Il lavoro del lutto. Materialismo, politica e rivoluzione in Walter Benjamin 8857514072, 9788857514079

Da quando, come scriveva Saint Just, la rivoluzione è congelata, è incominciato per chi vuole cambiare il mondo il lavor

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Questo libm \·iene puhhlicalo con un ~onlributu dd l)ipartimcnlo di Scienze umane. filosofiche e della f'orm111.iune (Disuff) dell'Università degli sludi di Salerno.

'liJ 2012 - M1Mt:s1s EotllONI (Milano- Udine) Collana: Filosofie. n. 226 Isbn 9788857514079 www .mimesisedizioni. il Via Risorgimento, 33 - 20099 Sesto San Giovanni (Ml) Telefono +3902 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935 F.-mai/: mimcsis®mimcsiscdizioni .il

INDICE

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7

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9

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25

VIOLENZA E CRUDELTÀ

p.

65

lii.

SOVRANITÀ l::. ECCEZIONE

p.

99

IV.

IL TEMPO DELLA FELICITÀ

p. 119

POLITICA E ROVINE

p. 135

Luno E RIVOLUZIONE

p. 165

AVVERTl:.NZA INTRODUZIONE.

I. I...A Il.

V. VI.

LA

RIVOLUZIONE RAGGEUrA

FORMA E IL VINCOLO

7

AVVERTENZA

I capitoli di questo libro. eccello rinlroduzionc, sono k \·ersioni rin:dute e corrette di saggi apparsi nel corso di questi ultimi anni: I)

Lt, forma e il i·incolo. Idealismo e materialismo 11el1Cl disserta:.ione .mila critica romamicu di \¼,Iter Benjamiri. in B. Ma)', D. Messina (a cura di), Wlllter Benjamin tra critica romamit:a e critic-a del ronumticisnw, Alcthcia. Firenze 2000;

2) 3)

4) 5)

6)

Playoder per un 'etirn della crudeltà. in AA. VV.• Il linguaggio dellCl violenw • J ",çegreti" della democrazia. Libreria al Segno. Pordenone 2008; Per farla finita con lo stato d'ecce:;ione.11 problema delltl so1·rc111ità.fm Be,rja· mine Schmìrt, in AA. VV., Ecc:e:.ione (a cura di Viuorio Dini). Libreria D·.mce & Descartcs, Napoli 2006; /I ca/1.ino arrotolato. Benjamin lettore di Pro11st, in Amici di Marce) Proust Napoli, «Quaderni proustiani». Arte Tipografica. Napo) i 2011 : Le ro1•i11e di Benjamin, in Annuario Kainos I, Rifiuti, Filema, Napoli 2006: Finché dura il lutto. Walter Benjamin e la rivolu'l.ione, in Annuario Kainos 6. Pem·ieri del presente. Edizioni Punlo rosso. Milano 2011.

9

INTRODUZIONE LA RIVOLUZIONE RAGGELATA

Da quando, come scri\'eva Saint-Just poco prima di essere condotto alla ghigliottina, 1, le forze rivoluzionarie sono in lutto. Non ci soffermeremo sul senso da attribuire a questa affermazione di Saint-Just. cioè se il mggclamcnto rivoluzionario debba intendersi come il risultato inevitabile dell'applicazione del Terrore dal momento che resercizio di quest"ultimo , oppure come l'effetto di un più semplice errore nella tattica a causa del quale il Terrore sarebbe staLo messo all'ordine del giorno troppo presto. quando il male che opprime la nostra società non si Ciel ancord generalizzato fino al punto da produrre nell'opinione pubblica «il bisogno di provvedimenti idonei a fare il bene». Fermo restando che «non è ancor.i il tempo di fare il bene» e che quello che si potrebbe fare sarebbe un paUiativo. è però vero che «ciò che produce il bene gencmlc è sempre terribile o, se si comincia troppo presto, appare bizzarro»::. Meglio ao;pcttare e come un moderno gnostico della setta dei valcntiniani o come un terrorista morale secondo Kant incrementare il male fino al punto o di portarlo all 'autodistru:,Jonc o di scatenare contro di esso un dies irae definitivo e radicale. Se si dà retta a Peter Slotcrdijk è pi uuosto il secondo corno dcli' alternativa quello che si è imposto nella storia delle rivoluzioni moderne: citando proprio 'l'angelo della morte dell'egualitarismo', cioè Saint-Just, secondo il quale, se «il potere della terrà si trova presso gli infelici», allorc1 perché l'eguaglianza sia effettuale si può scegliere frd la più che facile trasformazione dei pochi felici in infelici e quella utopica e fantastica dei moltissimi infelici in felici, Sloterdijk ne conclude che, essendo la scelta caduta s4.lla seconda soluzione. la delusione alla prova dei fatti cr.1 inevitabile. E incvitabi le crc1 anche che come risposta alla delusione accanto a «rassegnazione

2

L. de Saint-Jusl, Frammenti .~ulle l.ftit11Zioni repubblicane, lr. it di G. Procacci, Einaudi, Torino 1975. p. 109. Ibidem.

IO

Il Jm:oro del lutto

e a cinico distacco dalle illusioni di ieri», emergessero «delle formazioni d'ira acute e auuali». Dcuo in altri termini: «a panirc dagli eventi succcsivi all'assalto della Bastiglia. la storia idt.."ologica e politica dell'Europa viene attraversata dall 'aucsa, da parte dei delusi. della seconda, vera, rivoluzione reale e inlcgmlc. che deve dare soddisfazione posteriore agli ingannati e a chi nelle grclJldi giornate era rimasto indictro».1 di modo che di fronte a qualunque tipo di sconfitta si possa sempre dire a propria consolazione: sì, però. la lotta continua! Se Sloterdijk, il cui pensiero non è esente da venature reazionarie4 , tuttavia non sbaglia quando tratteggia l'atteggiamento complessivo del militantismo di sinistra come una forma di psicologia della sconfitta, ossia di quello spirito del risentimento che permette ai vinti di trasformare le loro déblicles in programmi di sopravvivcn1..a, le delusioni in speranze rinviate e gli scacchi in sogni di rivincite finali, prende però un abbaglio allorché annette anche Walter Benjamin 5 al numero dei perdenti risentiti - paragonandolo addirittura a Toni Negri -, ai nipotini del profetismo iroso che, più esce sconfitto dalla storia, più si incaponisce nel lanciare ogni sorta di maledizioni e nell'augurare al vincitore attuale tutto il catalogo delle possibili djsgrazie, il cui ventaglio spazia dai denti che gli si devono spezzare nella bocca alla gioia che proverà il giusto nel lavarsi i pjcdi nel suo sangue cmpiofl. In un libm precedente tradotto in italiano con il titolo Il ,oondo demro il capitale ma che in realtà vuole indicare il capitale come un intérieur che ha risolto dentro di sè il mondo, ossia ciò che fino a poco tempo fa era l'esteriorità e il fuori, Sloterdijk c'era andato con Bcnjamin, se possibile, ancora più pesante'. Prendendo spunto dalle esposizioni universali che costituiscono la prima proiezione pubblica di un mondo interamente dominato dalla forma merce, Sloterdijk attribuisce alla metafora del 'Palazzo di cristallo', usata da Dostoevskij nelle Memorie del sottosuolo ( 1864) per indicare il palazzo dcli· esposizione universale di Londra del 1862, la prestazione di dare forma visibile al processo di interiorizzazione del mondo da

3 4

5 6 7

P. Slott:rJijk. /ra e tempo. ed. it a cura di G. Bonaiuti. lr. di G. Pclloni. Mchemi. Roma 2007. pp. l 33-134. Su SlotenJijk si vedano le acute osservai.ioni di Maurizio Zanardi in L'espansio11e della poli:.ia. in AA. VV.• Sulla violenzt1, Cronopil), Napoli 2009, in particolare la nota a p. 30. P. SlotenJijk. /ru e tempo. cii., p. 68. (\'i. p. 102. Sono due delle maledizioni del Salmo 58. Il titolo originale è infatti In Weltinnenraum des Kapital, ovvero Nell'internomondo del capitale~ l'edilìonc italiana a cura di G. Bonaiuti e lr'ctdutla da S. Rodcschini i: pubblicata dall'editore Meltcmi, Roma 2006.

lntrod11zio11e. la rfrolu:.ione mggelaru

11

parte del capitale, processo che tanto più si afferma quanto più, allrdvcrso l'uso del binomio tecnico del ferro e del vetro, produce l'illusione che sia l'interno ad aprirsi integralmente al fuori. t-in qui il discorso di Slotcrdijk coglie nel segno: meno invece quando contrcipponc il • Palazzo di cristallo' dostocvskijano al •passage· bcnjaminano accusando quest'ultimo di essere «un oggetto anacronistico», una , va m~ssa in cviden1..a la centralità del tema della disperazione: se il capitalismo è. e non si appoggia su, una religione, tuttavia come tale è il «primo caso di culto che non purifica ma colpcvoliu.a»JC'. Come nel mito, concetto elaborato negli stessi anni in saggi come Destino e carattere e Le affinità elettive di Goethe, anche nella religione ~c1pitalistica «un'immensa coscien1..a della colpa. che non sa purificarsi. fa ricorso al culto non per espiare in esso questa colpa, ma per renderla universale. per martellarla nella coscienza. e infine e soprdllUtto per coim·olgerc Dio stesso in questa colpa, e interessarlo alla fine a11 ·espiazionc»31 • Non tenteremo di chiarire quale sia questo culto che colpcvoliz1..a - forse quello dell'accumulazione di fronte al quale non ci si può che sentire colpevoli: non si riesce ad accumulare mai ahbastan1.a! -; più decisiva ai nostri fini è la tesi del coinvolgimento di Dio nella dimensione della colpa che deve spingersi fino «al raggiungimento dello stato di disperazione del mond0>>)2 • Quella malattia mortale che è la disperazione raggiunge il culmine quando ci si convince che nemmeno Dio ci può salvare dal momento che anche Lui è in\'ischiato nella colpa. Tutta\'ia, 28

29

30 31 32

È estremamente rile,:antc a proposito della continuità o meno del concello di politica in Bcnjamin il fatto che il Frammento teologico-politico sia stato oggetto di una disputa filologica sulla sua data1Jone che ha visto da una parte Adorno schie· rato a f a\'ore della tesi della sua contemporaneità con le Tesi sul concetto ,li storiu. risalente quindi alla fine degli anni trenta, e dall'altrc1 Scholcm e Ticdenuum allineati su quella esattamente opposta (su cui però tutte le edizioni successi\-·e delle opere di Benjamin si attestano) della sua appartenenza agli anni gio\'anili. ossia ai primi anni venti. Se la data1.ionc del Frammento 1eol,,gico-poUtico ha prodotto una discussione simile, ciò vuol dire che la teoria della politica di Benjamin non è mai cambiata nei suoi tratti essenziali. Si vedano almeno i saggi compreiii nel volume Il cupitalisnw divi,w (Mimesis, Milano 2011) e il libro di Elettra Stimilli, Il debito del •;ivente. A'icesi e capitalismo, Quudlibet, Macerata 2011, in particolare pp. 176-181. W. Benjamin. Capitalisnw come religione. tr. il di M. Palma in Id., Scritti politici, cit., p.84. Ibidem. Ibidem.

lntroJ14zio11e. la rfrolu:.ione mggeluru

23

nelle condbdonc date della modernità. lo stato di dispcrdZionc del mondo, la frantumazione dell'essere prodotta dalla religione capitalistica, è l'unica cosa che si «può appena sperare», l'unica da cui ci si può aspettare la salvezza. La caduta di Dio dalla trasccndcn7..a in cui abita\la in epoche passate - un altm modo per dire che ogni escatologia è finita - e che assomiglia a quella vertiginosa che I' Ursprung attribuirà al Tiranno barocco nel momento in cui cerca di decidere per lo stato d•eccezione e per iI ripristino di quel lo di natura (vedi il capitolo terzo di questo libro), non è un processo da combattere e tentare di frenare: va al contrario portato fino in fondo. Questa strc1na dialettica fra dispera7Jone e redenzione è la stessa che il Frtumnento teologico-politico coglie nel rapporto fra lo storico e il messianico: se solo al Messia è dato di compiere «ogni accadere storico e precisamente nel senso che egli sottano redime, compie e produce la relazione fra questo e iJ messianico stesso». aJlorc1 ne consegue che «nulla di storico può volersi da se stesso riferire al messianico»l.'. In altri termini il passaggio o il saJto dallo storico al messianico è operato da quest'ultimo e non dallo storico stesso. Lo storico non ha come suo scopo ultimo la reali7Jzzionc del Regno di Dio che è inva.--e Jo scopo del messianico. DaJ punto di vista dello storico il Regno di Dio è piuttosto il termine. ciò che lo conduce all'estinzione. li titolo del fo1mmento mostra in tal modo il suo carattere ironico: il teologico-politico nell'accezione di Bcnjamin si oppone a qual unquc forma di teocrazia politica, ovvero la realizzazione del Regno di Dio in terra. Anzi il f mm mento ribadisce in ogni modo come lo scopo dello storico, cioè di ogni ordine mondano. sia. come già si è visto, tramontare, giungere alla sua dissol uzionc. Questa tesi, tuttavia, non va in contraddizione con l'altra. espressa con altrettanta fon.a e determinazione, secondo la quale lo scopo dell'ordine storico. cioè profano. se non è il Regno, è però la felicità. I.a questione è quindi come può il profano, il cui scopo è la felicità. trctpassarc ncJ messianico che ha uno scopo. se non del tutto contrc1ddittorio. diverso e opposto, e cioè il Regno di Dio. La risposta di Bcnjamin è affidata a un'immagine: «Se una freccia. scri\'C, indica lo scopo verso il quale opera la Dynamis del profano e un'altra la direzione deU'intcnsità messianica. allora la ricerca di felicità dell'umanità libcrc1 diverge certamente da quella direzione messianica, ma come una for7.a. attraverso la sua tmieuoria. può favorirne un'altra diretta in senso opposto, così l'ordine profano del Profano può favorire l'avvento del regno mcssianico)>.w. 33

W. Benjamin, Frummento teologico-politko. tr. it. di G. Agamben in Id., Opere complete, cit. voi. I. Scritti 1906-/922, p. 511.

34

Ibidem.

24

li law1ro del limo

Storico e messianico. profano e Regno, vanno in direzioni opposte: tuttavia le due for,..e contmric invece di annullarsi possono rinforzarsi a vicenda e la dynamis pmfana favorire l'intensità messianica. Come può aversi un tale risultato'? Tutto dipende dal modo con cui Benjamin intende la felicità quale scopo del profano: la felicità è trdmonto. Felicità non è sospensione del tempo in un perfetto stato di natura. ma aspirazione di ogni essere terrestre al suo tramonto. Se sul piano del messianico la natura si trova destinata all'immortalità e perciò pmva dolore per la sua attua1e caducità e incompiutezza, su quello dello storico la stessa caducità invece aspira a trm1are la sua giustificazione. Cosicché i due ordini. pur divergendo, s·incontrano: la ricerca ostinata della felicità che per la natura è glorificazione della sua caducità essenziale e quindi una fonna d'immortalità profana trapassa senza intenzionalità alcuna nell'immortalità messianica. Il rapporto fra i due ordini è simile a quello che un frammento quasi coevo instaura in una modalità radicalmente antifcnomenologica fra il corpo fisico-naturale (Leib) e il corpo (Korper) come cosa di Dio. L'uomo è contemporaneamente corpo fisico e corpo divino: il primo che è giudicato secondo il principio del piacere cd aspira quindi alla felicità. tende come tutto ciò che appartiene alla natura alla dissolu1jone e al tramonto; il secondo invece che è destinato qualunque cosa faccia alla resurrezione è governato dal dolore per il fatto di trovarsi costretto anche se temporaneamente nelle mani della natura3~. Comunque sia quel che conta è che se anche la natura deve partecipare del movimento del messianico, il modo con cui quest'ultimo. dopo essersi instaurato - è il messianico che stabilisce il rapporto fra lo storico e se stesso-. se ne farà carico sarà quello del movimento incessante di un tramonto: «Alla restitutio in integrum spirituale, che conduce all'immortalità, ne corrisponde una mondana. che porta al l'eternità di un tramonto e il ritmo di questa mondanità che eternamente trapassa, e trapassa nella sua totalità, non solo spa,,jalc, ma anche tempor-cl.lc. il ritmo della natum messianica è la fclicità» 36 • Tendere aJla caducità della natura anche per quello che riguarda l,uomo, conclude Bcnjamin, è «il compito dctla politica mondiale, il cui metodo deve essere chiamato nichilismo» 37 • Forse solo una politica del lutto malinconico. una politica del nichilismo realizzato, sarà in grado di sciogliere una rivoluzione raggelata. 35

a·r. W. Benjamin.Fisicoecurpo,tr. il.di M. Palma in ld.,S,·rinipolitici,cit.,p.69.

36

W. Bcnjamin, Frammentu teologim-po/itico,cit., pp. 512-513. Su questo punto si veda la puntuale interpretazione di fabrizio Desideri e Massimo Baldi nel loro Benjamin (Carocci. Roma 2010, pp. 68-70). h·i. p. 513.

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CAPITOLO PRIMO LA FORMA E IL VINCOLO

... ma che sotto un guscio più volle mutalo. pur sempre poté conservarsi uno slcsso nocciolo di natura e di felicità che sempre. secondo ogni umana aspeltazionc, si conserverà in seguito. J. G. Herdcr, Anc:ora u1Ja filosofia della storia per

l'educazione dell'uma11ità

I . Dialellica e materialismo fino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. ed in pane anche dopo, il panorama degli studi hcnjaminiani. non soltanto in Italia, Cl"'d dominato da un parc1digma che si potrebbe chiamare, secondo uno stile messianico-paolino ancor.i oggi di moda', della "conversione": intorno agli anni Trenta. non si sa su che via, Benjamin sarebbe stato fulminato dall'illuminazione storico-materialista. Dopo di allor.i una partizione non proprio originaria avrebbe suddiviso i suoi scritti più o meno d'occasione in quelli sussumihili nella rubrica "teologia e/o idealismo.. e in quelli classificabili Ci riferiamo alla leuura di San Paolo in chiave ebraico- messiani1:a iniziata da Jacob Taubes (cfr. J. Taubcs. Lo teulugia politica di San Paolo, tr. il. di P. Odi Santo.Addphi. Milano 1997) cui si è tentalo di ricondurre Benjamin sia da r,arte dello stesso Taubcs (cfr. J. Taubes, l',~lter Benjamin - un morcio11istll moder110? Scholem interprete di Benjamin: un esame allt, luce della religione e J. Taubcs, Le "Tesi difilo.mfia della storia "di \\tilter Benjamin, entrambi in J. Taubes. Il pre:.:.o del mes.fianesimo, tr. it. di E. Stimilli. Quodlibct. Macerata 2000, pp. 57-104), sia in seguito > 22 • Non mi soffermerò sulla somiglian,..a, che in qualche caso sfiora 1'a~soluta identità. fra queste proposizioni di Dcleuze e concetti e frasi di Bcnjamin concernenti la natura delle immagini dialettiche:J. Più importante è tentare di capire il metodo, riflesso o no, formalizzato o meno. necessario per mggiungere lo scopo del ..fare l'immagine.. : I'esaurimento del possibile. Lo sfondo di ogni vita e di ogni linguaggio è, secondo Dcleuze, il possibile, vale a dire (ed è evidente l'eco leibniziana di questa affenmvione) l'insieme delle disgiunzioni esclusive: piove-non piove, il dado è tratto--non tratto, Adamo pecca-non pecca, etc. Tuttavia quando si vive e si parla, cioè quando si tende a realizzare un possibile, ciò avviene «sempre in funzione di ceni scopi, progetti e prcfcrenze»24 • La messa in atto di un possibile, cioè, «procede sempre per csclusionc»:!S, dal momento che implica appunto la possibilità di sostituire una opzione ad un'altra, una variante alla precedente e cosi via. Se non si avesse davanti agli occhi, almeno virtualmente o in poten1.a, rintcro quadro delle variabili, cioè delle - - - - - - ·---------· --

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lvi,p.23. lvi. pp. 27-28. Al cui proposito Bcnjamin scrive: .cNon è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente Cblitzhaft) con l'ora in una costellazione»; «Ogni presente è determinato da quelle immagini che gli sono sincrone: ogni adcsso è I'adesso di una detcnninata conoscibilità. In questo adesso la "·erità è carica di tempo lino a fr.tntumarsi»; «L'immagine dialettica è un immagine balenante»; «Il materialismo storico deve rinunciare all'clcmenlo epico della storia. Esso fa deflagrare l'epoca dalla reificata "continuità della storia". Ma forza anche l'omogeneità dell'epoca. La riempe di t.-crasitc. cioè di presente»: «La storia si frantuma in immagini, non in storie»: cfr. W. Benjamin, Parigi. Capitale del XIX secolo. cil., PI>- 598,599, 614. 615,618, N 2a, 3 - N 3, I · N 9. 7 - N 9a, 6 · N 11, 4. G. Ddcuie. L'esc,usto. cil.. p. 10. Ibidem.

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possibilità, non si potrebbe scegliere di volta in volta ciò che risponde di più agli scopi. ai progetti o alle preferenze in cui decidiamo di impegnare la nostra vita. Tutt'altra cosa. prosegue Delcuzc. è l'esaurimento del possibile: in questo caso «le variabili di una situazione si combinano a condizione di rinunciare a ogni tipo di prcfercn1.a, a qualsiasi organizzazione di obiettivi. a ogni fom1a di signi fil.--ato» 26 • A differenza del corso normale della vita in cui lo sfondo ontologico del possibile viene usato per attualiz7.arc il passaggio all'esistenza, cioè per scegliere. selezionare, preferire in vista di scopi sia teoretici che pratici e viene quindi indirettamente confennato come l'orizzonte al di là del quale è impossibile spingere sia la condotta che il pensiero. in quello .. limite" dell'esaurimento si tratta di atteggiarsi nei confronti del possibile come lo scrivano melvilliano Bartleby21 la cui preferenza, quindi il suo esercizio dcJla libcnà, consiste nel non preferire. nell 'csscre esonerato dalla prefcren7_.a. Nel condursi come colui che preferisce di non preferire si ha il collasso del possibile: quest'ultimo viene souoposto ad una combinatoria che include la disgiunzione esclusiva, che non sceglie. perché non si lascia guidare da uno scopo e perché non intende introdurre un significato o un ideale nel possibile. fra essere-non essere, piove-non piove, et.: .. ma percorre tutti e due i lati della disgiunzione facendo in modo di ncutru.li7.7.arl i. Quando si sceglie. infatti. la variante .. piove... non per questo quella .. non piove.. viene annullata o scompare: resta in riserva, si potrebbe dire, pronta per essere scelta la volta successiva se ciò dovesse rivelarsi necessario. Nell'esaurimento, invece, non scegliendone alcuna, entrambe le varianti vengono annullate e ciò che resta è l'immagine. Quest'ultima dunque è (I') al di là del possibile. è il necessario o l'impossibile, ciò che si ottiene per esaurimento, per esaustione, del possibile. L'immagine è. come scrive Dclcuzc:M, l'oggetto = X, un oggetto innominabile e impensabile 26 27

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lvi.p.11. Il rin\'io al racconto di Meh•ille si trova a pagina 12 detr Esau.'ìto. Ma su Ji esso si veda G. 0..-leuze. Bartebly, ou la form11le, in Id., Critique et clinique. Minuit. Paris 1993, tr. it. di S. Verdicchio in G. Dcleuze e G. Agamben. Bartleby. La formula della creazione, Quodlibet. Macerata 1993, p. 7sg. E l'oggetto di cui parla Molloy e che «consisteva in due X unite tra loro. a li\'ello dell'intersezione. da una sharra. e assomigliava a un minuscolo cavalletto da tagnalejnv; di quest'oggetto perfettamenle simmetrico. chiastico in sommo grado, non si poteva «parlare di destra e sinistra, di inferiore e superiore. l>erché quest'oggettino non sembrava avere una base propriamente detta. ma era comunque stabile su una qualsiasi delle sue quattro basi. e sen1.a mularc in nulla d'aspetto, il che non accade con il vero cavalletto. Qucslo str.mo strumento non credo di averlo ancora da qualche parte. non essendomi mai potuto risol,·ere a ri-.·-

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Il lavoro ,Jel lutto

perché appunto im,x>ssihilc. ma che tuttavia è là, si mostra e appare, usando I'apparcn7.a. a seconda dei casi e delle situazioni, come una gala, uno specchietto per le allodole. un involucro o un velo. L'immagine quindi è l'oggetto= X più la veste di finzione, vale a dire la sua resa fantasmatica, che rendono visibile in modo obliquo ed indiretto. invertito insomma, ciò che in linea di diritto si sottrarrebbe ad ogni esibizione empirica. Si tratta adesso di mostrare come il metodo dell'esaustione del ~sibile e del suo effetto immaginale si ritro\·i in Henjamin e s·incontri con il materialismo storico-dialettico. In un frJmmento del Passagen Werk in cui Benjamin elabcm1, come lui stesso scrive, una «piccola pro,x>sta metodica per una dialettica dclJa storia della cultum>>. si discute un procedimento tipico della storiogrdfia non necessariamente d'ispira?Jonc storicistica. vale a dire l'abitudine di e che «il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tulle le situazioni sodali. l'inccrteZ7.a e il movimenlo eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti», di modo che «si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerdndi» e «si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile». viene «profanata ogni cosa sacra e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri specifici rapporti»"". Tuttavia, se tutto questo è vero, se la modernità capitalista si caratterizza per un processo complessivo di emancipazione, anche spietata, da ogni vincolo di natura mitica. per la revoca di ogni crcden1.a e per l'annientamento sistematico di tutti i contenuti vitali, storici, religiosi e linguistici, ciò non vuol dire che il movimento cui il capitale sottopone l'intera sfera della vita umana compresa la natura sia semplicemente distruttivo: questo immane processo di combustione del passato. di spostamento e mobilitazione di uomini e cose, di forme di vita e di pensiero. libera e crea, aggiungono Marx e Engels, «for1.e produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali. le macchine, l'applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, la navigazione a \'aporc, le ferrovie, i telegrafi elettrici. il dissodamento d'intcri continenti, la navigabilità dei fiumi. popolazioni intere sorte quasi per incanto daJ suolo - quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttivc»45? Sorvolando sul fatto che in questo elogio delle forze produttive sembra di avvenire un'eco fourierista e dando per scontato che la loro poten1a, pur essendo innescata dal capitale, è messa a freno dalla privatezz.a in cui sono mantenuti i rapporti di produzione. ciò che qui va messo in evidenza è che il modello concettuale che sottende il discorso di Marx ed Engcls può essere quasi perfettamente ritrascritto nel linguaggio dei teorici del primo-romanticismo il quale, di conseguen1.a, si presenta, almeno dal pun44 45

K. Marx e F. Engels, Manifesto del partito comunista. tr. it. di E. Cantimori Mczzomonti, Einaudi, Torino 1966. pp. 103-4. lvi, p. 106. Per una critica del capitale come mobilitazione si veda Collettivo 33, Per l'emandpa1.i011e. Critica della nonnolità,Cronopio, Napoli 1997. in particolare pp. 42-45.

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to di vista di Benjamin e secondo un principio di connessione non causalislico ma csprcssivo46 , come il corrispcllivo sul piano della produzione immateriale di questa epoca)c trasformazione del modo della produzione materiale. Sia che si usino le parole di Novalis secondo le quali «romantici7.7arc non è altro che un potenziamento qualitativo», un «dare a ciò che è comune un senso elevato. a ciò che è consueto un aspetto pieno di mistero. al noto Ja dignità dell'ignoto, al finito un'apparcn7.a infinita» e viceversa a ciò che «è elevato. ignoto, mistico. infinito 1..• I un 'espressione corrente» 47 • sia che si ricorra a quelle altrettanto famose di Schlcgcl per il quale «la poesia romantica è una poesia universale progressiva. Il suo scopo non è solo quello di unificare nuovamente tutti i generi separati della poesia e di porre in contatto la poesia con la filosofia e la retorica. F.ssa vuole, e deve anche, ora mescolare ora fondere, poesia e prosa, genialità e critica, poesia d'arte e poesia della natura, rendere la poesia vivente e sociale e la vita e la società poetiche. pocticiz1.arc l'argu1ja e riempire e satumrc le forme d'arte con la più purc1 materia culturale d'ogni specie e animarle con lo slancio dcll'humour».aK, in tutti i casi questo incessante scambio del rc-,lle col possibile, del contenuto con la fonna. del particolare con l'universale. del concreto con l,ac;tratto e viceversa. \/iene letto da Bcnjamin non in chiave meramente nichilista cd analitica, bensì anche e soprattutto costruttiva e

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È la solu1jone di Renjamin al problema del rapporto fra struttura socio-economica e sovr.astruttura culturale: «Marx descrive il nesso causale:- tra economia e civiltà. Ciò che qui importa è il nesso cspressi\'o. Non si tratta d'illustr.m~ l'origine economica della civiltà. hcnsì l'espressione dell'economia nella sua dviJlà. Si tratta, in altre parole, del tentativo di afferrare un processo economico come un fonomeno originario ( Urphiinomen) intuibile, dal quale procedono tulle le mani· ft"stazioni vitali dei passagcs (c. in questo, del XIX secolo)». cfr. W. Rcnjamin. Parigi. Capitale del XIX secolo, cit., p. 595, N la. 6. Novalis. Operafilosofica,ed. it. a cura di G. Moretti e E Desideri, bnaudi,Torino 1993, voi. I, p. 484. Sull'estetica romantica con particolare riferimento al circolo jcncse si vedano F. Rella, L'estetica del nm,antidsmo. Donzelli, Roma 1997. pp. 33-40 e P. D'Angelo. L'estetica del romanticismo. il Mulino, Bologna 1997. soprauuuo p. 141 sg. F. Schlegel. Frammenti criti,:i e poetici, ed. it. a cur,1 di M. Cometa. Einaudi, Torino 1998. p. 43: una traduzione del fn,mmmcnto 116 dt:11' «Alhcnaeum» si trova ora anche in A1henue11m 1798-1800. ed. it. a cura di G. Cu~tt:lli. Sansoni. Milano 2000, pp. 167-168. Su Schlegel si vedano C. Ciancio, Friedrich Schlegcl. Crisi della filosofa, e rivela:.iune. Mursia. Torino 1984. in particolare p. 110 sg., E Cunihcrto, Friedrich Schlegel e l'assoluto letterario, Rosenhcrg & Scllier, Torino 1991. soprattutto pp. 93-105 e M. E. o•Agostini,Lo co11temporaneità mmantica. Friedrich Schlegel e lll poesill europea, Clueb. Bologna 1999, specialmente pp. I ;li-61.

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li lavoro del lutto

sintetica. Se per un verso il romanticismo divide e separa quel che era tradizionalmente unito e distrugge ciò che appariva, se non eterno. perlomeno stabile, per un altro verso fonde cd unisce quel che era prima sepamto e produce connessioni e relazioni totalmente nuove: per esso. si potrebbe dire con le parole di Novalis, «tutti i casi della nostra vita sono materiali di cui possiamo fare ciò che vogliamo( ... ! Ogni conoscenza, ogni avvenimento, per chi è completamente spirituale, costituirebbe il primo elemento di una serie infinita, l'inizio di un romanzo infinito»"" si trasfonnerebbe insomma in un'occasione50 e in un pretesto per dare vita a concatenazioni inaudite cd impensate. Tanto evidente cd esplicito è quest'aspetto positivo della teoria romantica, che Bcnjamin può leggere la tesi della superiorità della critica sull'opera professata da Novalis e da Schlegel non come l'esempio di uno sfrenato arbitrio soggettivo bensl come l'applicazione di un 'intenzione completante e oggettiva: la critica, scrive, «non dovrebbe far altro che scoprire le segrete disposizioni dell'opera. compiere le sue nascoste inten1joni. Nel senso dell'opera stessa, cioè nella sua riflessione, essa deve sopravan1..arla, renderla assoluta»!>•. La stessa ironia romantica non si risolve interamente nel suo lato distruttivo: «La fom1a dctenninata, scrive Bcnjamin, dell'opera singola, che si potrebbe definire come la forma di esposizione, diventa la vittima della distruzione ironica. Ma su di essa l'ironia dischiude un cielo di eterna forma, l 'idca della fonna, quale può denominarsi la forma assoluta; cd essa attesta la sopravvivcn2.a dell'opera che attinge da questa sfera il suo indistruttibile sussistere, dopo che la fonna empirica, espressione della sua riflessione, come riflessione isolata, le è stata strappata»52 • Se per il romanticismo è lecito parlare di un lato distruttivo, questo \'a allora individuato per Bcnjamin nella capacità di rendere l'opera incompiuta e per ciò stesso bisognosa di un completamento: si tratta, in altri tennini. di scardinare tutto ciò che la tradi7Jone presenta come un prodotto finito e un contenuto formato~ trasformarlo da opera compiuta in semplice frammen49 50

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Novalis. Opera filosofica, cit .. p. 383, un'altrd traduzione del frammento 66 di Polline si può leggere ora in Athenuewn 1798-1800. cit., p. 58. JI riferimento all"occasionalismo è la chiave interpretativa del romanticismo di C. Schmitt nel suo Politische Romanlik edito nel 1919 e ristampato nel '24: cfr. C. Schmitt. Romanticismo politico. tr. it. di C. Galli. Giuffrè, Milano 1981, p. 121 ss, in particolare p. 129. Nella prefazione del •24 Schmiu a\·eva ribadito che «il romanticismo è occasionalismo soggelliviu.ato; il soggetto romantico. cioè. considera il mondo come occasione e pretesto per la produttività romantica» (p. 21 ). W. Benjamin, // cncelto di critica nel romanticismo tedesco. cit.. p. 405. lvi. p.420.

Lt1 forma e il ••,i11colo

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to. cd inserirlo infine come fosse un tassello di un mosaico in una nuova connessione formale. 1.·estensionc da parte di Schlcgcl e Novalis del carattere completante e positivo della critica dal mondo dcli 'arte (in cui esso si manifestava attraverso la subordinazione della pmdu1jone poetica e letteraria alle prJtichc della parodia, del pastichc e della caricatura, cioè mediante la procedura della commistione dei generi per cui il quotidiano veniva idcali1.1ato e il sublime scadeva al livello della prosa e da cui, di conseguenza, invece di prodursi l'opera compiuta e a tutto tondo, riservata nelle epoche di dccadcn1..a solo agli epigoni. si sprigionava. come nel barocco e nell'espressionismo. uno specifico Kimstwollen, una determinata volontà artistica) alla sfera del passato in generale. vale a dire non solo all'intero spcuro delle fom1e di vita e di pensiero ma anche alla naturc1, porta Benjamin a parlare, ancorché in nota. quindi lateralmente e per inciso, dei carattere messianico del romanticismo-"3• Questo richiamo alla natura messianica della teoria della critica romantica cade in un luogo del testo in cui Bcnjamin, ad evitare che al concetto di .. poesia universale e progressiva,. di fricdrich Schlegel «possa congiungersi un fraintendimento modcmi:u.antc», vale a dire che si possa interpretare «la progressione infinita come una meni funzione delrindeterminata infinità del compito da una parte, e della vuota infinità del tempo dall'altrc1», ricorda che per i romantici «non si tratta di un procedere nel vuoto. di un vago poetare sempre meglio, ma di un dispiegamento e di un innal1.amcnto sempre più comprensivi delle fom1c poetiche». per cui «l'infinità temporale nella quale questo processo ha luogo è. ugualmente, un'infinità di naturc::1 mediale e qualitativa. Perciò, la progrt--ssivilà non è affatto ciò che è inteso nella moderna espressione di "progresso", non è un certo rapporto. puramente relativo, di stadi di cultur-c::1 frc::1 loro. Come l'intera vita dell'umanità, essa è un infinito processo di rcaJi1..zazionc e non un semplice divenirc».s,a. Se il messianismo, come si è già visto. indica il tempo in cui si attua la liberazione definitiva delrumanità dalla sottomissione alla natura, se esso realizza quella apocatastasi storica di cui parla il Passagen Werk, cioè la trasformazione di tutto il negativo in positivo, di tutta la decadcn1.a in beatitudine. allora il romanticismo. almeno quello del circolo di Jcna. almeno quello del primo Schlegcl e di Novalis, ne mpprcscnta una declinazione decisiva. un momento teorico fondante e irrinunciabile. Con l'aiuto della teoria della critica romantica si comprende il fatto che il tempo del capitale non è né un tempo omogeneo e vuoto né che l'immane processo di trasfor-

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lvi, p. 425. lvi, pp- 424-425.

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li lavoro del luno

mazione della vita che produce si può ingabhiarc nelle maglie strette del compito ideale - idcalin.azioni morali e flussi temporali ordinati e privi di devianze non sono ideologie solamente di ..destra", sotto la forma dei più vari storicismi e l'egida dei più nobili valori sono propugnati dalle borghesie illuminate e daJle socialdemocrazie di tutti i tempi. li tempo del capitale è al contrario un tempo mediale e qualitativo, non una mera sommatoria di quantità atomiche di tempo: quando, ad esempio, il lavoro della tessitura cambia domicilio e dall'abitazione privata si trasferisce nell'industria manifatturiera, esso, medializzato dalla forma socializzata della produzione, cessa di essere quella quantità determinata di la\'oro concreto, quella dose specifica di privata abilità. destinata all'ambito ristretto dell'economia domestica, e viene ad incarnare. come una transustanziazione materialistica e terrestre, quella nuova dimensione pubblica e politica del lavoro, propria di un'economia genenile e sen1.a impiego, che è la qualità dell'astrazione come misura del tempo di lavoro necessario. Attraverso la sussunzione capitalistica, il lavoro viene liberato dal rispetto della terre.i e dalla sottomissione allo strumento; attraverso l'identificazione al capitale. esso cessa di essere la punta estrema cd immediata in cui si scarica la spinta mediatrice dell'utensile e si riconosce invece come la poten1..a stessa della mediazione. Da questo punto di vista il capitale - del cui scheletro l'anima è sì il lavoro, benché non come anima bella, ma semmai come anima nera - è il .. mediale.. puro, assoluto, vale a dire sciolto o piuttosto divelto da tutti i vincoli naturali e sociali che lo tenevano, come il messia nei cicli. incatenato e avvinto nei meandri più profondi della terra. Si capisce adesso il rinvio iniziale di Hcnjamin a quella corrente del pensiero moderno di cui fichte, Schlcgcl e Novalis unitamente al primo Schelling erano stati gli esponenti più importanti e il cui compito essenziale era consistito nel rcstiture dignità filosofica al concetto dell'intuizione intellettuale. Se la modernità capitalistica ha posto all'ordine del giorno non solo il problema della distillazione del .. mediale" dalle incrostazioni empiriche che ne limitavano il movimento e le potenzialità, ma anche quello della sua visibilità pur se obliqua e indiretta. la concettualiz7.a7jone filosofica traduce tale esigenza di autocomprensione del sistema di produzione capitalistico nella questione della possibilità dell 'intuizionc intellettuale, vale a dire nella domanda intorno all'esperibilità di ciò che nel frattempo è stato individuato come condizione trascendentale di un'esperienza in generale, nella ricerca di una resa fenomenica cd empirica, quindi condizionata. di ciò che rappresenta il fondamento invisibile e ideale, cioè incondizionato, di ogni manifcstatività. Già in Kant. d·a1trondc, il concetto di espcrieni.a oscillava fra gli estremi dell'cmpiricità assoluta e irrelata, ossia

u, fornu, e il \IÙ1co/u

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immediata, e dcll'organiZ7.azionc di senso. quindi della mcdiv.ione, am:hc se solamcnlc iniziale cd abhoz1.aca: poiché il processo della trasccndcncali7.7.azionc non significa altro che la capacità da parte del pensiero di interrogare 1•espcricn7.a concreta del sapere e di estmrre da essa le condi1.ioni a priori, svuotate di ogni contenuto, che la rendono possibile. ne deriva che il termine esperienza indichi una volta il contenuto empirico, fattuale, che in un modo immediato cd imprevisto colpisce i miei sensi e li modifica. cd un'altra la forma, il nesso concettuale, in una parola il senso con cui le cose, in un modo che appare anticipato rispetto all'incontro effettivo con la loro durc:a.a e opacità, sembrano presentarsi al mio cospetto, divenire fenomeno per me, vale a dire per l'io, che appunto le esperisco/esperisce. le riconosco/riconosce come proprie. È possibile unire queste scisse rive in cui si separc1 l'esperienza in un unico processo che tenga conto sia dell'elemento di sorpresa cd arrischio. di novità assoluta, che attiene al concetto d"csperien7.a, sia di quello, altrettanto decisivo per la sua pensabilità, n1pprcscntato dalla sicurezza di ritrovarsi comunque a casa propria. come se da questo luogo trJnquillo e conosciuto non ci si fosse allontanati nemmeno per un attimo? Nel conl:Cllo fichtiano dcli .. lo puro". elaborato a più riprese nelle diverse stesure della Dottrina della scienza, i romantici individuano quella costruzione l:onccttuale alla a realizzare l'effettualità dell'intuizione inlellettuale: in una versione del 1797. infatti, I-ìchte definisce quest'ultima come «l'intuire se stesso attribuito al filosofo nel compimento dcli 'atto da cui sorge per lui I' lo. 1--:Ssa è la coscienza immediata che io agisco e di che LX>sa agisco, è ciò grazie a cui io so qualcosa, perché sono io a farlo»ss_ Se la coscienza in questione resta una coscienza particolare e immediata e si risolve quindi in un'intuizione. non si tr,llta però, chiarisce 1--ichtc. «di un"intuizionc scnsihile, che mira a una consistcn1..a materiale, ma di un'intuizione della pura attività, che non è statica, ma dinamica, che non è essere. ma vivere»~. l--1n quando rintuizione intellettuale resta l'intuizione di un fatto, di un oggetto. che in quanto tale o cade al di là della coscienza o vi si oppone, vale per essa il dh:icto kantiano, ma se l'oggetto in questione è la coscienza stessa. intesa questa volta non come una rapprcscnta1jonc o un essere. ma come un'attività e un vivere. allora quel divieto può essere tolto e l'editto che handiva l'intuizione intellettuale dal dominio della scienza esser revocato.

:ri'.'

~6

Cfr.J. G. Fichtc,Scriui .f11/la D011ri11adellasdenw /794-/804,ed. it.a cura di M. Sacchetto, Ulel, Torino 1999, p. 391. Jvi.p.593.

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li lavoro ,lei luno

La ricevibilità dcll'intui:,jonc intellettuale scmbm fondarsi aJlorc1 su queste condizioni: da un lato l'atto. se vuole essere vcrdmcntc tale. cioè vita umana. vita cosciente e consapevole. deve necessariamente pervenire alla coscienza di sé o all'autoconoscen7.a. vale a dire la sua azione deve essere la produzione di un oggetto che non è altro che una coscien1..a particolare e sensibile, un io-coscienza o coscicni.a-senso immediati ed empirici, in cui l'atto dell'Io puro o l'Io puro come atto. che di per sé è sciolto da ogni determinazione, si contingenti e si renda esperibile; dall'altro ogni stato psichico, ogni rappresentazione cioè di un io e per un io, che nel momento in cui viene esperito da una coscien1.a si presenta come un fatto - regola cui non sfugge nemmeno l'intuizione intellettuale che al filosofo si offre come un fatto della sua coscienza-, deve rivelarsi. proprio perché racchiuso nella forma dcWio, come un'eco dell'atto originario, mostrc1rsi, tal quale la luna se ci offrisse l'altra faccia. come un momento della vita assoluta e incondizionata. In questo modo l'imprevedibilità dcll'cspcrien1.a, incarnata dall'incsaurihilità dell'atto. dalla non antidpabilità di ciò che di volta in volta sarà roggctto della sua produzione può coniugarsi con la sua conoscibilità integmle e senz.a resti sen1.a che per questo sia costretta a perdere il camttcrc soggettivo e autocosciente e a vestire i panni della sostan1.a spinoziana57 • In questa versione della Dottrina della scienza, scelta anche perché in essa l'csposi:z.ione del concetto dell'intuizione intellettuale è più chiar.i ed esplicita, si è però forse già del tutto consumato quel passaggio dal primato della riflessione a quello della posizione che secondo Benjamin camtteriz1..a il pensiero fichtiano cd il modo con cui l'intuizione intellettuale entra nel bagaglio concettuale dei teorici romanticisis. In un passo risalente agli anni 1795-96, periodo in cui più intenso e a tratti dispemto è il suo studio della Dottrina della scienza del '94. Novalis scrive che se il sentimento, cioè il lato imrricdiato e soggettivo, e la riflessione, cioè quello mediato cd oggettivo, «nell'atto originario, sono una cosa sola», e se l'intuizione intellettuale è «un cffcno di scambio dell'Io con se stesso», «un effetto di scambio con l'atto originario», ne consegue che «l'atto originario è l'unità di sentimento e riflessione. nella riflessione>>, mentre «l'unione inlellettualc è la loro unità al di fuori della riflessione»~. Se la riflessione è sempre riflessione in se stessa dell'unità di sentimento e riflessione ed è resa pos57

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.cl.o stesso lo di ciascuno è l'unica sostanza somma». scrive Fichtc nei Principi de/l'intera dottrina della scienza sostenendo che la parte teoretica di qucsl 'ultima è •n:almcntc come a suo tempo mostreremo, lo spinozismo sistematico»: cfr. J. G. Fichte. Serilii .rulla D011ri11a della scie,,;.a l7'J4- / 804, cit., p. 177. W. Bcnjamin. /1 ccmcello di critict1 nel romanticismo tedesco. cit., p. 364. Novalis. Opera filosofie-a. cil., pp. 76-77.

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sihilc dal fatto che quell'unità si scinde originariamente in un sentimento tiella riflessione e in una riflessione del sentimento, ne consegue allom che la riflessione dcli 'unità di sentimento e riflessione divenga di nuovo sentimento che a sua volta si oppone in se stesso e si dh1 ide in un sentimento della riflessione e in una riflessione del sentimento e cosl via al! 'infinito. In ultri termini, come scriveva Fichte nel 1794, la riflessione «è forma della forma»""', è potere trasfomtante della fonna. Da questo discorso sul mppono fra intuizjonc intellettuale e riflessione discendono per i romantici due fondamentali conseguenze: in primo luogo che l'assoluto, cioè I'in~ondizionato. è la riflessione. vale a dire che ciò che si offre come l'immediato è la mediazione stessa resasi immediata o che la ritlessione è il ..mediale"; in secondo luogo, che la scclla a favore della ri ncssione contro la posizione, cioè contro fa tesi dcli' lo che pone se stesso e che ponendo se stesso pone anche il non-lo, ossia il limite, implichi I 'incsisten7.a e/o il dissolvimento di quest'ultimo. Per i romantici, si potrehbc dire, non esiste il non-lo, non esiste la natura. non esiste if 0 was": essi sono sempre unità di sentimento e riflessione. cioè forma in \lia di trasformai.ione. Nulla si pone fuori dell 'auo del pensiero inteso come (X)tcrc della forma: i romantici, scrive Bcnjamin. «aborrono la limita7jonc attraverso l'inconscio ( Unbewuj3te): non deve esserci altra limitazione che relativa. e anche questa proprio nella riflessione conscia» 61 • Il vero paradosso del romanticismo sta per Benjamin nel fallo che proprio l'assenza o il rifiuto d'ogni limite sia il limite insuperabile in cui finisce per imhattcrsi, lo scoglio che pennette di capire come un discorso che si voleva messianico e rivoluzionario si trasformi in un atteggiamento conservatore se non apcnamcntc reazionario, l'impasse che spiega come un progetto di salvezza integrale del passato possa rovesciarsi in dispregio dei vinti ed oblio del loro desiderio di giustizia. Se il romanticismo, d'accordo in questo con l'intera filosofia moderna. ha permesso di comprendere che if mediale, cioè il fatto che l'immediato è mediazione e viceversa, è la nuo\/a qualità dell'essere dell'ente e che quindi l'ontologia moderna è costituita dal rovesciarsi continuo e vicendevole del lavoro in capitale. dell'uso in scambio e del rapporto fra uomini in rapporto fra cose. il suo limite allora. non edificante cd idealista ma materialista ed etico, ossia ciò che può metterlo a freno e costringerlo a fermarsi. consiste nel far leva su ciò che. inconscio o preistorico, resiste al potere della riflessione. Per combattere quel che Marx ha indicato come il carauere precipuo dell'ideologia, e cioè 60 61

J. G. richtc. Sc-ritti sulla Dottrinu ,/ella sden~a 1794-180-1. cit.. p. l 12. W. Benjamin. Il concetto di critica nel romanticismo tedesco, cit .• p. 376.

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11 lm·oro del luno

l'attribuzione dell'eternità a ciò che è storicamente determinato. non basta riconoscere che un evento o un ·epoca abbiano una storia: anche il capitale ha la sua storia rappresentata da tutta la sfera del possibile, \·aie a dire i fatti, gli individui, le azioni e le idee.che scandiscono il suo lungo processo di trasformazione della vita. Ciò non toglie che il capitale come tempo mediale e quaJitati vo, come trasparenza assoluta della forma, sia la condi1jone a priori, la struuum trascendentale, cioè il presente eterno - o che si crede tale - di tutta la sua storia. Ciò che rende agli eventi il loro indice storico non è quindi la storia. ma la preistoria, ciò che non viene modificato dalla forma, ma anzi costituisce vincolo. perché da sempre si è sottratto allo spazio dell'ideali1.z.azione e si è semmai consegnato, per non essere cancellato definitivamente. alla traccia di una figura e di un'immagine. Se del capitale è possibile una critica politica, infine, è perché esso non riesce oltre un certo limite a nascondere la preistoria da cui continua a provenire. il marchio di fabbrica che nessuna forma ideale riesce a cancellare: l'accumulazione primitiva che o sotto l'egida del libero mercato o sotto quella del dirigismo centralista dello stato moderno è comunque caratteri7..7..ata dal furto e dalla rapina, datrcstrazione violenta del lavoro e dalla sua sottomissione al comando altrui. Che tutto ciò rappresenta~sc un male necessario non annulla che la sua origine fosse ignobile e la sua opera un criminct>l. Tutto questo spiega ciò che aJtrimenti apparirebbe come un vero e proprio "finale a sorpresa" della disserta1Jone bcnjaminiana sulla critica romantica: il rinvio cioè inatteso e non si sa quanto "scientifico" alla teoria dell'arte di Goethe chiamata a far da contrappeso a quella di Schlegel e di Novalis. Esso rappresenta, pur usando come si vedrà un lessico e un impianto concettuali del tutto estranei se non opposti a quelli del materialisnm. il cavallo cli Troia con cui quest'ultimo si è potuto aprire un varco nella produzione giovanile di Benjamin. Se infatti l'opposizione cui ricorre per caratterizzare la differenza fra i romantici e Goethe non è certo quella fra idea e materia quanto quella fra "idea" e .. ideale". tuttavia mentre col primo concetto. scrive, s'intende in questo contesto «l'a priori di un metodo» e con esso si rinvia al romanticismo. con il secondo, invece. che si riferisce a Goethe. si designa «l'a priori del relativo contenuto»63 • L'opposi7jone in tal modo postulata da Bcnjamin fra i concetti di idea e di ideale potrebbe provenire da una lettura attenta, per quanto modificata ed invertita, della Critica della ragion pura di Kant cd in particolare di quella

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Su questo punto del concetto di preistoria in Benjarnin si ritomerà nell'ultimo capitolo. W. Benjamin. /1 conuno di critica 11el romanticismo tedesco. cit.. p. 441.

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parte dedicata al tema dcli' "Ideale della ragione pur-a... la cui prima sc1jonc porta come titolo Dell'ideale in genemle. In essa, dopo aver riassunto la diffcrcn1.a fra categorie e idee. Kant illustra il significato del concetto di ideale: mentre un'idea contiene «una certa compiutezza». indica cioè il soggetto in questione con tutti i suoi attributi, ma non può arrivare a nessuna conosccn1.a empirica di esso, l'ideale sarebbe un.idea rappresentata non semplicemente. come avviene invece per le categorie che si applicano alrespcrien1.a. in concreto, ma addirittum «in individuo, cioè come una cosa singola, determinabile, o anche determinata, solo mediante ridea»M. Ad ulteriore chiarimento Kant scrive, poche righe dopo, che se «la vinù, e con essa la saggez1.a umana in tutta la sua purez1.a, sono idee 1••• 1il saggio (degli Stoici) è un ideale, cioè un uomo, che esiste semplicemente nel pensiero, cd è tuttavia pienamente adeguato all'idea della saggc1.1.a»6..". Questa precisazione concettuale mostra anche quanta strada il moderno trascendentalista abbia percorso rispetto al padre di tutti gli idealismi: no più elementare su cui soffermarsi è quello fra il mezzo e il fine. Dal momento che la violen1..a è sicuramente un me7J..O, la sua critica, scrive Benjamin, sembrerebbe ridursi alla domanda se in quanto tale essa si riferisca a fini giusti o ingiusti. Tuttavia questa soluzione sarebbe impropria: essa non ci direbbe nulla sul camttere morale della violcn1..a come principio in sé. ma ci ragguaglierebbe soltanto sui casi della sua applicazione. In altri termini: è morale la violenza anche quando sia usata per dei fini giusti? Anticipando una presa di posizione che diventerà esplicita poche righe dopo, fin d'ora Bcnjamin mostra come per dare una risposta a questo tipo di problema sia necessario infrangere un postulato della teoria morale, vale a dire il rapporto mezzi-fini. Per il momento la tesi che viene formulata è la seguente: «per decidere questo problema (scii. resta un mezzo moralmente lecito la violenza quando sia giusto il fine per il quale \'i si fa ricorso'?) occorre un criterio più pcrtincntl', una distinzione nella stessa sfera dei mezzi. scn1..a riguardo ai fini cui essi servono»'-\

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W. Benjamin. Per la critica della violenza. tr. it. di R. Solmi in Jd., Op,•re compie· te,cit .• voi. I. Scrini /906-1922, p. -167.

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lbitle.m.

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Il lavoro del lutto

Tuuavia già la scelta di occuparsi della violenza come mc1.1.o facendo astrazione dai tini ha delle conseguenze considerevoli: quella per esempio di escludere dai confini di una critica della violen1.a una delle più importanti correnti della filosofia del diritto, la teoria del diritto naturale. Per il giusnaturalismo la questione dell'impiego di mezzi violenti a fini giusti non costituisce un problema dal momento che per esso «la violenza è un prodotto naturdle, per cosi dire una materia prima, il cui impiego non solleva problemi di sorta, purché non si abusi della violen1.a a fini ingiusti» 24 • Se nella teoria del diritto naturale, aggiunge Benjamin, le persone possono spogliarsi di tutta la loro autorità a favore dello Stato, «ciò accade in base al presupposto( ... ) che il singolo come tale, e prima della conclusione di questo contratto razionale, eserciti anche de jure ogni potere ( Gewalt) che detiene de facto»'!s. Qui l'ambiguità del termine Gewalt funziona a mcmvi glia: la violenza è un potere; la facoltà di obbligare le cose o gli altri a fare quel che si vuole attraverso l'esercizio di una fori.a è una disposizione naturale propria a ogni individuo, fa parte, si potrebbe dire, dei suoi possessi, delle sue pertincn7..c. Se questo potere è anche giustificato dal punto di vista del diritto è perché esso viene esercito per un fine giusto a sua volta naturale: quello della conservazione dcJla propria vita2tt. Non è un caso che l'unica situazione in cui gli individui possano ritirare la delega allo stato è quello in cui quest'ultimo abbia cessato di proteggerli. Contro il giusnaturalismo (che comprende Hobbcs, Spinai.a e si estende fino al terrorismo della Rivoluzione francese) si pone la teoria del diritto positivo: per esso ogni tipo di potere, compresa quindi la violen1.a, è storicamente divenuto, di naturcile in questo campo non esiste nulla. Per il diritto positivo quindi il problema della violcni.a si risolve in quello della sua legittimità, nella questione cioè se il suo esercizio discenda da un potere dato storicamente, in modo del tutto indipendente da un riferimento ai fini. Nonostante però quella che appare come una evidente superiorità del diritto positivo nei confronti del giusnaturalismo per il suo circoscrivere il problema della \'iolcnza esclusivamente nell'ambito di una critica dei mezzi. tuttavia nemmeno esso risponde vcrdmcntc all'esigenza di una critica della violenza come solo mezzo. C'è infatti un punto in cui le due scuole,

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lvi.p.468. Ibidem. A questo punto Bcnjamin collega in modo ardito la ttl·ojiu e etica. Scritli in o,uwe di Giml,uno Crc,wneo, Rubbctùno. Soveria Mannelli 2005, pp ..115-322. Questo legame, anticipato nello scritto sulla lingua. ripreso nel 1919 in Destino e am,ttere, e presente in Per la critica della \•ic,lenza sollo la dicilura della 'violenza milica', ricomparirà nel saggio sulle Affinità elettfre di Goethe e nelle pagine dell'Ursprung dedicale alla lragcdia antica: in tutti i casi - e ciò aiuta l'inlclligihililà del discor~o benjaminiano - il dirilto è \'iolento perché, partendo dal presupposto che l'azione umana è originariamente criminale e quindi colpevole, si \'olgc verso di essa sollanto nella forma dd castigo e quindi della pena. Per il diritto l'aziom.· non è mai huona in sé, è malvagia e: quindi mcritcnllc di essere

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li lavoro dei lutto

tcciparc alla dimensione di quest'ultima; lo sciopero generale proletario invece, che non mira ad una modifica par1.iaJc e locale delle condizioni del Javoro. ma alla liberazione del Javom in quanto tale dalle condizioni del comando statale, è per ciò stesso esente dal pericolo di generare a propria volta la violen1.a. Come ha notato Dcrrida. che d'altronde non dedica molto spazio alla questione dei mezzi puri, pure la non violen1..a che li caratteriz1..a non sembra essere «senza affinità con la pura violcn1..a»«1, con quella violenza divina immediata, incruenta e purificatrice con la tcmatiu.azionc della quale la riflessione di Benjamin si avvia alla conclusione. E in verità se abbiamo dato tanto spazio alla discussione intorno ai mc1..zi puri e non violenti, è proprio perché in essa si deve vedere a nostro avviso l'introdu:,jone anticipata del tema di una violeni.a pura, di una violenza del tutto separata dal diritto, di una violenza paradossalmente non violenta. Semhra quasi che la non violenza dei mezzi puri sia la sola porta, anche se stretta, aumverso la quale sia possibile organizzare un incontro fra la sfera dei mc1..7J e quella dei fini altrimenti negato in tutti i modi dalla teoriZ1.a1Jone bcnjaminiana dcli 'azione morc1le. Se si vuole portare a compimento una critica della violenza si dovrà finalmente affrontare la domanda intorno alla violcn,..a come fine in sé, indipendentemente quindi da ogni considerc11jone della sfera dei mezzi: come già sappiamo la mttura del circolo mezzi-fine è il presupposto quasi trascendentale del discorso di Bcnjamin. Se questa scelta esclude ogni riferimento alla violeni.a come mezzo legittimo-illegittimo. e quindi separa nettamente la violenza come fine dal diritto, non ci scmbrc1 che lo stesso si possa dire dei mezzi non violenti: anch'essi si staccano dal diritto, anch'essi sono puri. Forse la vera e unica differenza che passa tra i mezzi puri e la violeni.a come fine puro, come fine in sé, riguarda il fatto che i primi sono mediati e la seconda no, la violcni.a pura è immediata. Pur rappresentando pmhabilmcntc l'esser mezzo nella sua forma pura, inteso appunto come mcdialità originaria, i mezzi non violcnti restano comunque mezzi; ma appunto per questo implicano

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punita. Al dirillu per Benjamin si oppone da sempre la religione il cui scopo nei confronti dell'azione non è la pena ma la salveua e/o )a redenzione. La ,·iolenz.a del diritto quindi coindde con la realtà ddla pena che, come si è gìà visto, mira in ultima istan1..a alla vita in quanto tale. Gìà da queste:" osscrvujo,ù discende la necessità di limi lare l'uso del lcrmine violenza, risen·andolo solo alla dimensione della pena, e trovare un'altra parola per indicare quella rottura anche forte dei legami sociali che si può accompagnare allo sciopero generale proletario e alle altre forme di vioh:nza divina. J. Derrida. For4'J di JegRe, cil., p. 123.

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Violenza e crudeltà

un immediato altrettanto puro cui riferirsi e da cui distinguersi. Un'immediatezza che come tale è irmprcscntabilc dal momento che si sottmc sia alla visibilità ideale che alla resa intellettuale e discorsiva. Ma che allo stesso tempo cerca di aprirsi una stmda, indiretta e simbolica, verso il campo della rapprcscntwjonc.'11 La spia di questo legame fra i mc1.zi non violenti e la violenza pura è rappresentata forse dall'uso di due termini che pur essendo differenti manifestano una certa parentela ideale: a proposito dei mezzi puri Bcnjamin notava che la loro «manifcstazjonc oggettiva» era tuttavia determinata dalla «legge (Gel·et::.) che me1.1.i puri non sono mai me7.Zi di soluLioni immediate, ma solo di sol uijoni mcdiate»42 • In realtà ciò che il traduttore italiano rende con 'manifestazione'. ncll 'originalc suona· Erscheinung', un termine tecnico della filosofia tedesca, soprattutto idealistica, che vale per •fenomeno', 'apparenza'. 'scmbian1a·. Ma quando a proposito della violen1.a pura Hcnjamin scrive che essa «non è mezzo, ma manifestazione» in realtà usa ·Mcmifestation'. tcnnine il cui spettro semantico sta più sul lato dcJla rivelazione, dcli 'espressione. dcli 'esJX>sizione43 • Di certo non sbaglia il traduttore: anzi usando lo stesso termine egli coglie raffinità e la parentela che connettono i mezzi non violenti alla violenza pura. Affinità e parentela che non vanno tuttavia lette nel senso che i mezzi puri sarebbero gli unici legittimi pcrescrdtare la violcn7.acomc fine. ma in quello secondo il quale mezzi non violenti e violenza pum esprimono. ciascuno nel suo ambito. la stessa cosa: il ripudio del diritto, la rinuncia alla pena e l'opzione a favore della redenzione dell'azione umana. Se questa ipotesi è vera, allor.1 sarà necessario individuare nel campo della violen1.a come fine in sé, pura manifestazione, il corrispettivo dei mezzi violenti. di quella violenza come mc1..zo che fa tutt'uno col diritto. Alla violen7.a pura e incruenta si opporrà dunque una violcn1.a mitica. Questa differcnza non si limita però ad essere una semplice diffcren1.a di natura, si rivela contemporaneamente una diffcren7..a storico-filosofica: se la violcn1.a mitica è quella propria degli dei del P,c1ntheon greco, quella pura spetta al dio cbmico. Ed è con quest'ultima differenziazione interna - - .... --·-- . . .

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42 -U

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È quanto Bcnjamin ha temaliualo negli stessi anni cui apparticm: Per la critica tlel/t, violenw sollo gli indici del 'senza espressi>47 • E forse proprio in questo ristabilimento dei confini, solo momentaneamente infranti dalla tracotanza dcli ·eroe, che il destino trc1passa in diritto e finisce per confondersi con esso. Da questo punto di vista Bcnjamin ha ragione nel concludere che «lungi dall'aprirci una sfera più pun1, la manifestazione mitica della violcn1.a immediata si rivela profondamente identica ad ogni pQterc giuridico» e che ciò che nei riguardi della violcn1.a mitica si presentava ali 'ini1jo come «un sospetto di problematicità» si è trasforma45

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W. Bcnjamin, Per la t:ritica del/Cl violen7.tl, cit.. p. 483. Sulla figura di Niobe si veda ora il bel lihm di Massimo Palma. Benjamin e Niube. Genealogia ,le/la ·nuda vita'. Editoriale Scientifica, Napoli 2008. Ibidem. Ibidem.

li lt1voro del lutt

to alla fine «nella ccrtc7..7.a della perniciosità della sua funzione storica>>-. Ogni volta che si stabiliscono confini. che si tracciano cioè lince più o meno immaginarie sul corpo del reale, anche laddove si riconoscano diritti uguali alle parti in causa, sempre si tramuta un'imposizione del destino in una for7...a di legge, una necessità di fatto in una di diritto. Si stabilisce così un rapporto simmetrico ed inverso fra la violcn1.a mitica e quella divina: se la prima crea diritto scparcU1do. la seconda lo abolisce confondendo, cancellando i confini e le frontiere. Fermo restando che non è certo il dio ebraico che salva il mondo greco- come già si è visto il greco si saJva dalla violen,...a mitica attraverso l'esperienza dcli' eroe tragico - e tenuto conto che anche il dio ebraico subisce e/o produce il proprio mito - l'abbandono della vita creatura.le alla potenza del peccato-, riconoscendo insomma che un po' di Grecia trasloca nell'ebraismo e un po' di religione ebraica è presente sotto mentite spoglie anche nel mondo greco. non c'è dubbio che, messo alle strette, Benjamin opti per la superiorità del dio biblico. Una superiorità che, a nostro avviso, si compendia in un solo tratto: per il monoteismo ebraico il mondo è creato da dio, è creato dal nuJla e a questo nulla pul') ad ogni istante ritornare. Se il dio ebraico è il prototipo della violen1...a divina è perché egli può annichilire il mondo: non solo distruggendolo fisicamente ma soprattutto sospendendone si11e die le leggi che lo regolano. Insomma il mondo non è destinato ad essere eternamente come è. esso può essere rifatto dall'inizio. E con esso la vita umana che vi alberga che non è più obbligata a seguire le orme del destino o a subire i rigori della legge, ma può sperare di diventare vita giusta. La possibilità della speranza si fonda sull'annichilimento, ogni rivoluzione è nichilista. Questa doppia violen1.a, mitica e divina, è necessaria allora perché si possa sdoppiare la vita, dividere la vita in vita e vita giusta, vita colpevole e vita salvata. Non è sufficiente per salvare la vita postulare il principio della sua sacralità: non tutta la vita infatti è sacra ma solo quella vita salvata e resa giusta. Da qui deriva un 'altra distinzione. ossia quella fra la nuda vita, la vita di cui partecipano anche le piante e gli animali, la semplice z.oè, e la vita del vivente. la \·ita messa in forma, il bios: può accadere a volte che solo la distruzione della prima renda possibile l'esistenza della seconda. Allora mentre la violenza mitica colpisce la nuda vita senza però salvarla ma anzi rigettandola nella dimensione della colpa. la distruzione della nuda vita prodotta daJla violenza divina mira al contrario alla sua redenzione49 • 48 49

lvi, pp. 484-48.5. Si apre a questo punto un 'importante digressione ~ul senso da attribuire al comandamento 'non uccidere' che secondo Benjamin non può essere utili1.1.ato per com-

Viole11za e crudeluì

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Come fare a distinguerle'! Domanda del tullo legittima dal momento che il tratto forse più sconcertante di tutto il testo bcnjaminiano sta nel fatto che. benché rddicalmente differenti, le due violenze. quella mitica e quella divina, nell'esperienza concreta si confondono. Ciò dipende dal carattere del lutto irraprcscntabile della violenza divina la quale quindi per poter diventare percettibile è costretta ad utiliz1..arc l'altra ,:iolenza cui per definizione spetta l'occupazione dello spazio della rappresentazione. «Solo la violcn1.a mitica, e non quella divina. scrive infatti Rcnjamin, si lascia riconoscere con ccrte7.7.a come tale», dal momento che, aggiunge, «la for,.a purificante della violen1..a non è palese agli uomini». Se non forse attraverso alcuni «effetti incomparabili»,ccccdcnti cioè l'ambito delle compcten1.e della violenza mitica, e quindi del tutto imprevedibili. Il fallo allora che la pura violenza si trovi ad avere «a sua disposizione tutte le forme eterne che il mito ha imbastardito col diritto»~· significa non solo che essa è inantidpabilc, ma sopmttutto che quando la violen7.a si manifesta è radicalmente indecidibile, rx:rlomeno all'inizio, stabilire se ci si trovi davanti a quella mitica o a quella divina. Quest'ultima può dunque giungere a manifestazione attraverso una guerra messa in opera per sole questioni di diritto o «un giudizio di\'ino della folla sul delinquente». testimonianza all'inizio solo del più violento spirito di vendetta. Solo durante o verso la fine sarà possibile sciogliere il dubbio e riconoscere nello scatenamento della violenza mitica il manifestarsi di quella divina. E paradosso estremo della riflessione hcnjaminiana sul concetto di violenza. quella divina. pensata come un'insegna e un sigillo. da non confondersi mai con «uno strumento di sacra esecuzione», estranea quindi al sacrificio mitico. è contcmporancamcntc definita la violenza che governa (die waltende). differenziandosi così dall'altra, designata a sua volta violenza che domina (die scha/te11den). per un vero e proprio nulla 51 • Nulla più di un nulla divide le due \'iolcnze, e questo nulla è ciò che fa della violenza la 'non' violenza. Questo nulla ha un nome: è l'assenza del sangue, il niente sangue che caratterizza la violeni.a pura. Se la vendetta. embrione di tutte le forme del diritto. è sempre di sangue, la violcn1.a

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battere la pena di morte. Il comandamento infatti non è un giudizio sull'a1ionc delinuosa. resta anzi incommensurabile con l'a1.ionc. Il comando 'non uccidere· è solo una nonna dell 'a~ione «per la persona o comunità agenti;:. che devono fare i conù con esso in solitudine. e assumersi. in casi straordinari. la ~-sponsahilità Ji prescindere da esso». come nel caso della legittima difesa (lvi. p. ~). Per questa e le precedenti. lvi. p. 488. (Jr.. Ibidem.

li lavoro del lutto

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divina è incruenta; ma non per questo meno distruttiva, anzi. Al mito di Niobe Benjamin contrappone il racconto biblico di Còmch. Questi insieme alla sua tribù si era ribellato a Mosé che di fronte all'insurrezione aveva invocato il giudizio del Signore: se avesse dato ragione a Còrach avrebbe lasciato morire lui e la sua gente come tutti gli altri uomini, se al contrario avesse risposto alla sua richiesta allora avrebbe cream «una cosa nuova», avrebbe cioè fatto aprire la terra sotto i loro piedi in modo fa farli «scendere vivi nello Sceol (tenebre, abisso)». Appena Mosé ebbe finito di parlare, il terreno dove stavano Còrach e i suoi si spaccò, la terra si aprì, li ingoiò e poi li ricopri. Infine «un fucx..-o usci dal Signore e divorò» tutti gli uomini di Còrachsi. A proposito di questo mcconto. tre sono gli aspetti che Bcnjamin mette in evidenza: il primo è che il Signore colpisce dei privilegiati - taJi sono i leviti nella comunità che faticosamente Mosé sta guidando attraverso il deserto; il secondo che il suo intervento è fulmineo, non è anticipato da nulla, è «senza preavviso e sen1..a minaccia» - osservazjone quest'ultima che lo sepa,d nettamente dal diritto; ed il terzo che è non sanguinoso e purificante. anzi è purificante proprio perché non sanguinoso - unico caso in cui un olocausto non sia un sacrificio. li fuoco qui non cuoce, non rende commestibile un cibo altrimenti immangiabile: qui il fuoco si limita ad annichilire. distrugge senza dover spargere il sangue, purifica seni.a dover chiedere espiazione. Dei leviti più nulla, neanche il sangue.

3. Crudeltà In una ipotetica galleria dell'etica della crudeltà, accanto alla piccola Antigone, vergine cruda e impietosa, capace in nome delle leggi non scritte, non solo di portare al collasso le leggi della città e l'etica del bene da cui sono legittimate. ma anche il delitto che, trasmettendosi attraverso la catena delle generazioni, funesta da tempi immemorabili la stirpe di Edipo, bisognerebbe aggiungere anche Sade e l'idiota~. E ovviamente Bcnjamin: 52

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L'episodio è nanato in Numeri. XVt cito dall'edizione bilingue.ebrdico-italiano, della Bibbia ebruku a cura di Rav Dario Disegni, Pentateucu e Haft,uoth. Giuntina, F-iren1.e 2000, pp. 250-252. E ancora Antonin Artaud e la sua teoriuazione di un teatro della crudeltà. Qui per mancan1..a di spazio mi limito a un assaggio: «Per quella mania, oggi comune a tuui, di avvilire ogni cosa, quando ho pronuncialo la parola 'crudeltà'. lutti hanno immediatamente: inteso 'sangue·. Ma "teatro della crudeltà' vuole significare teatro difficile e crudele anzitutto per mc stesso. F. sul piano dello spettacolo, non

Violenw e crudeltà

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è evidente che la violenza ·non' violenta, la violcn1.a incruenta e purificatrice, la violenza che distrugge senza punire, di cui parla, equivale a ciò che chiamo crudeltà. Più che vendicati\.'O, il dio biblico come lo tmtteggia Bcnjamin è crudele, e se ci ama, il suo amore è un amore crudele. Ma 1·a~pctto ancora più importante che emerge dal testo benjaminiano consiste nel fatto che la manifestazione della crudeltà non solo è inanticipabilc perché irraprcscntabile, ma sopmttutto che utili7.7.a per raggiungere il suo scopo ciò che le si oppone, vale a dire la violcn7.a mitica. Ciò vuol dire che per riuscire a tematizzare la crudeltà occorre alle volte fare un giro lungo e passare anche attrdverso quelle che possono apparire come le forme più estreme di violenza. È il caso di Sa.de; figura sulla quale non mi dilungherò dal momento che ciò mi interessa in questa sede è. sulla scia di Lacan. isolare un punto che potrebbe tornare molto utile per l'elaborazione di un'etica della crudeltà. Quel che il sadico ricerca, quando sottopone la sua vittima alle vcssa,Joni più incredibili e alle torture più esecrabili, è l'angoscia dell'Altro54 ; né quindi il suo godimento di cui in realtà vorrebbe volentieri libcmrsi, né quello dell'Altro, perlomeno in questo caso non esplicitamente. Veder sorgere sul volto della vittima i segni dell'affetto dell'angoscia, questa è la finalità del sadico. Ma cos'è appunto l'angoscia, runico affetto che per Lacan abbia corso in psicoanalisi? Come a\o·eva già detto il tardo Freud l'angoscia è un segnale di pericolo, avverte il soggetto di un pericolo incombente. Il pericolo è che l'oggetto del desiderio. ciò che causa il desiderio del soggetto e lo costituisce come tale, stia per cadere al di là delle immagini, dei fantasmi e dei sembianti, con i quali abitualmente si traveste per rendersi abbordabile e trdttabile dalla psiche umana e si manifesti per quel che è, un oggetto perturbante e impossibile, eccessivo e irraprcsentabile, il cui orizzonte non è costituito dal piacere e tantomeno dalla vita, ma dal dolore e dalla morte. Sta in questo la perversione sadica: provocando l'angoscia dcli' Altro costringere nell 'apparcnza, far divenire fenomeno. l'oggetto del desiderio.

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è: questione Jella crudeltà che possiamo esercitare gli uni sugli altri squartandoci vicende\'olrncnte, seguendo le nostre personali anatomie, o come certi impcr.tlori assiri, spedendoci per posta sacchi di orecchie umane, di nasi o di narici accuratamente tagliati. bensì di quella assai più terribile e necessaria che le cose possono esercitare a nostro danno. Noi non siano liberi. e il ciclo può sempre cadere sulla nostra testa. Insegnarci 4ucsto è il primo scopo del teatro» (A. Artaud, Il teatm e il :ruo doppi>35 •

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W. Benjamin, Per ,m ritrutto di Proust, dt., ibidem .. Ibidem. lvi. p. 293.

Il tempo delta felicità

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Quanto più esteriormente invecchiamo, tanto più cresce in noi la messe del ricordo o piuttosto siamo noi a crescere in esso. Ma cos'è mai la vecchiaia se non la massa di tutto quello che non abbiamo vissuto nel momento in cui ci accadeva? Se invecchiamo infatti è perché nessuno di noi ha «il tempo di vivere i veri dr-dmmi dell'esistenza che ci è destinata». Le rughe e le grinze sul nostro volto cos'altro sono se non _ Benjamin è rimasto proustiano tino alla tinc, sempre per lui la felicità guarda al passato. è elegiaca, si compie nel tentativo di una restaurazione. Nella seconda tesi sul concetto di storia Benjamin scrive che si può essere invidiosi solo del ~salo. mai del futuro, e che ciò «comporta ~hc l'immagine di felicità che custodiamo in noi è del tutto intrisa del colore del tempo in cui ci ha ormai relegati il corso della nostm csistcn:z..a. t:elicità che (X>trcbbc risvegliare in noi 1·invidia c'è solo nell'aria che abbiamo respirato, con le persone a cui avremmo potuto parlare. con le donne che avrcbhcro potuto darsi a noi. In aJtre parole. nell'idea di felicità risuona ineliminabile l'idea di redcnzionc»l7 • Salvare la vita è ricordarla.

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Per questa e le pn..-ccdcnti, ivi, p. 294. W. Benjamin. Sul concetw di storia, cit .• p. 483.

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CAPITOLO QUINTO POLITICA E ROVINE

Così inunediate le rovi11e da assomigliare alla certeu.tJ dell'amore.

Vladimir Holan

I . Le rovine di Benjamin

Per il lettore esperto di lilosofìa e profondo conoscitore della produzione bcnjaminiana il significalo del titolo che ho scelto per questo contributo sul tema più gcncr,dc delle rovine risulta semplice e immediato: 'Le rovine di Bcnjamin' indica e compendia il ruolo e la prcseni.a del concetto di rovina all'interno della riflessione benjaminiana, la sua appartcnen:,.a ad una costellazione ideale di cui fanno p-drte i concetti affini di reliquia, ricordo. torso, frammcnto. scarto e rifiuto. Risponde alla domanda: che cosa ha pensato Bcnjamin pensando la rovina'? Per il lettore ingenuo. in\'ece. anche se non per questo meno acuto, un sintagma come 'Le rovine di Benjamin• potrebbe risuonare alla stessa stregua di un'espressione come 'Le rovine di Pompei•, oppure di una frase in cui si constati che quest'anno, a primavera, ho fatto un \'iaggio in Grecia per andare a ,,edere le rovine dell'Acropoli di Atene. In questo '-clso ·1..e rovine di Bcnjamin· vorrehbe dire: di Benjarnin, della sua vita. nonché della sua opera, restano ro\'ine e riflettere su Benjamin, interpretarlo o più semplicemente ricostruirne i tragitti esistenziali e/o le elabora.7Joni concettuali, significa aggirarsi in mezzo ad un agglomerato di rovine.

Per una prima ricognizione del tema in riferimento alla prima produzione bcnjaminiana rinvio al mio AlleRoria e rol'ina. Mmuiialfr.wzione e rcden:.ione 11el/'Ursprung des deursrhe11 Trauerspiels. in Id., La ling11a m111a e altri saggi benjC1miniani. cil .. pp. 143-162

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Il lavoro del lutto

Non so se ahbia forza di legge, ma sono egualmente convinto della verità iscritta nella tesi secondo la quale per poter pensare la rovina, per poter elevare questo concetto empirico al rango di una categoria, sia necessario esporre se stessi ad un divenir-rovina, sottomettersi ad un processo rm:inoso, esperire infine su se stessi gli effetti malinconici derivanti dallo scoprire che il proprio statuto soggettivo possiede la consisten7.a di ciò che resta di una dissoluzione2 • Questa tesi verrebbe confermata d'altronde dalla profonda revisione che negli anni venti - gli stessi della forma,jone e della prima produzione di Benjamin - viene condotta della dottrina delle categorie soprattutto da Heidcgger nel seminario sulle interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Se, come dice Heidegger. le categorie il cui scopo è quello di esprimere e interpretare la vita non sono né «una distorsione dello spirito» o «una fantasticheria della vita e del pensiero elevata a principio» e neppure «dei semplici dati accidentali banalmente constatabili», ma «sono in vita nella propria vita concreta». «in vita nella fatticità» 1 • se cioè le categorie prima di darsi nel e attra\1erso il pensiero, si danno nella e attraverso la vita. da cui solo in un secondo momento e a forza di riflessione vengono estratte cd isolate. allorc1 anche la rovina - che non lo si dimentichi è una delle categorie individuate anche da Heidegger4 - prima di essere un - 396.

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11 lnvoro del l11tto

tori .: dispersi che ne fanno parte. forte della teoria degJi insiemi di Gcorg Cantor che postula, acicga l'accusa nazista di essere una ·scien1.a ebraica·. Cfr. J. Lacan. Des Noms-d11-pi!re. Scuil, Paris 2005. W. Bcnjamin. Sul rnncello di storia,cit., Ibidem.

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Il lavoro del lutto

3. Politica e pessimismo

Nel saggio del 1936 intitolato allo scrittore russo Nikolaj Leskov e dedicato alla crisi dell'arte della narrazione databile a partire dall'esperienza inenarrabile della prima guerra mondiale. Benjamin cita un passo di un racconto di Johann Pctcr Hcbcl, Insperato incontro, per far vedere non solo come la morte, del tutto espulsa dallo spazio percettivo dei moderni, sia la fonte da cui il narratore trcle la propria autorità, ma anche come essa, con il suo periodico ripresentarsi nella vita degli uomini, il suo scandire l'ordine delle generazioni, faccia da ~'. In altri termini, mentre la cronaca è una delle forme del genere epico, ossia dell'arte della narrazione, la storiografia rdpprcsenta «il punto d'indiffcrcnz.a creativa di tutte le forme dell'epica. In questo caso la storia scritta starchbc alle forme epiche come la luce bianca ai colori dell'iridc»12 • La storiografia spiega, la cronaca rc1cconta: allo storico spetta il compito di «spiegare, in un modo o nell'altro, gli eventi di cui si occupa», interpretare «il modo in cui s'inseriscono nel grande e impcrscrutahilc corso del mondo», al cronista quello di occuparsi della loro «esatta concatenazione» limitandosi a »presentarli come esempi del corso del mondo»:?.J. C'è una differen1..a sostanzfalc fra lo 'spiegare' come gli eventi s'iscrivano nel corso del mondo e il narrare un evento perché valga come esempio di come va il corso del mondo, cioè di quale sia il suo schema costitutivo. la sua struttura di fondo. Da questo punto di vista non ha alcuna importanm che l'idea complcssi\'a che si ha della storia umana sia di tipo prov\'idcnziale come nel caso della cultura medievale o profano come nella modernità: il cronista medievale continuerà a raccontare gli eventi come esempi del piano divino e il nam1torc moderno, almeno fino alla prima guerra mondiaJc, di un piano immanente e mondano. Per essere più chiari: proprio perché ponevano «alla base della loro narrazione storica il piano imperscrutabile della salve1.1a>>, i cronisti medic\·ali erano «liberati «in anticipo dell'onere di una spicgazione» 24 • Nella carattcri7..7.azione dello storico come di colui che spiega. si vede delinearsi la critica che nelle Tesi Benjamin farà dell'llistorismus, ossia del! 'ideologia, intesa nel senso tutto marxiano di falsa coscienza, della scicni.a storica, la quale infatti potrebbe, e secondo Benjamin deve, essere presa in carico dal materialismo. L'errore dello storicismo, che replica d'altronde la realtà fantasmagorica, vale a dire feticistica. della società moderna, sta infatti nel porre come scopo della storiogrdfia la spiegazione del singolo fatto storico così ·come esso è autenticamente stato,, sen7.a curarsi del carc1ttcrc complessivo del corso del mondo, un interesse giudicato sorpassato e proprio di vecchie e decadute filosofie della storia. TaJc è an7j il disinteresse dello storicismo per il 'corso del mondo' che esso \.'iene ridono a mero conti11uum temporale, ad una forma del tempo omogenea e vuota

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lvi, p. :u I. Ibidem. Ibidem. lbiclem.

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Il lavol'o del lutto

fatta di istanti tulli uguali frc1 di loro, in cui. accanto alla comprensione del disegno complessivo secondo i) quale si srotolano gli eventi, scompare anche ogni possibilità di invertirne la direzione e il senso, sospendendone il decorso e scardinandone le sequenze. Va chiarito, infatti. che di fronte ai fenomeni propri della modernità quali la dccadcn7.a della narrazione, come anche dello studio o ancora dell'aura nel campo delle arti figumtivc, l'attcggiamento di Bcnjamin non è mai di rdSscgnazionc o di nostalgia, tanto meno di risenti mento o di accidia. Quello che occorre è trovare i sostituti che, nelle mutate condizioni storiche, di fronte ad una nuova configurazione del corso del mondo, svolgano le funzioni dei loro corrispondenti antichi: al posto della tragedia subentrc1 il Trauerspiel. a quello del poema epico iI romanzo moderno, la Recherd1e a esempio, alle odi di Pindaro le liriche di Haudelaire,all'unicità dell'opera d'arte la riproducibilità tecnka della fotografia e del cinematografo. Lo stesso deve accadere nel campo della conoscenza storica: la risposta alla perdita della memoria del passato non \'U cercata in quell'eccesso di sapere storico che è lo storicismo, ma nel L--araucre discontinuo. intermittente. a salti, del materialismo storico. Non si tratta di opporre alla catastrofe del mondo la fede nel progrt..~so, al pessimismo l'ottimismo, al conflitto l'intesa. Giacché in fin dei conti che il corso del mondo sia quello adombrato dal mito arcaico di cui la tragedia rappresenta il deragliamento consapevole o dalla catena delle generazioni riscattata dall'alleanza colta di\'inità o dalla cronaca del monotono alternarsi di re e imperatori cui dà senso l'arte del racconto, o infine dalla storia universale cui risponde il materialismo storico, in ogni ca"io esso, una volta che sia guardato senza i veli immaginari, rivela il suo tratto catastrofico. il suo ridursi ad un ammasso di macerie. Il problema insomma non è negare ad ogni costo la realtà della rovina, far finta di non vederla, illudersi che non esista o non abbia effetti, ma stabilire quale uso farne. come trattar]a, in che contesto inserirla, secondo quale direzione trasformar]a. Tutta, o quasi, la produzione benjaminiana degli anni trenta. compreso qualche sconfinamento anche in quelli immediatamente precedenti, si pone, se cosi si può dire. sotto l'insegna del primato della politica. primato della politica che, come si sa. fa tutt'uno con l'adesione al materialismo storico. Ciò non farebbe che confermare la tesi di Milner che attribuisce ali 'eccesso di fiducia nelle virtù delJa politica rivoluzionaria, oltre che in quelle dello studio. )'('sito rovinoso della vita e dell'opera di Bcnjamin attestalo daJle Tesi. Tuttavia, a guardar meglio, l'idea della politica che Benjamin elahora già a partire dal saggio sul surrealismo, e poi in quello sull'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, passando per

Politica e rovine

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l 'cmtore come produttore e Eduurd Fuchs, il collezio11ista e lo .\·torico, e per molti altri ancora. fino a giungere alle stesse Tesi. non ha niente delle illusioni ideologiche che carattcri1..z.ano la socialdemocrazia da un lato e lo stalinismo dall'altro. Alkmt lo scoramento spinto fino alla scelta del suicidio, scelta estrema fatta, non lo sj dimentichi. per sfuggire all'aguzzino, non dipende tanto dalla politica in sé quanto dalla difficoltà di far diventare egemone nel movimento operaio una posi1ionc inizialmente minoritaria senza d'altronde arretrare di un passo rispetto all'ideologia che di per sé raccoglie sempre il plauso delle maggiorc.tn1.c cd esiste, infatti, esclusivamente a questo scopo: quello che era accaduto alla frc1Zione bolscevica del movimento rivoluzionario russo era diventato difficile se non impossibile solo vent'anni dopo. Se a questo si aggiunge la sorpresa per un evento che per essere previsto avrebbe richiesto il possesso almeno dell'onniscienza divina e non è detto che sarebhe stata sufficiente, e cioè che il paese uscito dalla prima rivoluzione comunista vincente della storia umana si sarebbe alleato con il peggior nemico dell'umanità. il quadro risulterà completo. Nella prospettiva appena delineata. iI saggio sul surrealismo è addirittura lapidario: la pnlitica comunista consiste ncll' «organi1..z..arc il pessimismo>>, la sua situazione emotiva fondamentale non è n6 l'angoscia né la noia. ma la sfiducia. Che cosa significa comunismo? Comunismo «significa pessimismo su tutta la linea. Pessimismo assoluto. Sfiducia nella sorte della letteratura, sfiducia nella sorte della lihcrtà. sfiducia nella sorte dell'umanità europea, ma soprc1ttutto sfiducia, sfiducia e sfiducia verso ogni forma di intesa: tra le classi, trc1 i popoli. tra i singoli» 25 • Il politico materialista sa che la letteratura, la libertà e l'umanità europea, così come tutte le forme di intesa e compromesso, se invocate come risposte alte e spirituali ai conflitti bassi e materiali che attraversano la società moderna. si rivelano essere alla fine nulla di più che palliativi, se non veri e propri inganni. E quand'anche fossero perseguile in buona fede, del tutto fiduciosi nelle loro 'magnifiche sorti e progressive'. esse lascerebbero. una volta giunte a compimento. nient'altro che un ammac;so di rovine. Se non si vuole cedere alla rassegnazione, non resta allora che organin.arc politicamente le rovine. sfiduciando preventivamente qualunque tentativo di calmarne l'infiammazione rivoluzionaria attraverso l'emolliente morale, e laddove questo non bastasse. ricorrendo a quello estetico. La diagnosi di Henjamin sulla malattia di cui soffre il mondo moderno nei primi decenni del secolo XX è, come è nolo, di esteti7.7.azionc della ----

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W. Benjamin. // surrealismo. cit.. p. 212.

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Il /avor(J del lutto

politica; la prognosi è riscn•ata e la terapia proposta: la politiciz:t.azione dell'arte. Lo sviluppo accelcmto dei nuovi media - fotografia, radio, cinematografo, telegrafo. telefono - non solo trasforma gli spazi percettivi e le forme di vita, ma soprattutto pennette, almeno come precondizione materiale, l'emancipazione delle masse da ogni rapporto di dominio. La riproducibilità tecnica libera i fruitori dalla tirannia del 'qui e ora· e soprattutto li emancipa dalla sottomissione al can1tterc arcano. cioè auratico, dell'immagine, che cessa in questo modo di essere solidale col potere. I nuovi media comportano più ancora di un rivolgimento nel campo della produzione materiale, una vera e propria rivoluzione culturale per il fatto di permettere da parte delle masse una riappropriazione. sen7.a precedenti nella storia, della cultura complessivamente prodotta dal! ·umanità, la quale, nonostante potenzialmente appartenesse a tutti. veniva confiscata ogni volta dalle classi dominanti. diventando il più potente strumento della loro legittimazione. Di fronte a questa situa7Jonc l'unico modo per schivare il carattere oggettivamente rivoluzionario dell'avvento dei media della riproducibilità tecnica delle immagini, si rivelava essere non quello, ormai impossibile, di spoliticizzare l'arte. bensì quello, esattamente inverso, di estctizzare la politica: se quest'ultima è divenuta ormai immagine - Bcnjamin parla già dell'esposizione pubblica, nei parlamenti. oltre che al cinema, della figura del politico. l'esposizione del politico alla percezione distratta delle masse - essa allora dovrà essere trc1ttata come se fosse un'arte, l'arte della produ;,Jone, attraverso i mezzi della riproducibilità tecnica, di immagini che replichino, nelle mutate condizioni storiche, le prestazioni politiche di quelle del passato. di custodire cioè gli arcana imperi. Il fascismo non è altro che questo per Benjamin: «il fascismo cerca di organizz.are le recenti masse proletarizzate senza però intaccare i rapporti di proprietà di cui esse perseguono l'eliminazione». Pertanto «il fascismo vede la propria salvezza nel consentire alle masse di esprimersi (non di veder riconosciuti i propri diritti). Le masse hanno diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà; il fascismo cerca di fornire loro una espressione nella conservazione delle stesse; il fascismo tende conseguentemente a una estetizzazione della vita politica»Y-. Le masse diventano esse stesse immagini infinitamente riproducibili. occupano la scena come delle merci, si espongono nella vetrina cine-televisiva, sono trasfonnate in immagini cultuali, servono a riprodurre quei rapporti di produzjone da cui vorrebbero emanci-

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- - - - --- -- - ---·-·--·····-·----W. Benjamin, L'opera d'arte uell'epoca della sua riproducibilità tecnica, lr. il. di E. foilippini e H. Riediger, in Id., Opere complete, cit. voi. VI. Scrini /934-/937. cit.. p. 301.

PuUric:a C' rovine

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parsi. Invece di emanciparsi dall'immagine le masse di\·entano a loro volta immagini, immagini paradossalmente auraliche in un mondo scnz'aum.

4. Estetica delle rovine Se la rovina è l'esito inevitabile dei processi naturaJi e di quelli storici, sopmtlutto di quella 'storia naturale' che fa da sfondo alle vicende umane, anch ·essa allora si polari1.zcrà fra gli estremi dcll'estctiT.t.vJone e della politicizzazione. Il saggio di Simmel del 191 I intitolato Die Ruine rapp~nta bene il primo lato della dicotomia: la rovina considemta dal punto di vista estetico è una forma in cui è posto in stato di quiete il rapporto conflittuale e squilihmto frc1 le spinte distruttive della natum e quelle, al contrario, costruttive della cultura. Nella > e che di conscgucn7ll «l'cquwione fra natura e spirito rappresentata dalreditkio si sposta a favore della natura»n. Rivendicando violentemente i suoi diritti. la natura, attra\'crso la rovina della costru1Jonc, si vcndic-c1 «per la violenza che lo spirito le ha arrecato formandola a propria immaginc»ZM. Se il discorso sulla rovina terminasse qui, tutto il moderno processo di cstetiz7.a7.ionc fallirebbe il proprio scopo: quel che conta nella rovina architettonica. infatti, è che, a differcn1..a di «un quadro dal quale si siano staccate delle particelle di colore» o di