Il femminile negato. La radice greca della violenza occidentale 8889198702, 9788889198704

Questo libro, partendo dai miti e dalla filosofia dei greci, ne mostra l'influsso sul pensiero e sulla politica del

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Il femminile negato. La radice greca della violenza occidentale
 8889198702, 9788889198704

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ADRIANA CAVARERO

IL FEMMINILE NEGATO La mdice greca della vio/en::a occidentale TERZA EDIZIONE

gp Pazzini Editore

Rispetto alle due condizioni 011tologiclze fondmnentnli di ogni essere umano, che sono la nascita e la 1norte, il pensiero occidentale, lungi dal considerare fondativa la nascita, la ignora totalmente e definisce l'essere umano a partire dalla morte.

Questo libro, pnrtmdo dai miti e dalla filos~fìa dei Greci, 11e 111ostrn /'i11Jl11sso sul pensit!ro e s11lfn politica riell'Occide11fe co111e c11lt11m "011w:;ess11nle", cioè escl11siv,1111e111L' 111ascliile. U11a cuitura elle ge11em inei1itabi/111e11tc viole11-zn, in quanto sotto forme e con i11tc11sità diverse produce q11cll'i11dittid11nlis1110 possessiiio che nega /11 rela::.ione esse11:iale co11 /' "nitro".

Adriana Cavarero è ordinaria di Filosofia Politica all'Università di Verona. Incenb·ati sulla questione della 'differenza sessuale', i suoi interessi spaziano dal pensi ro antico a quello moderno e contemporaneo. Fra i suoi libri: Nono tante Platone (Editori Riuniti 1990), Corpo in figure (Feltrinelli 1995), Tu che mi guardi, ht che mi racconti (Feltrinelli 1997), A più voci (Feltrinelli 2003), Orrorisnw ovvero In violenza sull'inerme (Feltrinelli 2007).

, ww.pazzinieditore.i1 [email protected]

€ l2,00

ISBN 978-88-89198-70-4

111111111111111111111111111111 9 788889 198704

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AL DI LÀ DEL DETTO

17

Collana diretta

da CARMINE D1 SANTE

Leggere e interpretare i grandi testi e temi dell'umanità - soprattutto quelli ebraicocristiani, patristici, dogmatici, agiografici, teologici, filosofici, poetici e letterari - significa scavarli come pozzi, perforarli come roccia, per portare allo scoperto il non detto che celano, il loro dire ancora oggi.

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Seminario tenuto presso

il Centro Sant' Apollinare di Fiesole nei giorni 25-26 Novembre 1995. Il testo è una trascrizione dell'intervento orale di Adriana Cavarero al Seminario.

Prima Edizione© 2007 Seconda Edizione© 2020 Terza Edizione© 2021

p AZZINJ STAMPATORE EDlTORE SR~ · Via Statale Marecchia 67, 47S27 Villa Verucchio (RN)

www.p=inicditm-e.it - [email protected] tel. 0541 670132 - fax 0541 670174

ISBN: 978-88-8919&-70-4

ADRIANA CAVARERO

IL FEMMINILE NEGATO La radice greca della violenza occidentale Terza Edizione

cp Pazzi ni Editore

PREMESSA

del pensiero nel quale mi ricoLI orizzonte nosco quello della differenza sessuale. è

Quello che mi interessa sia nella filosofia antica, ritenuta il momento di fondazione della metafisica, sia nel pensiero della differenza sessuale, è la posizione che generalmente è definita logocentrica o fallo-logocentrica del soggetto, che è maschile e nello stesso tempo fortemente fondato sul logos. Tutto questo secondo me è il fondamento primo della legittimazione della violenza e soprattutto di quella forma specifica della violenza che è la guerra. Il mio punto di partenza sarà il pensiero di Hannah Arendt, una delle più importanti 5

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filosofe del nostro tempo. Ella mette chiaramente in connessione la storia del pensiero occidentale, in quanto pensiero fortemente metafisico, con la capacità della categoria di morte di fondare la metafisica stessa. Rispetto alle due condizioni ontologiche fondamentali dell'essere umano, di ogni essere umano, che sono la nascita e la morte, l'inizio e la fine, la metafisica, lungi dal considerare interessante e fondativa la nascita, la ignora totalmente e misura, definisce l'essere umano a partire dalla morte. Nella lingua greca fin dall'inizio, da Omero, gli uomini sono chiamati i mortali. Questo significa definire gli esseri umani per la loro condizione di morte, di finitezza, di contingenza, per l'angoscia della sparizione. Tutto questo determina fortemente la metafisica occidentale. Hannah Arendt propone come alternativa un pensiero della nascita, che sulla nascita misuri la finitezza e la contingenza dell'umano, e sviluppa questa filosofia in testi molto interessanti.

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I.

LA MORTE COME CATEGORIA FONDATIVA NELLA METAFISICA E NELLA POLITICA

e

ercherò di dimostrare che la morte hmziona come categoria fondativa in due ambiti, quello della metafisica, cioè della nascita della filosofia (attraverso Parmenide) e quello dell'ordine politico o della politica (attraverso l'Antigone di Sofocle). Parmenide è celebre per due affermazioni che a prima vista appaiono abbastanza strane. La prima dice che "l'essere è e non può non-essere" e l'altra dice che "il non-essere non è e non può essere". È facile acconsentire a queste affermazioni. In verità bisogna considerare le due affermazioni nella loro connessione, e esaminare bene che cosa Parmenide intenda per non-essere, il che risulta sia dai frammenti 7

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che ci rimangono di Parmenide, sia da tutta la discussione della scuola parmenidea. Il verbo essere in greco non distingue l'uso esistenziale dall'uso predicativo. L'uso esistenziale è, per esempio: il libro è (esiste)", l'uso predicativo è: 11 il libro è verde". L'uso predicativo e l'uso esistenziale tendono a coincidere nel verbo essere greco. In questo ambito Parmenide viene a negare che di una cosa si possa dire "non è". Ora, mentre è facile ammettere o capire perché del libro non si possa dire "non è" in senso esistenziale, dal momento che esiste, quando questo "non è" si riferisce alla predicazione la cosa diventa molto pii:1 interessante. Parmenide nega recisamente (dice: è indicibile, è impronunciabile) che si possa dire che "il libro è qui e non è là". Io non posso dire che Adriana è qui e non è dove sarà domani, perché se dico questo ammetto il movimento (si tratta di un non-essere che ha dimensione spaziale e temporale). Ma inoltre: per Parmenide non si può dire che Adriana non è il tavolo, è diversa dal tavolo, perché la differenza è il principio di molteplicità. E Parmenide nega 11

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anche questo: nega che si possa dire l'alterità, la molteplicità, il movimento sia spaziale che temporale. Sembra una cosa abbastanza assurda, fino al momento in cui si indaga su quale è il vero non-essere che Parmenide vuole negare: il significato ultimo del non-essere è il divenire, come continuo passaggio da uno stato che non è ancora il successivo a uno stato successivo che non è più l'antecedente. Infatti questo percorso arriva a un non-essere definitivo, che è la morte, la sparizione del soggetto stesso di questi continui non-essere. La centralità della categoria di morte e l'impossibilità di sopportarne l'angoscia porta Parmenide a negare qualsiasi forma di nonessere, affinché il non-essere non sia in nessun modo e quindi neppure la morte sia. Questa è la struttura che guida i1 connettersi di queste due strane affermazioni: l'essere è e non può non-essere, perché se l'essere potesse non-essere muterebbe, per es. l'uomo sarebbe prima più giovane poi più vecchio; e Melisso, che di Parmenide è stato collega ed amico, dice che se l'essere potesse non-essere, allora ci sareb9

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be il mutamento; ma anche il minimo mutamento nel corso dei millenni porterebbe alla distruzione dell'essere. Quindi c'è questa angoscia della sparizione, come direbbe Hannah Arendt, dell'essere fagocitato dal non-essere. Qui la morte, come destino umano in primo luogo e come destino delle cose che mutano, è intesa come lo sparire. Come dice Emanuele Severino, tutta la metafisica è un rimedio a questa angoscia. La morte sta al centro, e il rimedio è la metafisica. (Sappiamo che il nome "metafisica/i è nato per caso, dato da un catalogatore delle opere di Aristotele, e da un significato meramente spaziale ha assunto il senso di ciò che sta al di là delle cose naturali). La metafisica nella sua figura più importante, quella della sua massima assolutizzazione, che è quella di Parmenide e che poi verrà corretta da altri filosofi, è un rimedio a 'ta fysikà', la natura, intesa come ciò che è dominato dalla morte, come angoscia dello sparire. Allora per evitare questo, il pensiero metafisico si occuperà di altre cose: dell'essere che 10

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sempre è, dell'universale, di ciò che non muta, e se si occupa di ciò che muta (i "fenomeni", secondo Platone) troverà qualcosa di immutabile a fondamento di ciò che muta. In Platone sono le idee che costituiscono la ragione d'essere e la spiegazione delle cose che invece mutano. La struttura della metafisica ha questo inizio, una sorta di astrazione da ta fysikà, che sono le cose come stanno in natura, e quindi anche l'uomo. Il secondo ambito in cui la morte diventa fondazione è molto più facile, ed è quello della politica. Qui la morte non funziona soltanto e prevalentemente come sparizione, ma come uccisione. La morte come sparizione non ha una necessità di intervento attivo del soggetto. Si sa che ognuno di noi morirà in qualche modo, ed è uno sparire legato al destino umano. Nella politica la morte rimane angoscia di sparizione, ma la categoria fondativa in quanto morte è la categoria dell'uccidere, della morte provocata, data all'altro e ricevuta dall'altro. La morte violenta è segno di grande poten11

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za. Hobbes dirà: non c'è potere superiore di quello che toglie la vita. Chi può togliermi la vita, toglie tutto ciò che io ho, è agente della massima potenza. Questo massimo potere dell'uccidere è storicamente maschile: la guerra è una guerra di combattenti maschi. L'eroe che uccide e rischia di essere ucciso misura la sua virtù in questa palestra della morte attiva. L'identità di ciò che in Occidente si intende come il maschile è un'identità fortemente costruita su questa scena del duello, del combattere in cui si uccide e si viene uccisi. È facile capire come il dare la morte in quanto massima potenza sia la risposta al dare la vita come massima potenza del femminile. La nascita viene ignorata, non tematizzata, non pensata, perché la nascita vede protagonista la soggettività femminile che ha una grande ed esclusiva potenza. Mentre il dare la morte non è geneticamente legato al maschile, il dare la vita è geneticamente legato al femminile. Vediamo come avviene che la morte in quanto uccidere funzioni da fondazione per l'ordine politico. 12

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A) L'Antigone di Sofocle fa parte del ciclo tebano: Laio, potentissimo re di Tebe, è sposato a Giocasta. Una profezia li ha avvertiti che il figlio di Laio avrebbe ucciso il padre e sposata la madre. Per lungo tempo i due evitano di aver figli, e quando Giocasta mette al mondo Edipo, il figlio viene affidato a un servo che lo deve abbandonare su un monte. L'uomo, impietosito, non ha il coraggio di abbandonarlo e lo dà al servo del re di Corinto, il quale lo porta al suo re, sapendo che questi non ha figli. Così Edipo cresce come figlio dei signori di Corinto. Ma anche Edipo si imbatte in alcune profezie che gli dicono che egli ucciderà il padre 13

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e sposerà la madre: disperato scappa di casa, perché non vuole che ciò avvenga. Tuttavia ad un fatale crocevia incontra un uomo, e dopo un alterco banale Edipo lo uccide, senza sapere che si tratta del suo vero padre. Proseguendo il suo viaggio, sempre deciso a non ritornare da quelli che egli crede i suoi genitori, Edipo arriva a Tebe dove risolve il famoso enigma della sfinge. Salvando la città dal sacrificio di giovinette e giovinetti che ogni anno veniva fatto alla sfinge, viene acclamato come salvatore dei tebani e sposa la regina di Tebe che egli non sa essere sua madre. Da questo matrimonio nascono quattro figli, Antigone e Ismene, Eteocle e Polinice. Attraverso vicende tremende e oscure Edipo viene a sapere chi egli è, capisce quanto è successo, e disperato si acceca. Rimangono come eredi al trono Eteocle e Polinice, i quali vengono ad ostilità. Eteocle, che si considera il solo vero erede, difende la città attaccata dall'esterno da Polinice. I due si combattono in un duello e si uccidono attraverso uno strano suicidio reciproco e fraterno. Dice Sofocle che cadono nel14

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la stessa pozza di sangue: nello stesso sangue perché sono fratelli, sangue che è lo stesso del loro padre, perché anche lui nato dalla stessa madre. Quindi fratellanza assoluta, senza contaminazione di sangue esterno. Il reciproco suicidio è l'atto rituale di fondazione dell'ordine politico. L'ordine politico di Tebe, che è in mano a Creonte, fratello di Giocasta, viene ritualmente confermato attraverso il sacrificio dell'uccidersi, la ritualità di un'uccisione reciproca. Il racconto mitico ovviamente vuol dire altro. L'uccisione di questo tipo non è eccezionale. Pensiamo a Romolo e Remo, Caino e Abele, la guerra intesa come uccisione di due nemici che sono lo stesso (l'appartenenza allo stesso fa di loro dei veri nemici, tutto ciò è fondamentale per l'ordine politico). Che caratteri ha, andando nel dettaglio, questa guerra tra fratelli? In italiano e nelle lingue moderne non abbiamo più possibilità di distinzione, ma nel greco e nel latino si distingue l'inimicizia, l'ostilità tra fratelli, in una parola la guerra civile, dalla guerra/ ostilità verso i nemici esterni. Il nemico interno, 15

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che si deve uccidere perché l'ordine della città sia stabile, si chiama in latino inimicus, quello esterno si chiama hostis. Tra i due c'è una forte differenza, perché la violenza fratricida è fondativa dell'ordine, lo legittima. La violenza contro il nemico esterno, contro l'altro, rilegittima l'ordine, lo difende, ma non è fondativo. L'ordine politico mostra di fondarsi su questo doppio versante dell'inimicus e dell'hostis, ma mostra anche che la violenza tra fratelli è il vero elemento di fondazione. L'Antigone si apre esattamente dopo che questa fondazione è avvenuta. Eteocle e Polinice si sono uccisi. Il re della città, Creonte, comanda che colui che è caduto difendendo la città sia seppellito con tutti gli onori, e che colui che era l'aggressore sia lasciato insepolto fuori delle mura, affinché i cani e gli uccelli ne smembrino oscenamente le carni. Antigone, che amava tutti e due i fratelli, non sopporta che Polinice rimanga insepolto, cioè subisca questo terribile ritorno alla natura; disobbedisce all'editto di Creonte e va a seppellire Polinice. Naturalmente viene sorpresa e deve 16

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subire la pena per aver commesso questo delitto. Viene quindi uccisa, ma non per lapidazione, come era previsto; essa sarà seppellita viva, fuori della città. Ci sono migliaia di letture possibili della storia di Antigone; ma qui seguiremo il filo logico già proposto. I due fratelli vengono ovviamente trattati diversamente: la guerra civile è sempre una forma di violenza che legittima uno dei fratelli come eroe ed espelle l'altro come il negativo (vedi Romolo e Remo). Questo sarebbe ancora troppo semplice. L'ordine politico viene a fondarsi su una doppia esclusione, una doppia violenza: quella del fratricidio e quella dell'espulsione di tutto ciò che è altro dall'ordine politico stesso, cioè di ciò che l'ordine stesso ha definito come suo altro, e che qui è rappresentato da Antigone. (C'è una figura notissima di questo meccanismo: in Grecia tutti quelli che non erano greci erano chiamati barbari: non parlando greco, avevano una lingua che per i greci risultava barbara). L'identità della polis, di Atene, ha un ordine politico che si costruisce su un'identità umana 17

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ben precisa: quella del maschio (non donna), adulto (a partire da 21 anni), libero (non schiavo). Il maschio adulto libero si caratterizza attraverso un'identità ben definita, uniforma a questa identità l'ordine politico, e facendo questo esclude tutto ciò che egli stesso decide come suo altro, cioè il femminile, la natura, quella potenza generante che sta nella nascita e che appartiene solo alla soggettività femminile. La scena diventa interessante per molti motivi: il delinearsi dell'ordine politico come fallo-logocentrico, incentrato sul soggetto maschile, avviene storicamente in un ambito di pensiero che tuttavia è ancora capace di cogliere il problema. Poco dopo tutto ciò diventerà naturale, non porrà più problemi: sarà lapalissiano che il barbaro sia tale, che la donna sia esclusa dalla politica. In Aristotele tutto questo è già ovvio, egli non deve dare spiegazioni. Per natura lo schiavo è schiavo, per natura il barbaro è inferiore, per natura la donna è incapace di comando sulla ragione (Iogos); quindi non c'è da spiegare nulla. 18

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Il grande Sofocle invece, con la tragedia, è ancora in grado di rappresentare tragicamente (che vuol dire senza soluzione) la scena in cui tutto ciò avviene, è ancora capace di coglierne il problema. Sofocle ri-divide il fratricidio, il reciproco suicidio, e fa dei due fratelli uno l'amico e l'altro il nemico della polis, che resterà insepolto. Così l'umano è dentro la città, mentre ciò che è fuori è inumano, come le bestie, come i cani che quando muoiono sono mangiati dagli uccelli rapaci. Ciò che è all'interno dell'ordine politico è l'umano, ma ciò che non rientra nei nostri crismi, nella definizione dell'identità, è il non umano che perciò torna alla natura (ta fysikà). L'ordine politico è artificiale nella misura in cui si oppone al naturale, la polis è una costruzione umana, anche se, come dice Aristotele, nata su basi naturali. Il processo di civilizzazione è un processo in cui ci si stacca dalla natura, dal primate si passa ali' uomo. Nel mito, almeno in ambito mediterraneo, il processo di civilizzazione ha sempre a che fare con rordine politico. Ciò che viene cacciato altrove, l'escluso, è ciò che 19

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è dein6n (tremendo, terribile). Ecco perché la città diventa un ordine confortevole. La grandezza di Sofocle sta nel dire tutto questo, cioè nel capire che tutto ciò che è fuori è dein6n, ma anche il processo di civilizzazione, l'ordine politico è dein6n. Tremenda è Antigone, questa giovane vergine che va a morire per seppellire il fratello traditore (notare che Polinice morto è insepolto, mentre Antigone viva è sepolta, in un gioco crudele che è dein6n), ma Sofocle dice che anche questa punizione è dein6n. Il secondo stasimo, che è forse il più famoso brano della tragedia greca, descrive il processo di civilizzazione. In tutti i miti e anche nelle vulgate dei miti questo processo è descritto col fatto che l'uomo si distingue dall'animale perché ha la techne, che abbraccia la parola, il pensiero e la tecnica. Con la techne l'uomo esce dall'immediatezza del vivere immerso nell'ordine naturale, che è caratteristica animale. Mentre, per esempio, il leone va a caccia in quel modo che gli è inscritto dall'istinto naturale l'uomo va a caccia non in modo istin-

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tuale, ma inventandosi gli strumenti. Rispetto agli animali che egli cattura, l'uomo ha delle facoltà di sopravvivenza molto minori: non vola, non è un carnivoro dotato di velocità, è un animale non stabilizzato, come direbbe Nietzsche. Il testo comincia così: "Pollà ta deinà oudèn antr6po dein6teron ... " che vuol dire: "tante le cose tremende, ma l'uomo è la più tremenda". Ascoltiamolo. Molte le cose tremende, ma di tutte più tremendo è l'uomo. Oltre il livido mare avanza nell'australe vento burrascoso, passando tra profondi muri d'acqua mugghlanti intorno. Suprema tra gli dèi la terra instancabile, immortale, logora con aratri che di anno in anno la rivoltano avanti e indietro, con l'apporto della razza equina. La specie degli uccelli volubili cattura e le stirpi delle bestie selvatiche e le forme viventi del mare salato, tra maglie di reti annodate avvolgendole fraudolento. L'uomo doma con trucchi le bestie che hanno tane agresti e vagano per le montagne e il collo del cavallo di folta criniera

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l'infaticabile toro montano aggioga. A se stesso insegnò la parola e il pensiero simile al vento e le civili consuetudini. E come i morsi all'aperto del gelo terribile per chi non ha riparo e le piogge sferzanti scampare, in tutto ingegnoso. Mai in difetto d'ingegno, a ogni destino fa fronte. Ade solo non scampa, ma con sforzo comune apprestò vie di scampo a mali irrimediabili.

Qui è descritto il processo di civilizzazione nei

suoi termini di lacerazione. C'è una natura a cui appartengono il toro e il cavallo, ma anche tutti gli altri animali, e in questa natura essi sono inseriti con qualità e facoltà tali da poter tranquillamente sopravvivere. Anche fra gli animali c'è la cosiddetta violenza, che è quella dei predatori, della catena alimentare, ma tutto questo in un ordine che oggi definiamo ecologico. L'uomo si stacca da questo appaesamento nell'ordine naturale e con il dolo, con la frode, con la techne (il giogo, la rete) riesce a domare la natura. A se stesso, dice il poeta, insegnò le parole e il pensiero; di nessuno più ingegnoso, supera le più grandi difficoltà, 22

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solo morte non scampa. Allora il processo di civilizzazione è un distacco dalla natura, un soggiogamento della natura di tipo violento. I verbi greci sono molto chiari, indicano un ferire la terra, aggiogare, catturare con la frode. Ma tutta questa techne che rende l'uomo capace di dominare la natura sembra crollare di fronte a Ade. La morte diventa l'elemento ultimo e invincibile, essa misura l'identità umana nel processo di civilizzazione, tipico della tradizione occidentale. E si riesce anche a capire che il prezzo pagato nell'affrancarsi dalla natura non è tanto la morte, perché anche gli altri animali muoiono, ma è la consapevolezza del morire. La morte non è più l'avvenimento ovvio, naturale, che per l'animale ha la stessa immediatezza del nascere e del vivere nel presente. Nell'uomo la morte diventa la misura della grandezza e della tragedia del suo pensiero. Tutto questo è dein6n. È tremendo staccarsi dall'ordine naturale nel processo di civilizzazione, essere questo animale non stabilizzato, 23

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che non è nella sua nicchia naturale, che ha la consapevolezza di morire. Dein6n è il distaccarsi dalla natura; ma questa è a sua volta dein6n, perché corrisponde a ciò che è fuori dalla polis, al femminile, al corpo generante, al cadavere che viene mangiato dagli animali. Il quadro è molto complicato. Nella tragedia di Sofocle, dein6n sono ancora ambedue le cose. Quando arriveremo alla filosofia vera e propria, tremenda rimarrà l'alterità, ciò che è stato escluso; l'ordine politico invece pretenderà di rappresentare se stesso come ciò che è buono. La polis è la nostra difesa, l'ordine politico è ciò che ha a cuore il bene comune; ma nel pretendere di essere il volto buono di salvezza, la civilizzazione, l'ordine politico, nel suo rappresentarsi nelle ideologie, nelle costruzioni teoriche della giustificazione di tutto ciò, dimenticherà ciò che l'ha fondato, cioè un fratricidio, la violenza, la guerra. Ci occupiamo qui dei testi greci, ma quello che diciamo non è significativo solo del IV secolo a.C. Che l'ordine politico in quan24

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to tale sia fondato sulla violenza, sulla guerra, sull'uccidere, tutto questo è trasparente in Hobbes, in Hegel, nel mondo contemporaneo. Stiamo parlando di un linguaggio che ha una sua traducibilità immediata nel presente. 11 problema è, dunque, che l'ordine politico tende a nascondere il deinon che lo fonda, e quindi c'è una sorta di continua giustificazione per cui la guerra diventa giusta, necessaria; c'è tutta un'elaborazione teorica giustificativa di principi etici, che traducono l'atto della violenza nella sua giustificazione. Quello che viene dimenticato e rimosso è che la guerra non è uno strumento della politica, in cui la politica stessa può trovare la giustificazione del bene comune o del male minore. La guerra, la violenza, è la fondazione categoriale dell'ordine politico, questo ci dice Sofocle e questo ci dicono i miti greci1. 1. Il mito [secondo H. Blumenberg] ha la caratteristica di subire una selezione. Racconto orale, il mito ha un'origine di cui

non si conosce nulla, neppure l'autore. Allora esso può essere interpretato da punti di vista diversi, anche contraddittori. Man

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IL FEMMINILE NEGATO

B) Occupiamoci ora di un altro mito di civilizzazione, quello di Prometeo, che compare nel dialogo Il Politico di Platone e anche nel Protagora. Quel tremendum che in Sofocle, in un testo tragico, è irrisolto nel suo dualismo del dein6n, in Platone viene sempre più censurato all'interno della civilizzazione, e tuttavia non viene completamente rimosso. La narrazione che Platone fa del mito di Prometeo è la seguente: ci fu un giorno in cui c'erano gli dei, ma non ancora le stirpi mortali (intesi come esseri animati). In Grecia uno scenario creamano che il mito passa attraverso le generazioni, ci sono alcune parti che vengono dimenticate, o che vengono elaborate in una direzione diversa, secondo il mutare degli interessi. Ora, i miti come li conosciamo raccontano in genere la centralità del soggetto maschile e della civilizzazione con tutte le operazioni di espulsione dell'altro, del dein6n, che la civilizzazione ha dovu-

to fare. In questo senso i miti non sono neutri. Ma questa è la loro versione finale. Probabilmente vi sono state stratificazioni anteriori, poi censurate, selezionate e infine perdute. Queste in genere rimangono nel mito come pure tracce che dobbiamo cercare di reinterpretare, attraverso un'operazione archeologica di ricostruzione, spesso molto diffiH dle.

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MITI DI FONDAZIONE DEL POLITICO

zionista è escluso: gli dei non creano dal nulla; essi dànno figura, dotano di dynamis (che è qualità, facoltà, potenzialità) delle specie di spettri, figure ancora quasi inanimate, non ancora completamente conformate. Zeus, il capo degli dei, decide di dare a due fratelli di stirpe divina l'incarico di distribuire le diverse qualità. Questi due fratelli sono Pro-meteo (che prevede, è intelligente, intuitivo) e Epi-meteo (che vede solo a cose fatte). Zeus ha a sua disposizione molte qualità (che sono la velocità, la bellezza, l'agilità, ecc.) e incarica Prometeo di distribuirle fra gli esseri viventi in modo che ne risulti un equilibrio. Purtroppo Prometeo passa il compito a Epimeteo, il quale non sa prevedere. Così Epimeteo compie il disastro, fornendo di qualità ottime tutte le stirpi animali meno l'uomo, per cui ogni animale avrà le qualità necessarie per la sua sopravvivenza. Solo quando arriva agli uomini Epimeteo si accorge che la cesta è vuota e che non ha più nulla da dare. Allora la stirpe umana è destinata a scomparire, per27

IL FEMMINILE NEGATO

ché priva di qualità, in mezzo a stirpi animali piene di qualità e quindi perfettamente stabilizzate nella natura. Prometeo è disperato per quanto è accaduto e quindi va a rubare (ecco il dolo) il fuoco, che è il simbolo della tecnica, e dice all'uomo: non ci sono più qualità naturali, però potrai sostituirle con una techne con cui puoi diventare l'apice delle stirpi animali. L'uomo quindi è diversissimo dagli altri animali, che non hanno techne, ma hanno un'immediata stabilizzazione. Comincia così il processo di civilizzazione. Nonostante questo, l'uomo scopre che è ugualmente molto debole, perché non ha l' arte politica, cioè l'arte di costruire un ordine che conglomeri i vari individui della stirpe umana, in modo che questo ordine possa servire da elemento di aggregazione fra gli uommi e di separazione dagli altri animali. Prometeo dà all'uomo inoltre pudore (che è rispetto e tolleranza, non pudore fisico) e giustizia, e così la stirpe umana riesce a civilizzarsi appieno. All'ordine politico corrisponde sintomaticamente anche l'ordine militare, la tecnica bellica. 28

MITI DI FONDAZIONE DEL POLITICO

La guerra e la politica stanno l'una nell'altra, ed è attraverso di esse che la stirpe umana può ritagliarsi un suo posto da protagonista nel processo di civilizzazione. Vediamo che nel mito di Prometeo viene detto ciò che dice anche Sofocle nello stasimo citato, cioè che la civilizzazione si oppone al naturale attraverso un processo di lacerazione dell'ordine naturale stesso, di dominio del1'uomo sulla natura. La dimenticanza di Epimeteo non è un fatto casuale, perché Epimeteo non poteva che sbagliare. Mentre la catena alimentare in natura è del tutto in equilibrio, nell'uomo non c'è questa caratteristica. Anzi si tratta di dare ordine ali' aggregazione umana con la dynamis, la potenza di fare la guerra. C'è un chiaro distacco tra l'umano, in quanto civilizzato e politico, e ciò che è physikà. Anche la parola fa parte della techne, non è naturale. Gli animali non parlano (alogos), la parola è un distacco dalla naturalità e viene anch'essa conquistata con il dolo. Una delle spiegazioni che dà Blumenberg è che la razza umana ha posizione eretta, quindi uno sguar29

IL FEMMINILE NEGATO

do ampio verso l'orizzonte, e tutto ciò che appare all'orizzonte, che può essere potenzialmente aggressivo, è considerato immediatamente dein6n. Il primo modo di controllare ciò che è minaccioso è la sua denorrtlnazione. Questa è una delle grandi ipotesi, che il nome sia la denominazione e quindi il controllo del minaccioso attraverso l'inserimento della cosa in quell'ordine che è il discorso stesso, il pensiero come facoltà ordinante. (Sulla potenza ordinante e disciplinante del discorso ha scritto cose bellissime M. Foucault). Rimaniamo ancora all'interno dei miti di civilizzazione, perché su questa falsariga, dentro questa continua cornice della nascita e della morte, della polarità del maschile e del femminile, ho cercato di analizzare la morte, non solo come sparizione ma anche come uccisione, all~interno del processo di civilizzazione. È chiaro che quello che mi interessa non è tanto il processo stesso, quanto la rappresentazione che esso dà di se stesso, cioè il mito. C) Un altro grande mito di civilizzazione, molto significativo, è quello di Pandora de30

MlTI DI FONDAZIONE DEL POLITICO

scritto da Esiodo. Qui il processo di civilizzazione in quanto raccontato viene rovesciato: è il rovesciamento della categoria di violenza. Lo scenario è questo: c'è un'epoca originaria nella quale ci sono gli dèi, e la razza umana è composta di soli maschi. È un'epoca felice, di grande benessere, in cui non c'è alcun male. La razza umana solo maschile si riproduce "come le cicale", gli uomini cioè nascono da terra. Fra questi uomini ci sono quelli che già conosciamo, Prometeo e Epimeteo, e siccome si sono comportati molto male, poiché Prometeo ha rubato la tecnica, gli dei decidono di punire la razza umana - che viveva felice, del tutto appaesata con le divinità - creando la razza delle donne. Gli dèi non sono certo inferiori agli umani quanto a capacità di dolo, e quindi non si limitano a creare le donne, ma creano come prima donna Pandora(= piena di doni). È un dono e un dolo, perché Pandora viene plasmata bellissima, affascinante, seduttiva, e porta essa stessa un dono che è un dolo (il gioco di parole è di Esiodo), cioè il vaso. Questo vaso è fatto 31

IL FEMMINILE NEGATO

come le giare, ed è il doppio di Pandora (notare anche il nome, lui doros, lei Dora), perché il vaso non è che una raffigurazione esterna, artificiale di quel vaso che la donna è, essendo essa costruita intorno a quel vaso che è l'utero. Allora, riassumendo, c'è Pandora costruita sull'utero, che è una sorta di vaso rovesciato, che porta in dono l'utero stesso che è il vaso. Dentro il vaso ci sono tutti i mali, e fra questi il male più male di tutti è la morte. Prima della creazione del genere femminile la razza umana, costituita dal solo genere maschile, era immortale; la morte quindi è una conseguenza della presenza della razza femminile. Epimeteo, che come sappiamo non riesce a vedere prima, sposa Pandora, e sposandola la porta nell'ordine maschile. Pandora apre il vaso da cui escono tutti i mali che invadono il mondo. La morte è il significante di tutti i mali di cui è costituita l'esistenza umana. Gli uomini devono lavorare sia nella terra per seminarla sia in quella terra metaforica che è l'utero femminile per inseminarlo. L'utero è una bocca vorace che desidera continuamente 32

Mm DI FONDAZIONE DEI,. POLITICO

essere riempita per fare figli, la donna è un animale smanioso di figliare, e allora il maschio si fiacca doppiamente, sia nella lavorazione dei campi, perchè deve produrre le messi per sfamare moglie e figli, sia nel riempimento di quella bocca vorace che è l'utero. Questo è un mito di civilizzazione che non cambierà più. È però un mito rovesciato: il femminile, identificato con precisione nella potenza generante, è l'origine della morte, ossia il femminile materno che anche nel senso più ovvio è l'origine della vita, viene visto mitologicamente come l'origine della morte. Morte e nascita sessuata vanno insieme e provengono dalla donna, fonte di tutti i mali: chi nasce viene immediatamente colpito da quella disgrazia che è la morte: si nasce solo per morire. Il lavoro stesso dei campi è violenza sulla natura, che prima era una sorta di giardino dell'Eden. La morte è la grande disgrazia come elemento di sparizione, ma è anche ciò che si può dare e che segna la potenza del maschio: tutta questa violenza non ha che un'origine: coincide col femminile come materno. 33

IL FEMMINILE NECATO

Il rovesciamento è totale e spaventoso. Non è più come in Platone o in Sofocle una narrazione del mito di civilizzazione che vede il costruirsi dell'ordine politico su una serie di violenze che non vengono imputate all'altro, alla corporeità, alla natura; non è più un mito che mentre da una parte manifesta apertamente le sue opere di esclusione, dall'altra indica anche il dein6n che c'è in se stesso. È avvenuto un rovesciamento: l'espulso, il femminile, è ciò che

viene ritenuto colpevole ed origine del suo stesso processo di espulsione. Questo spiega anche certi fatti della politica contemporanea. La cosa sorprendente è che in molti testi di etologia e soprattutto di antropologia troveremo questo rovesciamento della violenza fornito come dato scientifico. Gli antropologi, studiando le varie società, trovano naturale affermare che, poiché le donne generano la vita, sono loro la causa della morte, in quanto chi nasce deve morire. C'è una legittimazione 'scientifica' di questo rovesciamento già molto evidente in Esiodo. È un rovesciamento strategico: la rappresenta34

MITI DI FONDAZIONE DEL POLITICO

zione non è innocente e si basa fondamentalmente su quell' altro elemento, frequentissimo nei miti, che è l'appropriazione della potenza generante femminile: essa da una parte viene mimata, imitata, dall'altra viene sognata, cioè rappresentata come possibile, anche se solo in casi divini e non più attribuita alla razza umana. Il sogno di una potenza generante maschile autonoma, senza il concorso della donna, è una parte enorme del materiale mitico. D) Ma non è soltanto il mito di Pandora a operare il rovesciamento; questo avviene in uno spazio molto più ampio. Una premessa, d'altronde molto nota. In molte delle culture originarie, arcaiche, c'è la figura della Grande Madre. Anche in Grecia la figura mitica della Grande Madre ha la caratteristica di essere capace di generazione autonoma, senza nessun concorso maschile. La più arcaica rappresentazione della potenza materna è una potenza non solo tutta femminile, ma vista in una totale autosufficienza. Del resto l'unione sessuale non viene collegata con la generazione; e questo è ovvio, se si pensa che 35

IL FEMMINILE NEGATO

il parto segue di nove mesi l'atto sessuale e che nel frattempo sono avvenute molte altre unioni sessuali. Il cosiddetto sogno di appropriazione della potenza materna è la mimesis della figura della Grande Madre. Questa mimesis appropriante ha in molti casi protagonisti gli dèi, e in quelli più noti il re degli dei, Zeus. Nella narrazione mitica ci sono due casi eclatanti di generazione autosufficiente da parte del maschio: uno è quello della generazione di Dioniso, e l'altro, ancora più evidente, è quello di Atena. Il quadro simbolico è molto chiaro. Zeus (grande campione dello stupro) violenta una mortale, che si chiama Cibele e la ingravida. Quando lei ha nell'utero l'embrione, Zeus la incenerisce col fulmine, prende l'embrione che miracolosamente si era salvato e se lo mette nella coscia interna. L'embrione cresce regolarmente e dopo nove mesi nasce Dioniso. Ecco una rappresentazione di parto maschile autonomo, che ha dei tratti realistici e dei tratti simbolici molto importanti. (La pratica omosessuale in Grecia non avveniva mai attraverso una vera e propria penetra36

MITI DI FONDAZIONE DEL POUTJCO

zione, ma attraverso lo sfregamento delle cosce serrate). Interessante è l'ordine simbolico in cui la potenza generante femminile viene usata (la sequenza è velocissima: Zeus vede Cibele, la stupra, la ingravida, la fulmina, cioè fa sparire l'utero e il corpo che ci sta intorno il femminile è in genere un corpo intorno a un utero - e si appropria del tutto). La misoginia e l'invidia dell'utero hanno una rappresentazione velocissima e in una sequenza logica che non lascia dubbi a nessun interprete. L'altro parto miracoloso di Zeus è quello di Atena. Zeus ingravida Metis (che vuol dire intelligenza, astuzia) e la mangia, la inghiotte. Qui è lo stomaco che diventa utero e Atena nasce, ma non dalla bocca come ci si potrebbe aspettare, bensì dal cervello di Zeus. Atena non nasce, come Dioniso, bambina, ma adulta e vestita dì armi rilucenti. Siamo in una fantasia di generazione autonoma maschile senza precedenti. Qui l'ordine simbolico consiste in alcune negazioni, in alcuni rovesciamenti di funzioni. La corrispondenza stomaco/utero è più convincente di quella utero/coscia, e tut37

IL FEMMINILE NEGATO

tavia non viene sviluppata la logica naturale che farebbe pensare a un parto dalla bocca. Chi nasce dal cervello non è infante ma una divinità adulta in tutto il suo splendore, che ha molte caratteristiche, tutte basate sul rovesciamento. Primo rovesciamento: ciò che fa parte dell'economia femminile della maternità, è che i bambini nascono piccoli e che la maternità non è che la fase iniziale di un processo di allevamento molto importante e fondamentale per il vivere. Allevamento che, dai greci in poi senza eccezione, viene definito apolitico. La manovalanza femminile (ma ci sono anche schiavi per questo) non riguarda il processo di civilizzazione. Il fatto che il bambino debba essere portato ad usare la techne non ha evidentemente nessun valore. Secondo rovesciamento simbolico: il femminile è sempre stato collocato nell'ambito dell'alterità, dell'escluso; qui invece è una donna che nasce, Atena, e il rovesciamento consiste nel fatto che la dea è vestita come un solda38

MITI DI FONDAZIONE DEL POLITICO

to. Allora, mentre il femminile vive generalmente nell'ambito della oikia, della casa, e in quell'ambito protetto in cui non entra la guerra, che è la polis (dove la morte è sparizione, quindi naturale, ma dove anche quello che conta è la morte in guerra, che ha per protagonista il maschile), ecco che per il meccanismo del rovesciamento nasce una donna vestita da guerriero. Prima Zeus ingoiando Metis ha mangiato il femminile, poi lo ha riprodotto, ma in vesti maschili e al servizio dell'ordine maschile. Infatti Atena è la protettrice di Atene, della polis, quella polis che esclude le donne dal suo ordinamento politico. Atena è una donna contro le donne. Nella tragedia le Erinni, le Furie, vengono prese e messe sotto terra: la democrazia può sussistere perché ha cacciato sotto terra il dein6n che sono le Erinni, il femminile, e l'ordine politico si è costruito contro una potenza femminile pericolosissima e antidemocratica. Il femminile temibile sono anche le Amazzoni, un'orda di guerriere che arrivavano per assalire Atene e distruggerla. Le Amazzoni sono il grande 39

IL FEMMINILE NEGA10

incubo di Atene. È un femminile aggressivo e guerriero. Racconta il mito che le Amazzoni per poter tirare l'arco si tagliano un seno. Ecco la mostruosità dell'uso bellico che deforma il corpo femminile, da confrontare ad un femminile che difende la città sotto forma di dea, ma vestita come un soldato. Ecco il funzionamento di rappresentazione del femminile che viene dislocato all'interno dello scenario simbolico, per rafforzare la tenuta dello scenario simbolico stesso. L'ordine politico è fondato sulla violenza e sulla guerra, cosa che ancora Sofocle riconosceva. Qui tutto ciò viene rimosso: l'ordine politico è una cosa buona che si difende dalla violenza femminile come quella delle Amazzoni, violenza che è esterna alla città, oppure che mette sotto terra le Erinni e viene difeso mediante la violenza buona e giusta rappresentata da Atena. All'interno di tutto ciò, la tesi che io sostengo è che la vera violenza fondativa di tutto è l'universalizzarsi e il pretendersi assoluto di uno solo dei due sessi della razza umana, che

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MITI DI FONDAZIONE DEL POLITICO

fonda su se stesso la civilizzazione e l'ordine politico e comincia a dislocare dalla sua centralità tutte le differenze, compresa soprattutto la differenza sessuale. Questa dinamica, questo modello, attraversa tutta la cultura occidentale, ma ha già in Grecia le sue configurazioni essenziali. La cosa a cui si deve fare attenzione è che se all'inizio questo processo, ancora nel suo farsi, denuncia i passaggi problematici della sua stessa costruzione, in seguito tutto diventa ovvio. Ci saranno le donne che stanno a casa, gli uomini che fanno la politica e la guerra: tutto diventerà normale. L'ordihe viene ritenuto ovvio, come viene ritenuto ovvio che, se cade l'ordine politico, c'è il caos. Si sente ripetere: "Può darsi che il nostro ordine politico non sia il migliore, però dobbiamo difenderlo come il minore dei mali, per evitare il caos, il dein6n: verranno altre potenze, lo straniero, con strani volti, con strani colori. E l'ordine politico ha lo scopo di difenderci da questa alterità". La verità è che l'ordine politico ha deciso che cosa è l'altro, che cosa è tremendo, ed è 41

IL FEMMINILE NEGATO

per questo che può giustificare la difesa di se stesso contro ciò che ha espulso. Leggendo Tucidide e lito Livio, vediamo che questa tecnica diventa comune.

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III. LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE: LA CULTURA 'OMOSESSUALE'

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iprenderei con un mito che mi serve per 1.'-ri.assumere le cose già dette e introdurre all'approfondimento odierno. Il mito, molto noto, è quello di Demetra e Kore. In sostanza questo mito racconta di Demetra, che è una divinità nel cui etimo è la parola "madre", e che sarebbe una divinità sulla linea della famosa figura della Grande Madre; non è la sola, ma comunque la più celebre, insieme con la figlia Kore, che vuol dire più o meno "fanciulla". Demetra e Kore sono dunque madre e figlia, e vivono in una relazione felice, che corrisponde all'ordine armonioso della natura. Ade, che è il dio degli Inferi, aiutato da altre divinità, ra43

IL FEMMINILE NEGATO

pisce Kore, la porta sottoterra negli inferi, nel regno della morte, la "sposa", cioè la stupra. A questo punto Demetra, disperata perché la figlia le è stata rapita, cessa di esercitare quella funzione che la identifica, ossia non genera più. Il non generare più corrisponde al fatto che la natura si isterilisce, la natura non si rigenera, non rinasce. Si ha così la morte della natura, che è una morte particolare perché è morte per assenza di nascita, morte nel senso che si ferma il generare. Ade - e con esso l'Olimpo, l'ordine divino - è quindi costretto a venire a patti; e il patto consiste nel fatto che Kore tornerà ogni anno per qualche tempo, sei mesi circa, con la madre sulla Terra, e poi tornerà con Ade sotto terra. Naturalmente, finché Kore sarà con la madre, la Natura continuerà a generare, mentre quando Kore sarà con il padre, la Natura si fermerà. Sono le stagioni: primavera ed estate con il fiorire della Natura, e poi autunno ed inverno. In genere, infatti, il mito viene interpretato come mito agricolo, mito di fondazione del significato dell'agricoltura, di quello stadio di civilizza44

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

zione che appunto l'agricoltura rappresenta. Ora, io non metto in dubbio questo significato; è tuttavia probabile che esso sia secondario, che venga più tardi; io preferisco interpretarlo in un significato che mi sembra più originario, in un ordine simbolico che mi sembra più primitivo, ed è appunto l'ordine simbolico della Grande Madre. L'aspetto originale di questo mito è che qui la Grande Madre viene messa in connessione con la figlia; non genericamente con il fare figli, ma con una figlia: quindi una relazione al femminile tra madre e figlia, ed è una relazione nella natalità; io parlo di un ordine natale, un ordine della nascita, dove la madre e la figlia, pur stando in una relazione strettissima, talmente stretta che quando essa viene sciolta la madre non genera più, mantengono ruoli diversi. Quello che intendo dire è che Kore rimane Kore finché è sulla Terra, Kore non diventa a sua volta madre, quindi non c'è una obbligatorietà della figlia a generare. Questo è molto importante, perché nella separazione dei ruoli fra maschio e femmina, 45

IL FEMMINILE NEGATO

che era anche separazione di ambiti - il maschio nell'ambito politico, nell'ambito del sapere, la donna invece nell'ambito domestico - il ruolo materno diventa ìl più potente ruolo di identificazione del femminile e diventa, per così dire, un ruolo obbligatorio. Questo non solo in Grecia ma per tutta la storia della cultura. C'è qui un grave problema, perché il femminile è costituito da varie possibili posizioni: ognuna di noi, visto che esiste, ha avuto sicuramente una madre, e dunque ognuna di noi, prima di essere probabilmente a sua volta madre, è stata figlia di quella madre. Allora l'obbligatorietà di una identificazione nel ruolo materno spesso cancella il ruolo di figlia, ruolo che è invece concesso agli uomini in una maniera spettacolare. Il maschile ha varie possibilità di posizionamento simbolico: un uomo è figlio per un lungo periodo della sua vita e rimane fortemente figlio, c'è una specie di ritardo nell'affrancamento; naturalmente gli sono dati anche i posizionamenti simbolici della paternità ed altri. Qui accenno soltanto 46

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

a un problema che non posso sviluppare, ma che è molto interessante: questa figura di Demetra e Kore, e quindi la relazione madre-figlia che si ritrova nel mito, è rarissima nella storia della cultura. Nella storia della cultura d'occidente poi, come ben sapete, viene sostituita da una relazione celeberrima e con una potenza simbolica immane, che è la relazione madre-figlio nella figura di Maria e Gesù. Naturalmente sarebbe molto complicato esaminare questo e fare dei confronti, tuttavia riuscite subito ad intuire come la diffusione di questo rapporto simbolico, Maria e Gesù bambino, venga a comandare i posizionamenti simbolici degli uomini e delle donne reali, in carne ed ossa, nell'assenza di una immagine, non dico altrettanto forte ma semplicemente in qualche modo esistente, di una relazione madre-figlia. L'ordine natale di madre e figlia nel mito di Demetra e Kore è quindi molto importante; ed è importante vedere come questo ordine natale venga spezzato dall'intervento di Ade, instaurandosi invece un ruolo, una relazione

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IL FEMMINILE N.EGATO

che non per niente è presente nel regno degli inferi, nel regno della morte: strappata alla madre, Kore è ora in relazione con un uomo che, per farla breve, potremo chiamare il marito. La relazione con il marito, nella misura in cui si origina da una rottura della relazione della figlia con la madre, pone la figlia Kore in un luogo di deportazione simbolica. Con Ade, Kore avrà figli e figlie, quindi sarà madre, ma madre nel regno della morte, nel regno dominato dalla divinità maschile. Non sono cose tanto strane: io sono nata da mia madre ma ho il cognome di mio padre, e mio figlio ha il cognome di mio marito; se avessi una figlia, avrebbe il cognome di mio marito. Voglio dire, ci sono letture anche molto facili di questo spezzare la relazione della nascita, che viene sostituita da una relazione che non è natale, ma è una relazione che nel migliore dei casi potremo chiamare contrattuale, che in ogni caso è quella che alimenta i codici sociali. La cosa è molto significativa perché non è la soluzione più comoda: voi pensate, la soluzione più comoda è che i figli, maschio o fem48

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

mina, abbiano il cognome della madre: questa è la soluzione più ovvia, che funzionerebbe con grande facilità essendo la madre colei che partorisce e quindi facilmente identificabile, mentre il padre non ha nessuna sicurezza di identificazione. Tuttavia la società, cioè il processo di civilizzazione, sceglie la soluzione più scomoda, la soluzione più incerta, e nello scegliere questo dà prova del fatto che e' è una volontà precisa dì costruire una società androcen tric a. Quello che mi interessa qui è che questa società androcentrica cancella o comunque rende problematica la relazione madre-figlia. Quindi è una doppia violenza: la violenza descritta dal mito, perché Kore viene rapita e viene sottratta alla madre, e soprattutto la violenza rispetto all'ordine natale che viene spezzato, sostituito con un ordine nel regno della morte, che è appunto un ordine sociale dove la figlia appartiene al marito e non appartiene più alla madre. Così la differenza sessuale viene tradotta in un ordine sociale, in un ordine simbolico so49

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cietario: per cui si dice che c'è un ruolo naturale della donna in quanto è sessuata al femminile, e che in genere è il ruolo domestico, e c'è un ruolo naturale dell'uomo in quanto è sessuato al maschile, e ormai abbiamo capito che ruolo naturale maschile è quello della politica e della guerra nella loro indissolubilità nella storia d'Occidente. Tutta la pretesa naturalità di questi ruoli è ovviamente una naturalità costruita: è la soggettività maschile che si pone al centro e decide ciò che è naturale e ciò che è innaturale. Tenendo presente tutto questo, leggiamo un famosissimo mito platonico, forse il più famoso: è il cosiddetto mito dell'androgino, dal Simposio. L'ambito del Simposio è una discussione su che cosa sia l'amore, una definizione dell'amore; e siccome al Simposio sono presenti i convitati uomini, perché i simposi erano chiusi alle donne 2 e ognuno dice la sua, a un 2. Le donne c'erano, ma suonavano il flauto e servivano il cibo, e non potevano partecipare alla

conversazione: erano le schiave, per intenderci, non le donne libere.

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LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

certo punto Aristofane, giunto il suo turno, racconta questo mito. Bisogna innanzitutto che sappiate qual è la natura dell'uomo e quali prove ha sofferto; perché l'antichissima nostra natura non era come l'attuale, ma diversa. In primo luogo l'umanità comprendeva tre sessi, non due come ora, maschio e femmina, ma se ne aggiungeva un terzo partecipe di entrambi e di cui ora è rimasto il nome, mentre la cosa si è perduta. Era allora l'androgino, un sesso a sé, la cui forma e il nome partecipavano del maschio e della femmina; ora non è rimasto che il nome che suona vergogna. In secondo luogo la forma degli umani era un tutto pieno: la schiena e i fianchi a cerchio, quattro braccia e quattro gambe, due volti del tutto uguali sul collo cilindrico, e una sola testa su i due volti, rivolti in senso opposto; e così quattro orecchie, due sessi, e tutto il resto analogamente, come è facile immaginare da quanto si è detto. Camminavano anche ritti come ora, nell'una e nell'altra direzione; ma quando si mettevano a correre rapidamente, come i saltimbanchi fan-

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IL FEMMINILE NEGATO

no capriole levando in alto le gambe, così quelli veloci ruzzolavano poggiando su quei loro otto arti. Dunque i sessi erano tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine dal sole, il femminile dalla terra, mentre l'altro partecipe di entrambi dalla luna, perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi rotondi di forma, e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro genitori. Possedevano forza e vigore terribili e straordinaria superbia, e attentavano agli déi... (Zeus decide allora di punirli tagliandoli in due. Così) prese a spaccare gli uomini in due come quelli che tagliano le sorbe per conservarle o quelli che dividono le uova con un crine; e intanto, via via che tagliava, ordinava ad Apollo di torcere il viso e la metà del collo dalla parte del taglio - così che l'uomo avendo sott'occhio quella spaccatura divenisse più tranquillo - e di rimediare a tutte le altre ferite. E Apollo voltava ciascun viso e, tirava da tutte le parti la pelle sul punto che oggi si chiama ventre, la legava stretta, come si stringono i sacchi con un cordone, formando uno strozzamento nel mezzo del ventre, nel cosiddetto ombelico.

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In più spianava le molte altre grinze e modellava il petto, usando quello strumento con i quali i calzolai appianano le pieghe del cuoio sulla forma. Ma alcune ne lasciò nel ventre intorno all'ombelico a ricordo dell'antica pena. Quando dunque la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, vogliosa della propria metà le sì attaccava, e gettandosi le braccia attorno, avviticchiandosi l'un l'altra nella brama di fondersi insieme morivano di fame e in generale di inazione, perché nulla volevano fare l'una staccata dall'altra. E ogni volta che una parte moriva e l'altra restava sola, quella superstite andava cercando un'altra metà e a quella si avviticchiava sia che per caso incontrasse parte di una femmina intera, che apR punto oggi noi chiamiamo donna, sia che inconR trasse la metà di un uomo, e così morirono. Ma impietositosi Giove, ricorre a un'altra trovata e traspone i loro genitali sul davanti: fino ad allora li avevano avuti sulla parte esterna e così gli uomini generavano e riproducevano non fra di loro, ma in terra come le cicale. Li traspose dunque davanti e per mezzo di essi rese possibile la fecondazione fra di essi, attraverso il sesso del 53

IL FEMMINILE NEGATO

maschio in quello della femmina. E ciò appunto con lo scopo che, se nell'avvinghiarsi si incontrassero maschio con femnùna, generassero e riproducessero la specie; se invece un maschio si imbattesse in un maschio, provassero sazietà in quell'accoppiamento, smettessero e si rivolgessero ai loro lavori ed alle altre occupazioni della vita. Ecco dunque da quanto tempo l'amore reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura l'antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare cosi la natura umana. Ognuno di noi è dunque la metà di un umano resecato a mezzo come al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e perciò sempre è in cerca della propria metà. E quanti risultano tagliati da quell'essere misto che allora si chiamava androgino, sono grandi amatori di donna; ed è da quel ceppo che provengono per lo più gli adulteri; e parallelamente le donne che da qui provengono vanno folli per gli uomini e sono adultere; invece quante donne risultano per parte di femmina, per nulla pensano agli uomini, ma più volentieri sono inclinate alle donne, e da questo sesso 54

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

vengono le tribadi; e quanti infine sono parti di maschio danno la caccia al maschio e finché sono fanciulli, cioè fettine di uomini, amano gli uomini e godono a giacersi e ad abbracciarsi con gli uomini. E questi sono i migliori fra i fanciulli e i giovani perché sono i più virili di natura. Certo alcuni li dicono impudenti, ma è falso; perché essi non si comportano così per impudenza, ma per l'indole forte, generosa e virile, in quanto amano tutto ciò che è loro simile; e ne è grande prova che, adulti, solo questi riescono capaci nelle attività pubbliche3•

Il mito è molto bello e ricco di significati. Quello che io adesso voglio sottolineare è la diversa definizione dei sessi: originariamente il sesso maschile viene da un intero maschiomaschio e il sesso femminile da un'intera femmina-femmina; c'è però un sesso maschile e un sesso femminile che vengono dall' androgino. Coloro che vengono dall' androgi3. Simposio 189-192 [trad. di Piero Pucci] in: PLATONE, Opere, vol. 1, Laterza,

Bari 1966, 681-684) del sapere, e politica.

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ll FEMMfNllE NEGATO

no sono ovviamente coloro che hanno una pratica eterosessuale, e avete sentito come è descritta questa pratica: da qui vengono gli adulteri, da qui vengono le adultere. Affermazione sorprendente: invece di dire "da qui viene l'istituzione della famiglia", che sarebbe la cosa più ovvia, il fenomeno dell'eterosessualità viene connotato negativamente. L'eterosessualità, da cui nasce la generazione sessuata, ossia l'eterosessualità che fa sì che ciascuno e ciascuna di noi, compreso Platone (che, come sapete, era omosessuale) siamo venuti al mondo viene segnata come una pratica negativa. Una pratica negativa per la quale non vengono spesi molti discorsi, come del resto non vengono spesi molti discorsi per la pratica del lesbismo; se questa non viene indicata come vergognosa, appare però ininteressante: "di qui vengono le donne inclinate alle donne", punto e basta. Eppure, pensate a Saffo, che non era secondaria nell'orizzonte educativo greco. Invece, l'aspetto interessante è quello del1' omosessualità maschile. Molto interessante, 56

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

perché l'omosessualità maschile non solo produce gli uomini più uomini, gli uomini 'virili"4, ma soprattutto perché da queste pratiche omosessuali vengono coloro che poi ricoprono le cariche politiche (le 'attività pubbliche'): la politica è il risultato di una pratica omosessuale. Pensate alla repubblica di Platone: i guardiani, ossia coloro che hanno il potere, sono i filosofi, che sono poi i medesimi che disegnano l'ordine per così dire costituzionale della repubblica, cioè che ne disegnano la politeia. Voi capite bene che c'è una coincidenza fra filosofia, cioè organizzazione del sapere, anche del sapere politico, e pratica del governo della città, cioè potere politico. Queste due funzioni coincidono; ed esse vengono assegnate ad un unico protagonista, che è il maschio omosessuale. Questo è estremamente interessante per il futuro della storia dell'Occidente. Per secoli, 4. La bellissima parola greca 'andreia', che noi traduciamo con coraggio, vuol dire virilità: nel sen-

so che virilità e coraggio sono la stessa cosa, sono inscindibili.

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IL FEMMINILE NEGATO

ambiti come l'università e la politica sono rimasti ambiti "omosessuali'' nel senso letterale della parola: ambiti riservati ad un solo sesso, dove le relazioni sono state relazioni tra individui tutti del medesimo sesso. Non sono state sempre relazioni erotiche, anzi in seguito diventeranno raramente relazioni erotiche; ma quel che rimane decisivo è che abbiano una qualità e un marchio omosessuale. Aldilà delle tendenze sessuali di Platone, l'aspetto importante del suo testo è l'esistenza di una matrice omosessuale della cultura e della politica. Gli eterosessuali sono 'adulteri' perché l'ambito della eterosessualità inteso come l'ambito della famiglia, l'ambito del matrimonio, è poco interessante, perché serve solo a generare figli; e il generare figli, l'ambito della nascita, è poco rilevante perché non è il luogo dove l'uomo si realizza in quanto uomo. Il luogo nel quale l'uomo si realizza in quanto uomo è la coincidenza fra sapere e politica. Il grande Aristotele dice: l'uomo è un animale che ha il possesso del logos, e per questo è un animale politico. 58

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

Allora, ecco il luogo di realizzazione dell'identità maschile; che, come sappiamo e come vedremo meglio, si pone come l'uomo universale. Nella coincidenza tra filosofia e politica c'è una forte presenza della dimensione omosessuale. La cosa trova conferma da ciò che viene, nel Simposio, dopo questo bellissimo mito, cioè dal famoso discorso di Diotima. Questo discorso è il luogo dove Platone fonda la sua stessa filosofia come via erotica al sapere. Diotima, sacerdotessa di Mantinea, sapiente in amore e in molte altre cose - così dice Platone - è maestra di Socrate: quando viene chiesto a Socrate di fare il suo discorso perché appunto è il suo turno, e tutti sono lì in attesa di sapere quello che dirà Socrate, questi non parla direttamente, ma dice di riferire ciò che ha imparato da Diotima. Io trovo singolare questa costruzione testuale di Platone, che oltre ad essere un grande filosofo, voi lo sapete, è un grandissimo scrittore. Attraverso una voce maschile, che è quella di Socrate, Platone riporta un pensiero femminile che è quello di Diotima, 59

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e questo pensiero femminile sarà quello che esclude per sempre le donne dalla filosofia. C'è qui una operazione sottilissima: questo pensiero femminile sarà quello che decreterà l'ambito della nascita della generazione come ambito di scarsissimo interesse, e decreterà invece l'ambito della filosofia, della politica, come ambito di grande interesse, costruendo al contempo la filosofia come mimesis (imitazione) della maternità. Tutto questo per voce femminile, del pensiero femminile ambiguamente riportato da voce maschile. Che cosa dice Diotima? Diotima viene tra l'altro a dire che amore è desiderio di generare nel bello. Questo generare nel bello avviene attraverso due modalità: una è la modalità dei corpi, l'altra è la modalità delle anime. Quando i corpi si uniscono nell'amore, generano il figlio di carne che è mortale; quindi la generazione dei corpi non fa gran che: la nascita ci mette al mondo in quanto mortali. L'unica immortalità che appartiene all'ambito del generare è quella delle generazioni, (non è un mio gioco di parole: lo fa Platone stesso): è 60

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

vero che ognuno di noi qui presenti è mortale, ma gli uomini rigenerano figli; e quindi la stirpe umana, diciamo, diventa immortale nel succedersi delle generazioni. Tutto questo discorso viene fatto in modo stupefacente attenendosi come ad una sorta di mera carnalità dell'uomo: corpi che producono corpi, corpi necessari a vivere, certo, ma che per Platone - non dimentichiamolo - sono il carcere dell'anima. In ogni caso la nascita viene esaminata come una sorta di tecnica di generazione corporea; e la vita, la vita reale, questa nostra, viene considerata poco più di nulla. Invece, quando si uniscono le anime generano nel bello e generano i figli non più di carne, ma i figli veri, i figli migliori, i figli immortali che sono i discorsi, i saperi. Come avviene questa operazione? Intanto avviene solo fra uomini (non si capisce perché: la cosa non viene giustificata), avviene tra maschi: ci sono dei maschi che si innamorano, che sono attratti da altri; in genere sono maschi di età diversa: voi sapete che il sistema dell'eros pedagogico è il 61

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sistema dell'adulto che ama il più giovane e lo forma, gli dà una specie di Bildung (educa· zione) politica e sapienziale. Il maschio adulto ama il maschio giovane, e ne ama il corpo innanzitutto, la bellezza del corpo, perché l'amato è giovane, è efebico; ma è capace di passare dalla bellezza del corpo a considerare la bellezza di tutti i corpi, e dalla bellezza di tutti i corpi a considerare che è per l'idea di bellezza che i corpi sono belli, e dall'idea di bellezza a passare a considerare il fatto che tutto è bello in quanto è armonioso, in quanto è legato ad un unico fine che è il Bene. Si percorre così questa rapida vita erotica di successiva decantazione degli elementi corporei verso una contemplazione di ciò che è sempre nello stesso modo, e mai altrimenti, cioè l'idea. Questa operazione avviene in una frequentazione reale dei due uomini di cui stiamo parlando (il più anziano e il più giovane), e in questa frequentazione reale, dice Socrate riportando Diotima, c'è un ingravidarsi (questo è il vocabolo) dell'anima dei due, e soprattutto del più giovane. Egli si ingravida 62

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

dei discorsi della verità perché già li possiede, ed è la vicinanza dell'altro che fa sì che questa verità embrionale si sviluppi e diventi il bambino completo, che è poi il discorso filosofico sulla verità. Allora l'ingravidato, intanto è un po' irritabile come tutte le donne gravide che hanno dei momenti di alti e bassi, e poi soprattutto quando si avvicina a partorire ha le doglie; allora l'altro lo aiuta perché il parto metterà al mondo un discorso immortale di cui poi i due genitori saranno fieri. E mentre per i figli di carne non è data alcuna immortalità nel pensiero e nel ricordo, e nessun monumento è stato ancora fatto per chi ha generato persone eccezionali, per questi figli immortali si fanno continuamente monumenti, e le leggi stesse della città sono questo monumento: le leggi stesse sono la concretizzazione di questi figli del discorso sulla verità. L'altra cosa estremamente interessante è che questa figura di Socrate, così amata dalla cultura occidentale, compare sempre nell'opera platonica in funzione di "levatrice". Socrate dice: mia madre faceva la levatrice, e io faccio 63

IL FEMMINILE NEGATO

partorire le anime, faccio partorire i discorsi, c'è quindi una mimesis perfetta. Questa è un'operazione strategica di grande importanza: da una parte il generare, e quindi la potenza generatrice materna, l'ambito del nascere, viene dislocato nel non essenziale e depotenziato nella sua significazione positiva; dall'altra, tutto l'immaginario del generare - l'essere gravido, l'avere le doglie, il partorire - viene rubato dalla filosofia e ne diventa il lessico stesso (esemplare è il "concetto", chiaramente da "concepire"). Si crea così un ambito di sapere e un ambito politico di centralità maschile, di pratiche omosessuali sia empiriche sia - cosa molto più importante - simboliche, e tutto questo si costruisce su una rete di significazione che è la mimesis della potenza generatrice materna. Le donne sono escluse perché servono solo per generare, la nascita non viene tematizzata nel suo significato reale, ma se ne usa tutto il lessico per descrivere la filosofia come ambito di pratica omosessuale. Operazione di straordinaria intelligenza. 64

LA CANCELLAZIONE DEL FEMMINILE

Naturalmente, questo ambito di sapere e di politica è, come già dicevamo, l'ambito nel quale la morte è categoria fondamentale. La morte è in Platone una categoria di assoluta fondatività, forse più che in ogni altro autore; essa non funziona solo come quell'angoscia per rimediare alla quale - ricordate Parmenide - si costruisce l'episteme, la sicurezza della scienza; ma diventa oggetto di desiderio, perché sparizione di quei corpi che impediscono la vera vita spirituale, la filosofia. Questo stesso ordine della filosofia e della morte è l'ordine della costruzione politica, perché la Repubblica è il disegno del filosofo, ed è dove i filosofi governano: non c'è una coincidenza maggiore in tutta la storia del pensiero. Ricordiamo anche quello che è stato già detto: la distinzione tra nemico interno (inimicus) e nemico esterno (hostis), come pure quella tra stasis e polemos (guerra interna e guerra esterna) è platonica: Platone trova questo lessico già circolante, ma gli dà la sistemazione concettuale, l'ordine del pensiero e del discorso. Ebbene, tutto ciò è risultato da una costru65

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zione omosessuale, mimetica nei confronti della nascita e, al tempo stesso, tale da rimuoverne il significato fondamentale, giungendo a considerarla ininfluente e secondaria.

rv. FILOSOFIA E VIOLENZA

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annah Arendt era ebrea, e fu perciò costretta a fuggire dall'Europa e a emigrare negli Stati Uniti. Essa è la migliore allieva di Heidegger; ma quando Heidegger sostiene il nazismo, va a laurearsi con Jaspers, con il quale mantiene anche in seguito un rapporto ottimo. In una lettera a Jaspers, nei primi anni del dopoguerra, Hannah Arendt scrive, riferendosi al nazismo: "Quel che impressiona nei campi di concentramento è che la realtà degli uomini in quanto uomini (e intende dire: gli uomini nella loro concretezza singolare: ndr) diventa nei campi di concentramento assolutamente superfluo ... Ho la forte impressione che in tutto questo pasticcio la filosofia non sia innocente". 67

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Quel che voglio fare nell'ultima parte della mia riflessione è indagare perché la filosofia non è innocente. Non pretendo di trovare un legame diretto e necessario tra la filosofia e il nazismo, ma evidenziare lo stare della filosofia entro quella stessa logica che ha la sua espressione più eclatante e più insopportabile nel nazismo. Hannah Arendt stessa chiarisce questo suo pensiero in un'opera rimasta incompleta: Che cos'è la politica (Ed. Comunità). All'inizio di quest'opera essa dice: ''La filosofia ha sempre parlato dell'uomo. La filosofi.a ha definito la politica come il luogo della realizzazione dell'uomo. Ma proprio qui sta l'errore: la politica è un luogo per la pluralità degli uomini, non per l'uomo". In altri termini: la politica, a partire dai Greci, mette al suo centro l'uomo, e dimentica che la politica stessa ha la sua ragione di essere nella posizione plurale dell'umanità: è perché siamo una pluralità di creature diverse e uniche, che ci può essere tra di noi quel legame che chiamiamo la politica; è la relazione tra le singolarità che disegna l'ambito della politica. Ma se la po68

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litica dimentica gli uomini concreti e in relazione, è perché a dimenticarli è stata, prima, la filosofia. La filosofia compie dunque due errori fondamentali. In primo luogo, mette al centro l'uomo, e viene così a costruire il suo sapere su una astrazione che, come tale, non esiste affatto (l'uomo non c'è, non ha esistenza, non vive, non produce storie di vita), mentre rende innominabili, o perlomeno secondarie, le differenze fra gli uomini, e quindi rende innominabile quella singolarità e unicità di ognuno e ognuna che sola fa di noi degli esistenti e non semplicemente dei paradigmi. Questo è il primo grande errore della filosofia. Il secondo grande errore è che, a partire da questa operazione, che è un'operazione teoretica, è un'operazione del pensiero (ai sensi non verrebbe mai in mente di dire che esiste l'uomo), la filosofia costruisce l'ordine politico, dicendo che l'ordine politico è ciò in cui si rendono efficaci le regole conseguenti al fatto che esista l'uomo. Ma, appunto, l'uomo non esiste; e dunque queste regole sono con69

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seguenza di un enorme abbaglio filosofico. Quest'operazione è di per sé violenta: ha una violenza teoretica, che si riscontra sia nella filosofia metafisica che nella sua traduzione in filosofia politica, e ha una violenza pratica: intendo dire che una violenza teoretica non può che tradursi in una violenza della praxis. La violenza teoretica consiste nel fatto che diventa superflua la realtà materiale di ogni creatura umana nella sua reale esistenza; diventa, come direbbe Parmenide, indicibile, e diventa, come dice Aristotele, qualcosa di cui non si dà scienza. Infatti c'è episteme, c'è scienza, c'è un sapere sull'uomo soltanto in quanto questi viene considerato universale, e allora si può dire: l'uomo è un animale politico, ecc; ma non c'è nessun sapere, per esempio, su Socrate, cioè su questo uomo particolare. E poiché non c'è nessun sapere su questo uomo, su questa donna particolare, avviene una violenta esclusione della singolarità incarnata dal1' ambito del pensiero. Questa violenta esclusione non è un atto semplice, ma ha molti versanti; e ora siamo in 70

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grado di capirlo bene. Il versante più evidente è che, nella astrazione del termine "uomo" nella sua universalità, si sopprime la significatività di ogni singolarità. Un altro versante, denunciato in modo lapalissiano dalla lingua, è che in questo "uomo", da una parte si nomina una differenza sessuale, ma d'altra parte la si maschera, si pretende di renderla invisibile. Dicendo "uomo" intendo genere umano (da Aristotele ai giorni nostri), ma un genere umano modellato sul solo sesso maschile: quest'Uomo che è razionale e politico è talmente maschile, che la razionalità e la politica sono due ambiti di esclusività del maschio (ciò che Platone diceva in maniera più poetica attraverso i miti: la fondazione è omosessuale, le donne non ci sono). Ora, se a questo aggiungiamo che la dicibilità dell'universale, il fare dell'uomo l'unico e vero oggetto del sapere e della politica, è reso possibile dalla centralità della morte e dall'ignorare la nascita, se prendiamo in considerazione tutto questo, vediamo che gli effetti sono veramente micidiali. Infatti è vero che la 71

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morte è sempre una morte singolare, la morte è sempre pensata innanzitutto come la mia morte; e tuttavia la morte è proprio quell'accadimento nel quale la singolarità sparisce: nel pensare la mia morte penso l'attimo della sparizione della mia singolarità da questo mondo: mi nomino nel momento dello sparire. Non dimenticate che ci stiamo occupando della politica; e la politica è mondana (anche per sant'Agostino), è la relazione fra le singolarità; e quindi appare contraddittorio fondarla sulla morte, che è la fine dell'esistenza mondana e la scomparsa delle singolarità. Al centro della politica, dice Hannah Arend t, sta invece la nascita: la nascita è quel luogo e quell'attimo in cui la singolarità incarnata appare, viene al mondo, è al mondo in quanto appare. Si tratta di una singolarità che, da una parte, è unica ("la condizione umana è quella di una paradossale pluralità di esseri unici"): chi nasce è, per ciascuno di noi che lo/la accogliamo, qualcuno di unico nella sua irripetibile differenza. Chi nasce è nuovo, dice Hannah Arendt, e poiché è nuovo, un nuovo venuto, 72

FILOSOFIA E VIOLENZA

l'inizio di un'esistenza, è anche un iniziatore, un'innata capacità di iniziare. Ebbene, la prima operazione della filosofia consiste nell'ignorare la nascita, e quindi ignorare il luogo dell'apparizione dell'unicità, della singolarità incarnata, dove la singolarità incarnata stessa (il nuovo bambino, la nuova bambina) hanno una realtà e una relazione imprescindibile. Si dice: quando si muore, si muore soli; ma non si può dire: quando si nasce, si nasce soli. La nascita è sempre la nascita del nuovo venuto, della nuova venuta, che nella relazione di chi la mette al mondo trova una dimensione imprescindibile, costitutiva della sua realtà individuale. Quindi il nato, la nata, sono una soggettività relazionale, impediscono la teorizzazione di una singolarità che sia individualismo. Voi sapete che l'individualismo è una grande dottrina della modernità, ed è una visione atomistica: noi siamo esseri per i quali ciascuno è fondamento di se stesso e ha il suo senso in se stesso, e, se entra in relazione con altri, lo fa perché vuole. 73

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L'individualismo è Cartesio: "penso, dunque sono" è un'espressione di radicale individualismo. In realtà, Cartesio "è' perché lo ha messo al mondo sua madre, ma lui se l'è dimenticato, e crede di mettersi al mondo con il suo pensiero. La nientificazione totale viene superata con l' autoidentità del pensiero. Questa è la base della filosofia moderna, ed è la risposta moderna ad Aristotele che diceva: I1uomo è un animale razionale e politico. La modernità prende la violenza greca e la acutizza, e inventa questa categoria dell'individualismo perfetto, dell"'individualismo possessivo"; perché colui che si è messo al mondo da se stesso è padrone di se stesso. Ecco: la tematizzazione della nascita evidenzia l'insensatezza dell'individualismo possessivo, perché chi nasce non si mette al mondo da solo ma viene messo al mondo da altri; meglio: da quell'altra unica e irrepetibile, con quel nome e cognome, con quella storia di vita nella sua estrema singolarità; e c'è questa prima costitutiva relazione, che è condizione della dicibilità del soggetto nella sua concretezza. 1

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La Arendt, a cui liberamente mi ispiro, non affronta il tema della maternità; io sto prendendo la sua categoria della nascita e la sto elaborando. Questa relazione è costitutiva; e tuttavia ci sono altre relazioni che, pur non essendo costitutive, sono comunque essenziali per l'identità del soggetto, e sono le relazioni per cui chi nasce "appare": venire al mondo è "venire alla luce". Chi nasce appare, ma si appare sempre a qualcuno, sottoposti agli sguardi altrui. Mentre il verbo "essere" non ha affatto bisogno di altri, il verbo "apparire" è verbo dì relazione. E qui la relazione, che è anche ovviamente dipendenza, legame di una singolarità con un'altra, questa relazione, se si mantiene fedele alla singolarità (e rimanere fedele vuol dire non offenderla) può costituire in nuce una politica nonviolenta. Ossia: una politica che abbia a che fare con la singolarità, con la differenza, e che non tradisca questa differenza in una delle svariate forme di dominio. Ciò che è veramente impensato nella tradizione occidentale, a partire da Platone, è la differenza; la differenza che è insita in ogni 75

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creatura in quanto singolare e unica è quella differenza impressa nella carne che fa di ogni creatura non il genere umano ma una creatura appartenente a uno dei due generi, a uno dei due sessi. La storia occidentale a partire dalla metafisica ha invece costruito la differenza come differenziazione, e l'ha tradotta in una forma di dominio. Allora, la differenza come relazione è: io differente, tu differente, e differenti in quanto irriducibili, unici: differenti in quanto tu maschio io donna, senza che ci sia qualche cosa di iniziale che è il modello cui aderire. Nella storia dell'occidente la differenza è differenza-da: c'è l'uomo adulto, maschio, libero, e nei suoi confronti la donna "differisce": differisceda-lui in quanto essa è non-maschio; è quindi inserita in una gerarchia, al piano inferiore; come il non-libero differisce dal libero, il nongreco dal greco. Si crea cioè un' identità centrale e, attraverso una strategia di esclusione, si nominano le differenze come differenze-da; il maschio è il prototipo, e come tale anche il dominatore.

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La legittimazione di questa dominazione coincide perfettamente con l'operazione teoretica della differenza. Quello che intendo suggerire è che, se noi diamo retta a questa mossa che viene compiuta nella grecità, ma che non viene più smentita, che viene vagliata, elaborata, ma che si mantiene fino ai giorni nostri, se noi prendiamo sul serio questa mossa, la mia tesi è che questa mossa non può essere riformata, migliorata: non si può togliere la violenza di questa mossa senza togliere la mossa stessa. Non si può ragionare con le categorie universalistiche, dove c'è l'uomo che è universale e maschio e che dispone di tutte le differenze-da-lui in una rigida gerarchia, e all'interno di questa logica cercare di essere "più buoni"; non si può dire: se l'uomo-maschio ci dà gli stessi diritti, non è più violento. Questo naturalmente può essere meglio del peggio: ci sono vari gradi di dominio (anche la Arendt lo ammette); e tuttavia i gradi di dominio sono sempre resi possibili da una mossa iniziale che è una mossa di violenza. Per questo ciò che stiamo dicendo è molto importante: per-

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ché, se si vuol essere veramente "buoni", se si vuole sul serio fare un discorso della differenza, e si vuol essere fedeli alla realtà umana, bisogna avere il coraggio di una mossa teoretica iniziale, che metta in discussione tutta la tradizione occidentale anche in quei lati in cui l'universalismo ci pare una buona cosa. Io non ho dubbi sul fatto che l'universalismo della forma giuridica moderna, il cosiddetto universalismo giuridico, sia meglio di quello medievale: non ho alcun dubbio su questo, non ho alcun dubbio che la democrazia sia meglio dell'organizzazione feudale. Il mio dubbio, o il mio sospetto, è un altro (ed è molto simile a quello della Arendt): che la democrazia sia la forma buona, la forma migliore, di quella fondazione teoretica che è la medesima che riesce a produrre i campi di sterminio. Vedo benissimo la differenza tra democrazia e campi di sterminio. E tuttavia, se voglio pensare la democrazia in modo concreto, cioè dove la singolarità incarnata e relazionale di ognuno abbia senso, 78

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devo rivedere gli stessi fondamenti universalistici della democrazia. Allora forse HannahArendt ha ragione. Essa dice: la centralità dell'uomo in Grecia funziona con un sistema di dominio particolare ma molto chiaro (voi sapete che nella democrazia greca si raccoglieva nella piazza il dieci per cento della popolazione): in nome dell'uomo universale una minoranza gestiva la politica. Nella modernità sembra che la selezione sia molto minore: nella modernità c'è l'uomo universale: quello della Rivoluzione Francese, dei "Diritti dell'uomo e del Cittadino"; ma questo uomo è definito secondo precisi paradigmi, secondo quell'individualismo possessivo che inizialmente scarta le donne, e poi le comprende ma sotto il paradigma iniziale. Alla donna, al povero, si dice: ti ammetto nello statuto di Uomo (art. 3 della Costituzione Italiana: "tutti i cittadini sono uguali e hanno pari dignità sociale senza differenze di sesso, razza, religione ... "); ti ammetto nel paradigma universale di Uomo; così facendo elimino i meccanismi discriminativi. Grande passo, ma passo che 79

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contiene una componente di violenza! assimilazione e uniformazione potente. Una donna è un soggetto se, malgrado sia una donna, si uniforma al paradigma Uomo; un nero è cittadino americano, negli USA, se si sforza di uniformarsi al bianco. Questi sono tutti meccanismi di assimilazione, che sono basati su una violenza interna a quello che si chiama l'ordine politico, che naturalmente ha una sua corrispondenza esterna, chiamata guerra. Ora, la Arendt ci fa notare che questa lunga storia, che parte da Aristotele e arriva all'Uomo della Rivoluzione Francese e del diritto moderno, ha il suo volto sopportabile, con vantaggi indiscutibili, nel cosiddetto modello delle democrazie occidentali, ma ha un altro volto, insopportabile e tuttavia coerente con i medesimi principi, che è quello dei campi di sterminio. Questo stesso volto, anche se in forma molto meno drammatica, è quello che si manifesta nella massificazione dei gusti e delle opinioni, dovuta soprattutto a quel supermercato cultu80

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rale che è la televisione, il vero grande fratello della massa (sto dicendo in maniera sommaria cose che sono molto più complicate). Qui la singolarità incarnata è morta, qui l'uniformazione è perfetta, qui siamo con Rousseau reso vero: la volontà generale. Uomini e donne nella loro singolarità sono resi superflui. Ebbene: la scena apocalittica di questa superfluità è il campo di concentramento. E su queste cose Hannah Arendt dice parole estremamente acute: essa apre una polemica sulla questione del processo di Norimberga che punisce i nazisti, come pure sul processo ad Eichmann (vedi il suo libro: La banalità del male). La polemica è dì questo tipo: il processo di Norimberga ha la sua logica nel fatto che viene presupposta e ammessa una giustizia che può punire i crimini contro l'umanità. Ma se ammetto questo, arhmetto che questi crimini siano "razionali", che rientrino in una logica. Invece un crimine come il nazismo non è giudicabile, perché sfugge al concetto di giustizia. In una lettera a Jaspers la Arendt dice: la singolarità è tale che si è differenti anche negli 81

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atteggiamenti di bene e di male; ma quando nei campi di concentramento gli ebrei, nudi, l'uno dietro l'altro, se ne andavano verso le camere a gas, allora l'usuraio e il bambino innocente non avevano più alcuna differenza. Talmente enorme è l'opera di nìentificazione da parte del nazismo, che viene cancellata ogni differenza. Il vantaggio di leggere Arendt è di vedere come tutto l'ordine simbolico che viene narrato dai miti sia messo in pratica, e come la fondazione di un ordine simbolico che è basato sulla violenza nei confronti delle differenze tradotte in inferiorità possa anche sfociare in una perfetta sua realizzazione. E allora possiamo tornare a Platone e all'animale razionale politico di Aristotele, per vedere come sia indisgiungibile la violenza dell'operazione teoretica e la violenza degli effetti pratici dell'ordine politico. Intendo dire che, quando di fatto l'ordine politico si regge sulla guerra, si può e si deve risalire da questo fatto al fondamento simbolico che lo sottende: il fratricidio. Ma se poi riflettiamo sulla 82

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pura presenza maschile dei riti di fondazione fratricida (e qui Freud avrebbe molte cose da dire), possiamo andare dalla guerra combattuta (contro i barbari o tra le poleis) all'interno dell'ordine politico, e vedere come il loro protagonismo maschile non sia casuale: l'ordine politico si costruisce su questo soggetto, che è violento in quanto si propone come soggetto a discapito di altri esseri umani, i quali non vengono più considerati soggetti ma vengono misurati in base alla loro differenza-distanza dal soggetto "vero". Tutto diventa coerente. Allora l'opera di revisione non basta: ci vuole un'opera radicale di ripensamento delle singolarità incarnate; che diventa un'impresa teoretica e politica allo stesso tempo. Ora, il ripensamento della singolarità incarnata non può naturalmente ripartire da capo: non possiamo tornare ai Greci; dobbiamo partire qui e ora. Ma dobbiamo vigilare perché il "qui e ora" non sia il restare senza memoria. I campi di sterminio sono anche il tentativo di cancellare la memoria. E la memoria è anche quella inscritta nel nostro linguaggio: il ricordo di 83

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tutta la lunga storia che ha al centro una soggettività omosessuale e violenta. La lotta non è mai pura, la lotta non è mai innocente: quello che noi stiamo facendo è un decostruire e leggere il linguaggio violento usando questo stesso linguaggio, che viene da Platone e da Aristotele (io stesso dico 11 uomini11 , che è già meglio che "l'uomo", perché è al plurale, ma continua a far violenza alle donne). È una continua decostruzione del linguaggio attraverso il linguaggio; ma una decostruzione che, in ultima analisi, non è un gioco filosofico ma una grande scommessa etica, una scommessa per la nonviolenza: una scommessa sulla singolarità incarnata, finita e irrepetibile di ogni creatura umana, e, insieme, sulla sua costitu~ tiva relazionalità all'altro. Un'etica che non parta da questa fondazione corre il rischio di proporsi come etica ma di essere una riformulazione della violenza rivoluzionaria, la quale ha appunto negato quelle due dimensioni essenziali dell'umano. Che vogliamo invece qui riaffermare a modo di conclusione: invece di vivere per la morte, vivere a partire dalla 84

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nascita; e invece di una singolarità isolata e autonoma, una singolarità in essenziale relazione con l"' altro".

Bibliografia minima H. ARENDT, Vita activa (Bompiani) H. ARENDT, La vita della mente (Il Mulino) A. CAVARERO, Nonostante Platone (Ed. Riuniti) A. CAVARERO, Corpo in figure (Feltrinelli) H. BLUMENBERG, Elaborazione del mito (Il Mulino) 85

INDICE

Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 I. La morte come categoria fondativa nella metafisica e nella politica . . .

7

li. Miti di fondazione del politico . .

.13

III. La cancellazione del femminile:

la cultura II omosessuale" . . . .

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N. Filosofia e violenza . . . . . . .

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Collana Al di là del detto I. CARMINE. D1 SANTE., Bibbia. La Parola che parla 2. CARMINE DI S•~TE. Francesco e la musica. In dialogo con Mowrt e Bar1h 3.ARMIOO R1zz1, Laicità. Un'idea da ripensare 4. MASSIMO CAOCIARI, La città 5. CARMINE'. 01 S.•NTE., Gesù come incontrarlo nei va11gelì 6.ALBE.RTO GALLAS, Bonhoejfer: l'uomo, il reologo, il profeta 7. CARMINE D1 SANTE., Eucaristia. l'amore estremo 8. CAR.MINE D1 S.r,TE, Parole di luce. Segnavia dello Spirito 9. THOMAS MrCHa, Un cristiane incontra l'Islam I O. ROBERTO MANCJNI, li senso del tempo e il suo mistero 11. SALVATORE CuRRò, Decidersi per il d.,no. S11 una traccia biblica 12. CAR\11NE D1 SA~TE, Coppia e gratuità 13 . AR.~1100 R1ZZJ, L ·uomo di f rome alla morte !4. LUIGI AOCATTOU - J1so FoRZ.,NI, La compassione buddhista, il perdono cristiano 15. G1usEPPE B.,RBAGLJo, Amore e violenza. li Dio bifronte 16. ANN.• Ross1-D0RJA, Le donne nella modernità 17. ADRJANA CAVARERO, Il femminile negato. La radice della violenza occidentale I 8. F,0R1zro F,BRJZI, Liberare Dio. Dal Dio della ragione al Dio de/l'alleanza 19. MARCO DAL CoRso, Per un cristianesimo altro. Le esperienze religiose amerindie 20. LILIA SEBASTIANI, Nella notte mi istruisci. li sogno nelle Scrirrnre sacre 21. GIANNINO PIANA, ÙJ. sessualità umana. Una proposta etica 22. M .AURIZIO ALIOTTA -ANGEI..A LrA, Io, Paolo, scrivo a voi ragazzi. Una lettera di Sa«lo di Tarso 23. MACIEJ Bn,LAWSKI, La luce dfrina nel cuore. lntrodu ..ione alla Filoca/ia 24. CARMIKE D1 SANTE, Dio sì racconta. L'amore trinitario 25. SALVATORE. CliRRò, Dire Dio deponendo le pietre. Sul linguaggio religioso 26. DARIO ViVIAN, Non nominare il ,wme di Dio 27.ARMIDO RIZZI, Giobbe. Un libro polifonico 28. ROBERTO MANCINI, Desiderare il futuro. Fede e unità della speranza umana 29.ANDREA GRILLO-MATTE.O FERRARJ, I.ti riforma liturgica e il Valicano li.

Quale futuro? 30. ARMIOO R1zz1, Teologia del Novecento 31.ANDREA GAGLIARDLicc1, La musica de/l"alrro. Sinfonia delle differenze 32. VINCENZO ALTOMARE, La Parola liberarrice. La pedagogia di Paulo Freire 33. FABRIZIO FABRIZI, Liberare la libertà. Ges1ì e /"alleanza ebraica 34. FEDERICO BATTlST~TIA, li Cantico delle crearure. 35. M.,rrEo FERRAR! - GLiioo BENzi, L"esisrenza Ira dono e limire 36. ARMIDO Rizzi, Utopia e q1101idiano nella Bibbia. Per una prassi messianica 37. G10Ro10 Mo>i,AG'iOLI, Violenza e nonviolenza. 38. ROBERTO FILIPPINI, Cantico dei Cantici. Sogno di sogni 39. EvA MAro, LlJ /erra e il giardino. Una ri/euura della Genesi 40. Lua.A Pou, Gesù. ebreo. Dalla negazione al riconoscimento

41. CARMINE D1 SANTE, Crisi educativa. L'evange/o come pedagogia 42. M. TRABL'CCH1,A. Riw, P. GrBEUJ, R. F10R1N1, Laspiritualitò. deil'am}ano malato 43. EZIO fALAVEGN,A, Città amata e abitata 44. STEFANO CARATI, Per un'eco,wmia della felicità. Verso un mondo conviviale 45. SAVERIO CORRA DINO, li potere nella BibbÙl. L'autorità come servizio 46.A~·DRÈ WÉNlN - MATTEO FE.RRARl, Stare davanti a Dio. La preghiera 47. FEDERICO BArnSTllTTA, Verirà e cammino. Dialogo religioso e religiosità del dialogo 48. V1NCENWARNONE, Gerusalemme. Dove volano i poeti 49.ARf\llDO R1w, Passione e risurrezione. L'evento della croce 50. G10R010 PANTANELLA, Etty Hillesum. La ragazza che ospitò Dio 5 ! . EMANUELE BoRoaw, Paul Ricoeur. Evangelo e libertà 52. RoBEITTO V1Nco, li pensiero politico di Hannah Arendt 53. Lu101 ADAMI, Polifonia per Turoldo. Una voce fuori dal coro 54. P1E:.RG10RGIO GRASSI, Laicità e pluralismo religioso 55. B. ANTONINI - L. MARTIN!, David Maria Turoldo · Ernesto Balducci 56. Ivo L1zzoL.A, La paternirà oggi rrafragilità e testimonianza 57, MARCO MALMES\, Il diavolo oggi 58, CARMINE D1 SANTE, Parole come pungoli. Versetti biblici 59, GIORDANO REMONDI, Sulla rolla della pace, Navigando nelle Scritture 60. SERGIO MANGHI, L'altro uor,w, Violenza sul/e donne e condizione maschile 61.ARMIDO R1ZZ1, li libro dell'alleanza. Il Deuteronomio 62. CARMINE D1 SA1',E, La Bibbia. La sua verirà e il s110 linguaggio

63. ARMIDO R1zz1, Alle origini del/.a violenw.11 nodo della cultura di pace 64. C. D1 SA1'"1'E, C. Po!'