Il cantare quattrocentesco di s. Giovanni Evangelista 8821004716, 9788821004711


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Italian Pages 104 [110] Year 1947

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Il cantare quattrocentesco di s. Giovanni Evangelista
 8821004716, 9788821004711

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STUDI E TESTI --------- 130---------VITTORIO CIAN

IL CANTARE QUATTROCENTESCO DI

8. GIOVANNI EVANGELISTA EDITO E ILLUSTRATO

CITTA DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MDCCCCXLVII

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STUDI E TESTI 1. Tartasso, Marco. Antonio Flaminio e le princi­ pali poesie dell'uulograto Vaticano 2S70.1901). pp. 00. 2. Tartasso. Marco. Le (Ine Bibbie di Bovino ora codici Vaticani latini 10510-10511 e le loro note storiche. 1900. pp -14. 3. Franchi de’ Cavalieri, l’io. La Passio ss. Ma­ riani et lacobi. 1900. pp. 71. 1 tav. (faes.). 4. Tartasso. Marco. Aneddoti in dialetto romane­ sco dei sec. xiv, tratti dal cod. Vat. 7054. luul. pp. 114. 1 tav. (faes.). 5. Mercati, Giovanni. Note di letteratura biblica e cristiana antica. 1901. pp. vm , 254. 3 tav. pieg. (faes.). 6. Franchi de’ Cavalieri, Pio. I martiri! di s. Teodoto e di s. Ariadne, con un'appendice sul testo originale del martirio di s. Eleuterio. 1901. pp. 184 [3]. 1 tav. (faes.). 7. Mercati, Giovanni. Antiche reliquie liturgiche ambrosiane e romane; con un « excursus » sui frammenti dogmatici ariani del Mai. 1902. pp. 75 [2], 8. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografiche. 1902. pp. 36 [3J. 9. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Nuove note agiogra­ fiche. 1902. pp. 75 13]. 10. Tartasso, Marco. Per la storia del dramma sa­ cro in Italia. 1903. pp. 127. 11. Mercati, Giovanni. Varia sacra. 1903. p. 112. 32 x 20 cm. 12. Mercati, Giovanni. I. Un frammento delle Ipotiposi di Clemente Alessandrino - II. Paralipomena Ambrosiana. 1904. pp. [2]. 40. 13. Catalogo sommario della Esposizione Gregoriana. 2a ed. riveduta e aumentata. 1904. pp. 74. 14. Tartasso, Marco. Del Petrarca e di alcuni suoi amici. 1904. pp. 105 13]. 15. Mercati, Giovanni. Opuscoli inediti del beato card. Giuseppe ‘Collimasi tratti in luce. 1905. pp. 55. 1 tav. pieg. (faes.). 16. Tartasso, Marco, initia patrum allornmque scriptorum ecclesiasticoruui latinorum ex Miguei Patrologia, et ex compluribus aliis libris. Volumen I : A-M . 1906. pp. x, 695. 1 7 . -------Volumen I I : N -Z. 1908. pp. [2], 650. 18. Tartasso, Marco. Frammenti d ’un Livio del v secolo recentemente scoperti. Codice Vati­ cano latino 10695 (con tre tavole in fototi­ pia). 1906. pp. 18. 3 tav. (faes.) 40x35 cm. 19. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Hagiographica. 1908. pp. 185 12], 20. Tartassa, Marco. I codici Petrarcheschi della Biblioteca Vaticana. 1908. pp. x, 250 [2]. 2 tav. pieg. (faes.). 21. Carusi, Enrico. Dispacci e lettere dì Giacomo Ghcrardi. Nunzio pontificio a Firenze e Mi­ lano (11 settembre 1487-10 ottobre 1490) ora per la prima volta pubblicati e illustrati. 1909. pp. ci.xxu, 723. 22. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografiehe Fascicolo 3U. 1909. pp. |3J. 122. 23. Tisserant, Eugènc. Codex Zuqninensis reseriptus Veteris Testamenti. Texte grec des manuserits Vatican syriaque 162 et Mus. Brit. additionel 14.665, Àditi uvee introduction et notes. 1911. pp. [2], i,xxxv, 275 [2], 6 tav. (faes.). 24. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografiche. Fascicolo 4°. 1912. pp. [4], 194.

25. Patzcs, M. M. Kpnod roO flaT&J Tiirouxeiros, sive librorum JA Basilicorum summamim. Libros L-XII graeee et latine ediderunt fon­ tanius Ferrini f Iohamtes Mercati. 1914. pp. xi.vu, 203. 1 tav. (faes.). 26. Ferrati, Michele. Documenti e ricerche per la storia dell’antica Basilica Vaticana. Tiberii Aipharani De Basilicae Vaticanae antiquis­ sima et nova structura, pubblicato per la prima volta con introduzione e note. 1914. pp. JLXI, 222. 7 tav. (2 pieg.). 27. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografiche. Fascicolo 5°. 1915. pp. 13], 135. 28. Tartasso, Marco. Rime inedite di Torquato Tasso raccolte e pubblicate. 1915. pp. 92. 2 tav. (faes.). 29. Carusi, Enrico. Lettere inedite di Gaetano Ma­ rini. I Lettere a Guid’Antonio Zanetti. 1916. pp. 59. 30. Mercati, Giovanni. Se la versione dall’ebraico dei codice Veneto greco V II sia di Simone Atumano arcivescovo di Tebe. Ricerca sto­ rica con notizie e documenti sulla vita delTAiuniano. 1916. pp. 64, 3. 2 tav. (faes.). 31. Mercati, Giovanni. Notizie varie di antica let­ teratura medica e di bibliografia. 1917. pp. 74. 32. Yattasso. Marco. Hortus caelestium delicia­ rum ex omnigena defloratione sanctorum pa­ trum, moralium philosophorum et scripto­ rum spiritualium summa cura compositus... a D. [omini- lìcita... Opera scoperta ed ora per la prima volta pubblicata con uu’ainp;a introduzione. .1918. pp. cvn [2], 158. 3 tav. (ritr., faes.). 33. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografiehe. Fascicolo fi». 192(1. pp. [2], 224. 34. Guidi. Pietro e Pellegrinetti, Ermenegildo. In­ ventari del Vescovato, della Cattedrale e di altre chiese di Lucca. Fascicolo I. 1921. pp. L2J, 342. 35. Lauzoni, Francesco. Le origini delle diocesi antiche d 'Ita lia ; studio critico, 1923. pp. 3, (572. 1 c. geogr. pieg. Pi ima edizione uelPopet-a indicata al numero seguente 35 [bis] Lauzoni. Francesco. Le diocesi d ’ Italia dalle origini al principio del secolo vu (an. 604i; studio critico. Faenza, 1927. pp. x n , 1122 36. Schiaparelli. Luigi. Il codice 490 della Biblio­ teca capitolare di Lucca e la scuola scrittoita luccilese (sec vm -ixi. Contributi allo studio della minuscola precarolina in Italia. 1924. pp. ]31, 115. 8 tav. (faes.). 37-42. Miscellanea Francesco Elicle. Scritti di sto­ ria e paleografia pubblicati sotto gli auspici di S. S. Pio XI. in occasione dell’ottante­ simo natalizio dell’ Edio cardinale Francesco Ehrle... 1924. 5 voi. e 1 album ili., tav. (faes ). 43. Lauzoni, Francesco. Genesi, svolgimento e tra­ monto delie leggende storiche ; studio critico. 1925. pp. [2], vm , 304. 44. Mercati, Giovanni. Per la cronologia della vita e degli scritti di Niccoli) Perotti arcivescovo di Siponto: ricerche. 1925. pp. x m , 170, 9. 5 tav. (faes.). 45. Sussidi per la consultazione dell’ Archivio Vati­ cano, a cura deila direzione e degli archivi­ sti. Volume I. Schedario Garampi. Registri vaticani. Registri Lateranensi. Rationes Ca­ merat'. Inventario del fondo concistoriale. 1926. pp. i x , 222. 8 tav. (faes.).

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EDIZIONE ANASTATICA Anno 2010

Tip. Cardimi s.a.s. - Roma

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STUDI E TESTI --------- 130-------— VITTORIO GIAN

IL CANTARE QUATTROCENTESCO DI

8. GIOVANNI EVANGELISTA EDITO E ILLUSTRATO

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA M0CCCCXLVII

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IMPRIMATUR: Datum in Civ. Vat., die 15 iulii 1947. f Fr. A. G. D e R omanis, Ep. Porphyreonen.

Vio. (ion. Civitatis Vaticanae

TIFOGKAFIA POLIGLOTTA VATICANA

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INTRODUZIONE i R ITR O V A M E N TO D EL CAN TARE E M AN O SCRITTO D I ESSO Prim a che sia troppo tardi, mantengo un’antica promessa. Memore del detto che ogni promessa è debito, sento il dovere di pagare il debito da me contratto molti anni sono, pubbli­ camente. Infatti, dopo lunghe e pazienti ricerche, dopo aver interpellato gli amici più competenti in materia, nel timore di portare vasi a Samo e nella speranza che qualche stu­ dioso o qualche bibliotecario potessero fornirmi utili raggua­ gli da manoscritti sfuggiti alle mie indagini, rivolsi, fin dal 1918, il seguente appello ai lettori del Giornale storico della lett. ital. (voi. L X X II, p. 385) : « Da più anni il prof. V. Cian ha trascritto ed ora ha pronto per la pubblicazione un inte­ ressante poemetto del primo Quattrocento su san Giovanni Evangelista, tratto da un codice finora ignorato, che, già esi­ stente presso la nobile famiglia pisana degli Albata, è oggi depositato nell’Archivio di Stato di Pisa ». Ma, poiché questo annunzio — suggeritomi anche dal desiderio di evitare qual­ che sorpresa da parte di altri ricercatori, dal momento che il manoscritto scovato da me in una biblioteca privata, era di­ ventato, per mio consiglio, di pubblico dominio — non ebbe alcuna risposta, rassicurato da questo silenzio, ho deciso di offrire agli studiosi il frutto della mia modesta scoperta e delle ricerche fatte sull’argomento.

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Introduzione

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Fu. un giorno veramente fortunato nella mia vita di stu­ dioso e di ostinato esploratore nella tacita Pisa, quello ch’io riuscii a penetrare nell’archivio degli Alliata, grazie alla pronta cortesia del co. Gherardo della Gherardesca, consor­ te, prima che erede, all’unica rappresentante del ramo prin­ cipale di quella famiglia che contava fra le più cospicue della città pisana.1 Non solo cortese, ma tanto più degno, per ogni riguardo, di portare un nome di tale risonanza e di avere raccolto pre­ ziose eredità di memorie storiche e di cultura, perchè il no­ bile uomo non esitò, in seguito, a provvedere nel modo più sicuro alla sorte di quel suo archivio domestico, affidandolo all’Archivio di Stato cittadino, dove oggi forma appunto il «F on d o Alliata»·. Orbene: nella Busta 113, al n. interno 1, di questo Fondo, si conserva quel codice che fino dal 1903 aveva attirato la mia attenzione e che ora mi offre la materia del presente contributo alla storia della poesia religiosa popolaresca. Il ms., cartaceo e miscellaneo, novera 124 carte antica­ mente numerate, più 3 bianche, in fine. Nella parte che ci interessa, è scritto su due colonne, con le iniziali dei canti lasciate in bianco per le miniature. Adespoto e anepigráfico, racchiuso in bella e solida rilegatura originale, in tavola è pelle e, all’interno, in pergamena, misura mm. 295 X 2 2 .1 tre fascicoli che compongono questa miscellanea sono scritti da

1 oioni,

Basti rinviare alle preziose memorie D elle fam iglie pisane di R affaello R onpubbl. dal B onaini neU’Arch. stor. ital., t. V I, 1848-9, p. I I , Supplem. II,

pp. 832sgg., dove è ricordato, fra gli altri, un Pietro Alliata, canonico pisano, sotto l’ anno 1488, oltre ad altri insigni personaggi, a. partire dal Trecento.. Per la molta liberalità del conte della Gherardesca la mia esplorazione nel suo archivio di famiglia fu per me Una vera fortuna; non cosi mi accadde in quegli stessi anni per la Silloge ignota di làudi sacre, delia quale fui costretto a dare agli studiosi solo una fuggevole notizia nel mio contributo alla « Miscellanea nuziale Scherillo Negri » ; Dai tem pi aMtichi ai tempi moderni, Milano, Hoepli, 1904.

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Ritrovamento e manoscritto del Cantare

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mani diverse, in tempi diversi, ma tutti entro i limiti del secolo xv. La prima parte di essa, nella quale è compreso il poemetto, insieme con altri componimenti che lo precedono e lo seguono senza avere alcuna diretta attinenza con esso, si può assegnare con quasi assoluta certezza alla prima metà di quel secolo, se non ai primissimi decenni. Non essendo il caso, anche per ragioni ovvie d ’economia, di offrire qui una descrizione minuziosa del codice, mi limi­ terò ad alcune brevi notazioni riguardanti quei componimenti che si potrebbero dire i naturali coinquilini e buoni vicini nel primo piano d ’un edificio nel quale, da più di cinque secoli, ci attendeva, visitatori curiosi, il nostro poemetto. Così il lettore potrà farsi un’idea delle famiglie alle quali essi appartengono, cioè, del contenuto e del carattere di questa miscellanea, che è .quasi tutta di materia religiosa e morale, d ’impronta più o meno popolareggiante. Affatto estranea al nostro argomento, ma non per questo trascurabile, è la prima parte di essa, che ci offre una delle molte e note versioni della storia troiana e precisamente tale che trova riscontro con quella che il Gorra segnalò, fino dal 1887, come esistente, fra gli altri, nel cod. laur. gadd. 35.2 Parimente ha per noi un interesse del tutto secondario quel Padiglione di Carlo Magno che fa sfoggio di sè in non poche carte del nostro manoscritto e che corrisponde per la lezione a quella del testo fatto conoscere nel 1888 dal Vandelli.3 P er contro, ha stretta attinenza col nostro cantare, e non soltanto pel carattere suo di schietta religiosità popolaresca, quel devoto racconto del miracolo di Gesù apparso al conta­

2 T esti ined. di storia troiana eco. Torino, 1887, p. 174 sgg. 3 Si veda R ajna, Le fon ti dell’«. Orlando Furioso » 2, pp. 37Ssg. Il nostro testo pisano si aggiunge ai cinque citati da L. F rati nel Giornale stor. d. letter. it., IV, pp. 178 sgg. e ad altre vecchie stampe.

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Introduzione

dino di Scozia, nel 1398, che il Bongi diede alla luce insieme con un capitolo delle Croniche del Sercambi, il DOXIY, in­ titolato: Come Cristo apparve a uno che lavorava la terra* Stretta attinenza, dico, non soltanto per lo spirito religio­ so dell’uno e dell’altro componimento, ma anche pel momento storico al quale è credibile sieno da assegnare, cioè a quegli anni fra il xiv e il xv secolo, nei quali l ’Italia fu teatro di quel vasto risveglio di spiritualità collettiva che ebbe il nome di Bianchi Flagellanti. Il racconto miracoloso, che è nel mezzo, fra di laude e di serventese ed esordisce così: « Un pover contadino - nella Scozia era ito a lavorare », è un an­ nunzio ed insieme una fervida esortazione devota. Infatti la Vergine, apparsa al rozzo e onesto lavoratore dopo l ’appa­ rizione di Gesù, « in forma d ’un “ fantino ” », così gli parla: « Tostamente andrai - e quel ch’ai veduto manifesta. - Alla gente dirai - ch’ ogniun sia vestito a bianca ve st a» ; e per in­ cuorarlo a compiere il suo messaggio e vincere gli increduli ... « la vergine pia dal lato manco - gli diè colla mano - una guan­ tata piano - E vi rimase la forma d ’ogni dito - E in ogni forma v ’era - la Vergine Maria vestita a bianco : « Con que­ sto segno va e non sia stanco - E parla col cuor franco ». E il contadino parlò, e fu così che « Ognuno tosto pigliava la vesta bianca assai divotamente - Gridando fortemente Misericordia, Iddio, misericordia » - Pace con gran concordia - « Ognun gridando di bianco vestito ». A questo interessante documento il Bongi, al cap. D C X V III delle Croniche sercambiane, ne aggiunse un altro, quasi ge­ mello. Intitolato dal cronista lucchese: Come si principiò 1 1 L e Croniche, II. 291 sg. e 294-309. Alle indicazioni bibliografiche date dal Rossi nel Quattrocento 2, p. 308, n. 9, è da aggiungere che G. B orghezio, recensendo, nel 1921, il volume di G. M. Monti sul laudario umbro quattrocentesco dei Bianchi (nel Giornale storico cit., L X X V II, pp. llS s g g .), aveva recato nuova messe d ’osser­ vazioni e di fatti su questo argomento.

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Ritrovamento e manoscritto del Cantare

la reverenza de’ Bianchi, esso può essere considerato come l ’inno della nuova insurrezione spirituale, che parve una crociata.5 Documento, questo secondo — ancor più notevole per la viva intonazione e il rapido movimento, bene assecon­ dato dalla forma metrica di serventese battagliero — che s ’inizia con le strofette seguenti: Nuova lucie è aparita, Nuova grazia e nuova vita, Nuova veste e abito. Tutti bianchi son di fuori, Perchè dentro sian li cuori, Nullo sia ipocrito.

Tutti vanno con sua schiera. Portan Cristo per bandiera, Ciascun fa miracolo. Qualche altro componimento, che ha una certa affinità col nostro, per la sua materia religiosa e morale, merita d ’essere almeno accennato, perchè conferisce ad integrare quella che potrebbe dirsi la fisionomia della miscellanea pisana. Nello stesso fascicolo nel quale è compreso il nostro can­ 5 Curiosa, la proibizione che, evidentemente, per misura di sicurezza, come si direbbe oggi, era fatta ai Battuti nelle loro processioni pubbliche, dagli Statuti fiorentini : « Aliquam congregationem frustatorum seu battitorum que in civitate Florentiae vulgariter appellatur la Gompaynia de' Battitori cmnemque aliam ta­ lem congregationem fieri prohibemus in civitate Florentiae in omnique alio loco. Nullusque audeat se congregare in loco aliquo ubi tales congregationes fieri con­ sueverunt, nec ire presumant se battendo (sub nomine aliquo alicuius sancti) vel verberando vel flagellando per civitatem predictam nisi vultu et facie taliter di­ scoperto quod ab omnibus in facie videri possit. Et contrafaciens puniatur in li­ bris ducentis f. p. (dal saggio che degli Statuti fiorentini diede il P u c c in o tt i nella Storia della medicina, 1855, II, p. c l x x x v ii e t. I, lib. I l i , ftub. XLII).

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Introduzione

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tare e della stessa mano, segue una lunga, interminabile bal­ lata-canzone, evidentemente scorretta per colpa dell’ama­ nuense, che com. : Pensi ciascun eh’ è nato quant’ eli’ è breve questa nostra vita facci ch’ alia partita l’anima renda a Dio senza pechato. Fin. : Io ti do il m o’ che puoi guadagniare la pace e fugire ria pena e ttormenti quello che non vuoi in te, altrui non fare, N é trapassar di Dio i chomandamenti : fa ch’ai fine ti penti. Se chosì farai dirò che m’abbi inteso. a chi tt’avesse offeso Perdona settu vuoi esser beato. finito.

Amen.

Ancora: u n ’Ave Maria per acrostici: « A v e , tempio di Dio sacrato e santo» cui seguono varie preghiere latine contro le malattie, brani del Vangelo secondo Matteo, Marco, Giovanni e Luca, e una Passio domini nostri secundum Iohannem. In un altro settore che segue immediatamente, di scrittura diversa, c ’imbattia­ mo in un ternario in testa al quale leggiamo, in luogo del titolo: Jehsus. Ma.r (magisteri) Bernardus, mentre, in mar­ gine, una mano diversa scrisse come titolo : letà de li omini. Esso com. : « La tua altessa signor mio è tanta ». V i si parla dei « cinquanta gradi », cioè, virtù od esercizi di virtù, attra­

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Kitrovamento e manoscritto del Cantare

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verso i quali egli dovrà passare per purificarsi, « se alla felice vita voglio andare». Il componimento, quasi svincolandosi dalla catena delle terzine, finisce: Così Vanima nostra sta in pace In quello abisso della deitade Riman contenta sensa più volere. Non pago di questa conclusione, un lettore quattrocente­ sco (forse lo stesso autore, più tardi?) aggiunse questi due distici ammonitori che non attestano delle sue virtù di verseg­ giatore : Non ti indugiar far 'poeti nel puncto stremo che molti n ’a ingannati « ben faremo ». Lasserai quello che non puoy portare porterai quello che non puoy lassare. Beo Gratias: Segue, adespota ed anepigráfica, una prosa volgare, anch’essa di carattere religioso, che reca, in testa, I. H. C. e com.: « L e considerassioni per le quali lanime mediante la gratio di dio ponno venire al dispregio delle cose terrene et allo amor delle cose celestiale sono molte ma generalmente si possano ridurre a poche ». Fin. : « Sono abbandonati da dio eternalmente in sì grande loro necessitade. Amen, finis ».

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Introduzione

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II F O R TU N A L E T T E R A R IA D I S. G IO V A N N I E V A N G E L IS T A IN IT A L IA So di dire cosa che ai veri studiosi sembrerà superflua, ma. certe verità giova ripeterle a difesa dei nostri studi controcerte tendenze, purtroppo, più diffuse che non si creda, fra i cultori di lettere e di critica letteraria operanti in margine tra la storia, la cultura e l ’estetica, intesi a svalutare dinanzi al pubblico colto e incolto, sorridendo indulgenti, tutto ciò che sa di erudizione e di documenti di filologia. Questa verità mi piace riaffermarla, in tale occasione, con l ’esempio e con la parola di quel maestro di critica, ma anche di vita e d ’italia­ nità purissima e dalle larghe vedute, che fu Francesco De Sanctis. P iù che mezzo secolo fa egli ebbe l ’idea felice di dedicare alcune pagine sapienti al noto dramma claustrale segnalato dal Palermo, discutendo e confutando i giudizi dell ’Ebert e del Klein. Non solo; ma sebbene l ’autore di quel dramma, un frate ignoto, non fosse artista, anzi non avesse alcuna velleità d ’arte,-egli riconobbe fosse di non lieve inte­ resse per la storia della cultura l ’opera del dotto bibliotecario ed espresse il desiderio che questa non rimanesse inedita, osservando essere, queste, ricchezze che l ’Italia ha obbligo di trarre alla luce.6 Ora, anche in omaggio alla verità asserita — ripeto — più che un mezzo secolo fa dal critico irpinate, ho pensato 6 II così detto Dramma claústralo fu pubblicato dal D e Sanctis nella N. An­ tologia del marzo 1870 e .poi riprodotto nei N. Saggi critici, 1879 e nelle successive ristampe. Su questa rappresentazione vedasi D ’A ncona. Origini del teatro ital . 2, Torino, 1891, pp. 210 sgg.

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Fortuna letteraria di S. Giovanni Evangelista

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che sarebbe rendere un servizio, sia pur modesto, agli stu­ diosi il trarre dall’oscuro rifugio d ’un archivio questo nuovo documento che non esito a dire fin d ’ora uno dei più schiet­ tamente popolareschi fra i prodotti di tal genere. Tanto più doveroso mi è parso, dacché, nonostante l ’universale fama che ha sempre accompagnato attraverso i secoli, nelle forme più varie, il nome e le gesta del santo apostolo prediletto di Gesù, bisogna riconoscere che, in Italia almeno, la letteratura agio­ grafica, così quella originale, encomiastica, dei tempi lontani, come quella critica, non ha fatto in suo onore tutto quello che ci si attenderebbe. Anzi, le lunghe pazienti indagini mie e di valenti e cortesi amici mi hanno procurato una inaspettata delusione. Vero è tuttavia che il grande Evangelista ha avuto, anche nel campo della poesia, due araldi della sua gloria che baste­ rebbero da soli a compensarlo largamente del silenzio e della insufficienza degli altri. Occorre, infatti, ricordare appena i canti famosi della Commedia dantesca nei quali la figura di lui è rievocata in piena luce e la sua Apocalisse è diventata fonte ispiratrice d ’una nuova Apocalisse tutta violentemente dantesca, nel C. X X X II del Purgatorio, vv. 102 sgg.7 Nella mirabile processione che si svolge lungo il Lete ec­ co ... «u n vecchio solo — venir dormendo », - rapito, cioè, in ' Qui è da avvertire che il volume di E nrico P roto, L ’ Apocalissi nella Divina Commedia, Studi, Napoli, 1905, pur attestando serietà ed ingegno nell’autore, è lontano dal soddisfare la curiosità che il titolo può suscitare in uno studioso. Si vedano le recensioni giustamente severe del F l a m i n i nel Ballettino d. Società dant.

ital., N. S., voi. X III, 1906, pp. 19-46 e del R en ier nel Giornale stor. d. lett. ital., voi. X L V III, 1906, pp. 430-2. Per l ’importanza e il significato di questa Apocalisse dantesca rimando alle pagine della Z in g a r e l l i nella P. II del suo Dante vallardiano, 1931, pp. 1160 sgg. D a tener presente, sulla fortuna dell’ Apocalissi nel M. Evo, il lavoro fondamentale del R icciotti , Apocalissi di Paolo Siria-co, Brescia, Morcelliana, 1932. Na­ turalmente, ho tenuto presente sovrattutto il Volgarizzamento toscano del T re­ cento a cura di A br. D evasti della Leggenda aurea, Firenze, Libreria editr. fio­ rentina, 1924, con buona Introduzione e Bibliografia.

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Introduzione

estasi visionaria — , ma «co n la faccia arguta», cioè con la vivace espressione d ’uomo bene sveglio e nella piena coscien­ za di sè (P u rg. X X IX , 143-4). Ancora: nel Paradiso (XXX, 111-14) ecco Beatrice additare al suo compagno nel volo ce­ lestiale: «C olu i che giacque sopra i r petto» - del nostro pellicano e questi fue - di su la Croce al grande « officio elet­ to » ; titolo questo di gloria eccezionale, segno della predile­ zione di Cristo per lui. Il quale ancora una volta è rievocato nella terza cantica (X X X II, 127-9), come «... quei cbe vide tutti i tempi gravi - pria che morisse, della bella Sposa », la Chiesa; nelle quali parole, con potente sintesi tutta dan­ tesca, è raffigurato il profeta tremendo dell ’Apocalisse. Ma di rievocazioni come queste, alte e degne, in un poema quale il dantesco, non dobbiamo stupirci. Ci è facile, anzi, convincerci che il divino poeta ha compiuto in tal modo, con impetuosa e, insieme, meditata spontaneità, il suo dovere ver­ so l ’Evangelista.8 Invece, una delle sorprese più felici è quella procurataci dall’Ariosto con l ’episodio nel quale risalta come protagoni­ sta il nostro santo in funzioni molteplici; cioè in atto di ospite accogliente e sorridente, nonché di guida e di consigliere am­ monitore e commentatore saggio e cortese di Astolfo, nel P a­ radiso terrestre, e, poscia, nel Cielo della Luna, alla ricerca del senno di Orlando. Sorpresa, codesta, non solo quanto alla materia episodica, originalissima, ma, soprattutto, per lo spi­ rito che lo anima, originale nel senso più profondo della pa­ rola. Chè se, per la materia poetica, quell’insuperabile inda­ gatore di fonti e di precedenti del poema ariostesco che fu il Iiajna, si trovò del tutto disarmato, resta tuttavia un altro interessante quesito da risolvere: d ’onde al poeta sia proba" Da ricordare le pagine del T oynbee , D ante and thè. Degenti of St. John tlie Evangelist (Parad., XXV, 100-2) in Bulletin italien, voi. V , 1905, pp. 109-12.

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Fortuna letteraria di S. Giovanni Evangelista

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bilmente venuto lo stimolo a questa sua creazione fantastica. Io penso che una risposta plausibile si possa tentare; cioè, che, così per l ’episodio delle Arpie con l ’incursione di Astolfo nell’inferno, come per quello del suo volo al Paradiso terre­ stre e al Cielo della Luna, l ’ispiratore immediato dell’Ariosto sia stato l ’Alighieri; e, pel primo caso, che, alla sua volta, era d ’ispirazione virgiliana, e pel secondo, — pel quale il poe­ ta della Commedia gli aveva offerto l ’esempio del suo volo verso i cieli con Beatrice, spiccato anch’esso dal Paradiso terrestre. Così, in un certo senso, Dante sarebbe stato per l ’Ariosto quello che Virgilio per lui. Anche per messer Lo­ dovico questa sua derivazione riusciva una forma d ’omaggio del poeta verso il sublime maestro di poesia e insieme una spe­ cie di gara di fantasia, nella quale gli si offriva l ’occasione d ’affermare la propria individualità e l ’umor suo di poeta ric­ co di trovati e di risorse, così diversi da quelli del grande trecentista. Omaggio — ripeto — più serio e opportuno di quanto comunemente non si creda, sotto quelle apparenze di gioconda e spregiudicata estrosità tutta ariostesca. Note­ vole, questo originalissimo episodio, anche come documento caratteristico dell’atteggiarsi spontaneo di quel poeta che fu uno dei più genuini interpreti della Rinascita, dinanzi alla figura dell’Evangelista. L ’atteggiamento, infatti, è di reve­ renza non timida e, insieme, di serena e sorridente disinvol­ tura che .in qualche punto rasenta l ’irriverenza. Si direbbe che egli, nel felice sbizzarrirsi della sua fantasia, a dare sfogo al suo umore satirico, ben più altamente che nelle Satire, avesse sovrattutto presente la «fa ccia arguta» dell’Evange­ lista raffigurato dall’Alighieri.9 3 L·’accostamento dei due poeti a proposito di questo episodio ariostesoo ebbi a fare di sfuggita, nel voi. II della Satira, 2a ed. Vallardi, pp. 10 sg. Ci voleva tutta la miopia letteraria e la cocciuta intolleranza di un Cesare Càntù, per altri titoli

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Introduzione

In tal modo — cioè a modo suo, assecondando la sua na­ tura d ’artista smaliziato — il poeta emiliano, mentre ren­ deva l ’omaggio suo al grande fiorentino, mostrava di saper conciliare l ’ufficio di cantore del mondo cavalleresco quale appariva ai suoi gusti e alla sua fantasia, con le esigenze del tempo, in forme di nuova bellezza, da quel discepolo ch’egli era degli antichi. Ma nel tempo stesso egli si rivelava osse­ quente alla migliore tradizione cristiana. Tanto è vero, che il Santo, il quale appare qui rappresentato — secondo la tra­ dizione — come persona ancora viva (X X X IV . 54), si rivela subito, sin dal primo tratto, al paladino, « ... sì venerabile nel viso, - Ch’un degli eletti par del paradiso ». (st. 54) e afferma sin dalle prime sue parole l ’autorità divina di cui è investito, rivelando in tono bonario ad Astolfo la sua missione, che è voluta da. Dio·. Questi, infatti, dopo aver castigato Or­ lando — reo f i ’« un incesto amore per una pagana, oblioso dei suoi doveri di primo paladino della Fede ai servizi di Carlo Magno imperatore » — facendogli perdere il senno « per tre mesi », ora ha decretato di renderglielo. A questo fine appun­ to egli, Astolfo, è inviato lassù, perchè, sotto la guida di « quel tanto al Redentor caro G-iovanni » (st. 58), possa recuperare il senno perduto da Orlando, in quel vallone lunare « ove mirabilmente era ridutto - ciò che si perde» dai mortali in terra. Bello, vedere come l ’Ariosto ci rappresenta « l ’A po­ stolo santo », ospite umanissimo al cavaliere venuto a volo lassù, quale un ministro singolarissimo di Dio, guida ammo­ nitrice, anche per lui rivelatrice e commentatrice, ora affa­ bile, quasi indulgente, delle aberrazioni, delle magagne, delle follie degli uomini, delle colpe loro, non escluse quelle della Chiesa, non esclusa quella donazione di Costantino (st. 80), benemerito, per veder « continua empietà », in questo «aereo viaggio» (Storia, della

letteratura, italiana, Firenze, Le Monnier, 1865, p. 219).

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che si direbbe una battuta di ispirazione dantesca. Episodio, questo, del Furioso, ricco di sincerità e di ardimenti, attenuati dal tono minore, velati talora da una accorata indignazione, punteggiati qua e là da confessioni miste a qualche tocco di evidente rappresaglia personale. Tali, l ’accenno alle «bocce rotte di più sorti - Ch’era il servire delle misere co rti» (st. 79), e l ’altro, al folle confidare «nelle speranze de’ si­ gn ori» e, più ancora, lo spettacolo che nel tristo vallone si offre al visitatore col cumulo ingente di «am i d ’oro e d ’ar­ gento » e « ghirlande » di fiori con entro « ascosi lacci », sim­ boli di quei doni — che si fan con speranza di mercede — ai re, agli avari principi, ai patroni », e di quelle « adula­ zion i» onde il poeta apprende, anzi, vede, una verità dolo­ rosa e, ad un tempo, stupefacente : « Di cicale scoppiate im­ magine hanno - Versi eh’in laude del signor si fanno » (st. 77). Evidentemente, qui c ’è tutto l ’Ariosto, uomo e poeta del Rinascimento, che seppe trarre il partito migliore per dimo­ strare, fra l ’altro, il suo culto per « lo scrittor dell’oscura Apocalisse», nell’atto stesso che lo adeguava quasi al « livello di quella sua umanità » che era l ’umanità del tempo suo, oscil­ lante e sospeso fra l ’immanente e il trascendente, in un’aspi­ razione intensa di bellezza e di armoniosa euforìa. Questi, i due grandi compensi che toccarono al Santo di Betsaida nella nostra letteratura. Ma le due memorabili at­ testazioni di omaggio, tanto diverse fra loro, quanto erano diverse le individualità dei due gloriosi nostri poeti, sono pre­ cedute e seguite da innumerevoli altre minori, le più di esse, anonime, che possono considerarsi, nel campo letterario, pro­ dotti e documenti più che di arte, del sentimento religioso e della fantasia e dei gusti del popolo italiano. Per questa ragione, che è di natura essenzialmente storica, non sarà sen­ za interesse una rapida rassegna di essi, se non altro, come

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Introduzione

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un saggio modesto di quella fortuna che l ’Evangelista Gio­ vanni ebbe nei primi secoli della nostra letteratura. Ma prima d ’iniziare questa rassegna è giusto ricordare l ’ardimento di cui s ’era mostrata capace, nel secolo rx, R o­ svita, figura originale di monaca, sassone, in quella sua cosid­ detta tragedia intitolata Gallimachus. Ardita sino allo scan­ dalo essa può infatti apparire oggi ad un lettore ignaro di quei tempi e di quei costumi, soprattutto se si pensa che la scrittrice si proponeva un intento educativo e morale, nel­ l ’ambiente delle scuole monastiche femminili. Essa trovò mo­ do di rievocare nel suo dramma claustrale il santo Evange­ lista come autore di un triplice miracolo, con la risurrezione di Drusiana, protagonista della tragedia, insieme con quella di Callimaco, il suo innamorato, e del servo Fortunato. E si noti che l ’azione — se si può parlare di vera azione — si svolge attraverso una serie di episodi indubbiamente sca­ brosi.10 Venendo con le nostre ricerche alle origini della nostra letteratura, ci aspetteremmo d ’incontrare una guida o l ’aiuto, almeno, d ’un cenno in quel singolare repertorio giullaresco che è il Ccmta/re dei cantari, del quale fu detto che vi sono ricordati « tutti i temi favoriti dei cantampanche e del pub­ blico » V Invece, anche in tal caso, sta il fatto che in quella rassegna trecentesca si nota una lacuna strana, quella riguar10 H rotsvithae O pera, ed. del D e W in te rfeld , Berlin, 1902, in S S . R R .

G er-

m ann., pp. 135 sgg. 11 L ’ affermazione è di Ezio L e v i , nella N o ta bibliografica in fine del volume da lui curato F io re dt leggen d e - Cantari antichi. S. I. C an tari leggen d a ri, Bari, Laterza, 1914, p. 335. In questa stessa Nota è scritto che si chiamavano ca n ta ri i poemetti in ottava rima, che nei sec.

x i v -x v i

i cantampanca intonavano «nelle

piazze di Firenze » ; mentre si sa — ed egli sapeva — che i cantastorie esercitavano il loro mestiere in tante altre città dèlia Toscana e di altre regioni. Rilevo, in fine, che il bravo Levi, assegnando il C antare alla fine del sec. xiv, non ha tenuto conto della mia « Comunicazione » nel G iornale sto r ., XXXIX , 1902, p. 450.

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dante i cantari veramente religiosi, in quella materia, cioè, che pur teneva, a gara con la cavalleresca, il primo posto nel reale repertorio dei canterini. Appunto per ciò non ci stupiremo d ’incontrare in una pa­ gina di quel curiosissimo fra i nostri vecchi cronisti che fu il Salimbene, un accenno, sia pure non troppo chiaro, ad un miracolo compiuto dall’Evangelista. L ’accenno — che trova riscontro, ma con ben altra ampiezza di particolari precisi, nelle ottave del nostro poemetto, particolari derivati dalla fonte comune — nella forma arbitrariamente sbrigativa in cui il cronista parmense lo riassume, perde quel sapore e quel colore nei quali consisteva per tanta parte il fascino tutto speciale che la leggenda suscitava sulla folla degli ascol­ tatori.12 Dai Legenda aurea — fonte comune — rampollarono numerose redazioni nei nuovi volgari, fra i quali non sono scarse quelle italiane, di cui in quegli ultimi anni si sono fatti amorosi raccoglitori ed editori alcuni studiosi nostrani e stra­ nieri.13 12 « Iohannes apostolus lapillos quos mutavit in gemmas et virgas quas con­ vertit in aurum, non dispersit et dedit pauperibus, sed revocavit ad materiam pri­ stinam, ne quod nullus ibi merebatur in dando» (Cronica, a cura di F. B e r n ik i , Bari, 1942, pp. 62-3. E giacché si è accennato ai preziosi Legenda del pio arci­ vescovo ligure, Benemerito precursore degli A cta Sanctorum dei Bollandisti e fornitore diretto e indiretto di tanti cantastorie, è bene citare le successive parole con le quali egli ricoi’da questa sua opera nel Chronicon civitatis Ianwensis : «Legendas Sanctorum in uno volume compilavit, multa adiiciens in eisdem de historia tripar­ tita et scholastica et de chronicis diversorum auctorum » (Muratori, SS., IX, 53). E poiché ho parlato, non a caso, di una «fon te comune», anticipo in questa nota quanto risulterà evidente riguardo alla, fonte del nostro cantare, che non può es­ sere che uno dei tanti volgarizzamenti dei Legenda aurea.

13 Bicordo il vecchio Z am brint , che, coadiuvato dal V a r r in i e dal B a s t ia , ci diede una, non inutile, ma non critica, Collezione di leggende inedite, Bologna,

1855, e i più recenti e meglio preparati editori, come il L evasti e G uido Battelli. Resta fondamentale il noto volume del p. D elehaye , S. I. Bollandista, L e leg­ gende agiografiche con Appendice di W il h e l m M eter , traduz. ital., Firenze, 1906. Fra gli studiosi stranieri che fecero oggetto delle loro ricerche la fortuna

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Introduzione

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Due codiei magliabechiani ci hanno serbato il volgarizza­ mento del testo latino di Jacopo da Yaragine in due redazioni diverse per la Leggenda di San Giovanni Apostolo Evange­ lista. La prima d ’esse esordisce così: « Messer Santo Giovan« n i Vangilista nato dalla scrocchia carnale della Vergine «M aria, cioè Maria Solomè, viene fratello cugino di Giesù « Cristo, secondo la carne, per femina e aveva un suo fratello « carnale, che fu Santo Jacopo Magiore e Gabbadeo (sic, per « Zebedeo) ebbe nome il loro padre e erano pescatori». La seconda, molto più sobria, anzi spicciativa, incomincia : « Gio« vanni apostolo, evangelista, amato da Cristo eletto vergine « (sic). Diviso dagli apostoli, andò in Asia a predicare la fede « di Cristo, e convertendo la gente, fece edificare molte ec« clesie. E Domiziano imperadore, udendo la fama sua, fecelo della leggenda del nostro Evangelista nel campo romanzo d ’oïl, basti ricordare an­ cora F ra n z T h o r m a n n , Thierri von Vancouleur’s Johannes- Legende, Berner Disser­ tation, 1892 e A nton H u b e r , D ie Iohannes Legende von T hierry de Vancouleur. Dissertation, Halle, 1913, contenente solo la prima parte, mentre la seconda uscì nel fase. L I I I dei B eih efte zur Zeitschrift f. Roman. Philologie ; due serie disser­ tazioni alle quali rinvio il lettore desideroso di conoscere i precedenti sovrattutto romanzi del nostro cantare. Un esempio non trascurabile della popolarità del nostro ¡Santo ci offre un aneddoto che ebbe una certa diffusione nel Medio Evo, dacché lo si trova accen­ nato nelle Collationes di Cassiano (XXIV, 21), nello Spéculum, historiale (s. 50) del Bellovacense, dai quali passò nientemeno che nella Snmma di S. Tommaso (II. 2. qu. 168, art. 2). D i qui probabilmente lo attinse fra Paolino minorità, con­ temporaneo di Dante, nel cui gustoso volgare veneziano merita d ’ essere riferito, togliendolo dal Cap. X X V I del suo Trattato D e Regim ine reetoris edito da Ad. Mussafia (Vienna - Firenze, 1868, p. 32), intitolato: «Com o lo rector de’ usar vertude de a leg re ça »: «V e tte alguno sen Qane Vangelista sugar cum una pernise e dèsse [si diè, si fé] meraveja che omo de tanta oppinion desmontasse [si abbas­ sasse] a così liger solaço. E t miser sen Qane per exemplo [prendendo l’esempio ] de l ’ arco ke cui [colui] tegniva in man, lo quale no stava sempre tirado, li ensegnà ke l’omo non podeva sempre esser in operacion vertuosa, ma fageva mester alguna fiada recrear l’anemo com’è dicto ». Il testo di fra Paolino trova riscontro integrativo in quello latino delle Oollationes riferito dal Mussafia nella nota finale (p. 121), nella quale si avverte che nelle Vitile Patrum (V. 10) l ’ aneddoto viene attribuito a S. Antonio, mentre negli Ammaestram enti degli antichi è riferito e per l’uno e per l’ altro dei due santi.

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« venire davanti a se e fecelo mettere in Tina grande caldaia « d ’olio bollente ».14 È naturale che il ricordo dell’Evangelista ricorra nei nu­ merosi documenti dei primi secoli e in verso e in prosa, che hanno per argomento la Passione.15 Perciò può stupire che lo si cerchi invano nelle laudi di fra Jacopone, mentre invece ne troviamo non pochi in una moderna raccolta di antiche 14 ì l testo del primo dei due codd. il Magliab. P. IV. n. 36 fu riprodotto dallo Z a m b r in i , Op. cit., voi. I , pp. 23-45; il secondo, dal Magliab. I I . X . 30, fu edito dal B a t t e l l i , L e più belle leggen d e cristia n e, 4a ediz., Milano, Hoepli, 1942, pp. 178-

184. È evidente che i due editori, per rendere più graditi i loro testi ai moderni lettori, non si sono attenuti rigorosamente alla lezione dei mss. da loro pubblicati. Il B a t t e l l i , anzi, confessa nella sua Introduzione, p. x m , di aver sempre seguito, nella grafia, «u n a via di m ezzo» tra le «form e arcaiche» e « l ’uso moderno». II che è spiegabile col carattere divulgativo della sua opera. Come la redazione del Magliabech. P. IV. n. 56, incomincia quella del Palat. 133 descritto da L. G e n t il e nel voi. I de I cod ici P a la tin i, Roma, 1889, p. 122. 15 Interessante, fra gli altri, come quello degli abruzzesi, il caso della Pas­ sione rappresentata in romanesco nel Colosseo, nei sec. xv e xvi, pel quale è da vedere V attasso , P e r la sto ria del dram m a sa cro in Ita lia , Roma, Tip. Vaticana, 1903, « Studi e testi », 10. In uno dei frammenti (A) pubbl. dal V ., si legge così parafrasato il Vangelo: Dice Cristo dalla Croce : S erria quella la m a tre m ea. Q uella che, m e pare d ’od iret Io m e n e sen to tu tto v en to (vinto, sfinito) N on agio cica de valore. J uvanni, ca ro m io fr a te . S iate ra ccom a n d a ta la m ea m atre. In un altro frammento (F) «dice -Sancto Janni», rivolto a Maria, per ben quattro strofe, due delle quali meritano di essere riferite : D o lc e donna, o r te co n fo rta L è v a te su p e r mio am ore È sflgorita com ’ m orta, O im è, qu a n t’ agio d olore! Ga’ l tio fllglio m etto disse Che da ti no m e p a rtisse. Io so Juanni, lo più tristo del tuo figliolo, M aria. Ò perd u to T h esù C risto, F a r te voglio com p a g n ia ; L o tio figlio m e-llo disse Che da ti no m e pa rtisse.

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Introduzione

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laudi dei Disciplinati umbri, in quella forma drammatica primitiva, tanto attraente nella sua ingenua rozzezza. In esse l ’Apostolo Giovanni ha una parte rilevante.16 •M Laudi inedite dei Disciplinati umbri scelte di sui codici più antichi da G. Galli, Bergamo, Istituto d ’Arti grafiche, 1906. Fra esse segnalo sovrattutto ia X X V III (pp. 157-169) intitolata Ìncipit laus de passione Jesu de

anice.

Si avverta

che il testo è dato in forma quasi crudamente diplomatica. La prima battuta di Johannes merita d ’esser riprodotta supplendo alle interpunzioni in parte mancanti : 0 cuor duri co’ non v ’aprite, D e veder tanta pietà,te t El mìo Signor, Cristo, vedete Posto en tanta crudeltade : Afft] qual’ è quii ch’ è pravo tanto, Che gli occhie suole contiene en pianto! E poco oltre, dopo il ¡pianto delle « ¡Sorores » e l’invocazione disperata di Ma­ ria :

Figliuolo, io te vorria toccare E appressarne a la tua faccia. Croce, vogliote pregare Dalme un poco ch’io ’ l m’ abbraccio : 0 arbore alto, enehina ’ l ramo, Ch’ io tocca quii ch’io tanto amo, parla ancora San Giovanni :

0 Giovagne angustiato, Veggo el mio maestro morto! En croce sta stretto e chiavato : D olente perdo onne conforto Le piaghe veggio deversare Enfiti a terra el sangue andare. E da ultimo, dopo una strofa posta in bocca à Maria ed un’altra a Magdalena (che, rivolta a Giovanni, lo invoca così : « 0 Giovagne, or co’ farinmi? — Par che Maria voglia spirare » eee.), egli riprende la parola dicendo :

Ohimè-, dolce madre mia, Che nuovamente te foie dato. M orto veggio la spene mia E sta sulla croce chiavato. Tu me par che l’acompagne. Tristo a cuie remarrà Giovagne! Madre, per lo mio amore. Prègate che te conforte Non me dare tanto dolore, Faime veder mille morte : El tuo figlio morendo disse, Maria, da te non me partisse.

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Commovente per la sua sobria semplicità è anche l ’accen­ no a lui nel soave Pianto de la V er gene Maria, fatto cono­ scere e illustrato in pagine di fine erudizione da Augusto Se­ rena.17 V ’è in quel poemetto una strofa nella quale la Mater Dolorosa dinnanzi al crudele spettacolo, inveisce contro la Croce perchè ardisce di straziare le carni del Divino Figliuo­ lo ; la strofa che incomincia : Io stava appresso della Croze trista piangendo le mee pene dolorose acompagnata da Zuan Vangelista. A dir vero, considerando la grande dignità del Santo e la venerazione ond’era circondato, ci attenderemmo ben altre testimonianze letterarie oltre quelle dei non numerosi docu­ menti superstiti o fin qui 'conosciuti. Fra questi merita di essere ricordato il bel volgarizzamen­ to toscano che dellJApocalisse ci ha lasciato l ’ignoto trecentiQueste citazioni si son volute fare per porre il lettore, coi documenti sott’occhio, in grado di vedere, di sentire e di giudicare. Anche in tal caso, à gara con l’ Umbria, ci si offre l’Abruzzo, con una .serie di leggende schiettamente popolari. Fra esse attira la nostra attenzione la L eggen d a del T ran sito d ella M adonna pubbl. dal P eroopo nel voi. I V p o e m etti sa eri d ei sec. X I V e X V , Bologna, 18S5, che forma la Disp. OCX della «Scelta di curios. letter. ». In essa, infatti, «m isser Sancto Jovanni», o, più spesso, « Sanctu Janni», ha una parte notevolissima. Ampio, mi­ nuzioso poemetto narrativo, questo, che è fra i più autentici documenti di quella poesia popolaresca. Fatto caratteristico è il particolare riguardante l’ autore, certo, un cantastorie di popolo, il quale, alla fine, non si palesa per nome, ma si dice esecutore modesto d’un mandato affidatogli da una nobile signora, « la contessa M abilia», cioè Amabilia, la quale « Fe’ fare questo dictatu», e aggiunge che «d e molti profondi libri essa lu à sfiorato», quasi a dire che a lui porse il meglio della sua sapienza sul pietoso tema che le era particolarmente caro. 17

Dapprima nelle P a gin e letter a rie, Roma, 1900, sulle quali vedasi il Gèorn.

sto r., X L V I, 1901, p. 484. Per la regione veneta ben più notevole ancora è il D etto d ella V ergin e pubbl. e riccamente illustrato da A. M edin insieme con la Lauda di 8 . G iovann i B a ttista , p o e sie v e n e te del sec. X I V , Perugia, 1909 (estr. dal B o llett. crii, di cose F r a n c e­ scane. III). Al v. 1220 si accenna ai «fieli di Zebedio — che io apostoli de D io », i pescatori miracolosi, « i do fradeli — ch’ en beli zoveneli — Soli de Zebedio — che era buon amico de D io ». E al v. 1841 è citato come autorità S. Giovanni no­ stro : « Questo dise io vangelista ».

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Introduzione

sta, conservatoci nell’Archivio del Capitolo di S. Zeno di P i­ stoia e dato in luce nel 1842.18 Merita, come opera di fedele volgarizzazione ed esempio cospicuo di schietta e viva prosa toscana, aggiungendosi a quell’altro volgarizzamento indebi­ tamente attribuito al Cavalca. In complesso però, di documen­ ti ispirati alla figura ed ai miracoli dell’Evangelista non c ’è da mettere insieme che una messe mediocre, pur rimanendo sempre la possibilità che per nuove ricerche, oggi non con­ sentite, essa si accresca. Possibilità, dico, ma non probabilità, quando si pensi che anche dalle fondamentali indagini di Paolo Toschi su La poesia popolare religiosa in Italia (F i­ renze, Olschki, 1935) risulta che il santo Evangelista non fu fortunato come meritava. Ma forse la scarsezza di canti spe18 T/Apocalisse. Volgarizzamento inedito del facon secolo della Uncina esistente nell’ Archivio Capitolare della Cattedrale di Pistoia ora per la prima volta pubbli­ cato col testo a fron te e note. Pistoia, Tipografia Cino, 1842. Ne curò l’edizione il Canonico Giovanni Breschi, il cui nome figura solo nella sua lettera dedicatoria al Cardinale Cosimo de’ Corsi, Arcivescovo di Pistoia. Egli accenna, nella Prefa­ zione (p. xiv), a «quei tanti commentarli dell’ -4poca-ii-s.se nei primi secoli dopo il Mille, che frequenti si riscontravano tra gli antichi manoscritti e de’ quali alcuno è pure a stam pa» ed ai «volgarizzamenti che talora si rinvengono ne’ vetusti co­ dici meno raramente che quelli d ’ altre parti della Scrittura». Lo stesso editore nella Prefazione (p. xvm ), avverte a questo proposito che le «postille» da lui col­ locate sparsamente a fianco della versione sono « tanti felici modi di tradurre — egli scrive — che io ho riscontrato in un volgarizzamento dell 'Apocalisse esistente nella Magliabechiana di Firenze, del quale persona nella scienza della lingua va­ lentissima mi favorì la copia ». A questo proposito ricordo che il compianto Vladim. Zabughin, con lettera del 22 seti. 1922, m ’informava di possedere, da lui fotogra­ fata da un cod. della Riccardiana, una breve Visio di S. Giovanni Evangelista. Aggiungeva egli trattarsi d’un testo in prosa volgare del Trecento. Ora mi manca la possibilità di ricerche in proposito, sovrattutto nelle miscellanee mss. non sem­ pre compiutamente descritte nei Cataloghi a stampa. Aggiungo che, nel suo dili­ gente lavoro Le scritture in volgare della Biblioteca Nazionale di Napoli, Napoli, 1918, pp. 332 sgg., il M io l a segnalò in un codice quattrocentesco, che si direbbe il provenienza veneta, due scritture che fanno per noi. La prima, col titolo : «Q u e­ sta si è la citade la qual vide messer san Zuan evangelista cadere dal cielo in uno pozo de abisso e la responsione (sic? per espositione) che ne fa Saneto Angustino », com... «M isere san Zuan evangelista disse nel Apocalipso ch’ el vide una cità ca­ dere dal cielo in uno pozo de abysso». La seconda contiene il Vangelo di S. Gio­ vanni : « Questo evanzelio è secondo Jhanni — Che chi lo considera bene esse [ = esee] d ’affanni» e com .: « I n principio era la eternale parola. E la parola era appresso de Dio ».

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ciali dedicati a lui si può spiegare con un fatto che ha l ’appa­ renza — ma l ’apparenza soltanto — d ’un paradosso, cioè con la vasta notorietà che gli derivava dal suo Vangelo e dalla Apocalisse, nonché dalla natura più d ’ogni altra sublime ed astrusa di questi suoi titoli, meno accessibili al popolo, tanto più che egli, il prediletto fra i discepoli di Gesù, parteci­ pava — ripetiamo — a tutte le rievocazioni, così liriche, co­ me drammatiche, della Passione. Comunque, è certo che la fama del nostro santo continua­ va rigogliosa fra il popolo italiano anche nel Quattro e nel Cinquecento, cioè nell’età dell’Umanesimo trionfante, specie nella Toscana, e, da essa, nelle altre regioni, per opera sovrattutto di quei cantastorie che della loro merce erano instan­ cabili propagatori. Uno di essi, in sul finire del sec. xv, riuscì a richiamare l ’attenzione nientemeno che di quel principe degli umanisti che fu il Pontano, il quale in un’operetta mo­ rale, De fortitudine domestica, ricorda Niccolò Cieco d ’Arez­ zo con una ammirazione che, venendo da tale giudice, le sue parole meritano di essere ancora una volta citate : « Dii boni, quam audientiam Nicolaus coecus habebat, cum festis diebus, etruscis numeris, aut sacras historias aut annales rerum antiquarum e suggestu decantabat ! Qui doctorum hominum, qui Plorentiae tunc erant, coneursus ad eum fìebat ! ».19 Perciò non 19 II passo pontaniano, tratto dal lib, I del De fo rtitu d in e domestica,, fu se­ gnalato da E . L e v i , I ca n ta ri leggen d a ri del pop olo italiano n ei sec. X I V e X V , nel S u pp lem en to n. 16 del G iorn. stor. d. lett. itail., 1914, p. 3. Qui è da rilevare col Levi che anche in Pisa vigeva il costume del « cantare in panca » e che non mancano accenni a codici e cantastorie pisani (p. 15). A questo proposito mi piace di rievocare qui un ricordo della mia prima gio­ vinezza, quando, nelle passeggiate domenicali compiute da collegiale negli antichi Giardini di Venezia, mi attirava il «cantastorie» chioggiotto che dalia collinetta, o montagnola, più elevata, narrava ad un uditorio affollato di pescatori e barcaioli le gesta dei paladini. Sul quale argomento Guido Fusinato — allora mio compagno anziano di quegli anni nel Convitto Nazionale Marco Foscarini (allora fiorente e da poco soppresso con un deplorevole iniquo provvedimento) — diede, in seguito,

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Introduzione

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istupirebbe che nel repertorio del Cieco d ’Arezzo figurasse anche un poemetto sull’Evangelista, e forse quel medesimo che ora si pubblica qui per la prima volta. Tanto più natu­ rale il crederlo, dacché nella sua Toscana e precisamente a Firenze, fino dal 1427, era sorta quella Compagnia del Van­ gelista, per la quale un Poliziano, sia pure in grazia del suo redditizio canonicato, compose uno dei noti sermoni.20 Certo, non è da trascurare quest’altro fatto, che anche un umanista dell’Italia superiore, il bellunese Pierio Valeria­ ne, fra i più cospicui vissuti nella Roma di Giulio II, di Leo­ ne X e di Clemente V II, celebrasse nel suo squisito latino la gloria del nostro san Giovanni 21 e che, a gara, forse, con lui, consacrasse allo stesso — Divo J omini Apostolo — anche il Vida, non per nulla autore della Christias, uno dei suoi inni più ardenti e vigorosi, frutto squisito d ’una fede entusiastica alleata felicemente ad un’eloquenza e ad una fantasia non comuni.22 Ma una fortuna insperata e che, dati i tempi, si direbbe anacronistica, è toccata all’autore dellyApocalisse, con la pub­ blicazione, recentissima, dovuta ad Antonio Bruers, d ’un vointeressanti ragguagli nel fU orn ale di filologia rom an za