitutivi della sezione centrale di Amos, aspetti che corrispondono ai tre soggetti «attivi» evocati dal testo stesso: Israele, Dio e il profeta. L’ingiustizia dei capi di Samaria è da collegare con l’azione giusta di Dio; la prima appare nelle descrizioni del crimine disseminate in tutta l’unità letteraria, la seconda è espressa negli oracoli di condanna e soprattutto nei cosiddetti frammenti innici (4,13 e 5,8-9). Tra le due azioni la parola profetica denuncia e condanna l’iniquità e la perversione dei ricchi dirigenti di Israele, e annuncia quindi il «fare» creatore di Dio, che fa giustizia distruggendo la forza arrogante (5,9). L’invito a promuovere il giudizio alla porta (5,15) si identifica allora con l’acconsentire alla parola di Amos, ascoltandone il giudizio e la condanna. Non c’è differenza essenziale tra la prima sottosezione, in cui risuona l’invito ad 108
Si parla esplicitamente del processo solo nella sequenza centrale, che così diventa il cardine dell’interpretazione.
La sezione B: 3,1–6,14
305
«ascoltare», e l’ultima sottosezione, in cui il profeta pronuncia la «sventura». È impossibile evitare il diluvio che si abbatte sulla faccia della terra (5,8); rimane solo la speranza che, nello sconvolgimento cosmico, il resto di Giuseppe trovi grazia (5,15) e diventi testimone, come il profeta stesso, che non c’è vita se non nella giustizia. L’esilio patito dall’insieme di Israele viene riletto, alla luce della parola di Amos, come il passaggio attraverso il giusto giudizio di Dio; come ogni atto di giustizia, anche l’esilio porterà il suo frutto di vita. Ma tutto ciò è rinviato, come è giusto che sia, alla fine del libro, perché si capisca e si accetti che non c’è vita se non nel passaggio universale sotto il giudizio divino.
LA VISIONE DELLA FINE Sezione C 7,1–9,15
308
La sezione C
La terza sezione del libro di Amos comprende cinque sequenze organizzate concentricamente. Le sequenze estreme (C1 e C5) sono formate da un solo passo, le altre tre comprendono più passi. Questa sezione è caratterizzata dalla presenza di cinque visioni. Le prime quattro (7,1; 7,4; 7,7; 8,1) iniziano con un formulario analogo: Così mi fece vedere (il Signore Dio): ed ecco...
Nella terza (7,7) il soggetto, «il Signore DIO», non è espresso; la quinta visione invece (9,1) inizia in modo differente: «Vidi il Signore». Queste cinque visioni sono distribuite in modo disuguale lungo la sezione: le prime due, perfettamente parallele tra loro, formano la prima sequenza (C1); le due successive, che sono tra loro parallele, e si distinguono nettamente dalle due precedenti, si trovano alle estremità della seconda sequenza (C2); la quinta visione si trova all’inizio della quarta sequenza (C4): queste ultime due visioni fungono da termini medi (a distanza) per le sequenze C2 e C4.
14 L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale Sequenza C1: 7,1-6
Questa sequenza comprende due passi paralleli tra loro, la visione delle locuste (7,1-3) e quella del fuoco (7,4-6). Un medesimo schema letterario costituisce l’ossatura di ognuna delle due visioni, come mostra lo schema seguente:
Il Signore fa vedere la minaccia
delle locuste
Il profeta interviene a favore di Giacobbe Il Signore rinuncia al castigo
Il Signore fa vedere la minaccia
2b-e 3
del FUOCO
Il profeta interviene a favore di Giacobbe Il Signore rinuncia al castigo
1-2a
4 5 6
310
14. L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale 1. LA MINACCIA DELLE LOCUSTE (7,1-3)
TESTO VERSETTO 1
plasma Contrariamente a quello del versetto 4 («che chiama»), questo participio ha il soggetto sottinteso; non è però necessario cercare un soggetto diverso da quello di «che chiama» (4), cioè «il Signore Dio», non solo a motivo della simmetria tra 1b e 4b, ma anche perché questa «omissione del soggetto» non è per nulla un’eccezione1. «Plasmare» è usato con il suo sinonimo «creare» in 4,13: nei due testi il riferimento alla creazione è visto come preludio a una punizione. guaime Il termine ebraico hapax variamente interpretato dai commentatori: «la semina tardiva»2, «il germoglio primaverile». A motivo del membro successivo la maggioranza dei commentatori lo intende come «guaime», cioè l’erba che rinasce nei prati dopo la prima falciatura3. ed ecco il guaime che spunta dopo la falciatura del re La traduzione della LXX, «ed ecco una locusta è il re Gog», attesta la difficoltà del testo. Secondo il TM sembra che la prima falciatura sia stata riservata, totalmente o in buona parte, al fabbisogno del re (1Re 18,5), mentre la seconda falciatura, il «guaime», doveva servire al popolo. Benché sia difficile assegnare con precisione un significato alle singole parole, il senso generale è comunque relativamente chiaro: il flagello (delle locuste) giunge in un momento veramente critico per la vita del popolo.
1
Cfr. Joüon, 146h. Basandosi sullo studio di J. SONNEN, «Landwirtschaftliches», E. POWER, «Note to Amos 7,1», sostiene che il termine leqeš significhi «l’ultimo raccolto» (seminato nel tardo febbraio); egli interpreta poi l’espressione qui tradotta con «la falciatura del re» come una tassa che il re prelevava sul primo raccolto. 3 Così D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 674-675. 2
Sequenza C1: 7,1-6
311
VERSETTO 2
E avvenne La forma verbale ebraica significa abitualmente un evento futuro («e sarà»). Alcuni propongono perciò una correzione testuale4. Per tutti il senso è chiaramente quello di un’azione passata5. come reggerà Sebbene il senso della frase ebraica sia limpido, piuttosto varie sono la sua interpretazione grammaticale e la sua traduzione. La LXX e la Vulgata danno al verbo un valore causativo: Giacobbe diventa così complemento oggetto (= «Chi rialzerà Giacobbe?»). I traduttori moderni rispettano il TM e attribuiscono al pronome interrogativo mî un valore predicativo («quale»)6, traducendo «come può resistere Giacobbe?». Da segnalare anche l’interpretazione di Andersen – Freedman, che vedono nel pronome mî l’espressione di un intenso desiderio (abitualmente il pronome è seguito da yittēn: «Chi farà in modo che...»)7. COMPOSIZIONE + 1 Così mi fece-vedere
il Signore
DIO:
: Ed ecco che plasma locuste all’inizio del crescere del guaime, : ed ecco il guaime dopo la falciatura del re, : 2 e avvenne, allorquando esse finirono di mangiare l’erba della terra, ······································································
e io dissi: «Signore DIO, come poiché
perdona, di grazia, reggerà Giacobbe, è piccolo lui?».
······································································
: 3 Si pentì il SIGNORE di questo: : “(Questo) non avverrà”, + dice
il
SIGNORE.
Il passo comprende tre brani, organizzati concentricamente. Nel primo il Signore fa vedere al profeta il castigo che sta per compiere (1-2a), nel secondo il 4 Cfr. BHS che — riprendendo un suggerimento di C.C. TORREY, «On the Text», 63 — propone di leggere wayhî hū’ mekalleh («E avvenne mentre finiva») invece del TM wehāyâ ’im killâ. 5 H.G. MITCHELL, «hyhw of the Past», specialmente 50-52, difende il TM; cfr. anche Joüon, 119z; ugualmente, T. SEIDL, «Heuschreckenschwarm». 6 Cfr. Rosenmüller, 205; G. RINALDI, «ym (mj)»; Wolff, 292; Rudolph, 229-230. 7 Andersen – Freedman, 743-744.
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14. L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale
profeta intercede per Giacobbe (2b-e), nel terzo il Signore dichiara al profeta che ha cambiato parere (3). Mentre il primo brano inizia con la formula di introduzione (1a), seguita da un trimembro, l’ultimo brano termina con la formula di conclusione di oracolo (3c), preceduta da un bimembro con l’opposizione complementare «vedere» (far vedere) – «dire»; «questo» (3a) rimanda al castigo descritto in 1b-2a8. Il nome del «Signore» ricorre in ognuno dei tre brani9. È lui il principale attore del racconto; il soggetto che racconta, il profeta, evocato all’inizio («mi fece vedere»), è attivo nel brano centrale dove la parola fa prendere agli eventi un’altra direzione; solo qui appare il nome «Giacobbe». Nel primo brano la minaccia è espressa con il verbo hyh («e avvenne»), lo stesso verbo che nel brano finale indica la sospensione della minaccia («non avverrà»).
CONTESTO Il genere letterario del racconto di «visione», quale espressione dell’esperienza profetica, è attestato nella letteratura biblica10; esso esprime l’idea di una speciale rivelazione fatta da Dio a un uomo, che per ciò stesso è abilitato a parlare11. Basti ricordare il personaggio di Balaam e il modo in cui inizia la sua profezia: «Oracolo di Balaam, figlio di Beor, oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante; oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell’Altissimo, di chi vede la visione dell’Onnipotente, e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi» (Nb 24,15-16). Il testo di Amos avrebbe in particolare ispirato Geremia (1,11-16; 24,1-10; ecc.)12. La preghiera di «intercessione» a favore del colpevole, per ottenere perdono e clemenza, è attribuita a diversi grandi personaggi della storia biblica: fra questi, oltre ad Abramo (Gen 18,22-33), speciale importanza hanno Mosè (Es 5,22-23; 32,11-14.30-32; Nm 14,13-19; Dt 9,25-29; Sal 106,23), Samuele (1Sam 12,19; 8
Da notare che i tre membri di 1b-2a si susseguono secondo un ordine cronologico: all’inizio del crescere del guaime sono create le locuste, il guaime cresce, le locuste si apprestano a mangiare tutto (nei membri estremi si parla delle locuste, solamente del guaime nel membro centrale). 9 Nell’ultimo brano le due ricorrenze di «Signore» fanno inclusione. 10 S. AMSLER, «La parole visionnaire des prophètes», fornisce una lista di ventidue racconti di visione nella letteratura profetica: oltre ai cinque di Amos, se ne trova uno in Isaia (6,1-11), quattro in Geremia (1,11-12; 1,13-16; 24,1-10; 38,21-22), quattro in Ezechiele (1-3; 8-10 e 11,22-25; 37,1-14; 40-48), otto in Zaccaria (1,8-15; 2,1-4; 2,5-9; 3,1-7; 4,1-6.10-14; 5,1-4; 5,5-11; 6,1-8). L’elenco è piuttosto disparato ed è francamente problematico il trovare uno schema letterario comune a tutti questi testi (cfr. J.L. SICRE, Profetismo en Israel, 101-108). 11 Numerosi sono gli studi in proposito; cfr. in particolare J.D. WATTS, Vision and Prophecy, 27-50; F. HORST, «Die Visionsschilderungen»; E. BENZ, Die Vision; B.O. LONG, «Prophetic Call Traditions»; id., «Reports of Visions»; K. KOCH, «Vom prophetischen»; S. NIDITCH, The Symbolic Vision; J.E. MILLER, «Dreams and Prophetic Visions». 12 W. BEYERLIN, Reflexe der Amosvisionen.
Sequenza C1: 7,1-6
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Ger 15,1; Sal 99,6) e, tra i profeti, Geremia (Ger 7,16; 11,14; 14,11; 2Mac 15,14)13. Il ruolo intercessorio di Amos, che appare strano alla luce dei capitoli precedenti, e anche di ciò che segue, non è estraneo alla logica del litigio (rîb), che il Signore intraprende nei confronti del suo popolo (Am 7,4): accusa e punizione infatti sono la mediazione necessaria della conversione e della riconciliazione, allo stesso modo che sono la confessione della colpa e la richiesta di perdono14.
INTERPRETAZIONE Il passo è strutturato in tre brani, che costituiscono i tre momenti successivi di un unico evento; l’articolazione tra questi tre momenti, il loro reciproco rapporto costituirà l’interpretazione del primo passo della sezione (e, analogamente, anche del secondo). DIO FA VEDERE: LA MINACCIA (1-2A) Abbiamo anzitutto una visione profetica. Descrivere quale tipo di esperienza sensoriale e psicologica essa comporti, sembra misconoscere il fatto che si tratta di un genere letterario mediante il quale il profeta evoca la percezione incontrovertibile di una realtà invisibile. Non solo è incongruo prendere alla lettera il fatto di vedere Dio mentre plasma le locuste; di più, il profeta dice di vedere un avvenimento, che di fatto non si produrrà (3)! Come si diceva a proposito del titolo del libro (1,1-2), visione e audizione indicano entrambe che il profeta è strumento di una rivelazione divina: è Dio che «fa vedere», così come è Dio che, parlando, suscita la parola profetica (3,7-8). Ora, l’ascolto di Amos e il suo profetare sono provocati dal ruggito del leone (3,8), così le sue visioni sono contrassegnate da un contenuto minaccioso. Il pericolo è rappresentato qui dalle locuste15. Quale flagello tali insetti siano per la vegetazione16 è un fatto ben conosciuto dalla tradizione biblica, che lo considera una maledizione (Dt 28,38). Amos, che in 4,9 aveva già parlato di una simile piaga, nella sua descrizione della visione sembra indicare che la minaccia è destinata a colpire la gente comune, che non ha potuto approfittare del primo 13
Sul tema dell’intercessione, cfr. in particolare: N. JOHANSSON, Parakletoi, 3-62; A.B. RHODES, «Israel’s Prophets as Intercessors»; E. JACOB, «Prophètes et intercesseurs»; S.E. BALENTINE, «The Prophet as Intercessor»; id., «Prayer in the Wilderness Tradition»; E. AURELIUS, Der Fürbitter Israels. 14 Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 27-148; sul ruolo dell’intercessione nella dinamica del litigio, 115-116. 15 In ebraico, parole diverse sembrano designare specie diverse di cavallette (cfr. per esempio Gl 1,4 e Na 3,15-17); si tratta, in ogni caso, di insetti migratori particolarmente voraci, che distruggono la vegetazione. 16 L’immagine va intesa nel suo senso più ovvio. Non è escluso però che il riferimento alle cavallette possa valere come metafora dell’invasione di un esercito nemico (cfr. Gl 1,4-12), allo stesso modo che il leone, in Am 3,12, è una metafora del nemico che attacca il paese (3,11).
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14. L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale
taglio dell’erba (o di un primo raccolto) destinato al re. Il pericolo è dunque grave, soprattutto per i più poveri. È il Signore che fa vedere la minaccia. Ciò significa che il profeta si sente come illuminato sulla gravità della situazione che si sta preparando: Dio non agisce infatti senza comunicare il suo disegno (3,7-8; 4,13). La visione è la messa in esercizio dello spirito profetico. IO DISSI: L’INTERCESSIONE (2B-D) Ma, mentre la voce di Dio (il suo ruggito) produce il grido di allarme profetico (3,8), la visione suscita l’intercessione. Invece di denunciare il male e di invitare alla conversione, il profeta diventa l’interprete di una preghiera che invoca il perdono17. Indirettamente, ma in modo chiaro, Amos riconosce che il flagello delle locuste è la risposta punitiva di Dio al peccato del popolo. Il fatto di dire: «perdona, di grazia» (7,2b) è ammissione di colpa e richiesta di sospensione della conseguente punizione. Tale richiesta è motivata18 dalla piccolezza di Giacobbe; ma il senso di una simile motivazione non è facile da capire19. Si può forse pensare che Amos faccia così riferimento alle tradizioni dell’elezione di Giacobbe, preferito a Esaù, proprio perché era più piccolo (Gen 25,23; 27,15-29; Ml 1,2-3; cfr. anche Dt 7,7-8)20: il Signore sarebbe così richiamato al suo impegno di alleanza nei confronti di Israele21. Si potrebbe anche pensare che il profeta implori il perdono a ragione della debolezza morale del suo popolo; l’essere piccoli infatti può equivalere a una inadeguata conoscenza delle esigenze della legge di Dio (cfr. Ger 5,4). Oppure, nello stesso Amos echeggerebbe il Sal 130,3-4: «Se consideri le colpe, Signore, Signore chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono...»22; la miseria dell’uomo è tale che può contare solo sul perdono di Dio. Infine, si può probabilmente ritenere che Amos invochi da Dio la sospensione della punizione, la cui gravità rischierebbe di annientare l’intero popolo: Giacobbe è infatti talmente piccolo — per il numero di abitanti e per l’esiguità delle sue risorse economiche — che non potrebbe 17
Non si tratta di una logica necessaria, intrinsecamente collegata con la particolare metafora (audizione e/o visione) utilizzata per significare la comunicazione divina all’uomo-profeta: la visione infatti, anche in Amos (cfr. 9,1-4), può condurre a una parola di annuncio. Si vuole solamente sottolineare che nel testo di 7,1-6 il binomio visione — intercessione è complementare a quello di audizione — comunicazione (del messaggio), presente, per esempio, in 3,1-8. Il rapporto tra i due binomi esprime compiutamente la natura dell’atto profetico. 18 Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 113-115. 19 Cfr. la perplessità di Andersen – Freedman, 744. 20 Cfr. J. JEREMIAS, «Jakob im Amosbuch», 141. 21 Questa è l’interpretazione di W.A. BRUEGGEMANN, «Amos’ Intercessory Formula», che nella richiesta di Amos vede una rivendicazione (rîb) di diritto, riguardante in particolare la terra di Israele. 22 Oltre a una generica somiglianza tematica, il rapporto tra Am 7,2 e Sal 130,3-4 è rafforzato dall’uso particolare dei nomi di Dio (YHWH e Adonay), dal riferimento esplicito al perdono (radice slḥ) e da una formula simile riguardante la conseguenza della punizione (in Am 7,2: «come reggerà?»: mî yāqûm; in Sal 130,3: «chi potrà sussistere?»: mî ya‘āmôd).
Sequenza C1: 7,1-6
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sopravvivere a una prova simile. Quest’ultima considerazione sembra la più convincente: essa si accorda tra l’altro, con la critica di Amos alla mania di grandezza dei dirigenti di Samaria (cfr., in particolare, 6,1-3.8.13) i quali, alterando la natura di Israele (pretendendo cioè di renderlo forte e grande come l’Amorreo: 2,9), conducono il popolo alla rovina. Israele è salvato solo dalla sua piccolezza. DIO DISSE: LA SOSPENSIONE DELLA MINACCIA (3) La forza della parola profetica è di intervenire nella storia producendo degli effetti reali: essa arreca la sventura come punizione di Dio, ma essa è anche capace di frenare il male, di tenere come in sospeso la collera del Signore. Se il profeta non rivelasse la sua preghiera intercessoria, Israele non saprebbe di essere graziato. L’immagine utilizzata è quella di un Dio che «si pente»; e questo antropomorfismo non manca di suscitare perplessità23. Si deve ovviamente scartare l’idea che il progetto divino fosse sbagliato, perché frutto di un animo precipitosamente incline a punire, mentre il profeta rappresenterebbe la giusta dimensione della misericordia e della moderazione: il «pentirsi» di Dio non può essere il passaggio dal male al bene. Nemmeno si tratta di un accondiscendere benevolo di Dio nei confronti di una richiesta importuna e inopportuna, che a quel momento non avrebbe ancora accettato la decisione del Signore di punire Israele24. Il «pentirsi» di Dio significa che un procedimento di giustizia (cioè di punizione) da parte di Dio è interrotto, o più esattamente sospeso; e questo tempo di «pazienza» è dovuto alla presenza del profeta all’interno del popolo. Il profeta infatti vede il male di Israele e vede anche imminente la giusta punizione di Dio; ma il fatto di confessare la colpa e di invocare la misericordia in nome di Giacobbe, in nome cioè dell’amore del Signore per il suo popolo, mantiene, all’interno della storia, una possibilità di remissione25. Dio si pente, in attesa che, al posto della preghiera di intercessione, si realizzi, per la parola profetica, il pentimento del popolo. Finché c’è un profeta che parla, c’è speranza per Israele. Perché c’è speranza che la verità, condizione indispensabile della giustizia, conduca a una perfetta riconciliazione.
23
Cfr. il lungo Excursus di Andersen – Freedman, 638-679. È la tesi di L. ESLINGER, «The Education of Amos». 25 Non si tratta solo della possibilità di scegliere tra diversi tipi di punizione, come nel racconto di 2Sam 24,12ss (Wolff, 298, sembra propendere per questa opinione); se Dio dice: «Questo non avverrà» (Am 7,3), tale parola annulla radicalmente la prospettiva minacciosa emersa nella visione. 24
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14. L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale 2. LA MINACCIA DEL FUOCO (7,4-6)
TESTO VERSETTO 4
una lite per mezzo del fuoco Sebbene la LXX segua il testo ebraico, il carattere insolito della costruzione ha indotto alcuni esegeti a correggere in «una pioggia di fuoco»26, correzione che non ci sembra necessaria27. il campo Alcuni manoscritti della LXX aggiungono «del Signore»; la parola ḥēleq, che significa «la parte» (di eredità), designa talvolta la terra di Israele (2Re 9,10; Mic 2,4). COMPOSIZIONE + 4 Così mi fece-vedere
il Signore DIO:
: Ed ecco che chiama a una lite per mezzo del fuoco il Signore DIO : e dopo aver mangiato il grande abisso, stava per mangiare il campo; ······································································ 5
e io dissi: «Signore DIO, come poiché
cessa, reggerà è piccolo
di grazia, Giacobbe, lui?».
······································································
: 6 Si pentì il SIGNORE di questo: : “Anche questo non avverrà”, + dice
il Signore
DIO.
Questo passo è composto come il precedente28. Le due ricorrenze di «il Signore Dio» fanno inclusione.
26 Soluzione proposta da M. KRENKEL, «Zur Kritik», 271, e ripresa da D.R. HILLERS, «Amos 7,4»; questa correzione è accettata da Mays, 130; Wolff, 292-293. Rudolph, 232, corregge in «fiamma di fuoco». 27 Cfr. J. LIMBURG, «Amos 7:4»; P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 31; D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 675-676. G. BRIN, «The Superlative», propone invece di tradurre: «un fuoco enorme», interpretando il nome ’ădōnāy yhwh come un superlativo. 28 Cfr. p. 311.
Sequenza C1: 7,1-6
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CONTESTO La siccità, che colpisce un paese, e in particolare la terra di Israele, è un fenomeno frequentemente menzionato nella letteratura biblica. Dato che è il Signore stesso, in quanto creatore e sovrano, che provvede a irrigare le montagne e le valli con la pioggia del cielo e con l’acqua che sgorga dall’abisso (Dt 8,7; 11,10-11.14-15; 2Sam 23,4; Ger 5,24; 10,13; Sal 104,10-15; ecc.), la siccità riveste immediatamente il carattere di punizione (Dt 11,17), anzi di maledizione (Lv 26,19-20; Dt 28,22-24; cfr. 2Sam 1,21). Si comprende allora perché, nelle tradizioni di Israele, l’assenza di pioggia — che produce fatalmente una stagione di penuria e di carestia — riveli e denunci il peccato del popolo (1Re 8,35; Ger 14,1-9; 2Cr 7,13-14). I ripetuti riferimenti alla siccità presenti nel libro di Amos (1,2; 4,7-9; 7,4 e, con una valenza metaforica, 8,11-12) trovano un’eco e uno sviluppo nei successivi testi profetici (Is 5,6.13; 42,15; 44,27; 50,2; Ger 12,4; 23,10; 50,38; Ez 17,9-10; Os 2,5; 13,15; Gl 1,12.19-20; Na 1,4; Ag 1,11; ecc.). La benedizione di Giacobbe, e quindi del territorio del regno di Samaria, riguarda in modo specifico l’abbondanza delle pioggie e la perennità delle fonti (Gen 49,22.25; Dt 33,13); quando allora un profeta come Amos, la cui predicazione è sostanzialmente indirizzata alla gente del nord, annuncia la siccità, è chiaro che mette in questione la promessa stessa fatta al figlio di Giacobbe. Lo sconvolgimento dei cicli naturali rivela inoltre chi sia in Israele il vero Dio, il vero Signore. E questo ci ricorda Elia, profeta del nord, la cui parola era come un fuoco (Sir 48,1-3): non solo per tre anni il cielo non diede né pioggia né rugiada (1Re 17,1; 18,1), ma persino i torrenti si seccarono (17,7), quasi che le sorgenti stesse dell’abisso fossero inaridite29.
INTERPRETAZIONE La struttura letteraria della seconda visione di Amos è identica a quella della prima; gli elementi di somiglianza, molto marcati, tra i due passi inducono ad affermare che più che evocare due eventi successivi, l'autore vuole insistere sulla ripetizione di una medesima esperienza. Parafrasando l’interpretazione data da Giuseppe ai due sogni del faraone, si può dire che la visione di Amos è una sola (cfr. Gen 41,25); se è ripetuta due volte, ciò significa che la cosa è proprio decisa da parte di Dio (41,32)30. Ciò che è stato deciso non è la minaccia di distruzione; è piuttosto il fatto che il Signore rinuncia a punire perché il profeta invoca il perdono. 29
Il rapporto tra siccità e fuoco è descritto efficacemente in Gl 1,19-20: «Il fuoco ha divorato i pascoli della steppa e la vampa ha bruciato tutti gli alberi della campagna. Anche le bestie della terra sospirano a te, perché sono secchi i corsi d’acqua e il fuoco ha divorato i pascoli della steppa». 30 Secondo F. LANDY, «Vision and Poetic Speech», 227, la ripetizione binaria (come nel sogno del Faraone) serve a «confermare, ampliare e unificare il messaggio».
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14. L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale
La seconda visione possiede anche dei tratti propri, che ora vanno valorizzati. Anzitutto, la minaccia del fuoco è interpretata secondo le categorie giuridiche del rîb, cioè del litigio bilaterale (7,4). Ciò significa che l’evento della siccità non ha la sua finalità ultima nell’espletare l’azione punitiva; essa è piuttosto strumento e mediazione di una possibile conversione da parte del popolo peccatore (nella linea di quanto detto in 4,6-11). Proprio perché ha funzione strumentale, la siccità può essere messa in questione, allorquando un’altra mediazione può sostituirla: ed è così che la predicazione profetica, cioè la parola di Amos, viene a prendere il posto del fuoco, viene ad assumere una identica funzione (quella di dischiudere la possibilità di un ritorno a Dio)31. In altri termini, assumendo la sua missione di profeta e denunciando perciò il peccato di Israele, Amos adotta la forma del rîb (del litigio) che sospende la discesa del fuoco su Betel (5,6): accusare e intercedere sono due aspetti complementari e inscindibili della vocazione profetica. Ciò che Amos vede è un fuoco che divora il grande abisso; il vocabolario utilizzato che rimanda alla cosmologia della creazione32, indica che vi sarà un sovvertimento dell’ordine naturale dalle conseguenze disastrose. Come è già stato suggerito33, tale catastrofe mette in questione la speciale benedizione accordata a Giuseppe. Ne consegue che l’ordinamento cosmico è mantenuto nella sua durata solo perché il profeta impedisce, per dir così, la consumazione del mondo; e ne deriva anche che, senza il profeta, l’elezione si rivela inutile. Senza la preghiera e la parola profetica, la storia sarebbe distrutta, il fuoco annienterebbe il cosmo, sarebbe la fine del mondo. Ciò che Amos vede e ciò che comunica ai suoi uditori e lettori, non è quindi solo che una grave minaccia pesa su Giacobbe; egli rivela al tempo stesso che il profeta è indispensabile per la sopravvivenza del popolo di Dio. Mentre nella prima visione Amos chiedeva il perdono, nella seconda domanda la sospensione del provvedimento punitivo minacciato (cfr. Es 9,29.33-34; Ger 41,8). Le due visioni sono così complementari: la richiesta di perdono infatti comporta la non applicazione del castigo, e viceversa34; si può tuttavia ritenere che il grido «cessa (di grazia)», sottolinei maggiormente l’ineluttabilità del 31 La parola del profeta appare così rispettosa della «piccolezza» di Giacobbe; essa vuole salvarlo nella debolezza, mediante uno strumento non violento. 32 Nella cosmologia biblica il «grande abisso» indica le acque sotterranee che alimentano i pozzi e i fiumi. In certi racconti mitologici dell'antico Vicino Oriente la divinità lotta contro il mostro primordiale servendosi dell’arma del fuoco (cfr. P.D. MILLER, Jr., « Fire in the Mythology»). Come afferma Rudolph, 233, sembra che il testo di Amos non sia da leggere sullo sfondo di tali miti; le espressioni mutuate da questi racconti servono a dare una dimensione soprannaturale ad avvenimenti meteorologici frequenti (cfr. Dt 32,22); cfr. Andersen – Freedman, 747-748. 33 Cfr. p. 317. 34 Paul, 230-233, ritiene che Dio non accordi un vero perdono (nella prima visione) e che Amos non preghi per ottenere tale perdono (nella seconda visione). Questa interpretazione non convince; la terminologia biblica del perdono in realtà è piuttosto varia e non pare si debbano stabilire delle gradazioni di valore tra i vari termini (cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 126138).
Sequenza C1: 7,1-6
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processo in corso, e costituisca quindi un vertice drammatico per l’intera sequenza.
3. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (7,1-6) COMPOSIZIONE + 1 Così mi fece-vedere
il Signore DIO:
: ED ECCO che plasma locuste all’inizio del crescere del guaime, : ED ECCO il guaime che spunta dopo la falciatura del re, : 2 e avvenne, allorquando esse finirono di mangiare l’erba della terra, ·········································································
e io dissi: «Signore DIO, come poiché
perdona, reggerà è piccolo
di grazia, Giacobbe, lui?».
·········································································
: 3 Si pentì il SIGNORE di questo: : “Questo non avverrà”, + dice
il SIGNORE.
+ 4 Così mi fece-vedere
il Signore DIO:
: ED ECCO che chiama a una lite per mezzo del fuoco il Signore DIO : e dopo aver mangiato il grande abisso, stava per mangiare il campo. ········································································· 5
e io dissi: «Signore DIO, come poiché
cessa, reggerà è piccolo
di grazia, Giacobbe, lui?».
·········································································
: 6 Si pentì il SIGNORE di questo: : “Anche questo non avverrà”, + dice
il Signore DIO.
I due passi sono perfettamente paralleli tra loro. Solo i secondi segmenti dei primi brani (1b-2a e 4bc), che descrivono il castigo, sono differenti; entrambi però iniziano con «Ed ecco» e vi si riprende lo stesso verbo «mangiare» in posizione simile (quasi alla fine). I secondi brani (2b-e e 5) sono identici, con la sola variante degli imperativi, «perdona» (2c) e «cessa» (5b). Lo stesso vale per i terzi brani (3 e 6), dove le uniche differenze sono l’aggiunta di «anche» in 6b e di «il Signore DIO» in 6c al posto del semplice «il SIGNORE» in 3c (le due
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14. L’intercessione del profeta sospende la distruzione finale
ricorrenze di «il Signore DIO» in 1a e in 6c fanno così inclusione per l’insieme della sequenza). Da notare anche un certo rapporto tra «plasmare» di 1b e «il grande abisso» di 4c: questi due termini infatti fanno riferimento alla creazione; inoltre, le parole «terra» (2a) e «campo» (4c; come termini finali dei primi brani), fanno indirettamente allusione al paese di Israele.
INTERPRETAZIONE DUE VISIONI DI UNA SOLA REALTÀ Il testo presenta due visioni successive; la parola del Signore che conclude il secondo racconto, «Anche questo non avverrà» (6), segnala che si tratta di un evento distinto dal primo e ad esso posteriore. I due flagelli, l’invasione delle locuste e la siccità, benché apparentati35, possono infatti manifestarsi separatamente, in momenti diversi36. E tuttavia si può affermare che si tratta di una sola realtà, presentata due volte allo scopo di ribadirne l’importanza. In primo luogo, perché l’effetto dei due flagelli è identico, consistente nel distruggere la vegetazione («mangiare»: 2a e 4c) e quindi la possibilità di vita nel paese. In secondo luogo, perché ciò che si mantiene inalterato è l’atto divino di rinunciare alla punizione (3ab e 6ab). Ciò che esiste veramente e ciò che dura è solo la pazienza di Dio, mentre i castighi, nella loro molteplicità, non si realizzano. LA SOVRANITÀ DEL SIGNORE L’atto che permane nel susseguirsi dei giorni è il rinunciare di Dio al suo potere punitivo. Il riferimento al potere del Signore traspare da diversi indizi: il fatto che al nome proprio YHWH sia aggiunto il titolo «Signore» (1a, 2b, 4ab, 5a, 6c) comporta senz’altro una connotazione di autorità (cfr. 4,1); d’altro canto le diverse allusioni alla potenza creatrice di Dio37 rivelano la sua signoria sulla terra. Ora, tale potere si manifesta allorquando vengono alterati certi cicli naturali, o si determinano eventi che non possono essere ascritti che ad una entità superiore. Così, dopo ogni piaga che colpiva il paese d’Egitto, il faraone era costretto ad ammettere l’esistenza di un potere più alto, che doveva supplicare e 35 Cfr., per esempio, Gl 1,4-12: il testo inizia con la predizione dell’invasione di varie specie di cavallette (4) e si conclude con l’annuncio della siccità (12; cfr. anche la minaccia del fuoco in 1920). 36 In Am 4,6-9 il profeta parla di carestia e di siccità (6-8), e in seguito, come ulteriore calamità, delle cavallette (9). 37 Si notino, in particolare, i termini «plasmare» in 1b (Soggin, 151, insiste sul fatto che il Signore forma «lo sciame», negando quindi che si tratti dell’atto di creare le cavallette; l’allusione alla potenza creatrice sembra tuttavia evidente); «il grande abisso» in 4c; e anche il verbo qr’, «chiamare» / «convocare», che in Am 5,8 e 9,6 viene usato nei cosiddetti «frammenti innici» per annunciare la devastazione cosmica mediante le acque, mentre in 7,4 evoca la distruzione con il fuoco.
Sequenza C1: 7,1-6
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a cui doveva sottomettersi (cfr. Es 8,4; 9,27s; 10,16s; ecc.). Ma il re di Israele, che ha tranquillamente prelevato i suoi diritti sul primo taglio di erba (1c) e che non vede nessun segno negativo, potrà e vorrà sottostare al sovrano di tutta la terra38? Ecco dove si cela la tensione del testo: tutta la potenza divina appare inesistente (3ab e 6ab) perché il Signore rinuncia a manifestarla. Ed Egli vi rinuncia perché esiste un uomo, il profeta Amos, che riconosce — che vede — questa autorità e ne impedisce il dispiegarsi distruttivo. IL PROFETA E IL «PICCOLO GIACOBBE» Dio non minaccia per imporre la sua autorità. Minaccia perché è Dio di giustizia, e mette tutta la sua forza al servizio del bene; il che significa il perseguimento del colpevole e la sua punizione. Senza questa «visione» di Dio, il malvagio resterebbe nel suo peccato (Is 26,10) perché non accederebbe al timore di Dio, che è principio di saggezza e di vita (cfr. 3,8). A rivelare tale visione di Dio è il profeta. E naturalmente a lui si deve credere, perché nessun altro vede, perché a nessun altro Dio ha «fatto vedere» la creazione delle cavallette e la convocazione del fuoco. E si deve credere anche che, come nel caso delle piaghe d’Egitto, è la preghiera dell’inviato di Dio a far cessare o sospendere il castigo. Nessuno infatti ha udito la parola del Signore in risposta all’intercessione di Amos. E, infine, si deve credere che il cuore dell’intercessione profetica è legato alla considerazione della «piccolezza» di Giacobbe. Amos è, all’interno di Israele, la voce che ricorda che il perdono è concesso solo a chi è umile. Quest’ultimo aspetto è diametralmente opposto alla politica di prestigio, all’orgoglio e al lusso, alla smania di grandezza manifestata dai dirigenti di Samaria (denunciata in modo dettagliato nei capitoli 3-6). Essi credono che sia il loro sagace agire in ambito economico e politico ad allontanare il disastro (6,3), ed è quindi naturale che considerino inutile il profeta39, anzi, credono che mini alla base gli interessi del regno. Proprio questo, come verrà sviluppato dalla prossima sequenza, segnerà la fine di Israele.
38 È il sovrano di questo mondo che mette in discussione la sovranità di Dio: cfr. l’interpretazione del titolo del libro, supra, p. 41-42. 39 L’apparente inutilità del profeta sembra intrinsecamente connessa con il suo ruolo, invisibile, di intercessore: finché c’è un profeta, finché c’è un giusto nella città, il male è scongiurato (Gen 18,22ss; Ger 5,1). Ma questo il malvagio non lo vede e così espelle il profeta, lo uccide. Solo allora, quando il profeta non c’è più, quando il disastro si abbatte sulla città, si può constatare quanto la sua presenza sia indispensabile per la vita di tutti.
15 L’espulsione del profeta determina la distruzione finale Sequenza C2: 7,7–8,3 La prima sequenza comprendeva le prime due visioni della sezione; la seconda sequenza inizia con la terza visione (7,7-9). Questa però non appartiene allo stesso sistema delle prime due, poiché la sua forma è molto differente1; presenta invece una strutturazione del tutto simile a quella della quarta visione (8,1-3); ecco il formulario: + Così mi fece vedere ................... : . ed ecco ........................ X2 = E disse ................... : «Cosa vedi, Amos?» = E dissi : « X !» + E disse il Signore ..... : «................................. X ..... il mio popolo Israele, e non continuerò più a lasciar correre per lui: : E .......................................... 3 : .............................................. - .............................................»?
Queste due visioni formano due passi brevi e paralleli tra loro (alla prima persona) che racchiudono un passo narrativo nettamente più lungo (7,7-10; alla terza persona). I tre passi formano dunque una sequenza strutturata concentri-
1
Mentre le prime due visioni presentano un contenuto chiaro (la minaccia delle locuste e della siccità), la terza e la quarta vengono interpretate da Dio stesso, dato che il loro oggetto appare neutro e polivalente. Inoltre esse non contengono l’intercessione da parte del profeta, e quindi il racconto della visione termina con una parola divina di punizione. 2 La «X» indica un elemento lessicale che ricorre in tre punti del formulario: nella visione propriamente detta, nella risposta del profeta, e nella parola di Dio che dà l’interpretazione della visione; è l’elemento che di fatto indica la punizione (terza visione: «stagno»; quarta visione: i «frutti d’estate»). 3 Nelle due visioni la formula «non continuerò più a lasciar correre per lui» è seguita da un’esplicitazione della condanna (7,9 e 8,3), nella quale si fa in particolare riferimento ai santuari. Wolff, 295 e 318, reputa che tali versetti siano delle aggiunte posteriori; posizione criticata da Rudolph, 237 e 239.
324
15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
camente. Bisogna sottolineare che questa sequenza è la sola in cui si nomina Amos (sei volte: 7,8a.10c.11a.12°.14a; 8,2a). Il Signore
fa vedere e interpreta:
DELLO STAGNO
la spada
IL PROFETA AMOS È CACCIATO DA BETEL
Il Signore
fa vedere e interpreta:
7,7-9
7,10-17
DEI FRUTTI D’ESTATE
la fine
8,1-3
I. LA VISIONE DELLO STAGNO (7,7-9) TESTO 7 Così
mi fece vedere: Ed ecco il Signore che-stava-ritto su un muro di stagno e nella sua mano uno stagno. 8 E il Signore mi disse: «Cosa vedi, Amos?». E dissi: «Stagno!». E disse il Signore: «Ecco metto stagno in mezzo al mio popolo Israele, e non continuerò più a lasciar-correre per lui. 9 E saranno-devastate le alture di Isacco e i santuari di Israele si seccheranno e mi alzerò su la casa di Geroboamo con la spada».
VERSETTI 7-8
stagno Il significato della parola ’ănāk ha dato luogo a un’abbondantissima letteratura esegetica. Uno dei motivi è che in tutta la Bibbia viene usata solo qui. A partire dal Medioevo si è attribuito a questo termine ebraico il significato di «piombo», interpretandolo generalmente come il «filo a piombo», o la «livella», che con la «corda» vengono, ad esempio, usati da Dio come metafora di distruzione (2Re 21,13; Is 34,11; Lam 2,8)4. L’interpretazione che noi adottiamo fa derivare ’ănāk dall’accadico anāku, «stagno», metallo allora molto prezioso
4
Le moderne versioni della Bibbia preferiscono l’immagine del filo a piombo (cfr. RSV, NEB, NAB, BJ, Dhorme, Vaccari, Einheitsübersetzung, ecc.); nella stessa linea, Rosenmüller, 211; Wolff, 293-294, 330; Soggin, 152-153; S. NIDITCH, The Symbolic Vision, 21; F. LANDY, «Vision and Poetic Speech», 228; H.G.M. WILLIAMSON, «The Prophet and the Plumb-Line».
Sequenza C2: 7,7–8,3
325
perché utilizzato nelle leghe per fabbricare le armi di bronzo; ci si ricollega così al senso della versione della LXX: «un metallo molto duro»5. Il parallelismo di questa visione con quella di 8,1-3 invita a riconoscere nell’uso della parola tradotta qui con «stagno» un’ambiguità analoga a quella tra qāyiṣ («estate») e qēṣ («fine»), cioè tra una cosa positiva e una negativa. Lo stagno infatti può simboleggiare la ricchezza e la potenza di chi lo possiede, e anche la protezione — poiché è un muro —, ma può rappresentare anche l’aspetto minaccioso delle armi usate dal nemico; è in questa linea del resto che la fine del passo esplicita il valore negativo dello «stagno», mediante l’accostamento di due parole dalla sonorità simile (come termini finali dei due ultimi membri), «saranno devastate» (9b) e «spada» (9c). VERSETTO 8
lasciar correre per lui L’espressione è interpretata sia come «passare (sul peccato) di», cioè «perdonare» (cfr. Mic 7,18; Pr 19,11), sia come «passare (favorevolmente) presso». In ogni modo, il senso è chiaro: il Signore ha deciso di non perdonare più.
5
Tra le traduzioni moderne la TOB ha scelto «stagno». Questa interpretazione è presente già agli inizi del secolo: A. CONDAMIN, «Le prétendu “fil à plomb”», dopo avere criticato come infondata l’immagine del filo a piombo, sostiene che nella traduzione si deve sottolineare l’idea di un metallo duro, e propone quindi «il ferro», per l’implicita allusione a un’arma offensiva. Rudolph, 234-235, per questa ragione pensa che Dio abbia in mano un piede di porco o un piccone per demolire il muro. La monografia di W. BEYERLIN, Bleilot, dopo un’accurata analisi lessicografica, sostiene la tesi che lo stagno veicoli l’idea di splendore e di forza, che si ritorcono contro Israele; nella medesima linea si erano già pronunciati: G. BRUNET, «La vision de l’étain»; W.L. HOLLADAY, «Once more»; J. OUELLETTE, «Le mur d’étain» (il quale ritiene che vi sia un gioco di parole tra ’ănāk = «stagno» e ’ănāḥ = «gemere» [cfr. Ez 9,4]); e, ultimamente, C. UEHLINGER, «Der Herr», e D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 677-679. Andersen – Freedman, 756-759, fanno l’ipotesi che nelle quattro occorrenze di ’ănāḥ siano presenti tre diverse radici o parole: nella visione si avrebbe così «un muro intonacato», nella mano di Dio «un pezzo di stagno», e infine, con un gioco di parole, un «male», un’«afflizione», un’«oppressione» posta da Dio in mezzo a Israele. Da parte sua, R.B COOTE, Amos among the Prophets, 92, suggeriva di vedere un gioco di parole tra ’ănāk («stagno») e ’ănōkî («io»); così K. BALTZER, «Bild und Wort».
326
15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
COMPOSIZIONE + 7 Così mi fece vedere: ································ . ED ECCO il Signore
.e 8
CHE-STAVA-RITTO SU un muro di STAGNO nella sua mano uno STAGNO.
E il SIGNORE
mi disse: «Cosa vedi, Amos?».
E
dissi : «STAGNO!».
+ E disse il Signore: ································ . «ECCO metto STAGNO
. e non continuerò più : 9 E saranno-devastate : e i santuari - e MI ALZERÒ
in mezzo al mio popolo Israele, a lasciar-correre per lui. le alture di Israele
di
Isacco si seccheranno
la casa
di
Geroboamo con la spada».
SU
Questo passo comprende tre parti: la visione che viene da Dio (7) sarà spiegata dalle parole del Signore nella terza parte (8e-9), con al centro la domanda di Dio e la risposta di Amos (8ad). La prima parte (7) è formata da un segmento unimembro di introduzione (7a), poi da un bimembro che descrive la visione; i suoi due membri terminano con la stessa parola, «stagno». La seconda parte (8a-d) comprende due bimembri; i primi membri sono narrativi e introducono le parole dei secondi membri. La parte termina con «stagno», come i due membri di 7bc. La terza parte (8e-9) comprende due brani. Il primo è un segmento unimembro narrativo (8e), che introduce le parole del Signore. Il secondo comprende tre segmenti. Il primo è un bimembro (8fg), i cui due membri terminano con la menzione del destinatario delle azioni di Dio («Israele» e il pronome che lo significa). Gli ultimi due segmenti (9) esplicitano ciò che finora era rimasto generico. I due membri del primo (9ab) riguardano i luoghi di culto («alture» e «santuari»). L’ultimo segmento (9c), un unimembro che concerne la «casa» regale, comprende quattro termini: i primi tre sono paralleli a quelli del primo membro del segmento precedente (9a), mentre un quarto termine («con la spada») è aggiunto e ha un rapporto di paronomasia con il verbo che conclude il membro precedente6. Si può ritenere che «la spada» di 9c e «lo stagno» di 7b e 8d fungano da termini estremi tanto per l’ultima parte che per l’insieme del passo. In ebraico si ha un gioco di parole tra «nel mezzo» (beqereb), «saranno devastate» (yeḥĕrābû) e «con la spada» (beḥereb). 6
Sequenza C2: 7,7–8,3
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Da notare che i secondi brani delle parti estreme iniziano con lo stesso «ecco» (7b.8e) e che d’altra parte «stava ritto su» all’inizio (7b) e «alzarsi su» della fine (9c) formano inclusione per l’insieme del passo. CONTESTO A proposito di 7,1-3 è stato accennato al rapporto tra l’esperienza profetica e il genere letterario del racconto di visione. In questa sede, in confronto con altri testi biblici, verrà precisato il carattere specifico delle due visioni della sequenza C2 (7,7-9 e 8,1-3), rispetto a quelle della sequenza precedente (7,1-6). I primi due racconti di visione di Amos presentano uno schema letterario che sottolinea la chiarezza della visione, il fatto cioè che al profeta appaia immediatamente il senso dell’oggetto percepito. Infatti la descrizione della visione è subito seguita dalla richiesta profetica, del tutto proporzionata a quanto il Signore gli ha fatto vedere. Nell’altra coppia di racconti, un diverso schema letterario evidenzia il fatto che Amos vede chiaramente qualcosa, ma il significato dell’oggetto percepito è svelato solo dalla parola di Dio. È come se il profeta si trovasse di fronte a un enigma7, a un sogno, a una parabola, di cui può ricordare e ripetere i tratti, senza però capire cosa significhi. Il contrasto tra ciò che Amos vede e ciò che Dio dice (a proposito dell’oggetto visto), lo scarto anche linguistico tra la parola profetica e la parola di Dio8, esprime l’atto interpretativo. È in questo divario che si situa la «rivelazione», che, come ogni comunicazione sapienziale, ha in se stessa la sua finalità: infatti il profeta, dopo tale rivelazione, non fa nulla, non dice nulla. Il medesimo schema letterario, che ha il suo punto nevralgico nella domanda «Cosa vedi, [nome del profeta – visionario]?», si ritrova nelle due visioni del capitolo 1 di Geremia (1,11-12.13-16) e nella visione dei due cesti di fichi del capitolo 24 (cfr. v. 3). Inoltre, nella serie di visioni narrate da Zaccaria, la quinta e la sesta sono caratterizzate dal medesimo formulario (cfr. Zc 4,2 e 5,2). In senso più ampio, tuttavia, i due racconti della sequenza C2 di Amos trovano un’eco nelle visioni di Zaccaria; infatti per quasi ognuna di esse il profeta pone una domanda e chiede una spiegazione, che gli sarà fornita per mezzo di un angelo (cfr. Zc 1,9ss; 2,2ss; 2,6ss; ecc.). Anche il libro di Daniele presenta le sue rivelazioni utilizzando uno schema narrativo, talvolta molto elaborato, che comprende un elemento «visionario» (anche i sogni sono chiamati «visioni della testa»: Dan 4,10) e un elemento «interpretativo», assicurato da un sapiente (Daniele-Baltazzar) o da un angelo (Gabriele): cfr. Dan 2,31ss; 4,10ss; 7,1ss; 8,1ss. Il carattere apocalittico, la rivelazione cioè della fine9 (cfr. Dan 7
Cfr. S. AMSLER, «La parole visionnaire», 361; F. LANDY, «Vision and Poetic Speech», 228. Facciamo allusione ai giochi di parole abbastanza tipici di questo genere di racconti, chiaramente presenti in Am 8,1-2; Ger 1,11-12.13ss, e che alcuni autori vogliono ritrovare anche in Am 7,7-9 o in Ger 24. 9 P. BEAUCHAMP, L’uno e l’altro Testamento, 231, definisce l’apocalittica come «genere letterario del télos». Il concetto di rivelazione e la dimensione sapienziale della profezia — appa8
328
15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
2,28; 8,17) manifestata attraverso dei «segni» che la esprimono, si intravede già nel testo di Amos: senza un corredo di immagini barocche e terrificanti, senza il supporto di angeli interpreti, ma nella spoglia semplicità di una visione piuttosto banale, il profeta dice che «è giunta la fine per il mio popolo Israele» (8,2)10. INTERPRETAZIONE L’AMBIGUITÀ DELLA VISIONE La visione non è chiara. La storia dell’interpretazione di questo passo, e cioè l’oscillazione tra l’immagine del filo a piombo e quella dello strumento di stagno — quest’ultima non ben definita e variamente spiegata — è un segno evidente dell’ambiguità del testo. Certo, si può sempre dire che ciò dipende dalla nostra inadeguata conoscenza della lingua e delle tradizioni culturali ebraiche, o forse da una cattiva trasmissione manoscritta; ma probabilmente è più esatto pensare che l’ambiguità della visione esprima l’ambiguità in cui versa Israele. L’AMBIGUITÀ DI ISRAELE Amos parla di ’ănāk, cioè di stagno: l’idea di un metallo luccicante sembra essere quella più probabile; da qui l’immagine di un muro splendente e di un oggetto brillante, senza dubbio un’arma, in mano al Signore. L’apparenza è positiva: il popolo di YHWH si sente circondato e protetto da un muro di grande solidità (7b)11. Questo muro è rappresentato dalla casa di Geroboamo (9c) che difende militarmente e politicamente il regno di Samaria12. Inoltre, i discendenti di Isacco sanno che il Signore stesso è presente in mezzo a loro e che il suo
rentata all’enigma (ibid., 247-248) — costituiscono ulteriori punti di contatto tra le visioni di Amos e la letteratura apocalittica. 10 A.G. AULD, «Amos and Apocalyptic», 12, limita l’aspetto apocalittico delle visioni di Amos alla predizione di un disastro immediato e al ruolo che in esso vi svolge il Signore; i visionari apocalittici hanno invece uno spettro di interessi più ampio e sviluppano soprattutto il tema dello svelamento della volontà (celeste) di Dio. Non è certo il caso di fare entrare Amos tra gli scrittori apocalittici, ma piuttosto di notare certe relazioni tra due generi letterari e due epoche della storia religiosa di Israele. 11 Paul, 235, supponendo un’opposizione diretta tra «muro di bronzo» (o di ferro) e «muro di stagno», ritiene che quest’ultimo sia simbolo di debolezza e rappresenti dunque un muro che è sul punto di essere demolito (nella stessa linea, già Cf. UEHLINGER, «Der Herr auf Zinnmauer»). Ciò non è verosimile: non solo non è dimostrata l’opposizione con il bronzo (lo stagno è tra l’altro un costitutivo della sua lega), ma un’immagine di debolezza non è coerente con il seguito della visione e con la sua interpretazione, dove lo stagno designa uno strumento punitivo, in rapporto con la spada. 12 Il «muro di bronzo» come simbolo di inespugnabilità è applicato al sovrano in alcuni testi del Vicino Oriente antico (cfr. A. ALT, «Hic murus aheneus esto»; Paul, 235); sembra dunque plausibile un accostamento tra il «muro di stagno» e la «casa di Geroboamo», che costituiscono i termini estremi del passo.
Sequenza C2: 7,7–8,3
329
potere è una garanzia di salvezza (7c), poiché il loro territorio è costellato di alture e di santuari a Lui consacrati (9ab)13. LA RIMOZIONE DELL’AMBIGUITÀ Ciò che si vede, ciò che appare è lo stagno luccicante (8ab). Ma l’interpretazione divina dice che la presenza di Dio in mezzo a Israele si rivelerà come uno strumento di punizione (8d) e produrrà la desolazione dei santuari e la fine violenta della famiglia regnante (9). Dio mette un termine ai «luoghi» stessi che Israele guardava con attesa fiduciosa, perché mette fine al suo «lasciar correre», alla sua paziente decisione di perdonare (8e). Il messaggio è chiarissimo, la visione è davvero eloquente. Rimane tuttavia una domanda: perché Dio smette di perdonare? La risposta a tale quesito può venire solo dal contesto globale in cui la visione è situata. II. AMOS È CACCIATO DA BETEL (7,10-17) Questo passo14 ha una composizione concentrica. Infatti le parti estreme (1011 e 16-17) sono parallele tra loro: la prima è un discorso di Amasia che manda il suo rapporto a Geroboamo (10) e cita le parole di Amos (11); l’ultima parte è un discorso di Amos che riprende le parole di Amasia (16), per contrapporvi quelle di YHWH (17). Le altre due parti sono la risposta di Amos (14-15: «rispose» in 14a) alle parole di Amasia (12-13). Se ne può ricavare questo schema: Parole di Amasia
10
Parole di Amos
11
in bocca ad Amasia Parole di Amasia Parole di Amos
(a Geroboamo) ad Amos ad Amasia
Parole di Amasia
16
Parole di DIO
17
in bocca ad Amos
12-13 14-15
(ad Amasia)
Si deve notare che questo passo è un racconto, formato però da un seguito di parole. 13
Questo rapporto è suggerito dalla composizione retorica del testo; in ogni caso sembra utile sottolineare che nella visione lo stagno riceve un doppio valore, essendo riferito da una parte al muro e dall’altra all’oggetto che il Signore tiene in mano. 14 Questo passo è stato molto studiato; qui si segnalano solo alcuni studi recenti in cui si potrà trovare la bibliografia complementare: H. UTZSCHNEIDER, «Die Amazjaerzählung»; H.J. STOEBE, «Noch einmal zu Amos VII: 10-17»; M. MANAKATT, A Judgment Narrative.
330
15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale 1. LA PRIMA PARTE (10-11)
TESTO VERSETTO 10
ha cospirato Il verbo usato da Amasia per denunciare l’attività di Amos (qšr) ha senz’altro una connotazione politica: l’accezione abituale del termine indica infatti l’istigazione a una ribellione, che normalmente sfocia nell’uccisione del sovrano (cfr. 2Sam 15,31; 1Re 15,27; 16,9.16.20; ecc.). Nelle frequenti cospirazioni contro le varie dinastie regnanti in Israele non mancò talvolta il sostegno di profeti, come Elia ed Eliseo (cfr., in particolare, 2Re 9,1-10: Eliseo fa consacrare Ieu, alla cui dinastia appartiene Geroboamo II); è verosimile quindi che Amasia, fedele servitore della corona, segnali il pericolo al re Geroboamo15. non può... sopportare tutte le sue parole Si noti la paronomasia: lō’ tûkal hā’āreṣ lehākîl ’et kol debārâw16. COMPOSIZIONE + 10 E mandò +
Amasia, a Geroboamo,
= «Ha cospirato contro di te = e non può il paese
sacerdote re
di Bet-El, di Israele,
Amos sopportare
in mezzo alla Casa d’Israele tutte le sue parole.
dicendo:
······································································································
+ 11 Perché così ha detto Amos: : “Di spada : e Israele
morirà certamente
sarà deportato
Geroboamo dal suo suolo».
Il primo brano (10) inizia con un segmento bimembro (10ab) del tipo A (b c ) / (b’c’) A’, dove i verbi occupano le estremità; dopo questo segmento narrativo, le prime parole di Amasia formano un segmento bimembro (10cd), dove «il paese» rimanda a «la Casa d’Israele» e dove «le sue parole» della fine fa riferimento a «ha cospirato» dell’inizio. Anche il secondo brano (11) inizia con un segmento narrativo (questa volta unimembro); segue un bimembro costruito concentricamente: le espansioni alle estremità, verbi e soggetti al centro.
15
Cfr. Wolff, 310; Soggin, 170-171; Andersen – Freedman, 766. Il rapporto tra il profeta Amos e la situazione politica di Israele è illustrato specialmente da R.E. CLEMENTS, «Amos and the Politics of Israel» (l’autore ne fa un criterio per la storia letteraria di Am 7). 16 Il fenomeno è segnalato da W. WEINBERG, «Language Consciousness», 199.
Sequenza C2: 7,7–8,3
331
Si può dire che «parole» (10d) e «ha detto» (11a) fungono da termini medi. «Geroboamo» unito a «Israele» (10b e 11bc) possono essere considerati termini estremi. 2. LA SECONDA PARTE (12-15) TESTO 12
E disse Amasia ad Amos: «Veggente, vattene, fuggi verso il paese di Giuda e mangia là il tuo pane e là profetizza, 13 ma a Bet-El non continuare più a profetizzare, perché è santuario del re e casa del regno». 14 E rispose Amos e disse ad Amasia: «Non sono profeta né figlio di profeta, ma mandriano e coltivatore di sicomori. 15 E mi prese il SIGNORE da dietro il gregge e mi disse il SIGNORE: “Va, profetizza al mio popolo Israele”.» VERSETTO 12
Veggente Il termine «veggente» fa parte della lista dei nomi con cui in Israele si designa il profeta17. VERSETTO 14
Non sono profeta Questo versetto ha dato luogo a numerose discussioni18. I punti controversi, tra loro correlati, sono: il tempo da attribuire alla frase nominale ebraica (al presente o al passato?), e il senso dei titoli «profeta» e «figlio di profeta». Nessuna delle soluzioni appare esente da critiche19. Infatti, se lo si traduce al presente («non sono né profeta né figlio di profeta»)20, ciò pare contraddire il versetto seguente, dove Amos afferma di essere stato inviato da Dio per profetizzare21. Tradotto con un imperfetto («non ero 17
Cfr. L. RAMLOT, «Prophétisme», 924-926; M.A. VANDEN OUDENRIJN, «De vocabulis», specialmente 297-305. Non sembra sia da riscontrare una nota di disprezzo in questo epiteto (come pensa Marti, 212); non è escluso invece che vi si possa scorgere una nota polemica, una critica indiretta di Amasia ad Amos, dal momento che il termine denota per lo più un servizio legato alla persona del re (cfr. 2Sam 24,11; 1Cr 21,9; 25,5; 29,29; 2Cr 9,29; 19,2; 29,25; 35,15). 18 Cfr. H.H. ROWLEY, «Was Amos a Nabi?»; Rudolph, 256; Andersen – Freedman, 777. 19 Questa è la conclusione a cui giunge M. MANAKATT, A Judgment Narrative, 66-79, nel suo lungo Excursus sulla traduzione del versetto 14. 20 Così la Vulgata, BJ2, Dhorme, e, tra i commentatori, Wolff, 311-313; Rudolph, 249-250, 256-257; Smith, 240; cfr. anche D.U. ROTTZOLL, «II Sam 14,5». 21 Ciò ha prodotto una serie di tentativi per spiegare, in diverso modo, altri elementi del versetto: H.N. RICHARDSON, «A Critical Note», vede, al posto della negazione, l’uso di un lamed enfatico (forse con la vocalizzazione lū’) e traduce: «Certamente io sono un profeta...»; soluzione che, quanto al senso, si avvicina a quella di G.R. DRIVER, «Amos VII.14», il quale considerava lō’ come un equivalente di hălō’ introducente una domanda retorica con senso affermativo; cfr. anche id., «Affirmation by Exclamatory Negation». E. VOGT, «Waw explicative», aveva invece proposto
332
15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
profeta...»)22, il versetto appare perfettamente coerente con quanto segue, poiché si distinguono così due tempi successivi, quello in cui Amos esercitava il mestiere di mandriano — e non quello di profeta — e quello in cui compie la missione profetica a cui il Signore l’ha chiamato. Bisogna tuttavia riconoscere che in questa seconda soluzione non si vede come Amos risponda all’ordine di Amasia di andarsene a «mangiare il pane» nel paese di Giuda; d’altra parte sembrerebbe piuttosto banale dire che prima di essere stato chiamato da Dio Amos non era un profeta. Noi optiamo per il senso presente, perché questa sembra essere la soluzione grammaticale più piana. Interpretiamo la frase «Non sono profeta né figlio di profeta» come una dichiarazione di autonomia: Amos non fa del profetismo il suo mestiere23; poiché non trae da esso il suo sostentamento (cfr. 1Sam 9,7; 1Re 14,3; Mic 3,5.11); e nemmeno appartiene a una corporazione (chiamata «figli di profeti»), collegata in un modo o nell’altro con un santuario o con la corona. È un mandriano chiamato dal Signore a parlare (cfr. 3,7-8; e anche 1,1-2) e a parlare proprio a Israele; egli non approfitta di Betel, ma deve proferire la parola di Dio contro il santuario e contro quanti vogliono indebitamente opporsi al volere del Signore. né figlio di profeta L’espressione è unica; altrove è sempre usata al plurale. Si potrebbe pensare che Amos neghi che il profetismo (visto come mestiere) sia un affare di famiglia, trasmessogli dal padre24; gli autori moderni pensano però che con «figlio di profeta» si intenda colui che appartiene a un gruppo o a una corporazione di profeti (cfr. 1Sam 10,10; 1Re 20,35; 2Re 2,3)25. di intendere la frase così: «Non sono profeta nel senso che non sono figlio di profeta» (cioè membro di una corporazione), suggerendo l’uso di un waw esplicativo e non come particella coordinativa (Rudolph, 250, considera valida questa opinione). S. COHEN, «Amos Was a Navi», rispettava il TM, ma con una diversa punteggiatura: «No! Sono profeta, ma non figlio di profeta» (sempre nel senso di profeta di professione); opinione ripresa da Z. ZEVIT, «A Misunderstanding», che, criticato da Y. HOFFMANN, «Did Amos», ribadiva la legittimità grammaticale e la «probabilità esegetica» della sua interpretazione («Expressing Denial»). 22 Così la LXX, la BJ, la TOB e diversi commentatori moderni, fra cui Soggin, 165; Andersen – Freedman, 762, 777-778; Paul, 244-247; cfr. anche H.H. ROWLEY, «Was Amos a Nabi?»; A.H.J. GUNNEWEG, «Erwägungen zu Amos 7,14»; R. BACH, «Erwägungen zu Amos 7,14». 23 Questo è in genere l’interpretazione sostenuta da quanti traducono il versetto 14 al presente: cfr., per esempio, Rudolph, 256-257. B. VAWTER, «Were the Prophets nābî’s?», tracciando la storia del termine nābî’, mostra che questo attributo, presente nelle più antiche forme del profetismo biblico, è rifiutato dai profeti dell’VIII secolo (senza dubbio perché associato a forme degenerate), mentre in seguito sarà considerato una designazione accettabile per gli inviati di Dio. 24 Così sembra interpretare A. NÉHER, Amos, 20. 25 Cfr. M.A. VANDEN OUDENRIJN, «L’expression “Fils des Prophètes”»; J.G. WILLIAMS, «The Prophetic “Father”»; A. PHILLIPS, «The Ecstatics’ Father»; Wolff, 306, 314 (il «figlio del profeta» sarebbe il discepolo di un nābî’, che è come il capo e maestro di una scuola profetica); Rudolph, 249; Soggin, 165. Secondo J.R. PORTER, «~yaiybiN:h;-ynEB.», invece, l’espressione «figli di profeti» è un termine tecnico che si riferisce al gruppo profetico che cospirò contro la dinastia di Omri (2Re 9,14; 10,9); ciò spiegherebbe la denuncia di Amasia al re Geroboamo, e di conseguenza la
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VERSETTO 14
mandriano Il termine bôqēr (un hapax) è generalmente considerato una forma denominativa da bāqār (= la mandria di buoi), designante il mandriano o bovaro. La difficoltà, secondo alcuni autori, deriva dal rapporto con 1,1 (dove il termine utilizzato è nōqēd, cioè pastore di greggi) e con 7,15 (in cui si fa riferimento al gregge [di ovini]: ṣō’n). Così, seguendo la LXX (aipolos = capraio), si è proposto di cambiare bôqēr in nōqēd (pastore)26; si sono suggerite anche altre correzioni27 o interpretazioni diverse del termine bôqēr28. Qui si adotta la posizione dei più recenti commentatori, i quali ritengono che Amos fosse un allevatore di bestiame (sia di bovini che di ovini) e che con questo mestiere si guadagnasse da vivere29. coltivatore di sicomori Il primo termine di questo sintagma (bôlēs) è un hapax che ha dato luogo a traduzioni diverse. Tutti comunque concordano nel ritenere che l’espressione designi un’attività che garantiva ad Amos l’indipendenza economica30. Le antiche versioni (LXX e Vulgata) e la maggior parte dei commentatori moderni31 traducono con un’espressione del tipo «incisore di sicomori»; l’azione di incidere il frutto (acerbo) del sicomoro per favorirne il processo di maturazione32 viene considerata un’attività accessoria a quella del mandriano (questi frutti servivano infatti a nutrire il bestiame). Alcuni autori invece trovano strano che Amos menzioni, quale sua professione, un’attività secondaria e necessariamente limitata a un breve periodo negazione di tale titolo da parte di Amos. In questa direzione inclinava già H. SCHMID, «“Nicht Prophet bin ich”»; recentemente M. MANAKATT, A Judgment Narrative, 42-43, non esclude che l’espressione implichi una esplicita connotazione politica. 26 V. MAAG, Text, 50; criticato da Wolff, 306-307, e da B.J. DIEBNER, «Berufe und Berufung». 27 L. ZALCMAN, «Piercing the Darkness», propone di cambiare in dôqēr (= «colui che incide» i fichi per farli maturare). 28 A. NÉHER, Amos, 20-21, suggerisce di interpretare il termine a partire dalla radice bqr («ispezionare», «ricercare»); la parola designerebbe l’ispettore incaricato di controllare le greggi e di riscuotere le imposte; sulla stessa linea, J.D. WATTS, Vision and Prophecy in Amos, 7. M. BIČ, «Der Prophet Amos», al contrario, vedeva nel termine bôqēr un indovino che faceva le sue predizioni esaminando il fegato degli animali sacrificati; criticato da A. MURTONEN, «The Prophet Amos». 29 Cfr. in particolare, Wolff, 122-124, 314; Rudolph, 250, 257; Soggin, 168; P.C. CRAIGIE, «Amos the nōqēd»; Paul, 247-248; M. MANAKATT, A Judgment Narrative, 47. L’apparente contraddizione tra il versetto 14 (pastore di bovini) e il versetto 15 (da dietro il gregge di bestiame minuto) si risolve considerando il fatto della vocazione di un pastore un motivo letterario, fondato di conseguenza su un linguaggio stereotipato (cfr. H. SCHULT, «Amos 7,15a»). 30 Cfr. M. MANAKATT, A Judgment Narrative, 47-52. 31 Cfr. MAAG, Text, 69; Mays, 138; Wolff, 307, 314; Soggin, 168; Ph.J. KING, Amos, 116-117; Paul, 248. 32 Cfr. in particolare L. KEIMER, «Eine Bemerkung»; T.J. WRIGHT, «Amos».
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15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
dell’anno e inclinano a tradurre, in modo più generico, «proprietario» o «coltivatore di sicomori»33. Noi ci associamo a questa posizione. Infine, c’è anche chi sostiene che Amos intenda l’attività di raccogliere le foglie e i frutti del sicomoro per nutrire il bestiame34. COMPOSIZIONE + 12 E disse
Amasia
ad Amos:
··································································
. «Veggente, VA(ttene), . e mangia là il tuo pane 13
ma a BET-El
Amos
Giuda
non continuare più a profetizzare,
- perché santuario - e CASA + 14 E rispose
fuggi verso il paese di e là profetizza,
del RE del REGNO
esso esso».
e disse ad Amasia:
··································································
: «Non profeta io : ma mandriano io
e non figlio di profeta io, e coltivatore di sicomori.
- 15 E mi prese il SIGNORE - e disse a me il SIGNORE:
da dietro al GREGGE “VA’, profetizza al mio POPOLO
Israele.”
Questa parte comprende due sottoparti introdotte da brani narrativi: all’intervento di Amasia (12a) segue la «risposta» di Amos (14a). Nella prima sottoparte le parole di Amasia comprendono anzitutto due segmenti bimembri (12bc), ai quali si contrappone il segmento unimembro seguente (13a): questi segmenti sono caratterizzati dall’imperativo e dicono dove Amos può profetizzare. L’ultimo segmento (13bc), i cui due membri sono paralleli termine a termine, giustifica l’ordine dato ad Amos. Al centro (13a) dunque la proibizione di profetizzare a Betel. La ripetizione di «là» (12c) sembra corrispondere alla ripetizione di «esso» (13bc); «Betel» al centro (13a) e «casa del regno» alla fine (13c) si contrappongono a «paese di Giuda» dell’inizio (12b). Dopo il bimembro narrativo, la seconda sottoparte (14-15) comprende due altri brani. I due segmenti del primo brano (14bc) sono paralleli (quanto alla forma) e opposti (quanto al senso). Anche il secondo brano (15) è formato da due bimembri: i primi membri terminano con il nome del «SIGNORE»; «gregge» si contrappone a «popolo» dal momento che il profeta è chiamato a lasciare la cura dell’uno per consacrarsi all’altro. Questi due brani formano una figura chiastica: alle estremità (14b e 15c) si corrispondono «profeta» e «profetizzare»; «mandriano» di 14c corrisponde a «gregge» di 15a. 33 34
A. NÉHER, Amos, 21; Rudolph, 257-258; Alonso Schökel – Sicre, 1118. T.J. WRIGHT, «Amos».
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Da una parte all’altra le due ricorrenze di «va’» in 12b e 15b fanno inclusione, come anche «Giuda» (alla fine di 12b) e il suo opposto «Israele» (alla fine di 15b); «profeta» – «profetizzare» è ripreso cinque volte (12c; 13a; 14b due volte; 15b); si può notare anche il gioco incrociato delle opposizioni affermativo (12c) – negativo (13a), negativo (14b) – affermativo (15b), e soprattutto l’opposizione tra due ordini: quello di Amasia al centro della prima parte (13a) e quello di YHWH alla fine della seconda (15b). Con la funzione di termini iniziali, Amasia parla del «veggente», e intende una professione lucrativa (12bc), ma Amos ricorda il «mestiere» che realmente gli dà da vivere (14c). Con la funzione di termini finali, Amasia sottolinea l’autorità del «re» sul suo «regno» (13bc), mentre Amos ribadisce l’autorità del «Signore» sul profeta (15a) e nei confronti del suo «popolo» (15b): nel nome del re Amasia vuole allontanare il profeta da Betel, mentre il Signore ha allontanato Amos dal suo gregge per farne il suo profeta. 3. LA TERZA PARTE (16-17) TESTO VERSETTO 16
non vaticinare Il verbo significa propriamente «stillare»; è usato con significato positivo in Am 9,13: «sprizzano le montagne il mosto». Qui il senso è probabilmente dispregiativo (come in Mic 2,6.11), quasi Amasia dicesse: «Va’ altrove a distillare la tua profezia»; non lo è invece in Ez 21,2.7; Gb 29,22 35.
35 Secondo F. LANDY, «Vision and Poetic Speech», 235 e 238-239, il verbo è da collegarsi metaforicamente con la funzione profetica di recare la fertilità al paese; il rifiuto del profeta porterà dunque la sterilità (cfr. 7,4; 8,11-12).
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15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
COMPOSIZIONE + 16 E ora ascolta +
LA PAROLA “Tu
= “Non profetizzare = e non vaticinare
contro contro
del SIGNORE: DICI: Israele la casa di Isacco”.
+ 17 Perciò
così DICE il SIGNORE: ··················································································· : “Tua moglie : i tuoi figli e le tue figlie - e il tuo suolo : e tu : E Israele
nella città di spada
si prostituirà cadranno
alla corda
sarà suddiviso
su un suolo impuro certamente sarà deportato
morirai dal suo suolo”.
L’ultima parte (16-17) è formata da due sottoparti. Nel primo segmento (16ab) «la parola» del primo membro si contrappone a «tu dici» del secondo membro. I due membri del secondo segmento (16cd) sono paralleli termine a termine. La seconda sottoparte (17) inizia con un segmento narrativo unimembro (17a) che riprende il primo membro del segmento iniziale (16a). Il brano seguente (17b-f) comprende tre segmenti. I due membri del primo (17bc) sono paralleli termine a termine (con raddoppiamento del primo termine nel secondo membro). I due membri dell’ultimo segmento (17ef) si corrispondono e mettono in parallelo il destino di Amasia («tu») e del popolo («Israele»); il «suolo impuro» perché straniero (17e) si contrappone al «suolo» sacro di Israele (17d). Tra questi due segmenti bimembri abbiamo un segmento centrale unimembro (17d), racchiuso da «cadranno» (17c) e «morirai» (17e) che fungono da termini medi a distanza. Il primo segmento (17bc) concerne i familiari del sacerdote, l’ultimo segmento (17ef) riguarda lui e il suo popolo, il segmento centrale (17d) infine è riferito al suo «suolo». Le due ricorrenze di «Israele» (16c e 17f) hanno la funzione di termini estremi. Si noti infine che l’unità di questa sottoparte dipende dal fatto che essa costituisce una sola parola del Signore che ingloba, quale motivazione del verdetto (17), la parola di Amasia (16).
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4. L’INSIEME DEL PASSO COMPOSIZIONE36 Oltre a quanto già detto37, va sottolineata la struttura di questo passo centrale. Le parti estreme sono simmetriche. – Gli ultimi membri (11c.17f) sono identici e fungono così da termini finali particolarmente marcati, nei quali si annuncia la deportazione di Israele. Alla profezia contro il re Geroboamo dell’inizio (11) corrisponde la profezia contro il sacerdote Amasia alla fine; il verbo «morire» (11b.17e), applicato prima a Geroboamo poi ad Amasia, ribadisce il rapporto tra le parti estreme. «Di spada» di 11b (per la morte di Geroboamo) si ritrova in 17c (per la morte dei figli di Amasia). – Nei secondi segmenti, alla fine dei membri (10c.16d), «la Casa d’Israele» corrisponde a «la casa di Isacco»; la preposizione tradotta con «contro» è presente nei due segmenti, ma mentre in 10c si parla di un’opposizione al re (all’interno della Casa d’Israele), in 16cd si tratta di un’opposizione a Israele – casa di Isacco. Nella stessa linea, si viene così a stabilire un rapporto tra «cospirare» di 10c e «profetizzare» di 16c: in effetti la profezia di Amos contro Israele viene interpretata da Amasia come una cospirazione contro il re. Si noti che in bocca al sacerdote la profezia del versetto 11 viene presentata come parola di Amos (10d), mentre in bocca al profeta è presentata come parola di Yhwh (16a)38. I legami tra le tre parti sono numerosi. – Assicurano un legame tra le prime due parti; «il paese» di 10d (Giuda) è ripreso in 12b (Israele), mentre «re» di 10b è ripreso da «re» e «regno» di 13bc; «paese» e «re» sono concetti correlati, dal momento che indicano l’estensione della sovranità39. La parola «sacerdote» (10a) è da mettere in relazione con «santuario» e «casa» (13bc); e naturalmente va sottolineata la ripetizione di «Bet-El» (10a e 13a). – Il legame tra il centro e l’ultima parte è determinato dalla ripresa del verbo «profetizzare»: nella parte centrale la radice è molto frequente (12b, 13a, 14b, 36
La differenza di stile (racconto alla terza persona) e l’apparente contrasto con la serie di visioni inducono i commentatori a considerare il passo come un’unità letteraria a sé stante: Rudolph, 249-260, e Soggin, 164-174, ne trattano addirittura dopo avere fatto il commento delle cinque visioni; R.P. ACKROYD, «A Judgment Narrative», ha suggerito che questo racconto fosse un episodio conservato un tempo in una delle edizioni dei libri storici (a motivo dei rapporti con 1Re 13 e 2Cr 24); altri autori hanno invece creduto di potere individuare la collocazione «originaria» del passo e c’è chi l’ha situato dopo 1,1-2, chi dopo il capitolo 3 o dopo il capitolo 6, chi alla fine del libro, dopo 9,7 o dopo 9,10 (cfr. H.G.M. WILLIAMSON, «The Prophet and the Plumb-line», 103; Paul, 238). 37 Cfr. p. 329. 38 Si potrebbe stabilire un rapporto tra «in mezzo a» la Casa d’Israele (10c) e «nella città» (17b), dal momento che le due espressioni significano qualcosa fatto pubblicamente (cfr. Paul, 239, 250). 39 Cfr. quanto detto nel Titolo sulla «geografia», p. 43.
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15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
15b) e in seguito ricorre solo in 16c. Si può aggiungere che «figlio» di 14b è ripreso (da «figlie») in 17c. + 10 Amasia, sacerdote di BET-El, mandò a dire + a Geroboamo, re di Israele, dicendo: = «Ha cospirato CONTRO di te Amos in mezzo alla Casa d’Israele = e non può il PAESE sopportare tutte le sue parole. + 11 Perché così ha detto Amos: : “DI SPADA MORIRÀ : e Israele CERTAMENTE SARÀ DEPORTATO
GEROBOAMO DAL SUO SUOLO”.
+ 12 E disse Amasia ad Amos: . «Veggente, vattene, fuggi verso il PAESE di Giuda . e mangia là il tuo pane e là profetizza, 13 ma a BET-El non continuare più a profetizzare, - perché santuario del RE esso - e CASA del REGNO esso». + 14 E rispose Amos e disse ad Amasia: : «Non profeta io e non FIGLIO di profeta io, : ma mandriano io e coltivatore di sicomori. - 15 E mi prese il SIGNORE da dietro al GREGGE - e disse a me il SIGNORE: “Va’, profetizza al mio popolo Israele”. + 16 E ora, ascolta la parola del SIGNORE: + Tu dici: = “Non profetizzare CONTRO Israele = e non vaticinare CONTRO la CASA di Isacco”. + 17 Perciò così dice il SIGNORE: : “Tua moglie nella città si prostituirà : i tuoi FIGLI e le tue FIGLIE DI SPADA cadranno . e il tuo suolo alla corda sarà suddiviso : e TU su un suolo impuro : E Israele CERTAMENTE SARÀ DEPORTATO
MORIRAI DAL SUO SUOLO”.»
– Le relazioni tra le tre parti: «Casa d’Israele» e «casa di Isacco», in posizione simmetrica nelle parti estreme (10c e 16d), trovano un'eco al centro con «casa del regno» (13c). Si può inoltre stabilire un legame semantico tra «sacerdote» di 10a, «santuario» (la radice ebraica fa riferimento alla «santità») di 13b e «impuro» di 17e: il sacerdote infatti, custode del luogo santo, è condannato a morire su una terra impura (il vocabolario della «prostituzione», applicato alla moglie di Amasia in 17b, appartiene allo stesso campo semantico).
Sequenza C2: 7,7–8,3
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CONTESTO Questo passo presenta punti di contatto con il libro di Geremia sotto tre diversi aspetti. – Anzitutto, dal punto di vista della composizione letteraria, abbiamo un racconto che tratta della chiamata di Amos alla profezia, inserito in un quadro narrativo che presenta due visioni. Una cosa analoga avviene anche nel primo capitolo di Geremia, con la differenza che le visioni sono poste al centro (1,1116), inquadrate dal racconto della vocazione e missione profetica (1,4-10 e 1,1719). – Inoltre, dal punto di vista dell’occasione che produce il racconto di vocazione, in Amos il riferimento alla chiamata divina sorge in un contesto polemico, nel momento in cui, espulso da Betel, è privato della possibilità di espletare il suo ministero. Una situazione molto simile è narrata in Ger 26: durante il processo che lo vede imputato di un crimine capitale (26,11), il profeta fonda la sua difesa sul fatto che è stato inviato dal Signore (26,12-15)40. – Infine, dal punto di vista dei protagonisti della storia, Am 7,10-17 descrive il conflitto intercorso tra un sacerdote (Amasia) e il profeta (Amos). Questo genere di confrontazione è più volte attestato nel libro di Geremia: non solo al capitolo 26, già menzionato, in cui l’accusa capitale è portata da «sacerdoti e profeti» (26,7-8.11; cfr. anche 1,18), ma soprattutto in 20,1-6 che racconta l’episodio riguardante Pascur, il sacerdote sovrintendente-capo del tempio di YHWH, che fa bastonare e imprigionare Geremia, e a cui sono predetti l’esilio e la morte; e si può citare anche Ger 29,24-28, che parla del sacerdote Sofonia, sollecitato a intervenire contro Geremia (di fatto senza conseguenze). Una certa somiglianza tematica è stata notata anche tra Am 7,10-17 e l’episodio riferito in 1Re 13,1-1041. Anche qui i punti di contatto sono molteplici: l’origine «giudaica» del profeta (Am 1,1; 7,12; 1Re 13,1.12.14.21), la sua predicazione contro il culto di Betel (Am 3,14; 4,4-5; 5,5-6; 7,10; 1Re 13,13.15), l’opposizione al re di nome Geroboamo (Am 7,9-11; 1Re 13,1.4), la gratuità del ministero profetico (che verte attorno al fatto di «mangiare il pane» offerto dal re: Am 7,12-13; 1Re 13,7-9). L’insieme della storia raccontata in 1Re 13 (che termina con la morte dell’uomo di Dio: versetti 11-32) pone il problema del discernimento della profezia e quello dell’obbedienza all’ordine di Dio, temi significativi anche per il racconto di Am 7,10-17.
40 Il motivo è ancora più elaborato nei discorsi di difesa pronunciati da Paolo davanti agli abitanti di Gerusalemme (At 22,1-21) e davanti al re Agrippa (26,2-18). 41 Cfr. P.R. ACKROYD, «A Judgment Narrative»; Andersen – Freedman, 842-843.
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15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
INTERPRETAZIONE UN RACCONTO SULLA PAROLA Tutti gli esegeti affermano che il passo di Am 7,10-17 è un racconto. Il fatto che parli di Amos alla terza persona42 induce a considerarlo un testo sui generis, una pagina collocata nella sede presente solo a motivo di qualche aggancio letterario posticcio. In generale il passo è considerato un episodio che turba la serie coerente delle visioni; e come tale viene commentato senza che siano evidenziati i rapporti con il contesto43. Si deve però riconoscere che Am 7,10-17 non è del tutto eterogeneo al genere letterario delle due visioni che lo inquadrano: queste infatti hanno in comune il fatto di riportare l’evento di parola inserendolo in un contesto narrativo; invece di trasmettere semplicemente un oracolo, esse precisano il momento e le circostanze in cui tale parola di Dio è stata suscitata e pronunciata. Come le visioni, così il racconto di 7,10-17 è totalmente concepito in funzione della parola, e in particolare delle parole profetiche; anzi, è un racconto composto esclusivamente da parole, in cui non avviene nulla se non uno scambio verbale. Si può quindi dire che l’evento narrato è un evento-parola, con le complicazioni e le sottigliezze che gli sono propri. Infatti, non solo i protagonisti parlano uno dopo l’altro, ma, tramite l’artificio della «citazione», essi riprendono — e quindi interpretano e forse anche alterano — le parole dell’altro (Amasia infatti cita Amos al versetto 11; Amos cita Amasia al versetto 16); inoltre, i protagonisti del racconto (Amasia e Amos) sono «portavoce» di una autorità superiore e perciò quanto dicono mette in gioco dei soggetti che, pur non apparendo in prima persona, sono tuttavia i veri artefici delle decisioni e della storia che ne deriva: le parole di Amos (10) di fatto sono parola del Signore (1617), e analogamente possiamo dire che il parlare di Amasia (12) è ispirato o comandato dal re Geroboamo (10-11). Racconto di parole, questa storia verte attorno alla parola profetica e al suo destino. Basti pensare alla costellazione di termini delle radici «profetizzare» (12.13.14.15.16), «parlare» (10.16) e «dire» (10.11.12.14.16. 17), per evidenziare che questo è il tema della narrazione. Il centro del testo (12-15) riferisce qual’è stata l’origine della parola profetica e come essa sia stata rifiutata (12-13); ed è questo l’evento fondamentale e drammatico. L’inizio e la fine del passo (10-11 e 16-17) riferiscono la ragione per cui la profezia è stata respinta (10) e annunciano le conseguenze di tale rifiuto (17). L’esilio del popolo di Israele — motivo che ritorna come un ritornello (11 e 17) — e la morte del re (11) e del sacerdote (17) esprimono la tragedia di una storia umana, dicono la sorte dolorosa di chi, rifiutando la parola profetica, ha rifiutato Dio. 42
Nei racconti di visione invece il profeta parla di sé alla prima persona. Questo sarà l’oggetto specifico dell’interpretazione dell’insieme della sequenza C2, ma già fin d’ora è utile dire qualcosa sulla particolarità letteraria di 7,10-17 in relazione ai generi letterari presenti nel contesto. 43
Sequenza C2: 7,7–8,3
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IL PROCESSO FATTO ALLA PAROLA Sebbene l’ordito narrativo sia interamente costituito da parole, è possibile — come in un dramma teatrale — scorgervi una successione di fatti, tra loro collegati, secondo una dinamica dalle valenze giuridiche e spirituali. Mettere in scena un profeta equivale a produrre il processo del suo manifestarsi, degli ostacoli che gli saranno frapposti, della lotta mortale che si scatenerà. E questo senza retorica. Il discernimento del profeta, il riconoscimento di chi parla veramente in nome di Dio, per distinguerlo da chi proferisce invenzioni della sua mente, è un atto difficile, ma essenziale, perché da esso dipendono la vita e la morte degli individui e del popolo. Un uomo si alza nel santuario di Betel e, dicendosi inviato dal Signore, minaccia la distruzione del luogo santo, la fine della dinastia regnante, la deportazione della popolazione; è evidente che sia visto come un nemico, come un pericoloso perturbatore44. Gli equilibri politici della monarchia di Samaria non sono perfetti; il regno ha già visto rivolte sanguinose, e parole come quelle di Amos rischiano di alimentare il malcontento, di favorire una cospirazione. Ecco ciò che pensa Amasia, e verosimilmente anche Geroboamo (10-11). Di fronte alla minaccia rappresentata dalle parole di Amos, l’autorità sovrana reagisce. Invece di istruire un processo rispettoso delle regole dell’equità giuridica (come per esempio in Ger 26,1ss), qui si instaura un processo sommario (come in Ger 26,20-23; o in 1Sam 22,6-19), caratterizzato dal fatto che da accusato il re diventa contemporaneamente accusatore e giudice, e in nome della sua sola autorità decide della colpevolezza altrui. I PROTAGONISTI DEL PROCESSO Tre sono i protagonisti ufficiali della dinamica procedurale, ciascuno presentato con il suo «titolo» di merito, che gli conferisce un ruolo specifico nella vicenda. Amasia è il «sacerdote di Betel» (10), responsabile del santuario principale del regno di Samaria45: con lui inizia la vicenda (10), perché è lui a portare l’accusa presso il sovrano, e con lui la vicenda si conclude (17). Geroboamo è il «re di Israele» (10); sembra, in apparenza, un personaggio spento, perché non compare mai in prima persona, ma è il perno di tutta la storia: è l’accusato principe delle parole di Amos (7,9.11)46, è il primo interessato a una eventuale cospirazione (10), è il solo che possa prendere una decisione di ordine giurisdizionale, basandola sulla propria autorità di sovrano (12-13). Amos, il 44
Cfr., nella storia di Elia, 1Re 18,17-18; 21,20. M. MANAKATT, A Judgment Narrative, 18, riferendosi ad Andersen – Freedman, 766, fa osservare che la qualifica, invero unica, data ad Amasia lo designa come il capo del santuario di Betel. 46 Anche se il libro di Amos, all’infuori di 7,9.11, non nomina esplicitamente Geroboamo, è chiaro che vi fa allusione nelle sue critiche contro i responsabili del governo di Samaria. Rileggendo le profezie di Amos alla luce del capitolo 7, si può dire che le accuse di ingiustizia colpiscono essenzialmente il re (e le persone che da lui dipendono). 45
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«veggente» (12), profeta non di mestiere ma per divina chiamata (14-15), è l’accusatore di tutti (del re, di Amasia, e di tutto il popolo: 11.17), e per questo motivo è accusato di cospirazione e condannato. La sua parola però non è fatta tacere; egli «continua» a profetizzare. Altri due «personaggi» sono evocati nella vicenda. In primo luogo, YHWH (15.17), che, essendo all’origine delle parole di Amos, viene ad essere coinvolto nel processo; è Lui che rivendica l’autorità ultima su Israele, «suo» popolo (15), ed è Lui che decreta la morte o l’esilio dei colpevoli (17). E infine Israele, il popolo che appare anzitutto come vittima. Il suo destino infatti è condizionato sul piano politico dal suo re e sul piano religioso dal suo sacerdote; nei due casi è marcato dall’esilio (11.17). LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Un giorno Amasia si dice: «Non se ne può più»; le parole di Amos sono diventate insopportabili, il buon andamento del santuario di Betel e la pace del regno esigono un provvedimento proporzionato. Decide allora di sottoporre la sua querela a Geroboamo, sottolineando che il profeta minaccia il re («ha cospirato contro di te»: 10c; «di spada morirà Geroboamo»: 11b) e al tempo stesso tutto il paese («il paese non può sopportare...»: 10d; «Israele sarà deportato»...: 11c). L’accusa di «cospirazione» avrebbe senz’altro suscitato vivo interesse nel sovrano; e l’accusa avanzata dal «sacerdote» avrebbe consentito al re di prendere un provvedimento in ossequio alla logica di giustizia imposta dal suo ruolo di responsabile del paese di Israele. Il testo, a questo punto, presenta un’ellisse narrativa: non sappiamo cosa avvenne alla corte, dove venne fatta recapitare la denuncia; assistiamo solo agli effetti ultimi dell’azione giuridica intrapresa da Amasia. Il sacerdote di Betel, con ogni probabilità a nome del re47, commina al veggente Amos l’ordine di espulsione dal territorio di Israele (12-13). Il tenore di questo decreto, il suo aspetto formale è piuttosto curioso: invece del linguaggio diretto di una sentenza regale48, viene assunto il tono derisorio che insinua le motivazioni del provvedimento invece di enunciarle chiaramente. «Fuggi verso il paese di Giuda» (12b): è come se il sacerdote volesse aiutare Amos a salvarsi dalla giusta collera del principe49, come se il provvedimento fosse magnanimo (cioè un atto di 47 Ciò si deduce dalla «motivazione» data da Amasia al decreto di espulsione da Betel («è santuario del re»: 13b) e, più in generale, dal provvedimento che comporta che Amos ritorni nel regno di Giuda (12b): tale misura sembra fondarsi su un potere giurisdizionale che si estende sull’insieme del territorio di Israele, potere questo spettante al re. In ogni modo, non si vede come Amasia, dopo avere informato il sovrano (10), abbia potuto prendere l’iniziativa di una decisione non autorizzata da Geroboamo stesso. 48 In questo senso contrasta vistosamente con il verdetto messo in bocca ad Amos: «Di spada morirà Geroboamo...» (11), che riproduce effettivamente le modalità letterarie della sentenza capitale: cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 332-334. 49 Cfr. Wolff, 311. Rudolph, 255, sottolinea l’aspetto ironico dell’imperativo; Paul, 242, fa un paragone con Nm 24,10-11 dove appare la stessa frase e pensa che l’espressione equivalga ad una
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clemenza da parte di chi era accusato di instaurare un regime di violenza: 6,3), come se si suggerisse al colpevole di scappare verso un luogo di rifugio (il paese di Giuda), dato che Betel non poteva svolgere questa funzione protettiva, essendo proprietà di quel re che era stato gravemente offeso (13bc): è dunque Amos che non ha voluto godere del favore regale. «E mangia là il tuo pane» (12c): in modo indiretto, ma con molta chiarezza, Amos viene accusato di avere approfittato dell’ospitalità accordata al «veggente» nel santuario di Betel50, e di essersi ignobilmente rivoltato contro chi gli aveva dato da mangiare. Amasia concepisce la profezia come una funzione al servizio della corona, e di conseguenza il profeta come un funzionario che riceve una giusta ricompensa nella misura in cui svolge correttamente il suo lavoro. Amos è licenziato: «a Betel non continuare più a profetizzare» (13a), perché Betel appartiene al re (13bc). Il potere politico esercita la sua giurisdizione su un determinato territorio: non è tollerabile che proprio nel cuore di Israele (10c), nel tempio stesso, che Geroboamo I aveva scelto quale strumento di unità nazionale (1Re 12,26-33), sia concesso a un uomo di Giuda di mettere in questione il potere e la condotta del sovrano. La sottomissione al re è la legge prima da osservare; e chi non vi si sottomette è estromesso. Si noti che in tutte le parole di Amasia non c'è il minimo accenno ai motivi per cui Amos pronunciava la condanna di Geroboamo e del suo regno: discrezione e prudenza inducevano a non menzionarli nella lettera al sovrano (10-11)? Impertinenza giuridica di tale elemento nel dispositivo di espulsione di Amos (12-13)? In realtà questo silenzio nasconde la menzogna: la parola del profeta non è stata «giudicata», è stata semplicemente respinta, perché il despota non la vuole ascoltare. Invece di convertirsi, il re condanna. Amos prende la parola; il suo discorso non mira a una revisione della decisione regale51, ma a chiarire il senso del suo operato e a dare una valutazione del decreto di cui è vittima. Egli introduce due elementi importantissimi, senza i quali è impossibile comprendere la sua profezia. Il primo è il nome di YHWH: non menzionato in precedenza52, viene presentato da Amos come l’origine del suo profetare e quindi come la causa della sua espulsione da Betel. La decisione presa nei confronti del profeta è perciò una
dichiarazione di «persona non grata» (per cui la persona viene invitata a lasciare il paese straniero in cui si trova). 50 Soggin, 166, pensa che Amos mangiasse alla mensa del tempio, fosse cioè mantenuto dalle offerte cultuali da lui aspramente criticate. Nessuno sa con precisione come e di cosa vivesse il profeta a Betel; è certo però che Amasia insinua che il veggente sfruttasse il benessere del regno di Israele. 51 Il racconto non dice se il provvedimento comminato da Amasia abbia avuto effetto immediato; non si vede tuttavia chi avrebbe potuto impedire ai funzionari di Geroboamo di fare eseguire il decreto regio; susseguenti minacce di Amos avrebbero sortito l’effetto di accelerare la procedura, piuttosto che frenarla. 52 Paul, 240, fa notare l’assenza di riferimenti al Signore nelle parole del «sacerdote di Betel».
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decisione presa contro Dio53, l’espulsione di Amos equivale a privare il Signore della giurisdizione che Egli possiede sul suo popolo Israele (15). Il profeta parla della sua vocazione. In un certo senso ciò rappresenta l’apologia ultima e definitiva del suo operato: accusato di opporsi al re, deve giustificarsi appellandosi ad un’obbedienza suprema. Se l’ordine di YHWH («Va’, profetizza al mio popolo Israele»: 15b) dovesse fermarsi di fronte all’autorità del re, ciò significherebbe che il Signore degli eserciti non è Dio; d’altra parte, se il profeta fosse intimidito dal signore che risiede a Samaria e cessasse di parlare, ciò significherebbe che non è stato in verità chiamato dal Signore di tutta la terra. Amos non parla per vivere; egli aveva una professione che gli dava da mangiare, quella di mandriano e di coltivatore di sicomori (14c), e non appartiene nemmeno a una corporazione che esercita il profetismo come un mestiere54. Amos parla perché deve parlare: la sua vita è diventata una missione, indirizzata al popolo di Israele, la sua vita è ora parlare, e parlare del Signore, «parlare le parole» del Signore. Ecco perché Amos non può che ribadire il suo messaggio, non può che ripetere sostanzialmente quanto aveva annunciato prima del decreto di espulsione, e cioè la morte per i capi e l’esilio per il popolo di Israele (17). La parola di Dio (16a) non può essere alterata. Essa prende solo una forma specifica indirizzandosi a un destinatario preciso, che è Amasia: la sua funzione sacerdotale sarà dissacrata, perché sarà contaminato da una moglie prostituta e da un suolo impuro (17b.e). E poiché è stato il complice e lo strumento della pretesa di giurisdizione assoluta proclamata dal re di Israele, dal momento che ha rivendicato come proprietà di Geroboamo il santuario e tutto il territorio di Israele, eccolo colpito — lui che è il simbolo di coloro che esercitano il potere — in tutto ciò che è suo: la moglie, i figli, la terra55. La deportazione di Israele equivale in questo caso all’atto ultimo che priva il re (e tutti i responsabili) della «materia» stessa del loro dominio. Ma — e questo è il secondo elemento decisivo introdotto dalla risposta di Amos ad Amasia —, la ragione ultima della condanna radicale è il rifiuto della parola profetica (16b-d): «Tu dici: non profetizzare», perché tu hai impedito alla parola di Dio di essere principio di salvezza per Israele, ecco che tutto Israele è votato alla perdizione. Morte e deportazione sono le due modalità della condanna predetta da Amos per le nazioni e per il suo popolo56: esse sono ripetute in questo passo come un ritornello (11bc e 17ef). E, come per 2,11-12 e 5,10, la ragione ultima della condanna è da ritrovare non solo nella mancanza di giustizia, ma soprattutto nel rifiuto di ascoltare la parola che chiama a convertirsi. 53 Il profeta, infatti, è un inviato, un ambasciatore che rappresenta il Signore; un’offesa fatta all’ambasciatore è percepita come un’offesa fatta a chi lo ha inviato (cfr., per esempio, 2Sam 10,1ss). Sul concetto di profeta quale inviato, cfr. J.S. HOLLADAY, Jr, «Assyrian Statecraft». 54 Sul mestiere di profeta come professione che permette di vivere, cfr. J.B. CURTIS, «A Folk Etymology». 55 Le proprietà dei vinti venivano distribuite ai vincitori (cfr. Mic 2,4-5). 56 Ciò vale per l’insieme del libro: cfr. p. 74 (sequenza A1) e p. 301-302 (la sezione B).
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III. LA VISIONE DEI FRUTTI MATURI (8,1-3) TESTO 1
Così mi fece-vedere il Signore Dio: Ed ecco un canestro (di frutti) d’estate. 2 E disse: “Cosa vedi, Amos?”. E dissi: “Un canestro (di frutti) d’estate!”. E mi disse il Signore: “È giunta la fine per il mio popolo Israele, non continuerò più a lasciar-correre per lui. 3 E gemeranno i carmi della reggia in quel giorno, oracolo del Signore Dio. Numerosi cadaveri in ogni luogo ha gettato: Silenzio!”. VERSETTI 1-2
estate e fine Le parole qāyiṣ («estate») e qēṣ («fine») stanno in rapporto di paronomasia57; la BJ rende il gioco di parole con «un cesto di frutti maturi» – «il mio popolo è maturo per la fine», mentre la TOB ricorre a un altro gioco di parole «un cesto di fine stagione» – «la fine è giunta per il mio popolo Israele». VERSETTO 3
i carmi Dato che la forma plurale šīrôt non ricorre altrove nella Bibbia, diversi autori propongono di correggere il TM in šārôt, «(le) cantanti», un soggetto che si accorderebbe meglio al verbo «gemere». La correzione non è necessaria se si intende che i canti si trasformano in gemiti funebri58. il tempio Il termine ebraico può designare sia il tempio (1Sam 1,9; 3,3; 2Re 18,16; ecc.) sia il palazzo (1Re 21,1; 2Re 20,18; Is 39,7; ecc.). Il parallelismo con 7,9 induce a pensare che si tratti piuttosto del tempio. Quelli che optano per «cantanti» sono obbligati a interpretare la parola come «palazzo», il solo luogo dove esse potevano intervenire59.
57 Per Am 7,7-9; 8,1-2 e per Ger 1,11-12.13-14, B. BEITZEL, «Exodus 3:14», usa il termine specifico di «metafonia»; cfr. anche B.D. RAHTJEN, «A Critical Note», che fa un rapporto tra il gioco di parole di Amos e il calendario di Gezer, in cui l’ultimo mese è appunto quello dei frutti estivi. 58 Cfr. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 680-681. 59 Ger 24,1ss situa la visione dei due canestri di fichi (simile in un certo qual modo a quella di Am 8,1ss) davanti al «tempio» di YHWH (stesso termine).
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Numerosi cadaveri in ogni luogo ha gettato. Silenzio! L’interpretazione di questa frase risulta assai problematica. La prima parola può essere intesa sia come un aggettivo sia come un verbo (con la forma indicante il passato): in quest’ultimo caso, le prime due parole formerebbero una frase completa, «Sono numerosi i cadaveri»; nel primo caso invece, sarebbero il complemento oggetto di «ha gettato». D’altra parte il soggetto di «gettare» non viene espresso: si può ritenere che si tratti di Dio, ma si può anche supporre un soggetto impersonale «si è gettato». Tra coloro che considerano le prime due parole come una frase nominale alcuni interpretano la fine del versetto come una sola frase («In ogni luogo ha gettato il silenzio»60), altri come due frasi («In ogni luogo ha gettato. Silenzio!»). Dato che la prima frase del versetto è seguita da «oracolo del Signore», si può ritenere che alla fine del versetto vi sia una struttura analoga: alle parole del Signore, che annunciano i canti funebri, seguirebbero le parole dei sopravvissuti che invitano al silenzio: + e gemeranno i carmi del tempio in quel giorno – Oracolo del Signore Dio! + Numerosi cadaveri in ogni luogo ha gettato. – Silenzio!
COMPOSIZIONE + 1 Così mi fece-vedere
il Signore DIO: ·································································· . Ed ecco 2
un canestro (di frutti)
d’ESTATE.
E disse: “Cosa vedi, Amos?”.
E dissi: “Un canestro (di frutti)
d’ESTATE!”.
+ E mi disse
il SIGNORE: ·································································· . “È giunta . non continuerò più : 3 E gemeranno - oracolo
la FINE a lasciar-correre
per il mio popolo per lui.
Israele,
i carmi del Signore
della reggia DIO.
in quel giorno,
in ogni luogo
ha gettato:
: Numerosi cadaveri - Silenzio!”.
60
Così la LXX, la Vulgata, Girolamo nel suo commentario.
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Questo passo è formato da tre parti di lunghezze molto diverse. La prima (1) descrive molto brevemente la visione che «il Signore Dio» dirige al profeta; nella terza parte (2e-3) lo stesso «Signore» spiega il senso della visione; nella parte centrale (2ad), la domanda che il Signore rivolge ad Amos, seguita dalla risposta del profeta. L’ultima parte è formata da due brani. Il primo (2c) è un segmento unimembro di racconto che introduce le parole che seguono. Il secondo (2d-3) è formato da tre segmenti bimembri del tipo ABB’: difatti, gli ultimi due segmenti descrivono la fine annunciata nel primo. Nell’ultimo segmento «Silenzio!» si oppone a «canti» del segmento precedente; i complementi di luogo («in ogni luogo») e di tempo («in quel giorno») sono complementari. Così, a un brano molto sviluppato che totalizza sei membri (2d-3d) corrisponde un altro formato da un solo membro (2c). All’ultima parte (2c-3) che totalizza sette membri corrisponde la prima (1ab) che ne comprende solo due. Presi da soli, fuori da ogni contesto, questi due membri potrebbero essere considerati come un semplice bimembro. Tuttavia, il parallelismo di questa unità con l’unità corrispondente, che è una parte formata da due brani, induce a considerarla come una parte; e, poiché la parte corrispondente è formata da un primo brano narrativo (2c) che introduce le parole esplicative del secondo brano (2d-3), si dirà che la prima parte è formata anche essa da due brani: uno introduttivo, formato – come il suo corrispondente di 2c – da un solo segmento unimembro, seguito da un secondo che descrive la visione. L’ultima parola della prima parte, «estate» (1b), che è enigmatica, è decifrata all’inizio del brano corrispondente dalla parola «fine» (2d). Le due parole, difatti, sono in rapporto di paronomasia: qayiṣ («estate») e qēṣ («fine»)61. La parte centrale (2ab) è della misura di un bimembro. Questo semplice segmento è considerato tuttavia come una parte, poiché al livello del passo, si trova sullo stesso piano – allo stesso livello – delle due parti che gli fanno da cornice. CONTESTO La visione del «canestro con frutti d’estate» trova un’eco nella visione dei «due canestri di fichi» di Geremia (Ger 24,1ss): infatti non solo essa segue uno schema letterario simile62, ma presenta anche l’immagine del frutto come oggetto di discernimento. Il medesimo contesto cultuale, chiaramente menzionato in Ger 24,1 [davanti al tempio (hêkāl) del Signore]; è da supporre anche in Amos 8,1-3, dato che al versetto 3 sono menzionati «i carmi del tempio (hêkāl)». Il concetto di «fine» (Am 8,2d) sarà tematizzato nella letteratura apocalittica63. L’espressione «la fine è arrivata» ricorre in alcuni testi particolarmente 61
«La BJ rende il gioco di parole con “un cesto di frutti maturi” / “il mio popolo è maturo per la sua fine” mentre la TOB ricorre a un altro gioco di parole: “un cesto di fine stagione” / “la fine è giunta per il popolo d’Israele”». 62 Cfr. p. 327-328, contesto biblico. 63 Cfr. Paul, 254, che rimanda a Dn 8–12 e alla letteratura di Qumran.
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significativi: in Gen 6,13 annuncia il diluvio (evocato da Amos in 5,8 e 9,6); in Ger 51,13 predice la caduta di Babilonia come conclusione del giudizio di Dio su tutte le nazioni (cfr. Ger 25,12-13.26); in Lam 4,18 ed Ez 7,2.6 concerne il destino di Gerusalemme. Come nella Bibbia sono narrati diversi «cominciamenti», così si sono annunciate diverse «fini»: il senso che si rivela in ciascuna di esse è il definitivo giudizio di Dio sul male presente nella storia degli uomini. Il «silenzio» che conclude il passo di Am 8,1-3 è legato, come in 6,10, alla presenza dei cadaveri; si ordina di fare silenzio non solo per rispetto verso i morti, ma probabilmente anche per significare il timore di Dio, la necessaria riverenza di fronte alla sua terribile teofania (Ab 2,20; Sof 1,7; Zc 2,17). INTERPRETAZIONE Nella terza visione (7,7) la parola ’ănāk («stagno») introduceva in un mondo ambiguo: infatti non si vedeva chiaramente che senso dare a una visione che presentava degli elementi ambivalenti. Nella quarta visione (8,1) invece le cose appaiono chiarissime, l’immagine è ridotta all’essenziale: «ed ecco un canestro di frutti d’estate». Si può ragionevolmente immaginare che si sia alla fine dell’estate, al momento dell’ultimo raccolto (vendemmia, raccolta delle olive e di altri frutti; cfr. Ger 40,10.12; Mic 7,1), e che a Betel si celebri la festa delle Tende; tale celebrazione richiede un pellegrinaggio al santuario del Signore, e, come suggerisce Dt 16,16, nessuno in quella occasione deve presentarsi a mani vuote. Al contrario, ogni Israelita porta il suo canestro (1b) e si dispone a cantare (3a) l’inno di ringraziamento a Dio per il dono ricevuto e a invocare la sua benedizione, cioè la pioggia, per l’anno seguente. Il ciclo agricolo da poco conclusosi è come una promessa per il nuovo ciclo che sta per iniziare. Ecco ciò che Amos vede, e in questa visione una voce che commenta, quella di Dio; il Signore interpreta il compimento della stagione come «la fine» per il suo popolo (2b). Qualcosa di simile appariva già nella profezia di 2,13: un carro colmo di spighe, o una trebbia che schiaccia il grano, diventa il simbolo non della pienezza di vita e di promessa per il futuro, ma di un evento catastrofico — il terremoto — un evento di giudizio. In modo analogo, il cesto di frutta matura, invece di prospettare speranza, dice che è arrivato l’ultimo giorno (3a), perché Dio non continua più (2e) ad avere misericordia. L’immagine si deforma, si distorce fino ad assumere i tratti opposti a quelli della visione iniziale: il tempio non è più ricolmo di Israeliti con i loro canestri, ma è pieno di cadaveri, dappertutto (3c); il canto diventa gemito (3a) e poi silenzio (3d).
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IV. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (7,7–8,3) COMPOSIZIONE + 7 Così mi fece-VEDERE . ed ecco il SIGNORE che stava ritto su un muro di stagno e teneva nella sua mano uno stagno. 8 E il SIGNORE mi disse: “Cosa vedi, Amos?”. E dissi: “Stagno!”. + E disse il SIGNORE: . “Ecco metto stagno in mezzo al MIO POPOLO ISRAELE, . E NON CONTINUERÒ PIÙ a lasciar-correre per lui: : 9 E saranno devastate le alture di Isacco : e i santuari di ISRAELE si seccheranno - e mi alzerò contro la casa di GEROBOAMO con la spada”. + 10 Amasia, sacerdote di Bet-El, mandò a dire a GEROBOAMO, re di ISRAELE: = “Ha cospirato contro di te Amos in mezzo alla Casa d’Israele = e non può il paese sopportare tutte le sue parole. + 11 Perché così ha detto Amos: : ‘Di spada morirà GEROBOAMO : e Israele certamente sarà deportato dal suo suolo’. + 12 E disse Amasia ad Amos: . “VEGGENTE, vattene, fuggi verso il paese di Giuda . e mangia là il tuo pane e là profetizza, 13 ma a Bet-El NON CONTINUARE PIÙ a profetizzare, - perché è santuario del re e casa del regno”. + 14 E rispose Amos e disse ad Amasia: : “Non sono profeta né figlio di profeta, : ma mandriano e coltivatore di sicomori. - 15 E mi prese il SIGNORE da dietro il gregge - e mi disse il SIGNORE: ‘Va’, profetizza al MIO POPOLO ISRAELE’. + 16 E ora ascolta la parola del SIGNORE: Tu dici: = ‘Non profetizzare contro ISRAELE = e non vaticinare contro la casa di ISACCO’. + 17 Perciò così dice il SIGNORE: : ‘Tua moglie nella città si prostituirà e i tuoi figli e le tue figlie di spada cadranno e il tuo suolo alla corda sarà suddiviso : e tu su un suolo impuro morirai e Israele certamente sarà deportato dal suo suolo”. + 1 Così mi fece-VEDERE il Signore DIO: . ed ecco un canestro di frutti d’estate 2 E disse: “Cosa vedi, Amos?”. E dissi: “Un canestro di frutti d’estate!”. + E mi disse il SIGNORE: . “È giunta la fine per il MIO POPOLO ISRAELE, . E NON CONTINUERÒ PIÙ a lasciar-correre per lui: : 3 e gemeranno i carmi del tempio in quel giorno, — oracolo del Signore DIO — : Numerosi cadaveri in ogni luogo ha gettato. Silenzio!”.
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I LEGAMI TRA I DUE PASSI ESTREMI La visione dello stagno (7,7-9) e quella del canestro di frutti estivi (8,1-3) sono parallele tra loro64. «Tempio» di 8,3a corrisponde ad «alture» e a «santuari» di 7,9ab. Nei due casi l’intervento di Dio sfocia nella morte: «con la spada» in 7,9bc, «gemiti» e «cadaveri» in 8,3. I LEGAMI TRA I TRE PASSI Tra i primi due passi (7,7-9 e 7,10-17): le due ricorrenze di «Geroboamo» di 9c e di 10a fungono da termini medi, come pure le due ricorrenze di «Israele» in 9b e 10a; inoltre il nome «Geroboamo», unito all’espressione «con la spada», appare alla fine del primo passo (9c), nonché in 11b (che annuncia «di spada cadranno» di 17b). Si potrà notare anche la ripresa di «in mezzo a» in 7,8d e 10b. Tra gli ultimi due passi (7,10-17 e 8,1-3): «cadranno» di 17b e «morirai» di 7,17d (preparato da «morirà» di 11b) annunciano «gemeranno» di 8,3a e «cadaveri» di 8,3c; questi quattro termini, che appartengono allo stesso campo semantico, possono essere considerati termini finali degli ultimi due passi. Tra i tre passi: – Il nome di Amos (quattro volte nel passo centrale: 10b.11a.12a.14a) è ripreso una volta in ognuno dei passi estremi (7,8a e 8,2a)65. – Le due ricorrenze di «vedere» di 7,7a e di 8,1 sonno in relazione con il sostantivo «veggente» (anche se di radice differente) in 12b. – «Il mio popolo Israele» è ripetuto nei passi estremi (7,8d e 8,2d) e alla fine della seconda parte del passo centrale (15b)66; «Israele» ricorre anche in 7,9b.10a.10b.11c.16b.17d; inoltre, «Isacco» di 7,9a è ripreso in 16c67. – I due segmenti identici di 7,8 e di 8,2 trovano un’eco nel passo centrale con la ripresa di «non continuare più a» in 13a. – Infine, va notata la serie dei termini che indicano i luoghi di culto: «alture» (7,9a), «santuario/i» (7,9b e 13b) e «tempio» (8,3a). INTERPRETAZIONE La lettura globale della sequenza, così come è imposta dall’analisi retorica, consente di rispondere alla domanda, tante volte ripetuta: perché Amos smette di intercedere a favore di Giacobbe? Perché Dio decreta la fine irrimediabile per il regno di Israele? Questi interrogativi, tra loro collegati, ricorrono in tutti i commentari di Amos e negli studi specifici su Am 7,1–8,3. Il pregiudizio che
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Cfr. il formulario comune a questi due passi, p. 323. Escludendo il Titolo (1,1), sono le uniche ricorrenze di questo nome in tutto il libro. 66 Questa espressione in Amos ricorre altrove solo nella sequenza finale (9,14). 67 Sono le due uniche menzioni di Isacco in tutto il libro; da notare anche la figura chiastica Isacco – Israele (9ab) / Israele – Isacco (16bc). 65
Sequenza C2: 7,7–8,3
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vuole considerare il racconto di 7,10-17 estraneo alla tematica delle visioni68, o la ricostruzione ipotetica del processo psicologico vissuto da Amos 69, impediscono di procedere a un’esegesi corretta del testo. Le analisi condotte in precedenza su ciascuno dei tre passi che compongono la sequenza hanno ampiamente preparato il terreno. L’interpretazione che seguirà si limiterà a mettere in risalto gli elementi ricorrenti nell’insieme dell’unità testuale e a proporre una spiegazione del perché della fine di Israele. «IL MIO POPOLO ISRAELE» Il destinatario delle parole profetiche non è più chiamato «Giacobbe» (come nella sequenza precedente sulla bocca di Amos). Ora Dio lo chiama «il mio popolo Israele» (7,8.15; 8,2). La specificità di questa denominazione non manca di stupire: proprio quando viene annunciata la fine, viene in pari tempo ribadita l’appartenenza di Israele al suo Signore. Con l’espressione «il mio popolo Israele», che evoca la relazione di alleanza, YHWH rivendica la sua sovranità su questo popolo, che Geroboamo, re di Samaria, si vantava di governare. Il Signore tramite il suo inviato, il profeta (7,15) fa conoscere le sue disposizioni; tramite costui notifica la sua volontà, e ciò che comunica è una decisione capitale: «Metto stagno in mezzo al mio popolo Israele» (7,8), cioè «è giunta la fine per il mio popolo Israele» (8,2). È importante che questa decisione drammatica sia espressa con parole che ricordano l’alleanza. Infatti, non si tratta solo, come in 3,1-2, di sottolineare che la relazione privilegiata con YHWH non esime dalla sanzione punitiva nel caso di colpa, bisogna dire anche che nel castigo YHWH rimane il Signore di Israele e che Israele non cessa di essere il suo popolo. La decisione della fine non è la fine della relazione tra YHWH e Israele. Ciò che finisce è solo una certo modo di agire di Dio, ciò che muta è la sorte di Israele, ma non l’essenza dell’alleanza. Se ciò non fosse vero, non sarebbe possibile che «quel giorno» — che è tempo di lamento e di morte (8,3) — possa aprire a quei «giorni» futuri, nei quali il Signore restaurerà le sorti del suo popolo Israele (9,14). LA «FINE» DI ISRAELE Qualcosa, nella storia, finisce: non si potrà più parlare di Israele allo stesso modo. Ciò che Amos vede e profetizza è infatti la caduta del regno di Samaria: non semplicemente la fine violenta della dinastia di Geroboamo, ma la sparizione dell’entità politica del regno di Samaria mediante l’esilio (8,9). Il nome Israele non designerà più un territorio, un paese, come ai tempi di Amos; qualificherà invece un popolo senza terra, ma con un suo Dio, se lo vorrà. 68
Questa è l’opinione comune dei commentatori: cfr., per esempio, Rudolph, 249-260; Soggin, 164-174 (che definisce Am 7,10-17 un «intermezzo»); Andersen – Freedman, 762; Paul, 238. 69 Cfr., in particolare, gli articoli di L. ESLINGER, «The Education of Amos» e di F. LANDY, «Vision and Poetic Speech».
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15. L’espulsione del profeta determina la distruzione finale
Ciò che finisce è dunque il muro che delimita Israele (cfr. 7,7), cioè l’istituzione politica; e finisce anche il sacerdozio concepito come funzione di un culto localizzato, legato a santuari strategicamente dislocati sul territorio. Betel è il santuario che per eccellenza manifesta questa situazione, perché è «il santuario del re e la casa del regno» (7,13). Travolto il regno, anche i suoi luoghi di culto sono annientati (cfr. 5,5); il popolo in esilio non potrà più andare al luogo «santo» (7,13), ma dovrà vivere su un suolo impuro (7,17). Il sacerdozio di Betel non avrà continuità: la moglie del sacerdote, profanata dalla prostituzione, non potrà più essere sua moglie (cfr. Lv 21,14-15); i suoi figli e le sue figlie saranno uccisi (7,17) e finirà così la stirpe sacerdotale. Con la monarchia e con il sacerdozio spariscono le istituzioni più vistose della vita di Israele, quelle che avrebbero dovuto garantire al popolo un'indefinita sopravvivenza; in realtà spariscono proprio le istituzioni che hanno causato la deportazione di Israele. «NON CONTINUARE PIÙ» La ragione di questa rottura nella storia di Israele è da ritrovare nel fatto che il Signore dichiara che «non continuerà più» a concedere il suo perdono (7,8; 8,2). La discontinuità marcata dall’esilio è motivata dalla discontinuità nell’atteggiamento divino. Ora, tale atteggiamento è prodotto, a sua volta, dalla fine dell’intercessione profetica; ed essa cessa perché re e sacerdote hanno detto ad Amos: «a Betel non continuare più a profetizzare» (7,13). L’espulsione del profeta dal santuario centrale del regno di Israele è interpretata come l’atto simbolico che decreta, su Israele stesso, la fine. Perché, cessando la parola di accusa, cessa al tempo stesso la possibilità di fare verità, di sperare nell’avvento della giustizia; venendo meno la parola di «chi parla con integrità» (5,10) per riprovare il male, Dio non ha più motivo di sopportare l’ambiguità della colpa. Varcando la frontiera di Israele, Amos non può più parlare al popolo di Dio; il silenzio imposto al profeta (1,12; 5,13; 7,13) produrrà il silenzio della morte. Ma, è importante notarlo, il libro di Amos non termina qui. Non sono queste le ultime parole di YHWH. Ce ne saranno altre, che affermeranno un’altra discontinuità, che annunceranno il passaggio dalla distruzione alla ricostruzione (9,11-15). Solo in quel momento sarà rivelato, e in modo definitivo, il termine correlato a «il mio popolo Israele», e cioè il nome de «il Signore tuo Dio» (9,15).
16 La fine della profezia, ultima parola del Signore Sequenza C3: 8,4-14
Questa terza sequenza è organizzata concentricamente: due unità della lunghezza di un passo (8,4-7 e 9,9-14) racchiudono un’unità più breve, della lunghezza di un brano (8,8). LUNGA DENUNCIA DEI CRIMINI CONTRO LA GIUSTIZIA che termina con un BREVE
ANNUNCIO DEL CASTIGO
DOMANDA: un simile peccato non merita un castigo cosmico?
8,4-7 8,8
LUNGA DESCRIZIONE DEL CASTIGO IN UN CONTESTO CULTUALE che termina con un BREVE
RICHIAMO DEL PECCATO
8,9-14
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16. La fine della profezia, ultima parola del Signore 1. IL SIGNORE NON DIMENTICHERÀ L’INGIUSTIZIA DI GIACOBBE (8,4-7)
TESTO 4
Ascoltate questo (voi) che calpestate l’indigente e annientate i poveri della terra dicendo: “Quando passerà la luna-nuova e smerciamo il frumento e il sabato e apriamo (il sacco) di grano e per rimpicciolire lo staio e per ingrandire il siclo e per falsare le bilance ingannevoli 6 per comperare con denaro i miseri e l’indigente per questione di sandali e lo scarto del grano smerceremo?”. 7 Giura il Signore per l’orgoglio di Giacobbe: “Non dimenticherò mai tutte le loro azioni”. 5
VERSETTO 4
voi che calpestate l'indigente Un’espressione simile appariva già in 2,7; attribuiamo al verbo il senso di «calpestare»1; come già per 2,7, D. Barthélemy2 preferisce il senso di «desiderare» e traduce: «voi che siete avidi del povero e che spariscano gli umili dal paese». Non è inverosimile che Amos giochi con il verbo š’p, lasciando intendere che l’aspirazione verso la povera gente è di fatto equivalente all’atto di calpestarli. E ANNIENTATE
C’è un gioco di parole tra questo verbo (welašbît) e il sostantivo «sabato» (šabbāt), percepiti come derivanti dalla medesima radice (cfr. Gen 2,2-3; Es 31,17; ecc.); la paronomasia sembra continuare con «smerciamo il frumento» (našbîr šeber): anche in questo caso si può pensare che Amos faccia un gioco di parole e alluda allo šēber («rovina», «disastro»: cfr. 6,6) che i capi di Samaria preparano per Israele. La costruzione «copula + infinito» dopo un participio (lett. «i calpestanti») ricorre anche altrove (Ger 17,10; 44,19)3. vendiamo R. Kessler ritiene che non si tratti di commercianti (di grano) che vendevano i loro prodotti (dato che Amos non parla di denaro), ma piuttosto di persone facoltose che facevano prestiti (di derrate) falsando i pesi e le misure, riducendo così in schiavitù i debitori insolventi4. Non sembra necessario supporre un prestito (gratuito); par invece indispensabile conservare l’idea di una dinamica economica che per interesse porta alla schiavitù.
1
Con J.L. SICRE, «Con los pobres», 137. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 681-684. 3 Cfr. Joüon, 124p; sulla sincope dello h, cfr. 54b. 4 R. KESSLER, «Die angeblischen Kornhändler». 2
Sequenza C3: 8,4-14
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staio Misura di capacità per materie secche equivalente a 45 litri5. Riprendendo antichi termini di misura, spesso si traduce con «misura» o con «staio». siclo La moneta propriamente detta appare solo nell’VIII secolo in Anatolia e poi in Grecia. In precedenza, il metallo prezioso, che serviva per gli scambi commerciali, era semplicemente pesato. Il siclo pesava 11,4 grammi. VERSETTO 6
e il povero per questione di sandali Cfr. a proposito di 2,6 (p. 88-89). VERSETTO 7
l’orgoglio di Giacobbe In 4,2 Dio giura «nella sua santità», in 6,8 «per se stesso». Se ne potrebbe dedurre che «per l’orgoglio di Giacobbe» sia da mettere sullo stesso piano6: Dio giurerebbe per il proprio nome, di cui Giacobbe-Israele si sente fiero7; l’ironia allora sarebbe feroce, dato che Dio si appresta a castigare Israele. «L’orgoglio di Giacobbe» però non è mai usato come attributo divino nella Bibbia, salvo forse in Mic 5,3: «per l’orgoglio del nome del Signore». Nel Sal 47,5 l’espressione è in parallelo a «la nostra eredità»; se si interpreta questa coppia come sinonimica, «l’orgoglio di Giacobbe» designerebbe il paese, e la parola gā’ôn conserverebbe il suo senso concreto di «altura», «montagna». È possibile anche comprendere «l’orgoglio» nel senso di «peccato» (così in Ger 13,9): il giuramento di Dio sarebbe immutabile come il peccato di Israele8. Ma la simmetria di questa espressione con quella del versetto 14, «quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: “Viva il tuo Dio, Dan! e viva il cammino di Bersabea”», può indurre a pensare che «l’orgoglio di Giacobbe» designi il tempio (nel caso specifico i santuari del nord e del sud). L’espressione avrebbe allora un doppio senso: il lettore, che potrebbe intenderla nel suo significato positivo al versetto 7, sarebbe indotto a rivedere la propria prima impressione arrivando al versetto 14, dove il senso è chiaramente negativo9. 5
Secondo la BJ; secondo Paul, 258, era di poco superiore ai 39 litri. Così Rosenmüller, 237-238; K. MARTI, 217, traduce: «Come è vero che io sono l’orgoglio di Giacobbe, mai dimenticherò le vostre azioni». Il sintagma «orgoglio di Giacobbe» era già stato usato in 6,8, ma qui non era direttamente collegato con il giuramento. 7 Così Andersen – Freedman, 808. 8 È l’interpretazione di Wolff, 328. 9 Rudolph, 164, propende per una formulazione «ironica». 6
356
16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
COMPOSIZIONE + 4 Ascoltate questo + e ANNIENTATE – “Quando passerà –e
(voi) che calpestate i poveri
L’INDIGENTE 5 della terra dicendo:
la luna-nuova il SABATO
e smerciamo e apriamo (il sacco)
il frumento di GRANO
································································································
: e per rimpicciolire : e per ingrandire e per falsare
le bilance
ingannevoli
6
con denaro per questione
i miseri di sandali
: per comperare : e L’INDIGENTE – e lo scarto = 7 Giura = “Non dimenticherò
lo staio il siclo
································································································ del GRANO smerceremo?”.
il SIGNORE mai
per l’orgoglio di Giacobbe: tutte le loro azioni”.
Questo primo passo è formato da due brevi parti (4-5; 7) che ne racchiudono un’altra nettamente più sviluppata (5b-6). La prima parte (4-5a) comprende un solo segmento bimembro, dove ricorrono i sinonimi «indigente» e «poveri». «Dicendo» (5a) introduce la parte seguente. Anche l’ultima parte (7) comprende un solo bimembro: «azioni» rimanda a «calpestare» e ad «annientare» del segmento simmetrico (4)10; il giuramento di Dio («lo giura il Signore», all’inizio di 7) è ciò che i destinatari sono invitati ad ascoltare («ascoltate» all’inizio di 4)11. La parte centrale (5b-6) riporta le parole di quelli a cui si rivolge il profeta. I brani estremi (5bc e 6c) sono costituiti il primo da un bimembro, l’ultimo da un unimembro: vi si riprendono «smerciare» e «grano» (da notare però la differenza introdotta da «scarto»)12. Il brano centrale (5d-6b) comprende tre segmenti con questa successione: bimembro, unimembro, bimembro. Il primo (5de) è a quattro termini paralleli, il terzo (6ab) è a sei termini («miseri» e «indigente» fungono da termini medi). Il segmento centrale infine (5f) è un unimembro: si collega al 10
«Azioni» rinvia anche a «dicendo» (5a), perché l’agire malvagio consiste in una frode in cui la componente della parola è necessaria: si potrebbe dire che essi annientano i poveri servendosi della parola. Così si può ritenere che questi due termini fungano da termini finali per le due parti estreme del passo. 11 Forse c’è un’opposizione tra «indigenti» + «poveri» (4ab) e «l’orgoglio di Giacobbe» (7a), soprattutto se si ricorda che la caratteristica di Giacobbe è quella di essere «piccolo» (7,2.5). Non è da escludere che ci sia anche una certa ironia: invece di rispettare i piccoli, essi rimpiccioliscono lo staio (5d). 12 Il brano 6c, come è stato detto, ha una funzione retorica precisa; alcuni commentatori però pensano che si tratti di una glossa, e altri lo spostano dopo 5c (cfr. J.L. SICRE, «Con los pobres», 137). Il TM, nella sua forma attuale, interpreta i versetti 5-6 come un ragionamento messo in bocca ai commercianti di grano.
Sequenza C3: 8,4-14
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segmento successivo, perché comprende tre termini come i membri del segmento successivo, ma si collega anche al segmento precedente dal punto di vista semantico. «Indigente» è ripreso in 4a e in 6b, al singolare nei due casi, in coppia con i plurali «poveri» (4b) e «miseri» (6a; i quattro termini si corrispondono chiasticamente). «Annientare» di 4b sta in rapporto di paronomasia con «sabato» di 5c. Alle scadenze temporali («luna nuova», «sabato»: 5bc) si contrappone la continuità dell’avverbio neṣaḥ (lett. «sempre», tradotto con «mai» perché si trova in una frase negativa). CONTESTO La correttezza delle transazioni commerciali è un problema di giustizia menzionato nei documenti del Vicino Oriente antico13; anche la Bibbia evoca questa tematica nelle sue tradizioni sapienziali (Pr 11,1; 16,11; 20,10.23) e legali (Lv 19,35-36; Dt 25,13-16). Molto concretamente si tratta di pesi e misure: «la misura» (di cui lo staio costituisce l’unità di base) rappresenta la quantità di merce che si acquista; il peso (in ebraico la «pietra», la cui unità di base è il siclo), costituisce il prezzo che si deve pagare: l’argento veniva infatti pesato con una bilancia (cfr. Ger 32,10). Da qui l’importanza, per l’attuazione della giustizia, di usare bilance giuste (Lv 19,36; Ez 45,10; Gb 31,6; Pr 16,11), di pesi e misure esatte (Lv 19,36; Dt 25,13-15; Pr 11,1); e da qui la condanna come cosa abominevole delle «bilance ingannevoli» (Os 12,8; Am 8,5; Mic 6,11; Pr 11,1; 20,23). I testi biblici in realtà forniscono magre informazioni sulle attività commerciali esercitate in Israele14; e nella letteratura profetica le critiche contro le frodi nell’esercizio dell’attività economica sono piuttosto rare. Eccettuato il breve passo di Os 12,8-9, solo Mic 6,10-12 offre un certo parallelo ad Am 8,4-6: la denuncia dell’inganno attuato con la menzogna, oltre che con l’alterazione delle bilance, è da sottolineare nei due testi (Am 8,4 e Mic 6,12; cfr. Pr 20,14). INTERPRETAZIONE Per quanto riguarda il contenuto, il testo è strutturato in due elementi, gli stessi che sono stati ripetutamente evidenziati nelle sezioni A e B: il crimine (46) e la sanzione (7). L’imperativo iniziale («Udite questo»: 4a) deve quindi essere interpretato come l’invito ad ascoltare la sentenza applicata a dei colpevoli (come in 3,1; 4,1; ecc.), sentenza decisa e irrevocabile perché sancita dal giuramento (7a; come in 4,2 e 6,8).
13 14
Cfr. J.L. SICRE, «Con los pobres», 31-32,44,140-141. Cfr. J.L. SICRE, «Con los pobres», 79-80,444-445.
358
16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
I COLPEVOLI Il profeta si rivolge a un gruppo, di cui è difficile tracciare una precisa fisionomia. È chiaro che si tratta di una categoria opposta e antagonista a quella degli «indigenti», dei «poveri», dei «miseri» (4ab; 6ab)15: infatti essi schiacciano, fino ad annientarla, la popolazione più debole (4ab), servendosi dell’attività di commercio che consiste nel vendere (5b.6c) e comprare (6a). Si tratta dunque di commercianti ricchi. Ma chi sono esattamente? I dati forniti dal testo non permettono di giudicare se Amos abbia di mira traffici di derrate alimentari organizzati su larga scala, oppure i piccoli scambi commerciali che si facevano nei villaggi di Israele16; e le scarse informazioni che si possono desumere da altre fonti ci obbligano a risposte modeste. Sembra in ogni caso da escludere che nel regno di Samaria, nell’VIII secolo, esistesse una categoria di imprenditori specializzati nello smercio del grano. La stragrande maggioranza della popolazione era di condizione contadina, e viveva dei prodotti dei propri terreni, considerati bene inalienabile, trasmesso in eredità da padre in figlio. Certo, anche in Israele c’erano cittadini che non coltivavano la terra, e che erano quindi costretti a comprare il grano e tutte le altre derrate alimentari. Tuttavia gli artigiani specializzati — che con ogni probabilità esercitavano la loro professione solamente nei centri maggiori — i sacerdoti e ministranti dei santuari, i soldati e i funzionari amministrativi collegati con la corte, rappresentavano una clientela piuttosto limitata; e, in ogni caso, non sono certo loro gli «indigenti» di cui parla Amos. Sembra anche che si debba escludere che il testo faccia riferimento alle piccole (o eventualmente grandi) frodi perpetrate nei mercati dei villaggi di Israele: il profeta infatti parla solo della vendita del grano (5ab; 6c) e dice che ne va di mezzo l’esistenza stessa dei «poveri della terra» (4b). Ecco allora l’ipotesi interpretativa che pare dedursi dall’insieme: è probabile che, al tempo di Amos, si sia prodotto un periodo di carestia, a motivo della siccità (a cui si accenna in 1,2; 4,6-7; 7,4-6; 8,13) e di altre calamità naturali (malattie delle piante, invasione di cavallette: cfr. 4,9; 7,1-3). Anche la guerra doveva contribuire ad aggravare la penuria alimentare (cfr. 1,3; 4,10-11; 6,13), come pure le tasse (5,11; 7,1). La gente è allora costretta a comprare il cibo necessario per la sua sopravvivenza, e si rivolge a chi dispone di riserve. Questi possidenti, che diventano venditori, con ogni probabilità sono il re di Israele e la corte di Samaria, quegli stessi ricchi che Amos aveva criticato negli oracoli precedenti. Forse costoro dispongono di latifondi che hanno loro consentito, nella stagione favorevole, di accumulare frumento nei loro granai (come fece Giuseppe in Egitto: Gen 41,33-36); forse un pesante prelevamento sul raccolto della gente (5,11), magari quale «diritto del re» (cfr. 7,1 e 1Sam 8,14-17), ha 15
Nel libro di Amos questi termini sono usati come sinonimi per designare la classe socialmente sfavorita (2,6-7; 5,11-12). 16 Anche J.L. SICRE, «Con los pobres», sembra oscillare tra i grandi commercianti (p. 79) e il «cittadino medio», distinto, dunque, dai ricchi potenti di cui parla 3,10 (p. 138-139).
Sequenza C3: 8,4-14
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prodotto identico risultato. Sono questi ricchi che, invece di salvare la popolazione affamata, la schiacciano e la sterminano (4b). IL CRIMINE Che si tratti di un comportamento assunto in circostanze speciali, come quelle sopra indicate, o si tratti invece di una condotta abituale che infierisce su un ceto in costante difficoltà economica, non è dato decidere con sicurezza. Tuttavia il contesto suggerisce di vedervi come un momento culminante dell’ingiustizia17, cioè come un crimine18 perpetrato in un momento critico, che al contrario avrebbe dovuto indurre al pentimento (cfr. 4,6ss) e dunque all’equità e alla misericordia. In ogni modo, Amos dice che non ci sarà amnistia («mai dimenticherò»: 7b) per un simile delitto, reso ancor più intollerabile dalla menzogna che lo ricopre. Menzogna che è possibile scoprire seguendo il ragionamento (5a) che il profeta mette in bocca ai ricchi trafficanti, per svelare la loro iniquità: tre punti meritano di essere sottolineati. In primo luogo, al centro del discorso (5def), Amos denuncia la frode commerciale, che consiste nell’alterare le misure, i pesi e le bilance, in modo tale che la transazione economica sia a cospicuo vantaggio del venditore. Il compratore è ingannato da un’apparenza di legalità ed è derubato al momento dello scambio. Ci si può domandare perché i commercianti ricorrano a tali imbrogli invece di aumentare semplicemente i loro prezzi, cosa che apparirebbe piuttosto normale in tempo di carestia (cfr. 2Re 6,25). La manipolazione dei pesi e delle misure potrebbe essere giudicata necessaria per invogliare il compratore, che pensa così di fare comunque un buon affare (Pr 20,14); oppure si potrebbe pensare che i governanti, per ragioni di tranquillità politica, abbiano calmierato il prezzo del grano, calcolando quanto, più o meno, la gente di condizione modesta era in grado di pagare. In ogni modo, il profeta vede che, nel momento stesso in cui l’ago della bilancia indica equità (tra ciò che si acquista e ciò che si vende) ecco che si realizza l’«inganno» (5f). La ragione di un simile comportamento sta nella sete di guadagno, nella bramosia di cercare, anche con mezzi immorali, il massimo profitto. E così appare il secondo aspetto della menzogna come strumento di ingiustizia. I commercianti sembrano preoccupati di venire incontro alle necessità della popolazione; essi «aprono» i loro granai e i loro sacchi come fossero i salvatori dei poveri (5c), si privano di tutto, anche degli scarti per soccorre gli affamati (6c). Svolgono un «servizio» essenziale, un compito vitale per il regno. Ma Amos dice che essi sono interessati a vendere (5b), solo per poter comprare (6a): e di
17 Non bisogna dimenticare infatti che si è raggiunto il centro della sezione e che si tratta dell’unica denuncia precisa di tutta questa ultima unità letteraria. 18 J. JEREMIAS, «Am 8,4-7», 209-214, dice che, a differenza di 2,6s, in 8,4-6 viene denunciato un unico crimine di cui si illustrano tre finalità: il vendere (grano), il falsificare i pesi e le misure, l’acquistare (la povera gente).
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16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
fatto comprano la povera gente, asservendola, schiacciandola sotto il peso dei debiti e costringendola a vendersi per rimborsare i prestiti19. Da ultimo, Amos denuncia il rispetto formale della regola religiosa, che vietava il commercio nel novilunio e nel giorno sabato (5bc)20. Non sappiamo se, nell’VIII secolo, il sabato avesse un esplicito collegamento con la teologia dell’esodo (cfr. Dt 5,12-15). È comunque impressionante vedere che il momento della festa religiosa — che senza dubbio celebrava la salvezza divina per tutti, probabilmente in riferimento alla liberazione dalla schiavitù d’Egitto (3,1; 9,7) — sia rispettato in modo ipocrita: si osserva scrupolosamente la legge di libertà e al tempo stesso si riducono gli uomini in schiavitù. Lo sdoppiamento menzognero permette di annientare i poveri, nell’osservanza rigorosa della norma sacrale.
2. UN CASTIGO COSMICO (8,8) TESTO come fiume tutta quanta L’ebraico ha «luce» invece di «fiume»21. Le versioni antiche hanno letto «fiume» (il termine equivale praticamente al nome proprio del Nilo), come in 9,5. La lezione del TM rafforza il legame con quanto segue: «luce» come in 9, così come «lutto» (due volte) e «salire», in 10 e in 822. si abbasserà Ketib: «sarà irrigata»; Qere: «si abbasserà», come in 9,5. Il Ketib annuncia forse «la sete» di 11 e di 13.
19 B. LANG, «Sklaven und Unfreie», sottolinea il processo di depauperamento dei contadini operato dal capitalismo fondiario, che gradualmente li riduce a diventare schiavi, votati a lavorare per i loro creditori. 20 Il «sabato» è il giorno del plenilunio (opposto al novilunio), giorno di festa (cfr. 2Re 4,23; 11,5-7.9; Is 1,13; Os 2,13), durante il quale sono proibite le transazioni commerciali: cfr. A. LEMAIRE, «Le sabbat à l’époque royale israélite»; J. BRIEND, «Sabbat» DBS X, 1132-1170. Sul novilunio, cfr. A. CAQUOT, «Remarques sur la fête de la “néoménie”»; G.F. HASEL, «“New Moon and Sabbath”». 21 Rosenmüller, 239, dice che si tratta di una scriptio defectiva e che quindi l’espressione del testo ebraico deve essere tradotta con «fiume». 22 D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 684-686, discute dettagliatamente il problema, e propende per una correzione del TM: kay’ōr («come un fiume») invece di kā’ōr («come una luce»).
Sequenza C3: 8,4-14
361
COMPOSIZIONE + 8 A causa di questo +e
non SI AGITERÀ sarà-in-lutto
la terra ogni abitante
in
=e = e SI MUOVERÀ
salirà e si abbasserà
come fiume come il fiume
tutta - essa di Egitto?
essa
Questo passo, della lunghezza di un brano, comprende due segmenti bimembri che costituiscono un’unica domanda. Il primo (8ab) riguarda «la terra», il secondo (8cd) paragona ciò che avviene (due volte «come») a un fenomeno acquatico («fiume»). I due membri centrali terminano con il medesimo pronome «essa»; i membri estremi invece terminano il primo con «terra», l’altro con «Egitto» («la terra» è forse da intendersi come la terra di Israele)23. INTERPRETAZIONE Costituito da un solo versetto, il brevissimo passo, che occupa il centro della sequenza, per quanto riguarda il contenuto assomiglia ai «frammenti innici» di cui ricalca la funzione (cfr. in particolare 5,8-9 e 9,5-6). Non ricorrono qui i participi, che celebrano la presenza attiva di Dio nel cosmo e nella storia; ma un’analoga manifestazione teofanica, reperibile nel segno del terremoto, fa seguito alla precedente descrizione del crimine commesso (4-6), così da evidenziare il rapporto tra il peccato e la sanzione divina24. La terra trema (8a), come se non potesse sopportare l’iniquità dei suoi abitanti (cfr. Pr 30,21-23), e questo provoca la morte; il fenomeno è di tale gravità che nessuno è esentato dal lutto (8b). Ci si ricongiunge così, in modo esplicito, con quanto accennato nel titolo del libro che datava la profezia di Amos «due anni prima del terremoto» (1,1); altre allusioni al cataclisma sono presenti anche in 2,13 e 9,1.5. Resta tuttavia da decidere se il terremoto sia da interpretare come un evento reale di natura catastrofica, oppure se sia una figura letteraria che, attraverso il crollo di case e palazzi, esprime la caduta di una dinastia e di un regno. C’è infatti un rapporto tra guerra e terremoto (cfr. 1Sam 14,15; Is 24,1819; Ger 8,16; 51,29; Gl 2,10; ecc.); e lo sconvolgimento (del cielo e) della terra è un’immagine tradizionale della profezia apocalittica per dire la fine25. L’interpretazione metaforica del terremoto non esclude che al tempo di Amos si sia verificato un simile fenomeno tellurico; al contrario, gli conferisce un valore simbolico, profetico, spirituale.
23
Forse ci può essere un gioco di parole tra l’interrogativo ha‘al («A causa di questo») e il verbo we‘āletâ («e salirà»), che sono i termini iniziali dei due segmenti (8a e 8c); cfr. Paul, 260. 24 La preposizione ‘al, regolarmente usata nella sezione A per indicare il motivo della punizione inviata da Dio su tutte le nazioni (1,3.6.9.11; ecc.), è preceduta da una interrogativa retorica come in Ger 5,9.24; 9,8. 25 Cfr. p. 44.
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16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
Il paragone usato dal profeta (8cd) non manca di sorprendere: non si vede bene infatti come le piene del Nilo possano dare un’idea della violenza sussultoria di un terremoto26. Poiché si parla di un salire e di un abbassarsi, qualcuno ha pensato a un maremoto, in relazione anche con testi apparentati di Amos, nei quali si parla di Dio che convoca le acque per riversarle sulla terra (5,8; 9,6)27. In realtà i paragoni degli antichi poeti non corrispondono sempre alle nostre attuali categorie letterarie. Isaia, per esempio, dopo avere detto «a pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra, crollando crollerà la terra», aggiunge «la terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una tenda» (Is 24,19-20). La metafora usata da Amos, oltre ad esprimere il movimento agitato di innalzamento e di abbassamento, probabilmente evoca, in modo proverbiale, l’aspetto inarrestabile e travolgente del fenomeno tellurico28 (in Ger 46,7-8 è applicato al movimento di un esercito). 3. LA PERVERSIONE DEL CULTO DI SAMARIA SARÀ CASTIGATA (8,9-14) TESTO 9
E sarà in quel giorno, oracolo del Signore Dio, farò-tramontare il sole a mezzogiorno e ottenebrerò la terra in giorno luminoso 10 e muterò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamentazione e farò-salire su tutti i reni il sacco e su ogni testa la rasatura e l’imporrò come il lutto di un unico e il suo seguito come un giorno amaro. 11 Ecco venire dei giorni, oracolo del Signore Dio: Invierò la fame sulla terra non una fame di pane e non sete di acqua ma di ascoltare le parole del Signore. 12 Ed erreranno da mare a mare e dal Settentrione all’Oriente vagheranno per cercare la parola del Signore e non la troveranno. 13 In quel giorno, languiranno le belle vergini e i giovani di sete, 14 che giurano per il peccato di Samaria e dicono: “Viva il tuo Dio, Dan! e viva il cammino di Bersabea!” e cadranno e non si rialzeranno più. VERSETTO 9
in giorno luminoso Alcuni autori, a causa anche del parallelismo sinonimico con «a mezzogiorno», attribuiscono a questa espressione, unica nell’Antico Testamento, il significato di «in pieno giorno», «in un giorno di luce», cioè in «una giornata di sole, senza nubi»29. Ma, dato che il contesto è quello della festa, sembra più probabile che l’espressione designi proprio il giorno di celebrazione cultuale30. 26
Così Wolff, 329; Rudolph, 247. Cfr. B.Z. LURLA, «“Who Calls for the Waters”». 28 Cfr. Amsler, 235. 29 Così Andersen – Freedman, 821; Hakham, 66. Rosenmüller, 242-243, interpreta l’espressione come una metafora indicante il tempo della prosperità e della felicità che finiscono improvvisamente. 30 Cfr. Wolff, 329. 27
Sequenza C3: 8,4-14
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VERSETTO 10
e l’imporrò In ebraico il pronome suffisso è al femminile. Abitualmente viene interpretato come un neutro riferito all’insieme dei castighi che precedono. Supporre che rimandi alla madre del «figlio unico» non sembra la spiegazione più semplice31. e il suo seguito La stessa parola si trovava già in 4,2. A motivo del contesto di 8,10 molti ritengono che designi la morte di quelli a cui si rivolge l’oracolo. Per Wolff il secondo membro del segmento aggiungerebbe qualcosa al primo: 10e annuncerebbe la morte del figlio, 10f la fine di quanti lo piangono32. Noi intendiamo l'espressione semplicemente come «ciò che seguirà». VERSETTO 11
le parole del Signore Le antiche versioni hanno il singolare («la parola»), forse per armonizzare con il versetto successivo; si è anche pensato che il TM presentasse (nello yod finale di dbry) una dittografia (di yhwh, la parola che segue)33. VERSETTO 12
da mare a mare e dal Settentrione all’Oriente La difficoltà principale viene dal fatto che, invece di «all’Oriente», ci si aspetterebbe «al Meridione», come termine complementare di «dal Settentrione». D’altra parte, l’espressione «da mare a mare» può essere interpretata in diversi modi: come «dal Mediterraneo al Mar Morto»34 o «dal Mare dei Giunchi al Mare dei Filistei»35. Piuttosto che come un riferimento preciso alle frontiere di Israele, sembra preferibile comprendere questa espressione come un modo di esprimere la totalità36. Andersen – Freedman, 822. Wolff, 330. 33 D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 686-687, preferisce seguire il TM. 34 Per esempio, Harper, 183 (che rimanda a Sal 72,8; 107,3; Zc 9,10; Gl 2,20); Andersen – Freedman, 825-826, con una lunga discussione. 35 Così Hakham, 67, rifacendosi a Es 23,31; ciò gli consente di completare la lista dei quattro punti cardinali (dato che il Mare dei Giunchi si trova a sud e il Mare dei Filistei a ovest). 36 N.M. BRONZNICK, «“Metathetic Parallelism”», 30, riconosce in questo testo un particolare fenomeno retorico, secondo cui i termini di un parallelismo subiscono una specie di «metatesi»; in realtà è come se il rapporto tra i quattro punti cardinali fosse incrociato: al mare (sud) dal mare (OVEST) dal nord all’Oriente (EST). 31 32
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16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
VERSETTO 13
languiranno Questo verbo è al femminile a motivo del soggetto più vicino. VERSETTO 14
il peccato di Samaria Alcuni hanno voluto vedere nella parola ’ašmâ («peccato») un’alterazione del nome della divinità ’ăšîmâ’, di cui parla 2Re 17,3037; altri ritengono vi sia un gioco di parole con Astarte (’ăšērâ) il cui culto, secondo 1Re 16,33 e 2Re 17,16, sarebbe stato forse instaurato a Samaria stessa. Il problema fondamentale dell’interpretazione, non solo di questa espressione ma anche di tutto il versetto, è di sapere se «il peccato di Samaria», il «Dio» di Dan e il «cammino» di Bersabea designano delle divinità pagane, o se si tratta di una denuncia della perversione del culto reso al Dio di Israele. il cammino di Bersabea Si sono avanzate diverse proposte di correzione del termine «cammino», per farne il nome di una divinità straniera venerata nel santuario del sud38. Questi cambiamenti, senza conferma testuale nelle versioni antiche, non sono necessari39.
37
Così H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 157-181. Amsler, 237, e H.M. BARSTAD, The Religious Polemics, 191-198, in riferimento all’ugaritico drkt, traducono con «la potenza di Bersabea» (per Barstad è il nome di un Baal locale). Su Bersabea, cfr. p. 183. 39 D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 688-689, ritiene che Amos alluda al pellegrinaggio di Bersabea; lo stesso fanno Wolff, 332; e Rudolph, 270-271. Rosenmüller, 249, interpreta la parola «cammino» nel senso di rito, culto, religione (come in Sal 139,24 e At 9,2; 19,9.23). 38
Sequenza C3: 8,4-14
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COMPOSIZIONE = 9 E sarà in quel
GIORNO, oracolo del Signore DIO, ·····················································································································
. farò-tramontare . e ottenebrerò 10
il sole la terra
: e muterò : e tutti : e farò-salire
le vostre feste i vostri canti su tutti i reni
:e : e l’imporrò : e il suo seguito
su ogni testa come come
a mezzogiorno IN GIORNO
LUMINOSO
in lutto in lamentazione il sacco il lutto UN GIORNO
la rasatura di un unico AMARO.
= 11 Ecco venire dei
GIORNI, oracolo del Signore DIO: ·················································································································
la fame una fame
sulla terra di pane
. e non . ma di ascoltare
sete
di acqua
- 12 Ed erreranno - e dal Settentrione
da mare all’Oriente
: Invierò . non
LE PAROLE DEL SIGNORE. ·························································································
- per cercare LA PAROLA - e NON la troveranno.
a mare vagheranno DEL SIGNORE
= 13 In
quel GIORNO, ····························································· - languiranno le belle vergini 14
– che giurano –e dicono: –e - e cadranno
per il peccato “Viva il tuo Dio, viva il cammino
e i giovani di sete, di Samaria Dan! di Bersabea!” e NON si rialzeranno più.
Questo passo comprende tre parti introdotte da segmenti analoghi (9a.11a. 13a): alle estremità «in quel giorno», al singolare; al centro «ecco venire dei giorni», al plurale. I secondi membri dei primi due segmenti («oracolo del Signore Dio»: 9a.11a) sono identici; il terzo invece (13a) fa l’economia di questo secondo membro. La prima parte (9-10) comprende tre brani. Il primo è il bimembro introduttivo (9a). Gli altri due brani (9bc.10) sono evidenziati dai loro termini finali opposti, «giorno luminoso» (9c) e «giorno amaro» (10f); il primo brano, che comprende un solo bimembro, annuncia il castigo delle tenebre, il secondo quello del «lutto», parola ripresa nei primi membri dei segmenti estremi (10a e 10e).
366
16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
Dopo il segmento introduttivo (11a) la seconda parte comprende altri due brani, uno costruito in modo concentrico (11b-e), l’altro in modo parallelo (12). Il secondo brano comprende due unimembri alle estremità (11b.11f) e un bimembro al centro, i cui due membri sono paralleli termine a termine (11c e 11e); l’ultimo segmento (11e) spiega l’immagine della «fame» del primo segmento (11b), la cui interpretazione letterale viene esclusa dal segmento centrale. Il terzo brano (12) comprende un primo bimembro del tipo A (b c ) / (b’c’) A’, e poi un secondo segmento in cui si contrappongono «cercare» e «non trovare»40. «Le parole» e «la parola del SIGNORE» ricorrono negli ultimi segmenti di ogni brano (11e.12c), fungendo da termini finali. La terza parte (13-14) è più breve. Lo stesso segmento introduttivo comprende un solo membro. Si ha poi un unico brano, i cui segmenti estremi (bimembri in 13b e 14d) annunciano il castigo. Tra i due, il trimembro di 14abc, i cui membri terminano con un nome proprio; «Dan» e «Bersabea», che designano i santuari dell’estremo nord e dell’estremo sud, sono complementari. Tra le due parti estreme, ricorre il tema della morte: si parla infatti di «lutto» in 10a.e, e di caduta irrimediabile in 14d, metafora questa della morte (cfr. 5,2)41. Si noti anche il rapporto tra «unico» di 10e e «vergini» e «giovani» di 13b42. La parte centrale fa da legame con le altre due: la parola «sete» di 11e è ripresa in 13b; e «terra» di 11b richiama 9c. Ma oltre al lessico comune, bisogna osservare che il secondo brano della parte centrale (11b-e) è alla prima persona singolare (il locutore è il Signore), come la prima parte (9b-10); e che il suo terzo brano (12) è alla terza persona plurale (il referente è Israele) come la terza parte (13b-14). INTERPRETAZIONE Se si esclude una parte del versetto 14 (14abc), l’insieme del passo esplicita la punizione divina conseguente al peccato di Israele. La prima e l’ultima parte (910 e 13-14) si corrispondono tematicamente: infatti, come si vedrà dettagliatamente, sia l’una che l’altra fanno riferimento alla celebrazione religiosa e sviluppano il motivo della morte; la parte centrale (11-12), che annuncia l’assenza della parola di Dio per un tempo indeterminato (11a), ha un contenuto specifico e sarà commentata alla fine, dopo l’interpretazione delle parti estreme.
40 Probabilmente c’è un gioco di parole tra ṣāmā’ («sete») del versetto 11 e yimṣā’û («troveranno») del versetto 12 (cfr. F. LANDY, «Vision and Poetic Speech», 239-240). 41 In 5,1 abbiamo un rapporto esplicito tra «lamentazione» (qînâ) e l’espressione «è caduta, non potrà rialzarsi». 42 Si può stabilire un rapporto anche tra la parola «festa» (ḥag), che indica il pellegrinaggio (10a), e il nome dei santuari (Dan e Bersabea: 14bc; quest’ultimo è associato al termine «cammino», che forse allude proprio al pellegrinaggio).
Sequenza C3: 8,4-14
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L’ECLISSI DELLA FESTA (9-10) Il sole che tramonta a mezzogiorno, l’oscurità che invade la terra in pieno giorno (9bc) sembrano evocare il fenomeno prodigioso dell’eclissi43. Il mutamento nella regolare alternanza della luce e delle tenebre è un segno evidente della presenza di Dio, sovrano del cielo; la tenebra, in particolare, accompagna spesso la manifestazione teofanica (cfr. Is 34,4; 50,3; Ez 32,7-8; Sof 1,15; ecc.). Dopo lo sconvolgimento della terra (8) viene annunciato il perturbamento del cielo44; in entrambi i casi, la conseguenza è la morte (8b; 10). Sebbene sia un segno terrificante, l’eclissi in realtà non produce effetti mortali; se dunque Amos profetizza un simile evento, lo annuncia come un segno premonitore, come simbolo della scomparsa repentina della vita nella storia degli uomini di Israele45. Il sole, con il suo apparire regolare, scandisce il ritmo della vita umana e comanda anche la scadenza della festa (cfr. Gen 1,14). Amos stabilisce un nesso tra il mutamento nel ciclo del sole (9b) e la trasformazione della festa in un giorno di lutto (10a); l’inatteso manifestarsi della morte (cfr. Ger 15,9) è come un’eclisse di sole, è dunque il segno stesso dell’azione di Dio (come in 4,13; 5,8; e soprattutto in 5,18-20). Invece di essere celebrazione della vita, il pellegrinaggio al santuario diventa la celebrazione di un funerale, con la musica e gli abiti appropriati (10bd). Non si tratta tuttavia di una qualsiasi liturgia penitenziale. Il lamento esprimerà una sofferenza assoluta, come quella che prova chi perde l’unico figlio (10ef): non c’è più futuro, non ci sarà più discendenza, il sole tramonta a mezzogiorno nella Casa d’Israele. LA SETE CHE UCCIDE (13-14) Un quadro del tutto simile a quello appena descritto è prospettato da Amos alla fine del testo: la frase «cadranno e non si alzeranno più» (14d) dice la morte, ripetendo il motivo tipico della lamentazione funebre (10b; cfr. 5,1-2)46. La novità sta nella causa del decesso, che è la sete (13d). Ciò suscita qualche problema per l’interprete, perché nella parte centrale il profeta dice che Dio invierà la sete, ma non una sete di acqua (11e).
43 Rudolph, 114,265, ritiene che Amos faccia riferimento all’eclissi di sole, che, secondo i documenti assiri, avvenne nel 763; cfr. anche Paul, 262. Mentre in 5,18.20 il profeta userebbe un linguaggio metaforico, in 8,9 annuncerebbe un evento reale di tipo escatologico (come Gl 3,4; 4,15). 44 Da notare che le due cose sono frequentemente associate negli oracoli profetici di tipo escatologico: cfr. Is 13,10.13; 24,18-20.21-23; Ger 4,23-24; Gl 2,10; 3,3-4; 4,15-16; Ab 3,10-11. 45 In 2,13 e 8,8 l’interpretazione del terremoto va nella medesima direzione; anch’esso non è altro che una prefigurazione del crollo del regno, un segno che parla della fine prossima. 46 Il rapporto di 8,13-14 con 5,1-2 è sottolineato anche dalla menzione della «vergine». L’espressione ebraica lō’... ‘ôd («non... più») di 8,14d, come segno della fine, rinvia invece a 7,8 e 8,2.
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16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
Una prima spiegazione esegetica potrebbe essere la seguente: al castigo della mancanza di Parola («sete di ascoltare», 11ef) Dio associa il castigo della mancanza di acqua che non risparmia nessuno («vergini» e «giovani» sarebbe un merismo che indica la totalità della popolazione). Come la scomparsa del sole significava l’avvento della morte (9-10), così la privazione dell’acqua produce il venir meno («languiranno») anche delle persone più vigorose (i giovani). Un’altra spiegazione considera la sete come una metafora del desiderio sessuale, che porta a generare; ciò sarebbe coerente con i soggetti colpiti dalla punizione, e cioè «le belle vergini» e «i giovani». Il bere come metafora della relazione sessuale (cfr. Pr 5,15-19; Ct 8,2), la sete come simbolo della insoddisfazione della pulsione amorosa (cfr. Ger 2,25; Os 2,5) sarebbero così evocati dal profeta per dire che il futuro sarà senza vita, che la promessa — insita nella bellezza e nel vigore giovanile — svanirà. Come la morte del figlio unico (10e), così il morire di «sete» dei giovani significa che l’avvenire è bloccato, che l’oggi non si dischiude su un domani di vita. Un’ultima interpretazione del testo considera la sete sempre in un senso metaforico, ma la applica a colui che desidera la vita che viene dalla benedizione del Signore. «Ho sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 42,3; cfr. 63,2). Questa e altre esclamazioni simili potevano essere cantate processionalmente da fanciulle e giovani, che con le loro danze allietavano e solennizzavano le feste di Israele (Ger 31,4.13; Sal 148,12). Ciò sembra suggerito dal contesto immediato, che collega l’esperienza della sete (13b) all’invocazione rivolta alla divinità (14a-c); il «giuramento»47 sembra far allusione ai voti e promesse fatte al santuario per ottenere un favore divino. Anche il contesto del passo, in particolare il versetto 10, favorisce un’interpretazione religiosa e cultuale dei versetti 13-1448, soprattutto se si pensa alla festa delle Tende, cioè del raccolto (cfr. 8,1-3), durante la quale si invocava dal Signore la pioggia per l’anno successivo. Il culto degenerato di Samaria, probabilmente intriso di sincretismo e di idolatria (Os 8,6; 10,8) risulta inefficace. Il popolo, che supplica esprimendo il desiderio di vita, morirà di sete; perirà, perché Dio non esaudisce. IL DESIDERIO DI DIO (11-12) In Israele cesserà la vita; ciò significa che Dio e la sua Parola verranno meno. L’eclissi del sole (9) è solo una metafora dell’estinzione della profezia. Come dirà Michea: «il sole tramonterà su questi profeti e oscuro si farà il giorno su di essi [...] perché non hanno risposta da Dio» (Mic 3,6-7). La sete (13) o la fame che fa morire non è quella di acqua e di pane; è ciò che esce dalla bocca di Dio che fa vivere l’uomo (Dt 8,3). Perciò l’annuncio di morte viene espresso Su questo punto, cfr. in particolare S.M. OLYAN, «The Oaths of Amos 8,14». Il riferimento ai santuari e la probabile allusione al pellegrinaggio collegano il versetto 14 con il versetto 10; il giuramento e le invocazioni (14abc) fanno da pendant ai canti (10b). 47 48
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mediante il ritirarsi della parola di Dio (cfr. Ez 7,26; Mic 3,6-7; Lam 2,9; Sal 74,9). Dio non ascolta più (14), Dio non perdona più (7,8; 8,2), Dio non parla più (11-12): modi espressivi diversi per dire un’unica realtà, quella della fine. Qualsiasi sforzo umano si rivela inutile, qualsiasi direzione percorsa per mutare la situazione risulta inefficace. L’uomo infatti è consegnato a ciò che lui stesso ha voluto: avendo rifiutato il profeta (7,10-17), è condannato a sentirne la mancanza fino a morirne.
4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (8,4-14) COMPOSIZIONE I LEGAMI TRA I PASSI ESTREMI La maggior parte del primo passo è consacrata alla denuncia del peccato (46), mentre l’annuncio del castigo è molto breve (7). Il contrario avviene nell’ultimo passo, poiché solo il trimembro di 14abc denuncia il peccato (come in un inciso), mentre il resto del passo è consacrato alla descrizione del castigo. Il peccato denunciato in questa sequenza ha a che vedere con la parola: infatti all’inizio le parole degli ingiusti sono riportate ampiamente (5-6) e alla fine sono citate le acclamazioni cultuali (14bc). Si noti la ripresa del verbo «ascoltare» in 11e all’inizio della sequenza (4a), come pure la complementarietà delle immagini estreme: quelli che «calpestavano» il povero all’inizio (4a) «cadranno» alla fine (14d) per non rialzarsi più. Nei due passi si parla di tempo: il tempo («novilunio» e «sabato» di 4cd) atteso dai peccatori per commettere l’ingiustizia, il tempo della festa (10a), che si trasforma in quello del castigo («giorno/i» di 9a.11a.13a). Peccato e castigo sono correlati, dato che «fame di pane» (11c) richiama «frumento» (4c) e «grano» (4d e 6c). Da notare soprattutto che i due passi terminano con le due uniche ricorrenze di «giurare» all’inizio di 7 e all’inizio di 14: la prima volta è il Signore a giurare, la seconda sono i Figli d’Israele. LA DOMANDA CENTRALE E IL RESTO DELLA SEQUENZA La domanda centrale (8) riprende il pronome «questo» di 4a; «terra» (8a) appariva già in 4b e ritornerà in 9c e 11b; «lutto» di 8b sarà ripreso due volte in 10a e in 10e, e il verbo «salire» in 8c e in 10c. Dal punto di vista semantico, da una parte «questo» di 8a riprende tutte «le azioni» (7b), cioè i peccati, elencati nel primo passo; dall’altra i fenomeni descritti, il terremoto e le sue conseguenze, annunciano il castigo di cui parla l’ultimo passo.
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16. La fine della profezia, ultima parola del Signore
– 4 ASCOLTATE QUESTO, voi che calpestate l’indigente – e annientate i poveri della TERRA 5 dicendo: - “Quando passerà la luna-nuova e così smerciamo il frumento, - e il sabato e così apriamo il sacco di grano . e per rimpicciolire lo staio e per ingrandire il siclo e per falsare le bilance ingannevoli . 6 per comperare con denaro i miseri e l’indigente per questione di sandali; - e anche lo scarto del grano smerceremo!”. = 7 Il SIGNORE LO GIURA per l’orgoglio di Giacobbe: :: “Mai dimenticherò tutte le vostre azioni”. 8
A causa di QUESTO e e e si muoverà
non si agiterà LA TERRA sarà-in-LUTTO ogni abitante in essa salirà come fiume tutta quanta e si abbasserà come il fiume di Egitto?
+ 9 E sarà, in quel giorno, oracolo del Signore DIO, . farò-tramontare il sole a mezzogiorno . e ottenebrerò LA TERRA in pieno giorno, - 10 e muterò le vostre feste in LUTTO - e tutti i vostri canti in lamentazione - e farò-salire su tutti i vostri reni il sacco, - e su ogni testa la rasatura - e l’imporrò come il LUTTO di un figlio unico - e il suo seguito come un giorno di amarezza. + 11 Ecco venire dei giorni, oracolo del Signore DIO: . invierò la fame sulla TERRA non fame di pane e non sete di acqua . ma di ASCOLTARE le parole del SIGNORE. - 12 Ed erreranno da mare a mare - e dal Settentrione all’Oriente vagheranno - per cercare la parola del SIGNORE e non la troveranno. + 13 In quel giorno :: languiranno le belle vergini e i giovani di sete, = 14 quelli che GIURANO per il peccato di Samaria = e dicono: ‘Viva il tuo Dio, Dan! = e viva il cammino di Bersabea!’ :: e cadranno e non si rialzeranno più.
Sequenza C3: 8,4-14
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INTERPRETAZIONE Per i motivi letterari e i temi usati, la sequenza si stacca nettamente dal contesto della sezione. Per certi aspetti essa richiama piuttosto la sezione B, a cominciare dal termine iniziale, «Ascoltate» (cfr. 3,1; 4,1; 5,1), e dalla tematica dell’oppressione dei poveri (4-6), fino alla insistita ripetizione del motivo della morte (8b.10.13.14d; cfr. 5,1-2.16-17; 6,9-10). L’articolazione fondamentale della sequenza riproduce quella che è già stata messa in evidenza nelle sue due parti principali (le parti estreme): alla colpa di Israele fa seguito — per intrinseca necessità di giustizia — la divina sanzione; anche questo è un tratto di somiglianza tra la sequenza C3 e la sezione B. La colpa di Samaria si manifesta in primo luogo nel campo della giustizia (46), ma essa si colloca in un contesto cultuale (il novilunio e il sabato: 5bc; la festa: 10a; la preghiera nel santuario: 14a-c). Più ancora delle azioni delittuose il profeta denuncia un «dire» (5a; 14a), che stravolge il senso delle cose, che dà apparenza di legalità alla frode nel commercio (5d-6), che dà parvenza di culto legittimo alla pratica idolatrica (14a-c). È questa parola distorta e menzognera che si oppone alla parola del profeta; essa domina in Israele (da Dan a Bersabea), manifestando il rifiuto del Signore e della sua legge, nei due ambiti fondamentali, il rispetto del prossimo e il rispetto del Nome di Dio. La punizione del Signore sembra dispiegarsi secondo modalità disparate: il terremoto (8), l’eclissi (9), una diffusa mortalità (10), una siccità che sfinisce (13). La parte centrale (8), che allude solamente al castigo, permette di vedere che la sanzione è costituita da due elementi complementari: ci sarà uno sconvolgimento cosmico e questo porterà alla morte degli abitanti del paese. Gli Israeliti hanno distorto ciò che regola il rapporto economico (5-6), hanno stravolto il senso della scadenza festiva (10.14): allora Dio «muta» (10a) i dati cosmici, facendo tremare ciò che è solido (8a), rendendo tenebroso persino il sole (9b). Gli Israeliti hanno voluto annientare i poveri del paese (4b), cercando poi, in modo perverso, la benedizione nella celebrazione idolatrica (14b). Non hanno saputo, o meglio non hanno voluto trovare la vita (cfr. 5,4-6.14-15): la loro fine è dunque marcata dalla morte inattesa, violenta, quella che colpisce i giovani (13b), che colpisce tutti (8b.10). Alla loro parola distorta e menzognera Dio risponde con il silenzio (11-12). Se il profetismo accompagnava la storia di Israele, quale segno della presenza del Dio vivo in mezzo al suo popolo, la fine della «parola» equivale alla fine della storia del popolo; terminato il tempo dell’amnistia (7b), essi non si rialzeranno più (14d). L’annuncio escatologico dice che «in quel giorno» (9a.11a.13a) Israele sarà come inghiottito dalla piena del Nilo (8cd). L’Esodo è dunque sparito?
17 Il Signore comanda la distruzione finale Sequenza C4: 9,1-10
Questa sequenza comprende tre passi, due annunci di castigo (1-4 e 8-10) che racchiudono un passo di genere diverso (5-7).
UN MALE A CUI NESSUNO POTRÀ SFUGGIRE
9,1-4
Il Signore degli eserciti 9,5-7 e i Figli d’Israele
IL MALE PER TUTTI I PECCATORI
9,8-10
374
17. Il Signore comanda la distruzione finale 1. UN MALE AL QUALE NESSUNO POTRÀ SFUGGIRE (9,1-4)
TESTO VERSETTO 1
colpisci... Il testo non precisa a chi è rivolto questo imperativo. Questa difficoltà ha suscitato molte proposte di correzione. Diversi autori sostituiscono l’imperativo con un indicativo, «egli colpisce» (spostando «e disse» prima di «e tagliali», che a sua volta dovrebbe essere corretto in un futuro, «e taglierò», in parallelo con «ucciderò»)1. Le correzioni non si impongono2. e tremeranno gli stipiti Il verbo usato appartiene alla radice r‘š già usato in 1,1: il tremare degli elementi architettonici che reggono l’edificio (e cioè delle basi o degli stipiti) è abitualmente interpretato come la manifestazione tipica del terremoto3. Originale è invece l’opinione di J. Ouellette4: egli pensa che l’espressione ebraica significhi «forzare l’entrata» (del santuario, del luogo di rifugio); il Signore progetterebbe dunque la possibilità di un giudizio al quale nessuno può sfuggire, in consonanza con quanto detto nei versetti 2-4. il loro seguito Tutte e tre le ricorrenze di questo termine (4,2; 8,10 et 9,1) creano delle difficoltà. Letteralmente la parola significa «ciò che viene dopo». Come in 4,2, sembra indicare ciò che resta dopo un primo castigo; è quanto preciserà il versetto 4, che riprende le stesse parole «spada» e «uccidere». Il parallelismo dei due segmenti 1bc e 1de suggerisce una relazione tra i «capitelli» e le «teste», da una parte, (ciò che è in alto, cioè i capi), e, dall’altra, gli «stipiti» e «il resto» (ciò che è in basso, ciò che viene dopo, cioè i sudditi)5.
1
Wolff, 334-335. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 689-693, discute accuratamente i problemi filologici del versetto, presentando un’ampia rassegna delle diverse interpretazioni. Egli collega il pronome suffisso del verbo «tagliare» con «tutte le parti superiori dell’edificio che crollano per il colpo ricevuto dal capitello» (così Rosenmüller, 253); la Vulgata invece («avaritia enim in capite omnium»), come pure D. Isaac Abrabanel e Lutero, vedevano nel testo un’allusione alla colpevolezza dei destinatari. 3 Wolff, 339; Rudolph, 245. 4 J. OUELLETTE, «The Shaking of the Threshold». 5 Così Paul, 276. 2
Sequenza C4: 9,1-10
375
e non scamperà... Alla lettera, il testo ebraico suona così: «non fuggirà per loro un fuggitivo, e non si salverà per loro uno scampato»; il senso, ovvio, è che non ci saranno sopravvissuti6. COMPOSIZIONE Introdotto con un segmento narrativo (1a), questo passo è un discorso che comprende tre parti: le parti estreme (1b-e e 4cd) sono brevi e annunciano una punizione, mentre la parte centrale (1f-4b) è nettamente più lunga ed enuncia l’assoluta impossibilità di sfuggire al castigo. 1
VIDI il Signore
che stava-ritto sull’altare e disse:
+ Colpisci – e tremeranno
il capitello gli stipiti
+ e tagliali – e il loro seguito
nella TESTA con LA SPADA
tutti UCCIDERÒ.
Non fuggirà e non scamperà
tra essi tra essi
. 2 Se penetrano di là
la mia mano
. e se salgono di là
un fuggitivo uno scampato.
NEGLI INFERI,
li prenderà
IN CIELO,
li farò-scendere
············································································································ 3 e se si celano IN CIMA AL CARMELO,
di là
li scoverò
e li prenderò
············································································································ se si nascondono davanti ai miei OCCHI IN FONDO AL MARE,
=e di là comanderò 4
= e se vanno in esilio di là comanderò
al serpente
e li morderà
di fronte
AI LORO NEMICI, ed essa LI UCCIDERÀ.
ALLA SPADA
– E porrò il mio OCCHIO su di loro – per il male e non per il bene.
La prima parte (1b-e) comprende due bimembri, i cui membri si corrispondono parallelamente. Il secondo segmento è più ampio del primo: comprende sei termini invece di quattro. Si noti che è costruito in modo concentrico:
6
Cfr. Joüon, 130g e 155d.
376
17. Il Signore comanda la distruzione finale
TAGLIALI
nella testa
tutti
e
il loro seguito
con la spada UCCIDERÒ.
L’ultima parte (4cd) è ancora più breve della prima, perché comprende un solo bimembro. Vi è annunciato o confermato il castigo, in modo molto generico («male e non bene»). 1
VIDI il Signore
che stava-ritto sull’altare e disse:
+ Colpisci – e tremeranno
il capitello gli stipiti
+ e tagliali – e il loro seguito
nella TESTA con LA SPADA
tutti UCCIDERÒ.
Non fuggirà e non scamperà
tra essi tra essi
. 2 Se penetrano di là
la mia mano
. e se salgono di là
un fuggitivo uno scampato.
NEGLI INFERI,
li prenderà
IN CIELO,
li farò-scendere
············································································································ 3 e se si celano IN CIMA AL CARMELO,
di là
li scoverò
e li prenderò
············································································································ se si nascondono davanti ai miei OCCHI IN FONDO AL MARE,
=e di là comanderò 4
= e se vanno in esilio di là comanderò
al serpente
e li morderà
di fronte
AI LORO NEMICI, ed essa LI UCCIDERÀ.
ALLA SPADA
– E porrò il mio OCCHIO su di loro – per il male e non per il bene.
La parte centrale (1f-4b) comprende due sottoparti. La prima (1fg) è breve e generale: i suoi due membri sono sinonimi e paralleli. La seconda sottoparte (24b) è molto più lunga, dato che comprende cinque segmenti bimembri: i primi membri elencano le diverse possibilità di fuga (sono tutte frasi condizionali introdotte da «se») e i secondi membri (che sono le proposizioni principali) ribadiscono che è impossibile fuggire davanti a Dio. Questi cinque segmenti sono organizzati concentricamente. I primi due (2), che hanno un ritmo rapido, contrappongono il basso («inferi») e l’alto («cielo»). Gli ultimi due (3c-4b) hanno un ritmo più lento; i loro secondi membri sono i soli di tutta la sottoparte in cui si faccia appello a un intermediario, al quale il Signore «comanderà». Il primo luogo di rifugio («in fondo al mare») è analogo a quello del primo segmento della sottoparte («il fondo del mare» è in basso come «gli inferi»), ma l’opposizione è, per così dire, sghemba: ci si sarebbe aspettati un alto dopo un
Sequenza C4: 9,1-10
377
basso, e di fatto la sottoparte si chiude con il “lontano” dell’esilio. Il segmento centrale (3ab) assicura il legame tra i due brani che lo inquadrano: di ritmo più lento del brano precedente, esso è nondimeno più rapido del seguente. Come nel segmento precedente, si tratta di un luogo di rifugio elevato, però terrestre, come nell’ultimo segmento, e non di uno dei tre luoghi “estremi” quali «gli inferi», «il cielo» o «il fondo del mare». Il segmento centrale termina, come il primo segmento, con il verbo «prendere». I legami tra le parti: il collegamento più forte è dato dalla ripresa di «spada» insieme al verbo «uccidere» come termini finali della prima e della seconda parte (1e e 4b); la parola «testa» è ripresa in 1d e 3a7 e «occhi» in 3c e 4c; infine si potrebbe forse vedere una relazione tra «vidi» dell’inizio (1a) e «il mio occhio» della fine (4c). CONTESTO L’imperativo «colpisci», che apre il passo, deve essere interpretato come l’ordine dato dal giudice, «il Signore», a un giustiziere, non chiaramente individuato dal testo; a quest’ultimo viene autoritativamente ingiunto di applicare la sentenza irrogando la pena8. Così, per esempio, dopo avere decretato la colpevolezza di Achimelech e della sua famiglia sacerdotale, Saul comanda ai suoi «corrieri»: «Avvicinatevi e mettete a morte i sacerdoti del Signore» (1Sam 22,17). Ugualmente, Salomone dà ordine a Benaia di uccidere Ioab con le parole: «Va’, colpiscilo!» (1Re 2,29); e Ieu condanna a morte tutti gli adoratori di Baal radunati nel santuario dicendo alle sue guardie: «Entrate, colpiteli! Nessuno scampi!» (2Re 10,25). Un testo molto significativo in proposito è Ez 9: sei uomini, ciascuno con il proprio strumento di sterminio in mano (v. 2), sono inviati da Dio nella città con il compito di colpire a morte i colpevoli (v. 5) senza risparmiare nessuno (v. 6)9. L’autorevolezza della decisione giuridica, cioè del verdetto, si afferma nella misura in cui il condannato non si sottrae con la fuga alla pena che è stata decretata. La giurisdizione divina è assolutamente universale, si estende cioè dal cielo agli inferi, dalla sommità delle montagne alle profondità del mare. Per questo, come afferma il Sal 139,7-12, nessuno può sottrarsi al potere indagatore di Dio (cfr. anche Ger 23,24); e, come dice Am 9,2-4, nessun punto del cosmo sfugge al potere (alla «mano») di Dio, dato che dappertutto egli dispone di un giustiziere («il serpente», «la spada») obbediente al suo comando.
7
Cfr. Paul, 276. Spesso, specialmente nei testi poetici, i due momenti del verdetto e dell’esecuzione tendono a sovrapporsi e ad essere attribuiti allo stesso soggetto giuridico (cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 343). Ciò potrebbe spiegare l’apparente opposizione tra gli imperativi «colpisci» e «tagliali» (9,1b.d), attribuiti al giustiziere, e il verbo finito «ucciderò» (9,1e), attribuito a Dio. 9 Come in Am 9,1a, anche in Ez 9,2 la menzione dell’altare sembra significare che il santuario non costituirà un impedimento all’esecuzione della sentenza (cfr. anche 1Re 2,29). 8
378
17. Il Signore comanda la distruzione finale
INTERPRETAZIONE UNA VISIONE IMPRECISA Il carattere enigmatico, che caratterizzava le visioni precedenti, contraddistingue anche quest’ultima. Non è però l’immagine contemplata a risultare misteriosa, né il senso di tale rivelazione. Infatti la visione del profeta è semplice: egli vede che il Signore parla, ed è quindi solo la parola pronunciata a essere trasmessa10. Inoltre, è inequivocabile il tono di condanna: è immediatamente chiaro che viene sentenziata la morte, e che questa è inevitabile. Tuttavia, i protagonisti della scena non sono qualificati con precisione. È questo l’unico passo infatti in cui Dio viene presentato con il solo appellativo di ’ădōnāy, («[mio] Signore»); sembra quasi che l’autore voglia evidenziare l’aspetto autoritativo di colui che parla, rinviando all’inizio del passo seguente l’identificazione di ’ădōnāy con YHWH (5). Neppure i destinatari sono designati: le frasi «tagliali nella testa tutti» (1d) e «porrò il mio occhio su di essi per il male» (4c) potrebbero applicarsi sia ad Israele che alle nazioni, sia ai dirigenti del regno di Samaria che ai frequentatori del santuario di Betel. Infine non si coglie con sicurezza se il profeta veggente sia anche il destinatario dell’ordine emanato dal Signore; infatti, cosa potrebbe significare di preciso il fatto che Amos colpisca il capitello e faccia tremare gli stipiti e che a tutti tagli la testa? Se il Signore dà ordine invece a un giustiziere, i tratti di questo personaggio restano totalmente sconosciuti; la sua figura si sovrappone tra l’altro al serpente e alla personificazione della spada (3c-4b), conferendo all’insieme un carattere di vaghezza, che, proprio per la sua indeterminatezza, rende più cupo l’annuncio minaccioso. TUTTI SARANNO COLPITI Il contenuto della visione, praticamente ridotto all’immagine del crollo di un edificio, è una metafora della fine della Casa d’Israele11. Un simile disastro deve essere inteso come l’esecuzione di una condanna a morte; da qui la sovrapposizione dell’immagine della spada che uccide (1e, 4b) che sembra non coerente con il motivo del terremoto. 10
Il profeta non vede l’esecuzione del comando, non vede, per esempio, il tremare degli stipiti del tempio. 11 Non concordiamo quindi con Paul, 273, secondo cui nella quinta visione non viene presentato nessun oggetto con valore simbolico. È possibile certo che il «capitello» faccia riferimento a una pietra portante del santuario (di Betel); questo è coerente con la menzione dell’«altare» e con quella degli «stipiti», termine esplicitamente usato per il tempio (Is 6,4; Ez 40,6-8; 41,16; 43,8; ecc.). Il profeta parla effettivamente di un terremoto che distrugge interamente una costruzione (sacra). Sembra però evidente che ciò indichi metaforicamente lo sfacelo della Casa d’Israele; non si spiegherebbe infatti come questa visione concluda la serie delle visioni di minaccia, se essa volesse solo annunciare il crollo di un edificio, e non si comprenderebbe perché il profeta sviluppi il suo discorso parlando di una spada (cioè della pena capitale) alla quale nessuno è in grado di sfuggire.
Sequenza C4: 9,1-10
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L’insistenza del testo — il suo nucleo centrale (1f-4b) — porta sul fatto che la punizione divina raggiunge tutti, che nessuno potrà sfuggire al potere del Signore e al suo decreto di morte. Il linguaggio diventa paradossale; il locutore, cioè il Signore stesso, enuncia delle ipotesi di fuga che sono impossibili, addirittura assurde. Penetrare negli inferi o salire in cielo (2) non è consentito all’uomo, né è un sistema pratico per salvarsi; qualcosa di analogo vale per le profondità del mare o l’esilio in un paese nemico (eventualità, quest’ultima, veramente curiosa per qualcuno che intende mettersi in salvo). L’unico luogo che avrebbe un valore realistico sarebbe la cima del Carmelo (3a, al centro del passo): a motivo dei suoi fitti boschi e delle sue caverne questa regione poteva effettivamente fornire un vero nascondiglio. Il Carmelo è anche un simbolo di forza e di prosperità12; le varie ipotesi di fuga stanno allora a significare che non c’è alcun potere o forza, di natura cosmica o storica, capace di opporsi all’esecuzione del giudizio divino. Il «frammento innico», che segue immediatamente il passo (5-6), va nella stessa direzione, accentuando anzi la signoria divina sugli elementi celesti e terrestri. Tutti i colpevoli saranno raggiunti e colpiti, iniziando da quelli che occupano una posizione eminente, di vertice, che sono come i capitelli della struttura sociale (1b). Nella sua genericità, il testo lascia aperte diverse possibilità di interpretazione. Si può pensare che vengano colpiti i governanti di Samaria, e che perciò l’intero regno di Israele venga scosso fin nelle sue fondamenta13; ciò spiegherebbe perché, all’interno della sequenza, gli occhi inquisitori di Dio (4) equivalgono alla decisione di distruggere il «regno peccatore» (8). È possibile però ritenere che il capitello sia simbolo della «Casa d’Israele», che si reputa la prima tra le nazioni (6,1), probabilmente perché nel santuario di Betel essa celebra la sua elezione da parte di YHWH. La visione di Amos rivelerebbe allora che il Signore ha deciso di colpire la propria «costruzione» (cfr. Ger 1,10; 18,7; 31,28; 45,4), la sua casa (il suo santuario e il popolo che si è scelto). E questo fa tremare le basi stesse del mondo, e sconvolge l’assetto stesso della terra. Si spiegherebbe così, all’interno della sequenza, non solo l’equiparazione di Israele con le altre nazioni (9,7), il che può essere paragonato ad un «livellamento» o ad un «abbattimento» della sua condizione di preminenza, ma anche il riferimento a una catastrofe cosmica (9,5-6), che investe l’intero globo terrestre. Come nelle visioni precedenti, ecco quindi una rivelazione di Dio, inattesa e insospettata. Il profeta vede il Signore presso l’altare; chiunque ne dedurrebbe che si tratta della presenza del Dio onorato nel luogo santo, divinità che non può
12
Cfr. il nostro commento ad Am 1,2, soprattutto p. 44-45. Rudolph, 244, ritiene che 9,1 sia una ripresa di 7,9 (distruzione dei santuari e uccisione con la spada della casa reale). Il Targum traduce il versetto 9,1 in modo molto parafrastico, e lo interpreta in riferimento alla morte del re Giosia, che avrebbe portato alla distruzione del Tempio di Gerusalemme (cfr. Rosenmüller, 252-253). Il linguaggio metaforico e l’indeterminatezza dei referenti permettono quindi di applicare il verdetto di morte alla casa regnante, senza escludere però che vi sia coinvolto tutto il popolo. 13
380
17. Il Signore comanda la distruzione finale
che posare uno sguardo benevolo sui propri fedeli14. Ma, al contrario, invece di essere promessa di pace, la voce di Dio ordina la distruzione del santuario stesso, del luogo cioè in cui è celebrato il suo nome e la sua presenza; egli comanda la fine del popolo di cui è il Signore, affermando così una sovranità, una signoria che mette in questione tutta l’interpretazione tradizionale della storia di Israele.
2. IL SIGNORE E I FIGLI D’ISRAELE (9,5-7) TESTO VERSETTO 5
Il Signore... Il testo ebraico è introdotto da un waw che non compare nella traduzione, perché esso può venir interpretato come un waw di giuramento15, o semplicemente come un waw «usato enfaticamente con una sfumatura di affermazione»16. lui che tocca la terra ed essa ondeggia Il verbo ebraico tradotto con «toccare» in determinati contesti significa «colpire» (cfr. Gen 32,26.33; 1Sam 6,9); sembra però preferibile evidenziare che la forza di Dio si manifesta proprio nel fatto che il suo semplice tocco fa tremare le montagne (cfr. Sal 104,32; 144,5). Il verbo ebraico tradotto con «ondeggiare» significa «vacillare», «barcollare» e anche «tremare di paura»17; nel testo di Amos pare faccia allusione al terremoto18, dato che quest’ultimo è collegato — come in 1,1-2 — con il lutto, cioè con la morte degli abitanti della terra. e si abbassa Si veda quanto detto a proposito di 8,8 dove si ritrova un distico quasi identico19. Si noti anche che il testo di Am 9,6cd è uguale a quello di 5,8 («lui che chiama»).
14 Anche il tema dell’onnipresenza divina (nessuno sfugge all’occhio e alla mano di Dio) di solito è interpretato dal «fedele» come una garanzia a suo favore (cfr. Sal 139,7-12); Amos rovescia questa prospettiva, trasformando la certezza della protezione in una certezza del giudizio punitivo. 15 Cfr. Os 12,6; Gl 4,21; Ger 29,23; Is 51,15; ecc. (Harper, 194). 16 Joüon, 177n. 17 Cfr. B. COSTACURTA, La vita minacciata, 68-70. 18 Cfr. A. OHLER, Elementi mitologici, 47-52. 19 Cfr. p. 361.
Sequenza C4: 9,1-10
381
VERSETTO 6
il suo podio Ketib: «la sua scala», Qere: «le sue scale», cioè i gradini del suo trono (cfr. 1Re 10,20; 2Cr 9,18)20. La maggioranza dei commentatori, a partire da Wellhausen, corregge il testo ebraico per leggere «la sua camera alta». L’allusione al trono, posto su un podio, a cui si accede salendo dei gradini, sembra semanticamente preferibile21. la sua volta Le altre tre ricorrenze di questa parola nella Bibbia non sono di grande aiuto per identificare esattamente di quale parte della costruzione si tratti. Sembra che tra il «podio» e la «volta» si possa vedere una relazione bipolare tra parti basse e parti alte dell’edificio (come in 9,1 tra il «capitello» e gli «stipiti») 22. COMPOSIZIONE + 5 Il Signore
è il SIGNORE degli eserciti:
: lui-che-tocca : e sono-in-lutto . ed (essa) sale . ed (essa) si abbassa
la TERRA tutti gli abitanti
ed (essa) ondeggia in essa,
come il FIUME come il FIUME
tutta-quanta di EGITTO,
································································································
= 6 lui-che-costruisce = e la sua volta
nel CIELO sulla terra
il suo podio (egli) fissa,
································································································ le acque del MARE
. lui-che-chiama : e le versa . Il SIGNORE
sulla faccia
della TERRA.
è il suo nome!
– 7 (Forse) non (siete) come : voi per me,
i figli figli
dei Cusciti di Israele?
dalla terra e Aram
di EGITTO da Kir?
oracolo del SIGNORE! : (Forse) non ho-fatto-salire Israele – e i Filistei da Caftor
20
Rosenmüller, 258-259. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 693-694, attribuisce alla scala celeste la funzione di collegare cielo e terra (cfr. Gen 28,12), come avveniva simbolicamente per le scale dei templi mesopotamici a terrazze. Il testo di Amos però non sembra sottolineare il nesso tra il cielo e la terra, ma piuttosto il carattere sublime del trono celeste e la sua perenne stabilità. 22 Cfr. la lunga discussione di Andersen – Freedman, 845-854, che mettono il testo di Amos in relazione con Sal 78,69. 21
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17. Il Signore comanda la distruzione finale
+ 5 Il Signore
è il SIGNORE degli eserciti:
: lui-che-tocca : e sono-in-lutto . ed (essa) sale . ed (essa) si abbassa
la TERRA tutti gli abitanti
ed (essa) ondeggia in essa,
come il FIUME come il FIUME
tutta-quanta di EGITTO,
································································································
= 6 lui-che-costruisce = e la sua volta
nel CIELO sulla terra
il suo podio (egli) fissa,
································································································ le acque del MARE
. lui-che-chiama : e le versa . Il SIGNORE
sulla faccia
della TERRA.
è il suo nome!
– 7 (Forse) non (siete) come : voi per me,
i figli figli
dei Cusciti di Israele?
dalla terra e Aram
di EGITTO da Kir?
oracolo del SIGNORE! : (Forse) non ho-fatto-salire Israele – e i Filistei da Caftor
Questo passo comprende due parti. La prima (5-6) è formata da tre sottoparti. Le sottoparti estreme (5a.6e) sono brevi, dato che sono costituite da un solo segmento unimembro: vi si ritrova il nome di YHWH, che non ricorrerà altrove in questa parte. La sottoparte centrale (5b-6d) è molto più sviluppata, poiché comprende tre brani. Questi ultimi iniziano con un verbo al participio, il cui soggetto è il Signore degli eserciti. Essi illustrano il rapporto di Dio con le tre parti costitutive del cosmo: la terra (5b-e), il cielo (6ab), il mare (6cd). Contrariamente agli altri due, il primo brano comprende due segmenti bimembri: il primo descrive il terremoto, il secondo (5de), i cui due membri sono paralleli termine a termine, paragona il movimento tellurico alla piena del Nilo. L’ultimo brano (6cd) è un segmento bimembro costruito parallelamente, che descrive un cataclisma simile a quello di 5de. Anche il brano centrale (6ab) comprende un solo segmento bimembro, ma questa volta costruito concentricamente: LUI-CHE-COSTRUISCE
nel cielo il suo podio e la sua volta
sulla terra FISSA.
Esso contrasta con i due brani che lo racchiudono in quanto esprime l’elemento solido («fissa») che si contrappone a ciò che è mobile («ondeggia» di 5b); il «podio» e la «volta» del «cielo» sono distinti dalla terra su cui poggiano, ma non viene accentuata la separazione tra la terra e le acque. Si noterà che la parola «terra» è ripresa alle estremità (5b et 6d) e al centro (6b). La seconda parte (7) è costruita concentricamente: due segmenti bimembri inquadrano il segmento unimembro di 7c. I due bimembri sono delle domande retoriche, che mediante la frase interrogativa negativa affermano la somiglianza
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tra Israele e gli altri popoli23. I due membri del primo segmento terminano con dei sintagmi opposti, «figli di Cush» – «Figli d’Israele». La relazione del primo membro dell’ultimo segmento tra «Israele» ed «Egitto» è ripresa due volte nel secondo membro dell’ultimo segmento (7e), tra «Filistei» e «Caftor» e tra «Aram» e «Kir». Così «Israele» (7b e 7d) è paragonato dapprima ai «figli di Cush» (7a), poi ai «Filistei» e ad «Aram» (7e), il che accentua la costruzione concentrica di questa parte. Da una parte all’altra, la parola «terra» ricorre quattro volte (5b.6b.6d e 7d) 24, ed è ripetuto anche «Egitto» (5e e 7d)25 e «il Signore» (5a.6e e 7c)26. CONTESTO Il tremare della natura è uno degli elementi importanti del genere letterario della teofania: la manifestazione di Dio provoca lo sconvolgimento cosmico, o, forse meglio, il cataclisma rivela la presenza di Dio. Il tremare della terra equivale per lo più al terremoto, che però è associato frequentemente ad altri fenomeni distruttori, come l’apparire delle tenebre e l’invasione di acque devastatrici; le tre parti costitutive del mondo — terra, cielo e mare — sono per così dire disfatte e riemerge il caos primitivo (cfr., ad esempio, Gdc 5,4-5; Mic 1,3-4; Na 1,2-6; Sal 97,3-6; ecc.) La teofania può essere interpretata come la rivelazione del Dio guerriero, che con la sua sola presenza terrorizza il mondo intero27. In Am 9,5 il riferimento esplicito al nome di Dio come «il Signore YHWH degli eserciti» evocherebbe allora l’aspetto vittorioso e positivo della divinità celebrata nei santuari di Israele28. Nell’antichità la guerra molto spesso è interpretata come un’azione giuridica, cioè come l’attuarsi di un giudizio esercitato contro i colpevoli29: la distruzione e la morte universale non rivelano allora solamente la forza invincibile di Dio, ma anche l’assoluta giustizia del giudice nei confronti dell’iniquità di tutta la terra.
23
Questo tipo di domanda retorica, che attende una risposta positiva, è ben attestato nel libro di Amos: cfr. 2,11; 3,3-8; 5,20. 24 Vi si può aggiungere la particella «come» (5de e 7a). 25 La parola Egitto è legata al verbo «salire» (5d e 7d). La radice ‘lh (salire) si trova anche in 6a («podio» o «gradini»). 26 Il nome del «Signore» si trova alle estremità della prima parte (5a e 6b) e al centro della seconda parte (7c). Forse alla menzione iniziale di «tutti gli abitanti» della terra (5c) e alla lista finale dei popoli (Cusciti, Israele, Filistei, Aram di 7) si può riconoscere la funzione di inclusione. 27 Cfr. S.E. LOEWENSTAMM, «The Trembling of Nature». 28 Per il Sitz im Leben cultuale della teofania, cfr. J. JEREMIAS, Theophanie, 136-150; H.P. MÜLLER, «Die kultische Darstellung der Theophanie». 29 Cfr. P. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 39, 269-272.
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17. Il Signore comanda la distruzione finale
INTERPRETAZIONE L’INNO A YHWH Siamo in un santuario di Israele, probabilmente a Betel; la menzione dell’altare all’inizio della sequenza (9,1) ne è un indizio30. In un santuario, abitualmente si inneggia alla divinità a cui il luogo è consacrato; anche Amos fa talvolta riferimento alla musica e ai canti che accompagnavano le cerimonie religiose degli Israeliti (5,23; 6,5; 8,3.10) e integra nella sua profezia le parole di inni, che probabilmente sentiva cantare (4,13; 5,8-9). L’inno esprime la fede di Israele: il nome del suo Dio è come declinato in una litania di attributi che esaltano la sua gloria, in una serie di verbi che ricordano le sue gesta. Ci sono inni che celebrano il Dio creatore e la sua signoria sul cosmo; e ci sono inni nei quali YHWH è lodato per la sua opera storica di salvezza a favore di Israele31. Questi due aspetti possono confluire in un unico testo (come, per esempio, nel Sal 136); e di fatto sono compresenti nel passo in questione: nella prima parte, infatti, si proclama il Nome del Dio sovrano del cielo e della terra (9,5-6), mentre nella seconda parte si presenta YHWH come il Dio che «ha fatto salire Israele dalla terra d’Egitto» (9,7). L’INNO AL SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA (5-6) Le parole che declamano la sublimità del Nome del Signore (5-6) sono poste sulle labbra di un locutore non definito. Questi potrebbe essere lo stesso profeta, il quale riformulerebbe, nelle categorie della teofania, il contenuto minaccioso della visione ricevuta (9,1). Al tempo stesso, la voce del profeta si sovrappone in un certo qual senso a quella del popolo; si può infatti immaginare che le singole frasi pronunciate, i diversi titoli attribuiti al Signore facessero parte del patrimonio tradizionale della preghiera pubblica di Israele, di cui Amos si appropria interpretandola. La proclamazione della sovranità, cioè del potere assoluto di Dio sull’universo intero, è modulata in modo da sottolineare due aspetti attraverso cui si rivela il messaggio profetico. La composizione retorica consente di evidenziarli. Il primo aspetto è espresso nei versetti che inquadrano il centro del testo (5be, 6bc): il Signore degli eserciti è colui che distrugge la terra mediante il terremoto (5b-e) e mediante il diluvio (6cd)32. Il Dio creatore dis-fa la sua opera, il Dio che ha prodotto la vita arreca la morte (il lutto) a tutti gli abitanti della terra (5c). Questa rivelazione del nome di YHWH (5a, 6e) è rivelazione del Dio 30 Il rapporto esplicito tra l’altare e Betel è attestato in 3,14; è evocato anche in 2,8 dove si parla della «casa del loro dio». 31 Con ogni probabilità si celebrava soprattutto l’epopea dell’esodo (ricordata esplicitamente da Amos in 2,9-10 e 3,1-2). 32 Terremoto e diluvio sono associati, come, per esempio, in Na 1,5-8, per suggerire l’idea di una catastrofe cosmica che colpisce l’universo intero. Più che l’annuncio di una punizione particolare, essi sono dunque il segno della fine, esprimono l’evento escatologico.
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che giudica il mondo; non si tratta quindi di un Signore che si manifesta per beneficare, ma di YHWH che punisce (cfr. 9,4). Proclamato nel santuario, con le parole stesse degli inni di Israele, il messaggio profetico di condanna assume tutta la sua forza dirompente. Il secondo aspetto è messo in evidenza dal centro del testo (6ab) che, in un certo qual modo, si contrappone ai versetti che gli fanno da cornice. Vi si proclama infatti che Dio costruisce (6a), mentre prima e dopo si parla del Signore che distrugge; e si sottolinea la stabilità della dimora divina, in opposizione a una terra che vacilla o è sommersa dalle acque del mare. In sostanza, si celebra il fatto che il Signore ha il suo trono nei cieli. Anche questa affermazione fa parte delle confessioni di fede e della preghiera pubblica di Israele33; si professa così che il Signore, proprio perché regna da una sede superna e solidissima, esercita il suo giudizio in modo infallibile, universale, inarrestabile. Pronunciata nel santuario, questa verità significa anche che il luogo che gli Israeliti identificano come dimora della divinità (Betel come «casa di Dio») potrà essere colpito e distrutto; la costruzione terrestre, opera degli uomini, non è la casa di Dio, e, in quanto realtà terrena, sarà giudicata e travolta. LA PAROLA DEL DIO DELL’ALLEANZA (7) La seconda parte del passo si presenta come la risposta del Signore alla litania di lode recitata precedentemente: alle parole che dicevano cosa è YHWH per il popolo di Israele, fa seguito la parola del Signore che dichiara cosa è Israele per lui. Alle affermazioni solenni e poetiche succede una domanda retorica; quasi si trattasse di una banale constatazione («Forse non siete come...»), il Signore afferma che i Figli d’Israele non godono di una relazione privilegiata con Lui. La terminologia usata è quella dell’alleanza34; ma invece di intendere «Io, YHWH, sono il tuo Dio e voi, Figli d’Israele, siete il mio popolo, mia proprietà esclusiva», l’uditore si sente dichiarare: «Voi siete per me come i Cusciti». Qualunque sia la connotazione particolare da attribuire ai «figli dei Cusciti», cioè agli Etiopi35, sembra chiaro che Amos voglia equiparare Israele a uno qualsiasi dei popoli della terra; ciò risulta anche dal fatto che Dio considera 33
Cfr. Sal 11,4; 14,2; 33,13-14; 68,34; 103,19; 113,5-6; 115,3.16; ecc. Cfr. W. VOGELS, «Invitation à revenir à l’alliance». L’autore, riprendendo e sviluppando un’idea di A. NÉHER, Amos, 140ss, traduce così la prima parte del versetto: «Non è vero? Come i figli di Cush, voi mi appartenete, Figli d’Israele»; e ritiene che il senso del brano (che comprende anche il versetto 8) sia un invito a ritornare all’alleanza. Egli intende così salvaguardare la funzione specifica di Israele, messa in risalto in altri testi biblici. Sembra chiaro però che l’esegesi del passo di Amos imponga un diverso orientamento interpretativo. 35 È difficile sapere se esisteva una qualche sfumatura spregiativa nel riferimento agli Etiopi; il nome evoca forse semplicemente un popolo abitante le regioni più remote della terra (cfr. Rudolph, 273-274), che, proprio per la sua lontananza, è quello al quale Israele pensava di assomigliare di meno. Alcuni autori dicono che si potrebbe avere un’allusione all’Egitto, dato che all’epoca di Amos una dinastia nubiana era al potere in quel paese (cfr. Ez 30,4-5.9, dove si ha una certa identificazione tra Etiopia ed Egitto): Israele sarebbe allora messo sullo stesso piano del popolo da cui era stato liberato all’inizio della sua storia. 34
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17. Il Signore comanda la distruzione finale
l’esodo dalla terra d’Egitto, che rappresenta il fondamento storico delle tradizioni di alleanza fra Israele e YHWH, alla stessa stregua dell’esodo dei Filistei da Caftor36 e degli Aramei da Kir37. LA RIVELAZIONE DEL DIO CHE GIUDICA SECONDO GIUSTIZIA L’insieme del passo diventa allora la rivelazione del Dio che giudica la terra. Due sono le qualità richieste al giudice perché attui un giudizio conforme al diritto. Anzitutto, è necessario che abbia giurisdizione su quelli che sono giudicati, abbia cioè il potere di condannare e di irrogare la sanzione; ora, nella prima parte del passo (5-6), Amos dichiara che YHWH ha posto il suo trono nel cielo (6a) per esercitare autorevolmente il suo giudizio su tutti gli abitanti (5c) della terra (6d). Il giudizio universale è rivelazione del potere sovrano di Dio. In secondo luogo, affinché il giudizio sia giusto, si richiede che il giudice sia imparziale, che non faccia preferenze, che non alteri il corso della giustizia perché inibito o corrotto da legami particolari con gli imputati. Nella seconda parte del passo (7) emerge proprio la libertà di YHWH nei confronti di Israele: questi è stato beneficato dal Signore come lo furono altri popoli (7de), ed è quindi trattato come gli altri (7ab). La prima sezione del libro di Amos (i capitoli 1–2) è una precisa dimostrazione dell’assunto secondo cui Dio condanna irrevocabilmente il delitto, sia esso compiuto da Aram o dai Filistei, sia esso perpetrato dal popolo di Israele.
3. IL MALE PER TUTTI I PECCATORI (9,8-10) TESTO VERSETTO 9
il setaccio La parola ebraica è un hapax che la LXX interpreta come «il setaccio», largo cesto di vimini, nel quale si vaglia il frumento, separandolo dalle impurità. Il vento si porta via la pula con la polvere e nel setaccio resta solo il grano.
36 Diverse sono le opinioni concernenti l’identificazione del sito di Caftor: alcuni pensano che si tratti dell’isola di Creta (cfr. M. DELCOR, «Les Kerethim et les Crétois»), altri, seguendo la LXX, propongono invece la Cappadocia (cfr. G.A. WAINWRIGHT, «Caphtor – Cappadocia», come pure J. PRIGNAUD, «Caftorim et Kerétim»); altri infine preferiscono l’isola di Cipro (J. STRANGE, Caphtor / Keftiu. A New Identification). 37 L’origine degli Aramei da Kir non è attestata altrove nella Scrittura; si parla invece della loro deportazione a Kir in Am 1,5 e 2Re 16,9.
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e non cade un granello a terra La parola ṣerôr è difficile da interpretare nel contesto, perché significa «un pezzetto», «un chicco», ed è stata compresa sia come «un granello» (di frumento) sia come «una piccola pietra». Se lo strumento usato è proprio il setaccio che trattiene ciò che è buono e lascia portare via ciò che è cattivo (e non il crivello o il vaglio che lasciano passare ciò che è buono e trattengono ciò che è cattivo)38, bisogna comprendere che si tratta di un granello (di frumento). Questa interpretazione39 sembra meglio adattarsi al verbo «cadere», che spesso allude a un esito infausto, cioè la morte (cfr. 8,14): i peccatori (la pula) saranno eliminati, ma neppure uno dei giusti (il grano buono) andrà perso. VERSETTO 10
non farà avvicinare, né giungere fino a noi il male! Seguendo la LXX, la maggior parte dei commentatori corregge i due verbi facendone dei qal (e non degli hiphil come nel TM); «il male» è allora considerato soggetto: «Non si avvicinerà, non giungerà fino a noi il male». La correzione non sembra necessaria40. COMPOSIZIONE + 8 Ecco gli occhi + e lo distruggerò
del Signore DIO
– Però non distruggerò : oracolo del SIGNORE!
sul regno peccatore dalla faccia del suolo. LA CASA DI GIACOBBE,
···························································································
: 9 Poiché ecco IO comando –e scuoterò – come si scuote –e non cade + 10 Di spada + che dicono:
in tutte le nazioni LA CASA D’ISRAELE, nel setaccio un granello a terra.
moriranno “Non farai avvicinare
tutti i peccatori né giungere
del mio popolo, fino a noi il male.”
Questo passo è formato da tre parti. La prima (8ab) comprende un solo bimembro: «lo distruggerò» corrisponde a «Ecco gli occhi del Signore su» e «il regno peccatore» ha un rapporto di complementarietà con «la faccia del suolo».
38 39
Cfr. Sir 27,4 (Paul, 286). Si tratta dell’interpretazione tradizionale dell’esegesi giudaica, attestata da Kimchi e Ibn
Ezra.
40
Così traducono, fra altri, DHORME e Wolff, 344.
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17. Il Signore comanda la distruzione finale
+ 8 Ecco gli occhi + e lo distruggerò
del Signore DIO
– Però non distruggerò : oracolo del SIGNORE!
sul regno peccatore dalla faccia del suolo. LA CASA DI GIACOBBE,
···························································································
: 9 Poiché ecco IO comando –e scuoterò – come si scuote –e non cade + 10 Di spada + che dicono:
in tutte le nazioni LA CASA D’ISRAELE, nel setaccio un granello a terra.
moriranno “Non farai avvicinare
tutti i peccatori né giungere
del mio popolo, fino a noi il male.”
Anche l’ultima parte (10) comprende un solo bimembro. Il secondo membro apporta una precisazione sui personaggi in questione: sono quelli che sono sicuri di non essere raggiunti dal «male». «Il male» rimanda a «spada». Queste due parti estreme si corrispondono con la ripresa di «peccatore/i» (8a.10a); «moriranno» di 10a rimanda a «lo distruggerò» di 8b. La parte centrale (8c-9) comprende due brani. Il secondo (9) è formato da un segmento unimembro introduttivo (9a), seguito da un trimembro (9bcd) del tipo ABB’: i due ultimi membri sono un paragone. Il primo brano (8cd) comprende un solo bimembro. Il secondo membro di questo brano (8d), che è una formula di conclusione di oracolo, corrisponde al primo segmento del brano seguente, che è una formula di introduzione (9a): «comando» corrisponde a «oracolo» e «io» a «Signore». In posizione simmetrica «la Casa d’Israele» (8c) rimanda a «la casa di Giacobbe» (9b)41. «La casa di Giacobbe» e «la Casa d’Israele» della parte centrale (8c e 9b) rimandano al «regno peccatore» di 8a e a «tutti i peccatori del mio popolo» di 10a42. Le due ricorrenze del verbo «distruggere» (8b e d) fungono da termini medi tra le prime due parti.
41 Il fatto che il testo riporti semplicemente «il mio popolo», al posto di «il mio popolo Israele» (7,8.15; 8,2 [9,14]) induce H.W. HOFFMANN a considerare inautentici i versetti 9-10 («Zur Echtheitsfrage von Amos 9,9f.»). L’indizio è francamente discutibile. 42 «Casa d’Israele» e «casa di Giacobbe» hanno una funzione analoga e sembrano anche essere sinonimi. J. JEREMIAS, «Jakob im Amosbuch», 148-152, considera l’espressione «casa di Giacobbe» (9,8 e 3,13) come un titolo specifico, diverso dunque da «Casa d’Israele», designante la comunità degli Israeliti che, anche dopo l’esilio, senza struttura statale, permane nell’alleanza con YHWH. Dalla struttura retorica si rileva piuttosto che le due designazioni si riferiscono al popolo di Israele (del quale Dio dice in 9,8c: «non distruggerò»), distinto dall’entità politica del regno di Israele, in 9,8a chiamato «il regno peccatore» (di cui Dio dice in 9,8b: «lo distruggerò dalla faccia del suolo»).
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INTERPRETAZIONE LA CONTRADDIZIONE L’ultimo passo della sequenza annuncia, ancora una volta, l’intervento giudicante di Dio, ma con un’apparente contraddizione: dapprima il Signore afferma che distruggerà dalla faccia della terra il regno peccatore (8ab), e poi aggiunge che tuttavia non distruggerà la casa di Giacobbe (8c). L’opinione di critica letteraria, secondo cui la seconda frase sarebbe la glossa di un redattore posteriore43, è una soluzione di comodo che evacua la tensione, ma anche la ricchezza del testo. L’immagine centrale del passo (9a-d) paragona la decisione autoritativa di Dio («comando») allo «scuotere» la casa d’Israele. La metafora è polivalente. Da una parte, lo scuotere può far allusione al terremoto44, dunque a una catastrofe che non risparmia nessuno; da questo punto di vista, come Dio ha detto che non ci saranno sopravvissuti (9,1), così può affermare che avverrà la distruzione totale del regno di Israele. D’altra parte, però, lo scuotere è interpretato come l’azione del vagliare, del separare ciò che è buono da ciò che è cattivo, azione questa che è propria del giusto giudizio; per questo viene apportata una precisazione che può essere così formulata: tutti i peccatori moriranno (10a), ma la casa di Giacobbe non sarà distrutta (8c). È possibile anche che Amos introduca un’importante distinzione tra il «regno peccatore» (8a) e «la casa di Giacobbe – Israele» (8c, 9b). Il primo potrebbe rappresentare l’entità politica45 (con la sua componente religiosa, come si vedrà più avanti) che, configuratasi per la scissione del regno davidico sotto Geroboamo I, è definitivamente scomparsa dopo la caduta di Samaria nel 722. Il peccato (8a e 10a) ha effettivamente prodotto la distruzione «dalla faccia del terra» (8b) del regno di Israele. Ma la Casa d’Israele, cioè il popolo nella sua globalità, sebbene giudicato e punito con l’esilio tra le nazioni, non sarà distrutto. Come il profeta annuncerà nell’ultima sequenza (9,11-15), verranno anzi dei giorni in cui quello che il Signore continua a definire «suo popolo» (10a) sarà ricondotto nel suo paese; la restaurazione politica tuttavia si realizzerà per la «capanna di Davide», non per il regno separato del nord.
43 Così fanno diversi autori, da Wellhausen a Wolff, 346. Altri commentatori ritengono, invece, che il testo sia originario (cfr. Rudolph, 275; Paul, 285). 44 Il verbo nw‘ (scuotere) è usato in Is 6,4 per indicare il tremare degli «stipiti delle porte», fenomeno certamente simile a quello descritto da Am 9,1, dove il verbo r‘š evoca il terremoto. Anche in Is 24,19-20 l’agitarsi della terra (verbo nw‘) è espressione di uno sconvolgimento sismico. 45 Cfr. Rudolph, 276.
390
17. Il Signore comanda la distruzione finale
I PECCATORI L’ultimo passo della sequenza è il solo a identificare con una certa precisione il destinatario dell’intervento giudiziario di Dio: la pena capitale (la morte di spada: 9,1.4.10) sarà applicata a «tutti i peccatori» del popolo del Signore. In questo modo viene anche fornita la motivazione dell’azione penale, che è la risposta proporzionata al crimine perpetrato. Per sapere quale sia il peccato della Casa d’Israele è necessario ripercorrere l’insieme della profezia di Amos; tuttavia l’ultima frase del testo («dicono: “Non farà avvicinare, né giungere fino a noi il male») permette di cogliere la ragione ultima della catastrofe subita dal regno del nord. Anzitutto, non sono tanto le azioni dei peccatori ad essere denunciate quanto le loro parole, cioè l’ideologia che regola la vita della gente e che può prendere forma di pensiero politico, di dottrina religiosa, di insegnamento sapienziale. È chiaro che il ragionamento dei «peccatori» ha un fondamento religioso: proprio perché credono in Dio, perché sanno che YHWH si è impegnato in un’alleanza salvifica con Israele, ne deducono che la sventura non potrà danneggiare il popolo di Israele. La fede è qui trasformata in presunzione, la credenza apparentemente buona diventa l’occasione per perseverare nel male senza pentirsi. Da dove viene una simile distorsione? Le tradizioni profetiche attestano ripetutamente che il discorso ingannevole dei falsi profeti promette pace e sicurezza in nome di Dio: «Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: “Voi avrete la pace!”; e a quanti seguono la caparbietà del loro cuore dicono: “Non verrà su di voi la sventura» (Ger 23,17)46. Nel libro di Amos tuttavia non è presente il conflitto tra vero e falso profeta, ma piuttosto la polemica costante tra il profeta e l’istituzione cultuale (cfr. 2,8; 3,14; 4,4-5; ecc.). Per questo sembra più probabile pensare che la frase «Non farai avvicinare [...] fino a noi il male» sia da mettere sulla bocca di coloro che frequentano il santuario, ripetendo i cantici di fiducia nel Signore del tipo: «Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra, se crollano i monti nel fondo del mare» (Sal 46,2-3). Il collocare in ambito cultuale il versetto 10b è d’altra parte coerente con l’insieme della sequenza che inizia con dei riferimenti al santuario («altare», «stipiti»: 9,1) e che nel passo centrale (9,5-6 e probabilmente anche 9,7) produce il genere letterario dell’inno. Ancora una volta, il profeta collegherebbe strettamente il peccato con la frequentazione del tempio (4,4) e, ancora una volta, minaccerebbe di punizione proprio coloro che credono di essere protetti dall’istituzione sacrale (5,5-6.18-20).
46
3,11.
Fra i testi più significativi in proposito si possono citare: Is 28,15; Ger 5,12; 6,14; 8,11. Mic
Sequenza C4: 9,1-10
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4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (9,1-10) COMPOSIZIONE 1
VIDI il Signore che stava-ritto sull’altare e disse: «Colpisci il capitello e tremeranno gli stipiti e tagliali nella testa TUTTI e il loro seguito CON LA SPADA ucciderò. Non fuggirà tra essi un fuggitivo e non scamperà tra essi uno scampato. Se penetrano negli inferi, di là la mia mano li prenderà; e se salgono in cielo, di là li farò-scendere; 3 e se si celano in cima al Carmelo, di là li scoverò e li prenderò; e se si nascondono davanti ai miei occhi in fondo al mare, di là comanderò al serpente e li morderà; 4 e se vanno in esilio di fronte ai loro nemici, di là comanderò ALLA SPADA ed essa li ucciderà. 2
+ E porrò il mio OCCHIO SU di loro per il MALE e non per il bene. 5
E il Signore è il SIGNORE degli eserciti: lui tocca la terra ed essa ondeggia e sono-in-lutto tutti gli abitanti in essa, ed essa sale come il fiume tutta quanta e si abbassa come il fiume di Egitto, 6 lui-che-costruisce nel cielo il suo podio e la sua volta sulla terra fissa, lui-che-chiama le acque del mare e le versa sulla faccia della terra. il SIGNORE è il suo nome! 7
Forse non siete come i figli dei Cusciti voi per me, Figli d’Israele? oracolo del SIGNORE! Forse non ho-fatto-salire Israele dalla terra di Egitto e i Filistei da Caftor e Aram da Kir? + 8 Ecco gli OCCHI del Signore DIO SUL regno peccatore e lo distruggerò dalla faccia del suolo. Però sicuramente non distruggerò la casa di Giacobbe oracolo del SIGNORE! 9 Poiché ecco io comando e scuoterò in tutte le nazioni la Casa d’Israele come si scuote nel setaccio e non cade un granello a terra. 10
DI SPADA moriranno TUTTI i peccatori del mio popolo, che dicono: “Non farai avvicinare, nè giungere fino a noi il MALE!”.»
Questa sequenza è costruita concentricamente. I passi estremi sono entrambi degli annunci di castigo, mentre il passo centrale è di altro genere47. I due passi 47
Il centro della sequenza è occupato da due unità letterarie che, come è già stato segnalato per altri testi di Amos (cfr. 2,4-5.11-12; 5,8-9; ecc.) sono ritenute non «autentiche»; per i versetti 5-6,
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17. Il Signore comanda la distruzione finale
estremi sono al futuro, mentre il passo centrale descrive chi è Dio (da sempre) e quanto ha fatto nel passato per il suo popolo. 1
VIDI il Signore che stava-ritto sull’altare e disse: «Colpisci il capitello e tremeranno gli stipiti e tagliali nella testa TUTTI e il loro seguito CON LA SPADA ucciderò. Non fuggirà tra essi un fuggitivo e non scamperà tra essi uno scampato. Se penetrano negli inferi, di là la mia mano li prenderà; e se salgono in cielo, di là li farò-scendere; 3 e se si celano in cima al Carmelo, di là li scoverò e li prenderò; e se si nascondono davanti ai miei occhi in fondo al mare, di là comanderò al serpente e li morderà; 4 e se vanno in esilio di fronte ai loro nemici, di là comanderò ALLA SPADA ed essa li ucciderà. 2
+ E porrò il mio OCCHIO SU di loro per il MALE e non per il bene. 5
E il Signore è il SIGNORE degli eserciti: lui tocca la terra ed essa ondeggia e sono-in-lutto tutti gli abitanti in essa, ed essa sale come il fiume tutta quanta e si abbassa come il fiume di Egitto, 6 lui-che-costruisce nel cielo il suo podioe la sua volta sulla terra fissa, lui-che-chiama le acque del mare e le versa sulla faccia della terra. il SIGNORE è il suo nome! 7
Forse non siete come i figli dei Cusciti voi per me, Figli d’Israele? oracolo del SIGNORE! Forse non ho-fatto-salire Israele dalla terra di Egitto e i Filistei da Caftor e Aram da Kir? + 8 Ecco gli OCCHI del Signore DIO SUL regno peccatore e lo distruggerò dalla faccia del suolo. Però sicuramente non distruggerò la casa di Giacobbe oracolo del SIGNORE! 9 Poiché ecco io comando e scuoterò in tutte le nazioni la Casa d’Israele come si scuote nel setaccio e non cade un granello a terra. 10
DI SPADA moriranno TUTTI i peccatori del mio popolo, che dicono: “Non farai avvicinare, nè giungere fino a noi il MALE!”.»
I sintagmi «uccidere» – «morire» + «con la spada» ricorrono in 1c, in 4b e in 10a; alle estremità essi sono accompagnati da «tutti»; le due ultime ricorrenze di questo sintagma (4.10) fungono da termini finali. Come cornice al passo centrale rinviamo a quanto detto sui «frammenti innici» (p.167-168); per il versetto 7, cfr. H. GESE, «Das Problem von Amos 9,7», che attribuisce il versetto alla redazione deuteronomistica.
Sequenza C4: 9,1-10
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viene ripresa un’espressione simile, «l’occhio – gli occhi su» (4c.8a), che funge così da termine medio a distanza; in entrambi i casi si tratta degli occhi del Signore. La parola «male» è usata solo due volte nella sequenza, come termine finale dei passi estremi (4c.10b). Si noti anche la triplice ricorrenza di «comandare» (3c.4b.9a). «Israele», che appare due volte nella seconda parte del passo centrale (7b.7e), è ripreso da «la Casa d’Israele» in 9b e da «la casa di Giacobbe» in 8c. Mentre nel primo passo il castigo è annunciato per «tutti», dal più grande al più al più piccolo, nell’ultimo passo si prevede invece una cernita tra «tutti» i peccatori e gli altri. Si noti che le tre occorrenze del nome di Dio ’ădōnāy fungono da termini iniziali per i tre passi (1.5.8); d’altra parte, «capitello» di 1b all’inizio del primo passo e «Caftor» di 7e alla fine del secondo passo in ebraico hanno lo stesso significante (kaptôr)48; simmetricamente, il sintagma «tutti gli abitanti» di 5b all’inizio del secondo passo annuncia «tutti i peccatori» di 10a alla fine del terzo passo. Si può aggiungere che le due occorrenze di «oracolo del Signore» (7c e 8d) fungono da termini medi tra i due ultimi passi. INTERPRETAZIONE LE DUE PAROLE Più che illustrare una visione (1a), la sequenza mette in scena la contrapposizione fra due parole. La prima è quella «vista» dal profeta (1a): essa dichiara che Dio ha decretato il male (4c) per tutti, senza possibilità di scampo (1d-4b). La seconda parola è quella pronunciata dai peccatori, che affermano esattamente il contrario, cioè che Dio non farà venire il male contro Israele (10ab). La prima parola è detta da Dio, ma è il profeta a riferirla; essa può quindi apparire semplicemente come il punto di vista di Amos, come la sua visione delle cose. L’altra parola, al contrario, affonda le sue radici nella tradizione religiosa di Israele, alimentata dalla fede nel nome del Signore (5a, 6c), sovrano del cosmo (5-6) e origine della salvezza per il suo popolo (7); è la parola fiduciosa degli inni di YHWH. L’altare (1a), il capitello e lo stipite (1b), il cantico al Signore (5-6), la memoria dell’esodo (7), la confessione di fede nella potenza divina (10b), costituiscono un insieme che trova nel culto il suo referente: dal santuario si eleva una voce che dice il contrario della parola di Dio. Come per la sequenza C2 (7,7–8,3), parallela alla sequenza C449, il mondo del «sacro» si oppone alla parola profetica; il primo infatti crede di disporre di oggettive garanzie di perennità, mentre la seconda proclama il crollo (1b) e la spada (1c, 4b, 10a).
48 49
Fenomeno rilevato da Paul, 274. Cfr. p. 412-413.
394
17. Il Signore comanda la distruzione finale
IL GIUDIZIO Il crollo e la spada sono certamente un male (4c), un disastro; ma sono annunciati dal profeta come la realizzazione del giudizio di Dio sul peccato di Israele (8a, 10a). È in questione il nome stesso di YHWH (5a, 6c). Amos riprende linguaggio e generi letterari capaci di evocare la signoria di Dio; ma invece di usarli a scopo consolatorio, li impiega per illustrare l’infallibile atto di giustizia che il Signore si appresta a compiere sulla faccia della terra. Il titolo ’ădōnāy, «Signore», è ripreso sistematicamente all’inizio dei tre passi della sequenza (1a, 5a, 8a): esso afferma l’autorità di colui che ingiunge di colpire (1b), che comanda al serpente (3c) e alla spada (4b), che dà ordine di vagliare la Casa d’Israele (9a). I participi innici al centro del testo proclamano appunto questa sovranità di YHWH su tutto il creato, affermata d’altronde già nel primo passo, là dove si dice che nessuna parte del cosmo potrà costituire un rifugio di fronte al potere punitivo di Dio (2-4). YHWH agisce anche fra le nazioni (4a, 9b), perché non è confinato nello spazio, né limitato da altre forze, né legato da un vincolo particolare con Israele (7). Essendo il Signore, egli giudica il mondo e la storia. Questo giudizio distruttore, visto da Israele come male, realizza tuttavia la distruzione di ciò che è peccaminoso all’interno del popolo. Come questa azione di giustizia, necessaria per smascherare la menzogna e punire l’ingiustizia, apra ad un’epoca di bene, viene da Amos proclamato nell’ultima conclusiva pagina del suo libro.
18 Il Signore promette la restaurazione finale Sequenza C5: 9,11-15
L’ultima sequenza della sezione C è costituita da un solo passo, formato da tre parti organizzate in modo concentrico.
Ricostruirò la capanna di Davide che dominerà sui suoi nemici
CAMBIERÒ LE SORTI DEL MIO POPOLO
Li pianterò e non saranno più strappati dai loro nemici
11-12
13-14
15
396
18. Il Signore promette la restaurazione finale
TESTO 11
In quel giorno, rialzerò la capanna di Davide (che era) caduta e riparerò le loro crepe e le sue macerie rialzerò e la costruirò come ai giorni di un tempo, 12 affinché posseggano il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è pronunciato il mio nome. Oracolo del Signore che fa questo! 13 Ecco venire giorni, oracolo del Signore, e si avvicinerà l’aratore al mietitore e il pigiatore di uva a chi-getta la semente e sprizzano le montagne il mosto e tutte le colline ondeggiano. 14 E cambierò le sorti del mio popolo Israele. E costruiranno le città devastate e (le) abiteranno e pianteranno vigne e berranno il loro vino e faranno giardini e mangeranno i loro frutti. 15 E li pianterò sopra il loro suolo e non saranno più strappati da sopra il loro suolo che ho dato loro, dice il Signore tuo Dio!
VERSETTO 11
le loro crepe e le sue macerie «Crepe» è seguito da un pronome suffisso femminile plurale, «macerie» invece da un pronome suffisso maschile singolare. La LXX accorda invece i due pronomi con il sostantivo «capanna». Alcuni hanno supposto che il termine «capanna» fosse originariamente al plurale; altri, rispettando il TM, hanno suggerito una concordanza ad sensum1. VERSETTO 12
il resto di Edom e di tutte le nazioni Poiché la particella ’et non è ripetuta prima di «tutte le nazioni», sembra che quest’ultimo sintagma sia retto, come «Edom», da «il resto». sulle quali è pronunciato il mio nome L’antecedente del relativo può essere «il resto di Edom...», che precede immediatamente, ma potrebbe essere anche il soggetto del verbo, cioè i Figli d’Israele. Alcuni propongono anzi di intendere la relativa come il soggetto del verbo: «affinché quelli su cui è pronunciato il mio nome possiedano il resto di Edom e di tutte le nazioni»2. Sembra che la prima soluzione sia la più plausibile: infatti si annuncia la restaurazione del regno davidico, il cui dominio si estendeva non solo sul nemico tipico di Israele, Edom, ma anche sugli altri popoli limitrofi3. 1
Rosenmüller, 267, pensa che il suffisso femminile plurale debba riferirsi a «regni» (sottinteso), o a «capanna di Davide» inteso collettivamente, includendo dunque tutte le città del regno; il suffisso maschile singolare va invece riferito a «Davide» o a «capanna» («per generis enallagen»). Analogamente, Hakham, 73, adottando un’interpretazione tradizionale dell’esegesi ebraica medievale, spiega il femminile plurale con il fatto che le «crepe» sono quelle delle mura (quest’ultimo termine in ebraico è femminile); «le sue macerie» invece rimanderebbe a (quelle di) «Davide»; cfr. D. BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 695-696. 2 Cfr. Andersen – Freedman, 891. 3 Cfr. Wolff, 353.
Sequenza C5: 9,11-15
397
VERSETTO 13
avvicinerà Il senso della frase sembra questo: ci sarà una tale abbondanza, che la mietitura e la vendemmia saranno immediatamente seguite dall’aratura e dalla semina4. Non sembra tuttavia esclusa una condizione di fecondità prodigiosa se l’«aratore» si avvicina «al mietitore». fonderanno Così traducono i commentatori moderni che vedono nel vino che scorre dalle colline un’immagine di straordinaria fecondità. Se si rispetta la composizione chiastica del versetto5 e se si dà al verbo mwg il senso di «oscillare»6 (messi – uva, mosto – «oscillare»), si può pensare alle colline che ondeggiano di grano maturo.
Cfr. Paul, 292-293. ZORELL dice che il sintagma ngš be significa «toccare» in Is 65,5; Gb 41,8 e Am 9,13: ne deriva così un’immagine di continuità nei lavori agricoli, senza sosta alcuna. 5 Rudolph, 283-284. 6 Il verbo mwg, infatti, può avere questo senso: ZORELL traduce «undant, multitudine spicarum, colles»; così anche Paul, 293-294. Joüon, 119d, ritiene invece che i due distici di 13b stiano in rapporto di sinonimia e traduce: «e le montagne stilleranno vino e tutte le colline ne saranno inzuppate». 4
398
18. Il Signore promette la restaurazione finale
COMPOSIZIONE + 11 In quel GIORNO, . e riparerò le loro crepe + e la COSTRUIRÒ
rialzerò la capanna di Davide (che era) caduta e le sue macerie rialzerò come ai GIORNI di un tempo,
12
affinché posseggano il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è pronunciato il mio nome. ORACOLO del SIGNORE
13
Ecco venire GIORNI
ORACOLO Del Signore,
+ 15 E li
che fa questo!
. e si avvicinerà . e il pigiatore
l’aratore di uva
al mietitore a chi-getta
. e sprizzano . e tutte
le montagne le colline
il mosto ondeggiano.
la semente
····························································································· 14
E CAMBIERÒ LE SORTI DEL MIO POPOLO ISRAELE.
····························································································· E COSTRUIRANNO le città devastate
. . e (le) abiteranno . e PIANTERANNO . e berranno
vigne il loro vino
. e faranno . e mangeranno
giardini i loro frutti.
PIANTERÒ
e non saranno più strappati che ho dato
sopra il loro suolo da sopra il loro suolo loro, DICE
il SIGNORE
tuo Dio!
Questo passo comprende tre parti. Le parti estreme terminano con formule conclusive simili (12c.15d), mentre la parte centrale è introdotta da una formula analoga (primo segmento di 13). La prima parte (11-12) comprende tre brani: il primo (11) enuncia ciò che Dio farà, il secondo (12ab) la conseguenza (positiva) di questa azione per i Figli d’Israele («posseggano»); l’ultimo (12c) sottolinea che ciò è opera di Dio. Il primo brano comprende tre bimembri: i membri estremi mettono in relazione il «giorno» a venire e i «giorni di un tempo»; «rialzerò» è ripreso in 11a e 11b. La costruzione dell’ultima parte (15) è simile a quella della prima. Il primo brano, alla prima persona, è ridotto a un unico segmento; il secondo brano, come il secondo brano della prima parte (12ab), è un bimembro e indica la conseguenza (positiva, ma espressa dalla negazione di un verbo con senso negativo) per Israele dell’azione di Dio; il terzo brano (15b) sottolinea che tutto ciò è promessa di Dio.
Sequenza C5: 9,11-15
399
La parte centrale (13-14) inizia con la formula introduttiva (13a-f) dove sono ripresi «giorni» come in 11a e c, e anche «oracolo del SIGNORE» come alla fine della prima parte (12c). La seconda sottoparte, molto più lunga, è costruita concentricamente; solo il segmento centrale (14a) è alla prima persona singolare, mentre i tre bimembri successivi descrivono ciò che «essi» faranno. I due segmenti bimembri, che precedono il segmento centrale, non sono alla terza persona plurale7, ma anch’essi descrivono il risultato delle azioni di Dio. Si noti la serie «uva» (13c), «mosto» (13d), «vigne» e «vino» (14de). Oltre ai collegamenti già rilevati tra le tre parti, i verbi complementari, «costruire» all’inizio della prima parte (11c) e «piantare» all’inizio della terza parte (15a; con Dio come soggetto), si ritrovano, sempre al futuro, nella parte centrale (14b e d; questa volta con i Figli d’Israele come soggetto); nella stessa linea, si noterà anche la duplice ricorrenza di «fare» — i cui soggetti sono diversi: Dio alla fine della prima parte (12c), i Figli d’Israele nella parte centrale (14f) —, nonché il rapporto tra «il mio popolo Israele» (14a: al centro) e «il Signore tuo Dio» (15d: alla fine). CONTESTO Accanto ad oracoli di denuncia e di condanna indirizzati a Israele e alle altre nazioni, le raccolte profetiche contengono parole di consolazione, di perdono e di promessa rivolte a Israele. Talvolta esse sono disseminate all’interno del libro (cfr. Is 25,6-12; 30,19-26; Ger 3,14-18; 23,3-8; Os 2,1-3; ecc.), ma il più delle volte sono collocate come conclusione dell’intera raccolta profetica (cfr. Is 40– 66; Ez 40–48; Os 14,3-10; Gl 4,18-21; Mic 7,8-20; Sof 3,9-10; Ag 2,20-23; Zc 9–14; Ml 3,20-24)8. In queste parole di salvezza non mancano i riferimenti alla vittoria sulle nazioni avversarie di Israele; per esempio, in Is 25,6-12, dopo avere annunciato la grande festa contraddistinta dalla gioia per la scomparsa della morte, il profeta conclude dicendo che «Moab sarà calpestato al suolo» (25,10-12); o ancora, gli oracoli di perdono rivolti al popolo di Dio in Ez 36–37 sono preceduti dal capitolo 35 pronunciato contro Edom; e così via. Anche in Am 9,11-15 la ricostruzione del regno davidico è articolata al dominio su Edom e sulle altre nazioni (9,12). A questo proposito, bisogna notare la collocazione di Amos nella collezione dei profeti minori: il libro di Gioele, che precede quello di Amos, si conclude con l’annuncio che «in quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo» (4,18; espressione identica a quella di Am 9,13) e che Edom sarà punito (4,19; cfr. Am 9,12); il libro di Abdia, che segue immediatamente quello di Amos, è intera7
«Aratore», «mietitore», ecc., sono termini collettivi, che designano di fatto una pluralità. Il libro di Amos presenta dunque una struttura di insieme analoga a quella di quasi tutti i libri profetici. Solo Geremia, tra i profeti più importanti, presenta una diversa organizzazione del materiale: nel TM il libro della consolazione è situato infatti nei capitoli centrali (30–31 e 32–33), mentre alla fine sono posti gli oracoli contro le nazioni (46–51). 8
400
18. Il Signore promette la restaurazione finale
mente consacrato a predire la fine di Edom così che Israele possa «ereditarne» il territorio (Abd 19; cfr. Am 9,12)9. INTERPRETAZIONE ANTITESI E CONTRADDIZIONE La prospettiva della fine radicale di Israele è qua e là moderata dal profeta Amos mediante l’annuncio di un «resto» che, per quanto misero, rappresenterà la continuità di questo popolo (2,16b; 3,12; 4,11; 5,3.15; ecc.)10; tipica al proposito è la giustapposizione di affermazioni contrastanti alla fine della sequenza precedente: «distruggerò (il regno peccatore) dalla faccia del suolo. Però non distruggerò la casa di Giacobbe» (9,8). L’antitesi tra la condanna e la salvezza raggiunge tuttavia il suo culmine se si considera, da una parte, l’insieme del libro di Amos e, dall’altra, questa breve sequenza finale, in cui «tutto è rose e fiori, invece di ferro e fuoco» 11. L’opposizione è evidenziata dall’uso di una terminologia identica: prima il profeta aveva annunciato: «È caduta, non potrà rialzarsi, la vergine Israele» (5,1); «cadranno e non si rialzeranno più» (8,14); ed ora dice: «rialzerò la capanna di Davide (che era) caduta» (9,11). O ancora, al centro della sezione centrale, la condanna era così espressa: «avete costruito case di pietra squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino» (5,11); e, alla fine del libro, risuona l’esatto contrario: «costruiranno le città devastate e (le) abiteranno; e pianteranno vigne e ne berranno il vino» (9,14)12. Non mancano dunque commentatori che, basandosi in parte su criteri di natura linguistica, ma argomentando soprattutto con ragioni di contenuto, giudicano tardiva quest’ultima pagina del libro13. Pensando di avere così risolto la palese contraddizione tra le due parti dello scritto attuale, attribuendola ad autori ed epoche differenti, questi esegeti non si preoccupano più di spiegare il significato della loro giustapposizione. Resta infatti il problema di comprendere
9
Cfr. Paul, 1. Rudolph, 285-286. 11 Riprendiamo, adattandola, la celebre formula di Wellhausen, citata in numerosi commentari (cfr. Paul, 288) che letteralmente dice: «Troviamo qui [in Am 9,11-15] rose e lavanda, invece di sangue e ferro». 12 Un altro modo di marcare l’opposizione tra l’insieme del libro e la sua conclusione è quello di usare una medesima formula introduttiva per annunciare eventi contrari; così, per esempio, nella sequenza centrale della sezione C, la fame e la sete erano predette con «ecco venire dei giorni» (8,11), mentre l’espressione «in quel giorno» apriva l’oracolo che diceva «cadranno e non si rialzeranno più» (5,13-14) nella sequenza centrale della sezione B. In forma chiastica le stesse formule e gli stessi temi ricorrono nella sequenza conclusiva: «in quel giorno» annuncia che la capanna caduta verrà rialzata (9,11) ed «ecco venire giorni» promette cibo e bevande (9,14). 13 Cfr., per esempio, Wolff, 352-353; U. KELLERMANN, «Der Amosschluss». Non mancano autori che ritengono invece autentica questa ultima parte del libro di Amos; cfr. G.F. HASEL, «The Alleged “No” of Amos»; Paul, 288. 10
Sequenza C5: 9,11-15
401
quale senso ha il libro nella sua forma attuale, cioè nella sua struttura che ingloba l’ultima sequenza in un tutto organico14. UN CAMBIAMENTO INGIUSTIFICATO Al centro del testo (14a) appare una frase che in un certo qual modo riassume l’insieme del passo: «cambierò le sorti del mio popolo Israele»15. Si tratta di un’espressione generica, che per questo motivo si distacca dal resto della sequenza nella quale si annunciano azioni concrete, da parte di Dio e da parte degli Israeliti; essa dice un cambiamento che concerne il popolo, ma che ha la sua ragione nella decisione divina. Il mutamento (šwb) non viene motivato, non ha preparazione né giustificazione alcuna nel testo. L’oracolo di condanna, ricorrente nelle sezioni A e B di Amos, è strutturato dalla bipolarità colpa – sanzione; con diversi accorgimenti stilistici, il profeta mostra lo stretto rapporto causale intercorrente tra i due elementi. Si rivela così un’importante dissimmetria, dalle significative conseguenze teologiche: mentre la punizione è motivata dal crimine, il rovesciamento del destino di Israele — questa azione positiva di salvezza e di benedizione — non è determinato da un comportamento specifico di Israele. Non è Israele che si converte (šwb), è Dio che cambia (šwb) la storia. Il futuro di Israele, i «giorni che vengono» (13a), sono il tempo del manifestarsi di una grazia, che non ha altro fondamento che Dio stesso, la fedeltà divina al popolo che Egli continua a chiamare suo popolo (14a). Il luogo e il momento in cui il Signore pone in essere questa gratuita azione di benevolenza sono il luogo e il momento della maledizione, l’esilio, il crollo infamante del regno di Israele. È allora che YHWH si rivela al suo popolo come il Signore dell’alleanza, come «il Signore tuo Dio» (15d), e al tempo stesso come il creatore, origine assoluta della vita, «il Signore che fa questo» (12c). IL RITORNO ALLE CONDIZIONI DI UN TEMPO «Cambiare le sorti» (14a) indica una svolta. Amos ha annunciato in tutto il libro l’esilio e la morte; il cambiamento è allora descritto come un «ritorno», ritorno al possesso stabile del paese, e alla vita nell’abbondanza dei frutti e della gioia.
14
Cfr. B.S. CHILDS, «Die theologische Bedeutung», specialmente 249-251. L’espressione ebraica, frequente soprattutto in Geremia, è stata oggetto di una lunga discussione filologica: cfr. in particolare, W.L. HOLLADAY, The Root šwbh, 110-115; J.A. SOGGIN, THAT II, 886-888; J.M. BRACKE, «šûb šebût». Il senso di «ristabilire» / «restaurare le sorti» sembra comunemente accettato dall’esegesi moderna. 15
402
18. Il Signore promette la restaurazione finale
L’eredità di un tempo (le parti estreme: 11-12 e 15) La «capanna di Davide» (11a) era caduta16; Dio la rialza «come ai giorni di un tempo» (11c). Il regno di Davide, caratterizzato dalla vittoria sui nemici (cfr. 2Sam 7,9), ritorna sotto la forma di un dominio su Edom e sulle altre nazioni (12ab). Viene così suggerito il ripristino di una situazione politica del passato, presentata come il modello, la figura di ciò che sarà nel futuro. Lo stesso avviene per quanto concerne il territorio su cui Israele sarà insediato («piantato»: 15a), dopo esserne stato espulso (15b): si tratta della medesima terra che Dio aveva dato loro (15c) in eredità (yrš) al momento della conquista di Canaan (2,10)17. La vita di un tempo (la parte centrale: 13-14) Le città devastate vengono ricostruite, si riprendono le attività agricole (13be; 14b-g). Gli uomini pongono dei segni di vita, destinati a durare, e godono della pienezza della gioia, simboleggiata dal vino (13c-e, 14cd). Bisogna notare che nell’oracolo di «restaurazione» l’azione degli uomini si giustappone, anzi si sovrappone, a quella di Dio: il Signore costruisce la città ridotta in macerie (11bc), facendo sì che gli Israeliti ricostruiscano le città devastate e vi abitano (14b). Egli li pianta sul loro suolo (15a), in modo tale che possano piantare vigne e giardini godendone i frutti (14c-f). L’azione di Dio è il fondamento invisibile, è la ragione ultima di una meravigliosa attività degli uomini, restituiti alla vita, resi vitali. ELEMENTI DI NOVITÀ L’ultima sequenza di Amos non presenta tuttavia il futuro del popolo del Signore come un semplice ritorno alla condizione già sperimentata in passato. Infatti, se si considera l’insieme del libro, appare chiaramente che il profeta annuncia una condanna irrevocabile (2,6: «non ammetto-revoca»), una punizione irreversibile (8,14: «cadranno e non si rialzeranno più»). La morte è un punto di non-ritorno (cfr. 2Sam 14,14). Da questo punto di vista l’intervento di Dio appare del tutto straordinario e mirabile, identificato allo stesso atto originario della creazione: come il Signore si rivela giudice del mondo perché Creatore (4,13; 5,8-9), così Egli manifesta la medesima sovrana potenza producendo la vita (12c), come per una nuova 16 Più che alla città di Gerusalemme (come pensa Wolff, 353), l’immagine della capanna di Davide sembra alludere all’insieme del suo regno (cfr. Paul, 290) e probabilmente alla sua dinastia (J.MAUCHLINE, «Implicit Signs», 291-292). H.N. RICHARDSON, «skt (Amos 9:11)», propone di identificare l’espressione di Amos con la città di Succot David (Gen 33,17; 2Sam 11,11; 1Re 20,12.16): la ricostruzione di questa città sarebbe il preludio del ristabilimento del glorioso impero davidico. Questo suggerimento non pare convincente. 17 Lo stesso verbo (yrš), che significa il possesso ereditario, ricorre in 9,12, riferito al dominio su Edom e le nazioni.
Sequenza C5: 9,11-15
403
creazione18. Questa presenta due tratti caratteristici, nei quali traspare la novità, tipica dell’evento escatologico. Il primo di questi tratti è l’esuberanza della vita, la pienezza e la sovrabbondanza di ciò che permette agli uomini di vivere. Questo si esprime nella prodigiosa fecondità della terra, per cui semina e raccolto tendono ad avvicinarsi e a sovrapporsi (13bc), mentre le montagne trasudano di vino (13de). In altri testi profetici, di tipo escatologico, ci sono anche immagini iperboliche, proprio nell’intento di sottolineare la novità di questo evento ultimo: Isaia, per esempio, dice che «la luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più» (Is 30,26); egli afferma che la nuova Gerusalemme avrà come fondamenta zaffiri, che la sua merlatura sarà di rubini, le sue porte di cristallo e tutta la sua cinta sarà di pietre preziose (Is 54,11); ed anche che chi morirà giovane, morirà a cento anni (Is 65,20); Ezechiele invece profetizza che la sorgente del Tempio farà crescere alberi che ogni mese produrranno nuovi frutti (Ez 47,12); Zaccaria poi annuncia che farà sempre giorno (Zc 14,7); e così via. Ciò consente di affermare che, in Amos come negli altri testi escatologici, non si annuncia solo il ritorno nel paese di Canaan, ma l’instaurazione di un tempo paradisiaco, di cui l’uomo non ha ancora sperimentato la beatitudine. Il secondo tratto caratteristico della novità escatologica è quello della definitività: ciò che Dio farà in quel giorno non sarà più distrutto né alterato, ma durerà per sempre. La negazione «non... più», che si trova in 9,15b per dire che non ci sarà mai più deportazione per il popolo di Israele, è uno stilema caratteristico dei testi profetici che annunciano la salvezza dopo la catastrofe dell’esilio19. IL TEMPO E L’ESCHATON Ora, proprio questi due elementi tipici dei testi escatologici ci fanno ritenere che la promessa annunciata in Am 9,11-15 non si attui con il ritorno dalla deportazione del popolo di Israele. Non solo perché la restaurazione politica del regno davidico (11) non si è mai realizzata storicamente, ma soprattutto perché nella storia umana non potranno mai realizzarsi in verità le dimensioni di pienezza e di definitività che contraddistinguono l’ultimo intervento di Dio, il compimento della sua parola per «i giorni a venire»20. L’uomo ha invece esperimentato ed esperimenta il compiersi della parola di condanna; l’esilio e la morte hanno colpito Israele e colpiscono analogamente ogni uomo. Non si può annullare la profezia di condanna (Am 1,3–9,10), perché 18 Viene così attribuito al verbo «fare» una connotazione creativa, desunta dagli «inni» presenti nel libro di Amos, e da altri testi, in particolare quelli che parlano della nuova creazione (cfr. Is 44,2; 51,13; 54,5; Ger 33,2; Ez 36,27; ecc.). 19 Cfr. Is 51,22; 52,1; 54,4; 60,18; 62,4; 65,19; Ger 30,8; 31,12.29.34; Ez 36,12.14-15.30; ecc. 20 In occasione del concilio di Gerusalemme, Giacomo cita Am 9,11-12: egli vede il compimento della profezia nel fatto che «Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome» (At 15,14-18) rendendolo strumento di salvezza per tutte le genti. Anche la realizzazione piena di questo mistero di vita spirituale è escatologica.
404
18. Il Signore promette la restaurazione finale
sarebbe rifiutare il profetismo, sarebbe smentire la denuncia del peccato, che è di Israele e di tutte le nazioni; ma non si può neppure annullare la parola di salvezza (Am 9,11-15), perché sarebbe rifiutare la potenza sovrana di Dio, la sua inimmaginabile forza d’amore, fatta di fedeltà, di perdono e di grazia. Credere alla prima parola è la via per credere all’ultima.
18 L’annuncio della fine di Israele L’insieme della sezione C: 7,1–9,15
I. COMPOSIZIONE Le cinque sequenze dell’ultima sezione del libro di Amos sono organizzate concentricamente: 7,1-6
7,7–8,3
8,4-14
9,1-10
9,11-15
C1
C2
C3
C4
C5
Le sequenze estreme, che hanno la stessa lunghezza, sono nettamente più brevi delle altre tre. Si noti anche che la sequenza centrale (C3) è meno lunga delle due sequenze che la racchiudono (C2 e C4)1. sequenze: numero di parole:
C1 80
C2 217
C3 148
C4 170
C5 812
C1: L’intercessione
del profeta
sospende
la distruzione
finale 7,1-6
C2: L’espulsione
del profeta
determina
la distruzione
finale 7,7–8,3
C3: La fine della profezia,
ultima parola del Signore
C4: Il Signore
comanda
la distruzione
finale
C5: Il Signore
promette
la restaurazione finale
8,4-14 9,1-10 9,11-15
Le prime due sequenze (C1 e C2), che comprendono le prime quattro visioni, formano una prima sottosezione. Sebbene le ultime due sequenze (C4 e C5) a 1
Abbiamo quindi un fenomeno inverso a quello della sezione B, dove la sequenza centrale (B4) è la più lunga. 2 Se si contano i versetti, il computo risulta meno preciso e quindi meno probante: C1 6
C2 14
C3 11
C4 10
C5 5
406
19. L’annuncio della fine d’Israele
prima vista sembrino molto meno affini tra loro rispetto a C1 e C2, tuttavia si può ritenere che anch’esse formino una sottosezione. Infine, la sequenza centrale (C3) fa da perno su cui ruota l’insieme. 1. LA PRIMA SOTTOSEZIONE (SEQUENZE C1 E C2) Queste due sequenze riportano ognuna due visioni parallele tra loro (7,1-3 e 7,4-6 nella prima; 7,7-9 e 8,1-3 nella seconda). – Forse si può vedere una corrispondenza tra la prima visione di C1 e la prima visione di C2. Infatti, le cavallette sono un flagello che viene da fuori e che può simboleggiare gli eserciti nemici che invadono il paese; nella quarta visione, se lo stagno simboleggia le armi belliche (cfr. «la spada» di 7,9), l’espressione «metto stagno in mezzo al mio popolo Israele» (7,8) potrebbe alludere anche agli eserciti stranieri che il Signore introduce all’interno del suo popolo. – La seconda visione (7,4-6), invece, parla di una catastrofe che sopraggiunge nel paese senza l’intervento violento di un fattore esterno; l’immagine della siccità è, d’altra parte, di tipo agricolo, come quella del canestro di frutti maturi della quarta visione, alla fine di C2. Mentre le visioni della prima sequenza sono contraddistinte dall’intercessione del profeta e dal «pentirsi» di Dio (7,3 e 6), nella seconda sequenza il profeta non intercede più e si limita a constatare i fatti decisi da Dio (7,8 e 8,2). Mentre nella prima sequenza il Signore dice due volte: «Questo non avverrà» (7,3.6), nella seconda ripete invece: «Non continuerò più a lasciar correre per lui» (7,8 e 8,2). TERMINI INIZIALI – Lo «stare in piedi» (qwm) all’inizio di C1 (7,2; e anche in 7,5) ha per soggetto «Giacobbe»; alla fine del primo passo di C2 (7,9), il soggetto è il Signore; si noti il sinonimo «stare ritto» di 7,7 (radice nṣb). In C1 il testo significa vittoria, in C2 connota il giudizio di condanna. DALLE ESTREMITÀ AL CENTRO – A «re» del primo passo di C1 (7,1) corrispondono «re» e «regno» al centro del passo centrale di C2 (7,13). – Il verbo «mangiare», che ricorre in ognuno dei due passi di C1 (7,2 e 4), è ripreso nel passo centrale di C2 (7,12).
Sezione C: 7,1–9,15
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SEQUENZA C1 (7,1-6) 1
COSÌ MI FECE VEDERE IL SIGNORE DIO: ED ECCO egli formava delle cavallette quando cominciava a germogliare la seconda erba, quella che spunta dopo la falciatura del RE. 2 Quando quelle stavano per finire di mangiare l’erba della regione, io dissi: “Signore Dio, perdona, come reggerà Giacobbe? È tanto piccolo”. 3 Il Signore se ne pentì: “Questo non avverrà”, dice il Signore. 4
COSÌ MI FECE VEDERE IL SIGNORE DIO: ED ECCO il Signore Dio chiamava per il castigo il fuoco che mangiava il grande abisso e mangiava la campagna. 5 Io dissi: “Signore Dio, desisti! Come reggerà Giacobbe? È tanto piccolo”. 6 Il Signore se ne pentì: “Neanche questo avverrà”, dice il Signore Dio. SEQUENZA C2 (7,7–8,3) 7
COSÌ MI FECE VEDERE: ED ECCO IL SIGNORE stava sopra un muro di stagno e con dello stagno in mano. 8 Il Signore mi disse: “Che cosa vedi, Amos?”. Io risposi: “Stagno”. Il Signore mi disse: “Io pongo stagno in mezzo al mio popolo, Israele; non gli perdonerò più. 9 Saranno demolite le alture d’Isacco e i santuari d’Israele saranno ridotti in rovine, quando io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo”. 10
Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo RE di Israele: “Amos congiura contro di te in mezzo alla Casa d’Israele; il paese non può sopportare le sue parole, 11 poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboamo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese”. 12 Amasia disse ad Amos: “Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, 13 ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del RE ed è il tempio del REGNO”. 14 Amos rispose ad Amasia: “Non sono profeta, né figlio di profeta, ma un pastore e raccoglitore di sicomori; 15 Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele. 16 Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici: Non profetizzare contro Israele, né predicare contro la casa di Isacco. 17 Ebbene, dice il Signore: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra”. 8,1 COSÌ MI FECE VEDERE IL SIGNORE DIO: ED ECCO un canestro di frutta matura. 2 Egli domandò: “Che vedi Amos?”. Io risposi: “Un canestro di frutta matura”. Il Signore mi disse: “È maturata la fine per il mio popolo, Israele; non gli perdonerò più. 3 In quel giorno i canti del tempio diventeranno lamenti, oracolo del Signore Dio. Numerosi i cadaveri, gettati dovunque. Silenzio!”
408
19. L’annuncio della fine d’Israele
2. L’ULTIMA SOTTOSEZIONE (LE SEQUENZE C4 E C5) TERMINI INIZIALI La sequenza C4 si apre con l’annuncio della distruzione di un edificio (dai «capitelli» agli «stipiti») espressa dai verbi «colpire» e «tremeranno» (9,1); all’opposto, la sequenza C5 inizia con la promessa di una ricostruzione: «rialzerò», «riparerò», «rialzerò» ciò che era «caduto» e diventato «macerie» (9,11). TERMINI FINALI – «Lo distruggerò dalla faccia del suolo» all’inizio dell’ultimo passo di C4 (9,8) ha il suo corrispettivo, positivo, all’inizio dell’ultima parte di C5 con «non saranno più strappati da sopra il loro suolo» (9,15), a cui corrisponde «li pianterò sopra il loro suolo». TERMINI MEDI – Il sintagma «tutte le nazioni» ricorre alla fine di C4 (9,9) e all’inizio di C5 (9,12). – Il verbo «cadere» ricorre in 9,9 e 9,11. TERMINI ESTREMI Alla fuga (lungamente evocata all’inizio della sequenza C4: 9,1b-4) e alla deportazione (9,4; a cui allude anche l’espressione «in tutte le nazioni» di 9,9) si contrappone la stabilità della fine dell’ultima sequenza: «E li pianterò sopra il loro suolo e non saranno più strappati da sopra il loro suolo» (9,15). DALLE ESTREMITÀ AL CENTRO E DAL CENTRO ALLE ESTREMITÀ – «Il mio popolo», che è usato alla fine di C4 (9,10), è ripreso con «il mio popolo Israele» al centro di C5 (9,14). – Il verbo «avvicinare» ricorre alla fine di C4 (9,10: per il male) e al centro di C5 (9,13: per il bene). – Si parla del «nome» di Dio al centro di C5 (9,6) e all’inizio di C5 (9,12). – Nazioni straniere sono menzionate al centro di C5 (Cusciti, Egitto, Filistei e Aram: 9,7); Edom, invece, all’inizio di C5 (9,12). – Si noti inoltre che il verbo «costruire», utilizzato al centro della sequenza C4 (9,6), viene ripreso all’inizio (9,11) e al centro (9,14) dell’ultima sequenza.
Sezione C: 7,1–9,15
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SEQUENZA C4 (9,1-10) 1
Vidi il Signore che stava presso l’altare e diceva: ‘PERCUOTI il capitello e TREMERANNO le soglie, spezza la testa di tutti e io ucciderò il resto con la spada. Nessuno di essi riuscirà a fuggire, nessuno di essi scamperà. 2 Anche se penetrano negli inferi, di là li strapperà la mia mano; se salgono al cielo, di là li tirerò giù; 3 se si nascondono in vetta al Carmelo, di là li scoverò e li prenderò; se si occultano al mio sguardo in fondo al mare, là comanderò al serpente di morderli; 4 se vanno in schiavitù davanti ai loro nemici, là comanderò alla spada di ucciderli. Io volgerò gli occhi su di loro per il male e non per il bene’. 5
Il Signore, Dio degli eserciti, colpisce la terra ed essa fonde e tutti i suoi abitanti prendono il lutto; essa si solleva tutta come il Nilo e si abbassa come il fiume d’Egitto. 6 Egli COSTRUISCE nel cielo il suo soglio e fonda la sua volta sulla terra; egli chiama le acque del mare e le riversa sulla terra; Signore è il suo NOME. 7 Non siete voi per me come i figli di Kush, figli d’Israele? Oracolo del Signore. Non ho fatto-salire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Kaftor e Aram da Qir? 8
Ecco gli occhi del Signore Dio contro il regno peccatore: io lo DISTRUGGERÒ dalla faccia del suolo. Però non distruggerò del tutto la casa di Giacobbe, oracolo del Signore. 9 Ecco infatti, io darò ordini e scuoterò, fra tutte le nazioni, la casa d’Israele come si scuote il setaccio e non cade un sassolino per terra. 10 Di spada moriranno tutti i peccatori del mio popolo, essi che dicevano: ‘Non farai avvicinare, non farai venire fino a noi il male’. SEQUENZA C5 (9,11-15) 11
In quel giorno RIALZERÒ la capanna di Davide, che era caduta; ne riparerò le brecce, ne le rovine e la RICOSTRUIRÒ come ai tempi antichi, 12 perché conquistino il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è invocato il mio NOME, dice il Signore, che fa questo. RIALZERÒ 13
Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, in cui chi ara si avvicinerà a chi miete e chi pigia l’uva a chi getta il seme; dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le colline. 14 E cambierò le sorti del mio popolo Israele. E RICOSTRUIRANNO le città devastate e vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto. 15
Li PIANTERÒ sopra il loro suolo e non saranno più STRAPPATI da quel suolo che io ho concesso loro, dice il Signore tuo Dio.
410
19. L’annuncio della fine d’Israele
3. I RAPPORTI TRA LE SOTTOSEZIONI ESTREME (C1-2 E C4-5) RAPPORTI TRA LA PRIMA E L’ULTIMA SEQUENZA (C1 E C5) Si è già notato che queste due sequenze hanno la stessa lunghezza (rispettivamente 80 e 81 parole) e che sono nettamente più brevi delle altre tre. Esse appartengono a generi letterari diversi: la prima è una coppia di visioni raccontate dal profeta, l’ultima un oracolo di salvezza pronunciato dal Signore. Le accomuna tuttavia il fatto di prospettare una situazione positiva: di perdono per C1, di restaurazione per C5 (e questo è un fenomeno unico in tutto il libro). TERMINI INIZIALI – I verbi «plasmare» all’inizio del primo passo di C1 (7,1) e «fare» alla fine del primo passo di C5 (9,12) sono sinonimi (cfr. 4,13; Is 37,26; 43,7; 44,2, ecc.). – Questi due verbi sono collegati con il dimostrativo «questo»: in 9,12, il pronome è oggetto diretto di «fare»; in 7,3 si riferisce indirettamente al verbo «plasmare»: «Questo (il disastro delle locuste plasmate da Dio) non avverrà»3. – Il verbo «reggere» nel primo passo di C1 (7,2) appartiene alla stessa radice (qwm) di «rialzerò» dell’inizio di C5 (due volte in 9,11)4. TERMINI FINALI La formula di conclusione di oracolo «dice il Signore (tuo) Dio» ricorre alla fine di C1 (7,6: che fa eco alla formula più breve «dice il Signore» alla fine del primo passo in 7,3) e alla fine di C5 (9,15)5. DALLE ESTREMITÀ AL CENTRO – All’inizio di entrambi i passi di C1, la particella «Ecco» (7,1.4) introduce l’annuncio di disastri agricoli (cavallette e siccità); all’inizio del passo centrale di C5 (9,13), introduce la predizione di una prosperità agricola sbalorditiva. – Il verbo «mangiare», che ricorre nei due passi di C1 (7,2.4: due volte) annunciando flagelli che priveranno di cibo la popolazione, è ripreso alla fine del passo centrale di C5 (9,14), predicendo che sarà Israele (e non le locuste o il fuoco della siccità) a mangiare i frutti dei giardini. – Il tema del cambiamento si trova nelle due sequenze: in ognuno dei due passi di C1 Dio cambia parere e rinuncia a castigare il suo popolo: «Si pentì il Signore 3
«Questo» si ritrova anche alla fine di C1, ma non è più collegato con un verbo di creazione. Si può ritenere che l’ultima ricorrenza di «reggere» alla fine di C1 (7,5) abbia il suo pendant alla fine di C5 con «li pianterò» (opposto a «strappare»). Così, mentre nella prima sequenza il profeta supplica il Signore di non abbattere Giacobbe, nell’ultima il Signore annuncia che rialzerà il suo popolo; nel frattempo infatti quest’ultimo sarà «caduto» (9,11). 5 Questa espressione serviva da termine finale nella sezione A (1,5.8; ecc.); nella sezione B, concludeva la sequenza centrale (B4) e la sequenza successiva (B5); nella sezione C, si trova solo nelle sequenze estreme. 4
Sezione C: 7,1–9,15
411
di questo» (7,3.6); proprio nel centro dell’ultima sequenza (9,14), al contrario, il Signore «cambia le sorti» del suo popolo Israele. SEQUENZA C1 (7,1-6) 1
Così mi fece vedere il Signore Dio: ed ecco egli formava delle cavallette quando cominciava a germogliare la seconda erba, quella che spunta dopo la falciatura del re. 2 Quando quelle stavano per finire di MANGIARE l’erba della regione, io dissi: “Signore Dio, perdona, come REGGERÀ Giacobbe? È tanto piccolo”. 3 Il Signore SI PENTÌ di questo: “Questo non avverrà”, dice il Signore. 4
Così mi fece vedere il Signore Dio: ed ecco il Signore Dio chiamava per il castigo il fuoco che MANGIAVA il grande abisso e MANGIAVA la campagna. 5 Io dissi: “Signore Dio, desisti! Come REGGERÀ Giacobbe? È tanto piccolo”. 6 Il Signore SI PENTÌ di questo: “Neanche questo avverrà”, dice il Signore Dio.
SEQUENZA C5 (9,11-15) 11
In quel giorno RIALZERÒ la capanna di Davide, che era caduta; ne riparerò le brecce, ne le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi, 12 perché conquistino il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa questo. RIALZERÒ
13
Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, in cui chi ara si avvicinerà a chi miete e chi pigia l’uva a chi getta il seme; dai monti stillerà il mosto e colerà giù per le colline. 14 E CAMBIERÒ LE SORTI del mio popolo Israele. E ricostruiranno le città devastate e vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne MANGERANNO il frutto. 15
LI PIANTERÒ sopra il loro suolo e non saranno più strappati da quel suolo che io ho concesso loro, dice il Signore tuo Dio!
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19. L’annuncio della fine d’Israele
RAPPORTI TRA LA SECONDA E LA PENULTIMA SEQUENZA (C2 E C4) TERMINI INIZIALI – Le due sequenze iniziano con una visione che ha per oggetto il Signore: «Così mi fece vedere ed ecco il Signore» (7,7), «Vidi il Signore» (9,1). Sono gli unici punti del libro in cui il nome ’ădōnāy viene usato da solo. – In entrambi i casi il Signore appare «ritto su» (niṣṣāb ‘al); si noti che nel libro di Amos solo in questi due passi viene usato questo sintagma verbale. La prima volta il Signore sta ritto «su un muro di stagno» (7,7; per distruggere la casa di Geroboamo, cioè la forza politica), e la seconda volta «sull’altare» (9,1; per distruggere il santuario, cioè il luogo di culto)6. – Significativa è la ripresa dello stesso verbo śîm, tradotto con «mettere» in 7,8 e con «porre» in 9,4, ogni volta per annunciare il castigo. – Da segnalare anche la ripresa de «la mano» del Signore in 7,7 e in 9,2, in entrambi i casi inteso come simbolo di potere per uno scopo punitivo; nella terza sezione sono gli unici due usi di questa parola7. DAL CENTRO ALLE ESTREMITÀ – I verbi «fuggire»8 (con soggetto l’uomo) e «prendere» (con soggetto Dio) del passo centrale di C2 (7,12.15) ricorrono (con identici soggetti) nel primo passo di C4 (9,1.2.3). – L’ultimo passo di C4 riprende diversi termini del passo centrale di C2: «regno» di 9,8 richiama «re» e «regno» di 7,10.13; «dalla faccia del suolo» di 9,8 rimanda a «dal suo suolo» di 7,11 e 7,17; «casa di Giacobbe» (9,8) e «Casa d’Israele» (9,9) fanno eco a «Casa d’Israele» (7,10) e a «casa di Isacco» (7,16); si possono aggiungere le due ricorrenze di «cadere» (7,17 e 9,9). – «Oracolo del Signore» di 8,3 (alla fine di C2) è ripreso in 9,7 e in 9,8. – L’inizio dell’ultimo versetto dell’ultimo passo di C4 (9,10) contiene espressioni presenti non solo nel passo centrale di C2, ma anche nell’insieme delle due sequenze: – «con la spada» ricorre alla fine del primo passo di C2 (7,9), nel passo centrale di C2 (7,11.17) e all’inizio di C4 (9,1; ripetuto da «la spada» in 9,4)9; – «moriranno» riprende «morirà/morirai» di 7,11 e 7,17, e fa eco a «cadranno» di 7,17 e a «uccidere» di 9,1 e 9,4; – infine, «il mio popolo» richiama le tre ricorrenze di «il mio popolo Israele» di ognuno dei tre passi di C2 (7,8.15; 8,2).
6 Malgrado questa opposizione tra l’inizio delle due sequenze, il primo passo di C2 annuncia anche la distruzione delle «alture di Isacco» e dei «santuari di Israele» (7,9). 7 Altrove ricorre solo in 1,8 e 5,19. 8 I verbi tradotti sempre con «fuggire» appartengono a radici differenti: brḥ e nws. 9 Sono le uniche sequenze della sezione dove si parla della morte di spada.
Sezione C: 7,1–9,15
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SEQUENZA C2 (7,7–8,3) 7
Così MI FECE VEDERE: ed ecco IL SIGNORE STAVA SOPRA un muro di stagno e con dello stagno in mano. 8 Il Signore mi disse: ‘Che cosa vedi, Amos?’. Io risposi: ‘Stagno’. Il Signore mi disse: ‘Io pongo uno stagno in mezzo al mio popolo Israele; non gli perdonerò più. 9 Saranno demolite le alture d’Isacco e i santuari d’Israele saranno ridotti in rovine, quando io mi leverò contro la casa di Geroboamo CON LA SPADA’. 10
Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo RE di Israele: ‘Amos congiura contro di te in mezzo alla Casa d’Israele; il paese non può sopportare le sue parole, 11 poiché così dice Amos: DI SPADA morirà Geroboamo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo suolo’. 12 Amasia disse ad Amos: ‘Vattene, veggente, fuggi verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, 13 ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del RE ed è il tempio del REGNO’. 14 Amos rispose ad Amasia: ‘Non sono profeta, né figlio di profeta, ma pastore e raccoglitore di sicomori; 15 Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele. 16 Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici: Non profetizzare contro Israele, né predicare contro la casa di Isacco. 17 Ebbene, dice il Signore: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno DI SPADA, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e Israele sarà deportato in esilio lontano dal suo suolo’. 8,1 Così mi fece vedere il Signore Dio: ed ecco un canestro di frutta matura. 2 Egli domandò: ‘Che vedi Amos?’. Io risposi: ‘Un canestro di frutta matura’. Il Signore mi disse: È maturata la fine per il mio popolo Israele; non gli perdonerò più. 3 In quel giorno i canti del tempio diventeranno lamenti, ORACOLO DEL SIGNORE DIO. Numerosi i cadaveri, gettati dovunque. Silenzio! SEQUENZA C4 (9,1-10) 1
VIDI IL SIGNORE CHE STAVA PRESSO l’altare e diceva: ‘Percuoti il capitello e tremeranno le soglie, spezza la testa di tutti e io ucciderò il resto CON LA SPADA. Nessuno di essi riuscirà a fuggire, nessuno di essi scamperà. 2 Anche se penetrano negli inferi, di là li prenderà la mia mano; se salgono al cielo, di là li tirerò giù; 3 se si nascondono in vetta al Carmelo, di là li scoverò e li prenderò; se si occultano al mio sguardo in fondo al mare, là comanderò al serpente di morderli; 4 se vanno in schiavitù davanti ai loro nemici, là comanderò alla SPADA di ucciderli. Io porrò gli occhi su di loro per il male e non per il bene’. 5
Il Signore, Dio degli eserciti, colpisce la terra ed essa fonde e tutti i suoi abitanti prendono il lutto; essa si solleva tutta come il Nilo e si abbassa come il fiume d’Egitto. 6 Egli costruisce nel cielo il suo soglio e fonda la sua volta sulla terra; egli chiama le acque del mare e le riversa sulla terra; Signore è il suo nome. 7 Non siete voi per me come i figli di Kush, figli d’Israele? ORACOLO DEL SIGNORE. Non ho fatto-salire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Kaftor e Aram da Qir? 8
Ecco, gli occhi del Signore Dio contro il regno peccatore: io lo distruggerò dalla faccia del suolo. Però non distruggerò del tutto la casa di Giacobbe, ORACOLO DEL SIGNORE. 9 Ecco infatti, io darò ordini e scuoterò, fra tutte le nazioni, la casa d’Israele come si scuote il setaccio e non cade un sassolino per terra. 10 DI SPADA moriranno tutti i peccatori del mio popolo, essi che dicevano: ‘Non farai avvicinare, non farai venire fino a noi il male’.
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19. L’annuncio della fine d’Israele
4. L’INSIEME DELLA SEZIONE RAPPORTI TRA LA SEQUENZA CENTRALE E LA PRIMA SOTTOSEZIONE (C1–2 E C3) I rapporti tra la seconda sequenza (C2) e la sequenza centrale (C3) sono molto accentuati, molto meno quelli con la prima sequenza (C1). TRA LA SECONDA SEQUENZA (C2) E LA SEQUENZA CENTRALE (C3) I castighi annunciati in C2 sono ripresi in C3: – All’inizio di C2 si annuncia che alture e santuari saranno devastati (7,9); tali luoghi vengono menzionati alla fine di C3: «Dan» e «Bersabea» in 8,14, ma anche «l’orgoglio di Giacobbe» di 8,7 e «il peccato di Samaria» di 8,14 possono alludere a Betel. – Alla fine del passo centrale di C2 Amos annuncia che i figli e le figlie del sacerdote di Betel «cadranno» (7,17); alla fine di C3 «vergini» e «giovani» «cadranno» (8,13.14). – La distruzione dei santuari e la scomparsa della famiglia reale e sacerdotale producono quanto è detto alla fine di C2: «gemeranno i carmi del tempio in quel giorno — oracolo del Signore Dio» (8,3); tutto questo viene ripreso in C3: «in quel giorno – ecco venire dei giorni» (8,9.11.13), «oracolo del Signore» (8,9.11); i «canti» trasformati in «lamento» (9,10). – Infine, al rifiuto della parola profetica, che contraddistingue il passo centrale di C2 (7,10.13.16), corrisponde in C3 la «sete» «di ascoltare la parola del Signore» (8,11-12); ma sarà troppo tardi poiché «non la troveranno» (8,12), anche se il profeta, a nome di Dio, continua a esigere l’ascolto da parte del popolo («Udite», all’inizio di C2: 8,4). TRA LA PRIMA SEQUENZA (C1) E LA SEQUENZA CENTRALE (C3) – La tematica della seconda visione (7,4-6) trova un’eco nell’ultimo passo di C3 (8,9-14): infatti il «fuoco» (7,4) che prosciuga le sorgenti («ha mangiato il grande abisso»: 7,4) produce «la sete», e anche «la fame» (8,11-13). – La devastazione delle colture («mangiare l’erba della terra»: 7,2), causata dalle cavallette, nella prima visione, dovrebbe evidentemente causare «la fame», di cui parla l’ultimo passo di C3. D’altra parte, si può forse vedere una relazione anche tra questa prima visione e il primo passo di C3: infatti in 8,4-710 si denuncia non solo l’ingiustizia nel commercio, ma anche lo sfruttamento dei più poveri in tempo di carestia da parte di incettatori e truffatori. Questa situazione di grande penuria è proprio quella che seguirebbe la minaccia proferita nella prima visione (il «grano» di cui si parla in 8,5.6 corrisponde al «guaime» e all’«erba» di 7,1.2).
10
Cfr. sequenza C3, p. 354-360.
Sezione C: 7,1–9,15
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SEQUENZA C1 (7,1-6) 1
Così mi fece vedere il Signore Dio: ed ecco egli formava delle cavallette quando cominciava a germogliare la seconda erba, quella che spunta dopo la falciatura del re. 2 Quando quelle stavano per finire di mangiare l’erba della regione, io dissi: ‘Signore Dio, perdona, come reggerà Giacobbe? È tanto piccolo’. 3 Il Signore si pentì di questo: ‘Questo non avverrà’, dice il Signore. 4
Così mi fece vedere il Signore Dio: ed ecco il Signore Dio chiamava per il castigo il fuoco che mangiava il grande abisso e mangiava la campagna. 5 Io dissi: ‘Signore Dio, desisti! Come reggerà Giacobbe? È tanto piccolo’. 6 Il Signore si pentì di questo: ‘Neanche questo avverrà’, dice il Signore Dio. SEQUENZA C2 (7,7–8,3) 7
Così mi fece vedere: ed ecco il Signore stava sopra un muro di stagno e con dello stagno in mano. 8 Il Signore mi disse: ‘Che cosa vedi, Amos?’. Io risposi: ‘Stagno’. Il Signore mi disse: ‘Io pongo stagno in mezzo al mio popolo Israele; non gli perdonerò più. 9 Saranno demolite le ALTURE d’Isacco e i SANTUARI d’Israele saranno ridotti in rovine, quando io mi leverò contro la casa di Geroboàmo con la spada’. 10 Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo re di Israele: ‘Amos congiura contro di te in mezzo alla Casa d’Israele; il paese non può sopportare le sue PAROLE, 11 poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboàmo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo suolo’. 12 Amasia disse ad Amos: ‘Vattene, veggente, fuggi verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, 13 ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno’. 14 Amos rispose ad Amasia: ‘Non sono profeta, né figlio di profeta, ma pastore e raccoglitore di sicomori; 15 Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele. 16 Ora ASCOLTA LA PAROLA DEL SIGNORE: Tu dici: Non profetizzare contro Israele, né predicare contro la casa di Isacco. 17 Ebbene, dice il Signore: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e Israele sarà deportato in esilio lontano dal suo suolo’.
8,1 Così mi fece vedere il Signore Dio: ed ecco un canestro di frutta matura. 2 Egli domandò: ‘Che vedi Amos?’. Io risposi: ‘Un canestro di frutta matura’. Il Signore mi disse: È maturata la fine per il mio popolo Israele; non gli perdonerò più. 3 In quel giorno i canti del TEMPIO diventeranno lamenti, oracolo del Signore Dio. Numerosi i cadaveri, gettati dovunque. Silenzio! SEQUENZA C3 (8,4-14) 4
UDITE questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, 5 voi che dite: ‘Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, 6 per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano’. 7 Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò le loro opere. 8
Non forse per questo trema la terra, sono in lutto tutti i suoi abitanti, si solleva tutta come il Nilo, si agita e si riabbassa come il fiume d’Egitto? 9
In quel giorno, oracolo del Signore Dio, farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno! 10 Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento: farò salire su ogni fianco il sacco, renderò calva ogni testa: ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno d’amarezza. 11 Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore Dio, in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ASCOLTARE LA PAROLA DEL SIGNORE. 12 Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la PAROLA del Signore, ma non la troveranno. 13 In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete. 14 Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: ‘Per la vita del tuo dio, DAN!’ oppure: ‘Viva il cammino di BERSABEA!’, cadranno senza più rialzarsi!
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19. L’annuncio della fine d’Israele
RAPPORTI TRA LA SEQUENZA CENTRALE E L’ULTIMA SOTTOSEZIONE (C3 E C4-5) SEQUENZA C3 (8,4-14) 4
Udite questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, 5 voi che dite: ‘Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, 6 per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano’. 7 Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò le loro opere. 8
Non forse per questo trema la terra, sono in lutto tutti i suoi abitanti, si solleva tutta come il Nilo, si agita e si riabbassa come il fiume d’Egitto? 9
In quel giorno, oracolo del Signore Dio, farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno! 10 Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento: farò salire su ogni fianco il sacco, renderò calva ogni testa: ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno d’amarezza. 11 Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore Dio, in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore. 12 Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno. 13 In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete. 14 Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: ‘Per la vita del tuo dio, Dan!’ oppure: ‘Viva il cammino di Bersabea!’, CADRANNO SENZA PIÙ RIALZARSI! SEQUENZA C4 (9,1-10) 1
Vidi il Signore che stava presso l’altare e disse: ‘Percuoti il capitello e tremeranno le soglie, spezza la testa di tutti e io ucciderò il resto con la spada.Nessuno di essi riuscirà a fuggire, nessuno di essi scamperà. 2 Anche se penetrano negli inferi, di là li strapperà la mia mano; se salgono al cielo, di là li tirerò giù; 3 se si nascondono in vetta al Carmelo, di là li scoverò e li prenderò; se si occultano al mio sguardo in fondo al mare, là comanderò al serpente di morderli; 4 se vanno in schiavitù davanti ai loro nemici, là comanderò alla spada di ucciderli. Io volgerò gli occhi su di loro per il male e non per il bene’. 5
Il Signore, Dio degli eserciti, colpisce la terra ed essa fonde e tutti i suoi abitanti prendono il lutto; essa si solleva tutta come il Nilo e si abbassa come il fiume d’Egitto. 6 Egli COSTRUISCE nel cielo il suo soglio e fonda la sua volta sulla terra; egli chiama le acque del mare e le riversa sulla terra; Signore è il suo nome. 7 Non siete voi per me come i figli di Kush, figli d’Israele? Oracolo del Signore. Non io ho fatto salire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Kaftor e Aram da Qir? 8
Ecco, gli occhi del Signore Dio contro il regno peccatore: io lo DISTRUGGERÒ dalla faccia del suolo. Però non distruggerò del tutto la casa di Giacobbe, oracolo del Signore. 9 Ecco infatti, io darò ordini e scuoterò, fra tutte le nazioni, la casa d’Israele come si scuote il setaccio e non cade un sassolino per terra. 10 Di spada moriranno tutti i peccatori del mio popolo, essi che dicevano: ‘Non farai avvicinare, non farai venire fino a noi il male’.
Sezione C: 7,1–9,15
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SEQUENZA C5 (9,11-15) 11
In quel giorno RIALZERÒ la capanna di Davide, che è CADUTA; ne riparerò le brecce, ne le rovine, la RICOSTRUIRÒ come ai tempi antichi, 12 perché conquistino il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa questo. RIALZERÒ 13
Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, in cui chi ara si avvicinerà a chi miete e chi pigia l’uva a chi getta il seme; dai monti stillerà il mosto e colerà giù per le colline. 14 Cambierò le sorti del mio popolo Israele. E RICOSTRUIRANNO le città devastate e vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto. 15
Li PIANTERÒ sopra il loro suolo e non saranno più STRAPPATI da quel suolo che io ho concesso loro, dice il Signore tuo Dio.
I legami della sequenza centrale (C3) con quella successiva (C4) sono particolarmente accentuati; sono molto meno forti con l’ultima sequenza (C5). I LEGAMI TRA LA SEQUENZA CENTRALE (C3) E LA PENULTIMA SEQUENZA (C4) – Gli elementi del passo centrale di C3 (8,8) sono ripresi, quasi parola per parola, all’inizio del passo centrale della sequenza successiva (9,5). – Le due sequenze sono contrassegnate dalla morte e dal lutto (C3: «lutto» in 8,8.10, «languire» e «cadere» in 8,13-14; C4: «uccidere» in 9,1.4, «lutto» in 9,5, «morire» in 9,10); la morte è collegata allo «scuotere» (8,8; 9,1.9). – Le sequenze terminano con parole della stessa radice, «peccato» e «peccatori» (8,14; 9,10), collegate con lo stesso participio tradotto con «quelli che dicono». – «Fare salire» ricorre in 8,10 e in 9,7; mentre il Signore aveva «fatto salire Israele dalla terra d’Egitto» per salvarlo (C4), egli «farà salire su tutti i reni il sacco e su ogni testa la rasatura» (C3). I LEGAMI TRA LA SEQUENZA CENTRALE (C3) E L’ULTIMA SEQUENZA (C5) – Alla «fame» e alla «sete», che caratterizzano la sequenza centrale (8,11.13), si contrappone l’abbondanza di cibo e di vino dell’ultima sequenza (9,13-15); questo tema è assente dalla sequenza C4. – Le espressioni «in quel giorno» ed «ecco venire giorni» ricorrono in 8,9.11.13 e in 9,11.13 (e non nella sequenza C4). – Il «fare» di Dio alla fine della prima parte di C5 (9,12) si contrappone alle «azioni» degli Israeliti alla fine del primo passo di C3 (8,7); le due parole appartengono alla stessa radice ebraica. – «Errare» e «vagare» di 8,12, alla fine di C3, sembrano opporsi a «li pianterò sopra il loro suolo e non saranno più strappati da sopra il loro suolo» di 9,15, alla fine di C5.
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19. L’annuncio della fine d’Israele
INTERPRETAZIONE Dall’annuncio di un castigo che il Signore, su richiesta del suo profeta, si decide a sospendere, fino alla restaurazione finale del regno di Davide nella prosperità e nella pace, la terza sezione del libro di Amos espone il dramma delle relazioni tra Dio e il suo popolo, che si affrontano in un conflitto radicale. Sebbene sia essenzialmente formata da una serie di oracoli, questa sezione si può leggere come una storia la cui logica si sviluppa, in un certo qual modo, secondo l’ordine di uno svolgimento cronologico. FACENDO TACERE IL PROFETA, ISRAELE RICHIAMA IL CASTIGO DI DIO Giacobbe deve avere peccato molto, se il Signore ha comminato il severo castigo dell’invasione di cavallette, che divorano tutta la vegetazione, e quello della siccità che avvampa l’intero paese (7,1-6). Se Dio ha preso questa decisione estrema, se ha voluto colpire il proprio popolo, come un padre corregge il proprio figlio con la frusta, è probabile che ciò dipenda dall’ostinata disobbedienza di Israele, che non ha voluto ascoltare gli avvertimenti che il Signore gli aveva prodigato tramite i suoi profeti. Nessun padre, infatti, punisce corporalmente il proprio figlio, prima di averlo richiamato a lungo, con le buone, all’obbedienza dei suoi precetti. Quando dopo i moniti, le spiegazioni e gli appelli alla ragione, si è visto costretto a passare alle minacce; e quando queste si rivelano inefficaci, allora deve decidersi a colpire. È come un ultimo tentativo, una estrema possibilità di farsi sentire. Il Signore ha dunque preso la sua decisione. Colpirà, ma senza smettere di parlare: egli avverte il suo profeta, «poiché il Signore Dio non fa cosa (alcuna) se non rivela il suo disegno ai suoi servi i profeti» (3,7). Nelle visioni delle locuste e del fuoco, non appare ormai più la denuncia del peccato, ma solo la descrizione della punizione: non si parla più del castigo, lo si fa vedere. Il profeta non riceve più un oracolo, ma vede il Signore che «plasma delle locuste» (7,1). E se, in un secondo tempo, sente una voce, questa non si rivolge a lui direttamente, ma al fuoco: «ecco che chiama a una lite per mezzo del fuoco» (7,4). Fin dall’inizio della sezione, quindi, il passaggio al genere letterario della visione è un indizio che rivela un cambiamento, anzi una crisi della parola profetica che contraddistinguerà tutto il seguito della storia. Il profeta ha però compreso il messaggio delle visioni, e interviene quindi con una preghiera: prendendo le veci del suo popolo, egli chiede perdono, supplica il Signore di interrompere quanto è sul punto di compiere. Egli si rende conto infatti delle irreparabili conseguenze degli eventi che si preparano, e teme il crollo e la scomparsa dell’intero popolo dell’alleanza: «come reggerà Giacobbe?». Il motivo che egli avanza per ottenere la misericordia di Dio è senz’altro sorprendente, se si rammentano tutte le critiche contro la potenza e l’orgoglio di Israele. Ma il profeta vede al di là delle apparenze: sottoposto al castigo, Giacobbe non si rivelerebbe la grande nazione che è fiero di essere, ma
Sezione C: 7,1–9,15
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una entità minima che rischia l’annientamento. Su richiesta del suo profeta, il Signore accetta dunque di soprassedere al castigo che aveva previsto: se lo fa, è perché ha deciso di dare fiducia, ancora una volta, alla parola. Forse sarà ascoltato, quando Amos comunicherà ai Figli d’Israele quanto ha visto, rivelando loro al tempo stesso che essi devono questa dilazione solo alla sua intercessione. E invece, più il profeta parla e meno viene ascoltato. Anzi, lo si farà definitivamente tacere, lo si scaccerà da Betel dove profetizza, in modo da non sentire più le sue parole insopportabili (7,10-13). Invece di cogliere nelle punizioni che egli annuncia una parola di Dio che vuole la salvezza, il custode del tempio di Betel lo accusa di cospirare contro il re, sostiene che il paese non può più sopportare le sue parole, e ottiene che gli venga impartito l’ordine di rientrare in patria. Non solo lo si espelle, ma lo si insulta volgarmente dando a credere che egli manca di rispetto verso chi gli dà da mangiare, e riducendo il suo profetare ad un semplice interesse gastronomico. Quasi che egli avesse riferito le sue visioni di carestia e di siccità per ottenere che si continui a dargli da mangiare e da bere! Non gli resta allora che fare ascoltare, in nome di Dio, una minaccia più radicale di quella delle locuste e della siccità. Il profeta si vede adesso obbligato a rivelare l’ineluttabile intervento devastatore di Dio: ecco infatti che all’invasione delle locuste si sostituisce quella degli eserciti inviati dal Signore per colpire di spada i santuari di Israele e distruggere il regno (7,7-9; 8,1-3). Come se il fuoco della siccità non si limitasse a divorare le campagne, ma riuscisse a incendiare il tempio; e allora i canti si tramutano in lamenti e in grida lugubri, per piangere i cadaveri abbandonati dappertutto. Solo il segno della fine — non tanto la morte dei singoli individui, quanto piuttosto la scomparsa dell’entità politica di Israele e delle sue istituzioni religiose — sarà in grado di rivelare fino a che punto si rifiutava la parola, cioè in definitiva la vita. DIO ANNUNCIA CHE RITIRA LA PAROLA AL SUO POPOLO Malgrado tutti questi avvertimenti e tutte queste minacce, e nonostante i castighi della siccità e delle cavallette si siano forse parzialmente abbattuti sulle campagne, riducendo la popolazione alla fame, i ricchi possidenti, re in testa, sprofondano sempre più nel loro peccato, sfruttando le loro riserve per defraudare la povera gente, vendendo gli scarti a peso d’oro e facendo commercio di schiavi (8,4-6). Al Signore quindi non rimane che produrre un disastro dalle dimensioni cosmiche: forse si tratta di fenomeni naturali catastrofici, o forse si fa allusione a una invasione militare di enorme portata, ma è certo che egli fa tremare la terra che si solleva e si abbassa come la piena di un fiume travolgendo tutto al suo passaggio, lasciando solo lutto e lamenti (8,8-10). Allora, solo allora purtroppo, ci si mette a cercare la parola del Signore; in quel momento si prova la sete di riascoltare il profeta per capire quanto sta accadendo e per sapere cosa il Signore richiede. I giovani si mettono di nuovo a
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19. L’annuncio della fine d’Israele
invocare il loro Dio, da Dan a Bersabea (8,11-14). Ma il Signore è muto e non c’è più profeta. E tuttavia, in modo del tutto paradossale, pure questo silenzio è una parola, o almeno è presentato con il valore e la funzione di un messaggio. Infatti la sequenza centrale (C3), che predice morte e silenzio, inizia con l’imperativo «Ascoltate» (8,4). Anche quando infligge l’estremo castigo, il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. DIO FA ASCOLTARE IL SUO NOME PER MEZZO DEL CASTIGO Dopo l’apice raggiunto con la sequenza centrale, il Signore, come ha appena annunciato, sembra dapprima non volere più parlare al suo popolo; tuttavia egli si rivolge ancora al profeta per mezzo di una nuova visione, simile a quelle della prima sottosezione. Quest’ultima visione si distingue però nettamente da quelle che l’hanno preceduta, perché è ridotta all’essenziale e non contiene praticamente nessun dettaglio concreto: «Vidi il Signore che stava ritto sull’altare» (9,1). È come se fosse l’eco della visione simmetrica dell’inizio della sequenza C2: «ed ecco il Signore che stava ritto su un muro di stagno» (7,7). Ma questa volta il Signore non si limita ad apparire al profeta per mostrargli quanto si appresta a fare. Gli dice di colpire i capitelli del tempio (9,1), quasi gli domandasse di fare crollare tutta la costruzione sul popolo riunito per la celebrazione. Il profeta è così incaricato di produrre la catastrofe, che fino a quel momento solo annunciava. Una sventura disastrosa a cui nessuno potrà sfuggire, che trascinerà tutti nella disfatta e nella deportazione, che li consegnerà infine alla spada e alla morte (9,1-4). La catastrofe è così radicale da essere descritta in termini cosmici: non solo crolla il tempio, ma la terra stessa viene scossa e ricoperta dalle acque (9,5-6). La voce del Signore risuona nel mondo, ma non si rivolge più al suo popolo e neppure al profeta; il Signore convoca le acque del mare per una sorta di diluvio che devasterà tutto. Quanti dicevano: «Viva il tuo Dio, Dan! e viva il cammino di Bersabea!» (8,14), quanti dal nord al sud erano convinti che il Signore non avrebbe mai scatenato contro di loro un simile cataclisma (9,10), sono stati spazzati via. Con la loro obbedienza alla voce del Signore dell’universo solo gli elementi scatenati proclamano che «il Signore è il Signore degli eserciti» (9,5), che «Signore è il suo nome!» (9,6). È vero: Dio ha distrutto «il regno peccatore» di Geroboamo (9,8), e il popolo di Israele non esiste più, inseguito fino nella deportazione dalla spada del Signore (9,4); il Signore ha imposto a tutti un lutto disperato, come quando si piange la morte di un figlio unico (8,10), ha disfatto ciò che aveva compiuto quando «aveva fatto salire Israele dalla terra d’Egitto» (9,7). Eppure, e ciò è quasi inaudito, Egli «non ha totalmente distrutto la casa di Giacobbe» (9,8): ha solo operato una cernita per fare «morire tutti i peccatori» del suo popolo (9,10) senza lasciare cadere a terra il granellino buono che restava (9,9).
Sezione C: 7,1–9,15
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A partire da questo umile seme, come con Noè dopo il diluvio, il Dio di Israele potrà ricominciare daccapo, e ricostruire non i palazzi orgogliosi di Samaria, ma la piccola capanna di Davide (9,11). Allora le crepe delle mura saranno riparate e le macerie rialzate, la prosperità agricola riprenderà come non mai, si potranno costruire case e abitarle, piantare vigne e gustarne il vino, abitare al sicuro nell’eredità del Signore. L’alleanza sarà ripristinata, così che il Signore sarà il loro Dio (9,15) ed essi saranno il suo popolo (9,14); essi riporteranno una definitiva vittoria sui loro nemici, anche su Edom — il più accanito di tutti —, e potranno testimoniare la loro fede in Colui il cui Nome sarà pronunciato, da loro, su tutte le nazioni (9,12).
20 Il libro del profeta Amos L’insieme del libro
Dopo lo studio del Titolo e di ognuna delle tre sezioni, restano da evidenziare, a mo’ di conclusione, i rapporti più rilevanti tra queste unità, rapporti che manifestano l’unità globale del libro di Amos.
I. COMPOSIZIONE 1. I RAPPORTI TRA IL TITOLO E IL CORPO DEL LIBRO RAPPORTI DEL TITOLO CON LA SEZIONE A TITOLO (1,1-2) 1
Parole di Amos, che fu tra i pecorai di Tekoa, che ebbe visioni contro Israele, al tempo di Ozia, re di GIUDA, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re di Israele, (nei) due anni prima del terremoto; 2
e dice: “Il Signore da Sion ruggisce ne sono desolate le praterie dei pastori,
e da GERUSALEMME emette la sua voce: ed è inaridita la vetta del Carmelo”.
SEQUENZA A2 (2,4-5) 4
Così dice il Signore:
“Per tre delitti di GIUDA
perché hanno rigettato la legge del Signore e li hanno traviati le loro Menzogne 5 invierò il fuoco su GIUDA
e per quattro non ammetto revoca,
e i suoi precetti non hanno mantenuto; che seguivano i loro padri, e divorerà i palazzi di GERUSALEMME”.
È certamente con la sequenza centrale (A2) che il Titolo del libro ha i legami più forti. – Fino alla fine della sezione A il nome «Giuda» ricorre solo in questi due testi (1,1d; 2,4b.5a); lo stesso vale per il nome «Gerusalemme» (1,2c e 2,5b)1. – Si potrà notare anche che, al di fuori della formula di introduzione agli oracoli, il nome «Signore» ricorre solo in 1,2b e in 2,4d. 1
Il nome Giuda appare un’altra volta in 7,12; un altro riferimento a Gerusalemme ricorre in 6,1 con la menzione di Sion (come in 1,2).
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Il libro del profeta Amos
C’è però una differenza significativa tra questi due testi: nel Titolo c’è un’opposizione tra il sud (Giuda e Gerusalemme), da dove proviene la profezia, e il nord (Israele e il Carmelo), contro cui essa è proferita; al centro della sezione A, invece, un oracolo è pronunciato contro Giuda, così come lo era stato contro le sei nazioni straniere (A1) e come lo sarà contro Israele (A3). Giuda occupa quindi una posizione particolare, come il luogo da cui proviene la rivelazione; tuttavia non sfuggirà alla sventura e alla distruzione generale. Infatti, non ha peccato meno di tutti gli altri, ribellandosi alla Legge del Signore, che gli era stata affidata. RAPPORTI DEL TITOLO CON LA SEZIONE B TITOLO (1,1-2) 1
PAROLE di Amos, che fu tra i pecorai di Tekoa, che ebbe visioni contro Israele, al tempo di Ozia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re di Israele, nei due anni prima del terremoto; 2
e dice: “Il Signore da Sion RUGGISCE e da Gerusalemme EMETTE LA SUA VOCE: ne sono desolate le praterie dei pastori ed è inaridita la vetta del Carmelo”.
SEQUENZA B1 (3,1-8) 1
Udite questa PAROLA che il Signore ha detto contro di voi, figli d’Israele, contro tutta la stirpe che ho fatto salire dal paese d’Egitto dicendo: 2 “Solo voi ho conosciuto fra tutte le stirpi del suolo. Perciò io punirò contro di voi tutte le vostre colpe”. 3
Camminano forse due uomini insieme senza essersi messi d’accordo? 4
RUGGISCE forse il leone nella foresta se non ha qualche preda? Il leoncello EMETTE LA dalla sua tana se non ha preso nulla? 5 Cade forse l’uccello sulla rete a terra senza che ci sia un’esca per lui? Scatta forse la tagliola dal suolo se non ha preso qualcosa? 6 Risuona forse la tromba nella città, senza che il popolo tremi? Avviene forse nella città una sventura, senza che il Signore l’abbia fatta? SUA VOCE
7
In verità, il Signore Dio non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servitori, i profeti. 8
RUGGISCE il leone: chi mai non teme? Il Signore Dio ha PARLATO: chi può non profetare?
Nella sezione B, è con la con la prima sequenza (B1) che il Titolo del libro ha maggiori rapporti. – La prima parola del libro annuncia delle «parole» («Parole di Amos»: 1,1a) e la sequenza B1 inizia con «Udite questa parola che il Signore ha detto...» (3,1a; ripreso da «Il Signore Dio ha parlato» alla fine della sequenza, in 8c).
L’insieme del libro: 1,1–9,15
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– Queste parole sono pronunciate «contro Israele» (1,1b), «contro di voi, Figli d’Israele» (3,1a)2. – L’immagine del leone che ruggisce ricorre solo nel Titolo e nella sequenza B1: sebbene nel Titolo non si parli formalmente di «leone», l’immagine è presente nella metafora che descrive Dio: «Il Signore da Sion ruggisce e da Gerusalemme emette la sua voce» (1,2bc); le stesse parole sono riprese in B1: «Ruggisce forse il leone nella foresta... Il leoncello emette la sua voce dalla sua tana...» (3,4); l’immagine ritornerà alla fine della sequenza: «Il leone ha ruggito: chi non temerà? Il Signore Dio ha parlato: chi non profetizzerà?» (3,8). Certo, l’immagine del leone ricorre altrove nella seconda sezione; non si tratta però di un leone che ruggisce, ma che divora (B2: 3,12). – La sequenza B1 è l’unica di tutta la seconda sezione in cui ricorre lo stesso gioco tra la parola di Dio e quella del profeta. Nel Titolo, le «parole» di Amos (1,1) sono messe in parallelo con il ruggito e la voce del Signore (1,2); ugualmente nella sequenza B1 l’ultima parte mette in relazione la parola del Signore e quella del profeta: «Il Signore Dio ha parlato: chi può non profetare?» (3,8bc); ma già il versetto precedente (3,7) presentava il profeta come colui che riceve dal Signore la rivelazione dei suoi progetti: «In verità, il Signore Dio non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servitori, i profeti». La sequenza B1, che riprende molti elementi del Titolo del libro, può dunque considerarsi una specie di introduzione alla sezione B.
2
È vero che queste parole ricorreranno nelle sequenze successive: in B2 (4,1a) e soprattutto all’inizio della sequenza centrale B4 (5,1); resta però che esse fungono da termini iniziali per il libro e per la sezione B.
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Il libro del profeta Amos
RAPPORTI DEL TITOLO CON LA SEZIONE C I legami tra il Titolo del libro e l’ultima sezione sono più marcati nelle prime due sequenze, C1 e C2 (specialmente nel passo «biografico» che ne occupa il centro). I legami tra il Titolo e la sequenza C1 TITOLO (1,1-2) 1
Parole di Amos, che fu tra i pecorai di Tekoa, che EBBE VISIONI contro Israele, al tempo di Ozia, RE di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re di Israele, (nei) due anni prima del terremoto; 2
e dice: “Il Signore da Sion ruggisce ne sono desolate le praterie dei pastori,
e da Gerusalemme emette la sua voce; ed è inaridita la vetta del Carmelo”.
SEQUENZA C1 (7,1-6) 1
Così mi FECE VEDERE il Signore Dio: ed ecco egli formava delle cavallette quando cominciava a germogliare la seconda erba, quella che spunta dopo la falciatura del RE. 2 Quando quelle stavano per finire di mangiare l’erba della regione, io dissi: “Signore Dio, perdona, come reggerà Giacobbe? È tanto piccolo”. 3 Il Signore se ne pentì: “Questo non avverrà”, dice il Signore. 4
Così MI FECE vedere il Signore Dio: ed ecco il Signore Dio chiamava per il castigo il fuoco che mangiava il grande abisso e mangiava la campagna. 5 Io dissi: “Signore Dio, desisti! Come reggerà Giacobbe? È tanto piccolo”. 6 Il Signore se ne pentì: “Neanche questo avverrà”, dice il Signore Dio.
– Nel Titolo il profeta viene presentato come un veggente: «Parole di Amos [...] che ebbe visioni» (ḥzh: 1,1c); la sezione C inizia con due visioni: «Così mi fece vedere il Signore Dio» (hiphil di r’h: 7,1a e 4a). È vero che le visioni non sono limitate alla sequenza C1, dato che caratterizzano tutta la sezione C: ce ne saranno di fatto ancora due alle estremità della sequenza C2, e un’ultima all’inizio di C4. È fuor di dubbio tuttavia che l’inizio della sezione C richiami il Titolo del libro. – La parola «re» che appare due volte nel Titolo (1,1de) ricorre in C1 con «la falciatura del re» (7,1c), ma sarà usata ancora in 7,10 e 7,13 (C2). – Probabilmente più importante è il tema della siccità, sebbene sia espresso con termini diversi: alla fine del Titolo, «sono desolate le praterie dei pastori ed è inaridita la vetta del Carmelo» (1,2de), e nella seconda parte di C1: «ed ecco il Signore Dio chiamava per il castigo il fuoco che mangiava il grande abisso (cioè le sorgenti) e mangiava la campagna» (7,4bc). Si può notare che, anche se i due testi mettono in relazione Dio e il profeta, si ha però una differenza notevole: nel Titolo Amos si limita, per così dire, a riferire le parole del Signore, nella sequenza C1 invece intercede a favore di Giacobbe, inducendo in tal modo il Signore a «pentirsi» di quello che aveva deciso di fare.
L’insieme del libro: 1,1–9,15
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I legami tra il Titolo e la sequenza C2 TITOLO (1,1-2) 1
PAROLE di Amos, che fu tra i pecorai di TEKOA, che EBBE VISIONI contro ISRAELE, al tempo di Ozia, re di GIUDA, e al tempo di GEROBOAMO, figlio di Ioas, RE DI ISRAELE, (nei) due anni prima del terremoto;
2
e dice: “Il SIGNORE da SION ruggisce ne sono desolate le praterie dei pastori,
e da GERUSALEMME emette la sua voce; ed è inaridita la vetta del Carmelo”.
SEQUENZA C2 (7,7–8,3) 7
Così mi FECE VEDERE: ed ecco il Signore stava sopra un muro di stagno e con dello stagno in mano. 8 Il Signore mi disse: “Che cosa vedi, Amos?”. Io risposi: “Stagno”. Il Signore mi disse: “Io pongo stagno in mezzo al mio popolo, ISRAELE; non gli perdonerò più. 9 Saranno demolite le alture d’Isacco e i santuari d’Israele saranno ridotti in rovine, quando io mi leverò con la spada contro la casa di GEROBOAMO”. 10
Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a GEROBOAMO, RE DI ISRAELE: “Amos congiura contro di te in mezzo alla Casa d’Israele; il paese non può sopportare le sue PAROLE, 11 poiché così dice Amos: Di spada morirà GEROBOAMO e ISRAELE sarà condotto in esilio lontano dal suo paese”. 12 Amasia disse ad Amos: “Vattene, VEGGENTE, ritirati verso il paese di GIUDA; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, 13 ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno”. 14 Amos rispose ad Amasia: “Non sono profeta, né figlio di profeta, ma pastore e raccoglitore di sicomori; 15 Il SIGNORE mi prese da dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele. 16 Ora ascolta la parola del SIGNORE: Tu dici: Non profetizzare contro ISRAELE, né predicare contro la casa di Isacco. 17 Ebbene, dice il SIGNORE: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e ISRAELE sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra”. 8,1 Così mi FECE VEDERE il Signore Dio: ed ecco un canestro di frutta matura. 2 Egli domandò: “Che vedi Amos?”. Io risposi: “Un canestro di frutta matura”. Il Signore mi disse: “È maturata la fine per il mio popolo ISRAELE; non gli perdonerò più. 3 In quel giorno i canti del tempio diventeranno lamenti, oracolo del Signore Dio. Numerosi i cadaveri, gettati dovunque. Silenzio!”
– Le due visioni di C2 (7,7-9 e 8,1-3) richiamano ovviamente il Titolo («ebbe visioni» di 1,1). – Il passo centrale mette a confronto tre personaggi presenti fin dal Titolo: innanzitutto «Amos» il profeta, chiamato «veggente» dal sacerdote di Betel (questo rimanda a «che ebbe visioni» di 1,1) e le cui «parole» sono ritenute insopportabili (7,10 rinvia a «Parole di Amos» di 1,1a); in secondo luogo, il «re di Israele» «Geroboamo» (1,1 e 7,10); e infine «il Signore». Il sacerdote di Betel vuole rimandare Amos «verso il paese di Giuda» (7,12) da dove proviene («Tekoa» in Giuda: 1,1); Amos è chiamato «pecoraio» fin dall’inizio del Titolo (1,1), e in C2 di se stesso dice di essere un «pastore» (7,14).
428
Il libro del profeta Amos SEQUENZA A3 (2,6-16)
6
Così dice il Signore: “Per TRE DELITTI d’Israele e per QUATTRO non ammetto revoca, perché vendono per denaro l’innocente e l’indigente per una questione di sandali; 7 essi che calpestano sulla polvere della terra la testa dei miseri e il cammino dei poveri DISTORCONO; e un uomo e suo padre vanno dalla ragazza al fine di profanare il mio nome santo; 8 e su vestiti presi in pegno si sdraiano presso ogni altare; e bevono il vino dei multati nella casa del loro dio. 9
E io avevo distrutto l’Amorreo davanti a loro, la cui statura uguagliava quella dei cedri, lui che era imponente come le querce; e avevo strappato il suo frutto al di sopra e le sue radici al di sotto. 10 E io vi avevo fatto salire dal paese di Egitto e vi avevo fatto andare nel deserto quarant’anni, perché ereditaste il paese dell’Amorreo. 11
E ho suscitato tra i vostri figli dei profeti e fra i vostri giovani dei nazirei. Non è così, Figli d’Israele? Oracolo del Signore. 12 E avete fatto bere ai nazirei del vino e ai profeti avete ordinato: Non profetate! 13
Ecco io schiaccerò sotto di voi come schiaccia il carro carico di covoni.
14
E verrà meno la fuga all’agile, e il robusto non rinsalderà la sua forza, e il prode non salverà la sua vita; 15 e chi tira con l’arco non resisterà, e l’agile di piedi non salverà la sua vita, e chi monta a cavallo non salverà la sua vita. 16 E il saldo di cuore fra i prodi nudo fuggirà in quel giorno!”. Oracolo del Signore.
SEQUENZA B4 (5,1-17) 1
Udite questa parola che io porto contro di voi, una lamentazione, Casa d’Israele! 2 È caduta, non potrà rialzarsi, la vergine Israele; è stata buttata sul suo suolo, e nessuno che la rialzi. 3 Poiché così dice il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento, e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci, per la Casa d’Israele. 4
Poiché così dice il Signore alla Casa d’Israele: Cercate me e vivrete! 5 E non cercate Betel, e a Galgala non venite, e a Bersabea non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato, e Betel si ridurrà a niente. 6 Cercate il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà, e nessuno che lo spenga a Betel! Essi che mutano in assenzio il diritto, e la giustizia a terra gettano. 8 Lui che fa le Pleiadi e Orione, lui che muta in mattino l’ombra, e il giorno in notte ottenebra; lui che chiama le acque del mare, e le spande sulla faccia della terra, il Signore è il suo nome; 9 lui che scatena la rovina sul forte, e la rovina sulla cittadella viene. 10 Odiano alla porta il censore, e chi parla con integrità aborriscono. 11 Perciò, poiché schiacciate il misero prelevando da lui una imposta sul grano, avete costruito case di pietra squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino. 12 Poiché so che sono NUMEROSI i vostri DELITTI ed enormi i vostri peccati. Opprimono l’innocente, accettano un compenso, e gli indigenti alla porta SVIANO. 13 Perciò il prudente in questo tempo tace, poiché è un tempo di male questo. 7
14
Cercate il bene e non il male affinché viviate, e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi dite. 15 Odiate il male e amate il bene, e promuovete alla porta il diritto: forse il Signore, il Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe. 16
Perciò così dice il Signore, il Dio degli eserciti, il Signore: In tutte le piazze ci sarà gemito, e in tutte le strade diranno: Ahi! ahi!, e chiameranno il contadino al cordoglio, e al gemito chi conosce la nenia, 17 e in tutte le vigne ci saranno gemiti, poiché io passerò in mezzo a te, dice il Signore.
L’insieme del libro: 1,1–9,15
429
2. I RAPPORTI TRA LA SEZIONE A E LA SEZIONE B I rapporti più stretti sono quelli che uniscono l’ultima sequenza della prima sezione (A3) e la sequenza centrale della seconda sezione (B4). I legami tra la fine di A e il centro di B (A3 e B4) – Vi si denunciano i «delitti» di Israele, «tre e quattro» in 2,6, «numerosi» in 5,12. – Questi crimini vengono commessi contro «i miseri» (dāl: 2,7 e 5,11), contro «l’innocente e l’indigente» (ṣaddîq e ’ebyôn): questa coppia ricorre all’inizio della denuncia del peccato nella sequenza A3 (2,6) e alla fine della parte accusatoria nella sequenza B4 (5,12). Queste parole non ricorrono altrove nella sezione A; nella sezione B «miseri» in parallelo con «poveri» ricorre solo nella sequenza B2 (4,1)3. – Un medesimo verbo è usato per designare l’ingiustizia commessa: «il cammino dei poveri distorcono» (2,7), «gli indigenti alla porta sviano» (5,12). Questo verbo (ripreso in 2,8) non compare altrove in tutto il libro. – Oltre a queste riprese lessicali, solo in queste due sequenze il peccato di ingiustizia sociale è connesso con la pratica di un culto pervertito: l’inizio della sequenza A3 è costruito su questa articolazione (2,6-8)4; nella B4 sono soprattutto i passi simmetrici 5,4-6 e 14-15 a manifestare questa relazione5. – Infine, i centri delle due sequenze si corrispondono: al centro di A3 Israele è accusato di avere fatto tacere i profeti inviati dal Signore (2,11-12); e similmente, al centro di B4, si legge: «odiano alla porta il censore, e chi parla con integrità aborriscono» (5,10)6. Altri rapporti Oltre alle relazioni privilegiate tra la fine della sezione A e il centro della sezione B, si può notare questo: nella prima sezione «il fuoco che divora» colpisce tutte le nazioni (A1) ed anche Giuda (A2), ma non Israele (A3); ebbene, questo fuoco divorante in B4 è presentato come una minaccia proprio contro Israele: «Cercate il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà, e nessuno che lo spenga a Betel» (5,6). Si noti però la differenza tra A1–A2 e B4: mentre il fuoco divora «i palazzi» di Ben-Adad a Damasco (1,4), quelli di Gaza (1,7), di Tiro (1,10), di Teman e di Bosra in Edom (1,12), di Rabba dei Figli di Ammon (1,14), di Keriot in Moab (2,2), di Gerusalemme in Giuda (2,5), per quanto riguarda Israele («Giacobbe»), non sono i palazzi del sovrano che saranno preda delle fiamme, ma il tempio di 3 4
6). 5 6
Nella sezione C ricorre in 8,4. Cfr. p. 88-93, 102-106. Si ricordi che bêt ’ĕlōhêhem (A3: 2,8) fa allusione a Betel (B4: 5,4Cfr. p. 199-203. Si ritroverà questo nesso anche in C3 (8,4-6 e 8,14). Questo corrisponde al passo centrale della sequenza C2 (7,10ss).
430
Il libro del profeta Amos
Betel, la stessa casa di Dio che sarà distrutta da un fuoco inestinguibile (5,6). — Più importante ancora è il fatto che, mentre nella sezione A si annuncia la distruzione dei «palazzi» delle nazioni straniere e di Gerusalemme (1,4.7.10.13. 14; 2,2.5), nella sezione B vengono costantemente attaccati quelli di Samaria (3,9.10.11; 6,8). 3. I RAPPORTI TRA LA SEZIONE B E LA SEZIONE C Le ultime due sezioni sono legate soprattutto dai rapporti della sequenza centrale della seconda sezione (B4) con la sequenza centrale della terza sezione (C3), da una parte, e con l’ultima sequenza (C5), dall’altra. I legami tra le sequenze centrali (B4 e C3) – Le due sequenze iniziano con lo stesso imperativo: «Udite» in 5,1 e 8,4, che quindi funge da termine iniziale7. – Il tema della ricerca: in B4, espressa con drš, la ricerca ha per oggetto il Signore e il bene, e ha come finalità la vita (5,4 e 5,6.14); nella sequenza C3, espressa con la radice bqš, ha per oggetto la parola del Signore (8,11-12). Mentre in B4 si invita Israele a cercare il Signore, in C3 invece tale ricerca sarà frustrata, non conseguirà il suo fine: «non la troveranno» (8,12). – «Bersabea» è nominata solo in queste due sequenze (5,5 e 8,14), e sempre insieme ad altri santuari: Betel e Galgala in B4, Dan in C3. – Nella sequenza B4 il delitto di Israele viene commesso a danno dei «miseri» (5,11) e degli «indigenti» (5,12); lo stesso avviene in C3 (8,6)8. – «Grano» di 5,11 in B4 è ripreso due volte in C3 (8,5.6), ogni volta in connessione con lo sfruttamento dei poveri. – La parola «lutto», usata una volta in B4 (5,16), ricorre in C3 due volte come sostantivo (8,10) e una terza volta sotto forma verbale (8,8)9; riti funebri inoltre sono descritti nelle due sequenze (5,16-17 e 8,10). – «Lamentazione» (qînâ) è usato solo in queste due sequenze (5,1 e 8,10). – «Cadere» + «non rialzarsi» fungono da termini estremi (5,1 e 8,14). – Anche se il referente non è identico, la parola betûlâ («vergine», in 5,1 e 8,13) è utilizzata solo in queste due sequenze. – «Giorno» ricorre in 5,8 e in 8,9, ogni volta collegato all’azione cosmica di Dio che cambia la luce in tenebre. – «Mutare» (hpk) è ripreso in 8,10 e in 5,7.8.
7
Siccome nella sezione C questo imperativo viene utilizzato solo qui, alcuni commentatori ritengono che la pericope 8,4-14 non sia al suo posto. 8 Si noti l’alternanza di singolare e plurale: in B4 «misero» e «indigneti» (5,11.12), in C3 «miseri» e «indigente» (8,6). 9 Parole della stessa radice ricorrono però altrove, sotto forma verbale in 1,2 e 9,5.
L’insieme del libro: 1,1–9,15
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SEQUENZA B4 (5,1-17) 1
UDITE questa parola che io porto contro di voi, una lamentazione, Casa d’Israele! 2 È caduta, non potrà rialzarsi, la VERGINE Israele; è stata buttata sul suo suolo, e nessuno che la rialzi. 3 Poiché così dice il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento, e quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci, per la Casa d’Israele. 4 Poiché così dice il Signore alla casa d’Israele: CERCATE me e vivrete! 5 E non cercate Betel, e a Galgala non venite, e a BERSABEA non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato, e Betel si ridurrà a niente. 6 CERCATE il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà, e nessuno che lo spenga a Betel! Essi che mutano in assenzio il diritto, e la giustizia a terra gettano. 8 Lui che fa le Pleiadi e Orione, lui che muta in mattino l’ombra, e il giorno in notte ottenebra; lui che chiama le acque del mare, e le spande sulla faccia della terra, il Signore è il suo nome; 9 lui che scatena la rovina sul forte, e la rovina sulla cittadella viene. 10 Odiano alla porta il censore, e chi parla con integrità aborriscono. 11 Perciò, poiché schiacciate il misero prelevando da lui una imposta sul grano, avete costruito case di pietra squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino. 12 Poiché so che sono numerosi i vostri delitti ed enormi i vostri peccati. Opprimono l’innocente, accettano un compenso, e gli indigenti alla porta sviano. 13 Perciò il prudente in questo tempo tace, poiché è un tempo di male questo. 7
14
CERCATE il bene e non il male affinché viviate, e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi dite. 15 Odiate il male e amate il bene, e promuovete alla porta il diritto: forse il Signore, il Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe. 16 Perciò così dice il Signore, il Dio degli eserciti, il Signore: In tutte le piazze ci sarà gemito, e in tutte le strade diranno: Ahi! ahi!, e chiameranno il contadino al lutto, e al gemito chi conosce la nenia, 17 e in tutte le vigne ci saranno gemiti, poiché io passerò in mezzo a te, dice il Signore.
SEQUENZA C3 (8,4-14) 4
UDITE questo, voi che calpestate l’indigente e annientate i poveri della terra 5 dicendo: “Quando passerà la luna nuova e così smerciamo il frumento, e il sabato e così apriamo il sacco di grano, e rimpiccioliamo lo staio e ingrandiamo il siclo e falsiamo le bilance ingannevoli, 6 per comperare con denaro i miseri e l’indigente per questione di sandali; ed anche lo scarto del grano smerceremo”. 7 Il Signore lo giura per l’orgoglio di Giacobbe: Mai dimenticherò tutte le vostre azioni. 8
A causa di questo non si agiterà la terra e sarà in lutto ogni abitante in essa, e salirà come fiume tutta quanta, e si muoverà e si abbasserà come il fiume di Egitto? 9
E sarà, in quel giorno, oracolo del Signore Dio, farò tramontare il sole a mezzogiorno e ottenebrerò la terra in pieno giorno, 10 e muterò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamentazione, e farò salire su tutti i vostri reni il sacco e su ogni testa la rasatura, e l’imporrò come il lutto di un figlio unico, e il suo seguito come un giorno di amarezza. 11 Ecco venire dei giorni, oracolo del Signore Dio: invierò la fame sulla terra, non fame di pane e non sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore. 12 Ed erreranno da mare a mare, e da Settentrione all’Oriente vagheranno, per CERCARE la parola del Signore e non la troveranno. 13 In quel giorno languiranno le belle VERGINI e i giovani di sete, 14 quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: “Viva il tuo dio, Dan!” e “Viva il cammino di BERSABEA!” e cadranno e non si rialzeranno più.
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Il libro del profeta Amos
I legami tra il centro di B e la fine di C (B4 e C5) Oltre alle corrispondenze tra le sequenze centrali della seconda e della terza sezione, si devono notare i rapporti tra l’ultima sequenza del libro (C5) e la sequenza centrale della sezione centrale (B4). – Termini iniziali Alla constatazione dell’inizio di B4 (5,1: «È caduta e non potrà rialzarsi la vergine Israele») si oppone la promessa dell’inizio di C5 (9,11: «in quel giorno rialzerò la capanna di Davide che era caduta»). – Termini estremi La parola «suolo» è ripresa all’inizio di B4 (5,2) e due volte alla fine di C5 (9,15). – Termini centrali Mentre nel secondo versante del passo centrale di B4 il Signore prediceva: «avete costruito case di pietra squadrata, ma non vi abiterete» (5,11) e «avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino» (5,11), nel secondo versante del passo centrale di C5 il Signore promette: «E costruiranno le città devastate e le abiteranno» (9,14) e «pianteranno vigne e berranno il loro vino» (9,14). – Termini finali Le due sequenze terminano con un pronome suffisso di seconda persona singolare: «passerò in mezzo a te, dice il Signore» (5,17) e «dice il Signore tuo Dio» (9,15); questo fatto è ancor più rilevante, se si considera che questi sono gli unici casi nelle due sequenze in cui ci si rivolge a Israele utilizzando il «tu»10. – Dal centro alle estremità: Mentre nel passo centrale di B4 il Signore è descritto come colui «che scatena la rovina sul forte, e la rovina sulla cittadella viene» (5,9), all’inizio di C5 egli promette: «riparerò le loro crepe e le sue macerie rialzerò, e la costruirò come ai giorni di un tempo» (9,11); ma ciò che ricostruirà non sarà una fortezza o una cittadella, ma una «capanna». – D’altro canto: – sono le uniche sequenze in cui si parla di «contadino» (B4: 5,16), e di «aratore» e «mietitore» (C5: 9,13); – mentre in B4 il Signore annuncia la deportazione: «perché Galgala di sicuro sarà deportato e Betel si ridurrà a niente» (5,5), alla fine di C5 promette che «non saranno più strappati da sopra il loro suolo» (9,15). 10
In altre tre occasioni gli oracoli sono rivolti a Israele alla seconda persona singolare: in B2 (3,11), alla fine di B3 (4,12) e al centro di B5 (5,23).
L’insieme del libro: 1,1–9,15
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SEQUENZA B4 (5,1-17) 1
Udite questa parola che io porto contro di voi, una lamentazione, Casa d’Israele! 2 È CADUTA E NON POTRÀ RIALZAR-SI, la vergine Israele; è stata buttata sul suo suolo, e NESSUNO CHE LA 3 RIALZI. Poiché così dice il Signore Dio: la città che faceva uscire mille resterà con cento, e quella che faceva uscire cento resterà con dieci, per la Casa d’Israele. 4 Poiché così dice il Signore alla casa d’Israele: Cercate me e vivrete! 5 E non cercate Betel, e a Galgala non venite, e a Bersabea non passate, perché Galgala di sicuro sarà deportato, e Betel si ridurrà a niente. 6 Cercate il Signore e vivrete, altrimenti piomberà come fuoco sulla casa di Giuseppe e la divorerà, e nessuno che lo spenga a Betel! Essi che mutano in assenzio il diritto, e la giustizia a terra gettano. 8 Lui che fa le Pleiadi e Orione, lui che muta in mattino l’ombra, e il giorno in notte ottenebra; lui che chiama le acque del mare e le spande sulla faccia della terra, il Signore è il suo nome; 9 lui che scatena la rovina sul forte, e la rovina sulla cittadella viene. 10 Odiano alla porta il censore e chi parla con integrità aborriscono. 11 Perciò, poiché shiacciate il misero prelevando da lui una imposta sul grano, avete costruito case di pietra squadrata, ma non vi abiterete; avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino. 12 Poiché so che sono numerosi i vostri delitti ed enormi i vostri peccati. Opprimono l’innocente, accettano un compenso, e gli innocenti alla porta sviano. 13 Perciò il prudente in questo tempo tace, poiché è un tempo di male questo. 7
14
Cercate il bene e non il male affinché viviate, e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi dite. 15 Odiate il male e amate il bene, e promuovete alla porta il diritto: forse il Signore, il Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe. 16 Perciò così dice il Signore, il Dio degli eserciti, il Signore: In tutte le piazze ci sarà gemito, e in tutte le strade diranno: Ahi! ahi!, e chiameranno il contadino al cordoglio e al gemito chi conosce la nenia, 17 e in tutte le vigne ci saranno gemiti, poiché io passerò in mezzo a TE, dice il Signore.
SEQUENZA C5 (9,11-15) 11
In quel giorno RIALZERÒ la capanna di Davide che era CADUTA, e riparerò le loro crepe, e le sue macerie rialzerò, e la costruirò come ai giorni di un tempo, 12 affinché posseggano il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è pronunciato il mio nome. Oracolo del Signore, che fa questo. 13
Ecco venire dei giorni, oracolo del Signore, e si avvicinerà l’aratore al mietitore e il pigiatore di uva a chi getta la semente; e sprizzano le montagne il mosto e tutte le colline ondeggiano. 14 E cambierò le sorti del mio popolo Israele. E costruiranno le città devastate e le abiteranno e pianteranno vigne e berranno il loro vino, e faranno giardini e mangeranno i loro frutti. 15
E li pianterò sopra il loro suolo, e non saranno più strappati da sopra il loro suolo che ho dato loro, dice il Signore TUO Dio.
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Il libro del profeta Amos
4. I RAPPORTI TRA LA SEZIONE A E LA SEZIONE C Formalmente le due sezioni iniziano con dei passi chiaramente paralleli tra loro e che sono raggruppati a due a due: da una parte, gli oracoli contro Damasco e Gaza, Tiro ed Edom, Ammon e Moab (A1); e dall’altra, nell’ultima sezione, una prima coppia di visioni (le cavallette e la siccità: C1), seguita dalla coppia di visioni che racchiudono l’incidente di Betel (C2). Dal punto di vista contenutistico si può dire che la prima sequenza della sezione A è positiva, dal momento che i primi sei oracoli sono pronunciati contro delle nazioni straniere, cosa di cui Israele non può che rallegrarsi; ugualmente, anche la prima sequenza della sezione C è positiva, poiché il Signore rinuncia ai castighi che aveva progettato di infliggere al suo popolo. Ma, sempre nelle due sezioni, questi inizi positivi lasciano ben presto il posto ad annunci negativi: Israele è condannato come tutte le altre nazioni (A3), le visioni della spada e della fine fanno presagire una punizione radicale per Israele (C2). I rapporti più accentuati comunque riguardano specialmente la fine della sezione A e il centro della sezione C, nonché le unità estreme del libro, le sequenze A1 e C5. I legami tra la fine di A e il centro di C (A3 e C3) Si noti la ripresa di espressioni simili nella denuncia dei reati di ingiustizia, all’inizio delle due sequenze: – A3:«essi che calpestano sulla polvere della terra la testa dei miseri» (2,7) – C3: «voi che calpestate l’indigente» (8,4) • A3: «perché vendono per denaro l’innocente E L’INDIGENTE PER UNA QUESTIONE DI SANDALI» • C3: «per comperare con denaro i miseri E L’INDIGENTE PER UNA QUESTIONE DI SANDALI»
(2,6) (8,6)
I legami tra le sequenze estreme (A1 e C5) Alla fine del libro il Signore promette di ricostruire il regno di Davide (9,11), «affinché posseggano il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è pronunciato il mio nome» (9,12). La prima sequenza del libro (A1) riuniva gli oracoli contro le sei nazioni limitrofe di Israele, le quali si erano rese colpevoli di crimini per lo più contro Israele11. Fra queste nazioni, Edom, nominato quattro volte (1,6.9.11; 2,1), aveva un ruolo di primo piano. Non si sono certo mostrati, in modo esaustivo, tutti i rapporti esistenti fra le varie unità letterarie del libro. Si è voluto solo evidenzare l’architettura del libro indicandone le linee di forza, quelle che si basano sugli elementi portanti, i centri 11
Cfr. p. 77-78.
L’insieme del libro: 1,1–9,15
435
cioè e le unità estreme delle sezioni. L’immagine che evoca il nostro intento è quella del ponte che riceve coesione sia dai piloni che poggiano sul terreno, sia dalle arcate che, collegando i diversi pilastri, consentono il passaggio da una riva all’altra.
2. INTERPRETAZIONE LA GIUSTIZIA QUALE SINTESI DEL MESSAGGIO DI AMOS Dopo avere interpretato il testo di Amos nelle sue parti costitutive, nei singoli passi, sequenze e sezioni, è necessario fornire una lettura d’insieme del libro, quale sintesi del suo messaggio profetico. Né la forma finale dello scritto articolato in tre sezioni, né i precisi legami tra le diverse unità letterarie rilevati nelle pagine precedenti costituiscono la base adeguata per l’atto interpretativo, che viene ora richiesto. In effetti, se i molteplici rapporti lessicali e tematici intercorrenti tra i passi e le sequenze strategicamente importanti mostrano la chiara intenzione del redattore di dare coesione alla sua produzione letteraria, nondimeno l’unità del libro non si limita a qualche ricorso di natura retorica, ma si esprime piuttosto nella coerenza strutturale del pensiero. D’altra parte, la distribuzione del materiale in tre grandi sezioni non significa per nulla che ad ognuna di esse sia affidata solo una parte limitata del messaggio profetico, così che la sintesi risulterebbe dalla congiunzione di aspetti separatamente trattati dal profeta; né si deve postulare una sorta di sviluppo, in crescendo, dalla prima all’ultima pagina di Amos. Insoddisfatti dalla forma attuale del libro che non risponde alla logica del moderno mondo occidentale reputata indispensabile per ogni comunicazione sensata, alcuni commentatori hanno tentato di ricostruire una genesi e una dinamica della parola profetica, suggerendo un ordine diverso nella lettura dei capitoli, e proponendo quindi un’organizzazione degli oracoli più consona alla storia e alla psicologia di Amos e dei suoi destinatari. Questo genere di ricostruzione, oltre a essere metodologicamente problematico, urta contro un fatto facilmente verificabile: in ogni sezione, anzi quasi in ogni pagina, il profeta denuncia sostanzialmente gli stessi crimini e annuncia la stessa punizione capitale. Nonostante la varietà dei generi letterari, delle figure retoriche e degli accorgimenti stilistici, la parola del profeta di Tekoa ribadisce continuamente i medesimi concetti. Il fenomeno della ripetizione deve infatti essere considerato un tratto tipico del libro di Amos. Non solo egli ama iniziare in modo identico i suoi oracoli, creando delle serie omogenee («Così dice il Signore: per tre delitti [...]», «Ascoltate[...]», «Guai a [...]», «Così mi fece vedere il Signore [...]», ecc.), non solo riprende, da una sequenza e anche da una sezione all’altra, locuzioni o generi letterari tipici12, ma soprattutto parla in realtà di un solo argomento, 12
Basti pensare ai cosiddetti frammenti innici, oltre a tutte le ripetizioni messe in evidenza nella composizione di ogni sezione e in quella dell’intero libro.
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quello della giustizia. Prendendo un paragone dal mondo della pittura, si potrebbe dire che Amos, nelle tre sezioni e quindici sequenze che compongono la sua opera, ha rappresentato lo stesso soggetto, anche se le figure e il tono cromatico variano sensibilmente da un quadro all’altro. Non c’è commentario o studio su Amos che non rilevi come la tematica della giustizia sia fondamentale nel messaggio di questo profeta. Non di rado però essa viene presentata accanto ad altri soggetti — quali la vocazione profetica, la critica al culto, il concetto di elezione, le cosiddette dossologie, ecc. — come se si trattasse di un tema fra tanti. La giustapposizione di tali motivi teologici, senza un preciso ordine, senza un’organica strutturazione rivela quanto sia difficile, per ogni commentatore, fornire una sintesi del messaggio di Amos; e al contempo testimonia una concezione dell’opera letteraria antica, ben radicata nell’esegesi moderna, che considera frammentario e sconnesso il prodotto sottoposto a esame interpretativo. Poiché l’intento del nostro commentario è stato quello di mostrare come il libro di Amos obbedisca a una precisa organizzazione, fondata su elementi di natura retorica, ne deriva il tentativo di mostrare come alla coerenza letteraria corrisponda anche un’analoga coerenza tematica. Le modalità di composizione di uno scritto biblico non assomigliano a quelle abitualmente in corso nelle produzioni moderne; e anche il modo di trattare e sviluppare un argomento è del tutto dissimile. L’interprete, dopo avere seguito passo per passo il movimento imposto dal testo, ha il compito finale di tradurre nella forma logica e sistematica della cultura in cui vive il senso globale dello scritto antico. Il presente tentativo di sintesi si basa evidentemente sulle interpretazioni proposte nel corso dell’opera; in particolare, il commento conclusivo di ognuna delle tre sezioni costituisce già una prima modalità di presentazione organica del messaggio di Amos. L’aspetto dimostrativo, che poteva dispiegarsi nel commento delle unità minori, non può essere riprodotto in questa sede. Sarebbe infatti necessario moltiplicare le citazioni e rinviare costantemente al commento esegetico dei singoli passi. Onde evitare che il discorso diventi o appaia puramente speculativo, si richiameranno solo quelle espressioni e quei motivi che ricorrono spesso nel libro o che sono particolarmente suggestivi; d’altra parte si darà speciale valore ai testi che per la loro posizione nevralgica articolano le sequenze e le sezioni tra loro; infine si prenderà come traccia l’oracolo contro Israele di Amos 2,6-16: in questa sequenza infatti sono contenuti, come in germe, tutti gli elementi che verranno presentati in successione nelle pagine di questa nostra sintesi. I diversi oracoli di Amos, come appunto 2,6-16, presentano quasi sempre una semplice struttura bipartita: alla denuncia del crimine commesso fa seguito l’annuncio della sanzione punitiva. Questa medesima bipartizione comanderà anche l’esposizione che seguirà. Il delitto (di Israele) viene denominato in vari modi e descritto con sfumature e accenti specifici; si può però affermare che il profeta censuri la pratica dell’ingiustizia eretta a sistema di vita. L’oggetto della prima parte sarà il mostrare la pertinenza di questa asserzione. La punizione
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divina è la conseguenza del crimine perpetrato (dalla Casa d’Israele); attraverso la sanzione Dio ristabilisce il diritto sulla terra, fa opera di giustizia. La seconda parte illustrerà le caratteristiche del giudizio operato dal Signore e il suo rapporto con la teologia profetica della storia. LA DENUNCIA DELL’INGIUSTIZIA DI ISRAELE Le «parole di Amos», che contengono anche le sue visioni (1,1), sono indirizzate fondamentalmente al regno di Israele, la cui capitale è Samaria. Le altre nazioni e lo stesso regno di Giuda, destinatari degli oracoli specifici nella prima sezione del libro, sono introdotti solo subordinatamente, con l’intenzione di fare risaltare, per contrasto, il crimine del regno del nord. Questo crimine (come d’altra parte quello dei popoli circostanti) si presenta come molteplice: «Per tre crimini di Israele e per quattro non rivocherò il mio decreto» (2,6). Una simile molteplicità (3,9; 4,4; 5,12) deve essere intesa secondo due aspetti, tra loro complementari, che rendono il peccato gravissimo, meritevole di una sanzione irrevocabile. In primo luogo, si tratta del medesimo comportamento iniquo ripetuto nel tempo, senza che intervengano sentimenti di pentimento, senza che venga avviato un cammino di conversione (cfr. il ritornello di 4,6ss: «e non siete tornati da me»). Come le nazioni limitrofe moltiplicano il medesimo gesto di violenza bellica contro i loro vicini, così i membri del popolo di Samaria continuano a praticare l’ingiustizia nei confronti dei loro stessi concittadini. A differenza di altri profeti che accusano Israele di trasgredire tutti i comandamenti fondamentali della legge, Amos denuncia un solo «tipo» di male, l’ingiustizia verso i più deboli; ciò non diminuisce la colpevolezza dell’atto compiuto, ma al contrario la accresce, perché sottolinea l’aggravante della recidività e dell’inguaribile pervicacia. Ma — e qui abbiamo il secondo aspetto della molteplicità sopra evocata — il crimine di Israele è per così dire composito. Per gli Aramei, i Filistei e via via per tutte le altre nazioni, Amos denuncia una sola azione: «hanno trebbiato con erpici di ferro Galaad» (1,3), «hanno deportato intere popolazioni» (1,6), ecc.; per Israele invece il delitto si scompone in una serie di gesti che costituiscono una concatenata progressione di aggravanti: «vendono l’innocente [...] calpestano i miseri [...] distorcono il cammino dei poveri [...] vanno dalla ragazza [...] si sdraiano [...] bevono il vino dei multati nella casa del loro dio» (2,6-8). Rivolgendosi a Israele, il profeta denuncia la logica perversa che tende a mascherare il crimine, a giustificarlo, anzi a celebrarlo. La forma letteraria con cui si esprime Amos ricalca perfettamente il contenuto essenziale del suo discorso: da una parte, mediante insistiti meccanismi ripetitivi (avvalendosi cioè delle medesime parole, espressioni e formule), il profeta tende a dire che il delitto è sempre lo stesso; dall’altra, servendosi abilmente del fenomeno della diffrazione, presenta lo spettro completo dell’ingiustizia di Israele, composto da settori con toni diversi e colori complementari. Partendo dall’oppressione esercitata nell’ambito economico, e passando attraverso le sue
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componenti giurisdizionali, politiche e religiose, egli giunge fino al culmine del peccato, che è il rifiuto della parola profetica. L’oppressione dei poveri Il punto di partenza della denuncia di Amos si situa nel mondo dell’economia, che ha nel denaro il suo emblema principale: «vendono l’innocente per denaro, il povero per una questione di sandali» (2,6). Il profeta constata lo sfruttamento dei poveri, di coloro che non possono difendersi e quindi sono vittime innocenti del sopruso (2,6-7; 3,9; 4,1; 5,11-12; 8,4-6). Le transazioni commerciali sembrano essere uno degli strumenti privilegiati dell’oppressione, specialmente quando si comperano o vendono generi di prima necessità, come il grano o i sandali; l’asservimento delle persone insolventi è la conclusione inaccettabile di un modo di procedere iniquo. Amos non si sofferma a descrivere la miseria dei poveri; accenna solo sobriamente alla loro condizione di vittime, calpestate senza pietà (2,7; 8,4). Al contrario, tratteggia a più riprese il benessere dei ricchi, il loro regime di vita lussuoso, che si compiace della qualità delle costruzioni abitative — palazzi (3,9-11; 6,8), case d’estate e case d’inverno (3,15), case d’avorio (3,15), case in pietra squadrata (5,11), case grandi (6,11) — e nel loro raffinato stile di vita: essi mangiano vitelli grassi, bevono vino squisito in larghe coppe, si ungono con profumi preziosi, si divertono al suono delle arpe (6,4-6). Tale esibizione di ricchezza non suscita per nulla l’ammirazione del profeta; egli vi scorge infatti il frutto dell’estorsione e della violenza (3,10): «si sdraiano su vestiti presi in prestito e bevono il vino dei multati» (2,8). Particolarmente odioso gli appare il fatto che i ricchi celebrino la loro ricchezza come un trionfo: «fate venire e beviamo», dicono le vacche di Basan, dopo avere oppresso gli indigenti e schiacciato i miseri (4,1). Se, per il profeta, nell’abbondanza dei beni economici trapela la violenza nei confronti dei poveri, è chiaro che egli preannunci, quale atto di ristabilimento della giustizia, la sparizione dei segni di ricchezza, e cioè la devastazione dei palazzi (3,11.15; 5,9; 6,11), la siccità e la carestia (1,2; 4,6-8; 5,17; 8,11-13), la perdita stessa della terra (4,3; 5,11.27; 6,7); l’asservimento da parte di una nazione più forte (4,2-3; 6,14) sarà il destino di chi ha ridotto in schiavitù il più debole. Lo stravolgimento del giudizio In stretta connessione con quanto detto in precedenza e quasi all’articolazione tra ambito economico e ambito politico (di cui parleremo subito dopo), vi è un’ulteriore manifestazione dell’ingiustizia che la rende più grave, perché la «giustifica» e la rende costume: si tratta dell’ingiustizia perpetrata nell’atto stesso del giudizio.
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«Distorcono il cammino dei poveri» (2,7): gli stessi che hanno venduto l’innocente per denaro, alterano le procedure giuridiche così da risultare incensurabili nella loro condotta. Le vittime del sopruso, calpestate dall’arrogante comportamento dei potenti (2,7a), intraprendono un cammino di rivendicazione del loro diritto conculcato: i poveri vengono alla «porta», cioè al tribunale, che è per definizione la sede del ristabilimento della giustizia; ma invece di ottenere comprensione trovano «odio» (5,10), la loro voce viene fatta tacere (5,13), perché il giudice dà ragione a chi offre un compenso pecuniario (5,12). Poiché il tribunale è corrotto, il giudizio è stravolto: diventa così opinione comune il considerare il diritto un prodotto amaro e velenoso, diventa una pratica abituale il lasciare cadere ogni promozione della giustizia (5,7; 6,12). Lo stravolgimento dei valori, dice Amos, produrrà lo stravolgimento del cosmo (5,7-8); se la terra non è il regno della giustizia, subirà una totale catastrofe che la sconvolgerà fin nelle sue fondamenta (8,8; 9,5). L’impero della violenza Non è facile individuare con precisione i destinatari delle minacce di Amos. Si tratta certamente di un gruppo di agiati benestanti, in opposizione alla povera gente sfruttata; ma è probabilmente inesatto pensare a una sorta di borghesia samaritana, che avrebbe raggiunto la prosperità mediante abili operazioni commerciali. Sembra più giusto ritenere che questi ricchi siano da identificarsi con la stessa classe dominante, con coloro che esercitano l’autorità politica, amministrativa e giurisdizionale nel regno di Israele; e ciò inteso in senso ampio, comprendendo cioè anche coloro che, essendo membri della «famiglia» o ad essa associati come «clienti» e amici, beneficiano della protezione istituzionale del sovrano e della sua corte. Le «vacche di Basan» (4,1) possono essere considerate un emblema di questa realtà: se con tale titolo sono designati gli stessi principi di Samaria, avremmo una chiara identificazione del ricco sfruttatore con il governante; se il profeta fa invece riferimento alle mogli dei capi di Samaria, verrebbe in tal caso rappresentata l’alleanza tra il «signore» e i suoi congiunti e complici, che insieme schiacciano i poveri e insieme godono dei vantaggi della loro violenza. Il sovrano, secondo l’ideologia comune a tutto l’antico Vicino Oriente, dovrebbe usare tutto il suo potere per porre un freno alla prepotenza dei più forti e fare giustizia ai miseri e ai poveri (Sal 72,4). Ora, poiché questo non avviene nel regno di Samaria, è ragionevole pensare che la «famiglia» di Geroboamo fosse la prima a essere presa di mira dalla parola profetica. Ciò traspare chiaramente nell’ultima sezione (7,9-11), che svela finalmente il nome del responsabile principale di tutta l’ingiustizia commessa in Israele. Il re quindi non solo non difende il povero, ma è anzi il primo sfruttatore e beneficiario dell’ingiustizia. «Un uomo e suo padre vanno dalla ragazza» (2,7): questa frase enigmatica, che fa parte dell’elenco delle accuse nel primo oracolo contro Israele, sembra
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evocare il fatto che la violenza, invece di essere impedita da colui che dispone dell’autorità (il «padre»), è al contrario da lui praticata in combutta con chiunque abbia voglia e potere di imporsi sul più debole. Una connivenza attiva e ripugnante, che avviene, per esempio, nel controllo del commercio dei cereali, generi di prima necessità per tutta la popolazione, specie in caso di carestia; l’autorità politica e amministrativa, fissando i quantitativi e i prezzi delle merci, esercita il potere per immiserire la gente e ridurla in servitù (8,4-6). È possibile allora affermare che nel regno di Israele l’ingiustizia che si dispiega nell’ambito economico era difesa, protetta, anzi istituzionalizzata dall’autorità politica. Il rapporto tra economia e politica è d’altra parte suggerito dall’uso frequente della parola «palazzo». Nella prima sezione Amos con questo termine indica chiaramente la sede del potere politico delle nazioni confinanti con Israele; infatti la parola è collegata ai nomi delle capitali dei vari stati e talvolta è esplicitamente in parallelo con i titoli («re» e «principi») che definiscono la corte (1,4.7.14; 2,2). Nella seconda sezione i palazzi di Samaria designano, da una parte, il luogo dove si perpetra l’arricchimento ingiusto e si conservano i frutti della rapina (3,9), dall’altra, il centro dove si decide un’orgogliosa politica di conquista (6,8). Per gli Aramei, i Filistei e tutti gli altri popoli l’azione politica equivale a fare la guerra, a depredare, fare schiavi, portare la morte; non diversa appare la condotta dei governanti di Israele. Il profeta denuncia che il regno di Geroboamo pretende di essere la prima delle nazioni (6,1): la superiorità sugli altri, in campo economico, richiedeva un sistematico spogliamento dei cittadini, che consentisse di mostrare agli ambasciatori egiziani o filistei la ricchezza e la forza del regno (3,9); politicamente, il primato sugli altri imponeva campagne militari di conquista, che costituiscono una prova di forza (6,13) se sortiscono l’effetto di accrescere il territorio nazionale, di estendere il dominio dei sovrani (6,2). L’orgoglio, di cui il palazzo è il simbolo, è la matrice dell’esercizio violento della forza; l’orgoglio istituzionalizzato in un regno crea l’impero della violenza (6,3). Per questa ragione il profeta annuncia, come sanzione, la distruzione dei palazzi (6,11), la morte del re (7,9.11) e l’umiliazione dell’esilio (4,2-3; 5,27; 6,7; 7,9.11), cioè la perdita di ogni potere sul paese di Israele. La perversione religiosa Uno dei principali motivi teologici del libro di Amos, come notano tutti i commentatori, è la polemica contro i santuari, in particolare quello di Betel, e contro le attività cultuali che ivi si svolgono. L’importanza di questo tema e la sua connessione con la problematica della giustizia sono evidenziati in modo preciso dall’analisi retorica: nella seconda e nella terza sezione la sequenza centrale è consacrata alla denuncia dell’ingiustizia (B4: 5,1-17; C3: 8,4-14), mentre le sequenze contigue toccano la questione del culto e dei luoghi sacri (B3: 4,4-13 e B5: 5,18-27; C2: 7,7–8,3 e C4: 9,1-10). Anche nella prima sezione, nella sequenza concernente Israele, ingiustizia e culto sono intimamente
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connessi nella denuncia profetica: «si sdraiano su vestiti presi in pegno presso ogni altare, e bevono vino della gente tassata nella casa del loro dio» (con probabile allusione a Betel) (2,8). Non si tratta della critica a un culto contaminato dall’idolatria13 e nemmeno dell’invito a una religione di tipo spirituale, fatta di fede e non di cerimonie esteriori. Amos esprime il rifiuto da parte di YHWH nei confronti di un culto, tra l’altro sontuoso, che sostituisce una condotta retta; il rito sacro, infatti, invece di significare la conversione, di stimolarla e sostenerla, diventa il luogo che «consacra» l’ingiustizia. Consente uno sdoppiamento della coscienza, così che sia possibile «amare» i sacrifici in onore del Signore (4,5) e «odiare» chi parla con integrità e in conformità al diritto (5,10). Moltiplicare le cerimonie religiose equivale allora a perseverare nel moltiplicare gli atti di sopruso e di iniquità (4,4; 5,4-6). Anche in questo caso dunque il profeta desidera la giustizia e denuncia gli atti perversi che vi si oppongono. Il luogo e il tempo sacro — il santuario e il «giorno del Signore» (5,18-20) — nella tradizione teologica di Israele vengono concepiti come un rifugio che protegge contro ogni forma di nemico, apportando salvezza e vita. Tale ideologia non è errata in se stessa, al contrario dice qualcosa di profondamente conforme alla natura di Dio e al suo impegno di alleanza con Israele. È la sua strumentalizzazione a essere perversa; gli Israeliti infatti si servono di Dio e della sua azione nella storia per perseverare nel male. Il Signore manda delle piaghe, come la carestia e la siccità, la distruzione dei raccolti, la peste e la guerra dagli esiti disastrosi, perché attende la conversione (4,6-11), cioè l’abbandono delle pratiche di violenza; il popolo invece si precipita al santuario e moltiplica con estrema sollecitudine le cerimonie cultuali, in attesa di un favore divino, che, se fosse accordato, equivarrebbe all’approvazione dell’iniquo comportamento degli oranti. È dunque la teologia del tempio a essere distorta fino a diventare copertura e protezione del male. Anzi, il nome stesso di YHWH è usato in modo perverso. Nel santuario l’azione sacrificale è accompagnata dal canto degli inni sacri, che esaltano il Dio creatore, signore del cosmo, che «convoca le acque del mare per riversarle sulla faccia della terra» (5,8; 9,6) ponendo così fine alla siccità; inni che celebrano il Signore degli eserciti (4,13; 5,8-9; 9,5-6), capace di sconfiggere ogni nemico e di difendere il suo popolo da ogni male. Israele attende la luce della teofania divina (5,18), dalla potenza del suo Signore aspetta la vita. Gli inni sacri infatti celebrano la salvezza già avvenuta nella storia di Israele. L’epopea dell’esodo, la vittoria sugli Egiziani e sugli Amorrei, di cui si fa memoria in occasione delle feste di Israele, diventa il fondamento e la garanzia della speranza per il futuro (2,9-10; 3,1; 9,7). Ora, è proprio questa ingiustificata fiducia nel Dio, «che non farà avvicinare il male» (9,10), ad essere oggetto della critica di Amos e del rifiuto da parte del Signore. YHWH dichiara che non vuole più udire i cantici (5,23; cfr. anche 8,10); e il profeta, per denunciare la stortura 13
A ciò potrebbero riferirsi 5,26 e 8,14.
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di questo genere di celebrazione, riprende le parole stesse degli inni e delle confessioni di fede di Israele, trasformandole, con ironia, in verdetti di condanna: «Solo voi ho conosciuto fra tutte le famiglie della terra; per questo vi «visiterò» per tutte le vostre colpe» (3,1); «Lui che fa le Pleiadi e Orione... scatena la rovina sul forte e la rovina viene sulla cittadella» (5,8-9); «Porrò i miei occhi su di loro per il male e non per il bene» (9,4). La punizione di Dio distruggerà il santuario stesso. Questo tema, annunciato nella sezione centrale (3,14; 5,5), diventa uno dei motivi principali dell’ultima sezione (7,9; 8,3.10; 9,1). L’uccisione del re (7,11) e, in parallelo, la morte violenta dei figli del sacerdote (7,17) costituiscono i segni della fine di Israele. Il rifiuto della parola profetica Amos presenta dunque un mondo in cui non solo si commettono numerosi atti di ingiustizia, ma in cui soprattutto la parola — anche la più autorevole e sacra — diventa strumento di giustificazione, di avallo e protezione dell’agire violento. Che si tratti dell’ideologia politica, delle sentenze emesse dai tribunali che diventano come un diritto consuetudinario, della teologia legata al santuario e alle sue cerimonie cultuali, questo insieme di parole è diametralmente opposto alla parola di YHWH. Il magistrato pronuncia un verdetto alle porte della città: il Signore rovescia la condanna in assoluzione e l’assoluzione in condanna; il re di Samaria dà ordine di iniziare un banchetto festivo: il Signore decreta il lamento funebre; il sacerdote intona un cantico di fiducia nella salvezza di YHWH: questi risponde presentandosi come distruttore. Chi conosce la parola del Signore, chi l’ha intesa e la fa sentire nella città è il profeta. È lui che svela la trappola in cui Israele rischia di cadere (3,5), è lui che fa udire la minaccia che pesa sulla città (3,6). La «necessità» profetica è evidenziata all’inizio di ognuna delle tre sezioni in cui è suddiviso il libro, quasi fosse il fondamento del messaggio successivamente proclamato: aprendo il libro, il Titolo (1,1-2) presenta appunto Amos nella sua qualità di veggente e trasmettitore del ruggito di YHWH; la sequenza introduttiva della sezione centrale (3,1-8) riprende il motivo del ruggito del leone e ribadisce che lo statuto profetico consiste nell’ascoltare e trasmettere la parola del Signore; nella terza sezione, infine, dopo avere fatto riferimento al suo ruolo di intercessore (7,1-6), il veggente giustifica la sua attività come risposta all’ordine divino di «profetizzare contro il popolo di Israele» (7,15). La parola di YHWH e le parole di Amos sono la stessa cosa; per questo ci sarà un’opposizione radicale tra il profeta e le autorità di Israele. Paradossalmente, finché questa tensione si mantiene, finché il profeta può esercitare la sua missione, finché quindi la parola di verità e di giustizia che viene da Dio risuona in Israele, c’è ancora una speranza per il futuro del popolo. «Cercate me e vivrete» (5,4), «cercate il bene e non il male così da vivere» (5,14): questo appello e questa apertura di salvezza sono posti nel cuore del libro, nella sequenza centrale, per dire che il profeta è portatore di una via di
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giustizia (il bene), rifiutando la quale si rifiutano Dio e la vita. Ora, è purtroppo questo che avviene, ed è questo che il profeta denuncia come il culmine del peccato. Il compimento dell’ingiustizia, l’atto che pone termine a ogni speranza, consiste nel fare tacere la parola profetica, nell’impedire che qualcuno si alzi per spezzare il cerchio dell’omertà imposto dal potente (5,15): «ho suscitato tra i vostri figli dei profeti… ma voi avete comandato ai profeti di non profetizzare» (2,11-12). Amos è scacciato dal territorio di Israele con il pretesto che le sue parole seminano la ribellione e distruggono il paese (7,10): «vattene, veggente, fuggi verso il paese di Giuda e mangia là il tuo pane e là profetizza, ma a Betel non continuare più a profetizzare, perché questo è il santuario del re, questa è la casa del regno» (7,12-13). L’espulsione di Amos dal regno di Israele non è — come dicono alcuni commentatori — un «incidente» nella vita del profeta; è la rivelazione del definitivo rifiuto di Dio stesso e della sua via di giustizia. La conseguenza è la fine (8,2), fine di Israele perché fine della parola di Dio al suo popolo (8,11-12). L’invito ad ascoltare (3,1.9.13; 4,1; 5,1), che, proprio perché minaccioso, poteva suscitare il timore di Dio (3,6.8) e la conversione (5,14-15), diventa semplicemente l’annuncio di un verdetto irrevocabile (7,16). La parola di YHWH tuttavia non è sconfitta dalla ribellione dell’uomo; anzi, il giusto verdetto di Dio, pronunciato dal profeta, si realizza nella storia di Israele. Questa opera di giustizia, annunciata e realizzata, costituisce il secondo versante della profezia di Amos, nel quale si rivela chi è YHWH e cosa può attendersi da Lui il «suo popolo Israele». L’ANNUNCIO DEL GIUSTO GIUDIZIO DI YHWH Le parole di Amos sono rivolte agli abitanti di Samaria e costituiscono un discorso complesso sull’ingiustizia di Israele e sulle sue perversioni; al tempo stesso le parole di Amos sono presentate come parola del Signore e sviluppano indirettamente un discorso su YHWH, sul suo modo di pensare e di agire, sulla perfezione della sua giustizia. Come per il primo versante, anche per il secondo il profeta viene talvolta a sottolineare aspetti che non mancano di sorprendere, se confrontati con le tradizioni religiose di Israele. Di YHWH Amos dice che pronuncia un giudizio capace di ristabilire la giustizia. Ora, il giudizio è anzitutto la proclamazione di un verdetto, cioè un atto di parola autorevole che commina una punizione motivandola con il riferimento esplicito al reato commesso, come per esempio: «Così dice il Signore: …perché hanno trebbiato Galaad… invierò il fuoco» (1,3-4), oppure: «non sanno agire rettamente… perciò così dice il Signore DIO: un nemico circonderà il paese» (3,10-11). La parola è autorevole perché produce quanto annuncia: «il Signore da Sion ruggisce... ed è inaridita la vetta del Carmelo» (1,2). Il verdetto emesso dal giudice in un tribunale è una parola (un dire) che comanda (9,3-4.9) agli esecutori della sentenza di applicare la punizione (un fare). Spesso però, nei testi biblici, si attribuisce al giudice stesso l’atto
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dell’esecuzione della sentenza, perché è lui il soggetto responsabile dell’insieme dell’azione penale; il Signore prende allora la parola per dire che agirà: «Perciò così farò a te, Israele» (4,12). Dio stesso interviene: il suo agire è sinonimo di punire (3,2.14), colpire (3,15; 4,9; 6,11; 9,1), sconvolgere (4,11; 5,8), uccidere (7,9.11.17; 9,1.4.19). Le caratteristiche, che qualificano l’intervento divino come giusto giudizio, diventano allora i tratti «teologici» che definiscono la natura stessa del Dio giusto; il nome del Signore si rivela infatti nell’evento storico, la sua teofania coincide con il giudizio esercitato su Israele e su tutta la terra. Attraverso la rivelazione profetica, comunicata come un segreto (3,7), il popolo di Samaria viene a conoscere chi è il suo Signore e cosa è la vera giustizia. Un verdetto equo Parlare di giudizio equivale a parlare di punizione; se il giudice è giusto, la pena sarà equa. Ai popoli circostanti viene annunciata una medesima sanzione — il fuoco distruttore (1,4 ecc.) —, a Israele invece sono comminate punizioni di varia natura. Oltre al linguaggio metaforico che parla della trappola (3,5), del leone (1,2; 3,4.8.12; 5,19), del serpente (5,19; 9,3), Amos predice infatti il terremoto (1,1; 8,8; 9,1.5), la distruzione degli edifici (3,14-15; 6,11; 7,9), la siccità, la malattia delle piante e la carestia (1,2; 4,6-9; 5,17; 7,1-6; 8,13), il diluvio (5,8; 9,6), le tenebre (5,8.18.20; 8,9), il fuoco (4,11; 5,6), la sconfitta in guerra (2,14-16; 3,11; 4,10-11; 5,3.9; 6,8), l’esilio (4,2-3; 5,5.27; 6,7; 7,11.17) e la morte (5,1-2; 6,9-10; 7,9.11.17; 8,3.10.14; 9,4). Se i castighi che si abbattono su Israele e quelli che colpiscono le nazioni non sono identici, forse ciò dipende dal fatto che i loro crimini sono diversi? O forse i reati di Israele sono di diversa natura e possono venire attribuiti a diversi colpevoli? Come abbiamo già suggerito nella prima parte, a conclusione dei singoli punti illustranti l’ingiustizia di Israele, la varietà apparentemente disparata delle sanzioni ha come funzione principale di esprimere la regola del contrappasso, impropriamente chiamata anche regola del taglione; questa afferma che è norma imprescindibile della giustizia distributiva assegnare per ogni reato una pena «proporzionata». Ora, poiché il crimine in Israele è complesso, in quanto ha diverse componenti e aggravanti, è naturale che la pena ne evidenzi tutti gli aspetti. Così, per esempio, chi si arricchisce con lo sfruttamento dei più deboli e costruisce palazzi per custodire la ricchezza accumulata, sarà depredato da un nemico più forte di lui che abbatterà i suoi forzieri (3,10-11). La pena ha palesemente un carattere rivelatorio; essa svela non solo la gravità del crimine, ma la specifica modalità attraverso cui l’ingiustizia è stata perpetrata. Una lettura contestuale permette spesso di percepire effetti di senso particolarmente vigorosi. Nella sequenza conclusiva della prima sezione il profeta descrive gli Israeliti sdraiati su vestiti presi in pegno dai poveri, mentre fanno festa nel tempio di Betel (2,8), probabilmente in occasione di una ricorrenza religiosa che ricordava l’epopea vittoriosa dell’esodo e l’annientamento degli Amorrei (2,9-
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10); a loro viene annunciata come pena la completa disfatta militare (2,14-16), dalla quale potrà scampare solo chi è nudo (2,16). Ancora un esempio, tratto dalla sequenza centrale del libro: ai giudici, che istruiscono i loro processi alle porte della città (5,7.10-12) e che — secondo l’ideologia corrente in quell’epoca — dovrebbero far brillare la luce della giustizia e della vita su Israele, il profeta proclama che YHWH farà venire le tenebre (5,8) e il tempo del lamento funebre (5,1-2.16-17). Varietà di pene, ma non varietà di delitti. Si deve notare infatti che le punizioni sono spesso combinate fra loro, e talvolta sono addirittura organizzate in una serie praticamente esaustiva (come avviene per le piaghe di 4,6-11, o per le visioni minacciose dei capitoli 7–9). Già nel titolo si fa riferimento al terremoto e alla siccità (1,2); e nell’oracolo su Israele della prima sezione, oltre alla sconfitta militare (2,14-16), si parla dello scricchiolare di un carro, con probabile allusione al terremoto (2,13). E ancora, nella sequenza centrale di tutto il libro troviamo un elenco molto ricco e diversificato di minacce: la morte (5,12.16-17) e la disfatta dell’esercito (5,3), l’esilio (5,5) con la perdita delle case e delle vigne (5,11), il fuoco (5,6), le tenebre, il diluvio e la distruzione delle roccaforti (5,8-9). Il carattere metaforico di certe punizioni appare evidente: è chiaro, ad esempio, che il leone è simbolo di un esercito invasore (3,11-12). Il fatto che Amos utilizzi e reinterpreti il linguaggio cultuale può far pensare che anche l’improvviso sopraggiungere delle tenebre e lo scatenarsi del diluvio su tutta la superficie del globo debbano intendersi come immagini cosmiche della distruzione e della morte che si abbatterà su Israele. Il terremoto e la siccità sono in se stessi eventi catastrofici, e Amos può effettivamente averli predetti come punizione del crimine di Israele; anch’essi però possono venire interpretati come figura del tracollo del regno (9,1) e dell’esaurirsi della vita sulla montagna del Carmelo (1,2). Dall’insieme delle sanzioni comminate a Israele risulta in realtà un solo concetto, quello della fine del regno di Samaria (8,2), fine prodotta da una totale disfatta in guerra, con la morte dei responsabili e di molti cittadini e il conseguente esilio dei superstiti. Tale situazione è vista come una «caduta» dalla quale non sarà più possibile riprendersi (5,2; 8,14). L’ingiustizia ha fatto crollare il regno. La morte di spada, prima per i capi e poi per tutti gli abitanti (7,9.11.17; 9,4), suggerisce l’interpretazione giuridica di una pena capitale comminata all’insieme dello stato di Israele; la pena di morte, portata a compimento persino nei confronti di chi si rifugia nel santuario, è la giusta sanzione per il crimine di ingiustizia, ripetuto, perverso, eretto a sistema di vita. Un verdetto imparziale Il giudizio di YHWH si abbatte su tutti i colpevoli. Il giudice non può fare preferenze o eccezioni, altrimenti, invece di essere equa, la sua azione di giustizia risulterebbe iniqua. Questo aspetto ha una certa rilevanza nel libro di Amos. Nella prima sezione infatti un identico formulario serve a strutturare la
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serie degli oracoli, cominciando da quello contro Damasco (1,3ss) fino a quello contro Israele: ciò significa la sostanziale somiglianza nel delitto (l’ingiustizia) e la sostanziale somiglianza nella pena (una disfatta che segna la fine dell’entità politica) per le genti e per Israele, e significa anche che tutti i popoli sono sottomessi al medesimo giudizio da parte di YHWH. Questa verità è espressa con chiarezza nell’ultima sequenza di condanna: «Non siete forse voi per me come i figli di Cush, o Figli d’Israele?», frase che propriamente non nega il valore dell’elezione, ma dichiara piuttosto la sua impertinenza in sede di procedura giudiziaria. L’imparzialità del giudizio divino è d’altra parte ribadita all’inizio della sezione centrale, quando il Signore, ricordando la speciale relazione tra Lui e il suo popolo, ne deduce non l’impunità di Israele, ma, al contrario, la decisione di intervenire contro tutti i suoi crimini (3,1-2). Amos giunge persino a relativizzare la tradizione dell’esodo, assimilandola al migrare di altri popoli (9,7), affinché gli Israeliti capiscano che il loro Dio è un Dio di giustizia, il quale, nella sua indagine conoscitiva del male, non può chiudere gli occhi davanti al regno peccatore (9,8). La forma letteraria dell’inno (4,13; 5,8-9; 9,5-6), che declina i titoli divini, collegandoli con il nome di YHWH degli eserciti, va interpretata proprio in senso giudiziario. La confessione di fede di Israele dice che il suo Signore è il sovrano di tutto il creato; il profeta assume la dimensione universale di tale confessione per escludere un trattamento di favore nei confronti di un popolo in particolare. Inoltre, il dominio sul cielo, sulla terra e sul mare, fa sì che Dio possa provocare le tenebre, il terremoto e il diluvio — cioè la fine — in tutto il mondo, senza che nessuna forza (di tipo militare, come le fortezze) possa impedirglielo, senza che nessun rifugio privilegiato (come il santuario) possa ostacolare il suo procedere secondo giustizia. Da qui si vede come i cosiddetti «frammenti innici», lungi dall’essere un corpo estraneo al testo profetico, ne costituiscono al contrario un elemento essenziale, necessario per la teologia del giudizio divino, universale e imparziale. Un verdetto definitivo Le parole di Amos equivalgono a una sentenza definitiva emessa dal Signore sulla storia di Israele. Un verdetto definitivo è un verdetto irrevocabile. Infatti, la prima sezione è scandita da un ritornello ripetuto otto volte, per ognuno dei popoli contro i quali è pronunciata la sentenza: «non revocherò il mio decreto» (1,3 ecc.). L’aspetto irrevocabile del giudizio divino è espresso anche nell’ultima sezione: dopo le due visioni che registrano il mutamento di decisione di YHWH («si pentì il Signore di questo»: 7,3.6), il profeta ha altre due visioni che gli rivelano un’identica parola: «Non continuerò più a perdonare» (7,8; 8,2); la fine dell’intercessione profetica produce un verdetto inappellabile. Nella sezione centrale, infine, è possibile rilevare il medesimo aspetto espresso dal giuramento divino che accompagna il pronunciamento giudiziario (4,2; 6,8): il Signore
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impegna la sua stessa persona per affermare che non altererà la parola solennemente proclamata. Una sentenza irrevocabile è una sentenza inappellabile, una decisione contro la quale non è possibile fare ricorso e chiedere una revisione del processo. E ciò si spiega assai bene nell’impianto teologico di Amos. Nell’immaginario tribunale instaurato da Dio contro Israele viene a mancare l’avvocato difensore, perché è stato ridotto al silenzio il profeta, l’unico che sa trovare le parole «giuste» per far modificare il giudizio pronunciato contro il colpevole (7,1-6). I rappresentanti delle altre istituzioni, il re e il sacerdote, non solo non parlano come si deve (si ricordi quanto detto sull’errata ideologia diffusa dalla monarchia e sulla perversa teologia legata al santuario), ma, di più, proibiscono al profeta di parlare (2,11; 5,10), si coalizzano per scacciarlo dalla sede stessa dove esercitava la sua funzione di intercessore (7,10-13). Allora, nessuno potrà più intervenire e niente potrà cambiare la decisione divina. Verdetto definitivo significa anche verdetto ultimo, in grado di fornire un’interpretazione definitiva della storia passata. In questo modo il profeta dice che sono venute meno le condizioni di possibilità per provvedimenti di clemenza: a motivo del suo moltiplicarsi e dispiegarsi in forme sempre più contorte e menzognere, il crimine è divenuto insopportabile anche per il giudice paziente e compassionevole. Si fa dunque un bilancio complessivo per ogni popolo, e anche per Israele si tirano le somme una volta per tutte. Per quest’ultimo, d’altra parte, Dio aveva predisposto delle punizioni graduali, senza ottenere l’esito sperato (4,6-11); se l’avere inflitto al suo popolo le piaghe d’Egitto (4,10), se l’averlo trattato come Sodoma e Gomorra (4,11) non è bastato, si può capire come il Signore chiuda il caso con un verdetto finale. Dopo di questo non si potrà più parlare del «caso Samaria». Una decisione definitiva non è solo un verdetto che non può più essere messo in discussione, è soprattutto una sentenza «passata in giudicato», che pone fine per sempre all’azione giuridica intrapresa con l’accusa. YHWH prende una decisione finale e questa è la fine del regno di Samaria. In diversi modi il profeta dice che la sanzione divina colpisce non tanto i singoli colpevoli, quanto piuttosto la totalità di Israele; attraverso il concetto di totalità viene così ulteriormente ribadita l’idea di un provvedimento definitivo. Talvolta Amos dice espressamente che tutti i delitti (3,2; 8,7) e tutti i colpevoli saranno puniti (8,8.10; 9,1.5.10), senza che nessuno possa scampare (2,14-16; 9,1-4.9); oppure, dopo avere parlato di una città che metteva in campo mille uomini e che si ritrova con dieci (5,3), aggiunge: «se rimangono dieci uomini in una casa, moriranno» (6,9). Il profeta si serve anche del merismo per suggerire l’idea di una distruzione che non risparmia nulla: «colpirò la casa d’inverno e la casa d’estate» (3,15), «ridurrò la casa grande in frantumi e la casa piccola a pezzi» (6,11). Il lutto in città e in campagna (5,16-17), i cadaveri in ogni luogo (8,3), lo sconvolgimento di tutta la terra (8,8; 9,5) esprimono anch’essi ugualmente l’universalità della sanzione.
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L’idea del «resto», che emerge a più riprese nel libro di Amos (2,16; 3,12; 4,11; 5,15; 9,9), non costituisce una riserva nei confronti del giudizio esteso alla totalità di Israele. Il piccolo numero dei poveri scampati al disastro sarà testimone della verità della parola profetica, che ha predetto e prodotto la fine del regno di Israele. Ma il giudizio finale non è l’ultima parola di Dio; la fine del regno non significa la fine del popolo del Signore. Il resto degli scampati assicurerà in qualche modo la transizione tra il giorno del giudizio e il giorno della restaurazione. Giudizio e grazia Il giudizio non implica solo la condanna dei colpevoli, ma comporta anche la salvezza delle vittime dell’ingiustizia. La salvezza dei poveri, oppressi dalla violenza, è anzi la finalità ultima dell’intervento del giudice giusto, che, distruggendo il male e abbattendo il prepotente, fa trionfare il diritto e la vita. Ora, l’insieme del libro di Amos è così fortemente incentrato sulla giustizia punitiva che c’è il rischio di trascurare la giustizia salvifica. Verrebbe così frainteso il senso dell’agire di Dio nella storia. L’esodo, dall’uscita dall’Egitto fino al possesso ereditario del paese degli Amorrei, mostra che YHWH sta dalla parte dei piccoli e degli oppressi, che si schiera con loro, annientando le forze avverse per quanto imponenti (2,9-10). Il senso di questo evento fondatore è che il Dio Creatore si manifesta nella storia umana là dove c’è debolezza da proteggere, schiavitù da redimere, vita sul punto di spegnersi che deve essere salvata. Ebbene, sono proprio queste le condizioni che Israele sperimenterà con l’esilio. Il giudizio di giustizia esercitato da YHWH riconferisce al suo popolo lo statuto della piccolezza. Nei confronti del «piccolo Giacobbe» il Signore non può ora provare che compassione (7,2.5), non può non desiderare che si rimetta in piedi e viva. Il giorno del giudizio, «quel giorno» doloroso della totale disfatta, diventa anche il tempo della grazia, il tempo della restaurazione, della gioia definitiva. Quel tempo a venire è così certo — dice Amos — che il Dio Creatore sta già realizzando la sua parola: «oracolo del Signore che fa questo» (9,12). Per quattordici lunghe sequenze Amos comunica una parola divina che svela la perversione di Samaria, a cui l’agire divino porrà fine; nell’ultima brevissima unità letteraria (9,11-15), nell’epilogo di tutto il libro, il profeta espone l’ultima parola di YHWH, la parola escatologica nella quale si rivela appieno il Dio di Israele (9,15b). Il verdetto di morte è mutato in promessa di vita, la minaccia lascia il posto all’oracolo di consolazione. Immotivato è l’apparire della grazia, perché è rivelazione di YHWH come origine della vita. Per il suo popolo il Signore annuncia un nuovo esodo, con un ritorno stabile e definitivo sulla terra, persa e ritrovata; un nuovo regno davidico, dopo che la «capanna» era caduta e la città ridotta in rovine (9,11.14); un’incredibile abbondanza di frutti (9,13-14) nel paese segnato dalla sterilità, quale segno di
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una vita indefettibile. Era necessario il giudizio perché il Dio di Israele si rivelasse come Dio di giustizia e Dio di grazia.
Conclusione Il lettore abituato ai commentari tradizionali sarà forse rimasto un po’ sconcertato, almeno all’inizio, dal genere della presente opera. In effetti questo studio del libro di Amos è per certi versi del tutto nuovo. Come gli altri commentari intende spiegare la totalità del testo, ma lo fa in un modo assai diverso. Certo, vengono discussi i problemi testuali di ogni tipo, piuttosto numerosi nel libro di Amos. Non è ignorata, anzi è costantemente richiamata la letteratura specializzata, che ha trattato queste problematiche. Ma a tali questioni non vengono concessi lo spazio e il rilievo a loro riservati in altri commentari scientifici. Non si trattava infatti di riprendere le loro discussioni, ma di apportare degli elementi di analisi complementari, e di suggerire una prospettiva di sintesi più rigorosamente perseguita. La specificità di questa opera — e la sua novità — consiste nell’attenzione accordata ai fenomeni di composizione. Non nel senso in cui l’intende «la storia della redazione», la quale, a partire dalle fonti o strati che crede di poter discernere grazie alla critica letteraria, vuole situare storicamente le modifiche e aggiunte apportate al testo primitivo del profeta di Tekoa da redattori ed editori successivi. Senza rimettere in discussione la possibilità e la realtà di tali interventi redazionali, l’intento di questa ricerca è radicalmente diverso. Si è partiti dal presupposto che i testi biblici non siano delle compilazioni, più o meno riuscite, bensì delle vere composizioni, non dissimili dalle opere composte da un solo autore. Si è quindi voluto verificare sul libro di Amos se questo presupposto fosse solo un’ipotesi gratuita, con l’unico merito di andare deliberatamente controcorrente rispetto all’esegesi comunemente praticata, oppure se l’assunto poteva essere ragionevolmente difeso. Al termine del lungo cammino percorso, talvolta anche difficile e penoso, sembra che si possa affermare che i risultati ottenuti ricompensano della fatica. Anzi, per quanto riguarda gli autori, tali risultati hanno di gran lunga superato le loro previsioni e aspettative. Le scoperte fatte da alcuni predecessori, in particolare sull’organizzazione della prima sezione e sulla sequenza B4 (5,117)1, furono un incoraggiamento ad approfondire ulteriormente e ad estendere l’indagine all’insieme del libro. D’altro canto, i progressi compiuti dall’«analisi retorica» da qualche decennio permettevano di condurre la ricerca su basi più sicure e con strumenti più adeguati. La composizione del libro di Amos è stata quindi studiata sistematicamente, a tutti i livelli della sua organizzazione; si sono perciò analizzati
1
Cfr. l’ampio status quaestionis nell’introduzione (p. 19.21-25).
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– anzitutto i PASSI — o pericopi —, suddivisi in una o più parti (e sottoparti), anch’esse organizzate in uno, due o tre brani, a loro volta formati da uno, due o tre segmenti; – poi le SEQUENZE (e sottosequenze); – quindi le SEZIONI (e sottosezioni); – e, infine, l’insieme del LIBRO. È la prima volta che una ricerca simile viene condotta, in modo sistematico e approfondito, su un libro profetico nella sua totalità. È anche la prima volta che l’analisi formale di ognuno dei quattro livelli principali sfocia in un’interpretazione che tenta di fare emergere il messaggio corrispondente all’organizzazione di ciascuna delle differenti unità letterarie esaminate. In effetti, l’interpretazione di un testo è largamente influenzata dal contesto, e cioè dalla divisione testuale ritenuta pertinente. Il complesso sistema di divisioni e sottodivisioni non è per nulla fine a se stesso, ma ha una funzione interpretativa, nel rispetto rigoroso di quanto ha inteso l’autore biblico. Anche quando si ottengono figure particolarmente soddisfacenti, regolari e sapientemente ordinate, la funzione prima di queste figure di composizione non è di ordine estetico. Certo si può sottolinearne il carattere artistico; bisogna però ricordare che esse hanno soprattutto un valore espressivo, sono cioè al servizio del senso. Ora, per cogliere il significato di un testo, la determinazione delle unità di lettura non solo è utile, ma è addirittura indispensabile. Facciamo un’analogia: tutti dicono che a livello sintattico non si potrebbe capire una frase senza averne previamente identificato i limiti e senza averne poi analizzato i vari elementi costitutivi — proposizioni, sintagmi di vario tipo, fino ad ognuno dei monemi —, nonché le loro rispettive funzioni; bisognerebbe allora dire che qualcosa di simile vale anche al livello del discorso, che necessita l’analisi delle sue parti e la comprensione delle loro mutue relazioni. L’interpretazione consiste nell’esplicitare i rapporti soggiacenti tra due o più elementi di un testo. Il metodo dell’analisi retorica mostra, a partire dallo scritto stesso, quali sono i dati testuali da considerarsi insieme e suggerisce qual’è il contesto pertinente di un’unità letteraria determinata. Questo lavoro è stato svolto in modo sistematico non solo per ogni passo e per ogni sequenza, ma anche per ognuna delle tre sezioni, nonché per il libro nella sua interezza. La composizione della sezione centrale (capitoli 3–6) è certamente quella a cui si è dedicata maggiore attenzione2. I commentari tradizionali riconoscono una certa unità alla serie degli oracoli contro le nazioni straniere, contro Giuda e contro Israele che formano la prima sezione (capitoli 1–2); e conferiscono una qualche unità anche all’ultima sezione, contraddistinta dalla presenza di cinque visioni (capitoli 7–9). Del tutto opposto è invece il parere generale sulla seconda sezione (capitoli 3–6), reputata composita e disorganica. I risultati del lavoro, sintetizzati nella tavola della pagina 117 — soprattutto 2
Infatti a essa si sono consacrate non meno di 56 pagine (p. 249-305).
Conclusione
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confrontati con i titoli delle pericopi della Bibbia di Gerusalemme e della Traduzione Ecumenica della Bibbia riportati a pagina 11 —, invitano a rivedere il giudizio sul libro attuale di Amos e obbligano a tener conto della raffinata qualità della sua composizione. Al frazionamento, anzi allo smembramento del testo a cui giungono gli studi di tipo storico-critico, corrisponde fatalmente un’interpretazione frammentaria. Al contrario, una ricerca che teneva conto seriamente del carattere fortemente strutturato dell’opera, doveva sfociare in interpretazioni che tentassero di valorizzare la struttura del testo e la sua organicità. L’importanza particolarissima del libro di Amos — che è al tempo stesso il primo profeta scrittore e uno fra i più attuali per problematica e messaggio —, meritava senza dubbio una tale attenzione.
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Indice degli autori citati
Ackroyd: 337, 339 Aharoni: 37 Airoldi: 157 Alber: 15 Alberto Magno: 13, 14 Alonso Schökel: 18, 152, 334 Alt: 328 Amiran: 37 Amsler: 19, 20, 21, 110, 204, 312, 327, 362, 364 Andersen: 25, 36, 37, 64, 96, 124, 144, 168, 186, 191, 226, 229, 238, 239, 242, 292, 293, 311, 314, 315, 318, 325, 330, 331, 332, 339, 341, 351, 355, 362, 363, 381, 396 Anderson: 214 Angerstorfer: 171 Arias Montanus: 14 Auld: 127, 328 Aurelius: 313 Bach: 332 Bailey: 24 Balentine: 313 Baltzer: 325 Barré: 53, 64 Barstad: 90, 93, 147, 156, 158, 183, 204, 212, 217, 231, 233, 364 Barthélemy: 64, 69, 70, 89, 122, 133, 134, 144, 167, 168, 185, 196, 217, 230, 239, 242, 244, 310, 316, 325, 345, 354, 360, 363, 364, 374, 381, 396 Bartlett: 64 Barton: 51, 100 Baumann: 16 Baur: 15
Beauchamp: 261, 327 Begg: 135 Beitzel: 345 Bentzen: 76, 170 Benz: 312 Berg: 169 Bergler: 169 Berridge: 204 Beyerlin: 312, 325 Bikai: 62 Blenkinsopp: 175 Boecker: 215 Bohlen: 102 Bonora: 102 Borger: 217 Bosman: 129 Botterweck: 30, 102, 170 Bovati: 3, 88, 89, 103, 106, 121, 136, 149, 152, 186, 192, 193, 204, 206, 207, 215, 226, 254, 262, 272, 286, 292, 297, 298, 299, 313, 314, 316, 318, 342, 377, 383, 491, 492 Boys: 22, 25 Bracke: 401 Briend: 360 Briggs: 15 Brin: 316 Brongers: 239 Bronznick: 90, 363 Brueggemann: 157, 171, 175, 261, 314 Brunet: 325 Calmet: 15 Caquot: 360 Carena: 180 Carroll: 102
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Il libro del profeta Amos
Cazelles: 63, 157 Childs: 401 Chisholm: 112 Christensen: 51, 79 Clements: 210, 330 Clifford: 210 Cogan: 70 Cohen: 10, 332 Condamin: 16, 325 Conforti: 115 Cooper: 243 Coote: 64, 325 Costacurta: 97, 132, 380 Coulot: 20, 21, 22, 187 Craigie: 36, 333 Crenshaw: 138, 167, 169, 170, 175, 278 Cripps: 19 Crocetti: 195 Crüsemann: 170 Curtis: 344 Dahmen: 231 Dahood: 238, 242 Day: 218 Dearman: 102 Delcor: 58, 386 Dempster: 295 Dever: 37 Devescovi: 167 Dhorme: 168, 181, 324, 331, 387 Di Marco: 24 Diebner: 333 Dietrich: 111 Dion: 102 Döller: 165 Donner: 63 Dothan: 37, 58 Driver: 54, 238, 331 Duhm: 170, 186 Dunayevsky: 37 Eberlein: 169, 171 Edelman: 158 Eggebrecht: 212 Eichrodt: 127
Elhorst: 16, 231 Erlenmeyer: 58 Eslinger: 315, 351 Ewald: 15 Eybers: 181, 244 Farr: 170 Fendler: 102 Fensham: 166 Finley: 171 Fishbane: 64 Fitzgerald: 180 Fleischer: 88, 102 Fohrer: 76 Foresti: 170: 185: 186 Freedman: 25, 36, 37, 41, 48, 64, 96, 124, 144, 158, 168, 186, 191, 226, 229, 231, 238, 239, 242, 292, 293, 311, 314, 315, 318, 325, 330, 331, 332, 339, 341, 351, 355, 362, 363, 381, 396 Fritz: 79 Fuhs: 40, 41 Garbini: 57 García de la Fuente: 195 García Trapiello: 10, 36 Gerstenberger: 62, 210 Gese: 51, 96, 127, 133, 196, 392 Gevirtz: 217 Giles: 251 Giraudo: 115 Girolamo: 13, 133, 143, 346 Gitay: 127 Glanzman: 139 Gordis: 19 Görg: 138 Gossai: 88 Gosse: 79 Gottlieb: 38, 44, 170 Gowan: 181 Gray: 212 Gruber: 198 Gunneweg: 332 Hakham: 78, 211, 362, 363, 396 Haran: 10
Indice degli autori citati Hardmeier: 198 Harper: 15, 16, 79, 92, 140, 155, 185, 212, 363, 380 Harrison: 58 Harvey: 272 Hasel: 25, 143, 180, 213, 360, 400 Hauan: 198 Hausmann: 180 Heider: 218 Heinisch: 198 Helberg: 213 Heltzer: 231 Hentschke: 215 Herman: 170 Herrmann: 171 Hesse: 203 Hesselberg: 53 Hillers: 160, 210, 316 Hobbs: 101 Höffken: 56 Hoffmann, G.: 186 Hoffmann, H.W.: 388 Hoffmann, Y.: 113, 128, 212, 332 Hoonacker: 19 Hope: 124 Horine: 210 Horst: 19, 170, 312 Hübner: 132 Huffmon: 102 Humbert: 171 Hunter: 171, 195, 203, 216 Hyatt: 216 Isbell: 36, 217 Jackson: 193 Jacob: 147, 313 Janzen: 210 Jepsen: 56 Jeremias: 22, 169, 203, 241, 295, 303, 314, 359, 383, 388 Johansson: 313 Joüon: 29, 68, 89, 104, 143, 150, 158, 186, 211, 216, 228, 231, 310, 311, 354, 375, 380, 397 Kallai: 181
483
Kapelrud: 129, 170 Kassis: 58 Kedar-Kopfstein: 37, 213 Keimer: 333 Kellermann: 400 Kessler: 354 King: 10, 80, 93, 96, 140, 156, 183, 231, 233, 333 Kingsbury: 129 Knauf: 181 Koch: 147, 170, 185, 292, 312 Köckert: 101, 106, 117 Köster: 15 Kot: 491, 492 Kraus: 156 Krause: 210 Krech: 215 Krenkel: 316 Kutsch: 213 Landy: 317, 324, 327, 335, 351, 366 Lang: 88, 360 Lapide: 15 Lattke: 170 Lemaire: 360 Léon-Dufour: 22 Levine: 214 Lewis: 231 Limburg: 127, 316 Lindström: 129 Lipiński: 10, 56, 198, 231 Lippl: 19 Liverani: 138 Loewenstamm: 52, 383 Lohmann: 231 Löhr: 16 Long: 312 Loretz: 212, 217, 231, 242 Loss: 295 Lund: 22, 251 Lurla: 362 Maag: 64, 96, 132, 138, 186, 226, 228, 238, 286, 297, 333 Malamat: 129 Manakatt: 329, 331, 333, 341
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Il libro del profeta Amos
Markert: 101 Marti: 16, 139, 226, 331, 355 Martin-Achard: 10, 21 Mauchline: 80, 156, 402 Mayer: 95 Mays: 17, 91, 316, 333 Mazar: 56, 58 McCarthy: 62 McComiskey: 169 McKane: 184 McLaughlin: 231 Melamed: 122, 243 Merwe: 121 Mettinger: 138 Meynet: 3, 22, 33, 95, 105, 164, 214, 251, 271, 491, 492, 493 Michaelis: 242 Milgrom: 214 Mishael: 145 Mitchell: 311 Mittmann: 133 Moeller: 133 Monloubou: 20 Montgomery: 231 Mowinckel: 185 Mulder: 129 Mullen: 129 Murtonen: 333 Na’aman: 181 Naveh: 102 Néher: 143, 332, 333, 334, 385 Neubauer: 195, 206 Niditch: 312, 324 Noth: 94 O’Rourke Boyle: 136, 175, 261 Ohler: 193, 380 Olyan: 368 Osty: 11, 12, 20 Osumi: 102 Ottoson: 54 Ouellette: 325, 374 Overholt: 106 Palacios de Salazar: 14 Parente: 95
Perlitt: 94 Perrot: 37 Pfeifer: 79, 83, 124, 135, 167, 170 Phillips: 332 Pitard: 56 Pleins: 102 Polley: 38, 129 Pons: 136 Pope: 163 Porter: 332 Power: 310 Press: 175 Preuss: 180, 195 Priest: 62 Prignaud: 386 Puech: 73, 218 Rabinowitz: 133 Rad: 169, 212 Rahtjen: 345 Raitt: 204 Ramlot: 331 Ramsey: 171, 175 Randall: 203 Randellini: 102 Reider: 228 Reinhold: 56 Reisel: 171 Rendsburg: 70 Rendtorff: 97 Reventlow: 166, 170 Rhodes: 313 Ribera: 15 Richardson: 331, 402 Riedel: 16 Rinaldi: 19, 311 Roberts: 210, 226, 230 Robinson: 19 Rosenmüller: 15, 89, 133, 139, 143, 156, 159, 162, 181, 216, 226, 239, 311, 324, 355, 360, 362, 364, 374, 379, 381, 396 Rost: 214 Roth: 52 Rottzoll: 331
Indice degli autori citati Rowley: 331, 332 Rubinstein: 158 Rudolph: 19, 20, 21, 36, 37, 53, 64, 79, 88, 89, 90, 96, 112, 116, 131, 138, 142, 149, 159, 163, 164, 168, 171, 179, 180, 183, 184, 186, 187, 198, 210, 226, 229, 239, 240, 242, 293, 303, 311, 316, 318, 323, 325, 331, 332, 333, 334, 337, 342, 351, 355, 362, 364, 367, 374, 379, 385, 389, 397, 400 Ruiz: 53 Sauer: 52 Savage: 89 Schenker: 130 Schmid: 333 Schmidt: 101, 171 Schmitt: 180 Schult: 333 Schüngel-Straumann: 215 Schwantes: 144 Seebass: 52 Segert: 48 Seidl: 311 Sicre: 18, 51, 79, 102, 116, 139, 186, 216, 233, 261, 312, 334, 354, 356, 357, 358 Sicre Diaz: 18 Sinclair: 136 Smalley: 22, 24 Smelik: 212 Smend: 204 Smith: 193, 331 Snaith: 90 Soden: 226 Soggin: 20, 36, 37, 52, 53, 56, 64, 79, 96, 121, 168, 186, 226, 229, 238, 239, 242, 245, 293, 320, 324, 330, 332, 333, 337, 343, 351, 401 Sonnen: 53, 310 Soper: 52 Speir: 185
Sperling: 64 Spreafico: 22, 76, 113, 212 Stamm: 36 Stoebe: 329 Story: 169, 170 Strange: 386 Stuart, D.: 212 Stuart, D.K.: 127 Suder: 102 Talmon: 196 Talshir: 138 Tawil: 182 Teodoro di Mopsuestia: 13 Theis: 19 Thomas: 208 Toorn: 104 Torczyner: 186 Torrey: 89, 311 Touscoz: 115 Touzard: 19 Tromp: 22 Tsumura: 56 Uehlinger: 325, 328 Unger: 56 Utzschneider: 329 Vaccari: 170, 231, 324 Vanden Oudenrijn: 331, 332 Vaux: 105, 214 Vawter: 332 Vermeylen: 210 Vesco: 36, 90, 102 Vilchez Lindez: 152 Vogels: 385 Vogt: 331 Vollmer: 101 Volz: 215 Waard: 22, 23, 24, 122 Wagner: 38 Wainwright: 386 Wal: 11, 25, 193 Wambacq: 138 Wanke: 210 Watts: 184, 312, 333 Weinberg: 330
485
486
Il libro del profeta Amos
Weinfeld: 212 Weiser: 19, 90 Weiss: 40, 52, 76 Wellhausen: 89, 228, 381, 389, 400 Werner: 129 Westermann: 25, 30 Wicke: 22 Wilbers: 53 Williams, A.J.: 144 Williams, J.G.: 210, 332 Williamson: 324, 337 Wilson: 36 Witaszek: 102 Wolff: 17, 20, 21, 27, 36, 37, 53, 54, 64, 66, 72, 79, 90, 96, 101, 116, 132, 133, 139, 140, 156,
166, 168, 171, 185, 186, 187, 198, 203, 204, 212, 214, 226, 229, 238, 241, 242, 260, 293, 311, 315, 316, 323, 324, 330, 331, 332, 333, 342, 355, 362, 363, 364, 374, 387, 389, 396, 400, 402 Wright: 333, 334 Wuellner: 22 Würthwein: 102, 170, 215 Yadin: 37 Youngblood: 171 Zalcman: 185, 333 Zenner: 15 Zevit: 332 Zobel: 171
Indice generale Prefazione .................................................................................................... Introduzione ................................................................................................
7 9
Sigle e abbreviazioni ................................................................................... Glossario dei termini tecnici .......................................................................
27 31
1. TITOLO DEL LIBRO: Parole di Amos, ruggito del Signore (1,1-2) ............
35
LE NAZIONI E ISRAELE SOTTO IL GIUDIZIO DI DIO Sezione A (1,3–2,16) ................................
47
2. GLI ORACOLI CONTRO LE NAZIONI STRANIERE Sequenza A1 (1,3–2,3) .................................................................................
51
Gli oracoli contro Damasco e Gaza Prima sottosequenza (1,3-8) ................................................................... L’oracolo contro Damasco (1,3-5) .................................................... L’oracolo contro Gaza (1,6-8) ........................................................... Gli oracoli contro Damasco e Gaza ..................................................
52 52 57 60
Gli oracoli contro Tiro ed Edom Seconda sottosequenza (1,9-12) ............................................................. L’oracolo contro Tiro (1,9-10) .......................................................... L’oracolo contro Edom (1,11-12) ..................................................... Gli oracoli contro Tiro ed Edom ......................................................
62 62 63 66
Gli oracoli contro Ammon e Moab Terza sottosequenza (1,13–2,3) .............................................................. L’oracolo contro i Figli di Ammon (1,13-15) ................................... L’oracolo contro Moab (2,1-3) ......................................................... Gli oracoli contro Ammon e Moab ..................................................
68 68 70 72
L’insieme della sequenza .......................................................................
74
3. L’ORACOLO CONTRO GIUDA Sequenza A2: 2,4-5 .....................................................................................
83
4. L’ORACOLO CONTRO ISRAELE Sequenza A3: 2,6-16 ...................................................................................
87
5. L’INSIEME DELLA SEZIONE A (1,3–2,16) .................................................
109
488
Il libro del profeta Amos
ISRAELE DOVRÀ PASSARE ATTRAVERSO LA MORTE Sezione B (3,1–6,14) ................................
119
6. UNA TRAPPOLA PER I FIGLI D’ISRAELE Sequenza B1 (3,1-8) .....................................................................................
121
7. MOLTIPLICARE LE RICCHEZZE NON SALVERÀ I FIGLI D’ISRAELE Sequenza B2 (3,9–4,3) ................................................................................. Invito alle nazioni straniere (3,9-12) ...................................................... Annuncio della distruzione (3,13-15) .................................................... Invito ai ricchi di Samaria (4,1-3) .......................................................... L’insieme della sequenza .......................................................................
131 132 138 142 150
8. MOLTIPLICARE I SACRIFICI NON SALVERÀ I FIGLI D’ISRAELE Sequenza B3 (4,4-13) .................................................................................. Invito ironico a moltiplicare i sacrifici (4,4-5) ....................................... Ricordo dei castighi passati (4,6-11) ...................................................... Invito drammatico a incontrare Dio (4,12-13) ....................................... L’insieme della sequenza .......................................................................
155 156 159 167 172
9. LAMENTO FUNEBRE SULLA VERGINE D’ISRAELE Sequenza B4 (5,1-17) .................................................................................. Lamento del profeta sulla Vergine d’Israele (5,1-3) .............................. Invito a cercare il Signore (5,4-6) .......................................................... Annuncio del castigo (5,7-13) ................................................................ Invito a cercare la giustizia (5,14-15) .................................................... Lamento di Israele sui propri morti (5,16-17) ........................................ L’insieme della sequenza .......................................................................
177 178 181 184 194 196 199
10. UN CULTO PERVERTITO NON SALVERÀ LA CASA D’ISRAELE Sequenza B5 (5,18-27) ................................................................................... Non si potrà sfuggire al nemico (5,18-20) .............................................. Ciò che richiede il Signore (5,21-25) ..................................................... Non si potrà sfuggire alla deportazione (5,26-27) .................................. L’insieme della sequenza .......................................................................
209 210 213 216 219
11. UNA RICCHEZZA PERVERTITA NON SALVERÀ LA CASA D’ISRAELE Sequenza B6 (6,1-7) .................................................................................... Guai a quanti si credono i primi (6,1) ..................................................... Voi non siete migliori degli altri (6,2-3) ................................................. Voi sarete i primi a essere deportati (6,4-7) ........................................... L’insieme della sequenza .......................................................................
225 226 228 230 234
Indice
489
12. IL VELENO DELLA CASA D’ISRAELE Sequenza B7 (6,8-14) .................................................................................. Dio distruggerà l’orgoglio dei palazzi di Giacobbe (6,8-11) ................. Dio deplora la degenerazione di Israele (6,12) ....................................... Dio farà schiacciare gli orgogliosi (6,13-14) .......................................... L’insieme della sequenza .......................................................................
237 238 242 243 246
13. L’INSIEME DELLA SEZIONE B (3,1–6,14) ............................................... Ultimo appella per i Figli d’Israele (prima sottosezione: 3,1–4,13) ....... Composizione .................................................................................... Interpretazione ................................................................................... Sventura per la Casa d’Israele (ultima sottosezione: 5,18–6,14) ........... Composizione .................................................................................... Interpretazione ................................................................................... L’insieme della sezione (3,1–6,14) ........................................................ Composizione .................................................................................... Interpretazione ...................................................................................
249 249 249 260 263 264 273 276 276 303
LA VISIONE DELLA FINE Sezione C (7,1–9,14) ...............................
307
14. L’INTERCESSIONE DEL PROFETA SOSPENDE LA DISTRUZIONE FINALE Sequenza C1 (7,1-6) .................................................................................... La minaccia delle locuste (7,1-3) ............................................................ La minaccia del fuoco (7,4-6) ................................................................. L’insieme della sequenza ........................................................................
303 310 316 319
15. L’ESPULSIONE DEL PROFETA DETERMINA LA DISTRUZIONE FINALE Sequenza C2 (7,7–8,3) ................................................................................ La visione dello stagno (7,7-9) ............................................................... Amos è cacciato da Betel (7,10-17) ........................................................ La visione dei frutti maturi (8,1-3) ......................................................... L’insieme della sequenza .......................................................................
323 324 329 345 349
16. LA FINE DELLA PROFEZIA, ULTIMA PAROLA DEL SIGNORE Sequenza C3 (8,4-14) .................................................................................. Il Signore non dimenticherà l’ingiustizia di Giacobbe (8,4-7) ............... Un castigo cosmico (8,8) ........................................................................ La perversione del culto di Samaria sarà castigata (8,9-14) ................... L’insieme della sequenza .......................................................................
353 354 360 362 369
490
Il libro del profeta Amos
17. IL SIGNORE COMANDA LA DISTRUZIONE FINALE Sequenza C4 (9,1-10) .................................................................................. Un male al quale nessuno potrà sfuggire (9,1-4) .................................... Il Signore e i Figli d’Israele (9,5-7) ........................................................ Il male per tutti i peccatori (9,8-10) ........................................................ L’insieme della sequenza .......................................................................
373 374 380 386 391
18. IL SIGNORE PROMETTE LA RESTAURAZIONE FINALE Sequenza C5 (9,11-15) ................................................................................
395
19. L’INSIEME DELLA SEZIONE C (7,1–9,14) ............................................... Composizione ......................................................................................... Interpretazione ........................................................................................
405 405 418
20. L’INSIEME DEL LIBRO ............................................................................ Composizione ......................................................................................... Interpretazione ........................................................................................
423 423 435
Conclusione ................................................................................................. Bibliografia .................................................................................................. Indice degli autori citati ...............................................................................
451 455 481
CARTE: Per la prima sezione .................................................................................... Per la seconda sezione .................................................................................
86 154
RHÉTORIQUE BIBLIQUE Collection dirigée par Roland Meynet et Pietro Bovati 1.
ROLAND MEYNET, L’Évangile selon saint Luc. Analyse rhétorique, Éd. du Cerf, Paris 1988.
2.
PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Le Livre du prophète Amos, Éd. du Cerf, Paris 1994.
3.
ROLAND MEYNET, Jésus passe. Testament, jugement, exécution et résurrection du Seigneur Jésus dans les évangiles synoptiques, PUG Editrice – Éd. du Cerf, Rome – Paris 1999.
RHÉTORIQUE SÉMITIQUE Collection dirigée par Roland Meynet avec Jacek Oniszczuk 1.
ROLAND MEYNET, L’Évangile de Luc, Lethielleux, Paris 2005.
2.
TOMASZ KOT, La Lettre de Jacques. La foi, chemin de la vie, Lethielleux, Paris 2006.
3.
MICHEL CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, Lethielleux, Paris 2007.
4.
ROLAND MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Lethielleux, Paris 2007.
5.
ROLAND MEYNET, Appelés à la liberté, Lethielleux, Paris 2008.
6.
ROLAND MEYNET, Une nouvelle introduction aux évangiles synoptiques, Lethielleux, Paris 2009.
7.
ALBERT VANHOYE, L’Épitre aux Hébreux. « Un prêtre différent », Gabalda, Pendé 2010.
8.
ROLAND MEYNET, L’Évangile de Luc, Gabalda, Pendé 20113.
9.
MICHEL CUYPERS, La Composition du Coran, Gabalda, Pendé 2012.
10. ROLAND MEYNET, La Lettre aux Galates, Gabalda, Pendé 2012. 11. ROLAND MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Gabalda, Pendé 20132. 12. ROLAND MEYNET – J. ONISZCZUK, Exercices d’analyse rhétorique, Gabalda, Pendé 2013. 13. JACEK ONISZCZUK, La première lettre de Jean, Gabalda, Pendé 2013. 14. ROLAND MEYNET, La Pâque du Seigneur. Passion et résurrection de Jésus dans les évangiles synoptiques, Gabalda, Pendé 2013. 15. MICHEL CUYPERS, Apocalypse coranique. Lecture des trente-trois sourates du Coran, Gabalda, Pendé 2014. 16. ROLAND MEYNET, L’Évangile de Marc, Gabalda, Pendé 2014.
RETORICA BIBLICA collana diretta da Roland Meynet, Pietro Bovati e Jacek Oniszczuk
EDIZIONI DEHONIANE ROMA 1.
ROLAND MEYNET, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, ED, Roma 1994.
2.
PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Il libro del profeta Amos, ED, Roma 1995.
3.
ROLAND MEYNET, «E ora, scrivete per voi questo cantico». Introduzione pratica all’analisi retorica. 1. Detti e proverbi, ED, Roma 1996.
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA 4.
ROLAND MEYNET, Una nuova introduzione ai vangeli sinottici, EDB, Bologna 2001.
5.
ROLAND MEYNET, La Pasqua del Signore. Testamento, processo, esecuzione e risurrezione di Gesù nei vangeli sinottici, EDB, Bologna 2002.
6.
TOMASZ KOT, La fede, via della vita. Composizione e interpretazione della Lettera di Giacomo, EDB, Bologna 2003.
7.
ROLAND MEYNET, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, seconda edizione, EDB, Bologna 2003.
8.
GIORGIO PAXIMADI, E io dimorerò in mezzo a loro. Composizione e interpretazione di Es 25–31, EDB, Bologna 2004.
9.
ROLAND MEYNET, Una nuova introduzione ai Vangeli Sinottici, seconda edizione rivista e ampliata, EDB, Bologna 2006.
10. ROLAND MEYNET, Trattato di retorica biblica, EDB, Bologna 2008. 11. JACEK ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni, EDB, Bologna 2008. 12. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e Semitica 1. Atti del primo convegno RBS, EDB, Bologna 2009. 13. ROLAND MEYNET, Chiamati alla libertà, EDB, Bologna 2010. 14. ALBERT VANHOYE, L’epistola agli Ebrei. «Un sacerdote differente», EDB, Bologna 2010. 15. JACEK ONISZCZUK, La passione del Signore secondo Giovanni (Gv 18–19), EDB, Bologna 2011. 16. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e Semitica 2. Atti del secondo convegno RBS, EDB, Bologna 2011. 17. ROLAND MEYNET, La lettera ai Galati, EDB, Bologna 2012. 18. GERMANO LORI, Il Discorso della Montagna, dono del Padre (Mt 5,1–8,1), EDB, Bologna 2013.
RETORICA BIBLICA E SEMITICA Collection dirigée par Roland Meynet et Jacek Oniszczuk
1.
JACEK ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), G&B Press, Roma 2013.
2.
ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, Esercizi di analisi retorica, G&B Press, Roma 2013.
3.
ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, G&B Press, Roma 2013.
4.
ROLAND MEYNET, Luke: the Gospel of the Children of Israel, G&B Press, Roma 2015.
5.
ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del quarto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, G&B Press, Roma 2015.
6.
ROLAND MEYNET, Les huit psaumes acrostiches alphabétiques, G&B Press, Roma 2015.
7.
ROLAND MEYNET, Le fait synoptique reconsidéré, G&B Press, Roma 2015.
8.
ROLAND MEYNET, Il vangelo di Marco, G&B Press, Roma 2016.
RHETORICA BIBLICA ET SEMITICA 9.
ROLAND MEYNET, Les psaumes des montées, Peeters, Leuven 2017.
10. MICHEL CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, deuxième édition, Peeters, Leuven 2017. 11. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del quinto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, Peeters, Leuven 2017. 12. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Cinquième livre (Ps 107–150), Peeters, Leuven 2017. 13. JACEK ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), 2° edizione, Peeters, Leuven 2018. 14. ROLAND MEYNET, Il vangelo di Marco, Peeters, Leuven 2018. 15. JACEK ONISZCZUK (†), «Se il chicco di grano caduto in terra non muore...» (Gv 11–12), Peeters, Leuven 2018. 16. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Premier livre (Ps 1–41), Peeters, Leuven 2018. 17. MASSIMO GRILLI – † JACEK ONISZCZUK – ANDRÉ WÉNIN, ed., Filiation, entre Bible et cultures. Hommage à Roland Meynet, Peeters, Leuven 2019. 18. FRANCESCO GRAZIANO – ROLAND MEYNET, ed., Studi del sesto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, Peeters, Leuven 2019. 19. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Troisième livre (Ps 73–89), Peeters, Leuven 2019. 20. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Deuxième livre (Ps 42/43–72), Peeters, Leuven 2019.
21. PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Il libro del profeta Amos. Seconda edizione rivista, Peeters, Leuven 2019.