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Italian Pages LVIII+451 [839] Year 2009
ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA»
«STUDI» CCXLVI
WALTER LESZL
I PRIMI ATOMISTI Raccolta dei testi che riguardano Leucippo e Democrito I testi in traduzione italiana con CD allegato
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE MMIX
Tutti i diritti riservati
CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it
Volume pubblicato con il contributo del Ministero per l’Universita` e la Ricerca Scientifica e Tecnologica a seguito di finanziamento di progetto di interesse nazionale (Fondi 40%) e con il contributo dell’Universit`a degli Studi di Pisa (Fondi Ateneo 60%); tali fondi sono stati conservati presso il Dipartimento di Filosofia della stessa Universita`. Un ulteriore contributo e` venuto dall’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘‘La Colombaria’’ di Firenze, che ha assunto il patrocinio dell’impresa ISBN 978 88 222 5851 9
INTRODUZIONE
Il presente volume comprende tutti i testi di qualche importanza a me noti relativi a Leucippo e a Democrito, proposti in traduzione italiana, e si basa su di una raccolta dei testi originali, cio`e in greco e latino, che verr`a resa disponibile in futuro. Seguir`a pure una parte di interpretazione e di commento dedicata alla vita, agli scritti e al pensiero dei primi atomisti. Una sintesi della seconda parte (o parte monografica) e` rappresentata da un volume di ‘‘introduzione agli atomisti’’ che sar`a pubblicato dalla casa editrice Laterza. In questo volume l’attenzione sar`a estesa agli autori antichi che erano considerati i continuatori dell’atomismo di Democrito, come Metrodoro di Chio e Anassarco di Abdera. L’opera principale (testi, traduzioni e commenti o interpretazioni) e` in realt`a centrata su Democrito, perch´e, a differenza di altri studiosi, non credo che il contributo di Leucippo si lasci distinguere da quello dell’Abderita (se non forse su qualche punto specifico), pur non avendo riserve sulla sua esistenza. Mi e` parso pertanto indispensabile integrare quanto abbiamo su Democrito con quel poco che abbiamo su Leucippo. Ho cercato, per quanto e` possibile per un lavoro privo di un commento dettagliato, di rendere utilizzabile il presente volume anche per conto proprio, ma ho fatto seguire la raccolta da una ‘‘presentazione dei testi’’ che serva in qualche modo da guida ad una non facile lettura. In tale presentazione discuto anche di certe questioni particolari di interpretazione, di autenticit`a, di costituzione del testo, e cosı` via, da un punto di vista prevalentemente filologico, per le quali non c’era spazio nelle note ai passi tradotti; in piu` casi tale discussione serve da integrazione alle precisazioni in esse contenute. A scopo di orientamento ho adottato pure una suddivisione piuttosto dettagliata dei temi come titoli sotto i quali raccogliere i testi: questa risulta dall’indice generale, nel quale sono registrati anche i testi presi in considerazione (indicando il passo dell’opera da cui sono tratti). Un’altra suddivisione del genere consiste in quella sorta di indice che ho denominato ‘‘quadro sinottico dei principali termini e concetti o argomenti del primo atomismo’’. Allo stesso scopo ho fornito tavole di concordanza con le principali edizioni esistenti, quella di Diels e Kranz e quella di Luria, inoltre (limitatamente all’etica) quella di Natorp. A complemento c’`e un ‘‘ragguaglio’’ nel quale sono indicati i testi che non com— V —
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paiono in quelle edizioni (o in una di esse) ma sono stati aggiunti nella presente, insieme ai testi che sono stati tralasciati. Sono acclusi pure un indice dei passi e un elenco delle edizioni utilizzate, come parte di una bibliografia non complessiva ma riguardante le pubblicazioni che mi sono servite nella preparazione della raccolta dei testi e nella loro traduzione. Infine e` accluso un ‘‘glossario’’ dei principali termini greci e latini, cio`e una loro lista accompagnata dalla resa in lingua italiana e dall’indicazione (selettiva) delle loro occorrenze. Aggiungo che alcuni punti che sono toccati nella presente introduzione sono approfonditi oppure meglio documentati in alcuni supplementi, numerati (I), (II), (III), ecc. Tutto questo materiale e` reso disponibile in un dischetto (CD) allegato, mentre il volume includente le traduzioni e` accompagnato da un indice piu` sommario (sono omesse le indicazioni relative ai testi). Quanto segue serve ad illustrare i criteri da me adottati nel preparare questa raccolta di testi e nel renderli disponibili in traduzione, dato lo stato della nostra documentazione. Va premesso che la pubblicazione di una nuova raccolta dei testi dei primi atomisti non ha bisogno di molte giustificazioni. In primo luogo, ho cercato di venire incontro all’esigenza di offrire una raccolta piu` completa di quelle esistenti, cio`e, per limitarmi alle principali, quella di Diels e Kranz (capp. 67 e 68 dei Fragmente der Vorsokratiker) e quella di Luria (intitolata Democritea). In alcuni casi si tratta di raccogliere documenti che sono stati scoperti recentemente, ma cio` non avviene di frequente (riguarda soprattutto alcune testimonianze di Diogene di Enoanda). In altri casi si tratta di raccogliere testi che sono stati tralasciati in quelle edizioni, perch´e c’`e stato un intento selettivo (cio` riguarda soprattutto l’edizione di Diels e Kranz) o semplicemente perche´ sono passati inosservati. Il numero di testi che viene aggiunto a questo modo e` tutt’altro che trascurabile, perch´e essi assommano ad una settantina rispetto all’edizione di Luria, la quale gi`a aggiungeva un numero anche maggiore di testi all’edizione di Diels e Kranz. La quantit`a tuttavia non deve impressionare, perch´e solo una minoranza di questi testi e` significativa dal punto di vista dei contenuti. Non deve anzi impressionare il numero complessivo dei testi raccolti nel presente volume, perch´e purtroppo la quantit`a di materiale documentario di cui disponiamo non e` in proporzione alle informazioni che se ne possono ricavare, dato che esso e` molto ripetitivo (con varianti spesso piccole ma non del tutto trascurabili) o di valore limitato per altre ragioni. La raccolta presente rimane anch’essa selettiva, perch´e e` stata omessa una serie di testi da me ritenuti poco significativi in quanto puramente ripetitivi rispetto a quelli inclusi nella raccolta o in quanto derivanti da fonti troppo dipendenti da altre fonti indirette per essere utili o per altre ragioni ancora. Tuttavia ho ritenuto opportuno offrire, come parte del ‘‘ragguaglio’’, un elenco — VI —
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dei testi che ho omesso, dove la loro segnalazione e` accompagnata da una giustificazione rapida (talvolta rinviante ad una giustificazione piu` approfondita nelle note o nella presentazione dei testi o anche in questa Introduzione) della loro omissione. Ovviamente sono stati omessi (salvo eventuali riferimenti nel ragguaglio) i testi che rappresentano testimonianze non autentiche del pensiero dei primi atomisti, tenendo conto anche dei contributi piu` recenti sulla questione dell’autenticit`a dei singoli passi (cui faccio riferimento in quel ragguaglio o nelle note o nella presentazione dei testi o, piu` generalmente, in quanto segue). Nella presente Introduzione ho cercato di definire alcuni criteri di accertamento dell’autenticit`a, in relazione ai procedimenti antichi di trasmissione dei documenti scritti. Nella scelta mi sono inoltre posto dei limiti anche cronologici, come indicato piu` oltre. Per un altro verso, tuttavia, come sar`a chiarito con qualche dettaglio nel seguito, ho ritenuto opportuno allargare la scelta dei testi in modo da includere passi che spesso sono tralasciati in analoghe raccolte e che si possono classificare come segue: 1) testi che, senza menzionare espressamente Leucippo e Democrito, contengono una piu` o meno sicura allusione alla loro dottrina (naturalmente cito insieme ad essi quei passi che possono servire da conferma che di questo si tratta, per esempio, per Aristotele, passi dei suoi commentatori); 2) testi che, di nuovo senza menzionarli, danno l’impressione di inserirli in qualche raggruppamento piu` comprensivo come quello dei ‘‘fisiologi’’ o ‘‘naturalisti’’; 3) testi, in parte coincidenti con i precedenti e in parte distinti, che servono da inquadramento, vale a dire che esplicitano le categorie o gli schemi interpretativi e dossografici che sono adottati dagli autori che ne espongono la dottrina; 4) testi che (a) contengono una qualche riformulazione o un qualche sviluppo di una loro dottrina (questo vale con qualche frequenza per testi tratti dagli Epicurei, specialmente da Lucrezio) oppure che (b) contengono una rielaborazione originale che presumibilmente include elementi propri della loro posizione; 5) testi che contengono l’esposizione di una dottrina con la quale quella dei primi atomisti e` posta in rapporto o perche´ ne dipende o perch´e si trova ad essere messa a confronto con essa (per esempio testi degli Eleati nel primo caso, testi di Aristotele o di Teofrasto accostanti Democrito a Platone nel secondo caso); 6) testi che hanno un valore documentario negativo, cioe` che servono a mostrare che una certa dottrina, attribuita ai primi atomisti da noti studiosi, in effetti (o probabilmente) non si lascia cosı` attribuire; infine 7) testi che costituiscono delle varianti di altri testi. Ovviamente l’inclusione di tutti questi testi costituisce una seconda ragione che puo` essere addotta per proporre questa nuova raccolta. Una terza ragione e` data dal fatto che, come sar`a spiegato nel seguito, i testi sono presentati od organizzati secondo modalita` che differiscono sensibilmente da quelle seguite nelle raccolte esistenti, a vantaggio, credo, della loro comprensione ed — VII —
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utilizzazione critica. Uno di queste modalit`a sta nell’offrire citazioni che spesso sono piu` estese e anche rapide sintesi del contesto di appartenenza, appunto per offrire informazioni circa tale contesto, in modo che il lettore possa farsi una qualche idea degli intenti con cui un certo autore antico si occupa dei primi atomisti riportando qualche dato sulla loro vita, sui loro scritti e sulla loro dottrina. Nel preparare la raccolta dei testi originali ho cercato di venire incontro all’esigenza di offrire testi che si basino sulle piu` recenti edizioni critiche oppure che tengano conto dei contributi recenti e meno recenti che sono stati dati al miglioramento degli stessi (per esempio mediante congetture e altre correzioni). Questi apporti concernono primariamente quella raccolta, ma hanno ovviamente delle conseguenze anche per le traduzioni che sono offerte dei testi stessi, cio`e per il materiale reso disponibile nel presente volume. Naturalmente la traduzione ed interpretazione adottata non dipende solo dalla costituzione del testo. Per quanto in maniera inevitabilmente piuttosto selettiva ho offerto alcune indicazioni nelle note a chiarimento delle scelte da me compiute (per maggiori dettagli rinvio a quella raccolta). In tale connessione ho piu` volte riportato in nota e discusso traduzioni alternative a quella da me adottata. Inoltre ho introdotto altri chiarimenti o informazioni. Questa costituisce una delle ragioni per cui e` stato opportuno offrire i testi anche in traduzione. Lo stato della documentazione di cui disponiamo sui primi atomisti, cioe` su Leucippo e su Democrito, e la natura e valore delle nostre fonti, saranno considerati in modo approfondito nella parte monografica. Qui mi limito ad una presentazione che, ad eccezione della parte sull’etica, dove qualche informazione piu` dettagliata e` indispensabile, e` piuttosto sintetica. (Alcuni dettagli, soprattutto riguardo tale parte, sono comunque riservati ai supplementi e alle altre appendici). Le opere che essi risultano avere redatto 1 sono andate perdute. Alcuni passi tratti da esse ci sono rimasti in citazioni dovute ad autori dell’antichit`a, ma, se si prescinde dal caso particolare dei frammenti etici, sono pochi e concernono quasi tutti l’epistemologia di Democrito. Inoltre sono troppo brevi perch´e ci si possa fare un’idea complessiva anche solo di questo aspetto del pensiero dei primi atomisti. E` inevitabile pertanto ricorrere a quanto ci viene riferito sul loro pensiero da parte, sempre, di autori antichi. 1 Cfr. l’elenco infra, nella parte su biografia ecc., F. 1 (0.6.1), per il catalogo di Diogene Laerzio relativo alle opere di Democrito, inoltre F. 2 per attestazioni relative a singole opere dello stesso Democrito e di Leucippo. Per una presentazione dettagliata di queste opere mi permetto di rinviare al mio Democritus’ Works: From their Titles to their Contents, in Democritus. Science, The Arts, and the Care of the Soul, edited by A. BRANCACCI & P.-M. MOREL, Leiden 2007, pp. 11-76.
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In questo caso si constata facilmente (anche solo a sfogliare il presente volume) che c’`e una certa sovrabbondanza di materiale. La sovrabbondanza e` soprattutto rispetto alle informazioni che effettivamente si riescono ad estrarre dalla documentazione. Questo avviene per tutta una serie di ragioni, delle quali se ne possono addurre alcune particolarmente rilevanti. Va detto, in primo luogo, e negativamente, che non si tratta di una documentazione tale per cui noi possiamo organizzare i testi di cui disponiamo cosı` che essi si integrino l’uno con l’altro e ci offrano un quadro abbastanza completo dei vari aspetti del pensiero dei primi atomisti. Spesso gli intenti, critici o di altro genere, dell’autore che ne tratta prevalgono su quelli espositivi. Anche nei casi piu` favorevoli, in cui noi abbiamo a che fare con delle esposizioni positive o comunque con delle presentazioni di una certa ampiezza e abbastanza rispettose di quelli che debbono essere stati gli intenti dei primi atomisti, resta il fatto che esse appartengono quasi tutte a dei contesti piuttosto determinati. Sono considerati, per esempio, i contributi di Democrito sulla costituzione fisica e sulle capacit`a o attivit`a dell’anima, oppure quelli sul funzionamento delle varie facolt`a della percezione sensoriale, oppure ancora quelli sul ciclo che viene attraversato da un singolo cosmo e sui rapporti che esso ha con altri mondi, oppure infine su questioni indubbiamente fondamentali come la causa del movimento degli atomi, ma ciascuno di questi aspetti del pensiero atomistico e` tenuto separato dagli altri. Ci sono, e` vero, delle esposizioni complessive delle dottrine di Democrito e di Leucippo, ma queste sono piuttosto rapide e tendono ad accentuare certi aspetti a scapito di altri (per esempio in alcune viene accentuato l’aspetto cosmologico). E` inevitabile che ci sia qualche sovrapposizione fra di esse e quelle settoriali, come anche, in assenza di una chiara demarcazione, fra queste ultime. C’e` anche la conseguenza che, sia da queste esposizioni complessive sia da quelle settoriali, non si riesce a ricavare indicazioni molto precise sui rapporti che ci sono fra una data tesi che viene loro attribuita e le altre loro tesi. Spesso tuttavia, come gi`a accennato, neppure abbiamo a che fare con delle semplici esposizioni, ma ci imbattiamo in trattazioni nelle quali il pensiero degli atomisti e` sottoposto a critiche, per essere rigettato in modo piu` o meno completo. Se si prescinde dagli Epicurei, i quali tuttavia costituiscono una nostra fonte quasi esclusivamente perch´e hanno ripreso buona parte delle tesi fondamentali dell’atomismo e le hanno sviluppate, abbiamo in effetti a che fare con autori la cui posizione e` , nella maggior parte dei casi, di dissenso. Questo, come ci si puo` aspettare, puo` tradursi in una certa tendenziosita` nel modo in cui il pensiero degli atomisti ci viene presentato. In tutti i casi si verifica che alle tesi degli atomisti viene fatto riferimento non per offrirne una esposizione piena ma per indicare qual e` il bersaglio delle critiche, dunque in maniera che — IX —
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puo` essere piuttosto allusiva o comunque rapida. Questo non solo comporta che ci siano ripetizioni o riprese con varianti delle stesse tesi (non solo presso differenti autori ma anche presso lo stesso autore), ma comporta pure che le informazioni positive che ci vengono date siano mischiate a rilievi critici dai quali si lasciano separare solo a fatica. Un accumulo piuttosto ripetitivo di materiale e` anche dovuto al fatto che, trattandosi di passi tratti da opere di autori differenti e dei quali alcuni spesso dipendono in qualche modo dai precedenti, ci sono frequenti sovrapposizioni. Puo` avvenire che un autore ripeta quanto si trova in un altro autore, ma con qualche variante, che talvolta e` significativa. Puo` pure avvenire (nel caso almeno dei commentatori aristotelici) che un autore commenti il passo di un altro autore, riprendendo, ma con delle amplificazioni (che di nuovo in certi casi sono significative), quanto si trova nel passo commentato. Le sovrapposizioni non sono rare neppure quando l’autore che ci serve da fonte e` lo stesso. Aristotele per esempio discute del pensiero dei primi atomisti in opere differenti e in contesti variati (anche all’interno di una stessa opera), e nel fare questo puo` richiamare alcuni punti che si trovano da lui esposti anche altrove. Di nuovo le varianti che si trovano fra un’esposizione ed un’altra possono essere non del tutto trascurabili. Questo significa che, in una raccolta che voglia essere abbastanza completa dal punto di vista documentario, nessuno di questi passi puo` essere omesso, ma che l’apporto che viene offerto da ciascuno di essi puo` essere molto modesto. Quanto agli autori che ci servono da fonte, e` probabile che solo Aristotele e Teofrasto conoscessero una parte almeno delle opere originali di coloro dei quali riportano il pensiero. Degli altri autori, quelli meglio informati si basano sui precedenti, ma tenendo conto di opere che per noi sono andate perdute (come la monografia su Democrito redatta da Aristotele e i contributi dossografici di Teofrasto e di qualche altro peripatetico come Eudemo di Rodi). Questo deve valere per Simplicio e, anche se probabilmente in misura minore, per qualche altro commentatore aristotelico, dei quali in ogni caso solo il primo ha fatto pieno uso della documentazione a sua disposizione. Inoltre alcuni di essi, come Sesto Empirico e Plutarco, debbono avere attinto ad antologie o ad altre raccolte contenenti estratti delle opere originali riguardanti questioni di loro interesse oppure, almeno, ad opere di autori a loro precedenti che includevano citazioni di passi di qualche opera di Democrito.2 Gli altri, si puo` 2 Un esempio: come suggerito da D. SEDLEY , Sextus Empiricus and the Atomist Criteria of Truth (cfr. bibl.), e` probabile che Adversus mathematicos VII §§ 135-140 (= 60.1 infra), cioe` la principale testimonianza di Sesto Empirico sull’epistemologia di Democrito, faccia parte di un’esposizione che dipende dallo scritto Sul criterio di Posidonio.
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presumere, dipendevano da esposizioni dossografiche dovute ad epitomatori che si basavano essi stessi non sugli originali ma su resoconti altrui, come quelli dovuti a Teofrasto, sicch´e si tratta di informazioni di seconda o terza (per non dire quarta o quinta) mano. Cosı` sia nel caso di Lattanzio che in quello di Agostino e` documentabile che essi si rifacevano a Cicerone,3 il quale a sua volta si basava su esposizioni dossografiche. Ovviamente anche in questo campo ci sono sensibili differenze fra coloro che, come Cicerone stesso e come Aulo Gellio, danno prova di un certo scrupolo e quegli autori, come i cristiani Lattanzio e Tertulliano, che solitamente 4 hanno solo in mente di offrire una condanna generale di un certo orientamento di pensiero (anzi nel loro caso del pensiero pagano nel suo complesso). Va pure fatta una distinzione fra quegli autori che offrono citazioni di passi risalenti alle opere originali e quegli autori che non offrono tali citazioni, perch´e non sono in grado di farlo oppure perch´e, pur essendo in grado di farlo, ci rinunciano. Aristotele e Teofrasto, pur essendo sicuramente in grado di farlo, non citano mai per esteso qualche passo democriteo, ma si limitano a riprendere qualche brano o qualche singola parola all’interno di un’esposizione fatta con parole proprie. Invece, nella tarda antichit`a, Simplicio quasi certamente non era piu` in grado di farlo, perch´e nel caso degli atomisti risulta discostarsi dalla sua pratica usuale di citare i passi delle opere originali appena possibile (sulla questione si veda supplemento I). In realt`a, se si prescinde dai frammenti etici, dei quali si dir`a piu` oltre, le uniche citazioni significative e di una certa ampiezza tratte da opere di Democrito, che per di piu` sono indicate espressamente, sono quelle dovute a Sesto Empirico riguardanti la sua epistemologia (in qualche modo e` da accostare a queste la citazione di un ulteriore passo sull’attrazione dei simili). A queste se ne puo` aggiungere una di Galeno e un’altra di Diogene Laerzio riguardanti lo stesso ambito. Si puo` sospettare che queste dipendano in parte da una tradizione scettica costituitasi ad opera di autori che avevano un particolare interesse per l’epistemologia di Democrito, la quale aveva portato a conservare, probabilmente, piu` che intere opere di Democrito, estratti da esse rispondenti a tale interesse (ma si veda n. 2 supra). Lo stesso Sesto, in altri contesti, per esempio riguardo ai princı`pi dell’atomismo, offre esposizioni di tenore dossografico che evidentemente prescindono da una conoscenza diretta degli originali. Plutarco cita piu` volte qualche espressione o qualche brano democriteo, anche ad illustrazione di tesi che so3 Su Lattanzio vedi Presentazione dei testi, sez. 24. La familiarita ` di Agostino con gli scritti di Cicerone, inclusi probabilmente alcuni per noi andati perduti, ma non con gli scritti dei Greci, e` cosa ben nota. 4 Il De anima di Tertulliano e ` , come vedremo piu` oltre, un caso particolare per la sua dipendenza da Sorano.
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no sue, ma nessuna citazione e` molto estesa. Le sue testimonianze non sono facilmente classificabili, perch´e alle volte si mostra piuttosto bene informato, mentre altre volte, anche quando dichiara di avere accesso ai testi, risulta in difetto di informazione (si veda al proposito supplemento II). Nel complesso c’e` da dubitare che egli avesse veramente sotto mano piu` opere complete dell’Abderita: nessuna di esse viene da lui citata per titolo e, quando si tratta di esporre in sintesi la sua fisica, ne offre un’esposizione di tenore tipicamente dossografico.5 Forse si basava prevalentemente su note, non sempre precise, che aveva conservato delle sue letture in qualche biblioteca. Per il resto, la documentazione di cui disponiamo e` costituita da testimonianze, cioe` da quanto gli autori antichi ed altri ad essi successivi ci riportano del pensiero dei primi atomisti (prescindo per il momento dalle testimonianze biografiche). Fra questi autori i piu` vicini cronologicamente e dei quali noi disponiamo le opere in modo completo o per un’ampia porzione sono Platone ed Aristotele. Nelle opere del primo ci sono riferimenti significativi ad altri Presocratici, particolarmente a Parmenide, a Zenone e ad Eraclito, oltre che ai sofisti, e la presentazione che egli offre delle loro posizioni influenza quella di Aristotele anche quando questi si riferisce a Democrito; e tuttavia Platone non menziona mai espressamente Leucippo e Democrito, sicche´ si puo` solo cercare allusioni ad essi (o almeno a Democrito) nei suoi dialoghi.6 Peraltro le allusioni che troviamo soprattutto nel Cratilo e nel Teeteto sembrano troppo frequenti e significative per dover troppo dubitare del fatto che egli avesse in mente certuni almeno dei contributi dell’Abderita (si veda Presentazione dei testi, sez. 15). Aristotele invece fa numerosi riferimenti espressi (e anche non espressi) a Democrito, talvolta associandolo a Leucippo (raramente si riferisce al solo Leucippo). Sono riferimenti che per quantit`a sono inferiori solo ai riferimenti da lui fatti ad Empedocle. La sua testimonianza e` dunque di grande importanza per la ricostruzione del pensiero dei primi atomisti. Ma e` di grande importanza anche in modo indiretto, perch´e il suo approccio, in particolare per certi schemi da lui usati, influenza fortemente gran parte dell’esposizione successiva del pensiero atomistico e soprattutto la dossografia. Talvolta questa riprende pure i contenuti, cio`e riprende certe tesi che egli attribuisce ai primi atomisti (per esempio la tesi dell’identita` di anima e intelletto, cfr. 105.5 e 105.6, in relazione a 101.1, fine). Dipendono in modo significativo da Aristotele certi suoi commentatori e particolarmente Simplicio, il 5 Come deve ammettere anche J. HERSHBELL, «Quaderni Urbinati di filologia classica», 1982, p. 91, pur cercando di arrivare a conclusioni piu` positive. 6 Questo silenzio di Platone nei confronti di Democrito era stato gia ` notato nell’antichita` e aveva suscitato commenti, cfr. Diogene Laerzio IX 40 (= 0.2.1, con n. 26 al passo).
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quale poteva pure attingere alla sua opera, per noi andata perduta, Su Democrito. Come si e` gi`a accennato, Sesto Empirico, nostro testimone importante per l’epistemologia democritea, deve dipendere da altre fonti, ma le sue testimonianze sui fondamenti dell’atomismo sono tipicamente dossografiche (cfr. 6.2, 6.3 e 6.5). Fra gli autori antichi ci sono infine gli Epicurei, il cui rapporto stretto col primo atomismo, per averne ripreso la dottrina seppure con significative modificazioni, e` ben noto. Per la peculiarit`a della loro posizione in generale, come per la peculiarit`a dell’atteggiamento di Epicuro verso Democrito, se ne deve parlare a parte piu` oltre. Va solo tenuto presente che in alcuni casi anche le loro testimonianze possono rientrare nell’alveo delle testimonianze di tipo dossografico o per lo meno risentire dell’interpretazione aristotelica. (Di questo tipo sono le allusioni di Epicuro e di Diogene di Enoanda al necessarismo democriteo, cfr. 74.3 e 76.1-1.1). Per passare ora a quest’altra tradizione, il termine dossografo, come quelli associati di dossografia e dossografico, sono stati resi correnti dalla fondamentale opera di Hermann Diels intitolata Doxographi Graeci. Per dossografi egli intendeva in sostanza tutti quegli autori che riferivano le concezioni (opinioni = dovxai) dei filosofi greci e che si basavano, in modo diretto od indiretto, sull’opera di Teofrasto ritenuta essere intitolata Opinioni dei fisici (Fusikw=n dovxai), in 16 libri (ad essa viene fatto riferimento nel catalogo delle opere di Teofrasto in Diogene Laerzio, V 46). L’opera di Teofrasto nel suo complesso e` andata perduta, ma alcuni estratti di essa si sarebbero conservati, come era stato notato inizialmente da Usener (il maestro di Diels che lo aveva indirizzato a quella ricerca), in una parte del commento di Simplicio al primo libro, cap. 2, della Fisica di Aristotele e anche, in misura sensibilmente minore, presso alcuni altri autori (o presso lo stesso Simplicio in altre parti di quel commento e nel commento al De caelo). La raccolta di questi frammenti e` offerta dallo stesso Diels nell’opera citata (a pp. 473-495).7 Si supponeva inoltre che un’opera di Teofrasto che ci e` pervenuta, e cioe` il De sensibus (di cui pure viene offerta un’edizione dal Diels in quell’opera, a pp. 497-527), costituisse uno dei 16 libri di Opinioni dei fisici. Anche indipendentemente da questa supposizione ci sono indizi che fanno pensare che l’opera fosse divisa per argomenti (gli estratti di Simplicio debbono riguardare il libro I ‘‘sui princı`pi’’) e che per ciascun argomento ci fosse l’esposizione, in successione, delle posizioni dei vari filosofi da Talete a Platone. 7 Il fr. 8 nella sua raccolta corrisponde al nr. 3 nella presente raccolta, il fr. 13 al nr. 47.1; inoltre il fr. 2 include la testimonianza su Diogene di Apollonia riportata al nr. 0.8.9. Per il contesto complessivo dell’esposizione di Simplicio nel commento al libro I cfr. infra, 11.2 (con 11.1, cioe` passo aristotelico commentato).
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Gli autori successivi a Teofrasto che dipendono da quest’opera non avrebbero tuttavia, nella maggior parte dei casi, attinto ad essa in modo diretto, ma si sarebbero rifatti a delle epitomi, cio`e a delle versioni ridotte di essa non dovute allo stesso Teofrasto. Diels stesso postulava l’esistenza di due principali epitomi di questo tipo, la prima delle quali, non attribuibile ad alcun autore noto e risalente al primo sec. a.C., egli denominava convenzionalmente Vetusta Placita, mentre la seconda, risalente al primo sec. d.C., era attribuita ad un certo Aezio, altrimenti ignoto. Della seconda epitome ci si puo` fare un’idea piu` precisa che della prima, sicch´e conviene cominciare da essa. Il nome Aezio come autore di uno scritto che raccoglie le opinioni dei filosofi, e il titolo della sua opera Peri; ajreskovntwn sunagwghv (cio`e latinamente Collectio placitorum, ma essa di solito viene citata come Aetii placita), si desumono da alcuni riferimenti che ad essa vengono fatti dall’autore cristiano Teodoreto (del quinto sec. d.C.) nella sua Graecarum affectionum curatio.8 Questi invero menziona la sua opera insieme ad altre due, ma ci sono informazioni da lui fornite le quali sono sı` prossime a quelle fornite da una di queste, i Placita philosophorum attribuiti a Plutarco, ma lo sono in modo parallelo e non per derivazione da essa; e il suo modo di esporre differisce da quello che deve essere stato proprio dell’opera rimanente, l’Historia philosopha di Porfirio, la quale seguiva presumibilmente un ordine cronologico e partiva dalle biografie dei filosofi.9 Pertanto si arriva, per esclusione, all’esito che l’opera di Aezio aveva costituito la fonte di Teodoreto. Non solo, ma il parallelismo che c’`e fra l’opera dell’autore cristiano, limitatamente a certe sue parti, e quei Placita philosophorum, suggerisce che l’opera di Aezio aveva costituito la fonte anche di quest’altra opera, la quale ci e` pervenuta direttamente.10 Poich´e una fonte strettamente parallela a queste due (ma soprattutto all’opera pseudoplurarchea) e` data da certe parti dei primi due libri (tradizionalmente intitolati Eclogae Physicae et Morales) della raccolta antologica di passi dovuta a Giovanni Stobeo, si e` potuto concludere che anche quest’opera dipendeva dagli Aetii Placita. C’`e infine la complicazione che qualche passo tratto da Aezio si trova (probabilmente) anche in Nemesio e che passi della raccolta pseudoplurarchea sono riprodotti da autori successivi come Eusebio, Cirillo e Pseudo-Galeno (nella sua Historia philosopha, dal cap. 25 in poi).11 Cfr. op. cit., II 95 (62.4-7Raeder), IV 31 (108.27-109.4), V 16-17 (126.21-22). Le loro opinioni erano dunque associate alle biografie, come in Diogene Laerzio, e non raccolte per argomento. (Si veda su quest’opera A.-Ph. SEGONDS, Les fragments de l’ ‘‘Histoire de la phi´ DES PLACES, Paris, losophie’’, appendice a Porphyre, Vie de Pythagore, Lettre a` Marcella, curato da E. Les Belles Lettres, 1982). 10 Per maggiori dettagli si puo ` fare riferimento a J. MANSFELD e D.T. RUNIA, Ae¨tiana, vol. I, Leiden 1997, capp. 3-6. 11 Uno specchietto che illustra le dipendenze dall’opera di Teofrasto secondo l’ipotesi del Diels si trova in Mansfeld-Runia, op. cit., p. 81; uno specchietto che illustra le dipendenze dai Placita pseu8 9
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Il quadro complessivo che viene delineato dal Diels comporta piu` ipotesi, per quanto messe in connessione, delle quali una e` questa della dipendenza delle opere ora citate da quella di Aezio, un’altra e` quella della dipendenza dell’opera di Aezio e di certi passi di altre (compresi alcuni dei primi capp. dell’Historia philosopha) dai Vetusta placita, una terza e` quella della dipendenza di questa stessa opera e di altre opere andate perdute (ma delle quali rimane qualche traccia) dalle Opinioni dei fisici di Teofrasto, alla quale aveva attinto anche Simplicio, ma in modo diretto, come gia` rilevato. Di queste ipotesi l’ipotesi piu` facilmente verificabile (oltre a quella dell’uso di Teofrasto da parte di Simplicio) e` manifestamente la prima, perch´e concerne opere che ci sono rimaste. Essa in effetti e` stata sottoposta abbastanza recentemente ad un esame approfondito da J. Mansfeld e D.T. Runia nel vol. I (il solo finora apparso) dei loro Aetiana. La conclusione alla quale pervengono i due autori e` che l’ipotesi rimane sostenibile, anche se richiede correzioni o integrazioni su punti specifici.12 E` dunque ragionevole che un’edizione e traduzione dei testi di due Presocratici come quella da me fornita tenga conto di questo risultato nell’ordinamento da adottare. Tuttavia non e` giustificato procedere come ha fatto il Diels e come hanno fatto diversi altri studiosi (in edizioni o studi riguardanti singoli Presocratici), e cio`e scegliere una fra quelle che sono in qualche modo delle varianti del testo di Aezio per proporla senz’altro sotto il nome di ‘‘Aezio’’ (p. es., come illustro in supplemento XIV, l’unica variante includente il nome di Democrito di un passo sul caso come causa occulta) oppure addirittura proporre come aeziana una combinazione di brani risultanti da piu` di una di queste fonti dipendenti da Aezio (per illustrazione si veda 81.1.1, con n. al passo). In primo luogo quella di Aezio rimane un’ipotesi che, per quanto la piu` sostenibile sulla base dei dati a noi disponibili, potrebbe un giorno dover essere riveduta, sicch´e non si puo` prescindere dall’indicazione delle fonti effettive come Ps.-Plutarco e Stobeo. In secondo luogo questi autori non si limitano a copiare il testo di Aezio tale e quale ma compiono interventi di vario genere. Questi stanno spesso nell’omissione di passi con lemmi all’interno di un capitolo, sicch´e talvolta l’informazione che abbiamo risulta da una sola di queste fonti (per esempio dal solo Stobeo, cfr. I 50, 24 [= 53.4] sui sensibili ‘per convenzione’ secondo Leucippo e Democrito; I 14, 1f(3) [= 64.6] sugli doplutarchei viene proposto da H. DIELS in Doxographi Graeci; Berlin 1879, p. 40 (abbrev. Dox.). Una edizione del testo degli Aetii Placita che colloca in parallelo i passi presenti nelle raccolte di Ps.-Plutarco e di Stobeo e che registra in nota i passi di Teodoreto e di altri autori che si basano su Aezio o su Ps.-Plutarco e` fornita dal Diels in Dox. a pp. 267-444. 12 Per esempio Achille non dipende da Aezio ma dalla tradizione anteriore. (Si veda lo specchietto fornito da loro a p. 328.)
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INTRODUZIONE
atomi senza peso secondo Democrito; I 15, 6b(2) [= 78.3] sulla figura del mondo secondo Leucippo e Democrito). Gli interventi possono stare pure in qualche riformulazione del testo,13 ma possono arrivare alla fusione di piu` capitoli con l’adozione di un titolo complessivo (ad esempio Stobeo I 24, dal titolo ‘‘Sulla sostanza degli astri e sulle loro figure, movimento e apparizione’’, include passi ‘‘Sul movimento degli astri’’ che appartengono ad un capitolo che e` tenuto distinto in Ps.-Plutarco,14 e perfino, senza evidenziarlo, passi appartenenti ad un capitolo ‘‘Sull’ordine degli astri’’, cfr. 84.1 a confronto con 82.1). In un’operazione del genere si possono verificare errori od omissioni, sicch´e anche per questa ragione tutte queste varianti vanno riportate in modo distinto. Cosı` si possono verificare omissioni di nomi dei pensatori cui viene fatto riferimento (per esempio Democrito e` evidentemente omesso in Ps.-Galeno ‘‘sull’anima’’, cfr. 103.7.3, ma Dicearco e` omesso in 103.6 di Ps.-Plutarco e in 103.6.1 di Teodoreto, perch´e il suo nome compare non solo in Ps.-Galeno ma anche in Lattanzio, cfr. 103.7 con 103.7.1 e 7.2). Casi simili a questi, ma talvolta piu` complessi, sono ugualmente constatabili. (Vedi supplemento III. per esempi). Errori ed omissioni si verificherebbero sicuramente anche nel caso di una copiatura pura e semplice, ma ci sono anche altre ragioni per le quali in raccolte come quella di Stobeo si verificano errori con una certa frequenza, come sar`a chiarito nel parlare dei frammenti di etica. Va pero` segnalato subito che la raccolta di Stobeo e` dichiaratamente un’antologia, che quella di Ps.-Plutarco deve essere (come risulta da titolo dato per esteso all’inizio dei libri II e III dell’opera: Peri; twn= ajreskovntwn toi"= filovsofoi" fusikwn= dogmavtwn ejpitomhv) un’Epitome,15 e che Teodoreto redige un’opera polemica che non ha alcuna pretesa di completezza, sicch´e tutt’e tre le opere sono il risultato di un lavoro di selezione che lascia spazio ad omissioni non evidenziate anche quando sono volute, oltre che ad errori. Queste omissioni vanno tenute distinte da quelle involontarie che pure si verificano. Ci sono anche altre complicazioni. Una situazione che si presenta e` che un dossografo che pur si basi principalmente su di un’opera come quella di Aezio puo` ritenere opportuno in singoli casi attingere ad un’altra fonte. L’autore dell’Historia philosopha attribuita a Galeno riprende i Placita dello Ps.-Plutarco a partire dal cap. 25, ma in alcuni dei capitoli precedenti si basa su di un’al13 Questo avviene soprattutto da parte di Teodoreto, come e ` stato documentato da Mansfeld e Runia, cfr. op. cit., pp. 278-282. 14 Si vedano, rispettivamente, i passi 86.1.2 e 86.1 (+ 86.1.1). (Altro esempio: I 25 sul sole, rispetto a Ps.-Plutarco II 20-24, cfr. i passi 82.4-4.1 e 86.3.). 15 Viene presentata a questo modo anche da Teodoreto, op. cit., IV 31 (109.2-3).
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INTRODUZIONE
tra fonte, che almeno in qualche caso egli ha in comune con Sesto Empirico, come mostrano i paralleli che si possono stabilire fra di essi (cfr. 6.3 e 6.4, con n. 50, ma ci sono altri paralleli che non interessano Democrito). Puo` darsi che questa fonte comune siano i Vetusta placita ipotizzati dal Diels. Che quanto viene proposto nei primi capitoli sia materiale dossografico poco originale che ha dei paralleli altrove e` evidente anche dagli altri passi menzionanti Democrito inclusi nella presente raccolta (cfr. 0.8.4, 0.8.4.1). Un altro esempio pare essere costituito da Teodoreto IV 14 (= 30.7), che presenta un manifesto parallelismo con Ps.-Plutarco, Placita I 18, 1-3 (= 33.6) e con un quasi identico passo in Stobeo (cfr. 33.6.1), ma che sostituisce l’affermazione che ‘gli atomi sono infiniti di numero, il vuoto e` infinito per grandezza’ con l’affermazione che ‘Democrito ha denominato ‘‘vuoto’’ il luogo degli atomi’. La concordanza fra gli altri due autori rende altamente probabile che essi riportano fedelmente la versione di Aezio, ma e` sufficientemente chiaro che l’affermazione in questione riguarda il tema dell’infinitezza e non quello del vuoto che e` il tema del capitolo di Aezio da essi ripreso, sicch´e la modifica apportata da Teodoreto (dipendente da una fonte che si basa in ultima istanza su affermazioni di Aristotele, cfr. 7.1: 295.3-4 e 33.5) e` del tutto sensata. Questo fa anche sospettare che pure l’opera di Aezio non fosse esente da imperfezioni, tipiche di un’opera che doveva essere essa stessa un’epitome (sunagwghv ha il senso non solo di ‘collezione’ ma anche di ‘epitome’, come sottolineano Mansfeld e Runia, op. cit., p. 324). In conclusione, pur accogliendo l’ipotesi dell’esistenza di un’opera dossografica dovuta ad Aezio come fonte, diretta o indiretta, della maggior parte delle opere contenenti materiale dossografico a lui successive, ritengo che tutte queste testimonianze vadano tenute distinte, cercando piuttosto di evidenziare i rapporti che intercorrono fra di esse (per le sigle da me usate allo scopo si veda piu` oltre in questa introduzione). Quanto a queste altre opere (o parti di opere), va ricordato che alcune di esse, come la citata Historia philosopha pseudogalenica (dal cap. 25 in poi) e come la Praeparatio evangelica di Eusebio (in alcuni capitoli dei libri XIV e XV), dipendono direttamente non da Aezio ma dai Placita di Ps.-Plutarco, come si trover`a indicato in un supplemento a questa introduzione (vedi supplemento IV). Quanto all’altra principale ipotesi del Diels, quella della dipendenza di tutte queste raccolte (compresa quella di Aezio) da un’opera di Teofrasto, essa si basa su di un’osservazione di valore innegabile: tutta una serie di testimonianze riguardanti i vari pensatori presocratici, al di la` di quelle che si fondano su Aezio come fonte comune, presentano significative affinita` . E` facile convincersene quando si esamini il conspectus di queste testimonianze (stampate in parallelo) che lo stesso Diels offre in Doxographi, 2
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pp. 133-144.16 La questione e` tuttavia se tali innegabili affinita` si possono spiegare solo mediante l’ipotesi del Diels, considerato anche che le corrispondenze fra quelle testimonianze sono tutt’altro che complete. Si puo` ritenere che le affinita` si spieghino piuttosto col fatto che sono adottati alcuni schemi dossografici, almeno in parte derivanti da Aristotele, che impongono una certa uniformita` nella presentazione del materiale documentario. (Qualche esempio di questi schemi dossografici sara` dato nella Presentazione dei testi, sez. 5. Gli schemi in questione costituiscono manifestamente uno dei ‘filtri’ delle informazioni che vengono trasmesse, ma la questione dell’affidamento che possiamo dare agli autori antichi che vado menzionando e` troppo vasta per poter essere affrontata in questa sede). Su vari punti l’ipotesi generale del Diels e` andata incontro a critiche in tempi anche recenti. Una revisione complessiva del suo contributo, qual e` quella che e` stata offerta da Mansfeld e Runia per l’ipotesi aeziana, deve ancora venire. E si puo` sospettare che non si riuscir`a comunque a pervenire a risultati altrettanto definitivi e sicuri come nel caso di quest’altra ipotesi, perch´e i punti oscuri sono numerosi. Uno dei punti problematici e` che Simplicio, la cui testimonianza e` fondamentale per tutto questo tentativo di ricostruzione, non cita mai espressamente come sua fonte un’opera di Teofrasto intitolata Opinioni dei fisici, mentre cita la Fisica dello stesso autore nel suo In De caelo, commentando III 1 (cfr. 47.1), e cita ugualmente, nel suo commento alla Fisica,17 una Physike` historia la cui eventuale coincidenza con quell’altra opera e` per lo meno dubbia. Si puo` aggiungere che il tentativo di ricostruire l’andamento di quell’opera (il cui titolo e` probabilmente da intendersi come Opinioni fisiche, cio`e riguardanti l’ambito della ‘fisica’) 18 a partire dal De sensibus e` messo in discussione dall’ammissione che quest’ultima probabilmente e` un’opera indipendente.19 Va ricordato, ulteriormente, che Simplicio attinge dichiaratamente alla Fisica di Eudemo (cfr. 30.6, 38.3, 71.3, con n. 553 ad loc., 72.3), oltre che al De Democrito di Aristotele nel caso di Democrito (cfr. 79.4 + 7.1) e, similmente, al De Anaxagora di Teofrasto nel caso di Anassagora (cfr. 59 A 41 DK = T 235 FHSG). Quanto all’operazione del fare epitomi, es16 Un’esemplificazione e ` da me offerta nell’Introduzione al vol. I presocratici da me curato per ‘‘Il Mulino’’, Bologna 1982, pp. 38-43, dove l’ipotesi del Diels viene illustrata sinteticamente e sostanzialmente accolta. 17 Cfr. 115.11-13 (= fr. 7 Dox. = T 234 FHSG = 28 A 28 DK) e 154.14-17 (= nota al fr. 4 Dox. = T 228B FHSG = 12 A 9a DK) (si veda la bibliografia per questa ed altre abbreviazioni usate nel presente vol.). 18 Come e ` stato suggerito da J. MANSFELD in piu` pubblicazioni (p. es. in ‘‘Physikai doxai’’ and ‘‘Problemata physika’’ from Aristotle to Aetius, 1992, cfr. bibl.): il titolo compare sempre tutto al genitivo. 19 Si veda H. BALTUSSEN , Theophrastus against the Presocratics and Plato, Leiden 2000.
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INTRODUZIONE
sa non deve essere iniziata dopo Teofrasto perch´e anche egli potrebbe essere stato l’autore di un’opera del genere (cfr. Galeno, In Hippocratis De natura hominum 1.2.25 [= T 231 FHSG] e Diogene Laerzio IX 21 [= T 227D FHSG]). Il quadro pare dunque essere piu` complesso che quello suggerito da Diels di una dipendenza esclusiva da un’opera di Teofrasto includente una raccolta di ‘opinioni dei fisici’, quando questa non vale neppure per l’autore il cui modo di procedere e` meglio verificabile, cio`e per Simplicio. Ci sono anche altre ragioni, riguardanti la documentazione che abbiamo su Democrito, per le quali si deve ammettere che il quadro e` piu` complesso. Si constata ad esempio che Eusebio, in Praeparatio evangelica XIV, adotta come sua fonte non solo Plutarco (cio`e i Placita pseudoplurarchei) ma anche Aristocle di Messene (cfr. 0.8.38, e nn. 160-61 ad 0.8.3), Dionisio di Cesarea (cfr. 9.4), ed Enomao di Gadara (cfr. 73.6).20 La natura di questa documentazione non e` molto diversa da quella tipicamente dossografica, ma appartiene solitamente a contesti abbastanza nettamente polemici. In ogni caso quali siano le fonti degli autori stessi che sono citati da Eusebio non pare essere piu` accertabile. Altri autori che offrono qualche testimonianza non trascurabile su Democrito e le cui fonti non paiono essere piu` accertabili sono Proclo, Porfirio e il bizantino Psello. La stessa situazione si presenta nel caso delle testimonianze reperibili in lessici, in scolii, ecc., e concernenti questioni come quelle relative all’interpretazione di Omero. Si puo` ipotizzare che la fonte ultima di buona parte almeno di questo materiale sia qualche dotto (come Aristarco di Samotracia) che aveva operato presso la biblioteca di Alessandria. Che in ogni caso Democrito, con la sua ambizione di dominare tutto lo scibile del tempo, se ne fosse occupato, e` del tutto plausibile (cio` e` confermato anche dai titoli presenti nel catalogo dei suoi scritti), sicch´e non c’e` ragione per dubitare della loro attendibilita` almeno sostanziale se non in tutti i dettagli. Un caso un po’ speciale e` rappresentato dalla documentazione riguardante questioni di medicina. Non occorre qui soffermarsi sull’ipotesi (avanzata inizialmente dal Diels) che uno scritto che ci e` pervenuto in modo lacunoso su papiro, cioe` quello dell’ ‘‘Anonimo Londinese’’, dipende almeno nella sua parte centrale da una perduta opera di storia della medicina redatta, come testimonia Galeno (nel cap. 15 del suo commento al De natura hominis attribuito ad Ippocrate), da un discepolo di Aristotele, Menone, con il titolo di Collezione medica ( vIatrikh; sunagwghv). L’ipotesi richiede come minimo qualche correzione, ma cio` non fa differenza dal nostro punto di vista. Questo scritto in effetti include una testimonianza relativa a Democrito, non tuttavia 20
Quest’ultimo viene citato anche da Teodoreto, cfr. 73.6.1.
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sul tema della parte centrale dell’opera, cio`e sulle malattie (non e` chiaro se si tratta di un’omissione voluta o se il pezzo che lo riguardava e` andato perduto). La testimonianza appartiene alla terza parte, e si parla di lui in modo marginale, per riferire un aneddoto sulla sua morte, il quale viene messo in bocca al medico Asclepiade (cfr. 0.4.1). Ha piu` interesse per noi fare riferimento all’opera di Sorano, il quale e` un autore che non solo aveva offerto un contributo originale su questioni mediche (ci e` rimasto un suo trattato di ginecologia) ma aveva mostrato un forte interesse per la storia della medicina, anche redigendo un’opera avente per tema le vite (bioi) e gli orientamenti (haireseis) dei medici. (A questa viene fatto riferimento nella Suda sotto ‘‘Sorano’’. Si basa su quest’opera il passo dell’anonima Vita di Ippocrate che ho riportato come 0.8.16). Si puo` presumere che Sorano non si fosse limitato a riprendere le opere di sintesi del passato (come i Placita medici di Alessandro Filalete, possibilmente dipendenti dall’opera di Menone) ma avesse consultato anche le opere originali. C’`e inoltre da precisare che probabilmente non si puo` parlare (come in qualche misura Diels tende a suggerire) di due tradizioni del tutto indipendenti, quella di storia delle opinioni dei naturalisti e quella di storia delle opinioni dei medici, perch´e su tutta una serie di questioni, come quelle di fisiologia e di embriologia, c’erano inevitabilmente delle sovrapposizioni, come gia` riconosciuto da Aristotele (all’inizio e alla fine dei suoi Parva naturalia) nel suggerire che il medico, se vuole procedere in modo scientifico, cogliendo dunque le cause delle malattie, deve avere conoscenze circa la natura che vanno oltre l’oggetto immediato della sua attivit`a, cio`e il corpo umano. Il fatto dunque che in opere come i Placita philosophorum pseudoplutarchei si faccia riferimento anche alle opinioni di alcuni noti medici non deve sorprendere, e non deve fare pensare che questo non possa essersi verificato fin dall’inizio, cio`e gi`a nelle opere di Teofrasto. E, sull’altro versante, era abbastanza normale fare riferimento alle opinioni dei filosofi che si erano occupati del corpo umano. Rimane pero` tipico delle opere di storia di medicina (com’e` abbastanza evidente dal papiro dell’Anonimo londinese) l’occuparsi delle opinioni dei medici circa le cause delle malattie e circa le terapie che vanno adottate per curarle. In questo ambito (ovvero nell’ambito della dossografia medica) possiamo collocare i riferimenti a Democrito che troviamo nello scritto anonimo De morbis acutis et chroniis (cfr. 0.6.14.1) e nelle Definitiones medicae pseudogaleniche (cfr. 93.5).21 21 Per approfondimenti rinvio a D.T. RUNIA , The ‘‘Placita’’ ascribed to doctors in Ae ¨tius’ doxography on Physics, in Ancient Histories of Medicine, ed. P.J. VAN DER EIJK, Leiden 1999, pp. 189-250, inoltre, sullo scritto anonimo (l’autore e` convenzionalmente denominato ‘‘Anonymus Parisinus Darembergii sive Fuchsii’’), P.J. VAN DER EIJK, The Anonymus Parisinus and the Doctrines of ‘‘The Ancients’’, nello stesso vol., pp. 295-331 (questa raccolta include altri saggi che toccano questo tema; vedi anche n. successiva).
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Tornando al contributo di Sorano, l’opera di ginecologia che (in modo incompleto) e` l’unica sua che ci e` pervenuta non contiene nessuna rassegna di posizioni altrui sulle questioni ivi trattate. In effetti in essa e` contenuto solo un passo, non particolarmente significativo, nel quale viene fatto riferimento a Democrito (cfr. 188.9). Ma su opere sue andate perdute si basano opere che ci sono rimaste. Questo vale in primo luogo per le opere di Celio Aureliano sulle malattie acute e croniche, perch´e questi stesso dichiara (in Celerum passionum liber II, 1, 8, vedi inoltre II 10, 65; II 28, 147; II 31, 163) di avere ‘latinizzato’ gli scritti di Sorano, cio`e averli adattati ad un pubblico di lingua latina. In che cosa sia consistito questo adattamento, se in poco piu` di una traduzione nell’altra lingua, o in un cambiamento piu` sensibile, e` questione discussa,22 ma qui ci puo` bastare il riconoscimento di questa dipendenza. A queste opere di Celio Aureliano appartengono tre passi che attestano quanto Democrito aveva detto circa l’idrofobia (cfr. 188.2-4; a questi va aggiunto il riferimento dubitativo in 0.6.14 ad una sua opera sull’elefantiasi, e un’allusione all’episodio della sua morte ritardata in 0.4.2, sulla linea di quanto troviamo anche nell’Anonimo Londinese). Lo stesso vale, sebbene non in modo cosı` dichiarato e diretto, anche nel caso del De anima di Tertulliano: questi cita fra le sue autorit`a un’opera di Sorano sullo stesso tema, in 4 libri (cfr. VI 6, con altri riferimenti piu` rapidi),23 ed una serie di riscontri (per i quali posso solo rimandare all’introduzione di Waszink) rende probabile che nei passi nei quali egli espone opinioni altrui si sta in effetti basando su quell’opera di Sorano. Naturalmente un’opera riguardante l’anima appartiene all’ambito della fisica (nel senso antico del termine) e non a quello della medicina (almeno se intesa in un senso piuttosto tecnico), sicch´e le sue fonti sono diverse. E` stato in effetti suggerito, in base a certe corrispondenze che si possono stabilire fra la successione di argomenti trattata in Tertulliano e quella riscontrabile in Aezio, che deve esserci stata una fonte comune sul tipo dei Vetusta placita ipotizzati dal Diels.24 In ogni caso, i passi che riguardano Democrito 25 sono abbastanza tipici di quella tradizione dossografica. Dal momento che si dipende comunque dall’autorit`a di Sorano, sorprende che Diels citi senza riserve i passi ri22 Si veda P.J. VAN DER EIJK , Antiquarianism and Criticism: Forms and Functions of Medical Doxography in Methodism (Soranus, Caelius Aurelianus), in op. cit. (in n. 21), pp. 397-452: 415-424, il quale esclude l’ipotesi della traduzione con poche modifiche. 23 Cfr. J.H. WASZINK , nell’introduzione a Tertulliani De anima da lui curato, Amsterdam 1947, p. 22*. 24 Cfr. la tavola offerta da Waszink, op. cit., pp. 31*-32*, inoltre J. MANSFELD , Doxography and Dialectic, 1990 (cfr. bibl.), pp. 3099 sgg., dove viene avanzata l’ipotesi ora menzionata. 25 Sono i seguenti quattro: De anima 12, 6 (= 105.6); 15, 3 (= 105.11); 43, 2 (= 107.2); 51, 2 (= 109.1).
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guardanti Democrito del De anima di Tertulliano e invece escluda, nella evidente convinzione che sono non autentici, quei 3 passi di Celio Aureliano. (A sua volta Luria li omette senz’altro). Qualcosa deve essere detto infine della dossografia riguardante l’etica. E` sufficientemente chiaro che, nel periodo ellenistico, divennero correnti alcune classificazioni di opinioni (doxai) riguardanti questioni fondamentali di etica, come la natura del sommo bene (o fine ultimo dell’uomo), che non sono dissimili dalle classificazioni riguardanti i princı`pi nel campo della ‘fisica’. (Una classificazione di questo tipo e` costituita dalla divisio proposta da Carneade, alla quale fa riferimento Cicerone in De finibus bonorum et malorum V 6, 16 sgg., cfr. 133.2 con n. 1053, ma questa riguarda anche posizioni teoricamente possibili e non solo posizioni effettivamente proposte da qualche pensatore). In questo campo non ha avuto accoglienza favorevole fra gli studiosi il tentativo di Giusta di proporre un quadro complessivo unitario ricalcando l’ipotesi sopra menzionata del Diels per l’ambito delle opinioni riguardanti la fisica.26 Come minimo, esso pecca di semplificazione di fronte a rapporti poco accertabili. Comunque sia, e` abbastanza chiaro che dipendono da qualche esposizione dossografica greca (del periodo ellenistico) i seguenti passi: Clemente, Stromata II xxi, 130 (= 132.1), Teodoreto, Graecarum affectionum curatio XI 6 (= 132.4) e Cicerone, De finibus V 29, 87-88 (= 133.3), anche se quest’ultimo espone in modo piu` libero. Di tenore del tutto simile sono anche le esposizioni, sempre riguardanti il sommo bene o fine ultimo, che troviamo in Diogene Laerzio IX 45 (= 4.1), con la sua ripresa in Suda (= 132.5), e, in maniera che pare piuttosto distorta, in Epifanio (cfr. 132.3). In questi casi tuttavia la dossografia riguardante l’etica e` associata a quella riguardante la fisica. Questa associazione fa pensare che sia troppo semplice ipotizzare, come faceva Diels (e, sul suo esempio, Giusta per l’etica), una tradizione di dossografia esclusivamente fisica da tener ben distinta da una tradizione di dossografia esclusivamente etica. Fra le testimonianze di ordine dossografico ce n’`e comunque una che riguarda esclusivamente l’etica di Democrito, messa a confronto con quella di Platone: e` quella, particolarmente significativa, di Stobeo che viene fatta risalire ad Ario Didimo, cio`e 131. (Su questa attribuzione e sulla figura di Ario Didimo si veda supplemento V). Accanto a questa documentazione di tipo dossografico riguardo alla dottrina c’`e la documentazione riguardante le vite dei filosofi. Diogene Laerzio ci offre la biografia piu` ampia che ci e` rimasta di Democrito, basandosi su fonti 26
Cfr. M. GIUSTA, I dossografi di etica, in 2 voll., Torino, Giappichelli, 1964-67.
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storiche piuttosto disparate da lui stesso quasi sempre dichiarate. E` abbastanza evidente che la biografia mette insieme testimonianze attendibili con altre sicuramente false e altre ancora la cui attendibilit`a e` per lo meno dubbia. Cosı` appartiene alla leggenda il racconto sui rapporti fra il medico Ippocrate e Democrito, che ha anche dato luogo ad un epistolario che sarebbe intercorso non solo fra i due ma fra il medico e gli Abderiti.27 L’autore (ignoto) dell’epistolario pero` mostra di avere qualche conoscenza dei titoli e dei contenuti di alcune opere democritee, sicch´e ho incluso brani di alcune lettere per le informazioni che contengono (cfr. 0.3.10, 0.3.12, 0.5.2, 0.5.4, 0.6.15, 119.2.1, 136.1.1). D’altra parte certi contributi dottrinali non possono risalire a Democrito. In particolare quelli contenuti nella Lettera XXIII (sulla costituzione del corpo umano) riflettono conoscenze acquisite in un periodo successivo, oltre all’adozione di una prospettiva finalistica poco democritea, sicch´e sono da escludere (cfr. Presentazione dei testi, sez. 2 e n. 7). Appartengono alla leggenda anche altre cose che sono raccontate di Democrito non solo da Diogene ma anche da vari altri autori antichi, inclusa la presentazione della sua figura come del filosofo ridente in contrapposizione ad Eraclito che piangeva. (Per alcuni maggiori dettagli rinvio alla Presentazione dei testi, sez. 1). Sulla falsit`a dell’immagine che nella tarda antichit`a viene offerta di Democrito come di un esperto delle arti magiche mi dilungo piu` oltre. E` importante che alla biografia di Diogene sia allegato un catalogo delle opere attribuite a Democrito che deve avere il suo fondamento ultimo in un catalogo (forse quello attribuito a Callimaco, cfr. 0.9.8) della Biblioteca di Alessandria. Anche in questo caso l’attendibile e` mescolato allo spurio. Non c’`e dubbio, come sar`a indicato nel seguito, che nell’antichit`a circolassero opere spurie, ed e` probabile che il titolo di alcune di queste sia stato accolto in quel catalogo, ma in vari casi non siamo piu` in grado di tentare una distinzione dello spurio dall’autentico. Tornando alle testimonianze di ordine dottrinale, un caso particolare, ma in modi differenti, e` costituito dagli Epicurei e dai commentatori di Aristotele. Quanto ai primi, non sono frequenti le volte in cui essi riportano, con consenso o con dissenso, tesi dei primi atomisti. Epicuro stesso non li menziona mai espressamente, nei testi suoi dottrinali che ci sono rimasti, ad eccezione di un cenno a Democrito in un passo del suo scritto De natura pervenutoci in forma frammentaria (cfr. 193.3). Tuttavia, come e` stato rico27 Per questo epistolario romanzesco cfr. Hippocrates, Pseudoepigraphic Writings. Letters, Embassy, Speech from the Altar, Decree, ed. by W.D. SMITH, Leiden 1990, inoltre T. RU¨ TTEN, Demokrit – lachender Philosoph und sanguinischer Melancholiker, Leiden 1992.
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nosciuto da piu` studiosi, allude a loro tesi in piu` passi, di solito per esprimere un dissenso parziale o totale (pare alludere ad una tesi leucippea in 81.2 e ad una democritea in 74.3, possibilmente anche in 80.4; ci deve essere un dissenso da Democrito nel resoconto della natura del suono in 90.3.1, e nel resoconto del funzionamento della vista in 117.1.1).28 Che Epicuro avesse mostrato un atteggiamento critico, se non anche polemico, nei confronti di Democrito e` attestato da piu` autori, alcuni dei quali lo censurano per questo (cfr. Plutarco, Non posse suaviter ...18 [= 0.8.28], Cicerone, De natura deorum I 73 e 93 [= 0.8.29 e 0.8.30] e Diogene Laerzio X 4 e 8 [= 0.8.32], ma citando altri; piu` neutro Filodemo in De libertate dicendi, PHerc 1471, fr. 20 [= 0.9.4]). In Lucrezio ci sono alcuni pochi richiami espressi alla posizione di Democrito, per esporla (V 621-36 [= 86.2]), o per dissentirne (III 370-73 [= 103.5]), ma egli solitamente si limita ad esporre la posizione epicurea senza rilevare l’eventuale concordanza o discordanza con quella democritea (tutti gli altri passi da me inclusi nella presente raccolta sono di questo tenore). Si esprime con tono di notevole rispetto in entrambi quei passi e in un terzo, nel quale egli allude alla sua morte (cfr. 0.4.5). Piu` espliciti sono altri Epicurei, a cominciare da Colote (allievo diretto di Epicuro), autore di uno scritto polemico (andato perduto) dal titolo Che non e` possibile vivere secondo le dottrine degli altri filosofi (‘‘altri’’ s’intende rispetto agli Epicurei), nel quale collocava Democrito fra i filosofi le cui dottrine andavano respinte. Di questo scritto e del tenore degli attacchi da questi rivolti a Democrito sappiamo in modo indiretto, dall’Adversus Colotem di Plutarco, del quale ho riportato i passi pertinenti (cfr. nell’ordine 0.8.27, 59.1, 56.1, 8.1, 153.1). Alcune di queste critiche, riguardanti i princı`pi dell’atomismo come proposti da Democrito, sono riprese a distanza di tempo da Diogene di Enoanda; 29 peraltro egli pare concordare con Democrito (ma senza menzionarlo) nel rifiuto del ‘fare molte cose’ (cfr. fr. 113 [= 152.5.2]). Di notevole interesse sono i frammenti (di scoperta relativamente recente, quindi non inclusi in raccolte come quella di Diels e Kranz) riguardanti la natura dei sogni, che sono anch’essi di parziale dissenso nei confronti di Democrito (cfr. fr. 10, coll. III 14 IV V [= 110.6] e fr. 43, coll. I 12-14 II [= 110.7], inoltre fr. 9, col. VI 3-14 [= 110.9], da me riportato in appendice perch´e non condivido la convinzione prevalente fra gli studiosi che anch’esso riguardi Democrito).30 Infine ci sono le testimonianze di Filodemo, il quale espone (apparentemente con approvazione) alcune tesi democritee su varie questioni non attinenti ai prin28 29 30
Si vedano le note ai passi e le osservazioni, relative ad essi, nella Presentazione dei testi. Cfr. fr. 6, coll. II 9-14, III 1 (= 5.11), fr. 7, coll. II 2-14, III 1-2 (= 8.4), e fr. 54, col. II (= 76.1). Vedi la discussione della questione in Presentazione dei testi, sez. 25, e nelle note al passo.
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cı`pi dell’atomismo,31 oltre ad attestare l’atteggiamento critico dello stesso Epicuro nei confronti di Democrito (nel citato 0.9.4). A parte i riferimenti espliciti o taciti, essendo sufficientemente chiaro, e sufficientemente documentato,32 che Epicuro (seguito dagli altri membri della sua scuola) riprende la teoria atomistica in quasi tutti i suoi punti principali, e` assai probabile che in piu` casi quanto gli Epicurei propongono come dottrina loro sia anche dottrina democritea. Mi e` parso allora opportuno citare alcuni passi che possono essere intesi in tal maniera e che sono complementari ad altre testimonianze nell’offrire dei chiarimenti riguardo a questa dottrina (questo vale per il grosso dei passi di Lucrezio da me riportati, che sono una ventina), ma, per non fare crescere il materiale in modo eccessivo, mi sono limitato a dei campioni. In questa connessione sono da menzionare pure certe testimonianze di autori non epicurei nelle quali viene stabilita, esplicitamente o implicitamente, una qualche continuit`a fra la posizione di Democrito e quella di Epicuro (o degli Epicurei), sicch´e ho citato la parte di testo riguardante Epicuro anche laddove questa viene tralasciata in edizioni come quella di Diels e Kranz (p. es. Sesto, Adv. math. VII 267 [= 2.1], Ps.-Plutarco, Placita IV 19, 2 [= 90.3]). Per un altro verso ho riportato anche alcuni passi dai quali emergono punti di divergenza fra l’atomismo democriteo e quello epicureo (cfr. p. es. 9.2 e 20.5), non solo per il loro interesse intrinseco ma anche tenuto conto del fatto che in piu` resoconti della teoria viene fatto un confronto fra le due posizioni (cfr. p. es. la testimonianza dossografica 9.1; Cicerone, De fin. I 17-21 [= 9.3], De fato 20, 46 [= 64.7] e 10, 22-23 [= 76.2]). Le testimonianze che abbiamo non suggeriscono invece una continuit`a fra l’etica di Democrito e quella epicurea, con la sola eccezione di una di Teodoreto (XI 6 = 132.4) che e` sospetta, anche perch´e pare smentita da quella di Diogene Laerzio (IX 45 = 4.1). Tuttavia piu` studiosi hanno attirato l’attenzione sul fatto che ci sono varie tesi morali epicuree che si lasciano plausibilmente considerare come una ripresa di tesi democritee.33 Ho incluso alcuni passi dello stesso Epicuro che vanno in tale senso, cfr. 135.6, 136.1.2, 143.4.1, 146.3.2, 147.1.1, 161.2.1, 177.3.1. Similmente Diogene di Enoanda pare concordare con Democrito (ma senza menzionarlo) nel rifiuto del ‘fare molte co31 Cio ` avviene in De musica (= 127.2), in De pietate (= 128.3), in De morte (151.7-8), in De adulatione (153.2.1), e in De ira (166.2). 32 Cfr. infra, nella parte sulla biografia ecc., sotto H 5, nella parte sulla dottrina, sotto II. G; ci sono inoltre varie testimonianze su punti di dettaglio, per le quali cfr. Quadro sinottico, A.IV.b). 33 Si vedano R. PHILIPPSON, Die Rechtsphilosophie der Epikureer II, 1910 (rist. in Studien zu Epikur und den Epikureern, pp. 76 sgg.), P. VON DER MU¨ HLL, «Epikurs Kuriai doxai und Demokrit», 1919, e J. WARREN, Epicurus and Democritean Ethics, Cambridge 2002 (cfr. bibl.).
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se’ (cfr. fr. 113 [= 152.5.2]) e sulla questione del rapporto fra anima e corpo (cfr. fr. 2 = 135.2.1). Infine si puo` menzionare nuovamente Filodemo, che si richiama espressamente a Democrito sui temi dell’ira e dell’adulazione (cfr. 166.2 e 153.2.1) e su quello dell’atteggiamento da avere verso la morte (cfr. 151.7-8), oltre a citarlo, in un caso in modo molto elogiativo, su questioni di cultura (cfr. 127.2 e 128.3). Quanto ai commentatori aristotelici, dei quali i principali sono Alessandro, Filopono e Simplicio, si puo` constatare facilmente che diversi dei testi piu` significativi inclusi nella presente raccolta sono dovuti ad essi. Si tratta in parte di documentazione che viene ad integrare la rimanente, perch´e, come gia` detto, essi attingono a fonti per noi andate perdute, per lo meno, oltre a Teofrasto, all’opera perduta di Aristotele su Democrito (questo vale sicuramente per Simplicio) e anche, talvolta, alla Fisica di Eudemo (a questa fa riferimento sempre Simplicio). Pero` nessuno di essi pare avere avuto a disposizione qualche opera originale di Democrito, o anche solo un qualche ampio estratto tratto da esse e conservato per esempio in qualche antologia, perch´e, come e` stato gi`a notato nel caso di Simplicio, non citano mai passi di una qualche lunghezza. Il loro intento principale poi e` manifestamente quello di commentare Aristotele, chiarendo e ampliando quanto si trova da lui scritto. In qualche caso essi vengono a rendere esplicito un riferimento agli atomisti che in Aristotele e` solo implicito, offrendo cosı` un’informazione per noi ovviamente utile (p. es. Simplicio In De caelo IV 4 [= 68.4.1], In Phys. II 4 [= 72.3 e 72.4] + Filopono ad loc. [= 72.5]; lo stesso Filopono in De gen. et corr. I 2 [= 24.5 e 24.8-11]). Ma il loro intento puo` avere la conseguenza che quanto viene detto, su Democrito e/o su Leucippo, in un dato passo di commento ad un passo aristotelico, non si basi su qualche documentazione indipendente, ma sia semplicemente una rielaborazione, piu` o meno intelligente, di quanto il commentatore ha trovato in testi aristotelici per noi perfettamente accessibili. Alcune volte non c’`e proprio il modo (salvo forse, in qualche misura, ad uno studio approfondito delle loro tecniche di commento) per differenziare i casi di quest’ultimo tipo da quelli del primo. (Per rendere chiaro il rapporto che c’`e fra i testi dei commentatori e quelli aristotelici ho indicato, in ciascun caso, quale sia il passo aristotelico che viene commentato, e il piu` delle volte ho messo il passo del commentatore di seguito a quello aristotelico – le eccezioni hanno motivi contenutistici). Nel complesso nella mia scelta di passi tratti dalle loro opere ho preferito peccare per eccesso, perch´e quelli che fossero anche solo contributi di interpretazione sono comunque di notevole interesse (cio` vale a mio giudizio soprattutto per Filopono, col quale mi sono trovato spesso a consentire). Tuttavia ho preferito tralasciare del tutto Temistio, Olimpiodoro e Sofonia (oltre al — XXVI —
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commento dello stesso Filopono ai Meteorologica di Aristotele), perch´e i loro testi mi sono parsi poco significativi sia sul piano della documentazione su cui si basano sia sul piano dell’intelligenza interpretativa. Il piu` delle volte in effetti si limitano a parafrasare Aristotele e, in ogni caso, non offrono informazioni che non siano riscontrabili presso i commentatori sopra citati; talvolta non sono esenti da inesattezze (cosı` Temistio, nel commentare Aristotele, Physica IV 8, 215a11 [= 36.3], in 129.8 [= 249 Lu.], converte l’affermazione aristotelica che il vuoto appare come privazione nell’affermazione che Democrito lo dichiarava tale; similmente Olimpiodoro, nel commentare Meteorologica II 1, e` indotto ad attribuire all’Abderita la tesi che il mondo e` eterno).34 Una di queste omissioni riguarda il commento, preso nel suo complesso, al De generatione animalium di Aristotele attribuito a Filopono (ma in realt`a di Michele di Efeso), perch´e non costituisce una fonte indipendente dallo stesso Aristotele e su certe questioni non e` neppure attendibile.35 Faccio un’eccezione per un brano riguardante De generatione animalium V 8 (= 98.4) perch´e, pur reputandolo un’interpretazione e non una testimonianza indipendente, l’interpretazione fornita (e prendente spunto da Aristotele) ha una sua plausibilit`a. Alcune indicazioni piu` precise sui motivi di esclusione di questo o quel testo sono reperibili nel Ragguaglio (incluso nel dischetto allegato al presente volume) ed occasionalmente anche nella Presentazione dei testi. Infine, per qualche osservazione piu` specifica riguardo al modo di procedere di Simplicio, di Filopono e di Alessandro d’Afrodisia rinvio ai Supplementi a questa introduzione (supplemento VI). La documentazione relativa all’etica (o all’etica e alla politica) di Democrito 36 costituisce un caso a s´e, perch´e il rapporto fra testimonianze e frammenti e` quasi l’inverso di quello che si presenta per gli altri aspetti del suo pensiero e perch´e la sua trasmissione si e` verificata per canali in gran parte differenti e comunque indipendenti dalla tradizione rimanente. Ci sono delle testimonianze abbastanza significative anche per questo aspetto del suo pensiero, ma sono di numero limitato, e il grosso della documentazione e` costituito da citazioni (per un totale di oltre 200 passi). Le testimonianze sono in parte dovute ad autori come Plutarco, Cicerone e Seneca, cio`e ad autori che offrono attestazioni anche riguardo alla fisica democritea, ma esse si trovano quasi tutte in loro opere di etica. Quanto ad Aristotele e gli autori da lui influenzati, che tanta importanza hanno per le informazioni riguardanti quell’altro ambito, es34 35 36
Per maggiori dettagli su questo suo fraintendimento cfr. Presentazione dei testi, sez. 21 fine. Qualche illustrazione viene data nella Presentazione dei testi, sez. 23. Leucippo non viene mai menzionato in tale connessione.
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si nulla ci dicono a questo proposito. Se si guarda infine alle fonti che riportano passi originali tratti dalle opere di etica, unicamente Stobeo offre informazioni riguardo la fisica, ma in questo caso si tratta di testimonianze, non di citazioni, e la documentazione e` fornita in una parte distinta della sua raccolta. Sulle testimonianze piu` propriamente di natura dossografica, solitamente non limitate all’etica, ho gi`a detto qualcosa piu` sopra. Il silenzio di Aristotele alle volte e` stato addotto come motivo per dubitare della genuinit`a dell’insieme della documentazione relativa all’etica di Democrito, ma esso, per quanto sorprendente, non e` decisivo, perch´e le opere aristoteliche di etica non contengono una rassegna sistematica dei contributi precedenti e fanno dei riferimenti ad altri che sono quasi sempre polemici, mentre un’etica della misura quale quella proposta dall’Abderita era abbastanza accettabile per lo Stagirita. E` anche possibile che agli occhi di quest’ultimo l’etica democritea fosse troppo orientata alla pratica e troppo poco interessata a chiarire i principi morali di base per suscitare abbastanza attenzione.37 Un altro motivo di dubbio che e` stato fatto valere e` la consonanza su certi motivi (come quello della priorit`a dell’anima sul corpo) fra l’etica democritea e l’etica socratico-platonica, sicch´e si potrebbe sospettare una successiva proiezione in Democrito di motivi tratti dalla seconda.38 Ma sono possibili altre spiegazioni di tale consonanza, come la presenza di un comune sfondo intellettuale per autori contemporanei o quasi. C’`e anche da dire che un esame piu` ravvicinato dei testi mostra pure l’esistenza di significative differenze. Infine, e` spesso parso che l’etica desumibile da quella documentazione si riduca troppo, nel suo insieme, ad una raccolta di sentenze banali e rapsodiche per lasciarsi attribuire ad un pensatore cosı` originale e sistematico qual e` Democrito. Ritengo che un giudizio del genere sia troppo svalutativo, ma per questo punto, come per una discussione piu` approfondita degli altri punti, debbo rinviare alla II Parte del presente lavoro rivolta all’esame dei testi.39 Quello che si puo` dire brevemente, in senso positivo, e` che la tradizione antica che attribuisce all’Abderita un’etica centrata sul motivo del buon animo 37 Nel cap. 1 del libro I dei Magna Moralia – opera piuttosto ortodossamente aristotelica se non dello stesso Aristotele – gli inizi dell’etica sono associati alla definizione delle virtu` ad opera di Pitagora, Socrate e Platone. Democrito invece (come attesta Cicerone, cfr. 133.3) avrebbe peccato da questo punto di vista, trascurando l’indagine sulla virtu`. 38 Si noti l’affinita ` fra il passo platonico da me riportato in n. 1058 ad 134.3, e quelli democritei dello stesso gruppo; inoltre si vedano le mie osservazioni in n. 1176 a 157.1 e in n. 1193 a 161.1. Un parallelo fra Democrito e Platone e` istituito espressamente da Ario Didimo presso Stobeo, Ecl. II 7 (= 131). 39 I dubbi che qui ho rapidamente considerato sono stati espressi da ultimo da W.K.C. GUTHRIE , A History of Greek Philosophy, vol. II, Cambridge 1965, pp. 489-492 (le sue riserve sono riprese da J. SALEM, De´mocrite, Paris 1996, pp. 301-306). Per un buon esempio dell’approccio che rivaluta l’etica democritea si puo` citare il recente art. di J. ANNAS, Democritus and Eudaimonism, in Presocratic Philosophy, Aldershot 2002, pp. 169-181.
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(euthumia), possibilmente esposta in un libro con questo titolo, sembra essere troppo lunga (un richiamo a quel motivo pare esserci di gi`a in uno scritto ippocratico) 40 e troppo consolidata perch´e se ne possa dubitare seriamente. Certo, non tutti i passi che ci sono rimasti sono riconducibili a questo motivo e possono essere fatti risalire ad un’unica opera, ma, una volta ammesso che egli di etica si e` occupato, e` plausibile ammettere pure che se ne e` occupato in piu` opere, con intenti differenti. Parte dei dubbi che hanno gli studiosi sono suscitati dalla constatazione che in questo campo non e` riscontrabile quella sistematicit`a che Democrito sembrerebbe avere avuto nel campo della fisica; tuttavia e` possibile che per un verso tanta sistematicit`a non ci fosse neppure in questo campo (l’impressione che veniamo ad avere di sistematicit`a puo` dipendere in parte dalla schematicita` della nostra documentazione) e che per un altro verso la sua etica avesse una fisionomia tale da escludere una sua forte sistematicit`a. Essa pare essere stata piu` prossima alla tradizione gnomica che e` tipica della saggezza morale presente nella poesia che non alla tradizione della riflessione morale propriamente filosofica che emerge con Socrate. Proprio se si pensa a tale tradizione gnomica non e` neppure sorprendente che una parte rilevante dei passi che ci sono rimasti consistano in brevi sentenze. (La loro brevit`a non deve farci supporre che siano tutte o quasi tutte il risultato di un’abbreviazione o condensazione di esposizioni di una qualche lunghezza. In certi casi anzi si puo` prospettare l’operazione inversa della combinazione di due o piu` sentenze brevi).41 A proposito del motivo del buon animo o della tranquillit`a dell’animo c’`e da osservare (1) che esistono opere con questo titolo di Seneca e di Plutarco, ma che e` difficile dire se e in quale misura esse prendessero a loro modello l’opera di Democrito; (2) che il motivo compare in piu` passi fra quelli che ci sono rimasti, ma che non pare possibile ordinarli in modo da arrivare ad una qualche ricostruzione dell’originale. Quanto ad (1), l’opera di Seneca intitolata De tranquillitate animi sicuramente ha ricevuto da lui un titolo che e` inteso corrispondere al greco Perı` euthumies, come risulta dalle indicazioni offerte dallo stesso Seneca circa il significato di tranquillitas (cfr. 133.1). L’opera di Plutarco ha proprio quella denominazione greca, e dunque riceve un titolo che dovrebbe coincidere con quello generalmente attribuito all’opera piu` nota di Democrito nel campo dell’etica. Tuttavia dei due autori e` solo Seneca che (nel passo citato, 2.3) menziona espressamente il libro di Democrito sullo stes40 Cfr. Lex 4, dove forse anche il motivo del cattivo deposito (thesauro ´s) richiama un detto democriteo (quello riportato da Plutarco, Animine an corporis ... 2, 500D9-10 [= 135.3], cfr. n. 1072 ad loc.). 41 Per una discussione dettagliata della questione debbo rinviare all’articolo citato in n. 1 (per qualche esempio si veda Presentazione dei testi, sez. 28).
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so argomento. Questo prova che egli aveva qualche informazione riguardo ad esso, non necessariamente che lo avesse sottomano. Nel caso di Plutarco la possibilita` che lo avesse sottomano e` da escludere non solo perche´ non lo menziona affatto ma anche perche´ egli mostra una scarsa comprensione per certi motivi che (presumibilmente) sono toccati da Democrito in quella sua opera (cfr. sul ‘fare molte cose’, gruppo 152, con Presentazione dei testi, sez. 28; inoltre si veda il caso considerato in supplemento II, con n. 2 e Presentazione dei testi, sez. 16, della probabile infondatezza di una critica da lui rivolta a Colote). Cio` non deve escludere che per altri versi egli avesse qualche informazione non priva di importanza su alcuni dei contenuti dell’etica democritea, per esempio sulla questione del rapporto fra anima e corpo. Alcuni studiosi hanno sostenuto che Plutarco, per la sua opera, si rifaceva non direttamente all’opera di Democrito ma ad un’opera dallo stesso titolo dovuta a Panezio, ma si tratta di un’ipotesi non accoglibile perch´e va incontro a piu` di una difficolt`a (vedi supplemento VII). Quanto a (2), la constatazione che si puo` fare e` che, nell’introdurre il motivo del ‘non fare tante cose’ (per il quale cfr. i testi del gruppo 152), Seneca, in De tranquillitate animi 13, 1 (= 152.3), pare voler suggerire che esso costituiva l’inizio dell’opera. Purtroppo il testo non e` del tutto sicuro (cfr. n. 1155 ad loc.) e non sarebbe comunque del tutto sicuro che questo e` quanto Seneca vuol suggerire e che lo possa fare con sufficiente cognizione di causa. Ad accogliere questa interpretazione si puo` ipotizzare che nell’originale seguisse subito (per dare sostanza al precetto) una descrizione della condizione di chi e` preso dal fare molte cose (qual e` quella offerta in 152.4), alla quale opporre la condizione della tranquillit`a dell’animo della quale si parla in passi come 137. Al di la` di questo non e` facile andare. Il motivo della tranquillita` dell’anima compare in altri passi fra quelli appartenenti all’etica, ma non si puo` escludere che esso comparisse anche in qualche altra opera di argomento etico dovuta a Democrito. Anche a supporre che il motivo comparisse sempre o quasi sempre nell’opera ‘sulla tranquillit`a dell’animo’, resta che si puo` solo speculare in quale ordine esso fosse ripreso al suo interno, accanto agli altri temi che l’opera indubbiamente toccava. Questa e` la ragione per cui ho rinunciato al tentativo di raggruppare i passi nei quali e` introdotto tale motivo come tutti appartenenti all’opera in questione. Va ricordato infine che esiste un’altra opera, intitolata De tranquillitate animi, che ci e` stata preservata da Stobeo sotto il nome di Ipparco pitagorico (essa viene riportata nella raccolta di Diels e Kranz nella sez. C di Democrito includente le ‘imitazioni). I contenuti di questo scritto presentano qualche punto di contatto con quanto ci e` rimasto di Democrito, per esempio nel suggerire che bisogna guardare a chi sta peggio di noi (§ 9) oppure che bisogna sapersi accontentare dei beni presenti (§ 12). E` probabile tuttavia che questi — XXX —
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motivi avessero una circolazione piuttosto larga, sicch´e la loro comparsa nello scritto non deve tradire un’influenza diretta dell’opera democritea dallo stesso titolo. Nel complesso poi lo scritto mi pare poco democriteo, per esempio nel descrivere in termini drammatici o estremi quanto puo` capitare agli uomini (si parla di incesto, parricidio, e uccisioni dei propri figli fra gli eccessi di cui essi possono essere le prede, si offre un ampio catalogo di malattie, ecc.). Ritengo che, a proporlo come una sorta di imitazione, esso possa portare a farsi una concezione non retta dei probabili contenuti dell’opera democritea. Pertanto ho preferito ometterlo. Per ragioni simili va esclusa, nel suo complesso, la Lettera XVII pseudoippocratica (di questa ho riportato, come 0.3.12, un brano che tocca il tema della follia attribuita a Democrito, ma delle cui cause, quale malattia, egli stesso si sarebbe occupato; Diels e Kranz riportano un brano piu` ampio fra le imitazioni, cfr. C 3, mentre Luria, nella sua raccolta, al nr. LXIII, ne riporta alcuni estratti di una certa ampiezza e in gran parte diversi). Il tenore generale del documento non puo` essere ritenuto molto democriteo, perch´e anch’esso contiene descrizioni piuttosto estreme della condizione umana qual e` esemplificata per esempio dall’operare ‘contro natura’ dei lavoratori delle miniere (un tema che trova sviluppo in Seneca, cfr. Naturales quaestiones V 15). E` decisamente difficile ritenere che Democrito avesse supposto (come avviene al § 9 della Lettera) che il mondo sia pieno di ‘misantropia’, al punto da raccogliere infinite affezioni che affliggono gli uomini, sicch´e si puo` dire che l’uomo stesso tutto, dalla sua nascita, e` una malattia. Qualche motivo presente nella Lettera puo` essere di ispirazione democritea, per esempio quello della mancanza di misura dei desideri di quasi tutti gli uomini, ma non si tratta di motivi molto originali, e sono spesso mescolati a motivi che non paiono poter risalire a Democrito (p. es. pervenire ai confini della terra non dovrebbe avere incontrato la sua disapprovazione).42 Una questione che deve essere discussa, con riferimento agli scritti etici di Democrito, e` se l’operetta che viene denominata convenzionalmente Anonymus Iamblichi ha qualche rapporto con essi. Per questa discussione rinvio ai Supplementi all’introduzione (si veda supplemento VIII). Riferisco solo la conclusione negativa cui pervengo: il tentativo di alcuni studiosi di fare risalire tale scritto, se non a Democrito stesso, ad un democriteo, non e` riuscito. Per considerare ora piu` direttamente la questione della trasmissione dei frammenti etici di Democrito, c’`e da dire subito che solo in piccola parte risul42 Si veda anche Smith in op. cit. (in n. 27), Introduction, pp. 21-23, 25, 27-28, dove rileva la presenza di linguaggio non democriteo e la adozione di motivi che sono portati all’estremo dal cinismo.
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tano anch’essi da citazioni dovute ad autori come Plutarco e come Seneca. Il grosso e` reperibile in raccolte di natura antologica. In che modo tutto questo materiale si sia conservato nei secoli, per entrare a fare parte di raccolte che, come vedremo subito, vennero messe insieme in un periodo assai lontano da quello in cui visse Democrito, puo` solo essere oggetto di congettura. La supposizione che pare piu` persuasiva, ma che certamente lascia fuori molti dettagli non spiegati, e` quella, avanzata inizialmente da Zeph Stewart nel suo articolo Democritus and the Cynics, che esso sia stato preservato nell’ambito della tradizione cinica.43 Come si ammette generalmente da parte degli studiosi, la nostra fonte piu` importante e` data dalla raccolta di Stobeo, perch´e questo autore del V secolo dopo Cristo costituisce una fonte (relativamente) attendibile non solo per i contributi di Democrito alla fisica ma anche per i contributi di vari altri autori antichi, con estensione all’etica. A lui dobbiamo oltre 150 frammenti, alcuni dei quali di una certa lunghezza. Un altro gruppo di frammenti, tutti piuttosto brevi, consiste in ‘sentenze’ attribuite ad un altrimenti ignoto «Democrate» (il titolo convenzionale di questa raccolta e` Democratis philosophi Sententiae aureae). Date le coincidenze che ci sono fra queste due raccolte,44 e date le informazioni che abbiamo circa i contenuti dell’etica democritea da alcune testimonianze, si deve ammettere che «Democrate» sta per «Democrito». Ma questi confronti mostrano pure che le citazioni non sono esenti da abbreviazioni o altre modificazioni,45 che del resto si puo` sospettare si siano verificate, anche se con meno frequenza, nella stessa raccolta di Stobeo.46 In tutte queste raccolte si fa sentire la tendenza ad uniformare i testi allo stile che e` ritenuto proprio della raccolta, che puo` avere scopi di edificazione o di istruzione per un pubblico non troppo sofisticato.47 Non mancano errori di vario genere che si sono verificati nel citare i passi.48 43 Cfr. bibl. Un ulteriore contributo sulla stessa linea e ` quello di A. BRANCACCI su Democrito e la tradizione cinica, «Siculorum Gymnasium», 1980 (cfr. bibl.). 44 Alcuni passi ricorrono in entrambe le raccolte del tutto identici oppure con modeste variazioni spesso solo verbali. 45 Ho cercato di rendere evidente questa situazione associando i passi identici o simili delle due raccolte, anziche´ tenerli separati come avviene nell’edizione di Diels e Kranz (in certi casi i punti di differenza sono rilevati in nota). 46 Per esempio, Democrate 2 riporta solo il secondo periodo di Stob. III 1, 27 (= 134.3), ed e ` palese che Democrate 45 (= 152.5) e 50 (= 159.3) offrono una versione ridotta di quanto troviamo in Stobeo (cfr. 152.1 e 159.1). Nello stesso Stobeo l’ecloga III 31, 7 (= 159.2) e` un’abbreviazione dell’ecloga IV 5, 46 (= 159.1). 47 Si veda quanto ne dice O. HENSE alla voce Ioannes Stobaios in R.-E. IX, 2583: ‘‘Wo die Kontrolle durch sonst erhaltene Schriftsteller zu Gebote steht, bemerkt man auf Schritt und Tritt, wie wenig die Verstanstalter von Florilegien Bedenken trugen, den urspru¨nglichen Text ihren Themen und gnomologischen Ru¨cksichten durch Auslassungen, Umstellungen, Vera¨nderungen aller Art anzupassen.’’ 48 Si vedano gli errori segnalati, nelle note, a proposito di Stobeo IV 31, 49 (= 146.14) e IV 31,
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INTRODUZIONE
Quello poi che non si puo` affatto escludere e` la penetrazione di materiale non democriteo in entrambe le raccolte, anche perch´e questo fatto e` in alcuni casi documentabile per Stobeo. In particolare, le indicazioni dell’autore (cio`e i lemmi) fornite in Stobeo per i vari brani si prestano ad errori. Spesso queste sono del tipo: ‘‘dello stesso’’, con riferimento ai brani precedenti, quando le sentenze non siano lasciate anonime, e cio` lascia spazio a sviste come lascia spazio ad errori dovuti per esempio all’omissione di un passo che era presente nella fonte cui Stobeo attinge.49 Confusioni fra autori possono essere ugualmente favorite dal ricorso ad abbreviazioni (cosı` lo scambio fra Democrito e Demonatte oppure quello fra Democrito e Demetrio 50 e` favorito dal fatto che un’abbreviazione come ‘‘Dem’’ puo` valere per entrambi). In qualche caso l’omissione di un passo puo` avere portato alla trasposizione e dunque all’erronea attribuzione del lemma indicante l’autore.51 Purtroppo il tentativo di separare il genuino dal resto non puo` che presentare un certo grado di congetturalit`a. Si ammette comunque che, pur con questi difetti che presenta, e pur nella sua incompletezza (nella forma in cui ci e` pervenuta), la raccolta di Stobeo sia quella che d`a piu` affidamento di ogni altra. La raccolta di massime attribuita a Democrate puo` essere ritenuta largamente attendibile proprio per via delle coincidenze che ci sono con quella di Stobeo e che, presumibilmente, risulterebbero essere maggiori se quest’ultima fosse disponibile nella sua completezza. Le coincidenze fra la raccolta dei ‘detti di Democrate’ e i passi di Democrito compresi nella raccolta di Stobeo sono in effetti troppo frequenti per poter trattare la prima come spuria.52 Il tentativo di contestarne l’autenticit`a compiuto da H. Laue (nella sua dissertazione intitolata De Democriti fragmentis ethicis, Gottinga 1921) va rigettato, come e` stato mostrato soprattutto da 50 (= 146.8); per una possibile spiegazione dell’errore che si e` verificato nel secondo si veda S. LURIA, Entstellungen des Klassikertextes bei Stobaios (cfr. bibl.), I, pp. 82-83. 49 Si ammette che un errore di questo tipo si e ` verificato nel caso di III 6, 59 (anonima) e III 6, 60 (‘‘dello stesso’’), che sarebbero da attribuire ad Epitteto (perche´ l’ecloga III 6, 58 immediatamente precedente e` attribuita a lui), ma che coincidono con III 17, 37 e III 17, 38 espressamente attribuite a Democrito (cfr. 140.3 e 141.1, con le note). E` palese che nei casi in cui il passo non e` riportato piu` volte, come in questi due casi, l’errore e` inverificabile, salvo ricavare indicazioni da altre raccolte. Altri esempi, riguardanti altri autori, di questo tipo di errore, sono citati da Luria, Entstellugen, I, pp. 85-87. 50 Per esempio l’ecloga III 7, 25 (= 143.2) e la massima democritea 69 (= 179.7) sono attribuite a Democrito in Stobeo e nell’anonimo, a Demonatte in Massimo; l’ecloga III 44, 64 e` attribuita a Democrito in un codice, a Demetrio in un altro, e l’ecloga IV 41, 59, sicuramente di Demetrio, e` attribuita a Democrito. Lo scambio piu` frequente e` ovviamente quello fra Democrito e Democrate; un altro scambio possibile e` fra Democrito e Demostene. 51 Si ammette che un errore di questo tipo si e ` verificato nell’attribuire l’ecloga III 6, 65 ad Epitteto, perche´ sotto III 18, 35 lo stesso brano e` attribuito a Democrito (cfr. 141.2 + n. 1106 ad loc.). 52 Riguardano 30 sentenze su di un totale di oltre 80 (cfr. indice dei passi).
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INTRODUZIONE
Philippson nella sua discussione del menzionato lavoro (anche per questo punto rinvio ai Supplementi all’introduzione, vedi supplemento IX). Mentre non si puo` sostenere che i ‘detti di Democrate’ nel loro complesso siano spuri (o comunque di un autore diverso da Democrito), si potrebbe ipotizzare una loro dipendenza dalla raccolta di Stobeo, che notoriamente non ci e` giunta in modo completo. Tuttavia questa possibilit`a (che in genere gli studiosi non affermano) e` esclusa per ragioni statistiche: solo poco piu` di un terzo di quei detti coincide con passi in Stobeo, ma quanto ci e` rimasto della raccolta di Stobeo quasi certamente costituisce ben piu` di un terzo, anzi la maggior parte, del suo originale. Lortzing, che prende in esame questa possibilit`a nel suo studio sui frammenti etici di Democrito,53 la esclude anche in base alle seguenti considerazioni: (1) C’`e almeno un caso in cui il testo di un dato ‘detto di Democrate’ e` superiore a quello offerto da Stobeo, cfr. 134.3 (Democrate 2 versus Stobeo III 1, 27); (2) le sentenze Democrate 17 e 18 (= 164.2 e 164.3, con n. 1203) debbono riflettere un originale nel quale erano in successione immediata, mentre le stesse sentenze in Stobeo sono separate (= Stob. II 4, 12 e III 10, 42) ma contengono un errore che si spiega in base a tale ipotesi, perch´e la parola finale della prima sentenza di Democrate (crusou=), e assente nella sentenza corrispondente in Stobeo, compare all’inizio della seconda in Stobeo. L’osservazione (2) ha importanza anche per il fatto che viene a mostrare che entrambe le raccolte, quella a nome di Democrate e quella di Stobeo, dipendono da una fonte comune. Purtroppo questa fonte non e` ulteriormente identificabile. Ci sono alcune altre raccolte che debbono essere menzionate, seppure in modo selettivo. Si tratta sempre di raccolte bizantine, che includono le seguenti: il cosiddetto Corpus Parisinum profanum, cio`e una raccolta piuttosto composita che include una sezione di Massime di Democrito (Dhmokrivtou gnw=mai); una raccolta frequentemente denominata Gnomologium Byzantinum la quale, pur essendo tematica, offre una scelta di passi di tre autori, cioe` Democrito, Isocrate ed Epitteto, senza precisare a chi dei tre appartiene ciascun singolo passo; due raccolte sacro-profane, che sono simili perch´e sono a tema e includono passi attribuiti espressamente a Democrito, e cio`e quella dei Loci communes attribuita a Massimo il Confessore e la Melissa di Antonio Monaco. Per un quadro piu` completo rinvio ai Supplementi all’introduzione (vedi supplemento X), dove discuto delle ragioni che sono state addotte, da studiosi come Natorp e Diels, per escluderle completamente come fonti di sentenze autentiche di Democrito. La conclusione della discussione e` che queste ragioni non sono decisive, ma che in effetti permangono notevoli incertezze circa i rapporti che ci sono fra queste raccolte. 53
Cfr. F. LORTZING, Ueber die ethischen Fragmente Demokrits, Berlin 1873, pp. 9-11.
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INTRODUZIONE
Ho adottato pertanto la seguente soluzione di prudente compromesso: riporto (come avviene nella raccolta di Diels e Kranz e in Luria) tutti i passi appartenenti alla raccolta di Stobeo e a quella delle ‘Massime di Democrate’ (salvo alcuni particolarmente dubbi, registrati nel ragguaglio); 54 riporto inoltre una scelta di passi tratti (con rare eccezioni) 55 dalla raccolta di Massime di Democrito nel Corpus Parisinum profanum, usando come criteri per accoglierli quello della loro presenza in un numero relativamente ampio di raccolte e quello di una certa frequenza nel presentare il lemma ‘Democrito’ (direttamente o nelle massime immediatamente precedenti), oltre a basarmi su di una mia personale sensazione che il passo possa essere democriteo. I passi che sono accolti a questo modo sono pochi 56 e, anche per il loro contenuto, non sono tali da fare molta differenza per l’interpretazione dell’etica democritea, ma e` parso opportuno, almeno dal punto di vista del metodo filologico, operare questa correzione rispetto alle edizioni precedenti. Alcuni altri pochi passi sono inclusi nell’ultima sezione dei testi di etica e politica come passi di (particolarmente) dubbia autenticit`a. Un’altra parte della documentazione che richiede particolare attenzione e` quella della quale si puo` contestare l’autenticit`a. La questione dell’autenticit`a si pone in particolar modo per la documentazione, piuttosto tarda e, in certi casi, abbondante, nella quale tutta una serie di contributi su temi piu` o meno tecnici viene fatta risalire espressamente a Democrito. Si tratta di contributi che appartengono in parte all’ambito di arti come la medicina e l’agricoltura oppure anche all’ambito delle previsioni del tempo e a quelle di tipo divinatorio, in parte all’ambito delle pratiche magiche o a quelle riguardanti l’alchimia, in parte (e talvolta in associazione agli ambiti precedenti) all’ambito dell’individuazione di fenomeni di attrazione o repulsione in zoologia, botanica e mineralogia, in parte all’ambito degli studi di ordine geografico o riguardanti la prospettiva. Non poco di questo materiale documentario e` sicuramente da reputarsi non autentico, ma e` importante evitare di coinvolgere in questa condanna del materiale che, anche quando e` affine al precedente, proviene da una fonte che puo` essere attendibile, come e` importante tener presente la pos54 Nell’edizione dei testi menziono l’occorrenza in alcune altre raccolte dei passi riportati dalle due raccolte principali (oltre al lemma che le accompagna), perche´ mi sembra che questa possa costituire una conferma della loro autenticita` oltre che una prova della loro diffusione. Qualche indicazione piu` sommaria si trova nelle note alla traduzione. 55 Una eccezione sta nei passi di Massimo e di Antonio che sono semplici varianti rispetto a quanto testimoniato da Plutarco (cfr. 153.1.2-3); un’altra sta nel passo del Corpus Parisinum profanum riportato come 174.4 (e non incluso nella raccolta delle Massime): averlo accolto riflette una mia convinzione personale circa la sua democriticita`. 56 Sono in tutto 12, riportati ai nr. 146.13, 147.4, 162.5-7, 173.7-8, 174.2, 179.11-14.
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INTRODUZIONE
sibilit`a che certe tarde fabbricazioni siano state favorite dall’esistenza di contributi genuinamente democritei negli stessi ambiti. Per certuni di questi ambiti, come quello della geografia, dagli studiosi non vengono espressi dubbi circa l’attendibilit`a delle nostre fonti (semmai si pone l’esigenza di rendere la documentazione piu` completa di quella raccolta in DK e in Luria, come ho cercato di fare sotto 187). Nel caso dei contributi alla medicina, da parte del Diels (che mostra di condividere un certo ipercriticismo del Wellmann, e che viene seguito da Kranz senza riserve nelle ultime edizioni dei Vorsokratiker) viene contestata l’attendibilit`a non solo dei passi di Celio Aureliano attestanti un interesse di Democrito per l’idrofobia (cfr. 188.2-4), ma anche l’attestazione di Celso che Democrito si era occupato di medicina (cfr. 188.1). Il tenore di quest’ultima attestazione (che nel seguito, non riportato da quegli studiosi, riconosce che solo con Ippocrate si ha una separazione della medicina della filosofia) non e` davvero tale che si debba dubitarne: altrimenti si dovrebbe dubitare di ogni interesse di Democrito per questo campo. Dei passi di Celio Aureliano si e` gi`a detto che dipendono da Sorano e che non e` molto coerente espungerli mentre si accolgono come autentici i passi del De anima di Tertulliano che pure dipendono da Sorano (anche se non si tratta della stessa opera). Nel caso poi dell’abbastanza innocente attestazione di Oribasio circa i bubboni (= 188.5) e` abbastanza probabile che essa risalga a Rufo, come l’attestazione circa l’inautenticit`a dello scritto sull’elefantiasi (cfr. 0.6.14.2),57 cio`e su di una malattia non nota al tempo di Democrito (vedi supplemento XI), e non si vede bene perch´e questi sia da ritenersi attendibile nel secondo caso e non nel primo.58 Quanto alle testimonianze generali circa il contributo di Democrito all’agricoltura (cfr. 189.1-4), Wellmann aveva contestato la loro attendibilit`a (nel suo scritto Die Georgika des Demokritos del 1921 [cfr. bibl.]), nella convinzione che un pensatore come lui non potesse esserci occupato di questioni cosı` pratiche come quelle riguardanti la coltivazione dei campi. Tuttavia la varieta` dei suoi interessi era tale che poteva avere rivolto la sua attenzione anche a questo campo, e la tendenza a mostrare poca considerazione per questioni pratiche e` tipica piuttosto dei filosofi di orientamento platonico e peripatetico. Nel caso di queste testimonianze Diels (seguito da Kranz) non accetta l’espun57 Notare che anche l’anonimo cosiddetto ‘Parisinus Darembergii sive Fuchsii’ (vedi supra, n. 21) si esprime con prudenza (nel testo dei MSS migliori): ‘‘nel libro a lui attribuito’’ (cfr. 0.6.14.1). ´phe`se, Paris 1879, p. 304, riporta un estratto del cap. 58 Ch. DAREMBERG , Oeuvres de Rufus d’E sui bubboni come risalente a Rufo, senza esprimersi sul riferimento a Democrito, che pare ben inserito nel suo contesto. Invece Diels (in DK, sotto 300.10) fa riferimento al passo come ad un testo sicuramente spurio, con la precisazione: ‘‘dagegen [scil. rispetto a quella dichiarazione di inautenticita`] ohne Bedenken ...’’.
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INTRODUZIONE
zione, evitando di inserire i testi fra quelli dichiaratamente spuri. E` possibile che essi si fondino, almeno prevalentemente, sull’opera di agricoltura che Cassio Dionisio aveva redatto in greco basandosi su quella del cartaginese Magone. Questa puo` avere servito da base anche per altre testimonianze di Columella (puo` essere significativo che in due di esse, da menzionare fra poco, Democrito e Magone siano associati), ma non sappiamo come lavorava quell’autore, ed e` possibile che la mescolanza di plausibile e spurio che e` riscontrabile in quest’altro autore sia gi`a presente nell’opera di Cassio Dionisio. Altra questione e` quella della genuinit`a delle opere attribuite a Democrito. Una delle attestazioni di Columella su questioni specifiche viene da lui fatta espressamente risalire al Georgico che risulta dal catalogo delle opere democritee riportato da Diogene Laerzio (cfr. 189.5) e viene ammessa da Diels (seguito da Kranz). La coincidenza nel titolo certo non ci assicura che Columella citasse di prima mano passi da un’opera di Democrito con questo titolo oppure che, se lo faceva, quest’opera fosse veramente di Democrito. D’altra parte gli elementi che Wellmann mette insieme, seguendo Gemoll 59 e Oder,60 per provare l’inautenticita` di quest’opera sono piuttosto tenui, sicche´ non c’`e neppure sicurezza in quest’altro senso.61 Sostanzialmente questi tre studiosi assumono che Columella si sia basato prevalentemente su quell’opera e, siccome e` abbastanza evidente che alcune delle sue testimonianze non sono attendibili, sono indotti a contestare la stessa autenticit`a del Georgico. Tuttavia l’autore latino (come vedremo subito) mostra di conoscere almeno un’altra opera, questa volta sicuramente spuria, che egli fa risalire all’Abderita, sicch´e il loro assunto non e` affatto cosı` sicuro. Cosı` due testimonianze, in cui Democrito viene associato a Magone (cfr. 189.6-7), vengono da loro trattate come non attendibili allo stesso modo (la seconda e` certamente non attendibile, cfr. mia nota al passo). Tuttavia non si puo` essere sicuri che risalgano alla stessa opera, perch´e Columella non dice niente della sua fonte, e se dipendessero da quella di Cassio Dionisio, vale l’osservazione sopra fatta al proposito. In ogni caso i motivi che ci sono per contestare l’autenticit`a dell’opera di cui dico 59 Cfr. W. GEMOLL , Untersuchungen u ¨ber die Quellen, den Verfasser und die Abfassungszeit der Geoponica, Berlin 1883, p. 125. 60 Cfr. E. ODER , Beitra ¨ge zur Geschichte der Landwirthschaft bei den Griechen, I, «Rheinisches Museum fu¨r Philologie», 1890 (pp. 58-98), p. 76, dove questi fa anche l’affermazione, condivisa da Wellmann, che ‘‘kein namhafter griechischer Philosoph mit Ausnahme Xenophons u¨ber Landwirthschaft geschrieben hat’’. 61 Wellmann viene criticato, su questo come su altri punti, e in genere per la sua propensione a far risalire ogni falsificazione tarda a Bolo, da W. KROLL, Bolos und Demokritos, «Hermes», 69, 1934. Per esempio egli tratta come sospetta la stessa denominazione ‘‘Democrito fisico’’, ma questa e` troppo diffusa, con estensione a testimonianze di indubbia autenticita`, per poter essere trattata a questo modo.
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INTRODUZIONE
nel seguito immediato, oppure quelli che ci sono, come pure vedremo, per contestare l’autenticita` di quella intitolata Chirocmeta (nella traslitterazione adottata da Plinio, cfr. 0.6.5), non si lasciano estendere senz’altro al Georgico. Ulteriormente, e travalicando l’ambito dell’agricoltura, c’`e da osservare che lo stesso Columella si rif`a ad un libro intitolato Peri; ajntipaqwn= , attribuendolo espressamente a Democrito (cfr. 189.8). In questo caso si tratta di un’opera che non risulta nel catalogo e che manifestamente coincide con lo scritto Sulle simpatie e sulle antipatie che viene attribuito a Bolo nella Suda (cfr. 0.8.23) e in uno scolio a Nicandro (cfr. 0.8.25). Anche Taziano assume che Democrito si fosse occupato di simpatie e antipatie, quindi ha evidentemente in mente lo stesso scritto, e dal tenore della sua presentazione e` chiaro che le simpatie e antipatie in questione sono propriet`a occulte che sono sfruttate dalla magia (cfr. 0.6.10). Si deve dunque consentire col Wellmann almeno nell’ammettere che, quando viene utilizzato questo scritto, non si tratta piu` di Democrito ma di Bolo. In un altro contesto Columella si mostra piu` avvertito, perch´e riconosce espressamente che l’opera (o la raccolta di scritti?) intitolata Ceirovkmhta (con cui si intende una collezione di rimedi artificiali), la quale era falsamente attribuita a Democrito, in effetti va attribuita a Bolo (cfr. 0.8.24). L’opera viene attribuita a Democrito da Vitruvio (cfr. 0.6.4), ed e` inclusa in un gruppo di opere a se stanti – e apparentemente tutte spurie – da Diogene Laerzio nel suo catalogo degli scritti democritei (cfr. 0.6.1, § 49). Come mostra un passo di Plinio, che invece si dichiara sicuro della democriticit`a dell’opera, il suo contenuto e` dato da un’esposizione di rimedi magici dello stesso tipo di quelli riportati nello scritto Sulle simpatie e sulle antipatie (cfr. Naturalis historia XXIV 160 = 0.6.5). La credulit`a di Plinio viene espressamente censurata da Aulo Gellio, anche se non a proposito di questo scritto ma di uno scritto Sul carattere e sulla natura del camaleonte (a meno che non si tratti di una parte o capitolo del precedente) che palesemente era anch’esso di tipo magico (cfr. 0.6.7).62 Infine, uno scritto Sull’elefantiasi viene presentato come sicuramente spurio da Oribasio e (cio` e` stato gia` rilevato) come sospetto da Celio Aureliano (cfr. 0.6.14.2 e 0.6.14). Se tutte queste falsificazioni si possano fare risalire a Bolo, come aveva ammesso Wellmann, non e` dimostrabile, ma in ogni caso e` chiaro che esse si sono verificate. (Anche l’indicazione alla fine del catalogo degli scritti democritei riportato da Diogene Laerzio va in questo senso). Tale constatazione suggerisce, in primo luogo, che va dichiarata non autentica tutta una massa di pre62 Secondo Diels lo stesso Aulo Gellio si mostrerebbe poco critico in IV 13, 3 (= 188.6) circa l’attribuzione da parte di Democrito di un effetto medico al suono del flauto, ma probabilmente c’e` un suo fraintendimento del senso del passo (si veda Presentazione dei testi, sez. 29).
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INTRODUZIONE
scrizioni di rimedi magici e di connesse descrizioni di rapporti di simpatia e antipatia (fra animali e fra piante oppure fra animali e piante oppure fra questi tutti e certe pietre) che vengono fatte risalire a Democrito da Plinio e da altri autori antichi. Peraltro non si puo` escludere che Democrito avesse preso sul serio alcune credenze popolari circa l’esistenza di rapporti di simpatia e antipatia, come aveva preso sul serio certe credenze religiose, ma cercando (come avviene poi in Lucrezio, cfr. IV, vv. 636-641 e sgg., 706-21) di renderne conto mediante la teoria atomistica. Queste sue spiegazioni tuttavia non sono conservate in queste fonti sicch´e, anche qualora alcune delle descrizioni dei fenomeni risalissero effettivamente a Democrito, staccate da quelle spiegazioni sono prive di ogni valore. Strettamente associata a questa attribuzione a Democrito di opere di tipo magico e` la presentazione che della figura di Democrito viene data da Plinio (cfr. 0.6.5, 0.6.5.1, 0.6.8, 0.6.9), da Sinesio (cfr. 0.6.11) e da Sincello (cfr. 0.6.12) oltre che, solo allusivamente, da Taziano nel passo citato. Per costoro egli e` un mago che era stato iniziato ai misteri dell’arte della magia da Ostane in un viaggio da lui fatto in Egitto (Ostane risulta avere un ruolo preminente in Grecia in quella sorta di storia della magia che Plinio propone all’inizio del libro XXX della sua opera, cfr. 0.6.9). Ovviamente questa immagine di Democrito e` in contrasto con quanto sappiamo altrimenti di lui, e qualche autore antico che ci dice qualcosa della sua figura ne sottolinea il razionalismo, contrapponendo questo suo atteggiamento a quello che sta nel ricorso a pratiche magiche (si vedano particolarmente le testimonianze di Luciano e di Apuleio in 0.5.9-0.5.11, inoltre sulla questione si veda quanto osservo in Presentazione dei testi, sez. 1). Del resto, e` probabilmente piu` su questa base che sulla base di informazioni del tutto sicure sui contenuti delle opere democritee che autori come Aulo Gellio contestano l’autenticit`a dei libri ai quali Plinio ed altri attingono per le loro informazioni. Che sia in gioco un giudizio riguardo a cio` che e` degno e cio` che non e` degno di Democrito e` riconosciuto dallo stesso Plinio, anche se la sua conclusione e` opposta a quella raggiunta da altri (cfr. Naturalis historia XXX 10 = 0.6.9). Nel caso, certo, dei Cheirokmeta Columella deve avere avuto qualche elemento per affermare che l’opera era da attribuire a Bolo e non a Democrito, e non puo` essere una pura coincidenza se Bolo e` anche l’autore di uno scritto Sulle simpatie e sulle antipatie che costituisce la fonte piu` ovvia delle favole che Plinio fa risalire a Democrito. Alla fin fine pero` i dati di cui noi moderni disponiamo non sono cosı` sicuri e cosı` comprensivi da poter veramente prescindere del tutto da quel giudizio riguardo a cio` che e` degno e cio` che non e` degno di Democrito. E tale giudizio non e` privo di peso nell’interpretazione che diamo di testimonianze come quelle relative all’atteggiamento che Democrito ebbe circa la religione e la divinazione. — XXXIX —
INTRODUZIONE
Continuando nella rassegna, su questa base possiamo anche essere ragionevolmente sicuri che i quattro libri di tintura cui fanno riferimento Sinesio e Sincello (cfr. 0.6.11 e 0.6.12), e che non risultano nel catalogo, sono anch’essi non autentici, sicch´e non possono essere democritei i contributi all’alchimia che ci sono rimasti sotto il titolo Dhmokrivtou fusika; kai; mustikav – titolo in se stesso gi`a sospetto (cfr. 0.6.13).63 Ovviamente l’ulteriore materiale di questo tipo, come quello incluso nel Papyrus holmiensis (dove c’`e un richiamo espresso ad Anassilao che si sarebbe basato su Democrito, cfr. 0.6.13.2) e come i cosiddetti Passatempi di Democrito 64 o la Sfera di Democrito,65 va trattato come spurio. L’esclusione come non autentica di questa documentazione riguardante l’alchimia non puo` automaticamente coinvolgere documentazione di altro tipo. Che tuttavia non si possa fare affidamento sulla testimonianza di Columella non solo nel caso di racconti palesemente superstiziosi come quello che egli associa espressamente allo scritto Sulle antipatie ma anche nel caso di informazioni apparentemente piu` serie risulta da un confronto fra De re rustica VI 2, 8 (= 189.9) e certi passi del libro IV, cap. 1, del De generatione animalium di Aristotele (cfr. 189.9.1, inoltre 94.1). Si puo` constatare infatti che il suggerimento di legare il testicolo destro o sinistro per ottenere una prole di sesso femminile o maschile (o viceversa) viene espressamente associato da Aristotele a Leofane. E` vero che non viene associato a lui in modo esclusivo, ma, dato che nel contesto viene fatto il nome di Democrito, sarebbe stato piu` ovvio associarlo a lui piuttosto che a Leofane se egli fosse stato il fautore di una simile pratica. Inoltre la pratica stessa trova il suo fondamento in una teoria (circa la provenienza di tale prole stessa) che viene da Aristotele fatta risalire ad Anassagora e tenuta distinta da quella che, nel contesto del passo che ci interessa (IV 1, 765a3 sgg.), egli attribuisce a Democrito,66 anche se c’`e un accostamen63 Il fatto che la raccolta, pervenutaci in forma frammentaria, includa quello che viene presentato come il V libro di Democrito (cfr. 0.6.13.1), suggerisce che essa era ritenuta comprendere i quattro libri cui si fa riferimento in quelle altre fonti. (Per ulteriori dettagli su questa documentazione si vedano i Supplementi, supplemento XII.) 64 Il titolo (Dhmokrivtou paivgnia) puo ` essere reso con ‘scherzi’, ‘giochi di prestigio’, ‘trucchi’, in senso anche magico. 65 Da me omessi, e riportati in DK come 300.19 e 300.20. Questa e altra documentazione papiracea e` stata riedita (con trad. it. e note di commento) nel Corpus dei papiri filosofici greci e latini, parte I, vol. 1**, 43 e 43A (cfr. bibl.). 66 In effetti, siccome in base alla teoria democritea entrambi i genitori contribuiscono alla generazione (e ci contribuiscono con ogni parte del loro corpo) e il sesso della prole dipende da una sorta di prevalenza del seme di uno dei due genitori, intervenire sulla base dell’assunto di un luogo privilegiato di provenienza non ha senso, anzi probabilmente rende la generazione impossibile. (GA IV 1, 765a21-25, ma non 765a3-11, era gia` stato segnalato da Wellmann, Georgika, p. 22. Luria discute tutti questi passi nel commentare il suo 531a, riconoscendo che in 763b31 sgg. la teoria in questione e` detta essere di Anassagora, ma non esclude la possibilita` di conciliare quella democritea con essa e pertanto non trae conseguenze negative circa l’attendibilita` di Columella.)
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INTRODUZIONE
to fra le due che manifestamente e` stato frainteso. Quanto rimanga, se qualcosa rimane, della testimonianza di Columella su questioni di agricoltura, una volta riconosciuto che in diversi casi egli si basa su fonti non attendibili, e` francamente difficile da determinare. Con Plinio la situazione e` peggiore, perch´e, come abbiamo gi`a visto, egli prende per autenticamente democritea un’opera (i Cheirokmeta) che Columella fa risalire a Bolo, e d`a credito a tutta la letteratura che presenta Democrito come un mago. Non ci si puo` dunque aspettare da lui alcun tentativo di discriminare l’autentico dal falso. In questo modo certo non e` escluso che in alcuni casi egli possa avere attinto ad uno scritto autentico (possibilmente allo stesso Georgico cui si richiama Columella), ma non e` neppure altamente probabile che egli abbia fatto questo, e in ogni caso non siamo piu` in grado di identificare quel tanto di materiale autentico che ci puo` essere nella sua opera. Per questo motivo mi e` parso opportuno escludere, dalla raccolta delle testimonianze riguardanti la dottrina democritea, gran parte di quanto risulta da Plinio, salvo riportare certi passi (sotto 189) a titolo di esempio,67 con la sola ulteriore eccezione dei seguenti passi che paiono attendibili perch´e hanno dei riscontri: Naturalis historia IX 80 (= 91.5.1) su come il ragno produce la ragnatela e XXVIII, 16 (= 93.2.6) sulla riproduzione. Sul tema ora toccato delle simpatie e antipatie si puo` fare riferimento anche a Plutarco, Quaestiones convivales II 7, dove egli accosta le chiacchiere riguardanti le ‘antipatie’ alle fabbricazioni che egli dichiara mitiche ed incredibili, offrendo degli esempi di quello che ha in mente: la vista di un ariete placa un elefante impazzito; se si volge il ramo di una quercia verso una vipera e la si tocca con esso, questa si ferma; ecc. (per un breve estratto cfr. 68 B 300.5 DK). E` facile constatare che il materiale messo insieme da Plinio e` dello stesso tipo, perch´e a tale motivo sono riconducibili per esempio i tre passi del libro XX di Naturalis historia che riguardano gli effetti medicinali degli ortaggi (sono 18, 28 e 149), dato che nel contesto del secondo si fa riferimento al rapporto di ‘antipatia’ che sussiste fra due piante. Similmente XXI 62, riguardante la pianta chiamata nittegreto che spaventerebbe le oche, contiene un riferimento ai Magi (essi la userebbero per compiere riti votivi!), pertanto il passo e` da accostare a quelli che fanno di Democrito un loro discepolo. Di una favola (cosı` da lui denominata) che Plinio attribuisce a Democrito (in Nat. hist. X 137, inoltre XXIX 72), circa la derivazione di serpenti da certi uccelli e la nostra comprensione del linguaggio dei secondi, Aulo Gellio dichiara espressamente (in X 12 = 0.6.7) che non puo` essere autentica. Alcuni 67 I passi omessi risultano, nel caso di Plinio come di altri autori, dal ragguaglio associato al presente volume, dove c’`e qualche ulteriore dettaglio rispetto a quanto esposto nel seguito.
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INTRODUZIONE
altri passi in Plinio hanno palesemente lo stesso tenore perch´e hanno per oggetto espedienti di ordine magico (XXVIII 117-118 [= 0.6.6] sui poteri del camaleonte; XXIV 166 [= 0.6.5, di seguito al passo riferentesi ai chirocmeta]: poteri straordinari di alcune piante officinali selvatiche, per l’uso delle quali Democrito avrebbe fissato le relative formule magiche; ecc.).68 Ancora, i passi che riguardano le pietre (cio`e XXXVII 69, 146, 149, 160, 185) hanno l’aria di risalire all’opera manifestamente spuria in 4 libri concernente la tintura e comprendente un libro sulle pietre (cfr. le attestazioni di Sinesio e di Sincello in 0.6.11 e 0.6.12), perche´ in alcuni di questi passi si parla di poteri straordinari (divinatorii ecc.). Altro materiale fatto circolare sotto il nome di Democrito e avente a che fare con l’agricoltura si trova raccolto in scritti piu` o meno tardi come l’opera bizantina del nono secolo d.C. intitolata Geoponica. Quest’ultima include non solo indicazioni e prescrizioni che servono in agricoltura ma anche rimedi ‘‘simpatici’’ tratti da animali e piante e previsioni fondate su dati meteorologici e astronomici.69 Se si prescinde per il momento dalla documentazione riguardante le previsioni, si constata che questo materiale presenta delle coincidenze con quanto troviamo in Plinio o comunque e` della stessa natura – come e` stato mostrato da Wellmann nel citato Die Georgika des Demokritos –, sicch´e lo si deve espungere allo stesso modo. Per parte mia lo ometto completamente. Per un’edizione di questo materiale si puo` far riferimento al lavoro di Wellmann, che, in appendice, sotto il titolo (in tedesco) di ‘Frammenti dei Georgika di Bolo Democrito’ (pp. 42-58), raccoglie tutta la documentazione relativa all’agricoltura (presa in senso stretto) associando i passi affini di autori differenti.70 Quanto al materiale relativo ai segni premonitori del tempo (cfr. 186.1-5, insieme a 185.4-7), e` possibile che anch’esso vada associato a Bolo, dal momento che l’opera sua sui segni o indizi tratti dall’osservazione dei corpi celesti (il titolo e` preservato dalla Suda, cfr. 0.8.23) riguarda manifestamente l’argomento. D’altra parte non si puo` escludere che Democrito (come dopo di lui autori come Eudosso e come Teofrasto) 71 fosse incline a dare credito a questo tipo di previsioni, e che almeno una parte della documentazione (relativamente abbonSui passi (da me omessi) XXXII 49 e XXVII 141 si veda il ragguaglio. L’opera e` stata studiata da Gemoll in op. cit. e da Oder nell’articolo citato. 70 Altro materiale si trova raccolto (e discusso) da E. ODER, Ein angebliches Bruchstu ¨ck Democrits u¨ber die Entdeckung unterirdischer Quellwasser; Leipzig 1899. L’intera opera citata e` stata pubblicata da H. BECKH in un’edizione da lui curata (cfr. bibl., sez. 5, sotto Geoponica). 71 L’opera Sui segni attribuita a quest’ultimo deve essere spuria, ma attesta comunque la presenza di tale interesse nella scuola peripatetica e anche altrimenti non e` priva di valore documentario. (Si veda D. SIDER, On ‘‘On Signs’’, in On the ‘‘Opuscula’’ of Theophrastus, hrsg. W.W. FORTENBAUGH und G. WO¨HRLE, Stuttgart, Steiner, 2002, pp. 99-111). 68 69
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dante) che ci e` pervenuta sia autentica. Le attestazioni di un interesse da parte di Democrito per queste previsioni vengono da piu` fonti (si tratta di autori come Vitruvio, Gemino e Tolomeo, le cui attestazioni sono riportate sotto 185 e 186) le quali paiono troppo diverse per dipendere tutte dall’opera di Bolo.72 Inoltre da ulteriori fonti ancora (cio`e Censorino e Leptines, cfr. 185.1 e 185.2) sono attestati suoi contributi in campo astronomico che paiono essere in rapporto con quelle previsioni, e fra i titoli registrati nel catalogo delle sue opere ce n’`e uno, [VIII.3] Calendario (parapegma), che riguarda appunto l’astronomia predittiva. A questo proposito va tenuto presente che tale astronomia, per quanto poco scientifica essa possa apparire ai nostri occhi (ormai sappiamo che e` solo con l’aiuto dei satelliti che si puo` arrivare a previsioni del tempo di una qualche efficacia), non deve essere assimilata alla divinazione e all’astrologia: si poteva credere nella sua efficacia, sulla base dell’osservazione di regolarita` in natura, senza credere nell’efficacia della divinazione e dell’astrologia (peraltro l’astrologia ha diffusione solo dopo Democrito, nel periodo ellenistico).73 Riguardo tuttavia al materiale che ci e` effettivamente pervenuto, e che ci e` riportato da Gemino, da Tolomeo e da G. Lorenzo Lidio (cfr. 186.1-3), c’`e da esprimere la riserva che esso e` stato rimaneggiato rispetto all’originale cui questi autori possono avere attinto, perche´ esso riceve un inquadramento nuovo che e` dato dall’adozione del calendario romano oppure da quello egizio, cio`e da calendari nessuno dei quali poteva essere stato adottato da Democrito (come da altri degli autori che vengono citati, per esempio Euctemone ed Eudosso). C’`e stata dunque una notevole manipolazione del materiale originale, e questo puo` fare dubitare che i contenuti siano stati preservati in modo fedele. D’altra parte ci sono delle corrispondenze fra alcune delle informazioni che sono presenti nei calendari di Gemino e di Tolomeo (non invece nel calendario di Lorenzo Lidio) e che sono attribuite a Democrito, e questo fa pensare ad una fonte comune anteriore nel tempo. (Per i dettagli rinvio a Presentazione dei testi, sez. 29). La documentazione che ci e` rimasta va vista, credo, non tanto come consistente in attestazioni delle singole previsioni che Democrito aveva fatto, quanto come esemplificante il tipo generale di previsioni alle quali egli probabilmente aveva contribuito. Inutile dire che tutto questo materiale ha poco significato per noi. Una riserva di altro genere concerne le attestazioni di Plinio (cfr. 186.4-5), perch´e si e` gi`a visto che questo autore attinge alle sue fonti in maniera indiscriminata. La stessa riserva si lascia estendere al materiale che viene raccolto 72 Non si puo ` dare credito, d’altra parte, ad attestazioni come quella di Plinio in NH XVIII 273-74 (= 0.4.14), perche´ quanto viene riferito e` un aneddoto che viene raccontato anche di altri personaggi come Talete, cfr. n. 85 ad loc. 73 Questa distinzione di ambiti e ` tenuta presente da Vitruvio, De architectura IX 6 (= 185.4), cfr. Presentazione dei testi, sez. 29.
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nei Geoponica, soprattutto nel libro I, cap. 12: che attendibilit`a puo` avere del materiale che viene presentato come messo insieme da Zoroastro!? Si puo` invero cercare di sostenere che, dato che e` plausibile ritenere che circolasse nell’antichita` del materiale effettivamente risalente a Democrito, qualcosa di esso fosse stato accolto anche in una collezione come quella rappresentata da quest’opera, ma, nel suo caso, la difficolt`a che si presenta comunque di discriminare il materiale autentico da quello non autentico senza disporre di un qualche criterio per farlo con qualche plausibilit`a e` aggravata dalla circostanza che i lemmi che sono introdotti nell’opera probabilmente non sono attendibili (rinvio ai Supplementi all’introduzione, supplemento XIII). Va osservato ulteriormente che il materiale raccolto in quel capitolo e` in parte differente da quello che viene riportato da Gemino, Tolomeo e Lorenzo Lidio perch´e non e` limitato alle previsioni del tempo ma concerne fenomeni come le malattie, per esempio il verificarsi di pestilenze quando Zeus si trova nella costellazione dello scorpione (cfr. § 30). In casi del genere la previsione di tipo naturalistico finisce col lasciare il posto alla divinazione.74 Ho pertanto rinunciato ad includere documentazione tratta da quest’opera. Riguardo, infine, all’Idroscopico che viene attribuito a Democrito da uno degli scolii a Basilio e si presenta come titolo (con lemma) di uno dei capitoli dei Geoponica (cfr. 0.6.16 e 0.6.16.1), la sua autenticit`a e` resa assai sospetta da piu` motivi, e non solo dalla probabile non attendibilita` dei lemmi di quell’opera. Uno scritto con tale titolo non e` menzionato nel catalogo degli scritti di Democrito che viene riportato da Diogene Laerzio, e neppure puo` essere fatto corrispondere, nei contenuti, a qualche altro titolo riportato nel catalogo. Oder, in uno studio dedicato specificamente al tema, ha messo insieme dati che suggeriscono che non solo il testo e` successivo a Democrito ma deve risalire alla scuola di Posidonio; invece Steinmetz ritiene che esso risalga, in modo indiretto, a Teofrasto, ma cio` non fa differenza dal presente punto di vista.75 Avendo scelto, come piu` pratico e piu` semplice, un ordinamento del materiale sulla base dei suoi contenuti, le differenze di valore delle fonti cui ho 74 L’espressione ‘‘si deve pregare’’, attribuita a Democrito, che compare in alcuni di questi passi (cfr. §§ 11, 17, 30, 40), e sui quali attrae l’attenzione M.L. GEMELLI MARCIANO, in Le Democrite technicien, in BRANCACCI-MOREL (edd.), Democritus, pp. 227-228, viene usata anche per previsioni non attribuite a lui (cfr. §§ 22, 26, 34, 37), e ha un riscontro preciso solo nella testimonianza di Plutarco, Aemilius Paullus 1.4 (= 112.1.2), dove ha una valenza religiosa che, come rileva lo stesso Plutarco, apre la strada alla superstizione. Nelle altre due testimonianze, di Sesto (= 112.1) e dello stesso Plutarco in altra opera (= 112.1.1), e` Democrito stesso che e` ritenuto non letteralmente pregare ma fare voti per incontrare solo ‘idoli favorevoli’. 75 Cfr. Oder, Ein angebliches Bruchstu ¨ck Democrits ... (cit. in n. 70); P. STEINMETZ, Die Physik des Theophrast, Bad Homburg 1964, pp. 231-240. (Per ulteriori osservazioni cfr. Presentazione dei testi, sez. 21, con n. 49.)
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fatto cenno non possono essere desunte direttamente dalla raccolta proposta nel presente volume (non potrebbero comunque essere desunte da un ordinamento puramente cronologico del materiale, perch´e non sempre gli autori cronologicamente piu` distanti sono quelli peggio documentati). Il lettore che non possegga di gi`a un giudizio in merito puo` desumere tali differenze, oltre che dall’esposizione precedente, dalle indicazioni da me offerte nella seconda parte, di interpretazione dei testi, e anche, in qualche caso, dai contesti dei passi che offrono informazioni sugli atomisti (ricordo che tali contesti sono da me in parte riprodotti, in parte riassunti, sicch´e questo puo` servire a far comprendere gli intenti con i quali l’autore si occupa di quei pensatori). Si potrebbe proporre in alternativa un ordinamento che non fosse semplicemente cronologico ma tenesse conto delle fonti da cui dipendono i nostri testimoni. A mio avviso adottando questo ordinamento si rinuncia ai vantaggi dell’ordinamento di tipo contenutistico senza che questa rinuncia sia compensata da altri vantaggi. Se e` attendibile la rassegna sopra fornita riguardo alle fonti ne risulta che ci sono troppe incertezze per poter arrivare ad un quadro del tutto soddisfacente che permetta un sicuro ordinamento del materiale. Per di piu` si deve constatare che gli autori antichi, compresi i dossografi, tendevano ad ordinare il materiale sulla base dei contenuti, sicch´e ad adottare un ordinamento di questo tipo si rispetta di piu` i loro intenti.76 Nell’ordinare il materiale in modo contenutistico ho anche evitato di tenere distinti i frammenti dalle testimonianze, come avviene invece nell’opera di Diels e Kranz. Tale distinzione non e` da essi stessi applicata in modo rigoroso 77 e spesso la differenza fra il riportare una testimonianza includente una citazione e il riportare un frammento insieme al contesto in cui e` inserito e` trascurabile. E` pure artificioso riportare uno stesso passo come citazione all’interno di una testimonianza e come frammento distinto.78 In tutti i casi i frammenti in questione (se si prescinde sempre dal caso particolare di quelli etici) sono troppo 76 Si vedano anche le motivazioni addotte dai curatori della raccolta Theophrastus of Eresus: Sources for his Life, Writings, Thought and Influence, ed. W. FORTENBAUGH, P.M. HUBY, R. SHARPLES and D. GUTAS, Part I and Part II (in 2 voll.), Leiden 1992, pp. 7-8, per un ordinamento contenutistico nel caso, in parte simile, della documentazione relativa a Teofrasto. Sulla questione delle scelte che si possono fare nell’ordinare la documentazione relativa ad un autore presocratico come Democrito (ma anche su alcuni punti toccati in precedenza circa l’uso delle fonti) si veda inoltre il mio art. Problems raised by an edition of Democritus with comparisons with other Presocratics, in A. LAKS e C. LOUGUET (e´ds.), Qu’est-ce que la Philosophie Pre´socratique?, Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, 2002, pp. 141-182. 77 Qualche esempio risulta dal seguito. Per piu ` dettagli rinvio al cap. della seconda parte dedicato alla edizioni esistenti. 78 Questo avviene per esempio nel caso del passo di Simplicio da me riportato come 72.3 e che compare in DK come 68 A 67 e B 167, oppure nel caso di Stobeo II 7, 3i (mio 131, loro 68 A 167 e B 170-171).
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brevi e troppo incompleti, perch´e sia opportuno separarli dal contesto cui appartengono. Ovviamente ho evidenziato il fatto che si tratta di citazioni mettendo i frammenti fra virgolette e aggiungendo un’apposita indicazione: la lettera F (in grassetto). Analogamente la lettera T (sempre in grassetto) serve ad evidenziare che si tratta unicamente di una testimonianza, la coppia di lettere T F che si tratta di una testimonianza includente una citazione di una certa estensione; se invece la citazione inclusa e` molto breve o limitata ad una sola parola ho adottato la coppia T C; se d’altra parte la citazione e` del tutto fuori contesto mi sono limitato alla lettera C. In alcuni (non molti) casi ho adottato una doppia T per indicare che si tratta di una pura (o quasi pura) esposizione di una certa ampiezza e di un certo rilievo. In alcuni altri casi ho adottato la coppia T N per indicare che la testimonianza riguarda i naturalisti (talvolta incluso Platone) che precedono Aristotele e fra i quali Democrito (e/o Leucippo) pare essere implicitamente incluso. Occasionalmente introduco la lettera A (per «allusione») per indicare un riferimento non esplicito alla posizione degli atomisti. La (poco frequente) lettera I (per «imitazione») in effetti indica il piu` delle volte dei passi che non contengono delle vere e proprie imitazioni ma delle rielaborazioni piu` o meno libere di motivi democritei; 79 qualche rara volta ho adottato la combinazione T + I quando c’`e un misto di testimonianza e di rielaborazione. Ho pero` evitato precisazioni di questo tipo per i meno facilmente classificabili passi degli Epicurei. Ulteriori indicazioni sono date dalla lettera E (per «esplicazione»), per segnalare che il passo contiene commenti o probabili inferenze a partire dal testo (solitamente aristotelico) allo scopo di chiarirne il significato, senza attingere a documentazione indipendente; 80 e dalla lettera V (per «variante»), per segnalare che il passo offre sostanzialmente lo stesso contenuto di quello citato immediatamente prima di esso.81 Nei casi in cui la varianti dipendono da Aezio come fonte oppure da ps.-Plutarco ho adottato rispettivamente la combinazione VA e VP. Alcune differenziazioni sono poi suggerite da apposite indicazioni. Cosı`, alle volte, le parti di esposizione del pensiero di Leucippo e di Democrito, quando 79 Un ovvio esempio e ` dato dal testo di Diodoro Siculo sull’origine del genere umano e della civilta` (= 125.1 + 126.1); ma ho applicato l’etichetta a dei testi tratti dal Teeteto di Platone (= 54.3-5) la cui parziale «democriticita`» non e` generalmente riconosciuta, dando per valide le prove in tale senso da me offerte nella parte monografica (qualche cenno anche nella Presentazione dei testi, sez. 15). 80 In alcuni casi, solitamente relativi ai commentatori aristotelici (per la ragione precedentemente esposta), propongo l’alternativa ‘T o E’, essendo impossibile accertare se si tratta di una vera e propria testimonianza o solo di un passo esplicativo. 81 Che alcuni testi siano delle semplici varianti l’ho reso desumibile dalla numerazione, cfr. per esempio la serie 136.1, 136.1.1 e 136.1.2.
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si trovino in un contesto non puramente espositivo e si lascino facilmente circoscrivere, risultano dal ricorso ad asterischi (all’inizio e alla fine del passo che interessa). Inoltre l’attenzione su queste parti e` attirata anche dall’uso dei caratteri in grassetto per i loro nomi, quando uno di essi sia menzionato espressamente (o entrambi lo siano) dalla nostra fonte – qualche volta ho inserito io il loro nome fra parentesi. Ho pure adottato delle sottolineature, nel caso di passi (spesso di tipo dossografico) nei quali la posizione dei primi atomisti viene messa a confronto con altre, per rilevare quanto, pur non facendo direttamente parte dell’esposizione di questa loro posizione, serve a definirla. I miei riassunti dei contesti dei passi sono riportati fra parentesi quadre, salvo i casi in cui siano troppo integrati nel testo per rendere opportuna una tale differenziazione. Invece i titoli dovuti all’autore stesso che espone sono riportati fra parentesi tonde, oppure (quando si tratta di un passo col quale inizia un capitolo) senza parentesi ma con l’indicazione del numero del capitolo. Nell’ordinare il materiale su basi contenutistiche ho anche evitato di separare quanto concerne Leucippo da quanto concerne Democrito. Diels e Kranz, di nuovo, adottano questa separazione, dalla quale prescinde invece Luria, il cui intento dichiarato e` del resto di offrire un’edizione dei testi del solo Democrito (in effetti la documentazione su Leucippo da lui raccolta e` incompleta). Va notato che egli prescinde pure da quella fra testimonianze e frammenti, seguendo anche lui un ordinamento contenutistico, ma senza evidenziare le differenze.82 Si puo` arguire che nel caso di certi temi, come quello dell’epistemologia, Democrito sia andato oltre quanto aveva trovato in Leucippo, dato anche che le nostre fonti piu` attendibili su quei temi fanno solo il suo nome. Ma neppure in questo caso ci sono indicazioni esplicite circa l’originalita` di Democrito. Ed e` sufficientemente chiaro che il piu` delle volte le nostre fonti non fanno distinzione fra il contributo dell’uno e quello dell’altro.83 Gli autori che, come Aristotele e Teofrasto, forse erano ancora in grado di farla non si mostrano interessati al punto, tutti gli altri neppure sarebbero stati in grado di farla con conoscenza di causa. La menzione espressa dell’uno e` spesso del tutto intercambiabile con quella dell’altro e comunque non ha l’intento di rilevare una sua originalit`a rispetto all’altro; e non e` atipico l’uso di formule come «Leucip82 Un difetto dell’edizione di Luria, che viene segnalato anche da M. MARCOVICH , nella sua recensione in «Archiv fu¨r Geschichte der Philosophie», 57, 1975, pp. 60-63, e` appunto l’assenza di indicazioni che rendano chiaro se il passo citato e` solo una testimonianza o solo un frammento o una testimonianza contenente una citazione. Anche il modo in cui Luria ordina la documentazione, dunque l’impostazione complessiva da lui adottata, suscita riserve, per le quali rinvio ai Supplementi all’introduzione (supplemento XIV). 83 L’unico autore che segnala una innovazione di Democrito, e cioe ` l’introduzione degli ‘idoli’ (o simulacri), e` Clemente, Protrepticus 5, 66.2 (= 5.4), ma in un’altra testimonianza Leucippo e` associato a Democrito anche su questo punto (cfr. 106.4).
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po e i suoi» e «Democrito e i suoi» oppure anche «Leucippo, Democrito e i loro» 84 che mostrano che si ha in mente l’orientamento atomistico o la «scuola» atomistica piuttosto che le dottrine di un dato filosofo. Non e` difficile constatare, utilizzando l’edizione di Diels e Kranz, che la separazione dei due autori porta ad una suddivisione artificiosa del materiale.85 L’ordinamento dei testi su basi contenutistiche ha in tutti i casi il vantaggio dell’uniformit`a, e puo` pertanto rendere piu` facile il reperimento dei passi che interessano al lettore. Diels e Kranz adottano tale criterio per le testimonianze su Democrito (oltre che per quelle su Leucippo), ma seguono altri criteri per la parte sui frammenti. Un criterio e` dato dall’associazione di certi testi ai titoli a noi noti di alcune opere di Democrito. Tale associazione pero` solo in pochi casi e` attestata, in altri risulta da una congettura degli studiosi.86 Anche laddove e` attestata, la citazione non e` tale da illuminarci sui contenuti dell’opera perduta, come il titolo di questa non puo` essere sufficiente a farci comprendere la collocazione di quel passo. Un altro criterio e` quello, molto estrinseco, dell’ordine alfabetico degli autori che citano passi democritei. Anche questo comunque non e` rispettato rigorosamente, ma in piu` casi si ritorna al criterio contenutistico, talvolta poi inserendo testimonianze fra i frammenti.87 L’ordinamento che ho seguito nel classificare la documentazione dovrebbe essere abbastanza chiaro dall’indice generale. Dopo la parte includente i testi relativi alla biografia di Leucippo e di Democrito, alle loro opere e ai rapporti con altri pensatori (sia quelli ad essi antecedenti o contemporanei, sia quelli ad essi successivi), c’`e la parte assai piu` ampia includente i testi relativi 84 Con queste ho reso quelle greche oiJ peri; Leuvkippon e oiJ peri; Dhmovkriton, per le quali e ` sufficientemente manifesto che servono ad indicare la cerchia di discepoli di Leucippo – o di Democrito – insieme a Leucippo – o a Democrito – stesso, non la cerchia da sola. Per esempi di loro intercambiabilita` coi semplici Leuvkippo" e Dhmovkrito" cfr. 15.2, 20.2, 50.3 (in relazione a 50.2), 64.1.1-3 e 64.2 (in relazione a 64.1), 65.2 (in relazione a 65.1); per altre occorrenze cfr. 6.5, 11.3, 30.3, 31.2, 33.2, 33.3, 36.1.1, 35.3, 37.2, 47.5, 48.7.1, 62.2, 62.6, 66.3, 68.2.1, 68.2.2, 68.2.3, 68.2.4, 68.4.1. Un’eccezione e` data da Diog. Laerzio IX 41 (= 0.2.1), perche´ Democrito non puo` essere contemporaneo sia di Enopide sia dei suoi seguaci o continuatori. 85 Un esempio e ` dato dalla testimonianza di Simplicio da me numerata 3, e divisa in DK in una parte su Leucippo (cfr. 67 A 8) e in un’altra su Democrito (cfr. 68 A 38): la seconda parte ricalca da vicino la prima o comunque e` in stretta continuita` con essa, al punto che dal soggetto ‘‘Democrito’’ si passa ad un plurale che evidentemente coinvolge entrambi i pensatori. Per altri esempi o per indicazioni piu` dettagliate rinvio al citato cap. nella seconda parte. 86 Cosı` il testo sopra citato di Diodoro Siculo, che in effetti non e ` affatto un frammento, e il cui grado di «democriticita`» anche come testimonianza e` controverso, e` associato al Piccolo sistema del mondo. 87 Per esempio due passi, di Aristotele e di Simplicio, riportanti una tesi democritea, sono accostati, come B 155a, alla citazione (in B 155) dovuta a Plutarco della formulazione data da Democrito di un problema matematico.
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INTRODUZIONE
alla dottrina, cio`e ai loro contributi filosofici e scientifici. Ho cominciato con testi che contengono alcune indicazioni (sia positive che negative) sull’approccio da essi adottato, per passare ai testi di presentazione complessiva del loro pensiero, che sono ovviamente quelli che si concentrano sui principıˆ o sui fondamenti, e ai testi che, pur continuando a concentrarsi sui fondamenti, servono a mettere in luce la genesi della teoria atomistica. I testi (appartenenti alle parti III e IV) che sono raggruppati dopo questi riguardano sempre punti che sono alla base della teoria nel suo aspetto piu` «ontologico», come quello del rapporto fra uno e molti e quello, connesso, dell’indivisibilit`a degli atomi, includendo le ragioni per attribuire una natura materiale o corporea agli atomi stessi, per postulare il vuoto oltre ad essi e per ammettere l’infinit`a sia degli atomi che del vuoto. I testi della parte V concernono il resoconto che dei composti viene dato a partire dagli atomi, considerandolo nelle sue linee generali ovvero nei suoi principi e non ancora nelle sue applicazioni specifiche, mentre i testi della parte VI completano il quadro dei fondamenti dell’atomismo prendendo in considerazione l’epistemologia. Ho ritenuto opportuno introdurre i testi che concernono le applicazioni piu` specifiche della teoria atomistica ai campi della cosmologia (e cosmogonia), dell’astronomia, della meteorologia, dello studio dei corpi inanimati e di quello dei viventi con una serie di testi che ho raccolto sotto il titolo di «princı`pi della fisica» e che concernono le modalit`a di interazione degli atomi che sono alla base dei mutamenti di ordine macroscopico, le cause del loro movimento (e quindi la questione del loro peso), insieme ad un’altra serie di testi che riguardano il necessarismo che le nostre fonti attribuiscono agli atomisti. I testi che sono raccolti nella parte XI sull’anima e sui fenomeni che dipendono da essa ovviamente servono ad illustrare un’applicazione particolarmente importante della teoria atomistica, e lo stesso vale per quelli, connessi, sui meccanismi della percezione sensibile e sulla struttura dei suoi oggetti. Nella parte XIII sono raccolti i testi relativi all’origine e sviluppo della civilt`a in relazione all’origine del mondo e del genere umano, insieme ad altri testi che toccano aspetti della cultura come il linguaggio. I numerosi frammenti democritei (insieme ad alcune testimonianze) riguardanti temi di etica e di politica sono raccolti tutti nella parte XIV. Infine c’`e una parte che raccoglie testi che hanno carattere assai specifico (come quelli riguardanti l’astronomia usata con pretese predittive per eventi di ordine atmosferico) o che riguardano le arti o che sono male classificabili (come i contributi alle etimologie delle parole o alla delucidazione del loro significato). Quest’ordinamento dei testi non ha affatto la pretesa di ricostruire la sequenza adottata dallo stesso Democrito nell’affrontare i temi di cui venne ad occuparsi, perch´e non credo che i tentativi in questo senso possano avere successo: come metto in rilievo nell’introduzione alla seconda parte di questo mio lavoro (inoltre nella Presentazione dei testi, sez. 1), di lui conosciamo solo l’in4
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tento enciclopedico. E` semplicemente l’ordinamento che mi e` parso piu` conveniente, soprattutto in relazione all’esame cui sottopongo i testi in quella parte. Aggiungo che nel caso dei testi etici (e politici) non avevo fin dall’inizio la pretesa di innovare sulle edizioni esistenti e, nell’impossibilit`a (per le ragioni gia` dette) di attenermi all’ordinamento adottato in quella di Diels e Kranz o in quella di Luria, mi sarei volentieri attenuto all’ordinamento adottato da Natorp nella sua, se mi fosse parso persuasivo. Comunque anche in questo caso sono partito dai testi di carattere piu` generale per passare, man mano, a quelli piu` specifici. Inutile dire che per diversi di questi testi collocarli sotto un certo titolo risulta da una scelta piuttosto arbitraria, data la nostra ignoranza del contesto cui appartenevano. Purtroppo la collocazione che essi ricevono nella raccolta di Stobeo e` particolarmente arbitraria, sicche´ il piu` delle volte ho rinunciato alla pratica, cui mi sono attenuto per i testi tratti da altre raccolte dossografiche, di citare i titoli sotto cui compaiono.88 Per rendere piu` facile l’uso della presente raccolta da parte di coloro che hanno familiarit`a con quella di Diels e Kranz segnalo alcuni mutamenti nell’ordinamento dei testi rispetto a quello da loro adottato (oltre a quelli gi`a segnalati, come l’eliminazione di ogni distinzione fra Leucippo e Democrito, e la non separazione dei frammenti dalle testimonianze sullo stesso tema), limitando l’attenzione a quelli che essi collocano sotto il nome di Democrito (dunque al nr. 68). Le testimonianze da A 50 ad A 55 che toccano i rapporti dello stesso Democrito con Epicuro e con Moco sono quasi tutte inserite nelle sezioni della parte biografica dedicate a tali rapporti. Le testimonianze da A 74 ad A 79 che concernono la ‘teologia’ o ‘demonologia’ democritea sono inserite nella sez. I della parte XI sull’anima (salvo le testimonianze sotto A 75, sull’origine delle credenze religiose, che sono inserite nella parte XIII, sez. C. 3). Alcune testimonianze che toccano questioni di epistemologia si trovano associate (come A 110-12 e A 114) alle testimonianze riguardanti la teoria dell’anima, mentre i passi citati da Sesto sono riportati fra i primi frammenti, cio`e fra quelli associati ai titoli delle opere (come B 6-11): tutti questi testi sono da me collocati (insieme ad altro materiale) nella parte VI. La documentazione sulle arti e` da essi collocata fra i frammenti associati ai titoli delle opere (come B 26b28) e da me nella parte XV; lo stesso vale per i resti del ‘parapegma’ (cfr. B 14.1-7) e una testimonianza geografica (cfr. B 15). Ovviamente e` stato redistribuito nelle parti (e sezioni) pertinenti il materiale che essi titolano «echte Fragmente aus unbestimmenten Schriften» (cio`e B 29-34) e il materiale che essi collocano in mezzo al gruppo dei frammenti derivanti dalla raccolta 88 Questo vale per il presente volume, includente le traduzioni; i titoli sono invece inclusi nell’edizione dei testi in greco o latino.
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che passa sotto il nome di «Democrate» e il gruppo di quelli derivanti dalla raccolta di Stobeo (cio`e B 116-168). Sia l’edizione di Diels e Kranz che quella di Luria tendono a riportare, dei testi dovuti agli autori antichi, quanto c’`e d’informazione piu` immediatamente utile alla comprensione del pensiero degli atomisti, prescindendo dal contesto in cui compare (Luria in molti casi riporta esattamente lo stesso passo che viene riportato da Diels e Kranz). Come ho accennato sopra, mi sono invece preoccupato di offrire citazioni piu` ampie, corredate spesso da un breve riassunto di quanto precede (e/o segue), in modo che il lettore si faccia una certa idea del contesto cui appartengono.89 In questo modo diventano piu` evidenti gli intenti con i quali l’autore antico ci offre quelle informazioni e pertanto si dispone di un elemento in piu` per valutare la sua stessa attendibilit`a. Ma il contesto puo` servire anche da integrazione per le informazioni che si ottengono sui pensatori in questione, perch´e, ripeto, e` spesso difficile distinguere bene quanto e` esposizione da quanto e` discussione del loro pensiero e anche perch´e possono emergere ulteriori indizi circa la natura di quel pensiero stesso. Offro alcuni esempi: 1) i due passi epistemologici riportati da Galeno, cioe` 60.2 e 60.3, sono messi in bocca ai medici empirici, che debbono avere citato Democrito perch´e trovavano in lui degli spunti per la loro impostazione empirica; 2) l’accostamento della «definizione» epicurea dell’uomo a quella democritea in Sesto Empirico (cfr. 2.1 e 2.2) deve essere stato suggerito dalla convinzione che Epicuro aveva ripreso il pensiero democriteo anche su questo punto; 3) in De causis plantarum VI 1, 2 sgg. (= 121.3) Teofrasto riprende, seppure con dei cambiamenti, il confronto da lui proposto in De sensibus 60-61 (= 55.1) fra l’approccio che Democrito ha ai sensibili e quello di Platone – fatto questo che non si desume per nulla dai passi riportati da Diels e Kranz e da Luria; 90 4) l’esposizione del resoconto democriteo del funzionamento della calamita dovuto ad Alessandro e` in evidente continuit`a con l’esposizione del resoconto di Empedocle (cfr. 89.1); 5) Proclo, dopo avere esposto gli argomenti attribuiti a Democrito a favore della convenzionalit`a del linguaggio, espone alcune obiezioni dovute ad ‘‘alcuni’’ che rimangono ignoti: tenerle presenti serve alla comprensione degli argomenti stessi (cfr. 129.1, con n. 1028). 89 Le variazioni di estensione delle mie citazioni rispetto a quelle due edizioni si possono desumere in vari casi (anche se in un modo piuttosto approssimativo) dalle equivalenze con esse da me fornite fra parentesi tonde per ciascun passo riguardante Leucippo o Democrito. 90 Cfr. rispettivamente 68 A 119 e 129 DK e 440 e 497 Lu. Il loro modo di citare ha anche l’inconveniente di spezzettare un testo continuo; e` anche arbitrario riportare, della polemica di Teofrasto contro Democrito (ivi, VI 2, 1 sgg. [= 121.4]), solo i passi numerati 130 e 131 in DK, ovvero 498 e 321 in Lu.: o tutto o niente! (Per piu` dettagli sul rapporto fra i due passi teofrastei vedi Presentazione dei testi, sez. 26.)
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INTRODUZIONE
Nella stessa direzione mi e` parso opportuno indicare i collegamenti (laddove ci siano) fra i testi citati, per esempio il fatto che un certo passo aristotelico e` il seguito di un altro riportato altrove nella raccolta, oppure (come gia` rilevato) che un certo passo di un commentatore aristotelico si riferisce ad un dato passo in un’opera di Aristotele. E, sempre allo scopo di rendere piu` chiara la natura della documentazione di cui disponiamo, ho pure evidenziato l’esistenza di varianti di una stessa testimonianza, riportando (sotto un numero distinto oppure in nota) quanto c’`e di discrepante fra l’una e l’altra versione. (Nell’edizione dei testi mi sono attenuto abbastanza sistematicamente al criterio di riportare la variante per esteso). Questo ha qualche importanza per le testimonianze della dossografia piuttosto tarda, in quanto certi brani compaiono, del tutto immutati o con pochi mutamenti, presso piu` autori. Certi mutamenti sono puramente stilistici, altri sono piu` significativi. In alcuni casi registrarli ci mette in grado di meglio valutare il significato e il peso della testimonianza stessa oppure la sua estensione (per esempi rinvio ai Supplementi all’introduzione, supplemento XV). Anche questi sono dati che possono essere non desumibili dalle raccolte esistenti, che tendono a riportare un’unica variante sotto il nome di «Aezio». Come gi`a detto, e` comunque criticabile riportare come dovuti ad «Aezio», senza ulteriori precisazioni, testi che appartengono a raccolte differenti, perch´e non si puo` fondare un’edizione su di un’ipotesi anzich´e sull’indicazione delle fonti effettive (Stobeo, Ps.-Plutarco, ecc.). In genere mi sono sforzato di rendere chiari (anche mediante indicazioni nelle note) i rapporti fra i vari testi. L’operazione contraria, di de-contestualizzazione, compiuta dai citati studiosi, mi pare riflettere due convinzioni che, a mio giudizio, sono entrambe illusorie: di poter separare nettamente quanto sarebbe riproduzione del tutto oggettiva del pensiero altrui dalla discussione che ne viene data dall’autore che ci serve da fonte, quando come minimo l’informazione e` «filtrata» dalla terminologia da lui usata; di poter ricomporre tutte queste informazioni in un’unit`a, che sia uno specchio fedele del pensiero degli atomisti, come se si trattasse di pezzi (come quelli di un puzzle) che si integrano a vicenda e che bisogna semplicemente riordinare. Il nostro rapporto con quel pensiero non e` cosı` immediato, e pertanto un’edizione deve in qualche modo riflettere questa situazione, anche se cio` comporta una crescita nella quantit`a e nella complessit`a del materiale documentario. Quando si notino queste e altre limitazioni della raccolta dei testi dei Presocratici di Diels e Kranz probabilmente non e` superfluo tener presente che alcune di esse dipendono dall’impostazione che inizialmente era stata data all’opera dal Diels e dal modo in cui essa si e` evoluta (in successive edizioni, dalla prima del 1903 alla sesta e ultima, del 1952) per mano sua e poi per mano di Kranz (questi inizialmente aveva curato solo gli indici, redigendo quello — LII —
INTRODUZIONE
dei termini per la seconda edizione). Anche per questo punto rinvio ad un supplemento all’introduzione (supplemento XVI). Nella scelta dei testi da riportare ci sono differenze non trascurabili fra la presente raccolta e le edizioni cui ho fatto riferimento. L’edizione di Diels e Kranz e` decisamente insufficiente da questo punto di vista: troppe sono le omissioni di testi significativi, come si puo` constatare dalle concordanze da me fornite.91 Assai piu` completa e` l’edizione di Luria, che tuttavia tralascia anch’essa alcuni testi piuttosto significativi. (Rispetto alla presente raccolta, come gi`a accennato, sono oltre settanta i testi che tralascia, senza contare quelli che sono stati scoperti o segnalati in tempi recenti).92 D’altra parte, per la ragione gia` data, ho preferito tralasciare completamente alcuni autori (come i citati Temistio, Olimpiodoro, Sofonia), dei quali Luria riporta dei passi (peraltro senza che sia chiaro perch´e riporti solo quelli e non tutti i passi di espresso riferimento a Democrito e/o a Leucippo). Ho anche tralasciato qualche passo di Simplicio e di Filopono che non mi e` parso aggiungesse informazioni a quelle risultanti da altri passi simili (ne daro` comunque un elenco nel Ragguaglio). Inoltre in alcuni casi non ho potuto condividere il giudizio dello studioso russo circa l’estensione del riferimento al pensiero di Democrito (e/o di Leucippo) in autori come Aristotele, anche se consento con lui nel ritenere che concerna Democrito (e non solo Epicuro) il passo di Plutarco sulla trasmissione dei suoni che ho riportato come 90.2. Sempre in tema di omissioni, va menzionato che, mentre mi e` parso opportuno riportare, sul tema dell’origine della civilt`a (come 126.1), un testo di Diodoro, che e` sicuramente di natura eclettica, ho tralasciato un testo di Tzetzes, la cui ispirazione complessiva e` assai poco democritea (al massimo contiene singoli motivi democritei, che possono essere stati derivati dagli Epicurei) e un altro di Ermippo, che ha scarsa pertinenza (tutti e tre sono riportati come B 5 in Diels e Kranz). Alcune omissioni, riguardanti questi o altri autori, sono segnalate e motivate nella Presentazione dei testi. Piu` generalmente, mi e` parso opportuno adottare un limite cronologico negli autori da prendere in considerazione come fonti, evitando quasi sempre di andare oltre la tarda antichit`a. Pertanto ho tralasciato autori come Alberto 91 Ho offerto, per ciascun passo concernente gli atomisti – compresi quelli risultanti sotto altri autori, come Anassagora –, l’indicazione del numero che hanno in Diels e Kranz (abbreviazione «DK», generalmente tralasciata salvo per formule come «om. DK» – questa per indicare quanto e` stato da loro omesso) e in Luria (abbrev. «Lu.»). Nei casi in cui cio` e` applicabile ho indicato anche la numerazione degli Epicurea di Usener (abbrev. «Us.»), quella dei Doxographi Graeci di Diels (abbrev. «Dox.», seguita dall’indicazione della pagina), quella di Die Ethika des Demokritos di Natorp (abbrev. «N.»), e quella della raccolta (sopra citata) curata da Wellmann (abbrev. «W.») in appendice a Die Georgika des Demokritos; occasionalmente ho indicato anche la numerazione di qualche ulteriore raccolta, come quella degli Stoici intitolata Stoicorum Veterum Fragmenta e dovuta a von Arnim (abbrev. SVF). 92 Di questi offro un elenco completo nel ‘‘ragguaglio’’ (s’intende che non tutti quelli elencati sono significativi).
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INTRODUZIONE
Magno, dei quali vengono occasionalmente riportati dei passi nelle altre edizioni (cfr. per esempio 68 A 164 DK). La scarsa attendibilit`a di tali testimonianze e` del resto abbastanza palese. Un’eccezione da me fatta e` costituita da alcuni autori bizantini, come Psello e gli autori di lessici come quello chiamato Suda, oppure (fra i non bizantini) da autori come Isidoro, perch´e si tratta di materiale di origine assai anteriore alla data della loro redazione, come mostrano le coincidenze (addirittura verbali, nel caso della Suda) con testi rientranti nel limite cronologico da me adottato. Un’altra eccezione e` costituita da un testo arabo segnalato recentemente da Strohmaier (da me riportato come 7.3, ma in appendice) che, per la verit`a, costituisce piu` che altro una curiosit`a, ma che e` indicativo dell’importanza che veniva attribuita, in una tradizione risalente all’antichit`a, all’accostamento degli atomi al pulviscolo atmosferico – accostamento tuttavia inteso erroneamente come completa coincidenza. Nel complesso non ho l’impressione che la documentazione che ci e` pervenuta tramite gli arabi, laddove e` attendibile, aggiunga qualcosa di significativo rispetto a quanto abbiamo da fonti greche e latine riguardo a Democrito (con l’eccezione del passo di Galeno riportato come 60.2).93 Quanto al materiale spurio del quale viene offerta una raccolta relativamente ampia in Diels e Kranz (sotto il titolo «unechte Fragmente», da B 298b a 309), seguito da altro materiale classificato sotto C come «Imitation», l’ho limitato al minimo. Ho inserito qualcosa nella sezione F. 3 della parte biografica, perch´e mi e` sembrato utile riportare alcuni documenti della consapevolezza che gi`a autori antichi avevano del fatto che sotto il nome di Democrito circolavano opere spurie; qualcos’altro l’ho inserito altrove (cfr. per es. 136.1.1 includente un pezzo della Epistola pseudo-ippocratica XXIII che manifestamente riprende motivi genuinamente democritei), ma il piu` mi e` parso di scarso interesse. A parte poi i testi degli Epicurei, dei quali ho gi`a detto, ho trovato opportuno riportare alcuni testi di complemento, tratti dagli Eleati, da Empedocle e da altri, che illustrano dottrine riprese dagli atomisti o rispetto alle quali essi avevano preso posizione. Ho ugualmente riprodotto una serie di testi che servono da inquadramento per una certa questione sulla quale gli atomisti prendono posizione 94 o che hanno una rilevanza per altre ragioni.95 93 Per un quadro complessivo della documentazione si puo ` rinviare a G. STROHMAIER, Die Fragmente griechischer Autoren in arabischen Quellen (cfr. bibl.), il quale esprime un giudizio piu` positivo sulla sua utilita` e attendibilita`. 94 Per esempio ho riportato, come 48.1, un passo del Timeo platonico che illustra l’idea che i naturalisti antichi si facevano delle interazioni dei quattro elementi. 95 Per esempio cito come 19.5 il passo aristotelico che serve da spunto a Simplicio, nel commentarlo, per attestazioni circa una tesi di Democrito, e cito (con intento opposto) tre passi di Filopono (come 23.2) a smentita di un’attribuzione moderna di una tesi agli atomisti.
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INTRODUZIONE
I titoli sotto i quali i testi sono raggruppati sono ovviamente dovuti al curatore del presente volume, e riflettono una certa interpretazione dei testi. Va tenuto presente che, a meno di non adottare titoli estremamente generici, buona parte dei testi non si lasciano inserire in un’unica casella, ma toccano piu` temi. Mi e` parso tuttavia poco opportuno seguire il procedimento adottato da Luria. Egli riporta gli stessi passi sotto titoli e numeri differenti, oppure li spezzetta a tale effetto, con una crescita puramente apparente del materiale e una sua dispersione, col rischio di rendere difficile la comprensione di ciascun passo considerato nella sua integrita` e nel suo contesto. Riportare i passi che toccano piu` questioni unicamente sotto un certo titolo e` indubbiamente limitativo, ma credo che il reperimento del materiale vada facilitato con l’uso di strumenti come gli indici, non con la sua frammentazione e dispersione.96 Ho dunque collocato ciascun testo nella sua completezza sotto un certo titolo, facendo tuttavia delle eccezioni a questa regola, perche´ alcuni testi mi sono parsi troppo lunghi e complessi per non spezzettarli.97 Per rispondere all’esigenza di evidenziare quali testi, oltre a quelli che possono effettivamente essere stati riportati sotto il titolo pertinente, toccano un certo tema, ho provveduto a fornire un indice dei termini e concetti principali (quello che ho chiamato ‘‘quadro sinottico’’) e talvolta ho offerto dei riferimenti interni. Per facilitare la precisione nei riferimenti ai passi, ho evitato il procedimento (riscontrabile nelle edizioni di Diels e Kranz e di Luria, e non solo in esse) di assegnare uno stesso numero a piu` testi che presentino qualche affinit`a, adottando una numerazione doppia e in qualche caso tripla, cosı` da preservare le affinit`a (e anzi evidenziarle piu` di frequente) senza creare confusioni. Ho pure riportato certe suddivisioni risultanti dalle principali edizioni dei testi sulle quali mi sono basato, per esempio suddivisioni in paragrafi oppure suddivisioni in righe (grosso modo ogni cinque righe per un’edizione come quella bekkeriana di Aristotele) oppure, ancora, suddivisioni in versi nei pochi casi in cui sono applicabili. Ovviamente varie delle indicazioni ora fornite valgono anche per l’edizione dei testi originali. Aggiungo precisazioni che la riguardano in modo specifico. La prima e` che non si tratta di una nuova edizione critica, nel senso di offrire dei testi basati su nuove collazioni dei manoscritti. L’edizione innova sulle precedenti per i motivi appena indicati, cio`e per i cambiamenti che ci 96 Queste e altre limitazioni della sua edizione sono sottolineate da Marcovich nella sua recensione (citata supra, n. 82). 97 Questo vale per esempio per la testimonianza di Diogene Laerzio su Leucippo, che ho diviso in una parte generale (= 4.3) e in una di cosmogonia (= 80.1), e per la lunga testimonianza su Democrito contenuta nel De sensibus di Teofrasto. In DK i due testi sono riportati in blocco.
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sono nella scelta dei testi, nell’estensione di certuni di essi, e nel loro ordinamento; per il resto mi sono attenuto alle edizioni gi`a esistenti. Collazionare i manoscritti non sarebbe stata un’impresa facile, data la variet`a delle fonti da cui i testi sono tratti, e comunque non ho la preparazione che ci vuole per questo tipo di lavoro. E` difficile dire se una nuova collazione, eventualmente selettiva, avrebbe portato a dei sensibili guadagni sulle edizioni esistenti, anche se c’`e qualche caso in cui mi e` parso che essa sarebbe stata desiderabile. Comunque sia, nel ricorrere alle edizioni esistenti, non mi sono limitato a quelle di Diels e Kranz e di Luria ma ho consultato le edizioni fondamentali delle opere da cui sono tratti i passi, e questo non solo nel caso di edizioni comparse successivamente a tali raccolte. (Un elenco e` fornito in una sezione dell’apposita bibliografia). C’`e da osservare ulteriormente (senza piu` fare distinzione fra l’edizione e la traduzione) che, quando sono disponibili piu` edizioni di una stessa opera, da me segnalate in bibliografia, ho normalmente usato come base, sia per la costituzione del testo sia per la paginazione, quella piu` recente oppure quella da me indicata con un asterisco. Tuttavia ci sono alcune eccezioni concernenti la paginazione. Mi sono ovviamente attenuto alla paginazione standard nel caso delle opere di Platone, di Aristotele, di Plutarco, e di qualche altro autore. Nel caso poi di Sesto Empirico mi sono attenuto alla paginazione di Bekker (che viene riprodotta nell’edizione piu` recente di H. Mutschmann e J. Mau); nel caso di Strabone ho adottato, come Radt nella sua edizione, la paginazione di Causaubon. Aggiungo che i guasti che alcuni testi presentano sono segnalati in nota oppure (quando lasciati non emendati) con dei puntini accompagnati da una crocetta (cosı`: ... {) oppure ancora con una sequenza di tre asterischi. Le traduzioni, salvo espressa indicazione del loro autore, sono mie (in vari casi si tratta di passi non mai tradotti in lingue moderne: chiedo venia per eventuali fraintendimenti). Ho cercato di realizzare una certa uniformit`a terminologica, ma ovviamente una perfetta coerenza sarebbe ottenibile solo con forzature. Come ausilio per il lettore ho aggiunto un glossario indicante, per una serie di parole greche di qualche importanza, le equivalenze da me adottate. Salvo che nel caso dei testi poco tecnici (di tipo biografico, ecc.) ho evidenziato con parentesi le mie integrazioni: con parentesi graffe quelle necessarie al senso nel tradurre (per esempio esplicitando qualche parola sottintesa), con parentesi quadre quelle consistenti in chiarimenti essenziali (per esempio l’indicazione del soggetto del discorso). Non e` un procedimento troppo elegante, ma esso permette al lettore di farsi un giudizio per conto proprio sull’opportunit`a o validit`a delle integrazioni, dato che tradurre comporta ovviamente un interpretare che, sui singoli punti, puo` non incontrare il consenso di tutti. — LVI —
INTRODUZIONE
Le note alle traduzioni cercano di essere essenziali e, oltre a contenere indicazioni sui rapporti fra i testi, riportano traduzioni alternative a quella da me adottata oppure certi dati indispensabili di tipo filologico (lezioni o correzioni adottate, ecc.) oppure ancora altre informazioni basilari di ausilio per la comprensione immediata dal testo. Osservazioni, sempre relative ai testi, che avrebbero richiesto note piu` lunghe sono inserite nella Presentazione dei testi e servono a giustificare certe mie scelte, non solo nell’ammissione o nell’esclusione di qualche testo ma anche circa l’estensione del passo da me riportato come testimonianza. Infine segnalo che, nella preparazione del presente lavoro, ho beneficiato della preziosa collaborazione di Francesco Ademollo, che ha riveduto le traduzioni, e, per un verso, mi ha salvato da non pochi errori, per un altro verso ha offerto diversi suggerimenti migliorativi (alcuni di essi sono riportati in nota). Per certi passi, e soprattutto per i frammenti etici, ho tratto utili chiarimenti da alcuni scambi con Guillaume Navaud, come ho tratto notevole beneficio dal poter disporre, su autorizzazione dell’autore, di una copia della dissertazione non pubblicata di John Procope´ (e` citata nella bibliografia). La responsabilita` degli errori rimane mia, e posso solo sperare che non siano troppi. Mi sono reso conto, con il progredire del lavoro, che il miglior modo per ridurre al minimo errori e sviste sarebbe stato farlo in collaborazione, ma ormai era troppo tardi. Debbo anche molta gratitudine ai colleghi del Dipartimento di Filosofia dell’Universit`a di Pisa, e in particolare ai suoi direttori, per avere provveduto a conservare i fondi necessari alla pubblicazione del volume, nonostante i miei continui ritardi. Debbo la stessa gratitudine anche all’amico Francesco Adorno, Presidente dell’Accademia ‘La Colombaria’, e ai suoi Soci, per avere accolto questo volume nella collana ‘Studi’ della stessa Accademia.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
A. VITA
DI
LEUCIPPO
0.1.1. Diogene Laerzio, Vitae philosophorum IX 30 (= 67 A 1, VIII e 152 Lu.): [Il brano fa parte del cap. 6 su Leucippo.] Leucippo di Elea, ma alcuni dicono che fosse di Abdera, secondo altri sarebbe stato di Melo.1 Costui fu un allievo di Zenone.2 E` sua opinione ... [= 4.2].
0.1.2. Diogene Laerzio X 13 (= 67 A 2, om. Lu.; 123 e 232 Us.): [Il brano fa parte della vita di Epicuro.] Apollodoro 3 nelle sue Cronache afferma che costui [scil. Epicuro] fu il discepolo di Nausifane e di Prassifane; ma nella sua lettera ad Euriloco egli stesso non lo ammette, ma dice di essere un autodidatta, e che non ci fu nessun Leucippo filosofo – questo lo dicono sia lui che Ermarco –, del quale alcuni, compreso l’epicureo Apollodoro, dicono essere stato il maestro di Democrito.
0.1.3. Giamblico, Vita Pythagorica 23, 104 [60.1-19] (60.1-4, 6-7 = 67 A 5; 154 Lu.): [Si parla dell’insegnamento pitagorico, che era basato sui ‘‘simboli’’, cioe` su formule enigmatiche, il cui significato era rivelato solo a filosofi di alto ingegno e di natura divina.]
1 Cosı` nei MSS; alcune fonti (come Simplicio, In Phys. I 2 [= 3], Stobeo in 5.1, Clemente in 5.4, ed Epifanio in 8.5) lo associano (peraltro non tutti esclusivamente, perche´ Simplicio ed Epifanio menzionano anche Elea) a Mileto, ma questo potrebbe essere avvenuto per via dei rapporti del suo pensiero con quello dei Milesii. 2 Leucippo viene presentato come allievo di Zenone anche da Ippolito (in 4.4) e nelle successioni dei filosofi (cfr. 0.8.1-4); viene presentato come allievo di Parmenide in una successione (cfr. 0.8.5); viene presentato come allievo di Melisso da Tzetzes (cfr. 0.2.4 e 0.2.4.2). Giamblico (in 0.1.3) lo pone in un rapporto assai stretto, sia cronologico che dottrinale, con Pitagora, senza riscontri in alcun’altra fonte. 3 Apollodoro di Atene, letterato (detto ‘‘grammatico’’ in D.L. VIII 52), autore anche della Bibliotheca (raccolta di racconti mitologici pervenutaci, ma in una versione non sua). L’opera citata qui e in IX 41, cioe` Cronikav, e` organizzata cronologicamente, ma rendere il suo titolo in italiano con Cronologia potrebbe fare pensare che riporti solo informazioni cronologiche.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
Coloro che vennero da questa scuola [scil. quella pitagorica], e in particolar modo i piu` antichi, appartenenti al tempo suo,4 che da giovani furono discepoli di Pitagora ormai anziano, {cio`e} Filolao ed Eurito e Caronda e Zaleuco e Brisone e Archita il Vecchio e Aristeo e Liside ed Empedocle e Zalmosside ed Epimenide e Milone, poi Leucippo e Alcmeone e Ippaso e Timarida e tutti quelli ad essi prossimi, una schiera di uomini illustri ed eccelsi, tenevano le loro discussioni e i loro incontri per conversare e componevano le loro memorie, le loro notazioni, i loro scritti e pubblicazioni – la gran parte dei quali si e` conservata fino ai nostri tempi – non in un eloquio comune e pubblico, a tutti gli altri abituale, in modo che fossero immediatamente comprensibili agli ascoltatori, ma, conformemente alla norma del silenzio sui misteri divini per essi stabilita da Pitagora, usavano modi di espressione incomprensibili ai non iniziati e nascondevano sotto i simboli il senso delle loro discussioni o dei loro scritti.
B. VITA
DI
DEMOCRITO
E CRONOLOGIA
0.2.1. Diogene Laerzio IX 34-43 5 (= 68 A 1; 34-36, omiss. = XI Lu.; 34-35 = 159; 35 = XVII; 36 = XIII, XXIV; 37 = XXV; 38 = XIII, 154; 39 = XXVI, XXVIII, XXXII, XLIX; 40 = LXXX; 41-42 = I; 42 = XXXVI, LXIX, 159; 43 = LIII): [Quanto segue costituisce la parte sulla vita del cap. 7 dedicato a Democrito.] Democrito, figlio di Egesistrato, ma altri dicono di Atenocrito, altri ancora di Damasippo,6 Abderita 7 oppure, come alcuni sostengono, Milesio. Costui fu istruito da alcuni Magi e Caldei, che il re Serse aveva lasciati a suo padre come precettori, dopo che era stato suo ospite, come narra anche Erodoto.8 Da costoro egli, essendo ancora fanciullo, apprese quanto concerne la teologia e l’astrologia. Successivamente si incontro` con Leucippo 9 e, secondo alcuni, con Anassagora, di cui era quarant’anni piu` giovane. Favorino,10 nella Storia Varia, dichiara che Democrito diceva, riguardo ad Anassagora, che le opinioni {da questi sostenute} circa il sole e la luna non erano sue, ma antiche, e che egli se ne era appropriato.11 (35) Faceva Sempre di Pitagora. Alcuni brani dei §§ 38, 35, 39 (in questa successione) sono riprodotti nel cap. 23 su Democrito, parte iniziale, del De viris illustribus librum attribuito ad Esichio Milesio. 6 Di questi nomi attribuiti al padre quello piu ` frequente e` Damasippo (cfr. Ippolito in 0.2.3, Eliano in 0.3.19, Teodoreto in 5.2). 7 Viene costantemente presentato come proveniente da Abdera in numerose testimonianze che lo riguardano (compresi Stefano di Bisanzio in 0.2.12 e Simplicio, basandosi su Teofrasto, in 3, ma gia` Aristotele in Meteor. 365a19 [= 87.2], in De caelo 303a4 [= 20.1], e in altri tre passi), con l’eccezione di Sozomeno per palese confusione con Ippocrate (cfr. infra, 0.3.22.2, con n. 76). 8 Cfr. Erodoto, Historiae VIII 120, che tuttavia non contiene tutti questi dettagli. 9 La precisazione che egli e ` discepolo di Leucippo e` frequente (p. es. 0.2.2 [447], 0.2.4, 0.2.4.2, 3 [28.15], 9.5 [33], 10.1, inizio [vedi Quadro sinottico]). 10 Favorino di Arelate (il brano che segue e ` riprodotto come fr. 44 nell’ed. Mensching, come fr. 76 nell’ed. Barigazzi). 11 Nel caso del riconoscimento che la luce della luna e ` riflessa (per il quale cfr. 59 B 18 DK) questa critica nei confronti di Anassagora compare anche in Platone, Cratilo, 409A-C (= 59 A 76). 4 5
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
a pezzi anche i suoi contributi circa l’ordinamento cosmico e circa l’Intelletto,12 essendo ostile nei suoi confronti, poiche´ questi non l’aveva accettato {come suo allievo}.13 Com’`e che, allora, secondo alcuni, ne fu l’ascoltatore? Demetrio 14 negli Omonimi e Antistene 15 nelle Successioni raccontano che egli si reco` anche in Egitto, per apprendere la geometria dai sacerdoti, e fu in Persia dai Caldei e al Mar Rosso. Alcuni raccontano che avrebbe avuto rapporti con i Gimnosofisti in India e che sarebbe andato in Etiopia. Come terzo fratello, distribuı` il patrimonio, e la maggior parte {delle fonti} racconta che scelse per se´ la porzione minore, cioe` quella in denaro, avendone bisogno per i suoi viaggi – e questo essi [scil. i suoi fratelli] avevano astutamente sospettato. (36) Demetrio dichiara che la parte che gli tocco` superava i cento talenti, che egli spese per intero; racconta pure che era cosı` laborioso che dal giardino che circondava la casa paterna aveva ricavato un piccolo ambiente in cui si chiudeva, e che una volta suo padre condusse un bue per il sacrificio e lo lego` proprio l`a, senza che lui se ne accorgesse per parecchio tempo, finche´ quello lo fece chiamare e levare in piedi per il sacrificio e gli narro` del bue. A quanto pare, egli [scil. Demetrio] dice, venne ad Atene e non si preoccupo` di farsi conoscere, disprezzando la fama; e conobbe Socrate restando a lui ignoto. Come disse: «venni ad Atene e nessuno mi riconobbe». (37) Se I rivali d’amore sono opera di Platone – afferma Trasillo – egli potrebbe essere quell’anonimo sopravvenuto,16 diverso dai seguaci di Enopide e di Anassagora, che nella conversazione con Socrate discorre di filosofia, e per il quale, egli dice, il filosofo e` simile al pentatleta; ed egli [scil. Democrito] in filosofia fu veramente come un pentatleta: ebbe pratica non soltanto di fisica e di etica, ma anche di matematica e di studi generali, ed ebbe la piu` completa esperienza delle arti.17 Di questi e` anche il detto che «il discorso e` l’ombra dell’opera».18 Demetrio di Falero, nell’Apologia di Socrate, dichiara invece che egli non venne mai ad Atene. E questo sarebbe anche piu` notevole {che l’esserci venuto senza farsi conoscere}, se egli mostro` disdegno per una citt`a tanto importante, non volendo acquisire fama dal luogo {di residenza} ma conferire fama al luogo con la sua preferenza {per esso}. 12 Probabilmente il senso e ` : circa il costituirsi dell’ordine del mondo (diakovsmhsi") ad opera dell’Intelletto (nou=") e circa il ruolo di quest’ultimo in tale processo. Sul ruolo ad esso attribuito da Anassagora cfr. 59 B12 e A 42, 46, 47, 48, 55 DK. 13 C’e ` un’evidente contraddizione fra questa testimonianza e quella dello stesso Diogene Laerzio in II 14 (= 0.8.8), presumibilmente perche´ almeno il secondo passo contiene un errore (giudico poco persuasivo il tentativo di M. NARCY, in Dioge`ne Lae¨rce, Paris 1999, p. 222, n. 1, di interpretarlo in modo da eliminare la contraddizione). 14 Demetrio di Magnesia, la cui opera ha il titolo completo (come risulta dal riferimento nello stesso Diogene Laerzio, I 112): Dei poeti e degli scrittori omonimi (il brano che segue immediatamente e quello nel § 36 sono riprodotti come fr. 29 nell’ed. Mejer, mentre il brano nel § 40 e` riprodotto come fr. 30). 15 Antistene, probabilmente da identificare con lo storico proveniente da Rodi; il titolo completo della sua opera (come risulta dal riferimento nello stesso Diogene Laerzio, II 39) e`: Successioni dei filosofi (il brano che segue e` riportato come fr. 12 nell’ed. Giannatasio Andria, quello nel § 38 come fr. 13, quello nel § 39 come fr. 14). 16 Cfr. Amatores, 135B. 17 H.S. LONG , nella sua ed. di Diogene Laerzio (Vitae philosophorum, Oxford 1964), R.D. HICKS nella sua (Lives of Eminent Philosophers, London 1925) e altri ancora, trattano il passo come una citazione letterale di Trasillo. Il pezzo finale (da ‘‘ebbe pratica’’ fino al ‘‘il detto ...’’) coincide con la voce ‘‘pentatleta’’ nella Suda, cfr. piu` oltre, 0.2.1.1. 18 Lo stesso detto viene riportato da Plutarco (cfr. 164.1).
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(38) Quale egli fosse risulta anche dai suoi scritti. A quanto pare – dice Trasillo – egli era stato emulo dei Pitagorici; anzi, egli fa menzione dello stesso Pitagora, mostrando ammirazione per lui nello scritto omonimo.19 Sembra che avesse tratto tutto da questi e potrebbe essere stato suo alunno, se la cronologia non si opponesse.20 In ogni caso, che egli avesse ascoltato qualcuno dei Pitagorici lo dice Glauco di Reggio,21 che era stato suo contemporaneo; anche Apollodoro di Cizico 22 afferma che egli ebbe dei rapporti con Filolao. Antistene riferisce che egli cercava di mettere alla prova in vari modi le apparizioni,23 talvolta stando in solitudine e indugiando fra le tombe. (39) Riferisce pure che, tornato dai suoi viaggi, viveva in modo assai misero, perch´e aveva speso tutto il patrimonio; e per la sua povert`a era sostentato dal fratello Damaso. Per avere previsto alcuni eventi futuri divenne celebre, e quindi dai piu` fu ritenuto degno di onori divini. Essendoci una legge per la quale chi aveva consumato i beni paterni non poteva ricevere l’onore della sepoltura in patria, come riferisce Antistene, egli, essendosene accorto, per non dover essere sottoposto a rendiconto per opera di certi invidiosi e sicofanti, lesse ad essi [scil. ai compatrioti] il Grande sistema del mondo, che viene prima di tutti i suoi scritti, e fu onorato con cinquecento talenti; non solo, ma anche con statue di bronzo; e quando morı` ebbe un funerale pubblico, avendo vissuto oltre cent’anni. (40) Demetrio pero` riferisce che furono i suoi parenti a leggere il Grande sistema del mondo, e che fu onorato con soli cento talenti; anche Ippoboto 24 riferisce gli stessi dati. Aristosseno 25 nelle sue Annotazioni storiche racconta che Platone volle bruciare tutte le opere di Democrito che pot`e raccogliere, ma che i Pitagorici Amicla e Clinia lo dissuasero, in quanto cosa priva di utilit`a: i libri erano ormai presso molti. Ed e` chiaro: Platone, che pure menziona praticamente tutti i {pensatori} antichi, non menziona Democrito da nessuna parte, neppure la` dove avrebbe dovuto contraddirlo; 26 evidentemente era consapevole che il confronto sarebbe stato col migliore dei filosofi – colui che anche Timone 27 ha lodato a questo modo: ‘‘Tale e` il saggio Democrito, pastore di parole,28| conversatore versatile,29 che io riconobbi tra i primi’’. 19 Quello intitolato Pitagora, che e ` il primo dei titoli nel catalogo di Trasillo riportato da Diogene Laerzio (cfr. 0.6.1). 20 Tutto questo pezzo, a cominciare da ‘‘A quanto pare’’, e ` trattato come una citazione letterale da Long, da Hicks, e da altri. ` l’autore di un libro Sui poeti e musici antichi che viene citato in [Plutarco], De musica, cap. 4. 21 E ` l’autore democriteo che viene menzionato da Clemente Ales., Strom. II 21, 130 (5) 22 E [= 132.1 + n. 1049 ad loc.], e al quale fa riferimento Plinio, Nat. hist. XXIV 167 (= 0.8.20). 23 Cioe ` , presumibilmente, le immagini, i fantasmi (cfr. 0.5.9), in greco fantasivai. 24 Autore noto solo per i riferimenti dello stesso Diogene Laerzio, cfr. I 19 e 42. 25 Aristosseno di Taranto (quanto segue, fino a ‘‘il migliore dei filosofi’’, e ` riportato come fr. 131 nell’ed. di F. WEHRLI (Aristoxenos, Texte und Kommentar, Basel 1967), ma forse ‘‘Ed e` chiaro ...’’ non dipende piu` dalla stessa fonte). Il racconto per Wehrli (nel suo comm. al passo) e` un’invenzione (Erfindung) che ha il suo pendant nel racconto che Platone si sarebbe impadronito dell’opera di Filolao. 26 Il silenzio di Platone e ` rilevato da Diogene Laerzio (non e` chiaro se seguendo Aristosseno) anche in III 25 (cap. 1 su Platone), come segue: ‘‘essendo stato il primo ad opporsi praticamente a tutti i suoi predecessori, ci si domanda perche´ mai egli non abbia menzionato Democrito’’. 27 Timone di Fliunte, autore dei Silli (quello che segue viene riportato come fr. 46 nell’edizione di M. DI MARCO, Roma 1989). 28 Probabile riecheggiamento della denominazione «pastore dei popoli» applicata ad Agamennone in Omero (cfr. Iliade I 263, II 243 e 254); forse anche ‘‘riconoscerlo tra i primi’’ richiama Iliade
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(41) Quanto alla sua cronologia,30 come egli stesso dichiara nel Piccolo sistema del mondo, era giovane quando Anassagora era vecchio, e di lui era quarant’anni piu` giovane. Egli dichiara pure che il Piccolo sistema del mondo era stato da lui composto settecentotrenta anni dopo la presa di Ilio. Sarebbe nato, come {attesta} Apollodoro nelle sue Cronache, nella ottantesima Olimpiade; invece secondo Trasillo, nel suo scritto intitolato Introduzione alla lettura dei libri di Democrito, {sarebbe nato} nel terzo anno della settantasettesima Olimpiade, essendo (dice) piu` vecchio di un anno di Socrate.31 Sarebbe allora contemporaneo di Archelao, discepolo di Anassagora, e dei seguaci di Enopide; e di questi 32 in effetti fa menzione. (42) Fa menzione anche della dottrina dell’uno di Parmenide e di Zenone (e dei loro), in quanto erano {i pensatori} piu` rinomati al suo tempo, e dell’Abderita Protagora, del quale si ammette che fu contemporaneo di Socrate. Atenodoro,33 nell’ottavo libro delle sue Passeggiate filosofiche, racconta che, essendo venuto Ippocrate da lui, egli fece portare del latte, e, osservato il latte, disse che era di un capra di primo parto e nera, donde l’ammirazione che Ippocrate ebbe per la sua precisione. Ma {si racconta 34} anche di una fanciulla che accompagnava Ippocrate, alla quale egli il primo giorno si rivolse con un: «salute, fanciulla», il giorno successivo con un: «salute, donna»; la fanciulla in effetti durante la notte era stata deflorata.35
IV 341. Per via di questi richiami, ma anche della simpatia che gli scettici mostravano per la posizione di Democrito, qui sicuramente presentato come un saggio, e del fatto che Diogene Laerzio presenta i versi che cita come un elogio, non credo che il passo contenga l’ironico giudizio negativo (‘inventore di miti’, ‘ambiguo chiaccherone’) che altri studiosi (compreso Di Marco nel suo comm.) vi riscontrano. 29 Rendo cosı` ajmfivnoo", che prendo come indicante il possesso di una visione comprensiva delle cose (perche´ viste da piu` parti), non come indicante un atteggiamento ambiguo (J.-P. DUMONT, Les e´coles pre´socratiques, Paris 1991: ‘‘le bivalent causeur’’; J. BRUNSCHWIG, Dioge`ne Lae¨rce, Paris 1999: ‘‘disputeur a` l’esprit bipartite’’). Quanto a leschvn (‘‘conversatore’’, hapax) non deve avere un senso negativo, cfr. l’uso di levsch in Erodoto IX 71, 3, e di leschneuvw p. es. in Ippocrate, De morbis I 19, Prorrh. 2, 4. R. BETT, Pyrrho, Oxford 2000, pp. 156-160, pur accogliendo l’altra interpretazione dell’espressione (da lui resa con ‘two-minded discusser’), da` ad essa un senso dottrinale positivo (concernente l’epistemologia), come da` un senso positivo al resto (da lui reso con ‘‘very thoughtful shepherd of discourses’’). 30 Sulla sua cronologia assoluta si vedano alcune testimonianze che seguono, di attendibilita ` piuttosto incerta (sicuramente non attendibili sono Eusebio in 0.2.10 e Sincello in 0.6.12). Riferimenti alla cronologia relativa di Democrito si trovano in Arist., Part. anim. I 1 (= 1.1), Metaph. XIII 4 (= 1.3), Meteor. 365a16 sgg. (= 87.2), e in Cicerone, Ac. Post. I 44 (= 61.4), Fin. V 88 (= 133.3). 31 La prima data corrisponde agli anni 460-57, la seconda all’anno 470/69. Sull’attendibilita ` di queste date, e su come calcolare la data riguardante la composizione del Piccolo sistema del mondo, c’e` controversia fra gli studiosi. 32 Di Enopide, come intendono vari traduttori di Diogene Laerzio come Hicks e Gigante? Non c’e` nessuna conferma. (In DK questo brano viene riportato come test. 3 su Enopide [41], ma con un punto interrogativo.) Reiske propone una correzione (‘‘di costoro’’) per la quale Democrito avrebbe fatto menzione di tutti i pensatori citati nel testo. 33 Autore noto solo per questo e altri simili riferimenti in Diogene Laerzio. Quanto segue sono manifestamente alcuni aneddoti. 34 O racconta sempre Atenodoro. 35 Lo stesso aneddoto, con piu ` dettagli (per es. che la deflorazione venne inferita dal modo di camminare della donna) e con delle variazioni, viene riferito di Ippocrate in una tradizione popolare raccolta all’inizio del secolo scorso (cfr. J. JOUANNA, Hippocrate, Paris 1992, pp. 64-65).
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(43) Quanto al modo della sua morte, Ermippo 36 racconta come fu: era gia` molto vecchio quando fu sul punto di trapassare; e la sorella era addolorata per il fatto che egli stesse per morire proprio durante le feste Tesmoforie ed essa stessa non potesse adempiere al dovere verso la dea; ma egli le disse di avere coraggio e ordino` che ogni giorno gli fossero portati dei pani caldi, e, accostando questi alle narici, riuscı` a superare la festa; ma quando furono trascorsi i giorni {di festa}, che erano tre, abbandono` la vita senza dolore, come riferisce Ipparco,37 avendo vissuto centonove anni.38 E` questo l’epigramma che composi per lui nel mio Libro di metri di ogni sorta: «E chi fu mai cosı` sapiente, chi porto` a compimento un’opera cosı` grande, come quella che compı` Democrito che di tutto ebbe conoscenza? Egli che, quando la Morte fu presente, la trattenne per tre giorni a casa sua e le diede ospitalit`a con l’odore di pani riscaldati». Tale fu la vita dell’uomo. (44)-(45) Sono queste le sue dottrine ... [= 4.1] I suoi libri ... (46-49) [= 0.6.1] Ci sono stati sei Democriti: primo questo nostro, secondo ...
0.2.1.1. V. Suda (Lexicon), s.v. pevntaqlo" ( 971) [IV 84.17-19]: Pentatleta: l’Abderita Democrito: ebbe pratica di fisica, di etica, di matematica e di studi generali, ed ebbe la piu` completa esperienza delle arti. Di questi e` anche il detto che «il discorso e` l’ombra dell’opera».
0.2.2. Suda, s.v. Dhmovkrito" ( 447-48) [II 44.5-32] (447 = 68 A 2; XIX, XXX e 163 Lu.; 448: om. DK e Lu.): Democrito di Egesistrato (altri dicono di Atenocrito o di Damasippo), nato al tempo in cui {nacque} anche il filosofo Socrate {, cioe`} nell’Olimpiade settantasettesima – ma altri dicono che nacque nell’ottantesima Olimpiade.39 Di Abdera, in Tracia, filosofo, secondo alcuni fu discepolo di Anassagora e di Leucippo, secondo altri anche dei Magi e dei Caldei della Persia; si reco` in effetti in Persia e in India e in Egitto, ed acquisı` la sapienza di ogni luogo; poi rientro` a casa e visse insieme ai fratelli Erodoto e Damaste; ebbe un ruolo di governo ad Abdera, tenuto in onore per la sua sapienza; il suo discepolo Metrodoro di Chio divenne illustre, e di questi a loro volta furono gli ascoltatori Anassarco e Ippocrate, il medico.40 Democrito fu denominato Sapienza e il ridente, per il suo ridere del fatto che gli uomini prendono sul serio il nulla. Suoi libri autentici sono due: il Grande sistema del mondo e Sulla natura del mondo; scrisse anche delle Epistole. 36 Ermippo di Smirna, letterato, autore di Vite (cfr. D.L. I 33, II 13, V 2). L’aneddoto in questa forma ricorre presso l’Anonimo Londinese (infra, 0.4.1) e pare ricamare sulla teoria democritea degli ‘‘efflussi’’. 37 Presumibilmente il pitagorico cui fa riferimento Giamblico, Vita Pythagorica, 75, e al quale e ` attribuito uno scritto Peri euthumias (un pezzo di questo e` riportato da Stobeo, Ecl. IV 108, 81 [= 68 C 7]), a meno che non ci sia stato uno storpiamento del nome di Archippo (cfr. H. THESLEFF (ed.), The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, A˚bo 1965, pp. 88-89). 38 La tarda eta ` raggiunta al momento della sua morte e` attestata anche, fra gli altri, da Ps.-Luciano (cfr. 0.4.4) e da Censorino (cfr. 0.2.7). 39 Cioe ` entro gli anni 472-69 oppure 460-57. 40 Manifestamente questa informazione circa Ippocrate e ` erronea, come aveva gia` rilevato il Diels (in DK), tentando di offrire una spiegazione dell’errore.
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(448) Democrito: Che Democrito di Abdera non si reco` ad Atene, ma mostro` disdegno per tale citta`, non volendo acquisire fama dal luogo ma conferire fama al luogo con la sua preferenza {per esso}. Che essendosi recato Ippocrate da Democrito {questi} ordino` di portare del latte e, osservato il latte, disse che era di una capra di primo parto e nera; e la sua precisione fu ammirata da Ippocrate. Ma anche la fanciulla che era venuta con Ippocrate il primo giorno la saluto` cosı`: ‘‘salute, fanciulla!’’, il giorno successivo: ‘‘salute, donna!’’ La fanciulla durante la notte era stata deflorata. Era diventato ormai vecchio al punto di trapassare, e la sorella era addolorata per il fatto che egli stesse per morire durante le Tesmoforie ed essa non potesse adempiere al dovere verso la dea; egli le disse di avere coraggio e diede ordine che gli si portassero dei pani caldi ogni giorno: accostando questi alle narici riuscı` a superare la festa; quando furono passati i giorni, che erano tre, abbandono` la vita senza dolore.41
0.2.3. Ippolito, Refutatio omnium haeresium I 13, 1, 2 e 4 (= 68 A 40; XVIII Lu.; Dox. 565): (1) Democrito e` stato scolaro di Leucippo. Democrito di Abdera, figlio di Damasippo, venne a contatto con molti: con i Gimnosofisti in India, con sacerdoti in Egitto e con astrologhi e Magi in Babilonia. (2) Parla in modo simile a Leucippo circa gli elementi ...[= 4.5] (4) ... Costui rideva di tutto, come se ritenesse degno di riso tutto quanto concerne gli uomini.
0.2.4. Tzetzes, Chiliades II, vv. 982-1000, III, vv. 1-3 (983 = 67 A 5; 153 Lu.): Democrito Abderita, figlio di Egesistrato, | discepolo di Leucippo, {a sua volta} discepolo di Melisso, | da filosofo genuinamente {tale} avente retta conoscenza di tutte le cose | derideva sempre la vanita` della vita. | Gli Abderiti ritenendo che l’uomo fosse afflitto da melancolia, | inviati doni per dieci talenti ad Ippocrate, | supplicarono il medico di Co di venirlo a curare. | Il medico, avendo intrapreso il viaggio per mare anche indipendentemente dai denari, |990| vedendo lo stesso Democrito torno` di nuovo indietro | come se egli stesso fosse stato curato piuttosto che aver curato lui, | rendendo grazie a tutti gli Abderiti | perch´e mediante essi aveva conosciuto un uomo tanto saggio.42 | Di questo Democrito dunque, che risulto` essere sapiente in tutto, | raccontano che avesse compiuto infinite altre azioni straordinarie, | e appunto di aver trattenuto l’Ade per tre giorni interi | ospitandolo con i soffi caldi dei pani. | Molti parlano delle imprese dell’uomo e anche Ippocrate di Cos. | Un autore di epigrammi riporta per iscritto quella dell’Ade 43 |1000|: «E chi fu mai cosı` sapiente, chi porto` a compimento un’opera cosı` grande, come quella che compı` Democrito che di tutto ebbe conoscenza? Egli che, quando la Morte fu presente, la trattenne per tre giorni a casa sua e le diede ospitalita` con l’odore di pani riscaldati».
41 Notare che, in questa sezione, su vari punti c’e ` una coincidenza, anche nelle parole usate, con quanto troviamo in Diogene Laerzio, IX 37 e 42-43. 42 Per questo motivo della ‘‘visita medica’’ di Ippocrate cfr. la lettera X pseudoippocratica (in parte riportata come 0.3.10). 43 I versi sono quelli di cui Diogene Laerzio dichiara di essere l’autore (cfr. D.L. IX 43 [= 0.2.1]).
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0.2.4.1. Tzetzes, Chiliades IV, vv. 528-30 (om. DK e Lu.): [Si parla delle gesta straordinarie, come quella del porre fine ad una peste, che sono attribuite a sapienti come Pitagora e Talete ma anche a personaggi piu` recenti.] E prima di costoro Democrito, quel gran sapiente, | che coi soli soffi dei pani (se non particolarmente caldi) | ospito` per tre giorni l’Ade alimentandolo con essi.
0.2.4.2. Tzetzes, Chiliades XIII, vv. 79-83 (om. DK e Lu.): (Sull’amore degli Abderiti per Democrito.) Democrito di Abdera, figlio di Egesistrato, | discepolo di Leucippo, {a sua volta} discepolo di Melisso, | come fosse stato amato indicibilmente dagli Abderiti | e quale egli fosse, lo abbiamo scritto diffusamente in precedenza con i metri, | nella sessantesima prima delle prime storie.44
0.2.5. Aulo Gellio, Noctes Atticae XVII 21, 16 e 18 (om. DK; = III Lu.): [Il floruit di Democrito. Rientra in un resoconto storico dal seguente titolo: ‘‘In quali epoche dopo la fondazione di Roma e prima della seconda guerra punica fiorirono uomini illustri, greci e romani’’.] Successivamente [= nel 430] ebbe inizio in terra greca la grande guerra del Peloponneso, che e` stata tramandata da Tucidide ... (18) In questo periodo furono illustri e celebri Sofocle e poi Euripide come poeti tragici, Ippocrate come medico e Democrito come filosofo, ai quali Socrate di Atene fu alquanto posteriore nella nascita, ma praticamente loro contemporaneo nella vita.
0.2.6. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica XIV 11, 5 (= 68 A 5; VI Lu.): [Data della morte di Democrito, registrata nella cronistoria degli eventi dell’anno 404, dopo la vittoria di Sparta su Atene.] Intorno allo stesso periodo Democrito il filosofo morı` all’eta` di novant’anni.
0.2.7. Censorino, De die natali 15, 3 (= 68 A 6; XLVIII Lu.): [Durata della vita di Democrito, uno degli esempi di persone che sono pervenute ad un’eta` molto tarda, superando l’arco normale della vita umana.] Democrito di Abdera e il retore Isocrate, dicono, pervennero quasi all’eta` di Gorgia di Lentini, che fu chi divento` piu` vecchio in tutta l’antichita` e del quale si ammette che visse oltre cent’otto anni.
0.2.8. Cirillo, Contra Julianum I 15, 521B (= 68 A 4): a) nascita: Si dice che nella settantesima olimpiade 45 nacquero Democrito ed Anassagora, filosofi fisici, e contemporaneamente anche Eraclito, denominato l’oscuro. Il riferimento e` al passo che ho riportato come 0.2.4. Cioe` entro gli anni 500-497. Ma in un’altra lezione del testo abbiamo ‘‘ottantesima olimpiade’’, e questa ha piu` riscontri in altre fonti (cfr. 0.2.1, § 41 e 0.2.2, 447). 44 45
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b) floruit: Si dice che nella ottantaseiesima olimpiade (= 436-433) furono conosciuti 46 Democrito di Abdera, Empedocle, Ippocrate, e Prodico, Zenone e Parmenide.
0.2.9. Eusebio Chronica, 100, 106, 110: 47 b1) floruit (67a Olimp.): Democrito di Abdera filosofo naturalista ed Eraclito detto l’oscuro e Anassagora naturalista fiorirono. b2) floruit (87a Olimp.): allora furono conosciuti Democrito filosofo naturalista e i filosofi Empedocle di Agrigento e Zenone e Parmenide, e il medico Ippocrate di Cos. c) morte (95a Olimp.): Democrito morı` dopo aver vissuto cent’anni.
0.2.10. Eusebio, Praeparatio evangelica X 9, 24 (590.8-10): Intorno alla cinquantesima Olimpiade [580-578] Pitagora, Democrito e i loro e i filosofi del tempo successivo acquisirono un nome, in prossimit`a alla cinquecentesima stagione dopo la guerra di Troia.
0.2.11. Suda, s.v. Provdiko" ( 2365) [IV, 201.23-25] (= Scholium in Platonis De republica 600 C, 421.15-17) 48 (rifer. in 84 A 1): Prodico: di Ceo, filosofo fisico, contemporaneo di Democrito di Abdera, discepolo di Gorgia e di Protagora.
0.2.12. Stefano di Bisanzio, Ethnica, s.v. Abdhra [ [I, 5.14-17] (om. DK e Lu.): Abdera, sono due citta`. L’una e` della Tracia, denominata {cosı`} da Abdero, figlio di Erme e amasio di Eracle, che i cavalli di Diomede sbranarono, come riferiscono Ellanico e altri.49 Da questa citta` proviene anche Democrito il filosofo.
C. LA
FIGURA DI
DEMOCRITO
NELLA TRADIZIONE
1. Il riso 50 0.3.1. Seneca, De ira II 10, 5 (om. DK; LXII Lu.): [Nel contesto viene affermato che provare ira e` insensato e pertanto non si addice al sapiente.] 46 Questa traduzione richiede una correzione del testo (confermata da 0.2.9, b2), che altrimenti parlerebbe della loro nascita. E` superfluo rilevare che sono messi insieme pensatori con cronologie piuttosto differenti. 47 Varianti di questi passi si trovano nella versione armena e presso Geronimo. 48 Quest’altro brano presenta qualche variante che non riguarda la contemporaneita ` fra Prodico e Democrito. 49 La storia e ` riferita da Apollodoro, Bibliotheca II 5, 8; cfr. anche il passo di Taziano riportato come 0.6.10. 50 Per altri riferimenti al riso di Democrito (oltre a quelli presenti in sez. 2) cfr. Suda V 447 (= 0.2.2), Ippolito Refut. I 13, 4 (= 0.2.3), Ermia Irris.13 (= 5.7), Cicerone De divin. II 13, 30 (= 111.4). Inoltre ci sono allusioni in Luciano, De sacrificiis §15 e Peregrinus §§ 7 e 45.
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Eraclito, ogni volta che usciva e vedeva intorno a s´e tante persone che male vivevano, anzi male morivano, piangeva, aveva compassione di tutti quelli che gli andavano incontro lieti e soddisfatti, con animo invero mite ma troppo debole: lui stesso era fra quelli da compiangere. Per contro Democrito, dicono, non si trovo` mai fra la gente senza ridere: a tal punto nulla a lui sembrava serio, di cio` che veniva fatto in modo serio. Ci puo` essere posto per l’ira l`a dove tutto e` da ridere o da piangere?
0.3.2. Seneca, De tranquillitate animi 15, 2 (om. DK; LXII Lu.): [Nella prima sezione viene espressa deplorazione per il fatto che fra gli uomini prevalgono gli atteggiamenti e comportamenti viziosi.] Bisogna che a questo noi ci pieghiamo, in modo che tutti i vizi della gente ci appaiano non odiosi ma ridicoli, e imitiamo Democrito piuttosto che Eraclito. Costui infatti, ogni volta che usciva in pubblico, piangeva, l’altro rideva, a costui tutto cio` che facciamo sembrava cose di cui affliggersi, a quello sciocchezze. Bisogna dunque alleggerire l’importanza di ogni cosa e sopportarla con animo indulgente: e` piu` proprio dell’uomo fare della vita oggetto di riso che di lamento.
0.3.3. Sozione, Peri; ojrgh=" libro II, presso Stobeo, Florilegium III 20, 53 (= 68 A 21; LXII Lu.): 51 Nei sapienti, invece dell’ira: ad Eraclito venivano le lacrime, a Democrito il riso.
0.3.4. Luciano, Vitarum auctio 13 (trad. Longo) (om. DK; = LXVI Lu.): [Di seguito al rifiuto dell’acquisto della vita di Aristippo, perche´ il compratore non vuole avere una vita tutta dedita al piacere:] ZEUS. Levala di qua e presentane un’altra ... o meglio queste due, quella che ride, di Abdera, e quella che piange, di Efeso; voglio che siano vendute insieme. – ERMES. Scendete voi due nel mezzo. Vendo le due vite migliori, mettiamo all’incanto le due piu` sapienti. – COMPRATORE. O Zeus, quale contrasto! Uno non cessa di ridere, l’altro sembra che pianga un morto. Ehi tu! cos’e` questo? Perche´ ridi? – DEMOCRITO. Me lo domandi? Perch´e mi paiono ridicole tutte le vostre cose, cosı` come voi stessi. – COMPR. Come dici? Deridi tutti noi e non tieni in nessun conto le nostre cose? – DEM. E` cosı`: in mezzo ad esse non ce n’e` una seria, ma tutto e` vuoto e movimento e infinita` di atomi.52 [Segue analogo colloquio con Eraclito che piange.]
0.3.5. Orazio, Epistula II i, v. 194 (= 68 A 21; LXII Lu.): Democrito avrebbe di che ridere se fosse in terra {nell’osservare l’interesse della gente per gli spettacoli piu` vari}.
51 52
E` dichiaratamente un estratto dall’opera di Sozione, limitato a questo periodo. Oppure: movimento di atomi e infinita`.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.3.6. Cicerone, De oratore II 58, 235 (= 68 A 21; LXI Lu.): [Intervento di Cesare riguardante il riso, iniziando con la precisazione che il tema si articola in cinque questioni. La prima questione, che cosa sia il riso, sembra riguardarlo come fenomeno psicofisico.] Quanto al primo punto, che cosa sia il riso stesso ... se la veda Democrito.
0.3.7. Giovenale, Satura X, vv. 28-30, 33-34 e 47-53 (33 e 47-50 = 68 A 21; 33 e 47-55 = LXIV Lu.): Dunque non loderai ora cio` di cui l’uno dei due sapienti [scil. Democrito] | rideva, ogni volta che metteva il piede | fuori di casa, mentre l’altro [scil. Eraclito] al contrario ne piangeva? ... (33) Democrito soleva fare agitare il suo petto da un riso perpetuo, | quantunque nelle citta` di allora non ci fossero toghe e trabeate, ne´ fasci, ne´ lettighe o tribunali ... (47) Anche allora trovo` argomento di riso ad ogni | passo l’uomo la cui saggezza mostra | che uomini notevoli e capaci di lasciare grandi esempi possono | nascere anche nella patria dei castroni e sotto un’aria pesante. | Rideva delle preoccupazioni non meno che delle gioie del volgo, | talvolta fino alle lacrime, mandando egli stesso la fortuna minacciosa | a farsi impiccare e mostrandole {a scherno} il dito medio.
0.3.8. Eliano, Varia historia IV 29 [I 72.4-10] (om. DK; = LXV Lu.): Non posso credere che io stesso non riderei di Alessandro figlio di Filippo quando, nell’udire che Democrito aveva detto nei suoi scritti che i mondi sono un’infinit`a, si afflisse per il fatto di non dominarne neppure uno, quello {a noi} comune; 53 quanto avrebbe riso di lui Democrito stesso, che bisogno c’e` di dirlo, quando questo {il ridere} era la sua occupazione.
0.3.9. Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 14 (om. DK; = LXVI Lu.): [Apollonio si difende dall’accusa di avere praticato sacrifici di sangue, proponendo possibili risposte alla domanda su che cosa stesse facendo nella notte incriminata:] Se mi poni la domanda come ad un filosofo, {rispondo} che stavo lodando il riso di Democrito col quale egli deride tutti gli affari umani ...
2. Il riso e la follia 0.3.10. Ps.-Ippocrate, Epistula X [IX, 320-22 (56.4-14 S.)] (320: om. DK; = XIII e LXIII Lu.; 322: un brano come 68 C 2 e altro brano come 6 Lu.): [E` una lettera, appartenente ad un epistolario tardivo incluso nel Corpus Hippocraticum, che si suppone rivolta dagli Abderiti ad Ippocrate per sollecitarlo a venire ad Abdera per curare Democrito liberandolo dalle stranezze di comportamento da loro notate.]
53
Cfr. quanto viene raccontato di Anassarco sotto 0.8.19.1 e di Aristotele sotto 0.8.19.2.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
... Passa l’intera vita dimentico di tutto e in primo luogo di se stesso, rimanendo desto di notte e di giorno,54 ridendo di ogni cosa, grande o piccola che sia, perche´ la giudica un niente: 55 uno si sposa, un altro si dedica ai commerci, questi fa l’oratore, quello ha una carica pubblica, o va in ambasceria, o si fa eleggere,56 o si ammala, o viene ferito (322), o muore, e lui ride di tutto, vedendo gli uni tristi ed afflitti, e gli altri che gioiscono. L’uomo poi e` alla ricerca delle cose nell’Ade 57 e queste le mette per iscritto e dice che l’aria e` piena di simulacri e ascolta il cinguettio degli uccelli e, levandosi spesso di notte, pare che, tutto solo, canti dolcemente delle arie; e talvolta afferma di viaggiare nell’infinito e che ci sono innumerevoli Democriti simili a lui; e vive deperito nel colore come anche nella mente.
0.3.11. Eliano, Varia historia IV 20 [I 69.21-31] (di seguito a 0.3.19) (om. DK; = LXV Lu.): Gli Abderiti chiamavano Democrito ‘Filosofia’, Protagora ‘Discorso’. Democrito rideva di tutti e diceva che essi erano folli, donde i concittadini lo chiamarono il ‘Ridente’. Gli stessi 58 raccontano che Ippocrate, al primo {loro} incontro, ricavo` l’impressione su Democrito che egli fosse folle; ma che, essendosi prolungato il contatto fra di essi, ammiro` l’uomo al massimo. Raccontano che Ippocrate, pur essendo un Dorico, per riguardo a Democrito redasse i suoi scritti in dialetto ionico.
0.3.11.1. Seneca, Epistula 79, 13 (rif. a p. 225, n.; = LXII Lu.): La gloria e` l’ombra della virtu`, che l’accompagnera` anche se non voluta. ... alle volte si mostra visibile davanti a noi, altre volte ci viene dietro, ed essa e` tanto piu` grande quanto piu` tardi arriva, una volta scomparsa l’invidia. Per quanto tempo Democrito fu preso per pazzo! 59
0.3.12. Ps.-Ippocrate, Epistula XVII [IX, 354, 356 (76.26-29, 78.1-9 S.)] (= 68 C 3): [La lettera si suppone rivolta da Ippocrate a Damagete. In essa il medico racconta del suo primo incontro con Democrito.]
54 W.D. SMITH , in Hippocrates, Pseudoepigraphic Writings, Leiden 1990, p. 57, traduce invece come segue (adottando una lezione diversa: kai; prima di provteron): ‘‘For, previously inattentive to everything, including himself, he is now constantly wakeful ...’’. 55 Si puo ` anche intendere diatelein= in modo assoluto (anziche´ assumere il costrutto diatelein= bivon, per il quale cfr. p. es. Platone, Resp. 411A), nel qual caso si dovrebbe tradurre cosı`: ‘‘Persevera nell’essere dimentico di tutto ...... perche´ giudica l’intera vita un niente’’. 56 Ometto, nel seguito immediato: ‘‘o si fa destituire (ajpoceirotoneitai)’’, che compare in un = solo codice. 57 Allusione al titolo dell’opera su questo tema (cfr. il titolo I.3 nell’elenco sotto 0.6.1). 58 Probabilmente non gli Abderiti ma le fonti cui Eliano allude all’inizio del passo (cfr. 0.3.19) e che rimangono anonime salvo Teofrasto. 59 Un’allusione alla follia attribuita a Democrito si trova anche in un commento anonimo ad Aristotele, Sophistici Elenchi 5, 167b1 sgg., 15.15-16 (om. DK; = XIII Lu.), inoltre ne parla Atenagora, Legatio pro Christianis, 31.2 (om. DK; = XXIX Lu.), che manifestamente dipende da qualche fonte tarda come lo stesso Seneca.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
‘‘Ma tu, o Democrito, accoglimi con un’ospitalit`a superiore,60 e in primo luogo esponi che cos’e` cio` che stai scrivendo.’’ (356) Egli, indugiando un po’, disse: ‘‘{Scrivo} sulla pazzia’’. ‘‘Per Zeus, re {degli dei}’’, dissi io, ‘‘scrivi ben a proposito in risposta alla citta`!’’ E lui: ‘‘Di quale citta` {parli}, o Ippocrate?’’. Ed io dissi: ‘‘Non e` niente, o Democrito, ma non so come mi e` sfuggita {quella parola}. Ma che cosa scrivi della pazzia?’’ ‘‘Che altro {posso scriverne}’’, disse, ‘‘se non che cosa essa sia, e in che modo nasca negli uomini, e in qual maniera la si possa calmare. Gli animali che tu vedi la`’’, disse, ‘‘non li seziono per odio all’opera divina ma a questo scopo: alla ricerca della natura e della sede della bile. Sai bene che e` essa, quando e` in eccesso, ad essere per lo piu` la causa della follia degli uomini, dal momento che e`, sı`, presente in tutti per natura, ma in quantita` minore presso alcuni e in quantita` maggiore presso altri; quando essa e` senza misura, le malattie si verificano, in quanto funge da materia talvolta benefica talvolta dannosa.’’
3. I suoi viaggi reali o con la mente, dei quali i primi resi possibili dalla consumazione dell’eredit`a 0.3.13. Cicerone, De finibus II 31, 102 (om. DK; ultime parole come XCVI Lu.): [Critica rivolta ad Epicuro, per la sua pretesa di essere celebrato dopo la morte in occasione dell’anniversario della sua nascita.] Colui che ci ha annunciato, come un oracolo, che non c’e` niente che ci riguardi dopo la morte, fissa cio` per testamento? Queste non erano pretese degne di colui che con la sua mente ha percorso mondi innumerevoli e spazi infiniti, dei quali non c’`e nessun bordo e nessuna estremit`a.61 Forse che Democrito aveva una pretesa del genere? Trascuro altri per menzionare l’unico del quale e` stato il seguace.
0.3.14. Cicerone, De finibus V 18, 49 / 19, 50 (50 = 68 A 13, XXI Lu.): Voler conoscere tutte le cose, quali che siano, e` desiderio dei curiosi; tuttavia lasciarsi condurre, mediante la contemplazione delle cose piu` grandi, al desiderio della scienza e` da giudicare proprio di uomini sommi [...]. (50) [...] Che dire di Pitagora? che dire di Platone o di Democrito? Vediamo che questi hanno visitato le terre piu` lontane per via del loro desiderio di apprendere. Coloro che non sanno vedere questo non hanno mai amato niente di grande e degno di essere saputo.
0.3.15. Orazio, Epistula I xii, vv. 12-13 (= 68 A 15; XXVII Lu): Ci meravigliamo perch´e il bestiame si nutre delle culture dei campi di Democrito, | mentre il suo animo e` lontano, rapido e senza corpo.
Si intende: a quella dimostrata da altri, appena menzionati. Probabilmente Cicerone si sta riferendo sempre ad Epicuro (non ancora a Democrito, anche se e` facile associarlo a questa presentazione, cfr. 0.3.15 e, dello stesso Cicerone, 0.4.7) e potrebbe avere in mente (come suggeriva J.N. MADVIG, Ciceronis De finibus, Kopenhagen 1876, p. 314, commentando il passo) quanto Lucrezio dice di Epicuro in De rerum natura I, vv. 72-72: ‘‘La forza vigorosa del suo animo ha trionfato: egli si e` spinto | ben oltre le fiammanti mura del mondo | e ha percorso con la mente e lo spirito tutta l’immensita` ...’’. 60 61
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.3.16. Filone di Alessandria, De vita contemplativa (2) 14 [VI 49.12-14] (= 68 A 15; XXVII Lu.): I Greci celebrano Anassagora e Democrito perch´e, presi dalla passione per la filosofia, hanno lasciato il loro patrimonio al pascolo del bestiame. Anch’io ammiro questi uomini che si sono mostrati superiori alle loro ricchezze, ma ... [dichiara nel seguito che superiore a questo e` l’atteggiamento di coloro che non trascurano le loro ricchezze ma le mettono a disposizione degli altri].
0.3.16.1. Eusebio, Demonstratio evangelica III 6, 22 (om. DK e Lu.): I figli dei Greci celebrano, facendo circolare {il suo nome} da qui a lı`,62 quell’uno che ha lasciato il proprio territorio al pascolo del bestiame a causa della filosofia: Democrito era questi per essi.63
0.3.17. Seneca, De providentia 6, 2 (om. DK e Lu.): [Contesto: non si puo` pretendere dalla provvidenza divina che si curi anche dei beni esteriori degli uomini buoni, ma essi stessi ci rinunciano volontariamente.] Democrito getto` via le ricchezze, stimandole un peso per una mente ben disposta.
0.3.18. Filone di Alessandria, De providentia II 13, 52 (= 68 A 14; XXIX Lu.): 64 A sua volta Democrito, altro caso [scil. accanto ad Anassagora], ricco e possessore di molti beni, in quanto era nato da famiglia illustre, preso dal desiderio di acquistare completa familiarita` con la sapienza respinse quella ricchezza cieca 65 ed odiosa che suole toccare ai malvagi e ai vili, e acquisto` invece quella che non e` cieca ma costante, perche´ usa stare soltanto con i buoni. E per questo ebbe sembianza di sovvertire tutte le leggi patrie e fu reputato come un genio maligno, al punto da correre il rischio di essere privato della stessa sepoltura in base ad una legge vigente presso gli Abderiti che prescriveva di lasciare insepolto chi non avesse rispettato le leggi patrie. E davvero a Democrito sarebbe toccato questo, se non avesso ottenuto indulgenza per la bonta` mostrata nei suoi confronti da Ippocrate di Cos, giacche´ essi gareggiavano fra di loro per sapienza. Inoltre, fra le sue opere celebri, quella che s’intitola Grande sistema del mondo fu stimata cento talenti attici, se non anche di piu` di trecento, come dicono parecchi.
0.3.19. Eliano, Varia historia IV 20 [I 69.1-21] (= 68 A 16; XX Lu.): Si narra che Democrito di Abdera non solo fu saggio per altri versi ma desidero` stare nascosto, e attuo` questo nei fatti con ogni sforzo. Percio` visito` anche gran parte della terra:
Si intende: per ogni dove. Nel seguito menziona Cratete. Il riferimento a questi e a Democrito gli serve per affermare che gli emulatori o seguaci (zhlwtaiv) delle parole di Gesu` non sono uno o due ma migliaia. 64 Va segnalato che per questo scritto di Filone ci si basa su di una traduzione latina moderna di una versione armena (eccetto per alcuni passi riportati da Eusebio l’originale greco e` andato perduto). 65 L’espressione, usata da Filone anche altrove, ricalca una usata da Platone in Leggi I, 631C4. 62 63
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si reco` dai Caldei e in Babilonia e dai Magi e dai sapienti dell’India.66 Essendo stato diviso per tre, fra tre fratelli che erano, il patrimonio lasciato da suo padre Damasippo egli prese soltanto il denaro come viatico per i suoi viaggi e lascio` il resto ai fratelli; per questo lo lodava anche Teofrasto, perch´e viaggiava mettendo insieme una raccolta maggiore di Menelao e di Odisseo.67 Quelli in effetti andavano vagando in modo niente affatto diverso dai mercanti fenici, giacch´e raccoglievano ricchezze e i loro viaggi per terra e per mare avevano questo come motivo. [Seguito come 0.3.11.]
0.3.20. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica I 96, 1-3 (om. DK; 2 = XVI Lu.): [Dopo una descrizione dell’Egitto nella quale sono toccati vari aspetti della vita e della cultura, come le leggi e i legislatori e gli usi funerari.] Avendo esposto minuziosamente questi punti bisogna parlare di quanti, fra coloro che presso i Greci hanno ottenuto reputazione per intelligenza e cultura, visitarono l’Egitto nei tempi antichi, per familiarizzarsi con i costumi e la cultura del luogo. (2) I sacerdoti egizi riferiscono da quanto e` stato registrato nei libri sacri che vennero a visitarli nell’antichit`a Orfeo, Museo, Melampo e Dedalo, e, successivamente, il poeta Omero e lo Spartano Licurgo, inoltre l’Ateniese Solone e il filosofo Platone; e che vennero anche il Samio Pitagora e il matematico Eudosso, inoltre l’Abderita Democrito ed Enopide di Chio. (3) Come segni {della presenza} di tutti costoro essi indicano, per gli uni, le statue, per gli altri i luoghi o i monumenti con i loro stessi nomi; e adducono pure prove dall’ambito di studio coltivato da ciascuno, mostrando che tutte le cose per le quali costoro sono ammirati dai Greci erano state importate dall’Egitto.
0.3.21. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica I 98, 1-3 (om. DK, salvo menzione in n. ad B 299; 3 = XVI Lu.): [Di seguito a 0.3.20, come parte di un’esposizione piu` dettagliata di quanto i Greci avevano importato dall’Egitto.] (1) Licurgo e Platone e Solone si dice che abbiano introdotti molti costumi egizi nelle loro legislazioni; (2) e che Pitagora abbia appreso presso gli Egizi le dottrine del discorso sacro e i teoremi di geometria e riguardanti i numeri, inoltre la {dottrina della} trasmigrazione dell’anima in ogni sorta di vivente. (3) Ammettono che anche Democrito aveva passato presso di essi cinque anni e aveva appreso molte nozioni di astronomia.68 Similmente
66 Questi ultimi sono manifestamente i Gimnosofisti dei quali viene fatta menzione in D.L. IX 35 (= 0.2.1). Fra Magi e Caldei (con i quali si intendevano solitamente i sacerdoti babilonesi) non si faceva chiara distinzione, e Babilonia non dovrebbe costituire un obbiettivo distinto, ma il luogo di incontro. 67 Delle ricchezze che Menelao aveva raccolto nei suoi viaggi si parla in Odissea III, vv. 301 sgg. e IV, vv. 78 sgg. Presumibilmente la ‘‘raccolta’’ fatta da Democrito va intesa in senso metaforico, cioe` come una raccolta di esperienza e di sapienza (cosı` anche LSJ s.v. ajgermov", III). 68 Di astronomia piuttosto che di astrologia: il termine greco ajstrologiva, usato da Diodoro, inizialmente ha il senso di ‘astronomia’, e solo nel periodo ellenistico comincia ad assumere il senso del nostro ‘astrologia’, senza che il primo senso sia del tutto soppiantato. Enopide ed Eudosso, che sono menzionati in seguito, si distinsero per i loro contributi all’astronomia, anche di previsione, e, almeno nel caso del secondo, e` escluso che si fosse interessato di astrologia, perche´ i suoi contributi sono distinti da quelli degli astrologi p. es. da Cicerone (in De divinatione II 87-89), da Vitruvio (De
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anche Enopide di Chio aveva passato del tempo in compagnia dei sacerdoti e degli astronomi e aveva appreso fra l’altro, circa l’orbita del sole, che essa ha un tragitto obliquo, con un movimento che e` contrario a quello degli altri astri. In maniera affine anche Eudosso coltivo` l’astronomia presso di loro e acquisı` una notevole fama nel consegnare ai Greci molte nozioni utili.
0.3.22. Clemente, Stromata I xv, 69, 4-6 [43.13-44.4] (= 68 B 299; XIV Lu.): [Il cap. 15 e` volto a mostrare che la sapienza o filosofia greca ha dei precedenti in altri paesi. L’autore menziona la pretesa dipendenza dall’Egitto ecc. di Pitagora, di Platone e di altri ancora.] Democrito fece propri 69 i discorsi morali dei Babilonesi. Si dice infatti che avesse incluso fra i suoi scritti un’interpretazione 70 della stele di Achicaro, come si puo` riconoscere dal suo scrivere: ‘‘queste cose le dice Democrito’’. (5) E da qualche parte parla di se stesso, vantandosi della propria polimatia: 71 ‘‘Io, fra gli uomini del mio tempo, ho visitato piu` parte della terra, ho fatto le ricerche piu` ampie, ho visto piu` climi e terre, e ho ascoltato piu` uomini dotti. Nessuno mi ha superato nella composizione delle linee 72 accompagnata da illustrazione,73 neppure gli Egizi chiamati Arpedonapti,74 con i quali ho speso all’estero in tutto ottant’anni.75’’ (6) Egli viaggio` anche in Babilonia e in Persia e in Egitto studiando con i Magi e i sacerdoti.
0.3.22.1. Eusebio, Praeparatio evangelica X 4, 23-24 (rifer. in 68 B 299 e in XIV Lu.): [Il contesto e` dello stesso tenore del passo di Clemente. A conferma dei rapporti che Platone avrebbe avuto con l’Egitto sono citati alcuni passi dell’Epinomide.] Queste cose le scrive Platone; e Democrito ancora prima si dice che avesse fatto propri i discorsi morali dei Babilonesi; e da qualche parte parla di se stesso vantandosi:
architectura IX 6, riprodotto in parte come 185.4) e da Sesto Empirico (in Adv. math. V 1-2). (Si veda anche Presentazione dei testi, sez. 29). 69 Adotto una correzione di Cobet, ma come un’integrazione, non in sostituzione di hjqikouv", che e` del tutto appropriato ai contenuti della stele babilonese (cosı` anche Luria). 70 Probabilmente il senso suggerito dalla forma del verbo eJrmhneuvw qui usata e ` quello di traduzione piuttosto che di spiegazione. (Sull’attendibilita` di questa testimonianza si veda Presentazione dei testi, sez. 1, con n. 3). 71 V.E. ALFIERI , Gli atomisti: frammenti e testimonianze, Bari 1936, traduce come segue (apparentemente seguendo il testo del Diels in DK): ‘‘Giacche´ effettivamente egli [parla] anche di se´ come si vede da un luogo dove dice, vantandosi per la molteplice erudizione ...’’. 72 Oppure: delle figure geometriche (lo stesso in 0.3.22.1), in greco suvnqesi" grammevwn. 73 Intendo ajpovdeixi" in senso non tecnico, cioe ` non nel senso di ‘dimostrazione’. 74 Coloro che tirano e legano le corde (LSJ: rope-fasteners, T. HEATH, A History of Greek Mathematics I, Oxford 1921, p. 178: rope-stretchers) allo scopo di misurare, cioe` scribi o funzionari che prendevano le misure dei terreni. C’e` da supporre che si stia pensando ad una forma pratica di geometria alle sue origini. (Cfr. Presentazione dei testi, n. 4.) 75 Sono state tentate delle correzioni (preferibilmente ‘‘cinque anni’’, in vista dell’asserzione in Diodoro I 98.3 [= 0.3.21], altrimenti ‘‘diciott’anni’’) per un’asserzione sicuramente non attendibile. Lo stesso errore compare nelle varianti (cfr. 0.3.22.1 e 0.3.22.2).
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
‘‘Io, fra gli uomini del mio tempo, ho visitato piu` parte della terra, ho fatto le ricerche piu` ampie, ho visto piu` climi e terre, e ho ascoltato piu` uomini dotti. Nessuno mi ha superato nella composizione delle linee accompagnata da illustrazione, neppure gli Egizi chiamati Arpedonapti, con i quali ho speso all’estero in tutto ottant’anni.’’ (24) Anche costui viaggio` in Babilonia e in Persia e in Egitto, studiando anche con i sacerdoti egizi.
0.3.22.2. Sozomeno, Historia ecclesiastica II 24, 4 (rifer. in 68 B 299; = XV Lu.): [Contesto: presso i Greci i filosofi hanno acquisito rinomanza nell’esplorare citta` e luoghi sconosciuti. L’esempio dell’interesse per i vulcani porta a citare la morte di Empedocle.] Peraltro anche Democrito di Cos aveva esplorato molte citt`a e climi e regioni e popoli,76 ed egli stesso da qualche parte dichiara riguardo se stesso di avere passato all’estero ottant’anni.
0.3.23. Ateneo, Deipnosophistae IV 65, 168 B (= 68 B 0c; 582 Lu.): [Esempi di accusa infondata di prodigalita`.] Quando gli Abderiti sottoposero Democrito a giudizio popolare per avere dissipato il patrimonio, questi, dopo aver letto loro il Grande sistema del mondo e gli scritti Sulle cose nell’Ade, disse loro di averlo consumato per tali cose, e fu assolto.
0.3.24. Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 34, 3 (om. DK e Lu.): [Nel parlare della vanagloria (vanitas) dei filosofi pagani riporta esempi della follia dimostrata da essi che si gloriano del loro disprezzo per la ricchezza, dopo avere riportato esempi della loro follia nella speculazione sul mondo fisico, con riferimento specifico ad Anassagora.] Non soltanto le parole [cioe` le teorie] di alcuni sono ridicole, ma anche i loro atti. Democrito lascio` all’abbandono il campo che gli era stato trasmesso dal padre, tollerando che diventasse un pascolo pubblico.
0.3.24.1. Lattanzio, Divinae institutiones III 23, 4 (riferimento in DK, p. 86, n., e in XXVII Lu.): [Contesto simile al passo precedente: contro la vanitas dei filosofi pagani.] ... Democrito viene lodato perche´ abbandono` i suoi campi e tollero` che diventassero un pascolo pubblico.
76 C’e ` possibilmente un richiamo al titolo dell’opera ippocratica ‘Sulle arie (= climi), acque e luoghi’ (come suggerisce L. ORELLI, La pienezza del vuoto, Bari 1996, p. 7), sicche´, come mostra pure l’indicazione della citta` di provenienza, ci deve essere stata un’assimilazione di Democrito a Ippocrate; l’errore degli ottant’anni all’estero pare essere ripetuto dalle fonti precedenti.
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D. EVENTI
PIU` O MENO LEGGENDARI DELLA SUA VITA
1. La morte «ritardata» e/o il suicidio 0.4.1. Anonimo Londinese XXXVII, 34-46 (= 68 A 28; LIV Lu.): 77 Inoltre anche coloro che sono prostrati e hanno quasi sfinite le energie, si rafforzano in esse annusando (?) vicino ad un vapore. Al proposito egli [scil. Asclepiade] dice che di Democrito si racconta che, avendo digiunato per quattro giorni, era ormai prossimo al morire; ed egli, essendo stato pregato da alcune donne di rimanere in vita per alcuni giorni affinche´ esse non si trovassero escluse dall’iniziazione ai misteri – capitava infatti che le Tesmoforie avessero luogo in quel periodo – si racconta che egli avrebbe giurato che non {sarebbe morto} e avrebbe ordinato di portargli dei pani caldi, e questi ...{ E Democrito, aspirando l’esalazione proveniente dal pane, si rafforzo` nelle sue energie e sopravvisse quanto restava 78 {alla conclusione delle Tesmoforie}.
0.4.2. Celio Aureliano, Celerum passionum libri tres, II 37, 205-206 (= 68 A 28; LV Lu.): [Sull’uso di sostanze odorifere per prolungare la vita di una persona ormai sul punto di morte.] Si impregni polenta o pane abbrustolito di aceto, oppure meli cotogni o mirti o qualcosa di simile. Queste sostanze conservano al corpo indebolito la forza declinante, come lo prova la scienza e l’esempio celebre del modo in cui Democrito ritardo` la morte.
0.4.3. Ateneo, Deipnosophistae II 26, 46E-F (= 68 A 29; LVI Lu.): [Esempi di sostanze liquide che sono nutrienti.] Si racconta che Democrito di Abdera aveva deciso di togliersi la vita per vecchiaia e riduceva il cibo giorno per giorno; dal momento che erano imminenti i giorni delle Tesmoforie, (F) le donne di casa lo scongiurarono di non morire durante la festa, per poterla celebrare, ed egli, essendosi lasciato convincere, ordino` loro di collocare presso di lui un recipiente pieno di miele; e l’uomo sopravvisse abbastanza giorni sfruttando la sola esalazione proveniente dal miele e, passati i giorni, fatto levare il miele, morı`. Democrito gradı` sempre il miele e, ad uno che voleva sapere in che modo si potesse vivere in salute, gli disse di umettare le interiora di miele e l’esteriore di olio.
0.4.3.1. Varrone, Saturae Menippeae 81 (= DK 68 A 161; 588 Lu.): [Frammento tratto da Il cigno, sul tema ‘‘del sepolcro’’.]
77 Seguo l’edizione e, in parte, la traduzione di D. MANETTI , Corpus dei papiri filosofici greci e latini, Parte I, Vol. I**, Firenze 1992, che comporta diversi cambiamenti rispetto all’edizione del Diels in DK e l’esclusione di una sua integrazione congetturale (dopo ‘‘pani caldi’’: ‘‘i quali emettevano l’esalazione che si formava ...’’) perche´ non compatibile con le tracce rimaste. 78 Accolgo, per queste ultime tre parole, le integrazioni di Diels, ma il testo e ` giudicato poco leggibile da Manetti.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
La pensa piu` saviamente Eraclide Pontico, il quale prescrive che essi [evidentemente: i cadaveri] siano bruciati, che non Democrito, {il quale prescrive} che essi siano conservati nel miele. Se il volgo gli avesse prestato retta, ch’io possa morire se per cento denari ci sarebbe dato acquistare una coppa di vino mescolato a miele.
0.4.3.2. Plinio, Naturalis historia VII (56) 189 (trad. Ranucci) (om. DK; 588a Lu.): [Parla della vanita` umana che risiede nell’aspettativa che la vita si prolunghi dopo la morte.] Queste sono invenzioni e sogni puerili dei mortali, bramosi di non finire mai. Una simile vanit`a spinse Democrito a prescrivere di conservare i corpi umani promettendo che sarebbero risuscitati, mentre lui stesso non e` risuscitato. Ma che follia e` mai questa, di credere che con la morte si ricominci a vivere?
0.4.4. Ps.-Luciano, Macrobii (Libellus 12), 18 (= 68 A 6, XLVIII Lu.): [Dopo altri esempi di persone che sono giunte a tarda eta` si passa a fare menzione dei filosofi.] Democrito di Abdera, quando ebbe l’eta` di centoquattro anni, morı` essendosi astenuto dal cibo.
0.4.5. Lucrezio, De rerum natura III, vv. 1039-41 (= 68 A 24; LI Lu.): [La morte e` il destino comune degli uomini, anche dei piu` grandi fra gli inventori di scienze ed arti. Prima di Democrito era stato menzionato Epicuro.] Infine Democrito, poi che l’estrema vecchiezza | lo ammonı` che i memori moti della mente languivano, | spontaneamente ando` incontro e affido` il capo alla morte.
0.4.6. Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 34, 8-9 (om. DK e Lu.): [Il passo riportato segue a qualche distanza quello riportato come 0.3.24, e viene immediatamente dopo la menzione dei cinici, dei quali era stato detto che soppressero il pudore, per esempio accoppiandosi in pubblico con le loro donne.] Sono piu` degni di approvazione quei {filosofi} piu` coraggiosi, che si sono inflitti volontariamente una morte violenta, perche´ si potesse dire che hanno disprezzato la morte? (9) Zenone, Empedocle, Crisippo, Cleante, Democrito e il loro imitatore Catone, non hanno saputo che, secondo il diritto e la legge divina, colui che si e` ucciso e` raggiunto dall’accusa di omicidio?
0.4.6.1. Lattanzio, Divinae institutiones III 18, 5-6 (riferimento in 68A24; 6 = 466 Lu.): [Nel contesto viene discussa la questione se le anime periscono col corpo o sono eterne; il passo segue, non immediatamente, III 17, 21-25 (= 9.6) e 34 (= 103.7).] Molti di coloro che ritenevano che le anime sono eterne, si sono inflitti la morte di propria mano, come se stessero per emigrare in cielo: cosı` Cleante, Crisippo, Zenone, Em-
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
pedocle [...] e, fra i romani, Catone, che fu in tutta la sua vita imitatore della vanita` stoica. (6) Democrito invece fu di persuasione differente {circa l’immortalita` dell’anima}, e tuttavia ‘‘spontaneamente ando` incontro e affido` il capo alla morte’’,79 per cui non poteva verificarsi niente di piu` scellerato.
2. L’accecamento volontario 0.4.7. Cicerone, Tusculanae Disputationes V 39, 113-115 (114 = 68 A 22; XLII Lu.; 115 = XXVI Lu.): [Si puo` essere felici anche in circostanze avverse: non solo nella povert`a, ma anche se si e` privati della vista.] Al modo in cui la poverta`, anche massima, e` sopportabile, se si e` capaci di fare quello che certi Greci fanno ogni giorno, anche la cecit`a puo` essere sopportata facilmente, se non si e` privi di certi rimedi alle malattie. (114) Democrito, una volta privato della luce,80 non avrebbe certo potuto discernere bianco e nero, ma poteva in effetti discernere il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il nobile e il turpe, l’utile e l’inutile, il grande e il piccolo, ed era in grado di vivere felicemente senza la variet`a dei colori, non lo era {invece} senza la nozione delle cose. Anzi quest’uomo riteneva che l’acutezza dello spirito fosse ostacolata dalla vista degli occhi, e, mentre altri spesso non vedono neppure quello che e` davanti ai loro piedi, egli si aggirava per tutta l’infinita`, senza trovare alcun limite al quale fermarsi [...]. Riteniamo che i piaceri e le gioie dello spirito siano mai mancate a Omero 81 o a qualsiasi dotto? (115) Se le cose non stessero cosı`, Anassagora e il menzionato Democrito avrebbero abbandonato i loro campi e patrimoni, per potersi dedicare con tutto il loro spirito a questa gioia divina dell’apprendere e del ricercare?
0.4.8. Gellio, Noctes Atticae X 17, 1-4 (= 68 A 23; XLIV Lu.): [Per qual ragione e in qual modo il filosofo Democrito si privo` da se stesso del lume degli occhi, e gli appropriati ed eleganti versi che Laberio compose su tale soggetto.] Nelle opere di storia greca e` scritto che il filosofo Democrito, uomo degno di venerazione oltre ogni altro e dotato di un’autorita` antica, si privo` spontaneamente della luce degli occhi, perche´ riteneva che i pensieri e le riflessioni della sua mente sarebbero diventati piu` forti e piu` precisi nel contemplare le ragioni della natura se le avesse liberate dalle seduzioni della vista e dall’impedimento degli occhi. (2) Questo atto e la maniera stessa in cui, con una trovata molto ingegnosa, si procuro` la cecita`, l’ha descritto il poeta Laberio in un mimo intitolato Il cordaio con versi abbastanza curati e artistici, ma egli si immagino` una causa diversa del volontario accecamento, riconducendola, in modo non inappropriato, al soggetto da lui trattato. (3) Infatti il personaggio che in Laberio narra cio` e` quello di un ricco avido e taccagno, che sta deplorando le spese eccessive e la dissipazione di un giovane uomo. (4) I versi di Laberio sono i seguenti:
Citazione di Lucrezio III 1041 (= 0.4.5). Un altro riferimento alla cecita` di Democrito, ma non privo di riserva circa l’attendibilita` della notizia, in Cicerone, De fin. V 29, 87 (= 133.3). 81 Il poeta secondo la tradizione era cieco. 79 80
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
‘‘Democrito d’Abdera, filosofo fisico | colloco` uno scudo dalla parte dove sorge Iperione | per potersi togliere la vista con lo splendore celeste. | Cosı`, con i raggi del sole, si tolse il lume della vista | per non vedere i cattivi cittadini vivere nel benessere. | Cosı` io, con lo splendore delle monete rilucenti, | voglio privare di luce la fine della mia vita | per non vedere nel benessere un cattivo figlio.’’
0.4.9. Tertulliano, Apologeticum 46, 11 (= 68 A 26; XLVII Lu.): [La superiorita` dimostrata dal cristiano credente sul pagano anche se filosofo.] Democrito, accecando se stesso perche´ non poteva guardare le donne senza concupiscenza e soffriva se non poteva possederle, fa professione di incontinenza con il rimedio {adottato}. Invece il cristiano, conservando gli occhi, non vede le donne: l’animo suo e` cieco di fronte alla libidine.
0.4.10. Imerio, Oratio 3, 18 (= 68 A 25; XLVI Lu.): [Menzione di uomini illustri che si sono allontanati dai beni terreni, e in particolare dalle ricchezze, per coltivare la virtu`.] Volontariamente Democrito rendeva malato il corpo per rendere sano cio` che ha piu` importanza.
0.4.11. Plutarco, De curiositate 12, 521C-D (parte come 68 A 27 e XLV Lu.): [Nel rigettare una curiosita` del tutto vana viene suggerito che la facolt`a del vedere non deve essere abbandonata a se stessa ma deve essere sottoposta alla ragione.] ... I sensi che non hanno ricevuto (come abbiamo detto) la retta istruzione e l’esercizio, nel correre via e nel trascinare l’intelletto a cio` che non deve, lo abbattono.82 Pertanto, e` falso sı` quel {racconto}, che Democrito volontariamente avrebbe spento la vista degli occhi (D) fissandoli ad uno specchio infuocato e recependone il riflesso, affinche´ essi non causassero disturbo alla mente col richiamarla di frequente al di fuori, ma la lasciassero dentro nella sua sede ad occuparsi degli intelligibili – come se fossero state chiuse le finestre verso la strada; e tuttavia non c’e` niente di piu` vero del fatto che coloro che fanno il massimo uso della mente mettono in moto la sensazione in modo minimo.
3. Previsioni e altre azioni straordinarie 0.4.12. Clemente, Stromata VI iii, 32, 2 (= 68 A 18; XXXV Lu.): Democrito avendo fatto molte predizioni sulla base dell’osservazione delle cose elevate fu soprannominato Sapienza. Quando il fratello Damaso lo aveva accolto con benevolenza egli, traendo indizi da alcuni astri, predisse che ci sarebbe stata una grande pioggia. Coloro che gli diedero ascolto raccolsero i frutti (era infatti il periodo dell’estate in cui erano ancora nelle aie), mentre gli altri perdettero tutto come conseguenza della pioggia abbondantissima da essi inaspettata.
82
Per questa formulazione cfr. Galeno, De medica experientia, XV 7 (= 60.3).
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.4.13. Plinio, Naturalis historia XVIII (75) 321, (78) 340-341 (341 = 68 A 18; XXXV Lu.): [Il tema di questa parte del libro, a partire da 201, e` il calendario dei lavori agricoli, unito ad una rassegna dei segni astronomici.] A queste informazioni aggiungeremo quel che e` necessario sapere sulla luna, i venti e le previsioni del tempo, in modo che l’esposizione sul sistema astronomico sia completa. Virgilio, seguendo i presagi di Democrito, ritenne di dover assegnare certi lavori a determinati giorni del ciclo lunare; 83 noi invece, come nel resto dell’opera, cosı` anche in questa sezione, siamo spinti dalla preoccupazione di dare regole utili. [Segue una parte sulla luna e sui venti.] (340) Ed ora che abbiamo spiegato il sistema dei venti, per non ripetere troppo spesso le stesse cose, conviene passare agli altri modi di prevedere il tempo, perche´ vedo che Virgilio era interessatissimo all’argomento,84 se e` vero che egli riferisce di combattimenti che si svolgono fra i venti proprio al tempo della messe, con grave danno per gli agricoltori inesperti. (341) Dicono che lo stesso Democrito, mentre suo fratello Damaso mieteva sotto un calore torrido, lo pregasse di lasciar stare il resto della messe e di riporre sotto un tetto quella gia` tagliata; e, dopo qualche ora, la previsione fu confermata da una pioggia devastante.
0.4.14. Plinio, Naturalis historia XVIII (68) 273-274 (= 68 A 17; XXXIV Lu.): Raccontano di Democrito, il quale per primo comprese e rese palese l’affinita` che c’e` fra cielo e terra, che egli, di fronte al disprezzo che i piu` ricchi fra i suoi concittadini mostravano per questi suoi studi, avendo previsto che ci sarebbe stata una carestia di olio con il sorgere delle Pleiadi [...], compro`, a prezzo estremamente vile per la speranza che si nutriva nel raccolto, tutto l’olio dell’intera stagione, con stupore di coloro che sapevano come a lui stesse a cuore soprattutto la poverta` e la tranquillita` degli studi. (274) Quando divenne manifesta la causa {del suo comportamento} e il valore di {quelle sue} ricchezze divenne ingente, di fronte al pentimento dei proprietari ansiosi ed avidi, restituı` loro il guadagno, accontentandosi di avere provato che gli era facile fare fortuna, se solo l’avesse voluto.85
0.4.15. Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 8 (= 68 A 19 e 31 A 14; XXXIII Lu.): [Apollonio sostiene di avere salvato Efeso e che questo va considerato un suo merito.] E quale sapiente ti pare che abbia mai tralasciato di prodigarsi per una citt`a come questa, pensando a Democrito che una volta aveva liberato gli Abderiti dalla peste, tenendo a mente Sofocle di Atene, del quale si racconta che calmasse i venti che spiravano fuori stagione ...?
Cfr. Georgica I, vv. 276 sgg. Cfr. Georgica I, vv. 318 sgg. 85 Il racconto costituisce palesemente una variante dell’aneddoto che Aristotele, in Politica I 11, 1259a5 sgg., riferisce su Talete. 83 84
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.4.16. Filostrato, Vita Apollonii I 2, 3 (= 31 A 14; XXIIIa comm. Lu.): [Viene mostrato che e` ingiustificata l’accusa di stregoneria rivolta ad Apollonio per il fatto di avere avuto contatti con i Magi in Babilonia ecc.] Empedocle e lo stesso Pitagora e Democrito, pur avendo contatti con i Magi ed enunciando molte cose soprannaturali, non si diedero all’arte {della magia}.
E. L’ATTEGGIAMENTO
SCIENTIFICO E QUELLO ETICO DI
DICHIARAZIONI E NELLA TRADIZIONE
DEMOCRITO
NELLE SUE
86
0.5.1. Probabile inizio di una sua opera (del Piccolo sistema del mondo?): ‘‘Queste cose le dice Democrito circa l’universo.87’’
0.5.2. Ps.-Ippocrate, Epistula XX (IX, 386 [96.20-25 S.]): [E` una lettera, a nome di Ippocrate, che fa parte dell’epistolario tardivo cui appartiene anche 0.3.10. La lettera e` in risposta alla lettera XVIII (= 0.5.4) di Democrito e ne riprende il motivo dell’elogio della sua natura; inizia parlando dei meriti della medicina, e poi si sofferma sulla somministrazione dell’elleboro.] Sono stato chiamato, o Democrito, come se avessi da elleborizzare un pazzo, non avendo divinato chi tu fossi; ma ho conosciuto, mediante il nostro incontro, non, per Zeus, un’opera di follia, ma una degna di ogni onore; ho elogiato la tua natura e ti ho giudicato un eccellente interprete della natura e del mondo.
0.5.3. Plutarco, De tranquillitate animi 13, 472D (om. DK; 88 Lu.): [Si deve vivere in accordo con le proprie attitudini naturali e non perseguire obbiettivi antitetici, come la vita di studio e l’attivit`a politica. Sarebbe come se uno volesse essere ad un tempo un leone ed un tranquillo cagnolino.] Non e` per nulla migliore di questo colui che volesse essere ad un tempo un Empedocle o un Platone o un Democrito, scrivendo sul mondo e sulla verita` degli enti 88 e, come Euforione, essere sposato con una vecchia donna ricca ...
86 Per altri giudizi su Democrito da questo punto di vista cfr. Cicerone, Acad. pr. II 23, 73 (= 61.2), Seneca, Nat. quaest. VII 3, 2 (= 85.11) e Filodemo, De musica IV 23 (= 127.2). 87 Oppure: circa le cose tutte (peri; twn xumpavntwn). Questa formula e ` ricavabile da Clemente, = Strom. I 15, 69.4 (= 0.3.22), da Sesto, AM VII 265 (= 2.1), e da Cicerone, Ac. pr. II 23, 73 (= 61.2). Diels, ad 68 B 165 (ma 163, con 164, nelle prime ed. dei Vorsokratiker), ricava la stessa formula, omettendo il nome di Democrito, solo da Sesto e da Cicerone, e aggiunge: ‘‘l’uomo e` cio` che tutti sappiamo’’, ma questa frase risulta solo da Sesto (e non di seguito immediato all’altra) e non puo` sensatamente avere fatto parte dell’inizio di un’opera sulla realta` tutta – piuttosto puo` averne fatto parte la citazione in 0.3.22. (Cfr. anche Presentazione dei testi, sez. 1.) 88 Ovvero: sugli enti come sono realmente.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.5.4. Ps.-Ippocrate, Epistula XVIII (IX, 380, 382 [92.13-23 S.]) (in parte come 68 C 5): [L’epistolario incluso nel Corpus Hippocraticum include anche un paio di lettere che Democrito avrebbe rivolto ad Ippocrate. Quanto segue e` l’inizio di una di esse.] Democrito a Ippocrate, salute. Sei venuto da me come se fossi pazzo, o Ippocrate, per darci l’elleboro, perche´ ti eri fidato di uomini stolti, presso i quali la fatica e` stata giudicata come follia. Ma tu mi hai trovato mentre scrivevo circa la disposizione del mondo e la ‘polografia’, e inoltre circa gli astri celesti. Riconosciuta {che hai} la natura nei loro riguardi [scil. degli oggetti descritti], come senza dubbio siano stati fabbricati nel modo perfetto e come la loro condizione sia lontana da follia e sragionatezza, elogiasti la mia natura, e giudicasti quelli come duri e folli. In effetti tutte le cose che, mutando nelle loro apparenze attraverso l’aria, ci ingannano,89 cio`e quelle che si osservano nel mondo e si trovano a cambiare di forma,90 la mia intelligenza le ha portate alla luce avendone indagato con precisione la natura. Ne sono testimonianza i libri da me redatti su questi argomenti.
0.5.5. Dionisio presso Eusebio, Praeparatio Evangelica XIV 27, 4 (= 68 B 118, LVIII e 29 Lu.) e 5 (= 68 B 119; 32 Lu.; 29 N.) [5 = Stobeo II 8, 16 (147.1)]: [Continuando nella polemica con gli Epicurei, per la quale cfr. 9.4, Dionisio sostiene che Dio non puo` essere inattivo, quando la riuscita in un’attivita` e` un valore per l’uomo. Osserva che coloro che fanno progressi nella loro attivit`a traggono gioia da questo e preferiscono pervenire al suo compimento piuttosto che essere riempiti di tutti i beni umani.] Democrito stesso, come raccontano, diceva che preferiva trovare una sola spiegazione causale al diventare padrone del regno dei Persiani. E questo pur investigando cause in modo vano e senza ragione,91 in quanto prende lo spunto da un principio vuoto e da un postulato non stabile, senza vedere la radice e la necessita` che e` comune alla natura degli enti, ritenendo che la sapienza piu` grande e` il coglimento intellettuale di quanto si verifica in modo non sapiente e insensato, e pone la fortuna come padrona e regina di tutto cio` che e` universale e divino, sostenendo che tutto avviene in accordo con essa, mentre la bandisce dalla vita degli uomini e censura come stolti coloro che ne fanno un culto. (5) In effetti all’inizio dei suoi Consigli egli [scil. Democrito] dice: ‘‘Gli uomini si sono creati un’immagine della fortuna come scusa per la propria stoltezza.92 L’intelligenza per sua natura si oppone alla fortuna e questa stessa, cioe` la maggior nemica della saggezza, essi dicono che ha il dominio su di essa; o meglio: sopprimendo questa totalmente e facendola scomparire, pongono quella al suo posto,93 giacch´e essi non celebrano la saggezza come propizia di fortuna ma la fortuna come eminentemente saggia.’’ 94 89 Littre ´ , seguito (in parte) da Alfieri, rende a questo modo: ‘tutte le cose che, errando nell’aria, ci ingannano con le immagini’. 90 Adotto una correzione del Littre ´ (ajmeiyirusmevonta) per un testo variamente corrotto nei MSS. 91 Letteralm.: senza causa. 92 ajnoivh, invece ajboulivh nel passo corrispondente di Stobeo (salvo correzione). 93 Traduzione alternativa del brano (adottata da J.F. PROCOPE´ , Democritus the Moralist and his contemporaries, Diss., Cambridge 1971): ‘‘sollevando questa in alto e facendo scomparire quella l’hanno messa al suo posto’’ (l’idea di metterla al suo posto si conserva comunque). 94 Si pone la questione se la citazione e ` supposta estendersi a tutto il passo o limitarsi al primo
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.5.6. Plutarco, Quaestiones convivales I 10, 2, 628B-D (= 68 A 17a; XXXVII Lu.): [Viene suggerito di cercare la spiegazione di un evento storico anche qualora chi l’ha riferito avesse detto il falso.] Non c’`e nulla di strano se, per amore del sapere,95 ci troveremo nella stessa situazione che il sapiente Democrito. (C) Parrebbe infatti che egli, mangiando un cocomero dal sapore apparente di miele, interrogo` la serva {per sapere} dove l’avesse comprato. Costei avendo indicato un certo orto, egli si alzo` e le ordino` di accompagnarlo e di mostrargli il luogo. Di fronte alla meraviglia della donnicciola, che gli chiedeva che intento avesse, dichiaro`: ‘devi farmi scoprire la causa della dolcezza, e la trovero` nel prendere visione diretta del posto.’ ‘Stai pure seduto’, gli disse la donna sorridendo, ‘sono io che, senza accorgermene, ho messo il cocomero in un vaso dove c’era stato del miele.’ Ed egli, come irritato, disse: ‘mi hai infastidito,96 e nondimeno mi applichero` al discorso 97 e ricerchero` la causa’, (D) come se la dolcezza fosse {il sapore} proprio e congenito del cocomero.98
0.5.7. Petronio Arbitro, Satyricon, 88, 2-3 (trad. D`ettore) (= B 300.6; LX Lu.): Nei tempi antichi, quando ancora piaceva la virtu` semplice e schietta, le arti liberali erano in piena fioritura e una nobile emulazione spingeva gli uomini a mettere in luce tutto cio` che avrebbe potuto giovare ai secoli futuri. (3) Cosı` Democrito 99 spremette i succhi di tutte le erbe e consumo` la vita in esperienze per svelare le virtu` delle pietre e delle piante ...
0.5.8. Damosseno, I sodali (Suvntrofoi), fr. 2, vv. 6-34, presso Ateneo, Deipnosophistae III 102A sgg. (= 68 C 1; comm. 499 Lu.): Era cuoco anche quello, ma, per gli dei, non sapeva | che razza di cuoco fosse! Di ogni arte la natura | e` la prima fonte, tu peccatore, la prima fonte! | Non puoi concepire niente di piu` saggio |10| ed ogni intrapresa riesce per chi abbia esperienza | di questo discorso, giacche´ molti fattori contribuiscono {alla riuscita}. | Percio` il cuoco, quando tu lo vedi illetterato, | che non ha letto tutto Democrito, | piuttosto {che non l’abbia fatto} comprendendolo,100 deridilo come se fosse vuoto; 101 |15| che {non ha letto} il Canone di Epicuro,
periodo, come suppongono sia Diels, in DK, sia Procope´, Diss. (quest’ultimo rileva che il secondo periodo e` un travisamento della citazione presso Stobeo, ma che non si puo` escludere che Dionisio citasse a memoria). Tuttavia la convinzione che essa sia ripetitiva rispetto a quella di Stobeo non sembra giusta, perche´ solo il nostro passo chiarisce come gli uomini ‘‘si sono creati un’immagine della fortuna ...’’. (Sul senso dell’altro passo cfr. n. 1131 ad 147.1.) Il suo stile e` abbastanza tipicamente democriteo, e la ripetizione del periodo iniziale non deve sorprendere (la ripetizione di qualche periodo e` p. es. frequente in Lucrezio). 95 Oppure: per gusto e pratica del disputare in ambito scientifico o erudito (philologia) (cfr. G.R.F.M. NUCHELMANS, Studien, Njimegen 1950, pp. 31 sgg.). 96 ajpevknaisa" (leggermente corretto); H. Gomperz propone di intendere, alla lettera: ‘‘hai grattato via [si intende: il miele]’’. 97 Oppure: al ragionamento (logos). 98 Forse anche queste ultime parole rientrano nel discorso messo in bocca a Democrito, ma certamente non si tratta di una citazione da qualche sua opera. 99 Si puo ` sospettare che il Democrito cosı` descritto sia piu` il mago che lo scienziato. 100 O forse padroneggiandolo, apprendendolo a memoria (viene usato katevcein). 101 Il senso di questo verso e ` dubbio per corruzione.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
caccialo via con disprezzo, | come estraneo alla pratica {filosofica}.102 Bisogna infatti sapere | preliminarmente, mio eccellentissimo, che differenza c’`e | fra la sardella d’estate e quella d’inverno, e, di nuovo | sapere quale pesce e` piu` indicato nel periodo del tramonto delle Pleiadi |20| e quale lo e` nel periodo del solstizio. | Giacche´ i cambiamenti e i mutamenti, male | abissale per gli uomini, producono | – comprendi? – alterazioni nei cibi; solo | quanto e` preso a tempo offre gratificazione. |25| Ma chi ci fa attenzione? Ed ecco allora le coliche | e le ventosita` che fanno | sfigurare l’invitato. Ma con la mia alimentazione | quanto gli viene somministrato e` nutrimento ed e` digerito | in modo giusto e svapora. E allora il succo |30| e` distribuito in modo uniforme per tutti i pori. | Il succo, dice Democrito, non causa l’effetto, ma | quanto si verifica lo produce il gottoso che mangia. | – Mi pare che tu abbia anche cognizioni di medicina! | – Sı`, e le ha chiunque sia addentro nella natura.103
0.5.9. Luciano, Philopseudes sive Incredulus (Libellus 34), 32 (om. DK; XIIIa e 579a Lu.): [Il contesto riguarda l’attendibilita` delle storie relative ai fantasmi e a fenomeni del genere.] Per Zeus, dissi io, fu un uomo veramente straordinario quel Democrito di Abdera, che a tal punto era convinto che niente del genere potesse verificarsi, da chiudersi in una tomba fuori della porta {della citta`} e qui passare la vita scrivendo e componendo di notte e di giorno. E alcuni ragazzi, volendogli fare uno scherzo e mettergli paura, vestitisi al modo dei morti, di nero e con delle maschere raffiguranti dei crani, lo circondarono e si misero a danzare in circolo con salti a ritmo rapido; egli tuttavia non solo non si spavento` per il loro travestimento ma neppure li degno` di uno sguardo, ma, mentre scriveva, disse loro: ‘smettetela con questo scherzo!’. Tanto fermamente credeva che non siano piu` niente le anime che verrebbero ad essere fuori dei corpi.
0.5.10. Luciano, Alexander seu Pseudomantis (Libellus 42), 17 e 50 (om. DK e Lu.): [Nel primo passo viene riferito di un trucco col quale Alessandro, l’imbroglione protagonista del racconto, aveva cercato di fare credere ai Paflagoni che una testa di serpente fabbricata con tela, disegnata cosı` da mostrare una figura umana e dotata di una bocca aprentesi e richiudentesi con dei tiranti nascosti, fosse quella del dio Asclepio. Nel secondo passo viene riferito come, mediante un altro trucco, fosse data l’impressione che il dio profferisse responsi oracolari attraverso la bocca del serpente.] E qui, caro Celso, se si deve dire la verita`, bisogna concedere dell’indulgenza a quei Paflagoni e a quei Pontici, uomini grossolani e incolti, se si lasciarono ingannare nel toccare il serpente (questo Alessandro lo permetteva a chi volesse) e vedendo nella luce in-
102 Alfieri rende cosı` (prendendo alla lettera il participio minqwvsa"): ‘‘caccialo via, di sterco insudiciandolo, come s’usa alle scuole dei filosofi’’. Associando l’inizio del verso 16 (con un cambio di punteggiatura, come in Kaibel) al seguito, si avrebbe: ‘‘Bisogna infatti sapere, come provenendo dalla pratica (filosofica), preliminarmente ...’’. 103 Alcuni interventi paiono doversi attribuire ad una seconda persona, ma non c’e ` consenso fra gli studiosi su quali essi siano (R. KASSEL e C. AUSTIN, in Poetae Comici Greci, vol. V, Berlin 1986, adottano una suddivisione differente da quella da me seguita).
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
certa la testa, {ritenuta} proprio la sua [scil. di Asclepio], aprire e chiudere la bocca; sicche´ sicuramente il congegno avrebbe avuto bisogno di un Democrito o dello stesso Epicuro o di Metrodoro o di qualcun altro che avesse la mente di diamante di fronte a cose come queste, perch´e ne diffidasse e si immaginasse quello che era {veramente} – {qualcuno che}, anche se non fosse stato in grado di scoprire il modo dell’incantesimo, fosse almeno preliminarmente convinto che quel modo gli e` sfuggito, ma che tutto in effetti e` una falsificazione e impossibile a realizzarsi. (50) Talvolta, per fare colpo sugli stolti, senza che alcuno gliene facesse o gliene inviasse richiesta, anzi, che questi fosse una persona affatto esistente, egli [scil. Alessandro] enunciava un responso {per lui}, come il seguente: [segue il testo del presunto responso oracolare, in versi, riguardante il modo in cui l’uomo in questione veniva tradito dalla moglie col suo schiavo e come dovesse guardarsi dall’intruglio che costoro gli avevano preparato.] Qual Democrito non si sarebbe turbato sentendo nomi e luoghi {indicati} con esattezza, ma dopo poco, una volta compreso il loro intento, avrebbe mostrato il suo disprezzo?
0.5.11. Apuleio, Apologia 27 [31.15-27] (21-26 = 68B 300.12 e 3 A 6a; 17-20 = 472a Lu.): [In risposta all’accusa rivolta contro di lui di possedere l’arte della magia Apuleio chiarisce, nei capp. 25-26, che questa e` da intendersi come un’arte sacerdotale che mette in grado di conoscere e onorare gli dei, e non, al modo del volgo, come la capacit`a di fare tutto quello che uno vuole mediante l’uso di formule magiche. Quest’accusa e` ora messa in parallelo con l’accusa, rivolta ai filosofi naturalisti, di essere atei.] Invero queste sono le accuse che di solito, per un errore che e` comune agli ignoranti, sono rivolte ai filosofi, di modo che una parte di essi, cioe` quelli che ricercano le cause pure e semplici dei corpi, come Anassagora, Leucippo, Democrito, Epicuro e gli altri sostenitori {dello studio} della natura, hanno la reputazione di essere irreligiosi e sono detti negare gli dei; un’altra parte di essi, che rintracciano con particolare cura la presenza della provvidenza nel mondo e con particolare impegno frequentano gli dei, quelli allora sono chiamati volgarmente ‘‘maghi’’, come se sapessero anche fare quanto sanno che avviene (fra questi ci furono, una volta, Epimenide, Orfeo, Pitagora, Ostane, piu` recentemente si sono prestati allo stesso sospetto i Catharmoi di Empedocle, il demone di Socrate, il bene di Platone). Mi congratulo con me stesso per essere annoverato fra personaggi cosı` importanti.
0.5.12. Plutarco, De virtute morali 7, 447F-448A (448A = 68 A 35a; LIX Lu.): {Non c’e` conflitto della parte intellettuale dell’anima con se stessa, ma e` la parte passionale che puo` entrare in conflitto con essa. Altrimenti,} perche´ nelle teorie filosofiche non e` presente la {sensazione} di dolore quando siano mutate di frequente per influenza altrui, ma lo stesso Aristotele e Democrito e Crisippo hanno abbandonato senza turbamento e senza rimpianto e anzi con piacere alcune delle tesi da loro precedentemente favorite? [Nel seguito viene suggerito che cio` avviene perche´ la parte passionale non interferisce con quella intellettuale, sicche´ questa, appena scorge il vero, si rivolge a questo abbandonando il falso.]
0.5.13. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, § 321 (om. DK; = 84 Lu.): [Nel considerare la pretesa, da parte di un dogmatico, di essere il giudice della verit`a, non si deve tener conto della sua eta` o della sua laboriosita` o di altri titoli analoghi.]
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Non si deve guardare all’eta`, dal momento che la maggior parte dei dogmatici avevano press’a poco la stessa eta` quando dichiararono se stessi ‘criteri di verita`’. E` infatti quando erano diventati tutti anziani, per esempio, a caso, Platone e Democrito ed Epicuro e Zenone, che essi attestarono per se stessi la scoperta della verita`.
0.5.14. Dione di Prusa, Oratio LIV (37) 2 [II 113.22-24] (riferimento in 68 A 15 e in XXVII Lu.): [In questa orazione, dedicata a Socrate, prima di parlare di questi Dione menziona i sofisti, che con i loro vuoti discorsi riuscirono ad arricchirsi e, subito dopo, Democrito.] Diverso {dai sofisti} fu l’uomo di Abdera che non solo non si procuro` denaro presso altri ma dissipo` la propria sostanza che era notevole e morı` filosofando senza farsi percepire e indagando di cose di nessuna utilita` per se stesso.
0.5.15. Cicerone, Tusculanae Disputationes V 36, 104 (= 68 B 116; XXIV Lu.): [L’oscurita` o anche l’impopolarita` non impediscono al saggio di essere felice.] Si deve comprendere dunque che non si deve cercare la gloria popolare per se stessa e non temere l’oscurita`. ‘Mi recai ad Atene – dice Democrito – ed ivi nessuno mi conobbe’. Uomo costante e serio al punto di gloriarsi di avere tenuto la gloria lontano da se´.
0.5.16. Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia VIII 7, ext. 4 (trad. Faranda) (parte come 68 A 11; = XII e XXIV Lu.): [Esempi di operosita`] Per altro Democrito, pur possedendo tante ricchezze che suo padre pote´ agevolmente apparecchiare un convito all’esercito di Serse, per potersi piu` liberamente dedicare ai suoi studi, trattenne solo una piccola parte del suo patrimonio e fece dono del resto alla patria. Fermatosi parecchi anni ad Atene ed impiegando tutto il tempo a sua disposizione per apprendere ed insegnare filosofia,104 visse sconosciuto a quella citta`, com’egli attesta in una sua opera.105 La mente resta stupita di ammirazione per tanta operosita` e subito si volge ad un altro esempio.
0.5.17. Plutarco, Adversus Colotem 29, 1124C (om. DK e Lu.): [Passo di censura verso la arrogante pretesa dell’epicureo Colote di contestare le tesi di pensatori assai superiori a lui.] E` vero che Platone e Aristotele e Teofrasto e Democrito hanno contraddetto coloro che li hanno preceduti; 106 ma nessun altro ha avuto la temerita` di pubblicare un libro con un tale titolo,107 di attacco contro tutti indiscriminatamente. Piu` esattamente: ‘‘e praticare il sapere (exercendam doctrinam)’’. Lo stesso motivo dell’essere venuto ad Atene senza farsi conoscere compare in 0.2.1 (§ 36). Non e` chiaro a quale opera venga fatto riferimento, ed e` improbabile che l’autore l’avesse sottomano. 106 Sappiamo solo di critiche rivolte da Democrito a Protagora e forse a Seniade (cfr. 59.1-4), inoltre ad Anassagora (cfr. supra, DL IX 34-35 [= 0.2.1]. 107 Che secondo le dottrine degli altri filosofi (si intende: quelli non epicurei) non e ` neppure pos104 105
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0.5.18. Giuliano, Epistula ad Himerium (XVI), 413A-C (= 68 A 20; XXIII Lu.): [Epistola scritta in seguito alla morte della moglie del destinatario e tesa a mostrare l’inanita` di un dolore eccessivo.] Raccontano che Democrito di Abdera,108 dal momento che, quando Dario era stato colpito dal dolore per la morte della bella moglie, non era in grado di trovar parole che bastassero a consolarlo, gli promise di fare tornare alla luce la scomparsa, qualora avesse voluto procurargli tutto l’apparato necessario a cio`. Avendo quello dato l’ordine che non si risparmiasse nulla, affinche´ non ci fossero ostacoli al mantenimento della promessa, (B) passato poco tempo gli disse che era fornito di ogni cosa per l’operazione eccetto una, che egli stesso non sapeva come procurarsi, ma che non sarebbe stato difficile da trovare per lui, Dario, re di tutta l’Asia. Avendogli chiesto quello che cosa fosse questa cosa che era tale che solo un re sapeva procurarsela, Democrito gli rispose che, se si fosse scritto sulla tomba della donna i nomi di tre immuni da lutti, subito essa sarebbe risuscitata, costretta dalla legge del rito. (C) Come Dario venne a trovarsi in grande imbarazzo e non riusciva a trovare nessun uomo cui non fosse capitato di provare qualche dolore, Democrito, ridendo secondo il suo costume, disse: «Perche´ dunque, o uomo stranissimo, piangi senza ritegno come se tu fossi il solo che e` stato colpito da un tale dolore, quando non sei in grado di trovare nessuno generato in qualsiasi epoca che non abbia avuto la sua parte di pena personale?»
0.5.18.1. Tzetzes, Chiliades X, vv. 576-589 (om. DK e Lu.): Sofocle fece vedere l’amarezza del singolo che patisce, | quale essa sia; a sua volta Democrito | illustro` la misura del patire con altri. | Essendo infatti Dario in lutto oltre misura per la consorte, |580| avendo simulato di essere lui stesso un mago disse che l’avrebbe risvegliata | se Dario avesse scoperto tre nomi di uomini senza sofferenza, | e questi fossero stati scritti sulla tomba della donna. | Avendo detto Dario che non ne scopriva nessuno, | Democrito replico`: ‘‘O re Dario, | dall’eternita` nessuno e` stato fra gli esenti da dolore, | e come puoi pretendere tu da solo di essere esente da dolore nella vita? | Nei confronti degli altri anche tu comportati nel modo piu` misurato’’ | – cosa che Dario anche fece immediatamente, | da dolori eccessivi rivoltosi all’equilibrio.
0.5.19. Eliano, Varia historia I 23 [I 9.12-17] (om. DK.; LXXIV Lu.): Fra i Greci di una volta fu eminente per gran reputazione Gorgia di Lentini rispetto a Filolao e Protagora rispetto a Democrito, ma quanto a sapienza furono ad essi inferiori quanto bambini rispetto a uomini {adulti}. A quanto pare in effetti la fama non e` troppo precisa nel vedere e nell’udire, per cui spesso cade in errore, e in certi casi e` compiacente in altri e` falsa.
sibile vivere; il libro ci e` noto solo dalla critica cui Plutarco lo sottopone in quest’opera. Per questo tipo di attacco che gli Epicurei rivolgevano a Democrito, come ad altri pensatori, si veda anche il passo di Diogene di Enoanda riportato piu` oltre, 8.4. 108 Lo stesso aneddoto si trova raccontato da Luciano, Demonatte 25, con Demonatte al posto di Democrito (questo personaggio, del quale sono raccontate le gesta e i detti, si rivolge ad un uomo che aveva perso suo figlio).
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0.5.20. Cicerone, Academica priora II 5, 14 (om. DK e Lu.): [Il passo fa parte di un discorso di Lucullo che e` di polemica contro la pretesa degli Accademici di richiamarsi ad illustri filosofi del passato, paragonandola alla pretesa dei ‘popolari’ sovversivi di richiamarsi ad uomini di stato del passato.] Tuttavia ne´ Saturnino (tanto per nominare uno che e` particolarmente nostro nemico) ebbe qualcosa di simile a quegli antichi, n´e la cavillosita` di Arcesilao si puo` paragonare con la modestia di Democrito.
F. LE
OPERE DI
DEMOCRITO (E
DI
LEUCIPPO)
1. Il catalogo delle opere di Democrito in Diogene Laerzio 0.6.1. Diogene Laerzio IX 45-49 (= 68 A 33; CXV Lu.) I suoi libri furono ordinati in catalogo anche 109 da Trasillo, e cioe`, come quelli di Platone, in tetralogie: 110 (46) Sono etici i seguenti: I.1. Pitagora. 2. Sulla disposizione del sapiente.111 3. Sulle cose nell’Ade. 4. Tritogenea (cioe` che da essa vengono tre cose che abbracciano tutte le umane).112 II.1. Sul valore di un uomo 113 o Sulla virtu`. 2. Il corno di Amaltea. 3. Sulla tranquillita` dell’animo. 4. Delle notazioni di etica {libri [quanti?]}. Lo {scritto intitolato} Eujestwv non si trova.114 Questi sono appunto quelli etici. Sono fisici i seguenti: III.1. Grande sistema del mondo (che Teofrasto e i suoi dicono essere di Leucippo). 2. Piccolo sistema del mondo. 3. Cosmografia.115 4. Sui pianeti. IV.1. Sulla natura, primo {libro?}. 2. Sulla natura dell’uomo (o Sulla carne), secondo {libro?}.116 3. Sull’intelletto. 4. Sui sensi. (Alcuni associano questi {due ultimi titoli} sotto l’unico titolo Sull’anima.) 109 Questo ‘‘anche (kai;)’’, solitamente trascurato dai traduttori, fa pensare che i libri fossero stati ordinati in catalogo pure da qualcun altro, e, sebbene cio` potrebbe essere vero per Callimaco (cfr. infra, 0.9.8), non c’e` nessun cenno al proposito in Diogene Laerzio. 110 Va tenuto presente che ogni traduzione del catalogo va adottata con riserva, perche ´ il testo greco richiede correzioni congetturali e rimangono problemi aperti nell’identificazione delle opere (se in certi casi due titoli di seguito sono o no titoli alternativi di una stessa opera, se un certo titolo designa un’opera altrimenti nota mediante un altro titolo, ecc.). 111 F. NIETZSCHE, nelle Nachgelassene Aufzeichnungen raccolte nella Kritische Gesamtausgabe, Abt. I, Bd. 4, Berlin 1999, p. 391 e passim, seguito da P. NATORP, Die Ethika des Demokritos, Marburg 1893, p. 3, considera questo come un titolo alternativo del precedente. Tuttavia la sua proposta obbliga a trattare Eujestwv come un titolo per conto proprio, cosa che non pare soddisfacente. E` possibile s’intende che la successione di questi due primi titoli non sia casuale. 112 Con riferimento ad Atena, cfr. 191.1.1-1.5. 113 Cioe ` sull’eccellenza virile, in particolare: sulla virtu` del coraggio. 114 Ho tradotto omettendo il gavr, ma ritengo che il passo sia da intendersi come fa Brunschwig nella sua traduzione: ‘‘Le livre Sur le bien-eˆtre (n’est pas mentionne´), car on ne le trouve pas.’’ 115 Intendendosi presumibilmente descrizione e/o rappresentazione grafica del mondo. 116 L’indicazione ‘‘primo’’ e ‘‘secondo’’ non e ` chiara, e potrebbe voler dire primo e secondo
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V.1. Sui sapori. 2. Sui colori. (47) 3. Sulle configurazioni differenti .117 4. Sui cambiamenti di configurazione. VI.1. Conferme (che e` {scritto} di critica 118 dei precedentemente menzionati). 2. Sui simulacri o Sulla precognizione. 3. Sulle cose logiche canone,119 1o 2o e 3o {libro}. 4. Dei problemi {libri [quanti?]}. Questi sono appunto sulla natura. Non ordinati sono i seguenti: 1. Cause celesti.120 2. Cause atmosferiche. 3. Cause alla superficie {della terra}. 4. Cause concernenti il fuoco e le cose nel fuoco. 5. Cause concernenti i suoni. 6. Cause concernenti i semi, le piante e i frutti. 7. Cause concernenti gli animali, 1o, 2o e 3o {libro}. 8. Cause miste. 9. Riguardo alla pietra .121 Questi sono i non ordinati. Sono matematici i seguenti: VII.1. Sulla differenza in un angolo, 122 o Sul contatto del cerchio e della sfera. 2. Sulla geometria o Sulle cose geometriche. 123 3. Numeri. 4. Sulle linee irrazionali e sui compatti, 124 1o e 2o {libro}. titolo nella tetralogia. Diels suggeriva (in analogia con quanto viene precisato circa i titoli terzo e quarto nella stessa tetralogia, tuttavia adottando preferibilmente una correzione) di intendere Sulla natura come un titolo comprensivo per un’opera includente un primo e un secondo libro, proponendo (mediante un’integrazione) Sulla natura del mondo come sottotitolo del primo libro, e prendendo il secondo titolo come un sottotitolo del secondo libro. Altro modo di intendere, adottando (come prospetta D. O’BRIEN, s.v. De´mocrite, DPhA II, p. 680 sgg.) una lezione alternativa per il secondo titolo, e una correzione per il primo: Sulla natura, in un libro, e Sulla natura dell’uomo (o Sulla carne), in due libri. 117 Diels presume che questo sia un titolo alternativo per l’opera menzionata da Sesto Empirico (in 60.1) col titolo Sulle forme; tuttavia, se le forme coincidono in qualche modo con gli atomi, esse (per via dell’immutabilita` attribuita agli atomi) non sono suscettibili di quei ‘‘cambiamenti di configurazione’’ che sono prospettati dal titolo successivo. 118 Sorprende questa precisazione per un’opera con quel titolo; adottando una correzione del Bywater (ejpikratuntikav per ejpikritikav) avremmo piuttosto che essa e` ‘‘rafforzativa’’ ovvero appunto di conferma degli scritti precedenti. Che il riferimento sia agli scritti dello stesso Democrito e` confermato da Suda s.v. Kratunthvria (= 0.6.3). Peraltro non e` neppure chiaro se per ‘‘precedenti’’ si intenda solo quelli immediatamente precedenti. C’e` da sospettare un fraintendimento. (Cfr. Presentazione dei Testi, sez. 2). 119 Non e ` chiaro se si tratta di due titoli per una stessa opera (il senso del primo titolo essendo ‘su questioni di logica’) oppure se viene proposto un criterio o una regola nell’ambito della logica. 120 Cioe ` cause dei fenomeni celesti; lo stesso deve valere per i due titoli immediatamente successivi. 121 Presumibilmente: di Magnesia, cioe ` alla calamita. 122 Adotto una correzione di Hicks (gwnivh" al posto di gnwvmh"), che e ` difesa da T. HEATH, A History of Greek Mathematics I, pp. 178-179. 123 Oppure: Geometrico (seguendo la lezione di un altro cod.). Questo pare essere un titolo alternativo dell’opera precedente, ma cio` non risulta dal testo greco proposto da Long e Marcovich, mentre Cobet ha h]. Intendendolo come titolo alternativo, la suddivisione che ne risulta e` diversa da quella adottata dal Diels (seguito da quasi tutti gli studiosi successivi), che lo presenta come un titolo distinto, ed associa invece VIII.3 (Calendario) al precedente, con una combinazione che mi pare piuttosto artificiosa (si deve ammettere peraltro che anche la combinazione Il grande anno o Astronomia lascia perplessi). 124 Cioe ` , presumibilmente, sui solidi (l’aggettivo nastov" evidentemente ha questo significato in tale contesto).
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VIII.1. Proiezioni. (48) 2. Il grande anno o Astronomia. 3. Calendario. 4. La controversia della clessidra.125 IX.1. Descrizione del cielo.126 2. Descrizione della terra. 3. Descrizione del polo.127 4. Descrizione dei raggi di luce. Tanti sono quelli matematici. Sono musici 128 i seguenti: X.1. Sui ritmi e sull’armonia. 2. Sulla poesia. 3. Sulla bellezza dei versi. 4. Sulle lettere eufoniche e cacofoniche. XI.1. Su Omero o 129 Sulla correttezza della dizione e sulle parole rare. 2. Sul canto. 3. Sulle parole.130 4. Onomastico.131 Tanti sono quelli musici. Sono tecnici i seguenti: XII.1. Prognosi. 2. Sulla dieta o Dietetico. 3. La cognizione medica.132 4. Cause riguardanti i momenti inopportuni e opportuni. XIII.1. Sull’agricoltura o Georgico.133 2. Sulla pittura. 3. Il tattico e 4. L’oplomachico. 134 Tanti sono anche questi. Alcuni poi raggruppano per conto proprio, dai suoi Appunti, i seguenti: (49) 1. Sugli scritti sacri a Babilonia. 2. Sugli {scritti sacri} a Meroe.135 3. Il periplo del-
125 Intendo: contesa avente per oggetto la clessidra, non contesa fra la clessidra ed altro (donde la proposta di integrazione del Diels in Vors.: ‘‘e il cielo’’). 126 Oppure ‘rappresentazione grafica del cielo’ (Oujranografivh); lo stesso vale per i tre titoli successivi, tutti in -grafivh (e cfr. titolo III.3 con n. 115). 127 ‘Polografia’ puo ` significare anche ‘descrizione del cielo’, ma in tal caso il titolo non e` distinguibile da IX.1; peraltro e` pure difficile immaginarsi una descrizione del polo distinta dalla descrizione del cielo nel suo complesso. 128 Nel senso lato del greco ‘‘musico’’, con estensione alla poesia se non alla letteratura in generale. 129 Questo ‘‘oppure’’ e ` omesso da Friedel (intendendo dunque: Sulla correttezza della dizione e sulle parole rare di Omero), ma, in ogni caso, e` probabile che (come suggerisce W. FRONMU¨ LLER, Demokrit, Erlangen 1901, pp. 8-9) il secondo titolo qualifichi il modo in cui Democrito si era occupato di Omero. 130 Oppure: Sui verbi. 131 Cosı` in un MS; Degli onomastici in altri MSS. Non e ` chiaro se l’oggetto di questo scritto e` la questione della corretta denominazione ovvero della correttezza dei nomi sulla quale, come sappiamo da una testimonianza di Proclo (cfr. 129.1), Democrito aveva preso posizione. Per usi dell’aggettivo in tale senso cfr. Platone, Cratilo 423D (tevcnh ojnomastikhv) e 424A (oJ ojnomastikov"). Ma forse il senso e` piuttosto semplicemente: Vocabolario (cfr. LSJ, s.v.). 132 Questo titolo risulta distinto dai due precedenti adottando una correzione del Diels; altrimenti andrebbe considerato come un terzo titolo alternativo di una stessa opera, ma non sarebbe rispettato l’ordine tetralogico. 133 Questo secondo titolo risulta da una correzione suggerita dalla menzione di un’opera con tale titolo da parte di Columella (cfr. 189.5). Si puo` anche conservare il Gewmetrikovn dei MSS, come fanno Diels (in DK) e Hicks (nella sua ed. di Diog. Laerz.), intendendolo nel senso originale di ‘agrimensura’ (Hicks: Concerning Land Measurements; Brunschwig: Traite´ de l’arpentage). 134 Come segnala M. WELLMANN , Die Fragmente der Vorsokratiker: Nachtra ¨ge, Berlin 1922, p. xv (ma cio` era gia` stato notato da F. NIETZSCHE, Nachgelassene Aufzeichnungen, pp. 328-329) un’opera intitolata Il tattico in due libri viene attribuita ad un Damocrito storico (cfr. la Suda sotto questa voce), e questo contribuisce a rendere sospetti i due ultimi titoli. 135 L’integrazione ‘‘scritti sacri’’ e ` proposta da Froben ed e` adottata da Cobet e da Wellmann (in
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l’Oceano. 4. Sulla storia.136 5. Discorso caldaico. 6. Discorso frigio. 7. Sulla febbre e sulle tossi per malattia. 8. Cause attinenti alle leggi. 9. Cose fatte dalla mano [scil. dell’uomo]137 o Problemi. Di tutte le altre opere che alcuni gli attribuiscono una parte sono compilazioni da suoi originali e una parte sono concordemente riconosciute come altrui. Tanto e` quanto riguarda i suoi libri.
0.6.1.1. Diogene Laerzio, proem., I 16: [Nell’ambito di una tipologia dei filosofi, si elencano quelli, come Socrate, che non hanno scritto niente e quelli che hanno scritto delle opere, e quante ne hanno scritte.] Alcuni hanno scritto un’unica opera ciascuno: sono Melisso, Parmenide, Anassagora; molte invece Zenone, parecchie Senofane, parecchie Democrito, parecchie Aristotele, parecchie Epicuro, parecchie Crisippo.
2. Attestazioni relative a singole opere 0.6.2. Papyrus herculanensis 1788 (coll. alt. VIII), fr. 1 (= 67 B 1a e 68 B 4b; 64 Lu.): [Ad titoli III.1 e 2.] Scrivendo che ... { le stesse cose erano state dette prima nel Grande sistema del mondo, il quale {scritto} dicono essere di Leucippo.138 Ed e` biasimato [sogg. Democrito?] per essersi appropriato in tal misura delle {dottrine} altrui da porre non solo nel Piccolo sistema del mondo quanto si trova nel Grande ...{
0.6.3. Suda, s.v. Kratunthvria (K 2348) [III, 183.8-9]: [Ad titolo VI.1.] Democrito ha scritto un libro intitolato Conferme, che e` di critica di tutti i libri da lui scritti.
0.6.3.1. Suda, s.v. Tritogevneia (T 1019) [IV 593.29-31] (om. DK; 582 Lu.): [Ad titoli I.3-4.] L’Abderita Democrito scrisse Sulle cose nell’Ade, Tritogenea (cioe` che da essa vengono tre cose che abbracciano tutte le cose umane). Nachtra¨ge, p. XVIII). Altrimenti si puo` intendere: ‘su quanto si verifica a Meroe’ (Brunschwig: Sur ce qu’on trouve a Me´roe´). Il riferimento e` ad una citta` sacra degli Etiopi, lungo il Nilo. (Manifestamente titoli come questi sono altamente sospetti perche´ riguardanti un Democrito che si dedicava alla magia). 136 Oppure: Sulla ricerca. ` il titolo di un’opera 137 Si intendono i prodotti o rimedi artificiali in antitesi a quelli naturali. E sicuramente spuria (cfr. 0.8.24) che ricorre in 0.6.4 e 0.6.5. (Il titolo peraltro risulta da una correzione del testo.) 138 Il testo del papiro e ` piuttosto lacunoso. ‘‘Leucippo’’ e` un’integrazione di W. CRO¨ NERT, Kolotes und Menedemos, Mu¨nchen 1906, p. 147, come altro, compresi parzialmente i titoli delle opere; l’integrazione delle ultime cinque parole e` tuttavia dovuta al Diels.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
3. Attestazioni relative ad opere spurie 0.6.4. Vitruvio, De architectura IX, prooem. 14 (= 68 B 300.2, om. Lu.): [Ad titoli IV.1 e (49) 9.] Trovo anche ammirevoli i libri di Democrito Sulla natura e il suo commento intitolato Ceirovkmhta, nel quale aveva pure fatto uso del suo anello per lasciare l’impronta sulla cera molle di cui era un esperto.
0.6.5. Plinio, Naturalis historia XXIV (99) 156, (102) 160 e 166 (= 68 B 300.2; om. Lu.): Essendomi ripromesso di parlare delle piante dagli effetti straordinari mi trovo a dire qualcosa anche di quelle magiche. Che cosa c’e` di piu` portentoso? I primi a celebrarle nella nostra parte del mondo furono Pitagora e Democrito, seguendo i Magi. [Il seguito immediato e` su Pitagora.] (160) Quanto a Democrito, si sa con certezza che i Chirocmeta sono suoi; 139 ed in essi quale abbondanza di fatti portentosi non ci racconta, egli che, dopo Pitagora, fu il maggiore cultore dei Magi! [Nel seguito viene fatta parola di una serie di erbe o piante dalle propriet`a straordinarie, di cui Democrito si sarebbe occupato in quell’opera.] (166) L’hermesias, che fa procreare figli belli e buoni, da lui [scil. Democrito] e` chiamata non un’erba ma un composto di pinoli triturati con miele, mirra, zafferano e vino di palma, cui viene aggiunto, alla fine, theombrotion e latte. Egli prescrive che vada bevuto dalle donne incinte fin dal concepimento, e dalle puerpere nel corso dell’allattamento; a questo modo {i figli} diventerebbero eccellenti nello spirito e nell’aspetto. E per tutte queste {piante} egli fissa anche le relative formule magiche.
0.6.5.1. Plinio, Naturalis historia XXV (5) 13 (trad. Cosci) (= 68 B 300.6; in parte = comm. XXIIIa Lu.): [Omero e` il primo dei Greci che si era occupato dei poteri delle piante.] Dopo di lui Pitagora, famoso per la sua sapienza, e` stato il primo che ha scritto un libro sui loro effetti: egli ne attribuisce la scoperta e l’origine ad Apollo, a Esculapio e in genere agli dei immortali. Anche Democrito scrisse un libro sull’argomento; 140 l’uno e l’altro, dopo aver visitato i Magi della Persia, dell’Arabia, dell’Etiopia, dell’Egitto.
0.6.6. Plinio, Naturalis historia XXVIII (29) 112, 114, 118 (trad. Capitani) (= 68 B 300.7; om. Lu.): Ai coccodrilli faremo seguire animali molto simili ed egualmente esotici, in primo luogo il camaleonte, che Democrito ha ritenuto degno di un libro interamente a lui riservato, 139 La non autenticita ` dell’opera menzionata da Plinio e da Vitruvio (in 0.6.4) e` dichiarata invece da Columella, che l’attribuisce a Bolo, cfr. 0.8.24 (peraltro lo stesso Columella menziona un Peri; ajntipaqw=n certamente non autentico, cfr. 189.8 e n. 144 ad 0.6.10.1). 140 M. WELLMANN , Die Georgika des Demokritos, Berlin 1921, pp. 16-17, seguito da Diels (in DK), pensa ad un apposito libro intitolato De effectu herbarum, ma la affinita` di questo passo di Plinio con 0.6.5 suggerisce che si tratta sempre dei Cheirokmeta.
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nel quale e` indicata per ogni parte del suo corpo la destinazione terapeutica: ci e` stata offerta cosı` l’occasione – e ne siamo estremamente soddisfatti – di conoscere e rivelare le imposture di quei bugiardi dei Greci. ... (114) Le altre notizie relative ai malefici che questo autore riferisce, pur giudicandole falsit`a, tralasceremo di riportarle facendo pero` eccezione per quelle che lo espongono al ridicolo: l’occhio destro strappato al camaleonte vivo, mescolato al latte di capra, eliminerebbe le albugini, la lingua attaccata come amuleto proteggerebbe dai pericoli del parto; l’animale sarebbe di aiuto alle partorienti, se si trova gia` in casa, ma dannosissimo, se vi vien portato da fuori. ... (118) ... la coda arresterebbe il corso dei fiumi e l’impeto delle acque, addormenterebbe i serpenti; se con essa, trattata con la cedrus e con la mirra e legata ad un ramo doppio di palma, si batte uno specchio d’acqua, questo si aprirebbe lasciando scorgere tutto quello che racchiude: magari con quel ramo fosse stato toccato Democrito, che garantı` questo stesso mezzo per frenare le lingue troppo sciolte! Evidentemente quest’uomo per altri aspetti acuto e utilissimo all’umanita` e` caduto 141 per eccesso di zelo nell’aiutare i suoi simili.
0.6.7. Aulo Gellio, Noctes atticae X 12, 1 (rif. in 68 B 300.7), 6-8 (= 68 B 300.7; om. Lu.): [I passi che seguono appartengono ad un capitolo intitolato: ‘‘Sui prodigi favolosi che Plinio Secondo attribuisce del tutto indegnamente al filosofo Democrito ...’’] (1) Plinio Secondo riferisce nel ventottesimo libro della sua Naturalis historia che c’`e un libro di Democrito, filosofo particolarmente illustre, Sul carattere e sulla natura del camaleonte, e che egli l’ha letto; e nel seguito riporta molte asserzioni vane e insopportabili da sentire come se fossero state scritte da Democrito ... [Seguono esempi come quello del rendersi invisibile da parte di una persona che porti un vaso contenente un camaleonte ridotto a poltiglia mediante uno speciale trattamento.] (6) Io non ritengo che il nome di Democrito sia appropriato ai prodigi ciarlataneschi messi per iscritto da Plinio Secondo; (7) per non parlare di quello che lo stesso Plinio, nel decimo libro,142 asserisce essere stato riferito per iscritto da Democrito: certi uccelli hanno una sorta di linguaggio, e mescolando il loro sangue si genera un serpente; chi lo mangia puo` comprendere il linguaggio e la conversazione degli uccelli. (8) A quanto pare molte falsita` del genere furono messe sotto il nome di Democrito da questi uomini dotati di malizia, che si mettevano al riparo dietro la nobilta` e autorita` di lui.
0.6.8. Plinio, Naturalis historia XXVIII (2) 6-7 (trad. Capitani) (= 68 B 300.13a; om. Lu.): [Parla di pratiche magiche contro le malattie, offrendo esempi come il succhiare il sangue di un uomo vivo oppure cibarsi delle sue viscere.] Chi, o Ostane, ha inventato queste atrocita`? Me la rifaro` con te che hai stravolto le leggi umane, o artefice di mostruosita`, tu che sei stato il primo a escogitare questi orrori, forse per farti un nome imperituro. Chi ha avuto l’idea di mangiare pezzo per pezzo le varie parti del corpo? Spinto da quale supposizione? Da dove puo` avere tratto origine simile medicina? Chi ha fatto apparire i veleni piu` innocui dei rimedi? 141 142
Cioe` si e` sbagliato perche´ preso da ... (in lat. prolapsum est). Cfr. Nat. hist. X (70) 137, da me non riportato nella presente raccolta.
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Ma ammettiamo pure che queste usanze risalgano a barbari stranieri: non si sono anche i Greci appropriati di queste arti? (7) Circolano alcuni trattati di Democrito ove si legge che per un certo tipo di malattia giovano di piu` le ossa del capo di un delinquente, per altri quelle di un amico o di un ospite ...
0.6.9. Plinio, Naturalis historia XXX (1) 8-10 (trad. Garofalo) (300.13; primo periodo di 9 = 31 A 14; XXIIIa comm. Lu.): Certo e` che questo Ostane soprattutto porto` i popoli greci alla frenesia di magia, non solo alla voglia di magia. Cio` nonostante, noto che in questa scienza fin dall’antichita` e quasi sempre s’`e cercata gran fama e gloria letteraria. (9) Pitagora, Empedocle, Democrito e Platone presero il mare per apprenderla, in quelli che furono piu` esilıˆ che viaggi, e al loro ritorno la predicarono e la tennero fra i misteri. Democrito diede lustro ad Apollobeche di Copto e a Dardano di Fenicia; ando` a cercare i volumi di Dardano fin nel suo sepolcro e pubblico` i propri basandosi sulla scienza di quei due. Niente di strano che questa dottrina sia stata raccolta da qualcuno e trasmessa con la memoria come nessun’altra cosa al mondo; (10) essa manca del tutto di attendibilita` e di morale, al punto che chi approva le altre cose di Democrito, dice che queste non sono sue. Ma a torto: e` assodato che proprio Democrito piu` di tutti ha instillato negli animi tali dolcezze. La cosa piu` straordinaria e` poi che le due arti, voglio dire la medicina e la magia, sono sbocciate insieme: nella stessa epoca Ippocrate dava lustro alla medicina, Democrito alla magia, ai tempi della guerra del Peloponneso in Grecia, che fu combattuta a partire dall’anno 300 della nostra citt`a.
0.6.10. Taziano, Oratio ad Graecos 17 (= 68B 300.10 e 12; om. Lu.): E infatti intorno alle simpatie e antipatie secondo Democrito che cosa c’e` da dire se non questo, che l’uomo di Abdera e` proprio un abderologo nel senso corrente della parola. Ma come colui che fu causa della denominazione della citta`,143 essendo amico, come raccontano, di Eracle, fu divorato dai cavalli di Diomede, allo stesso modo anche colui che ha esaltato il mago Ostane sara` buttato, il giorno della fine, in pasto al fuoco eterno [...]. Cio` che si patisce non e` distrutto per effetto di ‘antipatia’ ne´ uno impazzito si guarisce con degli amuleti attaccati.
0.6.10.1. Titolo di opera spuria bizantina (= 68 B 300.9; om. Lu.): Di Democrito: Sulle simpatie e sulle antipatie.144
0.6.11. Sinesio (?), A Dioscoro: Annotazioni sul libro di Democrito 1 (Coll. Alchim. Gr. II 57) (trad. Garzya) (= 68 B 300.17; brani in X e XXIIIa comm. Lu.): Non ho trascurato la lettera sul libro del divino Democrito che tu mi hai indirizzata, ma mi sono messo alla prova con grande e zelante sforzo, ed eccomi da te. Voglio intanto
Cioe` Abdero, il suo fondatore (cfr. supra, passo di Stefano riportato come 0.2.12). Ad uno scritto Sulle simpatie e sulle antipatie (Peri; sumpaqeiwn= kai; ajntipaqeiwn= ) fa riferimento come ad un’opera di Democrito, ma chiamandolo Peri; ajntipaqw=n, Columella, De re rustica XI 3, 64 (= 189.8); tuttavia esso viene attribuito a Bolo dalla Suda, s.v. Bw=lo" (= 0.8.23) e in uno scolio a Nicandro (= 0.8.25) (cfr. anche Introduzione). 143 144
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premettere qualcosa sulla personalit`a di codesto filosofo. Venuto da Abdera, il naturalista Democrito indago` su tutti i fenomeni della natura e compose opere sugli esseri naturali. Abdera e` una citta` della Tracia; il dottissimo Democrito venne in Egitto e fu iniziato ai misteri, come tutti i preti egiziani, dal grande Ostane nel santuario di Menfi. Preso l’avvio da costui, composte quattro libri di tintura: sull’oro, l’argento, le pietre, la porpora. Con ‘‘preso l’avvio’’ intendo dire che scrisse il suo trattato secondo i princı`pi del grande Ostane. Fu questi a scriver per primo che ‘‘la natura e` attratta dalla natura, la natura domina la natura, la natura vince la natura’’, ecc.
0.6.12. Sincello, Chronographia, 248B (trad. Alfieri) (= 68 B 300.16; om. Lu.): Era allora 145 in fama Democrito di Abdera, filosofo e mago. Egli in Egitto fu iniziato ai misteri da Ostane il Medo (ch’era stato mandato in Egitto dai re persiani di allora a presiedere al culto egiziano) nel tempio di Memfi insieme con altri sacerdoti e filosofi, fra i quali vi erano una tale Maria, sapiente ebrea, e Pammene; e scrisse intorno all’oro e all’argento e alle pietre e alla porpora, ma in modo oscuro, come anche Maria. Ma questi due, cioe` Democrito e Maria, furono lodati da Ostane per aver nascosto l’arte con molti e sapienti enigmi, mentre fu da lui biasimato Pammene per avere scritto le cose apertamente. [Il seguito e` su Ippocrate.]
0.6.13. [Democrito] Physica et mystica (Dhmokrivtou fusika; kai; mustikav), raccolto in Coll. Alchim. Gr. II 41; estratto 43.14 sgg. (salvo brano finale trad. Alfieri del testo del Diels) (= 68 B 300.18; om. Lu.). [Estratto da quest’opera, che manifestamente coincide col ‘‘tetrabiblio’’ menzionato nelle testimonianze precedenti:] Mentre dunque ci si trovava nel tempio, ecco che una colonna si spezza da se´ all’improvviso, e noi non vedevamo che essa non avesse nulla al suo interno. Ma Ostane diceva che erano in essa gelosamente conservati i libri dei nostri avi e tosto, accompagnandoci in mezzo al tempio, ci porto` la` presso: e noi, chinandoci, ci meravigliavamo, perche´, avendo osservato senza che nulla ci potesse sfuggire, non riuscimmo a trovare cola` che questo discorso, ottimo sotto ogni riguardo: ‘‘la natura e` attratta dalla natura, la natura domina la natura, la natura vince la natura’’, ecc.
0.6.13.1. Libro V di Democrito dedicato a Leucippo (ivi, 53.16 sgg.) 146 (trad. Alfieri) (= 68 B 300.18; om. Lu.): Ecco dunque, o Leucippo, che tutto quanto vi era intorno a queste arti degli Egizi nei libri dei profeti persiani io scrissi nel dialetto volgare, a cui esse [scil. arti] si adattano benissimo; ma il libro non e` volgare. Esso contiene infatti enigmi mistici antichi e venerandi, che furono confidati ai Fenici dai prischi e divini re dell’Egitto. Ed io, per l’amicizia che ti
Al tempo dell’Olimpiade 102, cioe` intorno al 372-68. Il testo compare in uno solo dei tre principali manoscritti che riportano il corpus dell’alchimia greca, cioe` nel Parisinus graecus 2327 (vedasi R. HALLEUX, Indices chemicorum graecorum I, Roma 1983, Introduction). 145 146
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porto, esporro` appunto questi enigmi venerandi che sono stati scritti per me dai figli degli Egizi. Ma non saro` pago finche´ non avro` introdotto te, o medico, apertamente a tutti questi misteri, anche per mezzo d’interprete. La trattazione riguarda l’imbiancatura e l’indoratura, cioe` i sistemi di ammollimento e di cottura del minerale di rame e cosı` via sino alla colorazione di esso, poi {enumera} quante cose strane e inopinate si possono in seguito ricavare dallo stesso rame e dal cinabro, per esempio ricavare l’oro dalla calamina e da altre specie {di minerale}, e inoltre quali meraviglie si ottengono con la calcinazione e con la combinazione delle sostanze.
0.6.13.2. Papyrus holmiensis 2, ll. 12-14 (CPF I 1**, p. 28): Altro. Anassilao attribuisce anche questo a Democrito. [Segue una prescrizione di tipo alchimico.]
0.6.14. Celio Aureliano, Tardarum passionum libri quinque, IV 1, 4 (= 68 B 300.10; om. Lu.): (Sull’elefantiasi) Nessuno pero` degli antichi medici stabilı` una cura per questo male, eccetto Temisone e fra i filosofi Democrito, se e` veramente suo il libro sugli elefantiaci che si dice essere stato da lui composto; in questo libro, descrivendo le cause della corruzione del sangue, prescrive che i malati siano sottoposti a salasso e ricevano da bere un decotto di un’erba che, come egli riferisce, cresce in Siria e in Cilicia. Tuttavia, ne´ noi possiamo dire qual e` questa erba ne´ e` credibile che una malattia cosı` grave possa risolversi con queste due misure terapeutiche.
0.6.14.1. Medico anonimo, De morbis acutis et chroniis, 51 (= 68 B 300.10; om. Lu.): 147 Nessuno degli antichi medici fece menzione dell’elefantiasi, dei filosofi invece la fece Democrito nel libro a lui attribuito Sull’elefantiasi, dove disse che questa {affezione} si forma da molto flemma viscoso e mucoso. ...
0.6.14.2. Oribasio, Collectionum Medicarum Reliquiae XLV 28, 1 (= 68 B 300.10; om. Lu.): [Sull’elefantiasi. La malattia e` stata trascurata dagli antichi, con l’eccezione di Stratone maestro di Erasistrato.] Infatti il libro sulla malattia che viene attribuito a Democrito e` manifestamente apocrifo.
147 Mi baso sul testo dell’edizione di quest’opera anonima dovuta a I. GAROFALO , Anonimi medici De morbis acutis et chroniis, Leiden 1997. Inizialmente il passo era stato incluso, come nr. 40, nella raccolta pubblicata da R. FUCHS in «Rheinisches Museum fu¨r Philologie», IL, 1894, pp. 532-558, con il titolo Anecdota medica Graeca (Der cod. Paris. supplem. Graec. 636), il cui testo viene adottato in DK (in esso manca l’indicazione ‘‘a lui attribuito’’). Cfr. anche Introduzione, n. 21.
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0.6.15. Ps.-Ippocrate, Epistula XVIII (IX 384.2) (om. DK e Lu.): [Conclusione della lettera che Democrito avrebbe rivolto ad Ippocrate, cfr. 0.5.4. Egli annuncia l’invio dell’opera che viene menzionata nell’Epistula XVII, cfr. 0.3.12. Il suo contenuto e` costituito dalla Epistola XIX, che e` un centone da scritti ippocratici come De morbo sacro.] Ti ho inviato il mio discorso Sulla pazzia. Salute.
0.6.16. Scolio XXI all’Hexahemeros di Basilio 148 [Dox. Bas., 200.11-12] (= 68 B 300.8; om. Lu.): Di Democrito c’e` un trattato {intitolato} ta; frewrucikav [= L’arte di scavare i pozzi] e altri hanno scritto di uJdroskopikav [= L’arte di scoprire l’acqua, cioe´ le sorgenti sotterranee].
0.6.16.1. Geoponica II 6 (= 68 B 300.8; om. Lu.): [Titolo del capitolo:] 149 L’Idroscopico ( jUdroskopiko;n) di Democrito.
0.6.17. Titoli in Codex Vaticanus Graecus 299, f. 304 sgg. (= 300.11; om. Lu.): 150 Di Democrate sul mal di testa. 1. Di Democrito sugli occhi. 2. Di Democrito abderita sull’infiammazione degli occhi. 3. Stesso titolo di 2. 4. Democrito riguardo il flusso. 5. Di Democrito riguardo il flusso dell’occhio. 6. Di Democrito sulla trichiasi degli occhi. 7. Democrito riguardo gli ematomi degli occhi. 8. Democrito sulla chemosi.151 9. Democrito sui nefelii.152 10. Di Democrito riguardo l’occhio nero e i lividi {agli occhi}.11.Democrito sull’infiammazione dell’ugola. 12. Democrito riguardo al vomito di stomaco. Dell’Abderita sul sedativo per il vomito.
G. SULLO
STILE
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0.7.1. Cicerone, De oratore I 11, 48-49 (= 68 A 34; 826 Lu.): [Contesto: viene sostenuto da Crasso, in polemica con Platone e altri filosofi greci, che gli oratori non potrebbero parlare con eleganza e facondia senza quella cultura e co148 Di commento, in modo piuttosto estrinseco, alla menzione degli scavatori di pozzi in Omelia I, 7, 8 di Basilio. 149 Il testo del capitolo e ` riportato, oltre che nell’edizione dei Geoponica curata da H. BECKH (Geoponica sive Cassiani Bassi scholastici de re rustica eclogae, Leipzig 1895), da E. ODER, Ein angebliches Bruchstu¨ck Democrits, Leipzig 1899, pp. 246-258 [20-33], insieme a vari passi paralleli, con conferme nel contesto della non autenticita` dell’opera (cfr. anche Introduzione). 150 I titoli numerati sono tratti da M. WELLMANN , Pseudodemocritea Vaticana, Berlin 1908, che non registra il primo e l’ultimo titolo come riportati in DK. 151 Si tratta di un’affezione agli occhi. 152 Sono opacita ` biancastre degli occhi. 153 Sullo stile di Democrito cfr. anche Plutarco, Quaest. conv. V 7, 6, 682 F (= 110.5).
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noscenza degli argomenti di cui si occupano che essi posseggono proprio in quanto oratori. Il passo appartiene alla replica che Crasso fa seguire all’intervento di Scevola, per il quale cfr. 0.7.1.1.] L’abilita` nel parlare infatti non puo` sussistere se colui che parla non ha afferrato cio` di cui parla. (49) Pertanto se, come si riferisce e come anche a me sembra, il noto naturalista Democrito si e` espresso in forma ornata, il tema da lui trattato era fisico, ma l’ornato stesso dell’elocuzione e` da giudicare come proprio di un oratore. [Segue una parte su Platone 154 e altri filosofi.]
0.7.1.1. Cicerone, De oratore I 10, 41-42 (om. DK e Lu.): [Scevola contesta l’idea che Crasso si fa dell’oratore, cfr. 0.7.1.] Quello che ti sei arrogato come se fosse un tuo diritto nell’ultima parte del tuo discorso, cioe` che l’oratore e` in grado di spaziare con grande ricchezza di argomenti nella discussione su qualsiasi materia, non lo tollererei se non fossimo nel tuo regno e suggerirei le opportune formule legali a molti pronti a contendere con te in base ad un interdetto, o a chiamarti fuori dal tribunale a un sopralluogo per aver cosı` sfacciatamente fatto irruzione nei possedimenti altrui.155 (42) Per primi ti intenterebbero un processo tutti i pitagorici, e i democritei,156 assieme agli altri naturalisti, persone eleganti e solenni nel parlare, per rivendicare quanto gli spetta di diritto; tutta gente con cui non potresti contendere senza perdere il tuo pegno ...
0.7.2. Cicerone, Orator 20, 66-67 (67 = 68 A 34; 826 Lu.): [Contesto: l’oratore differisce per eloquenza ovvero per stile dai filosofi, dai sofisti, dagli storici e dai poeti.] Anche i poeti in effetti sollevarono il problema di quale sia il punto nel quale essi differiscono dagli oratori; in precedenza sembrava che cio` fosse soprattutto per il numero e per il verso, attualmente presso gli oratori il numero stesso e` ormai diventato frequente. (67) In effetti tutto cio` che cade sotto qualche misura {rilevabile} all’orecchio, anche se e` lontano dal verso (cosa 157 che in effetti in prosa e` un difetto) si chiama ‘numero’, e in greco e` detto rJuqmov".158 Ed e` per questo che vedo che a parecchi sembra che l’elocuzione di Platone e di Democrito, per quanto sia lontana dal verso, tuttavia, per il fatto che e` dotata di vivacit`a e che fa uso della piu` brillante ornamentazione verbale, vada conside-
154 Va notato che di questi era stato detto (in 11, 47) che e ` l’iniziatore della disputa fra filosofia e retorica, sicche´ Democrito non e` incluso fra i filosofi con i quali polemizza il parlante Crasso (che evidentemente espone una posizione cui aderisce lo stesso Cicerone). 155 La mia traduzione su questi punti, dove viene usato linguaggio tecnico giuridico, e anche altrove si ispira a quella fatta sotto la direzione di E. NARDUCCI (Dell’oratore di Cicerone, Milano 1994). L’interdetto (interdictum) e` l’ordine o divieto del pretore (su richiesta di una delle parti) ad agire in un certo modo; anche la pratica del sopralluogo e quella del pegno o deposito (sacramentum) appartengono alla giurisprudenza. 156 Che i democritei rappresentino in effetti Democrito e ` mostrato dal fatto che e` questi ad essere menzionato nella replica di Crasso (in 0.7.1). 157 Cioe ` il ricorso al verso. 158 Sul motivo che anche la prosa oratoria deve presentare un ritmo si veda p. es. Aristotele, Retorica III 8.
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rata come poetica piu` di quella dei poeti comici, presso i quali, se non fosse che scrivono in versi, non c’e` niente che differisca dal linguaggio quotidiano.
0.7.3. Cicerone, De divinatione II 64, 132-133 (trad. Timpanaro) (133 = 68 A 34; 826 Lu.): [Contesto di critica della divinazione: se anche avesse un fondamento, ci si scontrebbe con la difficolta` che c’`e ad interpretare i sogni, i quali sono poco comprensibili nelle indicazioni che forniscono.] E insomma, a che servono le oscurit`a e gli enigmi dei sogni? Gli dei avrebbero dovuto volere che noi comprendessimo cio` di cui ci preavvisavano per il nostro bene. «Ma,» tu dirai, «forse nessun poeta, nessun filosofo della Natura e` oscuro?» (133) Certo, quel famoso Euforione e` oscuro anche troppo; ma non lo e` Omero: quale dei due e` miglior poeta? E` estremamente oscuro Eraclito, non lo e` per nulla Democrito: si puo` fare tra loro un paragone?
0.7.4. Dionisio di Alicarnasso, De compositione verborum 24, 5 (= 68 A 34; 827 Lu.): [Parla dello stile intermedio fra quello ‘austero’ e quello elegante.] Tutti gli scrittori che hanno adottato come lui [scil. Omero] lo stile medio apparirebbero inferiori, e di molto, ad Omero, se messi a confronto con lui, ma se li si considera per conto proprio sono degni di attenzione: fra i poeti lirici Stesicoro e Alceo, fra i tragediografi Sofocle, fra gli storici Erodoto, fra gli oratori Demostene, fra i filosofi, a mio giudizio, Democrito, Platone e Aristotele; e` impossibile trovare degli altri che abbiano saputo meglio temperare i discorsi.
H. RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI, DI LEUCIPPO E DI DEMOCRITO
INCLUSI I CONTINUATORI O SUCCESSORI
1. Successioni di filosofi 0.8.1. Diogene Laerzio, Prooem. I 15 (parte come 75 A 1; di piu` in VII Lu.): [Di seguito ad un elenco degli esponenti della filosofia ionica.] La {filosofia} italica {termina con Epicuro} cosı`: Ferecide, Pitagora, di cui {fu discepolo} suo figlio Telauge, di cui Senofane, di cui Parmenide, di cui Zenone Eleate, di cui Leucippo, di cui Democrito, di cui molti – tra cui rinomati Nausifane e Naucide (?) –, dei quali 159 {fu discepolo} Epicuro.
159 Il pronome potrebbe riferirsi sia ai due menzionati per nome in precedenza (ma Naucide e ` per lo meno dubbio, perche´ non risulta da nessun’altra fonte) sia ai ‘‘molti’’ (per quanto sia curioso fare di Epicuro il discepolo di molti maestri, quando di solito, come mostra anche il contesto, ne viene proposto uno solo).
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.8.2. Clemente, Stromata I xiv, 64, 2 e 3-4 (parte come 67 A 4 e VIII Lu.): Senofane di Colofone da` inizio all’orientamento eleatico [...], (3) poi Parmenide diventa il discepolo di Senofane, di questi Zenone, poi Leucippo, poi Democrito; (4) discepoli di Democrito sono Protagora di Abdera e Metrodoro di Chio, di cui {e` discepolo} Diogene di Smirna, di cui Anassarco, di questi Pirrone, del quale {e` discepolo} Nausifane, e di questi alcuni dicono che e` stato discepolo Epicuro.
0.8.3. Eusebio, Praeparatio evangelica XIV 17, 10 [II 305.12-17] (parte come 69 A 1 e VIII Lu.): Siffatti furono quelli prossimi a Senofane,160 del quale si dice che fiorı` allo stesso tempo di coloro che erano prossimi a Pitagora e ad Anassagora. Discepolo di Senofane divenne Parmenide, di questi Melisso, di cui Zenone, di cui Leucippo, di cui Democrito, di cui Protagora e Nessa; di Nessa {divenne discepolo} Metrodoro, di cui Diogene, di cui Anassarco; compagno di Anassarco divenne Pirrone, dal quale ebbe origine la corrente di coloro che furono chiamati Scettici.161
0.8.3.1. Eusebio, Praeparatio evangelica X 14, 15-16 [612.15-17, 612.21-23] (om. DK; = VIII Lu.): [Sul tempo in cui vissero i filosofi greci, rispetto alla storia degli Ebrei.] Parmenide dicono abbia appreso da Senofane, Melisso da Parmenide, Zenone di Elea da Melisso ... (16) Di questo {ultimo} fu il discepolo Leucippo, di Leucippo Democrito, di questi Protagora, al tempo del quale fiorı` Socrate.
0.8.4. Ps.-Galeno, Historia philosopha 3 [601.5-14] (parte come 67 A 5 e 152 Lu.; Dox. 601): [Il passo appartiene ad una rassegna delle posizioni dei filosofi.] Si dice che Senofane di Colofone sia stato l’iniziatore di questo {orientamento},162 che ai piu` sembra essere aporetico piuttosto che dogmatico; dopo di questi, avendone accolte le direttive, anche Parmenide non sembra essere riuscito ad addentrarsi nelle cose che sono piu` occulte. Zenone di Elea viene ricordato per essere stato l’iniziatore della filosofia eristica; il discepolo di questi Leucippo di Abdera per primo concepı` la scoperta degli atomi, e Democrito, avendone accolto la dottrina, la rafforzo` notevolmente; di questi fu seguace Protagora di Abdera, che fu anche l’iniziatore delle arti filosofiche ***. Anassarco di Abdera, pervenuto all’imitazione dei discorsi di costui,163 fu maestro di Pirrone, essendo di filosofia scettica ***.
160 Cioe ` i suoi seguaci, i quali erano stati menzionati in precedenza, cioe` Parmenide, Zenone e Melisso (cfr. 17.1, che e` una citazione dal libro VIII del De philosophia di Aristocle di Messene). 161 Segue una breve esposizione del pensiero degli scettici, la cui posizione e ` sottoposta a critica (citando Aristocle) nel capitolo successivo. 162 Quello italico (ma sarebbe stato iniziato da Pitagora) o quello eleatico? (Il testo precedente e ` lacunoso.) 163 Pare trattarsi di Protagora, anche se c’e ` una lacuna in mezzo.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.8.4.1. Ps.-Galeno, Historia philosopha 7 [603.21, 604.16-21] (om. DK e Lu.; Dox. 604): (Sulle scuole) [Viene proposta una distinzione in quattro orientamenti: dogmatico, scettico, eristico e misto – cioe`, si intende, misto fra dogmatico e scettico, perche´ aporetico.] Quanto a coloro che si trovarono ad adottare l’orientamento misto Senofane sollevo` difficolta` su tutte le cose, sostenendo dogmaticamente soltanto che tutte le cose sono uno e che questo e` un dio finito razionale e immutabile, Democrito similmente non si dichiaro` su nient’altro, ma come unica tesi dogmatica lascio` quella circa gli atomi e il vuoto e l’infinito.
0.8.5. Ippolito, Refutatio omnium haeresium I, Philosophumenon prooemium (om. DK e Lu.; Dox. 553): Fisici {fra i filosofi sono i seguenti:} Talete, Pitagora, Empedocle, Eraclito, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Archelao, Parmenide, Leucippo, Democrito, Senofane, Ecfanto, Ippone. [Seguono gli etici, cominciando con Socrate, e i dialettici, cominciando con Aristotele.] In Diogene Laerzio, libro IX, viene adottata la seguente successione: Eraclito, Senofane (ma questi sono presentati come ‘‘isolati’’, cfr. VIII 91 e IX 20), Parmenide (21-23), Melisso (24), Zenone di Elea (25-29), Leucippo (30-33), Democrito (34-49), Protagora (5056), Diogene di Apollonia 164 (57), Anassarco (58-60), Pirrone (61-108), Timone (109-116). In Epifanio, Adversus Haereses III 2, 9 (Dox. 590-91) viene adottata la seguente successione (da 7 a 18 nella numerazione dei filosofi ivi proposta): Ferecide, Pitagora, Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso, Leucippo, Democrito, Metrodoro, Protagora, Diogene di Smirna, Pirrone. (Cfr. 8.5 e 132.3 per quanto ha da dire su Leucippo e su Democrito.)
2. Moco, un mitico anticipatore dell’atomismo 0.8.6. Strabone, Geographica XVI 2, 24 [757.25-27] (= 68 A 55; 169 Lu.): [Nel contesto si parla dei contributi che i Sidonii avrebbero dato alle arti e alle scienze, compresa la filosofia.] Se si deve dare credito a Posidonio,165 anche la teoria degli atomi e` antica, essendo di Moco di Sidone,166 vissuto prima del tempo della guerra di Troia.
164 Probabilmente inserito per errore al posto di Diogene di Smirna (menzionato da Clemente, cfr. 0.8.2, e da Epifanio, cfr. seguito immediato). 165 L’opinione di Posidonio e ` attestata anche da Sesto, Adv. math. IX 363 (= 6.2). Questo e` il fr. 285 nell’edizione Edelstein-Kidd. 166 Riguardo a questo personaggio notare che Diogene Laerzio, prooemium I 1 (= 68 A 55; rifer. 169 Lu.), nel parlare delle origini presso i Barbari che, ‘secondo alcuni’, avrebbe avuto l’attivita` filosofica, segnala che Moco era un fenicio, e che Giamblico, De vita pythagorica, III 14, lo mette in rapporto con Pitagora, il quale, recandosi a Sidone, ne avrebbe incontrato i discendenti, insieme ad altri ierofanti fenici, facendosi iniziare ai loro misterıˆ.
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3. Predecessori 0.8.7. Porfirio, Vita Pythagorae 3 [18.17-20] (= 14 A 6; 154 Lu.): Duride di Samo, nel secondo libro degli Annali, gli [scil. a Pitagora] attribuisce come figlio Arimnesto e asserisce che fu il maestro di Democrito.
0.8.8. Diogene Laerzio II 14 (= 59 A 1; 159 Lu.): (Cap. 3: Anassagora) Pare che fosse ostile [sogg. Anassagora] nei confronti di Democrito, perche´ era stato escluso dalla condivisione dei suoi discorsi.167
4. Continuatori e successori 0.8.9. Simplicio, In Physica I (2, 184b15 [= 11.1]), 25.1-3 (= 64 A 5; 2-3 = 67 A 3; LXXV Lu.), seguendo Teofrasto (Physicorum Opinionum fr. 2 [= Dox. 477]; T 226A FHSG): E Diogene di Apollonia, che in pratica fu il piu` giovane di coloro che si sono occupati di questi oggetti,168 ha scritto la maggior parte delle cose in maniera eclettica, esprimendosi su alcune in accordo con Anassagora e su altre in accordo con Leucippo.
0.8.10. Diogene Laerzio IX 50 (= 80 A 1; LXIX Lu.): (Cap. 8: Protagora [Il cap. segue immediatamente quello su Democrito]) Protagora figlio di Artemone ..., di Abdera ... Protagora fu il discepolo di Democrito 169 (che veniva chiamato Sapienza, come dice Favorino nella Storia varia).
0.8.11. Filostrato, Vitae Sophistarum I 10 [II, 13.1-4] (= 68 A 9; LXXI Lu.): Protagora di Abdera, sofista, fu discepolo di Democrito nella sua citt`a, ed ebbe contatti anche con i Magi della Persia durante la spedizione di Serse contro la Grecia.170
0.8.12. Diogene Laerzio IX 53 (= 80 A 1; LXIX Lu.): (Cap. 8: Protagora) Egli [scil. Protagora] invento` per primo il cosidetto cercine, sul quale si portano i pesi, come dichiara Aristotele nel {suo} Sull’educazione; infatti era stato un facchino, come di167 Cioe ` dalla sua scuola. Questo fa pensare che D.L. qui dipenda da una fonte che fa di Anassagora il piu` giovane dei due, ma c’e` un contrasto fra questa testimonianza e quella in D.L. IX 35 (= 0.2.1 + n. 13 ad loc.). 168 Cioe ` dei princı`pi della natura. 169 Protagora viene presentato come discepolo di Democrito non solo nei passi seguenti ma anche da Eusebio, Praep. ev. XIV 3, 6 (= 5.5). Per accostamenti di Democrito a Protagora vedi Quadro sinottico, A.III.d). 170 Attribuisce a Protagora quanto di solito viene raccontato di Democrito, cfr. D.L. IX 34 (= 0.2.1), Suda (= 0.2.2) e Ippolito (= 0.2.3).
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chiara anche Epicuro da qualche parte; 171 ed e` a questo modo che si elevo` di fronte a Democrito,172 che aveva visto come aveva legato i legni.
0.8.13. Ateneo, Deipnosophistae VIII 50, 354C (= 68 A 9; LXX Lu.; 172 Us.): E nella medesima lettera 173 Epicuro dice che il sofista Protagora, da facchino che era e portatore di legna, divenne dapprima scriba di Democrito: avendo suscitato la sua ammirazione per il modo originale in cui combinava i pezzi di legno, da questa origine venne preso in mano da lui, e insegno` le lettere in un villaggio, e cio` gli diede lo slancio per darsi alla sofistica.
0.8.14. Scholium in Platonis De republica 600 C [421.7-8] (80 A 3; LXX Lu.): 174 Protagora, figlio di Artemone, di Abdera: costui era un facchino, ma incontratosi casualmente con Democrito si diede alla filosofia e alla retorica.
0.8.15. Gellio, Noctes Atticae V 3, 1 e 4-6 (om. DK; per esteso = LXX Lu.): Protagora, uomo egregio nello studio delle scienze, il cui nome fu messo da Platone a titolo di un suo celebre libro, a quanto si dice nella sua giovinezza, per guadagnare da vivere, era stato collocato come salariato e assicurava il trasporto di pesi con il suo corpo. ... (4) Avvenne che Democrito, cittadino della stessa citta`, uomo ammirabile piu` di ogni altro per la sua virtu` e la sua filosofia, nell’uscire dalla zona urbana, lo vede avanzare facilmente e speditamente con un peso del genere, cosı` tanto di ostacolo e cosı` poco trattenibile, e gli si accosta e considera l’intreccio e la disposizione dei legni fatti con tanta abilita` e perizia, e lo prega di fermarsi un po’. (5) Quando Protagora fece quanto gli era stato chiesto e Democrito pote` constatare che quel mucchio quasi cilindrico, tenuto da un corto legame, si equilibrava e si conservava per qualche ragione quasi geometrica, gli chiese chi avesse organizzato a quel modo il legno, e quando quello disse di averlo organizzato lui, volle che lo disfacesse e lo sistemasse di nuovo alla stessa maniera. (6) E dopo che quello lo ebbe disfatto e ricomposto in maniera simile Democrito, colpito dall’acutezza di spirito e dall’abilita` di un uomo senza istruzione, gli disse: «Caro giovane, dal momento che tu hai il talento per fare cosı` bene, ci sono cose maggiori e migliori che tu puoi fare con me.» Lo condusse subito via e lo tenne con se´ e sopperı` ai suoi bisogni e gli insegno` la filosofia e lo fece diventare quello che fu in seguito.
Nella lettera Sulle occupazioni, cfr. n. 173. Il senso deve essere che ne suscito` l’attenzione e/o l’ammirazione, come rendono piu` traduttori, e come e` suggerito da 0.8.13, ma forse c’e` una sorta di gioco di parole fra il sollevare pesi e l’elevarsi di Protagora. 173 Si tratta della lettera Sulle occupazioni, come risulta da un passo immediatamente precedente dello stesso Ateneo (354B = fr. 171 Us.); di questa si ammette generalmente (seguendo Cro¨nert, Kolotes, p. 20) che coincide con la perduta lettera ai filosofi di Mitilene alla quale fanno riferimento Diog. Laerz., X 7 e Sesto AM I 3 (un brano di questa e` riportato piu` oltre, come 0.8.34). 174 Lo stesso passo, con qualche leggera variante, viene riportato in Suda, s.v. Prwtagovra" (IV, 247.1-3). 171 172
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0.8.16. Vita Hippocratis secundum Soranum 1.1 e 2, 2.3 e 3.1-2 (252.25 e 30-32, 253.23-25, 254.10-16 [= CMG IV pp. 175 sgg.]) (om. DK; in parte = IV Lu.): Ippocrate era originario di Cos ed era figlio di Eraclide ... Fu discepolo di Eraclide, {cioe`} del proprio padre, poi di Erodico, e, secondo alcuni, anche di Gorgia di Lentini, retore, e del filosofo Democrito di Abdera. [In (2) si parla delle guarigioni per le quali Ippocrate divenne celebre.] Egli venne sollecitato dagli Abderiti a recarsi da loro e a curare Democrito in quanto trovantesi in una condizione di follia, oltre che a salvare tutta la citt`a dalla peste. (3) Egli morı` a Larissa al tempo in cui anche Democrito, secondo la tradizione, morı`, e alcuni dicono {che morı`} a 90 anni, altri ad 85, altri ancora a 104, alcuni {infine} a 109. Fu sepolto fra Girtone e Larissa, e fino al giorno d’oggi viene mostrata la tomba, nella quale, per lungo tempo, c’era uno sciame di api che produceva miele, col quale le nutrici cospargevano, presso la tomba, i bambini soffrenti d’afta facendoli guarire con facilit`a.
0.8.16.1. Suda, s.v. JIppokravth" (I 564) [II 662.6, 11-14] (= 68 A 10; LXXVII Lu.): Ippocrate, di Cos, medico, figlio di Eraclide ... Costui fu discepolo in primo luogo di suo padre, inoltre di Erodico di Selimbria e di Gorgia di Lentini, retore e filosofo, e, secondo alcuni, di Democrito di Abdera; 175 si sarebbe infatti incontrato con lui da giovane quando l’altro era anziano; 176 secondo alcuni {fu discepolo} anche di Prodico.
0.8.17. Diogene Laerzio IX 24 (= 30 A 1; LXXVIII Lu.): (Cap. 4: Melisso) {Melisso} mise in relazione {Eraclito} con gli Efesii, che lo disconoscevano, al modo in cui Ippocrate {mise in relazione} Democrito con gli Abderiti.
0.8.18. Suda, s.v. Diagovra" (D 523) [II 53.4, 5-9] (= 68 A 10a; LXXVI Lu.): Diagora ... di Melo, filosofo e compositore di carmi. Democrito di Abdera, avendone riconosciuto le doti naturali, compro` lui schiavo per diecimila dracme e lo fece suo discepolo. Egli compose anche delle odi liriche, in un periodo successivo a Pindaro e a Bacchilide, essendo pero` piu` anziano di Melanippide; fiorı` dunque nella 78.a olimpiade (= anni 468-65).
0.8.19. Diogene Laerzio IX 58 (= 72 A1; LXXXI Lu.): (Cap. 10: Anassarco) Anassarco di Abdera. Egli fu discepolo di Diogene di Smirna, e questi, a sua volta, di Metrodoro di Chio, il quale diceva di non sapere neppure questo stesso, di non sapere nulla; e Metrodoro a sua volta di Nessa di Chio, ma alcuni dicono che fu discepolo di Democrito.
175 Trad. alternativa (cambiando punteggiatura): ‘‘... e, secondo alcuni, di Gorgia ... retore e del filosofo Democrito ...’’. Questa soluzione e` favorita dal passo parallelo nella Vita Hippocratis, che pero` presenta un costrutto non troppo chiaro. E` evidente in ogni caso che i due passi dipendono da una fonte comune, che e` possibilmente lo scritto originale di Sorano. 176 Per altre attestazioni di rapporti fra Ippocrate e Democrito cfr. Quadro sinottico, A. III e).
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0.8.19.1. Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia VIII 14, ext. 2 (trad. R. Faranda) (= 72 A 11; LXXXIII Lu.): [Tema: dell’amor di gloria.] Ad esempio, insaziabile di lode fu l’animo di Alessandro, il quale ad Anassarco, uno dei suoi ‘compagni’, che sull’autorit`a del suo maestro Democrito gli parlava dell’infinit`a dei mondi: «Ohime` misero», disse, «che non sono diventato ancora padrone di nemmeno uno di essi!».177
0.8.19.2. V. Elia, In Categorias Prooemium, 112.26-28 (om. DK; = 360 Lu.): [Contesto: l’educazione impartita da Aristotele ad Alessandro Magno.] E una volta in cui Aristotele parlava degli infiniti mondi ammessi da Democrito Alessandro (dicono) si mise a piangere perche´ non era stato capace di diventare padrone neanche di un intero mondo.
0.8.20. Plinio, Naturalis historia XXIV (102) 167 [di seguito a 0.6.5] (= 74.3; LXXXVI Lu.): Il suo seguace [scil. di Democrito] Apollodoro 178 aggiunse a queste {piante} l’erba eschinomene.179
0.8.21. Stobeo, Eclogae I 24, 3(3) (= Aezio II 17, 3 [Dox. 346]) (= 76.1; LXXXIX Lu.): Diotimo di Tiro, democriteo,180 seguı` la stessa opinione di costoro [scil. di Metrodoro e di Stratone sull’origine della luce delle stelle].
0.8.22. Diogene Laerzio IV 58 (= 77.1; XC Lu.): (Cap. 7: Bione) Ci sono stati dieci di nome Bione ...quarto 181 uno democriteo e matematico, di Abdera, autore di opere in attico e in ionico.
0.8.23. Suda, s.v. Bw=lo" (B 482) [I 489.29-490.3] (= 68 B 300.1): Bolo di Mende, Pitagorico: Sulle cose che, nella lettura delle storie, ci conducono all’attenzione, Sulle cose meravigliose,182 Sostanze naturali efficaci; c’e` inoltre {lo scritto} Sulle sim-
177 Lo stesso racconto compare in Plutarco, De tranquillitate animi 4, 466 D (= 72 A 11), ma senza associare Anassarco a Democrito. 178 Riferimenti ad Apollodoro di Cizico in D.L. IX 38 (= 0.2.1) e in Clemente Str. II 130 (= 132.1). 179 Letteralm. ‘‘pudibonda’’, cioe ` sensitiva. Le piante sono quelle delle quali Democrito avrebbe definito le qualit`a e fissato le formule magiche, cfr. supra, 0.6.5. 180 C’e ` anche un Diotimo Stoico (e` menzionato da Diog. L. in X 3). Non e` chiaro se e` a quello democriteo che fa riferimento Sesto in AM VII 140 (= 60.1). 181 Dopo Bione di Boristene (al quale sono dedicati i §§ 46-57). 182 Con una espunzione proposta da P.M. FRASER (Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, IIa,
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
patie e sulle antipatie delle pietre secondo l’ordine alfabetico, Sui segni tratti dal sole, dalla luna, dall’Orsa, dalla luce di una lucerna e dall’arcobaleno.
0.8.23.1. Suda, s.v. Bwl= o" (B 481) [I 489.27-28] (= 68 B 300.1): Bolo Democrito 184 filosofo: Storia e arte della medicina. Include guarigioni naturali dovute a certe risorse della natura {stessa}.
0.8.24. Columella, De re rustica VII 5, 17 (= 68 B 300.3; XCI Lu.): [Contesto: rimedi contro una malattia che coglie le pecore.] Bolo di Mende, illustre autore di nazionalita` egizia,185 i cui trattati intitolati in greco Ceirovkmhta sono attribuiti falsamente a Democrito, ritiene ... [segue una sua prescrizione
per la cura della malattia in questione].
0.8.25. Scholia in Nicandri Theriaca 764a (= 68 B 300.4): [Nel testo commentato Nicandro parla dei ragni viventi in Egitto che si nutrono della pianta di Perseo.] Bolo democriteo nello scritto Sulle simpatie e sulle antipatie dice che i Persiani, tenendo per mortale quella pianta presso di loro, la piantarono in Egitto, nella convinzione che molti ne sarebbero periti, ma che {la terra egizia}, essendo buona, la trasformo` nel suo opposto facendo produrre alla pianta un frutto dolcissimo.
5. Epicuro e Democrito 0.8.26. Diogene Laerzio su Epicuro, X 2 (= 68 A 52; XCV Lu.): Ermippo 186 afferma che egli [scil. Epicuro] fu maestro di scuola e che successivamente fu l’incontro con i libri di Democrito ad indirizzarlo alla filosofia.
0.8.27. Plutarco, Adversus Colotem 3, 1108E-F (= 68 A 53; XCVIII Lu.): Egli [scil. Colote] inizia 187 con Democrito, il quale riceve da lui un bel riconoscimento per il suo insegnamento, nonostante che Epicuro per lungo tempo chiamo` se stesso un n. 535 ad cap. 7(ii)) abbiamo un titolo unico: Sulle cose meravigliose che, nella lettura delle storie, ci conducono all’attenzione. 183 Integrazione proposta da M. Wellmann, Die Physika des Bolos Demokritos, Berlin 1928, p. 11; Diels (in Vors.) proponeva invece di trattare il seguito come un titolo distinto, ma, in questo caso, e` opportuna la integrazione di Ku¨ster: pietre secondo l’ordine alfabetico. 184 Probabilmente da correggere in ‘‘democriteo’’, come suggerisce il confronto con lo scolio riportato come 0.8.25 e con il riferimento a Bolo negli Ethnica di Stefano di Bisanzio, s.v. Ayunqo" j (p. 153.910 Meineke); ma qualche studioso (in particolare Wellmann) lo considera un nome alternativo. 185 Un riferimento a Bolo, senza richiamare lo scritto citato nel seguito, si trova anche in Columella XI 3, 53. 186 Ermippo di Smirna, noto come autore di biografie, e presentato come ‘peripatico’ o come ‘callimacheo’. 187 Nel suo libro, cfr. supra, 0.5.17, con n. 107 ad loc.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
democriteo, come lo dichiara, insieme ad altri, Leonteo: {questi,} che fu uno dei discepoli migliori di Epicuro, scrivendo a Licofrone, dice che Democrito fu onorato da Epicuro per essere pervenuto per primo alla corretta conoscenza, e che, nel suo complesso, la {sua} indagine sulla natura fu {da lui} chiamata democritea per il fatto che egli [scil. Democrito] per primo si era imbattuto nei princı`pi. Metrodoro affermo` senz’altro nel suo Sulla filosofia che, (F) se Democrito non l’avesse guidato, Epicuro non sarebbe pervenuto alla sapienza. Ma se secondo la dottrina di Democrito non e` possibile vivere, come ritiene Colote, Epicuro si rende ridicolo nel seguire la guida di Democrito verso il non vivere. [Il seguito come 59.1]
0.8.28. Plutarco, Non posse suaviter vivi secundum Epicurum 18, 1100A (om. DK; = CVI Lu.; 16 Us.): [Nel criticare la tesi epicurea che la vita piacevole e` assicurata dal ricordo dei piaceri avuti nel passato Plutarco rileva che si preferisce ricordare azioni gloriose; in risposta all’obiezione che anche Epicuro ammetteva che ci sono dei piaceri che vengono dalla gloria afferma che lo ammetteva sı`, ma non al modo giusto.] Come non avrebbe dovuto {ammetterlo} lui che era cosı` follemente gonfio di desiderio di fama e cosı` teso ad essa che non solo disconobbe i suoi maestri ma anche aveva litigato con Democrito (delle cui dottrine si era impadronito parola per parola) riguardo sillabe e terminazioni {delle lettere}, dicendo che nessuno e` mai stato saggio salvo lui stesso e i suoi discepoli ...?
0.8.29. Cicerone, De natura deorum I 26, 73 (= 68 A 51; XCIX Lu.; 233 Us.): [Sulla pretesa di Epicuro di non avere avuto nessun maestro, per esempio dichiarando il suo disprezzo per il platonico Panfilo da lui ascoltato a Samo.] ... tanto egli [scil. Epicuro] era timoroso di sembrare avere appreso qualcosa {da altri}. Il suo comportamento nei confronti del democriteo Nausifane: per quanto non neghi di averlo ascoltato gli getta adosso contumelie di ogni genere; eppure che cosa puo` avere mai ascoltato se non queste dottrine democritee? Che cosa c’e` nella fisica di Epicuro che non venga da Democrito? Sebbene egli abbia introdotto alcuni cambiamenti – come la deviazione degli atomi della quale ho detto poco fa –, per lo piu` enuncia le stesse cose: gli atomi, il vuoto, i simulacri, l’infinitezza dei luoghi e l’innumerabilit`a dei mondi, la loro origine e la loro cessazione, e praticamente tutto quanto in cui consiste la teoria razionale della natura.
0.8.30. Cicerone, De natura deorum I 33, 93 (om. DK; = CIV Lu.; 235 Us.): [Epicuro e gli Epicurei avevano attaccato, spesso in modo oltraggioso, i filosofi del passato sulla base di dottrine illusorie come quelle sulla divinita`.] E` confidando in questi sogni che non solo Epicuro, Metrodoro ed Ermarco si espressero contro Pitagora, Platone ed Empedocle [...], {ma Epicuro in particolare} si e` mostrato ingrato verso lo stesso Democrito, del quale era stato un seguace, e ha trattato in cosı` malo modo il proprio maestro Nausifane, dal quale non c’e` nulla che non avesse imparato.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
0.8.31. Suda, s.v. jEpivkouro" (E 2404) [II 362.19, 22, 23-25] (p. 373 Us.): Epicuro, figlio di Neocle, ateniese ... fondo` una setta sua propria, prima in Samo ... poi fu capo-scuola a Mitilene, a trentadue anni d’eta`, poi a Lampsaco e infine ad Atene, in un suo proprio giardino, e fu discepolo di Nausifane il democriteo e di Panfilo discepolo di Platone.
0.8.32. Diogene Laerzio X (Epicuro) 4 e 8 (8 = 68 A 53; 4 e 8 = CIII e LXIX Lu.): [Cose che vengono dette di Epicuro da suoi avversari come lo Stoico Diotimo:] Che egli avesse indotto alla prostituzione uno dei suoi fratelli e che convisse con l’etera Leonzio; che avesse enunciato come proprie le tesi di Democrito circa gli atomi e quelle di Aristippo circa il piacere. (8) [Secondo gli stessi avrebbe usato i seguenti termini di abuso per altri filosofi:] ... Protagora un facchino e scriba di Democrito e maestro di scuola nei villaggi, Eraclito uno che mescola intrugli, Democrito Lerocrito 188 ...
0.8.33. Cicerone, Academica posteriora I 2, 6 (om. DK; = 746 Lu.): [Contesto: Varrone, che si richiama all’Accademia antica, giustifica la sua indisponibilita` a redigere opere filosofiche in latino, rilevando la difficolta` che c’e` a conservare la sofisticazione di quelle in greco.] Per la verita` se approvassi Epicuro, cioe` se {approvassi} Democrito, potrei scrivere di fisica tanto chiaramente quanto Amalfino. Infatti che grande impresa sarebbe questa, di parlare, una volta tolte le cause efficienti delle cose, del concorso fortuito dei corpuscoli – come egli [scil. Amalfino] denomina gli atomi?
0.8.34. Epicuro, Lettera ai filosofi di Mitilene, presso Filodemo, Adversus , PHerc 1005, fr. 24 (= 75 A 7; LXXXVIII Lu.; 104 Arr.): Colui che a Teo 189 aveva messo insieme i mutilatori di Erme facendo indagini secondo {i princı`pi di} Democrito e {di} Leucippo...190
0.8.35. Epicuro, Lettera a ..., presso Filodemo, Adversus , PHerc 1005, fr. 21 (om. DK; = CII Lu.; 113 Arr.): ... sotto {l’arcontato di} Eubulo: Aggiungi la lettera e qualche {scritto} di Democrito, non in quanto ...191
188 Inteso da Gigante, nella sua trad., come ‘‘spacciatore di bagatelle’’, ma pare avere piuttosto il senso di ‘‘giudice (o arbitro) di sciocchezze (o di ciance)’’. Forse c’e` un rapporto con quanto Strabone attesta circa l’interesse di Democrito per le dispute (cfr. 187.5 e 187.6). 189 Presumibilmente Nausifane, che era di Teo (donde l’inclusione del passo sotto Nausifane da parte del Diels in DK). 190 Testo frammentario, manca il seguito. 191 Altro testo frammentario.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
6. Gli scettici e Democrito 0.8.36. Diogene Laerzio IX 67 (= XCII Lu.; Pirrone 20 Decleva Caizzi): (Cap. 9: Pirrone) Ma anche Filone di Atene, che era diventato suo [scil. di Pirrone] amico, raccontava come egli si richiamasse soprattutto a Democrito, inoltre anche ad Omero ...192
0.8.37. Suda, s.v. Puvrrwn (P 3238) [III 278.7-10] (= LXXXII Lu.; Pirrone 1 B Decleva Caizzi): ... Inizialmente fu un pittore, ma successivamente si diede alla filosofia, e fu discepolo di Brisone, a sua volta discepolo di Clinomaco, in successione {questi} di Anassarco, a sua volta discepolo di Metrodoro di Chio,193 il cui maestro era l’abderita Democrito.194
0.8.38. Eusebio, Praeparatio Evangelica XIV 18, 27 [II 312.4-9] (= LXXXIII e XCIV Lu.; Aristocles fr. 3 Mullach, fr. 4 Chiesara): [Contro i Pirroniani, chiamati scettici oppure ‘efettici’, che sostengono che niente e` comprensibile. Si parla della figura dello stesso Pirrone. Il passo e` tratto dal libro VIII dell’opera Sulla filosofia di Aristocle.] E` giusto apprendere chi furono i suoi seguaci e di chi fu egli stesso seguace. Pirrone fu discepolo di un certo Anassarco; egli inizialmente fu pittore, ma neppure in questo con successo, e successivamente incappo` nei libri di Democrito ma non scoprı` ne´ scrisse niente di utile, e disse male di tutti, sia dei sia uomini. Egli poi, avvolgendosi in questa famosa vanita` 195 e dicendo se stesso ‘‘privo di vanita`’’, non lascio` nulla di scritto.196
0.8.39. Eusebio, Praeparatio evangelica XIV 6, 4 [II 273.16-18] (= XCIII Lu.): [Passo, tratto da Numenio (fr. 25), su Arcesilao, fondatore della Seconda Accademia, parlando della sua formazione filosofica e dei filosofi con i quali venne a contatto:]
192 Ometto il seguito. Nel caso di Omero i riferimenti sono ai passi che alludono all’instabilita ` della condizione umana, all’inutilita` dei propositi e alla fanciullesca follia dell’uomo, sicche´ e` possibile che il richiamo a Democrito in questo contesto riguardi soprattutto l’etica. 193 Che Pirrone avesse tratto l’ispirazione per il suo scetticismo dallo scritto principale di Metrodoro e` attestato da Eusebio, Praep. evang. XIV 19, 8-9 (= 61.2.1); che i pirroniani presentassero lo stesso Democrito come uno scettico loro precursore risulta da D.L. IX 72 (= 61.1). 194 Il testo tradotto comporta due correzioni: ‘‘Anassarco’’ al posto di ‘‘Alessandro’’, ‘‘Democrito’’ al posto di ‘‘Metrodoro’’, giustificate dal fatto che (1) di un Alessandro non si sa nulla, mentre Anassarco viene talvolta presentato come il maestro di Pirrone (cfr. 0.8.38, 0.8.2, 0.8.3, 0.8.4, inoltre D.L. IX 61 [= 1 A Caizzi]), (2) di un Metrodoro di Abdera non si sa nulla, e l’unico ‘abderita’, nel senso di appartenenza di scuola, e` Metrodoro di Chio, che viene presentato come il discepolo o almeno il seguace di Democrito (cfr. 0.8.2, 0.2.2, 3, 61.2.1). 195 ‘‘Vanita ` ’’, nel senso del latino vanitas, rende tufo" = , che suggerisce l’idea di una vuota presunzione di sapere (cfr. F. DECLEVA CAIZZI, tu=fo": contributo alla storia di un concetto, «Sandalion», III, 1980, pp. 53-66). 196 Il seguito (al § 28) concerne Timone di Fliunte, che viene presentato come un suo seguace.
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
... egli [scil. Arcesilao] frequento` Pirrone (che aveva tratto il suo impulso, in un modo o nell’altro, da Democrito) e cosı`, armatosi da qui e da lı`, si fisso`, da pirroneo – salvo che nel nome –, nell’eversione universale.
I. LISTA
DI SCRITTI SU
(O
CONTRO )
DEMOCRITO
E ALTRI RIFERIMENTI
(Elenco che segue = 68 A 34a e A 32; sez. 8 sub Vita in Lu.): 0.9.1. Dal catalogo degli scritti di Aristotele in Diogene Laerzio V 26 e 27: 124. Problemi tratti dagli {scritti 197 di} Democrito, due libri. 144. Contro Democrito, un libro.198
0.9.1.1. Dal catalogo degli scritti di Aristotele in Esichio, Vita Aristotelis: 116. Problemi democritei, due libri.199
0.9.2. Dal catalogo degli scritti di Teofrasto in Diogene Laerzio V 49 e 43: 184. Su Democrito, un libro. 22. Sull’astronomia di Democrito, un libro Meteorologia, un libro Sui simulacri, un libro Sui sapori, colori, carni, un libro Sul sistema del mondo, un libro.200
0.9.3. Dal catalogo degli scritti di Eraclide Pontico in Diogene Laerzio V 87 e 88 (= fr. 22 Wehrli): Opere fisiche {sono le seguenti:} Sull’intelletto Sull’anima e, separatamente, Sull’anima e sulla natura, e sugli idoli, contro Democrito,201
Oppure: dalle dottrine. Oppure: Epistola a Democrito, una? Il titolo compare in un elenco di lettere, sicche´ si puo` ipotizzare che fosse rivolta ad un omonimo dell’Abderita (cosı` P. MORAUX, Les listes anciennes des ouvrages d’Aristote, Louvain 1951, p. 142, seguito da O’Brien nella sua voce De´mocrite), ma potrebbe essere stato inserito in quell’elenco per errore e quindi corrispondere all’opera aristotelica Su Democrito cui fa riferimento Simplicio (cfr. 79.4 + 7.1). 199 Questo titolo e ` palesemente solo una variante del titolo riportato nel catalogo di Diogene Laerzio (a meno che non sia quello ad essere una variante di questo); l’assenza di un Contro Democrito in questo catalogo favorisce il sospetto che quel titolo si applichi ad una lettera. 200 Come nel caso del successivo catalogo degli scritti di Eraclide Pontico ci sono evidenti coincidenze fra questi titoli e alcuni titoli nel catalogo degli scritti di Democrito. 201 Tutto questo viene trattato come un titolo unico da Diels (in DK), ma e ` piu` probabile che 197 198
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
Sulle cose celesti, un libro, Sulle cose nell’Ade. [Fra le opere ‘musiche’:] (88) Dissertazioni contro Democrito, un libro.
0.9.4. Filodemo, De libertate dicendi, fr. 20 (= p. 97 Us.): ... come nei suoi {libri} Contro Democrito Epicuro si oppone {a lui} senza cessa ...
0.9.5. Dal catalogo degli scritti di Metrodoro epicureo in Diogene Laerzio X 24: Contro Democrito.
0.9.6. Dal catalogo degli scritti di Cleante in Diogene Laerzio VII 174: Contro Democrito.
0.9.6.1. Fr. 3 da papiri anonimi viennesi (PVindob G 29329 + 26008b): 202 [Nel contesto, gravemente lacunoso, si parla del destino (eiJmarmevnh).] Fu interprete di questa dottrina Cleante, che, parlando a proposito della teoria fisica di Zenone, indaga anche la dottrina di Democrito.
0.9.6.2. Diogene Laerzio VII 134 (cap 1: Zenone) (om. DK e Lu.): [Sulla dottrina stoica dei due princı`pi cosmici, uno attivo e uno passivo.] Questa dottrina e` proposta da Zenone di Cizio nel suo scritto Sulla sostanza, da Cleante nel suo scritto Sugli atomi,203 da Crisippo nel libro I della sua Fisica [...].
0.9.7. Dal catalogo degli scritti di Sfero in Diogene Laerzio VII 178: Sui minimi, contro gli atomi e gli idoli.204
0.9.8. Suda, s.v. Kallivmaco" (K 227) [III 19.12, 23, 27-31]: Callimaco, figlio di Batto ... di Cirene ... Tra i suoi libri ci sono anche i seguenti: ...
siano titoli distinti (cosı` sono trattati da Wehrli) e che al massimo Sugli idoli vada visto come un titolo cui si accompagna Contro Democrito (quest’ultimo e` ottenuto con una correzione del testo). Se si includono anche i due titoli successivi, ci sono delle evidenti coincidenze con alcuni dei titoli nel catalogo degli scritti di Democrito. 202 Mi fondo sulla ricostruzione e traduzione offerta da F. DECLEVA CAIZZI e M.S. FUNGHI , CPF, parte I, vol. 1**, pp. 9-11. 203 Questo scritto non si trova menzionato nel catalogo degli scritti di Cleante, per cui potrebbe coincidere con il Contro Democrito. (E` un suggerimento di F. DECLEVA CAIZZI e M.S. FUNGHI, Su alcuni ¨sterreichische National-bibliothek, STCPF 5, Firenze 1991, pp. 91-92.) frammenti filosofici della O 204 Titolo unico o due titoli? Che non sia contro Epicuro?
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TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI
Museo, Tavole di coloro che si sono distinti in ogni campo della cultura e di quanto hanno scritto, in 120 libri, Tavola e lista dei drammaturghi che ci sono stati, in ordine cronologico e fin dall’inizio, Tavola 205 delle glosse e delle composizioni 206 di Democrito.
0.9.9. Stefano di Bisanzio, Ethnica, 640.4-6: [Parla della Troade, regione di Ilio, e della sua popolazione.] Donde era anche Egesianatte, grammatico, che ha scritto Sull’elocuzione di Democrito, un libro, e Sull’elocuzione poetica; 207 era {di nazionalita`} Troadese.
Per ‘tavola (pivnax)’ si intende in effetti un catalogo o lista o elenco. Ho tradotto alla lettera. Per ‘glosse’ si dovrebbe intendere locuzioni (cioe` idiomi o parole inusuali), mentre per ‘composizioni’ si dovrebbe intendere opere composte. Questo di per se´ pare plausibile (e probabilmente per composizione [suvntagma] si intende uno scritto anche in 130.8, cfr. n. 1036 ad loc.), ma l’associazione con ‘‘locuzioni’’ rimane curiosa. (Forse, come suggerisce A.C. CASSIO, Callimaco e le glosse di Democrito [cfr. bibl.], le glosse erano ordinate secondo le opere di provenienza.) Oppure si intende con suntavgmata ‘costrutti sintattici’? (cfr. P.M. FRASER, Ptolemaic Alexandria I, p. 455, con n. 66, II b, pp. 658-659). Anche questa combinazione e` curiosa, a meno di non intendere il termine in senso molto lato (‘frasi complesse’ ovvero includenti parole ordinate in un certo modo), come suggerisce G. NAVAUD (REG 119, 2006, p. 127). M.L. WEST (CR 19, 1969, p. 142), che intende il secondo termine del titolo nel secondo senso, notando la discordanza con l’indicazione ‘‘locuzioni’’, suggerisce di correggere il primo termine: gnwvmwn anziche´ glwssw=n, intendendo: «tavola dei detti» (viene criticato da Cassio). Sono state proposte anche altre correzioni, nessuna delle quali e` del tutto persuasiva. 207 Oppure: Sugli stili poetici. 205 206
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA I. UN
APPROCCIO PREDIALETTICO
1. L’approccio di Democrito rispetto a materia e forma 1.1. T. Aristotele, De partibus animalium I 1, 642a14-30 (a24-30 = 68 A 36; 99 Lu.): [In questo libro I Aristotele si occupa di questioni di metodo nello studio della natura, proponendo fra l’altro una distinzione di tipi di spiegazione in relazione a due modalita` di causazione da lui definiti, cioe` quella legata alla materia, che coincide con la necessit`a, e quella legata alla forma, che coincide col fine.] Che ci sono dunque due modalita` di causazione e che nel parlarne si debbono, per quanto e` possibile, cogliere entrambe, se non e` {gia`} chiaro, bisogna cercare di renderlo {tale}; e` pure {chiaro} che tutti coloro che non enunciano questo, non dicono praticamente nulla sulla natura, perche´ la natura {come forma} e` principio piu` della materia. (18) Alle volte anche Empedocle si imbatte in essa, guidato dalla verita` stessa, ed e` obbligato a dire che l’essenza e la natura sono la formula razionale: per esempio, rendendo conto di che cosa sia l’osso, non dice che esso e` uno degli elementi o due {di essi} o tre o tutti, ma enuncia la formula razionale della loro mescolanza. E` chiaro pertanto che sono allo stesso modo anche la carne, e ognuna delle altre parti di tal genere. (24) La ragione per la quale i nostri predecessori non sono pervenuti a questa modalita` {di causazione} 1 e` che *non c’era la {nozione della} quiddit`a e il {saper} definire l’essenza, ma fu Democrito il primo a toccarla, non in quanto {lo ritenesse} necessario all’indagine fisica, ma perch´e vi fu spinto dalla cosa stessa*. Con Socrate ci fu un progresso, ma le ricerche sulla natura furono trascurate, e i filosofi volsero la loro attenzione alla virtu` utile {alla pratica} e alla politica.
1.2. T. Aristotele, Physica II 2, 194a15-21 (om. DK; = 99 Lu.): [Definizione dei compiti di chi si occupa della natura.] E anche intorno a questo uno potrebbe sollevare il problema: dal momento che le nature sono due [scil. quella nel senso della forma e quella nel senso della materia], qual e` quella circa la quale {`e compito} del naturalista {indagare}? Oppure e` circa quella che e` costituita da entrambe? Ma se e` circa quella costituita da entrambe, anche circa ciascuna di esse; e, allora, e` compito di una stessa {scienza} oppure di distinte {scienze} arrivare a 1 Diels (in DK), seguito da Alfieri e da Luria, intende piuttosto: ‘‘die wissenschaftliche Methode des Ar.’’, ma trovpo" deve richiamare lo stesso termine usato in precedenza (nella parte omessa dal Diels) per le modalita` di causazione.
8
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (I)
conoscere ciascuna? A chi volgesse il suo sguardo *agli antichi potrebbe sembrare che {la scienza naturale} sia della materia {soltanto}, giacche´ e` in misura modesta che {i soli} Empedocle e Democrito hanno colto la forma e la quiddit`a.
1.2.1. T. Simplicio, In Physica II (2, 194a18-21), 300.13-18 (om. DK; = 99 Lu.): A questo modo dunque avendo distinto l’indagine {in due tipi} mostra [sogg.: Aristotele] che gli antichi naturalisti avevano praticato l’indagine riguardante uno dei due aspetti, e cioe` quello secondo la materia, Empedocle e Democrito avendo colto solo in scarsa misura la natura secondo la forma. Empedocle infatti avendo posto fra i principi la contesa e l’amicizia come cause formatrici, Democrito {avendo posto} la figura e la posizione e l’ordine, egli [scil. Empedocle] circoscrive, ritengo, la forma secondo la definizione, in conformita` alla quale rende i particolari. [Seguito su Empedocle.]
1.2.2. T. Filopono, In Physica II (2, 194a12 sgg.), 228.24-229.2 (om. DK; 228.25-229.1 = 99 Lu.; 229.1-2 = 279 Lu.): Per quanto concerne, egli [scil. Aristotele] dice, la fisiologia degli antichi sembrerebbe che sia compito del naturalista discutere soltanto della materia. Della materia infatti si sono molto occupati tutti gli antichi, della forma alcuni non hanno fatto nessun discorso,2 ma quanti hanno fatto allusione alla causa formale se ne sono occupati un poco, e questi sono Democrito ed Empedocle. Democrito infatti *dicendo che il sostrato degli atomi e` materia affermo` che sono cause formatrici le figure degli atomi: quelle sferiche sono formatrici del fuoco, quelle cubiche forse dell’acqua, e altri {elementi} sono formati da altre figure.
1.3. T. Aristotele, Metaphysica XIII (M) 4, 1078b17-27 (19-21 = 68 A 36, II Lu.; 19-27 = 99 Lu.): Socrate, nel trattare delle virtu` etiche, fu il primo che, intorno ad esse, ando` alla ricerca della definizione universale, perch´e *dei naturalisti soltanto Democrito la tocco` in modesta misura e offrı` una qualche definizione del caldo e del freddo*. I Pitagorici in precedenza avevano cercato di definire alcuni pochi {termini}, le cui definizioni avevano legato ai numeri, per esempio {avevano enunciato} che cosa sia l’opportuno e il giusto e il matrimonio. Quello [scil. Socrate] invece aveva ricercato il ‘che-cos’e`’ con buona ragione, giacche´ cercava di argomentare sillogisticamente, e il principio dei sillogismi e` il che-cos’e`. La capacit`a dialettica non era ancora tale da permettere di indagare gli opposti anche separatamente dal che-cos’e`, e se la scienza degli opposti e` la stessa.
1.4. Aristotele, Metaphysica I (A) 6, 987b29-33: [Come parte di un’esposizione dell’ontologia platonica.] L’aver posto l’uno e i numeri oltre le cose, e non al modo dei Pitagorici {nelle cose stesse}, e l’introduzione delle forme e` avvenuto mediante l’indagine nei concetti,3 giacche´ i {suoi, scil. di Platone} predecessori non ebbero parte nella dialettica...
Ovvero: non hanno tenuto conto in alcun modo. skevyi" ejn toi"= lovgoi", cfr. Fedone 100 A. In Metaph. XII 1, 1069a28 (= 1.5), per suggerire la stessa idea, viene usata la formula logikw=" zhtein= , cfr. anche piu` oltre, 15.1 (+ n. 130) e 24.3. 2 3
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (I)
1.5. TN. Aristotele, Metaphysica XII (L) 1, 1069a24-30: Ancora, nessuna delle altre {proprieta` di una sostanza} e` separata. Ne sono testimoni, di fatto, anche gli antichi [scil. pensatori o filosofi], perch´e ricercarono princı`pi, cause ed elementi della sostanza; quelli di ora pongono piuttosto gli universali come sostanze, giacche´ sono universali i generi che essi dicono essere a maggior titolo princı`pi e sostanze, per via del loro indagare ‘in modo logico’; quelli di una volta posero come sostanze piuttosto i particolari, per esempio il fuoco e la terra, ma non il comune {ad essi}, il corpo.
1.6. Aristotele, Metaphysica I (A) 7, 988a32-988b1: Costoro [scil. i Milesii ecc.] hanno colto unicamente questa causa [scil. quella materiale], alcuni altri hanno colto il donde l’origine del movimento (cioe` coloro che pongono come principio l’amicizia e la discordia o l’intelletto o l’amore); ma della quiddit`a e dell’essenza nessuno ha dato conto con chiarezza, comunque in misura maggiore la enunciano coloro che postulano le forme.
2. La «definizione» dell’uomo 2.1. TC. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, § 263 e §§ 265-269 (265 = 68 B 165; 65 Lu.; 267 = 68 B 165 4 = 310 Us.): Esaminiamo, dunque, per ordine, dapprima il {criterio di verita`} «in base a cui», vale a dire l’uomo; ritengo infatti che, una volta messo preliminarmente in dubbio questo, non ci sara` piu` bisogno di prolungare la discussione degli altri criteri, perche´ questi sono o parti dell’uomo o sue azioni o sue affezioni. Se dunque questo criterio e` suscettibile di apprensione, deve essere stato concepito assai prima, in quanto il concetto precede ogni apprensione; ma finora e` risultato che l’uomo e` inconcepibile, come stabiliremo. Pertanto l’uomo non e` affatto comprensibile. [Segue, col § 264, una rassegna di opinioni, cominciando da Socrate, che avrebbe riconosciuto di non sapere chi egli era.] (265) *E Democrito, che pur era stato paragonato alla voce di Zeus,5 e ‘dicendo queste cose circa l’universo’,6 fece il tentativo di spiegare il concetto {di uomo}, ma non riuscı` a far di meglio che proporre una rozza asserzione,7 dicendo: ‘‘l’uomo e` cio` che tutti sappiamo’’.8* (266) In primo luogo, noi tutti sappiamo anche il cane, ma il cane non e` uomo ... Inoltre, egli ha compiuto una petizione di principio, perche´ nessuno concedera`, all’improvvisata, di conoscere l’uomo cosı` com’e`, se e` vero che il Pizio 9 ha proposto a lui [scil. all’uomo] come suo massimo oggetto di indagine il ‘conosci te stesso’. ... Limitatamente alla citazione. Lo stesso paragone viene applicato a Platone da Cicerone in Brutus 121 (‘‘i filosofi dicono che, se Giove parlasse greco, parlerebbe cosı` {come parla Platone}’’). Possibilmente esso risale a Panezio, come suggerisce R. PHILIPPSON, Panaetiana, p. 350. 6 Ci deve essere un richiamo alla formula ‘‘queste cose le dice Democrito circa l’universo’’ che si trova, con omissioni, in Clemente (cfr. 0.3.22) e in Cicerone (cfr. 61.2), cfr. supra, 0.5.1. 7 Oppure: un’asserzione peculiare (ijdiwtikh; ajpovfasi"), in contrapposizione ad una universale? 8 Si intende: a partire dalla vista (viene usato i[dmen). 9 Cioe ` Apollo. 4 5
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (I)
(267) Quanto ad Epicuro e ai suoi, essi ritennero che sia possibile presentare il concetto di uomo per indicazione, dicendo: ‘‘l’uomo e` questa forma qui, congiunta ad animazione’’. Ma essi non riconobbero che, se l’uomo e` cio` che e` indicato, cio` che non e` indicato non e` uomo. E, di nuovo, una tale indicazione si riferisce all’uomo (maschio) oppure alla donna, al vecchio oppure al giovane, a chi ha il naso camuso oppure a chi l’ha adunco, a chi ha i capelli lisci oppure a chi li ha crespi, e a tutti gli altri che presentano differenze; (268) e se e` riferita all’uomo, la donna non sara` uomo, se invece alla donna, il maschio e` escluso, e se al giovane, tutte le altre et`a cadranno fuori dall’umanita`. (269) Ci sono stati pero` alcuni filosofi che hanno spiegato mediante definizione l’uomo generico, ritenendo che di qui possa emergere il concetto che si applica agli uomini particolari; fra costoro ci sono quelli che ne hanno reso conto cosı`: ‘‘l’uomo e` un animale razionale mortale, ricettivo di intuizione e di scienza’’.10 Ma anche costoro hanno presentato non l’uomo ma i concomitanti dell’uomo ...
2.2. V. Sesto Empirico, Pyrrhoniae hypotyposes II, §§ 23-24 (om. DK; 23 = 65 Lu.): [Contesto come in 2.1: esame delle posizioni dei ‘dogmatici’ riguardo al criterio di verita` ‘in base a cui’, che e` l’uomo stesso come soggetto conoscente, venendo a mostrare che esse sono poco comprensibili oltre che discrepanti. Dopo un riferimento a Socrate:] *Democrito dice che l’uomo e` cio` che tutti sappiamo.* Ad attenerci a lui noi non conosceremo l’uomo, dal momento che sappiamo anche il cane, e in base a questo anche il cane sara` uomo. E ci sono alcuni uomini che non sappiamo,11 e che pertanto non saranno uomini. Di piu`: ad attenerci a questo concetto, nessuno sara` un uomo, giacche´, se egli dice che l’uomo deve essere conosciuto da tutti, ma non c’e` nessun uomo che tutti gli uomini sanno, per lui nessuno sar`a un uomo. (24) Che non stiamo dicendo queste cose in modo sofistico, e` evidente dalla {loro} cogenza contro di lui. Infatti *costui dice che in verit`a sussistono solo gli atomi e il vuoto, dei quali egli dice che sono presenti non solo negli animali ma anche in tutti {gli altri} aggregati,* sicche´, per quanto li riguarda, noi non conosceremo la specificita` dell’uomo, dal momento che sono comuni a tutti; ma oltre ad essi non c’`e nient’altro che sussista. Pertanto non avremo nulla che ci permetta di discriminare l’uomo dagli altri animali e concepirlo nettamente. [Segue discussione della posizione di Epicuro in § 25, dello stesso tenore che in 2.1.]
2.3. T. Aristotele, De partibus animalium I 1, 640b28-35 (= 68 B 165; 65 Lu.): La natura secondo la forma e` piu` importante della natura materiale. Ora, se ciascuno degli animali e ciascuna delle sue parti consistesse nella figura e nel colore,12 Democrito parlerebbe in modo corretto – e` questo infatti quanto pare avere inteso. Dice per l’appun-
10 Questa definizione pare ispirarsi ad Aristotele, ma e ` desunta da piu` passi delle sue opere (cfr. An. post. II 5, 92a1 e Top. V 4, 132b2, dove pero` l’esemplificazione riguarda non la definizione ma il proprio). 11 Dei quali cioe ` non abbiamo conoscenza. 12 Presumibilmente: che lo distinguono.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.A)
to che per ognuno e` evidente che sorta di cosa sia l’uomo quanto alla forma, in quanto esso e` reso conoscibile dalla sua figura e dal suo colore. E tuttavia anche il cadavere ha lo stesso aspetto formale, eppure non e` un uomo.
II. GENERALITA` A. I
SUL PENSIERO DEI PRIMI ATOMISTI
PRINCI`PI, LE LORO OPERAZIONI E I LORO RISULTATI
3. TT. Simplicio, In Physica I (2, 184b15 [= 11.1]), 28.4-30 (4-15 = 67 A 8; 2 e 147 Lu.; 15-27 = 68 A 38; 247 e 318 Lu.; 27-30 = 70 A 3), seguendo Teofrasto (Physicorum Opinionum fr. 8 [= Dox. 483-84]; T 229 FHSG): [Per il contesto cfr. infra, 11.2.] Leucippo, di Elea oppure di Mileto – di lui si dicono in effetti entrambe le cose – pur essendosi associato a Parmenide nella filosofia, non percorse, riguardo agli enti, la stessa strada di Parmenide e di Senofane, ma, a quanto pare, quella contraria. (7) Infatti, mentre quelli avevano reso il tutto uno e immobile e ingenerato e limitato e non avevano ammesso il non-essere neppure come {oggetto} da ricercare, costui postulo` come elementi infiniti e sempre in movimento gli atomi e postulo` come infinita anche la moltitudine delle figure ad essi inerenti per il fatto che ‘niente e` a maggior ragione tale piuttosto che tale’.13 Questa {via} la percorse in quanto riconosce che la generazione e il mutamento negli enti sono incessanti. (11) Ancora, {sostiene che} l’essere non sussiste piu` del non-essere e {che} sono entrambi cause allo stesso modo delle cose che si generano. Supponendo infatti che la sostanza degli atomi sia compatta e piena la dichiaro` essere {l’}essere e muoversi nel vuoto – che chiamava non-essere e del quale affermava che non esiste meno dell’essere. (15) In modo quasi identico anche il suo seguace Democrito di Abdera postulo` come princı`pi il pieno e il vuoto, dei quali l’uno lo chiamo` essere l’altro non-essere; ponendo gli atomi alla base degli enti come {loro} materia generano 14 le altre cose mediante le loro differenze. (Esse sono tre: ‘ritmo’ ‘verso’ ‘contatto’, che equivale a dire: figura e posizione e ordine.) Infatti il simile per sua natura e` mosso dal simile e le cose congeneri sono portate le une verso le altre e ciascuna delle figure, una volta ordinata in un altro aggregato, produce un’altra disposizione. (22) Sicche´ e` con giustificazione che annunciarono che, dato che i princı`pi sono infiniti, essi hanno dato conto di tutte le affezioni e delle sostanze – e da che cosa si generi qualcosa e in che modo. Pertanto essi dicono pure che soltanto per coloro che rendono infiniti gli elementi tutto quanto consegue secondo ragione. E dicono che la moltitudine delle figure inerenti agli atomi e` infinita perche´ ‘niente e` a maggior ragione tale piuttosto che tale’; questa in effetti e` la causa che adducono dell’infinitezza. (27) Anche Metrodoro di Chio ammette praticamente gli stessi princı`pi di Democrito e dei suoi, postulando come cause prime il pieno e il vuoto, dei quali dice che l’uno e` essere e l’altro non essere; ma su altri punti adotta un approccio che e` a lui proprio. 13 Traduzione alternativa: ‘‘che {ciascuna delle figure} non e ` per nulla tale piuttosto che tale’’. Lo stesso vale piu` oltre, alle righe 25-26. 14 Soggetto (anche nel seguito): essi, cioe ` Democrito e Leucippo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.B)
B. ESPOSIZIONI COMPLESSIVE DEL PENSIERO DI DEMOCRITO E DI LEUCIPPO CALIZZATE SULL ’ASPETTO COSMOLOGICO E COSMOGONICO
FO-
4.1. TT. Diogene Laerzio IX 44-45 (= 68 A 1; 23, 93, 382, 735 Lu.): 15 [Esposizione del pensiero di Democrito, di seguito a 2.1:] Sono queste le sue dottrine: i princı`pi di tutte le cose sono {gli} atomi e {il} vuoto, e tutte le altre cose sono tenute 16 {per essere quello che sono}. I mondi sono infiniti e sono generati e corruttibili. Niente si genera dal non-essere e neppure si corrompe nel non-essere. E gli atomi sono infiniti per grandezza e per moltitudine e si spostano nel tutto di moto vorticoso, e in questo modo generano tutti gli aggregati, {come} fuoco, acqua, aria, terra; anche questi infatti sono certi 17 complessi di atomi, i quali, come tali,18 sono impassibili e inalterabili per la {loro} solidita`. Il sole e la luna sono aggregazioni risultanti da tali masse, {cioe` dagli atomi} lisci e rotondi, e allo stesso modo l’anima – la quale e l’intelletto sono lo stesso. Noi vediamo per l’incidenza dei simulacri.19 (45) Tutto si genera secondo necessit`a, e il vortice, che e` la causa della generazione di tutte le cose, lo chiama necessita`.20 Il fine {dell’uomo} e` il buon animo, che non e` lo stesso del piacere, come, mal comprendendolo, avevano inteso alcuni, ma {`e la condizione} per la quale l’anima e` durevolmente nella calma e nella stabilita`, non turbata da paura alcuna ne´ da superstizione o da altra passione. Egli la chiama anche ‘ben-essere’ e con molti altri nomi. Le qualita` {delle cose} sono per convenzione,21 invece per natura sono {gli} atomi e {il} vuoto.
15 Il passo che segue (oltre a brani di D.L. IX 34 sgg. = 0.2.1) viene ripreso da Ps.-Esichio milesio, De viris illustribus librum, cap. 23 su Democrito e, in parte, nelle voci ajnagkaion = e eujestwv della Suda (= 70.4 e 132.5). 16 La forma del verbo nomivzw qui usata mostra che c’e ` un richiamo alla contrapposizione fra cio` che e` per convenzione (novmw/) e cio` che e` in realta`. 17 Di solito si associa ‘‘certi’’ (seguendo i MSS di D.L. anziche ´ quelli della Suda) ad ‘‘atomi’’, ma per Democrito, salvo che nel caso del fuoco, sono tutti gli atomi ad essere coinvolti (cfr. i passi 48.4, 48.6, 48.6.1, 48.6.2); se poi lo si intende come fa Brunschwig nella seguente traduzione (Dioge`ne Lae¨rce, p. 1081): ‘‘... des agre´gats de certains atomes; ce sont pre´cise´ment les atomes qui sont impassibles et inalte´rables ...’’, sarebbe un errore, perche´ tutti gli atomi sono tali. 18 Intendo (come la maggior parte degli interpreti, anche se cio ` non e` chiaro dal greco) gli atomi in generale che, per la loro impassibilita` e inalterabilita`, sono contrapposti ai composti. Anche le ‘‘masse’’ di cui si parla nel seguito immediato non possono che essere atomi. 19 O degli ‘idoli’ (ei[dwla) (cfr. Glossario). 20 Traduzione alternativa (adottata p. es. da Alfieri): ‘‘in quanto la causa della generazione di tutte le cose e` il vortice, che egli chiama necessita`’’ (cosı` la necessita` viene ridotta al vortice). 21 Adotto una correzione proposta da E. ZELLER (PGGE I 2, p. 1072, n. 1) e ripresa da Diels (in DK) e dalla maggior parte degli studiosi; ad attenersi al testo dei MSS (che e` stato difeso da E. BIGNONE, Studi sul pensiero antico, Napoli 1938, p. 19, n. 3, recentemente da G. ONODERA, «Philologus», 137, 1993, collegando il passo a una testimonianza di Epifanio da me ritenuta non attendibile, cfr. infra, 132.3 e n. 1051 ad loc.) si dovrebbe rendere: ‘‘Le leggi e i costumi sono una produzione [scil. degli uomini – cioe` sono un artificio]’’, ma l’affermazione e` senza riscontri e, in tal caso (come rileva anche Brunschwig, Dioge`ne Lae¨rce, p. 1081, n. 3), si dovrebbe omettere, come non appropriato ad un contesto complessivamente etico, il brano finale su atomi e vuoto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.B)
4.2. T. Diogene Laerzio IX 30 (= 67 A 1; 289, 389 e 404 Lu.): 22 [Esposizione del pensiero di Leucippo, di seguito a 1.1:] E` sua opinione che le cose tutte sono infinite e si mutano l’una nell’altra e il tutto e` {il} vuoto e {il} pieno. I mondi si generano quando i corpi precipitano nel vuoto 23 e si intrecciano l’uno con l’altro. Dal movimento di essi [scil. dei corpi] secondo accrescimento 24 si genera la natura degli astri. Il sole si muove, su di un circolo piu` grande, intorno alla luna. La terra si sostiene mossa vorticosamente intorno al centro. La sua figura e` come di un tamburo. Egli fu il primo a postulare gli atomi come princı`pi. Questo {e` detto} per sommi capi.
4.3. V e T. Diogene Laerzio IX, 31 (= 67 A 1; 289 e 355 Lu.): [Variante del precedente, nel seguito immediato.] Piu` in dettaglio e` cosı`: Dichiara che il tutto e` infinito, come e` stato {appena} riferito. E di questo una parte e` {il} pieno e l’altra e` {il} vuoto, {che sono quelli } che dichiara essere gli elementi. I mondi derivano, in numero infinito, da questi e si dissolvono in essi. [Segue l’esposizione della cosmogonia, cfr. D.L. IX, 31-33 = 80.1]
4.4. T. Ippolito, Refutatio omnium haeresium I 12, 1-2 (= 67 A 10; 1 = 151 Lu.; 2 = 23, 291 e 318 Lu.): [Dopo un’esposizione della posizione di Parmenide:] Leucippo, discepolo di Zenone, non mantenne la stessa dottrina {di quello}, ma dichiara che ci sono cose infinite e sempre in movimento 25 e che ci sono generazione e mutamento svolgentesi in continuazione; 26 dice che il pieno e il vuoto sono gli elementi. (2) I mondi si generano (egli dice) quando, in un grande vuoto, si raccolgono e confluiscono, dalla zona circostante, molti corpi, e, nel collidere a vicenda, si intrecciano quelli uniformi 22 Il passo che segue e quello riportato sotto 4.3 hanno come fonte anche Esichio milesio (al cap. 43 su Leucippo), che tuttavia omette le formule di transizione dal primo al secondo passo (‘‘questo e` detto per sommi capi; piu` in dettaglio e` cosı`’’), ed inizia a questo modo: ‘‘Leucippo di Elea disse che le cose tutte sono infinite ...’’, omettendo dunque le precisazioni (sulle origini ecc.) contenute in D.L. IX 30 (= 0.1.1) e la connessa formula di transizione ‘‘e` sua opinione che ...’’. ` probabile che si alluda al confluire degli atomi nel grande vuoto di cui viene fatta parola in 23 E D.L. IX 31 (= 80.1) e in Ippolito (= 4.4); in ogni caso non puo` trattarsi del movimento verso il basso nel vuoto per il loro peso che viene ammesso dagli epicurei. 24 Intendo che il movimento e ` un processo secondo accrescimento; alternativamente si puo` intendere che il movimento sia uno spostamento, ma accompagnato da accrescimento (cosı` intende Alfieri, che traduce: ‘‘e dal movimento di questi, a seconda della quantita` che se ne accumula, deriva la materia degli astri’’). ` il modo piu` semplice di intendere il passo. In alternativa si puo` integrare il soggetto dalla 25 E precedente esposizione di Parmenide: ‘‘il tutto e` cose infinite e sempre in movimento’’. Meno plausibile come soggetto: ‘‘gli enti’’, come propone Marcovich con la integrazione alla sua edizione, giustificandola con riferimento al secondo periodo di 4.5, oppure ‘‘gli elementi’’, come propone Alfieri. La descrizione deve applicarsi agli atomi, cfr. la dichiarazione simile, ma con la precisazione ‘‘nel vuoto’’, in 4.5, e le attestazioni di altri (p. es. Cicerone in 9.3 e Simplicio in 64.2) che gli atomi sono sempre in movimento. 26 Si parla ora di processi riguardanti i composti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.B)
e dalle figure prossime, e una volta intrecciatisi si generano altri corpi, i mondi, i quali 27 crescono e periscono secondo la necessita`; ma quale sia la necessita`, non l’ha precisato.
4.5. T. Ippolito, Refutatio omnium haeresium I 13, 2-4 (= 68 A 40; 2 = 190 e 306 Lu.; 2-3 = 349 Lu.; 4 = 391 Lu.): [L’intero passo su Democrito e` immeditamente di seguito a 4.4. Per § 1 e ultima riga cfr. 0.2.3] Parla [sogg. Democrito] in modo simile a Leucippo circa gli elementi {cio`e} il pieno e il vuoto, dicendo che il pieno e` essere e che il vuoto e` non-essere. Degli enti disse che sono sempre in movimento nel vuoto.28 I mondi sono infiniti e differenti per grandezza: in alcuni non c’`e n´e il sole n´e la luna, in altri sono piu` grandi che da noi, e in altri ancora sono piu` di uno. (3) Le distanze fra i mondi sono diseguali, e da una parte ce n’`e di piu`, da un’altra di meno, e alcuni sono in crescita, altri sono al culmine {del loro sviluppo}, e altri ancora sono in deperimento, e da una parte se ne generano, da un’altra ne scompaiono. Essi periscono per via di scontri reciproci. Alcuni mondi sono privi di animali e di piante e di ogni umidit`a. (4) Nel nostro mondo la terra si e` generata prima degli astri, e {degli astri} la luna e` {relativamente} in basso, di seguito c’`e il sole, e ancora di seguito ci sono gli astri non vaganti. Quelli vaganti [scil. i pianeti] neppure essi hanno un’altezza uguale. E un mondo fiorisce finch´e non puo` piu` assumere qualche {materia} dal di fuori.
4.6. T. Eusebio, Praeparatio evangelica I 8, 7.1-10 [= Ps.-Plutarco, Stromata 29 7 (Dox. 581)] (= 68 A 39; 20 e 395 Lu.): Democrito di Abdera suppose che il tutto e` infinito perche´ non e` stato affatto fabbricato da qualcuno. Ancora lo dice anche immutabile; e, in generale, quale sia il tutto lo espone in modo esplicito,30 {come segue}: le cause delle cose che si generano ora non hanno nessun inizio, e nel complesso, {risalendo} all’indietro, {si constata che} a partire dal tempo infinito tutte le cose, quelle che sono state, che sono e che saranno, sono predeterminate in modo assoluto dalla necessita`. Afferma che c’e` una generazione del sole e della luna.31
27 Il passo richiede un’integrazione e correzione: c’e ` da presumere che ci sia una lacuna di una certa estensione, oltre ad un guasto. Adotto una mia integrazione, che e` abbastanza naturale (perche´ all’inizio del paragrafo si parlava dei mondi), e che tende ad essere confermata dall’ultimo periodo del passo di Diog. Laerzio riportato come 80.1, il quale palesemente corrisponde a questo (l’esposizione di Ippolito e quella di D.L. debbono dipendere da una stessa fonte); ma proprio questo parallelo fa pensare ad una lacuna piu` ampia. Diels (seguito da altri) adotta una correzione minima del testo, ottenendo: ‘‘e intrecciandosi generano gli astri’’, presumibilmente in base alla considerazione che sono questi a formarsi per primi nella cosmologia leucippea esposta in 80.1, ma pare limitativo parlare solo della formazione degli astri e non e` plausibile supporre che il seguito immediato riguardi solo gli astri. 28 Oppure: degli enti nel vuoto disse ... 29 L’opera, da lui attribuita a Plutarco, e ` la fonte dichiarata di Eusebio, che ha conservato il testo. 30 Oppure, forse (come Alfieri rende rJhtw"), ‘‘in modo razionale’’, ma sarebbe inusuale. = 31 Un probabile riferimento polemico alla tesi circa la formazione del sole e della luna esposta nel seguito immediato (come inteso cambiando punteggiatura, cfr. n. 32) e qui attribuita a Democrito c’e` in Epicuro (= 80.4).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.C)
Questi si muovono per conto proprio 32 non avendo ancora una natura totalmente calda e, in generale, particolarmente luminosa, ma, al contrario, una che e` affine alla natura della terra. Ciascuno di essi in effetti e` stato generato ancora prima conformemente ad una disposizione fondamentale propria del mondo, ed e` successivamente che, con l’ingrandimento del globo del sole, il fuoco e` penetrato in esso.
C. DOSSOGRAFIA
SUI PRINCI`PI
5.1. T. Stobeo, Eclogae I 10, 14 (5,6,2) e 16a (1) (5 = 67 A 12, 186 Lu.; 6 = 68 A 46, 214 Lu.; 16a (1) = 51.2) [= Aezio I 3, 15-17 e 19 (Dox. 285-86)]: (Sui princı`pi ed elementi del tutto) [I passi seguenti fanno parte di una rassegna che inizia con Talete.] (5) Leucippo di Mileto {postula} come princı`pi ed elementi il pieno e il vuoto. (6) Democrito: i compatti e i vuoti. (2) Metrodoro figlio di Teocrito, di Chio: gli indivisibili e il vuoto. [Il seguito riguarda Epicuro, cfr. 9.1.2.] 16a (1) Ecfanto di Siracusa, uno dei Pitagorici, {dice che principi} di tutte le cose sono i corpi indivisibili e il vuoto. Questi e` il primo che affermo` che le monadi pitagoriche sono corporee.
5.2. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 8-10 e 11 (om. DK, salvo parzialmente 9 = 68 A 3; 9, 10 e 11 = 199 e 201 Lu.; Dox. 285-286, note): [Esposizione dossografica delle posizioni circa i princı`pi, inclusa in un libro riguardante dichiaratamente la materia e il mondo. Quanto riportato e` di seguito all’esposizione delle posizioni di Senofane e di Parmenide, trattati come esponenti dell’orientamento eleatico.] (8) Melisso di Mileto, figlio di Itagene, divenne il discepolo di questi [scil. di Parmenide], ma non custodı` intatto l’insegnamento recepito: questi disse che il mondo e` infinito mentre quelli [scil. Parmenide e Senofane] lo dicevano limitato. (9) Democrito di Abdera, figlio di Damasippo, introdusse per primo la dottrina del vuoto e dei compatti. Questi Metrodoro di Chio li denomino` indivisibili e vuoto. A sua volta Epicuro, figlio di Neocle, Ateniese, della quinta generazione dopo Democrito, quelli da loro denominati compatti e indivisibili li chiamo` atomi. (10) Indivisibile e atomo e compatto e` stato denominato, come dicono gli uni, per via della sua impassibilita`, come dicono gli altri, per il fatto che e` talmente piccolo da non poter accogliere la sezione e la divisione.33 Chiamano a questo modo quei corpi piccolis32 Trad. alternativa, punteggiando dopo kat’ijdivan: ‘‘afferma che la generazione del sole e della luna e` per conto proprio. Questi si muovono non avendo ...’’. 33 Non e ` chiaro, dal contesto, e per via della scarsa omogeneita` dei passi messi insieme, chi siano ‘gli uni’ e ‘gli altri’ (distinzione ignorata altrove, compreso 5.2.1), ma e` abbastanza evidente che, come il passo precedente su Epicuro corrisponde a quanto riguarda Epicuro nelle testimonianze 9.1, 9.1.1 e 9.1.2, il passo presente (come anche 5.2.1) corrisponde alla sez. finale (sulla denominazione dell’atomo) presente in quelle stesse testimonianze.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.C)
simi e sottilissimi che la luce del sole che penetra attraverso le finestre rende manifesti in se stessa agitati verso l’alto e il basso. (11) A costoro 34 tenne dietro anche il pitagorico Ecfanto di Siracusa.
5.2.1. V. Suda, s.v. a[toma (A 4373) [I 406.5-10] (om. DK; riferimento in 201 Lu.): Cose sottilissime: quelle che non si lasciano secare per l’estrema sottigliezza. – I Greci denominarono atomi [cio`e indivisibili] e impartibili {certi} corpi per via della loro impassibilit`a o della forte piccolezza, in quanto non capaci di recepire la sezione o la divisione. Chiamano a questo modo quei corpi sottilissimi e piccolissimi, quali, penetranti 35 attraverso le finestre, il sole rende manifesti in se stesso agitati verso l’alto e il basso.
5.3. T. Cicerone, Academica priora II 37, 118 (= 67 A 8; 165 Lu.; Dox. 119): [Rapida esposizione, da parte dello stesso Cicerone come parlante nel dialogo, delle posizioni dei filosofi circa i princı`pi delle cose da cui l’universo e` costituito (de principiis rerum e quibus omnia constant), per rilevarne i dissensi; sono stati menzionati Talete, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Senofane e Parmenide; 36 seguono Empedocle, Eraclito, Melisso, Platone e i Pitagorici.] Leucippo {disse che i princı`pi delle cose} sono il pieno e il vuoto. Democrito fu simile a lui su questo punto, piu` ricco per altri aspetti.
5.4. T. Clemente, Protrepticus 5, 66.1-2 e 5 [50.13-20, 51.6-9] (om. DK, salvo riferimento sotto 67 A 12; 50.17-20 = 191 Lu.): [All’inizio del cap. si propone di discutere delle opinioni dei filosofi sulla divinita`, ma in effetti prende in considerazione le loro tesi circa i princı`pi, perch´e questi sarebbero stati intesi come dei o divini. Fa riferimento prima a coloro che fecero coincidere i princı`pi con gli elementi, menzionando Talete, Anassimene, Eraclito, Empedocle e altri.] Degli altri filosofi quanti, superando gli elementi, si occuparono di qualcosa di piu` elevato e di piu` eccellente, celebrarono alcuni l’infinito – come Anassimandro (era di Mileto) e Anassagora di Clazomene e Archelao di Atene. Costoro entrambi 37 preposero invero l’intelletto all’infinitezza, mentre *Leucippo di Mileto e Metrodoro di Chio lasciarono {a noi} anch’essi, a quanto sembra, una coppia di princı`pi, cioe` il pieno e il vuoto. (2) Adottati questi due {princı`pi} Democrito di Abdera vi aggiunse gli ‘idoli’.* (5) Epicuro solo dimentichero` e volentieri, il quale ritiene, nella sua estrema empieta`, che la divinit`a non si curi di nulla. Che {dire} poi di Eraclide Pontico? Dov’e` che non sia tratto, anche lui, verso gli idoli di Democrito? 34 Evidentemente a Democrito e agli altri pensatori che hanno ammesso gli atomi e il vuoto, come confermato dal passo parallelo in Stobeo (cfr. 5.1). (Per questa inclusione della parte su Ecfanto in 5.1 e 5.2 vedi Presentazione dei testi, sez. 5.) 35 Il neutro plurale deve applicarsi a questi corpi e non al sole, come sarebbe piu ` naturale e come si riscontra nel testo di Teodoreto. 36 L’esposizione delle posizioni di Senofane e di Parmenide e ` una semplificazione di quanto troviamo in Teodoreto, mentre l’esposizione delle posizioni di Anassimandro, Anassimene e Anassagora e` all’insegna dell’infinitezza della materia, come lo e` in Clemente (cfr. 5.4), probabilmente avendo Teofrasto come fonte ultima comune. 37 Si intende: gli ultimi due.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.C)
5.5. T. Eusebio, Praeparatio evangelica XIV 3, 7 [262.16-22] (16-19 = 80 B 4; LXXII Lu.; 19-22 om. DK; = 194 Lu.): [Ad illustrazione del fatto che i predecessori di Platone erano in contrasto fra di loro, con richiamo alla discordanza (diaphonia) dei filosofi pagani considerata nel cap. 2. Platone stesso rileva tale discordanza e, fra gli altri, confuta Protagora.] Diventato il discepolo di Democrito, Protagora espose una dottrina atea. Si dice appunto che egli avrebbe fatto uso della seguente introduzione nel suo scritto Sugli dei: ‘‘Riguardo agli dei non so ne´ che siano ne´ che non siano n´e di quale forma siano.’’ *Democrito da parte sua disse che i princı`pi di tutte le cose sono il pieno e il vuoto, dicendo che il pieno e solido e` l’essere 38 e che il vuoto e` il non-essere. Percio` egli dice anche che ‘l’essere non e` per nulla di piu` del non-essere’ in quanto che e` nel vuoto che gli enti dall’eternita` si muovono di continuo e celermente.* [Il seguito e` su Eraclito.]
5.6. Ermia, Irrisio Gentilium Philosophorum 12 [654.11-13] (= 67 A 17; in parte come 192 Lu.): [Come parte di un’esposizione dossografica relativa ai princı`pi ammessi da vari altri pensatori, e dopo un’esposizione delle opinioni di Ferecide al proposito. L’autore si immagina che questi pensatori si rivolgano a lui spiegandogli le loro teorie.] Ebbene Leucippo, ritenendo tutto questo un vaniloquio, dice che sono princı`pi le cose infinite e sempre in movimento e minime, e che i composti di particelle minute muovendo verso l’alto diventano fuoco e aria, mentre i composti di particelle grosse, collocandosi sotto, {diventano} acqua e terra.
5.7. T. Ermia, Irrisio Gentilium Philosophorum 13 [654.14-19] (= 68 A 44; 192 e 248 Lu.): [Subito dopo 5.6.] Fin dove verro` istruito senza apprendere niente di vero? A meno che Democrito mi allontani alquanto dall’errore enunciando come princı`pi l’essere e il non-essere, e l’essere come pieno, il non-essere come vuoto. E {a suo avviso} il pieno produce tutte le cose nel vuoto mediante verso e ritmo. Forse mi sarei potuto lasciar persuadere dal valente Democrito e avrei potuto voler ridere insieme con lui, se non mi dissuadesse Eraclito piangendo e dicendo nello stesso tempo che il principio di tutte le cose e` il fuoco ...
5.8. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio II 11 (om. DK e Lu.): (Sul principio) [Come parte di un’esposizione dossografica relativa ai princı`pi ammessi da vari pensatori, dopo aver parlato di Senofane e di Parmenide.]
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Oppure: che il pieno e` l’essere e il solido.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.C)
Democrito di Abdera disse che il tutto e` infinito e ingenerato; Epicuro, figlio di Neocle, Ateniese, che fin dall’inizio il tutto fu costituito da atomi, ma che {esso} e` senza principio 39 ed eterno.
5.9. T. Varrone, De lingua latina VI 39 (om. DK; = 15a Lu.; p. 201 Us.): *Democrito, Epicuro e altri ugualmente che dichiararono infiniti i princı`pi, non dicono donde essi siano, ma solo di che tipo essi siano, ottenendo comunque un gran risultato: mostrano quali sono le cose che nel mondo sono costituite da questi.* Per la qual cosa se lo studioso di etimologie postulasse mille princı`pi delle parole, dei quali non si richiedesse da parte sua un rendiconto,40 e rendesse evidente tutto il rimanente, cioe` quanto non e` da lui postulato {come lo sono i princı`pi}, il numero delle parole che egli spiegherebbe sarebbe comunque enorme.
5.10. T. Plutarco, De Iside et Osiride 45, 369A, B, C (om. DK; comm. a 594 Lu.; = SVF II 1108): [Nel contesto si parla dei principi che sono all’opera nell’universo tutto.] In effetti n´e i principi del tutto vanno posti in corpi inanimati, come {vogliono} Democrito ed Epicuro, ne´ si deve porre come artefice di una materia non qualificata un’unica ragione e un’unica provvidenza la quale prevale e domina su tutte le cose, come {vogliono}gli Stoici.41 In effetti e` impossibile che una qualsiasi cosa cattiva si generi la` dove il dio e` causa di tutto, come e` impossibile che qualsiasi cosa buona si generi la` dove il dio e` causa di nulla. [...] Percio` anche questa antichissima opinione che da teologi e legislatori discende a poeti e filosofi [...]: che cioe` il tutto non e` librato in modo casuale,42 senza un’intelligenza e una ragione e un pilota, (C) e che neppure vi e` una sola ragione che {lo} domina e regge, per cos`ı dire, con timone e con docili redini, ma ci sono molti {princı`pi} che sono una mescolanza di bene e di male...
5.11. T. Diogene di Enoanda fr. 6 [5 Ch.], coll. II 9-14, III 1 (om. DK; = 39 Lu.): [Come parte di un’esposizione dossografica, ma avente un intento critico,43 relativa agli elementi ammessi da vari altri pensatori, e dopo aver menzionato Eraclito, Talete, Anassimene, Empedocle, Anassagora, gli Stoici, ecc.] Democrito di Abdera disse che {i corpi primi o gli elementi} sono nature atomiche, procedendo in modo corretto; ma, dal momento che cadde in qualche errore circa essi, si dovra` indagarne nell’{esporre le} nostre dottrine.44
39 a[narcon a correzione dell’uso di «fin dall’inizio (ejx ajrch")» che puo ` suggerire l’idea di un = inizio temporale, ma anche nel senso di ‘senza un principio che lo produca’, il tutto essendo ritenuto essere cosı` da sempre. 40 Cioe ` una giustificazione razionale (ratio). 41 Fin qui il passo e ` riportato anche da von Arnim nei suoi Stoicorum veterum fragmenta, vol. II, fr. 1108. 42 Oppure spontaneo (tw/ aujtomavtw/). = 43 Il passo e ` seguito dalla dichiarazione di voler rivolgere accuse ai pensatori menzionati, in spirito tuttavia non di contesa ma di verita`, e dall’esposizione effettiva delle critiche – nel testo che ci rimane questa e` interrotta da una lacuna. E` probabile che la test. 8.4 appartenga a questa parte. 44 Il passo viene riportato come 135a da Alfieri, che traduce cosı` il periodo finale: «si giudiche-
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.D)
5.12. T. Isidoro di Siviglia, Etymologiae XIII 2, 1-4 (om. DK; 52 Stu¨ckelberger; 4 = 565 Lu.): [Titolo del libro: «Sul mondo e sulle sue parti». Il primo capitolo e` sul mondo, segue quello qui riportato.] Sugli atomi: atomi chiamano i filosofi certe parti dei corpi che sono nel mondo 45 le quali sono cosı` minute da non essere suscettibili di visione o ricettive di tome´, cioe´ di sezione; pertanto sono dette appunto atomoi. Questi sono detti volteggiare con movimenti incessanti nel vuoto di tutto il mondo 46 e portarsi ora qui ora lı`, al modo delle polveri tenuissime che, penetrando per le finestre, sono visibili ai raggi di sole. Da questi sorgono tutti gli alberi e le erbe e le messi, da questi si generano e sono costituiti il fuoco e l’acqua e ogni realta`, come supposero alcuni filosofi pagani. (2) Ci sono atomi nel corpo oppure nel tempo oppure nel numero. Nel corpo, come una pietra: dividila in parti e dividi le parti stesse in granelli, come sono quelli della sabbia; di nuovo dividi questi granelli come di sabbia in polvere minutissima, finch´e, se ti e` possibile, tu pervenga a qualcosa di cosı` minuto da non lasciarsi piu` dividere o secare: questo e` l’atomo nei corpi. (3) Nel tempo invero si intende con atomo quanto segue: l’anno, per esempio, dividilo in mesi, i mesi in giorni, i giorni in ore; ma anche le parti delle ore ammettono divisione, finche´ tu pervenga ad un punto di tempo e, per cosı` dire, stilla di momento cosı` piccolo, da non potersi protrarre per nessuna durata; e pertanto da non lasciarsi piu` dividere: questo e` l’atomo nel tempo. (4) Nei numeri, come, per esempio, otto si divide in quattro, di nuovo quattro in due, poi due in uno; l’uno pero` e` atomo, giacche´ e` insecabile. Allo stesso modo anche la lettera: il discorso si divide in parole, le parole in sillabe, la sillaba in lettere; la lettera, {cioe`} la parte minima, e` atomo, e non puo` essere divisa. L’atomo dunque e` cio` che non puo` essere diviso, al modo del punto in geometria. Ora in Greco divisione si dice tomos,47 l’indivisione atomos.
D. CLASSIFICAZIONI
DEI PRINCI` PI O ELEMENTI
6.1. Aristotele, De anima I 2, 404b30-405a3: [Per il contesto, compreso seguito del passo, cfr. 102.1.] Ci sono pero` differenze {fra i pensatori} circa i princı`pi, quali e quanti {essi siano}, e massimamente {differiscono} quelli che li rendono corporei da quelli che li rendono incor-
ra` poi di lui nell’esposizione della nostra dottrina», evidentemente ritenendo che il verbo sia ejpiskhvptw invece che ejpiskopevw. Prossima alla mia e` la seguente trad. di M.F. SMITH (The Epicurean Inscription, Napoli 1993, p. 370): ‘‘he will be considered in the exposition of our theories’’. 45 A. ST U ¨ CKELBERGER (Antike Atomphysik, Mu ¨ nchen 1979, p. 243) intende mundus corporum come ‘‘ambito dei corpi’’ e traduce: ‘‘Atome nennen die Philosophen im Bereiche der stofflichen Dinge gewisse so winzige Teilchen ...’’. 46 Cioe ` , presumibilmente, dell’universo. 47 Questo termine tuttavia (come il seguente), a differenza di tome ´, dovrebbe indicare il risultato del processo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.D)
porei, e da questi {tutti differiscono} quelli che li mescolano e che enunciano i princı`pi a partire da entrambi {gli ambiti}. Differiscono anche riguardo alla {loro} moltitudine, poiche´ gli uni li dicono uno {soltanto} e gli altri una pluralita`.48
6.1.1. E. Filopono, In De anima I (2, 404b30), 82.17-24 (om. DK; 23-24 = 444 Lu.): Come corporei hanno postulato i {loro} princı`pi i naturalisti, cioe` Talete, Democrito, Anassimene, Anassimandro, Eraclito, non corporei quelli che parlano di numeri, come i Pitagorici e Senocrate e, a quanto pare, anche Platone. Empedocle ne parlo` come di misti, nell’introdurre accanto ai quattro elementi l’odio e l’amore come nature incorporee, e Anassagora, nell’introdurre l’intelletto accanto alle omeomerie, giacche´ lo dice incorporeo. *Anche Democrito si troverebbe ad essere fra costoro nell’introdurre il vuoto accanto ai corpi che sono gli atomi.*
6.2. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX, §§ 359-361 (con omissioni), §§ 363-64 (om. DK., parzialmente 124 Lu.; tuttavia 363 su Moco = 68 A 55 e 169 Lu.): (Sul corpo) Circa gli elementi sommi e fondamentali si sono formate due posizioni principali, anche se sono di piu` per specie. Gli uni hanno affermato che gli elementi degli enti sono corpi, gli altri che sono incorporei. (360) E di coloro che hanno affermato che sono corpi Ferecide di Siro disse che il principio e l’elemento di tutte le cose e` la terra, Talete di Mileto l’acqua, Anassimandro, suo discepolo, l’infinito, Anassimene ... e Diogene di Apollonia ... e (secondo alcuni) Eraclito l’aria, Ippaso di Metaponto e (secondo alcuni altri) Eraclito il fuoco; (361) Senofane che sono l’acqua e la terra ... Empedocle e i suoi e gli Stoici {dicono che sono} la terra e l’acqua e l’aria e il fuoco ... (363) *Democrito ed Epicuro che sono gli atomi (a meno che non si debba porre l’opinione come piu` antica, e – come disse lo stoico Posidonio – derivata da un certo Moco, uomo fenicio)*, Anassagora di Clazomene le omeomerie, e Diodoro soprannominato Crono i corpi minimi ed impartibili, Asclepiade di Bitinia le molecole inarticolate. (364) Quanto a coloro che hanno sostenuto dogmaticamente che sono incorporei, Pitagora e i suoi hanno affermato che i numeri sono al principio di tutto, i matematici che sono i limiti dei corpi, Platone e i suoi che sono le idee.
6.3. T. Sesto Empirico, Pyrrhoniae hypotyposes III, §§ 31-33 (om. DK; rifer. in 124 Lu.): (Sui princı`pi materiali) [La rassegna comincia con coloro che avevano ammesso un unico principio materiale, e poi si estende a coloro che ne avevano ammesso piu` di uno, menzionando Empedocle e gli Stoici come coloro che postulavano i quattro elementi.] Aristotele il peripatetico e i suoi {ammisero come princı`pi materiali} il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra, {e} il corpo che si muove di moto circolare, (32) *Democrito ed Epicuro gli
48 Tale classificazione secondo il numero non viene data nel seguito, ma e ` presente in Phys. I 2 (= 11.1).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.D)
atomi*, Anassagora di Clazomene le omeomerie, Diodoro soprannominato Crono i corpi minimi ed impartibili, Eraclide Pontico ed Asclepiade di Bitinia le molecole inarticolate, Pitagora e i suoi i numeri, i matematici i limiti dei corpi,49 Stratone il fisico le qualita`. (33) Ora, poiche´ presso di loro c’`e tanta discordanza, e anche maggiore, circa i princı`pi materiali, o diamo l’assenso a tutte le posizioni esposte e ad altre ancora, o ad alcune di esse. Ma a tutte non e` possibile, giacche´ non saremo certo in grado di dare l’assenso ad Asclepiade e ai suoi, che affermano che gli elementi sono frangibili e dotati di qualit`a, e *a Democrito e ai suoi, che affermano che questi sono indivisibili [‘‘atomi’’] e privi di qualita`*, e ad Anassagora e ai suoi, che lasciano alle omeomerie ogni qualita` sensibile.
6.4. T. Ps.-Galeno, Historia philosopha 18 [610.16-611.3] 50 (om. DK e Lu.): [Argomento: sulla causa o sul principio materiale. La rassegna comincia con coloro che avevano ammesso un unico principio materiale, e poi si estende a coloro che ne avevano ammesso piu` di uno.] ... gli Stoici {ammisero come princı`pi materiali} i quattro elementi, cioe` la terra e il fuoco e l’acqua e l’aria, Aristotele a questi aggiunse il corpo che si muove di moto circolare. Empedocle ai quattro elementi accosto` l’amicizia e l’odio – i quattro elementi essendo la realt`a materiale e l’amicizia {il fattore che} combina questi, l’odio quello che li dissolve e li separa. *Democrito ed Epicuro ritengono che gli atomi siano i princı`pi di tutte le cose*, Eraclide Pontico ed Asclepiade di Bitinia postulano come princı`pi di tutte le cose le molecole inarticolate, Anassagora di Clazomene le omeomerie, Diodoro soprannominato Crono corpi impartibili e minimi, Pitagora i numeri, i matematici i limiti dei corpi, Stratone denominato fisico le qualit`a.
6.4.1. Scolio II all’Hexahemeros di Basilio 51 [Dox. Bas., 195.6-10] (om. DK e Lu.): Democrito, Leucippo, Metrodoro, Epicuro introdussero gli atomi come princı`pi degli enti, Diodoro gli impartibili, Asclepiade di Bitinia le molecole; della stessa confraternita e` Anassagora di Clazomene che introduce le omeomerie.
6.5. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos X, §§ 310-11, 318 (om. DK; 318 = 183 Lu.): (Su generazione e corruzione) L’indagine riguardante la generazione e la corruzione, com’`e condotta dagli scettici contro i fisici, riguarda in effetti le cose nel loro insieme,52 dato che, di coloro che hanno 49 Come si puo ` vedere, Pitagora e i matematici non sono piu` menzionati fra coloro che ammettono princı`pi non corporei (e dunque immateriali), e Platone viene omesso. 50 Questo passo (come aveva gia ` rilevato Diels, Dox. 610, apparato) e` molto simile a 6.3 di Sesto Empirico, quasi solo una variante rispetto ad esso. 51 Di commento al seguente passo dell’Omelia I, 2, 2 di Basilio (lo stesso vale per lo scolio III [= 6.6]): ‘‘Quelli che non hanno riconosciuto l’esistenza di Dio, non hanno ammesso che la genesi dell’universo sia stata promossa da una causa intelligente, e sono giunti a conclusioni dettate dalla loro ignoranza iniziale. Cosı` alcuni ricorsero ai principi materiali, riponendo la causa del tutto negli elementi del mondo; altri s’immaginarono che atomi e corpi semplici, e molecole e interstizi costituissero la natura degli esseri visibili’’ (trad. Naldini). 52 Letteralmente: i tutti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.D)
investigato la costituzione del tutto, gli uni hanno generato tutte le cose da una, gli altri da una pluralit`a; e di quelli che le hanno generate da una, gli uni {l’hanno fatto} da una priva di qualita`, gli altri da una qualificata; (311) e di quelli che le hanno generate da una qualificata gli uni {l’hanno fatto} dal fuoco, gli altri dall’aria, altri ancora dall’acqua, altri infine dalla terra; e di quelli che le hanno generate da una pluralita`, gli uni {l’hanno fatto} da cose numerabili,53 gli altri da cose infinite {di numero}; e di quelli che le hanno generate da cose numerabili, gli uni {l’hanno fatto} da due, gli altri da quattro, altri ancora da cinque, altri infine da sei; e di quelli che {le hanno generate} da cose infinite, gli uni {l’hanno fatto} da cose simili a quelle generate, gli altri da dissimili, e di questi {ultimi} gli uni da cose impassibili gli altri da cose che patiscono. [Segue rapida presentazione di posizioni rappresentative delle varie possibilita`, per esempio di quella di Eraclito che, nel fare derivare la generazione dal fuoco, ammette un uno qualificato, e di quella di Empedocle che, con le sue quattro radici, risulta postulare una pluralita` di cose numerabili. Contrariamente alle aspettative sono gli Stoici, non Anassimandro, ad essere citati per l’ammissione di un uno privo di qualita`.] (318) * Ritennero che la generazione delle cose sia da infiniti Anassagora di Clazomene, Democrito, Epicuro e i loro, e tanti altri; ma Anassagora {ritenne che lo sia} da simili alle cose generate, mentre Democrito, Epicuro e i loro {ritennero che lo sia} da dissimili e impassibili, cioe` dagli atomi; infine Eraclide Pontico, Asclepiade e i loro {ritennero che lo sia} da dissimili ma che patiscono, alla stregua di molecole inarticolate.
6.5.1. V. Ippolito, Refutatio omnium haeresium X 7, 5-6 (om. DK; riferimento in 183 Lu.): [Di seguito ad una classificazione delle posizioni dei naturalisti, iniziantesi in X 6 e analoga a quella riportata da Sesto. Le posizioni sono differenziate a seconda che essi ammettessero che le cose tutte derivano da una o da una pluralita`, e da qualcosa di qualificato o privo di qualit`a, ecc. Non si parla espressamente di elementi o princı`pi.] Sostennero che la generazione di tutte le cose e` da infiniti Anassagora di Clazomene, Democrito ed Epicuro e i loro, e tanti altri, dei quali in precedenza si e` fatta menzione partitamente. (6) Ma Anassagora {sostenne che lo e` } da simili alle cose generate, invece Democrito, Epicuro e i loro {sostennero che lo e`} da dissimili e impassibili, cioe` dagli atomi, ed Eraclide Pontico ed Asclepiade da dissimili ma passibili, alla stregua di molecole inarticolate.
6.6. T + C. Scolio III all’Hexahemeros di Basilio [= Ps.-Clemente, Recognitiones VIII 15 (Dox. 250-51), salvo piccole varianti e in versione lat.] [Dox. Bas., 195.11-12, 196.1-7] (solo citazione = 68 A 57; 198 Lu.): E` chiaro che tutti i sapienti greci affermano che il mondo e la materia sono costituiti da una pluralita` {di elementi}. Per cominciare, Pitagora chiama gli elementi dei princı`pi 54 numeri, Stratone qualita`, Alcmeone opposti, Anassimandro infinito, Anassagora omeomerie, Epicuro atomi, Diodoro impartibili, Asclepiade molecole, i geometri limite, *Democrito ‘idee’*, Talete acqua, Eraclito fuoco, Diogene aria, Parmenide terra, Zenone Empedocle Platone fuoco acqua terra aria, Aristotele anche un quinto {elemento} senza nome. 53 54
Cioe` finite di numero. Oppure: fra i princı`pi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.E)
6.7. T. Alessandro d’Afrodisia, In Metaphysica V (3, 1014a26), 355.9-15 (om. DK; = 114 Lu.): [Contesto di commento al passo aristotelico contenente un’enumerazione delle varie accezioni in cui si dice stoiceio= n, a partire dalla sua definizione come costituente della cosa non divisibile in qualcos’altro per forma o specie.] Quanto ‘‘allo stesso modo 55 anche gli elementi dei corpi li dicono {elementi}’’ si riferisce a coloro che fanno degli atomi gli elementi dei corpi composti e ad Empedocle che fa generare tutte le altre cose dai quattro {elementi}, e a coloro che rendono elemento un certo corpo singolo – {elemento} dei quattro {elementi}oppure {elemento} intermedio. Per tutti costoro gli elementi sono indivisibili secondo forma, *per coloro che fanno ricorso agli elementi che sono ‘atomi’ gli elementi sono indivisibili anche secondo grandezza, non solo secondo forma.
E. ESPOSIZIONI SINTETICHE RIGUARDANTI GLI ATOMI (E IMMAGINE DEL PULVISCOLO ATMOSFERICO)
E LE LORO OPERAZIONI
7.1. TT. Aristotele, Su Democrito, presso Simplicio, In De Caelo I (10, 279b12-17), 295.1-20 (= 68 A 37; 172, 227 e 293 Lu.; fr. 208 Rose): [Cfr. 79.4 per il contesto.] ‘‘Democrito ritiene che la natura delle cose eterne stia in 56 piccole sostanze infinite per moltitudine, e mette sotto a queste un luogo altro {da esse} che e` infinito per grandezza. Chiama il luogo con queste denominazioni: ‘vuoto’ e ‘niente’ e ‘infinito’, e ciascuna delle sostanze con queste denominazioni: ‘questo’ 57 e ‘compatto’ 58 e ‘ente’. (5) Crede che le sostanze siano cosı` piccole da sfuggire ai nostri sensi, e che ad esse ineriscano ogni genere di forme e di figure e differenze di grandezza; che da queste dunque come da elementi si generino, per aggregazione, le masse visibili e {in generale} sensibili; (9) che si muovano nel vuoto, in lotta {l’una con l’altra} per la {loro} dissomiglianza e le altre menzionate differenze, e, muovendosi, si incontrino e si intreccino di un intreccio tale che le mette a contatto e in prossimita` le une con le altre, e tuttavia nessuna natura che sia veramente una si genera da esse – e` infatti del tutto sciocco {supporre} che due o piu` {sostanze} diventino mai una. (14) Del fatto che le
55 Si intende: sono indivisibili in qualcos’altro per forma allo stesso modo degli elementi della voce o della sillaba (appena citati ad esempio). 56 Letteralm.: siano. 57 Il testo e ` dubbio, in alcuni MSS e` lacunoso. Leggo tw/de = (come V. ROSE, in Aristotelis Fragmenta, Leipzig 1886, fr. 208, p. 166, che pero` non riconosceva la correzione), intendendo ‘questo’ come qualcosa di determinato in contrapposizione ad ‘infinito’ (mentre ‘solido’ si contrappone a ‘vuoto’ ed ‘ente’ a ‘niente’). La proposta di J.L. HEIBERG, nella sua ed. di Simplicio (In Aristotelis quattuor libros de caelo commentaria, Berlin 1894), seguito da Diels (in DK), di leggere tw/= deni; mi pare resa improbabile, oltre che dal venire meno della corrispondenza con quanto precede, dalla ripetizione che comporterebbe il successivo tw/= o[nti. Cfr. anche note ad 8.3 e 12.2. 58 In greco nastov". Deve trattarsi di un aggettivo adottato da Democrito per indicare (collettivamente) l’atomo come cio` che e` solido e del tutto pieno (vedi Quadro Sinottico, B.2.5). Che la parola non fosse corrente viene attestato da Galeno, De dignoscendis pulsibus IV cap. 2 (VIII 931 K.), a proposito del suo uso da parte di Archigene di Apamea (medico vissuto nel periodo traiano) appunto per indicare cio` che e` pieno (vedi citazione del passo per esteso in 68 B 46 DK).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.F)
sostanze permangono insieme le une con le altre per un certo tempo egli adduce a causa l’adesione e la presa reciproca dei corpi, giacch´e di essi alcuni sono diseguali, altri uncinati, altri concavi, altri convessi, altri ancora avendo altre innumerevoli differenze. Ritiene dunque che esse resistano 59 permanendo insieme fino al tempo in cui una necessita` piu` forte, sopravvenuta dall’ambiente circostante, le scuote e le disperde separandole.’’
7.2. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 95-124: [Un’esposizione epicurea della teoria atomistica. Il tema di questa parte e` il moto degli atomi, e Lucrezio ha appena osservato che esso non e` ostacolato giacch´e lo spazio in cui essi si muovono non ha fine ne´ misura.] Poiche´ questo e` certo, non stupirti se nessun riposo | e` concesso ai corpi primi attraverso il vuoto profondo, | ma piuttosto, agitati da un movimento incessante e vario, | in parte compattatisi rimbalzano indietro a grandi distanze, | parte anche si agitano a breve distanza dall’urto.|100| (I) E {fra di essi} quanti che in un piu` spesso aggregato | e entro spazi esigui rimbalzano urtati, | impediti proprio dalle loro intricate figure, | sono quelli che costituiscono le salde radici della pietra e i corpi | duri del ferro e le altre {sostanze} dello stesso loro genere. | (II) (a) Quanto agli altri che vagano in avanti per il grande vuoto, | un piccolo numero lontano rimbalzano e lontano sono proiettati indietro | per grandi distanze; questi ci forniscono l’aria rada | e la splendida luce del sole. | (b) Numerosi inoltre vagano per il grande vuoto | che sono esclusi dalle combinazioni delle cose 60 e che in nessuna parte | hanno ancora potuto, venendo accolti, associare i loro movimenti. |112| Di tale fenomeno, come te ne rammento, un simulacro e un’immagine | si agita e si presenta sempre di fronte ai nostri occhi. | Osserva infatti, ogni volta che i raggi, nell’introdursi, | effondono la luce del sole nell’oscurit`a delle case: | vedrai una moltitudine di corpi minuti mescolarsi, attraverso il vuoto, | in molti modi nel fascio stesso dei raggi | e, come in un’eterna contesa, darsi a combattimenti | e battaglie scontrandosi a torme, senza avere pausa, | agitati da fitti congiungimenti e disgiungimenti; |121| cosı` che puoi figurare da cio` quale sia l’eterno agitarsi | dei princı`pi delle cose nel grande vuoto, | per quanto un piccolo fenomeno possa offrire un modello | delle cose piu` grandi e una traccia per la loro conoscenza.
F. ATOMI,
QUALIT A` E COMPOSTI OVVERO APPARENZA E REALTA`
8.1. T e C. Plutarco, Adversus Colotem 8, 1110E-1111B (da F a 1111A = 68 A 57; 42 Lu.; 1110E-F = 61 e 179 Lu.; 1111A-D = 216 Lu.) e 1111C-D e 9, 1111E (= 286 Us.): [Seguito non immediato di 59.1, dove viene esposta la prima accusa di Colote a Democrito, e di 56.1, dove essa viene ritorta contro Epicuro.] ... ancora di piu` sfugge {a Colote}, nella sua seconda accusa, che insieme a Democrito espelle Epicuro dal vivere. Infatti egli dichiara che la proposizione: ‘‘per convenzione e` il
59 Evidentemente questo viene detto degli atomi prendendoli a gruppi, dunque con riferimento implicito anche ai composti. 60 Cioe ` dalle combinazioni che costituiscono le cose.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.F)
colore e per convenzione e` il dolce e per convenzione e` ogni aggregato,61 in realta` sono il vuoto e gli atomi’’,62 viene enunciata da Democrito in opposizione ai sensi, (F) e che colui che si attiene a questo discorso e lo mette in pratica non puo` neppure concepire se stesso come un uomo 63 e come un vivente.– Non ho niente da obbiettare a questo discorso {di Colote}, ma ho da dire che queste {conseguenze} sono inseparabili dalle dottrine di Epicuro tanto quanto lo sono, a loro detta,64 la figura e la pesantezza dall’atomo. Infatti, che cosa dice Democrito? *Che sostanze infinite per moltitudine e indivisibili [«atomi»] e indistruttibili,65 inoltre prive di qualita` e impassibili, si muovono disperse nel vuoto; (A) che quando si accostano le une alle altre oppure si incontrano oppure si intrecciano, degli aggregati {che ne risultano} l’uno ha l’apparenza di acqua, l’altro di fuoco, l’altro di pianta, l’altro di uomo; ma le cose tutte sono {in realta`} le «forme indivisibili», come le chiama,66 e nient’altro. Infatti dal non essere non c’e` generazione, ma dagli enti niente potrebbe essere generato, per il fatto che gli atomi non possono n´e patire ne´ mutare per via della loro solidita`. Onde ne´ il colore puo` derivare da cio` che e` privo di colore ne´ la natura o l’anima da cio` che e` privo di qualita` e impassibile.* Democrito allora deve essere censurato non per avere accettato quelle che sono le conseguenze dei {suoi} princı`pi, ma per avere adottato princı`pi che hanno queste conseguenze. (B) Non doveva porre come immutabili le cose prime, ma, una volta postele, doveva accorgersi che la generazione di ogni qualit`a e` scomparsa; pero` accorgersi dell’assurdit`a e negarla e` sfacciataggine, sicche´ e` nel modo piu` sfacciato che Epicuro dice di adottare gli stessi princı`pi, ma di non affermare che siano «per convenzione il colore e il dolce e l’amaro» e le altre qualita` ... [segue una polemica contro Epicuro]. (C) Non era necessario postulare, anzi sottrarre a Democrito, la proposizione che i princı`pi di tutte le cose sono atomi; 67 ma una volta adottata la dottrina e fattosi bello della
61 La formulazione di questo noto detto di Democrito differisce, nel menzionare ‘‘ogni aggregato’’ al posto dello ‘‘amaro’’, da quella adottata in tutte le altre citazioni che abbiamo di esso (cfr. Sesto, AM VII 135 [= 60.1], Galeno in 8.3 e in 60.3, D.L. IX 72 [= 61.1]); ci si aspetterebbe comunque che alla menzione del dolce segua quella dell’amaro, e piu` oltre lo stesso Plutarco menziona ‘il dolce e l’amaro e le altre qualita`’. D’altra parte, nel corso dell’esposizione, il carattere di apparenza dei composti e` suggerito espressamente a proposito di sostanze come acqua e fuoco e come pianta e uomo, e si parla pure del fatto che uno ‘‘non puo` neppure concepire se stesso come un uomo e come un vivente’’, sicche´ c’e` da presumere che l’espressione ‘‘ogni aggregato’’, pur essendo di Plutarco o forse di Colote (e non il risultato di un errore non facilmente spiegabile di un copista), si ispiri a qualcosa che era stato dichiarato dallo stesso Democrito. 62 Le parole ‘‘ogni ... in realta ` sono il vuoto’’ sono un’integrazione congetturale, a colmare una lacuna nei MSS. 63 ‘‘un uomo’’ e ` un’integrazione di Pohlenz (lacuna nel testo). 64 Cioe ` a detta degli stessi Epicurei. 65 Adotto una correzione di Emperius: kai; ajdiafqovrou", difesa da R. WESTMAN , Plutarch gegen Kolotes, Helsinki 1955, pp. 266-267 (l’indicazione del Diels in apparato e` inesatta, cfr. Westman, op. cit., p. 266, n. 1); Diels proponeva invece la correzione kajjdiafovrou"; la lezione dei MSS e` kai; diafovrou" che Alfieri e Luria giudicano difendibile, ma che e` priva di paralleli come descrizione degli atomi e che trova poca giustificazione nel contesto (dove il confronto e` fra gli atomi e i composti). 66 Adotto l’interpretazione del passo che era stata proposta da Diels ed accolta dalla maggior parte degli studiosi (da Alfieri perfino come titolo del suo libro su Democrito!); invece Westman (op. cit., pp. 269-271), seguito da J. MANSFELD (Vorsokratiker II, p. 281) e da C.C.W. TAYLOR (The Atomists, Toronto 1999, test. 206), propone di rendere come segue: ‘‘le cose tutte sono gli atomi, da lui chiamati ‘forme’ [o ‘idee’]’’, giudicando poco plausibile quella proposta. Notare che l’espressione «forma indivisibile (a[tomo" ijdeva)», a differenza di «forma (ijdeva)» da solo, non ha riscontri in altre testimonianze. 67 Traduzione alternativa, adottata da M. ISNARDI PARENTE , in Opere di Epicuro, Torino 1983,
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.F)
sua plausibilita` iniziale 68 bisogna trangugiare in aggiunta lo spiacevole,69 oppure mostrare in che modo corpi privi di qualit`a possono, col loro semplice convergere, far comparire qualit`a di ogni varieta`. Un esempio immediato: cio` che e` chiamato caldo, per voi, donde e` pervenuto 70 e in che modo si e` sovrapposto agli atomi, (D) i quali ne´ sono venuti dotati di calore ne´ sono diventati caldi col loro convergere? La prima cosa infatti e` propria di cio` che possiede qualita`, l’altra di cio` che per sua natura e` capace di recepirla, ma, voi dite, ne´ l’uno n´e l’altro puo` convenientemente appartenere agli atomi per via della loro indistruttibilita`. [Nel seguito, cap. 9, in risposta alla possibile obiezione che anche pensatori come Platone e Aristotele producono l’oro da cio` che non e` oro, la pietra da cio` che non e` pietra, e cosı` via, perche´ li producono da sostanze semplici quali sono i quattro elementi, viene rilevato che questi ultimi non sono privi di qualit`a.] (E) Invece l’atomo, di per se stesso, e` sprovvisto e spoglio di ogni potere generativo, e, dalla sua entrata in collisione con un altro ne risulta una scossa dovuta alla sua durezza e resistenza agli urti, ma nessun’altra affezione e` da esso posseduta o prodotta. Piuttosto {gli atomi} sono urtati e urtano {altri atomi} tutto il tempo, e non solo non sono in grado di far comparire da essi stessi, che sono sempre in uno stato di costante agitazione e dispersione, un animale o un’anima o un essere naturale, ma neppure un raggruppamento comune oppure un mucchio unificato.
8.2. T. Simplicio, In Categorias 8 (8b25), 216.31-217.7 (om. DK e Lu.; = 288 Us.): [Di commento al cap. sulla qualita` nel trattello aristotelico, fa parte di un excursus sulla questione della sussistenza delle qualita`.] Contro Democrito ed Epicuro viene argomentato cosı`: come mai lasciano sussistere alcune differenze riguardanti gli atomi, cioe` quelle delle figure, del peso, della compattezza, della corporeita`, dei limiti, della grandezza, del movimento, ma dichiarano che non hanno il colore o la dolcezza o la vita e che neppure le ragioni preesistono a quale che sia di tali {proprieta`}. Dal momento che e` comune la ragione riguardo agli oggetti,71 e` assurdo non stabilire le stesse cose circa gli stessi {oggetti}, e ancora piu` assurdo rendere derivati i poteri dominanti, come la vita e l’intelligenza e la natura e la ragione e quelle di tal fatta. E` similmente impossibile che queste {entita` o proprieta`} si producano per la convergenza {degli atomi}, dato che, secondo Democrito, il colore e` per convenzione e lo stesso vale per le altre {proprieta`}, in verit`a ci sono {solo} gli atomi e il vuoto. Colui che ha eliminato gli enti per una volta non potra` piu` postulare nulla, e colui che ha ammesso qualche cosa che sia privo di causa non avra` piu` dove fermarsi.
p. 332: ‘‘Ma sarebbe stato necessario non porre quei princı`pi ma piuttosto abolire [ajfelevsqai] la dottrina secondo cui gli atomi di Democrito sono i princı`pi del tutto’’, evidentemente adottando la lezione dei MSS anziche´ la correzione di Wyttenbach in uJfelevsqai. 68 Ho inteso il costrutto in senso riflessivo, come Einarson e De Lacy nell’ed. Loeb di Plutarco; M. Isnardi Parente invece, in op. cit., p. 332, traduce cosı`: ‘‘a chi si attenga a tale dottrina e la corredi di tutti gli argomenti credibili escogitati da quello (Democrito) ...’’. 69 Allusione ad un detto proverbiale del tipo: «bere fino alla feccia», per il quale cfr. Aristofane, Plutus, v. 1085. ` possibile anche rendere: ‘‘donde e` pervenuto a voi’’. 70 E 71 Piu ` letteralmente: «le cose esterne» (secondo un uso corrente nella filosofia ellenistica).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.F)
8.3. T + C. Galeno, De elementis ex Hippocrate I 2 [I, 416-419 K.; 3.2-5.9 H.] (da 3.20 = 68 A 49; 90, 215 e 298 Lu.): [Tema generale (cfr. 414-15): quali sono le cose primarie e massimamente semplici, non piu` analizzabili in altre. Prima del passo citato era stato escluso, con riferimento all’ippocratico De natura hominis, che l’elemento (stoiceio= n) sia uno, intendendo con cio` che sia l’unico essere, in accordo cioe` con una prospettiva monistica come quella adottata da Melisso.] Ci puo` essere anche chi asserisce che tutte le cose sono una per forma e per potere, al modo in cui Epicuro e Democrito e i loro dicono essere gli atomi. Vengono dallo stesso loro gruppo coloro che postulano elementi che sono cose minime e inarticolate e impartibili.72 A tutti questi Ippocrate rivolge una comune obiezione dimostrando che l’elemento non e` uno quanto alla forma e al potere, e neppure menziona coloro che dicono che l’essere e` uno di numero, {trattandoli} come persone del tutto insensate. Vediamo dunque se e` in modo corretto che trae le sue conclusioni e se e` in modo appropriato che si e` opposto a coloro che suppongono che l’elemento sia uno per natura,73 (417) {in qualunque modo essi} vogliano denominarlo: indivisibile o inarticolato o minimo o impartibile; non ci sara` in effetti neppure bisogno delle differenziazioni particolari che ci sono fra di essi, se eliminiamo 74 quanto c’e` di universale e di comune in tutti i loro orientamenti. [3.16] Da tutti costoro viene assunto che *l’elemento primo e` privo di qualita`, {cioe`} senza avere per sua natura la bianchezza o la nerezza o, in genere, qualsiasi colore, e {senza avere} dolcezza o amarezza, o calore o freddezza, o, in genere, qualsiasi altra qualit`a. ‘‘Per convenzione e` il colore, per convenzione e` il dolce, per convenzione e` l’amaro; in realta` sono {solo} gli atomi e il vuoto’’, dice appunto Democrito, ritenendo che tutte le qualita` sensibili, in quanto relative a noi che abbiamo percezione di esse, si generano dalla convergenza degli atomi, mentre per natura non c’`e nulla di bianco o di nero o di giallo o di rosso o di dolce o di amaro. Infatti «per convenzione» [4.1] significa lo stesso che «per statuizione» e «relativamente a noi», {cioe`} non secondo la natura delle cose stesse,75 che e` cio` che a sua volta denomina con «in realta`», termine che ha derivato da «reale», che significa «vero». (418) E tutto il senso del suo discorso deve essere il seguente: e` invalso presso gli uomini che il bianco e il nero siano qualcosa e {lo stesso} il dolce e l’amaro e tutte le altre cose del genere; ma in verita` uno e nessuno 76 sono tutte le cose. Egli appunto si e` espresso anche a questo modo, denominando «uno» gli atomi, «nessuno» il vuoto. [4.9] Gli atomi tutti quanti, essendo corpi piccoli, esistono separatamente dalle qualit`a; il vuoto e` un certo spazio, nel quale questi corpi sono mossi in alto e in basso per l’intera eternita`, intrecciandosi in qualche modo tra loro oppure collidendo e rimbalzando, e, in questi incontri, si separano e di nuovo si
72 Probabilmente si tratta di un’allusione alla posizione di Asclepiade di Bitinia, cfr., oltre ai riferimenti dello stesso Galeno (in 8.3.2) e dello Ps.-Galeno (in 6.4), Eusebio, P.E. XIV 23, 4 (= 9.4), Sesto Emp. AM IX 363 (= 6.2), PH III 31-33 (= 6.3), AM X 318 (= 6.5). 73 Stu ¨ ckelberger (Antike Atomphysik, p. 125) intende piuttosto: ‘‘che mettono sotto alla natura un elemento che sia uno’’, ma l’uso di ‘‘natura’’ che viene fatto nel contesto rende improbabile questa resa. 74 Si intende: riusciamo ad eliminare mediante confutazione. 75 Oppure, seguendo il testo di un altro codice: secondo la natura stessa delle cose. 76 Cioe ` niente. La correzione, proposta da Mullach e ripresa da Diels (in DK), dell’e}n dei MSS in de;n, qui e sotto, non pare troppo plausibile in vista dell’insistenza (cfr. inizio e contesto) che anche quello degli atomisti e` un tipo di monismo. Cfr. anche 7.1 e 12.2, nota. Il termine pero` e` bene attestato in 59.1.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.F)
aggregano, e da questo producono tutte le altre aggregazioni e i nostri corpi e le loro affezioni e le sensazioni. Essi suppongono che i corpi primi siano impassibili: alcuni di essi, [5.1] come Epicuro e i suoi, {ritengono che} siano infrangibili per la loro durezza, alcuni altri, (419) come Leucippo e i suoi, che siano indivisibili per la loro piccolezza; ma suppongono anche che non siano neppure capaci di alterarsi in alcun modo secondo quelle alterazioni che tutti gli uomini, istruiti dai sensi, credono che ci siano: dicono per esempio che nessuno di essi 77 puo` scaldarsi o raffreddarsi, e, allo stesso modo, neppure diventar secco o umido, e, a maggior ragione, neppure diventar bianco o nero e, in genere, neppure assumere una qualche altra qualit`a con un qualsiasi mutamento.
8.3.1. Galeno, Quod animi mores corporis temperamenta sequantur 5 [IV, 785 K.; SM II 46.9, 12-17]: [Rileva che nel corso del trattato egli parte da assunti che non puo` giustificare al suo interno.] Premetto ... che, dal momento che gli orientamenti {principali} in filosofia sono due – gli uni dicono che tutta la sostanza cosmica e` unitaria, gli altri che e` divisa dall’avviticchiarsi del vuoto {intorno alle sue parti} –, il secondo orientamento si e` lasciato scorgere come non vero mediante quelle confutazioni che abbiamo messo per iscritto nel libro Sugli elementi secondo Ippocrate...
8.3.2. Galeno, Ad Pisonem de theriaca liber 11 [XIV, 250.4-12 K.] (om. DK e Lu.; Stu¨ckelberger VD nr. 59): [Confutazione di Asclepiade e di Epicuro, che negano l’alterazione e riportano le opere della natura agli atomi e alle molecole.] {La questione e`} infatti se, secondo il discorso di Epicuro e di *Democrito, tutte le cose sono costituite dall’atomo e dal vuoto*, oppure – secondo il medico Asclepiade – da certe molecole e da pori. In effetti a questo modo egli, avendo solo cambiato i nomi, parlando al posto degli atomi di molecole, al posto del vuoto di pori, vuole che la sostanza degli enti sia la stessa che per loro.
8.3.3. Galeno, De naturalibus facultatibus II 6 [II, 97.15-98.1 K.; SM III 172.3-8] (om. DK e Lu.): [Polemica contro Erasistrato, che aveva adottato una forma di atomismo.] ... volevamo di nuovo anche in quest’occasione che Erasistrato mi rispondesse lui stesso circa quel piccolo nervo elementare, se e` precisamente qualcosa di uno e continuo oppure se e` costituito da molti corpuscoli, quali li hanno postulati Epicuro e Leucippo e Democrito.
8.3.4. Galeno, De naturalibus facultatibus I 12 [II, 27-28 K.; SM III 120.14121.7 e 9-16]: [Ci sono due orientamenti principali nella medicina e nella filosofia, riguardo allo studio della natura, e questi sono gli unici che traggano con coerenza le conseguenze dai loro postulati.]
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Si intende: dei corpi primi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.F)
Quali sono dunque questi orientamenti e quali sono le conseguenze dei loro postulati? Uno dei due orientamenti postulo` che la sostanza che e` sottoposta alla generazione e alla corruzione e` tutta ad un tempo dotata di unita` e suscettibile di alterazione, mentre il rimanente {postulo` la sostanza come} immutabile e inalterabile e suddivisa in particelle che sono separate da spazi interstiziali 78 che sono vuoti. E dunque tutti coloro che apprezzano la consequenzialit`a dei postulati ritengono che per il secondo orientamento non sussiste una sostanza o facolta` che sia propria della natura o dell’anima, ma che queste risultano dal modo in cui convergono quei corpi primi che sono impassibili; invece per l’orientamento citato per primo la natura non e` posteriore ai corpi ma anzi ha molta priorita` su di essi ed e` piu` antica; e pertanto per loro e` essa che costituisce i corpi delle piante e degli animali in quanto possiede facolta` attrattive e insieme assimilatrici di cio` che e` appropriato, per un altro verso espulsive di cio` che e` estraneo, e con la sua arte forma tutte le cose nel generarsi e con la sua previdenza provvede a quelle generate. [...] Per gli altri invece niente di tutto questo sussiste nelle nature e non c’e` nessuna nozione che sia connata all’anima dall’inizio – {nozione} di consequenzialit`a o di contrasto, di divisione o di sintesi, di giusto o di ingiusto, di valore o di disvalore; ma tutte queste, dicono, si generano in noi dalla sensazione e mediante la sensazione e gli animali sono governati da certe rappresentazioni e memorie.
8.4. T. Diogene di Enoanda fr. 7 [6 Ch.], coll. II 2-14, III 1-2 (om. DK; = 61 Lu.): [Probabilmente di seguito, a qualche distanza, alla test. 5.11. Il contesto immediato e` troppo frammentario per permettere una ricostruzione.] Fallı`, in modo indegno di se stesso, anche Democrito, dicendo che *soltanto gli atomi sussistono realmente negli enti, mentre tutto il resto e` per statuizione 79*. In base al tuo discorso, o Democrito, non solo non siamo in grado di scoprire il vero, ma neppure di vivere, non stando in guardia ne´ dal fuoco ne´ da una ferita n´e da una qualche altra forza ***
8.5. T. Epifanio, Adversus haereses III 2, 9 [III 13, 590.26-29] (= 67 A 33; 53 Lu.): [Esposizione dossografica, dopo alcuni §§ riguardanti Senofane, Parmenide, Zenone e Melisso. Il seguito del presente § riguarda Democrito, cfr. 132.3.] Leucippo di Mileto, ma, secondo alcuni, di Elea, fu anche lui un eristico; 80 anche questi 81 afferma che il tutto sta nell’infinito, e che tutte le cose avvengono secondo la parvenza 82 e l’opinione e niente e` secondo verita`, ma ci appare al modo di un remo nell’acqua. Letteralm.: secata in cose sottili e suddivisa in spazi interstiziali ... Un’allusione a questa stessa formula, per la quale cfr. Quadro sinottico, C.1.1 e 1.1.1, pare esserci in Marc’Aurelio, VII 31 (om. DK; = 85 Lu.): ‘‘Dice quel tale: ‘Tutto e` secondo legge (nomistiv come qui e in Galeno, De elementis 4.1 [= 8.3]), ma in realta` solo gli elementi sono’, ma basta ricordare che ‘tutto e` secondo legge’, ed e` ben poco ormai’’. (Il passo deve presentare dei guasti, perche´ la parte finale e` poco comprensibile. L’autore pare comunque voler dare alla prima parte della formula un senso poco democriteo per il quale tutto sarebbe governato dalla legge.) La stessa indeterminatezza del possibile riferimento a Democrito e` riscontrabile in Marc’Aurelio IV 24 (= 152.5.1, cfr. n. 1157 ad loc.). 80 Si intende: come Zenone di Elea (cfr. § 11). 81 Si intende: come Parmenide (presentato erroneamente come sostenitore dell’infinito al § 10). 82 Alfieri traduce: ‘‘tutto e ` soggetto al divenire secondo l’apparenza’’, ma credo che l’accento 78 79
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
G. LA
TEORIA ATOMISTICA DI
DEMOCRITO
E QUELLA DI
EPICURO
1. I princı`pi degli atomisti e l’ambito dell’ ‘‘essere’’ secondo Epicuro 9.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 3, 9 [877D-F] (E5-8 = 68 A 47; con omissioni = 217 e 365 Lu., e 267 Us.): (Su che cosa siano i princı`pi) Epicuro figlio di Neocle, Ateniese, che filosofo` in accordo con Democrito, dichiaro` che i princı`pi degli enti sono corpi contemplabili {solo} con la ragione, non partecipi del vuoto, ingenerati, eterni, incorruttibili, che non sono suscettibili di frangersi n´e di avere una formazione da delle parti ne´ di alterarsi. (E1) E questi sono contemplabili {solo} con la ragione. Eppure questi si muovono nel vuoto e mediante il vuoto; il vuoto stesso e` infinito, e infiniti sono i corpi. Ai corpi ineriscono le tre {proprieta`} seguenti: la figura, la grandezza e il peso. Democrito in effetti parlo` di due {soltanto}, la grandezza e la figura, ma Epicuro aggiunse a queste anche una terza: il peso. Necessariamente, egli [scil. Epicuro] dice, i corpi si muovono per l’impatto del peso, dal momento che {altrimenti} non si muoverebbero. Le figure degli atomi sono inconcepibili, non infinite: (F1) non ce ne sono che siano a forma di uncino o di tridente o di anello, perche´ queste figure sono facili a rompersi, mentre gli atomi sono impassibili e infrangibili; essi hanno delle figure loro peculiari, contemplabili 83 con la ragione. E si dice ‘atomo’ non perch´e e` il minimo, ma perche´ non puo` essere secato, essendo impassibile e non partecipe del vuoto; sicche´, se si parla di atomo, si intende infrangibile, impassibile, non partecipe del vuoto. Che l’atomo esista, e` palese; e in effetti esistono, esenti da vuoto, gli elementi che sono sempre e gli animali (?) e la monade.84
9.1.1. VP. Eusebio, Praeparatio Evangelica XIV 14, 5 [II 295.9-23]: [Come parte di un’esposizione delle opinioni dei filosofi circa i princı`pi, a cominciare da Talete e da Anassimandro.] Democrito, cui fa da seguito Epicuro dopo moltissimo tempo,85 {dichiaro` che} i princı`pi degli enti sono corpi indivisibili contemplabili {solo} con la ragione, non partecipi del vuoto, ingenerati, incorruttibili, che non sono suscettibili di frammentarsi ne´ di avere una formazione da delle parti n´e di alterarsi. E questi sono contemplabili {solo} con la ragione. Eppure questi si muovono nel vuoto e mediante il vuoto; il vuoto stesso e` infinito, e infiniti sono i corpi. Ai corpi ineriscono tre {proprieta`}: le figure la grandezza e il peso. Democrito parlo` {soltanto} di grandezza e di figura, ma Epicuro aggiunse a queste il peso come terzo. sia sulla illusorieta` del generale presentarsi delle cose sensibili piuttosto che specificamente sull’illusorieta` del loro presentarsi in divenire. (La formulazione usata richiama quella usata per Senofane al § 9.) 83 Cioe ` concepibili. 84 Nel tradurre seguo una correzione apportata da Mras al testo come riportato da Eusebio, ma pare esserci un guasto non totalmente eliminabile: e` almeno strano parlare degli animali come esenti dal vuoto. 85 Forse Eusebio vuole suggerire, con una certa esagerazione, la distanza di cinque generazioni che puo` essere stata menzionata nella sua fonte, come mostra la testimonianza di Teodoreto IV 9 (= 5.2). Altrimenti, con una piccola correzione: ‘‘per la maggior parte {delle sue dottrine}’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
& Seguito su Epicuro come in 9.1, salvo la sostituzione di «trireme» per «tridente» e l’omissione della qualifica «che sono sempre» applicata agli elementi.
9.1.2. VA. Stobeo, Eclogae I 10, 14(7) [con 9.1 = Aezio I 3, 18 (Dox. 285-86)]: [Di seguito a 5.1.] Epicuro {dichiaro` che} i princı`pi degli enti sono corpi contemplabili {solo} con la ragione, non partecipi del vuoto, ingenerati, incorruttibili, che non sono suscettibili di frammentarsi ne´ di alterarsi. E si dice ‘atomo’ non perche´ e` il minimo, ma perch´e non puo` essere secato, essendo impassibile e non partecipe del vuoto.
9.2. Plutarco, Adversus Colotem 16, 1116D (76 add. Us., p. 345): [Nel corso dell’esame delle critiche mosse da Colote alla posizione di Platone viene messa in bocca a degli Epicurei la seguente difesa della posizione di Epicuro di fronte alla ritorsione che anche egli ammette una distinzione di livelli dell’essere paragonabile a quella platonica.] Nelle cose c’e` effettivamente una tale differenza di essere.86 Ma piu` saggio di Platone fu Epicuro, il quale denominava tutte le cose ‘‘enti’’ allo stesso modo, cioe` il vuoto intangibile e il corpo resistente, i princı`pi e gli aggregati, ritenendo che cio` che e` eterno e cio` che e` in divenire partecipino di un comune e unico essere (ousia), e cosı` pure l’indistruttibile e il corruttibile, e quelle nature che sono impassibili e durature e immutabili e che non possono mai venire meno all’essere e quelle che hanno il loro essere nel subire {affezioni} e nel mutarsi e che non si trovano in nessun tempo nella stessa condizione.
2. La fisica di Democrito e quella di Epicuro 9.3. T. Cicerone, De finibus I 6, 17-21 (17 in parte = 68 A 56; 180 Lu.; 18 = 301 Lu.; 20 = 396 Lu.; 21 = 182; cfr. inoltre C Lu. e 234 e 281 Us.): [Critica alla posizione filosofica di Epicuro mossa dal parlante di questa parte del dialogo, che e` lo stesso Cicerone, toccando la fisica, prima di passare all’etica.] Per prima cosa nell’ambito della fisica, della quale e` tanto orgoglioso [sogg.: Epicuro], tutto e` {opera} altrui; sostiene tesi di Democrito con piccoli mutamenti, ma in maniera tale che quanto egli vuole correggere, a mio avviso almeno, lo guasta. *Quegli ritiene che quelli che chiama atomi, vale a dire i corpi indivisibili per la loro solidita`, si muovono nel vuoto infinito, nel quale non c’e` niente che sia un alto o un basso o un mezzo o un ultimo o estremo,87 in modo tale che con i loro incontri si aggregano, e da cio` si produce tutto cio` che e` e che scorgiamo; quel movimento degli atomi va inteso come non risultante da alcun principio ma come esistente da tutta l’eternita`.* (18) Quanto ad Epicuro, la` dove segue Democrito, praticamente non cade in errore. E` vero che ci sono molte cose che non approvo di entrambi, e in primo luogo quanto segue: dal mo-
86 Si intende: quella fra enti soggetti a mutamento (che per gli Epicurei sono i composti) ed enti immutabili (che per gli Epicurei sono gli atomi), sotto questo rispetto non differente da quella ammessa da Platone. 87 Adottando una correzione di Jonas: «o un interno o un estremo [= esterno]».
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
mento che sono due le domande da sollevare nel{lo studio del}la natura delle cose, {cioe`} l’una: quale sia la materia di cui ogni cosa e` fatta, l’altra: quale sia la forza che fa ogni cosa, essi hanno trattato della materia, ma hanno tralasciato la forza o la causa efficiente. Ma questo e` un difetto che hanno in comune, mentre quelle cadute rovinose {di cui parleremo} sono proprie di Epicuro: ritiene che quegli stessi corpi indivisibili e solidi siano portati verso il basso dal loro peso in modo perpendicolare, e che questo sia il movimento naturale di tutti i corpi. (19) Ma poi, su questo punto, l’uomo, che e` perspicace, essendosi accorto che, se tutte le cose sono portate dalla parte opposta verso il basso e, come ho detto, in modo perpendicolare, non potrebbe mai verificarsi che un atomo tocchi un altro, *** escogito` un espediente: disse che l’atomo devia {dalla verticale} di un tantino, e precisamente del minimo possibile; e che e` cosı` che si producono fra gli atomi le aggregazioni, le unioni e gli accostamenti, da cui risultano il mondo e tutte le parti del mondo e le cose, quali che siano, che vengono a trovarsi in esso. [...] {In questo modo pero`} non consegue lo scopo per cui aveva adottato questa finzione. (20) Se infatti gli atomi deviano tutti, non ci sar`a mai un loro aggregarsi; se alcuni deviano e altri si muovono in linea retta per propria tendenza, in primo luogo sar`a come attribuire compiti distinti agli atomi, dei quali alcuni si muovono in linea retta e altri obliquamente; inoltre *quel turbinoso concorrere degli atomi – un punto sul quale anche Democrito si incaglia – non potra` produrre quest’ordine {che constatiamo} nel mondo*. E non e` proprio di un fisico credere che esista qualcosa di minimo; senza dubbio egli non si sarebbe mai fatto questa opinione se avesse voluto farsi insegnare la geometria da Polieno,88 suo amico, piuttosto che indurre quello stesso a disapprenderla. *Il sole era ritenuto grande da Democrito, che era un uomo di scienza esperto di geometria*, da questi {e` ritenuto} forse pari ad un piede: lo giudica altrettanto grande quanto esso ci appare, oppure leggermente piu` grande o piu` piccolo. (21) Cosı` quanto egli cambia lo peggiora, quanto egli adotta consequenzialmente e` tutto di Democrito: *gli atomi, il vuoto, i simulacri, che chiamano ei[dwla, e mediante la cui irruzione noi non soltanto vediamo ma anche pensiamo; l’infinita` stessa, che chiamano ajpeiriva, viene tutta da lui, come l’innumerabilit`a dei mondi, che giornalmente nascono e periscono*. Per quanto siano {dottrine} che non approvo in alcun modo, avrei voluto che Democrito, che dagli altri e` lodato, non fosse denigrato proprio da chi l’ha seguito in modo esclusivo.
9.3.1. T. Cicerone, De finibus I 7, 28: [Inizio della replica dell’epicureo Torquato alle critiche rivolte da Cicerone all’epicureismo.] Ecco quello che faro`, disse: spieghero` una sola cosa, ma quella della piu` grande importanza; delle questioni di fisica {ci occuperemo} un’altra volta, e allora ti dimostrero` questa declinazione degli atomi e la grandezza del sole e {al proposito} i numerosi errori di Democrito che da Epicuro sono stati criticati e corretti. Ora diro`, a proposito del piacere, non invero qualcosa di nuovo, ma cose che, ne sono sicuro, sono tali da ottenere la tua approvazione.
88 Polieno di Lampsaco (circa 340-278/7) il quale, dopo essersi distinto in matematica, l’abbandono` nell’aderire all’epicureismo essendosi lasciato convincere da Epicuro della falsita` dei fondamenti della geometria (cfr. Cicerone, Lucullus, 106).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
3. Il resoconto atomistico della costituzione del mondo 9.4. T. Dionisio presso Eusebio, Praeparatio Evangelica XIV 23, 1-4; 24, 1 e 45; 25, 1-4 (23, 2-3 = 68 A 43; 207, 219, 265 e 299 Lu.; 23, 4 = 124 Lu.): [Citazione di alcuni brani di Dionisio, vescovo di Cesarea, tratti dal suo Sulla natura:] (Contro gli Epicurei, che negano la provvidenza e assegnano il tutto agli atomi.) (1) Il tutto e` una unit`a coerente, come pare a noi e ai piu` sapienti dei Greci, {cioe`} Platone, Pitagora, quelli della Stoa ed Eraclito, oppure e` una dualit`a, come forse qualcuno l’ha ammesso, oppure ancora e` una pluralita` infinita, come hanno ritenuto alcuni altri, {cioe`} coloro che mediante molti traviamenti del pensiero ed enunciazioni svariate di parole hanno intrapreso a sminuzzare la sostanza del tutto e la suppongono infinita e ingenerata e priva di provvidenza? (2) *Gli uni {fra questi ultimi}, che hanno denominato atomi certi corpi incorruttibili ed estremamente piccoli e innumerevoli, e che hanno proposto {l’esistenza di} uno spazio vuoto di grandezza indefinibile, dicono che questi atomi si muovono come capita nel vuoto e s’incontrano casualmente per il {loro} impulso disordinato e si intrecciano perche´, per la varieta` delle loro figure, s’impigliano gli uni negli altri, e in questo modo formano il mondo e le cose che sono in esso, anzi infiniti mondi.* (3) Di questa opinione furono Epicuro e Democrito.89 Differiscono per questo verso, che il primo {considera gli atomi} tutti dei minimi e per questo motivo impercettibili, l’altro, cioe` Democrito, *ammise che ce ne sono alcuni di assai grandi. Entrambi pero` dicono che ci sono atomi e li dichiarano {tali, cioe` indivisibili} per la loro solidita` inscindibile.* (4) Gli altri, che hanno cambiato il nome agli atomi, dicono che essi sono corpi impartibili, parti del tutto, dai quali, come da indivisibili, sono costituite tutte le cose e nei quali {esse} si dissolvono. Dicono che inventore del nome 90 di questi indivisibili sia stato Diodoro, ma dicono pure che Eraclide, adottato un altro nome per essi, li chiamo` molecole, e che il medico Asclepiade recepı` il nome da lui. [Seguono obiezioni:] (24.1) Come possiamo lasciarli dire che sono accidenti fortuiti le opere della saggezza, che per questo sono belle? ...[Seguono esempi di cose che non possono essere dovute al caso.] (4) E se una nave viene costruita non e` la chiglia che si mette sotto da se stessa e la vela che si rizza nel mezzo e ciascuno dei pezzi di legno che prende posizione come capita da se stesso, e neppure sono i noti cento pezzi di legno del carro 91 che vengono a combaciare a seconda del luogo vuoto 92 che ciascuno riesce a trovare, ma e` il carpentiere che in entrambi i casi se ne e` curato in modo appropriato; pero` se si dissolvesse una nave che si trovi in mare o un carro in movimento sulla terra, i pezzi di legno sono sparpagliati in modo casuale in un caso dalle onde nell’altro da violenza impetuosa.93 (5) A questo modo spetterebbe ad essi dire che gli atomi si muovono casualmente restando oziosi e intatti e inutili: che coloro vedano i loro invisibili e concepiscano i loro inconcepibili, ma {cio`} non {puo` avvenire} al modo di colui che, di fronte a questo spettacolo che gli e` stato ri89 L’indicazione: ‘‘si muovono come capita nel vuoto’’ mostra che si tratta in effetti della posizione di Democrito. 90 Evidentemente: «corpi impartibili» (cfr. supra, 6.2 e 6.4). 91 Richiamo ad Esiodo, Opere e giorni, vv. 456-57. 92 Qui e alla fine della sez. ci sono possibili allusioni ad aspetti della teoria atomistica di Democrito e di Epicuro. 93 Cioe ` da vento turbinoso.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
velato da Dio, gli confessa: ‘I miei occhi hanno visto la tua opera incompiuta’! ... (25.1) Oppure questa grande dimora costituita dal cielo e dalla terra e che, per la sua grandezza e l’abbondanza della sapienza che vi si manifesta, e` chiamato cosmo, risulta avere il suo ordine da atomi che si muovono senza ordine e l’acosmia e` diventata cosmo? (2) Come puo` essere che movimenti e cammini ben ordinati provengano da un movimento disordinato? Come puo` essere che il coro armonioso dei corpi celesti si sia accordato a partire da strumenti sregolati e discordanti? (3) E in che modo, se di tutte le cose c’e` un’essenza che e` unica ed e` la stessa e una natura incorruttibile che e` la stessa salvo (come essi dicono) per le grandezze e le figure, alcune cose sono divine, pure ed eterne 94 ... (4), altre, cioe` gli animali e le piante {hanno una vita piu` o meno breve}?
9.5. T. Lattanzio, De ira dei X 1, 3-5, 9-10, 32-33 (om. DK, salvo riferimento sotto 67 A 11; brani come 591 Lu.; inoltre 4 = 272; 5 = 218 e 235; 9 = 302; 10 = 1): [Dopo la menzione di alcuni filosofi pagani che avevano ammesso la provvidenza e di altri che l’avevano negata. Fra questi ultimi e` menzionato Epicuro, che pur aveva ammesso l’esistenza di dei.] Coloro che non vogliono che il mondo sia prodotto da una provvidenza divina dicono che si e` formato o per l’aggregazione fortuita dei princı`pi o che e` emerso repentinamente per natura. [Questa seconda posizione nel seguito e` attribuita a Stratone, la cui posizione e` criticata in 10, 34 sgg.] (3) In primo luogo, questi semi minuscoli di cui si fa parola, il cui concorso fortuito ha reso coeso il mondo, mi domando: dove sono e donde sono? Chi e` che li ha mai visti? Chi li ha percepiti? Chi li ha uditi? O forse soltanto Leucippo aveva occhi? Soltanto lui {aveva} una mente? [...]. (4) I filosofi di una volta sostenevano che tutte le cose sono costituite dai quattro elementi. Egli non li ha voluti, per non sembrare di seguire le tracce altrui, ma volle che degli stessi elementi ci fossero dei princı`pi che non si possono ne´ vedere ne´ toccare ne´ percepire con alcuna parte del corpo. (5) Disse che sono tanto minuti che non c’e` una lama di ferro abbastanza sottile da poterli secare e dividere, donde assegno` ad essi il nome di atomi. Ma gli venne in mente che, se per tutti {gli atomi} ci fosse una unica ed identica natura, essi non potrebbero produrre cose che si diversificano per tutta la varieta` che noi vediamo esserci nel mondo. Disse pertanto che essi sono lisci ed scabri, e rotondi e angolati e uncinati. [Seguono alcune critiche, dello stesso tenore che in 9.6.] (9) Questi {atomi}, egli disse, volteggiano nel vuoto di movimenti incessanti e sono portati qua e la`, al modo dei grani minuti di polvere che vediamo nel sole, allorquando i raggi di luce penetrano per una finestra. Da essi sorgono tutti gli alberi e le erbe e i frutti, da essi si generano gli animali e l’acqua e il fuoco e l’universalita` {delle cose}, e di nuovo si risolvono negli stessi. [...] Da questi e` costituito perfino il mondo stesso. (10) [...] Ma ha trovato qualcosa da aggiungere! Dal momento che, disse, {il} tutto e` infinito e che non puo` esserci niente che sia vacante {di corpo},95 e` necessario pertanto che i mondi siano innumerevoli. [Seguono altre critiche, con dei riferimenti anche a Lucrezio, del quale sono citati alcuni versi.]
94 Esse sono, come viene detto nel seguito, i corpi celesti fra quelle menifeste, i demoni e le anime fra quelle non manifeste. 95 Oppure: che sia ozioso (= privo di effetti causali).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
(32) Chi veda tali e tante cose,96 puo` davvero ritenere che siano prodotte senza alcun disegno, senza alcuna provvidenza, senza alcuna ragione divina, ma che tante cose meravigliose si siano formate a partire da particelle sottili ed esigue? (33) Non e` una mostruosita` del genere che sia nato un uomo tale da dire queste cose e che ce ne siano stati altri che gli hanno dato credito, come Democrito che fu il suo discepolo, o Epicuro, che ha raccolto tutta la vana teoria di cui Leucippo fu la fonte?
9.6. T. Lattanzio, Divinae institutiones III 17, 21-25 (om. DK, salvo riferimento sotto 67 A 11; 22-25 = 218 Lu. e 287 Us.): [Il passo seguente fa parte di un capitolo di polemica con Epicuro, considerandolo come il continuatore di Leucippo e di Democrito. L’autore ha appena criticato la sua pretesa di rendere conto dei viventi senza ricorrere alla provvidenza (providentia).] Donde dunque hanno origine e in che modo avvengono tutte le cose che sono prodotte? Non si tratta in effetti, egli [scil. Epicuro] dice, di opera della provvidenza: ci sono dei semi che volteggiano nel vuoto, dai quali, una volta che si siano conglobati alla cieca, sono generate e sono composte le cose nella loro universalita`. (22) Come mai non avvertiamo ne´ scorgiamo quei {semi}? Poich´e, disse, non hanno ne´ alcun colore ne´ alcun calore ne´ alcun odore. Sono pure privi di succo dotato di sapore, e sono cosı` minuscoli che non si lasciano secare o dividere. (23) A questo modo, poiche´ aveva adottato un assunto di partenza che e` falso, egli fu condotto dalla necessita` {logica} delle conseguenze alla follia. Dove sono infatti e donde sono questi corpuscoli? Come mai nessuno se li sogno` a parte il solo Leucippo? E` per insegnamento di questi che Democrito trasmise poi ad Epicuro tale eredita` di stoltezza. (24) Se {quei semi} sono corpuscoli e per giunta solidi, come essi dicono, sicuramente possono cadere sotto i nostri occhi. Se la natura di essi tutti e` identica, in che modo possono produrre la varieta` delle cose? Egli 97 dice: ‘‘si uniscono con vario ordine e varia posizione, (25) come le lettere {dell’alfabeto}, le quali, pur essendo poche, con la variet`a dei modi in cui sono ordinate producono innumerevoli parole. Ma le lettere hanno una varieta` di forme. Allo stesso modo (egli dice) anche questi princı`pi stessi {l’hanno}: alcuni sono scabri, altri uncinati, altri lisci.’’ Pertanto si lasciano secare e dividere, se in essi e` presente qualcosa che sporge; se invece sono lisci e privi di uncini, non possono avere coesione; pertanto e` necessario che siano uncinati, perch´e possano concatenarsi l’uno con l’altro; poiche´ pero` sono detti essere tanto piccoli da non essere capaci di essere frantumati da nessuna punta tagliente di ferro, in che modo hanno uncini o angoli?
4. La materia discontinua degli atomisti 9.7. T. Alessandro, De mixtione 1, 213.15-214.6 (om. DK; = 124 e 225 Lu.): [Introduzione al tema dell’opera.] Riguardo a questa dottrina [scil. che mediante mescolanza sia possibile una fusione completa fra due corpi] c’e` stata divergenza fra coloro che dicono che una materia unica
Detto in riferimento a cio` che costituisce il mondo. A quanto pare il soggetto e`, come all’inizio, Epicuro, ma non mi pare che si tratti della citazione di un passo preciso, e la posizione che viene esposta e` comune agli atomisti. 96 97
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.G)
sottosta a tutti i corpi coinvolti nella generazione e coloro che producono questa [scil. la materia] a partire da corpi che sono discreti e separati. (18) Fra quelli {del secondo gruppo} *alcuni dicono che i princı`pi e gli elementi sono corpi che sono ‘atomi’ e sono infiniti per moltitudine, i quali differiscono gli uni dagli altri soltanto per figura e per grandezza, e che tutte le altre cose si generano per la composizione e per un certo intreccio di questi e inoltre per il {loro} ordine e la {loro} posizione; i primi che sembrano essere stati di questa opinione sono Leucippo e Democrito, piu` tardi Epicuro e altri che si sono diretti sulla stessa sua {via}*. Invece altri fra essi dicono che (214.1) ci sono non atomi ma certi corpi omeomeri e infiniti {di numero} dai quali la generazione dei corpi percettibili si svolge secondo aggregazione e composizione – un’opinione cui sembrano avere aderito Anassagora e Archelao. Ci sono poi alcuni che sono stati indotti ad affermare che i princı`pi ed elementi di tutte le cose sono certi corpi indivisibili; e c’`e pure una dottrina per la quale la generazione dei corpi e` dalla superfici (piane), e un’altra ancora dai numeri. [Dopo alcune altre osservazioni segue l’esposizione delle posizioni di Democrito e di Epicuro sulla questione della mescolanza, per la quale cfr. 52.3-4.]
9.8. T. Vitruvio, De architectura II 1, 9 e 2, 1-2 (om. DK e Lu.; 47 Stu¨ckelberger): Ritorno ora a quanto mi ero proposto,98 per discutere dei materiali che sono atti alla costruzione degli edifici, {determinando} in che modo essi sembrano essere generati dalla natura delle cose e con quali mescolanze [scil. proporzioni ecc.] siano combinate 99 le aggregazioni dei princı`pi, affinche´ questi {punti} non siano oscuri ma trasparenti ai lettori. In effetti non c’`e nessun genere di materiali n´e ci sono corpi o cose che possano generarsi ed essere soggetti all’intelligenza senza il riunirsi dei princı`pi, e la natura non permette loro di ricevere vere spiegazioni in base alle dottrine dei naturalisti, a meno che le cause che sono presenti in queste cose non ottengano dimostrazioni accurate mostranti in quale modo esse siano e perche´ esse sono come sono. (2, 1) In primo luogo, Talete ritenne che il principio di tutte le cose fosse l’acqua; Eraclito di Efeso, il quale per l’oscurita` dei suoi scritti e` stato chiamato dai Greci scoteinos, il fuoco, Democrito, ed Epicuro al suo seguito, gli atomi (atomos), che i nostri {scrittori} chiamarono corpi insecabili (insecabilia) ovvero, alcuni, indivisibili (individua); la scuola dei Pitagorici aggiunse invero l’aria e la terra all’acqua e al fuoco. Pertanto Democrito, sebbene propriamente non avesse denominato le cose ma soltanto proposto corpi indivisibili, sembra avere parlato di questi stessi [scil. princı`pi] perche´ essi, anche allo stato di disgiunzione, non sono suscettibili ne´ di lesioni ne´ di distruzione e non sono divisibili per sezioni, ma per tutta l’eternita` conservano sempre un’infinita solidita`. (2) Dal momento dunque che e` dalla congruenza di questi che tutte le cose sembrano aver coesione e generarsi, e che esse sono state distribuite dalla natura delle cose in un’infinita` di generi, ho ritenuto opportuno dare un’esposizione delle varieta` e differenze nei loro usi 100 ...
Si intende: di trattare nel presente libro. Letteralm.: moderate. 100 Si intende: usi dei materiali come i mattoni e il cemento per fabbricare gli edifici. 98 99
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
H. L’ATOMISMO
FRA MONISMO E PLURALISMO
1. Causa materiale e causa formale nella teoria atomistica secondo Aristotele 10.1. TT. Aristotele, Metaphysica I (A) 4, 985b4-20 (= 67 A 6; 7, 16, 173 e 241 Lu.): [Fa parte di un’esposizione delle posizioni dei Presocratici volta ad accertare in quale misura essi avessero riconosciuto le quattro «cause» aristoteliche.] Leucippo e il suo discepolo Democrito dichiarano che gli elementi sono il pieno e il vuoto, e che di questi il pieno e il solido e` l’essere, il vuoto e il rado e` il non-essere. Percio` dicono pure che l’essere non e` per nulla piu` del non-essere, giacche´ neppure il vuoto e` di meno del corpo.101 Questi sono causa degli enti in quanto materia. (10) E al modo in cui coloro che rendono una la sostanza che sottosta` generano le altre cose con le affezioni di questa, postulando il rado e il denso come princı`pi delle affezioni, allo stesso modo anche questi dichiarano che le differenze sono le cause delle altre {cose}. E queste dicono che sono tre: la figura e l’ordine e la posizione. Dichiarano infatti che l’essere si differenzia soltanto per ‘ritmo’ e ‘contatto’ e ‘verso’, e di questi il ritmo e` la figura, il contatto e` l’ordine, il verso e` la posizione. In effetti l’A differisce dalla N per la figura, l’AN da NA per l’ordine, la Z differisce da N per la posizione. (19) Quanto al movimento, donde e in che modo esso inerisca agli enti, anche questi, alla pari degli altri, l’hanno trascurato per leggerezza.102
10.2. T. Aristotele, Metaphysica VIII (H) 2, 1042b11-15 (om. DK; = 242 Lu.): [Esame delle «differenze» presentate dalla materia, come aspetto formale ovvero attuale nelle cose sensibili, trattando l’insieme degli atomi alla stregua di una materia unica.] Democrito, a quanto pare, ritiene che le differenze siano tre, perch´e {a suo avviso} il corpo che funge da sostrato, cioe` la materia, e` uno e lo stesso, e si differenzia o per ‘ritmo’ (che e` la figura) o per ‘verso’ (che e` la posizione) o per ‘contatto’ (che e` l’ordine).
10.3. T o E. Simplicio, In Physica I (4, 188a17), 179.12-19 (om. DK e Lu.): [Pur commentando il passo aristotelico alla conclusione del capitolo, nel quale Aristotele aveva osservato, come critica ad Anassagora, che era meglio postulare princı`pi di numero limitato come aveva fatto Empedocle, Simplicio e` indotto ad osservare che gli elementi ammessi da Anassagora sono piu` propriamente princı`pi dei quattro elementi ammessi dall’altro, per poi aggiungere quanto segue:] In modo piu` completo 103 probabilmente Aristotele e Platone e prima di entrambi i Pitagorici postularono come princı`pi ‘elementari’ 104 la materia e la forma, e ancora in mo101 La traduzione di quest’ultimo brano si fonda su di una correzione del testo proposta da Zeller; altri propongono altre correzioni per un testo non accettabile come sta, ma nessuna correzione e` del tutto soddisfacente. 102 Per i commenti di Alessandro a 985b4 sgg. e a 985b19 cfr. 12.6 e 64.4. 103 Si intende: rispetto ad Empedocle e ad Anassagora. 104 Ovvero: alla stregua di elementi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
do piu` completo {lo fecero} quanti, ritenendo che la differenza secondo le figure del corpo privo di qualita` e` piu` prossima alla materia, misero tale differenza sotto alle differenze 105 secondo le qualita` degli elementi, {cioe` posero sotto} al fuoco la piramide, e {sotto} ad un altro {elemento} un’altra delle figure; il che anche Democrito pare avere postulato correttamente, ma e` in difetto per il fatto che non riporta i corpi semplici alla forma e alla materia.
2. La causa materiale secondo i dossografi e secondo Alessandro 10.4. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 9, 2-3 [= Eusebio, PE XV 44, 23] (om. DK.; = 193 Lu.): (Sulla materia) Talete e Pitagora e i loro successori e gli Stoici {hanno detto che} la materia tutta e per tutto e` mobile e alterabile e mutevole e fluida. Democrito e i suoi successori {dicono che} sono impassibili le cose prime, {cioe`} l’atomo e il vuoto, cioe` l’incorporeo.106
10.4.1. VA. Stobeo, Eclogae I 11, 3(1)(2) (con 10.3 = Aezio I 9, 2-3 [Dox. 308]): Talete e Pitagora e i loro successori, intendo dire coloro che, incluso Eraclito, sono discesi fino agli Stoici, hanno detto che la materia tutta e per tutto e` mobile e alterabile e mutevole e fluida. & (2) Stesso testo come in 10.3, ma senza l’aggiunta finale: ‘‘cio`e l’incorporeo’’.
10.4.2. VA. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 13 (om. DK.; = 193 Lu.; Dox. 308, n.): [Di seguito, ma non immediatamente, a 5.2; l’esposizione dossografica su come viene concepita la materia viene seguita da 30.4 sulla questione dell’esistenza del vuoto.] Quanto alla materia, poi, Talete, Pitagora, Anassagora, Eraclito e la serie degli Stoici la dicevano mobile e alterabile e fluida; invece Democrito e Metrodoro ed Epicuro hanno chiamato impassibili gli atomi e il vuoto.
10.5. T. Alessandro, In Metaphysica V (4, 1014b32-33), 359.6-10 (om. DK e Lu.): [Di commento al passo, nel cap. su ‘natura’, nel quale viene affermato che, ‘fra gli enti che sono per natura, anche gli elementi sono detti essere natura’.] A questo modo anche Empedocle postulo` i quattro elementi come materia delle cose che si generano per natura, concependo questi come immutabili; e anche coloro che fanno di uno dei quattro {elementi} l’elemento degli enti oppure che lo fanno di due o tre, e allo stesso modo Democrito {postulando} gli atomi.
Cioe` la postularono come principio o fondamento per esse. Letteralm.: ‘‘il vuoto e l’incorporeo’’, ma deve trattarsi di un’endiadi (il kai; e` omesso in Eusebio). E` probabile che, come in 10.4.2, si voglia stabilire un’opposizione fra gli atomisti, che nel dichiarare impassibile la materia come da loro concepita la ritengono inalterabile, e gli altri pensatori ivi menzionati che la ritengono mutevole ecc. 105 106
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
3. Una classificazione delle posizioni circa i princı`pi in base al loro numero e ad altre caratteristiche 11.1. T. Aristotele, Physica I 2, 184b15-22 (om. DK, salvo riferimento a 184b21 in n. 7 di p. 115; 184b20-22 = 223 Lu.): E` necessario che o ci sia un unico principio o ce ne siano molti, e se ce n’e` uno {soltanto}, o che sia immobile, come dicono che sia Parmenide e Melisso, o in movimento, come {sostengono} i naturalisti, alcuni dei quali dichiarano che il primo principio e` aria e gli altri che e` acqua. Se ce ne sono molti, {e` necessario} che o siano limitati o siano infiniti {di numero}, e se sono limitati e piu` di uno, che o siano due o siano tre o siano quattro o un qualche altro numero, e se sono infiniti, che o siano cosı` come *Democrito {dice che siano}, cioe` un’unica cosa quanto al genere, ma differenti nella figura o nella forma, o siano anche contrari.107
11.2. T. Simplicio, In Physica I (2, 184b15), 26.31-27.2, 27.26-28.3 e 28.30-31: [Contesto: esposizione, dipendente da Teofrasto, delle seguenti posizioni: (i) quelle di coloro che postulano un principio unico e immobile, cioe` quelle di Parmenide e di Melisso, che si differenziano in quanto (a) per il primo esso e` finito, (b) per il secondo infinito; (ii) quelle di coloro che postulano un principio o elemento unico in movimento, che si differenziano anch’esse in quanto (a) per Talete ed Eraclito esso e` finito, (b) per Anassimandro esso e` infinito; e (iii) quelle di coloro che (a), come Empedocle, postulano una pluralita` limitata di princı`pi in movimento, o che (b) postulano una pluralita` illimitata di princı`pi in movimento. Viene ora considerata la posizione (iii) (b).] Di coloro che li [scil. i princı`pi] dicono infiniti per moltitudine gli uni li dicono semplici ed omogenei, gli altri composti e anomogenei e contrari, caratterizzati a seconda del prevalente. [Segue un’esposizione della posizione di Anassagora quale principale esponente del secondo gruppo ora distinto (= 59 A 41; Phys. Op. fr. 4; T 228A FHSG); a questi viene associato Archelao (= 60 A 5; Phys. Op. fr. 4; T 228A FHSG).] Costoro dunque dicono che i princı`pi sono infiniti per moltitudine e anomogenei, ponendo come princı`pi le omeomerie. Per qual ragione l’hanno pensata a questo modo, Aristotele lo dice poco dopo: 108 avendo rigettato l’esserci la generazione, per il fatto che cio` che si genera si genera di necessit`a o dall’essere o dal non-essere, ma entrambe le cose sono impossibili, hanno reso conto della generazione e corruzione apparente mediante l’aggregazione e la disaggregazione. [Segue un’esposizione delle posizioni di Leucippo, di Democrito e di Metrodoro quali esponenti del primo gruppo di pensatori (= 3 supra).] Questa {che ho dato} e` una sintesi compendiosa di coloro che hanno indagato sui princı`pi, redatta non in ordine cronologico ma secondo l’affinita` di dottrina. 107 Rendo il testo senza una integrazione proposta da Torstrik e adottata da Ross, la quale richiede la seguente traduzione: ‘‘ma differenti nella figura, o differenti nella forma e anche contrari’’. Sul senso del passo cfr. la discussione nei commentatori, cioe` testi 11.3 e 11.5. – Per il commento di Simplicio a 184b18 sgg. cfr. 64.3. 108 Il riferimento e ` a passi del libro I della Fisica quali quelli da me riportati sotto 13.1 e 14.4, dai quali pero` e` chiaro che la posizione enunciata nel seguito non e` del solo Anassagora, sicche´ il passo serve da transizione all’esposizione della posizione degli atomisti.
10
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
11.3. T. Simplicio, In Physica I (2, 184b20), 43.26-44.20 (con un’omissione), 45.1-8 (om. DK; 44.3-4 = 228 Lu.): {Su questo punto:} che Aristotele ritenga che Democrito postuli i {suoi} princı`pi come omogenei e dica che gli atomi, costituiti da una stessa sostanza, sono differenti per la figura e per la forma ad essa relativa, tutti gli interpreti sono concordi. Quanto all’«oppure siano anche contrari», Porfirio e Temistio ritengono che sia detto di Anassagora in correlazione al «cosı` come Democrito». (44.2) E infatti, di quelli che hanno posto i princı`pi come infiniti, Democrito e i suoi, posti gli atomi come entita` della stessa sostanza considerate come appartenenti ad un unico genere, cioe` {quello costituito da} il pieno, dicono che essi differiscono per figura e per posizione e per ordine, mentre Anassagora e i suoi postulano anche {sostanze} contrarie alle {loro} sostanze. Infatti essi pongono nelle omeomerie le caldezze e le freddezze, le asciutezze e le umidezze, le tenuit`a e le densit`a e le altre contrarieta` secondo la qualita`, per le quali (essi dicono) le omeomerie differiscono, essendo esse 109 (secondo essi) i princı`pi – la contrariet`a essendo riconoscibile principalmente nelle qualita` e non nelle figure. (10) Tuttavia Alessandro d’Afrodisia conosce anche questa interpretazione e non l’accetta, ma ritiene piuttosto che il tutto sia detto di Democrito, in quanto i princı`pi posti da questi sono {un} uno nel genere, vale a dire uno secondo la natura che funge da sostrato, ma differenti per figura o per forma o anche contrari. Che Aristotele infatti richiami il fatto che Democrito dice che i princı`pi sono contrari, lo rende chiaro con quei suoi detti: ‘‘e Democrito 110 ...’’. E se anche Aristotele stesso dichiara che non c’e` contrarieta` di figura con figura,111 non e` necessario che gia` Democrito fosse di questa opinione.[...] (45.1) Non di meno {l’affermazione che i princı`pi} differiscono per la figura e per la forma ad essa relativa {Aristotele} l’ha assegnata a Democrito come propria di lui, che afferma che gli atomi non differiscono per nulla quanto alla sostanza, mentre {l’affermazione che} i princı`pi infiniti non soltanto sono differenti ma anche contrari l’ha assegnata non solo alla posizione di Democrito come valida solo {per lui} ma anche a quella di Anassagora, come comune ad entrambe, sicche´ certo sta dicendo sia che ‘‘sono cosı` come Democrito {dice che siano}, cioe` un’unica cosa quanto al genere, ma differenti nella figura o nella forma’’, sia che ‘‘sono differenti non solo nella figura e nella forma essenziale ma anche contrari’’, in quanto Democrito ha posto la contrariet`a secondo la figura e la posizione, Anassagora anche quella secondo la sostanza e il genere.
11.4. T. Filopono, In Physica I (2, 184b15), 24.23-25, 25.5-10 (om. DK; = 200 Lu.): Che {i princı`pi} sono piu` di uno e infiniti e in movimento lo dicevano Anassagora, Democrito, Epicuro, Leucippo. Anassagora postulo` come principi degli enti le omeomerie [...]. *Democrito e Leucippo ed Epicuro postularono gli atomi e il vuoto, {sostenendo che} il vuoto e` infinito e {sono infiniti} gli atomi che si trovano in esso. Denomino`112 atomi
109 Pare che ‘esse’ si riferisca alle contrarieta ` , non alle omeomerie, ma presumibilmente Simplicio suppone che anche le omeomerie, come sostanze, risultino contrarie fra di esse nel presentare tali contrarieta`. 110 Quanto segue e ` una citazione di Physica I 5, 188a22-26 (= 12.1). 111 Cfr. Arist. De caelo III 8, 307b5 sgg.; De sensu 4, 442b19-20 (=120.1); Categoriae 6, 5b11 sgg. 112 Soggetto: Democrito o ciascuno di essi?
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
certi corpi che sono non manifesti per la piccolezza e indivisibili per la durezza – quali sono le particelle del pulviscolo atmosferico che si manifestano ai raggi che penetrano per le finestre, e che diventano non manifeste quando il raggio non brilla, non perche´ non esistono ma per la loro piccolezza.
11.5. F. Filopono, In Physica I (2, 184b20), 25.14-26.11 (om. DK e Lu.): Chiama [sogg. Aristotele] ‘genere’ il sostrato e la sostanza degli atomi. Disse infatti che tutti gli atomi sono di un’unica sostanza, e che differiscono fra di loro {solo} per le figure, {cioe`} per il fatto che gli uni sono sferici, gli altri cubici o piramidali, o per l’avere una qualche altra figura. A questo modo spesso anche negli Apodittici denomino` il sostrato ‘genere’.113 (18) («{Differenti} nella figura o nella forma.») Intende dire lo stesso {con i due termini}, per parallelismo, giacch´e Democrito sostenne che avere la figura e` la definizione della forma negli atomi. (20) («Oppure siano anche contrari.») Dice questo, o perche´ Democrito suppose che il genere degli atomi e` unico, ma che essi differiscono per le figure – e non soltanto differiscono ma sono anche contrari (dal momento infatti che Democrito disse che negli atomi non ci sono calore e freddezza e bianchezza e nerezza, ma genero` le affezioni dalle figure e dal rapporto degli atomi nei nostri confronti: quelli sferici, in quanto molto mobili, sono causa del calore e del fuoco, giacche´, in quanto molto mobili, sono piu` taglienti e penetranti, ed e` proprio del fuoco essere tagliente e molto mobile; i cubici poi, tanto per dire, in quanto sono piuttosto spingenti e densi, producono freddezza. Il freddo infatti e` condensante. (1) Allo stesso modo disse che avviene nel caso dei colori. Quando, tanto per dire, le cime delle piramidi colpiscono la vista, producono una certa rappresentazione di colore, per esempio del bianco. Il bianco e` separativo della vista, e divisivo e` anche l’acuto, qual e` anche la cima della piramide. Quando sono le basi {a colpire la vista}, {producono la rappresentazione} del nero. Il nero e` unificante, come lo e` l’ottuso; infatti condensa e, col condensarsi, le cose distanti convergono in uno stesso. (6) Dal momento dunque che gli atomi, mediante le {loro} figure differenti, sono produttivi di affezioni contrarie, disse che non soltanto essi differiscono per le figure ma anche che sono contrari); oppure il discorso per lui [scil. Aristotele] e` rivolto piuttosto ad Anassagora, il quale disse che le omeomerie sono anche contrarie, per esempio {lo sono quelle} del fuoco e dell’acqua, ed e` questo piuttosto ad essere vero, affinche´ sia preservata la suddivisione {dei principi} per contrari.114
4. I contrari come princı`pi 12.1. T. Aristotele, Physica I 5, 188a19-26 (22-26 = 68 A 45, 238 Lu.): Tutti fanno dei contrari i princı`pi, sia quelli che dicono che il tutto e` uno e senza movimento – anche Parmenide infatti fa del caldo e del freddo i princı`pi, e questi li chiama fuoco e terra – sia quelli che {postulano} il denso e il rado, e 115 Democrito {che postula} il pieno e il vuoto, dei
113 Il riferimento e ` ad Analitici secondi I 7, 75a42, e I 9, 76a12, dove del genere viene detto che funge da sostrato di proprieta` (si veda anche Metaph. V 28, 1024a36-b4: sostrato per le differenze). 114 Il termine usato e ` ajntidiaivresi", che presso gli Stoici ha un senso tecnico, per indicare la divisione di un genere per specie comportanti contrarieta` (presumibilmente e` una divisione di tipo dicotomico, cfr. Diogene Laerzio VII 61). 115 Possibilmente si deve intendere: «anche», «compreso», perche ´ questi e` considerato da Aristotele in Metaph. I 4 (= 10.1) fra coloro che trattano il denso e il rado come princı`pi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
quali dichiara che l’uno e` come l’essere e l’altro come il non-essere; ancora {postula dei contrari} per posizione, figura e ordine; questi sono generi dei contrari: della posizione, l’alto e il basso, il davanti e il didietro; della figura, l’angolato e il non angolato, il dritto e il curvo.
12.2. T. Filopono, In Physica I (5, 188a19), 110.8-13 (om. DK; = 188 e 328 Lu.): Anche Democrito {ammette i contrari come princı`pi, a questo modo:} avendo postulato gli atomi e il vuoto, chiamo` gli atomi «il pieno»; infatti disse che il pieno e il vuoto sono i princı`pi degli enti, ma il pieno e il vuoto sono contrari – i quali egli li chiama essere e non essere, e uno 116 e nessuno, uno {essendo} il pieno e nessuno il vuoto. Democrito affermo` che cause della generazione e della corruzione sono l’aggregazione e la disaggregazione, e {cosı` fece anche} Anassagora, quest’{ultimo} {l’aggregazione e la disaggregazione} delle omeomerie, l’altro degli atomi.
12.3. T o E. Filopono, In Physica I (5, 188a22-23), 116.21-117.13 (om. DK; 116.21-28 e 117. 9-13 = 246 Lu.; 116.28-117.8 = 233 Lu.): «E Democrito {che postula} il pieno e il vuoto». Infatti chiama pieno gli atomi, e questi sono separati mediante il vuoto. E` dunque dall’intreccio di pieno e di vuoto che tutte le cose sono formate. Ma dal momento che c’e` molta differenziazione negli enti, avendo postulato altre contrariet`a, a questo modo addusse le ragioni della differenza che c’e` fra gli enti. Per quanto riguarda infatti il vuoto e il pieno, dal momento che tutte le cose sono da questi, c’e` da aspettarsi che esse non differiscano per nulla fra di esse. Per questa ragione dunque postula altri tre generi di contrari, e in relazione alle differenze di essi sono differenti anche le cose compiute {che ne risultano}. (28) Infatti gli atomi sono contrari gli uni agli altri nelle loro figure, per il fatto che gli uni sono angolati e gli altri privi di angoli, giacch´e l’angolato e` contrario al non angolato. I composti differiscono dunque {fra di essi} secondo questa contrarieta`, per il fatto che gli uni sono costituiti da angolati e gli altri da non angolati che sono contrari {ai primi}. (117.1) Ancora, anche secondo l’ordine degli atomi. Per esempio, in questo {oggetto} capita che siano primi quelli sferici, e che quelli piramidali siano ultimi (per esempio capita che nell’uomo gli sferici siano in alto, donde la sfericit`a della testa, e che quelli piramidali siano intorno al mento), in un altro l’inverso, e il primo e` contrario all’ultimo. (5) Ancora, differiscono anche secondo la posizione degli atomi, per esempio se le piramidi in questo {oggetto} hanno le punte in basso e le basi in alto (per esempio nel mento le punte sono in basso e le basi in alto), in un altro {oggetto} le punte sono in alto e le basi in basso, l’alto e il basso, la destra e la sinistra, il davanti e il didietro essendo contrariet`a secondo la posizione. Sicche´ anche costui [scil. Democrito] postula come princı`pi degli enti i contrari, e denomina la figura la posizione e l’ordine con le parole abderitiche «ritmo verso contatto», {dei quali} il ritmo e` la figura, il verso e` la posizione, il contatto l’ordine.
12.4. T o E. Simplicio, In Physica I (5, 188a19), 180.16-25 (om. DK e Luria): Anche Democrito fa dei contrari i princı`pi, ammettendo il pieno e il vuoto, dei quali dice che l’uno e` l’essere e l’altro il non-essere; ma contempla la contrariet`a anche negli 116 Adotto l’e}n della maggioranza dei MSS; uno di essi ha de;n, che pare ripetitivo rispetto ad o]n, anche se una ripetizione c’e` comunque fra ‘‘non-essere’’ e ‘‘nessuno’’. (Cfr. anche supra, n. 57 e n. 76.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (II.H)
stessi atomi, giacche´ afferma che essi differiscono per tre differenze somme, cioe` per il ritmo il contatto e il verso, intendendo per ritmo la figura, per contatto l’ordine, per verso la posizione. Infatti, prendendo a caso una lettera, l’A differisce da N per figura, la Z da N per posizione, lo AN da NA per ordine. Questi sono i tre generi di contrari, la posizione {e` il genere} dell’alto e del basso, della destra e della sinistra, del davanti e del didietro, la figura dell’angolato e del non angolato e del dritto e del curvo, e nell’ordine sono contrari il primo e l’ultimo.
12.5. T. Simplicio, In Physica I (6, 189a17 sgg.), 196.35-197.3 (om. DK e Lu.): [Di commento al passo aristotelico, nel quale viene suggerito che i princı`pi debbono essere di numero finito e che fra i contrari alcuni hanno priorita` sugli altri, cioe` ne sono i princı`pi.] E Democrito avendo postulato gli atomi come infiniti produce le differenze qualitative fra di essi 117 con le contrarieta` secondo la posizione e le figure e l’ordine postulando queste come aventi priorita` su quelle; si deve infatti prendere come princı`pi quelli comuni a tutte le cose.
12.6. T o E. Alessandro, In Metaphysica I (4, 985b4 sgg. [= 10.1]), 35.24-36.3 (om. DK; 35.24-27 = 214 Lu.): Di seguito egli [scil. Aristotele] espone la dottrina di Leucippo e di Democrito riguardo agli elementi, e spiega con chiarezza la loro dottrina e, ad un tempo, la differenza e la comunanza dottrinale che presenta nei riguardi degli altri. Essi dissero che il corpo degli atomi e` pieno per via della compattezza e della non mescolanza {con essi} del vuoto. Nel denominare essere il pieno e non essere il vuoto, dal momento che per essi il vuoto e il pieno sono allo stesso modo quanto a sussistenza, dissero che il pieno non e` per nulla di piu` del vuoto.
12.7. E. Alessandro, In Metaphysica I (5, 986b27-987a2), 45.5-8 (om. DK; = 148 Lu.): [Di commento al testo aristotelico nel quale viene affermato che Parmenide, costretto come fu a seguire i fenomeni, postulo` due princı`pi fisici che fece coincidere con essere e non-essere.] Egli [scil. Parmenide] postulo` due princı`pi di esso [scil. del mondo] e delle cose che esistono a questo modo, cioe` il fuoco e la terra, dei quali disse che il fuoco e` l’essere, la terra e il freddo non-essere, sicche´ non e` soltanto Democrito e Leucippo che posero essere e non-essere fra i princı`pi.
117 Cioe ` fra gli atomi, ma si tratta palesemente di un’inesattezza: sono i composti costituiti dagli atomi e non gli atomi stessi a presentare differenze qualitative (esemplificate nel contesto da dolce e amaro, bianco e nero).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.A)
III. IL
RIFIUTO DELLA GENERAZIONE E DELLA DIVISIBILIT A` ALL ’INFINITO
A. «NULLA
NASCE DA NULLA»
1. L’«opinione comune dei naturalisti» 13.1. Aristotele, Physica I 4, 187a26-b1: [L’ ‘‘opinione’’ e` enunciata nel criticare Anassagora, dopo una distinzione dei naturalisti in monisti e pluralisti, con la collocazione di Empedocle e di Anassagora nel secondo gruppo, ma tenendo distinto il secondo dal primo per avere ammesso non i cosiddetti ‘elementi’ ma entita` infinite che sono omeomerie e contrarie.] Anassagora, a quanto pare, ha concepito le cose infinite a questo modo 118 perch´e riteneva che sia vera l’opinione comune dei naturalisti, cioe` che niente si genera da cio` che non e`. Percio` {i naturalisti} 119 si esprimono cosı`: «tutte le cose erano insieme», e {alcuni di essi ritengono che} diventare una cosa tale e tale 120 consiste in un alterarsi, mentre altri {fra di essi lo fanno consistere in} aggregazione e disaggregazione.121 (31) Ancora {Anassagora e gli altri pluralisti 122 sono indotti ad adottare quella posizione} dal fatto che i contrari si generano gli uni dagli altri, pertanto debbono preesistere inerenti {a qualche cosa}. Se infatti tutto cio` che si genera si deve generare da cio` che e` o da cio` che non e`, ma di questi {due corni dell’alternativa} il generarsi da cio` che non e` impossibile – e` un’opinione questa su cui sono d’accordo tutti coloro che si sono occupati della natura –, essi ritennero che ne consegue di necessita` il rimanente {corno dell’alternativa, che cioe`} si generi da cose che sono e che preesistono inerenti, ma che per noi sono impercettibili per la piccolezza delle {loro} masse.
2. La condizione iniziale del mondo 13.2. T. Aristotele, Metaphysica XII () 2, 1069b15-24 (1069b22-23 = 68 A 57; 8 e 221 Lu.): [Contesto sulle condizioni dei mutamenti.] 118 Cioe ` come omeomerie e come contrari. I traduttori in generale intendono invece: ‘‘ha concepito le cose (o principi) come infinite perche´ ...’’ (o ‘‘ha ritenuto che esse sono infinite perche´ ...’’), ma quanto segue giustifica la postulazione di una pluralita` di entita` preesistenti e impercettibili, non l’affermazione della loro infinitezza; del resto, in quanto precede, la posizione di Anassagora era stata tenuta distinta da quella di Empedocle per la sua concezione dei princı`pi e non solo per la loro infinitezza. 119 L’uso del verbo al plurale pare escludere che si tratti della posizione del solo Anassagora, ma la formula «tutte le cose erano insieme» e` sua (cfr. fr. 1) e viene usata con una certa frequenza da Aristotele nel riferirsi alla sua posizione (cfr. p. es. Phys. III 4, 203a25 [= 38.1] e VIII 1, 250b2425). (Si veda anche Presentazione dei testi, sez. 6, con n. 16.) 120 Cioe ` il suo generarsi come cosa di un certo tipo. 121 Per questa distinzione si veda quanto Filopono dice di commento al passo (infra, 49.3). 122 Di nuovo l’uso del verbo ‘‘ritenere’’ al plurale (‘‘essi ritennero’’) nel seguito suggerisce che non si parli del solo Anassagora, ma di tutti i pensatori ai quali egli era stato associato nel pezzo di testo che precede quello citato, cioe` dei pluralisti, anche se solo Empedocle era stato menzionato per nome.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.A)
Dal momento che l’essere e` duplice,123 tutto muta da cio` che e` potenzialmente a cio` che e` in atto (per esempio dal bianco in potenza al bianco in atto, e allo stesso modo per la crescita e la diminuzione), sicche´ non soltanto e` possibile il generarsi dal non essere per concomitanza, ma anche dall’essere si generano tutte le cose, tuttavia dall’essere in potenza, e in atto dal non essere. E questo e` l’uno di Anassagora; e` meglio infatti {dire}, piuttosto che «tutte le cose insieme» – e la mescolanza di Empedocle e di Anassimandro, e al modo in cui dice Democrito –, «tutte le cose erano insieme potenzialmente, ma non in atto».124 Sicche´ essi si sarebbero accostati alla {nozione di} materia.
3. L’accusa peripatetica di violazione del principio di non-contraddizione 13.3. T o E. Alessandro, In Metaphysica IV (5, 1009a22-30 [= 57]), 303.23304.5 (om. DK; 303.31-34 = 178 Lu.; 303.34-304.2 = 262; 304.2-5 = 8): E in primo luogo egli [scil. Aristotele] dice da che cosa si lasciarono ingannare coloro che ammettono che in ogni caso contradditorıˆ sono veri contemporaneamente: vedendo che i contrari vengono dallo stesso, ma avendo assunto preliminarmente che e` impossibile che qualcosa si generi totalmente dal non-essere (questa e` l’opinione comune a tutti quelli che si sono espressi sulla natura), supposero che la cosa sia entrambi i contrari. Infatti, {essi ritennero,} non e` altrimenti possibile che essi [scil. i contrari] si generino dallo stesso, se non sono preesistenti in esso. (29) E per questo Anassagora dice che tutte le cose sono mescolate in tutte, dal momento che le considera tutte generate da tutte, e Democrito dice che esistono solo il pieno e il vuoto. Infatti, egli [scil. Aristotele] dice, ha assunto gli atomi e il vuoto e dice che sono presenti entrambi allo stesso modo in relazione a qualsiasi parte di ciascuno dei sensibili, sicche´ anche la loro [scil. dei sensibili] generazione si verifica per separazione dal preesistente. (34) Riferisce inoltre che Democrito aveva detto che il pieno e` essere e che il vuoto e` non-essere, forse anche per rilevare una certa assurdita` della sua opinione per via delle cose che diceva, {cioe`} se, avendo assunto che il vuoto e` non-essere e avendo ritenuto anche che nulla si genera dal nulla, diceva che tutte le cose generate sono e si generano non di meno dal vuoto che dal pieno, {e questo} dicendo che il vuoto e` non-essere: concedeva infatti che la generazione si verifica a partire dal non-essere, preservata la quale {proposizione} ammetteva {pure} che la generazione si verifica per mescolanza. (2) Egli [scil. Aristotele] direbbe pure in che modo per colui che dice che il pieno e` essere e il vuoto non essere, e questi sono presenti allo stesso modo in tutte le cose da cui c’e` la generazione, ne consegua in ciascun caso che e` vero enunciare la contraddizione: essere e non-essere.
123 Cioe ` nel senso della potenza e nel senso dell’atto. La materia corrisponde alla condizione di potenza delle cose. 124 Adotto la punteggiatura del W.D. ROSS (Aristotle’s Metaphysics, Oxford 1924), ripresa da W. JAEGER (Aristotelis Metaphysica, Oxford 1957), escludendo dunque che la formula: ‘‘tutte le cose erano insieme potenzialmente’’ sia da attribuire a Democrito, come assume invece Diels, possibilmente influenzato dal commento dello Ps.-Alessandro (citato da Luria al nr. 221): si tratta di una ‘correzione’ aristotelica della formula dovuta ad Anassagora (cfr. supra, n. 119). Lu¨tze inverte i nomi di Anassagora ed Anassimandro, ma pare che l’«uno» di Anassagora sia ritenuto consistere nella condizione di ‘tutte le cose insieme’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.B)
4. La tesi «nulla nasce da nulla» presso gli Eleati 14.1. Parmenide, fr. 8, vv. 5-16: Non e` mai {vero dire}: era, sar`a, poiche´ e` ora, insieme tutto | uno continuo. E infatti quale origine potresti cercare per esso? | Come e donde sarebbe cresciuto? Dal non essente non ti permetto n´e | di dirlo ne´ di pensarlo; non e` infatti ne´ dicibile ne´ pensabile | che non e`. E quale necessita` dovrebbe averlo spinto | a formarsi dopo o prima, cominciando dal nulla? |11| Cosı` e` necessario che sia totalmente o che non sia affatto. | La forza della conferma non potra` mai ammettere che dal non essente | si generi qualcosa che sia oltre ad esso. Per questo ne´ il generarsi | n´e il perire gli ha concesso Giustizia, allentandolo nei ceppi, | ma lo tiene fermo. La decisione circa queste cose sta in questo: | e` o non e` .
14.2. Melisso, fr. 1: Sempre era cio` che era e sempre sara`, poiche´, se {l’essere} fosse generato, e` necessario che, prima che fosse generato, {esso} fosse nulla. Ma se allora era nulla, in nessun modo dal nulla si sarebbe potuto generare qualcosa.
14.3. Parafrasi di Simplicio (In Physica, 103.15-23) dell’argomento di Melisso: Se {il} nulla e`, che cosa si potrebbe dire di esso, come se fosse qualcosa {che e`}? Se invece {cio` che e`} e` qualcosa,125 o e` {qualcosa di} generato o e` sempre. Ma, se e` generato, {lo e`} o (i) dall’essere o (ii) dal non-essere. Ma non e` possibile che si generi qualcosa dal non-essere [...], ne´ {`e possibile che si generi} dall’essere. Infatti, {nel caso (i)} sarebbe {gia`} cosı` e non si genererebbe. Dunque l’essere non e` generato, e, pertanto, e` sempre. L’essere non potra` neppure perire. Infatti non puo` mutarsi ne´ nel non-essere – anche questa {proposizione} e` ammessa dai naturalisti – ne´ nell’essere. Di nuovo infatti {nel secondo caso} rimarrebbe cosı` e non perirebbe. Dunque n´e l’essere si e` generato ne´ perira`, e, pertanto, sempre era e sempre sar`a.
B. LA
GENESI DELL ’ATOMISMO IN RAPPORTO CON L ’ELEATISMO
1. «La difficolt`a degli antichi» 14.4. Aristotele, Physica I 8, 191a23-33 e b31-33. Che soltanto cosı` {cioe` al modo indicato nei capp. precedenti} si risolve la difficolt`a degli antichi, lo diremo in quanto segue. Per l’appunto, i primi che si diedero alla ricerca della verita` e della natura degli enti in modo {genuinamente} speculativo furono stornati e, per cosı` dire, respinti dall’inesperienza su di un’altra via,126 che sta nel sostenere che nessuno degli enti ne´ si genera ne´ perisce, perche´ e` necessario che cio` che e` generato si generi
125 126
Oppure: se invece qualcosa esiste ... Altra s’intende rispetto a quella che porta alla verita`.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.B)
o (i) dall’essere o (ii) dal non-essere, ma da nessuno dei due cio` e` possibile; infatti {nel caso (i)} l’ente non puo` essere generato, perche´ esiste di gia`, e {nel caso (ii)} dal non-essere niente si puo` generare, perche´ ci deve essere qualcosa di sussistente. E in questo modo, amplificando le conseguenze ultime, affermano che la pluralita` non esiste ma che c’e` soltanto l’essere stesso. [...] E` appunto per questo 127 che quelli di prima si sono tanto allontanati dalla via {della verita`} circa la generazione e la corruzione e ogni forma di mutamento.
2. L’approccio degli atomisti contrapposto a quello eleatico 15.1. TT. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 324b35-325b11 (324b35-325a6 e 325a23-325b11 = 67 A 7; 325a2-16 = 30 A 8; 325a13-19 = 28 A 25; 324b35-325b11, con tagli = 146 Lu.). [Sunto dell’inizio del capitolo nel commento di Filopono, cfr. 62.6.] Ben piu` con metodo {di Empedocle e di altri} e con un’unica spiegazione hanno trattato di tutti i casi Leucippo e Democrito, adottando un principio che e` conforme alla natura cosı` com’e`. In effetti taluni degli antichi ritennero che l’essere e` necessariamente uno e immobile – {immobile} giacche´ (325a4) il vuoto e` non essere,128 ma il movimento non puo` darsi senza l’esistenza di {un} vuoto separato. E non puo` esserci una pluralit`a non essendoci nessun fattore di divisione. E, {sostengono,} non fa nessuna differenza fra il ritenere che il tutto e` non continuo ma e` suddiviso {in parti} a contatto, e il dire che {esso} e` molti e che non c’e` un uno e che e` vuoto. Se infatti {esso} e` interamente divisibile,129 non c’e` nessun uno, di modo che non c’`e neppure pluralita`, ma il tutto e` vuoto; d’altra parte {sostenere che e` divisibile} per un certo verso e non per un altro, ha l’aria di essere qualcosa di fittizio: fino a che punto infatti, e per qual ragione, una parte del tutto e` cosı`, cioe` e` piena, e un’altra parte e` divisibile? Inoltre, allo stesso modo, e` necessario dire che non c’`e movimento. (13) Sulla base dunque di queste considerazioni,130 scavalcando la sensazione e trascurandola in quanto si dovrebbe seguire il ragionamento, dichiarano che il tutto e` uno e immobile e – alcuni – che e` infinito (infatti il limite sarebbe un limite verso il vuoto). Certuni dunque in questo modo e per queste ragioni si espressero intorno alla verit`a. (Ancora, nel caso dei concetti questo risultato pare conseguire, nel caso dei fatti 131 pen-
127 Cioe ` per avere ignorato certe distinzioni necessarie alla soluzione della difficolta`, quali quelle proposte dallo stesso Aristotele in questo cap. 128 Cioe ` e` non esistente (cfr. Filopono in 15.3), non non-essere ma esistente come per gli atomisti. 129 Sembra esserci un’ambiguita ` del greco diairetovn, intendendo non solo ‘divisibile’ ma anche, di fatto, ‘diviso’ (la divisione e` possibile perche´ l’essere e` gia` diviso al suo interno); lo stesso nel seguito. 130 Letteralmente ‘discorsi’ (logoi), ma in tutto il passo si gioca sull’ambiguita ` di logos (reso nel seguito con ‘ragionamento’, poi con ‘concetto’), per indicare che l’indagine degli Eleati e` tutta concettuale (sul tipo della skevyi" ejn toi = lovgoi" di cui parla Platone nel Fedone, cfr. supra, 1.4, con n. 3 ad loc.). 131 Allusione all’opposizione fra concetti (logoi) e fatti (pragmata) che viene proposta in Fedone, 99D-100A (cfr. n. 130). Poiche´ questa allusione puo` essere dovuta solo ad Aristotele (vedi anche 24.3), tutto l’inciso deve essere suo. P. NATORP, Forschungen zur Geschichte des Erkenntnisproblem, Berlin 1884, pp. 166-168, pur riconoscendo questo fatto, suppone che il passo rifletta quello che era gia` l’atteggiamento di Leucippo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.B)
sarla cosı` e` prossimo alla follia; non c’`e infatti nessun demente che lo sia al punto da credere che il fuoco e il ghiaccio siano una sola cosa, ma soltanto {avviene che} alcuni, per la loro follia, non riconoscono nessuna differenza fra le cose che hanno valore {realmente} e quelle che sembrano tali per abitudine.) (23) *Leucippo tuttavia riteneva di possedere argomenti tali che, con l’accordarsi con i dati dei sensi,132 non eliminano ne´ la generazione ne´ la corruzione ne´ il movimento e la moltitudine degli enti. Ottenuto questo accordo con i fenomeni, {accorda} d’altra parte ai sostenitori dell’uno che il movimento non ci sarebbe senza vuoto e dichiara che il vuoto e` non essere e che niente dell’essere e` non essere, giacche´ cio` che e` in senso proprio e` cio` che e` interamente pieno. (29) Ma {sostiene} che l’essere siffatto non e` uno solo, anzi ce n’e` una moltitudine infinita, e {sono entita` che} sono invisibili per la piccolezza delle loro masse. Queste entita` si muovono nel vuoto, dato che il vuoto esiste, e associandosi danno luogo alla generazione, dissociandosi alla corruzione. Agiscono poi e subiscono {le operazioni altrui} laddove capita ad esse di entrare in contatto, giacche´ ivi {la realta`} non e` una; e combinandosi e intrecciandosi generano {le altre cose}. Del resto, {sostiene,} dall’uno che e` veramente tale non deriverebbe una moltitudine, ne´ da cio` che e` veramente una pluralita` {deriverebbe} l’uno, ma cio` e` impossibile. (b1) Ma come Empedocle e alcuni altri pensatori sostengono che {i corpi} subiscono {le operazioni degli altri} mediante i pori, cosı` {egli sostiene che} ogni alterazione e ogni subire avviene a questo modo: dato che e` mediante il vuoto che avvengono la dissoluzione e la corruzione, allo stesso modo {avviene} anche l’accrescimento, per la penetrazione inosservata di solidi. (5) Anche Empedocle e` obbligato ad affermare piu` o meno quanto e` sostenuto da Leucippo: ci sono certe cose solide, ed esse sono indivisibili, se no i pori sarebbero continui dappertutto – e questo e` impossibile: non ci sarebbe niente di solido accanto ai pori, ma tutto sarebbe vuoto. E` necessario allora che le cose in contatto siano indivisibili e che i loro interstizi – quelli che egli chiama pori – siano vuoti. Ed e` allo stesso modo che anche Leucippo parla dell’agire e del patire.133 [Seguito come 51.1.]
15.2. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 324b25), 154.21-155.2 e 155.422 (om. DK e Lu.): [Di seguito, con un salto di poco piu` di una riga, a 62.6.] Dice [scil. Aristotele] che Parmenide e i suoi, avendo adottato princı`pi non manifesti e indimostrati, mediante essi intrapresero ad eliminare quanto e` evidente e ha il consenso, mentre Democrito e i suoi, avendo adottato princı`pi in accordo con la percezione sensibile, mediante essi provarono le cose non-evidenti. Parmenide infatti, volendo mostrare che non esiste la moltitudine nelle cose e neppure il movimento – il che era combattere la percezione sensibile ed eliminare l’evidenza –, assume come assioma 134 che il vuoto non esiste – {una proposizione} che non e` in conformita` alla percezione sensibile, ma che ha bisogno di molta dimostrazione. Fatto questo assunto, procede sillogisticamente a questo modo: se il vuoto non c’`e, non c’e` il movimen-
132 133
Piu` letteralmente: ‘‘discorsi (logoi) enuncianti cose in accordo con la sensazione ...’’. Per quest’ultima parte dell’esposizione si vedano i commenti di Filopono (infra, 21.6 e
21.7). 134 Presumibilmente con ajxivwma egli intende (tenendosi vicino alla dialettica sia aristotelica sia stoica) una proposizione degna di assenso che funge da assunto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.B)
to; ma il vuoto non c’e`, dunque non c’e` il movimento. (30) Ha adottato come avente il consenso il ‘condizionale’,135 che non essendoci il vuoto non c’e` il movimento – infatti il movimento si potrebbe verificare soltanto mediante il vuoto –, e, allo stesso modo, anche lo ‘assunto aggiuntivo’: 136 «ma il vuoto non c’`e». Adottate come aventi il consenso queste proposizioni, le quali {in realt`a} sono non manifeste e ambigue, mediante esse ha eliminato cio` che ha {veramente} il consenso, intendo dire il movimento. [...] (4) Allo stesso modo elimina anche la moltitudine. Dice, infatti, che se c’`e divisione nelle cose, c’e` il vuoto, giacche´ e` soltanto mediante il vuoto che si verifica la divisione; ma il vuoto non c’e`, dunque non c’e` divisione; dunque il tutto e` uno e continuo. Di nuovo egli ha adottato come aventi il consenso il condizionale e l’assunto aggiuntivo che {in realta`} sono non-evidenti, e mediante essi ha eliminato quanto ha {veramente} il consenso. (9) Parmenide dunque a questo modo elimina le cose evidenti a partire da quelle non manifeste, invece Democrito, adottati dei princı`pi che sono attestati dalla percezione sensibile, cioe` che nelle cose c’e` divisione e moltitudine e movimento, a partire da questi introduce il vuoto, provando il non manifesto a partire dalle cose manifeste. Dice infatti che, se c’e` divisione e moltitudine nelle cose, c’e` il vuoto; ma c’e` divisione e moltitudine, dunque c’e` il vuoto; il condizionale e` preso allo stesso modo di Parmenide, ma non l’assunto aggiuntivo. (15) Questi infatti disse: «ma non c’e` il vuoto» – il che e` non evidente –, mentre l’altro disse: «ma c’e` la moltitudine e la divisione». Lo stesso nel caso del movimento: se c’e` il movimento, c’e` il vuoto; ma c’e` il movimento, dunque c’e` il vuoto – anche in questo caso assumendo lo stesso condizionale di Parmenide, ma non l’assunto aggiuntivo. Allo stesso modo Parmenide 137 introdusse anche l’infinito: se il tutto fosse limitato, manifestamente (egli dice) sarebbe limitato dal vuoto; ma il vuoto non esiste, dunque il tutto non e` limitato.
15.3. T. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325a3), 156.20-157.1 (om. DK e Lu.): («Giacche´ il vuoto e` non essere.») Infatti soltanto il pieno e` ente. Bisogna indagare se non sia possibile intendere qui «giacche´ il vuoto e` non essere» {come se fosse} in luogo di «non c’e` il vuoto negli enti», di modo che {l’argomento} sia cosı`: ‘se non e` possibile che ci sia il movimento senza il vuoto, e il vuoto non c’e`, non c’e` pertanto il movimento’. Ma nei discorsi su Democrito, di seguito,138 non e` possibile intendere il dire che «il vuoto e` nonessere» nel senso di non sussistere per nulla, ma soltanto per contrapposizione al pieno. Democrito infatti assunse che il vuoto c’e` come qualcosa che non ha una qualche sostanzialita`.
135 Letteralmente: ‘‘il connesso’’ (to; sunhmmevnon), intendendosi con cio ` (secondo gli schemi della logica stoica qui adottati) una proposizione ipotetica del tipo: ‘‘se p, allora q’’, nella fattispecie: ‘‘se il vuoto non c’e`, non c’e` movimento’’. 136 Provslhyi", con cui si intende la premessa minore: ‘‘ma p’’, nella fattispecie: ‘‘ma il vuoto non c’e`’’. 137 Evidentemente Filopono ritiene erroneamente che Aristotele, in 325a15-16, si stia riferendo a Parmenide (anziche´ a Melisso). 138 Filopono, a quanto pare, tratta come una parte dei ‘discorsi su Democrito’, a seguito della parte su Parmenide, il passo aristotelico da 325a23 in poi, sebbene qui Aristotele faccia menzione di Leucippo e non di Democrito (il commentatore aveva sostituito Democrito a Leucippo anche in 15.2).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.B)
15.4. T. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325a17 e 25), 158.12-25 (om. DK e Lu.): Leucippo e Democrito e i loro, dicendo cose che sono conformi alla percezione sensibile, non eliminarono ne´ la moltitudine n´e il movimento. (‘‘Ottenuto questo accordo con i fenomeni.’’) Leucippo essendo concorde con i fenomeni (egli dice) per questo rispetto, avendo poi accolto {tesi} da coloro che introducono l’uno ed essendo stato in accordo con essi per il rispetto che il movimento non c’e` senza il vuoto, e che il vuoto e` non-essere, vale a dire non pieno e non sostanza o costituzione, a questo modo provo` cio` che ne segue, intendo dire che esistono gli atomi e il vuoto. Se infatti gli enti sono molti e divisi, ed e` impossibile che la divisione si verifichi senza il vuoto, allora esiste il vuoto; a questo modo dunque provo` l’esistenza del vuoto. Quanto all’esistenza degli atomi [scil. di indivisibili], di nuovo cosı`: ciascuno degli enti e` un essere in senso forte, e in cio` che e` non c’e` nessun non-essere, pertanto non c’e` nessun vuoto negli enti 139 – il vuoto infatti e` non-essere –; ma se non c’e` nessun vuoto in essi, e la divisione e` impossibile che si verifichi senza il vuoto, e` impossibile pertanto che essi siano divisibili.
3. Parmenide e Zenone contro la molteplicit`a 16.1. Aristotele, Metaphysica (A) I 5, 986b27-30 (= 28 A 24): Parmenide d`a l’impressione, in qualche passo, di parlare con piu` chiarezza di visione.140 In effetti, giudicando che oltre all’essere il non-essere non ci sia per nulla,141 necessariamente ritiene che l’essere sia uno e non sia nient’altro ...
16.2. Parmenide, fr. 8, vv. 22-25: Neppure {l’essere} e` divisibile, perche´ e` tutto allo stesso modo, | ne´ c’e` in qualche parte un di piu` {di essere} che possa impedirgli di essere continuo con se stesso, | ne´ un che di inferiore, ma e` tutto pieno di essere. | Per questo e` tutto continuo: l’essere e` accosto all’essere.
16.3. Zenone nella testimonianza di Filopono, In Physica I 3, 80.23-29 (= 3 Lee): Il suo [= di Parmenide] discepolo Zenone, venendo in appoggio al maestro, cerco` di provare che l’essere e` di necessit`a uno e immobile. Cerco` di provarlo a partire dalla dicotomia all’infinito di quanto e` continuo, {come segue:} se cio` che e` non fosse uno ed indivisibile, ma si dividesse in una pluralit`a, niente sarebbe uno in senso proprio – se infatti il continuo si dividesse, sarebbe diviso all’infinito –; ma se niente e` uno in senso proprio, neppure ci sono i molti, se i molti sono costituiti da una pluralita` di unit`a. Pertanto e` impossibile che cio` che e` sia diviso in una pluralita`, ma e` soltanto uno.
139
Cioe` nelle cose che sono (esistono) senza qualificazioni (e che sono fatte coincidere con gli
atomi). 140 141
Rispetto a Senofane e a Melisso, menzionati in quanto precede. Ovvero: non sia nulla (la formulazione e` ambigua).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.C)
4. Postulazione leucippea del vuoto come divisore 16.4. T. Ps.-Aristotele, De Melisso Xenophane Gorgia 6, 15-16 (980a3-8) (rifer. in 67 A 7; 6-8 = 252 Lu.): [Esposizione di uno degli argomenti di Gorgia, nel suo scritto Sul non-essere, che portano alla conclusione che nulla esiste. L’argomento e` volto ad escludere la possibilita` del movimento.] Inoltre {l’ente}, se si muove e si muove per traslazione, non essendo continuo risulta diviso e, per questo rispetto, neppure esiste; (16) sicche´, se si muove in ogni parte, risulta diviso in ogni parte, e, se e` cosı`, non esiste in ogni sua parte.142 Giacch´e (egli [scil. Gorgia] dice) e` in difetto di ente dove risulta diviso, parlando di risultare diviso al posto di vuoto, come sta scritto nei discorsi cosiddetti di Leucippo.143
5. Rifiuto eleatico del vuoto come condizione del movimento 16.5. Melisso, fr. 7, 7-10. (7) Neppure {l’essere} e` per nulla vuoto.144 Il vuoto infatti e` nulla, e cio` che e` nulla non potrebbe essere. Neppure si muove. Non ha infatti nessun luogo dove andare, ma e` pieno. Se infatti ci fosse {il} vuoto, potrebbe ritrarsi nel vuoto; non essendoci pero` {il} vuoto, non ha dove ritrarsi. (8) Non potrebbe essere denso e rado. Infatti il rado non puo` realizzarsi come pieno allo stesso modo del denso, ma risulta subito essere piu` vuoto del denso. (9) Si deve fare la seguente discriminazione fra il pieno e il non-pieno: se qualcosa fa posto {a qualcos’altro} o l’accoglie, non e` pieno; se invece n´e fa posto ne´ l’accoglie, e` pieno. (10) E` necessario allora che sia pieno, se non e` vuoto; 145 se allora e` pieno, non si muove.
C. GENERAZIONE
APPARENTE E PROCESSI REALI
1. Le «unit`a eterne» prospettate da Melisso 17. Melisso, fr. 8: (1) Questo argomento 146 e` la massima prova che solo l’uno esiste; peraltro vi sono anche le prove seguenti: (2) se esistessero i molti, questi dovrebbero essere tali quali io
142 Il testo di questo periodo e ` difficile; ho seguito quello proposto dal Diels nella sua edizione dell’opera (cfr. bibl.). 143 Pare che si tratti degli argomenti (logoi) che Aristotele attribuisce a Leucippo in testi come Gen. et corr. I 8 (= 15.1), ma il senso dell’espressione non e` chiaro. Qualora il riferimento fosse ad uno scritto attribuito a Leucippo, l’epsressione presumibilmente rifletterebbe un dubbio circa l’attendibilita` di tale attribuzione (come rileva Natorp, Forschungen, p. 168, n. 1). ` possibile tradurre come segue: ‘‘il vuoto non c’e` per nulla’’. Tuttavia il sogg. di tutto il fr. 144 E pare essere «l’essere», che deve essere il sogg. sottinteso p. es. di «neppure si muove»; inoltre ci sarebbe una ripetizione nel seguito immediato. 145 Oppure: se non c’e ` il vuoto. 146 S’intende quello precedente, contenuto nel fr. 7, del quale ho riportato una parte come 16.5.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.C)
dico che e` l’uno. Se infatti esiste la terra e l’acqua e l’aria e il fuoco, e il ferro e l’oro, e il vivente e il morto, e il nero e il bianco, e le altre cose, quante gli uomini dicono essere reali; se dunque queste cose esistono, e noi vediamo e udiamo rettamente, bisogna che ciascuna {di queste cose} sia tale quale e` parsa a noi la prima volta, e che non muti ne´ diventi altro {da quello che era}, ma che ciascuna sia sempre quale essa e`. Ora noi diciamo di vedere e di udire e di intendere in modo retto. (3) A noi pare che diventi freddo cio` che e` caldo e caldo cio` che e` freddo e molle cio` che e` duro e duro cio` che e` molle, e che il vivente muoia e si generi dal non vivente, e che tutte queste cose diventino altre {da cio` che sono}, e che cio` che era e cio` che e` ora non siano niente di simile 147 {l’uno all’altro}, ma che il ferro, pur essendo duro, si consumi stando a contatto 148 col dito, e {lo stesso} l’oro e la pietra e ogni altra cosa che sembra essere forte, e che dall’acqua si generi terra e pietra. (Ne consegue che ne´ vediamo ne´ conosciamo gli enti.) 149 (4) Queste non sono dunque {proposizioni} che si accordino fra di loro: mentre diciamo che ci sono molte cose aventi forme e forza eterne,150 esse tutte paiono a noi diventar altre e mutare da come ogni volta le vedemmo.151 (5) E` evidente allora che non vediamo in modo retto, e che non e` in modo retto che quelle cose ci appaiono essere molte. Se fossero reali non muterebbero ma ciascuna sarebbe tale quale ci sembrava che fosse. Infatti nulla e` piu` forte di cio` che e` veramente. (6) Ma se si fosse mutato, l’essere sarebbe perito, e il non-essere si sarebbe generato. Cosı` dunque, se ci fossero i molti, dovrebbero essere tali quale e` l’uno.
2. La negazione della generazione da parte di Empedocle e di Anassagora 18.1. Empedocle, fr. 8: Un’altra cosa ti diro`: non c’e` generazione di nessuna delle cose | mortali n´e una {loro} fine per morte funesta | ma soltanto mescolanza e mutamento alternativo 152 di cio` che e` mescolato, | che presso gli uomini ha nome di generazione.
18.2. Empedocle, fr. 9: Essi,153 quando {gli elementi} vedono la luce dell’etere mescolatisi nell’uomo | o nel genere degli animali selvaggi o degli arbusti | o degli uccelli, allora questo dicono che sia il generarsi; | quando poi si separano, questo dicono disgraziata sorte; | non li designano com’`e giusto {fare}, ma anch’io parlo cosı` secondo l’uso vigente. 147 148 149
Ovvero: di identico. Il testo e` dubbio ma il senso generale e` sufficientemente chiaro. Ho messo fra parentesi un pezzo che andrebbe omesso del tutto perche´ palesemente ripe-
titivo. 150
Adotto il testo proposto da G. CALOGERO, Studi sull’eleatismo, Firenze 1977, p. 98, n. 14 (di
p. 95). 151 Diels costruisce diversamente e rende (nella traduzione riveduta da Kranz): ‘‘scheint uns auf Grund des jedesmal Gesehenen, dass alles sich a¨ndert und umschla¨gt’’, ma e` una traduzione che non pare riflettere l’intento di Melisso (come sottolineato da Calogero, op. cit., pp. 98-99, n.). 152 Oppure: dissoluzione (ma il significato rimane lo stesso); Inwood pero ` rende diavllaxi" con «interchange» (cfr. fr. 21 nella sua raccolta empedoclea; i passi successivi sono da lui numerati 22, 23 e 12). 153 Evidentemente: gli uomini, come anche nel fr. 11 (i quattro passi sono di tenore simile).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.C)
18.3. Empedocle, fr. 11: Sciocchi! i loro pensieri penosi non sono di mente che arriva lontano, | essi che si aspettano che si generi cio` che prima non e`, | o che qualcosa muoia e cosı` si distrugga totalmente.
18.4. Empedocle, fr. 12: E` del tutto assurdo che ci sia un generarsi dal non-essere | e che cio` che e` perisca radicalmente e` impossibile ed inaudito, | perch´e sempre star`a la` dove sempre lo si ponga.
18.5. Anassagora, fr. 17: Ma il generarsi e il perire non considerano rettamente 154 i Greci: nessuna cosa si genera o perisce, ma a partire da cose che sono si ha composizione e disgregazione; e cosı` dovrebbero chiamare rettamente il generarsi comporsi e il perire disgregarsi.
3. La negazione della generazione da parte degli atomisti 18.6. T. Aristotele, De caelo III 7, 305a33-b5 (b1-3 = 68 A 46a; a33-b5 = 335 Lu.). Di nuovo, dobbiamo indagare qual e` il modo della generazione reciproca {dei quattro elementi}, {cioe`} se e` al modo in cui dicono che sia Empedocle e Democrito oppure al modo in cui {dicono che sia} quelli che risolvono {i corpi} in superfici, o in qualche altro modo che ci sia oltre a questi. Empedocle e Democrito e i loro si lasciano sfuggire che essi producono non la generazione reciproca ma una generazione apparente. Dicono infatti che ciascun {elemento} e` un preesistente inerente che emerge per separazione, come se la generazione fosse da un recipiente anziche´ da una certa materia, e che il generarsi non e` neppure di qualcosa che e` in mutamento. [Seguito come 48.7.]
18.7. T. Simplicio, In De caelo III (7, 305a33), 632.2-11, 16-25 (om. DK; 632.6-11 = 335 Lu.; 16-22 = 276 Lu.): Dal momento che le opinioni riguardo a questo 155 sono state differenti, cioe` quella di Empedocle che diceva che gli elementi sono eterni e che rendeva conto della generazione mediante la mescolanza e la separazione di questi, quella di Anassagora che diceva che tutte le cose sono in tutte e che poneva la generazione come separazione, e quella di Democrito e di coloro i quali parlavano di superfici che producevano la generazione reciproca degli elementi mediante la combinazione e la separazione degli atomi e delle superfici, per prima cosa egli [scil. Aristotele] si oppone ad Empedocle, Demo-
154 J.E. RAVEN (in KRS, p. 358) rende piuttosto: ‘‘are wrong to recognize coming to being and perishing’’; e pare anche legittimo rendere (come suggerisce Ademollo): ‘‘non usano rettamente i termini ‘generarsi’ e ‘perire’ ’’. 155 Cioe ` la generazione reciproca di quattro elementi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.D)
crito, Anassagora e i loro scorgendo in essi una comunanza di dottrina che sta {nell’ammettere che}, essendo eterni gli elementi postulati da ciascuno di essi, c’e` {solo} la sembianza del generarsi quando si separano gli uni dagli altri. In effetti l’agrigentino Empedocle 156 [...]. E Democrito afferma che i suoi propri elementi, {cioe`} gli atomi, si generano gli uni dagli altri come separantisi da una mescolanza, giacche´ quando {per esempio} l’acqua si disperde gli atomi che si sono separati si costituiscono in aria per intreccio di quelli di un certo tipo con altri dello stesso tipo. Costoro, dunque, egli dice, producono non la generazione reciproca degli elementi, ma una generazione apparente, giacche´ ciascuno degli elementi da loro ammessi preesistendo secondo l’atto emerge (essi dicono) per separazione come da un recipiente anziche´ da una certa materia costituita secondo il mutamento. La differenza sta nel fatto che in un caso la cosa emerge per separazione come sussistente in atto, nell’altro caso la cosa, dalla materia come dalla condizione di potenza, passa alla condizione di atto.
D. RIDUZIONE
DEI PROCESSI PERCETTIBILI AL MOVIMENTO LOCALE DI PARTI-
CELLE
1. Alcune giustificazioni della priorit`a del movimento locale 19.1. A. Aristotele, Physica VIII 7, 261a19-23 e 260b7-15 (om. DK; = 330 Lu.): ... questo movimento [= quello locale] sar`a prima degli altri anche secondo l’essenza per queste ragioni e perche´ cio` che si muove, nel caso che il suo, fra i movimenti {possibili}, sia uno spostarsi, si allontana 157 dalla propria essenza in modo minimo; solo in questo caso, infatti, non muta per nulla nel suo essere, al modo in cui {invece muta}, se e` alterato, nella qualita`, se e` accresciuto o diminuito, nella quantita`. [Fra le ragioni cui viene fatto riferimento come addotte in precedenza c’e` questa:] Inoltre, principio di tutte le affezioni e` la condensazione e la rarefazione; infatti anche pesante e leggero, molle e duro, caldo e freddo sembrano essere una sorta di condensazione e di rarefazione. Ma condensazione e rarefazione sono aggregazione e disaggregazione, {cioe` processi} in accordo con i quali si dice che c’e` la generazione e la corruzione delle sostanze. E di necessita` le cose che si aggregano e che si disaggregano mutano secondo il luogo; ma anche la grandezza di cio` che si accresce e di cio` che diminuisce muta secondo il luogo.
19.1.1. T. Simplicio, In Physica VIII (7, 260b7-15), 1266.33-36 (= 330 Lu.): Sia che infatti l’aggregazione e la disaggregazione sono senz’altro generazione e corruzione, come sostenevano Democrito e Anassagora e Empedocle e quanti, supponendo che i corpi primi siano del tutto impassibili, facevano derivare interamente da questi gli altri corpi ... sia che ...
156 157
Nel seguito viene considerata la posizione di questi e quella di Anassagora. Letteralmente: fuoriesce.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.D)
2. Il riconoscimento della priorit`a del movimento locale da parte dei naturalisti 19.2. T. Aristotele, Physica VIII 9, 265b17-266a1 (b24-25 = 68 A 58; b17-20 e b24-29 = 332 Lu.): Che lo spostamento secondo il luogo sia il primo dei movimenti lo attestano tutti coloro che hanno fatto menzione del movimento {in generale}: essi riportano i princı`pi di esso a quelle cose che muovono di tale movimento; 158 in effetti la disaggregazione e l’aggregazione sono movimenti secondo il luogo. E` a questo modo che causano movimento l’amore e l’odio: di essi il secondo separa, il primo aggrega. Anassagora pure dichiara che l’intelligenza, che e` la prima origine di movimento, separa. *(23) Lo stesso vale anche per coloro che, invero, non enunciano nessuna cotale causa, ma che dichiarano che {le cose} si muovono mediante il vuoto; 159 in effetti anche costoro sostengono che la natura si muove di movimento secondo il luogo,160 dato che il movimento mediante il vuoto e` uno spostamento ed e` come in un luogo. Quanto agli altri {movimenti}, ritengono che nessuno inerisce ai {corpi} primi ma {soltanto} ai derivati da questi, giacche´ dicono che l’accrescersi e il deperire e l’alterarsi ci sono quando i corpi indivisibili si aggregano e si disaggregano.* (30) Allo stesso modo {parlano} anche quanti rendono conto della generazione e della corruzione mediante la condensazione e la rarefazione, giacche´ costituiscono queste ultime con l’aggregazione e la disaggregazione. Ancora, oltre a questi {attestano il primato del movimento locale} coloro che fanno dell’anima la causa del movimento, perche´ dicono che cio` che muove se stesso e` il principio di cio` che e` in movimento; ora l’animale e tutto cio` che e` dotato di anima muove se stesso di movimento secondo il luogo.
19.3. T. Simplicio, In Physica VIII (9, 265b24 sgg.), 1318.30-1319.5 (18.3319.5. = 68 A 58; 313 e 333 Lu.): A questo modo {si esprimono} coloro che hanno messo avanti, come causa della generazione degli enti, quella efficiente. Quanto a coloro che non hanno in mente la causa efficiente, ma parlano del movimento mediante il vuoto – come {fanno} Democrito e i suoi –, anche essi dicono che la natura si muove di movimento locale – {la natura,} vale a dire i corpi naturali primari e indivisibili: (34) sono questi che essi chiamano natura, e dicono che questi, mossi in conformita` alla loro pesantezza attraverso il vuoto che cede {al loro passaggio} e non oppone resistenza, si muovono {di moto} secondo il luogo; infatti dicono che essi «sono scagliati intorno».161 (2) E agli elementi essi assegnano questo movimento Si intende: si muovono di spostamento o movimento secondo il luogo. Rendo a questo modo il greco dia; to; kenovn, che puo` essere usato in modo ambiguo, indicando o che i corpi si muovono attraverso il vuoto (che non resiste al loro passaggio, cfr. 19.3) o che essi sono mossi dal vuoto come loro causa (ma cfr. 35.1: 214a24-25). 160 P. PELLEGRIN (Aristote, Physique, p. 441) rende invece cosı`: «...disent que la nature c’est de se mouvoir selon un mouvement local», ma questa traduzione, pur possibile, e` esclusa da quanto Simplicio, nel suo commento (cfr. 19.3), dice della concezione che gli atomisti si facevano della natura (physis). 161 Adotto una correzione di H. DIELS («Hermes», 1905, pp. 306-308): peripalavssesqai invece del peripalaivsesqai dei MSS (la correzione e` difesa da D. O’BRIEN, Theories I, pp. 169-171, dove c’e` anche una spiegazione del significato del verbo). 158 159
11
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.D)
non soltanto come primario ma anche come unico, e tutti gli altri {movimenti li assegnano} a quanto deriva dagli elementi; dicono infatti che ‘‘l’accrescersi e il deperire e l’alterarsi’’ e il generarsi e il corrompersi ci sono quando i corpi primi si aggregano e si disaggregano. Se dunque essi attribuirono alle cose prime il movimento attraverso il vuoto, ma il movimento mediante il vuoto e` lo spostamento nel luogo, e` chiaro che essi considerarono questo come il primo fra i movimenti, giacche´ il {movimento} primo e` quello delle cose prime.
19.4. T. Simplicio, In Physica VIII (9, 266a1-5), 1320.16-19 (om. DK; = 333 Lu.): Democrito e i suoi parlavano soltanto del movimento secondo il luogo, giacche´ dicevano che anche le cose che si alterano si muovono secondo il luogo, ma che questo ci sfugge per il fatto che {il corpo} cambia di luogo non come un tutto ma in relazione alle {sue} parti.
3. La riduzione dei processi al movimento operata dagli atomisti 19.5. Aristotele, Categoriae 14, 15a13-19: I tipi di movimento sono sei: generazione, corruzione, crescita, diminuzione, alterazione, cambiamento di luogo. Quanto agli altri movimenti e` chiaro che sono distinti l’uno dall’altro: la generazione non e` corruzione e neppure e` accrescimento o diminuzione, e neppure e` cambiamento di luogo; e allo stesso modo anche gli altri; nel caso invece dell’alterazione si pone la difficolta`, se non sia necessario che cio` che si altera si alteri secondo uno dei rimanenti movimenti.
19.6. T. Simplicio, In Categorias 14 (15a13), 428.14-20 (om. DK e Lu.): Si deve sapere che Democrito, avendo posto come princı`pi degli enti gli atomi, introdusse solo il movimento secondo il luogo. E infatti egli ritenne che anche le cose che si alterano si muovono secondo il luogo, ma che {il fatto} ci sfugge in quanto le parti non cambiano di luogo nel loro insieme, ma {lo cambiano} certune che sono occulte a noi; percio` sembrano muoversi localmente soltanto gli aggregati sensibili che passano da un luogo ad un altro, o per intero o quelli le cui parti sensibili si muovono singolarmente scambiandosi il posto a vicenda, come le parti del semicerchio e della sfera, quando lo spostamento avviene intorno all’asse.
19.7. T. Simplicio, In Categorias 14 (15a13), 431.6-19 e 24-32 (om. DK e Lu.; 24-32 = 288 Us.): Dicendo degli altri mutamenti che essi differiscono l’uno dall’altro in modo evidente afferma [sogg. Aristotele] che intorno all’alterazione c’`e una difficolta`, se non sia mai che cio` che si altera si muova anche per un tutt’altro movimento per il fatto stesso che si altera, cio`e, come dicono alcuni, che esso si muova secondo il luogo. Costoro, seguendo Democrito, sollevano il dubbio anche circa gli altri movimenti, se non si debba riportarli tutti allo spostamento. (11) Ma se coloro che sostengono questo anche consentissero di produrre l’alterazione mediante il cambiamento delle parti, anche a questo modo altro sarebbe il mutamento
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.D)
di luogo delle parti, altro l’alterazione che inerisce al tutto senza un suo cambiare di luogo; e anche circa l’accrescimento allo stesso modo altro sarebbe lo spostamento delle parti, altro il movimento di cio` che si accresce senza passare in alcun dove. Se dunque lo spostamento e` di altre cose,162 e altro e` cio` che si altera e che cresce e che diminuisce, lo spostamento non sara` lo stesso di cotali movimenti. Con maggior ragione c’e` una difficolta` nel caso dell’alterazione, egli dice, per il fatto che l’alterazione tende a seguire gli altri movimenti. [...] (24) Democrito e i suoi e, piu` tardi, Epicuro e i suoi, avendo postulato gli atomi come impassibili e privi di qualita`, {piu` precisamente privi} delle qualit`a oltre alle figure e ad una certa qual composizione, dicono che si generano secondariamente le altre qualita`, sia quelle semplici, come i calori e le lisciezze, sia quelle secondo i colori e i sapori. Ma se queste {qualita`} stanno in una certa composizione di atomi, anche l’alterazione stara` in un mutamento che li [scil. gli atomi] concerne; ma la certa loro composizione e la trasposizione e l’ordine non e` da altro che dallo spostamento e dal movimento locale, sicche´ l’alterazione o e` lo stesso che lo spostamento o e` derivativa da questo e un certo che di questo.163
19.8. A. Sesto, Adversus Mathematicos X, §§ 42-45 (om. DK e Lu.; 291 Us.): (Se esiste il movimento) Eppure alcuni dei fisici, fra i quali c’e` anche Epicuro,164 dissero che il movimento di cambiamento 165 e` una specie di {quello di} transizione, giacche´ l’aggregato che cambia secondo qualit`a cambia in ogni caso secondo movimento locale e di transizione dei corpi contemplabili con la ragione che lo compongono. (43) Per esempio, affinch´e un qualcosa da dolce diventi amaro o da bianco diventi nero, bisogna che le molecole 166 che lo costituiscono mutino di organizzazione e assumano un certo ordine al posto di un altro, ma questo non puo` verificarsi altrimenti che se le molecole si muovono per transizione. E, di nuovo, affinche´ un qualcosa da duro diventi molle o da molle duro, bisogna che le particelle da cui deriva di muovano localmente, (44) giacche´ e` mediante la loro dilatazione che si rammolisce ed e` mediante la loro contrazione e condensazione che s’indurisce. Pertanto il movimento di cambiamento non e` altro, quanto al genere, dal movimento di transizione. Percio` noi solleveremo le aporie soprattutto nei confronti di questo {movimento}, giacche´, una volta eliminato questo, anche il movimento di cambiamento scomparira`.
Cioe` delle parti. Cioe` un certo tipo o specie di questo. 164 Dal seguito, in § 45, dove al nome di Epicuro e ` associato quello di Democrito, e` chiaro che la sua posizione e` ritenuta rappresentativa anche di quella democritea, come e` confermato dall’accostamento fra questi autori in Simplicio, nell’esporre quella che e` palesemente la stessa teoria (cfr. 19.7); del resto Sesto presenta Epicuro solo come uno dei fisici che avevano adottato tale posizione. (Una semplificazione in parte analoga pare esserci nell’attribuire espressamente al solo Diodoro Crono argomenti che erano anche di Zenone, cfr. AM X, 87; PH III, 71.) 165 Il movimento di cambiamento (kivnhsi" metablhtikhv) nel passo precedente (cfr. §§ 37-41) era stato fatto coincidere con l’insieme dei movimenti distinti da Aristotele (cambiamento – si intende qualitativo, cioe` ‘‘alterazione’’ in linguaggio aristotelico –, generazione e corruzione, crescita e diminuzione), ad eccezione di quello locale, col quale viene invece fatto coincidere quello di transizione o di passaggio (kivnhsi" metabatikhv). 166 Le ‘‘molecole’’ (o[gkoi), come nel caso della posizione attribuita ad Asclepiade di Bitinia (supra, 6.2, 6.3, 6.4, ecc.), non sono tenute distinte dagli atomi, come avviene nella chimica moderna, perche´ si tratta sempre di particelle elementari. 162 163
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.E)
(45) Prima tuttavia delle aporie bisogna riconoscere che ci sono tre posizioni principali circa il movimento: (i) alcuni dicono che il movimento esiste, (ii) altri che non esiste, (iii) altri ancora che esiste ‘non piu`’ di quanto non esista. (i) Che esista {lo afferma} la vita, che si attiene ai fenomeni, e {lo affermano} la maggior parte dei naturalisti, come Pitagora e i suoi, e come Empedocle e Anassagora e Democrito insieme ad Epicuro, la cui posizione e` stata sottoscritta anche dai peripatetici e dagli stoici e da tanti altri.167
E. UNO
E MOLTI
1. Il principio che n´e i molti derivano dall’uno n´e l’uno dai molti 20.1. T. Aristotele, De Caelo III 4, 303a3-10 (= 67 A 15; 109 e 292 Lu.): [Di seguito al brano iniziale di 48.4, cui va fatto riferimento per il contesto.] Ma neppure alla maniera in cui parlano alcuni altri,168 cioe` Leucippo e Democrito di Abdera, le conseguenze sono conformi a ragione.169 Dicono infatti che le grandezze prime sono infinite per moltitudine e indivisibili per grandezza, e che non si da` n´e che da un uno si generino molti ne´ che da molti {si generi} un uno, ma che tutte le cose si generano mediante l’intreccio e l’ ‘incrocio’ di queste {grandezze}. In un certo qual modo, in effetti, anche costoro 170 rendono tutti gli enti numeri e derivati da numeri; anche se non lo indicano con chiarezza, questo e` quanto intendono dire. [Segue resto di 48.4.]
20.2. T. Simplicio, In De caelo III (4, 303a3), 609.15-25 (om. DK; 17-24 = 237 Lu.; 25 = 292 Lu.): Essendosi egli [scil. Aristotele] proposto di opporsi a coloro che postulano gli elementi come infiniti per moltitudine ed avendo addotto argomenti contro Anassagora e i suoi, che dichiarano che gli elementi sono infinite omeomerie, si e` rivolto a *Leucippo, a Democrito e ai loro, che dichiarano che gli elementi sono gli «atomi» – {tali, cio`e indivisibili} per via della piccolezza e della compattezza – i quali sono infiniti nel numero e nelle figure. E questi dicevano essere le uniche {cose} continue, perch´e le altre cose, che hanno l’apparenza di 171 essere continue, {in effetti} sono accoste le une alle altre per contatto.172 Per-
167 Nel seguito Sesto attribuisce la seconda posizione a Parmenide, a Melisso e a Diodoro Crono, la terza agli scettici. 168 Si intende, oltre ad Anassagora, la cui teoria era stata discussa e rigettata per la sua ammissione di elementi infiniti di numero. 169 In greco: eu[loga ta; sumbaivnonta. Alfieri, in difformita ` da tutti gli altri traduttori (Prantl, Stocks, Guthrie, Moraux, Longo), rende il passo come segue: ‘‘E invero neppure si debbono considerare razionali gli accidenti, come fanno certi altri ...’’, ma il contesto favorisce la traduzione corrente, e in base alla sua ci si aspetterebbe sumbebhkovta; inoltre l’idea stessa di un accidente irrazionale e` curiosa. 170 A quanto pare, come i Pitagorici, peraltro menzionati solo alla conclusione del cap. 1 dello stesso libro del De caelo. 171 Oppure: che sono ritenute (ta; dokounta); lo stesso nel seguito circa la sezione (tomhv). = 172 Piu ` esattamente questo dovrebbe essere detto dei loro costituenti od elementi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.E)
cio` eliminarono anche la sezione, dicendo che quella che appare essere sezione e` {in effetti} la separazione delle cose in contatto, e per questo motivo dichiararono che ne´ da un uno si generano molti – giacch´e l’atomo non si divide – ne´ da molti {si genera} un uno veramente continuo, ma e` mediante l’intreccio degli atomi che ciascuna cosa sembra generarsi come una. L’intreccio {degli atomi} gli Abderiti, come Democrito, lo chiamarono «incrocio». [Seguito non immediato come 21.3.]
20.3. T. Aristotele, Metaphysica VII (Z) 13, 1039a3-14 (a9-11 = 68 A 42; 211 Lu.): [In polemica con la separazione degli universali da parte dei platonici: fra le sue conseguenze negative c’e` il trattare gli universali come sostanze che sono presenti in atto negli individui che qualificano ma che, aristotelicamente, sono essi stessi sostanze.] Ancora, {l’assurdit`a della posizione criticata} e` evidente anche a questo modo: e` impossibile che una sostanza risulti da sostanze presenti in essa in atto. Infatti due cose che siano in atto a questo modo non {saranno} mai una in atto, ma soltanto se sono due allo stato di potenza saranno una (per esempio, la retta doppia risulta da due semirette, {che sono retta} allo stato di potenza; l’atto infatti separa),173 sicche´, se una sostanza e` {qualcosa di} uno, non lo sara` a partire da sostanze presenti in essa *anche a questo modo, che Democrito enuncia giustamente. Dice infatti che e` impossibile che si generino da due uno e da uno due: sono appunto le grandezze indivisibili che egli rende le {sue} sostanze.* E` evidente, allora, che lo stesso varr`a anche nel caso del numero, se il numero e` una composizione di unita`, come si ammette da parte di alcuni: o il {numero} due non e` un’unit`a o l’unit`a non e` presente in atto nel due.
20.4. T. Ps.-Alessandro, In Metaphysica VII (13, 1038b1 sgg.), 526.13-16 (om. DK; = 211 Lu.): 174 Come infatti Democrito disse che e` impossibile che da due atomi se ne generi uno (li postulo` infatti come impassibili) oppure che da uno {se ne generino} due (dichiaro` infatti che sono inscindibili), allo stesso modo noi sosteniamo che e` impossibile che da due sostanze che sono in atto si generi una sola sostanza, ma {cio` e` possibile} solo da {quelle che lo sono} potenzialmente.
2. Epicuro sui composti 20.5. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX, §§ 335 e 338 (om. Us.): (Sull’intero e sulla parte) Una piccola divergenza e` sorta {oltre che sull’intero} anche circa la parte. Epicuro riteneva che la parte risulta essere ‘altra’ dall’intero, come l’atomo {risulta essere ‘altro’} dal-
173 Cioe ` , come costituenti della retta (che viene detta ‘‘doppia’’ solo perche´ risulta da due meta`), le meta` esistono solo potenzialmente; se fossero in atto sarebbero due rette distinte. ` una testimonianza probabilmente non attendibile, perche´ il passo dello ps.-Alessandro, a 174 E differenza degli altri (cui vanno aggiunti 7.1 [295.11-14] e 15.1 [325a32-36]), applica il principio esclusivamente al rapporto fra gli atomi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.F)
l’aggregato, dal momento che quello e` privo di qualita`, mentre l’aggregato e` qualificato, essendo o bianco o nero o, in genere, colorato, ed essendo caldo o freddo o dotato di una qualche altra qualita`. [...] Se dunque c’e` qualcosa che e` intero, per esempio uomo, cavallo, pianta, nave (questi infatti sono nomi di interi), esso o e` qualcosa di altro dalle sue parti ed e` concepito secondo una propria realt`a e sostanza, o l’insieme delle parti e` detto risultare essere l’intero.
F. CONTINUITA`
E CONTATTO
1. La posizione di Aristotele 21.1. Aristotele, Physica VI 1, 231a21-b12 e b15-18 (scelta piu` ampia in 283 Lu.): 175 Se ci sono la continuita` e il contatto e la consecuzione, cosı` come li abbiamo definiti in precedenza 176 (continue sono le cose i cui limiti coincidono,177 a contatto sono le cose i cui {limiti} sono insieme, in consecuzione sono le cose fra le quali non c’e` niente di congenere in mezzo), e` impossibile che qualcosa di continuo risulti da indivisibili, per esempio {e` impossibile} che una linea risulti da punti, dal momento che la linea e` continua e il punto e` indivisibile. Infatti, i limiti dei punti non coincidono, giacche´ dell’indivisibile non c’e` un limite che sia {una parte} diversa da qualche altra sua parte, e neppure i {loro} limiti sono insieme, giacche´ non c’e` alcun limite di cio` che e` privo di parti: il limite e cio` di cui e` il limite sono differenti. (29) Inoltre, e` necessario che i punti, dai quali risulta il continuo, o siano continui o siano a contatto l’un con l’altro, e lo stesso discorso vale per tutti gli indivisibili. Essi non potrebbero essere continui per il discorso {appena} fatto; quanto all’entrare in contatto, in ciascun caso, o e` il tutto {che entra in contatto} con il tutto o la parte con la parte o la parte con il tutto; ma, dal momento che l’indivisibile e` privo di parti, e` necessario che a toccarsi sia il tutto con il tutto, ma il tutto a contatto col tutto non sara` un continuo, perche´ il continuo si ha quando una parte e` distinta dall’altra ed esso si divide in {parti} differenti a questo modo e separate nel luogo. (b6) Ma neppure c’e` consecuzione fra punto e punto o fra istante e istante, in modo che da questi risulti la lunghezza [cioe` la grandezza lineare] o il tempo. Sono consecutive infatti le cose fra le quali non c’e` niente di congenere in mezzo, ma fra dei punti c’e` sempre di mezzo una linea e fra degli istanti {c’e` di mezzo del} tempo. Inoltre sarebbe divisibile in indivisibili, dal momento che cio` da cui ciascuna cosa risulta e` anche cio` in cui essa si divide, ma nessun continuo e` divisibile in cose senza parti. [...] E` chiaro anche che ogni continuo e` divisibile in sempre divisibili, giacche´, se lo fosse in indivisibili, ci sarebbe un indivisibile a contatto con un indivisibile: essendo una l’estremit`a, ci sarebbe pure contatto fra continui.
175 176 177
Per il commento di Simplicio al passo iniziale cfr. 22.1. Il riferimento e` alla trattazione del libro V, specialm. al cap. 3. Letteralmente: sono uno.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.F)
2. Nella prospettiva aristotelica i composti di atomi non sono dotati di continuit`a 21.2. T. Simplicio, In De caelo III (8, 306b22-29), 659.13-28 (om. DK; 13-16, 18, 21 = 131 Lu.): [Il cap. commentato da Simplicio contiene una serie di critiche rivolte principalmente contro l’analisi platonica dei quattro elementi in figure geometriche, ma estese talvolta a quella democritea in atomi. Il tenore della critica aristotelica risulta dall’esposizione di Simplicio. Il passo aristotelico che segue quello commentato e` riportato come 69.3.] Ottavo {punto}, questo, che e` in comune nei confronti di coloro che producono, mediante la composizione delle grandezze – siano esse gli atomi, come sostengono Democrito e i suoi, siano esse le superfici, come {sostiene} il Timeo –, la generazione reciproca dei corpi, e che mostra che essi anche 178 eliminano del tutto la generazione. Com’e` possibile, infatti, egli [scil. Aristotele] dice, che si generi la carne o l’osso o qualsiasi altro dei corpi continui, se non puo` generarsi ne´ dagli elementi ne´ dalle superfici. (Con elementi intende, nel caso di Democrito, gli atomi, nel caso del Timeo, i quattro solidi 179 primari, cioe` la piramide, il cubo e i rimanenti.) (20) Se infatti dalla composizione di questi elementi messi insieme secondo contatto non si genera {un} continuo, ma i corpi sono continui, i corpi non saranno generati dalla composizione degli elementi. (La riduzione e` nella seconda figura.) Ancora, dice Alessandro, nel contatto reciproco non riempiono il luogo gli elementi – ne´ gli atomi ne´ tutte le figure –, ma di necessita` il {luogo} di mezzo e` vuoto, come si e` detto in precedenza. Ma questo, {cioe`} l’esserci del vuoto, non e` ritenuto assurdo da Democrito e i suoi, quello, {cio`e} il non generarsi un composto continuo, e` una conseguenza {logica} sia per costoro che per gli altri.
3. L’analogia degli atomi coi numeri (intesi come unit`a discrete) ovvero con entit`a matematiche 21.3. E. Simplicio, In De caelo III (4, 303a8-10 [= 20.1]), 610.3-11: [Seguito non immediato di 20.2.] Egli [scil. Aristotele] dice che gli atomi in un certo qual modo sono numeri, per il fatto che gli atomi sono simili alle unit`a, e perche´ non si lasciano dividere come neppure le unita` {si lasciano dividere}, e perch´e niente derivante da atomi separati dal vuoto diventa qualcosa di continuo, come neppure se deriva da unita`: anche quelle infatti i Pitagorici asseriscono essere distinte dal vuoto. Viene aggiunta {la precisazione} ‘in un certo qual modo’, in quanto c’`e anche una certa differenza fra le assurdita` risultanti per coloro che generano {le cose} dagli atomi e {quelle risultanti} per coloro che {le generano} dai numeri. Infatti generare i corpi da parti non corporee presenta l’assurdita` che consegue per coloro che affermano la derivazione da numeri, mentre {a questa} si sottraggono quelli che le generano a partire dagli atomi.
178 Si intende: oltre a produrre (meglio: pretendere di produrre) la generazione, anche la eliminano, e del tutto. 179 Letteralmente: corpi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.F)
21.4. A. Aristotele, Metaphysica XIII (M) 8, 1084b23-28 (om. DK; = 120 Lu.): [Passo di critica alla dottrina platonica dei princı`pi.] La causa dell’errore in cui sono caduti [scil. i platonici] 180 e` che hanno indagato ad un tempo a partire dalle cose matematiche e dai concetti universali, sicche´, a partire da quelle, posero l’uno e il principio come punto – infatti l’unita` e` un punto senza posizione; anche costoro dunque, come lo hanno fatto altri,181 hanno costituito gli enti dal minimo ...
21.4.1. T. Ps.-Alessandro, In Metaphysica XIII (8, 1084b23 sgg.), 775.28-31 (om. DK = 120 Lu.): Al modo dunque in cui, egli [scil. Aristotele] dice, Democrito e i suoi hanno costituito le cose a partire da corpi minimi ed indivisibili, allo stesso modo anche costoro {le hanno costituite} a partire dalla unita` impartibile e dalla diade indefinita ovvero dal punto e dalla moltitudine.
4. La questione del contatto (in relazione all’agire e al patire) 21.5. T. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325a32 [= 15.1]), 158.26-159.3 (alcuni brani = 67 A 7; 236 Lu.): («Agiscono poi e subiscono {le operazioni altrui} laddove capita ad esse di entrare in contatto.») Vale a dire: mediante il vuoto, perche´ e` mediante questo che entrano in contatto reciproco. In effetti, Democrito, nel dire che gli atomi entrano in contatto reciprocamente, non parlava di contatto in senso stretto, {cioe` di} quello che avviene quando le superfici delle cose in contatto si sovrappongono 182 l’una all’altra; ma e` l’essere gli atomi prossimi gli uni agli altri e il distare non di molto che egli chiama «contatto», giacche´ in ogni caso essi sono separati dal vuoto.
5. Necessit`a di indivisibili per l’agire e il patire (contro Empedocle) 21.6. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b5 [= 15.1]), 159.16-26 (om. DK e Lu.): L’opinione di Empedocle si riduce, egli [scil. Aristotele] dice, a quella democritea, in quanto in base alle assunzioni che fa Empedocle e` lui stesso obbligato ad introdurre corpi indivisibili. Se infatti si postula l’agire e il patire mediante pori, e` del tutto necessario, per il fatto che cio` che agisce penetra nei pori, che i corpi che circondano i pori siano impassibili ed indivisibili, giacche´, se patissero, dal momento che l’agire e il patire egli dice verificarsi non altrimenti che mediante pori, e` necessario che anche quelli abbiano pori, e di nuovo {che li abbiano} i corpi che circondano quei pori, sicche´, o tutto e` poro, oppure, se questo e` impossibile, e` necessario che ci siano alcuni corpi ultimi impassibili ed indivisibili. E que-
180 181 182
Nell’ammettere che l’uno e` principio sia come universale che come elemento. Presumibilmente gli atomisti, come ammettono i commentatori, cfr. 21.4.1. Ovvero: si adattano, cioe` combaciano completamente.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
sto e` proprio quanto disse anche Democrito, sicch´e Empedocle sara` obbligato a dire le stesse cose di Democrito e di Leucippo per quanto a partire da assunzioni {a lui} proprie.
21.7. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b6 [= 15.1]), 160.3-11 (160.10 = 67 A 7; 236 Lu.): Egli [scil. Aristotele] dice che per Empedocle e` necessario affermare che ci sono certe cose solide ed indivisibili, per evitare che i pori del corpo siano dappertutto continui. Questo sarebbe impossibile, perche´ il corpo tutto sarebbe «poro» e vuoto; sicch´e, se cio` e` assurdo, e` necessario che le parti del corpo che entrano in contatto siano dei solidi indivisibili, e che gli interstizi fra di essi, che Empedocle chiamo` pori, siano vuoti. Gli stessi postulati sono ammessi da Leucippo e i suoi: gli atomi entrano in contatto reciprocamente, ma sono divisi dal vuoto, mediante cui si verifica l’agire e il patire, eccetto che Leucippo e i suoi non parlarono di contatto in senso stretto, come si e` detto in precedenza.183
G. LA
QUESTIONE DELL ’INDIVISIBILIT A` DEGLI ATOMI
1. Affermazione dell’esistenza di grandezze corporee indivisibili e sue possibili giustificazioni 22.1. T. Simplicio, In Physica VI (1, 231a21-29 [= 21.1]), 925.10-22 (= 67 A 13; 113 Lu.; 268 Us.): [Nel parlare delle parti da cui sono costituite le grandezze alcuni escludono che esse siano indivisibili perch´e ammettono la divisione all’infinito, altri adottano la posizione opposta.] Quelli che hanno rigettato la sezione all’infinito perche´ noi non siamo in grado di dividere all’infinito e di ricavare da questo fatto [scil. dal dividere all’infinito] la prova che la divisione e` qualcosa di incessante, dissero che i corpi sono costituiti da indivisibili e che si dividono in indivisibili. Eccetto che Leucippo e Democrito ritengono che causa del non essere divisi per i corpi primi sia non soltanto l’impassibilita` ma anche la {loro} piccolezza e mancanza di parti; Epicuro invece piu` tardi non {li} giudica privi di parti e dice che e` per via dell’impassibilita` che essi sono «atomi» [scil. indivisibili]. (17) E Aristotele confuto` in piu` occasioni la teoria di Leucippo e di Democrito, ed e` possibilmente per via di quelle confutazioni concernenti la mancanza di parti {da lui} avanzate che Epicuro, venuto dopo e trovandosi in simpatia con la teoria di Leucippo e di Democrito circa i corpi primi, conservo` {la tesi} che essi sono impassibili, ma abbandono` {quella del}la loro mancanza di parti, ritenendo che era per via di essa che coloro erano stati confutati da Aristotele.
22.1.1. Epicuro, Epistula ad Herodotum, §§ 58.1-5, 7-11; 59.1-8: Quanto al minimo che appartiene all’ambito della sensazione, si deve riconoscere che esso ne´ e` tale e quale cio` che ha un’estensione percorribile ne´ del tutto e in assoluto dis-
183
Presumibilmente riferimento al passo riportato come 21.5, dove viene fatto il nome di De-
mocrito.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
simile da esso: ha una certa comunanza con cio` che e` percorribile, e tuttavia non presenta una distinzione in parti [...]. Noi contempliamo questi [scil. i minimi] in successione [...], ma non come in contatto {reciproco} mediante loro parti, ma come entit`a che, per via del loro carattere peculiare, misurano le grandezze – i piu` {numerosi} le piu` {grandi}, i meno {numerosi} le meno {grandi}. Il minimo che e` nell’atomo va inteso come essente nello stesso rapporto: 184 com’`e chiaro, esso differisce per piccolezza da quello che e` contemplato con la sensazione, e tuttavia e` il suo analogo. (59) Dal momento infatti che l’atomo ha una certa grandezza, abbiamo predicato questo [scil. la grandezza di esso] in modo analogo {alle cose sensibili}, semplicemente portando la sua piccolezza a valori minimi. Inoltre, mediante una contemplazione intellettuale riguardante gli invisibili, dobbiamo considerare i minimi e i limiti impartibili 185 come le {lunghezze} prime che forniscono la misura delle lunghezze per {gli atomi} maggiori e minori.186
22.2. T. Simplicio, In Physica I (2, 185b5 sgg.), 81.34-82.6 (om. DK; = 212 Lu.): [Di commento alla critica rivolta da Aristotele agli Eleati per la loro tesi che l’essere e` uno, laddove viene prospettato che ‘uno’ vada inteso nel senso di ‘indivisibile’.] Se {per gli Eleati} l’essere e` uno in questo modo, cioe` come indivisibile, dal momento che «indivisibile» ha piu` sensi, esso (i) o e` cio` che non e` stato ancora diviso, ma e` capace di essere diviso, come {lo e`} ciascuno dei continua, (ii) o e` cio` che per sua natura e` del tutto indivisibile per il fatto di non possedere parti in cui puo` essere diviso, come il punto {in geometria} o l’unita` {in aritmetica}, (iii) o e` {cio` che, pur essendo divisibile} per il fatto di avere parti e grandezza, {e` indivisibile perche´ e` } impassibile per via della sua solidita` e compattezza,187 come {lo e`} ciascuno degli atomi di Democrito. (82.3) Se l’essere e` uno nel senso del continuo, di nuovo sara` una pluralit`a, ma se e` {uno} come {lo e`} un atomo, sarebbe in primo luogo assurdo e inamissibile dire che il tutto e` un unico atomo, in secondo luogo anch’esso [scil. l’atomo] e` qualcosa di continuo e divisibile all’infinito e pertanto potenzialmente una pluralita`.
22.3. Lucrezio, De rerum natura I, vv. 524-539: [Vuoto e corpo si escludono reciprocamente, ma debbono sussistere entrambi. Cfr. anche 29.7.] Dunque il corpo e il vuoto si inframezzano | alternandosi, giacche´ non esiste n´e pieno in modo completo | n´e d’altra parte solo vuoto. Ci sono pertanto corpi determinati 188 | che possono interrompere lo spazio vuoto col pieno. | Questi non possono dissolversi {in quanto} percossi da urti {provenienti} dall’esterno | ne´ disfarsi {in quanto} penetrati 184 Si intende: con l’atomo stesso (ha lo stesso rapporto con esso che il minimo sensibile ha con la grandezza di cui fa parte). 185 Adotto una correzione del testo proposta da von Arnim (ajmerh per ajmigh). = = 186 Cioe ` a seconda della loro grandezza. 187 Questa e ` associata all’assenza di vuoto da Simplicio, In De caelo, 242.19-20 (= 65.2). 188 Forse certa significa piuttosto ‘‘saldi’’, ‘‘sicuri’’ (cosı` Canali nella sua trad.), ma puo ` esserci un’ambiguita` voluta.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
fino al loro intimo | n´e in altro modo assaliti andare in rovina; | cio` che ti ho gi`a dimostrato poco fa. |532| E` evidente che senza il vuoto nulla puo` subire collisione | o essere infranto o fendersi essendo secato per due, | ne´ assorbire umidita` ne´ penetrante freddo | ne´ corrosivo fuoco, dai quali ogni cosa e` distrutta. | E quanto piu` vuoto racchiude al suo interno una cosa | tanto piu`, assalita da tali fattori, va in rovina. | Dunque se i corpi primi sono solidi e senza vuoto, | come ho dimostrato, di necessita` sono anche eterni.
22.4. T e E. Filopono, In De anima II (8, 420a23 sgg.), 371.10-33 (om. DK e Lu.): [Il passo aristotelico commentato riguarda il suono come movimento che si produce quando qualcosa e` colpito, con l’introduzione di precisazioni riguardo alla natura degli oggetti che producono il suono.] ... aggiunse [sogg. Aristotele] non solo che debbono essere due e solidi e lievi quelli [scil.fra i corpi] che producono il suono, ma anche che essi {debbono} avere grandezza proporzionata e figura di un certo tipo. Se infatti le grandezze fossero estremamente piccole, come lo sono gli aghi, intercetterebbero un minimo di aria, sicche´ il suono non sarebbe percepibile. Ma come nella Fisica egli disse che la forma trova inizio da una grandezza definita, la` dove si sforza, contro Democrito,189 di demolire {la tesi che} ci sono corpi indivisibili (e` infatti potenzialmente che, egli dice, le grandezze in quanto grandezze sono divisibili all’infinito, giacche´ e` possibile dividere sempre intellettualmente il dato per quanto esso presenta la sua {stessa} propria natura,190 e quello {e` possibile dividerlo} in altro, e questo {procedimento va} all’infinito; (19) in quanto pero` esso e` qualcosa che ha una certa forma, per esempio {la forma} della carne o del nervo o di qualcosa del genere, esso non accoglie la divisione all’infinito neppure in potenza, ma e` necessario prendere alcune parti ultime come indivisibili, sicch´e cio` che ne risulta non si lascia piu` dividere in altro simile ad esso; per esempio e` possibile secare la carne in parti che conservano la forma della carne, e quelle in altre che di nuovo conservano la stessa forma, ma non e` possibile fare questo all’infinito, ma ci si ferma ogni volta a qualche grandezza, la quale, se la si seca, non conserva piu` la forma della carne per la sua forte piccolezza. (26) Come in effetti vado dicendo, le forme, come hanno bisogno di una mescolanza che sia tale da {permetter loro di} sussistere, cosı` hanno bisogno anche di un certa tal grandezza, e come non e` possibile che si generi un uomo o un cavallo grande un dito,191 ma ci deve essere una grandezza commensurata per questi, allo stesso modo le parti dell’animale, sia quelle organiche 192 che quelle omogenee,193 e in genere ogni forma, debbono per loro natura generarsi con una certa grandezza definita); dunque, come le cose stanno cosı` in queste casi, allo stesso modo anche nel caso dei suoni non ogni grandezza che colpisce e che e` colpita produce suono, per esempio gli aghi, ma questi {corpi} debbono avere una grandezza proporzionata.
189 L’unico passo pertinente dell’opera (come nota M. HAYDUCK , In Aristotelis De anima libros Commentaria, Berlin 1897, apparato ad loc.) e` I 4, 187b13 sgg., ma esso riguarda solo Anassagora. Peraltro Filopono In Phys. III 5, 409.7 (= 158 Lu.) presenta questa parte come contenente ‘discorsi contro Anassagora e Democrito’. 190 Cioe ` rispetto ad una stessa natura ovvero considerandolo come corpo omogeneo. 191 Che un animale debba avere una grandezza ad esso appropriata viene detto da Aristotele non solo in Phys. I 4, 187b13 sgg., ma anche altrove, per esempio in Poetica 7. 192 Cioe ` consistenti in organi del corpo dell’animale. 193 Quelle (come la carne) per le quali sono stati offerti esempi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
22.5. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 326a24-29 (om. DK e Lu.): [Il passo, di seguito a 51.3, e` presumibilmente in polemica con gli atomisti.] Inoltre e` cosa assurda l’esserci degli indivisibili che sono piccoli, ma non {degli indivisibili} che sono grandi. Invero e` ragionevole {ritenere} che {i corpi} piu` grandi siano piu` frangibili di quelli piccoli, giacche´ gli uni – intendo dire, quelli grandi – si dissolvono facilmente in quanto si urtano con molti {altri corpi}. Ma perche´ l’indivisibilita`, in generale, appartiene ai {corpi} piccoli piuttosto che ai grandi? [Seguito come 62.5]
22.6. T. Scolio ad Euclide, Elementa X 1 (= 68 A 48a; 107 Lu.): [Si tratta dello scolio 26, di commento alla proposizione 1, che richiede che si possa andare avanti all’infinito nel sottrarre grandezze ad una grandezza data.] Che non esista una grandezza minima, come sostengono {che ci sia} i Democritei, si mostra anche mediante questo teorema, se {`e vero che, com’e` vero} per ogni grandezza data e` possibile prendere una inferiore.
22.7. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 16, 2 (come Aezio I 16, 2 = 68 A 48; 106 Lu.): (Sulla sezione dei corpi) Coloro {che introducono} gli atomi {affermano che} la sezione si ferma agli impartibili e che {essa} non e` all’infinito.
22.7.1. V. Stobeo, Eclogae I 14, 1g (di seguito a 64.6) [con 22.7 = Aezio I 16, 2 (Dox. 315)]: (Sui corpi e sulla loro sezione e sul minimo) Egli stesso 194 disse che la sezione si ferma agli impartibili.
2. Un preteso riferimento agli atomisti 23.1. Aristotele, Physica I 3, 187a1-3 (om. DK; = 105a Lu.): [Osservazione verso la conclusione di una confutazione degli argomenti che si lasciano addurre a favore del monismo eleatico:] Alcuni cedettero ad entrambi gli argomenti, {cio`e} a quello che tutte le cose sono una, se l’essere ha un unico significato,195 perch´e {affermano che} il non-essere esiste, e a quello a partire dalla dicotomia, con la postulazione di grandezze indivisibili.
23.2. Filopono, In Physica I (3, 187a1), 81.17-29, 83.19-22 e 28-31: A questi argomenti, egli [scil. Aristotele] dice, cedettero quelli prima di noi, {intendendo} l’argomento di Parmenide e quello di Zenone. Essi cedettero, egli dice, per il fatto
194 Si intende: Democrito (cfr. 64.6 per la sua menzione espressa). Notare, riguardo ai temi definiti nel titolo del cap. in Stobeo, che 64.6 si occupa dei corpi, il passo presente, senza alcuno stacco, della loro sezione. 195 Letteralmente: se l’essere significa uno. (Lo stesso in 23.2.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
che essi si opposero troppo debolmente agli argomenti; si opposero troppo debolmente perche´ essi combattevano la conclusione accettando le premesse, non avendo la forza di risolvere gli argomenti, essendosi rivolti alla conclusione {soltanto}. Che infatti l’essere abbia un unico significato e che la contradditoria {di questa proposizione} non sia contemporaneamente vera, essi lo ammisero, ma non consentirono con quanto ne segue, cioe` che l’essere sia uno, senza risolvere 196 gli argomenti, elaborando di contro un argomento che porta ad un’altra aporia. (25) Alessandro e Temistio dicono che con questo egli allude a Platone, perche´, dicono, Platone, avendo assunto nel Sofista che esiste il non-essere universale, che sfugge alla natura dell’essere, elimina la {proposizione che} tutte le cose sono una esprimendosi a questo modo: ‘se l’essere tutto e` uno, non ci sara` il non-essere; ma c’e` il non-essere, dunque non tutto l’essere e` uno’. (19) Nei confronti dunque degli argomenti di Parmenide a questo modo, nei confronti di quelli di Zenone dicono che Senocrate si era opposto ammettendo che la divisione delle grandezze non e` all’infinito, giacch´e la linea, una volta che e` stata divisa, termina in linee indivisibili. (28) (‘‘Alcuni cedettero ad entrambi gli argomenti.’’) Con entrambi egli intende quelli di Parmenide e del suo discepolo Zenone. A quelli del maestro {cedette} il maestro Platone, a quelli del discepolo Zenone il discepolo di Platone Senocrate.
3. Un argomento a favore dell’atomismo nell’esposizione di Aristotele a) La questione ovvero contesto dell’esposizione 24.1. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 315b15-32 [di seguito a 50.2] (om. DK; 315b15-28 = 337 Lu.; 315b28 sgg. = 101 Lu.): Dal momento che praticamente a tutti pare che la generazione e l’alterazione siano diverse, e che {le cose} si generano e si corrompono nell’aggregarsi e disaggregarsi, mentre si alterano col mutarsi delle affezioni, bisogna fermarsi ad esaminare questi punti. Queste {proposizioni} comportano difficolta` numerose e ben fondate. Se infatti la generazione e` aggregazione, seguono molte impossibilita`. Ci sono pero` anche degli argomenti, non facili da risolvere, che forzano {ad ammettere} che non puo` essere altrimenti. Se la generazione non e` aggregazione, o la generazione non c’e` affatto oppure e` alterazione, oppure {ancora} anche questo e` un punto che bisogna tentare di risolvere pur essendo difficile.197 (24) L’inizio di tutte queste {difficolta`} e` se e` a questo modo che gli enti si generano e si alterano e si accrescono e si trovano nelle condizioni contrarie a queste,198 {cioe`} perche´ sussistono delle grandezze prime indivisibili, oppure non c’e` nessuna grandezza indivisibile. Questo fa grandissima differenza. E di nuovo, se ci sono le grandezze {indivisibili}, {si pone la questione} se queste sono dei corpi, come {dicono} Democrito e Leucippo, oppure, come {viene detto} nel Timeo, delle superfici. Ma questa {ultima proposta}, cioe` con-
196 Come prima: in questo caso viene usato il composto ajnaluvw anziche ´ il verbo semplice, ma evidentemente nello stesso senso, rispondente all’idea di analisi o di soluzione. 197 Il senso di quest’ultimo periodo deve essere quello suggerito da H.H. JOACHIM , Aristotle’s On Coming-to-be and Passing-away, Oxford 1922, nel suo commento al passo (e anche nella sua traduzione): se si insiste ad ammettere che la generazione non e` aggregazione, bisogna cercare una via di uscita al dilemma appena prospettato, per quanto difficile cio` sia. 198 Letteralm.; patiscono contrari a queste {cose} (cioe ` periscono, decrescono, ecc.).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
durre la risoluzione fino alle superfici {e non oltre}, e` essa stessa irrazionale, come abbiamo detto altrove.199 [Seguito in 50.5]
24.2. E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b24), 24.21-25.6: L’inizio dell’indagine proposta, egli dice, {cioe`} di quella se la generazione e` aggregazione oppure no, {sta nel}l’accertare se e` possibile che ci siano corpi indivisibili. Se infatti ci sono tali corpi, che sono indivisibili e impassibili, e` necessario che la generazione sia mediante l’aggregazione; se pero` non e` possibile postulare corpi indivisibili, viene eliminata la necessita` che la generazione sia secondo aggregazione, ma non si introduce l’impossibilita` che le cose stiano a questo modo. (26) Infatti, se ci sono gli atomi, di necessita` la generazione e` secondo aggregazione, ma se gli atomi non ci sono l’aggregazione non e` del tutto eliminata, perche´ e` possibile che, pur non essendo indivisibili {gli} elementi, la generazione sia secondo l’aggregazione, come mostra l’opinione di Empedocle. Dunque, se i corpi indivisibili non ci sono, si elimina soltanto la necessit`a che la generazione sia secondo aggregazione, ma eliminata la necessit`a avr`a spazio la {tesi} piu` plausibile. (2) Dal momento dunque che dalla postulazione degli atomi segue che la generazione e` secondo aggregazione, ma dall’eliminazione degli atomi non segue l’eliminazione della generazione secondo aggregazione, egli [scil. Aristotele] fa uso plausibilmente del «grandissima» e non del «completa» nel parlare della differenza che c’e` in relazione alla ricerca proposta circa gli atomi.
24.3. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 316a5-14 [di seguito a 50.5] (om. DK, salvo 13-14 [= 68 A 48b]; = 101 Lu.): La causa della capacit`a ridotta a cogliere quanto ha il consenso {generale} e` l’inesperienza. Percio` coloro che hanno una maggiore familiarit`a con le cose fisiche sono piu` in grado di postulare princı`pi tali da aver maggior capacit`a nel collegare {i dati}; mentre coloro che, a partire da molti concetti, non sono attenti ai dati, guardando a pochi di essi, si pronunciano troppo facilmente. Anche da questo si puo` vedere quanto differiscono coloro che indagano fisicamente da coloro che indagano ‘in modo logico’: nel caso dell’esistenza di grandezze indivisibili gli uni affermano che 200 {altrimenti} il triangolo-in-se´ sar`a molti, invece Democrito parebbe avere prestato ascolto ad argomentazioni piu` proprie alla fisica. Quanto diciamo diverra` chiaro procedendo.
b) L’esposizione 24.4. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 316a14-b16 [di seguito a 24.3] (= 68 A 48b; 105 Lu.): 201 (A) C’e` in effetti una difficolta` ad ammettere che esiste un corpo e una grandezza che Il riferimento pare essere al De caelo, specialm. III 1, 299a2 sgg. Oppure: gli uni le affermano perche´ (o{ti) ... (Il riferimento e` al procedimento di Platone, cfr. supra, 1.4, con n. 3, 1.5 e 15.1, con n. 130.) 201 In questo passo sono collocate fra parentesi tonde alcune indicazioni (mediante lettere, ecc.) per suddividere l’esposizione, mentre le indicazioni relative alle pagine e righe dell’edizione Bekker sono collocate fra parentesi quadre (in difformita` dal procedimento adottato per gli altri passi aristotelici). Notare che (a) indica il caso della divisione in punti o della composizione da essi, (b) quello in contatti o da essi, (g) quello in niente o da niente, (d) quello in qualcosa di corporeo o da esso. 199 200
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
sia divisibile dappertutto,202 e che questo sia possibile: che cosa restera` che sfugga alla divisione? (i) Se infatti {il corpo} e` divisibile dappertutto, e questo 203 e` possibile, esso potrebbe anche essere diviso dappertutto nello stesso tempo, anche se non fosse {effettivamente} stato diviso 204 nello stesso tempo. Anche se questo si verificasse, non ci sarebbe niente di impossibile.205 (ii) E` allo stesso modo anche {se la divisione fosse} per meta`, e in generale {e` vero che}, se {un corpo} e` per sua natura divisibile dappertutto, qualora sia {effettivamente} diviso, non si verifichera` niente di impossibile – dal momento che neppure se fosse diviso mille volte per mille {parti}, ci sarebbe niente di impossibile, anche se forse nessuno potrebbe dividerlo {per davvero a questo modo}. [a23] (B)(i) Dal momento dunque che il corpo e` dappertutto di tal fatta,206 {supponiamo che} sia stato diviso! Che cosa sara` rimasto? una grandezza? Non e` possibile,207 perche´ ci sarebbe allora qualcosa di non diviso, mentre esso {si era assunto} e` divisibile dappertutto. Ma se non ci sara` {come risultato della divisione} ne´ corpo ne´ grandezza, ma ci sara` la divisione, {il corpo} (a) o sara` dato da punti, e saranno prive di grandezza le cose da cui e` composto, (g) oppure {cio` da cui e` composto} non sar`a niente del tutto, sicche´ esso si genererebbe dal nulla e ne sarebbe composto, e il tutto non {sarebbe} nient’altro che apparenza. [a29] Allo stesso modo, anche se (a) {il corpo} fosse composto da punti, non sara` dotato di una quantita`. Ogni volta infatti che essi entrassero in contatto e fossero un’unica grandezza e fossero insieme, per niente renderebbero il tutto piu` grande. Infatti, anche se fosse stato diviso per due o per piu` {parti}, il tutto non sarebbe in niente piu` piccolo o piu` grande di prima, sicch´e, anche se tutti {i punti} fossero messi insieme, non produrrebbero alcuna grandezza. (ii) E anche se, con la divisione del corpo, (d) si generasse qualcosa come una segatura, e a questo modo dalla grandezza si distaccasse qualcosa che ha del corpo,208 il discorso sarebbe lo stesso: com’`e che quello sarebbe divisibile? 209 [b2] (iii) E se non fosse corpo cio` che si e` distaccato ma una certa forma separata o un’affezione, e la grandezza fosse (a) punti o (b) contatti modificati dall’affezione, c’e` l’assurdo che da non grandezze risulti una grandezza. Ancora, dove saranno quei punti, e saranno immobili o mobili? Il contatto e` sempre uno fra due cose, in quanto, oltre al contatto e alla divisione e al punto, c’e` qualche cosa {d’altro, cio`e i due corpi}. Se dunque uno supporr`a che un qualsiasi corpo, di qualsiasi dimensione, sia divisibile dappertutto, tutte queste sono le conseguenze! [b9] [Ancora, se una volta diviso il legno o qualcos’altro {del
Probabilmente anche: in ogni senso (pavnth/) – lo stesso nel seguito. Presumibilmente: che sia diviso di fatto (il greco diairetovn ha entrambi i sensi). 204 Cioe ` (presumibilmente): sottoposto a tutte le divisioni possibili. (La traduzione e` a senso, perche´ il verbo e` all’indicativo. Si veda quanto osserva al proposito D. SEDLEY, On Generation and Corruption I 2, in Aristotle: ‘‘On Generation and Corruption’’, Book I, Oxford 2005, p. 68, n. 7). 205 C’e ` un richiamo al precedente ‘‘questo e` possibile’’ (cfr. n. 203). Alfieri, seguito da Luria, intende: ‘‘nessuna divisione sarebbe impossibile’’, ma il sostantivo diaivresi" non e` stato usato fin qui (mentre viene usato nel seguito senza difficolta`). 206 Cioe ` : divisibile. 207 Si puo ` anche rendere quanto precede a questo modo (seguendo un’indicazione di Sedley, in art. cit., p. 69 e n. 10): ‘‘Che grandezza sara` rimasta? Non ci puo` esserne una ...’’. 208 Piu ` letteralmente: un qualche corpo (questo e` presumibilmente il soggetto della domanda che segue immediatamente). 209 Sedley (in art. cit., p. 70) elimina l’interrogativa, come segue: «esso e ` in qualche modo divisibile», ma il passo rimane di difficile comprensione perche´ questo caso e` trattato in modo differente dagli altri. 202 203
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
genere}, lo ricompongo, sar`a di nuovo uguale e uno {con cio` che era prima}. Ed e` cosı`, manifestamente, quale che sia il punto al quale lo taglio. Esso dunque e` diviso in potenza dappertutto. Che cosa ci sara` dunque oltre alla divisione? Se anche infatti ci fosse qualche {altra} affezione, com’e` che si dividerebbe in queste cose e risulterebbe da queste, e com’e` che queste cose potrebbero essere separate?] 210 (C) Sicch´e, se e` impossibile che le grandezze risultino da contatti o da punti, e` necessario che ci siano corpi e grandezze indivisibili.
24.5. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316a14), 27.29-28.15 (om. DK e Lu.): Riporta [sogg. Aristotele] gli argomenti, dai quali Democrito fu mosso a postulare corpi indivisibili, e insieme combatte cio` che c’e` di persuasivo e di plausibile in questa opinione, e pone 211 dall’inizio che e` lo stesso dire 212 che ha luogo la divisione all’infinito di cio` che e` continuo e che e` possibile che il continuo sia diviso dappertutto contemporaneamente, dalla quale {proposizione} fa risultare l’assurdita` al modo seguente. (2) Se ciascuna delle parti 213 che risultano di volta in volta dalla divisione si lascia a sua volta dividere, e` chiaro che il corpo e` divisibile dappertutto; se dunque (dice) il corpo e` divisibile dappertutto, vale a dire se e` possibile che sia diviso dappertutto, e` anche possibile che sia diviso dappertutto contemporaneamente. Non e` assurdo assumere che tutto quanto e` potenzialmente {in una certa condizione} risulti esserlo in atto. In generale infatti, nel caso di cio` che e` posto come essente potenzialmente, {a dire che} risulta essere in atto segue falsita`, non impossibilita`. (8) Se dunque {quanto e` stato prospettato} non e` impossibile, si assuma che {il continuo} sia diviso dappertutto. Ma se e` diviso dappertutto, la grandezza 214 sara` divisa non in grandezze, ma o in punti o in niente; perche´, se lo fosse in grandezze, non sarebbe divisa dappertutto. Se, pero`, lo e` dappertutto, sara` diviso o in punti o in niente, e sar`a composto da questi, giacche´ tutto cio` in cui {qualcosa} e` diviso e` anche cio` da cui e` composto. La grandezza dunque sara` composta o da niente o da punti, il che e` assurdo. Pertanto non e` possibile che la grandezza sia divisa dapper-
210 Questa parte messa fra parentesi quadre e ` piuttosto ripetitiva rispetto a quanto precede, oltre ad interrompere l’esposizione, ma, piuttosto che ometterla, come suggeriva K. PRANTL, Aristoteles’ Zwei Bu¨cher u¨ber Entstehen und Vergehen, Leipzig 1857, p. 490 (seguito da C.J.F. WILLIAMS, Aristotle’s De generatione et corruptione, Oxford 1982, nella sua trad., mentre Joachim difende il testo nel suo comm.), e` preferibile adottare il suggerimento di Sedley (in art. cit., pp. 72-73 e 75, con n. 20) di trasporla (e` inserita nel passo 24.7 fra parentesi uncinate, ripetendo il brano). Viene in effetti introdotta una distinzione fra cio` che e` in potenza e cio` che e` in atto che finora era stata ignorata ma che viene adottata nel passo successivo. 211 Il soggetto pare essere sempre Aristotele, ma quanto viene esposto nel seguito riguarda la posizione di Democrito, della quale si mette in luce un assunto (probabilmente tacito) individuato dallo Stagirita. 212 Adotto la correzione di levgwn in levgein che viene prospettata da G. VITELLI in apparato alla sua ed. (In Aristotelis libros de generatione et corruptione commentaria, Berlin 1897); altrimenti si deve rendere come segue: ‘‘fa una supposizione all’inizio dicendo che ...’’ (vedasi C.J.F. WILLIAMS, Philoponus On Coming-to-be and Perishing 1.1-5, London 1999, trad. del passo). 213 La correzione di monavdwn in morivwn prospettata dal Vitelli sembra indispensabile (come ritiene anche il Williams), perche´ le unita` non dovrebbero poter essere considerate come ulteriormente divisibili. 214 Ovvero, piuttosto: cio ` che ha grandezza.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
tutto. Se e` cosı`, ci saranno allora alcune grandezze indivisibili. Tale e` l’andamento dell’argomentazione.
24.6. E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316b6), 32.6-10: Ogni contatto e` un limite, ma non ogni limite e` di gia` un contatto. Se dunque chiami limiti i segni e i punti, e` impossibile che ci sia un limite senza che ci sia un limitato; se {chiami limiti} i contatti, saranno contatti di cose che sono entrate in contatto. Che le cose a contatto siano differenti per il contatto o per il punto o per la divisione (tutte cose che significano lo stesso), lo mostra il fatto che il contatto e` uno, ma le cose a contatto sono due.
24.7. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 316b16-317a4 + 316b914 [di seguito a 24.4] (om. DK; = 105 Lu.): Tuttavia anche per coloro che assumono queste cose 215 si presentano conseguenze non meno impossibili. Su questi punti abbiamo indagato altrove,216 ma dobbiamo cercare di venire a capo di queste {aporie}.217 Percio` bisogna enunciare la difficolta` di nuovo dal principio. [b19] (A + B) Non c’e` niente di assurdo {ad affermare}, dunque, che ogni corpo percettibile e` divisibile ad un qualsiasi punto e che e` indiviso, giacche´ l’una {condizione, quella della divisibilita`} sara` presente in potenza, mentre l’altra {condizione, quella della non divisione} sara` presente in atto.218 Ma che un {corpo} sia in potenza diviso 219 dappertutto e contemporaneamente, sembrerebbe essere un’impossibilit`a. [b23] Se infatti fosse possibile, si verificherebbe, non cosı` che esso sia entrambe le cose in atto contemporaneamente, cioe` indiviso e diviso, ma che sia diviso ad un qualsiasi punto. Pertanto non rimarr`a nulla, e il corpo si sara` consumato fino all’incorporeo, e di nuovo esso si generebbe o da punti o da nulla affatto, e com’`e che questo e` possibile? [b28] E tuttavia che esso si divida in {parti} separabili e in grandezze che sono sempre piu` piccole e che sono distanti e separate {le une dalle altre}, e` manifesto. E pero` non ci sara` la frammentazione all’infinito per chi divide in parti {un corpo}, e neppure {il corpo} e` capace di essere con-
215 Cioe ` , presumibilmente, corpi e grandezze indivisibili – si intende: assumono queste cose come esistenti (conclusione di 24.4). 216 Presumibilmente il riferimento e ` (come indicato da Filopono nel suo commento) a Fisica VI 1, 231a21 sgg. (= 21.1), a De caelo III 4, 303a3 sgg. (= 20.1), e forse anche a De lineis insec. 969b29 sgg. 217 Ovvero cercare di risolverle. Come nota anche Sedley, in art. cit., p. 66, Aristotele ha in mente una situazione di aporia che nasce dal fatto che ci sono delle ragioni sia per postulare grandezze indivisibili sia per escluderne l’esistenza. 218 Si puo ` presumere che Aristotele a questo modo voglia distinguere i due sensi del greco diairetovn (o ajdiaivreton). 219 Cioe ` sia divisibile (sul significato della precisazione ‘‘in potenza’’ cfr. il commento di Filopono in 24.9).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
temporaneamente diviso ad ogni punto (cio` non e` possibile), ma {l’operazione avviene} entro un certo limite. (C) E` necessario pertanto che sussistano entro {i corpi} grandezze indivisibili non visibili, specialmente se ci deve essere la generazione e la corruzione mediante aggregazione e disaggregazione {di particelle}. [b34] Questo e` l’argomento che sembra obbligarci {ad ammettere} che ci sono grandezze indivisibili. Diciamo ora che esso nasconde un paralogismo, e dove lo nasconde. Dal momento infatti che il punto non e` {immediatamente} di seguito 220 al punto, c’e` un senso in cui l’essere divisibile dappertutto appartiene alle grandezze, e un senso in cui no 221 ... [continuazione, da 317a12, come 51.4].
24.8. E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316b16), 33.24-34.9 (om. DK; 34.89 = 105 Lu.): Circa il fatto che molte impossibilita` seguano dalla supposizione che viene a postulare grandezze indivisibili ne parla [sogg. Aristotele] anche nel terzo libro del De caelo,222 ma ne ha parlato anche nel libro VI della Fisica, e pure nell’{opera} intitolata Sulle linee indivisibili, che alcuni attribuiscono a Teofrasto. Adesso, egli dice, bisogna risolvere le difficolta` poste da Democrito, per le quali {questi} elimina la sezione all’infinito delle grandezze. Si deve segnalare che ora non ha di fronte a se´ {il compito} di mostrare preliminarmente che non ci sono grandezze indivisibili (giacch´e nei libri menzionati ha confutato questa dottrina per se stessa in quanto impossibile), ma di venire a capo degli argomenti che introducono le grandezze indivisibili. Pertanto egli riprende l’argomento di Democrito in modo condensato e lo rende piu` articolato,223 e a questo modo introduce la confutazione.
24.9. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316b19), 34.11-35.12 (om. DK; 35.10-12 = 105 Lu.): Premette che sta riprendendo in breve la difficolta` {prima} menzionata piu` estesamente, in modo da poter cosı` introdurre le soluzioni. In primo luogo distingue il modo in cui, alla postulazione del discorso affermante che il corpo e` divisibile dappertutto, seguono le menzionate difficolt`a, dal modo in cui, alla riflessione, non segue niente di assurdo; e, com’e` conveniente, in primo luogo espone questo articolatamente, affinche´, mostrato qual e` il senso di ‘divisibile dappertutto’ per il quale segue la difficolt`a, in base ad esso introduca anche la soluzione. (17) Per formulare sinteticamente i punti principali, quanto viene mostrato da tutto il discorso e` cio` che segue: sono due i significati del discorso enunciante che il continuo e` divisibile dappertutto, {dei quali} (I) l’uno mostrante che esso e` divisibile in una parte qualsiasi, vale a dire, non che e` capace di recepire la sezione in questa parte e non capace {di recepirla} in quest’altra, ma {che e` capace di recepirla} indifferentemente dappertutto, giacche´ non c’`e niente, nel continuo, che impedisca la sezione; se infatti la sezione fosse recepita, an-
Cioe`: in consecuzione, come rapporto tenuto distinto dalla continuita` (cfr. 21.1). Un sunto di quanto segue immediatamente e` offerto da Filopono nel suo commento al passo, 35.6-10 (= 24.9). 222 Cfr. specialm. il cap. 4, dal quale traggo il passo numerato 26.1. 223 Il senso deve essere che l’argomento precedentemente esposto viene riassunto nel secondo passo aristotelico, ma che certi punti ricevono piu` sviluppo che in precedenza. 220 221
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.G)
che secondo l’atto, in questa prima parte, la divisione che e` presente in potenza in un’altra parte e che non si e` ancora verificata potrebbe nondimeno essersi verificata prima di quella gia` verificatasi. (26) E, a parlare in breve, secondo questo significato si dice divisibile dappertutto quel corpo che e` capace di recepire tutte le sezioni, ma tutte nel senso di una qualsiasi fra tutte, non nel senso di tutte {insieme} contemporaneamente.224 E` al modo che, se uno dicesse che l’uomo e` ricettivo di ogni scienza, {dicendo questo} non perche´ {un qualsiasi uomo} le domina tutte {insieme} contemporaneamente, ma perche´ {ne domina} una qualsiasi fra tutte e non questa o quella ad esclusione {delle altre}. Egli [scil. Aristotele] dice che, secondo questo significato, non segue nessuna assurdita`, se supponiamo che cio` che e` indiviso in atto e` divisibile dappertutto, nel senso di essere capace di recepire la divisione secondo una qualsiasi {sua} parte, giacche´ non e` in base a questo significato che segue l’essere la grandezza divisa dappertutto contemporaneamente. (35.2) (II) Questo in effetti e` il secondo significato dell’essere diviso dappertutto, intendo dire che il corpo sia potenzialmente diviso dappertutto contemporaneamente, cosa che e` impossibile; non e` possibile infatti che si verifichi secondo l’atto {la condizione del}l’essere diviso dappertutto contemporaneamente, e cio`, alla cui postulazione come {qualcosa} secondo l’atto segue un’impossibilit`a, non puo` sussistere all’inizio neppure allo stato di potenzialita`. (6) E che sia impossibile che ci sia qualcosa che sia diviso in atto dappertutto contemporaneamente, e` chiaro da quanto segue: se la divisione fosse per segno e per punto, e il punto non e` {immediatamente} di seguito al punto, ma sempre, fra due punti che vengano presi, c’`e una grandezza in mezzo, e` chiaro che e` impossibile che sia divisibile dappertutto contemporaneamente. E` per l’appunto avendo inteso il ‘divisibile dappertutto’ secondo questo significato che Democrito riduce l’argomento all’assurdo, trovandosi in difficolta` nei confronti della propria concezione, senza confutare quanto {da lui} assunto.
24.10. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316b28-32), 37.31-38.9 (om. DK; = 105 Lu.): Avendo ridotto all’impossibile l’argomento affermante che il corpo e` divisibile dappertutto contemporaneamente, col mostrare che la conseguenza di questo e` che le grandezze sono costituite da punti o da nulla, ora a partire dall’evidenza prende {in esame}, come condotto da Democrito,225 l’argomento che la divisione si svolge sempre in grandezze che sono separate,226 vale a dire che sono sussistenti. Infatti anche se la divisione si svolgesse in segmenti che sono sempre minori per grandezza, sarebbe pur sempre in {grandezze} sussistenti e capaci di sussistere per se stesse. (4) Se questo e` evidente, e` del tutto chiaro che le cose una volta divise non saranno contemporaneamente infinite e che la divisione non e` all’infinito, per il fatto che non ci sono infinite parti separate in grandezze limitate. Il ‘sempre’ in questi casi non significa ‘all’infinito’ (quanto e` stato detto e` infatti l’argomento come e` stato portato a conclusione da Democrito), ma sempre c’e` divisione in {grandezze} inferiori, egli [scil. Aristotele] dice, «entro un certo limite» – come dice nel seguito, fino al punto in cui la divisione e` pervenuta ad indivisibili.
Il greco a{ma ha qui il doppio senso di ‘contemporaneamente’ e di ‘insieme’. Il senso generale del passo e` che Aristotele adotta, in questa parte della sua esposizione (cioe` in 316b28-32), il punto di vista dello stesso Democrito, senza criticarlo; questo vale anche in particolare per l’osservazione parentetica vicino alla conclusione del passo (38.7-8). 226 ‘Separate’ al compimento della divisione, ‘separabili’ (come traduce Williams) nel processo di divisione. 224 225
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.H)
24.11. E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316b32), 38.22-39.10 (om. DK; 38.22-39.4 = 105 Lu.; 39.4-10 = 206): La formulazione {usata da Aristotele in 316b32-34} e` stata enunciata nel modo piu` oscuro.227 Sembrerebbe infatti dire che, se la generazione e la corruzione e` per disaggregazione e aggregazione, e` necessario anche che ci siano grandezze indivisibili. Si dovrebbe per contro rendere credibile, a partire dagli atomi, che la generazione sia per aggregazione, giacche´, se sussistono atomi, la generazione sara` per aggregazione, ma {viceversa}, se la generazione e` per aggregazione, non e` necessario assumere grandezze indivisibili. Ma pare che l’argomento democriteo abbia provato che ci sono atomi, non che la generazione sia per aggregazione. (28) Sicche´ bisogna, a partire dall’esistenza degli atomi, argomentare che la generazione e` per aggregazione, non in senso inverso, come la formulazione pare suggerire. Bisogna dunque prendere nel modo piu` semplice la formulazione, come enunciante: ‘‘e` necessario pertanto che sussistano grandezze indivisibili’’, e avendo punteggiato a questo punto come da un altro inizio {riprendere come segue}: ‘‘se dunque c’e` la generazione e la corruzione, saranno l’una [scil. la seconda] per disaggregazione e l’altra per aggregazione’’; oppure a questo modo: ‘‘`e necessario pertanto che sussistano grandezze indivisibili, a partire dalle quali – se c’`e la generazione e la corruzione, com’e` evidente – l’una sara` per disaggregazione l’altra per aggregazione’’. (4) Affermo` [sogg. Democrito] che gli atomi sono grandezze invisibili,228 per sfuggire ad una smentita a partire dalla sensazione: nessuna delle grandezze manifeste e` indivisibile; disse dunque che gli atomi sono a noi invisibili per la piccolezza; in effetti non c’e` nulla di strano nel fatto che qualcosa sia ma non si veda per la sua piccolezza, al modo in cui anche le particelle del pulviscolo atmosferico che in precedenza erano a noi invisibili, una volta che {su di esse} cada un raggio attraverso una finestra, diventano visibili nel suo fascio per lo splendore della luce.
H. L’ATOMISMO
E LE MATEMATICHE
1. Carattere spaziale ma non geometrico degli atomi, per via della varieta` delle loro figure 25.1. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 325b25-29 [di seguito a 51.1] (= 67 A 7, 222 Lu.): L’approccio {di Platone nel Timeo} differisce da quello di Leucippo per questo verso, che, sebbene entrambi parlino di {enti} indivisibili e delimitati da figure, l’uno [scil. il secondo] dichiara che gli indivisibili sono solidi, l’altro che sono superfici, e l’uno {dichiara che} ciascuno dei solidi indivisibili e` delimitato da {una fra} infinite figure,229 l’altro che lo e` da {figure} determinate. [Seguito come 51.3.]
Ovvero: e` particolarmente oscura all’interpretazione. Evidentemente quest’ultimo brano e` a commento della precisazione, nel passo aristotelico (cfr. 316b32-33), che le grandezze indivisibili da postulare sono ‘‘non visibili’’. 229 Ovviamente non e ` ciascuno dei solidi che e` limitato da infinite figure: si tratta di una disattenzione di Aristotele, cui ho rimediato con quell’integrazione (suggerita da Williams nella sua trad. dell’opera). Cfr. anche quanto afferma Filopono nel commento al passo, citato subito dopo questo. 227 228
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.H)
25.2. T. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b24 e b27), 162.12-27 (om. DK e Lu.): L’opinione di Platone dunque, egli [scil. Aristotele] dice, differisce {da quella} di Leucippo e di Democrito per questo rispetto, che Leucippo e i suoi dicevano che gli indivisibili, che essi rendevano i primi elementi, sono solidi, Platone invece {diceva che} gli indivisibili sono superfici; e Democrito diceva che gli atomi sono formati 230 con figure infinite, mentre Platone {diceva che i suoi indivisibili sono formati con figure} limitate, anzi con una {soltanto}, giacch´e i primi elementi {per lui} sono triangoli, mentre le cose che risultano primariamente dagli elementi sono definite da figure limitate (sono infatti cinque), {cioe`} dalla piramide, dal cubo, dall’ottaedro, dal dodecaedro, dall’icosaedro. (20) («E l’uno {dichiara che} ciascuno dei solidi indivisibili e` delimitato da infinite figure.») Con questo non intende dire che ciascun atomo ha infinite figure (ciascuno infatti ne ha una sola), ma che gli atomi hanno infinite figure distribuite nei singoli. Oppure si pensi alla situazione inversamente correlata: ‘e l’uno {dichiara che} ciascuna delle figure e` delimitata da infiniti indivisibili’, vale a dire ciascuna figura (cio`e quella sferica, quella cubica, e ciascuna delle altre) si trova in infiniti atomi, sicche´ sono infinite e le figure e gli atomi sotto ciascuna figura.
25.3. Scolio ad Aristotele, De caelo I (1, 268a1), 469b14-17 e 23-26 (om. DK e Lu.; = 49 Heinze: Xenokrates): [Il passo fa parte di un’esposizione dei contenuti dell’opera aristotelica.] Nel libro III discute degli elementi [...]. Di quelli che {li} dicono ‘atomi’ [= indivisibili] alcuni, come Leucippo e Democrito, li considerano corpi indivisibili, altri, come Senocrate, {li considerano} linee indivisibili, mentre Anassagora li considero` come omeomerie e Platone come superfici [...]. [...] ed egli [scil. Aristotele], ammesso che {gli elementi} derivano l’uno dall’altro, indaga se {lo fanno} per disaggregazione e aggregazione, come dicono Platone, Democrito, Senocrate – ma {parlando} l’uno di corpi indivisibili, l’altro di linee, l’altro ancora di superfici – oppure per mescolanza e separazione, come dicono Anassagora ed Empedocle.
25.4. T. Teofrasto, Metaphysica IX, 34 (om. DK; = 175 Lu.): {Nel campo del sensibile c’e` una prevalenza di ordine negli oggetti celesti, altrove esso prevale in quelli matematici,} a meno che uno non concepisca le forme alla stregua di quelle che Democrito attribuisce agli atomi.231
25.5. T. Stobeo, Eclogae I 15, 6a(2-3) (2 = 59 A 51; 3 om. DK, salvo riferimento in 67 A 12; = 229 Lu.) [= Aezio I 14, 3-4 (Dox. 312)]: (Sulle figure) Anassagora {afferma che} le omeomerie hanno molte figure. I discendenti di Leucippo {affermano che} gli atomi hanno molte figure.232
230 231 232
Letteralm.: figurati. Piu` letteralm.: quali quelle che Democrito postula {che siano} degli atomi. Nella traduzione i termini ‘‘omeomerie’’ e ‘‘atomi’’ sono invertiti rispetto al testo dei MSS;
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.H)
2. Una critica aristotelica: la postulazione di indivisibili e` in contrasto con la matematica 26.1. T. Aristotele, De Caelo III 4, 303a20-24 (om. DK; = 109 Lu.): [Il contesto del passo e` dato da 48.4 e riguarda la trattazione degli elementi.] Inoltre, con l’affermare che ci sono corpi indivisibili, e` necessario {per essi} entrare in conflitto con le scienze matematiche, ed eliminare molte delle credenze correnti e dei fenomeni percettibili – {punti} dei quali si e` gia` parlato in precedenza nei {libri} sul tempo e sul movimento.233
26.2. T. Aristotele, De Caelo III 7, 306a26-b2 (om. DK; = 126 Lu.): [La polemica e` direttamente contro la postulazione platonica di grandezze geometriche indivisibili, ma la menzione della sfera e l’affinit`a con 26.1 mostrano che e` estesa agli atomisti.] Inoltre e` necessario {per essi} asserire che non ogni corpo e` divisibile, ma {con questa asserzione} entrare in conflitto con le scienze piu` esatte. Queste infatti – intendo dire le matematiche – assumono come divisibile anche l’intelligibile; essi invece non ammettono {che sia divisibile} neppure tutto quanto il sensibile, per via della loro volonta` di ‘salvare l’ipotesi’. E` necessario infatti che coloro che assegnano una figura a ciascuno degli elementi e mediante questa definiscono le loro essenze, rendano questi {stessi} indivisibili, perche´, a dividere in qualche modo la piramide e la sfera, cio` che rimane non sar`a {piu`} sfera o piramide. Sicche´, o la parte di fuoco non sara` fuoco, ma ci sara` qualcosa che e` prima dell’elemento (perch´e ogni cosa o e` elemento o risultante da elementi ),234 o non ogni corpo sara` divisibile.
26.3. A. Aristotele, De caelo I 5, 271b6-11 (om. DK; = 108 Lu.): [Sulla questione se esista un corpo infinito, dunque se l’universo e` infinito.] E` questa,235 piu` o meno, che e` stata e che sara` l’origine di tutte le divergenze che ci sono fra coloro che si esprimono circa la natura nel suo complesso, dal momento che anche una piccola deviazione iniziale dalla verita`, nel progredire, si moltiplica per mille volte. Per esempio, se qualcuno sostenesse che c’`e una grandezza minima, questi, nell’introdurre il minimo, sovvertirebbe le cose piu` grandi delle matematiche.
26.3.1. T. Simplicio, In De caelo I (5, 271b6), 202.25-31 (om. DK; 27-31 = 108 Lu.): [Seguito quasi immediato di 78.5.] Che l’abbaglio all’apparenza minimo nei princı`pi si manifesta moltiplicato per mille nel procedere, si puo` confermarlo per induzione e con l’argomento. Per induzione perche´
Diels pare avere dubitato dell’autenticita` del secondo passo anche per l’errore commesso dai copisti. Appartiene allo stesso cap. di Stobeo il passo sulla sfericita` del mondo da me riportato come 78.3. 233 Il riferimento e ` alla Fisica, soprattutto libro VI, capp. 1-2 (una parte del cap. 1 e` riportata sopra come 21.1). 234 Si intende: e il fuoco e ` elemento. 235 Si intende: divergenza sull’infinitezza (ma non limitatamente all’esistenza di un corpo infinito, cfr. 26.3.1).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (III.H)
*Democrito o chiunque postulasse a questo modo, ponendole come princı`pi, certe grandezze piccole e minime*, nell’errare intorno ad esse, per il fatto che hanno, in quanto princı`pi, il massimo potere, sovvertono le cose piu` grandi in geometria, cioe` il fatto che le grandezze sono divisibili all’infinito, per cui e` possibile dividere per due anche la data retta.236
3. Contributi di Democrito alle matematiche a) Il dilemma del cono 27.1. T. Plutarco, De communibus notitiis 39, 1079E (= 68 B 155, 126 Lu.): [In polemica con lo stoico Crisippo riguardo a questioni di geometria.] E ancora vedi in che modo egli [scil. Crisippo] rispose a Democrito che, da fisico e con vivacit`a, sollevava la {seguente} difficolt`a dilemmatica: se un cono fosse secato da un piano parallelo alla base, come si dovra` pensare che siano le superfici dei segmenti {risultanti}: uguali o diseguali? Se sono diseguali, renderanno il cono irregolare, perche´ avra` preso molte incisioni e scabrosita` a forma di gradino; ma se sono uguali, i segmenti saranno uguali, e il cono avra` assunto l’aspetto di un cilindro, in quanto e` costituito da cerchi uguali, non diseguali – cosa particolarmente assurda. [Nel seguito viene riportata appunto la risposta di Crisippo alla difficolt`a.]
b) Il metodo da lui impiegato 27.2. T. Archimede, Methodus (II, 429.21-430.9 [= 68 B 155, nota a pp. 17374; 125 Lu.]): ... ho creduto bene riferirti per iscritto ed esporti in questo stesso libro le peculiarita` di un metodo, mediante il quale ti sara` possibile prendere le mosse per diventar capace di trattare certe cose matematiche per mezzo di {considerazioni} meccaniche. Sono persuaso, del resto, che questo {metodo} sara` non meno utile anche per la dimostrazione degli stessi teoremi. (26) Infatti, alcune {proposizioni} che si erano manifestate a me prima in modo meccanico successivamente le dimostrai in modo geometrico, in quanto l’indagine {che si attua} mediante questo procedimento e` separata dalla dimostrazione: e` piu` agevole, dopo aver acquisito, mediante questo procedimento, una certa cognizione dei punti da indagare, procurarsi la dimostrazione, piuttosto che cercarla senza avere alcuna cognizione. (1) Percio` anche *di quei teoremi dei quali Eudosso scoprı` per primo la dimostrazione, {cio`e}, riguardo al cono e alla piramide, che il cono e` la terza parte del cilindro e la piramide lo e` del prisma, aventi la stessa base e altezza uguale, una parte non piccola si dovrebbe assegnare a Democrito per essere stato il primo a fare tale asserzione circa la menzionata figura 237 separatamente dalla dimostrazione.
Si intende: una qualsiasi. Non e` chiaro se, usando il singolare, Archimede si riferisca solo ad una delle due figure (quasi certamente al cono) oppure stia associando molto strettamente cono e piramide. 236 237
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.A)
IV. IL A. CORPO
MATERIALISMO E L ’INFINITISMO DEGLI ATOMISTI
ED ESSERE, VUOTO E NON-ESSERE
1. Il vuoto come ‘natura intangibile’ secondo Epicuro 28.1. Sesto Empirico, Adversus mathematicos X, §§ 1-2 (2 = p. 350.30 sgg. Us.): Da tutti {i naturalisti} e` riconosciuto in modo concorde che il corpo o e` contenuto in un luogo o si sposta di luogo. (2) Percio` bisogna rendersi conto che, secondo Epicuro, della natura chiamata intangibile un certo aspetto e` denominato ‘vuoto’, un altro ‘luogo’, un altro ancora ‘spazio’, variando i nomi a seconda delle differenti applicazioni, dal momento che la stessa natura quando si trova ad essere priva di ogni corpo e` denominata ‘vuoto’, quando e` occupata da un corpo si chiama ‘luogo’, quando ci sono corpi che l’attraversano diventa ‘spazio’. La denominazione comune ‘natura intangibile’ e` usata da Epicuro per il fatto che e` priva di resistenza al tatto.
28.2. Epicuro, Epistula ad Herodotum, §§ 39.7-40.3: Ancora: il tutto e` corpi e vuoto; 238 che i corpi esistano, lo attesta la sensazione stessa in tutti i casi – {la sensazione} in base alla quale si deve arguire col ragionamento cio` che e` non-evidente [...]. (40) Se d’altra parte non esistesse cio` che noi chiamiamo vuoto o spazio o natura intangibile, i corpi non avrebbero ne´ dove stare ne´ dove muoversi, come e` manifesto che fanno.
2. La tangibilit`a e/o la capacit`a di agire e di patire come criterio dell’essere (fatto coincidere col corporeo) 28.3. Platone, Sophista 246A-B: [Nella ‘lotta di giganti’ circa l’essere i ‘materialisti’ fanno appello alla tangibilita`:] Gli uni dal cielo e dall’invisibile tirano tutto verso la terra, semplicemente afferrando con le loro mani rocce e querce. E` infatti attaccandosi a tutto cio` che e` tale che sostengono con forza che e` soltanto cio` che offra qualche impressione al contatto, definendo come identici corpo ed essere; e se qualcuno degli altri dira` che c’e` qualcosa che non ha corpo, con atteggiamento di completo disprezzo non vogliono sentire nient’altro.
238 C’e ` una lacuna nel testo: adotto l’integrazione proposta dal Gassendi (‘‘corpi e vuoto’’), Usener proponeva: ‘‘il tutto e` corpi e luogo’’. La prima integrazione tende ad essere confermata da Lucrezio I, vv. 418-20, da Sesto, Adv. math. IX § 333 (= 75 Us.) e X, § 220, da Cicerone, De nat. deor. II 32, 82 (= 75 Us.), e da Plutarco, Adv. Col. 13, 1114A (= 74 Us.); la seconda trova un riscontro in Plut. ibidem, 1112E (= 76 Us.), ma potrebbe essere una sua svista, perche´ nel contesto egli insiste sul vuoto, e in ogni caso non c’e` un riferimento (come nell’altro passo plutarcheo e nella lettera di Epicuro, secondo l’indicazione della glossa da me omessa) all’inizio dell’opera Sulla natura. Si puo` ipotizzare un’altra integrazione ancora: ‘‘il tutto e` corpi (o corpo) e natura intangibile’’, per la quale cfr. Epistula ad Pythoclem, § 86.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.A)
29.1. Platone, Sophista 247D-E: [La capacita` di agire e di patire come criterio dell’essere recepito da Platone, il quale si attende che la sua proposta di estenderlo all’essere ideale sia accettata dagli ‘idealisti’:] ... esamina se, su nostra proposta, vorrebbero accettare e ammettere che cio` che e` e` tale {come ora veniamo a dire}. [...] Io dico che cio` che per sua natura e` dotato di una capacita`, quale che sia, sia di fare qualcos’altro, quale che sia, sia di subirlo, per piccola {azione o passione} che sia e da parte del piu` irrilevante {agente o paziente}, anche se solo per una volta, tutto cio` e` realmente essere. Pongo infatti come criterio definitorio degli enti che essi non sono altro che capacita`.
29.2. Aristotele, Topica VI 7, 146a22-23: [Esempi di confutazione di certe definizioni, che mettono un termine in rapporto con un altro termine.] {Va accertata l’applicabilita` della definizione di} cio` che e` come cio` che e` capace di patire e di agire.
29.3. Plutarco, De communibus notitiis adversus Stoicos 30, 1073E4-5 [= SVF II, 525]: [Discussione dei princı`pi della fisica degli Stoici, a partire dalla loro tesi che soltanto il corporeo e` un ente o un esistente (o[n), con indicazione del loro ricorso a questo criterio.] Essi chiamano esistenti soltanto i corpi, dal momento che e` {proprio} dell’esistente il fare qualcosa e il patire.
29.4. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX, § 366: [«Riguardo al corpo». Inizio di una parte contenente obiezioni contro una delle principali definizioni di «corpo», basata sul ricorso a tale criterio.] Per cominciare, allora, contro coloro che concepiscono il corpo come cio` che e` capace di patire o di fare, dei quali si racconta che l’iniziatore sia stato Pitagora, abbiamo gia` praticamente eliminato il corpo ...
29.5. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX, §§ 257-258: [«Riguardo alla causa e al passivo». Obiezioni contro l’ammissione che un corpo ha effetti causali, dunque agisce, su di un altro corpo, a partire dall’assunto che il contatto, presupponente corporeita`, e` condizione dell’agire e del patire.] Ma le superfici {di un corpo} sono incorporee ed e` ragionevole {ammettere} che l’incorporeo ne´ agisce n´e patisce {per cui non c’e` agire e patire mediante le superfici come punto di contatto fra i corpi}. [...] (258) E` possibile sollevare difficolta` piu` generali circa cio` che agisce e cio` che patisce a partire dal contatto: affinche´ qualcosa possa agire o patire, c’e` bisogno che tocchi o sia toccato.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.A)
29.6. Epicuro, Epistula ad Herodotum, § 67.1-8: [Corporeo e incorporeo in relazione alla trattazione della natura dell’anima.] Si deve prendere in considerazione anche questo: 239 che noi parliamo di incorporeo, nell’uso prevalente della parola, a proposito di cio` che puo` essere pensato per se stesso, e non e` possibile pensare per se stesso l’incorporeo, salvo che il vuoto. Il vuoto non puo` ne´ agire ne´ patire, ma soltanto fornisce ai corpi {la possibilit`a de} il movimento attraverso se stesso. Sicche´ coloro che affermano che l’anima e` incorporea vaneggiano, perche´, se fosse tale, non potrebbe n´e agire ne´ patire per nulla ...
29.7. Lucrezio, De rerum natura I, vv. 433-448: [Parte di un’argomentazione tesa a mostrare che tutto consiste in corpi e in vuoto.] Tutto cio` che esiste dovra` essere in se´ qualcosa: | se avr`a un contatto, per quanto lieve e esiguo, | accrescera`, per un aumento grande o piccolo che sia, purch´e ci sia, | il numero di cio` che e` corporeo e si aggiungera` alla sua somma. | Se sara` intangibile, poiche´ da nessuna parte | potr`a impedire che una qualsiasi cosa che si muove lo attraversi, | certamente sara` quella vacuita` che noi chiamiamo vuoto. |440| Inoltre tutto cio` che esiste per s´e, o fara` qualcosa | o dovra` subire esso stesso l’azione originata da altri, | o sara` tale che le cose in esso possano essere e spostarsi. | Ma nessuna cosa puo` agire o patire senza corpo, | e nessuna dar luogo se non il vuoto o {lo spazio} vacante. | Pertanto oltre al vuoto e ai corpi non puo` rimanere | nessuna terza natura nel numero delle cose, | che sia tale da cadere in qualche tempo sotto i nostri sensi | o da essere colta da qualcuno col ragionamento della mente.
29.8. Sesto Empirico, Pyrrhoniae hypotyposes III, § 39: Alcuni dicono che il corpo e` cio` che possiede tre dimensioni e offre resistenza.
29.9. Sesto Empirico, Adversus mathematicos X, § 257 (om. Usener): [Nel corso di una discussione della questione se il corpo sia da riportare ad elementi che sono corporei o incorporei viene sostenuto che la prima possibilita` va esclusa per evitare un regresso all’infinito.] Rimane pertanto soltanto dire che la costituzione dei corpi intelligibili 240 e` a partire da incorporei, cosa che anche Epicuro ha ammesso, nel dire che il corpo e` concepito mediante la combinazione di figura, di grandezza, di resistenza 241 e di pesantezza.
239
Dopo ‘‘questo’’ i MSS riportano scholia (sulla composizione atomica dell’anima, ecc.) da me
omessi. 240
Cioe` coglibili solo col pensiero, come lo sono anche gli atomi, che sono menzionati nel con-
testo. 241
S’intende, al tatto (in greco ajntitupiva).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
B. VUOTO
E SPAZIO
1. Luogo e vuoto 30.1. T. Simplicio, In Physica IV 1 (corollario sul luogo), 601.14-24 (om. DK; 19-24 = 266 Lu. e 273 Us.): Bisogna sapere che, di quelli che hanno scritto qualcosa intorno al luogo, alcuni hanno postulato il luogo {concependolo come} un corpo, altri {concependolo come} incorporeo. E` un corpo al modo in cui {lo ha concepito} Proclo filosofo originario della Licia. Di coloro che lo dichiarano incorporeo alcuni lo dicono in ogni modo inesteso, altri esteso. E di quelli che {lo dichiarano} in ogni modo inesteso alcuni {lo dicono} un sostrato per i corpi – come Platone che dice che il luogo e` la materia –, altri – come il nostro {maestro} Damascio – che {`e qualcosa che} rende completi i corpi. (19) Di quelli che lo dicono esteso alcuni – come Aristotele e tutto il Peripato – {dicono} che ha due dimensioni, altri che ha tre {dimensioni}, e di questi *alcuni – come Democrito, Epicuro e i loro –{lo dicono} in ogni modo indifferenziato e rimanente di tanto in tanto privo di corpo*, altri – come i ben noti Platonici e Stratone di Lampsaco – che e` un’estensione che contiene sempre corpo ed e` idoneo a {contenere} ciascun {corpo}.
30.2. T. Simplicio, In Physica IV 1 (corollario sul luogo), 618.7-25 (om. DK; 16-20 = 267 Lu. e 273 Us.): [Di seguito alla discussione della posizione di Proclo, che fa del luogo un corpo immateriale.] Fra coloro che asseriscono che il luogo e` un’estensione incorporea sembra esserci sia un largo consenso sia una differenza {di opinioni}. Nella misura in cui tutti dicono incorporeo questo che e` ricettivo di corpi, pare esserci consenso fra di essi; nella misura invece in cui alcuni {di essi} lo ritengono 242 essere in realta` nient’altro che cosı` come lo si vede, cioe` nella condizione di assenza di corpo, e dichiarano che e` ricettivo di corpo non in quanto possiede una certa qual natura, ma in quanto, per il fatto che e` un nulla, neppure fa resistenza ai corpi che si muovono in esso,243 mentre gli altri dichiarano che ha una natura e una capacita` propria e che questo suo essere ricettivo appartiene ad esso non per concomitanza ma per se stesso, pare esserci differenza di opinioni. (Ci sono altri ancora che lo dicono di maggior potere dei corpi.) – (16) Di nuovo, fra coloro *che lo postulano {concependolo} come il vuoto, alcuni dicono che e` infinito e che supera i corpi con la {sua}
242 La parte seguente che ho sottolineato deve riguardare gli atomisti, come suggerisce il tenore complessivo del passo (la loro posizione viene introdotta in righe 16 sgg. con quello che pare essere un richiamo a quanto esposto in precedenza) e il riscontro in un passo aristotelico di Phys. IV 8 (= 36.3). 243 La traduzione e ` un po’ libera ed ho adottato una correzione (qevousin al posto di qewrou=sin). J.O. URMSON, Simplicius On Aristotle’s Physics 4, London 1992, in una nota alla traduzione del nostro passo, suppone invece che qualche verbo indicante il contemplare sia stato ripetuto inutilmente. Adottando un’integrazione (proposta da Ademollo) si ha la seguente traduzione: ‘‘neppure fa resistenza ai {corpi} che si trovano in esso, i quali si lasciano vedere’’. Comunque il senso generale del passo e` sufficientemente chiaro.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
infinitezza e che per questo e` capace di recepire – secondo come capita 244 – corpi differenti in differenti sue parti (se si puo` parlare di parti a proposito del vuoto infinito). Paiono avere avuto questa opinione nei suoi riguardi gli antichi fisiologi intorno a Democrito.245* Altri invece lo rendono uguale di misura al corpo cosmico, e percio` dichiarano che esso e` vuoto per sua natura, ma {di fatto} sempre riempito di corpi, e che esso sia considerato come sussistente per se stesso solo intellettualmente. Tali [cioe` di questo orientamento] sono la maggior parte dei filosofi platonici. Ritengo che anche Stratone di Lampsaco fosse di questa stessa opinione.
30.3. T. Filopono, In Physica IV (1, 208a27-35), 498.8-15 (om. DK e Lu.): [Di commento all’osservazione di Aristotele che sulla questione di che cosa sia il luogo non gli e` possibile rifarsi ad altri, perche´ costoro non hanno n´e esposto le difficolta` al proposito ne´ trovato una via di uscita per esse.] ... ne´ qualcuno ha sollevato a sufficienza aporie intorno ad esso [scil. il luogo], in modo da condurci in vicinanza di cio` che indaghiamo 246 (l’aporia in effetti e` realmente l’inizio dell’euporia),247 ne´ qualcuno ha affrontato le aporie esprimendosi intorno al luogo mediante qualche dimostrazione ed elaborazione, ma quanto a coloro che hanno detto qualcosa circa il luogo, nella misura in cui sono ritenuti degni di ascolto pur essendosi espressi senza alcuna dimostrazione, *gli uni sono coloro che hanno ritenuto che il luogo sia il vuoto, e cioe` Democrito, Leucippo, Metrodoro e i loro*, gli altri {sono coloro che hanno ritenuto che} sia l’intervallo. Se la sono cavata dicendo soltanto questo, che il luogo e` il vuoto o e` un certo intervallo.
30.4. A. Aristotele, Physica IV 1, 208b25-27: [Sull’esistenza del luogo: quanto segue e` uno degli argomenti a suo favore. Cfr. anche 31.3.] Inoltre coloro che affermano l’esistenza del vuoto dicono che esso e` luogo, giacche´ il vuoto sarebbe 248 luogo privo di corpo.
30.5. T. Simplicio, In Physica III (1, 200b20-21) 396.34, 397.1-5 (om. DK; = 250 Lu.): 249 [Di commento ad un brano della parte introduttiva ai libri III e IV della Physica, nella quale si spiega perche´, insieme al movimento, ci si deve occupare di una serie di temi come i tre menzionati nel passo aristotelico citato.] 244 La casualita ` deve essere riferita a quanto menzionato nel seguito immediato, cioe` alla parte in cui un corpo e` recepito. (Urmson rende: ‘‘and for that reason receives different things in different portions of itself indiscriminately’’.) 245 Non posso rendere il passo con la formula usuale ‘‘Democrito e i suoi’’ (cfr. introd., n. 84), ma sicuramente egli e` incluso. 246 Ovvero dell’oggetto di ricerca. 247 Cioe ` dell’identificazione della via di uscita (si tratta di terminologia di origine aristotelica); nel seguito tuttavia traduco il verbo corrispondente con ‘‘affrontare le aporie’’. 248 Questo «sarebbe» pare esprimere una riserva di Aristotele circa l’esistenza del vuoto («sarebbe se esistesse»). 249 Luria riporta allo stesso nr. anche un altro brano del commento di Simplicio, cioe ` 394.25, 395.1-2, ma questo offre lo stesso contenuto in modo piu` sintetico.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
Quando [sogg.: Aristotele] dice: ‘‘inoltre senza il luogo, il vuoto e il tempo e` impossibile che ci sia il movimento’’, non lo dice come una sua opinione, ma in quanto, fra i fisiologi a lui antecedenti, a Democrito e ai suoi parve giusto che il movimento si generi mediante il vuoto e che il vuoto sia luogo privo di corpo. Pertanto il discorso intorno al vuoto e` necessario a quello intorno al luogo.
30.6. T. Simplicio, In Physica IV (1, 209a18-22), 533.14-19 (om. DK; = 251 Lu.): [Esclusione, seguendo Aristotele, che il luogo sia causa secondo la modalit`a di una delle quattro cause; viene ora escluso che lo sia come causa efficiente.] Pertanto anche Eudemo nel terzo libro della Fisica,250 tenendo dietro alle cose dette in questa parte ed eliminando come cosa incontestata ciascuna delle cause {come modalita` causali} del luogo, disse: ‘‘ma allora {il luogo e` causa} come movente? Oppure non e` possibile neppure a questo modo, o Democrito, giacche´ dovrebbe essere capace di muovere e dotato di un certo potere’’. In effetti Democrito disse che il vuoto e` luogo – {luogo} che sarebbe 251 per sua propria natura veramente vuoto e privo di potere e senza efficienza.
30.7. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 14 (om. DK; = 253 Lu.; Dox. 316 n.): [Quasi immediatamente di seguito a 10.4.2, sulla questione dell’esistenza del vuoto. Il passo trova un parallelo, ma solo parziale, in 33.6 e 33.6.1] Quanto al vuoto, Democrito e i suoi hanno denominato {cosı`} il luogo degli atomi, tutti gli altri per contro canzonano questo discorso. Per esempio appunto Empedocle dice cosı`: ‘‘Nel tutto non c’e` niente che sia vuoto oppure sovrabbondante’’ (fr. 13). [Seguono riferimenti alle posizioni degli Stoici e di Stratone di Lampsaco, che ammettono il vuoto solo parzialmente.]
2. Luogo come estensione o intervallo (fra le possibili concezioni del luogo) 31.1. Aristotele, Physica IV 4, 211b6-9 e 14-25: [Che cos’e` il luogo? Le quattro possibili concezioni di esso:] Press’a poco sono quattro {le cose} di cui il luogo deve essere una: o (i) forma o (ii) materia o (iii) un qualche intervallo intercorrente fra le estremita`, o (iv) le estremita` {stesse}, se non c’e` nessun intervallo oltre alla grandezza del corpo che si trova entro {ad esse}. [Dopo aver escluso la possibilita` (i), esamina la possibilita` (iii):] Per il fatto che, sovente, mentre il {corpo} circostante rimane fermo, quello che e` incluso {da esso} e diviso cambia, per esempio l’acqua {scorrendo} da un vaso, l’intervallo che intercorre {fra le estremita`} pare essere qualcosa {di esistente}, come se fosse qualcosa oltre il corpo che si sposta. Non e` cosı`, ma subentra un corpo quale che sia, fra quelli che si spostano e che per loro natura sono atti ad entrare in contatto {col corpo circostante}. Se
250 251
A partire da 533.12: Eudemo, fr. 75 W. Si intende: se esistesse.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
cio` che e` atto per sua natura {ad entrare in contatto} fosse un intervallo e qualcosa di permanente, in uno stesso luogo ci sarebbero infiniti luoghi 252 (perche´ se l’aria e l’acqua si sono scambiate {il luogo}, tutte le loro parti faranno lo stesso, nel tutto, che {fa} tutta l’acqua in un recipiente). Allo stesso tempo il luogo sar`a {esso stesso} in mutamento, sicche´ ci sara` un luogo differente dal luogo, e ci saranno insieme molti luoghi.
31.2. T. Simplicio, In Physica IV (2, 211b5 sgg.), 571.21-26 e 27-31 (om. DK; 22-25 e 27-29 = 254 Lu. e 273 Us.): Ed egli [scil. Aristotele] dice che «sono quattro {le cose} di cui il luogo deve essere una», perche´ e` necessario che sia o (i) la forma di cio` che e` nel luogo o (ii) la sua materia o (iii) l’intervallo intercorrente fra le estremit`a di cio` che circonda il luogo – che e` {quanto sostengono} alcuni dei predecessori {di Aristotele}, come Democrito e i suoi, e alcuni dei successivi, come Epicuro e i suoi e gli Stoici; e alcuni ritengono che anche per Platone il luogo sia questo – o (iv) le estremita` di cio` che circonda. [...] *Quanto a (iii) il menzionato intervallo, Democrito, Epicuro e i loro dicono che e` vuoto in modo tale che talvolta e` riempito da corpo e talvolta anche rimane vuoto.* Invece i Platonici e gli Stoici dichiarano che esso e` qualcosa d’altro oltre ai corpi, ma che sempre contiene corpo, sicch´e non rimane mai vuoto.
31.3. Aristotele, Physica IV 1, 209a2-4, 2, 209b5-9, 11-17: [Dopo la discussione dell’esistenza del luogo, adducendo argomenti a suo favore.] Allora c’`e difficolta`, se {il luogo} esiste, {a dire} che cosa esso sia: e` esso una certa massa di corpo oppure una qualche altra natura? Bisogna in effetti indagare per prima cosa quale sia il suo genere. [Nel seguito esame di varie possibilit`a. Nel cap. 2 la questione viene ripresa, circoscrivendo gradualmente le possibilita` (si arrivera` a quattro, cfr. 31.1); quanto segue fa parte di questa discussione:] Cosı` dunque, a guardare al luogo in questa maniera,253 esso e` (i) la forma di ciascuna cosa. Ma, nella misura in cui il luogo sembra essere l’estensione della grandezza,254 esso e` (ii) la materia. Questo infatti e` altra cosa che la grandezza: questo e` cio` che e` racchiuso e reso definito dalla forma, cio`e da una superficie ovvero da un limite, e tale e` la materia e l’indeterminato. [...] E` per questo che Platone nel Timeo dice che la materia e lo spazio sono la stessa cosa, giacch´e il ricettacolo e lo spazio sono uno e lo stesso. Il ricettacolo e` da lui presentato in modo differente in quell’opera e nelle cosidette dottrine non scritte, ma nondimeno egli ha dichiarato {sempre} che il luogo e lo spazio sono lo stesso. Tutti in effetti dicono che il luogo e` qualcosa, ma questi e` l’unico che ha cercato di dire che cosa esso e`.
252 Adotto il seguente testo: eij d’ h\n ti [toJ] diavsthma toJ pefukoJ" kaiJ mevnon, ejn tw/ aujtw/ tovpw/ ... = = W.D. ROSS, Aristotelis Physica, Oxford 1936, che adotta una integrazione del Laas (ispirantesi al commento di Temistio e ripresa con variazioni anche da Prantl e da Carteron), propone un testo da tradurre cosı`: ‘‘Se ci fosse un intervallo atto per sua natura ad esistere per se stesso e permanente, in uno stesso {luogo} ...’’; lo difende richiamandosi a IV 8, 216a24, ma il parallelo e` solo parziale e l’intervento e` piuttosto pesante. (Notare ancora che, modificando la punteggiatura, si avrebbe: ‘‘permanente in uno stesso luogo, ...’’.) 253 Cioe ` considerandolo come il limite (pevra") che racchiude il corpo. 254 Si intende: della grandezza corporea che lo riempie.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
3. Argomenti di Zenone e degli scettici contro l’esistenza del luogo 32.1. Aristotele, Physica IV 1, 209a23-26 (= 29 A 24; 13 Lee): Inoltre, se {il luogo} e` esso stesso uno degli enti,255 dove sar`a? L’aporia di Zenone richiede una spiegazione: se tutto cio` che e` e` in un luogo, e` chiaro che ci sar`a un luogo del luogo, e questo procede all’infinito.
32.2. Sesto Empirico, Adversus mathematicos X, §§ 19-23: Ma che niente di adeguato e` stato detto a favore della sussistenza del luogo, si comprende gia` da queste considerazioni [scil. quelle precedenti]; (20) ad esse vanno aggiunte quelle dovute alla Scepsi: se c’`e un luogo ricettivo di corpo, questo o e` corpo o e` vuoto. Ma il luogo ricettivo di corpo non e` corpo, perch´e, se ogni corpo deve essere in un luogo, e il luogo e` corpo, il luogo sara` in un luogo, e quello di nuovo in un terzo, e il terzo in un quarto, e cosı` via all’infinito. (21) Dunque il luogo ricettivo di un corpo non e` corpo. Se il luogo ricettivo di un corpo e` vuoto, o questo vuoto permane, quando un corpo sopravviene ad esso, o si sposta o perisce. Ma se permane quando un corpo sopravviene ad esso, sar`a ad un tempo vuoto e pieno – vuoto in quanto permane, pieno in quanto accoglie il corpo. Ma e` irrazionale dire che lo stesso e` vuoto e pieno; pertanto il vuoto non permane quando un corpo sopravviene ad esso. (22) Se invece il vuoto si sposta, il vuoto sara` corpo, perche´ cio` che si sposta da un luogo ad un altro e` corpo. Ma il vuoto sicuramente non e` corpo, sicche´ neppure si sposta quando un corpo sopravviene ad esso. Del resto, se si spostasse quando un corpo sopravviene, non accoglierebbe piu` il corpo – cosa anch’essa assurda. (23) Rimane allora da dire che il vuoto perisce, il che di nuovo e` impossibile. Infatti se perisse, sarebbe soggetto al cambiamento e al movimento; e se perisse, sarebbe {anche} generabile. Ma il generabile e perituro che e` soggetto al cambiamento e al movimento e` corpo, sicche´ il vuoto non perisce. E, a questo modo, se il luogo non e` corpo, come abbiamo stabilito, e neppure vuoto, come abbiamo indicato, il luogo non sara` qualche cosa {di esistente}.
4. La questione dell’esistenza e della natura del vuoto 33.1. T. Aristotele, Physica IV 6, 213a15-19 e a22-b4 (213a22-27 = 59 A 68; a27-b2 = 67 A 19; 255 Lu.): [Discussione della questione dell’esistenza e della natura del vuoto a partire da un esame delle posizioni altrui.] Coloro che ammettono il vuoto suppongono che sia un certo luogo ed un recipiente, che sembra essere pieno, quando contiene la massa della quale e` ricettivo, ed essere vuoto quando ne e` privo, sicch´e, pur essendo la stessa cosa che e` vuoto e pieno e luogo, l’essere per questi {termini} non e` la stessa cosa. [...] Coloro che cercano di mostrare che {il vuoto} non esiste, non confutano cio` che gli uomini intendono {realmente} per vuoto, ma cio` che dicono di errato {in proposito} – cosı` {fanno} Anassagora e coloro che confutano a questo modo. Mostrano infatti che l’aria e` qualcosa {di esistente}, premendo gli otri e mostrando {cosı`} che l’aria e` resistente, e rinchiudendola nelle clessidre. (a27) Cio` che gli uomini in-
255
Cioe` e` qualcosa di esistente.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
tendono per vuoto e` un intervallo nel quale non c’e` nessun corpo percettibile; in quanto pero` ritengono che tutto cio` che e` e` corpo, sostengono che e` vuoto cio` in cui non c’`e niente affatto {di percettibile}, per cui cio` che e` pieno d’aria {per essi} e` vuoto. Certo non e` questo che si deve mostrare, cioe` che l’aria e` qualcosa {di esistente}, ma che non esiste *un intervallo differente dai corpi – {non esiste} ne´ separato ne´ esistente in atto 256 –, il quale divida il corpo nel suo complesso, cosı` da non essere continuo, come dichiarano {che sia} Democrito e Leucippo e molti altri fisiologi*, oppure ancora qualcosa che si trovi al di fuori di tutto il corpo, essendo continuo.257 Costoro dunque non pervengono neppure alla soglia del problema, ma ben di piu` {ci pervengono} coloro che sostengono che esso [scil. il vuoto] esiste. [Seguito come 34.1]
33.2. E. Filopono, In Physica IV (6, 213a12 sgg.), 608.7-10 (om. DK e Lu.): Spiegare che l’aria e` qualcosa 258 non e` {lo stesso che} eliminare la natura del vuoto, giacche´ e` possibile che il vuoto sia diffuso in mezzo all’aria, come dicevano Democrito e i suoi, oppure anche che esista al di fuori del cielo.
33.3. T. Simplicio, In Physica IV (6, 213a32 sgg.), 648.9-22 (648.12-14 = 67 A 20; 648.14-15 = 70 A 8; 648.11-17 = 270 Lu. e 274 Us.; 648.18-20 = 268 Lu.): {Coloro che rigettano il vuoto debbono provare} che questo {intervallo} non e` un sussistente, ma esiste solo nella concezione – che e` cio` che significa il ‘‘n´e esistente in atto’’. Quelli infatti affermavano che c’`e, {esistente} in atto, un intervallo che e` tale che, sussistendo in mezzo ai corpi, non permette che i corpi siano continui; cosı` parlavano Democrito, Leucippo e i loro, dicendo che c’e` del vuoto non soltanto nel mondo ma anche al di fuori del mondo, e cio` [scil. quello fuori] e` chiaro che non sarebbe luogo ma qualcosa che sussiste di per se stesso. Di questa opinione fu anche Metrodoro di Chio e alcuni dei Pitagorici (come egli stesso dice poco piu` oltre) 259 e piu` tardi Epicuro. (17) Tuttavia Porfirio non scrisse 260 ‘‘n´e separato ne´ esistente in atto’’ ma ‘‘ne´ inseparabile da essi ne´ separato’’. ‘‘Come inseparabile, egli dice, lo postularono Democrito e i suoi, per il fatto che il tutto {per essi} non e` neppure continuo, in quanto i corpi sono interrotti dal vuoto. Come separato {lo postularono} coloro – come i Pitagorici – che parlano di un vuoto al di fuori del mondo, lasciando che il tutto sia continuo.’’ Ritengo pero` che la lezione precedente sia migliore {di quest’altra}.
33.4. T. Filopono, In Physica IV (6, 213a31), 613.19-27 (om. DK; 21-24 = 270 Lu.): ‘Separabile’ 261 al posto di ‘capace di essere separato’, intendo: estensione avente il corpo, capace di essere separata ed essere vuota per se stessa, in atto estensione vuota
256 Sulla lezione alternativa adottata da Porfirio cfr. la testimonianza di Simplicio nel suo commento, 648.17-22 (= 33.3). 257 ‘‘Essendo continuo’’ viene detto di ‘‘tutto il corpo’’. 258 In alternativa: «provare che l’aria esiste». 259 Il riferimento e ` a quanto Aristotele dice dei Pitagorici in 213b22-27. 260 Evidentemente come lezione del testo aristotelico (righe a32-33), come mostra la conclusione del passo (nella sua edizione Ross riporta quella di Porfirio come una lezione alternativa). 261 Data la spiegazione che da ` nel seguito immediato, Filopono deve intendere a questo modo il
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
di corpo. E questa o *e` diffusa nei corpi 262 ed impedente ad essi di essere continui, come dicono {che sia} Democrito, Leucippo e i loro*, o non e` diffusa nei corpi ma e` continua, ed e` un certo vuoto per se stesso al di fuori del cielo, come soprattutto ritiene {che sia} l’immaginazione dei molti nell’ammettere che ci sia un vuoto infinito al di fuori del cielo, e anche i Pitagorici lo intendevano a questo modo, come egli [scil. Aristotele] ha appena detto. Dicono che sia stata concepita a questo modo anche da Zenone di Cizio e i suoi.
33.5. Aristotele, Physica IV 7, 213b30-214a3: [Alcune definizioni correnti di «vuoto»] Per {stabilire} se le cose stanno in un modo o nell’altro {circa l’esistenza del vuoto} bisogna capire che cosa significa la parola {stessa «vuoto»}. Pare che il vuoto sia il luogo nel quale non c’e` nulla. La ragione di questo e` che si ritiene che l’essere sia corpo, ma tutto il corpo e` in un luogo, e vuoto e` il luogo nel quale non c’e` nessun corpo, sicche´, se da qualche parte non c’e` {del} corpo, ivi c’`e il vuoto.263 Di nuovo, si ritiene che tutto il corpo sia tangibile, e tale e` cio` che possiede pesantezza o leggerezza. Ne segue, per sillogismo, che il vuoto e` cio` in cui non c’`e niente di pesante o leggero.
33.6. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 18, 1-3 (2 = 31 B 13; 3 = 67 A 15; 187 Lu.): (Sul vuoto) Tutti i naturalisti discendenti da Talete, fino a Platone, hanno disconosciuto il vuoto. (2) Empedocle {dice:} ‘‘Nel tutto non c’e` niente che sia vuoto oppure sovrabbondante’’ (fr. 13). (3) Leucippo, Democrito, Demetrio,264 Metrodoro, Epicuro {dicono che} gli atomi sono infiniti per moltitudine, il vuoto e` infinito per grandezza. [Segue passo sulla posizione degli Stoici.]
33.6.1. VA. Stobeo, Eclogae I 18, 1a (1-3) [insieme a 33.6 = Aezio I 18.1-3 (Dox. 315-316)]: 265 (Sul vuoto e il luogo e lo spazio)
cwristo;n del testo aristotelico commentato (sempre con riferimento alla formula introdotta in a32-33);
nella mia traduzione di questo ho invece reso con ‘‘separato’’, ma probabilmente c’e` una ambiguita`: il vuoto e` separato quando non occupato da un corpo, mentre, quando e` occupato, e` solo separabile da esso. (Ma evidentemente Filopono, pur non adottando la lezione di Porfirio, cerca di ricavare dal testo aristotelico la stessa distinzione di tipi di vuoto che viene rigettata – giustamente, credo – da Simplicio.) 262 Suppongo che il riferimento sia ad un tempo al vuoto interstiziale (cioe ` a quello che e` presente all’interno di ogni composto) e al vuoto che separa un composto da un altro (cioe` al vuoto ‘disseminato fra i corpi’, come pure il passo puo` essere reso); trattandosi sempre di vuoto discontinuo, esso viene opposto a quello continuo (cioe` a quello fuori del mondo concepito come unico) che viene ammesso da pensatori come gli Stoici. 263 Oppure: ‘‘il nulla’’ (secondo la maggior parte dei MSS), ma il senso non cambia (dato che per gli atomisti ‘non-essere’ = ‘vuoto’). 264 Presumibilmente l’epicureo Demetrio Lacone. ` palese che il passo di Teodoreto, IV 14 (= 30.7), e` un parallelo parziale di questi altri, ma 265 E la sua formulazione (vuoto = luogo degli atomi) ha piu` pertinenza al tema definito dal titolo del cap.
13
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
Tutti i naturalisti discendenti da Talete hanno disconosciuto il vuoto come realmente vuoto. (2) Empedocle {dice:} ... [= fr. 13, come in 33.6]. (3) Democrito e altri, {cioe`} Leucippo, Metrodoro, Epicuro, {dicono che} gli atomi sono infiniti per moltitudine, il vuoto e` infinito per grandezza. [Seguono passi sulla posizione di Stratone e di Zenone (stoico) con i suoi seguaci.]
33.6.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 30 (616.15-18): (Sul vuoto) Coloro che discendono da Pitagora e tutti i naturalisti fino a Platone affermano che nel mondo c’e` il vuoto.266 Leucippo, Democrito ed Epicuro {dicono che} gli atomi sono infiniti per moltitudine, il vuoto e` infinito per grandezza.
5. Argomenti a favore e contro l’esistenza del vuoto 34.1. T. Aristotele, Physica IV 6, 213b4-22 (= 67 A 19, con omissioni; 255 Lu.): [Di seguito a 33.1: gli argomenti addotti a favore dell’esistenza del vuoto:] Dicono [sogg.: coloro che sostengono che il vuoto esiste], per prima cosa, che (i) il movimento secondo il luogo, cioe` lo spostamento e l’accrescimento, non esisterebbe {senza il vuoto}. Non pare infatti che ci sia movimento se non c’e` il vuoto, perche´ il pieno e` incapace di accogliere qualcosa. Se lo accogliesse e ci fossero due {corpi} nello stesso {luogo}, sarebbe possibile che un numero qualunque di corpi stessero insieme (non si puo` dire infatti la differenza per la quale cio` che si e` detto non sia). (9) Ma se questo e` possibile, anche il {corpo} piu` piccolo accogliera` il piu` grande, giacch´e il grande e` [scil. equivale a] molti piccoli; di modo che, se molti uguali possono stare nello stesso {luogo}, anche molti diseguali. Melisso appunto, a partire da tali considerazioni, dimostra anche che il tutto e` immobile; se si muovesse, necessariamente ci sarebbe il vuoto (dichiara), ma il vuoto non e` fra gli esistenti. (14) In un modo, dunque, e su questa base, dimostrano che il vuoto e` qualcosa {di esistente}; un altro {modo di dimostrarlo e` } che (ii) certi {corpi} appaiono contrarsi e condensarsi, per esempio anche il vino si dice che le botti lo accolgano insieme agli otri,267 come se il corpo compresso si contraesse nei vuoti al suo interno. (18) Inoltre (iii) anche l’accrescimento sembra a tutti verificarsi mediante il vuoto: il nutrimento in effetti e` un corpo, ed e` impossibile che due corpi stiano insieme [cioe` nello stesso luogo]. Adducono a prova (iia) anche {cio` che avviene} con la cenere, che accoglie {in se´} altrettanta acqua quanto un recipiente vuoto.268
266
Oppure: che il vuoto e` nel mondo. (Notare la difformita` dalle altre varianti della testimo-
nianza). 267 Si tratta di otri da vino fatti di pelle, nei quali il liquido era versato dalle botti, per essere rimesso in queste insieme agli otri, come risulta dal resoconto dato nel passo dei Problemata citato in n. 268. 268 Quest’ultimo caso e il caso sotto (ii) sono esposti e discussi piu ` dettagliatamente in Problemata XXV, 938b14-939a9, donde e` evidente che i due casi sono ritenuti simili, sicche´ (iia) non e` ne´ un argomento distinto ne´ una conferma di (iii), ma una conferma di (ii). Peraltro in 34.2 sembra essere data un’altra interpretazione di esso, collegandolo piuttosto a (iii).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
34.2. Aristotele, Physica IV 7, 214a32-b6 e b8-10: [Di seguito a 35.1: contro l’esistenza del vuoto, la risposta di Aristotele al secondo e al terzo argomento:] Anche (ii) il condensarsi e` possibile non {perche´ si verifichi} entro il vuoto ma per l’espulsione di cio` che e` dentro {il corpo}, come per esempio l’acqua espelle per compressione l’aria al suo interno, e (iii) l’accrescimento {ha luogo} non soltanto perche´ c’`e qualcosa che penetra ma per alterazione, come per esempio se dall’acqua si genera dell’aria. Tutto sommato (iii) il discorso riguardante l’accrescimento e (iia) {quello} dell’acqua versata nella cenere si ostacolano a vicenda. In effetti, o non c’e` niente che si accresce, o non {si accresce} per {aggiunta di} corpo, o, ancora, e` possibile che due corpi si trovino nello stesso luogo [...], o, infine, e` necessario che tutto il corpo sia vuoto, se si accresce in tutti i modi e si accresce mediante il vuoto. E lo stesso discorso {vale} per il caso della cenere.
34.3. A. Aristotele, Physica IV 9, 216b22-34 (om. DK; = 256 Lu.) e 217a15-21: [Un altro argomento addotto a favore dell’esistenza del vuoto.] Ci sono alcuni che ritengono che, per via {della presenza} del rado e del denso {nei corpi}, sia evidente che il vuoto esiste. Se infatti non ci fossero il rado e il denso, non sarebbe neppure possibile il contrarsi e il condensarsi. Ma se non ci fosse questo, o non ci sara` il movimento in generale, o il tutto sara` ‘ondeggiante’,269 come disse Xuto, o l’aria e l’acqua si debbono trasformare sempre {reciprocamente} nell’uguaglianza {delle quantita` coinvolte} – intendo dire che, per esempio, se da un vaso d’acqua si genera dell’aria, contemporaneamente da una quantita` uguale di aria si generera` altrettanta acqua –, o di necessit`a esiste il vuoto. Non c’e` altro modo infatti in cui siano possibili il condensarsi e l’estendersi. (30) Se dunque chiamano rado cio` che contiene molti vuoti separati, e` chiaro che, se non puo` esistere alcun vuoto separato, allo stesso modo come non {puo` esistere} un luogo che abbia l’estensione di se stesso,270 neppure {puo` esistere} del rado {inteso} a questo modo. Se invece {il vuoto} non e` separato, ma tuttavia c’e` un certo vuoto dentro {al corpo}, l’impossibilit`a e` minore. [...] E` necessario allora, se non c’e` contrazione, o che, per il fatto che {ogni strato} successivo e` spinto all’infuori, l’estremita` {del mondo} sia resa ondeggiante, o che, da qualche 269 Ovvero: pulsante, come rende Apostle nella sua trad. (intendendo dire che il mondo si gonfiera` a periodi). Non e` chiaro se questo motivo, con il riferimento al pitagorico Xuto, e` introdotto da Aristotele o da coloro dei quali espone il pensiero per criticarlo. Costoro debbono includere gli atomisti, come e` confermato dal commento di Simplicio al passo (cfr. 34.3.1), non perche´ li menzioni espressamente ma per il tenore complessivo della sua esposizione, e per l’introduzione in esso dell’esempio del camminare fra la folla che compare anche in una testimonianza di Seneca (cfr. 87.1) (l’accostamento era stato gia` rilevato da Luria, comm. ad 256). 270 Traduco alla lettera, ma probabilmente il senso e ` quello suggerito dalla seguente traduzione di R.P. HARDIE e R.K. GAYE (Aristotle’s Physica, Oxford 1930): ‘‘any more than a place can exist with an extension all to itself’’. Il riferimento deve essere all’idea di intervallo (diavsthma vuol dire sia estensione sia intervallo) che sussiste indipendentemente da ogni corpo. Notare che in questa parte Aristotele sta introducendo delle critiche (a partire dal suo rigetto, in IV 4, 211b18-29, della concezione del luogo come intervallo o estensione) alla posizione esposta in precedenza, mentre nel passo finale ne offre una riformulazione.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
parte, una quantita` uguale {di materia} si trasformi da aria ad acqua, affinche´ la massa totale del tutto sia uguale, o che niente si muova. Infatti e` sempre per uno spostamento {di particelle} che questo [scil. il condensarsi] si verifica, a meno che non si abbia un movimento circolare; il movimento pero` non e` sempre circolare, ma anche in linea retta. Costoro dunque e` per queste ragioni che dichiarano che il vuoto e` qualcosa {di esistente}.
34.3.1. A. Simplicio, In Physica IV (9, 216b22 sgg.), 683.6-21 (om.DK; = 256 Lu.): Dicevano costoro 271 che non soltanto si elimina la rarefazione e la condensazione eliminando il vuoto, ma anche che, se non c’e` il vuoto, non c’e` rarefazione e condensazione, ma se non c’`e rarefazione e condensazione non ci sar`a in generale il movimento, giacche´ {non ci sar`a} ne´ il movimento secondo il luogo ne´ quello secondo l’accrescimento ne´ quello secondo l’alterazione e la generazione. Quello secondo il luogo non avviene in altro modo, dicono, se non col contrarsi e condensarsi dei corpi e col loro offrire spazio ai {corpi} che si muovono attraverso di essi allo stesso modo come {si offre spazio} a coloro che camminano in mezzo alla folla, e {i corpi} che si accrescono e si estendono nelle loro massa prendono spazio per il {loro} incremento perche´ altri {corpi} si comprimono e si contraggono nei vuoti al loro interno. (15) Ma anche quelli che diventano piu` grandi da inferiori {per grandezza} e che prendono maggiore spazio lo diventano per il condensarsi e contrarsi di alcuni {altri corpi}. Il condensarsi non e` possibile senza il vuoto diffuso fra i corpi, e, in generale, se non c’e` rarefazione, non e` possibile che qualcosa diventi piu` grande da inferiore; non c’e` rarefazione separatamente dal vuoto che divide i corpi; ma neppure l’alterazione potrebbe verificarsi separatamente dal movimento locale, giacch´e cio` che altera e cio` che e` alterato debbono essere in movimento per avvicinarsi l’uno all’altro.
34.4. Aristotele, Physica IV 9, 217a21-26, a33-b2, b8-11: [Di seguito a 34.3: l’alternativa che Aristotele propone al ricorso al vuoto:] Noi invece diciamo, sulla base dei nostri assunti, che c’e` una materia unica per i contrari, {cioe`} per il caldo e il freddo e per le altre contrarieta` fisiche, e che cio` che e` in atto si genera da cio` che e` in potenza, e che la materia non e` separata ma differente quanto all’essere ed una numericamente – {la materia} del colore e del caldo e del freddo, {per dire} a caso. [...] Al modo in cui, {quando un corpo diventa} caldo da freddo e freddo da caldo, {la materia rimane} la stessa, perche´ essa e` {quelle proprieta` solo} potenzialmente, allo stesso modo {un corpo diventa} piu` caldo da caldo, senza che nella materia ci sia niente che sia diventato caldo che prima non era caldo, quando il calore era inferiore. [...] E cosı` anche la grandezza e la piccolezza della massa percettibile si estendono senza che la materia acquisisca qualcosa, ma per il fatto che la materia e` potenzialmente entrambe {le condizioni}; sicche´ e` lo stesso che e` denso e rado, e la materia di essi [scil. di questi due stati] e` una.
271 Simplicio aveva chiarito in precedenza che si tratta di quelli, fra coloro che postulano il vuoto, che ritengono che esso sia diffuso fra i corpi (ovvero anche al loro interno).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.B)
6. La questione del vuoto come condizione del movimento 35.1. A. Aristotele, Physica IV 7, 214a19-32 (om. DK; 214a22-25 = 260 Lu.): Il vuoto in effetti vuole essere 272 non corpo ma estensione del corpo. Percio` anche il vuoto sembra essere qualcosa {di esistente}, perche´ anche il luogo {lo e`}, e per le stesse ragioni. Il movimento locale in effetti e` giunto {in aiuto} sia a coloro che sostengono che il luogo e` qualcosa oltre i corpi che vengono a collocarsi in esso sia a coloro che {sostengono che} il vuoto {e` tale}. Ritengono che del movimento sia causa il vuoto nel senso di cio` in cui il movimento si da`; e questa e` il tipo di cosa che alcuni dicono essere il luogo. (26) Non c’e` nessuna necessita` che, se c’e` il movimento, ci sia {anche} il vuoto. In generale {per prima cosa} non e` in nessun modo {causa o condizione} di ogni {tipo di} movimento, per cui anche a Melisso e` sfuggito {questo}: e` possibile che il pieno si alteri. Ma neppure il movimento locale {richiede il vuoto}: e` possibile che {i corpi} si rimpiazzino a vicenda nello stesso tempo, senza che ci sia alcuna estensione separata oltre ai corpi in movimento. E questo e` evidente anche nei turbini di sostanze in continuit`a {fra di loro}, come particolarmente in quelli dei liquidi. [Seguito come 34.2.]
35.2. Aristotele, Physica IV 8, 214b12-17: Diciamo di nuovo che non c’e` un vuoto separato, al modo in cui sostengono alcuni. In effetti, se esiste uno spostamento proprio per natura a ciascuno dei corpi semplici, per esempio per il fuoco {c’e` lo spostamento} verso l’alto, per la terra verso il basso e il centro, e` chiaro che il vuoto non puo` essere causa dello spostamento. Di quale movimento dunque sara` causa il vuoto? In effetti e` ritenuto essere causa di movimento locale, ma di questo non lo e`. [Segue una serie di argomenti contro il vuoto come condizione di movimento, alcuni dei quali sono riportati piu` sotto.]
35.3. T o E. Filopono, In Physica IV (8, 214b12), 630.8-18 (om. DK; 630.13 e 15-16 = 260 Lu.): Avendo mostrato che gli argomenti che introducono il vuoto non hanno nulla di necessario, nel seguito vuole [sogg. Aristotele] quindi eliminare la stessa natura del vuoto. E dal momento che coloro che ammettono il vuoto lo intendono come essente separato o come essente non separato, e non separato e` o cio` che in potenza e per sua definizione vuoto ma sempre pieno di corpo, come coloro che dicono che il luogo e` estensione direbbero che sia il vuoto, o diffuso nei corpi, come dicevano che sia Democrito e i suoi, per prima cosa dimostra che non esiste vuoto separato e non avente alcun corpo. E, dal momento che coloro che sostengono che il vuoto esiste hanno detto che esso e` causa di movimento (non ci sarebbe infatti movimento non essendoci il vuoto), dimostra per prima cosa che da nessuna parte e in nessun modo il vuoto puo` essere causa di movimento, ne´ come {causa} efficiente ne´ come {causa} finale n´e come ‘cio` in cui’ oppure ‘cio` mediante cui’. ...
272
Oppure: vogliono che sia (adottando la lezione di alcuni MSS).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.C)
C. UNIFORMITA`
DEL VUOTO O DELL’INFINITO SPAZIALE
1. Rifiuto aristotelico del vuoto indifferenziato e infinito come condizione del movimento 36.1. A. Aristotele, Physica IV 8, 214b28-215a1 e 19-24 (om. DK; = 5 Lu.): Per coloro che sostengono che c’e` il vuoto come {qualcosa di} necessario perch´e ci sia il movimento vale piuttosto, a ben considerare, la conclusione contraria, che non e` possibile che anche una sola cosa si muova se c’`e il vuoto. Infatti, come coloro che affermano che la terra e` in stasi per via dell’uniformita`, {essi debbono sostenere} che, allo stesso modo, {una cosa} necessariamente e` in stasi nel vuoto, perch´e non c’e` un dove si possa muovere di piu` o di meno: 273 in quanto vuoto esso non comporta differenze. [...] Ancora, nessuno {di essi} sarebbe in grado di dire per qual ragione cio` che e` stato messo in movimento si fermera` in un certo posto: perche´ qui piuttosto che altrove? Sicche´ o sara` in stasi {costantemente} o di necessita` si muovera` all’infinito, a meno che non lo ostacoli qualcosa di piu` forte. Ancora, {un corpo} invero e` ritenuto muoversi nel vuoto perch´e {tale mezzo} e` cedevole, ma nel vuoto questa condizione {si presenta} uniformemente in ogni direzione, sicche´ esso si portera` in ogni direzione.
36.1.1. T. Filopono, In Physica IV (8, 215a22-24), 644.25-26 (om. DK; = 377 Lu.): Questo e` un altro argomento a partire dalle stesse cose che sostengono coloro che postulano un vuoto diffuso nei corpi, cioe` Democrito e i suoi.
36.2. A. Aristotele, Physica IV 8, 215a1-14 (om. DK; 215a11 = 249 Lu.): Successivamente {c’e` il fatto} che ogni movimento e` o per forza o secondo natura. Ma e` necessario che, se esiste quello forzato, che esista anche quello secondo natura. In effetti quello forzato e` contro natura, ma quello contro natura e` posteriore a quello secondo natura. Sicche´, se non c’e` un movimento secondo natura per ciascuno dei corpi fisici, non ci sara` nessun altro tipo di movimento. Ma com’e` che ci sara` {un movimento} per natura non essendoci nessuna differenza nel vuoto e nell’infinito? In quanto e` infinito, non ci sara` nessun alto e basso e nessun centro; in quanto e` vuoto, non {ci sara`} nessuna differenza fra alto e basso. Come infatti non c’e` nessuna differenza del nulla, cosı` {non ce n’e` nessuna} del vuoto, perche´ il vuoto sembra essere un certo non-essere e privazione {di essere}. Tuttavia lo spostamento per natura comporta differenza, sicche´ ci saranno cose differenti per natura. Dunque, o non c’e` in nessun modo per nessuna cosa uno spostamento per natura, oppure, se questo c’e`, non c’e` il vuoto.
36.3. Aristotele, Physica IV 8, 216a13-23 (om. DK; brani in 314 Lu.): Vediamo che i corpi che hanno un momento maggiore, sia di pesantezza che di leggerezza, le condizioni essendo uguali, percorrono piu` rapidamente uno spazio uguale, {e lo 273 Presumibilmente il senso e ` che non c’e` un luogo dove si possa muovere a maggior ragione oppure a minor ragione, rispetto ad un altro luogo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.C)
fanno} in proporzione alle grandezze che hanno gli uni rispetto agli altri. Sicche´ anche attraverso il vuoto {dovrebbe essere lo stesso}. Ma e` impossibile: per quale causa {un corpo} si sposter`a piu` rapidamente? In un medio pieno 274 {cio` avviene} di necessit`a, giacch´e il corpo con una forza superiore divide piu` rapidamente: la divisione dipende dalla figura o dal momento che ha il mobile o il proiettile. Pertanto {nel vuoto} tutti avrebbero la stessa velocita`, ma cio` e` impossibile. (21) Che dunque se c’e` il vuoto, si verifica il contrario di cio` per cui lo inventano coloro che dicono che esiste il vuoto, e` chiaro da quanto e` stato detto.
36.4. T. Alessandro presso Simplicio, In Physica IV (8, 216a12 sgg.), 679.1222 (om. DK; = 314 Lu.; 279 Us.): A partire da queste considerazioni, dice Alessandro, e` possibile dire contro Epicuro, e probabilmente non meno contro Democrito e Leucippo e in genere contro tutti quelli che enunciano come princı`pi gli atomi e il vuoto, che, se gli atomi si spostano nel vuoto con velocit`a disuguale, e` opportuno per essi enunciare le cause della diseguaglianza di velocita`, giacche´ ne´ la grandezza ne´ la pesantezza ne´ la figura contribuisce per nulla alla velocita` degli atomi. Se invece {si muovono} alla stessa velocita`, non e` piu` possibile che uno di essi raggiunga l’altro e che si urtino vicendevolmente e si intreccino. Infatti anche la differenza delle figure non e` tale da rendere il loro spostamento diseguale, giacch´e le figure rendono diseguale il loro spostamento mediante il dividere e il non dividere, ma nel vuoto non c’e` nulla che possa essere diviso, sicche´ seguendo loro neppure ci sara` la generazione di qualcosa.
2. Rifiuto aristotelico dell’infinito spaziale 36.5. A. Aristotele, Physica III 5, 205b31-206a2: Ancora, ogni corpo percettibile e` in un luogo, ma del luogo le specie e le differenze sono l’alto e il basso e il davanti e il didietro e la destra e la sinistra, e queste distinzioni valgono non solo rispetto a noi e per convenzione, ma anche nello stesso tutto; tuttavia e` impossibile che queste esistano nell’infinito. – In breve, se e` impossibile che il luogo sia infinito, e ogni corpo e` in un luogo, e` impossibile che ci sia un corpo infinito.
3. L’indifferenziazione dell’infinito spaziale ammesso dagli atomisti 36.6. T. Simplicio, In De caelo IV (1, 308a17-21 [= 68.1]), 679.1-8 (om. DK; 361 Lu.): Il seguito del discorso e` a questo modo: dicendo che cosa egli stesso [scil. Aristotele] ritiene che sia l’alto e che cosa il basso, polemizza nel frattempo con coloro che non ritengono che l’alto e il basso nel mondo siano qualcosa. *Di questa opinione sono stati Anassimandro e Democrito per avere supposto che il tutto sia infinito: nell’infinito non c’e` niente che sia alto o basso per natura, giacch´e questi sono termini e limiti di estensione.* Altri pure, fra i quali anche Timeo in Platone,275 contro il quale egli [scil. Aristotele] si
274 275
Letteralmente: nei pieni. Cioe` nell’opera (dello stesso titolo) di Platone.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
dilunga massimamente, ritengono che nel mondo non c’`e alto e basso per via della {sua} uniformit`a ...
36.7. Epicuro, Epistula ad Herodotum, § 60.1-2 (om. DK; = 361 Lu.): L’alto e il basso non si debbono predicare dell’infinito nel senso di estremamente alto e di estremamente basso.
36.8. Lucrezio, De rerum natura I, vv. 1070-71: Non ci puo` essere centro, se tutte le cose risultano essere | infinite.
D. L’INFINITO
COME PRINCIPIO E LE SUE APPLICAZIONI
1. Tipi di infinito 37.1. Aristotele, Physica I 4, 187b7-12: [In polemica con Anassagora per la sua postulazione di un numero infinito di princı`pi.] Ora se l’infinito, in quanto infinito, e` inconoscibile, l’infinito secondo la moltitudine o secondo la grandezza e` una quantita` inconoscibile, e l’infinito nella forma e` una qualit`a inconoscibile. Una volta poi che i princı`pi siano infiniti e secondo la moltitudine e secondo la forma, e` impossibile conoscere le cose che derivano da essi, giacche´ noi riteniamo di conoscere il composto quando conosciamo le cose da cui deriva, quali e quante siano.
37.2. T. Simplicio, In Physica I (4, 187b7), 165.8-18, 166.3-12 (om. DK; 166.6-10 = 224 Lu.): Come dice Porfirio, l’obiezione da rivolgere a Leucippo e a Democrito e a Metrodoro e a tutti coloro che affermano che gli elementi sono infiniti sarebbe la stessa. L’infinito essendo duplice, o secondo la quantita`, o secondo la qualita`, e quello secondo la quantita` essendo o secondo la moltitudine o secondo la grandezza, e` secondo la moltitudine che tutti i {pensatori} menzionati dicono che gli elementi sono infiniti, ma Democrito, Leucippo e i loro {ammettono l’infinito} secondo grandezza nel dire che il vuoto e` infinito, e Anassagora sembra dire che le omeomerie sono infinite nella forma, dal momento che dice che «quanto all’altro, niente e` simile a niente» 276 altro fra cose che sono infinite. (15) Se dunque tutto quanto e` infinito, in quanto infinito, e` inconcepibile, e l’inconcepibile e` inconoscibile, saranno inconoscibili i princı`pi e gli elementi dai quali sono costituite tutte le cose, sicche´ anche le cose {stesse} che derivano dai princı`pi saranno inconoscibili. [...] Si deve sapere che, come ho detto, Porfirio ritiene che l’obiezione sia la stessa per tutti coloro che postulano gli elementi come infiniti, ma Alessandro la intende come rivolta solo contro Anassagora – e possibilmente in modo piu` cogente. Democrito, Leucippo e i loro,
276
Cfr. 59 B 12, fine (l’ ‘‘altro’’ di cui si parla e` tutto cio` che differisce dall’intelletto).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
infatti, anche se postularono i princı`pi come infiniti per moltitudine, posero tuttavia la loro forma e la loro essenza come unica e definita, sicche´ il principio, secondo essi, non sarebbe inconoscibile, eccetto che per il fatto che hanno assegnato ad essi [scil. i princı`pi] figure o altre {caratteristiche} che sono infinite secondo la forma. Anassagora invece, avendo postulato i princı`pi come infiniti non soltanto per moltitudine ma anche per forma, dovra` accettare quell’evidente riportare all’assurdo che sta {nella proposizione} che ‘anche le cose derivanti dai princı`pi sono inconoscibili’.
37.3. T. Simplicio, In Physica I (4, 188a17), 178.23-25 (om. DK e Lu.): [Di commento ad un passo di Aristotele nel quale questi afferma, in polemica con coloro che ammettono un’infinita` di princı`pi, che e` meglio ammetterne pochi, come fa Empedocle.] E coloro che postularono i mondi come infiniti – come Democrito –, di necessit`a affermano che anche gli elementi sono infiniti per il numero, ma neppure costoro sono costretti ad affermare che sono infiniti per la forma.
2. L’infinitezza (complessiva) della materia ovvero degli atomi (e la loro ingenerabilit`a) 38.1. T. Aristotele, Physica III 4, 202b36-203a5, 203a16-b2 (a19-24 = 59 A 45; in parte = 145 Lu.; a 33-b2 = 68 A 41; 220 Lu.): Ecco una prova del fatto che l’indagine circa questo [scil. l’infinito] 277 e` propria della scienza [scil. della natura]: tutti coloro che hanno la reputazione di avere contribuito a tale sapere in modo degno di menzione hanno discusso dell’infinito, e tutti l’hanno trattato come un qualche principio degli enti. – Alcuni, come i Pitagorici e Platone, hanno trattato l’infinito non come un concomitante a qualcos’altro ma come essente per se stesso sostanza. [Nel seguito vengono illustrate le posizioni dei Pitagorici e di Platone.] (16) Quanto agli altri, ai ‘fisici’, tutti pongono sotto all’infinito un’altra natura, {e cioe` uno} fra i cosidetti elementi, come l’acqua e l’aria e l’intermedio di questi. Nessuno, fra coloro {di essi} che fanno gli elementi limitati {nel numero}, li fa infiniti; 278 *coloro invece che rendono gli elementi infiniti {di numero}, come Anassagora e Democrito – il primo a partire dalle omeomerie, l’altro a partire dalla ‘panspermia’ delle figure –, dichiarano che l’infinito {nella grandezza} esiste come continuo per contatto*. (23) E il primo {ritiene che} ognuna delle parti sia una mescolanza allo stesso modo del tutto, sulla base dell’osservazione che una qualsiasi cosa si genera da una {altra} cosa qualsiasi. E` per que-
277 L’infinito e ` l’oggetto della trattazione aristotelica in Phys. III 4-8. Il passo che riporto segue una breve premessa, nella quale viene affermato che anche l’infinito, insieme a grandezza (cioe` a estensione), movimento e tempo (ciascuno di quali deve essere o finito o infinito), e` oggetto di studio della scienza della natura. 278 Si intende: per grandezza o estensione e se presi uno ad uno. Aristotele pare riferirsi ad Empedocle, e questo esclude che egli stia parlando di tutti i fisici: parla di coloro che ammettono l’infinito, tenendo implicitamente distinti i monisti dai pluralisti (la distinzione e` resa esplicita dai commentatori, cfr. 38.2 e 38.3) e rivolgendo l’attenzione ai secondi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
sto che, come pare, sostiene che, in un certo tempo, tutte le cose sono insieme, per esempio questa carne e questo osso e, allo stesso modo, qualsiasi cosa; dunque: tutte, e appunto contemporaneamente; c’`e infatti un inizio della separazione non semplicemente per una certa cosa, ma per tutte. Dal momento che cio` che e` generato si genera da un corpo di tal fatta, e che c’e` una generazione di tutte le cose, sebbene non nello stesso tempo, ci deve essere un certo principio della generazione, e questo e` uno {soltanto}, che egli chiama intelligenza, e l’intelligenza si mette all’opera pensando a partire da un qualche inizio. Sicche´, di necessita`, tutte le cose sono insieme in un certo tempo, e in un certo tempo cominciano ad essere mosse. (33) Democrito invece dichiara che *le cose primarie non si generano affatto l’una dall’altra, ma che ugualmente il loro corpo comune e` un {unico} principio di tutto – e` differente {soltanto} nelle sue parti per grandezza e per figura. [Seguito come 41.1.]
38.2. T o E. Filopono, In Physica III (4, 203a19), 396.3-12 (om. DK; 396.1012 = 145 Lu.): Coloro che, egli [scil. Aristotele] dice, rendono gli elementi infiniti di numero – costoro erano Anassagora e Democrito e i suoi, {dei quali} l’uno dicendo che sono infinite le omeomerie, gli altri gli atomi – differiscono da coloro che postulano come uno l’elemento che e` infinito per grandezza – costoro erano quelli che postulano l’acqua o l’aria o l’intermedio –, per il fatto che gli uni [scil. gli ultimi] rendono l’infinito continuo, dal momento che {lo rendono} anche un certo corpo che e` uno, gli altri rendono l’infinito {uno} per contatto.279 Infatti, le omeomerie essendo infinite di numero ne segue che, col loro mettersi in contatto, si generi un corpo che e` uno e infinito nella sua estensione; parla [sogg. Aristotele] di una «panspermia delle figure», perch´e Democrito e i suoi dicevano che gli atomi sono infiniti non soltanto nel numero, ma anche nelle figure.
38.3. T o E. Simplicio, In Physica III (4, 203a16 sgg.), 458.23-29, 459.16-28 (om. DK; 459.22-25 e 26-28 = 237 e 145 Lu.): Di costoro [scil. di quelli fra i naturalisti che considerano l’infinito non come sostanza ma come concomitante] gli uni, che hanno postulato un certo elemento che e` uno – come Talete l’acqua, Anassimene e Diogene l’aria, Anassimandro l’intermedio –, dicevano che questo e` infinito per grandezza, mentre gli altri – come Anassagora e Democrito –, che hanno postulato {gli elementi} come infiniti per moltitudine, introdussero l’infinito nella moltitudine stessa e ancora nella grandezza. Infatti gli infiniti per moltitudine sono continui per contatto, ma non producono una grandezza che sia infinita per unita` . [...] Coloro che, egli [scil. Aristotele] dice, rendono gli elementi infiniti per moltitudine – come Anassagora che ha postulato le omeomerie come infinite per moltitudine, e Democrito {che ha postulato come tali} gli atomi –, costoro manifestamente introducono l’infinito per moltitudine, cosa che Aristotele ha mostrato nel parlare di ‘coloro che rendono gli elementi infiniti’. Che {l’infinito da essi introdotto} sia anche secondo grandezza lo mostra
279 Aristotele, nel passo commentato, parla di ‘continuo per contatto’, e cosı` fa Simplicio in 38.3, ma Filopono (come si nota anche in 39.1) contrappone questa posizione a quella di coloro che rendono l’infinito continuo senz’altro.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
[sogg. Aristotele] affermando che «essi dicono che l’infinito e` continuo per contatto», e non per unita`, al modo di quelli che dicono essere uno l’elemento infinito. (22) Che qualcosa di infinito sia continuo per contatto, e` chiaro anche da queste {considerazioni}: gli infiniti per moltitudine avendo grandezza e essendo omogenei, sicch´e sono anche a contatto gli uni con gli altri, producono una grandezza infinita che e` continua per contatto. Percio` anche Eudemo 280 nel secondo libro della Fisica dichiara: «dire che cio` che e` omogeneo per moltitudine e` {cose} infinite non differisce per nulla {dall’affermare} che c’e` una grandezza infinita.» Chiama ‘‘panspermia delle figure’’ quella degli atomi democritei, dal momento che, nel caso degli atomi, li ha assunti [sogg. Democrito] come infiniti anche per quanto riguarda le differenze di figura.
38.4. T o E. Simplicio, In Physica III (4, 203a33), 461.30-462.9; (su questione del contatto:) 462.9-19 (om. DK; 461.32-33 = 145 Lu.): Dicendo in che modo per Anassagora seguirebbe il porre l’infinito anche secondo grandezza come principio per il fatto che dice che le omeomerie, che sono princı`pi corporei, sono infinite per moltitudine, mostra che anche Democrito, seppure non ammetta la generazione secondo separazione e non dica che tutte le cose sono inerenti a tutte, come Anassagora – che anche questi dunque, avendo postulato come princı`pi gli atomi, che sono infiniti per moltitudine, e il vuoto, non meno che Anassagora anche lui disse che e` infinito non soltanto per la moltitudine ma anche per la grandezza il principio {che e` continuo} per contatto – e {mostra} che secondo costui l’infinito e` diventato ‘sunaptico’.281 (3) Infatti, le cose che sono infinite per moltitudine, avendo una certa grandezza ed essendo omogenee, sicch´e sono anche a contatto le une con le altre, producono una certa grandezza infinita, come si e` detto spesso. E che gli atomi secondo Democrito abbiano grandezza e` provato dal suo dire che essi differiscono per grandezza e per figura: che cosa potrebbe differire per grandezza senza avere grandezza? e che cosa {potrebbe differire} per figura, senza essere definito da linee o da superfici? E` del tutto chiaro che cio` che e` circoscritto da linee o da superfici e` una grandezza. (9) Quanto al fatto che le cose infinite per moltitudine sono a contatto l’una con l’altra, nel caso di Anassagora e` detto subito, se, come egli dice, «tutte le cose erano insieme», nel caso di Democrito {vale} nella misura in cui egli disse che e` uno il corpo comune di tutti gli atomi, avendo posto la differenza che c’e` fra di essi nella grandezza e nella figura, ma non nel corpo sottostante. All’una {proposizione} segue il dire che essi sono omogenei, all’altra che sono a contatto gli uni con gli altri, giacch´e le cose omogenee che non sono impedite vanno in uno stesso posto ed entrano in contatto l’una con l’altra, e il vuoto non ostacola il contatto. Se a questo modo, infatti, il vuoto fosse maggiormente infinito del corpo infinito, pur esistendo insieme ad esso e separatamente {da esso}, allora {lo} terrebbe separato; 282 ma non c’e` niente di piu` infinito dell’infinito. In generale poi il vuoto non ha nessun potere per tenere separato {qualcosa}.
Il passo che segue e` il fr. 62 W. Rendo a questo modo sunafhv", che suggerisce sempre l’idea di unita` o di congiunzione per contatto. – Le inconcinnita` dell’esposizione sono gia` nel greco di Simplicio. 282 Presumibilmente: in parti nelle quali fosse diviso. Il verbo usato qui (come anche alla fine), dieivrgein, e` lo stesso dell’affermazione che ‘‘il vuoto non ostacola il contatto’’, ma ora e` usato assolutamente. 280 281
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
3. (In subordine:) Ingenerabilit`a reciproca degli atomi 39.1. T. Filopono, In Physica III (4, 203a23), 396.15-21 [di seguito a 38.2] (om. DK e Lu.): Democrito e Anassagora, differendo dagli altri naturalisti per il fatto che quelli sostengono che l’infinito e` continuo, costoro che esso risulta da {parti} in contatto che sono infinite di numero, come se capitasse ad essi di iniziare dall’infinito per numero, ma di terminare con quello per grandezza, dunque, essendo in comunanza {fra loro due} su questo punto, differiscono per il fatto che Anassagora fa generare le omeomerie l’una dall’altra mediante separazione, mentre Democrito non fa generare gli atomi gli uni dagli altri.
39.2. T. Filopono, In Physica III (4, 203a34), 398.11-16 (om. DK; = 230 Lu.): Democrito – egli [scil. Aristotele] dice – i corpi primi, intendo gli atomi, li dichiara ingenerati (giacche´ nessuno {di essi} si genera da un altro, per esempio lo {atomo} sferico da quello piramidale), postula tuttavia, per tutte le figure, una natura comune del corpo, della quale sono parti gli atomi, che differiscono gli uni dagli altri per grandezza e per figura; non soltanto infatti l’uno ha una figura e un altro un’altra, ma fra di essi alcuni sono piu` grandi e altri piu` piccoli.
4. Le variazioni degli atomi quanto a figura (e grandezza) sono infinite? (Confronto con la posizione epicurea) 40.1. T. Filopono, In De gen. et corr. I (1, 314a15 [= 49.1]), 11.23-24, 12.2-10 (om. DK.; 12.2-9 = 141 Lu.): Anassagora e Leucippo, con i suoi, postularono corpi infiniti, ma Anassagora quelli omeomeri [...], mentre Democrito e Leucippo postularono corpi indivisibili che sono infiniti non soltanto per moltitudine ma anche per la differenza delle figure, sicch´e risulta dai suoi 283 discorsi che c’`e qualcosa di piu` infinito dell’infinito: ciascuna delle figure la pongono non in un solo atomo, ma in una pluralita`. (6) Epicuro e i suoi, come dice Alessandro, non concordarono con Democrito su questo punto: quelli postularono gli atomi come infiniti quanto alla moltitudine, ma come inconcepibili nelle loro figure, non infiniti. Anche per questi e` necessario moltiplicare l’infinito. [Seguono obiezioni contro gli Epicurei.]
40.2. Epicuro, Epistula ad Herodotum, §§ 42.6-43.3 (om. DK; = 234 Lu.): Inoltre quelli dei corpi che sono ‘atomi’ e sono pieni – dai quali si generano gli aggregati e nei quali si dissolvono – sono inconcepibili nel {numero del}le differenze di figure, giacche´ non e` possibile che tante differenze [scil. nei composti] si generino dalle stesse figure concepibili {nel numero}. E per ciascuna configurazione quelli simili sono assolutamente infiniti, ma per le differenze {che presentano} non sono assolutamenti infiniti ma
283
A quanto pare il singolare riguarda Democrito.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
soltanto inconcepibili {di numero}, (43) se non si vuole farli procedere assolutamente all’infinito anche per grandezza.284
40.3. Epicuro, Epistula ad Herodotum, §§ 55.9-56.4 (55 = 68 A 43, om. Lu.): Inoltre non bisogna ritenere che qualsiasi grandezza si trovi negli atomi, affinche´ i fenomeni non infirmino {cio`}, ma si deve ritenere che ci siano delle differenze di grandezza, perche´, una volta che questo sia stato aggiunto, si sara` meglio reso conto di cio` che si verifica in relazione alle {nostre} passioni e percezioni sensibili. (56) La sussistenza di qualsiasi grandezza non e` utile per {spiegare} le differenze di qualita`, e, allo stesso tempo, bisognerebbe che degli atomi giungessero fino a noi come visibili – cosa che non si constata accadere, e neppure e` possibile concepire come un atomo potrebbe diventare visibile.
40.4. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 478-499: A quanto ora t’ho insegnato vengo ad aggiungere qualcosa che, | dipendendone, da cio` deriva la sua certezza: i princı`pi delle cose | variano di figura in modo finito. | Se non fosse cosı`, dovrebbero esserci, al contrario, certi semi | con un corpo di grandezza infinita. | Infatti, entro la dimensione esigua {ritenuta rimanere} identica di un qualunque | corpo, le figure non possono variare molto |485| fra loro: supponi infatti che i corpi primi siano costituiti | da tre parti minime, o aumentane il numero di poco; | sicuramente, una volta che, {operando con} tutte quelle parti di un corpo unico, | collocandole in alto e in basso, facendole passare da destra a sinistra, | avrai avuto esperienza di ogni modo in cui ciascuna combinazione dia | un certo aspetto formale a tutto il corpo, | rimane che, se per caso vorrai ottenere nuove figure, | ti sar`a necessario aggiungere altre parti; poi seguir`a | che in modo simile l’ordine esiga altre {parti}, | se per caso vorrai ancora ottenere nuove figure. |495| Dunque l’accrescimento del corpo e` una conseguenza della novita` delle forme. | Pertanto non puoi credere che | i semi differiscano per infinite forme, | senza costringerne alcuni ad essere di grandezza mostruosa, | cio` che (l’ho gi`a dimostrato) 285 non si puo` ammettere.
5. L’infinitezza nel tempo e nello spazio e la pluralit`a dei mondi 41.1. T. Aristotele, Physica III 4, 203b3-30 [di seguito a 38.1] (203b6-26 = 12 A 15; 203b22-30 = 1 Lu.): E` chiaro dunque da queste {considerazioni} che l’indagine si conviene ai naturalisti. Ed e` con buona ragione che tutti lo [scil. l’infinito] pongono come principio: 286 non e` possibile che esso esista invano, ne´ che ad esso pertenga un’altra capacita` che quella di
284 Ho omesso lo scolio, ma la sua estensione e ` discussa (Usener, Bailey e altri suppongono che l’ultima frase rientri nello scolio; ho seguito invece von der Mu¨hll e Arrighetti). 285 L’esposizione in I, vv. 615 sgg., cui si puo ` fare riferimento, non risponde appieno all’indicazione (come e` stato notato da piu` studiosi), sicche´ il richiamo puo` riflettere l’incompletezza del poema. 286 Evidentemente il passo serve da giustificazione per l’affermazione di 203a3-4 (38.1) riguardo ai naturalisti, mentre questa giustificazione era stata data immediatamente nel caso dei Pitagorici e di Platone.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
principio; tutto infatti e` o principio {esso stesso} o dipendente da un principio, ma dell’infinito non c’e` un principio, perche´ sarebbe il suo limite. Ancora, e` anche ingenerato e incorruttibile, essendo {appunto} un certo principio, giacche´ per cio` che e` generato e` necessario ammettere un termine,287 e c’e` una fine di ogni corruzione. Percio`, come diciamo, non c’e` un principio di questo, ma esso sembra esserlo delle altre cose e comprenderle tutte e tutte governarle, come dicono coloro che non propongono altre cause (come l’intelletto o l’amicizia) oltre all’infinito; e questo e` il divino, perche´ e` immortale e imperituro, come sostiene Anassimandro e la maggior parte dei fisiologi. (15) La credenza che esista qualcosa di infinito potrebbe venire, per coloro che indagano, soprattutto da cinque {punti}, cioe` (i) dal tempo (questo infatti e` infinito) e (ii) dalla divisione applicata alle grandezze (anche i matematici infatti fanno uso dell’infinito); ancora (iii) perche´ e` solo a questo modo che la generazione e la corruzione non cessano, se {appunto} e` infinito il ‘donde’ il divenire e` preso; ancora (iv) dal fatto che cio` che e` limitato trova il suo limite rispetto ad un’altra cosa, sicche´ e` necessario che non ci sia alcun limite {complessivo}, se e` necessario che sempre una cosa trovi il suo limite rispetto ad un’altra. (22) (v) Ma soprattutto e principalmente {il motivo sta in} cio` che costituisce una difficolt`a comune a tutti, cioe` che e` per il fatto che non si esaurisce {mai} nella concezione che appare infinito il numero, e anche le grandezze matematiche e quanto c’e` fuori dal cielo. Essendo infinito il di fuori, pare che sia infinito il corpo e i mondi; perch´e infatti c’e` {corpo} qui piuttosto che altrove nel vuoto? 288 sicche´, se la massa c’e` da una parte, c’e` dappertutto. Ma anche se esiste il vuoto e il luogo infinito, e` necessario che anche il corpo sia {infinito}: il poter essere e l’essere non differiscono per nulla nelle cose eterne.
41.2. Aristotele, Physica III 8, 208a11-14: [Risposta di Aristotele all’argomento (iv), manifestamente tenuto da lui distinto da (v), che riceve una risposta in 208a14-19.] Inoltre lo stare in contatto e l’essere limitato sono differenti: il primo e` relativo ed e` con qualcos’altro (giacche´ tutto cio` che e` a contatto {lo e`} con qualcos’altro) ed appartiene a qualcuna delle cose limitate; invece l’essere limitato non e` relativo, e lo stare in contatto non e` di qualsiasi cosa con qualsiasi cosa.
41.3. E. Filopono, In Physica III (8, 208a14), 494.19-23 (om. DK; 20-22 = 237 Lu.): Non soltanto secondo il nostro [scil. dei Peripatetici] discorso l’essere limitato {nelle dimensioni} e lo stare in contatto non sono lo stesso, ma anche secondo gli assunti di
Letteralmente: ‘‘e` necessario che cio` che e` generato prenda un termine’’. Intendo la frase come fa la maggioranza dei traduttori ed interpreti della Fisica, compreso Ross (p. es. Hardie and Gaye: ‘‘Why should there be body in one part of the void rather than in another?’’) Una minoranza (K. Prantl, H. Carteron, H.G. Zekl) la intende come segue: ‘perche´ infatti c’e` del vuoto qui piuttosto che altrove?’. La seconda traduzione e` possibile e in un certo modo piu` economica. Tuttavia il senso generale del passo deve essere: se esiste del corpo qui, e cioe` il nostro mondo, ci deve essere del corpo anche altrove nel vuoto infinito, e cioe` altri mondi, i quali saranno infiniti di numero data l’infinitezza del vuoto. Per il tipo di costrutto adottato nel passo si veda Arist. Phys. IV 8, 215a19-20 (= 36.1), inoltre, in contesti differenti, Simpl. Phys. I 2, 28.9-10 e 25-26 (= 3), Sesto PH I 213 (= 58.1), ecc., con discussione in S. MAKIN, Indifference Arguments, Oxford 1993. 287 288
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
Democrito vale questa conseguenza. Infatti gli atomi portati nel vuoto sono limitati {ciascuno nelle sue dimensioni}, ma non sono in contatto con nulla; e anche per coloro che assumono l’esistenza del vuoto fuori dal cielo il cielo {stesso} e` finito, ma non e` in contatto con nulla.
41.4. T. Simplicio, In Physica III (4, 203b22 sgg.), 467.14-16 (om. DK; = 1 Lu.): [In relazione al motivo (v) per ammettere l’infinito.] Lo stesso ci succede riguardo a cio` che e` oltre (e[xw) il cielo, giacche´ concepiamo sempre qualcosa oltre cio` che abbiamo colto, e a questo modo il di fuori (to; e[xw) ci sembra infinito; e se e` vuoto, come pare che dicesse Democrito, sarebbero infiniti anche i mondi.
6. L’assenza di un perch´e dell’eterno e l’eternit`a del movimento 42.1. T. Aristotele, De generatione animalium II 6, 742b17-29 (om. DK; = 13 Lu.): [Nel contesto si parla della generazione e dello sviluppo degli animali, con un richiamo al fine come principio di tali processi, criticando, a partire da 742a16, gli ‘antichi fisiologi’ che di esso non avrebbero tenuto conto.] Non enunciano bene neppure la necessita` del perche´ coloro che – come Democrito di Abdera – dicono che avviene sempre cosı` e ritengono che sia questo il principio in essi,289 in quanto dell’infinito non c’`e un principio, e il perch´e e` un principio, e il sempre e` infinito, sicche´ il chiedersi il perche´ in uno {qualsiasi} dei casi del genere 290 e` , egli dice, come il ricercare un principio dell’infinito. (23) E tuttavia secondo questo discorso per il quale ritengono che non si debba cercare il perche´, non ci sarebbe dimostrazione di nessuna delle cose eterne; 291 e` evidente invece che c’e` di molte cose, sia di quelle sempre in divenire sia di quelle che sono sempre, dal momento che sono {fatti} eterni anche che il triangolo abbia {gli angoli uguali} a due angoli retti e che la diagonale sia incommensurabile al lato, ma ugualmente di essi c’`e una causa e una dimostrazione.
42.2. T. Aristotele, Physica VIII 1, 252a32-b4 (a32-b1 = 68 A 65; 14 Lu.): [In questo capitolo, dopo aver mostrato che il movimento esiste da sempre, Aristotele critica, a partire da 252a5, quei naturalisti che non hanno ritenuto necessario precisare la causa di certi processi, come la successione di fasi cosmiche per Empedocle.] In generale, non e` un assunto corretto ritenere che questo sia un principio sufficiente, {cioe`} che {qualcosa} e` o avviene sempre in un certo modo 292 – che e` cio` a cui Democrito
Negli animali o in genere negli esseri che mutano? Il passo parallelo (seguente) di Physica VIII 1 mostra che Democrito escludeva questo in tutti i casi, non solo in alcuni di essi, donde l’opportunita` di introdurre il «qualsiasi». 291 ‘‘Cose eterne’’ qui include anche connessioni eterne, come mostrano gli esempi che seguono. 292 In alternativa: ‘se qualcosa e ` o avviene in un certo modo’. 289 290
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
riconduce le cause circa la natura, {nel dire} ‘che a questo modo e` avvenuto anche prima’. Ritiene di non {dover} cercare il principio del ‘sempre’, parlando correttamente in certi casi, non correttamente {nel supporre} che cio` valga in tutti i casi. E in effetti il triangolo ha sempre gli angoli uguali a due retti, ma ugualmente c’e` un’altra causa di questa eternita`. Dei princı`pi {stessi} che sono eterni sicuramente non c’e` un’altra causa.
42.3. T. Aristotele, Metaphysica XII (L) 6, 1071b31-34 (= 67 A 18; 1071b2634 = 17 Lu.) e 1072a5-7 (om. DK; = 17 Lu.): [Necessita` di postulare qualcosa di attuale che sia la causa dei vari processi, ad esclusione dell’ipotesi, formulata da certi naturalisti, di un’origine delle cose da cio` che e` indeterminato.] Percio` alcuni ammettono un atto che e` sempre, cioe` Leucippo e Platone: dicono che il movimento e` sempre; ma non dicono perche´ e quale esso sia, ne´ {enunciano} la causa dell’essere 293 cosı` o cosı`.294 ... Che l’atto abbia priorit`a, lo attesta Anassagora (infatti l’intelletto e` attualit`a) ed Empedocle {nell’ammettere} l’amicizia e l’odio, e coloro che, come Leucippo, dicono che il movimento e` sempre.
7. Il rapporto fra tempo e movimento e la loro eternit`a (anche con riferimento alla posizione epicurea) 43.1. T. Aristotele, Physica VIII 1, 251b14-18 (b16-17 = 68 A 71; b12-17 = 21 e 304 Lu.): [Di seguito all’argomento, a favore dell’eternita` del movimento, per cui il tempo, che dipende dal movimento in quanto suo numero, e` eterno. Per contesto cfr. 42.2.] Ma sul tempo tutti, eccetto uno, sembrano averla pensata allo stesso modo: lo dicono non generato. Ed e` per questo che Democrito dimostra che e` impossibile che tutte le cose siano state generate, dato appunto che il tempo e` ingenerato. Platone e` l’unico che lo generi ...
43.2. T o E. Simplicio, In Physica VIII (1, 251b10 sgg.), 1153.18-21, 22-24 (= 68 A 71; 21 Lu.): ... e {Aristotele} offre una dimostrazione in primo luogo a partire dall’opinione comune dei naturalisti sulla questione, giacche´ che il tempo sia eterno lo ritengono tutti quanti eccetto Platone, il quale dichiara che esso si genera insieme al mondo. [...] Democrito era cosı` persuaso che il tempo e` eterno, che, volendo mostrare che non tutte le cose sono generate, fece ricorso, come se fosse evidente, al fatto che il tempo non e` stato generato.
Presumibilmente: del muoversi. Mi baso sul testo emendato da W. JAEGER, Aristotelis Metaphysica, Oxford 1957; adottando la correzione di Diels (ripresa da Ross) si deve rendere (alla lettera): ‘‘ne´, se e` cosı` o cosı`, ne {enunciano} la causa’’. 293 294
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
43.3. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos X, § 181 (= 68 A 72; 287 Lu.; 294 Us.): 295 [Sulla questione se il tempo esista, dopo una presentazione delle posizioni di Aristotele e di Stratone, che fanno del tempo un numero o una misura del movimento e della stasi. Si sta parlando palesemente del tempo cosmico, cfr. § 188.] Pare che anche ai naturalisti Epicuro e Democrito e ai loro sia da attribuire una concezione del genere del tempo: ‘‘il tempo e` una rappresentazione 296 dall’aspetto di giorno e notte’’; ma anche secondo questa {concezione} e` problematico quale sia la natura del tempo.
43.3.1. Cicerone, De natura deorum I 9, 21-22 (trad. Calcante) (= 367 Us.): [La posizione epicurea come viene esposta dall’epicureo Velleio in una polemica nei confronti di Platone e degli Stoici, che ammettevano che la costituzione del mondo dipende, in qualche modo, dall’intervento di una divinita` che opera alla stregua di un costruttore.] Ma ad entrambi io chiedo perche´ i costruttori del mondo siano comparsi all’improvviso e abbiano dormito per innumerevoli secoli, perche´ non e` vero che, se il mondo non esisteva, non esistevano i secoli (per secoli non intendo quelli che risultano dal numero dei giorni e delle notti nel corso degli anni; ammetto che questi non potessero prodursi senza il movimento circolare del cielo; ma da un tempo infinito e` esistita un’eternita` non misurata da alcuna suddivisione temporale; se ne puo` tuttavia comprendere la natura in termini di estensione, poiche´ non si puo` concepire che vi sia stato tempo quando il tempo non esisteva); [22] chiedo dunque, Balbo, perch´e la vostra Pronoea se ne sia stata inattiva per un arco di tempo cosı` lungo.
8. Il principio di indifferenza e la pluralit`a infinita dei mondi 44.1. T. Filopono, In Physica III (4, 203b4), 405.23-27 (om. DK; 23-27 = 1 Lu.): [A commento dell’argomento (v) nel passo aristotelico di 41.1.] Donde anche Democrito assunse che i mondi siano infiniti, avendo assunto che il vuoto e` infinito: per quale scelta della sorte questa parte del vuoto e` riempita dal mondo [scil. quello nostro], e le altre no? Sicche´, se in una certa parte del vuoto c’`e un mondo, di conseguenza {ce ne saranno} anche in tutto il vuoto; ed essendo il vuoto infinito, anche i mondi saranno infiniti.
` possibile che il nome di Democrito sia fatto da Sesto per una formula che appartiene 295 E esclusivamente ad Epicuro, in quanto nel seguito egli fa solo il nome di Epicuro (come viene sottolineato da F. DECLEVA CAIZZI, Democrito in Sesto Empirico, in Democrito e l’atomismo antico, Catania 1980, pp. 399-400) e una formulazione simile risulta anche da un passo del suo Sulla natura, libro incerto (PHerc 1413, 37.17 Arr.); d’altra parte questa attribuzione puo` essere stata suggerita dal riconoscimento che Democrito (come Epicuro in 43.3.1) doveva tener distinto il tempo eterno universale da quello cosmico. 296 O: apparenza (favntasma).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.D)
9. L’infinitezza dei mondi fatta dipendere anche dall’infinitezza delle cause 44.2. Metrodoro di Chio, test. 6 (Ps.-Plutarco, Placita I 5, 4, 879B7-C2 [= con una variante,297 Stobeo, Eclogae I 22, 3a(3); entrambi = Aezio I 5, 4 (Dox. 292)]): Metrodoro dice che e` {ugualmente} assurdo che un’unica spiga si sia generata in un grande campo e che un unico mondo {si sia generato} nell’infinito. Che {i mondi} siano infiniti per moltitudine, risulta evidente dal fatto di esserci infinite cause. Infatti, se il mondo e` limitato {per grandezza}, ma le cause da cui si e` generato questo mondo sono, tutte {insieme}, infinite, di necessita` sono infiniti {i mondi tutti}, giacche´, laddove le cause sono infinite, anche gli effetti lo sono; e cause {infinite} sono gli atomi o gli elementi.
44.3. Epicuro, Epistula ad Herodotum, § 45.3-8: Sono infiniti poi anche i mondi, alcuni simili a questo {nostro} e altri dissimili, dal momento che gli atomi, i quali, come abbiamo or ora dimostrato, sono infiniti, si portano anche lontanissimo {da noi}. Non vengono infatti esauriti gli atomi, che sono tali che da essi si puo` generare o risultare costituito il mondo, n´e da un solo {mondo} ne´ da {mondi} finiti {di numero} – quanti che siano quelli simili o quelli differenti da questi –, sicche´ non c’e` nessun impedimento a che i mondi siano infiniti.
44.4. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 1052-1076: In nessun modo si deve ritenere verosimile che, | quando in ogni direzione si stende vuoto lo spazio infinito, | e i semi, in numero innumerabile e in somma sconfinata, | volteggiano in molti modi, animati da un moto eterno, | questa sola terra e questo cielo siano stati creati, | e che al di fuori restino inattivi tanti corpi della materia. |1058| Tanto piu` che questo {mondo} e` opera della natura, e da se´ | spontaneamente a caso urtandosi i semi delle cose,| dopo essersi in molti modi addensati fortuitamente senza esito e invano,| infine s’unirono quelli che, spinti insieme repentinamente, | dovevano essere per sempre le origini di grandi cose: | della terra e del mare e del cielo e del genere dei viventi. | Quindi piu` che mai e` necessario affermare che | esistono altrove altri raggruppamenti di materia, | qual e` questa che l’etere racchiude in un avido abbraccio. |1067| Inoltre, quando e` pronta molta materia, | quando il luogo e` disponibile, e nessuna cosa e nessuna causa vi si oppone, | le cose devono (`e ovvio) prodursi e giungere a compimento. | Ora, se dei semi vi e` una quantita` tale che | l’intera esistenza dei viventi non basterebbe ad enumerare, | e se persiste la stessa forza e natura che puo` radunare i semi delle cose | in tutti i luoghi nello stesso ordine in cui | qui sono stati raccolti, e` necessario confessare che | da altre parti esistono altre terre e | diverse razze di uomini e specie di fiere. [Seguito come 45.2.]
44.5. Lucrezio, De rerum natura V, vv. 416-431: 298 Ma in quali modi quell’ammasso di materia | ha potuto costituire la terra e il cielo e il mare con i suoi abissi | e il sole e la luna con i loro corsi, lo esporro` con ordine. | In effetti 297 Si tratta della seguente precisazione (storicamente infondata) dopo ‘‘Metrodoro’’: ‘‘il maestro di Epicuro’’. Cfr. sulla questione 78.6.1, con n. 602. 298 I versi 429-31 coincidono quasi completamente con i versi 1061-63 del passo precedente.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.E)
non e` sicuramente per un piano che i princı`pi delle cose | si disposero ciascuno al suo posto con mente sagace, | ne´ hanno pattuito fra loro i movimenti che ognuno avrebbe dovuto imprimere;|422| ma poiche´ i molti princı`pi delle cose in molti modi | ormai da tempo infinito sospinti dagli urti | e dal loro stesso peso sogliono rapidi spostarsi | e unirsi in tutti i modi e provare tutte | le creazioni cui possono dar luogo nel combinarsi vicendevolmente, | pertanto si verifica che, diffusi per un grande evo, | venendo a sperimentare ogni genere di combinazione e di movimento, | infine si uniscono quelli che, spinti insieme repentinamente, | diventano spesso le origini di grandi cose, | cioe` della terra, del mare, del cielo e del genere dei viventi.
E. L’ESISTENZA
DI UNA PLURALITA` DI INDIVIDUI, COMPRESI I MONDI , DI UNA STESSA SPECIE E LA POSSIBILITA` CHE CE NE SIANO DI IDENTICI
1. Non unicit`a del mondo come di ogni altra cosa individuale 45.1. A. Aristotele, De caelo I 9, 277b27-278a16 e 18-22: Veniamo a dire che non soltanto il mondo 299 e` unico, ma anche che e` impossibile che se ne generi piu` di uno, inoltre che e` eterno, in quanto e` ingenerato e incorruttibile, sollevando, per prima cosa, le aporie al proposito. Potrebbe sembrare, a chi indaghi a questo modo [scil. quello che segue], che sia impossibile che esso sia uno solo ad esistere: in tutte le cose che siano costituite e generate per natura o per arte la forma per se stessa e` altro da quella mescolata con la materia. Per esempio, nel caso della sfera, la forma e` altro che la sfera d’oro o la {sfera} di bronzo, e, di nuovo, nel caso del cerchio, la forma e` altro che il cerchio di bronzo o di legno. (2) Nell’enunciare infatti la quiddita` della sfera o del cerchio noi non menzioneremo oro o bronzo nella loro definizione, in quanto questi non fanno parte dell’essenza; ma li diremo se e` {la sfera o il cerchio} bronzeo o d’oro {di cui si tratta}, e anche se non fossimo in grado di concepire o cogliere niente altro oltre alla cosa individuale. Nulla impedisce che talvolta cio` accada, per esempio, se fosse appreso un solo cerchio: non di meno l’essenza del cerchio sara` altro dall’essenza di questo cerchio qui, e l’una sara` {semplicemente} forma, l’altra forma nella materia e qualcosa di individuale. (10) Dal momento dunque che il mondo e` sensibile, sara` qualcosa di individuale, giacche´ tutto cio` che e` sensibile sussiste nella materia; ma se e` qualcosa di individuale, l’essenza di questo mondo qui sara` altro dall’essenza del mondo in assoluto. Pertanto questo mondo qui e` altro che il mondo in assoluto: l’uno [scil. il secondo] e` in quanto specie e forma, l’altro [scil. il primo] e` in quanto mescolato alla materia. Ma di cio` di cui vi e` una forma e specie, ci sono o possono generarsi piu` individui [...]. Vediamo infatti che, in tutti i casi di cose la cui essenza e` in una materia, quelle della stessa specie sono una pluralita`, anzi un’infinita`. Sicche´, o ci sono o ci possono essere piu` mondi. E` in base a queste {considerazioni} che si potrebbe ritenere che i mondi sono e possono essere piu` {di uno}.
299
Soggetto riportato solo nei codd. piu` recenti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IV.E)
45.2. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 1077-1089 [di seguito a 44.4]: A cio` si aggiunge che, nell’universo, non c’e` nessuna cosa che sia una soltanto, | che unica nasca e che unica e sola cresca, | ma ognuna appartiene ad una stirpe e sono numerosissime quelle | di uno stesso genere. In primo luogo, volgi la mente agli animali; | troverai che e` cosı` per la razza delle fiere che vaga sui monti, | cosı` per la prole degli uomini, cos`ı infine per i muti | branchi degli esseri squamosi e per tutti i corpi dei volatili. |1084| Pertanto bisogna affermare, secondo lo stesso principio, che il cielo | e la terra, il sole e la luna, il mare, e ogni cosa che esiste, | non sono unici ma anzi in numero innumerevole: | un confine di vita profondamente conficcato 300 | cosı` li attende, e cosı` sono di corpo mortale, | come ogni genere che abbonda di queste cose conformi al genere {stesso}.
2. Mondi ed individui identici 46.1. T. Cicerone, Academica priora II 17, 55 / 18, 56 (in parte come 68 A 81; = 6 Lu.): [Contesto: polemica del parlante Lucullo contro gli Accademici, i quali, con intenti scettici, facevano ricorso all’idea di individui perfettamente uguali. Si rivolge a Cicerone in quanto questi si rifa` a quell’orientamento filosofico.] E allora ti rifugi da quei naturalisti, che particolarmente nell’Accademia vengono derisi, e neppure tu ormai ti asterrai {dal rifarti ad essi}, e affermi che Democrito dichiara che i mondi sono innumerevoli e che alcuni di questi sono fra loro cosı` {da essere} non solo simili, ma a tal punto perfettamente e assolutamente uguali che fra di essi non c’e` nessuna differenza 301 *** – e allo stesso modo gli uomini. Di seguito assumi che, se un mondo e` tanto uguale ad un altro mondo che fra di essi non ci sia la minima differenza e distinzione, ti si debba concedere che anche in questo nostro mondo ci sia qualcosa che e` cos`ı uguale ad un’altra da non esserci la minima differenza fra di esse. Perch´e mai, domandi, a partire da quegli indivisibili dai quali Democrito afferma che tutte le cose sono generate non soltanto ci possono essere, ma ci sono, innumerevoli Q. Lutazii Catuli in mondi ulteriori e perfino innumerevoli, e soltanto in questo {nostro} vasto mondo non puo` formarsi un altro Catulo? (56) In primo luogo 302 tu mi richiami a Democrito, col quale non consento e anzi 303 ... { proprio per quanto e` stato lucidamente insegnato da filosofi naturalisti piu` fini, {cioe`} che ci sono propriet`a singole delle cose singole. [Nel seguito questa affermazione viene esemplificata con casi come quello dei gemelli che, per quanto apparentemente indistinguibili, sono riconosciuti almeno dalla madre in base a qualche caratteristica distintiva.]
300 La metafora e ` quella del paletto o altro segno di confine infisso nel suolo, per dire che il limite o termine della vita e` fissato in modo non modificabile. 301 Ometto il seguito immediato, che pare guasto e/o lacunoso, ma e ` probabile che in questa parte Cicerone menzionasse entita` che sono anch’esse innumerevoli come i mondi (anche perche´ ne fanno parte), includendo gli uomini. 302 Si tratta manifestamente di una replica dello stesso Lucullo alla domanda precedentemente formulata (come se fosse di Cicerone suo interlocutore). La replica di Cicerone a Lucullo segue piu` oltre, e di essa fa parte 46.2. 303 Il testo presenta un guasto, ma il senso e ` evidentemente che egli si oppone alla prospettiva democritea.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
46.2. T. Cicerone, Academica priora II 40, 125 (om. DK; = 6, 15, 181 e 470 Lu.): [Replica di Cicerone a Lucullo, cfr. 46.1.] Se non ti comporti con piu` ritegno e mi accusi non per il fatto di non assentire alle tue tesi ma a quelle di nessuno,304 io forzero` il mio animo per scegliere colui cui dare il mio assenso. Chi di preferenza? Chi? Democrito, perche´, come tu sai, sono sempre stato amante della nobilta`. Saro` subito incalzato dal rimprovero di tutti voi: davvero puoi ritenere che il vuoto sia qualcosa, quando le cose nella loro totalita` sono cosı` piene e serrate che, ogni volta che un corpo si muove, lascia posto 305*** e la` dove si e` ritirato qualcos’altro subito subentra? O che ci siano atomi dai quali, checche´ sia da essi prodotto, sia del tutto dissimile? O che ci sia una qualche cosa illustre che possa essere fatta senza una qualche mente? E che quando in un unico mondo c’e` un ordine cosı` mirabile, ci siano innumerabili mondi di sopra, di sotto, a destra e a sinistra, davanti e dietro, alcuni dissimili, altri allo stesso modo {del nostro}. E che, come noi siamo ora a Bauli e abbiamo la vista su Puteoli, cosı` ci siano innumerevoli {altre persone} in luoghi uguali {al nostro} e con gli stessi nomi ed onori, le stesse opere compiute, gli {stessi} ingegni, aspetti ed eta`, disputanti degli stessi argomenti {che noi}? E che, se ora e anche nel dormire noi sembriamo vedere qualcosa con la mente, e` perch´e ci sono delle immagini che irrompono nelle nostre menti dal di fuori attraverso il corpo?
V. LA
A. LA
TRATTAZIONE DEI QUATTRO ELEMENTI FISICI E DEGLI ALTRI CORPI COMPOSTI E QUELLA DEI VARI TIPI DI PROCESSO
TRATTAZIONE DEI QUATTRO ELEMENTI FISICI E DEGLI ALTRI CORPI COM-
POSTI
1. L’approccio degli atomisti 47.1. T. Simplicio, In De caelo III (1, 299a2-11), 564.24-565.2 (= 68 A 120; 171 Lu.): [Nel passo aristotelico commentato da Simplicio viene discussa e criticata la ‘riduzione’ degli elementi a figure geometriche proposta da Platone nel Timeo. Il commentatore solleva la questione se, nel rendere conto delle proprieta` degli elementi, si puo` rimanere al livello del sensibile, e si richiama ad un ‘fisico’ come Democrito a conferma che cio` non e` ammissibile.]
304 Secondo l’atteggiamento della Nuova Accademia, cioe ` dell’orientamento filosofico cui Cicerone si dichiarava prossimo. 305 Nel testo c’e ` una lacuna, e ‘‘un corpo’’ risulta da una integrazione, ma e` presumibile che si voglia affermare che il corpo che si muove lascia posto a qualcuno dei corpi ad esso vicini.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
Democrito, come riferisce Teofrasto 306 nella {sua} Fisica, nella convinzione che rendono conto {dei fenomeni} in modo troppo particolare 307 coloro che adducono come cause {gli elementi} secondo il caldo e il freddo e fattori del genere, si elevo` agli atomi, in modo simile a quello in cui anche i Pitagorici {si elevarono} alle superfici, ritenendo che cause del caldo e del freddo sono le figure e le grandezze: 308 quelle che sono separanti e divisive comportano la sensazione di caldo, e quelle che sono aggreganti e condensanti quella di freddo. E, in effetti, ogni corpo per sua essenza e` immediatamente determinato quantitativamente e la figura, anche se e` una qualita`, e` compresa a partire dal genere del quantitativo, per cui ciascuno dei corpi e` una quantita` figurata.
47.1.1. T. Simplicio, In De caelo III (1, 299a2-11), 565.22-28 (om. DK; 26-28, con 6-8 = 171 Lu.): ... in generale, se anche Aristotele ritiene che, in primo luogo, dalla materia e dalla forma, si generi il corpo privo di qualita`, {cioe`} quello che egli dice essere sostrato per le qualita` e esso stesso finito, come non e` necessario che esso abbia figura e che le figure preesistano alle qualita`? Ma questo possiamo addurlo a prova del fatto che non e` stato irragionevole, per i Pitagorici e per Democrito, nel ricercare i princı`pi delle qualita`, risalire alle figure.
47.2. T. Simplicio, In De caelo III (7, 306a1), 641.1-9 (om. DK; 5-7 = 171 Lu.): [Contesto in parte simile a quello di 47.1: nel passo commentato si discute delle condizioni della generazione reciproca dei quattro elementi, cfr. 18.6 per l’inizio del capitolo.] ... che egli [scil. Platone], {nel caso} della generazione di questi quattro corpi, cioe` del fuoco, dell’aria, dell’acqua, della terra, prima delle qualita` secondo il calore e la freddezza e la secchezza e l’umidita` ricerca altri princı`pi anteriori a partire dalle differenze nella quantita` in quanto {queste} sarebbero piu` congeneri per i corpi, risulta ben evidente dal fatto che adduce cause 309 delle differenze presentate da quelle qualita` a partire dalle differenze delle figure. In effetti i resoconti secondo il caldo e il freddo e simili anche in precedenza da Democrito sono detti rendere conto in modo troppo particolare, come riferisce Teofrasto, l’anima {in effetti} avendo l’aspirazione di aver sentore di un altro principio, piu` appropriato al corpo, di cotale attivita` del caldo.
47.3. T. Simplicio, In De caelo III (1, 299b23-30), 576.10-19 (om. DK; = 122 Lu.): [Simplicio espone, a partire da 575.27, un commento di Alessandro alle critiche che Aristotele rivolge alla scomposizione dei corpi fisici in superfici.]
306 Il brano presente, righe da 24 a 26, e ` la testimonianza T 238 nella raccolta teofrastea FHSG, part I, pp. 428-429, mentre i successivi sono tralasciati (salvo riferimenti in apparato); e` anche il fr. 13 nelle Physicorum opiniones raccolte da Diels in Doxographi graeci. 307 Ovvero: in modo dilettantesco (ijdiotikw"); lo stesso in 47.2 e 47.3. = 308 Ovvero: le figure dotate di grandezza, cioe ` gli atomi. 309 Ovvero: rende conto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
Ma, dice [sogg. Alessandro], che cosa differenzia 310 dall’opinione di Democrito quella che enuncia {la generazione dei corpi} dalle superfici, dal momento che anch’essa dichiara che i corpi fisici sono formati secondo le figure? E` facile dunque dire, anche riguardo a questo punto, che non c’`e nessuna differenza sotto questo rispetto. E in effetti, come e` stato detto anche prima,311 Democrito – lo riferisce Teofrasto – nella convinzione che rendono conto in modo troppo particolare coloro che adducono come cause {gli elementi} secondo il caldo e il freddo e cose simili, si elevo` agli atomi. Ma forse quell’opinione differisce da questa per il fatto che quanto viene postulato preliminarmente, la superficie, e` qualcosa di piu` semplice dei corpi, mentre gli atomi sono dei corpi, e per il fatto di scorgere nelle figure accordi e proporzioni demiurgiche, e per il fatto che per la terra vale una collocazione di altro genere.
47.4. T. Plutarco, De primo frigido 8, 948A9-B11 e C2-8 (om. DK; = 506 Lu.): {Procediamo ad} indagare quale sia la sostanza e il principio e la natura della freddezza. Coloro che, avendo collocato nei corpi configurazioni diseguali e triangolari,312 dicono che il rigore {del freddo}, il tremare, il rabbrividire e le affezioni similari hanno origine dalla scabrosita` {di quelle configurazioni}, per quanto si sbaglino nello specifico, traggono almeno il principio da dove si deve, giacch´e l’indagine deve iniziare, come se fosse dal focolare,313 dalla sostanza di tutte le cose. [La differenza fra un esperto in una delle arti, come la medicina o l’agricoltura, e il filosofo sta nel fatto che il primo si ferma alle cause prossime o immediate del fenomeno, cioe` a quelle che sono piu` lontane da quelle che sono dei princı`pi e sono piu` elevate.] (C2) Invece per il {filosofo} naturalista che va alla ricerca della verita` a scopo di conoscenza speculativa la cognizione delle {cause} ultime 314 non e` il fine ma l’inizio del cammino verso quelle prime e piu` elevate. Percio` giustamente Platone e Democrito, nel ricercare la causa del calore e della pesantezza, non hanno fermato il {loro} resoconto alla terra e al fuoco, ma riportando le cose sensibili a princı`pi intelligibili sono pervenuti fino a dei minima alla stregua di semi.315 [Nel seguito, in cap. 9, l’approccio di questi due pensatori e` messo in opposizione a quello di pensatori come Empedocle, che hanno fatto ricorso a sostanze sensibili caratterizzate da caldo e freddo, ecc., come da loro capacit`a.]
47.5. T. Simplicio, In Physica I (2, 184b15 [= 11.1]), 35.22-36.7 (22-28: om. DK; = 273 Lu.; 36.1-7 = 67 A 14, 247 Lu.): [Dopo l’esposizione dossografica (per la quale cfr. 11.2 e 3 supra), e a partire da 28.32, viene suggerito che le discrepanze rilevabili fra i pensatori dei quali sono state espo-
Ovvero: in che cosa differisce. Il richiamo e` a 564.24 sgg. (= 47.1). 312 Limitatamente alle configurazioni triangolari e alla risoluzione degli elementi (empedoclei) il riferimento e` alla posizione adottata da Platone nel Timeo (specialm. 53C sgg.), ma il resoconto del freddo dato in quel dialogo prescinde da tale risoluzione (cfr. 62A-B). 313 Cioe ` da quello che e` il centro sia nella casa che nella citta`. 314 Plutarco intende per «ultime» quelle piu ` lontane dai princı`pi, cioe` quelle piu` prossime ai fenomeni da spiegare. 315 Trad. alternativa (meno naturale): ‘fino ad una specie di semi di numero minimo’. 310 311
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
ste le posizioni non escludono un consenso che sta, in vari casi, nel riconoscimento di una realta` intelligibile prioritaria.] Leucippo e Democrito (e i loro) e il pitagorico Timeo non si oppongono a che i quattro elementi siano princı`pi dei corpi composti; ma anch’essi, come i Pitagorici e Platone e Aristotele, vedendo che il fuoco e l’aria e l’acqua e possibilmente anche la terra si trasformano l’uno nell’altro, hanno cercato delle cause che siano piu` strettamente principi 316 e piu` semplici di questi, mediante le quali poter giustificare la differenza nelle qualita` presentata da questi elementi. E a questo modo Timeo, e Platone che lo segue,317 postulo` le superfici aventi profondita` e differenza di figura come elementi che vengono prima di questi quattro elementi, ritenendo che la natura corporea 318 secondo le figure corporee sia piu` strettamente principio e causa delle differenze di qualita`. (36.1) Leucippo e Democrito e i loro, che chiamano ‘atomi’ i minimi corpi primi, {affermano che}, a seconda delle loro differenze di figura e di posizione e di ordine,319 si generano sia i corpi che sono caldi e ignei – sono quanti sono composti dai corpi primi piu` aguzzi e piu` minuti e che sono collocati in una posizione simile – sia quelli che sono freddi e acquosi – sono quanti derivano dai {corpi primi} contrari {ai precedenti} –, e che {di questi} gli uni sono rilucenti e luminosi, gli altri opachi e oscuri.
2. L’idea corrente fra i naturalisti della trasformazione reciproca e ciclica dei quattro elementi 48.1. Platone, Timaeus, 49B-C: In primo luogo quella che noi ora abbiamo chiamato «acqua», quando si condensa, la vediamo – cosı` ci pare – diventare pietre e terra; ma questa stessa {sostanza}, quando, inversamente, si dissolve e si dilata, {la vediamo diventare} soffio e aria, e l’aria, con la combustione, fuoco; il fuoco a sua volta, quando si condensa e si estingue, ritorna di nuovo alla forma di aria, e l’aria, di nuovo, contraendosi e condensandosi, {diventa} nube e nebbia, e da queste, con un’ulteriore compressione, {viene} acqua che scorre, e dall’acqua di nuovo terra e pietre; a questo modo, come sembra, gli uni trasmettono agli altri la generazione, secondo un circolo.
3. L’applicazione dell’approccio ovvero il resoconto degli atomisti 48.2. T. Ps.-Aristotele, De Melisso Xenophane Gorgia 2, 10-11 (975b21-29) (= 30 A 5 [I, p. 263]; b27-29 = 278 Lu.): [Il seguente resoconto della posizione democritea viene dato all’interno di una serie di critiche rivolte a Melisso per il suo rifiuto di ogni generazione.] (10) Inoltre nulla vieta che, essendo il tutto una certa forma che e` unica, come sostengono anche Anassimandro e Anassimene, il primo dicendo che il tutto e` acqua, l’altro,
316 317 318 319
Ovvero: che siano piu` del tipo dei princı`pi. Il riferimento e` sempre a Timeo, 53C sgg. Intendesi ‘solida’, presumo. Letteralm.: a seconda della differenza delle loro figure e della posizione e dell’ordine.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
Anassimene, che e` aria – e tutti gli altri, quanti ritennero che il tutto sia uno a questo modo –, questo, il tutto,320 di gia` con le figure e la quantita` e la scarsita`, e col diventare rado o denso, produca le molte e infinite cose che sono e che si generano. (11) Anche Democrito dice che l’acqua e l’aria e ciascuno dei molti, pur essendo lo stesso {nella loro composizione}, differiscono per ‘ritmo’.
48.3. Lucrezio, De rerum natura I, vv. 794-802, 814-29 e 907-914: [Le cause delle trasformazioni dei quattro elementi e di altri processi nel resoconto epicureo. Nel contesto immediato viene proposto l’esempio della nutrizione.] Ora, poiche´ le cose che abbiamo poco fa menzionato [scil. fuoco, aria, acqua, terra, che non cessano di mutarsi l’uno nell’altro] | subiscono trasformazioni, e` necessario consistano | di altre cose che non possono mai trasformarsi, | per evitare che tutte le cose ti ritornino completamente al nulla. | Perche´ non supporre piuttosto certi corpi | dotati di natura tale che, se per caso hanno creato il fuoco, | possano essi stessi, tolti pochi {di essi} e aggiunti pochi {altri}, | con un mutamento di ordine e di moto, formare i soffi d’aria; | e che cosı` ogni cosa possa trasformarsi in un’altra? [...] Appunto perch´e molti princı`pi, comuni in molti modi |815| a molte cose, nelle cose sono mischiati, | per questo le varie cose si nutrono di cose varie. | E spesso ha grande importanza per i medesimi princı`pi | con quali altri e in che posizione siano combinati | e quali moti si trasmettano o ricevano vicendevolmente; | poiche´ sono gli stessi {princı`pi} che costituiscono il cielo, il mare, le terre, i fiumi, il sole | e sono gli stessi che {costituiscono} le messi, gli alberi, gli esseri animati, | ma si muovono mescolati con altri e in modi diversi. |823| Anzi, nei miei stessi versi, in ogni dove, | tu vedi molte lettere (elementa) comuni a molte parole, | eppure devi ammettere che versi e parole distano | fra loro sia per il senso sia per il suono. | Tanto potere hanno le lettere, solo a cambiarne l’ordine. | Ma quelli che sono i princı`pi delle cose dispongono di ben piu` poteri, | di modo che tutte le varie cose si possano creare.321 [...] Non vedi ora finalmente quel che poco fa ti dicevo, | che spesso ha grandissima importanza per i medesimi princı`pi | con quali altri e in che posizione siano combinati | e quali moti si trasmettano o ricevano vicendevolmente, |911| e che le stesse cose di poco mutate fra loro creano | le fiamme e il legno? Cosı` anche le parole stesse sono {mutate} | con un piccolo mutamento degli elementi, | quando indichiamo con un suono distinto ligna e ignis.
4. La composizione dei quattro elementi (e tesi della ‘panspermia’) 48.4. T. Aristotele, De caelo III 4, 302b31-303a3, 303a11-20 e 24-29 (303a1116 = 67 A 15; 220a e 275 Lu.; a25-29 = 68 A 60a; 274 Lu.): [All’inizio del capitolo viene sollevata la questione se gli elementi sono finiti o infiniti di numero, e questa seconda possibilita` viene rigettata nel seguito, a partire da una discussione della teoria di Anassagora.]
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Forse da omettere come propone Wendland. Nel seguito viene discussa e rigettata la teoria alternativa di Anassagora.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
Ancora, se un corpo si dice differente da un altro per le differenze {ad esso} proprie, ma le differenze dei corpi sono finite (differiscono infatti per quelle sensibili, e queste hanno un limite, anche se questa {proposizione} ha bisogno di dimostrazione), e` manifesto che, di necessit`a, anche gli elementi sono finiti {di numero}. ... [Segue la parte riprodotta come testo 20.1, dove viene espressamente introdotta la teoria atomistica di Leucippo e di Democrito.] (11) Inoltre, dal momento che i corpi differiscono per le figure, e le figure sono infinite, essi asseriscono che anche i corpi semplici sono infiniti {di numero}. Ma come e quale sia la figura di ciascuno degli elementi, essi non lo hanno precisato per nulla, eccetto che hanno assegnato la sfera al fuoco. L’aria e l’acqua e il resto li hanno distinti per la grandezza e la piccolezza {dei loro costituenti}, come se la loro natura fosse una sorta di ‘panspermia’ di tutti gli elementi. (17) In primo luogo anche essi {commettono} lo stesso errore {di Anassagora}, di prendere princı`pi non finiti {di numero}, pur potendo affermare tutte le stesse cose 322 {ammettendoli come limitati}. Ancora, dal momento che le differenze dei corpi non sono infinite, e` chiaro che gli elementi non saranno infiniti. ... [Segue la parte riprodotta come testo 26.1.] (24) Allo stesso tempo sono obbligati a contraddirsi. E` impossibile che, se gli elementi sono ‘atomi’, l’aria e la terra e l’acqua differiscano per la grandezza e la piccolezza {delle particelle costituenti}. Non sarebbe possibile che si generino gli uni dagli altri, giacch´e, nel separarsi, i corpi piu` grandi verrebbero ogni volta a mancare: ma e` a questo modo che dicono che l’acqua e l’aria e la terra si generano reciprocamente.
48.5. T. Filopono, In De anima I (2, 404a4 [= 101.1]), 67.30-33 (om. DK; = 142 Lu.): [Per il contesto cfr. 101.2 e 101.3.] Egli [scil. Aristotele] chiama ‘panspermia’ la moltitudine delle figure. Come infatti in un mucchio ci sono frumento e orzo e gli altri semi a stregua di ‘panspermia’, cosı` anche negli atomi e` presente una ‘panspermia’ delle figure. Egli dice che di questa opinione fosse anche Leucippo, che era compagno di Democrito.
5. Alcune critiche di Aristotele agli atomisti, relative alla composizione dei quattro elementi e alle modalit`a delle loro trasformazioni 48.6. A. Aristotele, De caelo III 5, 303b22-304a7 (om. DK e Lu.): [Il passo che segue e` tratto da un capitolo volto a mostrare l’inadeguatezza del ricorso ad un unico elemento, come l’aria o il fuoco, col quale rendere conto della generazione delle altre cose in termini di condensazione e rarefazione. Nel corso della discussione viene osservato che alcune critiche da rivolgere a questa posizione si lasciano estendere a qualche posizione pluralistica, con allusione alla teoria degli atomisti.] Ancora, generare le altre cose mediante densit`a e rarita` non differisce per nulla dal generarle mediante finezza e grossezza; infatti il fine vogliono che sia rado, il grosso denso.
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Cioe`: adottare le stesse proposizioni.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.A)
Di nuovo il generarle mediante finezza e grossezza e` lo stesso che il farlo mediante grandezza e piccolezza, giacche´ cio` che e` composto di parti piccole e` fine e cio` che e` composto di parti grandi e` grosso, ma fine e` cio` che e` esteso su di un ampio {spazio}, e tale e` cio` che e` costituito da parti piccole. (b29) Sicche´ per essi consegue il discriminare l’essenza degli altri {corpi} mediante grandezza e piccolezza; e per coloro che definiscono a questo modo tutte le cose conseguir`a il dirle in modo relativo, e non sar`a che, in modo assoluto, l’una cosa sia fuoco l’altra acqua l’altra aria, ma lo stesso {corpo} sara` fuoco in relazione a questo, aria in relazione a qualcos’altro; (a1) cosa che consegue anche per coloro che ammettono una pluralit`a di elementi, e dicono che si differenziano per grandezza e piccolezza. Dal momento infatti che e` per quantita` che ciascuna cosa e` definita, ci sara` un certo rapporto delle grandezze le une con le altre, sicche´ le cose che hanno questo rapporto con le altre di necessit`a sono l’una aria l’altra fuoco l’altra terra l’altra acqua, per il fatto che i rapporti delle cose minori ineriscono 323 alle cose maggiori.
48.6.1. T. Simplicio, In De caelo III (5, 303b22 sgg.), 617.22-27 (om. DK e Lu.): Ancora, nel seguito, estende la loro opinione [scil. quella dei naturalisti monisti, che rendono conto di tutto mediante rarefazione e condensazione] a Democrito e i suoi, che postulano come princı`pi gli atomi infiniti e fanno dipendere dalla piccolezza e grandezza degli atomi la differenza delle cose che da essi si generano, come aveva gia` detto poco prima. Infatti dissero che la terra e l’acqua e l’aria differiscono fra di loro in quanto l’uno di essi e` costituito da {atomi} piu` grandi e l’altro da piu` piccoli, {ma che altrimenti} sono gli stessi. Dice che anche per questi consegue lo stesso...
48.6.2. T. Simplicio, In De caelo III (5, 304b6-11), 624.29-625.5 (om. DK; 625.1-3 = 275 Lu.): [Di commento ad un passo nel quale viene ripetuta l’obiezione precedente, oltre a trovarsi introdotta l’obiezione di procedere all’infinito nella determinazione degli elementi – la quale obiezione, in quanto presuppone la divisibilit`a all’infinito, non puo` toccare gli atomisti.] L’assurdita` che, come si e` mostrato in precedenza, consegue per coloro che definiscono la differenza dei corpi mediante la grandezza e la piccolezza degli elementi – al modo in cui Democrito e i suoi dissero che i tre {corpi}: aria e acqua e terra, differiscono per la piccolezza di elementi che sono di figura identica –, questa {assurdita`} consegue anche per questi, egli [scil. Aristotele] dice. L’assurdita` era quella che sta nel fatto che gli elementi non sono quello che sono per la loro natura, ma hanno l’essere nel rapporto degli uni con gli altri.
48.7. T. Aristotele, De Caelo III 7, 305b6-19 (b12-19 = 68 A 46a; 258 Lu.): [Di seguito a 18.6: si tratta della critica che Aristotele rivolge alla trattazione democritea e a quella empedoclea 324 della trasformazione dei quattro elementi.]
Cioe`, presumibilmente: si riscontrano anche nelle cose maggiori. Non e` facile districare, nell’esposizione come nelle critiche, la posizione di Democrito (che rappresenta chi ammette il vuoto) da quella di Empedocle (che rappresenta chi lo nega); un tentativo viene fatto da Simplicio nei suoi commenti (cfr. 18.7 e 48.7.1). 323 324
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
Ulteriormente, anche cosı` le conseguenze non sono meno assurde. La stessa quantita` non pare diventare piu` pesante per compressione; ma affermare questo e` necessario per coloro che dichiarano che l’acqua si separa dall’aria in cui preesiste inerendo: l’acqua, quando si genera dall’aria, e` {un corpo} piu` pesante {dell’aria}. (10) Ancora, nel caso della mescolanza di corpi non e` necessario che, quando uno di essi e` stato separato {dall’altro}, esso ogni volta occupi piu` luogo {di prima}; ma quando l’aria si genera dall’acqua, essa prende piu` posto, giacche´ il corpo composto dalle particelle piu` minute si genera in un luogo piu` grande (e questo e` osservabile anche in una mutazione: quando il corpo umido si evapora e diventa aria i recipienti che ne contengono la massa si rompono per ristrettezza di spazio). (16) Sicche´, se in generale non c’e` il vuoto e i corpi non si espandono, come sostengono coloro che adottano questa tesi, l’impossibilit`a {del processo} e` evidente; ma se c’e` il vuoto e l’espansione, e` irrazionale che cio` che si separa di necessita` occupi ogni volta piu` luogo.
48.7.1. E. Simplicio, In De caelo III (7, 305b18), 634.17-20, 28-34 (om. DK; = 259 Lu.): 325 Aristotele non enuncia affatto l’intero argomento riguardo {solo} il vuoto diffuso,326 dato che questo secondo Democrito e i suoi e` la causa dell’espansione dei corpi – infatti il vuoto separato non e` la causa dell’espansione. [...] Se c’`e, egli dice, il vuoto diffuso e l’espansione, come vuole Democrito, e` irrazionale che gli atomi, quando sono mescolati, non siano tenuti distinti dal vuoto, mentre questo avvenga quando sono separati, e percio` quanto e` separato occupi luogo maggiore. Se e` cosı` che si esprime, il riferimento mediante i discorsi precedenti e` ad Anassagora ed Empedocle, e quelli ultimi sono stati enunciati nei riguardi di Democrito il quale ammette l’inserimento del vuoto {fra i corpi}.
B. I PROCESSI CUI SONO
SOTTOPOSTI I COMPOSTI : LORO NATURA E TIPOLOGIA E
LORO PRINCI`PI
1. Il resoconto della differenza fra generazione (e corruzione) e alterazione (in subordine: come differiscono i composti l’uno dall’altro) 49.1. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 1, 314a1-12 (om. DK; a812 = 336 Lu.), a16-314b6 (a21-24 = 67 A 9; 240 Lu.): Riguardo alla generazione e alla corruzione delle cose che si generano e che periscono per natura, dobbiamo determinare, allo stesso modo per tutte, le loro cause e le loro definizioni,327 inoltre, riguardo all’accrescimento e all’alterazione, dobbiamo determinare che cos’`e ciascuno di essi, e se bisogna ammettere che la natura dell’alterazione e quella della generazione e` la stessa oppure {ammetterne due} in separazione, come c’e` una distin-
Scelta non indispensabilmente piu` ampia in Luria. Con vuoto diffuso egli pare intendere quello interstiziale, che, come si vede, viene tenuto distinto da quello separato. (Cfr. anche supra, nn. 261-262 ad 33.4.) 327 Oppure le loro ragioni (logoi). 325 326
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
zione anche nei loro nomi. (6) Quanto agli antichi alcuni sostengono che la cosidetta generazione assoluta e` {soltanto} alterazione, gli altri che alterazione e generazione sono qualcosa di differente. Tutti coloro appunto che dicono che il tutto e` qualcosa di uno e che tutte le cose si generano dall’uno sono quelli per i quali e` necessario sostenere che la generazione e` alterazione e che cio` che si genera nel senso stretto {in effetti} si altera. (11) Tutti coloro invece che pongono la materia come piu` di una cosa, come {fanno} Empedocle e Anassagora e Leucippo, sono quelli per i quali {`e necessario sostenere che i due termini} sono differenti. [...] {Fra di essi} Empedocle dice che gli elementi corporei sono quattro, e, insieme ai {princı`pi} motori, in tutto sei di numero, Anassagora invece che essi sono infiniti {di numero} e {cosı`} anche Leucippo e Democrito (il primo in effetti pone come elementi le omeomerie, cioe` l’osso, la carne, il midollo, e ogni altra cosa di cui la parte e` sinonima col tutto; 328 [21] Democrito e Leucippo invece dicono che le altre cose sono composte da corpi indivisibili, che questi {ultimi} sono infiniti sia per moltitudine sia nelle forme, e che esse differiscono le une dalle altre 329 per i loro costituenti e per la posizione e l’ordine di questi). (24) A quanto pare Anassagora e i suoi sostengono una tesi opposta a quella di Empedocle e i suoi: 330 l’uno [scil. quest’ultimo] dichiara che il fuoco e l’acqua e l’aria e la terra sono {i} quattro elementi e che {essi} sono semplici, piuttosto che la carne e l’osso e altri simili fra {i corpi} omeomerici; gli altri che sono questi {ultimi} ad essere semplici ed elementi, mentre la terra e il fuoco e l’acqua e l’aria sono composti, perche´ sono una ‘panspermia’ di questi. (b1) Quanto a coloro che costituiscono tutte le cose dall’uno, per essi e` necessario dire che la generazione e la corruzione sono {nient’altro che} alterazione. Il sostrato infatti {per essi} rimane sempre [scil. in tutti questi mutamenti] lo stesso e uno, e tale condizione la chiamiamo alterarsi. Per coloro invece che ammettono una pluralita` di generi [scil. di materia] 331 l’alterazione differisce dalla generazione, poiche´ la generazione e la corruzione risultano dal convergere e dal risolversi {di quei fattori}. [Nel seguito la critica e` rivolta soprattutto ad Empedocle.]
49.2. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (1, 314a23), 12.27-13.15 (om. DK; 12.30-13.15 = 240 Lu.): Con «le une dalle altre» [a23] egli [scil. Aristotele] intende non gli elementi, come potrebbe sembrare dalla formulazione {usata}, ma le cose che risultano dagli elementi. L’apodosi infatti e` in rapporto non alla {proposizione immediatamente} precedente, ma a quella piu` in su, intendo dire a «le altre {cose}» [a21], che indica i composti. Queste {cose} dunque, egli dice, {cioe`} i composti, differiscono per Democrito l’una dall’altra secondo tre modalita`, ed una {modalit`a} sta nell’essere composto da atomi differenti per la figura
Letteralmente: con ciascuna cosa. Il neutro del testo greco crea un dubbio circa gli oggetti di cui viene fatto parola, ma la distinzione dagli altri e l’affermazione di una dipendenza da essi nel seguito immediato mostrano che sono i composti (cfr. anche 49.2 riportante il commento di Filopono al passo). 330 In questa contrapposizione Democrito e Leucippo sono implicitamente associati ad Anassagora; in effetti una certa affinita` di dottrina fra di essi e` riconosciuta da Aristotele anche altrove, specialm. in Phys. III 4 (= 38.1), e il motivo della ‘panspermia’, qui applicato ad Anassagora, viene da lui applicato anche a Democrito (ivi, 203a21-22, inoltre De anima I 2, 404a4 [= 101.1] e De caelo III 4, 303a16 [= 48.4]). 331 Puo ` applicarsi agli atomisti solo considerando in questa maniera la differenza di figure presentata dagli atomi. 328 329
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
– che e` quello che per lui 332 significa l’{espressione} «per questi dai quali sono costituite». (1) Non risultano infatti dagli stessi atomi il fuoco e la terra, ma il fuoco e` composto da atomi sferici, la terra non da atomi di tal fatta, ma possibilmente da {quelli} cubici; ma, dice, anche per la posizione e per l’ordine degli atomi i composti sono differenti l’uno dall’altro. (4) Spesso infatti la differenza {intercorrente} fra due {composti} che siano costituiti dagli stessi atomi ci sar`a per via dell’ordine degli atomi. Tanto per dire: nel caso di questo [scil. un dato oggetto] sono messi in ordine per primi gli atomi sferici e per ultimi quelli piramidali; nel caso di quest’altro invece sono {messi in ordine} per primi quelli piramidali e per ultimi quelli sferici, come avviene con le sillabe OS e SO. L’ordine degli stessi elementi 333 produce la differenza. (9) In modo simile la differenza dei composti si genera anche per la posizione degli atomi, una volta essendo inclinati, una volta diritti, in altri casi essendo rovesciati. In effetti la differenza della lettera Z nei confronti di N e` soltanto di posizione, e lo e` quella di G nei confronti di L. (12) Bisogna riconoscere che, delle tre differenze menzionate, la prima, cioe` quella per cui {un composto} e` costituito da tali oppure da tali altri atomi, rende i composti differenti e totalmente altri, mentre quelle per via della posizione e dell’ordine li rende dissimili ma non {del tutto} differenti.
49.3. T. Filopono, In Physica I (4, 187a29 [= 13.1]), 95.10-15 (om. DK; 12-15 = 328 Lu.): Donde anche della generazione ne parlano come di un’alterazione gli uni – quanti cio`e avendo postulato l’acqua o l’aria generano il resto mediante la rarefazione e la condensazione –, ne parlano come di un’aggregazione e disaggregazione gli altri – cioe` Democrito, Empedocle e i loro. Dicono infatti che le altre cose si generano per l’aggregazione degli elementi per l’uno, degli atomi per l’altro, e che si corrompono per disaggregazione.
49.4. T. Stobeo, Eclogae I 20, 1d(1) (= 31 A 44; om. Lu.): (Sulla generazione e sulla corruzione) Empedocle, Anassagora, Democrito, Epicuro, e tutti quanti producono il mondo mediante agglomerazione di corpi minuti, introducono aggregazioni e disaggregazioni, non propriamente generazioni e corruzioni; infatti queste [scil. le generazioni e le corruzioni] non risultano dall’alterazione nella qualita` ma dalla agglomerazione secondo la quantita`.
49.4.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 24, 2 [insieme a 49.4 = Aezio I 24, 2 (Dox. 320)]: & Stesso titolo e stesso testo di 49.4, ma senza i nomi di Democrito e di Anassagora.
49.4.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 39 [619.20 e 22-26]: (Sulla generazione e sulla corruzione) & Stesso testo di 49.4, ma senza i nomi di Democrito e di Anassagora, con una variante solo terminologica,334 e con la seguente variante alla fine: ‘‘infatti essi ritengono 332 Aristotele o Democrito? Ci si aspetterebbe il primo, ma la formula e ` messa in bocca al secondo piu` oltre, a p. 15.17-18. 333 Ovvero: delle stesse lettere (stoicheia). 334 Invece di ouj kurivw" (da me reso con ‘‘non propriamente’’) oujk oijkeivw".
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
che tutte le cose si generano 335 non secondo una certa qual alterazione, ma secondo giustapposizione e agglomerazione’’.
2. I processi nel loro rapporto con l’osservatore 50.1. T o E. Filopono, In De gen. et corr. I (1, 314b15), 17.14-18.3 (om. DK; 17.16-18.3 = 433 Lu.): [A commento di un passo, successivo a quello riportato come 49.1, nel quale Aristotele sostiene che i pluralisti, pur evitando l’assimilazione, propria dei monisti, di generazione e corruzione ad alterazione, in effetti non sono in grado di rendere conto di quest’ultima. Aristotele stesso nel testo commentato lo dimostra particolarmente per Empedocle; Filopono ne estende la dimostrazione agli atomisti, per i quali l’alterazione sarebbe solo apparente.] Per Empedocle non c’e` alterazione, come si e` mostrato, per Anassagora le omeomerie sono caratterizzate da queste affezioni,336 per Democrito e i suoi le forme 337 degli elementi sono le figure, ed {esse} non sono ricettive di altre affezioni, come il calore e la freddezza, la bianchezza e la nerezza, e altre {affezioni} di tal fatta, ma sono i composti che hanno solo l’apparenza di partecipare di queste per via del rapporto che hanno con noi. (20) Di queste affezioni, {cioe`} di quelle che appaiono a noi ma non ineriscono per natura ai corpi, alcune seguono dalla aggregazione di tali e tali atomi, come il calore per il fuoco appare 338 dal combinarsi di atomi sferici, per via della rapidita` di movimento della sfera (in virtu` del suo penetrare facilmente, perche´ il movimento {appartiene} alla sfera secondo il punto, produce l’impressione dell’esserci il caldo, allo stesso modo che, per contrario, il cubo per via della sua compattezza e per via della sua lentezza {produce l’impressione dell’esserci} il freddo), alcune {altre affezioni}, con il conservarsi degli aggregati,339 mediante il mutamento di posizione e di ordine degli atomi, mantengono quella parvenza di cambiamento che noi diciamo essere analoga all’alterazione. (28) Infatti lo stesso corpo appare ora bianco ora nero, ora freddo ora caldo, per il mutare di posizione e di ordine degli atomi nel composto. – Senza dubbio il fuoco appare trovarsi sempre nella stessa condizione, per il fatto che, anche se mutassero di posizione gli atomi da cui e` composto, essendo {questi} sferici, hanno dappertutto sempre lo stesso rapporto nei nostri confronti. {Ma era giusto dirlo} giacche´ quei [scil. corpi] composti da triangoli, s’intende, non si troveranno nella stessa condizione, in quanto le loro basi sono al di fuori e le loro cime al di dentro, oppure inversamente; ma in generale tutte le affezioni, sia quelle che si conservano sempre, come il calore nel fuoco, sia quelle che variano col variare del tempo, essi dicevano che hanno solo un’apparenza per noi, ma in natura non sussistono in alcun modo.
Oppure: divengono. Cioe` da quelle dei corpi fisici composti, quali sono menzionate anche nel seguito. 337 Oppure: le specie, ma il senso deve essere che le figure sono cio ` che differenziano gli elementi al modo di differenze specifiche. Nel seguito paiono essere queste il soggetto grammaticale (come a riga 17.6), per quanto non siano del tutto appropriate a fungere da eventuale sostrato di certe affezioni, ma il soggetto effettivo sono gli elementi. 338 Ovvero: si manifesta nel fuoco (o come appartenente al fuoco). 339 Cioe ` il loro permanere in quanto aggregati (ad esclusione dunque di un mutamento sul tipo della generazione e della corruzione). 335 336
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
50.2. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 315a29-b15 (315a34-b1 = 68 A 35; 100 Lu.; 315b6-15 = 67 A 9; 240 Lu.): [Tema: la generazione e la corruzione e gli altri tipi di processo, cfr. 49.1.] Platone ha indagato unicamente sulla generazione e sulla corruzione, {per accertare} in che modo ineriscono alle cose, e non su ogni {tipo di} generazione ma su quella degli elementi; {non ha indagato} per nulla in che modo {si generano e si corrompono} la carne e le ossa e altre cose di tal fatta. Inoltre neppure ha indagato, riguardo all’alterazione e all’accrescimento, in che modo ineriscono alle cose. (34) In generale nessuno, salvo Democrito, si e` occupato di checchessia in modo men che superficiale. Questi sembra aver riflettuto su tutti i casi, e si distingue gia` per il modo {di trattarli}. (b1) Nessun {altro} infatti, come veniamo a dire, ha fatto distinzioni a proposito dell’accrescimento, che non siano quanto una qualunque persona avrebbe potuto enunciare, cio`e che {i corpi} aumentano per l’accostarsi {del simile} al simile – ma in che modo questo {avvenga}, non e` piu` {stato chiarito} –, n´e a proposito della mescolanza, n´e praticamente su nient’altro; per esempio, a proposito dell’agire e del patire {nessuno ha precisato} in che modo l’una cosa produce e l’altra subisce le azioni naturali. (6) Democrito e Leucippo, invece, postulano le figure 340 e fanno derivare da queste l’alterazione e la generazione, {spiegando} la generazione e la corruzione con la disaggregazione e l’aggregazione, l’alterazione con l’ordine e la posizione 341 {delle figure}. (9) Dato che ritenevano che la verita` sta nei fenomeni e {constatando} che i fenomeni sono contrari e infiniti {per variet`a}, fecero infinite le figure {stesse}, cosı` che per i mutamenti del composto la stessa cosa si presenta contraria a persone differenti, ed {essa} si trasforma {di gia`} quando qualcosa di piccolo viene a mescolarsi 342 {in essa} e, in generale, appare diversa quando {anche} un unico {fattore} sia trasposto. In effetti e` dalle stesse lettere che si genera sia una tragedia sia una commedia.343 [Seguito in 24.1.]
50.3. T. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b9), 23.2-16 (om. DK; = 434 Lu.): Dal momento che – egli [scil. Aristotele] dice – essi affermano che ogni parvenza e` vera, e ciascuna cosa, come appare, cosı` anche e` {realmente}, ma spesso ci sono apparenze opposte a certuni circa lo stesso oggetto, il fatto che tali parvenze circa lo stesso oggetto
Cioe`: gli atomi. Piu` esattamente: il mutamento di ordine (metavtaxi") e il mutamento di posizione (metavqesi"), come suggerito da Filopono in 50.1, 50.4 e 51.2 (lo stesso Aristotele usa i verbi corrispondenti in 51.5). 342 Letteralm.: immischiarsi, evidentemente nel senso di introdursi nel composto dall’esterno (donde la questione che viene sollevata nel commento di Filopono se si deve trattare cio` come una crescita, cfr. 50.4). 343 Intendo questa come l’indicazione, inevitabilmente approssimativa e riguardante intere parole piu` che singole lettere, dell’identita` delle lettere in un’intera tragedia e in un’intera commedia. Invece M.L. WEST, «Philologus», 1969, seguito da Williams nella sua traduzione, la applica alle due parole qui usate (richiamandosi a paralleli come quello, riscontrabile in Lucrezio I, 914 [= 48.3], circa l’identita` di lettere fra ligna e ignis) e propone di correggere kwmw/diva in trugw/diva (parola che ha lo stesso senso della prima in Aristofane), sicche´ avremmo che due parole dal senso differente hanno quasi le stesse lettere. Mi pare una proposta artificiosa, anche perche´ l’identita` di lettere fra quelle due parole e` troppo ovvia, e quanto Aristotele dice nel contesto fa aspettare (per l’uso del verbo metakineisqai ) una = qualche trasposizione di lettere, cioe` un cambiamento di ordine di lettere che sono le stesse. 340 341
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
siano vere Democrito e i suoi lo possono salvare a partire dai loro princı`pi peculiari, in quanto assumono che le figure degli elementi sono infinite. Questi in effetti, mutando quanto all’ordine e trasformandosi quanto alla posizione, a partire dal rapporto con l’osservatore 344 e dalla distanza, procurano, in tempi differenti, una parvenza differente 345 e, nello stesso tempo, una parvenza differente ad una persona differente. (8) A questo modo, appunto, il collo della colomba, col proiettarsi su di esso del raggio del sole, procura la parvenza di colori differenti, perche´, a seconda della variata disposizione dell’occhio, agli uni appare turchino, ad altri dorato, ad altri ancora nero, e diverso ancora ad altri.346 E delle figure quelle squadrate appaiono arrotondate a distanza, e il cerchio situato a distanza, se lo osserviamo di profilo, lo vediamo diritto, e il miele appare amaro a chi soffre di itterizia, dolce a chi e` in salute, e lo Z, col variare del rapporto con l’osservatore, lo si vede come N oppure come Z.
50.4. T. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b13), 23.21-30 (om. DK e Lu.): Non soltanto il mutamento di posizione e di ordine degli atomi cambia la parvenza delle cose vedute, ma anche a seguito degli atomi che sono emessi dai composti e che colpiscono i vedenti si genera un qualche altro rapporto e una parvenza differente. A questo modo interpreto` Alessandro, ma forse uno potrebbe dire che questo 347 si applica al mutamento secondo accrescimento. (25) Democrito e i suoi affermano infatti che la crescita e la diminuzione avvengono per l’emissione 348 e la penetrazione di atomi, e questo mutamento non lo dichiararono apparente al modo dell’alterazione. E pero` 349 nell’efflusso, con una piccola emissione, il tutto diventa altro {da prima}. Se per l’appunto da «impossibile» togli soltanto l’«in»,350 produci il «possibile». Sicch´e un piccolo efflusso rende quanto rimane 351 contrario a com’era all’inizio.
50.5. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 315b32-316a4 [di seguito a 24.1] (316a1-2 = 68 A 123; b32 sgg. = 337 e 482 Lu.): E` piu` ragionevole {sostenere} che gli indivisibili sono corpi {anzich´e superfici, come sostiene Platone}. Ma anche questa tesi presenta molta irrazionalit`a. Nondimeno per essi [scil. Democrito e Leucippo] e` possibile, come si e` detto, produrre l’alterazione e la generazione, cioe` facendo sı`, come fa Democrito, che una stessa cosa subisca mutamenti per
Letteralm.: con il vedente. Si intende: ad una stessa persona. 346 L’esempio del cambiamento di colore delle piume delle colombe compare anche in Lucrezio II, vv. 799-805 (= 434 Lu.). 347 Cioe ` l’aggiunta di qualcosa (che e` l’evento cui allude Aristotele nel passo commentato, in b13, cfr. anche supra, n. 342). 348 Rendo cosı` ajporrohv, che pero ` nel seguito immediato e` reso, piu` solitamente, con ‘‘efflusso’’ (e` probabile che venga fatto un uso ambiguo del termine in tutte queste occorrenze, dato che un’emissione di atomi viene immediatamente a costituire un efflusso, se con quest’ultimo si intende un raggruppamento di atomi simile ad una nuvola). 349 Intendo il periodo come avversativo, in risposta alla possibile obiezione esposta in righe 24-28. 350 In greco: la lettera a iniziale da ajduvnaton. 351 Si intende: il composto nella condizione in cui si trova alla conclusione del processo. 344 345
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
verso e per contatto e per le differenze presentate dalle figure. (a1) Ed e` per questo motivo che dichiara che il colore non esiste: {la cosa} si colora per il verso {degli atomi}. {Lo stesso} non e` piu` {possibile} per coloro che dividono {i corpi} in superfici. In effetti combinandole non si genera nulla eccetto che solidi, ed essi neppure tentano di generare qualche affezione a partire da esse. [Seguito come 24.3.]
50.6. E. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b35), 26.8-15 (om. DK; = 246 Lu.): ‘Ritmo’, ‘verso’, ‘contatto’ sono voci abderitiche, delle quali Democrito fece uso, chiamando ‘ritmo’ la figura, ‘verso’ la posizione (per esempio se la base della piramide e` in basso, il vertice e` in alto, o viceversa), ‘contatto’ l’ordine (cio`e che, come puo` capitare,352 questi {atomi} qui sono i primi, mentre altri sono successivi). Che secondo lui le figure nell’aggregarsi producono la generazione, mentre nel mutare di posizione e di ordine producono le affezioni come sono manifeste,353 si e` detto in precedenza. Egli sostenne infatti che non c’e` nessuna natura dei colori e delle altre affezioni, giacch´e ‘{la cosa} si colora per il verso {degli atomi}’.
3. Sintesi della posizione di Democrito (al confronto con quella di Empedocle) 51.1. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 325b12-25 [di seguito a 15.1] (om. DK e Lu.): Questi sono, press’a poco, i modi – quali essi [scil. gli atomisti] li espongono – secondo i quali certe cose agiscono e certe cose patiscono. Nel loro caso e` chiaro il significato delle loro asserzioni ed esse appaiono seguire in modo abbastanza coerente ai postulati dei quali fanno uso. Nel caso degli altri {pensatori questo} e` meno {chiaro}, per esempio non e` chiaro in che modo si verifichi la generazione e la corruzione e l’alterazione per Empedocle. Per essi in effetti i corpi primari, {cioe`} quelli dai quali {gli altri corpi} si compongono come da {costituenti} primi e nei quali si dissolvono come in quelli ultimi, sono indivisibili e differiscono soltanto per figura. Invece per Empedocle e` evidente che tutte le altre cose, fino {cioe`} agli elementi, hanno la generazione e la corruzione, ma, nel caso di questi stessi, come si generi e come si corrompa la grandezza accumulata,354 non e` {reso} chiaro e neppure e` possibile enunciarlo a lui che non dice che anche del fuoco,355 come anche di tutti gli altri {‘‘elementi’’ come da lui intesi}, c’`e un elemento, al modo in cui lo descrisse Platone nel Timeo. [Seguito come 25.1.]
= per esempio. Ovvero: le affezioni nella loro parvenza (cfr. Williams: ‘‘what appears as affections’’), letteralm.: le affezioni, quelle che sono apparenti. 354 Sembra assumere che il risultato della generazione di ciascun elemento a partire da un altro sia che esso viene a costituire una sorta di ‘mucchio’ (come suggerisce il verbo greco usato). 355 Si intende: come delle altre cose (composte dal fuoco stesso ecc.). Il senso pare essere quello suggerito da Williams nella seguente sua traduzione, piu` libera della mia: ‘‘nor is it possible for him to explain this unless he is prepared to say of fire, and equally of all the others, that they have their own elements, as Plato writes in the Timaeus’’. (Il riferimento e` a Timeo, 53A sgg.) 352 353
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
51.2. E. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b12), 160.14-31 (om. DK e Lu.): [Dopo una ripresa della critica che Aristotele rivolge ad Empedocle.] Avendo esposto [sogg. Aristotele] i modi secondo i quali Empedocle e Democrito (e i suoi) assunsero {che si verificano} l’agire e il patire, fra di essi approva maggiormente Democrito e i suoi, cosa che aveva gia` fatto,356 in quanto avevano postulato princı`pi tali che per essi sono sufficienti in relazione alla generazione e corruzione e all’alterazione e agli altri mutamenti fisici, mentre Empedocle non era in grado, mediante i princı`pi {suoi} propri, di addurre resoconti di tutti {i mutamenti}. (19) In primo luogo, infatti, dicendo che i quattro elementi sono impassibili e che le loro differenze produttive di forma sono le affezioni, non e` in grado di preservare l’alterazione. Ed egli dice che la generazione dei composti c’`e per l’aggregazione degli elementi, ma la generazione degli elementi stessi non e` piu` in grado di enunciarla, in quanto non assume elementi piu` semplici di questi: si vede che gli elementi si corrompono e si generano. (25) Democrito e i suoi, pur dicendo anch’essi {come Empedocle} che tutti i composti hanno la {loro} generazione a partire dai quattro elementi, adducono il resoconto della generazione degli elementi stessi a partire dai {loro} propri {elementi}, giacche´ dicono che questi si generano e si corrompono per l’aggregazione e la disaggregazione degli atomi; anche l’alterazione la preservarono con il mutamento di posizione e di ordine degli atomi, giacche´, non collocando le affezioni negli atomi ma dicendo che essi sono impassibili, dicevano che le affezioni paiono generarsi con la posizione e l’ordine di essi.
4. Precisazioni e critiche di Aristotele 51.3. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 325b29-326a24 (325b2933 = 67 A 7, 338 Lu.; 326a9-10 = 68 A 60, 368 Lu.): [Passo di seguito a 25.1.] E` da questi {indivisibili} che ci sono le generazioni e le disgregazioni: per Leucippo esse avverrebbero in due modi, cioe` mediante il vuoto e mediante il contatto 357 (per questo verso infatti ciascun {corpo} e` divisibile), per Platone invece soltanto mediante il contatto, giacche´ dichiara che il vuoto non esiste.358 (33) Delle superfici indivisibili abbiamo gi`a parlato nelle discussioni precedenti; 359 quanto ai solidi indivisibili, un esame dettagliato delle conseguenze {della loro postulazione} va per ora tralasciato, ma, a fare una piccola digressione, e` necessario dire che ciascuno
356 Cioe ` aveva fatto in precedenza nell’opera (nei confronti di Empedocle cfr. I 8, 324b32325a2 [= 15.1 con comm. di Filop. in 62.6], 325b5-11 [= 15.1], piu` in generale cfr. I 2, 315a34 sgg. [= 50.2]). 357 Aristotele sta parlando in effetti di condizioni del processo in questione (cfr. 325a31 sgg. = 15.1), non del suo meccanismo. Joachim espunge ‘‘esse avverrebbero in due modi’’, anche per rendere il periodo piu` fluido in greco, ma la formulazione rimane comunque insoddisfacente. 358 Il riferimento e ` a passi del Timeo come 58A7, 60C1 e 79C2, ma di vuoti (interstiziali) si parla in 58B. (Per una discussione della questione si veda D. O’BRIEN, Theories II, pp. 359-365 (note 5).) Platone pare essere stato collocato da Aristotele fra i negatori assoluti del vuoto anche in De caelo IV 2, 309a21 (= 68.2). 359 Il riferimento deve essere al libro III del De caelo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.B)
degli indivisibili e` impassibile (infatti il patire non e` possibile se non mediante il vuoto) e non produttivo di nessuna affezione, giacch´e non puo` essere n´e freddo ne´ duro. (a3) E tuttavia e` assurdo assegnare unicamente il calore alla figura sferica: e` necessario che anche il suo opposto, il freddo, convenga ad una qualche altra delle figure. Sarebbe pure assurdo che, se sussistono {negli indivisibili} queste cose, intendo dire il calore e la freddezza, non sussistessero la pesantezza e la leggerezza e la durezza e la mollezza; (9) per l’appunto,360 Democrito dice che ciascuno degli indivisibili e` piu` pesante per l’eccedenza {in grandezza}, sicch´e e` chiaro che {dovrebbe essere} anche piu` caldo. Dato pero` che {gli indivisibili} sono di tal fatta, e` impossibile che non subiscano l’uno {le azioni} dell’altro, come per esempio il debolmente caldo {subisce} da cio` che lo supera di molto in calore. Ma se {un indivisibile} e` duro, {ce ne sar`a} anche {uno} molle, e il molle e` detto essere {tale} di gia` per il fatto di subire qualcosa: e` molle cio` che e` cedevole. (14) Ma e` assurdo che niente sussista {negli indivisibili} se non la figura, oppure che, se qualcosa sussiste, sia una sola cosa,361 cio`e per esempio che l’un {indivisibile} sia {soltanto} freddo e l’altro sia {soltanto} caldo, perche´ {in tal caso} la loro natura non sarebbe unica.362 Ugualmente e` un’impossibilita` se e` piu` di una {affezione a sussistere} in uno [si intende: indivisibile], giacche´, essendo indivisibile, avrebbe le affezioni in uno stesso {punto}, sicche´, se patisse per il fatto di essere raffreddato, nello stesso {punto} produrrebbe o subirebbe un’altra {affezione}. E il modo e` lo stesso nel caso delle altre affezioni, perche´ questa conseguenza si ha, allo stesso modo, per coloro che ammettono solidi {indivisibili} e coloro che ammettono superfici indivisibili, perch´e non e` possibile che diventino piu` radi o piu` densi, non essendoci vuoto negli indivisibili. [Seguito come 22.5.]
51.4. Aristotele, De generatione et corruptione I 2, 317a12-27: [Su generazione e aggregazione, quasi immediatamente di seguito a 24.7.] Sicche´ l’aggregazione e la disgregazione ci sono, ma {queste} non {sono} in atomi e a partire da atomi – molte infatti sono le impossibilita` {che ne conseguirebbero} – e neppure {sono} in modo tale che si verifichi la divisione {della cosa} dappertutto – questo sarebbe stato {solo} se il punto fosse continuo col punto –, ma {la disgregazione} e` in parti piccole e ancora piu` piccole, e l’aggregazione e` da {queste parti} piu` piccole. (17) Ma la generazione semplice e completa non e` definita dall’aggregazione e dalla disgregazione, come sostengono certuni, mentre il mutamento nel continuo sarebbe l’alterazione, ma questo e` il punto dove ci si sbaglia completamente. La generazione semplice e la corruzione infatti non sono per aggregazione e per disgregazione, ma {si hanno} quando c’e` una trasformazione totale da questo a quello. Costoro invece ritengono che il mutamento di tal fatta sia tutto alterazione, mentre c’e` una differenza. Nel sostrato infatti un {fattore} e` secondo la formula razionale, l’altro secondo la materia: quando il mutamento coinvolge questi, esso sara` generazione o corruzione, quando invece coinvolge le affezioni ed e` per concomitanza, {sar`a} alterazione.
360 Intendo kaivtoi non in senso avversativo, ma in quello che J.D. DENNISTON , The Greek Particles, Oxford 1934, p. 561, considera il senso «logico», perche´ si tratta di un unico argomento (Williams lo rende similmente con ‘‘now’’, mentre altri traduttori danno ad esso un senso avversativo). 361 Cioe ` se proprieta` od affezioni diverse dalla figura ineriscono agli indivisibili, che solo una di queste inerisca ad un singolo indivisibile. 362 Cioe ` la stessa per tutti gli indivisibili, come esige la teoria degli atomisti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.C)
51.5. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 9, 327a14-26 (327a16-20 = 68 A 38, 239 Lu.): In generale e` assurdo che questo [scil. l’agire e il patire] si verifichi solo a questo modo, cioe` con la scissione dei corpi. Questo resoconto elimina l’alterazione, ma noi vediamo che lo stesso corpo, pur essendo continuo, ora e` liquido ora e` solido, e che si trova in queste condizioni 363 non per divisione e composizione e neppure per {variazioni di} verso e di contatto, come sostiene Democrito; non e` infatti essendo mutato l’ordine e la disposizione nella sua natura che {un corpo} e` diventato solido da liquido; e neppure sono presenti {in esso} delle {particelle} dure e compatte che siano indivisibili nelle loro masse, ma allo stesso modo in cui e` tutto {il corpo} ad essere liquido, talvolta esso e` duro e compatto. (22) Inoltre {sulla base di questo resoconto} neppure e` possibile l’aumento {dei corpi} e la {loro} diminuzione, giacche´ ciascuna {parte} non sara` diventata piu` grande, se ci deve essere aggiunta 364 e non un mutamento totale o per mescolanza con qualcosa o per un trasformarsi {del corpo} in se´ stesso.
C. I
COMPOSTI RISULTANTI DA MESCOLANZA
1. La questione della mescolanza 52.1. A. Aristotele, De generatione et corruptione I 10, 327b32-328a16 (om. DK; 327b33-328a3 = 340 Lu.): [Dopo un primo resoconto della mescolanza, presentata in 327b28-29 come ‘la unione di cose prima separate e che possono nuovamente essere separate’.] Dobbiamo esaminare il problema che viene di seguito a questi: se la mescolanza e` qualcosa di relativo alla percezione sensibile. In effetti, (i) quando le cose mescolate sono state divise in {parti o cose} piccole a tal punto, e collocate l’una accanto all’altra in modo tale, che ciascuna {di esse} non e` evidente alla percezione sensibile, allora c’e` mescolanza {davvero}? Oppure (ii) {la mescolanza c’e`} piuttosto quando ciascuna parte {di una} delle cose mescolate e` accanto a qualche 365 parte dell’altra? E` a quel modo che, per esempio, si suol dire che l’orzo e` mescolato col frumento, quando ciascun {grano d’orzo} e` posto accanto a qualche {grano di frumento}. Ma se ogni corpo e` divisibile, e dato che il corpo mescolato con un altro e` omeomero {al suo interno}, ciascuna parte dovra` generarsi presso ciascun’altra. (5) Dal momento tuttavia che la divisione in minimi non e` possibile, e anche che la composizione non e` la stessa cosa che la mescolanza ma e` qualcosa di differente, e` chiaro che (i) non si puo` parlare di mescolanza quando le cose che sono mescolate si preservano al livello di particelle. In effetti sara` composizione e non temperamento o mescolanza, e la parte non avra` la stessa definizione dell’intero. Noi diciamo invece che, se ci deve essere qualcosa che sia mescolato {realmente}, quanto e` mescolato deve essere omeo-
Letteralm.: e` subente questo. Questo e` il requisito per l’aumento e la diminuzione che viene formulato nel resoconto di Aristotele in De gen. et corr. I 5, 321a2 sgg. (da a3 e` chiaro che in 327a23 e` sottinteso ‘‘parte’’). 365 Letteralm.: ciascuna (cosı` anche nel seguito), ma si tratta manifestamente di un’inesattezza. 363 364
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.C)
mero, e al modo in cui la parte di acqua e` acqua, cosı` lo e` {quella} di cio` che e` contemperato. (12) Se invece la mescolanza e` {solo} una composizione relativa a {corpi} piccoli, non ne risulter`a niente di queste cose, ma solo saranno mescolati in relazione alla percezione sensibile (e la stessa cosa sar`a mescolata per uno che non abbia la vista acuta ma non mescolata affatto per Linceo).366 {Ed e` chiaro che} (ii) neppure {c’e` mescolanza} per una divisione tale per cui ciascuna parte e` accosta a ciascun’altra, giacch´e e` impossibile che siano divise a questo modo.367
52.2. T. Filopono, In De gen. et corr. I (10, 327b32 sgg.), 192.29-193.9 e 193.20-25 (om. DK; 192.29-193.4 = 340 Lu.): Un tipo di mescolanza che viene postulato e` dunque 368 quello per cui le forme delle cose che sono mescolate sono preservate, ma esse risultano non percettibili per la piccolezza della giustapposizione; *il secondo tipo {e` quello in cui} la forma delle cose che sono mescolate non e` preservato, ma esse sono risolte nei loro costituenti, e a questo modo sono i loro elementi ad essere giustapposti, come sostengono quelli che postulano gli atomi. Una volta infatti che il fuoco e l’acqua sono risolti negli atomi dai quali sono composti e che questi ultimi poi si associano fra di loro cosı` che ciascun atomo di fuoco e` giustapposto ad un atomo di acqua, il temperamento si genera al modo in cui, se le pietre da cui sono composti, come puo` capitare, un teatro e una casa, con il dissolversi della casa e del teatro si trovassero ciascuna giustapposta all’altra. [...] (20) Mediante {l’assunto che sta ne} il dire che ogni continuo e` divisibile all’infinito egli [scil. Aristotele] elimina {la tesi} che la mescolanza e` tale quale dicono che sia coloro – cioe` Democrito e i suoi – i quali sostengono che la mescolanza si genera mediante la risoluzione in {sostanze} piu` elementari, vale a dire negli atomi, e mediante la giustapposizione di uno qualsiasi di essi con qualunque altro. Se infatti il corpo e` divisibile all’infinito, e` impossibile che ciascuna parte si trovi accanto a qualche altra parte.
2. Le testimonianze di Alessandro d’Afrodisia e dei dossografi 52.3. T. Alessandro, De mixtione 2, 214.18-26 (18-15 = 68 A 64; 342 Lu.): [Di seguito a 9.7: il resoconto della mescolanza che viene attribuito espressamente a Democrito.] Democrito, nel ritenere che il cosidetto temperamento si verifica mediante la giustapposizione dei corpi, con quelli contemperati che sono divisi in {parti o cose che sono} piccole e che producono la mescolanza mediante il collocarsi l’una accanto all’altra, dichiara che, origi-
` un personaggio mitologico, del quale si racconta che aveva partecipato alla spedizione de366 E gli Argonauti e che la sua vista era cosı` acuta da penetrare anche sotto terra (cfr. Apollodoro, Biblioteca I 9, 16 e III 10, 3). 367 Non e ` del tutto chiaro se la posizione che viene rigettata e` quella degli atomisti, come suggerisce Filopono nel suo commento (C.J.F. WILLIAMS, in Philoponus On Coming-to-be and Perishing 1.6-2.4, nel commentare il passo rileva difficolta` per tale interpretazione), anche se cio` rimane probabile, e neppure e` del tutto chiaro se anche la seconda posizione considerata e` ritenuta trattare la mescolanza come qualcosa di relativo alla percezione sensibile, anche se cio` pure pare probabile per il modo stesso in cui tutta la discussione viene introdotta. 368 Il commentatore ne ha appena parlato, nel primo pezzo del suo commento al passo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (V.C)
nariamente, non c’`e qualcosa che sia contemperato rispetto a verita`,369 ma che il temperamento apparente e` una giustapposizione reciproca dei corpi relativamente alle particelle,370 i quali {corpi} conservano ciascuno la sua propria natura, quella che avevano anche prima della mescolanza. Essi appaiono contemperati alla percezione sensibile per il fatto che, per via della piccolezza delle {particelle} giustapposte, nessuno di essi si lascia percepire da solo. Amante della verit`a e del sapere {com’e`}, egli non esito` ad enunciare le conseguenze che valgono per coloro che sostengono che i temperamenti si verificano a questo modo.
52.4. T. Alessandro, De mixtione 2, 214.28-215.8 [di seguito a 52.3] (om. DK; 342 Lu.; 290 Us.): [Il resoconto della mescolanza che, nonostante le affermazioni di Alessandro, Epicuro deve avere ripreso da Democrito.] Epicuro, volendo evitare la conseguenza enunciata da Democrito per coloro che asseriscono che il temperamento si verifica per la giustapposizione dei contemperati, asserisce anch’egli che i temperamenti si verificano per la giustapposizione di certi corpi, ma non dei corpi mescolati stessi che si conservano nella divisione, ma {di corpi} che sono risolti in elementi che sono gli atomi,371 dai quali ciascuno di essi diventa in qualche modo un composto: quello che e` vino, quello che e` acqua, quello che e` miele, quello che e` qualcos’altro; poi, per una certa composizione di questi corpi, dai quali risultavano quelli contemperati fra loro, che vengono a generare il corpo contemperato, sono mescolati non acqua e vino ma, per cosı` dire, gli atomi produttivi d’acqua e quelli produttivi di vino. Dichiara {insomma} che il contemperamento si verifica per la corruzione e la generazione di certi {corpi}, giacch´e la dissoluzione di ciascun {corpo contemperato} negli elementi e la composizione {di essi} dagli elementi stessi sono rispettivamente la generazione e la corruzione.
52.5. T. Stobeo, Eclogae I 17, 1-2 (1 = 11 A 13a; 2 = 59 A 54, 341 Lu.): (Su mescolanza e temperamento) Talete e i suoi discendenti {affermano che} i temperamenti sono mescolanze degli elementi secondo alterazione. Anassagora, Democrito e i loro {affermano che} i temperamenti si generano per giustapposizione degli elementi.
52.5.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 17, 1-2 [insieme a 52.5 = Aezio I 17, 1-2 (Dox. 315)]: (Su mescolanza e temperamento) Gli antichi {affermano che i temperamenti sono} mescolanze degli elementi secondo alterazione. Anassagora, Democrito e i loro {affermano che lo} sono per giustapposizione.
Cioe` in realta` (di contro all’apparenza suggerita dal successivo dokou=sa applicato a kra=si"). Letteralm.: alle cose piccole (come in precedenza). 371 Letteralm.: e in atomi (presumibilmente un’endiadi). (Va osservato che Alessandro manifestamente attribuisce a Democrito una posizione sul tipo della prima delle due considerate da Aristotele in 52.1, attribuendo al solo Epicuro una posizione sul tipo della seconda, ma ci deve essere un suo fraintendimento. Si veda la Presentazione dei testi, sez. 14.) 369 370
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.A)
52.5.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 29 [616.9-12]: (Su mescolanza) Quelli piu` antichi {dei pensatori} ritennero che le mescolanze degli elementi si generano secondo alterazione oppure contemperamento, mentre Anassagora, Democrito e i loro {ritennero che esse si generano} secondo giustapposizione.
VI. LA
TEORIA DEMOCRITEA DELLE PROPRIETA` SENSIBILI E L ’EPISTEMOLOGIA
A. LA
QUESTIONE DELLA SUSSISTENZA DELLE PROPRIETA` SENSIBILI CATA DAL CASO DEI COLORI E DA QUELLO DEI SUONI)
(ESEMPLIFI-
53.1. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VIII, §§ 183-85 (om. DK; 184 = 57 Lu.; 185 = 247, p. 182.30-33 Us.): [Il passo si inserisce in una discussione dell’esistenza del segno come strumento per indicare cio` che non e` evidente, partendo dall’alternativa fra ammettere che il segno sia intelligibile e ammettere che esso sia sensibile.] Ma bisogna parlare in successione di ciascuno {di questi corni dell’alternativa}, e immediatamente circa l’eventualita` che {il segno} sia sensibile. Affinche´ dunque su questo ci sia consenso, bisogna accordarsi prima sulla sussistenza dei sensibili ed esserci consenso {su questo punto} da parte di tutti i naturalisti, sicche´, da questa [scil. la sussistenza dei sensibili] accolta per consenso, si possa condurre l’indagine circa il segno. (184) Tuttavia non c’e` accordo, ma, ‘‘finche´ acqua scorra ed alberi crescano alti’’,372 i naturalisti non cessano mai di combattersi fra di loro su questo punto, se e` vero che Democrito dichiara che *nessuno dei sensibili ha sussistenza, ma le apprensioni che abbiamo di essi sono delle vuote affezioni dei sensi, e che negli oggetti esterni non sussiste ne´ del dolce ne´ dell’amaro ne´ del caldo ne´ del freddo n´e del bianco n´e del nero, ne´ alcun altra delle cose che si manifestano a tutti, giacche´ questi sono nomi di nostre affezioni.* (185) Epicuro d’altra parte dichiaro` che tutti i sensibili sussistono tali quali si manifestano e sopraggiungono con la sensazione, in quanto la sensazione non e` mai nel falso, ma siamo noi ad avere l’opinione che questa sia nel falso. Gli Stoici e i Peripatetici, aprendosi una via di mezzo, dichiarano che alcuni dei sensibili hanno sussistenza, in quanto sono veri, e altri invece non sussistono, in quanto la percezione che li riguarda e` nel falso.
53.2. TN. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VIII, § 213 (om. DK e Lu.): [Viene sostenuto che cio` che e` sensibile non puo` fungere da segno neppure di se stesso, sicche´ questa e` una ragione per cui il segno, in quanto e` sensibile, non puo` servire a cogliere cio` che non e` evidente.] ` un verso tratto da un epigramma che viene citato sia 372 Oppure: ‘‘gli alti alberi fioriscano’’. E da Platone, Fedro, 264D, sia da Diogene Laerzio, Vite I 90, il quale lo riporta come attribuito ad uno dei sette sapienti, Cleobulo di Lindo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.A)
Tra coloro che hanno indagato su questo [scil. sul sensibile], come abbiamo mostrato spesse volte,373 alcuni asseriscono che esso non viene colto dal senso tale quale e` per natura; infatti esso non e` ne´ bianco n´e nero,374 n´e caldo ne´ freddo, ne´ dolce ne´ amaro, ne´ avente una qualche altra tale qualit`a, ma esso appare sussistere come tale perche´ il senso e` affetto in modo vuoto e ci trae in inganno; alcuni altri hanno opinato che alcuni dei sensibili sussistono secondo verita` e altri in nessun modo; altri ancora hanno testimoniato a favore della sussistenza di tutti in egual maniera.
53.3. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VIII, §§ 354-355 (om. DK e Lu.): [Argomenti contro la dimostrazione a partire dalle natura delle sue premesse.] Se infatti le entita` tutte sono o sensibili o intelligibili, bisogna che anche le premesse della dimostrazione siano o sensibili o intelligibili; c’e` allora da indagare se sono sensibili o intelligibili. (i) I sensibili infatti o sussistono tali quali essi appaiono oppure sono vuote affezioni 375 e finzioni del pensiero, oppure {ancora} alcuni di essi insieme all’apparire anche hanno l’essere 376 e alcuni altri appaiono soltanto e non hanno anche sussistenza. Ed e` possibile vedere uomini insigni, i capi di ciascuna scuola, che differiscono fra di loro, (355) se e` vero che Democrito ha rimosso ogni sussistenza sensibile, Epicuro invece ha affermato che tutto quanto il sensibile e` stabile {nella sua sussitenza}, lo stoico Zenone infine ha operato una divisione {all’interno dei sensibili}, sicche´, se le premesse sono sensibili, suscitano disaccordo. [Nel seguito lo stesso conflitto viene rilevato a proposito (ii) degli intelligibili, con applicazione alle premesse intelligibili. Conclusione: dato che le premesse non danno affidamento, neppure puo` darlo la dimostrazione.]
53.4. T. Stobeo, Eclogae I 50, 24 (= 67 A 32; 95 Lu.) [= Aezio, IV 9, 8 (Dox. 397)]: (Sulla sensazione e sui sensibili e se le sensazioni sono vere.) Gli altri {pensatori dicono che} i sensibili esistono per natura, invece Leucippo, Democrito e Diogene 377 {dicono che essi} esistono per convenzione, vale a dire per opinione e come nostre affezioni. Non c’`e niente di vero e di comprensibile al di fuori degli elementi primi, cioe` degli atomi e del vuoto: solo questi sono per natura, mentre le cose che derivano da questi sono concomitanti che differiscono fra di essi per posizione e per ordine e per figura.
Cfr. AM VII 369 e 388 (= 58.3 e 59.2), VIII 6-8 e 183-85 (= 58.4 e 53.1). Ovvero: ‘‘esso non e` disposto ne´ come bianco ne´ come nero ..., ma esso appare solo sussistere come tale ...’’; c’e` in ogni caso una contrapposizione fra la cosa sensibile com’e` realmente e la stessa come appare. In questo passo per ‘sensibile’ si intende l’oggetto esterno o sostrato dal quale dipendono le affezioni, mentre in altri passi (p. es. in 53.3, quando i sensibili sono detti ‘vuote affezioni dei sensi’) si intende piuttosto la qualita`. 375 Si intende: dei sensi. 376 Letteralm.: sono. 377 Si intende: di Apollonia. 373 374
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.A)
53.5. T. Stobeo, Eclogae I 50, 17 (= 59 A 96; 54 Lu.) e 21 (= 248 Us.) [= Aezio IV 9, 1 e 5 (Dox. 396)]: [Stesso titolo di 53.4.] Pitagora, Empedocle, Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso, Anassagora, Democrito, Metrodoro, Protagora, Platone {dicono che} le sensazioni sono false. (21) Epicuro {dice che} ogni sensazione e ogni rappresentazione e` vera, mentre delle opinioni alcune sono vere e altre false ...
53.6. T. Stobeo, Eclogae I 16, 1(7) (8) e (10) (1(7) = 68 A 125, 487 Lu.; 1(8) = 29 Us.; 1(10) = parte come 68 A 124, 486 Lu.) [= Aezio, I 15, 8, 9 e 11 (Dox. 314)]: (Sui colori) Democrito {sostiene che} per natura non c’e` nessun colore, giacche´ sono privi di qualita` gli elementi, {cioe`} i compatti e il vuoto. Gli aggregati derivanti da essi sono colorati per il contatto e il ritmo e il verso, dei quali l’uno e` l’ordine, l’altro la figura e il terzo la posizione. Oltre a questi [scil. elementi] ci sono infatti {solo} le rappresentazioni.378 Di questi colori relativi alla {capacit`a di} rappresentazione le differenze sono quattro: quelle del bianco, del nero, del rosso, del verde. (8) Epicuro ed Aristarco {ritengono che} i colori 379 nell’oscurita` non hanno colore. (10) Gli altri {pensatori} rendono gli elementi colorati per natura, ma quelli che {ammettono} le omeomerie {ritengono che} i {corpi} primi partecipano di qualita`, mentre quelli {che ammettono} gli atomi {li ritengono} tutti nel loro complesso privi di colore, {e sostengono che} le qualita` sensibili si generano in modo apparente da {elementi} privi di qualit`a e contemplabili con la ragione.
53.7. E. Simplicio, In Physica III (7, 207b27), 512.28-33 (om. DK; = 59 Lu.): [A commento del passo di Aristotele nel quale questi afferma che il matematico non ha bisogno di linee infinite per condurre le sue dimostrazioni, Simplicio rileva che, dal momento che gli oggetti delle matematiche ‘‘si dicono per astrazione (o per sottrazione)’’, non c’e` bisogno, per le dimostrazioni ad essi relative, di ricorrere al luogo che appartiene ai corpi fisici, ‘‘sicche´ chi di noi sottrae il luogo al di fuori del tutto non ha sottratto insieme anche la dimostrazione ...’’.] Al modo in cui in effetti Democrito, intraprendendo a stabilire che i colori non sussistono per natura insieme ai corpi {cui appartengono}, ma hanno l’essere per legge e per convenzione in relazione a noi, non danneggia in alcun modo la geometria, dal momento che {questa} non fa uso in generale dei colori in relazione alle dimostrazioni, allo stesso modo colui che elimina il luogo infinito e in genere il luogo, non diventa in alcun modo di ostacolo alle dimostrazioni riguardanti le linee, giacch´e viene astratto qualcosa di cui non hanno bisogno coloro che conducono dimostrazioni.
378 Cioe ` le apparenze. Si puo` anche intendere il passo come segue: ‘‘Le rappresentazioni infatti sono in base a questi (cioe` dipendono dagli elementi per la loro esistenza)’’. 379 Le superfici? Altri correggono: i corpi. (Per questa posizione di Epicuro cfr. Plutarco, Adv. Colot. 7, 1110C-D [= 30 Us.], Lucrezio II, vv. 746-47, Filodemo, De signis 25, xviii.8-10.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.B)
53.8. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VI, §§ 52-53 (om. DK e Lu.): [La musica e` senza oggetto perch´e le note musicali rientrano nel genere ‘‘suono’’, e di questo si puo` mostrare che non sussiste.] {Ora} che il suono non sussista e` stato provato da noi nei Commentari scettici 380 a partire dalla testimonianza dei dogmatici. (53) Infatti i filosofi provenienti da Cirene asseriscono che sussistono solo le affezioni, e che non c’e` niente altro; pertanto il suono, non essendo un’affezione ma quanto la produce, non si trova ad essere fra i sussistenti; quanto a Democrito e i suoi e a Platone e i suoi, che eliminano tutto quanto il sensibile, eliminano insieme {ad esso} anche il suono, in quanto {quest’ultimo} pare sussistere come una cosa sensibile.
B. LA
GENESI DEI DATI DELLA SENSAZIONE E LA LORO SOGGETTIVITA`
1. Nella testimonianza aristotelica: i sensibili non sono nulla senza la sensazione in atto 54.1. TN. Aristotele, De anima III 2, 426a15-26 (om. DK e Lu.): [Aristotele sta offrendo il proprio resoconto della percezione sensibile in rapporto a quanto e` percepito nel modo piu` diretto.] Dal momento che l’atto di cio` che e` percepito e di cio` che percepisce e` uno, anche se il loro essere e` differente, e` necessario che udito e suono, detti a questo modo [scil. in attualit`a], insieme cessino e si conservino, e {cosı`} il sapore e il gusto, e ugualmente il resto; invece questo non e` necessario per quelli detti secondo potenza. (20) Tuttavia i fisiologi anteriori non enunciavano questo in modo corretto, nel ritenere che il bianco e il nero non siano nulla senza la vista, e che anche il sapore non sia nulla senza il gusto. Per un verso il loro enunciato era corretto e per un altro no, giacche´ la sensazione e il sensibile hanno due sensi, cioe` secondo la potenza e secondo l’atto: circa questi ultimi [scil. i due termini secondo l’atto] il loro asserto si verifica, non circa gli altri; ma essi si esprimevano in modo assoluto circa cio` che non e` enunciabile in modo assoluto.
54.1.1. T. Filopono, In De anima III (2, 425b25 sgg.), 471.29-472.3 (om. DK e Lu.): ... Per questa ragione la sensazione in atto e` la stessa che il sensibile in atto, mentre la sensazione in potenza non e` lo stesso che il sensibile in potenza. I Protagorei invece non fecero la distinzione, ma dissero che la sensazione e` lo stesso che il sensibile, non facendo la distinzione che sta nel dire che e` lo stesso in attualita`, ma non e` lo stesso in potenza. E questo e` naturale, giacch´e i Protagorei non dissero che in generale esiste cio` che e` in potenza e non attribuirono la sussistenza ai sensibili, ma dissero che i sensibili esistono soltanto finche´ colpiscono la sensazione. Dal momento che non parlarono di quello che e` in potenza ma soltanto di quello che e` in atto, dissero anche che esso
380
Il riferimento e` ad un’opera andata perduta, ma cfr. AM VIII 131.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.B)
[scil. il sensibile] e` un prodotto dei sensi.381 Infatti, se noi vediamo, essi dicono, c’e` il colore, se no, non c’e`: ‘per convenzione e` il dolce, per convenzione e` il bianco’.382 Percio` dissero correttamente, per quanto l’abbiano detto senza distinzioni, che la sensazione e` lo stesso che il sensibile.
54.1.2. T. Simplicio, In De anima III (2, 426a11 sgg.), 193.27-30 (om. DK; = 60 Lu.): Da parte di Democrito e dei suoi 383 anche il sensibile in potenza, per esempio il colore stesso e il suono, e` ritenuto sussistere nella facolta` sensibile e non esistere senza la sensazione in atto. Questo in effetti non e` corretto, perche´ e` vero dei soli {sensibili} in atto.
54.2. T. Aristotele, De sensu 6, 446b17-26 (om. DK; = 432 Lu.): Alcuni ritengono che ci sia una difficolta` al proposito [scil. della sussistenza dei sensibili prima di essere effettivamente percepiti]: essi dicono che e` impossibile per una persona udire o vedere od odorare la stessa cosa che un’altra persona, dato che non e` possibile, essendo {noi soggetti percipienti} molti e separati, udire e odorare un’unica cosa, giacche´ {in tal caso} la cosa unica sarebbe essa stessa separata da se stessa. In altre parole: tutti hanno sensazione di cio` che e` all’origine del movimento, per esempio della campana o dell’incenso o del fuoco, come di qualcosa che e` lo stesso e numericamente uno, ma quanto e` proprio a ciascuno e` differente di numero anche se identico specificamente, per cui molti vedono ed odorano e sentono {questi} allo stesso tempo. Questi n´e sono corpi, ma una certa affezione o movimento (altrimenti cio` [scil. l’aver sensazione] non avrebbe luogo), n´e esistono senza corpo.
2. La teoria della percezione sensibile adottata da certi sostenitori del mobilismo universale secondo Platone 54.3. I. Platone, Theaetetus, 153D-154A (trad. Cambiano modificata): Fai allora questa supposizione, ottimo amico: in primo luogo a proposito degli occhi, che cio` che chiami color bianco non esista come qualcos’altro fuori dei tuoi occhi ne´ dentro gli occhi ne´ devi assegnargli qualche luogo, (E) perch´e altrimenti sarebbe certamente in un posto assegnato e starebbe fermo e non si generebbe nel divenire. – Ma come? –
381 Il riferimento e ` abbastanza chiaramente ai contenuti di quella che nel Teeteto viene presentata come la dottrina segreta di Protagora (cfr. infra, 54.3, 54.4, 54.5). Lo stesso Filopono menziona l’opera (sotto la denominazione errata di Protagora) in 475.27, alla conclusione di un passo (475.2327, a commento di 426a22) che e` dello stesso tenore di quello da me riportato. 382 Questo richiamo al noto detto di Democrito mostra che per Filopono quelli che egli chiama i Protagorei (e con i quali manifestamente identifica i ‘‘fisiologi anteriori’’ di cui parla Aristotele) includono Democrito; Protagora stesso in effetti non e` strettamente un ‘fisiologo’. Notare che in In De anima 71.26-27 (= 105.3) Protagora era stato da lui accostato a Democrito per la tesi che il vero e il fenomeno sono lo stesso, probabilmente sulla base di quanto si trova in Arist. Metaph IV 5 (= 57). 383 Il commentatore manifestamente identifica con costoro i ‘‘fisiologi anteriori’’ di cui parla Aristotele nel passo commentato.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.B)
Seguiamo il discorso di poco fa, ponendo che nessuna cosa sia in s´e e per se´ una. In questo modo il nero, il bianco e qualsiasi altro colore ci apparira` generato dall’incontro degli occhi con il movimento che viene loro incontro e cio` che noi diciamo appunto essere ciascun colore non sar`a (A) ne´ cio` che viene incontro ne´ cio` che e` incontrato, ma qualcosa che si e` generato di intermedio a entrambi e proprio di ciascuno. O vorresti sostenere che, quale ciascun colore appare a te, tale appaia anche ad un cane e a qualsiasi animale? – Per Zeus, io no. – E a un altro uomo una cosa qualsiasi appare forse allo stesso modo che a te? Sei fermamente convinto di questo o piuttosto di gran lunga che neppure a te stesso {la cosa appare} la stessa per il fatto che neppure tu rimani mai identico a te stesso?
54.4. I. Platone, Theaetetus, 155E-157C (trad. Cambiano modificata): Guardati attorno, allora, e bada che nessuno dei non iniziati ci ascolti. Sono, costoro, quelli che credono che nient’altro esista se non cio` che possiamo afferrare saldamente con le mani, mentre azioni e generazioni e tutto cio` che e` invisibile non ammettono che rientri nel rango di sostanza.384 – Sono davvero duri e respingenti, Socrate, questi uomini di cui tu parli. – (156A) Difatti, caro ragazzo, non sono certo amici delle Muse. Altri, invece, di cui intendo rivelarti i misteri, sono molto piu` raffinati. Il principio, dal quale dipendono anche tutte le cose che dicevamo poco fa, e` questo per loro: che il tutto era ed e` movimento e nient’altro che questo e che del movimento esistono due specie, infinite di numero entrambe e aventi la possibilita` una di agire e l’altra di subire. Dall’accoppiamento e dallo sfregamento dell’una con l’altra si generano figliolanze (B) infinite di numero, ma a coppie di gemelli, di cui uno e` il sensibile e l’altro la sensazione, che sempre coincide e si genera col sensibile. Le sensazioni hanno per noi i nomi seguenti: visioni, audizioni, percezioni olfattive, sentir freddo, sentir caldo e inoltre i piaceri e dolori, i desideri e le paure, come sono denominati, e altre ancora, di cui infinite sono quelle prive di nome, numerosissime, invece, quelle che ce l’hanno. Il genere del sensibile, a sua volta, si genera insieme a ciascuna di queste sensazioni, a visioni svariate colori svariati, (C) a audizioni suoni dello stesso tipo, e, congeneri con le altre sensazioni, si generano gli altri sensibili. Che cosa vuol dire, dunque, per noi questo racconto in relazione alle questioni precedenti? [...] Esso vuol dire appunto che tutte queste cose, come dicevamo, si muovono e c’e` nel loro movimento velocita` e lentezza. Cio` che e` lento ha il suo movimento nello stesso luogo e in relazione agli oggetti che si avvicinano (D) e in tal modo appunto genera, mentre gli oggetti generati in questo modo sono piu` veloci, perche´ si spostano ed e` in questa traslazione che consiste il loro movimento naturale. Quando dunque l’occhio e qualche altro degli oggetti commisurabili ad esso, che si sia avvicinato, generino la bianchezza e la sensazione che le e` connaturata – cose che non si sarebbero mai generate, se l’uno o l’altro di quei due fosse entrato in rapporto con un altro oggetto –, muovendosi allora nello spazio intermedio (E) la visione proveniente dagli occhi e la bianchezza proveniente dall’oggetto che, congiuntamente {agli occhi}, genera il colore, allora ecco che l’occhio e` diventato pieno di vista e in quel momento vede appunto ed e` diventato non visione, ma occhio che vede, mentre l’oggetto che insieme ad esso genera il colore si e` riempito di bianchezza ed e` diventato, a sua volta, non bianchezza, ma bianco, sia esso legno o pietra o qualsiasi
384
Oppure: che sia parte dell’essere (ousia).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.B)
altro oggetto a cui succeda di essere colorato di tale colore. E cosı` anche il resto, duro e caldo e tutto quanto, bisogna assumere allo stesso modo che in se´ e per se´ non sono nulla, (A) come appunto dicevamo anche prima, ma che tutte e svariate {le cose} si generano nel loro incontro reciproco e per effetto del movimento, dal momento che non e` possibile, come dicono, pensare stabilmente che, circa una sola cosa,385 l’agente e il paziente fra di esse sia qualche cosa.386 Nulla, infatti, e` agente prima di incontrarsi col paziente, ne´ paziente prima di incontrarsi con l’agente e cio` che incontrandosi con una cosa e` agente, imbattendosi a sua volta in un’altra appare paziente. Da tutto cio` consegue, come dicevamo all’inizio, che nulla e` in se´ e per se´ uno, ma sempre diviene per qualcosa, e che si deve eliminare da ogni parte l’essere, (B) quantunque noi molte volte e anche poco fa siamo stati costretti per consuetudine e per ignoranza a farne uso. Ma non si deve, dicono questi sapienti, ne´ si devono consentire espressioni come «qualcosa», «di qualcosa», «di me», «questo», «quello» e nessun’altra parola che implichi una stabilita`; occorre invece pronunciare espressioni conformi a natura quali «si generano» e «si fanno» e «periscono» e «si alterano», dato che, se uno fissa qualcosa con la parola, chi fa questo e` facile da confutare. E` in questo modo, invece, che bisogna parlare di checchessia, e quando lo si prenda partitamente e quando lo si prenda come raggruppamento di molte cose insieme, ai quali raggruppamenti si danno appunto i nomi di «uomo», di «pietra» e di ciascun animale e specie.
54.5. I. Platone, Theaetetus, 182A-B (trad. Cambiano modificata): Non dicevamo che essi spiegano la genesi del calore o della bianchezza o di qualsiasi altra cosa del genere pressapoco in questo modo: c’e` un muoversi di ciascuna di esse contemporaneamente alla sensazione tra l’agente e il paziente, col paziente che diventa senziente ma non sensazione, mentre l’agente diventa di una determinata qualita` ma non tale qualit`a. Forse «qualita`» ti appare un nome strano e tu non lo capisci detto cosı` condensato.387 Ascolta dunque caso per caso. (B) L’agente non diventa ne´ calore ne´ bianchezza, ma caldo e bianco e cosı` per il resto. Ti ricordi, infatti, che nella discussione precedente noi dicevamo cosı`, che nessuna cosa e` in se´ e per se´ una, neppure l’agente o il paziente, ma che dall’incontro reciproco dell’uno e dell’altro si generano le sensazioni e i sensibili, e gli uni diventano di una certa qualit`a e gli altri invece senzienti.
385 Il greco ejpi; eJnov" e ` ritenuto sia da M.J. LEVETT, The Theaetetus of Plato, Indianapolis 1990, sia da J. MCDOWELL, Plato’s Theatetus, Oxford 1973, indicare (nelle loro traduzioni del dialogo) che qualcosa e` ‘taken singly’. 386 G. CAMBIANO, Dialoghi filosofici di Platone, II, Torino 1981, rende: ‘‘... pensare stabilmente che tanto cio` che agisce quanto cio` che subisce in esse sia qualcosa di riconducibile a uno solo dei due’’, ma il contesto non suggerisce tale senso. McDowell traduce come segue: ‘‘... it isn’t possible to arrive at a firm conception, as they say, of either of them, taken singly, as being anything’’ (similmente Levett). L’idea e` sicuramente quella che non e` possibile prendere l’agente e il paziente isolatamente l’uno dall’altro, come entita` sussistenti per conto proprio. Questo motivo viene ripreso in 54.5 (182B2 sgg.). 387 Cioe ` detto in maniera collettiva (o comprensiva o generale) anziche´ partitamente. La stessa distinzione pare essere presente alla fine di 54.4.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.C)
C. LA
TIPOLOGIA DEI SENSIBILI IN RELAZIONE ALLA LORO MAGGIORE O MINORE OGGETTIVITA` E ALLE LORO CAUSE
1. Confronto fra l’approccio di Democrito e quello di Platone 55.1. T. Teofrasto, De sensibus, §§ 59-61 [di seguito a 106.2] (= 68 A 135; 71 e 426 Lu.): Quanto ai sensibili, quale sia la natura di ciascuno e come esso sia, {e` qualcosa che} gli altri trascurano.388 [...] (60) Invece Democrito e Platone si sono addentrati ben di piu` {nella questione}, giacche´ li definiscono a proposito di ciascun {senso}, salvo che, mentre l’uno {lo fa} senza privare i sensibili della {loro} natura, Democrito {lo fa} rendendoli tutti delle affezioni della sensazione. Da che parte stia la verita` non e` {il tema del presente} discorso. Ci proponiamo invece di riportare fino a che punto ciascuno si e` spinto e in che modo abbia definito {i sensibili}, per prima cosa esponendo l’intero metodo di ciascuno di essi. Democrito non parla allo stesso modo di tutti {i sensibili}, ma alcuni li definisce mediante le grandezze {degli atomi}, altri mediante le figure, alcuni {altri ancora} mediante l’ordine e la posizione. Platone, d’altra parte, li riporta praticamente tutti alle affezioni della sensazione. Sicche´ sembrerebbe che ciascuno di essi parli in modo contrario a quello che e` il suo postulato: (61) l’uno, che rende {i sensibili} affezioni della sensazione, ne definisce la natura {trattandoli 389 come se esistessero} per se stessi; l’altro, che fa {di essi realta`} per se stesse {definendoli} mediante le loro sostanze, li riporta alle affezioni della sensazione.
2. Il resoconto di Teofrasto, seguito da una serie di sue critiche 55.2. TT. Teofrasto, De sensibus, §§ 61-64 [di seguito a 55.1] (= 68 A 135; 71, 369, 435, 441 e 504 Lu.): La pesantezza, dunque, e la leggerezza, Democrito le distingue mediante la grandezza, {facendo valere la seguente considerazione:} se si dividesse ciascun {corpo} in ognuna {delle sue parti}, allora, anche se {queste} differissero per figura, la natura 390 avrebbe {un certo} peso in base alla grandezza. Nel caso invece dei {corpi} mescolati 391 e` piu` leggero quello che contiene piu` vuoto, e` piu` pesante quello che {ne contiene} di meno. In alcuni
388 Ometto il seguito immediato, riguardante le posizioni di Anassagora e di Empedocle (questa parte e` sempre riportata sotto 68 A 135 DK). 389 Sottintendo una forma del verbo poievw usato in precedenza, come paiono fare G.M. STRATTON , Theophrastus and the Greek Physiological Psychology before Aristotle, London 1917, e P. TANNERY, Sur les sensations de The´ophraste, Paris 1887 (‘ne definisce la natura’ si contrappone al ‘riportarli alle affezioni’ di Platone); altrimenti, intendendo, in kaq’ auJta; th;n fuvsin, l’accusativo come acc. di relazione (un suggerimento di Ademollo): ‘‘li definisce come dotati di una natura (assoluta od oggettiva) per se stessi’’. 390 Intendo: l’atomo o l’insieme degli atomi (cfr. Simplicio, In Phys. 1318.33-34 = 19.3); si puo ` tuttavia rendere come segue (altro suggerimento di Ademollo): ‘‘il peso ha la sua natura in dipendenza della grandezza’’, ma il senso generale non cambia, tenuto conto che ‘parti’ = atomi. 391 Si intende: dei composti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.C)
{passi} si e` espresso a questo modo, (62) in altri dichiara che in generale e` il sottile 392 ad essere leggero. In modo assai prossimo {si esprime} circa il duro e il molle: duro e` cio` che e` denso, molle e` cio` che e` rado, e il piu` e il meno e l’intermedio secondo {lo stesso} concetto.393 Tuttavia la posizione e l’inclusione {nel composto} dei vuoti differisce per qualcosa nel caso del duro e del molle dal caso del pesante e del leggero. Percio` il ferro e` piu` duro del piombo ma il piombo e` piu` pesante, in quanto il ferro e` composto in modo irregolare e possiede il vuoto in molte parti e per grandi estensioni, ma e` condensato in alcune parti, e nel complesso possiede piu` vuoto del piombo. A sua volta il piombo, mentre possiede meno vuoto, e` composto in modo regolare e uniforme in ogni {sua parte}, per cui e` piu` pesante, ma anche piu` molle, del ferro. (63) Riguardo al pesante e al leggero e al duro e al molle, e` in questi termini che li definisce. Quanto agli altri sensibili, sostiene che non c’e` una natura di nessuno di essi, ma che sono tutti affezioni della facolta` percettiva che si altera, e dalla quale si genera la rappresentazione {del percepito}. In effetti neppure del freddo e del caldo sussiste una natura, ma la configurazione, nel mutare, provoca anche la nostra alterazione. Infatti cio` che e` ammassato e` quanto prevale in ciascuna cosa, e cio` che disperso in larghi spazi e` impercettibile. Una prova che {questi sensibili} non sono per natura sta nel fatto che essi non appaiono gli stessi a tutti gli animali, ma cio` che e` dolce per noi {uomini}, ad altri {animali} appare amaro e ad altri ancora acido oppure piccante o astringente, e allo stesso modo per gli altri {sensibili}. (64) Ancora egli sostiene che essi stessi 394 mutano di temperamento 395 a seconda di quanto hanno patito 396 e dell’et`a, per cui e` chiaro che la disposizione {in cui uno si trova} e` la causa della rappresentazione. E` cosı` che, in generale, si deve pensarla circa i sensibili. Non di meno anche questi,397 come gli altri, egli li riporta alle figure, eccetto che non adduce le forme di tutti, ma piu` che altro quelle dei sapori e dei colori, e, fra questi, e` piu` preciso nel definire i sapori, riportandone la rappresentazione all’uomo. [Seguito sui sapori come 122.1.]
55.3. T e C. Teofrasto, De sensibus, §§ 67-72 [di seguito a 122.1] (= 68 A 135; 67-68 = 496 Lu.; 68-71 = 441 Lu.; 72 = 460 Lu.): Allo stesso modo egli [scil. Democrito] rende conto degli altri poteri {dei sapori} in ciascun caso riconducendoli alle figure. Ma, di tutte le figure, non ce n’e` nessuna che sia pura e non mescolata con le altre; al contrario, in ciascuna cosa 398 ce ne sono molte Ovvero il minuto, il piccolo. Cioe` secondo lo stesso principio razionale. Il testo evidentemente contiene un guasto, e ho adottato una mia correzione (metaxuv al posto di mavlista), intendendo che si sta parlando delle variazioni di grado circa il duro e il molle; la correzione del Diels (ta; loipa; = il resto) non e` troppo convincente perche´ non si vede in che consista ‘‘il resto’’, tenuto conto che si parla solo del duro e del molle. 394 Detto presumibilmente degli uomini. 395 Oppure: ‘di giudizio’ (krivsi"), conservando il testo dei MSS; la correzione di Schneider (in krasi" = ) e` favorita dal fatto che pare che si parli di una disposizione non del tutto razionale. 396 Cioe ` delle loro esperienze, di quanto gli e` capitato. 397 Si intende i sensibili menzionati come caldo e freddo. 398 Presumibilmente si intende la cosa sensibile o corpo in quanto fonte di un certo sapore, piuttosto che il sapore stesso, perche´ non si vede bene in che modo esso, come affezione, possa pre392 393
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.C)
e lo stesso ha del liscio e dello scabroso e del rotondo e dell’aguzzo e del resto. Quello pero` che e` preponderante e` anche quello che ha piu` efficacia sulla sensazione e sul potere; 399 inoltre la disposizione {del soggetto percipiente} in cui entra 400 fa non poca differenza,401 e questo per il fatto che {talvolta} lo stesso {produce} contrari e che contrari talvolta producono la stessa affezione. (68) Questo e` il suo resoconto dei sapori. In primo luogo, tuttavia, sarebbe strano non assegnare le cause per tutti i casi allo stesso modo, ma {definire} il pesante e il leggero e il duro e il molle mediante la grandezza e la piccolezza e {insieme} la rarita` e la densita` {degli atomi}, mentre il caldo e il freddo e il resto sono definiti mediante le figure. In secondo luogo {sarebbe strano} fare del pesante e del leggero e del duro e del molle nature per se stesse – giacche´ la grandezza e la piccolezza e la densita` e la rarita` non sono relativi ad altro –, mentre il caldo e il freddo e il resto sono resi relativi alla sensazione, e questo pur dicendo spesso che la figura del caldo e` quella sferica. (69) In generale la contraddizione maggiore e che si presenta in tutti i casi, sta nel fare {dei sensibili} le affezioni della sensazione e nello stesso tempo definirli mediante le figure – {la prima cosa asserendo che} lo stesso {oggetto} appare agli uni amaro agli altri dolce e ad altri ancora in altro modo. Non e` possibile infatti che la figura sia una affezione {della sensazione} e che la stessa cosa sia sferica per gli uni e per altri in altro modo (ma presumibilmente e` necessario {ammetterlo} se e` vero che e` dolce per gli uni e amara per gli altri), e neppure e` possibile che le forme mutino a seconda delle nostre disposizioni. In generale la figura e` qualcosa per se stesso, mentre il dolce e in genere il sensibile e`, com’egli dice, relativo ad altro e {esistente} in altro. E` assurdo, ancora, ritenere che a tutti quelli che hanno sensazione delle stesse cose appare lo stesso e provare la verita` di queste {proposizioni}, e questo dopo aver detto in precedenza che a persone disposte in modo dissimile appaiono cose dissimili e, di nuovo, che nessuno coglie la verita` in alcun modo piu` di un altro. (70) E` probabile in effetti che {abbia maggior successo nel coglimento della verita`} il migliore sul peggiore e il sano sul malato, perche´ {i primi} sono piu` in conformita` a natura. Ancora, se non c’e` una natura dei sensibili per il fatto che non appaiono gli stessi a tutti, e` chiaro che non c’e` neppure degli animali o degli altri corpi, perche´ neppure al loro proposito {gli uomini} opinano allo stesso modo. E tuttavia, anche se non e` per gli stessi {fattori} che il dolce e l’amaro si generano per tutti, la natura dell’amaro, come {quella} del
sentare tale composizione (anche Tannery propone ‘‘chaque substance’’). D’altra parte va ammesso che, nel seguito, ‘‘lo stesso’’ (al maschile, non al neutro) deve sottintendere ‘‘sapore (culov")’’, sicche´ c’e` una imprecisione da parte di Teofrasto. 399 Si intende: quello che l’oggetto percepito esercita sulla facolta ` percettiva, ottenendo un certo effetto (Stratton rende dunamis senz’altro con ‘effetto’, ma cio` pare riduttivo); per un uso analogo cfr. § 72 (= 121.1). 400 Il soggetto e ` ‘cio` che e` preponderante’, ma evidentemente pensando agli atomi che prevalgono nell’oggetto e passano da esso al soggetto percipiente (viene operata una transizione dalle figure agli atomi che le posseggono). 401 Traduco adottando la punteggiatura del Diels in Dox. (cioe ` senza interrompere dopo eijsevlqh/, salvo inserire una virgola) e la sua esclusione del ga;r (suggerite entrambe da Schneider), facendo dunque iniziare un nuovo periodo con ‘‘inoltre’’; per contro Stratton (op. cit., p. 127), seguendo Diels in Vorsokratiker (ora anche DK), mantiene la particella e adotta quell’interruzione, traducendo come segue: ‘‘and, moreover, the condition in which it finds . For it makes a great difference , inasmuch as ...’’. Mi pare che in quest’altro modo si debba sottintendere troppo e che il passaggio finale sia poco naturale.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.D)
dolce, appare la stessa a tutti. Egli stesso, parrebbe, puo` essere citato a testimonianza di questo punto: come potrebbe cio` che e` amaro per noi essere dolce o astringente per altri, se non ci fosse una certa natura ben definita {di ciascuno} di essi? (71) Ancora, egli rende {cio`} piu` esplicito in quei passi nei quali dice che ciascuna cosa diviene ed e` secondo verit`a, e particolarmente nel caso dell’amaro 402 {dicendo} che {noi} abbiamo ‘‘una porzione di intelligenza’’. Sicche´, per queste {ragioni}, sembrerebbe che ci fosse una contraddizione nel suo non ammettere una qualche natura dei sensibili, e per di piu`, come si e` rilevato anche in precedenza, quando rende conto con una figura dell’essenza dell’amaro, come di tutti gli altri {sapori}, ma nega che ci sia una natura {per l’amaro}. Giacche´, o in generale non c’e` {una natura} per nessuno di essi, o ci sara` anche per questi, dal momento che la causa sottostante e` la stessa. Ancora, il caldo e il freddo, che sono ritenuti essere dei princı`pi, avranno presumibilmente una certa natura, e se l’hanno questi, anche gli altri {percettibili}. Ora egli ammette una certa realt`a403 per il duro e il molle e il pesante e il leggero, che pur sembravano essere detti non meno relativi a noi, ma non del caldo e del freddo e di alcun altro degli altri. E tuttavia, quando definisce il pesante e il leggero mediante le grandezze, sarebbe necessario {per lui sostenere che} tutti i {corpi} semplici hanno la stessa tendenza di movimento, sicche´ sarebbero di una certa qual materia unica e di una stessa natura. (72) Ma, su questi punti, egli pare aver seguito coloro che producono il pensare interamente con l’alterazione {della condizione corporea}, che e` l’opinione piu` antica; tutti gli antichi, infatti, sia poeti che sapienti, hanno reso conto del pensare con la disposizione {del corpo}. [Seguito sui sapori, con una critica piu` generale, come 121.1.]
D. LA
TEORIA DELLA MESCOLANZA COMPLETA E DELLA PREVALENZA NELL ’A-
DATTAMENTO AI SENSI
56.1. Plutarco, Adversus Colotem 5, 1109C-E (= 250 Usener): [Di seguito a 59.1: viene presentato e criticato il resoconto epicureo della percezione,404 suggerendo che esso e` esposto alle stesse obiezioni che quelle rivolte da Colote a Democrito.] Quanto alle loro decantate simmetrie e corrispondenze dei pori negli organi di senso e alle svariate mescolanze di semi, le quali, diffuse in tutti i sapori, odori e colori provocano, essi sostengono, una differente percezione della qualita` in differenti persone, non e` vero che la conseguenza immediata della loro postulazione e` che le cose per essi debbono conformarsi alla formula del «non piu`»? 405 Essi in effetti, a coloro che ritengono che la per402 Seguo (con Tannery, Stratton e Diels) una correzione dello Schneider (pikrou al posto di = mikrou=), alla quale Diels (in Vors., ora DK) e Stratton fanno seguire (3 righe dopo) l’integrazione pikra=" davanti ad oujsiva", ma mi rimane difficile da comprendere perche´ (seguendo la difesa della
correzione in Stratton) proprio nel caso dell’amaro noi avremmo un’apprensione della realta` atomica che manca negli altri casi (ancora piu` curioso sarebbe sostenere che l’intelligenza e` inerente all’amaro stesso). C’e` da sospettare un guasto di una certa estensione. 403 Ousia, ora reso con «realta ` », era stato reso sopra con «essenza», ma pare che Teofrasto stia sfruttando l’ambiguita` del termine greco. 404 Un’altra presentazione di questo resoconto (ma in relazione all’organo del gusto) si trova in Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 633-72. 405 Traduzione piuttosto libera. Letteralm.: ‘‘non e ` che immediatamente le simmetrie ecc. gli
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
cezione sensibile sia ingannevole perche´ vedono che in quelli che ne fanno uso si generano affezioni opposte a partire dalle stesse cose, offrono la confortante spiegazione che, (D) dal momento che ogni cosa e` confusa e mescolata con ogni altra, e dal momento che differenti cose sono portate per natura ad adattarsi a differenti {percezioni},406 non e` possibile che ci sia per tutti il contatto e l’apprensione della stessa qualit`a, e neppure che il sostrato 407 agisca su tutti allo stesso modo con tutte le sue parti; ma, poich´e ciascuno di noi riesce a cogliere soltanto quanto si accorda con la sua facolta` percettiva, non e` corretto disputare su una certa cosa {sollevando le questioni} se e` utile o dannosa oppure bianca o non bianca, ritenendo di convalidare le proprie sensazioni con la eliminazione di quelle altrui. Anzi, non bisogna cercare di combattere neppure una sola sensazione – tutte infatti comportano un contatto con qualcosa {di reale}, dalla svariata mescolanza traendo ciascuna, come da una fonte, quanto le e` conveniente e appropriato –, (E) evitando di fare affermazioni sul tutto mentre siamo in contatto con le sue parti; ne´ si deve credere che tutti subiscano le affezioni allo stesso modo, dal momento che persone differenti le subiscono secondo una diversa qualit`a e capacita` di esso [scil. dell’oggetto]. E` tempo di indagare chi sono gli uomini che maggiormente riportano alle cose il ‘‘non piu`’’ se non sono appunto quelli che asseriscono che ogni cosa sensibile e` una mescolanza di svariate qualita` 408 ...
56.2. T. Stobeo, Eclogae I 50, 26 (om. DK e Lu.) [= Aezio IV 9, 9 (Dox. 397)]: [Di seguito a 53.4, con lo stesso titolo.] Coloro che {ammettono} gli atomi e coloro che {ammettono} le omeomerie e coloro che {ammettono} gli impartibili e i minimi {dicono che} i sensibili sono tutti mescolati gli uni con gli altri e nessuno di essi sussiste allo stato puro, ma che essi sono denominati ‘tale o tale’ per le prevalenze e per la molta irradiazione.409
E. L’EPISTEMOLOGIA
DI
DEMOCRITO
1. Il sensismo attribuitogli da Aristotele 57. T. Aristotele, Metaphysica IV (G) 5, 1009a6-16 e 1009a22-1010a1 (1009a2230: om. DK; = 8 Lu.; 1009b1-7: om. DK; = 77 Lu.; 1009b7-15 = 68 A 112, 80 Lu.): [Discussione di una serie di posizioni che comportano, a giudizio di Aristotele, la negazione del principio di non-contraddizione.]
forzano le cose al ‘non piu`’?’’ (Sulla formula ‘‘non piu`’’ come usata da Democrito cfr., oltre a 59.1, Sesto, Pyrrh. hypot. I, 213-14 [= 58.1]). 406 Cioe ` canali o ‘pori’ percettivi in grado di recepirne le emissioni. 407 Cioe ` l’oggetto che possiede le qualita`. 408 La discussione della posizione epicurea prosegue fino a 1110D, poi Plutarco passa alla seconda accusa, cfr. 8.1. 409 Intendo: emissione di particelle; e ` possibile intendere poluauvgeia come ‘particolare brillantezza’ o ‘particolare evidenza’, ma il senso sarebbe metaforico.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
Dalla stessa opinione proviene anche la tesi di Protagora, ed e` necessario che entrambe le opinioni 410 siano ugualmente vere o false. (8) Se infatti le cose opinate e i fenomeni sono tutti veri, e` necessario che siano tutti ad un tempo veri e falsi; molti {uomini} infatti adottano opinioni per le quali si trovano in contrasto gli uni con gli altri, e ritengono che coloro che non hanno le loro stesse opinioni siano nel falso; sicche´ e` necessario che lo stesso sia e non sia. (12) E se questo e` , e` necessario che le cose opinate siano tutte vere. Sono infatti di opinioni opposte fra di loro quelli che sono nel falso e quelli che sono nel vero; ma se le cose stanno cosı`, sono tutti nel vero. (15) Che le due tesi riflettano lo stesso punto di vista e` dunque evidente. [...] (22) Quanto a coloro che si trovano in difficolta` genuina,411 e` a partire dalle cose percepite con i sensi che sono stati indotti ad {adottare} questa {loro} opinione, e cioe` (I) l’opinione che sussistono ad uno stesso tempo proposizioni contradditorie e contrarieta`412 {l’hanno adottata perche´} vedono che i contrari si generano da una stessa cosa. Se dunque {– essi ragionano –} *non e` possibile che si generi cio` che non e`, la cosa deve essere pre-esistita essendo ugualmente entrambi {i contrari}, (26) come sostengono Anassagora, che mescola ogni cosa in ogni altra, e Democrito. Anche questi infatti fa inerire ugualmente il vuoto e il pieno in ciascuna parte, per quanto di questi l’uno sia essere e l’altro non-essere*. (30) Contro coloro che sostengono {le loro tesi} a partire da queste {considerazioni} noi affermiamo che per un verso si esprimono correttamente ma per un altro verso mostrano un difetto di conoscenza. (32) L’essere infatti si dice in due sensi, sicche´ c’e` un modo in cui qualcosa puo` generarsi dal non-essere, e c’e` un modo in cui non {lo puo`}, e la stessa cosa {puo`} ad un tempo essere ente e essere non-ente, ma non allo stesso modo. In potenza infatti lo stesso puo` essere ad un tempo i {due} contrari, ma non in attualit`a. (36) Ancora, gli chiederemo di ammettere che c’e` un’altra sostanza fra gli enti nella quale non e` presente per nulla il movimento, la corruzione e la generazione. (1009a38) Similmente *anche (II) {la tesi del}«la verit`a circa i fenomeni» per alcuni e` venuta a partire dalle cose sensibili. Essi ritengono infatti che non sia appropriato giudicare della verit`a in base alla quantita` o scarsita`413 {delle persone}, e che la stessa cosa appare, quando e` gustata, agli uni dolce agli altri amara, di modo che, se tutti fossero malati o tutti fossero fuori senno, salvo due o tre che fossero in buona salute o sani di mente, questi ultimi apparirebbero malati o fuor di senno e gli altri no. (b7) Inoltre, {dicono,} molti altri animali hanno impressioni che sono contrarie alle nostre,414 e a ciascuno {di noi}, per conto proprio, le stesse cose non si presentano sempre allo stesso modo nella sensazione. (9) Quali dunque di queste {impressioni} siano vere e quali false, e` oscuro, giacche´ le une non sono affatto vere piu`415 delle altre, ma lo sono allo stesso modo. Ed e` per questo motivo che Democrito dichiara che o niente e` vero oppure almeno che esso e` per noi non-evidente. (12) E, in generale, e` perche´ sostengono che la percezione sensibile
Quella di Protagora e la negazione del principio di non-contraddizione. Cioe` che non sollevano difficolta` a scopo eristico. 412 Ovvero: ‘‘l’opinione che le contradditorie sono {vere} insieme e che {alla stessa cosa} appartengono i contrari’’. 413 Cioe ` al loro numero, se molte o poche. 414 Seguo il testo proposto da Ross e da Jaeger; Diels (in DK) adotta una variante, risultante da alcuni MSS e dal commento di Alessandro d’Afrodisia; Alfieri segue il testo del Diels, rendendolo come segue: ‘‘Inoltre parecchi animali, quando sono sani, ricevono impressioni opposte alle nostre dinanzi ai medesimi oggetti.’’ 415 Cioe ` : a maggior ragione. 410 411
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
e` {gia`} pensiero,416 e che questa {prima} e` alterazione, che dicono di necessita` che il fenomeno secondo la percezione e` vero.417 E` infatti sulla base di queste {considerazioni} che Empedocle e Democrito e praticamente tutti gli altri si sono asserviti alle opinioni ora descritte.* (17) Empedocle in effetti dichiara che, mutando {in noi} la {nostra} disposizione, muta anche il pensiero: ‘‘l’intelligenza si accresce per gli uomini in relazione a cio` che e` presente {ad essi}’’ [fr. 106], e altrove dice che: ‘‘quanto e` alterata la loro natura, tanto in essi sempre anche il pensare si trova ad essere alterato’’ [fr. 108]. E Parmenide si esprime alla stessa maniera: ‘‘a seconda di come, di volta in volta, si abbia il temperamento delle molto erranti membra | cosı` la mente accompagna gli uomini ...[fr. 16]’’. (26) Di Anassagora poi si ricorda il motto, rivolto a certi suoi amici, che per essi gli enti sono tali quali li pensano.418 (28) *E dicono che pure Omero mostro` di avere questa opinione, per il fatto che presento` Ettore, quando era fuor di se´ per il colpo {ricevuto}, a giacere altro-pensando,419 il che implica che anche quelli fuor di senno pensano, ma non le stesse cose {dei savi}. E` evidente, pertanto, che, se entrambi sono modi di pensare {genuino}, anche gli enti sono, ad un tempo, cosı` e non cosı`.* (b33) Le conseguenze sono particolarmente gravi, perche´, se coloro che meglio {di chiunque altro} hanno scorto la verita` per quanto e` possibile – e costoro sono quelli che piu` la cercano e l’amano –, se essi {dunque} hanno opinioni di tal fatta e fanno queste dichiarazioni circa la verita`, come non si dovrebbero scoraggiare quelli che intraprendono il filosofare? Cercare la verita` sarebbe come inseguire gli uccelli in volo!
57.1. T o E. Alessandro d’Afrodisia,420 In Metaphysica IV (5, 1009b7), 305.2634 (om. DK; = 52 Lu.): Ad alcuni 421 appaiono dolci e commestibili, agli altri amare e immangiabili certe cose, fra le quali c’`e il ramoscello della vite, che e` dolce per gli animali che si pascono di esso, invece amaro per noi uomini. Ma neppure a noi stessi le cose che si presentano alla sensazione sono sempre le stesse nel loro manifestarsi, ma sono differenti in tempi differenti, e di esse e` oscuro quali si debbano dire vere. Infatti non sono per nulla queste piuttosto che queste {ad esser vere}, ma sono allo stesso modo. Per questa ragione egli [scil. Aristotele]
416 Rendo cosı` il greco frovnhsi", che pero ` suggerisce che non si tratta di un pensiero qualsiasi ma di un pensiero intelligente, che puo` entrare in contatto con la realta`. 417 Vale a dire: sono obbligati a dire questo. La traduzione adottata da Ross e da altri: ‘‘che dicono che il fenomeno secondo la percezione e` di necessita` vero’’, e` poco plausibile (come rileva K.R. JACKSON, Studies in the Epistemology of Ancient Greek Atomism, Princeton 1981, p. 162 e n. 1). 418 Questo motto (= 59 A 28 DK) viene riportato solo da Aristotele. Egli e ` anche la fonte dei due frammenti di Empedocle (= 93 e 94 + CTXT-81 Inwood), che ricorrono in De anima III 3, 427a21-25 (= 106.1). 419 Questo motivo dell’«altro-pensare» viene introdotto, esponendo la posizione di Democrito, in De anima I 2, 404a27-31 (= 101.1), con commento di Simplicio al passo (= 105.4), inoltre da Teofrasto, De sensibus, § 58 (= 106.2), e, piu` allusivamente, da Eustazio (in 106.2.1). Peraltro Democrito deve avere fatto valere per Ettore quello che Omero in effetti dice di Eurialo in Iliade XXIII, v. 698 (per un’ampia discussione della questione cfr. W. FRONMU¨ LLER, Demokrit, Erlangen 1901, pp. 4953). Inoltre egli deve avere avuto in mente anche l’ «altro-pensare», nel senso del pensare ad altro (rispetto a cio` che e` presente), che viene attribuito ad Ulisse in Odissea X, v. 374. 420 Dello stesso cfr. il commento ad 1009a22-30 (= 13.3). 421 Si intende: animali in generale, compresi gli uomini.
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dice che anche Democrito, guardando a queste discordanze, dichiara o che niente e` vero o che, se anche qualcosa lo e`, esso e` per noi oscuro, in quanto si trovano nella stessa condizione di fronte agli opposti coloro che ne hanno rappresentazione e opinione.
57.2. T o E. Alessandro, In Metaphysica IV (5, 1009b12), 307.30-308.1 (om. DK e Lu.): ... nel seguito {Aristotele} cerca di enunciare la causa dell’errore di coloro che sostengono che il pensare e il percepire sono la stessa cosa, ritenendo che ogni opinione e rappresentazione e` vera – della quale opinione era Protagora. Ha mostrato che anche Empedocle e Parmenide e Democrito e Anassagora pervennero a questa {stessa posizione}, giacche´ il loro proposito era di studiare la verita` negli enti, ma assunsero che soltanto i sensibili esistono, nei quali c’`e molto della natura dell’indeterminato ...
57.3. Alessandro, In Metaphysica IV (4, 1005b35 sgg.), 271.38-272.4 (om. DK e Lu.): Questo {discorso} 422 segue anche 423 per coloro che dicono che per ciascuno cio` che appare e` anche {realmente} tale, fra i quali ci sarebbero Democrito e Protagora e i loro. Gli opposti circa la stessa cosa appaiono infatti ad alcuni, e, se {essa} anche e` {realmente} cosı` come appare, saranno {veri} contemporaneamente circa la stessa cosa i contrari e gli opposti.
2. L’eliminazione di tutti i fenomeni sensibili (secondo Sesto a favore di intelligibili) 58.1. T + C. Sesto, Pyrrhoniae hypotyposes I, §§ 213-14 (om. DK; = 3 e 85 Luria): [Il capitolo e` di seguito alla considerazione della filosofia di Eraclito e fa parte di un’esposizione sintetica dei punti di differenza fra lo scetticismo e le filosofie che sono ad esso prossime, cfr. § 209.] Cap. 30. In che cosa l’orientamento scettico differisce dalla filosofia democritea. Ma anche della filosofia democritea si dice che abbia affinita` con lo scetticismo, giacche´ sembra valersi dello stesso materiale {argomentativo} di cui ci serviamo noi. Dallo stesso fatto che il miele appare ad alcuni dolce ed ad altri amaro, Democrito infatti, a quanto dicono, conclude che esso non e` ne´ dolce n´e amaro; e per questo enuncia al proposito la formula «non piu`» – che appunto e` scettica. Tuttavia, questa formula «non piu`» e` usata in modo differente dagli scettici e dai democritei.424 Questi ultimi infatti assegnano la formula {per indicare} il non essere n´e l’una cosa ne´ l’altra; e noi invece {per indicare} il non sapere, circa quanto rientra tra i fenomeni,
Cioe` la negazione del principio di non-contraddizione. Oltre che per Eraclito, la cui posizione era stata menzionata nelle righe precedenti. La menzione di Democrito insieme ad Eraclito giustifica l’affermazione di Aristotele (commentata da Alessandro) che ‘di questo discorso facevano uso anche molti dei naturalisti’ (1006a2-3). 424 Piu ` precisamente: i seguaci di Democrito, ma e` evidente che Sesto pensa in primo luogo allo stesso Democrito. 422 423
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se e` entrambe le cose o nessuna delle due. (214) Sicch´e noi differiamo anche in questo, ma la divergenza diviene particolarmente evidente quando Democrito dice: «ma in realta` ci sono {solo} gli atomi e il vuoto», giacche´ «in realta` [ejteh/=]» egli lo dice al posto di «per davvero [ajlhqeiva]/ »; ma e` superfluo, credo, dichiarare che, dicendo che in verita` sussistono gli atomi e il vuoto, egli differisce da noi, anche se parte anche lui dall’incongruenza dei fenomeni.
58.2. T. Sesto Empirico, Pyrrhoniae hypotyposes II, § 63 [71.1-10] (4-5 = 68 A 134; 56 Lu.): [L’autore ritiene di avere mostrato che il criterio di verita`, nel senso dello strumento, non e` costituito ne´ dai sensi da soli ne´ dall’intelletto da solo.] Rimane {la possibilita`} di sostenere che {il giudizio circa gli oggetti, per cogliere la verita`, deve essere} mediante entrambi [scil. i sensi e l’intelletto]. Ma questo di nuovo e` impossibile: non soltanto i sensi non guidano l’intelletto verso l’apprensione, ma sono perfino in opposizione ad esso. E` sicuro, in ogni caso, che a partire dal fatto che il miele appare amaro agli uni e dolce agli altri Democrito disse che esso non e` ne´ dolce ne´ amaro, Eraclito {che esso} e` ambedue le cose. E lo stesso discorso vale per gli altri sensi e sensibili. Sicch´e, muovendo dai sensi, l’intelletto e` obbligato ad enunciazioni discrepanti e in conflitto, e questo e` estraneo al criterio di apprensione.
58.3. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, § 369 [270.8-17] (10-11 = 68 A 110; 54 Lu.): Come {si fa a dire che} la controversia che c’e` fra i filosofi circa le cose somme non toglie di mezzo la conoscenza della verita`? Se, *quanto ai naturalisti, alcuni, come Democrito e i suoi, hanno eliminato tutti i fenomeni*, e altri, come Epicuro e Protagora e i loro, li hanno ammessi tutti, mentre altri ancora, come gli Stoici e i Peripatetici, ne hanno eliminato alcuni e ammesso altri, {allora}, in ogni modo e in ogni caso – sia che uno assuma come criterio l’intelletto o la sensazione o tutt’e due –, si deve in primo luogo adottare qualcosa che appare o qualcosa di non evidente per una decisione circa questi. [Segue l’esclusione di entrambe le possibilit`a.]
58.4. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VIII, §§ 6-8 (6 = 68 A 59; 92 Lu.) e 9 (= 244 Us.): [Tema: se c’`e qualcosa di vero. Posizioni di coloro che hanno indagato circa la verit`a: alcuni, come Seniade (cfr. 59.2-4), affermano che non c’e` nulla di vero, altri invece che c’e` qualcosa di vero, e questi ultimi si distinguono in (1) coloro che sostengono che solo gli intelligibili sono veri, (2) coloro che sostengono che solo i sensibili sono veri, (3) coloro che ammettono come veri sia gli intelligibili che i sensibili. Posizione (1):] Platone e Democrito e i loro hanno supposto che solo gli intelligibili sono veri; 425 ma mentre Democrito {lo ha fatto} perche´ {ha ritenuto che} niente di sensibile sussiste per natura, dal momento che gli atomi che costituiscono tutte le cose hanno una natura che
425
Vale a dire: reali, genuini.
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e` priva di ogni qualit`a sensibile, (7) Platone {lo ha fatto} perch´e {ha ritenuto che} le cose sensibili sono sempre in divenire e mai nell’essere, in quanto la loro sostanza scorre alla guisa di un fiume, sicche´ non rimane la stessa neppure per {la durata di} due attimi {immediatamente successivi} ... (8) [Posizione (2):] Enesidemo e i suoi, seguendo Eraclito,426 ed Epicuro si abbassarono in modo comune alle cose sensibili ma differirono per tipo {di posizione}. [Segue un’esposizione della posizione del primo.] (9) Epicuro affermo` che tutti i sensibili sono veri ed esistenti. Non c’e` differenza infatti fra il dire che qualcosa e` vero e che esso e` sussistente.
58.5. T + I. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VIII, §§ 56, 60-62 (om. DK; primo periodo di 56 = 61 Lu.): [Difficolta` che sono presentate dalle singole posizioni circa la questione se si puo` cogliere la verita`.] Democrito, Platone e i loro, nel ripudiare le sensazioni e nell’eliminare i sensibili, seguendo solo gli intelligibili, confondono le cose e non soltanto scuotono la verita` degli enti ma anche la concezione che se ne ha. Difatti ogni pensiero si genera a partire dalla sensazione oppure non separatamente dalla sensazione, ovvero a partire dall’esperienza oppure non senza esperienza. [Segue una trattazione volta a confermare questa tesi.] (60) [...] Ogni concezione,427 allora, deve essere preceduta 428 dall’esperienza sensibile e, pertanto, eliminando i sensibili viene eliminato insieme di necessit`a ogni pensiero. (61) Chi dice che tutti i fenomeni sono falsi e che solo gli intelligibili sussistono in realta` [ejteh/=], vale a dire secondo verit`a, o dir`a questo servendosi di una mera asserzione o dandone anche una dimostrazione. Se lo dice con una {mera} asserzione sara` bloccato con un’asserzione {contraria}, se cerca di fornire una dimostrazione sara` rovesciato.429 (62) Infatti egli insegnera`430 che in realta` esistono solo gli intelligibili o mediante qualcosa che appare 431 oppure mediante il non-evidente. Ma non insegnera` questo mediante cio` che appare, giacche´ questo non sussiste,432 e non {lo insegner`a} neppure mediante il non-evidente, giacche´ il non-evidente deve essere confermato preliminarmente da cio` che appare. Pertanto la posizione di Democrito e di Platone (e dei loro) non e` sana.
58.6. Diogene Laerzio IX 106 (om. DK e Lu.): [Passo appartenente al capitolo su Pirrone, dopo un’esposizione della presa di posizione di Enesidemo e di altri scettici riguardo al criterio.] 426 Intendo kata; come in kata; Pivndaron usato da Platone, Fedro 227B9: ‘alla maniera di –’, ‘in conformita` con l’opinione di –’, cfr. Schwyzer, GG, II, p. 479, ovvero KG, 1, § 433, p. 479. 427 Rendo ejpivnoia, come sopra, con ‘concezione’, piuttosto che con ‘concetto’, ma evidentemente il termine greco viene usato ambiguamente. 428 Nel senso anche di essere guidata (viene usato il verbo prohgeisqai). = 429 Sara ` cioe` confutato mediante peritrope´. 430 Si intende: provera ` (insegnamento e dimostrazione sono accostati p. es. da Aristotele). 431 Ovvero qualcosa che e ` evidente (‘qualche fenomeno’). 432 Le proposizioni ‘‘il fenomeno e ` falso’’ oppure ‘‘il sensibile e` eliminato’’ sono equivalenti in Sesto alla proposizione ‘‘il fenomeno non sussiste’’ (ovviamente quest’ultima proposizione e` ritenuta valere dal punto di vista dei filosofi da lui criticati).
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Pertanto secondo gli scettici e` il fenomeno ad essere il criterio, come lo dichiara Enesidemo; e cosı` {la pensa} anche Epicuro. Democrito pero` afferma che nessuno dei fenomeni {e` il criterio}, anzi che i fenomeni neanche esistono.433
3. Democrito critico di Protagora e possibilmente anche di Seniade 59.1. T. Plutarco, Adversus Colotem 4, 1108F6-1109B4, B10-C4 (1108F61109A8 = 68 B 156; CV, 7 e 78 Lu.): [Plutarco ritorce contro Colote, un epicureo, le accuse da lui rivolte a Democrito, rilevandone l’applicabilita` allo stesso Epicuro, oltre a segnalare un certo suo supposto fraintendimento. Il passo e` il seguito immediato di 0.8.27.] Gli rimprovera [scil. Colote a Democrito] anzitutto che, col dire di ciascuna delle cose che non e` tale piuttosto che tale, ha gettato la nostra vita in confusione. (A) Ma tanto e` lontano Democrito dal ritenere che ciascuna delle cose sia non piu` tale che tale, dall’aver polemizzato col sofista Protagora per aver sostenuto questo, mettendo per iscritto molti {argomenti} persuasivi contro di lui. Colote, che neppure per sogno se n’e` accorto, si e` ingannato circa {il significato del}l’enunciato dell’uomo [scil. di Democrito] nel quale precisa che l’ente non e` piu` del non-ente, con ‘ente’ designando il corpo, con ‘niente’ il vuoto, in quanto anche questo ha una certa natura e una propria sussistenza. Comunque sia, chiunque abbia sostenuto che niente e` tale piuttosto che tale ha fatto ricorso ad una dottrina epicurea, e cio`e a quella che tutte le rappresentazioni mediante la sensazione sono vere. (B) Giacche´, se fra due persone delle quali una dice che il vino e` secco e l’altra che e` dolce nessuna erra nella sua sensazione, come puo` essere il vino secco piuttosto che dolce? Di nuovo, si osserva che lo stesso bagno alcuni lo trovano caldo e altri freddo. [...] Se dunque una sensazione non e` piu` vera di un’altra, (C) e` naturale supporre che l’acqua non sia fredda piuttosto che calda, o che il profumo o il burro non sia beneodorante piuttosto che maleodorante. Se infatti uno dice che la stessa cosa appare in un modo ad una persona e in un altro ad un’altra, ha detto, senza accorgersene, che essa e` entrambe le cose. [Seguito come 56.1.]
59.2. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, §§ 388 e 389-90 [274.27275.3 e 6-12] (274.28-275.1 e 6-12 = 76 Lu.; 275.6-12 = 68 A 8 e 114): [Difficolt`a suscitate dall’ammissione che la rappresentazione costituisce il criterio di verita`.] Se la rappresentazione e` accettata come criterio, bisogna dire o che ogni rappresentazione e` vera, come aveva affermato Protagora, o che ogni rappresentazione e` falsa, come aveva sostenuto Seniade di Corinto, o che qualcuna e` vera e qualcuna e` falsa, come hanno sostenuto gli stoici e gli accademici e anche i peripatetici. (389) [Esclusione delle tre possibilita`, a cominciare dalla prima:] Nessuno puo` asserire che ogni rappresentazione e` vera, perche´ questa e` una tesi autoconfutantesi, come hanno insegnato Democrito e Platone 434 contraddicendo Protagora. (390) Se infatti ogni
433 434
Il testo su cui si fonda questa traduzione richiede qualche integrazione. Cfr. Theatetus, 171A-B.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
rappresentazione e` vera, anche la proposizione che non ogni rappresentazione e` vera, essendo basata su di una rappresentazione, sar`a vera, e a questo modo la proposizione che ogni rappresentazione e` vera risultera` falsa.
59.3. Sesto, Adversus mathematicos VII, § 399: [La stessa argomentazione dei §§ 389-90 viene rivolta contro la seconda posizione, quella attribuita a Seniade, data l’equipollenza fra il dire che tutte le rappresentazioni sono vere e il dire che sono tutte false.] Se infatti tutte le rappresentazioni sono false e nessuna e` vera, e` vero che «niente e` vero». Se dunque niente e` vero, c’e` {del} vero, e a questo modo sono condotti in circolo al contrario della tesi di partenza Seniade e i suoi, i quali sostengono che tutte le rappresentazioni sono false e che in generale non c’e` niente di vero negli enti.
59.4. T. Sesto, Adversus mathematicos VII, § 53 [201.9-13] (201.9 = 68 B 163; 9-12 = 75 Lu.; 9-13 = 81: Xeniades): [Sulla questione dell’esistenza del criterio di verita`: la posizione di coloro che lo avrebbero negato, cominciando da Senofane (di questi, al § 49, era stato citato il fr. 34).] E Seniade di Corinto, che viene menzionato anche da Democrito, nel dire che tutto e` falso e che ogni rappresentazione e opinione e` falsa, e che tutto cio` che si genera si genera dal non-essere e tutto cio` che si corrompe si corrompe nel non essere, adotta virtualmente la stessa posizione di Senofane. [Presumibilmente la giustificazione della tesi epistemologica viene data nel seguito immediato da Sesto e sta nel rigetto della validita` dei dati dei sensi.]
4. L’atteggiamento ambiguo di Democrito circa l’attendibilit`a dei sensi 60.1. T + F. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, §§ 135-40 (135-36 = 68 B 9 e B 10, 55 Lu.; 137 = 68 B 6, B 7 e B 8, 48, 49, 50 Lu.; 138-39 = 68 B 11, 83 Lu.; 140 = 68 A 111 e 59 B 21a, 72, 81 Lu.): 435 [Esposizione di posizioni filosofiche che tendono a fare coincidere il criterio di verita` con la ragione (lo;go"), svalutando i sensi. Sono stati considerati fra gli altri Parmenide ed Eraclito.] Democrito talora [scil. in certi suoi scritti] elimina le apparenze sensibili 436 e asserisce che nessuna di esse appare secondo verit`a ma solo secondo opinione, e che di vero negli enti c’e` che esistono gli atomi e il vuoto. Infatti egli dice: «per convenzione e` il dolce, per convenzione e` l’amaro, per convenzione e` il caldo, per convenzione e` il freddo, per convenzione e` il colore; in realta` sono {solo} gli atomi e il vuoto.» Cioe`: si conviene e si opina che i sensibili esistano, ma in verita` non esistono questi, ma soltanto gli atomi e il vuoto.
435 Va osservato che i passi di contesto alla fine dei §§ 137 e 139 sono stati omessi in DK e nell’edizione di Luria. 436 Piu ` letteralm.: le cose che appaiono ai sensi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
(136) Nelle sue Conferme, poi, benche´ avesse professato di attribuire la forza della credibilita`437 alle sensazioni, non di meno si fa trovare a condannarle. Dice infatti: «noi in realta` non cogliamo nulla di sicuro,438 ma {soltanto} qualcosa che varia secondo la disposizione del {nostro} corpo e di cio` che penetra in esso o gli resiste». E di nuovo egli dice: «ora che in realta` [ejteh/]= noi non sappiamo quale [cioe` di che natura] sia o non sia ciascuna cosa e` stato messo in chiaro in molti modi 439». (137) Nello {scritto} Sulle forme dichiara: «l’uomo deve riconoscere mediante questa regola che egli sta lontano dalla realta`». E di nuovo: «Anche questo discorso rende chiaro che noi in realta` non conosciamo nulla riguardo a qualsiasi cosa, ma che l’opinione in ciascuno 440 e` {soltanto} una modificazione di forma 441». E ancora: «E tuttavia sara` manifesto che e` impraticabile 442 conoscere in realta` qual e` ogni cosa». In questi passi, allora, egli mette in questione praticamente ogni {forma di} apprensione, anche se egli attacca specificamente soltanto i sensi. (138) Ma nei {suoi} Canoni afferma che ci sono due modi di conoscenza, quella mediante i sensi e quella mediante l’intelligenza: di queste chiama genuina la conoscenza mediante l’intelligenza, riconoscendo ad essa la credibilit`a nel giudicare il vero, mentre a quella mediante i sensi da` il nome di tenebrosa,443 negandole la non errabilit`a nel riconoscimento discriminante del vero. (139) Dichiara espressamente:
437 L’espressione to; kravto" th" pivstew" potrebbe anche significare ‘‘il dominio sulla credibilita ` = (o sull’affidabilita`)’’ (C.C.W. TAYLOR, The Atomists, Toronto 1999, test. 179.a: ‘‘control over belief’’), assumendo che ci sia un confronto, quasi come in un tribunale, fra sensi e intelligenza riguardo alla loro credibilita` (cfr. to pisto´n in § 138, riga 11). Cio` puo` essere suggerito dall’uso subito dopo del verbo katadikavzw per indicare una condanna quasi come ad opera di un giudice e dalla presenza di paralleli in alcune testimonianze (cfr. 60.3 e 135.1-2). 438 Oppure, intendendo ajtrekev" avverbialmente: «in modo sicuro», ma probabilmente Democrito non tiene distinti l’aspetto soggettivo e quello oggettivo della situazione, e c’e` un’opposizione con quanto e` variabile, detto di cio` che e` percepito (come deve essere risultato dal contesto che non viene riportato da Sesto). 439 Oppure: piu ` volte. 440 Presumibilmente: «in ciascuno di noi», ma potrebbe anche essere (come intende Barnes) «in ciascun caso». 441 Intendo cosı` l’espressione dovxi" ejpirusmivh, prendendo il secondo termine come sostantivo derivante da ejpirruqmivzein (‘modificare di forma’, cfr. Platone, Leggi VII, 802b) e da accostare a rJusmov", sulla base di un suggerimento fornito inizialmente da H. LANGERBECK, DOXIS EPIRHYSMIE, Berlin 1935 (specialm. pp. 113-114); ma ejpiruvsmio" (agg.) puo` anche avere il senso di ‘‘fluente’’ (cfr. Esichio, s.v. [= 192.4]). Taylor, nella sua traduzione, lo intende in quest’altro modo: ‘‘each person’s opinion is something which flows in’’. Similmente Diels (in Vors.), prendendo pero` il termine sempre come un sostantivo, rendeva il brano come segue: ‘‘... sondern Zustrom (der Wahrnemungsbilder) ist jeglichem sein Meinen’’ (trad. un po’ modificata da Kranz in DK). Il senso generale tuttavia sembra essere lo stesso: l’opinione che abbiamo delle cose dipende dall’impatto che gli atomi hanno sulle nostre facolta`. 442 Oppure: comportante aporia. 443 Letteralmente ‘‘ombrosa’’ (tenuta distinta da ‘‘oscura’’, cfr. Cicerone, 61.2), ma skovtio" puo ` avere anche il senso di illegittimo, di bastardo, in contrapposizione a genuino nel senso di legittimo (detto per esempio di un figlio).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
«Ci sono due forme di cognizione, l’una genuina e l’altra tenebrosa; e di quella tenebrosa fanno parte tutte quante queste cose: la vista, l’udito, l’odorato, il gusto e il tatto; quanto a quella genuina, e` separata da questa 444». Quindi, mostrando la preferibilita` di quella genuina su quella oscura, prosegue dicendo: «Quando quella oscura non puo` piu` cogliere l’oggetto, perche´ e` troppo piccolo, ne´ con il vedere, ne´ con l’udire, ne´ con l’odorare, ne´ con il gustare, ne´ col sentire mediante il tatto,445 ma {ci si deve volgere} a cio` che e` piu` fine 446...». Dunque anche 447 secondo costui [scil. Democrito] e` la ragione ad essere il criterio, ed e` quella che chiama ‘cognizione genuina’. (140) Diotimo 448 pero` disse che per lui [scil. Democrito] i criteri sono tre, e cioe` {come criterio} dell’apprensione delle cose occulte: i fenomeni («visione delle cose occulte sono i fenomeni», secondo il detto di Anassagora, per il quale viene lodato da Democrito); {come criterio} dell’indagine: la nozione («in ogni caso, ragazzo mio, l’unico inizio e` sapere su che cosa verte l’indagine»); 449 {come criterio} della scelta e del rifiuto: le affezioni – giacche´ cio` che ci e` congeniale e` da scegliere, cio` che ci e` estraneo e` da rifiutare.
60.1.1. V (§ 140) Cicerone, De finibus II 1, 3 / 2, 4 (= 264 Us.): Tuttavia, nel corso di un’investigazione, ogni discorso che presenti un metodo e una razionalita` deve prescrivere per prima cosa, come {avviene} in certe formule {giuridiche}, che ‘si trattera` della tal questione’, cosı` che fra gli interlocutori ci sia un accordo su quello che costituisce l’oggetto di discussione. (4) Questo {principio}, che e` stato posto da Pla-
` stato espresso il sospetto che segua una lacuna (ovvero che la ci444 In greco ajpokekrimevnh. E tazione di Sesto sia incompleta), perche´ manca una giustificazione dell’asserzione; peraltro la correzione di H. Langerbeck (op. cit., p. 114, ripresa da Alfieri) a difesa del testo come sta ma sulla base di un’altra lezione (‘‘quanto a quella genuina, gli oggetti di questa sono occulti’’ [ajpokekrummevna per ajpokekrummevnh], intendendo: occulti alla cognizione sensibile o tenebrosa) non persuade, perche´ la frase sarebbe molto elittica e non coordinata con quanto precede, dove si parla di strumenti o facolta` di conoscenza, non di oggetti; a riconoscere tuttavia che il testo e` lacunoso, essa potrebbe preservare il senso dell’originale (cfr. per un riscontro, 60.4, §§ 324 e 325). 445 Ho tradotto questa parte piuttosto liberamente; rendendo alla lettera: ‘‘quando quella oscura non puo` piu` ne´ vedere (o guardare) verso il piu` piccolo ne´ udire ne´ odorare ...’’, ma pare che la piccolezza sia vista come un ostacolo non solo per il vedere ma per ogni forma di percezione sensibile. Peraltro la formula oJrh=n ejp’ e[latton puo` essere resa, invece che con ‘‘vedere verso il piu` piccolo’’, con ‘‘vedere piu` finemente’’. 446 Ci deve essere una lacuna (o interruzione troppo affrettata della citazione), come si ammette generalmente. D. SEDLEY («Elenchos», XIII, 1992, pp. 40-42) propone invece, ingegnosamente, di leggere il passo come una immediata continuazione del precedente, rendendolo come segue: ‘‘The one [scil. form of knowing] which is genuine, but separate from this one, is when the bastard one is no longer able either to see in the direction of greater smallness, nor to hear or smell or taste or sense by touch other things in the direction of greater fineness’’. Tuttavia mi sembra piu` probabile che l’intervento di Sesto mostri che c’e` qualcosa di mezzo fra i due passi, e non mi pare molto naturale leggere a[lla (‘‘altre cose’’) anziche´ ajlla; (‘‘ma’’), separando quanto viene detto degli altri sensi da quanto viene detto del vedere. 447 Come per Eraclito, discusso in precedenza. 448 Su questo personaggio cfr. sopra, 0.8.21, con n. 180 ad loc. Sull’applicabilita ` di questa testimonianza a Democrito cfr. infra, n. 450. ` una citazione (ma con una libera riformulazione) di Platone, Fedro, 237B; la precedente 449 E citazione di Anassagora e` raccolta in DK come fr. 21a.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
tone nel Fedro,450 e` stato approvato da Epicuro il quale riconobbe che questo e` quanto deve avvenire in ogni discussione. [Nel seguito viene rilevato che egli, nel rifiutare l’uso di definizioni, si trova a disconoscere che questo risultato e` ottenuto solo mettendosi d’accordo su di una definizione.]
60.2. T. Galeno, De medica experientia IX 5 (p. 99 Walzer, dall’arabo) (= Nachtrag in vol. II DK, p. 423; 558 Lu.): [Fa parte di un’argomentazione, messa in bocca ai medici empirici, a favore della necessit`a di acquisire conoscenza mediante la ripetizione cumulativa delle esperienze: in arti come quella del pilota della nave o dell’agricoltura non ci si puo` rifare a dei princı`pi di valore universale e colti solo intellettualmente, senza familiarizzarsi con quanto si coglie di volta in volta in esperienze particolari.] And in short, we find that of the bulk of mankind each individual by making use of his frequent observations gains knowledge not attained by another; for as Democritus says, experience and vicissitudes have taught men this, and it is from their wealth of experience that men have learned to perform the things they do.
60.3. T + F. Galeno, De medica experientia XV 7-8 (= 68 B 125; 79 Lu.): [Altra argomentazione messa in bocca ai medici empirici: colui che procede solo in modo ‘logico’, rifacendosi a dei princı`pi universali, e` indotto a contestare i fenomeni quando essi non si accordano con quei princı`pi, per esempio a contestare il divenire in generale perche´ non puo` giustificarlo.] Ma chi e` che non sa che il discredito piu` grande per ogni ragionamento e` il suo {entrare in} conflitto con cio` che e` evidente? Come potrebbe esso,451 che non e` in grado di avere un principio indipendentemente dall’evidenza {sensibile}, essere credibile, qualora si mostrasse insolente verso di essa da cui ha tratto i princı`pi? Consapevole di questo anche Democrito, quando scredito` i fenomeni, dicendo: «per convenzione e` il colore, per convenzione e` il dolce, per convenzione e` l’amaro, in realta` sono {solo} gli atomi e il vuoto», fece sı` che i sensi si rivolgessero all’intelligenza parlando cosı`: «O misera mente, tu che prendi da noi tutte le tue prove,452 tenti di abbatterci? Il {nostro} crollo sarebbe la tua caduta!» (8) Bisognerebbe dunque condannare la mancanza di credibilita` del450 Il riferimento e ` palesemente a Fedro 237B, cioe` al passo che viene citato da Diotimo. La menzione di Epicuro, che notoriamente adottava i tre criteri riportati da Diotimo e approvava, almeno tacitamente, il precetto di Anassagora (cfr. Ep. ad Hdt. 39 [= 28.2], inoltre Diogene Laerzio X 32), fa sospettare che quanto Sesto mette in bocca a Diotimo si applichi a questi piuttosto che a Democrito. (Cfr. sulla questione G. STRIKER, «Nachrichten», 1974, pp. 57-59.) 451 Il soggetto e ` sicuramente il ragionamento (o la ragione: lovgo"), come assume M. FREDE nella sua traduzione (Galen, Three Treatises On the Nature of Science, Indianapolis 1985) e come suggerisce esplicitamente P.-M. MOREL (De´mocrite et la recherche des causes, Paris 1996, p. 386, n. 55), perche´ nel seguito (a p. 8), dopo le citazioni, si ripropone lo stesso costrutto per il quale non ci puo` essere altro soggetto, ribadendo che esso trae il suo principio dall’evidenza sensibile. Pertanto e` da escludere una traduzione, pur possibile, sul tipo di quella proposta da Dumont in Les e´coles pre´socratiques (‘‘Chi non potesse avere un principio indipendentemente dall’evidenza {sensibile}, come sarebbe credibile costui, qualora mostrasse disprezzo per cio` da cui ha tratto i principi?’’), e certamente il soggetto non e` Democrito, come Diels pare assumere nella parafrasi da lui offerta del testo (in DK). 452 Cioe ` gli elementi di credibilita` (pisteis).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
la ragione,453 la quale e` cosı` perversa da essere massimamente convincente quando entra in conflitto con i fenomeni dai quali trae il principio, ma invece voi [scil. dogmatici] fate l’opposto: le cose del cui modo di divenire non avete un resoconto le condannate come non divenienti, cosı` come la ragione vuole. Ma a me proprio questa sembra essere l’accusa piu` grave alla ragione: chi, sano di mente, potrebbe ancora dare credito ad essa circa le cose non evidenti, se essa e` cosı` perversa da postulare il contrario di cio` che e` evidente?
5. Il rifiuto della dimostrazione 60.4. T. Sesto, Adversus mathematicos VIII, §§ 316-317, 319, 324-25, 327 (327 = 68 B 10b; 102 Lu.): [Tema: la validita` della dimostrazione (aJpovdeixi").] (316) Delle cose, come abbiamo gi`a detto piu` volte,454 alcune sono credute essere evidenti, altre non-evidenti, e sono ritenute evidenti quelle che vengono recepite involontariamente a partire da una rappresentazione e da un’affezione, come per esempio, adesso, {i contenuti delle proposizioni} ‘`e giorno’ e ‘questi e` un uomo’, e ogni altra cosa del genere, mentre non evidenti sono quelle che non si trovano in questa condizione. (317) E delle cose non-evidenti – secondo la distinzione proposta da alcuni – le une sono non-evidenti per natura, le altre sono dette non-evidenti in modo omonimo col loro genere.455 E sono non-evidenti per natura quelle che non sono state apprese ne´ in precedenza ne´ ora ne´ sono da apprendere in seguito, ma sono inconoscibili in eterno, come per esempio l’essere le stelle di numero pari o di numero dispari. (319) Sono denominate non-evidenti in modo omonimo col loro genere quelle cose che sono occulte di loro propria natura ma che sono ritenute essere conosciute per mezzo di segni o di dimostrazioni, come ad esempio che ci sono elementi indivisibili (atoma) che si spostano in un vuoto infinito. [§§ 320-24: La dimostrazione e` da considerare fra le cose non evidenti, come e` mostrato dal suo essere soggetta a disputa. Quanto e` evidente infatti non e` suscettibile di disputa, perche´ il discorso che lo riguarda trova conferma o smentita nella cosa che ne e` l’oggetto, per esempio nell’essere effettivamente giorno.] (324) ... Quando pero` la cosa risulta essere non-evidente e celata a noi, allora, non essendo piu` possibile attuare il riferimento del discorso ad essa in modo sicuro, rimane 453 Logos qui sembra indicare la facolta ` piu` che il ragionamento, come all’inizio del passo, con una transizione molto facile in greco. 454 Il riferimento e ` a VIII 145-60 e PH II 97-103, dove pero` la distinzione fra cose evidenti (ejnargh=) e cose non-evidenti (a[dhla) e` associata ad una classificazione differente delle seconde, giacche´ ivi sono trattate come non-evidenti per natura quelle che sono eternamente occulte in quanto non si presentano alla percezione, come l’esserci ‘pori intelligibili’ – detti cosı` perche´ non accessibili ai sensi ma postulati per inferenza – e l’esserci un vuoto infinito al di fuori del mondo, mentre sono trattati come assolutamente non evidenti (ovvero: non evidenti una volta per sempre [kaqavpax] e non per via di un impedimento temporaneo dovuto alle circostanze) fatti come quello circa il numero delle stelle e il numero dei granelli di sabbia in Libia. 455 Presumibilmente il senso di questa espressione, altrimenti oscura (non paiono esserci dei riscontri altrove), e` che esse, pur costituendo una specie di cose non-evidenti, sono chiamate ‘non-evidenti’ senza ulteriori qualifiche (quali le citate ‘per natura’ e ‘assolutamente’), cioe` al modo dei termini considerati in modo generico. Tuttavia, come si puo` constatare, le cose in questione (ora esemplificate dagli atomi, che sono trattati allo stesso modo dei ‘pori intelligibili’ di cui si parla altrove) sono poi dette essere ‘occulte per loro natura’, facendole dunque coincidere con quelle che altrove sono dette non evidenti per natura.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
al pensiero {solo} il lasciarsi persuadere e l’essere indotto all’assenso sulla base di verosimiglianze. Dato pero` che uno congettura e si lascia persuadere in un modo e un altro in un altro, nasce il disaccordo, giacch´e ne´ chi ha fallito {il bersaglio} sa di averlo fallito ne´ chi lo ha colpito sa di averlo colpito. (325) Pertanto gli scettici, in maniera molto elegante, paragonano quelli che indagano su cose non-evidenti a quelli che mirano ad un bersaglio nel buio: come, infatti, e` verosimile che qualcuno di costoro colpisca il bersaglio e qualche altro lo fallisca, ma e` sconosciuto chi l’abbia colpito e chi l’abbia fallito, cosı`, essendo la verita` quasi celata in un’oscurita` profonda, molti discorsi tendono a questa, ma quale di essi sia in accordo con essa e quale in disaccordo non e` possibile conoscerlo, giacch´e l’oggetto indagato e` sottratto all’evidenza. (326) E questo lo disse per primo Senofane: ‘‘Il certo nessun uomo lo ha mai scorto e nessuno / ne avra` conoscenza, sia a proposito degli dei sia per le altre cose tutte di cui parlo: / difatti se anche a qualcuno capitasse di dire una cosa compiuta al massimo grado, / neppure lui tuttavia avrebbe conoscenza: a tutti e` dato avere {solo} opinione.456 (327) Sicch´e se il pre-evidente, per la ragione detta, ha il consenso, mentre il non-evidente e` soggetto a disputa, bisogna che anche la dimostrazione sia non-evidente in quanto e` soggetta a disputa. Che essa sia realmente soggetta a disputa non ha per noi bisogno di molti argomenti, ma di un richiamo breve e alla mano, dato che i dogmatici fra i filosofi e i razionalisti fra i medici la postulano, mentre gli empirici la eliminano, e probabilmente anche Democrito, perch´e ha parlato contro di essa fortemente nei {suoi} Canoni, infine gli scettici sospendono il giudizio ...
6. ‘La verit`a e` nel profondo’ 61.1. T + F. Diogene Laerzio IX, cap. 11 (Pirrone), § 72 (= 68 B 117; 51 Lu.): [Il seguito fa parte di una rassegna dei predecessori dello scetticismo pirroniano.] Non soltanto {costoro [scil. Omero, Euripide ...]} ma anche Senofane e Zenone di Elea e Democrito per essi [scil. per i pirroniani] sono degli scettici. [Segue, a sostegno di tale tesi, la citazione dell’inizio del fr. 34 di Senofane e di un argomento di Zenone contro il movimento.] E Democrito {lo e` } quando respinge le qualita`, la` dove afferma: «Per convenzione e` il caldo, per convenzione e` il freddo, in realta` sono {solo} gli atomi e il vuoto», e di nuovo {lo e` quando dice}: «In realta` nulla sappiamo, perche´ la verita` e` nel profondo 457».
61.2. T + F. Cicerone, Academica priora II 23, 73 (= 68 B 165 e, per l’ultimo periodo su Metrodoro, 70 B 1; 58 Lu.): [Risposta di Cicerone a Lucullo, in difesa della Nuova Accademia da questi criticata per il modo in cui certuni dei filosofi antichi venivano presentati come degli anticipatori dello «scetticismo» praticato da tale scuola (cfr. supra, 0.5.20). Egli rileva una concordanza di vedute con quelli piu` celebri ed autorevoli; lo fa cominciando con Anassagora, per poi passare a Democrito.]
456 457
E` il fr. 34 nella raccolta di Diels e Kranz. Oppure: nell’abisso.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VI.E)
E che diro` di Democrito? Chi possiamo paragonare con lui per la grandezza non solo dell’ingegno ma anche dell’animo – egli che ebbe l’ardire di cominciare cosı`: ‘queste cose le dico circa l’universo’? Nulla esclude con l’intenzione di non occuparsene, giacche´ che cosa puo` esserci oltre l’universalita`? 458 E chi non antepone questo filosofo a Cleante, a Crisippo e agli altri dell’eta` piu` recente, i quali, a confronto con lui, mi sembrano appartenenti alla quinta classe? 459 Eppure egli non dice quanto diciamo noi,460 che neghiamo non che esista qualcosa di vero, ma che esso si possa percepire; egli nega espressamente che vi sia il vero, e i sensi li dichiara non oscuri ma tenebrosi 461 – proprio cosı` li denomina. Colui che poi ebbe per questi la maggiore ammirazione, Metrodoro di Chio, all’inizio del libro che concerne la natura dice: «Affermo di non sapere se noi sappiamo qualche cosa o non sappiamo nulla – e neppure questo noi sappiamo, se noi sappiamo {affatto} o non sappiamo questa cosa stessa, e se assolutamente qualcosa esista o non esista nulla.» [Il seguito riguarda Empedocle, Socrate e Platone.]
61.2.1. Eusebio, Praeparatio evangelica XIV 19, 8-9 (= Metrodoro, fr. 1): [L’autore ha discusso la posizione di Aristippo e dei cirenaici.] Dopo costoro ci sono da esaminare anche coloro che hanno seguito la strada opposta e che hanno stabilito doversi prestare in tutto fede alle sensazioni del corpo, fra i quali ci sono Metrodoro di Chio e Protagora l’Abderita. (9) Metrodoro dunque, a quanto dicono, fu discepolo di Democrito e postulo` come princı`pi il pieno e il vuoto, dei quali il primo e` l’essere e l’altro il non-essere. E` l’autore di un Della natura cui diede il seguente inizio: «Nessuno di noi sa nulla, e neppure questo stesso, se sappiamo o non sappiamo.» Questo inizio fornı` cattivi spunti a Pirrone, vissuto piu` tardi. Procedendo poi dice che ‘tutte le cose sono quali uno le pensa’.462
61.3. T. Cicerone, Academica priora II 10, 32 (periodo finale come 68 B 117 e 51 Lu.): [Lucullo parla in polemica con i sostenitori dello scetticismo, inclusi quelli della Nuova Accademia, rilevando che invalidare i sensi ci priva degli stessi strumenti della vita.] Talvolta, ad indirizzare ad essi un discorso del seguente tenore: se quel che sostenete nelle discussioni e` vero, allora tutto sara` incerto, rispondono: Com’`e che questo ci tocca? E` colpa nostra? Accusane *la natura, la quale, come dice Democrito, occulto` la verita` nella profondit`a piu` remota*.
61.4. T. Cicerone, Academica posteriora I 12, 44 (= 59 A 95; 58 e II Lu.): [Interviene Cicerone stesso come parlante nel dialogo, con l’intento di chiarire in che modo la posizione filosofica della Nuova Accademia differisce da quella della Vecchia e da quella degli Stoici.] Cioe` la totalita` delle cose (universa); cosı` anche in precedenza (dove ho reso con ‘‘l’universo’’). Cioe` all’ultima delle classi nella costituzione attribuita a Servio Tullio. 460 Si intende: noi Accademici. 461 Che tenebricus (distinto da obscurus) renda skovtio" e ` suggerito anche dal Diels nel riportare il passo (e cfr. supra, n. 443). 462 Segue esposizione della tesi di Protagora circa gli dei, cioe ` un passo dello stesso tenore di PE XIV 3, 7 (= 5.5). 458 459
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.A)
Allora io dissi: Arcesilao, come abbiamo sentito dire, impegno` ogni sua battaglia con Zenone non per ostinatezza o per il gusto di vincere ad ogni costo ma, a quel che mi sembra, per l’oscurita` di quelle cose che avevano condotto Socrate alla sua professione di ignoranza e, gia` prima di Socrate, Democrito, Anassagora, Empedocle, e tutti quasi gli antichi, i quali affermarono che nulla si puo` conoscere, nulla percepire, nulla sapere: i sensi sono limitati,463 la mente e` debole, breve il corso della vita e, *come dice Democrito, la verita` e` immersa nel profondo, tutto e` dominio delle opinioni e delle convenzioni, nulla e` lasciato alla verita`*, e, ancora una volta, dissero che tutte le cose sono circondate dalle tenebre.
61.5. T. Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 35, 3-4 (om. DK; 4 = 51 Lu.): [Esempi della follia ovvero dell’insipienza dimostrata dai filosofi pagani, cfr. 0.3.24 e 0.4.6.] ... Anassagora dichiara che tutto e` circondato dalle tenebre, Empedocle che i sentieri dei sensi sono troppo stretti per scoprire la verita`. (4) *Democrito attesta che la verita` giace sommersa in un certo pozzo profondo*; dal momento che non l’hanno trovata da nessuna parte, affermano pertanto che nessuno fino ai nostri tempi e` stato sapiente. [Segue, su quest’ultimo punto, un richiamo a Socrate.]
61.6. T. Lattanzio, Divinae institutiones III 28, 13-14 (om DK; = 51 Lu.): [Il passo e` teso ad illustrare, come il precedente, che la sapienza attribuita ai filosofi pagani non ha fondamento, se essi stessi dichiaravano la propria ignoranza.] ... Anassagora dichiara che tutto e` circondato dalle tenebre, Empedocle lamenta l’angustia dei sentieri dei sensi ... *Democrito {dichiara che} la verita` giace sommersa in un pozzo cosı` profondo da essere senza fondo*.
VII. PRINCIPI A. CONDIZIONI
DELLA FISICA
DELL ’AGIRE E DEL PATIRE
1. I pluralisti (in generale) sulla questione del rapporto fra i processi e l’agire e il patire 62.1. TN. Aristotele, De generatione et corruptione I 6, 322b6-13: [All’inizio del capitolo viene prospettato che, prima di occuparsi degli elementi e dei loro rapporti reciproci, come avviene nel II libro dell’opera, bisogna chiarire che cosa sono 463 Letteralm.: stretti. Possibilmente e ` presente l’idea della ristrettezza dei canali dei sensi che ricorre in 61.5 e 61.6, parlando di Empedocle, per la posizione del quale cfr. B 2-3 DK. Possibilmente anche le formule che seguono immediatamente sono ritenute esprimere la posizione di Empedocle, anche se il motivo della brevita` della vita come ostacolo alla conoscenza (in questo caso dell’esistenza degli dei) e` piu` esplicito in Protagora (cfr. 80 B 4 DK), che tuttavia non viene menzionato da Cicerone.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.A)
l’agire e del patire, come che cosa sono altri termini ancora. Una conferma e` data dall’atteggiamento dei predecessori dello stesso Aristotele.] Tutti quanti, sia coloro che fanno generare gli elementi {stessi} sia coloro che {fanno generare soltanto} le cose che derivano dagli elementi,464 fanno ricorso alla disaggregazione e all’aggregazione e all’agire e al patire. Ora l’aggregazione e` una mescolanza, ma che cosa si intenda per mescolarsi non e` stato definito con chiarezza.465 Tuttavia non sono nemmeno possibili l’alterazione, ne´ l’aggregarsi ne´ il disgregarsi, senza che ci sia un agente e un paziente. E in effetti coloro che postulano una pluralit`a di elementi fanno generare {le cose di cui ammettono la generazione} mediante l’agire e il patire reciproco {degli elementi}, e anche coloro {che le fanno generare} da un {elemento soltanto} sono obbligati a parlare di azione. ... [seguito su Diogene di Apollonia]
62.2. E. Filopono, In De gen. et corr. I (6, 322b6 sgg. [= 62.1]), 126.21-127.11 (om. DK e Lu.): Pertanto stabilisce che e` necessario il discorso circa quanto e` stato detto,466 se tutti quanti coloro che, a proposito della generazione, l’hanno distinta con l’aggregazione e la disaggregazione dicono che le cose si generano anche con l’agire e il patire.467 E` degno di aporia come mai egli dica che tutti 468 fanno uso di aggregazione e di disaggregazione e {insieme} dell’agire e del patire. Che tutti facciano uso di aggregazione e di disaggregazione, e` particolarmente chiaro. Non e` vero tuttavia che tutti facciano uso dell’agire e del patire, ma {ne fanno uso} solo coloro che fanno generare le cose secondo {il cambiamento} di disposizione 469 del sostrato, dal momento che coloro che ritengono che gli elementi siano immutabili non hanno fatto uso dell’agire e del patire, ma soltanto dell’aggregazione e della disaggregazione. Dunque, o dice che alcuni fanno uso di aggregazione e disaggregazione e altri dell’agire e del patire, e a questo modo e` per sineddoche che dice che tutti fanno uso di entrambi {i processi}, ma {in effetti ne fanno uso} separatamente (gli uni infatti nel generare unicamente le cose che derivano da elementi facevano uso di aggregazione e di disaggregazione, e costoro erano Empedocle, Democrito, Anassagora e i loro, giacch´e cia-
464 Aristotele ha in mente i quattro elementi empedoclei, e distingue, fra i pluralisti, coloro che, come gli atomisti, trattano questi elementi stessi come generati (nella fattispecie, a partire dagli atomi), e coloro che, come Empedocle, li trattano come ingenerati e ammettono una generazione solo per i composti da essi. 465 Questo cenno, che viene ripreso nel seguito (cfr. 62.3), e ` fatto per introdurre il tema della mescolanza, che viene considerato nel cap. 10 (cfr. 52.1); ma esso viene presentato come un tema distinto da quello della generazione (peraltro non piu` riportata all’aggregazione) nella ricapitolazione all’inizio del libro II. 466 Cioe ` un discorso piu` approfondito delle questioni trattate in precedenza nell’opera (con riferimento a quanto Aristotele afferma all’inizio del cap., cioe` in 322b1-5). 467 In alternativa si puo ` rendere il passo come fa Williams: ‘‘se tutti quanti coloro che hanno trattato della generazione dicono che le cose si generano con l’aggregazione e la disaggregazione e {insieme} con l’agire e il patire’’ (la presenza di un articolo davanti alla seconda coppia mi pare renda preferibile la traduzione da me adottata, e anche il passo aristotelico commentato la favorisce). 468 Si intende, tutti quelli menzionati. 469 Singolarmente Filopono usa per la materia unica ammessa dai naturalisti monisti (e in un modo che pare senza riscontri in Aristotele) proprio il termine trophv che Democrito applicava agli atomi.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.A)
scuno di essi postulo` i princı`pi a lui propri come impassibili; gli altri invece, che generavano anche gli elementi 470 con l’agire e il patire, erano coloro che postulavano una cosa unica dalla quale generavano le altre cose, e questo uno o e` uno dei quattro elementi o qualcos’altro oltre ad essi); dunque o dice a questo modo che tutti fanno uso dell’aggregazione e della disaggregazione e dell’agire e del patire, oppure dice che ciascuno di essi fa uso di entrambi {i processi}.
2. La questione del contatto secondo Aristotele 62.3. Aristotele, De generatione et corruptione I 6, 322b21-26: [Il passo e` di seguito a 62.1, dopo una discussione della posizione di Diogene di Apollonia.] Ma se si deve condurre un’indagine circa l’agire e il patire e circa la mescolanza, e` necessario {condurla} anche circa il contatto. Non e` possibile infatti che agiscano e patiscano in senso proprio le cose che non sono capaci di entrare in contatto le une con le altre, ne´ e` possibile che si mescolino senza essere prima entrate in qualche modo in contatto. Sicche´ si deve definire questi tre termini, {cioe` dire} che cosa e` il contatto e che cosa la mescolanza e che cosa l’azione. [Il resto del cap. 6 viene dedicato alla discussione del contatto.]
3. Se l’agire e il patire sono per simili o per contrari, ecc. 62.4. T. Aristotele, De generatione et corruptione I 7, 323b1-15 (323b10-15 = 68 A 63; 315 Lu.): Di seguito {alla discussione del contatto} bisogna parlare dell’agire e del patire; {su questa questione} abbiamo ricevuto dai nostri predecessori resoconti che sono in opposizione gli uni agli altri. (i) La maggior parte di essi sono unanimi nel dire che (a) il simile non subisce azioni dal simile per il fatto che l’un termine non e` in nulla piu` attivo o passivo di quanto lo sia l’altro (giacche´ tutte le stesse {proprieta`} ineriscono allo stesso modo nei simili),471 mentre (b) le cose dissimili e differenti sono naturalmente disposte ad agire e a patire le une verso le altre. [8] In effetti, anche quando un fuoco piu` piccolo e` distrutto da uno piu` grande, questo {fuoco}, essi dicono, patisce per la contrarieta`, giacche´ il molto e` contrario al poco. (ii) *Democrito e` il solo che ha formulato un resoconto {a lui} peculiare, che lo distanzia dagli altri, perche´ sostiene che e` l’identico e il simile ad essere cio` che agisce e cio` che patisce; non e` possibile infatti che cose che sono altre e differenti patiscano un’azione reciproca, ma, se cose anche diverse esercitano una qualche azione le une sulle altre, cio` si verifica per esse non in quanto sono diverse ma in quanto sussiste {in esse} qualcosa di identico. 470 In questo caso pero ` il commentatore sta pensando ai quattro elementi empedoclei, mentre prima intendeva con ‘‘elementi’’ particelle immutabili come gli atomi (Empedocle e` incluso nel primo gruppo perche´ trattava i quattro elementi come eterni oppure perche´ postulava anche lui particelle immutabili). 471 Il senso del brano risulta da come rende (piu ` liberamente) Joachim: ‘‘since all the properties which belong to the one belong identically and in the same degree to the other’’. (Ho adottato le sue suddivisioni del passo.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.A)
62.5. A. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 326a29-b2: [Passo che fa parte di una serie di critiche rivolte al resoconto democriteo dell’agire e del patire; e` di seguito a 22.5.] Inoltre, la natura di tutti quei solidi e` una {soltanto} oppure gli uni differiscono dagli altri, come se, per esempio, gli uni fossero di fuoco e gli altri di terra quanto alla {loro} massa? Perche´, (i) se la natura di tutti e` una sola, che cos’e` cio` che li separa? Ovvero, perche´, nel toccarsi, non diventano una sola cosa, come {fa} l’acqua quando entra in contatto con acqua? Non c’e` in effetti nessuna differenza fra l’ultimo caso e il precedente.472 D’altra parte, (ii) se sono differenti, quali sono questi {punti di differenza 473}? Ed e` evidente che sono questi {punti di differenza, quali che siano} che vanno posti come princı`pi e cause di quanto ne deriva 474 piuttosto che le figure. Inoltre, se differiscono quanto alla {loro} natura, agirebbero e patirebbero 475 nel toccarsi a vicenda.
62.6. T. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 324b25), 153.20-25 e 154.2-20 (om. DK e Lu.): [Di commento all’inizio del capitolo, il cui tenore risulta dall’esposizione di Filopono. Tale inizio precede il passo aristotelico riportato come 15.1. A sua volta il presente passo precede il passo filoponeo numerato 15.2.] In primo luogo, di nuovo, egli [scil. Aristotele] espone i modi secondo i quali l’agire e il patire sono detti verificarsi dai {pensatori} piu` antichi, e questi li confuta, e cosı` espone il modo vero. Gli uni (dice) dissero che l’agire e il patire si verificano mediante i pori, e fra di essi c’era anche Empedocle: ci sono dei pori nei corpi, penetrando nei quali l’agente a questo modo opera sul paziente; a questo modo dicevano verificarsi anche il vedere. [...] Democrito, Leucippo e i loro asserirono che l’agire e il patire si verificano mediante il vuoto, giacche´ e` mediante il vuoto che gli atomi sono divisi, ed e` in esso che, venuto in essere l’agente, altera {il paziente}, mutandone, per via del movimento, la posizione o l’ordine degli atomi, oppure {lo} accresce con la {loro} aggiunta. I pori differiscono dal vuoto, per il fatto che coloro che introducono i pori non ammettono il vuoto, giacche´ i corpi sono dotati sı` di pori 476 ma questi pori sono pieni di altro corpo, cioe` di aria o di qualcosa del genere. (8) Egli [scil. Aristotele] loda Democrito (e i suoi) piu` di Empedocle e degli altri, perche´ scoprirono dei princı`pi tali da essergli sufficienti per il resoconto di tutte le cose che avvengono per natura. Coloro infatti che introducono i pori addussero in modo casuale la causa dell’agire e del patire mediante essi, e forse anche di altri {fatti}, per esempio della mescolanza (dicevano infatti che e` mediante pori che i corpi si mescolano: quando – come dice [scil. Aristotele] – i pori sono disposti cosı` da essere commensurati per acco-
472 Intendo come fanno J. TRICOT, in Aristote: De la ge ´ne´ration et de la corruption, Paris 1971, e H.H. JOACHIM, in Aristotle’s De generatione et corruptione, Oxford 1930 (quest’ultimo rende piu` esplicitamente: ‘‘for the two cases are precisely parallel’’, ovviamente il caso di acque differenti e il caso di solidi differenti ma della stessa natura come l’acqua). Altri, seguendo Filopono (nel suo comm.), intendono: ‘‘non c’e` nessuna differenza fra l’ultima {acqua che si e` aggiunta} e la precedente’’. 473 Presumibilmente: proprieta ` che li rendono differenti (come sono differenti fuoco e terra). 474 Cioe ` dei fenomeni. 475 Cioe ` non sarebbero impassibili, come gli atomi sono ritenuti essere dagli atomisti. 476 Dunque di passaggi o accessi (in questo senso non sono del tutto pieni).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.B)
gliere il corpo che viene a mescolarsi,477 allora si verifica la mescolanza), tuttavia non erano in grado di addurre la causa del movimento, {cio`e} in che modo il movimento abbia luogo mediante i pori, oppure {quella} dell’accrescimento: cio` che accresce, penetrando nei pori, li riempie, ma non rende piu` grande {il corpo in accrescimento}. Invece Democrito (e i suoi), egli dice, hanno escogitato princı`pi tali da convenire a lui in vista dell’addurre le cause di tutti gli eventi naturali, ed essi sono gli atomi e il vuoto.
4. Il principio dell’attrazione dei simili 63. T + F. (?). Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, §§ 116-118 (= 68 B 164; 316 Lu.): [Contesto: rassegna di posizioni dei filosofi circa la conoscenza, e dopo avere considerato la posizione di Empedocle, la quale implica che si conosca il simile mediante il simile.] C’e` un’antica opinione [...] che circola presso i naturalisti per la quale 478 i simili sono capaci di conoscere i simili, e di questa {opinione} Democrito pare avere addotto la conferma, e anche Platone pare averla sfiorata nel Timeo.479 (117) Ma Democrito applica la formula sia agli animati che agli inanimati. Gli animali (egli dice) 480 si aggregano agli animali affini per specie, come colombi con colombi, gru con gru, e {lo stesso} nel caso degli altri {esseri} irrazionali. Analogo e` il caso degli inanimati, come e` possibile vedere nei semi che sono passati al vaglio e nei ciottoli {che si raccolgono} lungo le spiagge, giacche´, nel primo caso, con l’azione selettiva del vortice prodotto dal vaglio, si dispongono lenticchie con lenticchie, orzo con orzo, e frumento con frumento, (118) nell’altro caso, per il movimento dell’onda, i ciottoli oblunghi vengono spinti con gli altri oblunghi nello stesso luogo, e quelli tondeggianti con gli altri tondeggianti, come se la somiglianza nelle cose avesse un qualche potere di raccoglierle insieme. Cosı` dunque {si esprime} Democrito.
B. IL
MOVIMENTO PRIMORDIALE DEGLI ATOMI
1. Il movimento primordiale degli atomi presentato da Aristotele come movimento forzato o contro natura 64.1. T. Aristotele, De caelo III 2, 300a20-21, 27-b1, b5-25 (b8-11 = 67 A 16; 16 e 304 Lu.; b11-12 = 25 Lu.), b31-301a11 (= 305 Lu.): Che sia necessario che ai corpi semplici tutti appartenga un movimento per natura [...] e` chiaro anche da {la considerazione del}la stasi, giacche´ anche l’essere in stasi e` neSi intende: con il primo corpo, cioe` quello che e` detto possedere i pori. Piu` precisamente: relativa al fatto che ... 479 Nel Timeo questo motivo e ` introdotto solo a proposito del senso della vista (cfr. 45B-C), se si prescinde da processi che niente hanno a che fare con la conoscenza (cfr. 63E). 480 Diels (in DK) tratta l’intero passo introdotto a questo modo come una vera e propria citazione, ammettendo tuttavia che certe formulazioni sono state ‘‘modernizzate’’, ma e` piu` facile che si tratti di un sunto che conserva qualche parola dell’originale (come sostiene anche J. MANSFELD, Out of Touch: Philoponus as a Source for Democritus [cfr. bibl.], p. 290, n. 37). Per l’esempio degli animali cfr. 90.3, con n. 693 ad loc. 477 478
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.B)
cessariamente o per costrizione o secondo natura: per costrizione {un corpo} rimane dove si e` anche portato per costrizione, e secondo natura {rimane} dove {si e` portato} secondo natura. Dal momento dunque che e` manifesto che c’e` qualcosa che rimane fermo al centro {del mondo}, se esso rimane fermo secondo natura, e` chiaro che anche il movimento che l’ha portato qui e` per esso secondo natura; se invece fosse per costrizione, che cosa impedisce il {suo} muoversi? Se e` {esso stesso qualcosa} in stasi, si riprender`a da capo lo stesso ragionamento: e` necessario che il primo statico si trovi {ad essere immobile} secondo natura; altrimenti si procede all’infinito, il che e` impossibile. [...] Sicche´ e` necessario che cio` che si muove si fermi in un qualche luogo, e che ci rimanga non per costrizione ma secondo natura. Ma se c’e` una stasi secondo natura, c’e` anche un movimento secondo natura, {e cio`e} lo spostamento verso questo luogo. (b8) *Percio` anche a Leucippo e a Democrito, cioe` a coloro che affermano che i corpi primi si muovono per sempre nel vuoto infinito,481 spetta dichiarare di quale movimento {si muovono} e quale sia il loro movimento secondo natura. Infatti, se ciascuno degli elementi e` mosso per costrizione da un altro, e` pero` necessario anche che ci sia un movimento secondo natura {proprio} di ciascuno, in contrasto col quale c’e` quello forzato. E bisogna che il primo {movimento} che fa muovere {gli altri} non muova per costrizione, ma secondo natura. Si va infatti all’infinito, se non ci sar`a qualcosa che muove per primo secondo natura, ma ogni volta cio` che precede muover`a essendo mosso per costrizione.* (b16) Questo stesso consegue necessariamente anche se, com’e` scritto nel Timeo, prima che il mondo si generasse gli elementi si muovevano disordinatamente. E` necessario infatti che il movimento sia o forzato o secondo natura; ma se si muovevano secondo natura, necessariamente c’era {di gi`a} il mondo,482 {come} lo riconoscera` chiunque voglia riflettere {sulla questione}. Necessariamente infatti il primo motore muove se stesso, essendo in movimento secondo natura, e le cose che non sono mosse per costrizione, in quanto sono in stasi nei luoghi ad esse propri, costituiscono l’ordine che posseggono attualmente – quelle che hanno peso intorno al centro, quelle che {hanno} leggerezza lontano dal centro. E questa e` la disposizione ordinata 483 che possiede il mondo. [...] (b31) Per coloro che rendono infinite le cose in movimento nell’infinito {vale che}, se il movente e` unico, e` necessario che si muovano di un solo movimento, sicche´ non si muoveranno in modo disordinato; se pero` i moventi sono infiniti, anche i movimenti sono necessariamente infiniti,484 giacch´e, se fossero finiti, ci sarebbe un certo ordine: il disordine non consegue {semplicemente} al fatto che non c’e` un portarsi {di tutte le cose} verso lo stesso {luogo}, giacche´ anche attualmente non tutte le cose si portano verso lo stesso, ma soltanto quelle congeneri. (a4) Ancora, l’essere in modo disordinato non e` nient’altro che l’essere contro natura, perche´ l’ordine proprio delle cose sensibili e` la {loro} natura. Ma anche questo e` assurdo e impossibile, che {i corpi} abbiano un movimento disordinato infinito. Infatti la natura delle cose e` quella che esse hanno nella loro maggior parte e per la maggior parte del tempo. Ma per loro [scil. coloro che sta criticando] consegue il contrario, {cioe`} che il disordine sia secondo natura, e che l’ordine e il mondo siano contro natura; eppure delle cose secondo natura niente si verifica a caso. Letteralm.: nel vuoto e nell’infinito. C’e` una stretta associazione, evidente nella conclusione, fra ‘mondo’ e ‘ordine’, che e` favorita dal senso etimologico del greco kovsmo". 483 Secondo altri codd. (+ Simplicio): ‘‘la separazione’’ (evidentemente: degli elementi). 484 Sicche ´ (si intende) vale l’opposto, cioe` i movimenti sono disordinati. 481 482
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.B)
64.1.1. Simplicio, In De caelo III 2, 583.17-23 (20-22 = 67 A 16; 304 e 380 Lu.): [Di commento a 300b8-25: ‘‘Percio` anche a Leucippo e a Democrito ...’’.] Avendo mostrato che c’e` un movimento secondo natura per i corpi e che esso ha priorita` su quello contro natura (questo infatti non ci sarebbe senza che ci sia quello), corregge coloro che dicono che il movimento disordinato e contro natura viene prima di quello secondo natura. Questa opinione e` duplice: *da una parte Leucippo, Democrito e i loro dicevano che i corpi che per loro sono quelli primi, cioe` gli atomi, si muovono da sempre nel vuoto infinito per costrizione*, dall’altra Timeo dice che gli elementi si muovono in modo disordinato prima della generazione del mondo.485
64.1.2. Simplicio, In De caelo III 2, 588.10-11 (om. DK; = 305 Lu.): 486 [Di commento a 300b31-301a4: ‘‘Per coloro che rendono infinite le cose in movimento nell’infinito ...’’.] Queste cose le adduce contro Democrito e i suoi, giacche´ costoro sono quelli che rendono infinite le cose in movimento nel vuoto infinito. ...
64.1.3. Simplicio, In De caelo III 2, 589.6-7 (om. DK; = 305 Lu.): 487 [Di commento a 301a4-11: ‘‘Ancora, l’essere in modo disordinato ...’’] Anche queste cose le adduce piuttosto contro Democrito e i suoi, giacche´ costoro dicono che le cose in movimento sono infinite.
64.2. T. Simplicio, In De caelo III (2, 300b16), 585.27-586.2 (om. DK e Lu.): E Alessandro aggiunge questo, che l’assurdita` in questione, {cio`e} che ci sia il mondo prima del suo generarsi, segue non soltanto da quanto viene detto nel Timeo ma anche per coloro – *Leucippo, Democrito e i loro – che dicono che gli atomi si muovono nel vuoto infinito per costrizione*. Se infatti e` necessario che prima del contro natura ci sia cio` che e` secondo natura, ed essendoci questo e` necessario che il mondo esista, esso ci sara` prima del suo generarsi. (32) Pero` dire questo non segue in alcun modo *per Democrito e i suoi: quelli dicevano che c’`e movimento da sempre per costrizione anche essendoci il mondo, non soltanto prima della formazione del mondo, come scrisse Timeo.488
64.3. T. Simplicio, In Physica I (2, 184b18 [= 11.1]), 42.7-11 (10-11 = 68 A 47; 306 Lu.): Nel caso di coloro che dicono che i princı`pi sono molti non c’`e spazio per l’altra suddivisione 489 in {princı`pi} privi di movimento e in dotati di movimento, giacche´ e` impos485 Manifestamente viene attribuita al personaggio che la espone la cosmogonia del Timeo di Platone (sul movimento disordinato cui viene fatto riferimento cfr. 52D sgg. [= 80.3], inoltre cenno in 30A). 486 Luria riporta un brano piu ` lungo, ma si tratta solo di una parafrasi esplicativa dei passi aristotelici. 487 Come nota precedente. 488 Simplicio ritorna sul punto toccato in questa e nella precedenti testimonianze anche nel commento a 301a11 sgg. (591.12-16 = 305 Lu.), ma senza aggiungere niente di nuovo, sicche´ ho omesso il passo. 489 La suddivisione che e ` proposta per il principio che e` uno (cfr. 11.1). To; e{teron diairetikovn
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.B)
sibile che da molti princı`pi non in movimento si generi qualche cosa (hanno infatti bisogno di entrare in rapporto reciproco), e per l’evidenza dell’impossibilita` l’opinione non ebbe sostenitori; proprio percio` Democrito, *pur dicendo che gli atomi sono privi di movimento per {loro} natura, afferma che si muovono per impatto.
64.4. T. Alessandro, In Metaphysica I (4, 985b19 [= 10.1]), 36.21-27 (21-25 = 67 A 6; 16 Lu.; 26-27 = 362 Lu.): [Di commento al rilievo finale di Aristotele che gli atomisti non avevano detto ‘donde e il che modo il movimento inerisce agli enti’.] Lo dice riguardo a Leucippo e a Democrito. Costoro infatti affermano che gli atomi si muovono urtandosi e scontrandosi reciprocamente; non dicono tuttavia donde sia il principio di movimento per cio` che e` secondo natura, dato che il movimento per urti reciproci e` forzato e non secondo natura, e il movimento forzato viene dopo quello secondo natura. Essi non dicono nemmeno donde {inerisca} la pesantezza agli atomi. Affermano infatti che le {unita`} senza parti che sono concettualmente presenti negli atomi, e che sono parti di essi, sono senza peso; e come e` possibile che dalla composizione di cio` che e` privo di peso si generi del peso?
2. La posizione di Democrito e quella di Epicuro 64.5. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 23, 3-4 (= 68 A 47; 311 Lu.): (Sul movimento) Democrito {affermo`} un tipo di movimento: quello per impatto.490 Epicuro {affermo`} due specie di movimento: 491 quello a perpendicolo e quello per declinazione.
64.5.1. VA. Stobeo, Eclogae I 19, 1(2) [con 64.5 = Aezio I 23, 3 + 4 (Dox. 319)]: Democrito affermo` un tipo di movimento: quello per scosse. – Epicuro {affermo`} due specie di movimento: quello a perpendicolo e quello per declinazione. – Ci sono alcuni che
suggerisce piuttosto un fattore di divisione, ma niente del genere e` suggerito dal contesto o dal passo aristotelico commentato, sicche´ deve trattarsi di una svista di Simplicio o di un errore dei copisti (diairetikovn e` omesso in alcuni MSS). 490 Adotto la correzione attribuita a Zeller (kata; plhghvn, suggerita da Simplicio in 64.3 e da Cicerone, 64.7, dove compare il calco latino plaga, inoltre da Ps.-Plut. in 77.1), non quella del Diels che uniforma il passo a quello successivo di Stobeo (dove c’e` kata; palmovn), perche´ entrambi i termini possono essere stati usati da Democrito ma anche perche´ e` possibile che il testimone adotti una formulazione epicurea (cfr. Ep. ad Hdt. § 43). [La correzione e` attribuita a Zeller da Diels, Dox., p. 319, n.; non si riscontra in PGGE, I 2, p. 1084, n. 1, ma cfr. p. 1096, n. 1]. 491 Presumibilmente: oltre al tipo ammesso da Democrito, perche ´ nel testo parallelo di Stobeo (cfr. 64.5.1) si arriva ad un totale di cinque (pertanto ho reso genos vagamente con ‘‘tipo’’, perche´ il termine non puo` significare ‘‘genere’’ usato in contraddistinzione con le ‘‘specie’’ di movimento affermate da Epicuro). Anche dalla presentazione di Cicerone risulta che Epicuro aveva aggiunto nuovi tipi di movimento, cfr. De fato 10, 22 (= 76.2) e anche 20, 46 (= 64.7), dove pero` si parla piuttosto di nuove cause di movimento.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.B)
introducono una quarta specie {di movimento}, quello secondo sostanza, cioe` quello secondo generazione. Altri ancora aggiungono il movimento dianoetico, procedendo fino al numero cinque.
64.6. T. Stobeo, Eclogae I 14, 1f(2-3) (3 = 68 A 47; 365, 323 e 207 Lu.) [= Aezio, I 12, 5-6 (Dox. 311)]: (Sui corpi e sulla loro sezione e sul minimo) 492 [Contesto: sui corpi primi, p. es. i quattro elementi, se hanno peso ecc.] (2) Epicuro {dice che} i corpi primi e semplici sono inconcepibili,493 mentre gli aggregati derivanti da essi hanno peso; 494 gli atomi si muovono talvolta a perpendicolo talvolta per declinazione, mentre quelli che si muovono verso l’alto {lo fanno} per impatto e per impulso. (3) Democrito dice che i corpi primi – quelli che {per lui} erano i ‘compatti’ – non hanno peso, ma si muovono nell’infinito per urti reciproci; e che e` possibile che l’atomo sia cosmico.495 [Segue il brano riportato come 22.7.1.]
64.7. T. Cicerone, De fato 20, 46 [151.6-12] (151.8-10 = 68 A 47; 365 Lu.): [Viene discussa la tesi fatalistica, con l’intento di rigettarla.] E` a questo modo che si deve affrontare la questione,496 non cercare aiuto da atomi che siano erranti e declinanti dalla loro traiettoria.497 L’atomo declina, egli [scil. Epicuro] dice. In primo luogo, perche´? In effetti {gli atomi} avevano ricevuto gia` da Democrito una
492 Nel capitolo corrispondente in Ps.-Plutarco (I 12), nel quale compare il passo (2) su Epicuro ma non il passo (3) su Democrito, il titolo adottato e` quello piu` semplice ‘‘Sui corpi’’, mentre il cap. successivo e` intitolato ‘‘Sui minimi’’. Tuttavia questo cap. di Stobeo riporta anche passi riguardanti la questione della divisione (essi sono trasposti dal Diels sotto Aezio I 16, con il titolo ‘‘Sulla sezione dei corpi’’, che ha un corrispettivo solo nei Placita di Ps.-Plutarco, I 16). 493 Presumibilmente: nelle loro figure (cfr. Epicuro, Ep. ad Hdt. § 42), ma non si puo ` del tutto escludere (dato il contesto) che si stia parlando piuttosto della velocita` del loro movimento (cfr. ivi, § 46). 494 Il testo presenta dei guasti evidenti, anche perche ´ l’apparente restrizione del peso ai composti e` erronea (la posizione di Epicuro deve essere contrapposta qui, cfr. (3), come altrove, cfr. Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 [= 9.1], a quella di Democrito riguardo appunto l’attribuzione del peso agli atomi). Ho rimediato parzialmente con alcuni interventi, ma ci deve essere una lacuna di una certa estensione. L’unica maniera, non del tutto soddisfacente, per salvare il testo con emendamenti e` quella di H. USENER, Epicurea, fr. 275 (p. 195.29-30); il suo testo si rende come segue: ‘‘Epicuro {dice che} i corpi sono inconcepibili. Sia i corpi primi che sono semplici sia gli aggregati derivanti da essi hanno tutti peso’’. 495 Rendo cosı` kosmiaiva, aggettivo generalmente reso con ‘‘grande come un mondo’’; essendo questa l’unica occorrenza nota dell’aggettivo non si puo` essere sicuri che il suo significato e` reso correttamente a quel modo e che non si stia indicando piuttosto (in maniera indubbiamente inadeguata) che ci sono atomi all’interno di ciascun mondo il cui movimento e` diverso da quello che essi hanno nel vuoto infinito. 496 Cioe ` ammettendo che ci sono effetti che dipendono da noi come causa, cosı` da salvare la liberta` umana dalla minaccia di un fatalismo come quello proposto dagli Stoici. 497 Cioe ` , secondo Cicerone (cfr. seguito, specialm. § 47, inoltre § 18), ammettere un’interruzione nella catena causale.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
certa forza motrice, quella dell’impulso, che egli chiama ‘impatto’, e da te, Epicuro, {hanno ricevuto} quella della gravita` e del peso. Quale nuova causa c’e` dunque in natura che fa declinare l’atomo? ...
64.8. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 83-85: Poiche´ i principi delle cose vagano nel vuoto, | e` necessario che si spostino tutti quanti per il proprio peso | o per gli urti casuali di altri.
C. IL
MOVIMENTO DEGLI ATOMI E LA QUESTIONE DEL PESO
1. La necessit`a (secondo Aristotele) che il movimento degli atomi sia di un solo tipo 65.1. T. Aristotele, De caelo I 7, 275b29-276a16 (b29-a1 = 67 A 19; 261 Lu.): [Esclusione dell’esistenza di un corpo infinito ovvero che il tutto sia infinito, dopo avere considerato la possibilita` che il tutto sia continuo.] Se poi *il tutto non e` continuo, ma {le cose sono} alla maniera in cui sostengono che siano Democrito e Leucippo, cioe` distinte {fra loro} dal vuoto, e` necessario che il movimento di tutte le cose sia uno solo. Esse sono distinte infatti dalle loro figure, ma la loro natura (essi dichiarano) e` unica, quasi come se ciascuna fosse un {pezzo d’}oro separato.498* (a1) Di queste, come stiamo dicendo, e` necessario che il movimento sia lo stesso: dove infatti si porta la singola zolla, {ivi si porta} anche la terra tutta, e {similmente} tutto il fuoco e la {singola} scintilla {si portano} verso lo stesso luogo. Di modo che nessuno dei corpi sara` leggero in assoluto, se tutti posseggono pesantezza; se d’altra parte posseggono leggerezza, nessuno {sara`} pesante. Ancora, se posseggono pesantezza o leggerezza, ci sara` sia un estremo sia un centro del tutto [cioe` dell’universo], ma questo e` impossibile qualora esso sia infinito.499 (a8) In generale, laddove non c’e` ne´ un centro ne´ un estremo, e non c’e` neppure un alto e un basso, non ci sara` nessun luogo per i corpi {come fine} 500 del movimento, e, mancando questo, non ci sara` neppure il movimento {stesso}. E` necessario infatti che il muoversi sia o secondo natura o contro natura, e queste {due caratteristiche} sono state definite {rispettivamente} dai luoghi propri e da quelli estranei {per i corpi in movimento}. Ancora, se c’e` un luogo dove qualcosa rimane fermo o si muove contro natura, e` necessario che esso sia il luogo secondo natura di qualcos’altro (questo e` reso credibile dall’induzione), ed e` necessario pertanto che le cose non abbiano tutte pesantezza o tutte leggerezza, ma che alcune abbiano l’una, le altre l’altra.501
498 Guthrie adotta la lezione kecwrismevnon anziche ´ kecwrismevno" e rende come segue: ‘‘as if each one separately were a piece of gold’’. 499 Si intende: come assumono gli atomisti (Aristotele sta conducendo una sorta di riduzione all’assurdo della loro posizione, con l’intento di mostrare che l’universo, per lui coincidente col mondo, deve essere finito). 500 Sottintendo la parola fine (tevlo") per indicare il termine del movimento naturale dei corpi elementari, come viene usata in De caelo I 8, 277b5 (= 66.1). 501 Letteralm.: alcune {sı`} e le altre no.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
65.2. TE. Simplicio, In De caelo I (7, 275b29) 242.14-34 (242.15-26 = 67 A 14; 214 e 295 Lu.): Avendo dimostrato che nessun corpo fisico che sia semplice e continuo (come lo sono gli elementi) puo` essere infinito egli [scil. Aristotele] dimostra successivamente che neppure e` possibile che i corpi elementari siano infiniti per moltitudine in quanto {tenuti} distinti {dal vuoto}, come hanno supposto Leucippo e Democrito e i loro, nati prima di lui, e, dopo di lui, Epicuro. Quanto essi sostenevano e` che sono infiniti per moltitudine i princı`pi, che ritenevano essere sia ‘‘atomi’’, cioe` 502 indivisibili, sia impassibili, per il loro essere compatti e non partecipi del vuoto. (20) Dicevano infatti che la divisione si verifica in ragione del vuoto che e` nei corpi, e che questi atomi, che nel vuoto infinito sono separati gli uni dagli altri e differiscono per figure e per grandezze e per posizione e per ordine, si muovono nel vuoto e, incontrandosi, si urtano: {di essi} alcuni sono respinti l`a dove capita, altri invece si intrecciano a seconda dell’accordo delle figure o delle grandezze o delle posizioni o degli ordini e permangono insieme, e a questo modo ha compimento la generazione dei composti. (27) Opponendosi a cotale infinitezza degli elementi Aristotele deduce piu` conclusioni. In primo luogo, se gli atomi differiscono fra di loro per le figure e le grandezze e per {caratteristiche} del genere, ma la loro costituzione e natura e` la stessa, dal momento che il movimento e` secondo la natura e non secondo la figura e la grandezza, e` necessario che il movimento di tutti {gli atomi} sia lo stesso, sicche´ non e` possibile che alcuni di essi siano leggeri e altri pesanti ma tutti allo stesso modo sono pesanti o leggeri – cosa che si manifesta in contrasto con l’evidenza e che dimostrera` {essere non vera} andando avanti, poiche´ dei corpi fisici alcuni sono pesanti e altri leggeri.
2. Il movimento verso l’alto ‘‘per espulsione’’ o per ‘‘compressione’’ (e[kqliyi") 66.1. A. Aristotele, De caelo I 8, 277a33-b8 (om. DK; parte come 367 Lu.): [Nel capitolo Aristotele offre prove dell’unicita` del mondo a partire dall’ammissione che gli elementi si muovono per natura verso i loro luoghi propri. A questo punto esclude un resoconto alternativo del loro movimento.] Ma non e` neppure ad opera di altro che di essi [scil. gli elementi] l’uno si porta in alto e l’altro in basso, ne´ per costrizione, com’e` l’«espulsione» di cui parlano alcuni. {Se cosı` fosse,} il fuoco in quantita` maggiore si muoverebbe piu` lentamente verso l’alto 503 e la terra in quantita` maggiore si muoverebbe piu` lentamente verso il basso, mentre si constata per contro che il fuoco in quantita` maggiore si muove piu` rapidamente e che la terra in quantita` maggiore {si muove piu` rapidamente} verso il proprio luogo. Neppure e` vero che, se cio` fosse per costrizione ovvero per «espulsione», {un elemento} si porterebbe piu` rapidamente in prossimita` del fine, giacche´ tutte le cose, man mano che si trovano ad essere piu` lontane da cio` che ha esercitato la forza, si muovono piu` lentamente, e donde {sono mosse} per costrizione ivi si portano non per costrizione.
502
kai; esplicativo.
503
Si intende: rispetto al fuoco in quantita` minore.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
66.2. Simplicio, In De caelo I (8, 277b1), 267.17-22, 267.29-268.4 e 269.4-14 (om. DK; 267.30 sgg. = 367 Lu.; 267.17-18, 267.29-268.4, 268.32-34 e 269.48 = 276 Us.): I corpi elementari si muovono o per la loro natura o perche´ spostati da altro o reciprocamente compressi. Mostra dunque [scil. Aristotele] che non sono (ii) ne´ reciprocamente compressi (i) ne´ spostati da altro, e, in primo luogo, che (i) non sono spostati da altro, a partire dal fatto che il fuoco in quantit`a maggiore si muove piu` rapidamente di quello in quantita` minore e che la zolla piu` grande lo fa rispetto a quella piu` piccola.504 [...]. Che (ii) essi non si muovono perche´ costretti dalla compressione reciproca, lo mostra nel seguito. Di questa opinione sono stati, dopo di lui, Stratone ed Epicuro, (268) i quali ritengono che ogni corpo ha pesantezza e si porta verso il centro, e che, per il fatto che i {corpi} piu` pesanti si depositano al di sotto, quelli meno pesanti sono compressi a forza da quelli verso l’alto, sicch´e, se qualcuno togliesse da sotto la terra, l’acqua correrebbe al centro, e se uno togliesse da sotto l’acqua, {lo farebbe} l’aria, e se {uno togliesse da sotto} l’aria, {lo farebbe} il fuoco. [...] Si dovrebbe sapere che Stratone ed Epicuro non sono i soli a dire che tutti i corpi sono pesanti e per natura si spostano verso il basso, invece verso l’alto contro natura, ma che anche Platone era al corrente di questa opinione 505 e argomenta contro di essa, ritenendo che non sia corretto nominare l’alto e il basso riguardo al mondo e non ammettendo che i corpi siano detti «pesanti» nel senso di essere portati verso il basso. (269.8) Questo e` quanto scrive nel Timeo: ‘‘Non e` in alcun modo corretto ritenere che il tutto sia diviso per natura in due luoghi che sono opposti, {cioe`} il basso, verso cui si porta tutto quanto ha una massa di corpo, e l’alto, verso cui tutto si muove contro volont`a 506 ’’ [62 C5-8]. In effetti anche coloro che ammettono gli atomi dicono che essi, in quanto sono compatti,507 sono pesanti e sono la causa della pesantezza per i composti, al modo in cui il vuoto {e` causa} di leggerezza.
66.3. T. Simplicio, In De caelo III (1, 299a25-b7), 569.4-10 (= 68 A 61; 368 Lu.): [Di commento al brano aristotelico citato all’inizio, cio`e 299a26-28,508 il quale appartiene ad un passo di polemica contro i platonici, che fanno derivare i corpi sensibili, che sono dotati di peso, da entit`a geometriche come le superfici che sono prive di peso; questo e` anche il primo punto che viene menzionato da Simplicio.]
504 La distinzione fra i due casi non pare essere cosı` netta come suggerisce Simplicio, perche ´ la ‘‘espulsione’’, che non e` senz’altro una compressione reciproca (sono obbligato a rendere e[kqliyi" non piu` col primo termine ma con ‘‘compressione’’ quando c’e` questa precisazione, omessa da Aristotele), e` un modo di essere spostato da altro; d’altra parte Simplicio chiarisce che l’espulsione puo` solo essere verso l’alto. 505 Il testo presenta un guasto, ma il senso deve essere questo. 506 Questa deve essere una metafora per indicare cio ` che e` mosso da altro ovvero espulso. 507 Il riferimento, essendo ormai escluso Epicuro, deve essere ai primi atomisti, come e ` suggerito anche dall’uso dell’aggettivo democriteo ‘‘compatto (nastov")’’ e come e` confermato dalle successive testimonianze dello stesso Simplicio. 508 Il brano tutto e ` come segue: ‘‘Ma i corpi sensibili, o tutti o alcuni di essi, per esempio la terra e l’acqua, hanno peso, come anche essi stessi lo dichiarerebbero.’’
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... In secondo luogo, che ‘‘i corpi sensibili’’, vale a dire quelli naturali, ‘‘o tutti o alcuni di essi hanno peso’’. In effetti Democrito e i suoi e, piu` tardi, Epicuro, dicono che, in quanto gli atomi sono tutti della stessa natura, hanno {soltanto} peso, e che, per il fatto che alcuni sono piu` pesanti, quelli piu` leggeri,509 una volta proiettati fuori da essi 510 che si depositano al di sotto, sono portati in alto, e cosı` – costoro dicono – si ricava l’impressione che gli uni sono leggeri e gli altri pesanti. E anche se i corpi naturali non fossero tutti pesanti, ce ne sono alcuni, come la terra e l’acqua, che sono riconosciuti come tali da tutti.
3. Stabilita` della terra e ruolo del vortice 67. T. Aristotele, De caelo II 13, 294b13-34 (= 13 A 20; 376 Lu.), 295a2-4, a6295b9 (295a9-14 = 59 A 88; 370 Lu.; 295a13-21 = 31 A 67): [Il tema del capitolo e` la terra, iniziando dalla questione della sua posizione, cfr. 83.1 per la parte iniziale del cap., che introduce questo punto, con il commento di Simplicio in 83.2. Nel seguito viene discussa la questione della stabilita` o meno della terra, considerando in subordine la questione se essa si muova su se stessa, a partire sempre da una esposizione della posizioni altrui. Ad un certo punto, dopo una parte che riguarda la questione della figura della terra (cfr. 83.3), sono esposte e discusse le ragioni che alcuni adducevano per la sua stabilita`, e questo e` il contesto del nostro passo. Una sintesi delle posizioni prese in esame risulta dal passo di Simplicio riportato come 83.6.] Anassimene, Anassagora e Democrito affermano che causa del suo [scil. della terra] rimaner ferma e` la {sua} piattezza. Essa infatti non taglia l’aria che e` di sotto ma funge da coperchio, come si vede che fanno i corpi piatti: questi, per la resistenza che oppongono anche ai venti, ben difficilmente si lasciano muovere. Questo stesso, affermano, fa la terra, per via della {sua} piattezza, nei confronti dell’aria soggiacente, la quale, non avendo posto sufficiente per spostarsi, e` in stasi raccolta sotto {di essa}, come l’acqua nelle clessidre. {Per mostrare} che l’aria, quando sia racchiusa e immobile, e` capace di sostenere molto peso, essi adducono molte prove. (b23) In primo luogo {va rilevato che}, se la figura della terra non e` piatta, non e` per questa ragione che essa sarebbe in stasi. E tuttavia la causa della sua immobilita`, sulla base di quanto {essi stessi} dicono, non e` la sua piattezza, ma piuttosto la sua grandezza. Infatti l’aria, non avendo una via d’uscita per la ristrettezza di spazio, rimane ferma come conseguenza della {sua stessa} quantita`; ed essa e` molta perche´ e` notevole la grandezza che la racchiude, e cioe` quella della terra. Sicche´ questo si verificherebbe anche se la terra fosse sferica, purche´ fosse notevole nella {sua} grandezza: rimarrebbe ferma, secondo il loro argomento. (b30) In generale, pero`, la {nostra} controversia con coloro che fanno affermazioni cosı` attorno al movimento riguarda non {questioni} particolari ma un tutto nel suo complesso. Come inizio infatti si deve determinare se i corpi hanno, o no, un movimento per natura, e se il movimento che non hanno per natura l’hanno forzatamente. [...] (a2) Se infatti non c’e` un loro movimento per natura, non esistera` neppure uno forzato; ma se {il movi-
Piu` precisamente: quelli piu` piccoli o piu` sottili. Per quanto in greco sia usato un verbo differente da ejkqlivbesqai, si tratta palesemente sempre dello stesso fenomeno di espulsione o compressione. 509 510
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mento} non e` ne´ per natura ne´ forzatamente, non ci sara` affatto nulla che si muova [...]; inoltre neppure e` possibile l’essere in stasi, perche´, al modo in cui il movimento sussiste o forzatamente o per natura, cosı` anche la stasi. Ma se c’e` un qualche movimento secondo natura, non ci sara` solo la traslazione forzata n´e solo la stasi forzata. Sicche´, se e` forzatamente che la terra attualmente sta ferma,511 {`e vero} pure che si e` raccolta al centro perche´ portata dal vortice. (10) E` questa infatti la causa che tutti adducono a partire da {la considerazione di} quanto si verifica nei liquidi e nell’aria: in queste {sostanze} i {corpi} piu` grossi e piu` pesanti si portano sempre verso il centro del vortice. Percio`, anche nel caso della terra, tutti quelli che rendono generato il cielo,512 sostengono che {essa} si e` raccolta intorno al centro. (14) Quanto al fatto poi che essa rimane ferma, ne ricercano la causa, e gli uni affermano, al modo che s’`e detto, che la sua piattezza e la sua grandezza ne sono la causa, mentre altri, come Empedocle, {affermano} che e` il movimento del cielo che, col suo rivolgersi circolarmente e con velocit`a superiore a quella del movimento della terra, la trattiene, come l’acqua nelle coppe. Anche questa [scil. l’acqua], quando la coppa viene mossa circolarmente, si trova ripetutamente sotto al {recipiente di} bronzo e tuttavia, per la stessa causa, essa non si muove verso il basso, come dovrebbe fare per sua natura. (21) Tuttavia, se ne´ il vortice n´e la sua piattezza la trattenesse, ma l’aria cedesse di sotto, dove mai si porterebbe? E` forzatamente che {si e` portata} al centro, ed e` forzatamente che ci rimane; ma e` necessario che ci sia un suo movimento che e` secondo natura: questo allora sar`a verso l’alto o verso il basso, o, ancora, verso dove? E` necessario in effetti che ce ne sia uno; ma se non e` per nulla piu` verso l’alto che verso il basso, e {se} l’aria sopra non ostacola il movimento verso l’alto, neppure quella di sotto alla terra ostacoler`a {il movimento} verso il basso. Necessariamente infatti le stesse cause lo sono degli stessi {effetti} per le stesse cose. (a30) Ancora, contro Empedocle si potrebbe dire questo: quando gli elementi erano separati ad opera dell’Odio, qual era la causa dell’immobilita` della terra? Non potra` certo anche per allora addurre come causa il vortice. (a32) E` pure assurdo non riconoscere {che si pone il seguente problema}: dato che 513 precedentemente le parti della terra si erano portate verso il centro per via del vortice, attualmente, per quale causa tutte le cose che posseggono peso si portano verso di essa? Sicuramente il vortice non si avvicina a noi.514 (b1) Ancora, per quale causa il fuoco si porta verso l’alto? Non certo per effetto del vortice. Ma se questo [scil. il fuoco] si porta in qualche posto per natura, e` chiaro che si deve supporlo anche per la terra. Ma neppure {`e vero che} e` per il vortice che si distinguono il pesante e il leggero; piuttosto, dei {corpi} che sono preliminarmente pesanti o leggeri, gli uni si muovono verso il centro, gli altri verso la superficie, per via del movimento {del vortice}. Dunque l’uno era pesante e l’altro era leggero gia` prima che si generasse il vortice, ma questi in che modo sono distinti e in che modo si muovono per loro natura e dove? Essendoci l’infinito, infatti, e` impossibile che ci siano l’alto e il basso, ma e` da questi che il pesante e il leggero sono distinti.
511 Questa e ` evidentemente la posizione che Aristotele attribuisce ad Anassimene, ad Anassagora e a Democrito. 512 Cioe ` il mondo. ` quello che si era assunto. 513 E 514 In alternativa (prendendo plhsiavzei come transitivo [suggerimento di Ademollo]): ‘‘Sicuramente non e` il vortice che {le} avvicina a noi’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
67.1. Simplicio, In De caelo II (13, 295a9-11), 526.34-527.6 (om. DK; 526.34527.4 = 370 Lu.): Ancora viene a dire [sogg.: Aristotele] di seguito che tutti coloro che adducono la generazione del mondo (non il solo Empedocle ma anche Anassagora e i suoi e altri ancora) dicono che la terra si e` raccolta intorno al centro mediante il vortice del cielo. E che a questo furono portati dal fatto che {essi riconoscono che} le rotazioni che si costituiscono nell’acqua e nell’aria comprimono verso il centro i corpi piu` grandi e piu` pesanti e dal fatto che essi adducono come causa dello iniziale spostarsi {della terra} il vortice, mentre, nel ricercare {la causa} del suo rimanere ferma, gli uni enunciano come causa la piattezza, come si e` detto in precedenza,515 mentre gli altri, come Empedocle, adducono il vortice {come causa} anche di questo.
4. Operazioni di pesantezza e di leggerezza entro il mondo 68.1. TN. Aristotele, De caelo IV 1, 308a1-4, 7-24, 29-33 (om. DK; 308a17-19 = 361 Lu.): [Subito dopo l’introduzione del tema di questo trattatello, che riguarda la questione del peso ovvero, nella formulazione aristotelica, ‘‘il pesante e il leggero’’.] Per il fatto che l’indagine fisica riguarda il movimento, e che questi [scil. il pesante e il leggero] hanno in se stessi come delle scintille del movimento, tutti fanno ricorso ai loro poteri, ma, salvo pochi, non li hanno definiti. [...] C’e` qualcosa che si dice pesante e leggero (i) in senso assoluto, e qualcosa che si dice cosı` (ii) in relazione ad altro, giacch´e, delle cose che hanno peso, noi dichiariamo che l’una e` piu` leggera, l’altra piu` pesante, per esempio il bronzo {e` piu` pesante} del legno. Da parte dei nostri predecessori non e` stato detto nulla riguardo a quelle che sono dette {pesanti e leggere} in senso assoluto, ma {solo} riguardo a quelle che sono dette cosı` in relazione ad altro, giacche´ essi non dicono che cosa sia il pesante e che cosa il leggero, ma {solo} che cosa sia il piu` pesante e il piu` leggero nelle cose che hanno peso. Cio` che diciamo sara` piu` chiaro in quanto segue. (14) Ci sono delle cose che per natura si portano sempre lontano dal centro, e altre che sempre {si portano} verso il centro; di queste quanto si porta lontano dal centro dico che si porta verso l’alto, mentre quanto {si porta} verso il centro {dico che si porta} verso il basso. E` assurdo, in effetti, ritenere giusto dire, come fanno alcuni, che non sono qualcosa {di esistente} l’alto e il basso nel cielo: 516 dichiarano che non ci sono l’alto e il basso, dal momento che esso e` uniforme da ogni parte, e che ciascuno puo`, da dovunque egli cammini, trovarsi agli antipodi di se stesso.517 (21) Noi invece denominiamo alto l’estremita` del tutto, che e` alto per la sua posizione e primo per natura: dal momento che c’e` qualcosa del cielo che ne e` l’estremita` e {qualcosa che ne e`} il centro, e` chiaro che ci saranno un alto e un basso. [...] (29) Diciamo leggero in senso assoluto cio` che si porta in alto e verso l’estremita`, pesante in senso assoluto cio` {che si porta} in basso e verso il centro. {Diciamo} leggero in
Cfr. il passo di Simplicio riportato come 83.6. Cioe` nel mondo, come riformula questo passo Simplicio nel commentarlo (cfr. 36.6); questo suo commento chiarisce anche quali sono gli obbiettivi polemici di Aristotele. 517 Si intende: di se stesso quando era al punto di partenza. 515 516
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
relazione ad altro e piu` leggero quando, fra due {corpi} aventi peso ed uguale mole, uno per {sua} natura si porta piu` rapidamente in basso {dell’altro}.518
68.2. T. Aristotele, De caelo IV 2, 308a34-b13, b29-309a33, 309b8-310a13 (309a1-8 e 11-18, 309b34-310a5 e 9-11 = 68 A 60, 368 Lu.): Di coloro che in precedenza si sono accostati all’indagine su questi punti praticamente la maggior parte ha parlato delle cose pesanti e leggere soltanto in questo senso,519 cio`e nel senso per cui, date {due} cose aventi entrambe peso, l’una e` piu` leggera dell’altra. E, procedendo cosı`, ritengono di avere definito anche il leggero e il pesante nel senso assoluto, mentre il loro resoconto non si adatta a questi. Cio` sar`a piu` chiaro andando avanti. (b3) Gli uni parlano del piu` pesante e del piu` leggero alla maniera in cui sta scritto nel Timeo,520 {e cio`e} che piu` pesante e` cio` che e` costituito da un maggior numero delle stesse {parti}, piu` leggero e` cio` {che e` costituito} da meno, per esempio un {pezzo di} piombo che e` maggiore di un {altro pezzo di} piombo e` piu` pesante, e {cosı` e`} un {pezzo di} bronzo di un {altro pezzo di} bronzo. E allo stesso modo per ciascun’altra delle cose del medesimo tipo: e` nell’eccedenza delle parti uguali che sta la maggior pesantezza di ciascuno. Ma allo stesso modo dicono che il piombo {e` piu` pesante} del legno, giacche´ e` da certi {costituenti} che sono gli stessi e da un’unica materia che tutti i corpi sono costituiti, anche se non pare. E appunto con distinzioni del genere non si e` parlato del leggero e del pesante in senso assoluto.521 [...] (29) Gli uni dunque hanno offerto questo tipo di resoconto del pesante e del leggero. Pero` ad altri non parve sufficiente adottare questo tipo di distinzioni, ma, per quanto ‘piu` arcaici’ rispetto alla generazione presente,522 pervennero ad una concezione piu` moderna sui punti di cui si e` ora parlato. E` un fatto manifesto che ci sono dei corpi che sono inferiori agli altri per mole, ma che sono piu` pesanti di essi; e` chiaro allora che non e` sufficiente asserire 523 che quelli di ugual peso sono composti da {parti} primarie uguali {di numero}, perch´e sarebbero uguali {anche} nella mole. E` assurdo l’affermarlo per coloro che affermano che le cose primarie ed indivisibili di cui sono composti i corpi che posseggono pesantezza sono superfici. Invece per coloro che {affermano} che queste sono {dei} solidi e` piu` facile 524 sostenere che il piu` grande di essi e` {anche} il piu` pesante.
518 Il brano e ` probabilmente corrotto, e sono state tentate emendazioni ed integrazioni (adotto una correzione di P. MORAUX in Aristote, Du Ciel, Paris 1965, cfr. n. 1 di p. 137 anche per l’interpretazione); ci dovrebbe comunque essere un riferimento al ‘‘rimanere indietro’’ di cui si parla alla fine di 68.2 (ma si tratterebbe di una posizione che Aristotele stesso non condivide): appare piu` leggero il corpo che rimane indietro, cioe` che e` meno rapido nella caduta verso il basso. 519 Si intende, quello relativo. 520 Cfr. Timeo, 63C. 521 Nel seguito ci sono delle critiche rivolte a questa posizione. 522 Cioe ` appartenenti ad una generazione precedente. 523 Si intende: come fanno coloro che sono stati menzionati in precedenza (cioe ` coloro che aderiscono alla posizione proposta da Platone nel Timeo). 524 Letteralm.: piu ` possibile. Per ‘‘solidi’’ si deve intendere, come fa Simplicio (cfr. suo commento in 68.2.2), corpi (questi sono tridimensionali), con una contrapposizione fra questa posizione (quella di Democrito e di Leucippo), qui presentata come piu` moderna e altrove come piu` fisica (cfr. 24.3), e quella platonica che si riscontra anche in altri passi (e.g. 24.1). (Che si tratti della posizione di Democrito e di Leucippo e` confermato da Simplicio, cfr. 68.2.1 e 68.2.2.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
(a2) Quanto ai composti {stessi}, dal momento che non e` manifesto che ciascuno {di essi} si trovi in questa condizione, ma vediamo che molti sono piu` pesanti pur essendo di una mole inferiore, come per esempio il bronzo della lana, alcuni ritengono,525 dichiaratamente, che la causa sia un’altra. Affermano infatti che e` il vuoto che e` racchiuso dentro {ad essi} che rende i corpi leggeri e fa sı` che talvolta i maggiori {di mole} siano i piu` leggeri, giacche´ hanno piu` vuoto. Ed e` per questo che sono maggiori di mole pur essendo spesso composti da solidi uguali o anche inferiori di numero {che gli altri corpi}. E, in generale, la causa, per ogni cosa, del suo essere piu` leggera e` la presenza in essa di una maggiore quantita` di vuoto. (11) E` in questi termini che essi presentano il loro approccio, ma e` necessario aggiungere, da parte di coloro che fanno di queste distinzioni, che, se un corpo e` piu` leggero {di un altro}, non solo ha una maggiore quantit`a di vuoto ma anche una quantit`a inferiore di solido. Se risulta superiore a tale proporzione [= quella fra solido e vuoto], non sara` piu` leggero. E` per questo motivo infatti che dicono pure che il fuoco e` il {corpo o elemento} piu` leggero, perche´ cioe` esso contiene piu` vuoto. Ne conseguira`, pertanto, che molto oro, per il fatto che contiene piu` {quantita` di} vuoto di un piccolo fuoco, e` piu` leggero, a meno che non contenga una quantita` di solido molto maggiore. Sicch´e e` questo che si deve dire. (19) Alcuni di quelli che negano l’esistenza del vuoto, per esempio 526 Anassagora ed Empedocle, non hanno dato nessun resoconto del leggero e del pesante; altri, che hanno dato un resoconto, pur non ammettendo l’esistenza del vuoto,527 non si sono espressi per nulla sul perch´e, dei corpi, alcuni sono leggeri in senso assoluto e altri pesanti, e i primi si portano sempre in alto e gli altri in basso; e neppure fanno menzione del fatto che ci sono corpi di mole maggiore che sono piu` leggeri di quelli {ad essi} inferiori {nella mole}; e {in generale} neppure e` chiaro in che modo, dalle {loro} affermazioni, gli riesca di proporre tesi che siano in accordo con i fenomeni. (27) Quanto a coloro che adducono come causa della leggerezza del fuoco il suo possesso di molto vuoto, e` inevitabile che si trovino impigliati praticamente nelle stesse difficolta`. Esso infatti conterra` meno solido degli altri corpi e piu` vuoto {di essi}; ma, tuttavia, ci sara` una quantita` di fuoco nella quale il solido ovvero il pieno sara` eccedente rispetto a {le parti} solide contenute in una quantit`a piccola di terra. Se poi diranno che anche il vuoto {e` eccedente}, come definiranno cio` che e` pesante in senso assoluto? [...] (b8) Ma neppure {ammettere} che il vuoto si trova in un rapporto proporzionale col pieno e` sufficiente a risolvere la difficolta` ora sollevata. Anche se essi adottano questo approccio la {stessa} impossibilit`a consegue ugualmente, perche´ in una quantita` maggiore e in una minore di fuoco il solido presenta lo stesso rapporto col vuoto, ma il fuoco di
525 Questi ‘‘alcuni’’ non possono che essere sempre gli atomisti, perche ´ la causa di cui si parla e` il vuoto ed essi sono gli unici ad ammetterne l’esistenza. 526 Oppure: cioe ` (dato che pare avere in mente solo costoro). 527 Il riferimento deve essere di nuovo alla posizione di Platone nel Timeo (cfr. De gen. et corr. I 8, 325b32-33 = 51.3, con n. 358 al passo), come riconosce anche Simplicio nel suo comm. al passo (686.11 sgg.), da me non riprodotto; nel seguito, a partire da a27, il riferimento a dei pensatori che ammettono il vuoto deve essere agli atomisti; presumo che anche la parte finale del cap., nonostante la sua articolazione in posizioni apparentemente discrepanti, riguardi gli atomisti, almeno laddove si parla di ‘‘coloro che ammettono il vuoto e il pieno’’ (310a1) e di coloro che assegnano ai corpi ‘‘un’unica natura’’ (a7), dato che, nel secondo caso, la teoria ivi discussa coincide con quella attribuita espressamente ad essi da Simplicio in 68.4.1, che agli atomi e` correntemente attribuita un’unica natura (cfr. specialm. 65.1, 65.2 e 66.3) e che l’obiezione finale coincide con quella introdotta in 309a27 sgg.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
quantit`a maggiore si porta in alto piu` rapidamente di quello di quantita` minore, e, di nuovo, allo stesso modo, la quantita` maggiore di oro o di piombo {si porta piu` rapidamente} in basso; e lo stesso vale per ciascuna delle altre cose che posseggono peso. Ma questo non dovrebbe accadere se e` a questo modo che si definiscono il pesante e il leggero. (17) Sarebbe assurdo pure se {i corpi} si portassero in alto per via del vuoto {in essi presente}, ma il vuoto stesso non {facesse cosı`}. D’altra parte, se il vuoto per sua natura si portasse in alto, e il pieno in basso, e per questo fossero la causa per le altre cose dell’uno o dell’altro movimento, non e` nel caso dei composti che si dovrebbe indagare per qual ragione alcuni corpi siano leggeri e altri pesanti, ma e` nel caso di questi stessi [scil. il vuoto e il pieno] che {si dovrebbe} dire per qual ragione l’uno sia leggero e l’altro abbia peso, e ancora quale sia la causa per cui il pieno e il vuoto non sono separati.528 (24) Ed e` pure irrazionale assegnare uno spazio al vuoto, come se esso stesso non fosse uno spazio; ma, se il vuoto si muove, sarebbe necessario che ci fosse un luogo per esso – {luogo} donde e verso il quale si verifica il mutamento. Inoltre quale sara` la causa del movimento? Non puo` certo essere il vuoto, perche´ non e` solo esso ad essere in movimento, ma anche il solido. [b29] La stessa conseguenza si ha 529 anche se si definisca altrimenti, rendendo certe cose (a) piu` pesanti o piu` leggere di altre per via {, rispettivamente,} della grandezza e piccolezza, oppure (b) stabilendone {la differenza} in qualche altro modo, unicamente pero` attribuendo la stessa materia a tutte le cose, oppure {ammettendone} piu` di una, ma unicamente {materie} contrarie. Infatti (b)(i) se {la materia} e` unica, non ci sara` l’assolutamente pesante e leggero, come {avviene} per coloro che costituiscono {i corpi} a partire dai triangoli. (b)(ii) Se {le materie} sono contrarie, come {le postulano} coloro che {ammettono} il vuoto e il pieno, non ci sara` alcuna ragione per cui i {corpi} intermedi fra quelli pesanti e leggeri in senso assoluto siano piu` pesanti e piu` leggeri – fra di loro e rispetto a quelli che sono tali assolutamente. [a3] (a) Distinguerli poi per grandezza e per piccolezza somiglia di piu` ad una finzione delle tesi precedenti, ma, per il fatto che permette, in ciascun caso, di stabilire la differenza dei quattro elementi, si trova in una condizione piu` sicura nei confronti delle difficolta` precedentemente {sollevate}. L’assegnare poi ai {corpi} che differiscono per grandezza una natura unica ha necessariamente la stessa conseguenza che ha la posizione di coloro che ammettono un’unica materia: non ci sara` niente che, in assoluto, sia leggero e portantesi in alto, ma {qualcosa risultera` tale} o perche´ e` rimasto indietro o perche´ e` stato espulso, e molti piccoli {corpi} saranno piu` pesanti di pochi grandi. E, se e` cosı`, ne conseguir`a che molta aria e molto fuoco sono piu` pesanti di {poca} acqua e poca terra; ma questo e` impossibile.
68.2.1. T. Simplicio, In De caelo IV (2, 308b30-309a18), 684.19-26 (om. DK; 20-22 = 368 Lu.): Dopo coloro che definiscono il pesante e il leggero mediante la quantita` e la scarsita` {di numero} delle superfici egli [scil. Aristotele] va dietro a Leucippo e a Democrito e i loro che adducono come causa della pesantezza la compattezza degli atomi e della legge-
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Si intende: invece di stare insieme nei composti. Piu` letteralmente: ‘‘Consegue allo stesso modo’’ (cfr. commento di Simplicio, 68.2.3).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
rezza l’inserimento 530 del vuoto, e dichiara che costoro, per quanto piu` arcaici per la generazione {cui appartengono}, pervennero ad una concezione piu` moderna, sui punti affrontati, di coloro che rendono conto della differenza di pesante e leggero mediante la quantita` e la scarsita` delle superfici. «Piu` moderno» sta per «piu` meditato» e «con piu` comprensione {dell’oggetto}».
68.2.2. T. Simplicio, In De caelo IV (2, 308b35 sgg.), 685.4-11 (om. DK e Lu.): In generale ‘‘per coloro che affermano che le cose primarie ed indivisibili’’, vale a dire gli elementi che non sono divisibili in cose che siano differenti per forma, ‘‘di cui sono composti i corpi che posseggono pesantezza sono superfici, e` assurdo affermare’’ che cio` che e` piu` grande e` ogni volta piu` pesante. Infatti da superfici prive di peso non potrebbero generarsi {corpi} dotati di peso, come egli [scil. Aristotele] aveva detto nel terzo libro.531 Invece per coloro che – come Democrito e i suoi – dicono che le cose primarie sono solidi e` possibile dire 532 che il piu` grande e` piu` pesante: essendo corpi (ma non superfici) anche le cose stesse da cui essi [scil. i composti] derivano, hanno anch’esse un certo momento.
68.2.3. T. Simplicio, In De caelo IV (2, 309b29), 690.17-26 (om. DK e Lu.): Queste cose le adduce [sogg. Aristotele] infine in modo comune contro tutti coloro che parlano di pesante e leggero includendo insieme, in quanto viene ora detto, anche quelle opinioni, contro le quali ha parlato con particolare attenzione, cioe` quella che definisce il pesante e il leggero con la moltitudine e la scarsezza delle superfici e quella che li definisce con il vuoto e il pieno, ed afferma che ‘‘consegue allo stesso modo’’ per essi sia il non dire nulla circa il pesante e il leggero in senso assoluto sia il non dire nulla circa gli intermedi fra le cose che sono pesanti e le cose che sono leggere in senso assoluto. Dice dunque che {«si ha la stessa conseguenza»} anche se si definisse altrimenti le cose piu` pesanti e piu` leggere mediante grandezza e piccolezza, {cio`e} non come Platone ma come Democrito e i suoi. Costoro infatti dicevano che il fuoco si genera da piccole sfere, percio` e` {l’elemento} piu` fine nelle sue parti, la terra da atomi particolarmente grandi, e da intermedi quelli [scil. gli elementi] intermedi.
68.2.4. T. Simplicio, In De caelo IV (2, 310a11-13), 693.25-32 (om. DK; 25-26 = 368 Lu.): [Applicabilita` a Democrito dell’obiezione aristotelica, nel testo commentato, che molti corpi piccoli saranno piu` pesanti di pochi grandi.] Questo, dice Alessandro, puo` essere detto anche nei confronti di Democrito e i suoi, i quali dicevano che il fuoco e` costituito da piccoli atomi sferici. Se infatti tutti gli atomi, essendo della stessa natura, hanno peso e quelli piu` grandi sono piu` pesanti per il fatto di essere piu` grandi, e per questo anche i corpi costituiti da atomi piu` grandi
530 531 532
Si intende: in un gruppo di atomi costituenti un composto. Si intende: del De caelo, con riferimento particolarmente al cap. 1, 299a25 sgg. Nel caso evidentemente dei composti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.C)
sono piu` pesanti, {allora}, se ci sono molti atomi piccoli, saranno piu` pesanti di pochi grandi; e se e` cosı`, molto fuoco sara` piu` pesante di poca terra. O piuttosto, dice [scil. Alessandro], questo si direbbe nei loro confronti se non adducessero come causa il vuoto.
68.3. A. Aristotele, De caelo IV 4, 311a29-b1: [Dopo avere precisato in che senso gli elementi possono essere detti alcuni pesanti e altri leggeri, Aristotele fa un riferimento ai composti:] Dal momento che anche degli altri {corpi} gli uni hanno peso e gli altri leggerezza, e` chiaro che, in tutti i casi, la causa e` la differenza nei non composti, perch´e e` a seconda della maggiore o minore quantita` di quei {non composti} che capita {ad essi di contenere} che, dei corpi, gli uni sono leggeri e gli altri pesanti. Sicche´ e` di quelli [scil. dei non composti ovvero dei semplici] che si deve parlare – gli altri fanno seguito ai primi –, il che e` cio` che, come abbiamo detto, avrebbero dovuto fare anche coloro che enunciano il pesante in termini di pienezza e il leggero in termini di vuotezza.533
68.4. A. Aristotele, De caelo IV 4, 311b13-25 (om. DK e Lu.): Che ci sia qualcosa di assolutamente leggero e di assolutamente pesante e` chiaro da queste {considerazioni che seguono}. Intendo per assolutamente leggero cio` che sempre si porta in alto per sua natura, e per {assolutamente} pesante cio` che sempre si porta in basso, a meno che non sia ostacolato. Infatti sono di tal fatta alcuni {corpi}, e non e`, come ritengono alcuni, che tutti quanti hanno pesantezza: anche ad alcuni altri in effetti pare che ci sia il pesante 534 e che esso si porta sempre verso il centro; ma c’e`, similmente, anche il leggero.535 (b19) Noi vediamo, infatti, come si e` detto in precedenza, che i {corpi} terrosi si mettono al di sotto di tutti {gli altri} e si portano verso il centro. Ma il centro e` determinato. Se dunque c’e` qualche cosa che si solleva al di sopra di tutti {gli altri corpi} – com’e` manifesto del fuoco, che si porta in alto anche nell’aria stessa, mentre l’aria rimane immobile –, e` chiaro che questo si porta verso l’estremita`, sicche´ non e` possibile che esso abbia alcun peso, giacche´, {se avesse peso,} si situerebbe al di sotto di un altro {corpo}. ...
68.4.1. T. Simplicio, In De caelo IV (4, 311b13 sgg.), 712.26-31 (= 68 A 61; 368 Lu.): [Dopo aver commentato la parte iniziale del passo, precisa a chi Aristotele si sta riferendo nella sua polemica:] E dicendo questo ha aggiunto: ‘‘sono di tal fatta’’ [b16], in luogo di ‘‘ci sono corpi di tal fatta’’, e non e` al modo che ritengono Democrito e i suoi, cioe` che tutti hanno peso e che il fuoco, per il fatto che, avendo meno peso, e` espulso dai {corpi} che lo precorrono {nel movimento in basso}, si porta in alto e per questo motivo ha l’apparenza di essere leggero. Costoro sono dell’opinione che soltanto il pesante esista e che questo si porti sempre verso il centro.
533 534 535
Ovvero, che rendono conto del pesante mediante il pieno e del leggero mediante il vuoto. Cioe` ritengono che ci sia il pesante – si intende, in senso assoluto. Si intende: che e` quanto essi (i primi) non riconoscono.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.D)
D. RUOLO
DELLA CONFORMAZIONE POSSEDUTA DAI CORPI
69.1. T. Aristotele, De caelo IV 6, 313a14-b5 (a21-b5 = 68 A 62; a14-b5 = 375 Lu.): Quanto alle figure, esse non sono {le} cause del muoversi in assoluto verso il basso o verso l’alto, ma {solo} del {muoversi} piu` rapidamente o piu` lentamente. Per quali cause, non e` difficile vederlo. La difficolt`a che ora si pone e` perche´ i {corpi} di ferro e di piombo che siano piatti galleggiano sull’acqua, mentre altri, piu` piccoli e meno pesanti, se sono arrotondati o allungati, come per esempio uno spillo, si portano in basso, e perche´ alcuni galleggiano per via della {loro} piccolezza, come per esempio la polvere,536 e altre {sostanze} fatte di terra e in forma di pulviscolo {stanno sospese} nell’aria. (a21) Per tutti questi casi non e` corretto ritenere che *la causa sia quella {che ammette} Democrito: quegli dichiara che le {particelle} calde portate verso l’alto a partire dall’acqua sostengono quelli dei {corpi} pesanti che sono piatti, mentre quelli {di essi} che sono stretti {di figura} precipitano, perche´ sono poche {le particelle} che si urtano con essi. (b2) Ma questo dovrebbe verificarsi ancora di piu` nell’aria – un’obiezione che egli stesso solleva; ma sollevatala la risolve debolmente. Dice infatti che, {nell’aria,} l’ ‘‘impeto 537 ’’ non si spinge in un’unica {direzione}, intendendo per ‘‘impeto’’ il movimento dei corpi che sono portati in alto.
69.2. T + E. Simplicio, In De caelo IV (6, 313a21), 730.7-27 (om. DK; 9-14 e 18-25 = 375 e 145 Lu.): Avendo rilevato le difficolt`a egli [scil. Aristotele] introduce per prima cosa la soluzione di Democrito, rispetto alla quale – egli dice – Democrito {stesso} solleva correttamente un’obiezione ma la risolve debolmente. Democrito risolse l’aporia fino ad un certo punto, parlando {come segue} delle cose calde che sono portate verso l’alto a partire dall’acqua: ci sono semi 538 di tutte le cose in tutte (per cui anche tutte le cose si generano da tutte); questi semi, nell’urtare contro i {corpi} piatti, essendo molti per il fatto che la quantita` d’acqua sotto quelli piatti e` maggiore, li sostengono, vale a dire li tengono in sospensione, mentre quelli stretti {fra i corpi}, essendo pochi {i semi} caldi che li trattengono, sfuggono alla loro resistenza. (14) Risolta a questo modo la difficolta` iniziale Democrito sollevo` correttamente un’obiezione rivolta a lui stesso, dicendo che, se questa fosse la causa del fatto che i corpi piatti sono tenuti sospesi dalle acque, essa dovrebbe produrre questo {effetto} a maggior ragione nell’aria, giacch´e i {semi} caldi sono piu` numerosi nell’aria che nell’acqua. Sollevata a questo modo correttamente l’obiezione Democrito introdusse la soluzione in modo debole e senza vigore. Egli dice infatti che i {corpi} piatti non sono sostenuti nell’aria dai {semi} caldi che vengono su perche´ questi non si sono compattati nell’aria, che e` tenue e diffusa, al modo in cui {si sono compattati} nell’acqua. Essendo dunque questi dispersi, il loro movimento non tende ad uno, cosı´ da sostenere quanto si trova al di sopra,
Simplicio, nel suo commento al passo (cfr. 730.4-5), suggerisce che si tratta di polvere d’oro. In greco sou"= . Forse c’e` un’allusione a Democrito in Platone, Cratilo, 412b, dove si parla di uno Spartano che avrebbe avuto questo nome, e si motiva il fatto con la mobilita` che il suo impeto o slancio mostrava (cfr. T.M.S. BAXTER, The ‘‘Cratylus’’ – Plato’s Critique of Naming, Leiden 1992, pp. 156-157, inoltre vedi Presentazione dei testi, sez. 15). 538 Si deve trattare di atomi o di particelle costituite da atomi. 536 537
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VII.D)
nonostante la sua piattezza, mentre nell’acqua, che e` piu` densa e solida, si combinano e si compattano di piu` i {semi} caldi che sono portati in alto. Forse direbbe che anche la mobilita` dell’aria e` causa delle dispersione. Questa soluzione, pur esposta in modo persuasivo, Aristotele la dichiara debole perche´ non ha sufficiente vigore per addurre in difesa le cause manifeste, come egli stesso fara`.
69.3. T. Aristotele, De caelo III 8, 306b3-5, b29-307a7 e a13-22 (a17-18 = 68 B 155a; 306b3-4, 32-307a3, a16-22 = 131 Lu.): [Polemica contro la riduzione degli elementi a figure geometriche, rivolta principalmente contro Platone, ma con estensione a Democrito.] In generale, poi, il tentare di assegnare figure ai corpi semplici e` irragionevole, in primo luogo perche´ non risulter`a che il tutto [cioe` l’universo o il mondo] sia riempito. [Seguono una giustificazione di questa obiezione e alcune altre obiezioni, una delle quali e` riesposta da Simplicio nella parte del suo commento riportata come 21.2.] (b29) Tuttavia, le figure sono in disarmonia con i corpi anche per quel che concerne le {loro} affezioni e le {loro} potenze e i {loro} movimenti, cioe` per quanto essi piu` hanno considerato nel ripartirle in tal modo. Ad esempio, siccome il fuoco e` molto mobile e capace di scaldare e di bruciare, gli uni 539 l’hanno reso sfera, gli altri piramide. Queste {figure} sono particolarmente mobili perche´ entrano in contatto {con altri corpi} col minor numero di parti e sono minimamente stabili, e sono particolarmente capaci di scaldare e di bruciare perche´ l’una {figura, cio`e la sfera} e` tutt’angolo, l’altra perche´ ha gli angoli piu` acuti, ed e` con gli angoli che {esse} bruciano e riscaldano, come affermano costoro. (a4) In primo luogo entrambi {i gruppi di pensatori} sono caduti in errore circa il movimento. Infatti, anche se queste sono le piu` mobili delle figure, non e` vero che sono mobili col movimento del fuoco, perche´ quello [scil. il movimento] del fuoco e` verso l’alto e in linea retta, mentre questi sono mobili in modo circolare, del {movimento} detto rotolamento. [...] (a13) Ancora, se il fuoco scalda e brucia per via dei {suoi} angoli, tutti gli elementi saranno riscaldanti, anche se forse l’uno piu` dell’altro, giacche´ tutti hanno angoli, per esempio l’ottaedro e il dodecaedro. (Per Democrito anche la sfera, essendo come un angolo, taglia nella sua mobilita`.) 540 Sicche´ la differenza sar`a solo di grado. Ma che questo e` falso, e` palese. Insieme seguira` che anche i corpi matematici brucino e scaldino, giacche´ anche quelli hanno angoli, e in essi sono presenti indivisibili, cioe` sfere e piramidi, specialmente se esistono grandezze indivisibili, come essi [scil. questi pensatori] sostengono.
69.4. T. Simplicio, In De caelo III (8, 306b29 sgg.), 661.29-662.1 (om. DK; = 131 Lu.), 662.7-12 (10-12 = 68 B155a; 7-12 = 131 Lu.): Dal momento, egli [scil. Aristotele] dice, che il fuoco e` molto mobile e riscaldante e bruciante, Democrito e i suoi l’hanno reso sfera, mentre coloro {che ammettono} le super-
Costoro sono Democrito e i suoi, come viene precisato da Simplicio nel suo commento (cfr. 69.4). La precisazione ‘‘nella sua mobilita` (wJ" eujkivnhton)’’ non pare indispensabile, anche perche´ in precedenza la mobilita` era proprio fatta dipendere dalla figura ad angolo, e viene omessa da D.J. ALLAN, Aristotelis De Caelo, Oxford 1936. (La riduzione degli elementi a solidi come l’ottaedro e il dodecaedro e` un’operazione compiuta da Platone nel Timeo.). 539 540
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.A)
fici [scil. Platone e i suoi] {l’hanno reso] piramide. E in effetti la sfera e` molto mobile per il fatto di toccare la superficie soggiacente in un punto e, come dice Platone,541 procede su di un piede piccolissimo [...]. Queste figure paiono essere particolarmente riscaldanti e brucianti, perche´ bruciano e scaldano mediante gli angoli, come essi dicono, in quanto disaggregano e dividono i corpi in particelle sottili, ma la piramide e` particolarmente dagli angoli acuti, la {figura} sferica e` tutta angolo, giacch´e, se l’incurvato e` un angolo, la sfera, che e` incurvata in tutta se stessa, plausibilmente e` detta tutta angolo.
69.5. T. Simplicio, In De caelo III (8, 307a19), 664.26-665.3, 5-8 (om. DK; 664.30-32, 5-7 = 131 Lu.): E` l’undicesima confutazione {aristotelica}, che riduce il discorso a molta assurdita` e ridicolo. Infatti, se e` mediante gli angoli che il fuoco brucia e scalda, ne ‘‘seguir`a che anche i corpi matematici brucino e scaldino’’. Sicuramente nel loro caso l’addurre a causa l’acutezza degli angoli non e` di aiuto al discorso, giacche´ anche negli enti matematici c’e` l’angolo acuto e le piramidi e le sfere, e queste come indivisibili, al modo in cui lo sono quelli postulati da costoro,542 vale a dire non divisibili in {parti} simili al tutto: la sfera non e` {divisibile} in sfere e neppure lo e` affatto la piramide in piramidi. [...] Se anche esistono grandezze indivisibili che siano impassibili e senza qualita`, come lo sostengono Democrito e i suoi e come {lo sostiene} Senocrate nel postulare linee indivisibili, cio` sarebbe evidentemente in contrasto con le matematiche ...
VIII. NECESSITA` , A. TUTTO
CASO E FINE
AVVIENE PER NECESSITA`
70.1. T + F. Stobeo, Eclogae I 4, 7c(3) [dopo 70.3] (= 67 B 2; 22 Lu.) [= Aezio I 25, 4 (Dox. 321)]: (Sulla necessit`a divina mediante la quale si verifica inesorabilmente quanto e` conforme alla volonta` del dio) Di Leucippo: tutto e` secondo necessit`a e questa e` il destino. Dice infatti nel {libro} Sull’intelletto: «nessuna cosa avviene in modo insensato, ma tutto con {una} ragione e per necessit`a.»
70.2. T. Stobeo, Eclogae I 4, 7c(1)(2) [70.2 + 70.2.1 = Aezio I 25, 3 (Dox. 321)]: [Il passo precede 70.1, con lo stesso titolo; segue, a distanza di qualche riga, la menzione di un detto di Talete.] Pitagora disse che la necessita` abbraccia il mondo.
541 542
Riferimento a Politico 270a. Sta parlando s’intende proprio degli atomi (in greco: indivisibili).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.A)
Di Parmenide e di Democrito: essi {hanno dichiarato} che tutto {avviene} secondo necessita`, e che questa e` il destino e la giustizia e la provvidenza e quanto produce il mondo.543
70.2.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 25, 2-3 (= 28 A 32; 23 e 589 Lu.): (Sulla necessita`) [Immediatamente dopo la menzione di un detto di Talete.] Pitagora disse che la necessita` abbraccia il mondo. Parmenide e Democrito {hanno dichiarato} che tutto {avviene} secondo necessita`, e che questa e` il destino e la giustizia e la provvidenza e quanto produce il mondo.
70.2.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 40 (620.3 e 6-7): (Sulla necessita`) & stesso testo di 70.2, ma variato nell’introdurre esplicitamente: ‘‘hanno dichiarato che avviene’’, e nell’omettere: ‘‘e quanto produce il mondo’’.
70.3. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio VI 13 (om. DK; riferimento in 22 Lu.): (Sulla provvidenza divina) [Sul tema del destino, di seguito alla citazione di Enomao, cfr. 73.6.1.] Non soltanto Democrito, Crisippo, Epicuro e i loro dissero che tutto avviene secondo necessita`, chiamando necessita` il destino, ma anche il celebrato Pitagora affermo` che la necessita` abbraccia il mondo. Parmenide poi denomino` la necessita` sia Demone sia Giustizia sia Provvidenza. [Segue passo su Eraclito] 544
70.4. T. Suda, s.v. ajnagkaion = (A 1827) [I 164.5-6, 11-13, 15-16 (164.5, 11-13 = D.L. IX 45, p. 459.19-20 (= 4.1))] (om. DK; = 103 Lu.): Democrito di Abdera dice 545 ... che tutto si genera secondo necessita`, e il vortice, che e` la causa della generazione di tutte le cose, lo chiama necessit`a. (Divide [scil. Aristotele?]
543 Questo secondo periodo (salvo ‘‘e che questa e ` il destino’’, clausola presente anche in 70.1, similmente in 70.3) puo` applicarsi unicamente a Parmenide, come mostra non solo il periodo finale su Parmenide in Teodoreto (70.3) ma anche l’asserzione in Stobeo I 22, 1a (= Aezio II 7, 1 [Dox., p. 335] = 28 A 37) che egli aveva denominato la Demone sia Giustizia sia Necessita`, oltre che come colei che distribuisce la sorte (quest’ultima qualifica presumibilmente viene richiamata dalle idee di provvidenza e di destino introdotte nelle altre testimonianze). E` evidente che i passi 70.1-3 presentano un certo parallelismo (presumibilmente perche´ dipendono da una stessa fonte, da Diels identificata in Aezio), ma solo in Stobeo c’e` il passo concernente Leucippo. 544 Questo coincide con quanto di Eraclito viene detto in Ps.-Plutarco, I 27 (Sul destino), 1 (= 22 A 8 DK). 545 Quanto ho omesso nel seguito coincide anch’esso con 4.1 (§ 44). Questa coincidenza non si presenta piu` per il brano finale, da me messo fra parentesi perche´ evidentemente non democriteo: come segnalato da A. ADLER nell’apparato alla sua ed. di Suda (Suidae Lexicon, Pars I, Leipzig 1928), esso coincide invece con quanto Alessandro di Afrodisia, nel suo commento a Topici II, 6, 112b1-2 (In Aristotelis topicorum libros octo commentaria, Berlin 1891, p. 177.19-27), propone a chiarimento del passo aristotelico.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.B)
gli enti nell’essere {semplicemente} o nell’essere per necessita`, per esempio che l’uomo e` di necessita` un animale ..., e altri {enti sono distinti per essere} in modo contingente, e fra quelli contingenti gli uni sono per lo piu` ...gli altri sono nella minoranza {dei casi} ...)
70.5. T. Cicerone, De fato 17, 39 (= 68 A 66; 24 Lu.): [Ricapitolazione delle principali posizioni in discussione nell’opera.] A me sembra che, mentre i filosofi di una volta furono di due opinioni, una essendo di quelli che ritenevano che tutte le cose avvengono per destino, in modo tale che il destino conferisce {ad esse} la forza della necessita` (e di questa opinione furono Democrito, Eraclito, Empedocle e Aristotele 546), l’altra essendo di coloro cui e` sembrato che ci siano dei movimenti volontari delle anime senza alcun {intervento del} destino, Crisippo abbia voluto tenere la via di mezzo come un giudice conciliatore ...
B. IL
RIFIUTO DEL CASO COME CAUSA
71.1. A. Aristotele, Physica II 4, 195b36-196a16 (195b36-196a2 = 68 A 68; 195b36-196a16 = 24 Lu.): [Su caso e fortuna, se e in che modo sono cause di eventi.] Alcuni in effetti ci pongono perfino di fronte alla difficolt`a se essi esistono o no,547 perche´ sostengono che niente avviene fortuitamente, ma c’e` sempre una causa determinata di tutto cio` che diciamo avvenire per caso o per fortuna, per esempio del recarsi al mercato e dell’incontrarvi per fortuna 548 chi si voleva sı`, ma non ci si attendeva {di incontrare}, e` causa il volerci andare per fare acquisti; parimenti anche a proposito degli altri eventi che si dicono dovuti alla fortuna c’e` sempre qualche cosa che si puo` trovare che ne e` la causa, ma non la fortuna; (196a7) dal momento che, almeno, se la fortuna fosse qualcosa {di esistente}, apparirebbe davvero come qualcosa di molto strano, e ci si potrebbe domandare come mai nessuno degli antichi sapienti, nell’enunciare le cause della generazione e della corruzione, abbia detto niente di preciso riguardo alla fortuna, a quanto pare anch’essi ritenendo che non ci sia niente che sia dovuto alla fortuna. (196a11) Tuttavia questo stesso 549 e` sorprendente, giacche´ molte cose avvengono o sono per fortuna o per caso, delle quali non si ignora che e` possibile (come suggerisce
546 Errore per Anassagora? (La correzione e ` proposta dal Karsten). E` pero` possibile che Cicerone, che non mostra di conoscere De interpretatione 9, risenta di un’interpretazione del pensiero di Aristotele che fa di lui un fatalista (cfr. Academica posteriora I 7, 29, e discussione della questione nella nota di commento al passo del De fato di R.W. SHARPLES, Cicero: On Fate, Warminster 1991, p. 186). 547 e[nioi ga;r kai; eij e[stin h] mh; ajporousin. Non si puo ` tradurre (come si tende a fare): «alcuni sol= levano la difficolta` (o hanno il dubbio) se ...», perche´ si tratta di persone che (come mostra il seguito) non hanno esse stesse alcuna incertezza sulla non-esistenza del caso. Il senso e` quindi che la loro tesi (con le argomentazioni a sostegno) pone noi di fronte alla difficolta` se ammettere o no la sua esistenza. 548 L’espressione ‘‘per fortuna’’ in greco si trova nella prima parte del periodo, ma palesemente la fortuna (e la casualita`) sta nell’incontro. 549 Si intende: il loro silenzio.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.B)
il vecchio detto che elimina la fortuna) riportare ciascuna ad una qualche causa di quanto avviene, e tuttavia di questi eventi tutti dicono che sono in parte per fortuna e in parte non. Pertanto essi avrebbero dovuto farne menzione, in un modo o nell’altro.550
71.2. T. Simplicio, In Physica II (4, 196b31 sgg.), 328.1-5 (om. DK; 328.3-5 = 24 Lu.): Inoltre vediamo che alcune delle cose che si generano per arte si generano anche per fortuna: la salute pare generarsi per fortuna allo stesso modo come per arte, giacche´ {p. es.} uno, assetato, ha bevuto dell’acqua fresca ed e` diventato sano; ma forse *Democrito non direbbe che la causa e` la fortuna ma l’aver sete.
71.3. T. Simplicio, In Physica II (4, 196a11 sgg.), 330.14-20 (= 68 A 68; 24 Lu.): La frase «come il vecchio detto che elimina la fortuna» sembra essere detta in rapporto a Democrito. Quegli infatti, sebbene nella sua cosmogonia sembrasse avere fatto uso della fortuna, nelle {trattazioni} piu` particolari afferma che la fortuna non e` causa di nulla, riconducendola 551 ad altre cause; per esempio, della scoperta del tesoro {e` causa} lo scavare o il piantare un ulivo, e della frattura del cranio del calvo {e` causa} l’aquila che scaglia la tartaruga, affinche´ se ne rompa il guscio.552 Cosı` riferisce Eudemo.553
71.4. E. Simplicio, In Physica II (5, 196b10 sgg.), 338.4-10 (om. DK e Lu.): Sembrerebbe che anche Democrito, sebbene differenziandosi,554 concordi con le nozioni circa la fortuna; dice infatti che non e` per fortuna che si trova il tesoro, ma che si era scavato per piantare o per trovare l’acqua o qualche altra cosa del genere, fra quelle {compiendo le quali} si sarebbe potuto fare la scoperta, e che ciascuno di questi {obbiettivi} sarebbe e diventerebbe allo stesso modo causa; essendo dunque molte le cose che possono essere causa per Democrito la causa sarebbe indefinita anche a questo modo, e non per se stessa ma per concomitanza: e` infatti un coincidente rispetto alcune cose differenti in vista delle quali c’e` lo scavo.
550 Nel seguito viene suggerito, con riferimento ad Empedocle, che essi di fatto ricorrono al caso e alla fortuna nel rendere conto di certi eventi di ordine cosmologico; 196a24-35 (= 72.1), che introduce una posizione intermedia fra i negatori del caso e coloro che lo ammettono, si collega a questo pezzo, che e` di transizione. 551 Oppure: riconducendo gli eventi da spiegare ... 552 Questa morte dovuta ad un’aquila che avrebbe preso il cranio di un calvo per una pietra viene raccontata di Eschilo (cfr. Vita di Eschilo, cod. Mediceus, § 10; Suda, s.v. Aijscuvlo"; Aelianus, De natura animalium VII 16, Plinius, Naturalis historia X (3) 7). 553 La fonte e ` la sua Fisica (il passo e` riportato come fr. 54a nell’Eudemos von Rhodos di F. WEHRLI, Basel 1969, mentre Simpl. Phys. 338.4-6 [= 71.4] e` riportato come fr. 54b, ma non e` evidente che si tratti di un’altra citazione di Eudemo, che era stato menzionato in 336.20 (= fr. 56); cfr. anche 72.3, con n. 558 ad loc. 554 Presumo: da Aristotele (la cui teoria viene esposta nel contesto; l’esempio della scoperta del tesoro compare peraltro non in Phys. II ma in Metaph. V (D) 30).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.C)
C. IL
RICORSO AL CASO IN COSMOGONIA
72.1. A. Aristotele, Physica II 4, 196a24-35 (= 68 A 69; 18 Lu.): Ci sono poi alcuni che adducono il caso come causa perfino di questo {nostro} cielo 555 e di tutti quanti i mondi: e` per caso che si sarebbe generato il vortice e il movimento separante e disponente il tutto nell’ordine presente. (a28) E questo stesso e` particolarmente degno di sorpresa: pur dichiarando che gli animali e le piante ne´ sono ne´ si generano casualmente, ma che la causa e` la natura o l’intelletto o qualcos’altro del genere (infatti non e` cio` che capita che si forma da ciascun dato seme, ma da questo tal seme qui un olivo, da quest’altro tal seme qui un uomo), per un altro verso {dicono} che il cielo e i piu` divini degli esseri manifesti si sono generati per caso e non hanno nessuna causa del tipo di quella degli animali e delle piante.
72.2. A. Aristotele, De partibus animalium I 1, 641b16-23 (om. DK e Lu.): [Viene suggerito, usando il parallelo con il procedimento delle arti, che in natura deve essere operante la causa nel senso del fine, sicche´ il naturalista deve tener conto di questa.] ... e` ancora piu` plausibile che il cielo si sia generato per una tale causa – se esso ha avuto un’origine –, e che esso esista per una tale causa, che non i viventi mortali. In effetti l’ordine e la definitezza sono ben piu` manifesti nei cieli che intorno a noi, mentre le variazioni e la casualita` sono piu` manifeste nelle cose mortali. Ci sono invece alcuni che affermano che ciascuno degli animali esiste e si e` generato per natura, mentre il cielo e` costituito in tal modo per fortuna e per caso – {proprio il cielo} nel quale nulla si manifesta di derivante dal caso e dal disordine.
72.3. T + C. Simplicio, In Physica II (4, 195b31 sgg. [= 71.1]), 327.14-16 e 2326 (= 68 A 67 e B 167, 19 Lu.): E infatti anche di qui 556 la gente ritiene che la fortuna e il caso siano causa di molte cose, e anche se i fisiologi non dicono nulla al riguardo, ne fanno uso e la menzionano come qualcosa di esistente.557 [...] Ma anche Democrito, laddove afferma che «dal tutto si e` separato un vortice di forme svariate» (ma come e per quale causa non lo dice) pare volerlo generare per caso o fortuna. A sua volta Anassagora avendo lasciato stare l’intelletto, come dice Eudemo,558 costituisce le molte cose in modo casuale.
555 Il termine oujranov" qui e ` ambiguo: in relazione al seguito immediato ha soprattutto il senso di «mondo», ma piu` oltre, in 196b3, ricorre (con un richiamo al passo presente) col senso di «cielo». 556 Cioe ` dal dire comunemente che ci sono eventi che si verificano per fortuna o per caso (a questo modo di parlare corrente si allude nel testo aristotelico). 557 Nel seguito immediato, da me omesso, il commentatore si occupa di Empedocle, come avviene anche nel testo aristotelico da lui commentato. 558 Forse questi e ` la fonte anche del brano su Democrito, ma Wehrli nella sua raccolta riporta come fr. 53 solo il brano su Anassagora.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.C)
72.4. T. Simplicio, In Physica II (4, 196a24-35 [= 72.1]), 331.16-332.1 (om. DK, salvo riferimento in 68 A 69; = 331.16-22 = 18 Lu.): Democrito e i suoi paiono incappare in qualcosa di assurdo in due modi: (I) il primo e` che ‘‘di questo cielo’’ – ma che dico di questo {unico} cielo?! –, che ‘‘e di tutti i mondi’’, i quali per essi sono molti o infiniti, pur adducendo come causa il caso (‘‘per caso’’ dicono infatti essere ‘‘il vortice e il movimento separante e disponente il tutto nell’ordine presente’’), tuttavia non dicono che cosa sia il caso; (II) come seconda cosa ‘‘e` degno di sorpresa’’, nei loro riguardi, come sostengano che ‘‘gli animali e le piante ne´ sono ne´ si generano casualmente, ma che e` la natura o l’intelletto o qualcos’altro del genere’’ la causa di essi (25) – {causa} che e` definita e non e` ne´ disordinata ne´ irrazionale (questo e` del tutto evidente, dal momento che non si genera una cosa qualsiasi da un’altra qualsiasi, ma dallo sperma umano un uomo, da una vite una vite, e nessuno dice che e` per fortuna che un cavallo e` procreato da un cavallo, giacche´ non e` per fortuna cio` che e` ordinato e che e` allo stesso modo sempre o per lo piu`) –, mentre d’altra parte le cose piu` grandi e «piu` divine» fra quelle sensibili, cioe` il cielo e il movimento degli astri, nei quali non c’e` niente di indeterminato e di disordinato, queste {appunto} le riportano al caso e alla fortuna, non riconoscendo per esse nessuna causa quale dicevano esserci per gli animali e le piante, cioe` determinata e operante in modo razionale e ordinato; e pur tuttavia non dicono niente circa la fortuna o il caso.
72.5. T. Filopono, In Physica II (4, 195b28 sgg. [ma 196a24 sgg.]), 261.31262.20 (om. DK; = 18, 346 e 378 Lu.): «Ci sono poi alcuni», egli [scil. Aristotele] dice, e intende Democrito e i suoi, i quali, avendo ritenuto che essa [scil. la fortuna] sia la causa «di questo cielo» e delle cose piu` divine fra quelle visibili, non si sono espressi neppure in modo minimo intorno ad essa.559 Democrito infatti, avendo postulato infiniti mondi, disse che e` fortuitamente che questo mondo si genera in questa parte del vuoto che e` infinito, mentre un altro {si genera} in un’altra parte; ma dice anche che la fortuna e` causa dello stesso ordinamento cosmico degli enti, giacche´ gli atomi, muovendosi in modo fortuito, vengono a congiungersi e producono, al piu` esterno di tutto il mondo, il cielo, e, successivamente, il resto nell’ordine in cui e` . (8) E anche la terra si e` fermata fortuitamente: il vortice del cielo conduce attorno con se´ l’aria interna {al cielo stesso}, e quest’aria, per il fatto di essere continua con la terra (essendo da ogni parte a contatto con essa), con il suo rapido movimento vorticoso non le permette di cadere, ma la preserva immobile, al modo in cui coloro che fanno volteggiare i recipienti pieni d’acqua non versano nulla dell’acqua per la rapidita` del volteggio; infatti il movimento e il volteggio del contenente essendo piu` rapido del movimento naturale di cio` che e` dentro perviene a muoversi attorno prima che quello cada fuori dalla sua propria sede. (15) Pertanto egli [scil. Aristotele] anche critica Democrito perche´ afferma che nessuna delle cose particolari si genera fortuitamente (infatti non e` che una cosa a caso si generi da un’altra a caso) e nella spiegazione rivolta ai particolari (per esempio, perche´ le cose calde e quelle bianche separano? e perche´ il miele e` dolce?) adduce come causa la
559 Qui Filopono, pur commentando un passo aristotelico nel quale questa critica non compare, estende a Democrito l’osservazione precedentemente introdotta da Aristotele di non aver chiarito che cosa siano la fortuna e il caso (similmente anche Simplicio alla fine di 72.4).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.D)
posizione e l’ordine e la figura degli atomi, mentre afferma che causa della stessa generazione degli interi e` il caso.
72.6. T. Filopono, In Physica II (4, 196a24 sgg.), 264.27-265.1 e 265.5-9 (om. DK; 265.5 = 288 Lu.; 265.6-9 = 18 e 370 Lu.): Dal momento che ciascuno degli elementi ha il proprio movimento, che lo differenzia dagli altri [...], questo loro movimento per il quale si differenziano gli uni dagli altri dicono 560 che si genera in essi fortuitamente; e il vortice che dispone il tutto nell’ordine in cui si trova attualmente – di modo che l’aria sia condotta attorno insieme al cielo e, per via del suo rapido movimento vorticoso, la terra sia mantenuta nel mezzo –, essi dicono allo stesso modo che si genera per caso e per fortuna.
D. LA
FORTUNA
(O
IL DESTINO ) COME CAUSA OCCULTA
73.1. Aristotele, Physica II 4, 196b5-7 (= 68 A 70; 28 Lu.): [Si tratta della terza posizione introdotta nel capitolo, dopo quella riportata in 71.1 e quella riportata in 72.1.] Ci sono infine alcuni che sostengono che la fortuna e` sı` una causa, ma occulta all’intelligenza umana, in quanto e` qualcosa di divino e di soprannaturale.
73.2. Simplicio, In Physica II (4, 196b5-7), 332.35-333.11 (om. DK e Lu.; in parte come SVF II, 965): Ci sono alcuni che, anche se non dicono in modo esplicito che ci sia la fortuna, da quanto dicono sono costretti ad ammettere la sua sussistenza, e ci sono alcuni che ammettono senz’altro che ci sia la fortuna e dicono che essa e` una causa. Che cosa sia, non sono in grado di dirlo, ritenendo che essa sia occulta all’intelligenza umana in quanto e` qualcosa di divino e di demonico e per questo superiore alla conoscenza umana, come paiono sostenere gli Stoici. E che molti siano di questa opinione e` chiaro dal loro adorare la Fortuna come una divinita` e costruire templi per essa e cantare inni ad essa rivolti. Parrebbe che l’opinione riguardante la Fortuna come qualcosa di divino ci sia stata presso i Greci anche prima di Aristotele e che {essa} non sia stata sostenuta {solo} dai primi Stoici, come alcuni ritengono. E infatti anche Platone nelle Leggi 561 dice ‘‘che c’`e un dio, e insieme al dio la Fortuna e l’Opportunit`a, che governano tutti gli affari umani’’.
73.3. Filopono, In Physica II (4, 196b5-7), 266.8-12 (om. DK e Lu.): Ci sono alcuni altri che, egli ½scil. Aristotele dice, affermano che la fortuna e` qualcosa {di esistente}, come se fosse una cosa divina o demonica, ma che e` occulta alla nostra in-
560 Il soggetto deve essere ‘‘Democrito e i suoi’’, come in 72.5 (come mostra anche l’attribuzione ad essi della stessa teoria della stabilita` della terra), ma non e` reso esplicito nel contesto immediato. 561 Cfr. Leggi IV, 709B.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.D)
telligenza, e la definiscono a partire dalla loro propria ignoranza, dicendo che la fortuna e` cio` che e` occulto all’intelligenza umana. Questo non e` dire che cosa mai sia la fortuna, ma che cosa essa non e`.
73.4. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 29, 1-4 (4 = 59 A 66 [richiamo in 68 A 70]; 28 Lu.): (Sulla fortuna) Platone {dice che la fortuna} e` una causa per concomitanza e una conseguenza nell’ambito delle cose che sono oggetto di scelta deliberata. (2) Aristotele {dice che la fortuna} e` una causa per concomitanza nell’ambito delle cose che si verificano per un impulso orientato al fine, {una causa che e`} oscura e instabile. [...] (3) Epicuro {dice che la fortuna} e` una causa instabile per le persone, per i tempi, per i luoghi. (4) Anassagora e gli Stoici 562 {dicono che la fortuna} e` una causa occulta all’intelligenza umana: alcune cose sono infatti per necessita`, altre per destino, altre ancora per scelta deliberata, altre per fortuna e altre ancora per caso.
73.4.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 43 (620.23 e 25-27): (Sulla fortuna) & Stesso testo di 73.4, ma sono omessi il periodo riguardante Epicuro e quello riguardante Aristotele.
73.4.2. VA. Stobeo, Eclogae I 7, 9 [con 73.4 = Aezio I 29, 7 (Dox. 326)]: (Che il movimento della fortuna e` irrazionale) & (9a) Stesso testo di 73.4, compreso il periodo riguardante Epicuro, ma non e` inclusa la parte riguardante Platone e Aristotele (questa e` inserita altrove, in I 6, 17a). (9b) Fortuna e` la denominazione dell’attivita` disordinata.563
73.4.3. VA. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio VI 15-16: [Di seguito alla trattazione del destino, per la quale cfr. 73.6.1 e 70.3.] ... e la fortuna allo stesso modo [scil. del destino] alcuni l’hanno concepita come un dio e l’hanno adorata come un dio; Platone 564 disse che essa e` una causa che si genera per concomitanza, e di nuovo la chiamo` coincidenza della natura o della scelta deliberata; e Aristotele allo stesso modo disse che e` una causa per concomitanza nell’ambito di cio` che si verifica per un impulso orientato al fine, {una causa che e` } oscura e instabile. Anassagora e Democrito e quelli che ricevono il nome dal Pecile {dissero che e`} una causa oscu562 Nel testo che viene riportato come Aezio I 29, 7 sotto Anassagora, test. 66, in DK, viene aggiunto il nome di Democrito che e` tratto unicamente dalla versione di Teodoreto. 563 Manca ogni attribuzione per questo brano. 564 Il tenore complessivo del passo suggerisce che le particelle men e de (associate ad ‘alcuni’ e a ‘Platone’) non hanno valore avversativo (per l’antitesi in forma debole cfr. J.D. DENNISTON, The Greek Particles, Oxford 1934, p. 370), ma che tutte le posizioni che sono esposte, a partire da quella di Platone, sono ritenute illustrare la tesi che la fortuna e` concepita come un dio. (Anche Festa e Canivet, nelle loro traduzioni, intendono il passo a questo modo).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.D)
ra all’intelligenza 565 umana. (16) Ma il comico Filemone, pur essendo un poeta del ridere, accusa apertamente quelli che considerano la fortuna come un dio ...
73.4.4. Stobeo, Eclogae I 6, 17c(2): (Sulla fortuna e sul caso) Epicuro {dice che} tutte le cose sono per necessit`a o per scelta deliberata o per fortuna.
73.5. T. Suda, s.v. eiJmarmevnh 144) [II, 529.14-22] (om. DK; 16-20 = 312 Lu.): Il destino dicono essere un potere necessitante e mettente in moto la materia. Della fortuna Platone disse che e` una causa che si genera per concomitanza oppure che e` una coincidenza della natura o della scelta deliberata; e Democrito disse: *alcune cose tutti le abbiamo dal dio, altre dal caso fatale e da quei corpi piccolissimi e manifestamente portantisi in alto e in basso e agitantisi e intrecciantisi e allontanantisi e ruotanti per necessita`.566 Ad opera di questi, disse, si assegnano non soltanto la ricchezza e la povert`a e la malattia e la salute e la schiavitu` e la liberta` e la guerra e la pace, ma anche sono dati in sorte la virtu` e la malvagit`a.
73.6. T. Enomao di Gadara, presso Eusebio, Praeparatio evangelica VI 7, 2 e 18 (om. DK.; cit. piu` ampia come 62 Lu.): [Sono due brani del discorso, dovuto al cinico Enomao e tratto dalla sua Gohvtwn fwvra,567 di censura rivolta a Democrito e Crisippo, perch´e essi fanno anche dell’uomo migliore uno schiavo, in quanto sottopongono la libert`a del nostro intelletto alla necessita` del destino (eiJmarmevnh).] (2) ... Per quanto dipende dai sapienti, ecco quello che e` scomparso dalla vita umana: sia che la si voglia chiamare timone o sostegno o base, e` scomparsa la podest`a sulla nostra vita 568 – {la podesta`} che noi abbiamo posto come signora assoluta delle cose piu` necessarie, mentre *Democrito, se non mi inganno, e Crisippo, pensano di aver mostrato l’uno schiava, l’altro semischiava quella che e` la piu` bella fra le cose umane*. [...] (18) Perche´ mai, laddove a voi paia, questo [scil. l’apprensione di se stesso come dotato di libero arbitrio] sara` massimamente degno di fede e di rispetto, laddove non vi paia, ci sara` a dominarlo qualcosa di occulto, destino o fato, che varia per ciascuno di voi 569 Oppure: alla ragione (logos). In questo periodo ci sono palesi coincidenze con un passo di Enomao riportato da Eusebio (73.6), ma quest’ultimo presenta delle variazioni, delle quali la piu` significativa e` che la tesi che ci sono cose che dipendono dalla divinita` e` attribuita a Crisippo, non a Democrito. 567 Questo titolo, che si puo ` rendere con ‘smascheramento dei ciarlatani’, viene citato da Eusebio in VI 6, 74, con richiamo a quanto egli aveva detto del libro e del suo autore in V 18, 6 e 21, 6. 568 Si intende: il libero arbitrio. (Nel seguito la posizione di Crisippo e ` tenuta distinta da quella di Democrito per averlo reso solo ‘semischiavo’, dato il riconoscimento da parte degli Stoici di un sfera di cio` che e` in nostro potere, ma nel § 18 le loro posizioni non sono piu` tenute distinte da questo punto di vista). 569 I MSS di Teodoreto qui hanno ‘noi’, per cui Festa, che si attiene ad essi, e ` obbligato a tradurre piuttosto liberamente, ‘‘con diversi doni per ciascuno di noi’’ (precisando in nota: ‘‘avendo (con se´, cioe` recando) cose diverse a ciascuno’’), ma il seguito giustifica male tale resa. 565 566
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.E)
[scil. Crisippo e Democrito]: per l’uno viene dal dio, *per l’altro da quei noti piccoli corpi portantisi in basso e in alto e agitantisi 570 e intrecciantisi e separantisi e allontanantisi e accostantisi per necessita`?
73.6.1. V. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio VI 8 e 9: [L’autore offre la stessa citazione di Eusebio, indicando la sua fonte, cio`e lo scritto di Enomao, ed evidenziando l’intento del cinico di rifiutare il fatalismo che e` dato per ammesso nel ricorso ad oracoli come quello di Apollo.] & Stesso testo di 73.6, ma con qualche variante.571
73.7. Alessandro, De fato 2 [165.19-23] (= 59 A 66): [Tesi di partenza dell’autore: il destino (eiJmarmevnh) deve esistere, perche´ gli uomini ne hanno una prenozione (provlhyi").] Per questa ragione neppure Anassagora, per quanto per altri rispetti non disprezzabile fra coloro che si sono occupati di filosofia naturale, e` degno di credenza quando fa da teste contro la credenza comune degli uomini circa il destino; questi dice infatti che nulla di cio` che avviene, avviene per destino, ma questo e` un nome vuoto.
E. NECESSITA`
E CASO COMBINATI A SPIEGAZIONE DEGLI EVENTI
74.1. TN. Aristotele, Physica II 8, 198b10-32 (b29-32 = 31 B 61; b10-32 = 31 e 516 Lu.): Per prima cosa bisogna dire che 572 la natura e` fra le cause in vista di qualcosa, poi, riguardo al necessario, in che modo esso si riscontri nelle cose naturali, (b12) poiche´ tutti 573 si rifanno a quest’{ultima} causa, {asserendo} che,574 dal momento che il caldo e` per natura costituito in tal maniera e il freddo {in tal’altra} e {similmente} ciascuno di tali fattori, di necessita` esistono e si generano certe cose.575 In effetti anche se essi enunciano un’altra causa – l’uno l’amore e l’odio, l’altro l’intelletto –, non appena l’hanno toccata, la lasciano perdere. 570 Ho uniformato il brano a quello corrispondente in 73.5, perche ´ il costrutto originale (da rendersi con ‘‘portantisi in basso e respinti verso l’alto’’) mi pare meno naturale. Per paralleli si vedano Teodoreto IV 10 (= 5.2) e Suda, s.v. atoma (= 5.2.1). 571 Il passo di Enomao citato da Teodoreto, VI 8-10, coincide con quanto viene riportato da Eusebio, PE VI 7, 2-3, 17-18, 20, ma in quest’ultimo l’intero cap. 7 e` citazione (= Enomao, fr. 14 Mullach, FPhG II; P. VALLETTE, De Oenomao Cynico, Paris 1908, pp. 68-80; J. HAMMERSTAEDT, Die Orakelkritik des Kynikers Oenomaus, Frankfurt/Main 1988, fr. 16). 572 Diovti va tradotto «che», non «perche ´ », come mostrano l’andamento complessivo dell’esposizione e i richiami a questo inizio in 199a30-32 e in 199b32. 573 Si intende: i naturalisti. 574 Alcuni traduttori (p. es. O. HAMELIN , Aristote: Physique II, Paris 1931) intendono piuttosto: ‘‘tutti si rifanno alla causa che sta nel fatto che ...’’, ma il pronome ou|to" di solito (non sempre!) rinvia a quanto precede, cfr. Schwyzer, GG II, p. 209, 3. Comunque il senso generale non cambia. 575 Oppure «certe cose esistono e si generano di necessita ` », ma Aristotele probabilmente non farebbe differenza.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.E)
(b17) C’e` pero` una difficolta` {da affrontare}: che cosa impedisce che la natura operi non in vista di qualcosa ne´ perche´ e` meglio {operare com’essa opera}, ma al modo in cui la pioggia di Zeus ha luogo, non affinche´ il frumento cresca, ma di necessita`? (b19) In effetti, cio` che si e` elevato 576 deve raffreddarsi, e quanto si e` raffreddato, diventato acqua, deve precipitare; e una volta che questo si e` verificato accade che il frumento cresca. (b21) Similmente, anche se il frumento a qualcuno si rovina nell’aia, non piove in vista di questo, {cioe`} che vada in rovina, ma questo e` capitato. – (b23) Sicche´ che cosa impedisce che lo stesso valga per le parti in natura, per esempio che i denti vengano su di necessita`, quelli anteriori incisivi, convenienti per sminuzzare il cibo, gli altri – i molari – larghi e utili per triturarlo, dal momento che, {si sostiene}, non e` avvenuto in vista di questo ma e` capitato? Similmente riguardo alle altre parti {naturali}, tutte quelle in cui sembra che sia presente l’in-vista-di-qualcosa. (b29) Ed e` laddove quanto accade {accade} tutto come se si verificasse in vista di qualcosa, che esso si preserva per il fatto {appunto} di essere costituito per caso in modo conveniente; quanto invece non e` cosı`, e` perito e perisce, come sostiene Empedocle {essere il caso de}i bovini dalla faccia d’uomo.
74.1.1. Simplicio, In Physica II (8, 198b16-34), 372.9-11 (om. DK; = Luria 516): A quanto pare, di questa opinione furono, fra gli antichi naturalisti, quanti dicevano che la necessita` materiale e` la causa delle cose che divengono, mentre fra quelli posteriori lo furono gli Epicurei.
74.2. Platone, Leges X, 889B1-C6: 577 Il fuoco e l’acqua e la terra e l’aria, tutto quanto, essi dicono, esiste per natura e per caso, e niente di questi per arte; e i corpi dopo questi, nell’ambito della terra e del sole e della luna e degli astri, si sono generati mediante questi {stessi}, che sono del tutto inanimati; essi, mossi a caso per il potere inerente a ciascuno, in quanto si incontrano associandosi secondo certe affinita`, i caldi con i freddi oppure i secchi con gli umidi e i molli con i duri, e tutto cio` che, per il temperamento dei contrari, si trova mescolato per caso di necessit`a,578 hanno generato a questo modo l’intero cielo e tutto quanto ne fa parte, e tutti gli animali e le piante, una volta che le stagioni tutte furono generate da questi – {e la generazione si e` verificata} non (dicono) a causa dell’intelletto o di qualche divinita` o a causa dell’arte, ma, come diciamo, per natura e per caso.
Si intende: l’esalazione. Passi platonici di tenore simile sono i seguenti: Sophista 265C7-9 (trad. Cambiano modificata): ‘‘Oppure attenendoci alla credenza e alla parola dei piu` [...] {diremo} che e` la natura a generarli [scil. i viventi e gli inanimati] ad opera di una causa che spontaneamente e senza intelligenza li fa nascere, piuttosto che con una ragione e una scienza divina proveniente da un dio?’’; Philebus, 28D59 (trad. Cambiano modificata): ‘‘Dobbiamo dire, Protarco, che l’insieme di tutte le cose e questo che e` chiamato il tutto e` retto dal potere dell’irrazionale e del casuale e del come capita o, al contrario, come dicevano i nostri predecessori, che e` governato da un intelletto e da un’ammirevole prudenza ordinatrice?’’ 578 Cioe ` di necessita` accompagnata dal caso. 576 577
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.F)
74.3. A. Epicuro, Peri; fuvsew", libro incerto (PHerc 1056, fr. 7, col. xi) 579 (= 68 A 69; 36a Lu.): Coloro che diedero inizio alla ricerca delle cause in modo adeguato e furono superiori non soltanto ai {loro} predecessori ma anche, e molto di piu`, a coloro che li succedettero, pur se in molti punti alleviarono grandi cose,580 furono dimentichi di se stessi nell’addurre come causa di tutto la necessit`a e il caso.581
F. RICORSO AL SOLO CASO, EVENTUALMENTE AD ESCLUSIONE DENZA, OPPURE SEMPLICE ESCLUSIONE DELLA STESSA
DELLA PROVVI-
75.1. T. Lattanzio, Divinae institutiones I 2, 1-2 (= 68 A 70; 27 Lu.; 368 Us.): [La questione che l’autore si propone di discutere e` che cosa sia la provvidenza nelle cose umane.] Avendo assunto il compito di mettere in chiaro la verit`a, non l’ho fatto al punto da ritenere necessario prendere l’inizio da quella questione, che pare essere per natura la prima, se vi sia una provvidenza che si cura di tutte le cose, o *se tutte le cose si producono e si compiono per caso. (2) Di questa {altra} opinione Democrito fu l’inventore, Epicuro il propugnatore. [Nel seguito, dopo avere associato ad essi Protagora e Diagora, viene opposta alla loro posizione quella degli Stoici, che fanno dipendere da una ragione divina tutto quanto avviene nel mondo.]
75.2. T. Cicerone, De natura deorum I 24, 66 e 67 (66 = 67 A 11; 226 e 590 Lu.): [Estensione all’atomismo in generale della critica rivolta agli Epicurei, che fanno derivare dagli atomi perfino i loro dei. Il parlante e` l’accademico Cotta.] Queste riprovevoli asserzioni di Democrito ovvero anche, prima, di Leucippo, che ci sono dei corpuscoli che sono lisci, altri che sono scabri, altri rotondi, in parte pure angolati
579 Il passo e ` riportato per esteso in questo papiro, ma le prime tre righe del testo greco compaiono anche in PHerc 1191, fr. 11, dove sono precedute da altro testo (C. DIANO, Epicuri Ethica et Epistulae, Firenze 1946, pp. 45 e 47, riporta i due testi in parallelo; combinazione dei due = 34, 30.715 A.). 580 Cioe ` grandi errori o grandi mali. 581 La traduzione del passo, di discussa interpretazione, segue un’indicazione di G. ARRIGHETTI, «Cronache Ercolanesi», 9, 1979, pp. 5-10. La lettura che del passo dava il Diels (‘‘obgleich die Abderiten in vielen Dingen Grosses geleistet, sei es ihnen doch selbst noch nicht klar gewesen, welche Erleichterung der Gedanke der ajnavgkh und tuvch der Welterkla¨rung gebracht habe’’), oltre ad essere inappropriata al contesto (dove viene espressa opposizione al ricorso alla necessita`), richiede una correzione del testo e non intende in modo naturale il participio koufivsante". Una lettura sul tipo di quella di Alfieri e di Diano (‘‘non si accorsero, benche´ cio` sia loro accaduto in molti casi, di avere preso alla leggera cose grandi nel riportare la spiegazione di tutto alla necessita` e al caso’’), oltre a mettere il passo in contrasto con l’elogio immediatamente precedente, rende incongruo l’uso del ‘‘benche´’’ (kaivper), perche´ e` naturale che chi pecca in certi casi pecchi in un altro caso ancora (in effetti Diano, Ethica, p. 47, lo correggeva).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.F)
o uncinati, certi ancora curvi e quasi adunchi, e che da questi e` stato prodotto il cielo e la terra, non perche´ natura alcuna li costringesse, ma per un qualche loro incontro casuale – questa opinione tu, Gaio Velleio, l’hai conservata fino a questa tua eta`! 582 [...] (67) [...] Ma dov’e` la verit`a {della quale tu parli}? Nei mondi innumerevoli, credo io,583 dei quali alcuni nascono e altri cessano in ogni istante temporale? Oppure in corpuscoli indivisibili che compiono opere cosı` splendide senza nessuna guida della natura e senza nessun piano?
75.3. T. Cicerone, Tusculanae disputationes I 11, 22 e 18, 42 (om. DK; = 449 Lu.): [Nel discutere dell’atteggiamento da tenere di fronte alla morte viene toccata la questione se la morte consiste in una separazione dell’anima dal corpo, e questa porta ad offrire una rassegna delle teorie circa l’anima.] Queste, salvo che alcune per caso mi siano sfuggite, sono press’a poco le tesi espresse circa l’anima.584 Lasciamo perdere infatti Democrito che, per quanto sia un uomo notevole, produce l’anima da un certo qual concorso fortuito di corpuscoli leggeri 585 e rotondi: non c’e` nulla in effetti presso costoro 586 che non sia il risultato di una turba di atomi. (42) Rigettiamo del tutto quel concorso fortuito di corpi indivisibili leggeri e rotondi, per quanto Democrito voglia che sia al modo di un soffio riscaldato, dunque animato.
75.4. T. Cicerone, Academica priora II 37, 121 (= 68 A 80; 26 Lu.): [Allo scopo di rilevare i limiti della nostra conoscenza sono messi in risalto i contrasti che ci sono fra i filosofi in fisica, in un discorso rivolto da Cicerone a Lucullo, il quale adotta la concezione stoica della divinita`.] Tu neghi che senza il dio ci possa essere checchessia. Ed eccoti di punto in bianco Stratone di Lampsaco,587 il quale concede a questo dio l’esenzione – da un compito certo ben grande (ma se i sacerdoti degli dei godono del riposo, quanto e` piu` giusto che ne godano gli dei stessi!): nega di fare ricorso all’opera degli dei per fabbricare il mondo. Insegna che tutte le cose, quali che siano, sono state prodotte dalla natura, ma non come *colui che dice che queste cose sono composte di corpi scabri e lisci e adunchi e uncinati, con il vuoto interposto. Ritiene che questi siano sogni di Democrito che non insegna 588
582 Oppure: fino al tempo (aetas) presente (come preferisce A.S. PEASE , M.Tulli Ciceronis de natura deorum libri tres, Cambridge, Mass., 1955-58, ad loc., richiamandosi a Nat. deor. I 5, 11 e a Tusc. I 2, 5). 583 Pare ironico, come suggerisce Pease nel suo commento al passo (citando come paralleli I 86 e 111). 584 Viene usato animus, non anima, ma nel contesto cio ` non pare fare differenza. 585 Oppure: lisci (cosı` anche nel seguito). 586 Non puo ` che trattarsi degli atomisti in genere, per quanto sia solo Democrito ad essere menzionato. 587 Il passo e ` riportato come fr. 32 nella raccolta: Straton von Lampsacos, a cura di F. WEHRLI, Basel 1969. 588 Palesemente docere ha il senso di trasmettere conoscenza effettiva della realta ` (per i peripatetici l’insegnamento sta in primo luogo nella trasmissione della scienza dimostrativa).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.G)
ma esprime desideri. Egli stesso invece, passando in rassegna le singole parti del mondo, insegna che tutto quanto e` o viene ad essere si fa o e` stato fatto da pesi e movimenti naturali.
75.5. T. Nemesio, De natura hominis 43 [127.1-10] (om. DK; = 592 Lu.): (De hoc: quorum est providentia) Democrito ed Eraclito ed Epicuro non vogliono che ci sia provvidenza ne´ per le cose generali ne´ per quelle particolari. Epicuro per l’appunto diceva: ‘‘L’essere beato e incorruttibile ne´ ha ne´ da` briga, non e` partecipe quindi n´e di grazia n´e d’ira, cose tutte che hanno luogo in debole natura.589 L’ira e` estranea agli dei: si verifica riguardo all’indesiderato, ma non c’e` niente di indesiderato per il dio.’’ Costoro dunque seguono i princı`pi {a loro} peculiari. Ritenendo infatti che questo tutto sussiste per caso, dichiarano con qualche giustificazione che tutte le cose sono senza provvidenza. Infatti delle cose per le quali non c’e` nessun demiurgo chi potrebbe essere provvidente? E` chiaro infatti che e` necessario che si muovano in modo causale le cose che inizialmente si sono generate per caso.
G. RICORSO
ALLA NECESSIT A` , AD ESCLUSIONE DEL CASO
76.1. T. Diogene di Enoanda, fr. 54 (32 Ch.), coll. I 14, II, III (= 68 A 50 [escluso l’ultimo periodo]; 39 Lu.): [In polemica contro coloro che traggono argomenti, per esempio, dalla divinazione a favore del dominio di una necessita` fatale.] Se dunque la divinazione e` eliminata, (II) che altra prova c’e` del destino? A chi facesse uso del ragionamento di Democrito, dicendo che non c’e` nessun libero movimento per gli atomi (per via dell’urtarsi degli uni con gli altri), e che di qui appare che tutte le cose si muovono in modo necessario, noi diremo contro di lui: non sai, (III) chiunque tu sia, che negli atomi c’`e anche un movimento libero, che Democrito non scoprı`, ma che Epicuro porto` alla luce – {un movimento} che e` di declinazione, come egli mostra a partire dai fenomeni? – E la cosa principale: se si da` credito al destino, si elimina ogni ammonizione e censura e non e` neppure possibile punire giustamente i malvagi.590
76.1.1. A. Epicuro, Epistula ad Menoeceum, §§ 133.7-134.9 (om. DK; 133.6134.7 = 37 Lu.): [Il contesto e` lacunoso, ma probabilmente si parla della posizione di chi, oltre a rifiutare, come viene detto nel seguito, il ricorso alla fortuna nella propria vita, mostra di non curarsi del destino (come intende Usener integrando il passo in tal senso), rifiutando quindi la necessit`a.] 589 Fin qui la citazione coincide con la Massima capitale I (ho adottato la trad. di C. DIANO , Epicuro: Scritti morali, Milano 1987); il seguito pare anch’esso di Epicuro, ma non compare nelle principali raccolte di testi epicurei. 590 La frase finale (‘‘e ` possibile punire giustamente i malvagi’’) risulta da un’integrazione di Usener, modificata da Grilli. (Il fr. si interrompe a questo punto).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (VIII.G)
... {delle cose tutte} alcune avvengono per destino, altre per fortuna, altre sono in nostro potere, per il fatto che egli vede che la necessita` e` irresponsabile, la fortuna e` instabile, e cio` che e` in nostro potere e` senza un padrone, e per questo ad esso conseguono naturalmente il biasimo e il suo contrario. (134) In effetti, sarebbe stato meglio ubbidire al mito sugli dei che asservirsi al destino dei naturalisti, giacch´e il primo delinea la speranza di placare gli dei onorandoli, mentre il secondo comporta una necessita` inflessibile. Quanto alla fortuna, egli non la considera n´e come un dio – come la considerano ‘i molti’ – giacche´ niente viene fatto da un dio in modo disordinato – n´e come una causa instabile di tutte le cose 591 – giacche´ non crede che il bene e il male, in relazione alla vita felice, provengano da essa, ma che da essa siano forniti gli inizi dei grandi beni e dei grandi mali.
76.2. Cicerone, De fato 10, 22-23 (om. DK; = 38 e 301 Lu.; 281 Us.): Ma Epicuro ritiene di poter evitare la necessita` del destino mediante la declinazione dell’atomo; a questo modo nasce un certo terzo movimento oltre {ai movimenti dovuti} al peso e all’urto, quando un atomo devia di un intervallo minimo (cio` egli lo chiama ejlavciston); che questa declinazione si verifichi senza causa e` costretto ad ammetterlo di fatto anche se non lo fa in modo espresso. (23) Epicuro ha introdotto questo resoconto perche´ temeva che, se l’atomo fosse sempre mosso da una gravit`a naturale e necessaria,592 non ci sarebbe niente di libero in noi, in quanto l’animo si muoverebbe solo al modo in cui e` costretto dal moto degli atomi. E` cio` che Democrito, l’inventore degli atomi, ha preferito ammettere, {cio`e} *che tutte le cose avvengono per necessita`, piuttosto che strappare il moto naturale dai corpi indivisibili.
76.3. Cicerone, De natura deorum I 25, 69 (om. DK; = 38 Lu.; 281 Us.): [Seguito non immediato di 75.2. La dottrina ora esposta viene citata ad esempio della pervicacia con la quale gli Epicurei ricorrono a tesi impossibili pur di sottrarsi alle obiezioni rivolte a qualche aspetto poco plausibile della loro teoria.] Alla maniera di Epicuro che, quando si accorse che, se gli atomi sono portati verso il basso dal loro peso, niente sarebbe stato in nostro potere, per il fatto che il loro movimento sarebbe determinato e necessario, scoprı` un modo per sfuggire alla necessit`a, che evidentemente era sfuggito a Democrito: dichiara che l’atomo, quando si muove, per il suo peso e la gravita`, in linea retta verso il basso, declina di un poco. 591 Adotto l’integrazione di C. BAILEY : pavntwn (Epicurus: The Extant Remains, Oxford 1926, p. 90): Epicuro non contesta in generale che la fortuna sia una causa instabile (cfr. § 133.9, inoltre Ps.-Plut. Placita I 29, 3 [= 73.4]). E. BIGNONE, Epicuro: Opere, Bari 1920, p. 51, integra come segue: ‘‘una causa incostante {dei maggiori beni o mali}’’, ma prospetta pure (in n. 3 al passo) la seguente integrazione: ‘‘una causa incostante {prodiga di grandi doni}’’, ipotizzando che ci sia un richiamo polemico al passo democriteo citato in Stobeo II 9, 5 (= 147.2) nel quale si darebbe troppo peso al ruolo della fortuna. Tuttavia l’accostamento (approvato da R. PHILIPPSON, «Hermes», LIX, 1924, p. 412, e da Luria ad loc.) mi pare piuttosto tenue. G. ARRIGHETTI, in Opere di Epicuro, Torino 1973, evita ogni integrazione rendendo ajbevbaion con ‘‘priva di qualsiasi fondamento di realta`’’ (similmente Isnardi: ‘‘priva di fondamento reale’’), cfr. p. 544 per sua n. al passo. 592 Cioe ` fosse mosso dal suo peso in modo naturale e necessario (come traduce Sharples).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.A)
H. NECESSITA`
E MATERIA
77.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 26, 3 (= 68 A 66; 25 e 323 Lu.) [= Aezio I 26, 2]: (Sull’essenza della necessita`) Democrito {dichiara che essenza della necessita` e`} la resistenza 593 e il movimento e l’impatto della materia.
77.1.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 41 (620.9 e 11-12): (Sull’essenza [scil. della necessita`]) & Stesso testo di 77.1.
77.2. TN. Aristotele, De partibus animalium I 1, 640b4-17 (om. DK.; b4-11 = 171 Lu.): [Rigetto di una spiegazione dei fenomeni naturali che prescinde dal ricorso alla causa formale e a quella finale. Cfr. supra, 72.2.] Gli antichi, che per primi hanno speculato circa la natura, hanno indagato circa il principio materiale e la causa materiale, {per accertare} quale e come sia, e in che modo da questa si generi il tutto, e quale sia il motore – per esempio l’odio e l’amore, o l’intelletto, o il caso –, dato che la materia soggiacente possiede di necessita` una tale natura, per esempio quella del fuoco e` calda, quella della terra e` fredda, e quella del primo e` leggera, quella dell’altra e` pesante. E` a questo modo infatti che generano anche il mondo {nel suo complesso}. Enunciano la generazione degli animali e delle piante allo stesso modo, per esempio che col fluire dell’acqua nel corpo si generano lo stomaco e ogni ricettacolo del cibo e del residuo, e che col passaggio dell’aria si verifica l’apertura delle narici. L’aria e l’acqua sono la materia degli {altri} corpi, e a partire da tali corpi tutti costituiscono la natura.
IX. COSMOGONIA, A. IL
COSMOLOGIA, SISTEMA ASTRONOMICO , METEOROLOGIA
NOSTRO MONDO E GLI ALTRI MONDI DI NUMERO INFINITO
78.1. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 1, 1: 594 (Sul mondo) Pitagora per primo denomino` «mondo» il perimetro di tutte le cose sulla base dell’ordine che c’e` in esso [scil. nel mondo stesso].
In greco ajntitupiva. Altra versione della stessa testimonianza presso Stobeo, Ecl. I 21, 6c; inoltre e` ripresa da Ps.Galeno, Hist. philos. 44 (= 78.6.3). (Non deve essere attendibile: Teofrasto attribuiva la stessa operazione a Parmenide, cfr. Diog. Laerz. VIII 48 = 28 A 44.) 593 594
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.A)
78.2. Epicuro, Epistula ad Pythoclem, §§ 88.4-8, 89.1-2 (= 67 A 24; 291 Lu.): Un mondo e` un perimetro {definito dal} cielo,595 che comprende gli astri e la terra e tutti i fenomeni, possedente 596 una sezione {di spazio} ricavata dall’infinito e terminante in un estremo rado o fitto {di costituzione} – dissolvendosi il quale tutte le cose che si trovano messe insieme in esso avranno fine 597 ... (89) Che mondi di tal fatta 598 siano infiniti in moltitudine e` possibile concepirlo ... [seguito come 81.2]
78.3. T. Stobeo Eclogae I 15, 6b(2) (= 67 A 22; 385 Lu.) [= Aezio II 2, 2 (Dox. 329)]: (Sulle figure) 599 Leucippo e Democrito {sostengono che} il mondo e` sferico.
78.4. T. Stobeo Eclogae I 22, 1e(1) (= 67 A 23; 386 Lu.): (Sull’ordinamento del mondo) Leucippo e Democrito rendono il mondo circondato tutt’attorno da una tunica o membrana risultante da un intreccio di atomi a forma uncinata.
78.4.1. V. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 7, 2 [insieme a 78.4 = Aezio II 7, 2 (Dox. 336).] & Stesso titolo e stesso testo, ma abbreviato per omissione del brano finale («risultante ... uncinata»).
78.5. T. Simplicio, In De caelo I (5, 271b1), 202.11-18 (16-18 = 67 A 21; 345 Lu.): [A commento dell’affermazione di Aristotele, all’inizio di De caelo I 5, che l’ammissione o rifiuto dell’infinitezza della materia fa la massima differenza per la conoscenza della verit`a circa la realt`a fisica nel suo complesso. Cfr. 26.3]
595 Rendo cosı` periochv ti" oujranou. Tradurre la formula con ‘‘porzione del cielo’’ e simili e ` po= co accettabile, perche´ il cielo per gli atomisti non e` l’universo ma coincide con l’estremita` di un mondo (invece la posizione introdotta in 78.1, usando sempre periochv, pare assumere la coincidenza fra il mondo, che, come attesta 78.6, e` ritenuto essere unico, e l’universo). In 78.1 ci deve essere un’ambiguita` nell’uso di periochv (non resa dall’italiano «perimetro»), che viene ad indicare sia la circonferenza del cielo, che ingloba il resto, sia quanto e` inglobato da essa. 596 Probabilmente nel senso di occupare la sezione e in qualche modo coincidere con essa (notare che ajpotomhv, da me reso con «sezione», compare anche in Diog. Laerz. IX 31 [= 80.1, inizio, cfr. n. 617 ad loc.] e in Arist. De caelo II 13, 294a4 [= 83.3]). 597 Quest’ultimo brano viene trattato come un’aggiunta da Usener, mentre viene anticipato (inserendolo dopo ‘‘tutti i fenomeni’’) da C. BAILEY, Epicurus: The Extant Remains, Oxford 1926. 598 Cioe ` di varia conformazione (l’esemplificazione era stata offerta nel passo da me omesso). 599 Il titolo «sulla figura del mondo» adottato da Diels (in Dox.) per la sezione II 2, 2 di Aezio e ` ricavato da Ps.-Plutarco, il quale, sotto II 2, include un passo sugli Stoici parallelo ad uno presente in questo capitolo della raccolta di Stobeo e un passo unico su Epicuro ma nessuno sui primi atomisti. A questo stesso capitolo di Stobeo appartiene il passo (non cosmologico) 25.5.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.A)
... alcuni {fra coloro che si sono occupati della natura} dicevano che il mondo e` uno e finito, e cioe` quelli che, come Aristotele e Platone, non ammettevano l’infinitezza nel principio, altri che e` uno e infinito, come {fa} Anassimene dicendo che il principio e` l’aria infinita, altri ancora che i mondi sono infiniti anche 600 per moltitudine, come {fanno} da una parte Anassimandro il quale, ritenendo che il principio sia infinito per grandezza, pare rendere infiniti per moltitudine i mondi derivanti da esso, dall’altra *Leucippo e Democrito i quali dicono che i mondi sono infiniti per moltitudine nel vuoto infinito e che sono costituiti da atomi che sono infiniti per moltitudine.
78.6. T. Stobeo Eclogae I 22, 3b (1)(2) (= 12 A 17; 352 Lu.): (Se il tutto e` uno) Talete, Pitagora, Empedocle, Ecfanto, Parmenide, Melisso, Eraclito, Anassagora, Platone, Aristotele, Zenone {sostengono che} il mondo e` unico. Anassimandro, Anassimene, Archelao, Senofane, Diogene, *Leucippo, Democrito, Epicuro {sostengono che} i mondi sono infiniti {di numero} nell’infinito in ogni ciclo.601
78.6.1. VA. Ps.-Plutarco Placita philosophorum II 1, 2-3 [dopo 78.1] [insieme a 78.6 = Aezio II 1, 2-3 (Dox. 327)]: (Sul mondo) Talete e i suoi discendenti {sostengono che} il mondo e` unico. * Democrito ed Epicuro e il discepolo di costoro Metrodoro 602 {sostengono che} i mondi sono infiniti {di numero} nell’infinito in ogni direzione.
78.6.2. VP. Cirillo, Contra Julianum II 14, 572A: & Identico al precedente, da lui citato dichiaratamente, salvo:
Democrito ed Epicuro e il discepolo di questi Metrodoro {sostengono che} i mondi sono infiniti {di numero} nell’infinito e in ogni direzione.
600 Intendesi: e non solo nell’estensione, come l’unico mondo ammesso da Anassimene (che sarebbe in corrispondenza all’universo infinito ammesso dagli atomisti). 601 Notare che, mentre in Stobeo compare periagwghv, nel passo corrispondente di Ps.-Plutarco compare perivstasi" che ha un senso statico; e` probabile che l’originale suggerisse entrambe le idee. (Rendere la frase in Stobeo con ‘‘in every direction we turn’’, come propone J. BURNET, Early Greek Philosophy, London 1930, p. 59, n. 1, pare una forzatura). 602 Il testo si puo ` difendere cosı` com’e` ammettendo che si abbia in mente (nonostante il singolare) entrambi i Metrodori (quello di Chio e quello di Lampsaco) che sono stati allievi rispettivamente di Democrito e di Epicuro, oppure ammettendo che Metrodoro di Lampsaco sia considerato (seppure in modo indiretto) anche discepolo di Democrito. Si puo` d’altra parte correggerlo uniformandolo alla testimonianza di Cirillo (cfr. 78.6.2) e riferendolo dunque al solo Metrodoro di Lampsaco. C’e` in ogni caso una discrepanza con quanto troviamo in Ps.-Galeno (cfr. 78.6.3) e con quanto troviamo in Achille, Isagoga, 130B («Epicuro postulo` molti mondi e cosı` anche il suo maestro Metrodoro») [= 301 Us.]. Tuttavia uniformare tutti questi passi alla testimonianza di Achille, come propone di fare Diels, oltre a comportare svariate correzioni dei testi, lascia spazio all’errore storico di presentare Metrodoro (di Chio, come non potrebbe essere altrimenti) come maestro di Epicuro, anche se l’errore indubbiamente ricorre in una testimonianza di Stobeo riguardante questo autore (cfr. supra, 44.2 + n. 297).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.A)
78.6.3. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 44 (621.1-5): (Sul mondo) Pitagora per primo denomino` «mondo» il perimetro di tutte le cose sulla base dell’ordine che c’e` in esso [scil. nel mondo stesso]. Talete {sostiene che} il mondo e` unico. *Democrito ed Epicuro e il maestro di costoro 603 Leucippo {sostengono che} i mondi sono infiniti {di numero} nel vuoto infinito.
78.6.4. VA. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 15 [104.8-15] (om. DK; 14-15 = 357 Lu.; Dox. 327) Non solo essi [scil. i pensatori pagani] si trovano nella massima dissonanza in queste cose 604 ma anche in altre. In effetti, quanto al mondo, furono concordi {nell’affermare che} e` uno {soltanto} Talete, Pitagora, Anassagora, Parmenide, Melisso, Eraclito, Platone, Aristotele e Zenone; invece Anassimandro, Anassimene, Archelao, Senofane, Diogene, *Leucippo, Democrito ed Epicuro ritennero che ce ne sono molti, anzi infiniti {di numero}.
78.7. T. Simplicio, In physica IV (10, 218b4), 701.30-31 (om. DK; = 346 Lu.): [Di commento al passo aristotelico contenente l’argomento, usato contro l’identificazione del tempo col movimento del tutto, che, se ci fossero piu` cieli, ci sarebbero contemporaneamente anche piu` tempi.] ... se infatti – egli dice [scil. Aristotele] – ci fossero piu` cieli, cioe` mondi, come suppongono Democrito e i suoi ...
78.8. T. Ps.-Alessandro, In Metaphysica VII (15, 1040a27 sgg.), 534.7-11 (om. DK; = 349 Lu.): [Di commento ad un passo nel quale Aristotele, in polemica con la teoria platonica delle idee, rileva che l’impossibilita` di definire cose individuali puo` sfuggire nel caso di enti eterni, da lui esemplificati con entita` uniche – nel nostro mondo – quali il sole e la luna.] ‘Inoltre’, egli [scil. Aristotele] dice, ‘quanto e` possibile predicarsi di altro’,605 vale a dire: inoltre *se ci fossero oltre a questo mondo altri mondi, come dichiaro` Democrito*, e` chiaro che anche i soli che ci sarebbero in quei mondi si muoverebbero attorno alla terra e sarebbero occultati di notte, sicche´ la definizione di questo sole sarebbe comune e si applicherebbe anche ad essi.
603 Adotto la lezione del cod. B (l’altro codice principale e la trad. latina hanno ‘‘di questi’’). Il testo si puo` difendere ammettendo che Leucippo sia considerato indirettamente anche il maestro di Epicuro. Rimane s’intende la discrepanza con le altre testimonianze (cfr. n. 602). 604 Si intende sui principi, sulla materia, ecc., cfr. supra, 5.2 e 10.4.2. ` il contenuto di uno degli errori che, secondo Aristotele, e` facile commettere in questo ca605 E so, cioe` proporre (nel definire una cosa ritenuta unica) dei predicati o proprieta` che in effetti si applicano o possono applicarsi ad altre entita`.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.B)
B. GENERABILITA`
E CORRUTTIBILITA` DEI MONDI
79.1. A. Aristotele, Physica VIII 1, 250b15-23 (om. DK; = 300 Lu.): Coloro che si esprimono circa la natura affermano tutti che esiste il movimento, per il fatto che essi rendono il mondo prodotto 606 e 607 perche´ tutta la loro 608 indagine e` circa la generazione e la corruzione, le quali non possono sussistere senza che ci sia il movimento. Ma *quanti dicono che i mondi sono infiniti, e che alcuni dei mondi stanno generandosi e altri stanno perendo,609 dicono che il movimento esiste sempre, giacche´ e` necessario che le loro generazioni e corruzioni avvengano col movimento*. Quanti invece dicono che ce n’e` uno solo, sia che sia eterno sia che no,610 anche circa il movimento fanno assunti logicamente appropriati.
79.1.1. Simplicio, In Physica VIII (1, 250b15), 1120.18-24 (om. DK; = 300 Lu.): Dice [sogg. Aristotele] che i naturalisti ‘rendono il mondo prodotto’ non in quanto dicono che il mondo e` generato col tempo ma in quanto tramandano il costituirsi di esso mediante il movimento. A questo modo infatti producono il mondo sia Democrito sia Empedocle sia Anassagora, i primi dicendo che i corpi indivisibili e i quattro elementi si aggregano e si disaggregano, Anassagora dicendo che le omeomerie si separano dalla mescolanza: l’aggregazione e la disaggregazione e la separazione sono certi movimenti.
79.2. T. Simplicio, In Physica VIII (1, 250b18), 1121.5-15 (5-9 = 12 A 17; 300 Lu.; 12-15 = 13 A 11): Quelli che hanno ammesso che i mondi sono infiniti per moltitudine, come Anassimandro, Leucippo, Democrito e i loro e, piu` tardi, Epicuro e i suoi, ammisero {pure} che essi sono generati e che periscono all’infinito, essendovene sempre alcuni che si stanno generando e altri che stanno perendo, e dissero che il movimento e` eterno; senza il movimento infatti non c’e` ne´ generazione ne´ corruzione. Di quelli che dicono che il mondo e` uno soltanto coloro che lo dichiarano ingenerato a partire dal tempo e incorruttibile – come {fecero} Platone e Aristotele – postularono come eterno anche il movimento. (12) Rendono generato e corruttibile l’unico mondo {da essi ammesso} quanti dicono che il mondo e` sempre, ma che non e` sempre lo stesso, ma diventa differente in tempi differenti, secondo certi periodi di tempo, cio`e Anassimene ed Eraclito e Diogene e, piu` tardi, gli Stoici.
Cioe` perche´ essi ammettono la sua generazione. Si puo` anche intendere questo kaiv come esplicativo (cosı` fa P. PELLEGRIN, Aristote: Physique, Paris 2000, nella sua trad. del passo). 608 Oppure: ‘‘perche ´ per essi tutti l’indagine ...’’ (seguendo la lezione dei MSS anziche´ la correzione di pasin in pasan proposta da Camotius e adottata da Ross). = = 609 Si intende: adesso, come in ogni altro tempo (cfr. commento di Simplicio, 79.2). 610 Traduco adottando il testo corretto da Ross (seguendo Temistio), ma per suggerire questo senso sarebbe desiderabile una correzione piu` estesa; per questa ragione alcuni traduttori (come H. CARTERON, Aristote: Physique (V-VIII), Paris 1931, e Pellegrin, op. cit.) adottano il testo dei MSS e rendono come segue: ‘‘quanti invece dicono che ce n’e` uno solo o che non e` eterno ...’’. 606 607
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.B)
79.3. A. Aristotele, De caelo I 10, 279b12-17 (om. DK; b12-14 = 343 Lu.): [Sulla questione se il mondo e` generato oppure eterno, con rassegna delle posizioni dei suoi predecessori.] Tutti dunque lo [scil. il mondo] dicono generato, ma alcuni {asseriscono che} una volta generato e` eterno, *altri invece che e` corruttibile alla stregua di qualsiasi altra cosa che si e` costituita,611* altri ancora che esso si trova, alternativamente, ora in uno stato ora in un altro,612 e che questo {processo} continui per sempre – cosı` come {la pensano} Empedocle di Agrigento ed Eraclito di Efeso.
79.4. T. Simplicio, In De caelo I (10, 279b12), 294.23-295.1 (om. DK salvo 294.33-295.1 [= 68 A 37, cfr. supra, 7.1]; 26-31 = 343 Lu.) e 20-26 (20-24 = 68 A 37; 339 Lu.). [Di seguito ad una citazione dal commento di Alessandro d’Afrodisia riguardante la posizione di Eraclito come risulta dal fr. 30.] E questo aggiunge Alessandro, perche´ quelli che dicono che il tutto ora e` in una condizione ora in un’altra, parlano di un’alterazione del tutto piuttosto che di una sua generazione e corruzione. ‘‘Gli altri – dichiara – che dicono che il mondo e` generato e corruttibile alla stregua di qualsiasi altra cosa che si e` costituita debbono essere Democrito e i suoi. Secondo essi, infatti, come ogni altra cosa si genera e si corrompe, allo stesso modo anche ciascuno dei mondi infiniti {si genera e si corrompe}. Come infatti, nel caso delle altre cose, cio` che si genera non e` identico a cio` che si corrompe, se non per la sua forma,613 allo stesso modo {non lo e`}, essi dicono, nel caso dei mondi.’’ (31) Tuttavia se gli atomi permangono gli stessi in quanto sono impassibili, e` chiaro che anche essi affermano l’alterazione dei mondi e non la {loro} corruzione – come sembrano affermare Empedocle ed Eraclito. La trascrizione di poche {frasi} dal {libro} Su Democrito di Aristotele rendera` chiaro il pensiero di quegli uomini: ... [segue citazione = 7.1] (295.20) Egli [scil. Democrito] parla della generazione e della disgregazione ad essa contraria non soltanto nel caso degli animali ma anche delle piante e dei mondi e, in sintesi, di tutti quanti i corpi sensibili. Se pertanto la generazione e` aggregazione di atomi e la corruzione e` disaggregazione, anche per Democrito il divenire e` un’alterazione. In effetti anche Empedocle dichiara che cio` che si genera non e` identico a cio` che si corrompe, se non per la sua forma, e tuttavia questi – lo dice {lo stesso} Alessandro – postula l’alterazione e non la generazione. Ritengo di tener fermo, in queste cose, che di nessuno degli antichi si riferisce che parlasse di una corruzione del mondo che sia tale quale l’affermano quelli di ora, {cioe`} che una volta corrotto non e` piu` suscettibile di conversione.
Alcuni MSS aggiungono: ‘‘per natura’’. Nei MSS segue: ‘‘quando si corrompe’’; accetto (con Moraux e altri) l’espunzione proposta da Kassel. 613 Qui «forma» equivale a specie, l’idea essendo palesemente che l’individuo che perisce e ` in qualche modo sostituito da un individuo dello stessa specie che si genera; questa possibilita` e` esclusa nel caso del ciclo cosmico ammesso da Empedocle, sicche´ l’identita` di forma che si puo` ritenere da lui postulata non ha questo senso, contrariamente a quanto Simplicio cerca di sostenere, criticando l’interpretazione palesemente corretta di Alessandro. 611 612
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.B)
79.5. A. Aristotele, De caelo I 10, 280a23-27 (om. DK; 23-24 e 26-27 = 344 Lu.): [Commento aristotelico, di seguito, a qualche distanza, a 79.3.] Che {un mondo} che e` stato generato si corrompa assolutamente, senza una conversione, e` impossibile se si tratta di uno solo, giacche´, prima che si fosse generato, esisteva sempre una costituzione ad esso anteriore, e noi diciamo che, non essendosi essa generata, e` incapace di mutamento; e` ben piu` possibile {la corruzione completa} nel caso che i mondi siano infiniti.
79.6. T. Simplicio, In De caelo I (10, 280a23 sgg.), 310.4-17 (310.5-9 e 15-17 = 68 A 82; 44 e 344 Lu.): La spiegazione [scil. dell’ultima proposizione di Aristotele] e` aggiunta da Alessandro: ‘‘la dissoluzione e la corruzione del mondo non e`, egli dice, alla materia di esso, la quale avesse la potenza di diventare mondo, ma e` ad un altro mondo, ed essendo {i mondi} infiniti e succedendosi gli uni agli altri, non e` necessario che si abbia il ritorno allo stesso {mondo di prima}. A questo modo la pensavano Leucippo, Democrito e i loro.’’ (9) A mio avviso e` opportuno indagare, in che cosa differisca questa ipotesi da quella dell’unica costituzione e dissoluzione {di un mondo} che, dichiara Aristotele, non ha altro effetto che rendere eterno il mondo, ma cangiante di forma, come pare avere sostenuto Empedocle. Forse conviene piuttosto questo a Democrito e i suoi: se Empedocle dichiaro` differenti le forme dei propri mondi, sicche´ fa uso anche di nomi differenti chiamandoli {ciascuno} peculiarmente «sfero» e «mondo», invece i mondi di Democrito, dal momento che si trasformano in altri mondi derivando dagli stessi atomi, sono gli stessi nella forma,614 anche se non nel numero.
79.7. T. Filone, De aeternitate mundi (3) 8 [VI 75.5-14] (om. DK; 351 Lu.): [L’autore prende in esame tre posizioni principali da lui distinte: (1) ammissione che il mondo e` eterno, dunque e` ingenerato e incorruttibile (posizione attribuita ad Aristotele); (2) ammissione che il mondo e` generato e corruttibile; (3) ammissione che il mondo e` generato ma non corruttibile (posizione ‘mista’ attribuita a Platone). Procede ora a considerare la posizione (2):] *Democrito ed Epicuro e la numerosa folla dei filosofi della Stoa mantengono la generazione e la corruzione del mondo, eccetto {che lo fanno} non allo stesso modo. Gli uni infatti descrivono molti mondi, dei quali attribuiscono la generazione agli urti reciproci e agli intrecci degli atomi, la corruzione invece alle repulsioni e ai contrasti delle cose generate.* Gli Stoici invece {descrivono} un solo mondo, della cui generazione e` causa il dio, mentre della corruzione non lo e` piu` il dio ma la forza del fuoco sempre attivo che e` presente negli enti e che in lunghi periodi di tempo risolve tutte le cose in se stessa, da cui si costituisce una nuova generazione del mondo per l’intelligenza previdente del suo architetto.
614 O nella specie (tw/ ei[dei). Qui Simplicio rettifica la sua posizione (cfr. n. 613), addirittura = escludendo che Empedocle ammettesse un’identita` di forma.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.C)
79.8. T. Lattanzio, Divinae institutiones VII 1, 10 (om. DK e Lu.; 304 Us.): [Sull’origine del mondo, se ha avuto un inizio, oppure se esiste eternamente.] In questa questione fu nel vero, seguendo l’autorita` di Democrito, il solo Epicuro, il quale diceva che {il mondo} e` sorto in un dato tempo ed e` destinato a perire in un dato tempo; ne´ tuttavia pot`e addurre una qualche spiegazione, vale a dire per quali cause e in quale tempo questa cosı` grande opera debba dissolversi.
79.9. T. Stobeo, Eclogae I 20, 1f(4) (= 59 A 65 e 67 A 22; 353 Lu.): (Sulla generazione e corruzione) Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Archelao, Diogene e Leucippo {dicono che} il mondo e` corruttibile.
79.10. T. Stobeo, Eclogae I 20, 1f(7) (= 68 A 84; 353 Lu.) [con 79.9 = Aezio II 4, 6 e 9 (Dox. 331), sotto il titolo ‘‘Se il mondo e` incorruttibile’’ 615]: [Di seguito a 79.9, ma dopo aver esposto le posizioni degli Stoici e di Empedocle sul modo in cui il mondo perisce; il seguito di questo passo riguarda Epicuro.] Democrito {dice che} il mondo perisce per il prevalere del maggiore sul minore.
C. LA
GENERAZIONE DI UN MONDO
(E
DEI CORPI CELESTI IN ESSO )
80.1. TT. Diogene Laerzio IX 31-33 (= 67 A 1; 289, 318, 382 e 389 Lu.): 616 [Il resoconto di Leucippo, di seguito a 4.3:] E i mondi si generano cosı`: (a) molti corpi di ogni varieta` nelle figure si portano, per una sezione 617 dall’infinito, in un grande vuoto e, una volta raccoltisi insieme, producono un unico vortice, per il quale, entrando in collisione e muovendosi in giro in ogni senso, vengono a separarsi, i simili {raccogliendosi} coi simili. (b) Per la loro moltitudine non potendo piu` muoversi circolarmente in equilibrio,618 quelli minuti recedono nel vuoto este-
615 Questo titolo e ` indubbiamente piu` pertinente di quello adottato in Stobeo, ma e` tratto da Ps.-Plutarco II 4, cioe` da una sezione includente pochi passi paralleli, in nessuno dei quali e` menzionato Democrito o Leucippo. 616 L’esposizione della cosmogonia di Leucippo che troviamo in Ippolito, Refutatio I 12. 2 (= 4.4), palesemente e` una versione molto condensata di quanto troviamo in Diogene, che pure deve contenere dei tagli rispetto all’originale dal quale entrambi dipendono. Un’altra fonte per questa esposizione e` data dalla voce Leuvkippo" in Esichio Milesio (di seguito ai brani da me riportati come 4.2 e 4.3). 617 Si deve intendere un sezionamento, cioe ` una separazione e formazione di un sezione di spazio ricavata dall’infinito; lo stesso termine greco ajpotomhv (sempre reso con «sezione») compare nel passo epicureo riportato come 78.2, dove indica piuttosto il risultato di tale operazione. 618 Questa e ` la traduzione adottata dalla maggior parte degli studiosi. Alfieri traduce invece come segue: ‘‘Quando poi sono in equilibrio per la loro quantita` e non possono piu` continuare a muoversi circolarmente’’; in ogni caso il senso preciso del passo e` piuttosto problematico. Forse
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.C)
riore, come passati al vaglio, mentre i rimanenti 619 permangono insieme e si corrono incontro, intrecciandosi, e producono un primo complesso di forma sferica. (32) (c) Questo si staglia come una membrana,620 che include in se stessa corpi di ogni sorta e, col ruotare vorticoso di questi per la resistenza del centro,621 la parte esterna della membrana si assottiglia, dato che i {corpi} contigui confluiscono 622 continuamente per il tocco del vortice. E in questo modo si genera la terra, per lo stare insieme di quanto si e` portato al centro. (d) E quella sorta di membrana avvolgente si accresce di nuovo, per l’afflusso 623 dei corpi {provenienti} dal di fuori; ed essendo anch’essa trascinata dal vortice, si appropria di cio` con cui entra in contatto. (e) Alcuni di questi {corpi}, intrecciandosi, producono un complesso, che dapprima e` umido e melmoso; una volta che si sono disseccati e si trovano a ruotare insieme al vortice del tutto, finiscono coll’incendiarsi e vengono a costituire la natura degli astri. (33) L’orbita del sole e` la piu` esterna, quella della luna e` la piu` vicina alla terra, quelle degli altri {corpi celesti} sono in mezzo a queste. E tutti gli astri si infiammano per la velocita` del {loro} movimento, ma il sole e` infiammato anche dagli astri; la luna partecipa del fuoco {solo} in piccola misura. Il sole e la luna si eclissano ... {. L’obliquita` dello zodiaco risulta 624 dall’inclinazione della terra verso mezzogiorno; le regioni del nord sono sempre innevate e sono particolarmente fredde e ghiacciate. Il sole si eclissa raramente, la luna invece di frequente, per il fatto che le loro orbite sono ineguali. Come ci sono generazioni del mondo,625 cosı` ci sono suoi accrescimenti e deperimenti e distruzioni, secondo una certa necessita` – quale essa sia egli non lo rende chiaro.
la distinzione in due fasi (che non si riscontra in 80.3) e` il risultato di un errore commesso dall’epitomatore. 619 Quelli non minuti. J. MANSFELD (Die Vorsokratiker II, Stuttgart 1986, p. 249) intende invece proprio altri atomi minuti (‘‘Die u¨brigen [feinen Ko¨rperschen] blieben zusammen’’), ma questo sembrerebbe implicare che il vaglio riguardi solo atomi minuti, mentre e` piu` plausibile ritenere che venga a separare quelli minuti dai grossi. 620 Conservo il touto dei MSS, perche ´ , come suggerisce L. ORELLI (La pienezza del vuoto, Bari = 1996, p. 173), e` plausibile ritenere che ad includere ‘‘corpi di ogni sorta’’ sia il ‘‘complesso di forma sferica’’ piuttosto che una sorta di membrana. Adottando la correzione in touvtou proposta da J. KERSCHENSTEINER («Hermes», 1959, p. 446), si dovrebbe rendere cosı`: ‘‘Da questo si stacca una sorta di membrana’’. Adottando invece la lezione uJfivstasqai (di un cod. di D.L. e di Esichio) al posto di ajfivstasqai, e senza quella correzione, si deve rendere a questo modo: ‘‘Questo sussiste come una membrana’’. 621 Probabilmente il senso e ` che il vortice fa in qualche modo leva sul centro (ajntevreisi" si trova usato in scritti di Ippocrate e di Aristotele per la resistenza offerta da una giuntura nel movimento degli arti). Alcuni studiosi (p. es. Mansfeld nella sua trad.) pensano piuttosto ad una contro-pressione al centro che si oppone alla pressione esercitata dalla membrana. 622 Si intende: verso il centro. 623 Seguo la lezione dei MSS: ejpevkrusin (il termine e ` unico, ma cfr. Kerschensteiner, art. cit., p. 446, n. 4); la correzione di Heidel: ejpevkkrisin, e` adottata da Diels in DK e da Kirk in KRS (sua trad.: ‘‘owing to the attraction of bodies outside’’, ma il termine pare avere piuttosto il senso di secretion o expulsion, cfr. LSJ s.v., dove invero e` citato solo il nostro passo); la correzione di Reiske: ejpivkrisin (oppure ejpeivskrisin) e` adottata da Gigante (trad.: ‘‘per la penetrazione di altri corpi dall’esterno’’); sono state proposte ulteriori correzioni. 624 Per questo inizio del periodo mi baso su di un’integrazione del Diels, che colma in parte una lacuna interrompente il periodo precedente. 625 Ci si aspetterebbe il plurale, come all’inizio del passo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.C)
80.2. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 4, 1-4 (= 67 A 24; 297 e 383 Lu.; 308 Us.) [= Aezio I 4, 1-4 (Dox. 289-90); il passo viene ripreso da Eusebio, Praeparatio evangelica XV 32.1-7 e da Ps.-Galeno, Historia philosopha 33]: [Si tratta di un resoconto anonimo, che offre una cosmogonia di tipo atomistico, ma la cui probabile matrice e` epicurea. Il capitolo e` riportato per intero.] (Come si e` costituito il mondo) Il mondo dunque si costituı` configurandosi di una figura ricurva a questo modo: essendoci dei corpi atomici che sono dotati di un movimento imprevedibile e casuale e che si muovono continuamente e velocissimamente, molti {di questi} corpi, aventi una varieta` di figure e di grandezze,626 si riunirono in uno stesso luogo. (2) Riunitisi questi in uno stesso luogo quanti erano piu` grandi e piu` pesanti si collocarono complessivamente nella posizione bassa, quanti invece erano piccoli e tondi e lisci e facilmente scorrevoli, per la {azione di} espulsione dovuta al confluire di {altri} atomi erano portati in alto fino alla collocazione elevata. Come venne meno la forza compulsiva che li sollevava e l’urto dunque non li spingeva piu` alla collocazione elevata, ma questi erano impediti {da altri corpi} a portarsi in basso, essi vennero a comprimersi nei luoghi che erano capaci di accoglierli; questi erano i {luoghi} tutt’intorno, ed e` verso questi che ripiego` la moltitudine dei corpi; i quali, intrecciandosi, nel loro ripiegamento, generarono il cielo. (3) Gli atomi che, pur avendo la stessa natura, erano svariati (come detto sopra), una volta spinti alla collocazione elevata formarono la natura degli astri. La moltitudine dei corpi che si innalzava a mo’ di esalazione percuoteva l’aria e la comprimeva. Questa, diventata soffio per via del movimento e abbracciando gli astri, li conduceva in giro e manteneva l’attuale loro movimento circolare nella parte elevata {del mondo}. In seguito, da quelli che si erano collocati in basso, si genero` la terra, da quelli elevatisi il cielo, il fuoco, l’aria. (4) Con il condensarsi della molta materia che era ancora racchiusa nella terra per gli urti dovuti ai venti e per le brezze venenti dagli astri, tutto quanto di essa che aveva una configurazione minuta veniva espulso e generava la natura umida; questa, essendo di natura fluida, si portava all’in giu` nei luoghi cavi, adatti ad accoglierla e a contenerla; oppure era l’acqua stessa che, depositandosi, rendeva cavi i luoghi sottostanti. Le parti principali del mondo si generarono dunque a questo modo.
80.3. I. Platone, Timaeus 52D-53A (trad. Fronterotta): ... che vi erano l’essere, lo spazio e il divenire, tre realta` distinte, gi`a prima che nascesse il cielo; ebbene, la nutrice del divenire, che era inumidita e infuocata e che accoglieva le figure della terra e dell’aria e che subiva tutte le altre affezioni che seguono a queste, presentava alla vista un aspetto assai diversificato e, per via del fatto che era piena di forze non omogenee n´e equilibrate, non era in nessuna sua parte in equilibrio, ma, oscillando in ogni direzione senza regolarita`, era scossa da quelle forze e, muovendosi a sua volta le scuoteva; e le cose messe in movimento erano sempre trasportate alcune da una parte altre dall’altra, separandosi, cosı` come, scosse e ventilate dai vagli e dagli altri strumenti che servono a 626 Il testo cosı` com’e ` ha poco senso e pare presentare un guasto od omissione; l’ho reso omettendo kai; dia; tou=to, ma forse si intendeva che la varieta` delle figure e grandezze favorisce l’intrecciarsi degli atomi. Alfieri rende: ‘‘... parecchi di essi (e, appunto per cio`, delle piu` varie forme e grandezze) si raccolsero in uno stesso luogo’’, ma il fatto che siano molti non deve implicare che siano svariati (notare che al § 3 si dice, con richiamo a questo passo, che sono svariati nonostante abbiano la stessa natura).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.D)
pulire il grano, le parti dense e pesanti si vanno a collocare da una parte, mentre le parti rarefatte e leggere si vanno ad accumulare altrove; allora, allo stesso modo, dei quattro elementi, scossi da quella nutrice che li aveva accolti e che a sua volta era mossa come uno strumento che produce una scossa, quelli fra loro piu` dissimili si separavano gli uni dagli altri, mentre quelli fra loro piu` simili si raccoglievano in unit`a, per cui, appunto, occupavano ciascuno un luogo diverso dagli altri, anche prima che si generasse da essi l’universo ordinato.
80.4. A. Epicuro, Epistula ad Pythoclem, § 90.6-10 (om. DK; = 395 Lu.): [Viene dato un resoconto della formazione dei corpi celesti che e` apparentemente in polemica con quello che viene attribuito a Democrito in Ps.-Plutarco, Stromata 7 (= 4.6). Di seguito a 81.2.] Il sole e la luna e gli astri rimanenti non e` che si generassero per se stessi 627 e successivamente fossero racchiusi dentro dal mondo (insieme a quanto esso preserva), ma subito furono plasmati ed ebbero la loro crescita (allo stesso modo che la terra e il mare), per aggregamenti e vortici di certe nature composte di particelle minute, fossero esse ventose o ignee o di entrambi i tipi.628
D. IL
RICORSO AL VORTICE E ALLA NECESSITA`
(O
AL CASO ) IN COSMOLOGIA
81.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 3, 1-2 [= Eusebio, PE XV 34.1-2]: (Se il mondo sia animato e se sia governato da una mente previdente) Tutti gli altri {ritengono che} il mondo sia animato e governato da un mente previdente. (2) Democrito, Epicuro e quanti introducono gli atomi e il vuoto non lo rendono ne´ animato ne´ governato da una mente previdente, ma {costituito} ad opera di una certa natura priva di ragione.
81.1.1. VA. Stobeo, Eclogae I 21, 3c (con 81.1, in combinazione 629 e limitatamente al secondo brano, = 67 A 22; 23 e 589 Lu.; completo e fedele = 382 Us.) [con 81.1 = Aezio II 3, 2 (Dox. 329-30)]): (Sul mondo, se esso sia animato e se sia ordinato da una mente previdente e dove abbia l’«egemonico» e donde si alimenti) Tutti gli altri ... [= 81.1, § 1]. Leucippo, Democrito ed Epicuro {non ammettono} nessuna di queste due cose, ma lo rendono costituito dagli atomi ad opera della natura priva di ragione.
Cioe` per conto proprio. I passi messi fra parentesi sono probabilmente scolii. 629 Diels offre (come Aezio II 3, 2) un passo unico risultante da porzioni delle due versioni; e ` seguito da Luria in 589, mentre in 23 questi propone 81.1 con integrazioni da 81.1.1 (e includendo il primo brano). 627 628
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
81.1.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 46 (621.12-15): (Se il mondo sia animato) Tutti gli altri ... [= 81.1, § 1]. Democrito ed Epicuro {e} quanti introducono il caso,630 non ammettono nessuna di queste due cose, ma lo rendono ordinato da una natura priva di ragione.
81.2. A. Epicuro, Epistula ad Pythoclem, §§ 89.3, 5-6, 7-8, 90.1-5 (= 67 A 24; 291 Lu.): [Di seguito a 78.2, passando alla formazione del mondo, in probabile polemica col resoconto di Leucippo, oltre che con quello di Democrito sulla sua distruzione (cfr. 79.10 e 4.5, § 3).] {E` possibile concepire} anche che un mondo siffatto possa generarsi [...] in un luogo molto vuoto, e non in uno grande completamente vuoto, come affermano alcuni, {in effetti generandosi} per il confluire di certi semi appropriati [...] che a poco a poco producono aggiunte e articolazioni [...]. (90) Non basta infatti che si generi un’aggregazione {di atomi} e un vortice nel vuoto, dove un mondo possa, come si crede, generarsi per necessita` e aumentare finche´ si urti con un altro, come dice qualcuno dei cosiddetti naturalisti: questo e` in conflitto con i fenomeni.
81.3. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX, §§ 111-113 (113, periodo finale = 68 A 83; 112-13 = 308 Lu.; SVF II, 1016): Inoltre gli Stoici e quelli che sono d’accordo con loro cercano di provare l’esistenza degli dei anche a partire dal movimento del mondo, {a questo modo:} Che il mondo sia in movimento ognuno lo ammetter`a, essendo indotto a questo da molte {considerazioni}. Esso e` mosso, allora, o dalla natura o dalla scelta deliberata o dal vortice e secondo necessita`. (112) Ma {che sia mosso} dal vortice e secondo necessita` non e` ragionevole: il vortice infatti o e` ordinato o e` disordinato; e se e` disordinato, non e` capace di muovere alcunche´ in modo ordinato; se, d’altra parte, muove qualche cosa in modo ordinato e armonioso, esso sar`a qualcosa di divino e di demonico, (113) giacche´ non avrebbe mai mosso il tutto in modo ordinato e per la sua salvezza senza essere intelligente e divino; ma se e` tale, non puo` piu` essere vortice, perch´e questo e` disordinato e di breve durata. Pertanto il mondo non sara` mosso secondo necessita` e dal vortice, come sostengono Democrito e i suoi.
E. IL
SISTEMA ASTRONOMICO
1. Composizione fisica dei corpi celesti e loro conformazione 82.1. T. Stobeo, Eclogae I 24, 1e (= 68 A 85; 393 Lu.) [= Aezio II 13, 4 (Dox. 341)]: (Sulla sostanza degli astri e sulle loro figure, movimento e segni del tempo)
630
20
Notare la sostituzione di to; aujtovmaton a ta; a[toma di 81.1.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
Democrito: {gli astri} sono fatti di pietra. E 631 primi {fra di essi} sono quelli fissi, successivi quelli erranti [scil. i ‘pianeti’].
82.2. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 17 (om. DK; = 393 Lu.; Dox. 341, excerpta): [Seguito non immediato di 78.6.4: sono rilevati i contrasti fra i filosofi pagani anche circa il sistema celeste.] E gli astri Talete li chiamo` fatti di terra e infuocati; a sua volta Anassagora disse che dal movimento vorticoso del tutto furono tratti {corpi} pietrosi e che questi, infuocatisi e compattatisi verso l’alto, sono denominati astri; anche Democrito da` forza a questo discorso.
82.3. T. Achille, Isagoga I, 13 [40.25-29] (= 59 A 79 e 67 B 1; 392 Lu.): (Se le stelle sono esseri animati) L’animale, secondo Eudoro,632 e` una sostanza animata. N´e Anassagora ne´ Democrito nel Grande sistema del mondo sono dell’opinione che le stelle siano esseri animati e neppure lo e` Epicuro nell’Epitome ad Erodoto, mentre e` dell’opinione Platone nel Timeo 633 ...
82.3.1. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum V 20, 1-2 [= Aezio V 20, 1-2 (Dox. 432)] (om. DK; = 547 Lu.): (Quanti sono i generi di animali e se tutti sono dotati di sensazione e di ragione) C’e` un trattato di Aristotele, nel quale dice che i generi degli animali sono quattro, terrestri, acquatici, volatili, celesti; dice infatti che anche gli astri sono animali e che il mondo ...{ e` un animale razionale immortale.634 Democrito, Epicuro, non ammettono che le entita` celesti siano animali.635
82.4. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 20, 5 (= 59 A 72): (Sulla sostanza del sole e che ce ne sono due e tre) 636 Anassagora, Democrito e Metrodoro {dicono che il sole e`} un metallo rovente o una pietra infuocata. 631 Questo secondo brano concerne palesemente l’ordine degli astri e corrisponde a Ps.-Plut. Placita II 15, 3 (= 84.1). 632 Eudoro di Alessandria, autore di un commento al Timeo (cfr. 117.7 e n. 921 ad loc.). Questi e` ritenuto dal Diels (Dox., p. 22) essere la fonte dell’informazione che segue. 633 Cfr. rispettivamente Epist. ad Herod. § 77, e Timeo 40B. 634 Le ultime parole sono tratte dal testo parallelo di Ps.-Galeno, Hist. philos. 124: c’e ` un guasto nel testo. 635 Il testo della fine di questo brano risulta da un’integrazione di Usener, Epicurea, p. 229, a colmare una lacuna (integrazioni diverse sono state proposte dal Diels). Il passo parallelo in Stobeo, I 43 (= Aetius V 20, 1), non include il brano relativo a Democrito (e ad Epicuro) e inizia come segue: ‘‘Platone e Aristotele {dicono che} i generi degli animali ...’’; lo stesso vale per Ps.-Galeno, Hist. philos. 124. 636 Questo titolo si spiega col fatto che si parla di due soli nel passo (di questo cap. 20) riguardante Empedocle (8 = 31 A 56 DK) e di un eventuale terzo sole nel passo riguardante Filolao (7 = 44 A 19 DK).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
82.4.1. V. Stobeo, Eclogae I 25, 3a, 3h (3h = 68 A 87; 396 Lu.) [con 82.4 = Aezio II 20, 6-7 (Dox. 349)]: (Sulla sostanza del sole e sulla sua grandezza, figura, solstizi, eclissi, segni e movimento) (a) Anassagora {dice che} il sole e` un metallo rovente o una pietra infuocata. (h) Democrito {dice che il sole} e` un metallo rovente o una pietra infuocata. [Il seguito su Democrito come 86.3 riguardante i solstizi.]
82.4.2. V. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 21: [Seguito non immediato di 82.2, stesso contesto.] Quanto al sole e alla luna Senofane dice che sono nubi infuocate, Anassagora, Democrito e Metrodoro {dicono che il sole e`} un metallo rovente o una pietra infuocata.
82.5. T. Eustazio, Commentarii ad Odysseam XII, v. 62 [p. 1713] (= 68 B 25; 821 e 397a Lu.): [Di commento al v. 63: ‘‘... che portano l’ambrosia a Zeus padre’’, applicato alle ‘tremanti colombe’, le quali neppur esse, fra i volatili, possono attraversare la strada delle rupi erranti. Fa parte di un discorso rivolto da Circe ad Odisseo.] Altri intendono per Zeus il sole ... e per ambrosia i vapori mediante i quali il sole si alimenta, come ritiene anche Democrito.637
82.6. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 25, 5 (= 59 A 77; 398 Lu.): (Sulla sostanza della luna) Anassagora e Democrito {affermano che la luna} e` un corpo solido infuocato e avente in se stesso pianure e montagne e valloni.
82.6.1. VA. Stobeo, Eclogae I 26, 1e(2) [con 82.6 = Aezio II 25, 9 (Dox. 356)]: (Sulla sostanza della luna e {sulla sua} grandezza e figura) & Stesso testo di 82.6.
82.6.2. VA. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 23: [Seguito non immediato di 82.4.2, stesso contesto.] Anche circa la luna allo stesso modo essi [scil. i pensatori pagani] dicono sciocchezze. & Segue (dopo un riferimento alle posizioni di Talete, di Anassimene, di Parmenide e
di Eraclito) stesso testo di 82.6.
637 Democritea deve essere solo l’osservazione fisica finale, circa il fatto che il sole trae alimento dai vapori, perche´ l’interpretazione allegorica dei versi omerici e` da Eustazio attribuita espressamente solo ad Aristotele. Cfr. R. PHILIPPSON, Democritea, «Hermes», LXIV 1929, pp. 168-169, inoltre il commento di Luria ad 397a.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
82.7. T. Stobeo, Eclogae I 26, 4, 4 [= Aezio II 30, 3 (Dox. 361)] (= 68 A 90; 400 Lu.): (Sull’apparenza di essa [scil. della luna]) 638 Democrito {afferma che} c’e` una certa proiezione di ombra delle parti elevate in essa, giacche´ essa possiede burroni e vallate.
2. La terra: figura, collocazione, stabilita` (o movimento), ecc. 83.1. TN. Aristotele, De caelo II 13, 293a15-23: Rimane da parlare della terra, {per determinare} dove si trova collocata, e se rientra fra i corpi in stasi o quelli in movimento, {parlando} anche della sua figura. Riguardo alla sua posizione non tutti hanno la stessa opinione, ma, mentre la maggior parte – {cioe`} quanti affermano che il cielo nel suo complesso e` finito –, la dicono collocata al {suo} centro, sostengono il contrario quelli dell’Italia, che sono chiamati Pitagorici. Affermano infatti che al centro c’`e un fuoco, e che la terra, essendo uno degli astri, si muove circolarmente intorno al centro e {in tal modo} produce notte e giorno.
83.2. T. Simplicio, In De caelo II (13, 293a15), 511.22-25 (23-24 = 59 A 88; 22-25 = 403 Lu.): Di coloro che dicono che il mondo e` finito la maggior parte dicono che la terra si trova collocata al {suo} centro, come {fanno} Empedocle e Anassimandro e Anassimene e Anassagora e Democrito e Platone; li contraddicono i Pitagorici.
83.3. A. Aristotele, De caelo II 13, 293b33-294a5 e 8-10 (om. DK; = 401 Lu.): [Dopo un’esposizione e discussione della tesi pitagorica circa la posizione della terra (cfr. 83.1 per la sua introduzione), e dopo una prima discussione delle tesi circa il movimento e la stabilit`a della terra (notare che la questione viene ripresa dopo la trattazione della figura della terra, cfr. 67 per il modo in cui la stabilita` della terra e` ammessa dalla maggior parte dei naturalisti).] C’e` pressapoco altrettanta disputa 639 anche circa la figura {della terra}. Gli uni infatti ritengono che essa sia sferica, altri {ritengono} invece che sia piatta e abbia la figura del tamburo, e portano a prova di cio` il fatto che il sole, al tramontare e al sorgere, manifestamente e` occultato dalla terra secondo una linea retta e non curva,640 come dovrebbe: se essa fosse sferica, la linea di sezione risulterebbe curva. Ma essi non tengono conto ulteriormente 641 della distanza che c’`e fra il sole e la terra e della grandezza della circonferenza terrestre [...]. Ma essi aggiungono dell’altro, e dicono che e` necessario che essa abbia questa figura per via della sua stasi.
638 Il titolo, nella sezione corrispondente in Ps.-Plutarco (II 30, non includente Democrito), e ` completato cosı`: ‘‘perche´ appare simile alla terra’’. 639 Si intende: altrettanta quanta c’e ` sulle altre due questioni gia` discusse nel cap. 640 Letteralm.: si manifesta producente un occultamento retto e non curvo. 641 Cioe ` come di fattori ulteriori, che modificano il quadro complessivo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
83.4. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 10, 4 (= 67 A 26; 405 Lu.) [= Aezio III 10, 4 (Dox. 377)]: (Sulla figura della terra) Leucippo: e` come un tamburo.
83.4.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 82 (632.25 e 633.2) (om. DK e Lu.): (Sulla figura della terra) Leucippo {dice che} e` come un tamburo in larghezza, ma cava in altezza.642
83.5. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 10, 5 (= 68 A 94; 405 Lu.) [= Aezio III 10, 5 (Dox. 377)]: (Sulla figura della terra) Democrito: e` come un disco in larghezza, ma cava nel mezzo.
83.5.1. V. Excerpta astronomica codicis Vaticani 381 (Aratea, p. 143) (= 59 A 87; 405 Lu.): La terra non e` cava, come {diceva} Democrito, e neppure piatta, come {diceva} Anassagora, ma, come si e` detto, sferica.
83.6. T. Simplicio, In De caelo II (13, 294a11), 520.26-521.1 (28-31 = 59 A 88; 376 Lu.): [Sulla questione della stabilita` della terra.] In primo luogo ricorda [sogg. Aristotele] coloro che dicono che essa rimane ferma per via del suo essere infinita, come {fa} Senofane di Colofone; in secondo luogo coloro che {la dicono} rimaner ferma in quanto si sostiene sull’acqua, come {fa} Talete di Mileto; in terzo luogo *coloro che dicono che essa rimane ferma in quanto e` tenuta sospesa dall’aria sottostante, che la terra, essendo piatta e a forma di tamburo, ricopre come un coperchio e non lascia sfuggire verso l’alto; e` a questo modo che paiono essersi espressi Anassimene e Anassagora e Democrito*; in quarto luogo {ricorda} Empedocle e i suoi che adducono come causa della stabilita` della terra il movimento vorticoso del cielo; e in quinto luogo coloro che dicono che la causa della stabilita` e` l’uniformita` e l’equilibrio, come {fanno} Anassimandro e Platone.
83.7. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 13, 1 e 4 (4 = 68 A 95; 402 Lu.) [= Aezio III 13, 1 e 4 (Dox. 378)]: (Sul movimento della terra) Gli altri {dicono che} la terra rimane ferma. [...] 642 Se la terra e ` ritenuta essere come un tamburo, deve essere ritenuta essere piatta dalle due parti (come del resto suggerisce Aristotele in 83.3), sicche´ mevgeqo" in questo passo non puo` che essere inteso nel senso di ‘altezza’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
(4) Democrito {afferma che} all’inizio la terra era errante per via della sua piccolezza e leggerezza, ma che, col tempo, compattatasi e appesantitasi, divenne statica.
83.8. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 15, 7 (= 28 A 44; 4 e 403 Lu.) [= Aezio III 15,7 (Dox. 380)]: (Sui sismi della terra) 643 Parmenide e Democrito {dicono che la terra} rimane ferma in equilibrio per il suo distare in ugual modo da ogni parte, non essendovi alcuna causa per cui debba pendere da una parte piuttosto che da un’altra. Per questo essa ha soltanto delle vibrazioni e non si muove.
83.9. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 12, 1 (= 67 A 27; 419 Lu.) [= Aezio III 12, 1 (Dox. 377)]: (Sull’inclinazione della terra) Leucippo rende la terra inclinata verso la parte meridionale per la rarefazione [scil. dell’aria] nella parte meridionale, poich´e le regioni settentrionali sono compatte per il freddo che le fa gelare, mentre le regioni opposte sono ardenti.
83.10. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 12, 2 [di seguito ad 83.9] (= 68 A 96; 419 Lu.) [= Aezio III 12, 2 (Dox. 377)]: (Sull’inclinazione della terra) Democrito {dice che,} per il fatto che la parte meridionale della {atmosfera} circostante e` piu` debole la terra, essendosi accresciuta da questa parte, si e` inclinata; infatti le parti settentrionali sono rigide,644 quelle meridionali sono temperate, per cui si e` appesantita in questa zona, che e` sovrabbondante di frutti e di vegetazione.
3. Dislocazione dei corpi celesti e trattazione dei pianeti 84.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 15, 3 (= 68 A 86; 390 Lu.) [= Aezio II 15, 3 (Dox. 344)]: (Sull’ordine degli astri) [Dopo l’esposizione delle posizioni di Senofane e degli Stoici.] Democrito {ritiene che ci siano} in primo luogo quelli non vaganti [cioe` le stelle], dopo questi i pianeti, e, oltre a questi, il sole, la stella del mattino, la luna.
643 Il titolo e ` appropriato al massimo per l’ultimo periodo, e del resto la posizione di Democrito sui terremoti contenuta in questa sez. e` quella riportata come 87.4. E` piu` appropriato il titolo della sezione III 11: Sulla posizione della terra, dove e` inserito un passo parmenideo, peraltro anch’esso non appropriato (cfr. 28 A 44a DK). Questo associare Democrito a Parmenide pare comunque erroneo, dato il tenore delle altre testimonianze circa la sua teoria – soprattutto quella aristotelica in 67, inoltre quella di Simplicio in 83.6 (vedi discussione della questione in Presentazione dei testi, sez. 21). 644 Letteralm.: non temperate.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
84.1.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 57 (624.25-625.2): (Sull’ordine [scil. degli astri]) Senofane ritiene che gli astri si muovano lungo la superficie {della terra}, Democrito che in primo luogo ci siano quelli non vaganti, dopo questi i pianeti, e, oltre a questi, il sole e la luna.
84.2. T + C. Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet 16, 929C (= 68 A 89a; 399 Lu.): [Sulla luce della luna.] Non sono le sue deviazioni e i suoi allontanamenti [scil. dal sole] – come quando e` a meta` e gibbosa o crescente – che possono essere addotti a causa della congiunzione 645 {col sole} ma essa, dice Democrito, ‘trovandosi ad essere allineata con cio` che la illumina, sostiene e recepisce il sole’,646 sicche´ sarebbe naturale per essa essere manifesta e lasciarlo trasparire...647
4. Altri fenomeni celesti: la via lattea e le comete 85.1. T. Aristotele, Meteorologica I 8, 345a25-31 (= 59 A 80; 417 Lu.): Anassagora, Democrito e i loro affermano che la via lattea e` la luce di certi astri. Il sole infatti nel suo corso sotto la terra non scorge 648 alcuni degli astri; ora nel caso di quelli che rientrano nella sua visuale la loro luce non si manifesta {a noi}, perch´e e` ostacolata dai raggi del sole, mentre nel caso di quelli per i quali la terra funge da schermo, cosı` da non rientrare nella visuale del sole, la loro luce propria e` appunto, essi dicono, la via lattea.
85.2. T o E. Alessandro, In Meteorologica I (8, 345a25), 37.23-28 (= 68 A 91; 417 Lu.): Anassagora e Democrito dicono che la via lattea e` la luce di certi astri. Il sole infatti di notte procedendo sotto la terra illumina alcuni degli astri che si trovano sopra la terra, e di questi (dicono) non diventa manifesta la luce propria essendo impedita dai raggi del sole; nel caso invece di quelli che si trovano nell’ombra della terra che funge da schermo, in modo da non essere illuminati dalla luce proveniente dal sole, la loro luce propria e` visibile, e questa e` appunto la via lattea.
645 Presumibilmente il senso e ` : a causa della sua invisibilita` in congiunzione col sole (cosı` intende H. CHERNISS, Moralia XII, London 1957, nella sua trad. del passo). 646 Si intende: la luce del sole. Il passo deve essere una citazione, come riconosce Cherniss ma non Diels (in DK), e pare avere una connotazione sessuale (come pure suggerisce Cherniss in op. cit., pp. 102-103, n. a). 647 Nel seguito Plutarco rigetta questa spiegazione, pur presentata, a quanto pare, come preferibile alla prima, perch´e tale conseguenza non si verifica, anzi la luna, oltre a poter essere essa stessa invisibile, puo` occultare il sole. 648 Cioe ` non illumina.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
85.3. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 1, 5-6 (6 = 68 A 91; 418 Lu.; 5 = 59 A 80): (Sulla via lattea) Anassagora {dice che} l’ombra della terra si colloca da questa parte del cielo, quando il sole trovandosi sotto la terra non illumina tutte le cose. (6) Democrito {dice che la via lattea} e` un concorso di raggi luminosi dovuto all’addensamento di molte piccole stelle contigue che si illuminano l’un l’altra.
85.3.1. VA. Stobeo, Eclogae I 27, 5-6 [con 85.3 = Aezio III 1, 5-6 (Dox. 365)]: (Sulla via lattea) Anassagora {dice che} l’ombra della terra si colloca da questa parte del cielo, quando il sole trovandosi sotto la terra non illumina tutte le cose. {In queste condizioni la via lattea} e` un concorso di raggi luminosi dovuto all’addensamento di molte piccole stelle contigue che si illuminano l’un l’altra.649
85.3.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 74 (629.4 e 14-16): (Sulla via lattea) Anassagora {dice che} l’ombra della terra si colloca da questa parte del cielo, quando il sole da sotto la terra non illumina tutte le cose.650 Democrito {dice che la via lattea} risulta da molte piccole stelle contigue che si illuminano l’un l’altra.
85.4. T. Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I 15, 3-4 e 6 [61.13-18 e 25-29] (om. DK e Lu.): [Sui corpi celesti, di seguito, a poca distanza, a 101.9.] Di questa via lattea molti hanno espresso opinioni differenti, e alcuni addussero di essa cause favolose, altri {cause} naturali, ma noi, passando sotto silenzio quelle favolose, esponiamo solo quelle che sembrano riguardare la sua natura. (4) Teofrasto afferma che la via lattea e` una giunzione... [...] (6) Democrito {afferma che essa consiste in} stelle innumerevoli e tutte piccole, che sono addensate in una striscia compatta, con spazi che si interpongono {fra di esse} stretti al massimo, contigue tra loro da ogni parte e che percio`, spargendo e diffondendo luce dappertutto, ostendono un corpo continuo di illuminazione congiunta; ma Posidonio 651 ...
649 Questo testo viene solitamente uniformato al precedente (cosı` Diels in Dox. e in DK). Nella versione di Stobeo manca in effetti il lemma Democrito, che e` stato inserito da Wachsmuth seguendo un’indicazione di Canter, sulla base del parallelo con il passo di Ps.-Plutarco. Ma, poiche´ il resoconto attribuito ad Anassagora e` manifestamente incompleto e Democrito nelle altre testimonianze e` associato a lui, c’e` piuttosto da sospettare che la versione di Ps.-Plutarco spezzetti, attribuendolo ad autori distinti, un unico resoconto da attribuire ad entrambi (come in 85.1 e 85.2), sicch´e l’assenza del lemma in Stobeo non e` casuale, anche se il passo e` altrimenti lacunoso. 650 Ho omesso un articolo nel testo (altrimenti si dovrebbe tradurre: ‘‘il sole non illumina tutte le cose sotto la terra’’, e questo, oltre ad avere poco senso, e` in contrasto con 85.3 e 85.3.1). 651 Segue passo riguardante questo autore; il passo omesso in precedenza, dopo l’esposizione della posizione di Teofrasto, riguarda Diodoro.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
85.5. A. Achille, Isagoga I 24 [55.24-27] (= 68 A 91; 418 Lu.): (Sulla via lattea) [Dopo l’esposizione di alcuni altri resoconti del costituirsi della via lattea.] Altri dicono che risulta da stelle molto piccole e addensate e che a noi sembrano unificarsi per via della distanza dal cielo alla terra, come se si cospargesse qualcosa di sale fine e abbondante.
85.6. T. Aristotele, Meteorologica I 6, 342b25-29 (27-29 = 59 A 81; 416 Lu.), 343b8-9, 25-28 (= 416 Lu.): Parliamo delle comete e della cosidetta via lattea, in primo luogo affrontando le aporie in relazione a quanto detto da altri. Anassagora e Democrito dicono che le comete sono una ‘apparizione simultanea’ 652 dei pianeti, quando, per la prossimita` cui pervengono, sembrano toccarsi l’uno con l’altro. [Segue esposizione e discussione delle teorie dei Pitagorici e di Ippocrate di Chio.] {Un’obiezione} comune sia a costoro 653 sia a coloro che affermano la congiunzione {di pianeti} e` che anche alcune stelle fisse accolgono la chioma. [Nel seguito sono citate testimonianze di questo fatto.] ... E tuttavia Democrito difese la sua opinione in modo strenuo: dice che sono state viste {apparire} delle stelle 654 con il dissolversi delle comete. Questo pero` si dovrebbe verificare non di tanto in tanto, ma sempre.
85.7. T. Alessandro, In Meteorologica I (6, 342b25), 26.11-17 (= 68 A 92; 416 Lu.): Intorno alle comete Anassagora e Democrito dicono che quella che viene chiamata stella cometa e` una ‘apparizione simultanea’ dei pianeti. (Questi sono quello di Crono, quello di Zeus, quello di Afrodite, quello di Ares e quello di Ermes.) Questi infatti, quando vengono a trovarsi vicini, formano un’immagine come se si toccassero e fossero una sola stella, quella che viene chiamata cometa. Denomina ‘apparizione simultanea’ appunto l’immagine risultante da tutte le stelle convergenti, come {se risultasse} da una sola.
85.8. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 2, 2 (= 59 A 81; 416 Lu.): (Sulle comete, sulle {stelle} cadenti e sui meteoriti) Anassagora e Democrito {affermano che la cometa e`} una congiunzione di due o anche piu` astri nel concorso di raggi luminosi. 652 In greco suvmfasi". Si deve intendere con questo anche una congiunzione apparente, perche ´ di ‘congiunzione’ (suvnayi") o di ‘convergenza’ (suvnodo") parla Aristotele nel seguito. 653 Coloro che, come Ippocrate di Chio, sostengono la seconda posizione considerata nel capitolo (la loro posizione non e` trattata come indipendente da quella dei Pitagorici ma come una sua modifica), quella per cui la cometa e` un pianeta e la parvenza della chioma dipende da un riflesso. 654 Nel seguito Aristotele prospetta la possibilita ` di una congiunzione fra un pianeta ed una stella fissa; siccome anche in altre di queste fonti si parla di stelle con apparente riferimento alle stelle fisse, pare che Democrito ammettesse anche lui almeno questa possibilita`. In ogni caso, come fa pensare la testimonianza non troppo chiara di Seneca (in 85.11), egli potrebbe avere ammesso un numero maggiore di pianeti di quelli conosciuti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
85.8.1. VA. Stobeo, Eclogae I 28, 1a(2) [insieme a 85.8 = Aezio III 2, 2 (Dox. 366)]: (Sulle comete, sulle {stelle} cadenti e simili) & Stesso testo di 85.8.
85.8.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 75 (629.20 e 630.2-3): (Sulle comete e sulle stelle cadenti) & Stesso testo di 85.8.
85.9. T. Scholia in Aratum vetera 1091, 509.7-16 (Richiamo in 59 A 81; = 416 Lu.): Democrito e Anassagora dicono che le comete si costituiscono per una congiunzione 655 di due pianeti, quando essi vengono ad essere accosti, come specchi che si rimandano scambievolmente la luce. Anche costoro pero` errano 656 nell’affermare questo. Esse non compaiono solo nello zodiaco, ma anche al settentrione e al meridione, e spesso si lasciano vedere tre comete sotto lo stesso {segno}, ma e` impossibile, dato che i pianeti sono cinque, che si lascino vedere tre comete; e talvolta anche alcuni degli astri non erranti si lasciano vedere con la chioma.
85.10. T. Stobeo, Eclogae I 28, 1b(2) (229.5-9) (om. DK e Lu.): [Stesso titolo di 85.8.1.] Il resoconto {circa le comete} che viene riportato di Democrito e` che le comete appaiono costituirsi per la riflessione della luce dei pianeti gli uni verso gli altri e anche verso gli astri,657 come quando, essendoci piu` specchi che riflettono la luce gli uni negli altri, gia` si lasciano vedere certe immagini a forma di astri.
85.11. A. Seneca, Naturales quaestiones VII 3, 1-2 (2 = 68 A 92; 1-2 = 416 e 390 Lu.) e 12, 1 e 6 (om. DK e Luria): [Il libro e` dedicato alle comete e il primo dei due passi riportati fa parte dell’introduzione, mentre il secondo fa parte di una rassegna, iniziata nel cap. 4, dei resoconti che erano stati dati delle comete; esso segue l’esposizione critica della teoria attribuita ad Epigene.] Sarebbe poi necessario avere catalogato le apparizioni delle comete avvenute nel passato. Fino ad oggi infatti non e` stato possibile accertare i loro percorsi a causa della loro rarita` e neppure indagare se osservino una periodicit`a e se una successione determinata le faccia apparire in un dato giorno. Tale osservazione di fenomeni celesti e` moderna ed e`
655
Adotto la lezione kata; suvllhyin, ma Diels (Dox. 231) propone la correzione kata; suvlla-
myin. 656 Probabilmente si sottintende ‘‘come i pianeti di cui parlano’’, cioe ` c’e` un gioco di parole suggerito dal fatto che pianeti in greco vuol dire ‘erranti’. (E` un punto sul quale ha attirato la mia attenzione Francesco Ademollo). 657 Letteralm.: ‘‘verso i non erranti’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.E)
stata introdotta da poco in Grecia. (2) Anche Democrito, il piu` acuto fra tutti gli antichi, dice di sospettare che vi siano numerosi pianeti in movimento, ma non n´e determino` ne´ il numero ne´ i nomi, non essendo state ancora comprese le orbite dei cinque astri {che si conoscono}. Eudosso per primo porto` in Grecia dall’Egitto la conoscenza di questi movimenti; egli tuttavia non dice nulla sulle comete ... (12.1) Alcuni fra gli antichi adottano il seguente resoconto: quando una delle stelle erranti entra in congiunzione con un’altra, poiche´ la luce delle due si fonde in una sola, si produce l’aspetto di un astro allungato; e questo non avviene solo quando un pianeta entra in contatto con un altro, ma anche quando gli si avvicina: infatti l’intervallo che intercorre fra i due e` illuminato e incendiato da entrambi e da` origine a un fuoco allungato. [Seguono obiezioni, compresa quella che i pianeti sono troppo pochi e si manifestano contemporaneamente alle comete – nel cap. 13 viene considerata la replica di Artemidoro a questa obiezione, che sta nell’ammettere che i pianeti sono assai piu` numerosi dei pochi a noi noti –. Le obiezioni del cap. 12 sono interrotte dalla seguente affermazione da parte di chi viene criticato, sempre lasciato anonimo; anche ad essa sono rivolte obiezioni nel resto del cap.] (12.6) ‘‘La luce di due pianeti’’, dice, ‘‘si mescola e presenta l’aspetto di uno solo, proprio come diventa rosseggiante una nube perche´ colpita dal sole, come si tingono d’oro le cose all’alba e al tramonto, come si rende visibile l’arcobaleno o un secondo sole.’’
5. Il movimento dei corpi celesti 86.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum II 16, 1 (= 59 A 78; 387 Lu.) [= Aezio II 16, 1 (Dox. 345)]: (Sullo spostamento e movimento degli astri) Anassagora, Democrito e Cleante {affermano che} tutti gli astri si portano da oriente ad occidente.
86.1.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 58 (625.8-10): (Sul movimento degli astri) & Stesso testo di 86.1, salvo leggere variazioni.
86.1.2. VA. Stobeo, Eclogae I 24, 1c (201.22-23, 202.10-11): (Sulla sostanza degli astri e {sul}le {loro} figure, movimento e segni) Anassagora {afferma che} tutti gli astri si portano da oriente ad occidente.
86.2. T. Lucrezio, De rerum natura V, vv. 621-36 (= 68 A 88; 394 Lu.): [Nel prospettare, secondo l’approccio tipicamente epicureo, multiple spiegazioni dei fenomeni celesti, viene introdotta come possibile la seguente spiegazione democritea delle orbite apparenti dei corpi celesti.] In primo luogo sembra che possa accadere | cio` che stabilisce il giudizio di quell’uomo venerando, Democrito: | quanto piu` gli astri sono vicini alla terra, | tanto meno possono spostarsi col turbine del cielo. | Infatti le sue rapide e impetuose forze si riducono | e diminuiscono in basso; per questo il sole a poco a poco | rimane indietro con le costellazioni ultime, | perch´e e` di molto inferiore [scil. quanto a posizione] che le stelle infiammate. |629| E a mag-
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.F)
gior ragione la luna: quanto, per essere piu` basso | il suo corso, essa si trova lontana dal cielo e si avvicina alla terra, | tanto meno puo` competere in velocita` con le costellazioni. | Anzi, quanto piu` e` debole, per la sua inferiorit`a [scil. della luna, quanto a posizione] al sole, | il turbine che la trasporta, tanto piu` tutte le costellazioni | che la circondano riescono a raggiungerla e a passare oltre. | Percio` accade che essa sembra ritornare piu` veloce a ciascuna | di queste costellazioni, perch´e sono le costellazioni {stesse} che la ritrovano.
86.3. T. Stobeo, Eclogae I 25, 3h (= 68 A 89; 420 Lu.) [= Aezio II 23, 7 (Dox. 353)]: (Sulla sostanza del sole e sulla sua grandezza, figura, solstizi, eclissi, segni e movimento) Democrito 658 {dice che} il solstizio risulta dal movimento vorticoso 659 che lo [scil. il sole] fa muovere in circolo.
F. METEOROLOGIA 1. I venti 87.1. T. Seneca, Naturales quaestiones V 2 (= 68 A 93a; 371 Lu.): Democrito dice che, quando, in un ristretto spazio vuoto, ci sono molti corpuscoli, che egli chiama atomi, ne segue il vento; e, viceversa, che lo stato dell’aria e` placido e quieto allorche´ vi siano pochi corpuscoli in un vasto spazio vuoto. Infatti al modo in cui in una piazza o in una strada, quando c’`e poca gente si puo` camminare senza confusione, quando invece la folla si accalca in un luogo angusto, avviene un sorta di lotta tra i passanti che si urtano: 660 allo stesso modo, in questo spazio da cui siamo circondati, quando molti corpuscoli hanno riempito un luogo ristretto, necessariamente si urtano gli uni con gli altri, si spingono e si respingono, s’intrecciano e si comprimono. Da questi processi appunto nasce il vento, quando i corpuscoli che prima erano in conflitto fra loro si sono precipitati insieme e, mentre avevano lungamente fluttuato nell’aria senza una direzione determinata, si sono inclinati tutti in un verso. Ma dove pochi corpi si aggirano in una grande ampiezza, non possono ne´ entrare in collisione n´e respingersi.
2. I terremoti 87.2. T. Aristotele, Meteorologica II 7, 365a14-19 (17-19 = 68 A 7; 14, 16-19 = 413 Lu.) e 365b1-6 (= 68 A 97; 413 Lu.): Del terremoto e del movimento della terra si deve parlare dopo di cio`, giacche´ la causa del fenomeno 661 e` prossima a questo genere.662 Quanto si e` appreso finora sono tre
658 659 660 661 662
Il nome ‘‘Democrito’’ e` tratto da 82.4.1, di cui questo periodo e` una continuazione. Presumibilmente: del cielo (cfr. 81.3). Per questa immagine cfr. Simplicio, In Phys. 683.11-12 (= 34.3.1). Letteralm.: dell’affezione. A quello dei fenomeni relativi al vento (oggetto dei capp. precedenti, cioe` II 4-6).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.F)
{teorie} dovute a tre persone: Anassagora di Clazomene e in precedenza Anassimene di Mileto si sono espressi {in proposito}, e successivamente a questi Democrito di Abdera. ...[Segue una parte su Anassagora.] (b1) Democrito dice che la terra, quando e` piena di acqua e riceve molta altra acqua di tipo piovano, e` mossa da questa: essendo {l’acqua} diventata troppa perche´ le cavita` {terrestri} non riescono a contenerla, essa, forzata {ad uscire}, produce il sisma; e anche quando {la terra}, essendo secca, attira {l’acqua} verso i luoghi vuoti a partire dai piu` pieni, {quest’ultima}, irrompendo nel suo spostamento, produce movimento.
87.3. T + F. Seneca, Naturales quaestiones VI 20, 1-4 (= 68 A 98; 414 Lu.): [Fa parte di una rassegna dei resoconti che erano stati offerti del terremoto dai naturalisti, fra i quali sono menzionati Talete che faceva ricorso all’acqua, Anassagora che faceva ricorso al fuoco, Anassimene e altri che facevano ricorso all’aria.] (1) Veniamo ora a coloro che hanno messo in causa tutte le cose [scil. gli elementi] di cui ho parlato oppure una pluralita` di esse. Democrito ritiene che {sia in causa} una pluralit`a. Dice infatti che lo scuotimento e` provocato ora dall’aria, ora dall’acqua, ora da entrambe, e continua il suo discorso in questo modo: ‘‘Una certa parte della terra e` cava; in essa confluisce una grande quantit`a d’acqua. Di questa una parte e` leggera e piu` fluida del resto. Questa parte, quando e` sospinta dal sopraggiungere di un corpo pesante, viene schiacciata contro la terra e la scuote, perche´ non puo` agitarsi senza che sia in movimento cio` contro cui va ad urtare.’’ (2) E di nuovo, come dicevamo dell’aria, si deve dire pure dell’acqua: 663 ‘‘Quando si e` accumulata in un unico luogo e non riesce piu` a farsi contenere, fa pressione su un qualche punto e si apre una via dapprima col suo peso, poi col suo impeto; ne´ infatti puo` uscire se non in discesa, dopo essere stata a lungo rinchiusa, ne´ puo` cadere in linea retta moderatamente o senza scuotimento dei luoghi che attraversa o su cui va a cadere. (3) Se poi, quando il suo corso ha gi`a cominciato a farsi travolgente, si ferma in qualche luogo e la forza della corrente si ripiega su se´ stessa, l’acqua viene sospinta contro la terra che la racchiude, e la agita violentemente la` dove piu` e` vacillante. Inoltre talvolta la terra, impregnata del liquido che vi e` penetrato profondamente, si deposita a maggior profondita` e il fondo stesso si guasta: allora viene compressa quella parte su cui soprattutto ricade il peso delle acque che si riversano. (4) Quanto all’aria, essa talvolta spinge le onde e, se le incalza con piu` veemenza del solito, scuote naturalmente quella parte della terra in cui ha sospinto le acque che ha raccolto; altre volte, cacciatasi in canali sotterranei e in cerca d’una via d’uscita, scuote ogni cosa. Inoltre la terra e` permeabile ai venti e l’aria e` troppo sottile per poterne essere esclusa e troppo impetuosa perche´ la terra possa resistere alla sua agitazione e alla sua rapidita`.’’. [Il seguito concerne Epicuro.]
87.4. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 15, 1 (om. DK e Lu.) [= Aezio III 15, 1 (Dox. 379)]: (Sui sismi della terra) Talete e Democrito assegnano la causa dei sismi all’acqua.
663 Cioe ` si deve applicare all’acqua il resoconto che era stato dato in precedenza (al cap. 18) dell’aria come causa del terremoto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.F)
87.4.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 86 (633.19-20): & Stesso titolo e stesso testo di 87.4.
3. Il tuono, il fulmine, ecc. 87.5. T. Stobeo, Eclogae I 29, 1(10) (= 67 A 25; 415 Lu.) [= Aezio III 3,10 (Dox. 369)]: (Sui tuoni lampi fulmini ‘presteri’ e tifoni) Leucippo afferma che e` la caduta violenta di fuoco racchiuso in nubi molto dense a produrre il tuono.
87.6. T. Stobeo, Eclogae I 29, 1(11) (= 68 A 93; 415 Lu.) [= Aezio III 3,11 (Dox. 369)]: [Di seguito a 87.5.] Democrito {dice che} il tuono risulta da un aggregato squilibrato che forza al movimento verso il basso la nube che lo circonda; il lampo e` uno scontro di nubi per il quale i generatori di fuoco, riunitisi in uno stesso luogo, vengono filtrati, per reciproco sfregamento, attraverso le zone rese rade da molta presenza di vuoto; il fulmine {si produce} quando il movimento e` forzato – come egli stesso scrive – da generatori di fuoco piu` puri e piu` sottili e piu` equilibrati e piu` compatti; il ‘prestere’ {si produce} quando aggregati di fuoco ricchi di piu` vuoto e contenuti in luoghi ricchi di vuoto e formando con materiale molto mescolato dei corpi racchiusi in involucri dotati di proprie membrane, prendono lo slancio verso il basso.664
87.6.1. Epicuro, Epistula ad Pythoclem, § 101.1-4, 6-7, 10-11: 665 E i lampi, ugualmente, avvengono in piu` modi; in effetti, e` per lo sfregamento e lo scontro di nubi che la configurazione del fuoco atta a produrre tale effetto,666 quando ne sfugge, genera il lampo; [...] oppure e` per la pressione, se le nubi sono compresse, sia le une dalle altre, sia dai venti; [...] oppure e` per il filtraggio, tramite le nubi, della luce piu` fine ...
87.7. T + C. Plutarco, Quaestiones convivales IV 2, 4, 665E-F (= 68 B 152; 281 o 415 Lu.): [Contesto: sugli effetti e sulla natura del fulmine. A spiegazione della pretesa immunita` ai fulmini di coloro che dormono viene ammesso che il corpo di questi non ha la densita` di coloro che sono svegli, sicche´, non offrendo resistenza, non e` colpito.]
Oppure: per il peso? (bavro" codd., bavqo" corr. del Diels adottata nella trad.). Di tenore simile e` Lucrezio VI, vv. 160-65 e 211-13: ‘‘Lampeggia quando le nubi nel loro scontrarsi | scuotono via molto semi di fuoco: come se pietra | colpisce pietra o ferro; e infatti anche allora | un bagliore si sprigiona, e disperde luminose scintille di fuoco. | Ma accade che il tuono lo percepiamo con le orecchie piu` tardi | di quando gli occhi vedano lampeggiare ... | 211| Quando il vento che le trascina le sospinge insieme, | e addensandole, le comprime in un unico luogo, diffondono semi | fuori da loro, che causano un fulgore come di fiamma.’’ 666 Oppure: la configurazione {di atomi} atta a produrre il fuoco. 664 665
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.F)
Dissi comunque che il fuoco del fulmine e` straordinario per purezza e finezza, poiche´ trae la sua origine proprio da una sostanza pura e sacra, e poiche´ quanto di umido o di terrestre fosse mescolato ad esso lo espelle e lo elimina la celerit`a del suo movimento. Come dice Democrito, nessun corpo terrestre che sia colpito dal fulmine e` in grado di resistere alla brillante fiamma che proviene dall’etere.667
4. Fiumi e mari a) Sull’inondazione del Nilo 88.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 1, 4 (= 68 A 99; 411 Lu.) [= Aezio IV 1, 4 (Dox. 385)]: (Sull’inondazione del Nilo) Democrito {dice che} quando la neve che si trova nelle regioni settentrionali, al tempo del solstizio d’estate, si scioglie e si diffonde, dalle esalazioni vaporose per condensazione si formano delle nubi; queste, spinte verso il sud, e verso l’Egitto 668 {in particolare}, dai venti etesıˆ, producono piogge torrenziali, dalle quali vengono riempite le paludi e il fiume Nilo.669
88.1.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 89 (634.19 e 25-28): (Sull’inondazione del Nilo) & Stesso testo di 88.1, salvo piccole variazioni e abbreviazioni.
88.2. T. Diodoro, Bibliotheca historica I 39, 1-4 (rifer. in 68 A 99; = 411 Lu.): [La discussione della questione inizia nel cap. 38, dove sono esposte e criticate le spiegazioni di Anassagora, seguito da Euripide, e di Erodoto.] Democrito di Abdera afferma che non e` la zona {della terra} verso sud che e` coperta di neve, come hanno asserito Euripide ed Anassagora,670 ma soltanto quella verso nord, e che questo e` evidente per tutti. (2) La quantita` di neve che si accumula nelle parti boreali rimane congelata al tempo del solstizio,671 ma nell’estate, quando le masse condensate sono sciolte dal calore, si verifica una grande liquefazione, e per questo si generano molte
667 Il testo del passo democriteo e ` incerto perche´ presenta lacune: ho adottato un’integrazione proposta da Pohlenz, ma c’e` chi l’ha inteso in altro modo. Diels (in DK) lo rende come segue: ‘‘Nessun fulmine inviato da Zeus manca di conservare il puro splendore dell’etere’’ (similmente Alfieri); tuttavia, cosı` inteso, il passo risulta estraneo al contesto. 668 Piuttosto verso l’Etiopia, cfr. 88.2 (§ 3) e 88.3. 669 Il resoconto della piena del Nilo che viene attribuito a Democrito in questo e nei seguenti passi viene riportato da Lucrezio come l’ultima delle varie spiegazioni che si possono dare del fenomeno: ‘‘Avviene anche, forse, che piogge piu` copiose alla sua foce | cadano allora, nel tempo che i soffi etesii degli Aquiloni | spingono in quelle regioni tutte le nubi. | Quando, spinte verso la regione meridionale, | le nubi si sono adunate, quivi infine, spinte in massa verso alti monti, | sono a forza costrette e premute.’’ (VI, vv. 729-34) 670 Questi fanno dipendere la piena del fiume dallo scioglimento di quella neve (cfr. per Anassagora 59 A 91 DK). 671 Si intende: d’inverno (cfr. 88.3).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.F)
nubi dense nei luoghi piu` elevati, essendoci un’evaporazione molto copiosa che si eleva verso l’alto. (3) Queste sono spinte dai {venti} etesıˆ fino a quando si scontrano con le montagne piu` alte della terra abitata, che egli dichiara essere dalle parti dell’Etiopia. Poi, col loro frangersi violentemente contro queste {montagne} che sono altissime, si generano pioggie copiosissime, dalle quali il fiume risulta accresciuto specialmente nell’epoca dei {venti} etesıˆ. (4) Anche questa {spiegazione} si lascia confutare facilmente ... [Seguono obiezioni di Diodoro accompagnate dall’osservazione che Democrito ha dato credito alla plausibilita` del discorso piuttosto che all’esattezza dell’esperienza, per cui si puo` al massimo ammirare la sua ingegnosita`.]
88.3. Anonimo presso Ateneo, Deipnosophistae II 87 (om. DK; 411 Lu.) (Sull’inondazione del Nilo) [Dopo un’esposizione dei resoconti di Talete, di Anassagora e di altri ancora.] Democrito disse che al tempo del solstizio d’inverno le regioni settentrionali si coprono di neve; invece al tempo del solstizio d’estate, con il cambiamento di corso del sole, lo scioglimento della neve e l’evaporazione risultante dallo scioglimento danno luogo a nuvole, le quali, trasportate dai venti etesıˆ, si spostano verso il sud. Una volta che le nubi si sono raccolte in Etiopia e in Libia si genera una grande pioggia la quale cadendo accresce il Nilo. Questa e` dunque la causa enunciata da Democrito dell’accrescimento {del Nilo}.
b) Durata del mare e sua salinita` 88.4. T. Aristotele, Meteorologica II 3, 356b4-21, 30-357a3 (b4-21 = 68 A 100; 409 Lu.): Bisogna parlare della salinita` di esso [scil. del mare], {domandandoci preliminarmente} se esso e` sempre lo stesso o se c’`e stato un tempo in cui non e` esistito e ci sara` un tempo nel quale non ci sara` e anzi verra` a mancare: e` cosı` che alcuni la pensano. Questo, a quanto pare, lo ammettono tutti, {cioe`} che si e` generato, se anche tutto il mondo {si e` generato}, giacche´ la sua generazione e` ritenuta avvenire contemporaneamente {a quella del mondo}. Sicche´ e` chiaro che, se il tutto e` eterno, si deve pensarla a questo modo anche circa il mare. Ritenere che la sua quantita` sia in diminuzione, e che alla fine venga a mancare, come afferma Democrito, non differisce dal dare credito ad una favola di Esopo.672 Questi raccontava appunto che Cariddi, avendo ingollato per due volte {acqua marina},673 alla prima volta fece apparire i monti, alla seconda le isole, e che con l’ultimo sorso avrebbe reso {il mare} completamente secco. Ma se a lui, irritato col barcaiolo, si addiceva di raccontare una simile favola, cio` e` meno {appropriato} per coloro che ricercano la verita`. (17) Infatti, per qualsiasi causa il mare al principio si sia stabilizzato {nel luogo attuale}, o per il peso, come affermano anche alcuni fra costoro (giacche´ questa e` la causa piu` immediatamente accessibile), o per qualche altro fattore, e` chiaro che per questa stessa causa esso di necessita` debba rimanervi per il tempo restante. [...] (30) Questa concezione riguardo al mare la adottarono a partire dalla constatazione che molti luoghi attualmente sono piu` secchi che nel passato; della qual cosa noi abbiamo
672 673
Cfr. fr. 19 Halm, fr. 8 Hausrath. qavlassa inteso ambiguamente come ‘mare’ e come ‘acqua marina’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (IX.F)
gia` enunciato la causa, cioe` che e` un fenomeno che si verifica per una caduta eccessiva di pioggia in un certo periodo, e non e` dovuto al divenire del mondo intero e delle sue parti; e di nuovo si verifichera` il contrario, dopo di che si ripeter`a il disseccamento. E` necessario che tutto cio` proceda sempre secondo un ciclo, perche´ e` piu` conforme a ragione pensarla a questo modo che ammettere un mutamento del mondo intero.
88.4.1. Aristotele, Meteorologica I 14, 352a17-28 (om. DK e Lu.): [Dopo avere affermato che ci sono zone della terra che diventano piu` asciutte e zone nelle quali l’umidita` cresce, secondo un certo ciclo, si sofferma sui processi di inaridimento.] Coloro la cui osservazione e` ristretta ad un piccolo campo ritengono che la causa di tali fenomeni sia un mutamento che coinvolge il mondo intero. Per cio` essi affermano che il mare diminuisce per disseccamento, {come e` provato} dal fatto che piu` luoghi si trovano manifestamente in queste condizioni ora che in precedenza. Ma cio` e` vero solo in alcuni casi, in altri no: sono di piu` i luoghi che prima erano sommersi e ora sono asciutti, ma si verifica anche il contrario; infatti in molti luoghi, se si osserva, si puo` scoprire che il mare e` avanzato. Ma non bisogna ritenere che la causa di cio` sia il divenire del mondo; e` infatti ridicolo far muovere il tutto per dei mutamenti piccoli e di breve durata, giacche´ la massa della terra e` di grandezza nulla rispetto all’intero cielo.
88.5. T o E. Alessandro, In Meteorologica II (3, 356b4 sgg.), 78.12-16 (om. DK; 409 Lu.): Dire che il mare non si genera e non perisce insieme al mondo, ma assumere che esso – come ritiene Democrito – perisca per conto proprio, mentre il mondo si conserva, e` un’assurdita`. Costui infatti sostiene che il mare, diventando sempre di meno per le esalazioni e per le evaporazioni, alla fine un giorno si consumer`a e si secchera`.
88.6. T (?) Teofrasto (?), fr. del De aquis (?),674 Hibeh Papyr. 16, pp. 62-63 675 (CPF I 1***, pp. 844-851) (= 68 A 99a; 410 Lu.): (I) *** circa l’origine {della salinita` marina} gli uni infatti da *** l’umidit`a *** gli altri *** Democrito *** produrre *** [Mancano 5 righe.] 676
674 Il passo e ` incluso nella raccolta teofrastea FHSG I, Appendix 4, pp. 462-465. Che l’autore del passo sia Teofrasto non puo` essere dato per certo, ma pare abbastanza probabile, perche´ egli e` il principale autore a noi noto (oltre ad Aristotele) che si era occupato di meteorologia con un interesse dossografico al tempo della redazione del papiro (circa 280-240 a.C.). Piu` incerta e` la sua appartenenza al De aquis: non si possono escludere altri scritti di argomento affine. Che la testimonianza riguardi Democrito e`, di nuovo, non del tutto sicuro (le prime due lettere del nome Dhmovkrito" sono una restituzione del Diels da me adottata), ma assai probabile non solo per la naturalezza della restituzione ma perche´ quanto viene riferito (produrre i sapori mediante le figure e fare risiedere il salato nelle figure grandi ed angolose, cfr. De sensibus 67 [= 55.3] e 66 [= 122.1]; De causis plant. VI 1, 6 [= 121.3]) si attaglia bene alla sua posizione. 675 Testo lacunoso, specie nella col. I (cfr. n. 676). 676 Le integrazioni proposte dal Diels (in DK) nella col. I, ad eccezione di quella per il nome ‘‘Democrito’’, sono troppe estese perche´ possano essere recepite senza riserve (come avviene nella maggior parte delle traduzioni), anche se si ispirano, ma in maniera piuttosto approssimativa e semplificatrice, ad un passo del commento di Alessandro di Afrodisia ai Meteor. che riferisce un contri-
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.A)
(II) Afferma che *** 677 i simili si accostano ai simili nell’elemento liquido, come {avviene} nel tutto, e a questo modo si genera il mare e tutte le altre cose salate (?), per la riunione degli affini. E` manifesto anche da altri {dati} che il mare risulta da sostanze omogenee,678 giacche´ ne´ l’incenso ne´ lo zolfo ne´ il silfio ne´ il nitro ne´ l’allume ne´ il bitume n´e {in genere} quante sono le cose grandi ed mirabili si generano in molte parti della terra. Da cio` dunque e` facile, se non altro, esaminare perche´, facendo del mare una parte del mondo, egli dice che si e` generato allo stesso modo che le cose mirabili e i fenomeni piu` inattesi della natura, come se sulla terra non ci fossero molte differenze. Dal momento che, per uno che produce i sapori mediante le figure [scil. quelle atomiche], e il salino da quelle grandi e angolose, non e` irragionevole {ritenere} che la (III) salinita` terrestre si generi allo stesso modo di quella marina 679 ...
X. CAUSE
A. FENOMENI
DEI FENOMENI NEL MONDO INANIMATO E NEL MONDO VIVENTE
NEL MONDO INANIMATO
1. Un esempio di agire e patire: l’attrazione della calamita sul ferro a) Il resoconto di Democrito 89.1. TT. Alessandro, Quaestiones II 23, 72.9-17 (= 31 A 89) e 72.28-73.11 (= 68 A 165; 319 Lu.): Empedocle afferma che il ferro si porta verso la pietra {eraclea} 680 grazie agli efflussi derivanti da entrambi e grazie ai pori della pietra che sono corrispondenti agli {efflussi} derivanti dal ferro. Infatti gli efflussi di questa 681 [scil. della pietra] scacciano e mettono
buto dossografico di Teofrasto (cfr. In Meteor. 67.3 sgg. = T 221 nella raccolta FHSG, Part I, pp. 396-397), peraltro senza contenere alcuna menzione di Democrito. Riporto comunque la traduzione che ne risulta: ‘‘Il contrasto maggiore {di opinioni} si e` verificato circa l’origine della salinita` marina. Gli uni infatti dicono che e` un residuo dell’umidita` primitiva, {che si presenta} una volta che la maggior parte delle acque si e` convertita in vapore; gli altri che e` un sudore della terra. Democrito pare produrre la sua generazione in modo simile alle cose {saline} interne alla terra, per esempio ai minerali di sale e di potassio ...’’. 677 L’integrazione del Diels alle prime due righe di col. II (trad.: ‘‘una volta che la putrefazione e` venuta meno o e` rimasta indietro’’) si fonda su di una lettura non soddisfacente del papiro. 678 Trad. alternativa: ‘‘e ` manifesto che il mare risulta da sostanze omogenee e da altre {ancora}’’. 679 Queste ultime parole (‘‘che la salinita ` ...’’) risultano da un’integrazione del Diels che e` molto congetturale (le tracce sono scarsissime). 680 Cioe ` la calamita o il magnete. 681 I MSS hanno il pronome al maschile, ma la correzione presente in alcuni di essi e gia ` adottata nell’Aldina e da Spengel (e recepita da Diels) e` suggerita dal seguito (nella parte da me omessa) e dal confronto con Lucrezio VI, v. 1002-3 (= 89.3).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.A)
in movimento l’aria che sta intorno ai pori del ferro e che li chiude come un coperchio; 682 separatasi questa 683 il ferro segue l’efflusso che scorre compatto. E muovendosi gli efflussi da esso verso i pori della pietra, poiche´ sono corrispondenti ad essi e si adattano a loro, anche il ferro si muove insieme agli efflussi e li segue. [...] 684 Democrito suppone anch’egli che si generano degli efflussi e che i simili si portano verso i simili, ma anche che tutte le cose si portano verso il vuoto. Sulla base di questi assunti ritiene che la pietra e il ferro siano composti di atomi simili, ma piu` sottili quelli della pietra, e che questa sia piu` rada e piu` ricca di vuoto nella sua costituzione di quello e che percio` {i suoi atomi}, essendo piu` mobili, si portano piu` rapidamente verso il ferro – (73.1) il movimento infatti e` verso i simili – e, penetrati nei pori del ferro, mettono in movimento i corpi [cioe` gli atomi] presenti in esso, insinuandosi in mezzo ad essi per la loro sottigliezza; e che questi, messi in movimento, sono portati fuori a mo’ di efflussi e anche verso la pietra per via della similarita` {fra gli atomi} e per via del {suo} possesso di piu` vuoti, e, al loro seguito, il ferro, per la continuita` della secrezione e del movimento {di quegli atomi che escono}, si porta anch’esso verso la pietra. Invece la pietra non e` mai portata verso il ferro, perche´ il ferro non ha tanti vuoti quanti ne ha la pietra. (7) Tuttavia, che la pietra e il ferro siano composti da atomi simili si potrebbe accettare; ma come {si potrebbe accettare che lo siano} l’ambra e la paglia? E quand’anche uno enunci questa causa nel loro caso, ci sono molti corpi ad essere attratti dall’ambra, e se essa [scil. l’ambra] e` composta da atomi simili a tutti questi, anche quelli essendo composti da {atomi} simili fra loro si attrarrebbero fra loro.685
89.1.1. T. Simplicio, In Physica VII (2, 244a11), 1056.1-3 (= 68 A 165; 319 Lu.): [Di commento alla tesi aristotelica che la trazione richiede contatto, e citando il resoconto che Alessandro fornisce della trazione nel caso della calamita e del ferro.] Meglio e` quanto viene da lui [scil. Alessandro] detto nel seguito: oppure da {i corpi} che sono in quiete e che in tal modo esercitano attrazione vi sono degli efflussi corporei, mediante i contatti e intrecci dei quali, come dicono alcuni,686 sono attratti quelli che vengono attratti ...
89.1.2. T. Psello, De lapidibus 26 (Opusc. 34, 105-107) (= 31 A 89; 448 Lu.): Le cause di questi poteri che sono presenti nelle pietre molti hanno osato addurle, e, tra i sapienti piu` antichi, Anassagora ed Empedocle e Democrito, tra quelli di poco antecedenti a noi Alessandro d’Afrodisia.
682 Piu ` letteralmente: ‘‘scacciano e mettono in movimento l’aria: quella intorno ai pori del ferro e quella che li chiude come un coperchio’’ (ma evidentemente deve trattarsi della stessa aria). 683 Si intende l’aria, presumibilmente. 684 Nella parte che ho omesso ci sono delle critiche rivolte alla teoria di Empedocle (come alla fine ci sono delle critiche alla sua rielaborazione da parte di Democrito). 685 Segue l’esposizione della posizione di Diogene di Apollonia (cfr. 64 A 33 DK e T 36 Laks). 686 La menzione di ‘‘intrecci’’ fa pensare alla posizione epicurea piuttosto che a quella democritea, perche´ se ne parla espressamente in 89.2, non in 89.1.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.A)
b) Il resoconto degli Epicurei 89.2. Galeno, De naturalibus facultatibus I 14 [II, p. 45 K.] (= 319 Comm. Lu.; 293 Us.): [Il resoconto epicureo viene dato nel corso di una polemica con dei pensatori trattati da Galeno come dei sofisti, che farebbero perdere tempo in discussioni su questioni di poca sostanza.] Quale altro {argomento di} chiacchiera? Questa celebre e molto chiacchierata pietra che attrae il ferro. Chiss`a che essa non attragga le loro anime a credere che in ciascuno dei corpi ci sono certi poteri che tirano a se´ le qualit`a affini! Epicuro, benche´ per la sua fisiologia faccia uso di elementi prossimi a quelli di Asclepiade,687 ammette tuttavia che il ferro e` attirato dalla pietra eraclea e le pagliuzze dall’ambra e cerca di addurre la causa del fenomeno. Afferma che gli atomi che sono emessi dalla pietra sono affini per figure a quelli emessi dal ferro, sicche´ si intrecciano facilmente. Entrando allora in urto con entrambi gli aggregati {di atomi}, {cioe`} quello della pietra e quello del ferro, e poi rimbalzando nel mezzo, a questo modo si intrecciano e trascinano con se´ il ferro.
89.3. Lucrezio, De rerum natura VI, vv. 998-1016: [La questione della capacita` di attrazione della calamita, da Lucrezio chiamata magnete o semplicemente pietra, e` introdotta a partire dal v. 906.] E percio`, una volta che siano state ben fondate e disposte | tutte queste premesse ed esse saranno a nostra disposizione, | sar`a facile, allora, che venga resa ragione {del fenomeno} | e che si manifesti tutta intera la causa che attrae la forza del ferro. | Prima di tutto e` necessario che da questa pietra fluiscano innumerevoli | semi, una sorta di corrente che disperde, con gli impatti, | l’aria interposta fra la pietra e il ferro. |1005| Quando tale spazio si svuota e molto diventa vuoto | della zona intermedia {fra i due corpi}, subito i princı`pi del ferro, | spintisi nel vuoto, cadono tutti uniti. Accade allora | che lo stesso anello li segua e si sposti con tutta la sua massa. | Non c’`e niente la cui natura, a partire dai suoi elementi primi, | sia piu` fittamente intrecciata e insieme compaginata | che quella del robusto ferro dalla gelida durezza. | Tanto meno c’`e da stupirsi, poich´e esso e` trascinato dai {propri} elementi, | se i numerosi corpi [= corpuscoli, atomi] emanati dal ferro non possono | spostarsi nel vuoto senza che l’anello stesso li segua, | che e` quanto esso fa: esso li segue finche´ perviene alla stessa | pietra, e aderisce ad essa con invisibili legami.
2. Altri esempi di interazione o di trasmissione di entit`a come il suono (e questione stessa della natura del suono) 90.1. T + F. (?). Seneca, Naturales quaestiones IVb 9 (trad. Vottero) (om. DK e Lu.): [Viene considerato il quarto dei motivi da Seneca addotti, a partire dal cap. 8, del fatto che la parte dell’atmosfera che e` piu` vicina alla terra possiede piu` calore del resto, cosa
687 Frangibili e dotati di qualita ` ? (Cfr. Sesto Emp. HP III 33 [= 6.3], ma le testimonianze che riguardano Asclepiade non sono tutte concordi, cfr. p. es. A. STU¨ CKELBERGER, Vestigia Democritea, Basel 1984, pp. 103 sgg.).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.A)
che favorirebbe la formazione della neve in questa parte. L’applicabilita` al caso in questione degli esempi addotti da Democrito ad illustrazione delle reazioni di sostanze composte da atomi e` giustificata nel cap. 10, dove si rileva che la parte piu` bassa dell’atmosfera deve essere la piu` densa, come e` piu` denso il fondo in un recipiente pieno d’acqua.] A queste si aggiunge la spiegazione di Democrito: ‘‘Ogni corpo, quanto piu` e` solido, tanto piu` prontamente assorbe il calore, e piu` a lungo lo conserva. Orbene, se tu esponessi al sole un vaso di bronzo e uno di vetro, il calore si rivolger`a piu` prontamente a quello di bronzo e vi si tratterr`a piu` a lungo.’’ Egli aggiunge poi perche´ crede che questo avvenga. ‘‘Questi corpi che sono piu` duri e piu` compatti’’, egli dice, ‘‘e` inevitabile che abbiano dei pori piu` piccoli, in ciascuno dei quali l’aria che li percorre e` piu` sottile: ne segue che, come le sale da bagno piu` piccole e gli scaldabagni piu` piccoli si riscaldano piu` in fretta, cosı` questi pori nascosti, che sfuggono alla nostra osservazione, sentono piu` rapidamente le vampe del caldo e, in virtu` delle stesse loro ridottissime dimensioni, restituiscono piu` lentamente tutto cio` che hanno ricevuto.’’
90.2. T. Plutarco, Quaestiones convivales VIII 3,1,720D9-E9; 2,720E10721D7; 3, 721D8-E4, 721F2-6; 4, 722B3-6 (om. DK; = 490 Lu. e 323 Us.): (Per qual motivo i suoni si diffondono meglio di notte) Cio` che ha piu` bisogno di un resoconto [scil. del fatto che i suoni si sentono meglio dall’esterno verso l’interno di un edificio che non in direzione opposta] e` che i suoni si diffondono meglio di notte e che, oltre al loro volume, preservano con purezza la loro articolazione. ‘‘A mio avviso – egli [scil. Ammonio] disse – la provvidenza non ha male escogitato nell’assegnare la chiarezza all’udito nel periodo in cui si fa poco o nullo uso della vista. Infatti l’aria, quando e` oscura, «nella notte solitaria e cieca», secondo il detto di Empedocle [fr. 49], ci rende mediante le orecchie quanto toglie di capacita` di percezione ai nostri occhi. Ma, dal momento che dobbiamo scoprire anche le cause che hanno effetto per necessita` naturale e che questo e` proprio del naturalista, cioe` la trattazione dei principi materiali e strumentali, chi di voi (egli disse) per primo proporra` una soluzione che sia plausibile?’’ 2. Fattosi silenzio, Boeto disse che quando era ancora giovane e praticante di studi accademici faceva uso di postulati tratti dalla geometria e adottava degli assunti indimostrabili, ma che ora avrebbe fatto uso di alcune delle {proposizioni} dimostrate da Epicuro: 688 ‘‘Gli enti si muovono nel non-essere, giacche´ c’e` molto vuoto sparso fra, e mescolato con, gli atomi di aria. Quando dunque {l’aria} e` diffusa ed ha ampiezza e motilita` per via della rarita`, gli spazi vuoti fra le parti 689 rimangono piccoli e stretti (721A) e gli atomi, sparpagliati, occupano molto spazio; ma quando e` compressa e si verifica una contrazione di essi in uno {spazio} piccolo e sono costretti ad incontrarsi, essi danno luogo a molto spazio libero di fuori e a grandi intervalli, e questo e` quanto avviene di notte, per azione del freddo. Il caldo infatti attenua e separa e dissolve le condensazioni, percio` quelli dei
688 Alla conclusione dell’esposizione, in 722B, viene fatto invece il nome di Democrito (come gia ` notato da Luria). Questo dato e la presentazione del vuoto come non-essere suggeriscono che la posizione esposta sia in effetti democritea, senza con cio` escludere una sua ripresa da parte di Epicuro. 689 Si deve supporre che queste siano parti o zone d’aria (come suppone anche Luria, ma con la precisione erronea che deve trattarsi di una sorta di molecole: debbono invece essere zone ampie), perche´ non possono essere particelle che coincidano con gli atomi (degli atomi si parla nel seguito) e perche´ ci deve essere una corrispondenza con la situazione opposta che viene descritta nel seguito.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.A)
corpi che bollono o si indeboliscono o si sciolgono prendono piu` luogo, e, per contrario, di nuovo quelli che sono contratti e raffreddati si avvicinano e si stringono e lasciano vuoti – cioe` luoghi da cui si sono ritirati – nei recipienti che li contengono. (B) Ora, il suono che si avvicina e che si incontra con corpi molti e raggruppati o e` del tutto accecato o subisce grandi frammentazioni e molte collisioni e sfregamenti. Ma in una estensione vuota e libera da corpi avendo una corsa uniforme e continua e non impedita esso perviene all’udito, preservando, per la sua velocita`, insieme al discorso 690 la sua chiarezza. Vedi infatti che anche, fra i recipienti, quelli vuoti, quando siano colpiti, rispondono di piu` ai colpi e il suono si estende per un lungo tratto, e spesso esso, condotto anche in cerchio, si distribuisce di piu`. (C) Il recipiente invece che sia riempito di corpo solido o di qualche liquido diventa del tutto muto e senza risonanza, in quanto il suono non ha una via o uno spazio da attraversare. Dei corpi stessi l’oro e la pietra per via della {loro} pienezza hanno voce debole e risuonano male e rapidamente estinguono i suoni in se stessi; invece il bronzo e` ben suonante e vocale, perche´ e` ricco di vuoti e leggero e fine nella sua mole, non costretto da molti corpi adiacenti, ma avente in abbondanza un miscuglio di sostanza cedevole e impalpabile. Questo offre la via ad altri movimenti e, recependo il suono con facilita`, lo fa avanzare, (D) finche´ qualcuno, come in un assalto sulla strada, se ne impadronisce e lo acceca. Qui si ferma e cessa dal muoversi oltre per via dell’ostruzione. Questi {fattori}, mi sembra, egli disse, sono quelli che rendono la notte risonante e il giorno di meno – {quest’ultimo} con il calore e l’espansione dell’aria rendendo piccoli gli intervalli fra gli atomi. Soltanto, egli disse, che nessuno rivolga obiezioni ai {miei} assunti primari.’’ 3. Ed io, sollecitato da Ammonio a dire qualcosa in risposta a Boeto, dissi: ‘‘siano lasciati saldi per te gli assunti primari, caro Boeto, per quanto essi contengano molta ‘vuotezza’, ma non e` in modo corretto che tu hai assunto il vuoto per la preservazione e il movimento del suono. Infatti l’essere intangibile 691 e impassibile ed esente da impatto e` proprio del silenzio e della inattivita`, mentre il suono e` l’impatto di un corpo che trasmette suono, e trasmissivo di suono e` un corpo che e` affetto in ogni sua parte e dotato di coesione, inoltre mosso con facilita` e leggero e uniforme e, per la sua tensione e coerenza, risuonante all’impatto, quale e` soltanto (fra i corpi a noi accessibili) l’aria. [...] (F3) Non c’e` dunque nessun bisogno darsi pena con la notte rendendo contratta e tesa la sua aria e lasciando altrove spazi vuoti, come se l’aria fosse di ostacolo al suono e ne distruggesse la sostanza, quando invece e` essa la sua sostanza e corpo e potenza.’’ 692 [...] (722B) 4. Una volta che ebbi detto queste cose Ammonio disse: ‘‘Noi probabilmente appariremo ridicoli, se ritenessimo di confutare Democrito e volessimo rettificare Anassagora ...’’ [Nel seguito, in 5, 722D, c’e` un ulteriore richiamo a Democrito, per il quale cfr. 150.3]
90.3. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 19, 2-3 (2 = 321 Us.; 3 = 68 A 128; 316 e 491 Lu.) [= Aezio IV 19, 2-3 (Dox. 408)]: (Sul suono): Epicuro {afferma che} il suono e` un flusso emesso dalle cose che suonano o che echeggiano o che rumoreggiano; e che questo flusso si frantuma in frammenti di figura identica – si dicono di figura identica i rotondi con i rotondi, quelli diseguali o i triangolari con quelli dello stesso tipo. Quando queste {particelle} si incontrano con gli organi dell’udito 690 691 692
Presumibilmente si intende il discorso nel suo contenuto. Sul vuoto come intangibile per Epicuro cfr. 28.1-2. Segue un’ulteriore obiezione e un riferimento al resoconto del fenomeno dato da Anassagora.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.A)
si verifica la percezione della voce. E cio` e` reso chiaro da{gli esempi de}gli otri che si svuotano e {de}i lavandai quando fanno gonfiare le vesti. (3) Democrito afferma che anche l’aria si frantuma in corpi di figura identica e che essi si voltolano insieme ai frammenti del suono. Infatti «la gazza si aduna accanto alla gazza» e «come sempre, il dio conduce il simile verso il simile».693 Anche infatti sulle spiagge i ciottoli simili si vedono negli stessi luoghi, da una parte quelli rotondi, da un’altra quelli oblunghi; e nel vagliare {granaglie} si raccolgono nello stesso luogo quelle della stessa figura, sicche´ si trovano ad essere separate le fave dai ceci. Si puo` tuttavia obbiettare ad essi: 694 come mai pochi frammenti di soffio {vocale} possono riempire un teatro per innumerevoli {spettatori}?
90.3.1. A. Epicuro, Epistula ad Herodotum, § 53.2-8: [Sulla natura del suono e sul funzionamento dell’udito.] Non bisogna credere che l’aria stessa prenda la figura da parte della voce emessa o anche delle {emissioni} dello stesso genere, giacche´ molto ci manca a che essa subisca questo da quella, ma immediatamente l’urto che avviene in noi, quando emettiamo la voce, produce un’espulsione di alcune particelle 695 tale da dar luogo ad un flusso alla maniera di un soffio, {espulsione} che ci procura l’affezione auditiva.
90.4. T. Aulo Gellio, Noctes atticae V 15, 1 e 6-8 (om. DK; 8 = 492 Lu.; 353 Us.): (Sono varie le opinioni dei filosofi sulla questione se la voce e` un corpo o e` incorporea.) (1) Vecchia e perenne questione, che viene discussa dai filosofi piu` stimati, se la voce sia un corpo o sia incorporea. [Seguono, in 2-5, definizioni di ‘corpo’ sul tipo di quelle riportate sotto 29; inoltre cfr. 90.5.1.] (6) Ma gli Stoici sostengono che la voce e` un corpo e dicono che si tratta di aria colpita; 696 (7) a sua volta Platone ritiene che la voce non sia un corpo: ‘‘infatti’’, dice, ‘‘non e` aria percossa, ma e` lo stesso urto e percussione che e` la voce’’. (8) *Democrito e poi Epicuro dicono che la voce consiste in corpi indivisibili e la chiamano – per usare le loro stesse parole – «flusso di atomi».
90.4.1. Scholia alla Grammatica di Dionisio Trace, in Anecdota Graeca II, 770.21-27: (§ 7. Sull’elemento) Alcuni degli antichi dicono che la voce e` corpo, altri che essa e` incorporea. Gli uni, nel definirla come aria percossa, la concepiscono come un corpo, giacche´ l’aria e` corpo, essendo uno dei quattro elementi; gli altri, nel dirla incorporea, dicono non che {essa e`} aria percossa, ma che e` una percussione dell’aria o, certo, il percepito proprio dell’udito.
693 Citazione di Odissea XVII, 218. L’altro e ` un detto proverbiale anonimo. Entrambi sono citati da Aristotele, cfr. Etica Nicomachea VIII 2, 1155a33-34, Etica Eudemia VII 1, 1235a7-8, Retorica I 11, 1371b16-17 (inoltre Magna Moralia II 11, 1208b9-10 = 316 Lu.). 694 Palesemente: a Democrito e ad Epicuro. 695 Di queste era stato detto in precedenza che, oltre ad essere simili, hanno una conformazione che le rende affini all’oggetto che emette il suono. 696 Cfr. SVF II, 140, 141, 387 e III, pp. 211-213; per il seguito su Platone cfr. Timeo 67B, dove pero` l’incorporeita` della voce non e` affermata in modo esplicito.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
90.5. T. Scholia alla Grammatica di Dionisio Trace, GG I 3, 482.13-14 (= 68 A 127; 493 Lu.; 322 Us.): (Sul suono) Epicuro e Democrito e gli Stoici affermano che il suono e` un corpo.
90.5.1. V. Grammatico bizantino (Teodosio o Teodoro Prodromo), Cod. Paris. 2555, in Anecdota Graeca II, 1168.1-3 (om. DK; = 493 Lu.; 322 Us.): Democrito ed Epicuro e gli Stoici affermano che il suono e` un corpo, perche´ tutto cio` che possiede attivit`a e passivita`, ovvero che e` capace di agire e di patire, e` un corpo.
90.6. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 526-29: Infatti che la voce sia corporea, e pure il suono, | lo si deve riconoscere, perche´ possono colpire i sensi; | inoltre la voce raschia sovente la gola | e il grido nell’uscire rende piu` ruvidi i canali ...
90.7. T. Teofrasto, De igne, 52 (= 68 A 73, 232 Lu.): [Sulla natura della fiamma del fuoco.] Si pone il problema del perche´ la figura della fiamma sia piramidale. *Democrito dice che, col raffreddarsi dei suoi vertici, essa si contrae fino a diventare aguzza.* Altri degli antichi {dicono che} e` tagliata circolarmente dal movimento del soffio {d’aria} che la colpisce ...[Segue obiezione di Teofrasto: non c’e` ragione per cui la fiamma sia raffreddata solo nella parte alta.]
B. FENOMENI
NEL MONDO VIVENTE
1. Osservazioni anatomiche ecc. sugli animali e sulle piante 91.1. T. Plutarco, Quaestiones naturales I (911C-D) (= 59 A 116; 556 Lu.): (Come mai l’acqua marina non nutre le piante?) E` forse per la stessa ragione per la quale neppure {nutre} quelli terrestri fra gli animali? La pianta, infatti – ritengono Platone,697 Anassagora, Democrito e i loro –, e` un animale fisso nella terra.
91.2. T. Ps.-Aristotele, De plantis I 1, 815b14-17 [= Nicolaus Damascenus, De plantis, p. 518] (= 31 A 70, con rifer. in 68 A 163; 556 Lu.): [Il passo fa parte di una esposizione critica di certe opinioni sulla questione delle facolt`a che sono presenti nelle piante ed e` rivolto alla posizione di Platone.] 697 L’unico passo platonico che puo ` suggerire, ma solo in modo indiretto, questa tesi e` Timeo 90A. La tesi e` piu` esplicita in Aristotele, cfr. p. es. De anima II 4, 416a3-5, e De partibus animalium II 3, 650a21 sgg. e IV 7, 683b20 sgg.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
Gia` questa sua [scil. di Platone] 698 opinione, che le piante provano sensazione e desiderio, e` straordinaria, ma Anassagora e Democrito e Abrucale [scil. Empedocle] dicevano che esse sono dotate di intelletto e di conoscenza.
91.3. T. Porfirio, De abstinentia III 6 (7) [195.2-5] (om. DK; = 448 Lu.): [Sull’intelligenza di cui sono dotati gli animali.] Ma Aristotele e Platone, Empedocle e Pitagora e Democrito, e tutti coloro che si sono dati pensiero di cogliere la verita` circa di essi [scil. gli animali] hanno riconosciuto la {loro} partecipazione nella ragione (logos).
91.4. T. Aristotele, De partibus animalium III 4, 665a28-33 (= 68 A 148; 465 Lu.): [Rassegna delle parti degli animali, ora rivolta a quelle interne.] Questi [scil. i visceri] sono propri degli animali sanguigni: in alcuni sono presenti tutti, in altri no, mentre nessuno dei non sanguigni possiede visceri. Democrito a quanto pare non aveva una corretta comprensione al proposito, se davvero riteneva che essi fossero non evidenti per via della piccolezza degli animali non sanguigni.699
91.5. T. Aristotele,700 Historia animalium VIII (IX) 39, 623a30-33 (= 68 A 150; 544 Lu.): [Sul comportamento dei ragni che tessono.] I ragni sono capaci, appena nati, di emettere la loro tela, non dal di dentro come se fosse un residuo 701 – come afferma Democrito –, ma dal corpo come una corteccia o {come fanno} quelli che colpiscono con le setole, per esempio i ricci.702
91.5.1. V. Plinio, Naturalis historia XI (28) 80 (rifer. in 68 A 150; = 544 Lu.): [Sui ragni e sulle loro specie.] Una terza specie {di ragno} spicca per l’abilita` di cui d`a prova nel suo operare. Essa tesse le tele e il suo addome basta a fornire il materiale per un lavoro cosı` grande, o per
Nel Timeo, 77B. La critica di Aristotele viene giustificata nel seguito, dove sono avanzate alcune obiezioni alla tesi democritea, quale il fatto che i visceri sono distinguibili negli animali sanguigni di gia` all’inizio della loro formazione, cioe` quando sono molto piccoli. D’altra parte Lucrezio mostra di condividere la posizione di Democrito, cfr. De rerum natura IV, vv. 116-20: ‘‘In primo luogo certi animali sono cosı` piccoli che | un terzo del loro corpo non si puo` in nessun modo vedere. | Come si deve pensare che sia uno dei loro visceri? | E il globo del cuore o dell’occhio? E le membra? E le articolazioni? | Come sono minuscole!’’ 700 Diels (in DK) tratta questo libro come non aristotelico, ma la sua autenticita ` e` stata difesa da D.M. BALME in Aristotle: History of Animals Books VII-X, London 1991, Introduction. 701 Il residuo (perivttwma) per Aristotele e ` cio` che degli alimenti non viene assimilato dall’animale, compresi gli escrementi. 702 Il testo non e ` del tutto sicuro: ho seguito quello proposto da Balme in op. cit. 698 699
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
una corruzione prodottasi, come vuole Democrito, in un certo momento nella materia del basso ventre, o perche´ possiede in se stessa la capacita` di produrre la lanugine.
2. Tesi della iniziale generazione spontanea degli animali 703 92.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 123 [645.1-2, 6-7] (6-7 = 68 A 139; 514 Lu.; cfr. Dox. 431 n.): 704 (Come gli animali sono generati e se sono corruttibili) Epicuro: se il mondo e` generato, anche gli animali sono generati 705 ... Democrito {dice che} gli animali sono stati generati inizialmente per l’unione di membra inarticolate (?) dall’umido produttore di viventi.
92.1.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum V 19, 1-2 [= Aezio V 19, 1-2 (Dox. 430)]: (Sulla generazione degli animali, come gli animali sono generati e se sono corruttibili) (1) Secondo coloro per i quali il mondo e` generato, gli animali sono generati e sono corruttibili [scil. come specie]. (2) Epicuro e i suoi, per i quali il mondo e` ingenerato, fanno generare gli animali dalla trasformazione reciproca, giacch´e questi sono parti del mondo, come {sostengono} Anassagora ed Euripide... [Segue citazione di versi del secondo, fr. 839.12-14, p. 633 N., poi ci sono sezioni su Anassimandro ed Empedocle, manca la sez. su Democrito.]
3. La riproduzione degli animali: tesi della pangenesi e del preformazionismo 93.1. T. Aristotele, De generatione animalium I 17, 721b6-722a1 (om. DK e Lu.): A quanto pare ogni {animale} si genera da un seme, e il seme proviene dai genitori. Percio` appartiene allo stesso discorso {chiedersi} se la femmina e il maschio lo emettano entrambi oppure uno dei due soltanto, e se esso proviene da tutto il corpo oppure non da tutto. E` ragionevole infatti {ammettere che} se non {proviene} da tutto, neppure da entrambi i genitori. Pertanto, dal momento che alcuni {effettivamente} sostengono che {il seme} proviene da tutto il corpo, bisogna per prima cosa indagare come stanno le cose a questo proposito.
703
La stessa tesi e` attestata nel caso specifico degli uomini da Censorino (125.2) e da Lattanzio
(125.3). 704 Ho anteposto questo passo a quello dei Placita di Ps.-Plutarco, cioe ` dell’opera dalla quale quella di Ps.-Galeno dipende, perche´ nell’altro manca la sezione su Democrito (sul carattere comunque non soddisfacente della testimonianza cfr. n. seguente). 705 Il passo nel seguito e ` corrotto, ma poi viene a coincidere con quello corrispondente in PsPlutarco (cfr. 92.1.1), che offre una esposizione piuttosto unilaterale (oltre che non corretta, a meno che per ‘‘mondo’’ non s’intenda l’universo) della posizione epicurea, seguita dalla citazione di versi di Euripide. Anche il periodo riguardante Democrito e` corrotto: in traduzione ho reso una congettura del Diels, ma la tesi cosı` espressa e` attestata semmai solo per Empedocle.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
(b13) Gli indizi che si possono addurre del fatto che il seme proviene da ciascuna delle parti {del corpo} 706 sono piu` o meno quattro. (i) Il primo e` l’intensita` del piacere. La stessa affezione comporta maggior godimento quando e` piu` estesa, ed e` piu` estesa se coinvolge tutte le parti piuttosto che {se ne coinvolge} alcune o una {soltanto} di esse. (ii) Ancora: il generarsi di mutilati da mutilati, giacch´e – essi sostengono –, per il fatto che {il genitore} e` privo di una parte, da questa non viene seme, e, se da essa non viene, accade che tale parte non si generi {nella progenie}. (iii) Inoltre le somiglianze {mostrate dalla progenie} nei confronti dei genitori, giacche´ risultano simili le singole parti, allo stesso modo che l’intero corpo. Se dunque la causa della somiglianza per l’intero {corpo} e` il venire del seme dall’intero, anche per le parti ne sara` {la causa} il venire di qualcosa da ciascuna delle parti. (b24) (iv) Infine sembrerebbe ragionevole {ammettere che}, come nel caso del tutto c’e` qualcosa di primo da cui esso si genera, allo stesso modo {avviene} nel caso di ciascuna delle parti, e se di quello [sc. del tutto] {l’origine} e` il seme, ci sara` un qualche seme proprio di ciascuna delle parti. Sono persuasive anche le seguenti testimonianze a queste dottrine: i figli risultano simili ai genitori non soltanto per le {caratteristiche} congenite ma anche per quelle acquisite. Per esempio, ci sono stati {figli} di genitori con cicatrici che avevano l’impronta della cicatrice nello stesso posto dei genitori, e a Calcedonia al figlio di un padre col tatuaggio su un braccio si e` presentato il segno, seppure con figura indistinta e non articolata. E` dunque soprattutto dando credenza a questi {indizi} che alcuni sostengono che il seme proviene da tutto {il corpo}.
93.2.1. F. Stobeo, Florilegium III 6, 28 (= 68 B 32, n.; 527 Lu.; 707 86 N.): (Sull’incontinenza) ‘‘Il coito e` un piccolo colpo apoplettico, giacche´ un uomo erompe da un uomo.’’
93.2.2. T + F. Clemente, Paedagogus II x, 94.3-4 (= 68 B 32; 708 527 Lu.): [Si tratta manifestamente di una variante del precedente. Il tema del cap. e` il seguente: si deve rinunciare al matrimonio?] Il sofista di Abdera chiamava il coito un piccolo attacco epilettico, considerandolo come una malattia incurabile. (4) Non e` accompagnata infatti dalle debolezze che sono in rapporto con l’importanza della perdita seminale? 709 Giacche´ un uomo nasce da un uomo e se ne stacca. Guarda l’entita` del danno: un uomo intiero si stacca con la perdita {di seme} nel coito.
Il pezzo che inizia con ‘‘del fatto che’’ e` omesso in alcuni codd. e tralasciato da Wimmer. Luria attribuisce erroneamente il passo con questa numerazione ad Erissimaco, ma citando Stobeo III 6, 44 (= 93.2.8) che effettivamente lo riguarda; il passo in effetti e` senza lemma, ma e` preceduto da III 6, 26 (= III 7, 25 = 143.2, cfr. n. 1113 ad loc.) e da III 6, 27 (= 188.7), cioe` da passi con il lemma ‘‘Democrito’’. 708 Il testo fornito da Diels (in DK) come frammento riportato da Clemente («Il coito e ` un piccolo colpo apoplettico; giacche´ un uomo erompe da un uomo: se ne stacca come se ne fosse scisso da un colpo.»), e` in effetti una ricostruzione a partire dalle versioni fornite da Clemente e da Ippolito (cfr. n. ad B32). 709 Per apousia inteso in tale senso si veda Plutarco, Moralia 364D. 706 707
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
93.2.3. T. Ps.-Galeno, An animal sit quod est in utero XIX 176.9-18 (= 68 B 32, n.; 527 Lu.): E nessuno ci svii con il non essere l’embrione in grado di alimentarsi mediante la bocca a causa della collocazione intorno della membrana amniotica, giacche´ la natura e` idonea a fornire un facile passaggio attraverso i pori e una via che sia sufficiente alla buona alimentazione. *Democrito da parte sua dice che un uomo erompe da un uomo e un cane da un cane e un bue da un bue – e` un uomo dotato di conoscenza riguardo allo studio celeste e che ha studiato la nostra natura,710 non {dunque} capace di dire per ignoranza che quello nel ventre 711 non e` un animale, costituendolo come un tutto da tutto e completandone la natura complessiva come umana.712 ...
93.2.4. T. Galeno, In Hippocratis Epidemiarum libros commentaria XVII/2, 28 (68 B 32, solo rifer.; om. Lu.): Sabino e i suoi dicono non senza ragione che a coloro che iniziano con i piaceri sessuali succede questo: in un primo momento, che si verifica un grande turbamento nel corpo (scrivono proprio cosı` costoro), e a causa di tale turbamento (dicono) si verificano un attacco epilettico e dolori ai reni e altri {disturbi} che durano a lungo; successivamente che (lo disse Democrito) ‘un uomo balza fuori da un {altro} uomo nel coito’.
93.2.5. T. Galeno, In Hippocratis Epidemiarum libros commentaria XVII/1, 521 (= 68 B 32, n.; 527 Lu.; in parte 62 Us.), 522-23 (om. DK e Lu.): [La polemica e` sempre nei confronti di Sabino e dei suoi seguaci.] Qual era la necessita` di scrivere che Democrito aveva detto che il coito e` un piccolo attacco epilettico, e che Epicuro {aveva detto che} i rapporti sessuali non sono mai di giovamento, ma sono desiderabili solo se non fanno danno? [...] Anche queste cose essi le scrivono facendo menzione, nella spiegazione dei casi presenti, di Democrito e di Epicuro come di coloro che dicevano che mai niente di buono risulta dai rapporti sessuali.
93.2.6. T. Plinio, Naturalis historia XXVIII (16) 58 (= 68 B 32, n.; 527 Lu.): Democrito condanno` Venere 713 per il fatto che con essa un altro uomo e` espulso da un uomo.
93.2.7. Ippolito, Refutatio omnium haeresium VIII 14, 3-4 (= 68 B 32, n.; 527 Lu.): [Esposizione delle concezioni di un certo Monoimo per il quale le bibliche dieci piaghe in Egitto, identificate con la decade pitagorica, sono un’allegoria della creazione, la quale si sarebbe verificata per l’azione di una verga.]
710 711 712 713
Letteral.: la natura che e` in noi. Cioe`: nell’utero. Queste ultime parole risultano da una congettura. Cioe` i rapporti sessuali.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
Tutto cio` che si genera e porta frutto, come le viti, {lo fa} perche´ colpito (plhssovmena). ‘‘Un uomo erompe da un uomo, egli dice, e se ne stacca scisso da un colpo (plhghv)’’.
93.2.8. Stobeo, Florilegium III 6, 44: Erissimaco 714 disse che il coito e` un piccolo attacco epilettico, e che {i due} differiscono solo nella durata.
93.2.9. Aulo Gellio, Noctes atticae XIX 2, 8 (= 527 Lu.): Anche Ippocrate, uomo di scienza divina, riteneva che il coito venereo fosse parte di quella pestifera malattia, che i nostri [cioe` i latini] chiamarono comitialis, e si tramandano queste sue parole: ‘‘il coito e` un piccolo attacco epilettico’’.
93.2.10. Plutarco, Quaestiones convivales III 6, 2, 653F (om. DK; = 527 Lu.; 61 Us.): [Viene discussa la questione se avere rapporti sessuali dopo un pasto, riportando l’opinione contraria di Epicuro.] Egli [scil. il parlante Zopiro] riteneva che l’uomo [scil. Epicuro] temeva i colpi (plhga;") risultanti dalla copulazione per via della scossa (palmo;n) dei corpi che entrano in uno stato di disturbo (tarach;n) e di agitazione in tale attivita`.
93.3. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum V 3, 4-6 (6 = 68 A 141; 4 e 6 = 525 Lu.) [= Aezio V 3, 4-6 (Dox. 417)]: (Qual e` la sostanza del seme) Platone: e` un efflusso del midollo spinale. (5) Epicuro: e` una parte staccata di anima e di corpo. (6) Democrito: {il seme risulta} dai corpi nella loro interezza e dalle parti principali, come le ossa, le carni e i muscoli.715
93.3.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 107 (640.9 e 13-15): (Sulla sostanza del seme) & Stesso testo di 93.3, salvo una piccola variazione.
93.4. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum V 4, 1-3 (1= 67 A 35, 522 Lu.; 3 = 68 A 140, 523 Lu.) [= Aezio V 4, 1-3 (Dox. 417)]: (Se il seme e` un corpo) Leucippo e Zenone {dicono che} e` un corpo, giacche´ e` una parte staccata di anima.716
Questi e` il medico che compare fra i parlanti nel Simposio di Platone. A quanto pare dall’origine si deve desumere la sua composizione. Riguardo alla posizione degli Epicurei sull’origine del seme, essa non viene segnalata nelle testimonianze 93.4 e 93.5, ma riprende quella di Democrito, come risulta dallo scolio all’Ep. ad Hdt. 66 (311 Us.: ‘‘il seme proviene dai corpi nella loro interezza’’) e dall’allusione in Lucrezio IV, v. 1042 (‘‘decedit corpore toto’’). 716 La quale, si intende, e ` per essi qualcosa di corporeo. 714 715
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
(2) Pitagora, Platone, Aristotele {dicono che} e` incorporea la forza del seme, al modo in cui {lo e`} l’intelletto che lo muove, mentre e` corporea la materia che viene proiettata. (3) Stratone e Democrito {dicono che} e` un corpo anche la forza, giacche´ e` della natura dello pneuma.
93.4.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 108 (640.16-20): (Se il seme e` un corpo) & Stesso testo di 93.4, ma con le seguenti principali varianti: nel periodo (2) e` omesso ‘‘al modo in cui {lo e`} l’intelletto che lo muove’’; nel periodo (3) leggere ‘‘Stratone e Dem. {dicono che la materia} e` corporea per la forza {che possiede}’’, omettendo il seguito.
93.5. T. Ps.-Galeno, Definitiones medicae 439 [XIX 449.14-450.1] (= 68 B 124; 525 e 527 Lu.): Lo sperma 717 viene secreto dal cervello e dal midollo spinale, come dicono Platone 718 e Diocle. Invece Prassagora e Democrito, e anche Ippocrate, {dicono che viene secreto} da tutto il corpo, Democrito dicendo che ‘gli uomini saranno uno e l’uomo tutti’(?). E Ippocrate dice: il piacere infatti viene da ogni parte del corpo.
93.6. T. Censorino, De die natali 5, 3 (= 24 A 13; 526 Lu.): [Dopo aver riportato, in 5, 2, l’opinione di Ippone di Metaponto, per il quale il seme proviene solo dal midollo, la cui diminuzione sarebbe accertabile abbattendo un animale maschio dopo l’accoppiamento.] Ma diversi, come Anassagora, Democrito e Alcmeone di Crotone, rigettano questa opinione facendo osservare che nelle greggi i maschi, dopo lo sforzo, perdono non soltanto del midollo ma anche grasso e parecchia carne.
94.1. T. Aristotele, De generatione animalium IV 1, 763b27-31, 764a1-2, a611 (= 68 A 143; 530 Lu.), a20-23, 764b10-29 (10-12 e 14-15 = 524 Lu.; 20-29 = 530 Lu.): [Poco dopo l’inizio del libro: esposizione delle teorie altrui circa l’origine della differenza di sesso, a partire dall’osservazione che tale differenza si riscontra negli animali ‘piu` perfetti’.] C’e` controversia sulla questione se, prima che la differenza {di sesso} sia manifesta alla nostra percezione, ci siano la femmina e il maschio, acquistando la differenza nella matrice o prima. In effetti alcuni, cio`e Anassagora e altri dei ‘fisiologhi’, sostengono che questa opposizione sussiste direttamente nei semi [...]. Altri, come Empedocle, {sostengono che si genera} nella matrice [...]. *L’Abderita Democrito sostiene che la differenza di femmina e di maschio si genera sı` nella matrice, non tuttavia {come per Empedocle} che sia per il caldo o per il freddo che l’uno diventa femmina e l’altro maschio, ma a seconda di quale dei due sia quello il cui seme prevale provenendo dalla parte per la quale la femmina
717 Diversamente da qui ho solitamente reso spevrma con «seme», perche ´ non e` ovvio che si stia parlando sempre dell’emissione propria di certe razze di animali. 718 Cfr. Timeo 91A-B e 74A.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
e il maschio differiscono fra di loro.719 [...] Per questo verso in effetti il resoconto di Democrito e` migliore: egli va alla ricerca della differenza {che c’e` effettivamente} in questo processo riproduttivo e si sforza di enunciarla; se poi {l’abbia fatto} bene o non bene, e` un altro discorso.* [...] (b10) Se d’altra parte riguardo al seme le cose stanno cosı` come per l’appunto abbiamo detto,720 {cioe`} che esso non proviene dal tutto e, in generale, che a quelli che si generano nessuna materia e` procurata dal maschio, dobbiamo opporci allo stesso modo a costui,721 a Democrito, e a chiunque si trovasse a sostenere lo stesso. Infatti ne´ e` possibile che il corpo del seme possa trovarsi diviso, una parte nella femmina e una parte nel maschio, come sostiene Empedocle dicendo: 722 ‘‘ma divisa per due e` la natura delle membra, una parte nel {corpo} dell’uomo...’’, n´e {e` possibile} che, *essendo il {seme} tutto stato secreto da entrambi {i genitori}, l’uno diventi femmina e l’altro diventi maschio per la prevalenza dell’una parte sull’altra. (20) In generale, produrre la femmina con la prevalenza nel dominio della parte {corrispondente}* e` certamente meglio che, senza averci riflettuto, addurre come causa soltanto il calore; tuttavia il fatto che, nello stesso tempo, anche la conformazione del pudendum risulti essere diversa richiede una spiegazione riguardante il comparire insieme ogni volta di queste {parti}.723 Se {, viene detto,} {cio` avviene} perche´ sono contigue,724 ciascuna delle altre parti dovrebbe comportarsi di conseguenza,725 perch´e ciascuna delle parti che prevalgono e` contigua a ciascun altra, sicche´ {il nato} sarebbe ad un tempo femmina e simile alla madre o maschio e simile al padre. Inoltre e` assurdo ritenere che solo queste parti devono formarsi, senza che l’intero corpo abbia subito trasformazione ...
94.2. T. Ps-Plutarco, Placita philosophorum V 5, 1 (= 68 A 142, 529 Lu.) [= Aezio V 5,1 (Dox. 418)]: (Se anche le femmine emettono il seme) Pitagora, Epicuro e Democrito {sostengono che} anche la femmina emette il seme: possiede i testicoli invertiti, e pertanto ha anche desiderio dei rapporti.
94.2.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 109 (640.21-24): (Se anche le femmine emettono il seme) & Testo quasi identico a 94.2.
Quanto segue (764a12-20) concerne di nuovo Empedocle. Come si puo` vedere, Aristotele nel seguito enuncia la sua posizione non in modo positivo ma negando quella da lui rifiutata, per cui quanto ho sottolineato, una volta tolte le negazioni, si applica alla posizione di Democrito, del resto menzionato espressamente subito dopo. 721 Cioe ` ad Empedocle, la cui posizione era stata considerata nella parte da me omessa (cioe` in 764a23-b10). 722 Quanto segue e ` un brano incompleto che viene riportato solo da Aristotele, qui e in I 8, 722b10 (= 31 B 63 DK). 723 Presumibilmente, come suggerisce A.L. PECK , Generation of animals, London 1953, in una nota ad loc., il riferimento e`, per ciascun sesso, alle parti proprie di quel sesso (per esempio nel caso del maschio il comparire insieme di pene e testicoli, non ovviamente di pene e utero). Questo suggerimento tende ad essere confermato dal fatto che nel seguito Aristotele fa esempi di questo tipo. 724 Non e ` chiaro se questa spiegazione sia dovuta a Democrito o sia avanzata dallo stesso Aristotele come una possibile difesa della sua posizione o sia dovuta a qualcun altro ancora. 725 Cioe ` lo stesso dovrebbe valere anche per le parti non legate alla differenza di sesso. 719 720
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
94.2.2. A. Aristotele, De generatione animalium I 20, 727b33-36 (om. DK e Lu.): [Sulle secrezioni della femmina e sul suo contributo alla generazione.] Quanto a cio` che ritengono alcuni, {cioe` che} la femmina contribuisca con del seme nella copula, per il fatto che in esse talvolta si verifica un godimento prossimo a quello dei maschi, e insieme una secrezione liquida, {non e` vero}: questa secrezione in effetti non e` seminale ...
94.3. T. Ps-Plutarco, Placita philosophorum V 7, 6 (= 67 A 36, 531 Lu.) [= Aezio V 7, 5a (Dox. 420)]: (In che modo si generano i maschi e le femmine.) Leucippo {dice che si generano} per l’incrocio delle parti {genitali}, per cui l’uno ha il membro maschile e l’altra la matrice; quanto egli dice e` soltanto questo.
94.4. T. Ps-Plutarco, Placita philosophorum V 7, 7 (= 68 A 143, 531 Lu.) [= Aezio V 7, 6 (Dox. 420)]: [Di seguito a 94.3, con lo stesso titolo.] Democrito {sostiene che} le parti comuni derivano dall’uno o dall’altro come capita, mentre le parti distintive 726 {derivano} a seconda della prevalenza.
94.5. T. Censorino, De die natali 6, 5 (= 68 A 143; 532 Lu.): [Esposizione delle varie posizioni riguardo al perche´ i nati sono di un certo sesso piuttosto che dell’altro.] Democrito riferı` che viene riprodotta la natura 727 di quello dei due genitori il cui principio ha per primo preso il posto.
94.6. Nemesio, De natura hominis 25 [86.19-22] (= 68 A 143; 529 Lu.): 728 (De generativo vel seminativo) Aristotele e Democrito vogliono che il seme della donna non contribuisca per nulla alla generazione dei figli, giacche´ vogliono che cio` che proviene dalle donne sia umidita` del membro 729 piuttosto che germe.
726 O peculiari (ijdiavzonta). Sono presumibilmente le parti legate alla differenza di sesso, come suggerisce E. LESKY, Zeugungs- und Vererbungslehren der Antike, Wiesbaden 1951, p. 74, n. 2. 727 Cioe ` il nato prende il sesso ... ` una testimonianza non attendibile per Democrito. Forse, come suppone Luria nel suo 728 E commento al passo, si tratta di un errore per Zenone (di Cizio), che viene associato ad Aristotele riguardo alla tesi che l’umidita` femminile non e` un seme ma come un sudore in Ps-Plutarco, Placita V 5, 2 (= Aezio V 5, 2 [Dox. 418]), cioe` nel passo che segue immediatamente la test. 94.2 sopra riportata. 729 Cioe ` umidita` propria dell’organo sessuale.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
95.1. T. Aristotele, De generatione animalium IV 3, 769a6-21 (om. DK; a9-13 e a17-20 = 533 Lu.): [Dopo avere discusso, nei capp. 1 e 2, la questione dell’origine della differenza di sesso (cfr. 94.1 per la posizione democritea), nel cap. 3 Aristotele considera la questione della trasmissione delle caratteristiche che rendono i figli simili all’uno o all’altro genitore o anche a qualche avo, esponendo prima la propria posizione, per poi criticare le teorie altrui.] Alcuni dei ‘fisiologi’ si sono espressi diversamente {da noi} su questi punti, {cioe`} per quale causa {i figli} diventano simili o dissimili ai loro genitori. Sono due i tipi di causa da essi enunciati. (i) Alcuni asseriscono che {il figlio} diventa piu` simile a quello dei due {genitori} dal quale provenga piu` seme, e, al modo in cui il tutto {e` simile} al tutto, la parte lo e` alla parte, dando per ammesso che il seme proviene da ciascuna delle parti; se proviene in quantita` uguale da entrambi, {il figlio} non diventa simile a nessuno dei due. (13) Se tuttavia questo 730 e` falso e {il seme} non proviene dal tutto,731 e` chiaro che quanto e` stato detto non sara` neppure la causa della somiglianza e dissimiglianza. Inoltre non sono in grado di precisare senza difficolta` come mai ad un tempo la femmina sia simile al padre e il maschio alla madre. Gli uni in effetti, che enunciano la causa riguardo al maschio e alla femmina alla maniera di Empedocle e di Democrito, dicono cose altrimenti impossibili; gli altri {enunciano la causa} col far provenire piu` o meno seme dal maschio o dalla femmina e {ritengono che} per questo si generi in un caso la femmina e in un caso il maschio 732 ...
4. La tesi della ‘panspermia’ 95.2. T (?). Aristotele, De generatione animalium IV 3, 769a26-b3 (om. DK; a26-35 = 533 Lu.): [Quasi immediatamente di seguito a 95.1: la tesi viene esposta come la seconda posizione fra quelle adottate dai ‘fisiologi’, secondo quanto risulta dal passo precedente.] (ii) Sono piuttosto coloro che adottano il rimanente tipo {di causa} della somiglianza [scil. rimanente rispetto al tipo (i) sopra esposto] che dicono meglio sia su questo punto [scil. la somiglianza non solo con i genitori ma con progenitori anche remoti] sia su altri. Ci sono infatti di quelli che affermano che il seme, pur essendo uno, e` come una ‘panspermia’ di molti {tipi di seme}. (29) Sarebbe come dunque se si mescolassero molti succhi in un unico liquido e poi da questo si prendesse {parte del miscuglio}, e si potesse prendere sempre da ciascuno non in misura uguale [scil. in proporzione alla quantita` di esso presente nel miscuglio], ma talvolta piu` di questo, talvolta piu` di quest’altro, e talvolta prendere dell’uno e niente affatto dell’altro. (33) Questo accadrebbe anche nel caso del seme, essendo questo una mescolanza di molti {tipi di seme}: uno diventa simile nella forma a quello dei genitori dal quale proviene di piu` {inseminazione}. (35) Questo discorso non ha la chiarezza {della verita`} e per molti aspetti e` artificioso, ma tende anche ad enunciare meglio che quanto chiama ‘panspermia’ non sussiste in atto ma in potenza; infatti a quel modo e` impossibile, a questo possibile. 730 731 732
Si intende l’ammissione che il seme proviene da ciascuna delle parti. Come Aristotele ritiene di avere provato nella sua trattazione precedente in questo libro. Segue una critica a quest’ultimo resoconto, che, a quanto pare, risale ad Alcmeone (cfr. 24 A
11 DK).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
5. Una sintesi epicurea della teoria atomistica della riproduzione 95.3. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 1209-1222, 1227-32: E quando nel mischiarsi dei semi per caso la femmina | con vigore subitaneo ha vinto e ha prevenuto il vigore del maschio, | allora {i figli} nascono simili alla madre in virtu` del seme materno, | come {nascono invece simili} ai padri in virtu` del paterno. Ma quelli che vedi essere | della figura di entrambi, mischiando insieme gli aspetti dei genitori, | crescono {ad uno stesso tempo} dal corpo paterno e dal sangue materno, | quando i semi, eccitati nei membri dai pungoli di Venere, | sono indotti ad incontrarsi perche´ quello che spira e` un mutuo ardore, | e ne´ l’uno ne´ l’altro di essi e` stato superiore od inferiore. |1218| Talvolta accade che essi possano essere simili agli avi, | e spesso riproducano le figure dei bisavoli, | perche´ i genitori celano spesso nel corpo molti princı`pi | mescolati in molti modi che, discesi dal ceppo originario, i padri trasmettono ai padri. [...] E prole femminile ha origine dal seme paterno, | e ci sono maschi che sono formati dal corpo materno. | Sempre infatti un parto risulta da duplice seme, | e a quale dei due e` piu` somigliante l’essere che nasce, | di questo ha di piu` che la parte uguale; il che puoi constatare, | si tratti di prole maschile o di discendenza femminile.
6. Aspetti anatomici ecc. della riproduzione 96.1. T. Aristotele, De generatione animalium II 4, 740a33-b2 (= 68 A 144; 535 Lu.) [Sulla questione del nutrimento dell’embrione, che e` assicurato dal suo stare nell’utero materno.] Le vene sono attaccate come radici all’utero, e mediante esse l’embrione riceve il nutrimento; e` in vista di questo infatti che l’animale permane nell’utero e non, come dice Democrito, perche´ le {sue} parti siano modellate secondo le parti di colei che lo tiene. Questo e` manifesto nel caso degli ovipari, giacch´e e` nelle uova, cioe` separatamente dalla matrice, che acquistano la loro differenziazione.
96.2. T. Aristotele, De generatione animalium II 4, 740a13-17 (= 68 A 145; 538 Lu.): [Sulla formazione dell’embrione, che trova nel cuore il suo principio.] Per questo motivo [scil. la priorita` del cuore nella formazione dell’animale] non parlano correttamente coloro che, come Democrito, {affermano che} prima si differenziano le parti esterne,733 e poi quelle interne, come {se parlassero} di animali di legno o di pietra. Quelli di tal fatta infatti non hanno affatto un principio, mentre gli animali [si intende: quelli viventi] ne hanno tutti uno e l’hanno interno.
96.3. T. Censorino, De die natali 6, 1 (= 68 A 145; 539 Lu.): [Sulla formazione del feto: quale parte si forma per prima. Rassegna delle posizioni: ha considerato quelle di Alcmeone, di Empedocle e di Ippone.] 733
Perche´ modellate dall’esterno, come suggerito in 96.1.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
Democrito {afferma che si forma per primo} il ventre insieme al capo, in quanto contengono piu` di vuoto.
96.4. T. Aristotele, De generatione animalium II 7, 746a19-21, 27-28a (19-20 = 68 A 144; 535 Lu.): Coloro che dicono che i bambini si nutrono nell’utero succhiando una piccola escrescenza carnosa non si esprimono correttamente: lo stesso dovrebbe succedere anche negli altri animali, e invece non si constata ... [Secondo Aristotele all’esame anatomico si constata che gli embrioni dei vari animali, sia volatili che natanti che terrestri, sono avvolti da membrane che li separano dall’utero.] Quanto agli animali tutti che nascono da uova e` chiaro che ottengono il loro accrescimento separati fuori dalla matrice, sicche´ non si esprimono correttamente coloro che ne parlano come fa Democrito.734
96.5. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum V 16, 1 (= 68 A 144; 536 Lu.) [= Aezio V 16, 1 (Dox. 426)]: (In che modo si nutrono gli embrioni) Democrito ed Epicuro {dicono che} l’embrione nell’utero si nutre mediante la bocca; donde, appena nato, si volge con la bocca alla mammella, giacche´ anche nell’utero ci sono una specie di mammelle e di bocche mediante le quali si nutre.
96.5.1. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 120 (643.26-644.1): (In che modo si nutrono gli embrioni) & Stesso testo di 96.5, ma con qualche variante.
96.5.2. T. Galeno (?), In Hippocratis De alimento (PFlor 115, B 7-13, trad. Manetti) (CPF I 1*, 9: Alcmaeon, 1T): 735 [Di commento a Ippocrate, De alimento 39: viene affermata l’autosufficienza della natura e il suo non avere bisogno di istruzione (paideia), anche con richiamo a De alimento 15, e ad un altro scritto ippocratico: Epidemie VI 5.1, 3-4.] Dunque la natura non ha ricevuto alcuna istruzione se e` pur vero che e` ‘ben istruita’ in assoluto, senza aver appreso da altri. Non cerchiamo dunque piu`, o Democrito e Alcmeone, come e dove ha appreso il bambino appena partorito a suggere {il latte} e a cercare le mammelle ...{
96.6. T + C. Plutarco, De amore prolis 3, 495E (= 68 B 148; 537 Lu.): Quando l’utero ha ricevuto il seme genitale che vi e` stato gettato e lo avvolge, una volta che abbia preso radice – giacche´ ‘‘l’ombelico si forma per prima cosa nell’utero’’, come dice Democrito, come ‘‘un ancoraggio contro l’agitazione e l’errare, una gomena 734 Il periodo finale, con la menzione espressa di Democrito, compare solo in alcuni MSS. Esso pare riferirsi a cio` che viene attestato nelle altre testimonianze affini. Per questa ragione, presumbilmente, il primo periodo del passo (che non contiene quella menzione) e` stato recepito come testimonianza dal Diels. 735 Si veda anche D. MANETTI , Tematica filosofica e scientifica nel papiro fiorentino 115, in Studi su papiri greci di logica e medicina, Firenze 1985, pp. 173-213: 177-178 (ove traduzione completa del passo) e 204-205.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
e un tralcio’’ 736 per il frutto generantesi e sviluppantesi –, allora la natura 737 chiude i condotti mestruali ed espurgatori [...].
96.6.1. V. Plutarco, De fortuna romanorum 2, 317A (riferimento in 68 B 148; = 537 Lu.): [Parla di Roma, che e` venuta a costituire per tutti gli uomini come un focolare sacro.] ... e ‘‘una gomena’’ salda e un principio eterno, ‘‘un ancoraggio contro l’agitazione e l’errare’’, come dice Democrito, in mezzo al fluire 738 degli affari umani.
96.7. T. Eliano, De natura animalium XII 16 [I 300.17-301.4] (= 68 A 151; 545 e 561 Lu.): Democrito dice che il maiale e il cane sono {animali} multipari e adduce in aggiunta la causa dicendo che hanno molti uteri ovvero luoghi atti a fare da ricettacolo dello sperma. Il seme genitale di un solo slancio 739 non puo` riempirli tutti, ma questi animali compiono due o tre monte, affinche´ ci sia una continuit`a tale da permettere che i ricettacoli si riempiano dello sperma. Afferma che le mule invece non possono generare, perche´ non hanno uteri simili a quelli degli altri animali, ma di altra forma, che non sono affatto atti ad accogliere lo sperma. In effetti il mulo non e` un prodotto della natura, ma e` il frutto di un artificio fraudolento dovuto all’intelligenza umana e ad un impulso per cosı` dire adulterino. Ho l’impressione, egli diceva, che una cavalla diventasse gravida casualmente a seguito di violenza da parte di un asino e che gli uomini, tratto un insegnamento da questo tipo di violenza, successivamente abbiano proceduto a far diventare pratica corrente la loro generazione. E in particolar modo gli asini della Libia, che sono particolarmente grandi, montano le cavalle, non tuttavia quando hanno la criniera ma quando sono state tosate; quella infatti che conservasse l’ornamento della criniera non tollererebbe un tale marito, dicono gli esperti di tali matrimoni.
96.7.1. Ps.-Aristotele, Problemata X 14, 892a38-b3 (= 68 A 151; 545 Lu.): Per qual ragione alcuni degli animali, come il maiale, il cane e la lepre, sono multipari, e altri, come l’uomo e il leone, non lo sono? E` perche´ gli uni hanno molti uteri e matrici che tendono ad essere riempiti e nei quali si suddivide lo sperma, e gli altri sono nella condizione opposta?
96.8. T. Eliano, De natura animalium VI 60 [I 166.29-167.9] (= 68 A 150a; 560 Lu.): I Massageti, come racconta Erodoto, sospendono la faretra dinanzi a s´e, poi l’uomo si accoppia con la donna allo scoperto e, anche se tutti li vedessero, quelli non se ne curano 736 Ritengo che la citazione non includa le parole immediatamente seguenti, come invece ammette il Diels (in DK), seguito da vari traduttori. 737 Alfieri rende physis con ‘‘l’organo genitale femminile’’, ma cosı` si attribuisce ad esso un ruolo troppo attivo; inoltre nel seguito, parlando evidentemente sempre della physis, Plutarco afferma che opera con piu` cura di un giardiniere, ed e` difficile applicare questo all’organo femminile. 738 Piu ` letteralmente: l’essere trascinati. (Plutarco usa il verbo uJpofevrein in questo senso anche poco dopo, 325A.) 739 Cioe ` di una sola eiaculazione.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
affatto.740 Un accoppiamento di cammelli, invece, non avverrebbe mai scopertamente, neppure se ci fossero degli osservatori {a fare} per cosı` dire da testimoni. Ma che {per questa segretezza} si parli di pudore o di un dono inesprimibile della natura, lasciamo cio` a Democrito e ad altri, che si ritengono bravi nel dare dimostrazioni ed addurre cause circa cose per le quali non ci sono indizi o termini di confronto. Gia` anche il pastore si apparta, quando percepisce in essi [scil. nelle sue bestie] l’impulso all’accoppiamento, come se si ritirasse all’entrata nel talamo dello sposo e della sposa.
7. La formazione di anomalie fra gli animali 97.1. T. Aristotele, De generatione animalium IV 4, 769b30-770a4 (= 68 A 146; 546 Lu.): Democrito afferma che le anomalie {nella riproduzione} si verificano per il fatto che cadono due semi {nell’utero}, uno che si mette in movimento prima, l’altro dopo, e anche questo che perviene direttamente all’utero, sı` che le parti si formano insieme e si intrecciano.741 (Per quanto riguarda gli uccelli, poiche´ succede che il loro accoppiamento e` sempre rapido, egli afferma che mutano sia le uova sia il loro colore.) 742 Ma se accade che da un unico seme e un’unica copula nascano piu` {di un piccolo}, come e` evidente, e` meglio non fare un lungo giro avendo lasciato il cammino diretto, perch´e in tali casi e` oltremodo necessario che accada questo, quando i semi non siano separati, ma procedano insieme.
97.2. T. Aristotele, De generatione animalium II 8, 747a23-34 (= 31 A 82 e 68 A 149; 519 Lu.): [Anomalie nella riproduzione: la sterilita` nel caso dei muli.] Negli uomini e negli altri generi {di animali}, come si e` detto in precedenza, tale menomazione si verifica individualmente, mentre l’intero genere dei muli e` sterile. Riguardo alla causa, al modo in cui la dicono Empedocle e Democrito – il primo dicendola senza chiarezza, Democrito piu` da esperto –, non hanno detto bene: enunciano la spiegazione allo stesso modo in tutti i casi nei quali ci sia accoppiamento fuori della propria specie. (29) Democrito afferma che i condotti dei muli sono distrutti negli uteri per il fatto che il principio degli animali non proviene da genitori della stessa specie.743 Ma cio` accade anche ad altri animali, e non di meno essi generano, mentre, se la causa della sterilita` fosse
740 Cfr. Erodoto, Historiae I 216, il cui racconto tuttavia non pare essere riportato molto fedelmente, possibilmente per l’influenza di un’altra tradizione che viene attestata da Strabone, Geographica XI, 8, 6 (vedi discussione di Luria nel suo commento ad 560). 741 Seguo un testo corretto da Diels, senza accogliere le modifiche adottate da H.J. DROSSAART LULOFS, Aristotelis: De generatione animalium, Oxford 1965, per le quali si dovrebbe intendere che uno soltanto dei semi perviene all’utero – tesi poco accordabile col tenore complessivo del passo. Tuttavia il testo rimane non del tutto soddisfacente. 742 La parte fra parentesi puo ` essere dovuta ad un interpolatore, come suggerisce Peck in op. cit., n. ad loc. (il verbo ejpallavttw usato in questo periodo puo` significare solo ‘‘mutare’’, non piu` ‘‘intrecciarsi’’, come nel periodo precedente). 743 Presumibilmente si intende che questi animali non traggono il loro principio generatore, cioe` il seme, da genitori della stessa specie.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
questa, dovrebbero essere sterili anche tutti gli altri {animali} che si accoppiano a questo modo. [Nel seguito viene esposta e criticata la posizione di Empedocle.]
97.3. T. Eliano, De natura animalium XII 17 [I 301.5-19] (= 68 A 152; 521 Lu.): Democrito dice che le cadute degli embrioni 744 sono piu` frequenti nelle zone al sud che nelle zone al nord, e {lo dice} con plausibilit`a: i corpi delle gravide sono resi rilassati e distesi dal vento del sud; quando dunque il corpo e` soggetto ad espansione e non e` ben adattato anche gli embrioni sono sballottati qua e la` e, resi caldi, scivolano 745 e cadono facilmente {fuori del corpo}. Se invece c’e` gelo ed e` il vento del nord a soffiare, l’embrione e` tenuto rigido, si muove con difficolta` e non e` agitato come da flutti, ma essendo esente da fluttazioni e in condizione di calma diventa forte ed e` vigoroso {a sufficienza} per resistere fino al periodo naturale della nascita. Dunque, dice l’Abderita, nel freddo riesce a mantenersi, nel caldo e` espulso di frequente. E` una necessita` (dice) che col prevalere del caldo si distendano le vene e le articolazioni.746
8. Fenomeni riguardanti la crescita, la durata della vita, ecc., di piante e animali 98.1. T. Teofrasto, De causis plantarum II 11, 7-8 (= 68 A 162; 557 Lu.) [Sulla cause della longevita` o brevit`a della vita delle piante, cfr. II 11, 4.] Quanto alle cause addotte da Democrito, {cioe`} che quelle dritte {fra le piante} hanno vita piu` breve e germogliano prima delle contorte per via delle stesse {cause} necessarie – giacche´ nelle prime il nutrimento, dal quale {viene} il germogliare e i frutti, e` distribuito rapidamente, nelle altre lentamente, per il fatto che la parte {della pianta} sopra la terra non e` facilmente percorribile, ma le stesse radici lo [scil. il nutrimento] consumano, e in effetti queste hanno radici lunghe e grosse –, ebbene, egli non sembrerebbe esprimersi correttamente. (8) Dice in effetti che le radici di quelle dritte sono deboli, e per entrambe {queste cause} 747 la corruzione si verifica piu` rapidamente, giacche´ il freddo e il caldo si diffondono rapidamente dall’alto alle radici per via della dirittezza dei passaggi, e quelle essendo deboli non resistono; e, in generale, gran parte delle {piante} del genere cominciano ad invecchiare dal basso per la debolezza delle radici. Ancora, la parte al di sopra della terra, essendo curvata dai venti per via della sua esilita`, muove le radici, e, quando questo avviene, esse si rompono e sono storpiate e, a partire da queste, si verifica la corruzione per l’intero albero. – Questo e` quanto egli sostiene.
98.2. T. Teofrasto, De causis plantarum I 8, 2 [173.4-9] (173.5-8 = 68 A 162; 557 Lu.): [Sulla rapidita` della crescita delle piante.]
Cioe` gli aborti con espulsione. La traduzione adottata non introduce correzioni al testo ma richiede una trasposizione; con la correzione di planasqai in ajleaivnesqai, evitando invece la trasposizione, si ottiene la seguente = traduzione: ‘‘anche gli embrioni sono riscaldati e, una volta resi caldi, scivolano qua e la` ...’’. 746 Oppure, piu ` probabilmente: gli organi genitali. 747 Cioe ` per la dirittezza del fusto e la debolezza delle radici. 744 745
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
Quanto ai casi concernenti le singole nature, a metterle a confronto genere per genere, si deve ammettere, con Democrito, {che la crescita rapida e`} secondo la dirittezza dei canali (il movimento {del cibo} infatti e` facile e non impedito, come egli dice), oppure piuttosto {ammettere che crescono rapidamente} quante sono meno dense e piu` umide? (In effetti quelle dense e secche crescono lentamente.) ...
98.3. T. Aristotele, De generatione animalium V 8, 788b9-15 e 17-20; 788b2429; 789a4-5; 789b2-9 e 12-15 (788b9-10 e 12-14 = 68 A 147, 517 Lu.; 789b24 = 68 A 66; 23 Lu.; 789a4-9 e a 12 sgg. = 517 Lu.): 748 [Sul perch´e i denti davanti si formano prima degli altri e cadono per poi ricrescere.] Su questi [scil. sui denti da latte e sulla loro caduta] si e` espresso anche Democrito, ma non si e` espresso bene: enuncia la causa in generale senza avere indagato tutti i casi. Afferma che essi cadono perche´ si sono generati negli animali prima del tempo, giacch´e, quando {gli animali} sono nel pieno sviluppo, essi crescono per cosı` dire secondo natura; ma del generarsi prima del tempo adduce come causa il poppare. E tuttavia anche il porco poppa, ma non perde i denti. [...] Egli dunque errava in questo, facendo un discorso generale senza indagare riguardo a tutti i casi quanto accade, mentre e` proprio questo cio` che si deve fare, giacch´e e` necessario che chi fa un discorso generale dica qualcosa che si applica a tutti i casi. [...] Se dunque cio` 749 accadesse, come quello [scil. Democrito] dice, verso la puberta`, la natura sarebbe manchevole in qualche cosa che rientra fra quelle che ad essa e` possibile fare, e l’opera della natura sarebbe contro natura, giacche´ cio` che e` per costrizione e` contro natura, ed e` per costrizione che egli dice aver luogo la generazione dei denti. Che questo dunque non sia vero e` manifesto da queste {considerazioni} e da queste altre simili {che seguono}. [...] [Fra tali considerazioni c’e` la seguente (789a4):] Il poppare in s´e non apporta alcun contributo, ma e` il calore del latte che rende piu` veloce lo spuntare dei denti. [...] (b2) Democrito, omettendo di enunciare l’in-vista-di-che, riporta alla necessita` tutte le cose di cui fa uso la natura – le quali sono sı` di tal fatta, ma nondimeno sono in vista di qualcosa e in virtu` del meglio in ciascun caso. Sicche´ niente impedisce che essi [scil. i denti] si generino e cadano a questo modo, non tuttavia per questi {fattori} ma per il fine. Queste invece sono cause in quanto motrici e in quanto strumenti e in quanto materia, dal momento che e` anche verisimile che la maggior parte delle cose sia prodotta dal pneuma come da uno strumento [...]. Enunciare le {sole} cause per necessita` sembra simile al ritenere che il cavare acqua agli idropici sia soltanto per il coltellino e non per il guarire, in vista di cui il coltellino ha tagliato.
748 Luria va oltre quanto si puo ` attribuire a Democrito secondo plausibilita` e in base all’interpretazione di Filopono (cfr. 98.4) e tratta come democriteo tutto il resoconto che Aristotele offre del ruolo della necessita` in una situazione come questa, trascurando il fatto che anche lo Stagirita ricorre alla necessita` come modo di spiegazione nel campo della fisica, ma lo fa subordinandola al fine. 749 Vale a dire, disporre (come Aristotele richiede in base alla sua tesi che la natura non fa niente invano) di strumenti appropriati in vista dell’elaborazione del nutrimento.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
98.4. E. Filopono (Michele di Efeso), In De gen. anim. V (8, 788b9 sgg.), 247.11-12 e 19-22 (om. DK; = 517 Lu.): Democrito dunque disse che essi [scil. i denti] cadono per il fatto di crescere prima del tempo e contro natura allora, nel tempo in cui e` opportuno che crescano (gli uomini cominciano a crescere per cosı` dire nel secondo anno di et`a). [...] Forse pero` Democrito non adduceva come causa il poppare senza qualificazioni, ma mediante il poppare alludeva al latte, perche´ il latte, essendo caldo, come dice anche Aristotele poco oltre, fa spuntare i denti, giacche´ il caldo fa crescere; pertanto quelli {fra gli animali} che fanno uso del latte piu` caldo hanno la dentizione piu` rapida.
98.5. T. Eliano, De natura animalium XII 18 [I 301.20-302.16] (= 68 A 153; 541 Lu.): Lo stesso [scil. Democrito] dice che la causa della ricrescita dei corni nei cervi e` quella {che segue}. Ammette che il loro ventre e` caldissimo, e dice che le loro vene, che sono diffuse in tutto il corpo, sono molto sottili e che l’osso che contiene il cervello e` molto tenue e simile a membrana e poroso, e che vene assai spesse si innalzano di lı` fino alla parte superiore del capo. Ora, l’alimento e, in particolare, la sua parte piu` produttiva e` distribuito nel modo piu` rapido e {di questo}, egli afferma, il grasso si diffonde in essi di fuori, mentre la forza del nutrimento e` spinta attraverso le vene alla testa. Di qui dunque nascono le corna, per via dell’abbondanza dell’umore da cui sono irrorate: essendo continuo nel suo scorrere spinge in avanti quanto lo precede; 750 (302) e l’umore in eccesso fuori del corpo diventa duro, in quanto l’aria lo condensa e lo indurisce a mo’ di corno,751 mentre la parte che sta chiusa all’interno e` ancora molle; e {di questi} l’uno indurisce per il freddo esterno, l’altro rimane molle per il calore interno. Dunque la parte che spunta del nuovo corno ha l’effetto di spingere innanzi il vecchio come corpo estraneo, in quanto cio` che e` dentro fa pressione e cerca di spingerlo in su e si gonfia e palpita, come se avesse fretta di nascere e di venire fuori. Infatti l’umore, erompendo ed innalzandosi, e` incapace di stare immobile, ma anch’esso subito diventa duro e viene spinto contro i {corni} precedenti. Il piu` delle volte {i corni} sono espulsi dalla forza dell’{umore} interno, ma alle volte l’animale {stesso}, spinto dall’impeto, ne spezza alcuni che si impigliano nei rami e lo ostacolano nella velocita` della corsa. Quelli vanno perduti, mentre altri, che sono pronti a spuntare, la natura li fa venire su.
98.6. T. Eliano, De natura animalium XII 19 [I 302.17-26] (= 68 A 154; 543 Lu.): Quanto ai buoi castrati, Democrito dice che le corna gli crescono ricurve sottili e lunghe, mentre in quelli non castrati {le corna crescono} spesse presso la radice e dritte e meno spinte in lunghezza. E questi {ultimi}, egli afferma, hanno la fronte molto piu` spaziosa degli altri, giacche´, dal momento che le vene in questa parte sono numerose, le ossa vengono ingrandite da queste. In quanto poi la formazione delle corna e` particolarmente spessa, contribuisce anch’essa al fatto che questa parte dell’animale [scil. la fronte] sia ampia.
750 751
Presumibilmente: la parte precedente del corno. Piu` letteralmente: lo rende come corno.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
Quanto ai castrati, dice che, dal momento che hanno piccolo il cerchio definito dalla sede delle corna, sono meno spaziosi {nella fronte}.
98.7. T. Eliano, De natura animalium XII 20 [I 302.27-303.13] (= 68 A 155; 542 Lu.): I tori senza corna, non avendo l’alveolatura (cosı` la chiama Democrito, e potrebbe intendere la porosita`) sulla parte anteriore del capo, essendo l’osso tutto resistente e incapace di accogliere l’afflusso degli umori, si trovano ad essere scoperti e privi di mezzi di difesa. Anche le vene che sono sotto a questo osso, in quanto ricevono meno nutrimento, {alla lunga} diventano piu` sottili e piu` deboli. E` necessario anche che la nuca di quelli privi di corna sia particolarmente secca, dal momento che anche le vene di questa parte sono assai sottili, e pertanto anche meno forti. (303.4) Quanto ai buoi arabici che sono sı` di genere femminile ma sono dalle corna ben sviluppate, nel loro caso – dice – il grande afflusso di umori costituisce il nutrimento per una bella crescita delle corna. Ma anche fra queste ce sono prive di corna, e cioe` quante di esse abbiano troppo duro l’osso ricettivo dell’umore e {pertanto} meno adatto a recepire i succhi. E, a dirla in sintesi, e` l’afflusso {degli umori} che e` la causa di crescita per le corna, e {questo si verifica quando} il suo convogliamento e` assicurato da vene che siano numerose e particolarmente spesse e che secernano tanto umore quanto ne possono contenere.
9. Fenomeni svariati 752 99.1. T. Cicerone, De divinatione II 26, 57 (trad. Timpanaro) (= 68 A 158; 551 Lu.): [Sulla pretesa fatta valere da certi indovini che il canto dei galli serva da annuncio di certi eventi come la vittoria della propria parte.] Democrito spiega con parole molto appropriate la ragione per cui i galli cantano prima dello spuntare dell’alba: una volta che il cibo sia stato smaltito dallo stomaco e distribuito per tutto il corpo e assimilato, essi cantano dopo aver raggiunto un riposo ristoratore. [...] Poiche´, dunque, questa specie di animali e` tanto canora per istinto, come e` venuto in mente a Callistene di dire che gli de`i hanno fatto cantare i galli come segno profetico, dal momento che la natura o il caso avrebbero potuto ottenere quello stesso effetto?
99.2. T. Teofrasto, De piscibus (fr. 171),753 § 12 (= 68 A 155b; 552 Lu.): [Sulla sopravvivenza di certi pesci in luoghi asciutti.]
` per lo meno dubbia la pertinenza, per la presente sezione, di Porfirio, Quaest. hom. ad Il. 752 E XXI 252 (= 130.3). 753 Lo scritto ha ricevuto titoli differenti nell’antichita ` (Sui pesci che permangono all’asciutto, ecc.; evidentemente Sui pesci e` troppo generale) ed e` questione aperta se quanto ci e` rimasto e` un frammento (cosı` viene presentato da Wimmer nella sua edizione) o un intero opuscolo (come sostiene R.W. SHARPLES in Theophrastus: On Fish, New Brunswick 1962), salvo qualche lacuna.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
Si potrebbe ricercare questo circa entrambi i generi {di pesci}, {cioe`} quelli all’asciutto e quelli che scavano {la terra}: 754 se, lasciati andare nell’acqua, ci vivrebbero oppure ricercherebbero il luogo proprio e questo sarebbe per essi come la {loro} natura, al modo {che lo e`} per quelli nel mare e quelli nei fiumi: neppure questi accettano cambiamenti, eccetto in pochi casi. Dal momento che, per quelli che penetrano {nell’interno della terra} in seguito al disseccamento e per quelli che si trovano circondati dai ghiacci, {cio` avviene per queste cause}, e` manifesto che e` l’elemento liquido ad essere loro proprio. La cosa 755 e` ben piu` plausibile nel caso di quelli che scavano e per gli altri – per i primi assolutamente, per gli altri in quanto anfibi, come {afferma} Democrito. E cio` avviene anche nel caso di altri {pesci ancora}, giacche´ alcuni {di essi} fanno uso dell’aria,756 come si e` detto in precedenza.
99.3. T. Eliano, De natura animalium IX 64 [I 241.15-26] (241.15-18 = 68 A 155a; 554 Lu.): Dice Aristotele, e Democrito prima di lui, e per terzo Teofrasto 757 dice anche lui che i pesci non si alimentano con l’acqua salata ma con l’acqua dolce che coalesce con quella marina; e, dal momento che questo puo` sembrare incredibile, il figlio di Nicomaco [cioe` Aristotele], avendo voluto rendere sicuro quanto detto mediante i fatti stessi, afferma che c’e` dell’acqua potabile nell’intero mare e che lo si puo` provare a questo modo: se qualcuno, plasmato dalla cera un recipiente cavo e sottile, lo cala vuoto nel mare, avendolo attaccato da qualche parte in modo da poterlo tirare su, fatti trascorrere una notte e un giorno, attinge lo stesso riempito di acqua dolce e potabile.758
99.3.1. A. Aristotele, Historia animalium VII (VIII) 2, 590a22-27: Che nel mare sia presente {acqua} potabile e che questa possa essere filtrata, e` manifesto; e` capitato infatti ad alcuni 759 di compiere un’esperienza di questo: 760 se si modella un sottile recipiente di cera e, legatolo, lo si cala vuoto in mare, nel corso di una notte e di un giorno questo raccoglie una quantit`a di acqua, e questa si manifesta potabile.
99.3.2. Aristotele, Meteorologica II 3, 358b34-359a5: Che la salinita` {del mare} stia in una mescolanza di qualcosa e` evidente non solo da quanto e` stato detto ma anche {dal seguente esperimento}: se, dopo avere modellato un recipiente di cera, lo si cala nel mare, avendo legato l’apertura in modo che non sia riem-
754 Si intende (1) pesci che per dei periodi vivono sulla terra asciutta, alcuni dei quali sono detti avere un doppio modo di vita (ejpamfoterivzein) (pare che siano questi, menzionati al § 1, i pesci cui faceva riferimento Democrito) e (2a) pesci che rimasti all’asciutto (per dissecamento p.es. di un corso d’acqua) scavano alla ricerca di umidita` o ancora (2b) che sono generati in un luogo asciutto sottoterra (di questi Teofrasto aveva parlato in precedenza). 755 A quanto pare: la stessa cosa (cioe ` trattare il liquido come loro proprio), come intende anche Sharples. 756 Ne fanno uso per il raffreddamento. 757 Cfr. De causis plantarum VI 10, 2. – La tesi che l’acqua marina sia filtrabile compare anche presso gli Epicurei, cfr. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 464-77. 758 Il seguito e ` su Empedocle, cfr. 31 A 66, dove il passo viene riportato per esteso. 759 ‘‘Alcuni’’ c’e ` solo in alcuni dei codd. 760 Cioe ` provante questo fatto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (X.B)
pito da acqua di mare; ebbene, l’acqua che e` entrata attraverso le pareti di cera diventa potabile, giacche´ la sostanza terrosa, che e` quella che produce la salinita` mediante la mescolanza, viene separata come da un filtro.
99.4. T. Eliano, De natura animalium V 39 [I 126.23-26] (= 68 A 156; 549 Lu.): Democrito dice che il leone e` l’unico degli animali che e` generato con gli occhi aperti, essendo in qualche modo gi`a animoso e fin dalla nascita 761 bramoso di qualcosa di ardito. [Nel seguito ci sono ulteriori informazioni sul leone, attribuite ad ‘‘altri’’.]
99.4.1. T. Scholium Hom. T ad Iliadem XI, v. 554 (= 68 A 156; 549 Lu.): [Nel passo commentato dell’Iliade Aiace viene paragonato ad un leone che rinuncia al suo assalto con la comparsa della luce del giorno.] {Il leone} dal momento che possiede {al suo interno} molto calore, teme il fuoco, per cui non chiude gli occhi quando dorme e neppure, come dice Democrito, alla sua nascita.
99.4.2. T. Eustazio, Commentarii ad Iliadem XI, v. 554 [III, 252.4-8] (om. DK; = 549 Lu.): ... Di tale timore [scil. per le luci da parte del leone] dicono che la causa e` l’elemento caldo e in qualche modo infuocato interno ad esso, percio` teme il fuoco. Ed e` per questo che, dicono, non chiude gli occhi quando dorme, come dice Democrito, e neppure alla sua nascita, giacche´ e` il solo {animale} che (dicono) e` generato vedente.
99.5. T. Etymologicon Magnum, s.v. glauvx [233.12-18] (= 68 A 157; 550 Lu.): La civetta ... e`, tra gli animali che possono vedere di notte, quello dalla vista piu` acuta. Democrito riferisce che essa soltanto, tra {gli uccelli} forniti di artigli e carnivori, genera {piccoli} non ciechi, perche´ ha molta sostanza infuocata e calda negli occhi, la quale, essendo particolarmente acuta e penetrante, divide e mescola insieme la visione; 762 percio` anche nelle notti senza luna vede mediante la sostanza infuocata degli occhi.
99.6. T + C. Galeno, De differentia pulsuum I 25 [VIII 551 K.] (= 68 B 126; 555 Lu.): [Sulla pulsazione ondeggiante e quella vermicolare.] E` comune cio` da cui entrambe prendono il nome, e cioe` per quella ondeggiante il succedersi lungo l’arteria di sollevazioni al modo delle onde, e per quella vermicolare il procedere simile a quello del verme, {cio`e} di un animale che esso stesso si muove ondeggiando,763
Letteralmente: dal travaglio della nascita. M. SOLOVINE, nella sua trad. francese (De´mocrite, L’atomisme ancien, Paris 1993 [1928], fr. 123), seguito da Alfieri e da Luria, intende: rende confusa la visione diurna (‘‘disperse e brouille la vision {pendant le jour]’’). Cio` spiega quell’asserzione, ma va riconosciuto che niente nel tenore complessivo del passo suggerisce questa precisazione. 763 Cfr. Aristotele, Historia animalium V 19, 551b6 sgg. (riportato da Luria al nr. 555), dove si parla di bruchi che hanno andatura ondeggiante. 761 762
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.A)
come dice anche Democrito discutendo in qualche luogo di cotali {esseri}: ‘‘quanti nel loro tragitto errano in modo ondeggiante’’.
99.7. T. Plutarco, Quaestiones convivales VIII 9, 733D (om. DK; = 354 Lu.): Quanto all’introduzione di nuova aria o di acqua strana, lasciamo perdere se Diogeniano non vuole {che se ne parli}, anche se sappiamo che i Democritei dicono e scrivono che, quando periscono dei mondi al di fuori {del nostro} e dei corpi estranei affluiscono dall’infinito, quivi spesso s’insinuano origini di pesti e di affezioni unusuali.
XI. L’ANIMA A. L’APPROCCIO
ALL ’ANIMA
100.1. T. Filopono, In De anima I, prooemium, 9.3-6, 7-8 e 16-19 (om. DK e Lu.): In generale dell’anima gli uni dicono che e` incorporea, gli altri che e` corpo, e di quelli {che dicono che e` } corpo gli uni dicono che e` semplice, gli altri che e` composito; e di questi ultimi gli uni dicono che e` composto di corpi che sono connessi, gli altri {di corpi} che non sono connessi. Di coloro che hanno detto che l’anima e` un corpo semplice [...] alcuni, come Eraclito, {hanno detto} che e` fuoco, dal momento che disse pure che il fuoco e` il principio degli enti. [...] *Di coloro che assumono che {l’anima} sia un corpo composito, gli uni sono quelli che {la dicono composta} da elementi non connessi – come Democrito e Leucippo e in genere quelli che introducono gli atomi. Dicono infatti che princı`pi degli enti sono gli atomi e il vuoto, e che l’anima risulta da atomi sferici per via della {loro} mobilita`. [Nel seguito la tesi della composizione dell’anima da corpi che sono uniti viene attribuita a Crizia, che avrebbe fatto coincidere l’anima col sangue.] 764
100.2. TN. Aristotele, De anima I 1, 402b1-5: Bisogna indagare pure se {l’anima} presenta parti 765 o e` priva di parti, e se tutta l’anima 766 e` uniforme o meno e, nel caso che non lo sia, se la differenza e` di specie o di genere.767 In effetti quelli che finora hanno parlato dell’anima e fatto ricerche su di essa sembrano avere indagato unicamente quella umana. 764 La fonte di questa notizia e ` lo stesso Aristotele, che tuttavia non la introduce in tale connessione (cfr. De anima I 2, 405b5-8). 765 Ovvero: e ` divisa in parti (meristhv). 766 «Tutta l’anima» (a{pasa yuchv), in questo passo e nei successivi, e ` ambiguo fra l’anima considerata nella sua interezza (p. es. nel caso di un singolo uomo) e ogni anima (quella umana, quella degli animali, quella delle piante). L’ambiguita` e` favorita dal fatto che per lo stesso Aristotele le ‘parti’ inferiori fra quelle in cui l’anima umana si lascia distinguere coincidono con l’anima degli animali e quella delle piante. 767 La differenza (come mostra il contesto) va considerata in relazione alle differenze di genere ed eventualmente di specie fra gli esseri – compresi gli animali e le piante – che possiedono anima. Sulla questione della partizione cfr. 105.1 (commento di Filopono al passo).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
100.3. T. Filopono, In De anima I (1, 402b1-5), 36.13-19 (om. DK e Lu.): [A commento dell’ultimo periodo del passo aristotelico.] Dicono alcuni – fra di essi c’e` anche Alessandro – che egli [scil. Aristotele] sta alludendo a Platone. Tuttavia e` evidente che Platone, anche piu` volte altrove, ma soprattutto nel Timeo, ha discusso dell’{anima} irrazionale. Forse dunque sta alludendo ai naturalisti, {cioe`} a Democrito e i suoi e agli altri. Ci sarebbe da parlare anche in loro difesa: coloro direbbero che nell’anima umana si lascia esplorare tutta la capacita` di animazione, per cui, discutendo di questa, si sarebbe discussa tutta {l’anima}.
100.4. A. Aristotele, De anima I 5, 410b16-24: Tutti coloro che dicono che l’anima e` costituita dagli elementi per via del suo conoscere gli enti e dell’averne sensazioni, e coloro {che la rendono} la cosa piu` mobile, non parlano di tutta l’anima. In effetti non tutti gli animali che sono dotati di percezione sono capaci di muoversi: e` manifesto che alcuni di essi restano fissi nello stesso luogo. Eppure questo 768 sembra essere l’unico fra i movimenti che l’anima impartisce all’animale. Similmente {non ne parlano} anche coloro che producono dagli elementi l’intelletto e la facolta` dei sensi.769 E` evidente infatti che le piante vivono senza participare di movimento e di sensazione, e che la maggior parte degli animali non posseggono l’intelligenza.
100.5. E. Filopono, In De anima I (5, 410b21), 185.14-23 (om. DK e Lu.): Avendo egli [scil. Aristotele] mostrato come coloro che definiscono l’anima in base al movimento non parlano di tutta l’anima, mostra di nuovo che neppure coloro che la definiscono in base al conoscere discutono di tutta. Poich´e costoro, che la definiscono in base al conoscere, dicono che l’anima e` lo stesso che sensazione e intelletto, e poiche´ per questo la costituiscono dagli elementi, {per cio`} si e` espresso cosı`. E` a questo modo infatti che manifestamente ne aveva parlato Democrito, e anche Anassagora pare averlo fatto. Neppure costoro dunque discutono di tutta l’anima, giacche´ non potrebbero parlare dell’anima che non possiede sensazione e intelletto. (Queste, la sensazione e l’intelletto, sono infatti le capacita` conoscitive dell’anima.) Non discutono dunque neppure di quella propria delle piante, dato che le piante non hanno sensazioni.
B. L’ANIMA,
LA SUA COSTITUZIONE E LE SUE FUNZIONI DISTINTIVE
101.1. T. Aristotele, De anima I 2, 403b24-404a31 (404 a1-16 = 67 A 28; 403b28-404a9 = 443a e 200 Lu.; a8-16 = 462 Lu.; a16-20 = 200 Lu.; 404a2731 = 68 A 101, 67 Lu.): [Il passo e` all’inizio di una rassegna delle opinioni espresse dai predecessori di Aristotele circa l’anima.]
Si intende: il movimento secondo il luogo. Si intende: perche´ li fanno coincidere (cosı` intende il passo anche Filopono nel suo commento, cfr. 100.5). 768 769
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
L’inizio dell’indagine sta nell’esporre quelle caratteristiche che al massimo grado ineriscono ad essa [scil. all’anima] secondo natura. Pare che l’essere animato si differenzi dall’inanimato soprattutto per due {fattori}: per il movimento e per il percepire; anche da parte dei nostri predecessori abbiamo appreso pressapoco questi due {fattori} circa l’anima. Ci sono alcuni che affermano che l’anima e` soprattutto e in primo luogo cio` che muove. Ritenendo pero` che cio` che non e` esso stesso in movimento non puo` muovere altro, supposero che l’anima e` uno degli {enti} in movimento. (b31) *Di qui Democrito afferma che essa e` una sorta di fuoco o di calore: essendo infinite le figure o atomi,770 quelli sferici li chiama fuoco e anima – paragonabili a quello che e` chiamato pulviscolo atmosferico, che si manifesta nei raggi di sole che attraversano le finestre.771 La loro 772 ‘panspermia’ egli dichiara che sia gli elementi dell’intera natura (e similmente fa anche Leucippo), mentre quanti fra di essi sono di forma sferica {li dichiara essere} l’anima, per il fatto che tali ‘configurazioni’ sono massimamente capaci di insinuarsi dappertutto e di muovere gli altri {atomi}, essendo esse stesse in movimento, in quanto ritengono che l’anima e` cio` che conferisce il movimento agli animali. (a9) Percio` {ritengono} anche che la respirazione sia il limite della vita. Infatti, siccome l’{aria} ambiente comprime i corpi e ne espelle quelle, fra le figure, che conferiscono movimento agli animali per il fatto che non sono mai esse stesse in quiete, un aiuto viene dall’esterno con l’immissione di altri {atomi} affini nel respirare, giacche´ questi impediscono pure la separazione di quelli che si trovano dentro gli animali, respingendo con loro cio` che comprime e solidifica. Ed essi vivono finch´e sono in grado di fare questo.* (16) A quanto pare anche quanto e` stato detto dai Pitagorici ha lo stesso senso, perche´ alcuni di essi affermarono che l’anima e` il pulviscolo atmosferico, altri cio` che lo mette in movimento. Di queste {particelle del pulviscolo} si dichiara che si manifestano in costante movimento, anche quando c’e` una perfetta calma {atmosferica}. (20) Allo stesso {esito} pervengono anche quanti 773 affermano che l’anima e` cio` che muove se stesso, perche´ tutti costoro, a quanto pare, hanno ritenuto che il movimento e` cio` che e` piu` proprio dell’anima e {ulteriormente} che, mentre tutte le altre cose sono in movimento per via dell’anima, questa {si muove} da se stessa, perch´e non si vede niente che provochi movimento senza essere esso stesso in movimento. 770 Intendo il kai; come esplicativo (cosı` proponevano di intenderlo anche G. RODIER, Aristote: Traite´ de l’ame, Paris 1900, e R.D. Hicks, Aristotle’s De anima, Cambridge 1907, nei loro commenti al passo); si puo` anche rendere ‘‘le figure atomiche’’. E` vero peraltro che degli atomi si vuole accentuare il loro essere figure, perche´ la differenza di figura o forma che presentano e` importante nel seguito. 771 Il costrutto non e ` chiaro, perche´ l’immagine del pulviscolo atmosferico pare applicarsi sia agli atomi in generale (cfr. le sue occorrenze in Teodoreto [= 5.2], in Lucrezio [= 7.2], in Lattanzio [= 9.5], Filopono [= 11.4], ecc.) sia a quelli dell’anima in particolare, come mostra il seguito in a1620. C’e` inoltre una ripetizione (che induce Madvig a cancellare le parole: ‘‘quelli sferici li chiama fuoco e anima’’, e ‘‘loro’’). E` probabile che ci sia un guasto nel testo, ma cancellare alcune parti (e` la soluzione adottata anche da Diels in Vors., che esclude l’intero brano ‘‘quelli sferici ... loro’’) fa venire meno connessioni col contesto che debbono rispondere alle intenzioni di Aristotele. 772 Si intende: degli atomi in generale. Il motivo della ‘panspermia’ sembra essere stato introdotto impropriamente per dire semplicemente che gli atomi di tutti i tipi ovvero di tutte le figure sono gli elementi dell’intera natura (questo avviene nei passi aristotelici 38.1 e 48.4), mentre solo alcuni di essi sono gli elementi dell’anima. 773 Il riferimento deve essere a Platone (cfr. Fedro, 245C-E, inoltre Leggi X, 894C-896E) e a Senocrate, la cui posizione viene criticata da Aristotele nel seguito dell’opera, con un accostamento fra di essa e quella di Democrito (su questo punto cfr. I 4, 409a10-16 = 103.1).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
(25) In modo simile anche Anassagora – e chiunque altro abbia detto che l’intelletto muove tutto – afferma che l’anima e` cio` che muove, ma non completamente alla maniera di Democrito. *Quello {afferma} senz’altro che l’anima e l’intelletto sono la stessa cosa, giacche´ cio` che e` vero e` il fenomeno, e percio` bene avrebbe cantato Omero di Ettore che ‘giaceva altro-pensando’. Certamente non fa uso {nella sua filosofia} dell’intelletto come di una certa facolta` per cogliere la verit`a, ma dichiara che l’anima e l’intelletto sono la stessa cosa.
101.2. T. Filopono, In De anima I (2, 403b31 sgg.), 67.3-28 (om. DK; 4-8 = 189 Lu.; 10-19 = 443a Lu.; 19 = 269 Lu.; 21-28 = 200 Lu.): Dicendo che dai predecessori abbiamo appreso due tali {fattori} circa l’anima, il movimento e la percezione, espone per prima la dottrina di Democrito. Questi dichiarava che i princı`pi dei corpi fisici sono gli atomi e il vuoto: nel tutto {diceva} ci sono infatti un’infinit`a di corpi indivisibili che si differenziano per infinite figure, e la loro convergenza e separazione produce la generazione e la corruzione; e le differenze che ci sono fra i corpi fisici risultano dalle figure degli atomi dai quali sono costituiti i corpi, e inoltre dalla loro posizione e ordine, come diciamo piu` distesamente nelle lezioni di Fisica. (10) Democrito dunque ritenendo che il movimento {nei viventi} sia dell’anima, dichiaro` che essa e` fuoco per la facilit`a di movimento {di questo}; disse che il fuoco e` costituito da atomi sferici, per il fatto che la sfera e` la piu` mobile delle figure, in quanto tocca la superficie in un punto {soltanto}. Dal momento dunque che l’anima muove, e il movente deve muoversi massimamente (infatti esso tanto piu` mette in movimento quanto piu` si muove {esso stesso}), per questo dichiara che sono costituiti dagli atomi piu` mobili, cioe` da quelli sferici, sia l’anima sia il fuoco. (16) Sicche´ per questo verso, intendo dire col dichiarare l’anima fuoco, Democrito perviene alla stessa {conclusione} che Eraclito; differisce {da questi} per il fatto che quello affermo` che il fuoco, questo qui, e` un corpo continuo – e` proprio cio` che diciamo anche noi {Aristotelici} –, Democrito invece dichiara che gli atomi non sono in continuita`, ma sono separati dal vuoto. (20) ‘‘Paragonabili a quello che e` chiamato pulviscolo atmosferico, che si manifesta nei raggi di sole che attraversano le finestre.’’ Democrito non disse che queste particelle del pulviscolo atmosferico vedute attraverso le finestre siano il costituente del fuoco o dell’anima, o che in generale queste siano gli atomi; ma, dice, come ci sono queste cose nell’aria, che per il fatto di non lasciarsi vedere per la loro sottigliezza neppure sembrano essere, ma che sono dimostrate esistenti dai raggi di luce, quando essi cadono attraverso le finestre, allo stesso modo ci sono i corpi atomici, sottili e invisibili per la {loro} piccolezza, i quali egli considerava come i princı`pi di tutte le cose naturali, al modo in cui i medici {ritengono che} i quattro elementi sono {i princı`pi} dei composti; e di questi gli atomi sferici costituiscono l’anima e il fuoco.
101.3. T. Filopono, In De anima I (2, 404a6), 68.1-3, 10-18 (68.3 = 67 A 6; solo riferimento in 246 Lu.): (‘‘Per il fatto che tali configurazioni sono massimamente capaci di insinuarsi dappertutto’’.) ‘Configurazione’ [o ‘ritmo’: rJusmov"] e` una voce abderitica, e significa la figura.774
774 Nel seguito rileva l’inopportunita ` di ricorrere ad etimologie, come quella che sta nel derivare il sostantivo dal verbo rJuivskesqai, che non rendono conto degli usi effettivi della parola.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
[...] Democrito e i suoi fecero uso di tre voci del loro paese. Queste sono ‘ritmo’, ‘verso’, ‘contatto’. ‘Ritmo’ significa la figura, ‘verso’ la posizione, ‘contatto’ l’ordine. Dichiara [scil. Aristotele] che essi asserirono che, dal momento che quelli sferici {fra gli atomi} sono particolarmente mobili, l’anima deriva da questi, giacch´e sono piu` capaci di insinuarsi degli altri e, muovendosi, di muovere tutto l’animale. Per quanto invero gli atomi dalla figura piramidale sarebbero stati piu` capaci di insinuarsi in quanto sono dall’angolo acuto e piu` taglienti, a tacere dell’impedimento costituito dalle loro basi, quelli sferici scivolano via per la loro mancanza di angolo. [Seguito = 104.2.]
101.4. T. Simplicio, In De anima I (2, 403b31), 25.26-26.4, 11-19 (om. DK; 25.26 sgg. = 443a Lu.; 25.30-26.3 = 200 e 142 Lu.): Egli [scil. Aristotele] fa menzione di Democrito come del primo che assegna chiaramente il movimento corporeo – giacch´e e` {movimento} locale – all’anima, dal momento che l’ha posta come un tipo di corpi atomici, cio`e quello sferico, cio` che e` anche il fuoco. Infatti la caratteristica dell’essere molto mobile e dell’attraversare tutte le cose senza impedimento, per il fatto che, fra le figure, la sferica e` non angolosa, conviene al fuoco e all’anima. L’opinione di Democrito circa gli elementi risulta con chiarezza dal primo libro del corso sulla Fisica: 775 sta nel postulare come atomi [scil. indivisibili] certe piccole entit`a corporee, quali il pulviscolo atmosferico che si manifesta nei raggi del sole che attraversano le finestre. In effetti Democrito suppose che non queste cose ma cose simili ad esse per la loro piccolezza sono gli elementi, essendo tutte di una stessa sostanza, ma differenti fra loro per grandezza e per figura; e che da esse tutti i corpi composti sono costituiti come da semi, per cui li denomina ‘panspermia’, in quanto {appunto} semi di tutti. ... [Seguito = 104.3.] (11) Se Democrito, a questo modo, diede origine alla vita dai corpi, oppure voleva rendere chiara, in maniera illustrativa, mediante la sfera, la sostanza intellettuale, non siamo in grado di deciderlo. Non ci si deve infatti appoggiare sull’esposizione aristotelica, per il fatto che espone soltanto in modo generale quanto appare,776 al modo di quanto viene addotto nel caso dei Pitagorici. Egli [scil. Aristotele] riferisce infatti che Democrito dice che gli elementi sono simili al pulviscolo nell’aria, e che alcuni dei Pitagorici {sostenevano} queste stesse cose, mentre i Pitagorici stessi non hanno mai supposto niente del genere, ma forse stavano illustrando la sostanza gi`a divisa dell’anima e il suo procedere all’ambito del manifesto.
101.5. T. Stobeo Eclogae I 49, 1b(6) (= 67 A 28; 447 Lu.) [= Aezio IV 3, 7 (Dox. 388)]: (Sull’anima) Leucippo {afferma che} l’anima risulta da fuoco.
101.6. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 3, 4 (= 68 A 102; 447 Lu.): (Se l’anima e` un corpo e quale sia la sua essenza)
Il riferimento e` palesemente a passi come Phys. I 2, 184b20-22 (= 11.1) e 5, 188a22-26 (= 12.1). Il senso pare essere, come intende J.O. URMSON nella sua trad. (Simplicius, On Aristotle: On the Soul 1.1-2.4, London 1995), che rimane alla superficie. 775 776
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
Democrito {afferma che l’anima e` } un aggregato igneo di cose che sono contemplabili col pensiero, aventi forme che sono sferiche e il potere del fuoco, cosa che 777 come tale e` un corpo.
101.6.1. V. Stobeo Eclogae I 49, 1b(4) [con 101.6 = Aezio IV 3, 5 (Dox. 388)]: (Sull’anima) & Stesso testo di 101.6.
101.7. T. Nemesio, De natura hominis 2 [16.11-18] (om. DK; = 451 Lu.): (De anima) Il resoconto dell’anima e` discordante per quasi tutti gli antichi. *Democrito ed Epicuro e tutta la comunita` dei filosofi stoici dichiarano che l’anima e` un corpo*. Ed essi stessi – coloro che dichiarano che l’anima e` un corpo – differiscono circa la sua sostanza. Gli Stoici dicono che essa e` un soffio caldo e infuocato, Crizia {che e` } sangue, il filosofo Ippone {che e` } acqua, *Democrito {che e` } fuoco, giacche´ le figure sferiche degli atomi riunitesi danno luogo a fuoco e aria ovvero all’anima*. [Seguito su Eraclito e altri pensatori.]
101.8. Papyrus genevensis, inv. 203, B 27-29 (CPF I 1**, 43, 2T): dissero corpo. Allo stesso modo anche Democrito disse che essa e` un corpo fatto di forme riunite insieme.778
101.9. T. Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I 14, 19 [58.28-32, 59.5-7] (59 = 68 A 103; 450 Lu.): [Nel contesto l’autore parla dell’animazione dei corpi celesti e piu` in generale dell’anima, a commento di un passo dell’opera ciceroniana nella quale si parlava dell’ascesa delle anime alla sfera celeste. L’esposizione e` palesemente di natura dossografica.] Non e` fuori luogo che questa discussione sull’anima venga ad includere alla sua fine le opinioni di tutti coloro che risultano essersi pronunciati sull’anima. Platone dice che l’anima e` l’essenza automoventesi, Senocrate che e` il numero automoventesi, Aristotele che e` l’entelechia, Pitagora e Filolao (59) che e` l’armonia [...], *Democrito che e` soffio 779 infuso negli atomi 780 e dotato di tanta facilita` di movimento che per esso ogni corpo e` penetrabile*, ... [seguito, al § 20, su Critolao Peripatetico, su Ipparco, su Anassimene, ecc.]
102.1. T. Aristotele, De anima I 2, 404b7-18, b27-30 e 405a3-13 (405a5-13 = 68 A 101; 444 Lu.): Quanti dunque {nel considerare} l’animato hanno volto l’attenzione al suo essere in movimento, hanno ritenuto che l’anima sia il motore per eccellenza; quanti invece {hanno Presumibilmente detto dell’anima (sogg. sottinteso, dato il titolo del cap.). La traduzione si basa su di una ricostruzione del testo (dovuta a Lasserre) che e` piuttosto congetturale. 779 Oppure: soffio vitale (spiritus). 780 Oppure: intessuto di atomi. 777 778
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
volto l’attenzione} al suo aver cognizione e percezione degli enti, affermano che l’anima sia i princı`pi, alcuni ammettendone molti e altri uno soltanto. A questo modo Empedocle compone {l’anima} di tutti gli elementi e {ritiene} che ciascuno di questi sia anima, nell’esprimersi come segue: ‘‘Con la terra vediamo la terra, con l’acqua l’acqua,| con l’etere l’etere divino, e poi col fuoco il fuoco distruttore,| con l’amore l’amore, con l’odio pernicioso l’odio.’’ [fr. 109] E allo stesso modo anche Platone nel Timeo produce l’anima con gli elementi, perche´ il simile conosce il simile e le cose sono costituite dai princı`pi. [...] (b27) Dal momento poi che l’anima appare essere motrice e conoscitrice a questo modo, alcuni ne fecero la combinazione dei due, affermando che l’anima e` il numero che muove se stesso.781 Ci sono pero` differenze fra di loro circa i princı`pi, quali siano e quanti siano ...[seguito come 6.1]. E in conseguenza a queste {loro dottrine circa i princı`pi} rendono conto anche dell’anima: hanno supposto, non senza ragione, che cio` che e` per natura motore sia fra le cose prime.782 (a5) *Di qui l’opinione adottata da alcuni che essa sia fuoco, perche´ questo, fra gli elementi, e` quello dalle particelle piu` sottili e il piu` incorporeo; inoltre esso si muove e muove tutte le altre cose in modo primario. Democrito si e` espresso {in proposito} in un modo piu` abile,783 mostrando il perche´ di ciascuno di questi punti: 784 l’anima e` lo stesso che l’intelletto, e questo {ultimo} risulta dai corpi primi e indivisibili, ed e` motore per via della sottigliezza nella composizione e per via della figura {di quei corpi}; dice poi che delle figure la piu` mobile e` quella sferica, e che di tal fatta sono sia l’intelletto che il fuoco.
102.2. E. Filopono, In De anima I (2, 405a5), 83.15-28 (27-28 = 68 A 101, 444 Lu.): ... nel seguito [sogg. Aristotele] aggiunse che per questo sembro` ad alcuni che l’anima fosse fuoco – cio` che dicevano anche essere il principio degli enti –, in quanto e` la cosa dalla composizione piu` minuta e la piu` incorporea e per questo la piu` mobile, ed e` causa di movimento per se stessa e muove anche le altre cose in modo primario. Per fuoco intendono non la fiamma (questa e` infatti eccesso di fuoco) ma l’esalazione secca, la quale Aristotele nella Meteorologia aveva addotto come causa della produzione anche di sismi e venti e di altri fenomeni comportanti forte movimento. (21) Con quelli che ammettono che il fuoco sia principio e che l’anima derivi dal fuoco dovrebbe intendere Eraclito ed Ippaso, ma Eraclito e la sua teoria saranno menzionati poco piu` oltre, ora invece sta per esporre *la teoria di Democrito, {per rilevare} che, anche se ha postulato i princı`pi come molti, anzi come infiniti {di numero}, tuttavia anche lui ha derivato l’anima da quelli che per lui sono i piu` mobili – intendo dire da quelli sferici –, donde {ha derivato} anche il fuoco. Disse che il fuoco e` incorporeo, non in quanto e` assolutamente incorporeo (nessu-
Il riferimento e` alla posizione di Senocrate, per la quale cfr. 103.1 e 103.2. Cioe` fra i princı`pi; oppure: che fra i princı`pi ci sia cio` che per natura e` motore. 783 glafurwtevrw". Glafurov" indica primitivamente cio ` che e` cesellato, per estensione qualcosa di elegante e ben rifinito, sicche´ con l’uso di questo avverbio viene suggerito che la teoria di Democrito e` quella piu` completa e sofisticata; in Aristotele c’e` anche un accostamento fra questo aggettivo e ajkribhv", che indica esattezza. (Cfr. il commento di Rodier, op. cit., p. 64.) 784 Cioe ` che l’anima e` fonte di movimento e che essa e` «cognitiva», cfr. 404b28 e inizio del passo, inoltre I 2, 405a13 sgg. su Anassagora, Diogene di Apollonia ed Eraclito, e III 3, 427a17 sgg. (= 106.1). (L’identita` dell’anima con l’intelletto spiega il suo essere «cognitiva», di contro a quanto osserva Hicks, op. cit., nel suo comm. al passo, pp. 227-228.) 781 782
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.B)
no di loro disse questo), ma in quanto e` l’incorporeo fra i corpi per via della sottigliezza della sua composizione.
102.3. T o E. Filopono, In De anima I (2, 405a8), 84.9-25 (om. DK; 84.21-25 e 29 sgg. = 132 Lu.): Egli [scil. Aristotele] loda Democrito 785 in quanto adducente in modo plausibile le cause di cio` che si e` detto, cioe` del muovere e del muoversi. Disse che alcuni affermano che il fuoco, dal quale {deriva} anche l’anima, si muove e muove altre cose in modo primario. Democrito addusse in modo plausibile le cause di questi, {cio`e} perche´ il fuoco e l’anima (derivano entrambi dagli stessi princı`pi, intendo dire dagli atomi sferici) si muovono e muovono. (14) Fece infatti derivare (dice) l’intelletto o l’anima (per lui sono entrambi la stessa cosa) dai corpi primi, intendo dire gli atomi, e, tra questi, non da quelli presi a caso, ma da quelli sferici, i quali sono particolarmente mobili per due cause, {cio`e} (i) perche´ sono i {corpi} piu` minuti e pertanto si insinuano dappertutto con facilita` per la piccolezza delle particelle {che essi sono} e a questo modo muovono {altri corpi} essendo essi stessi in movimento; inoltre (ii) queste cose sono particolarmente mobili per via della figura che e` sferica. Sicche´ egli addusse la causa del muoversi essi stessi e del loro muovere le altre cose. (21) Merita un’indagine per quale causa Democrito disse che gli atomi sferici sono particelle particolarmente piccole, sicche´ anche per questo sono particolarmente mobili. Che lo sferico sia anche particolarmente mobile, e` chiaro: si mostra che la sfera entra in contatto con la figura piana in un punto; poich´e dunque entra in contatto in un punto e` particolarmente mobile come facilmente scorrevole.786
102.4. TN. Aristotele, De anima I 2, 405b11-21. Tutti, per cosı` dire, definiscono l’anima con tre {fattori}: il movimento, la percezione, l’incorporeita`, e di questi ciascuno e` ricondotto ai princı`pi, per cui anche quelli che la definiscono mediante il conoscere fanno di essa un elemento o la derivano dagli elementi, esprimendosi in maniere simili fra di loro – {tutti} eccetto uno. Dicono infatti che il simile e` conosciuto mediante il simile e, dal momento che l’anima conosce tutte le cose, la costituiscono di tutti i princı`pi. (17) Quanti dunque dichiarano che c’`e una sola causa e un solo elemento, assumono che l’anima sia un uno, per esempio fuoco o aria; coloro che dichiarano che gli elementi sono una pluralita`, rendono anche l’anima una pluralita`. Anassagora e` l’unico a dire che l’intelletto e` impassibile e che non ha niente in comune con nessuna delle altre cose.
102.5. TN. Aristotele, De anima I 5, 409b18-26: [Seguito non immediato di 103.1.] Tre sono i modi tramandatici per definire l’anima: gli uni la dichiarano il motore per eccellenza, in virtu` del suo muovere se stessa; gli altri {la dichiarano} il corpo composto
Allusione evidente al riconoscimento che egli si e` espresso ‘in un modo piu` abile’. Nel seguito, 84.25-85.16, Filopono affronta la questione da lui sollevata del perche´ gli atomi sferici siano particolarmente piccoli, suggerendo che i solidi crescono di grandezza con la crescita della loro complessita` – in particolare del numero dei lati –, sicche´ la sfera, che ha una superficie continua, risulta particolarmente semplice e pertanto particolarmente piccola. 785 786
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.C)
delle parti piu` sottili o piu` incorporeo degli altri {tutti}. Quali sono le aporie e incoerenze che queste {tesi} comportano l’abbiamo abbastanza chiarito. Rimane da esaminare che senso abbia dire che essa deriva dagli elementi: dicono {che e` cosı`} affinch´e percepisca e conosca ciascuno degli enti, ma il discorso presenta necessariamente molte impossibilita` come sue conseguenze. [Dopo questa ricapitolazione ci sono delle critiche alle varie posizioni in discussione.]
C. ANIMA
E CORPO
1. L’anima come fonte di movimento per il corpo 103.1. T. Aristotele, De anima, I 4, 409a10-16 (om. DK; a10-12 = 117 Lu.) e 5, 409a31-b11 (a32-b4 = 68 A 104a; 453 Lu.; b7-11 = 446 Lu.) [Critica della tesi (di Senocrate) che l’anima e` un numero che muove se stesso.] Sembrerebbe che non ci fosse nessuna differenza fra il parlare di unita` {da cui e` composto il numero} e {il parlare} di piccole entita` corporee. Infatti anche se da quelle sferiche di Democrito risultassero punti, e soltanto rimanesse costante la quantita`, ci sara` in essa 787 una parte che muove e una parte che e` mossa, come avviene in un continuo,788 giacche´ cio` che si e` detto consegue non per via di una maggiore o minore grandezza 789 ma perche´ e` una quantit`a, per cui e` necessario che sia qualcosa cio` che muove le unita`. [...] (a31) C’e` la conseguenza, come abbiamo detto, che per un verso la teoria e` la stessa di quella di coloro che suppongono che essa [scil. l’anima] sia un corpo fatto di particelle minute, che per un altro verso c’`e un’assurdita` ad essa peculiare, {nel dire che il corpo} e` mosso dall’anima al modo in cui lo sostiene Democrito. Se infatti l’anima si trova in tutto il corpo senziente, e` necessario, se l’anima e` un certo corpo, che ci siano due corpi in uno stesso {luogo}. Per coloro poi che la dicono un numero {e` necessario ammettere} molti punti in un unico punto, oppure 790 che ogni corpo abbia anima, a meno che il numero che viene ad essere nei corpi sia differente e altro dai punti in essi presenti. (b7) C’e` anche la conseguenza che l’animale e` mosso dal numero al modo in cui, come abbiamo detto, lo fa muovere anche Democrito. Che differenza fa infatti parlare di piccole sfere o di grandi unita`, ovvero in generale di unita` in movimento? In entrambi i casi e` necessario far muovere l’animale col muoversi di queste.
103.2. E. Filopono, In De anima I (4, 409a10), 167.20-30 e 168.10-14 (om. DK; 167.20 e 23-26 = 117 Lu.): Egli [scil. Aristotele] vuole riportare la dottrina di Senocrate a quella di Democrito. Quello disse che l’anima e` costituita da atomi sferici. Se dunque, egli dice, uno togliesse
Si intende: nella quantita`, non nell’anima (altrimenti in greco ci sarebbe un femminile). Cioe` in qualcosa di esteso. ‘‘... in una grandezza’’ secondo alcuni codd., ma l’altra lezione trova una conferma nel comm. di Filopono al passo, cfr. 103.2. 789 Letteralm.: per il differire in grandezza o piccolezza. 790 Altrimenti: e (kai;, come propone Torstrik correggendo il testo). 787 788
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la grandezza dagli atomi, essi saranno punti, sicche´ conseguiranno per entrambi le stesse assurdita`. L’ipotesi di Democrito non si guasta per nulla a voler togliere la continuita` agli atomi, perch´e non e` per via della continuita` che i corpi presentano che diceva che essi si muovono, ma per il loro spingersi a vicenda a causa della loro moltitudine. Allo stesso modo anche Senocrate diceva che i costituenti dell’anima, intendo le unita`, si muovono non perche´ li postulava come essenti senza parti, ma perch´e cio` che essi costituiscono, cioe` il numero, e` quantita`. Sotto questo rispetto dunque essi concordano, in quanto l’uno disse che sono gli atomi a muoversi, l’altro il numero. [...] (10) Si potrebbe dire che non e` vero che l’opinione di Democrito e quella di Senocrate coincidano in tutto, giacche´ non e` che Democrito faccia dell’anima assolutamente una quantita` definita, come Senocrate: ammise che l’anima e` costituita non da atomi qualsiasi, ma da quelli sferici, in modo da addurre la causa del movimento.
103.3. T. Aristotele, De anima I 3, 406b15-25 (b15-22 = 68 A 104; 445 Lu.): [Come parte di una discussione delle difficolta` che sono presentate dall’attribuire movimento all’anima.] Alcuni dicono pure che l’anima muove il corpo nel quale si trova, al modo in cui essa stessa si muove. Cosı` Democrito, parlandone in maniera prossima al commediografo Filippo,791 il quale racconta che Dedalo aveva messo in movimento l’Afrodite di legno versandoci dentro argento liquido.792 Democrito parla in maniera simile, perche´ dice che le sfere indivisibili, trovandosi in movimento per il fatto che per loro natura non stanno mai ferme, trascinano con se´ e muovono tutto il corpo. (22) Noi pero` domanderemo se questi stessi {corpuscoli} producono anche la quiete: come lo faranno, e` difficile, anzi impossibile, dirlo. In generale non e` a questo modo che l’anima mostra di muovere l’animale, ma mediante una scelta deliberata o mediante il pensiero.793
103.4. T. Simplicio, In De anima I (3, 406b15-25), 39.22-31 (om. DK; 26-29 = 306 Lu.): Quanto e` detto riguardo Democrito e` chiaro, eccetto che dicono che «argento liquido» significa «argento vivo». Egli [scil. Aristotele] pone la domanda a colui che mette in movimento il corpo col movimento degli atomi psichici se il loro movimento anche ferma il corpo. Discreditando cio` come cosa difficile da postulare e come manifestamente impossibile, non postula ulteriormente che il corpo sia fermato dall’emissione degli atomi o dalla loro stasi.794 L’emissione infatti induce 795 la mancanza di vita e non la stasi dell’animale, mentre la stasi degli atomi non la postulano Democrito e i suoi, volendo che essi siano
791 Figlio di Aristofane, al quale e ` attribuita una commedia (andata perduta) intitolata Daedalus (ma c’e` il sospetto che Aristotele sia incorso in un errore: la commedia sarebbe stata di Eubulo e Filippo, che era un attore, avrebbe recitato una parte in essa). 792 ‘Argento liquido’ e ` un altro nome per il popolare ‘argento vivo’ (come precisa Simplicio nel suo commento, cfr. 103.4): si tratta del mercurio (si veda anche Teofrasto, De lapidibus VIII, 60). 793 Nel seguito la critica e ` estesa alla posizione di Platone nel Timeo, per il fatto che anche per questi l’anima muove il corpo muovendo se stessa. 794 Intendo: Aristotele, nel passo commentato, non prende in considerazione queste possibilita `. 795 Il verbo e ` al passato, probabilmente perche´ c’e` un’allusione alla dottrina da Aristotele esposta in precedenza (cfr. De anima I 2, 404a9-16 = 101.1) della respirazione come limite della vita.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.C)
sempre in movimento, e neppure e` possibile postulare la stasi degli atomi psichici nel corpo per il fatto che l’animale non si muove per altro movimento che per quello loro.
2. L’intreccio fra anima e corpo 103.5. T. Lucrezio, De rerum natura III, vv. 370-73 (= 68 A 108; 454 Lu.): Su questi punti non potresti in alcun modo accettare | la proposta avanzata dall’uomo venerando,796 Democrito, | cioe` che i princı`pi del corpo e dell’animo siano giustapposti | alternandosi ad uno ad uno, e cosı` intessano le membra.
3. L’anima e` corruttibile 103.6. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 7, 3-4 (3 = 68 A 109; 466 Lu.) [= Aezio IV 7, 4-5 (Dox. 393)]: (Sull’incorruttibilit`a dell’anima) Democrito ed Epicuro {dicono che l’anima} e` corruttibile, in quanto perisce insieme al corpo. (4) Pitagora, Platone {dicono che} la parte razionale e` incorruttibile [...], quella irrazionale corruttibile.
103.6.1. VA. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio V 24: (V. Sulla natura dell’uomo) [Sulla costituzione dell’anima, cfr. 105.9.] Democrito ed Epicuro ed Aristotele hanno detto senza ritegno che questa [scil. l’anima] e` corruttibile. – Platone e Pitagora {hanno detto} che la parte razionale di essa e` incorruttibile, quella irrazionale corruttibile.
103.7. T. Lattanzio, Divinae institutiones III 17, 33-34 (om. DK; = 466 Lu.; 336 Us.): [Seguito non immediato di 9.6, facente sempre parte di una polemica con Epicuro: l’autore, occupandosi ora della sua pretesa di liberarci dal timore della morte, tocca un suo argomento a dimostrazione del fatto che le anime periscono.] Che dire di quell’argomento, che e` tutto falso, giacche´ le anime non periscono? (34) ‘Le anime’, egli [scil. Epicuro] dice, ‘senza dubbio periscono. Infatti cio` che nasce insieme al corpo, e` necessario che perisca insieme al corpo’. Ho gia` detto sopra che era meglio differire questo argomento e riservarlo alla parte finale dell’opera, per redarguire, con argomenti e testimonianze divine, questa persuasione di Epicuro, sia che {prima} sia stata di Democrito sia che sia stata di Dicearco.
103.7.1. T. Lattanzio, Divinae institutiones VII 7, 12 (om. DK; = 466 Lu.): [Sull’origine e sul destino dell’uomo. Di seguito, quasi immediatamente, a 125.3, come parte di un capitolo che offre una rassegna di opinioni dei filosofi pagani.]
796
Letteralm.: quello che propone la sacra dottrina di –.
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Ferecide e Platone hanno argomentato che le anime sono immortali, e questa e` s’intende la dottrina che e` ritenuta giusta nella nostra religione. Pertanto Dicearco che, insieme a Democrito, ha argomentato che l’anima perisce e si dissolve col corpo, si e` sbagliato.
103.7.2. T. Lattanzio, Divinae institutiones VII 13, 7 (om. DK; 466 Lu.; 336 Us.): [Nel contesto viene sostenuto che l’anima non e` corruttibile, ricorrendo a testimonianze circa la sua sopravvivenza nell’al di la`.] Falsa dunque e` la sentenza di Democrito e di Epicuro e di Dicearco circa la dissolubilit`a dell’anima.
103.7.3. T. Ps.-Galeno, Historia philosopha 24 (613.3 e 14-16): (Sull’anima) Epicuro e Dicearco ritennero che l’anima e` mortale, invece Platone e gli Stoici che e` immortale.
D. LA
RESPIRAZIONE COME CONDIZIONE DELLA VITA
1. Il funzionamento della respirazione 104.1. T. Aristotele, De respiratione 4, 471b30-472b5 (471b30-472a18 = 68 A 106, 463 Lu.): Democrito dichiara che dalla respirazione risulta qualche cosa {di utile} per gli esseri che respirano, affermando che impedisce all’anima di essere espulsa {dal corpo}. Tuttavia non ha detto in alcun modo che e` in vista di questo [scil. risultato] che la natura ha prodotto questo [scil. il respirare]: in generale anche costui, come gli altri naturalisti, non tocca in alcun modo cotale causa. (a3) Egli dice che l’anima e il calore sono la stessa cosa {, cioe`} le figure primarie fra quelle sferiche. Dichiara che, quando esse si separano per la {forza di} espulsione 797 dell’{aria} ambiente, il respiro viene in aiuto. Nell’aria infatti c’e` un gran numero di quelle {figure} che egli chiama intelletto e anima. Quando {l’animale} respira e l’aria entra {in lui}, queste entrano insieme e, trattenendo la pressione, impediscono che l’anima presente negli animali si dilegui. (10) Ed e` per questo che il vivere e il morire stanno nell’inspirare e nell’espirare. Quando infatti prevale l’{aria} ambiente con il suo espellere, e niente, entrando dal di fuori, puo` trattenere {la pressione}, allora, non potendo piu` esserci il respiro, sopravviene la morte per gli animali: la morte e` la fuoriuscita di tali figure dal corpo per l’espulsione esercitata dall’{aria} ambiente. (16) E pero` la causa per cui e` necessario per tutti morire ad un certo momento, e {questo} non quando capita ma, secondo natura, con la vecchiaia, contro natura, per violenza, egli non l’ha chiarita in alcun modo; eppure, dal momento che talvolta e` evidente
` probabile che ci sia un’ambiguita` nel greco nei termini greci 797 O «per la compressione». E o e[kqliyi" e verbi corrispondenti, per i quali cfr. anche 66.1-2): la compressione e` causa usati (qliyi" = dell’espulsione, e i due processi sono considerati insieme. Cosı` anche nel seguito, mentre in 472b1, dove pero` viene usato suvnqliyi", bisogna rendere: «impedire la compressione».
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.D)
che questo si verifica e talvolta non e` evidente, avrebbe dovuto {chiarire} se la causa e` interna o esterna.798 E neppure dice qual e` la causa dell’origine del respirare, se e` interna o esterna. Giacch´e non e` l’intelletto dal di fuori che sorveglia {il verificarsi del}l’aiuto, ma e` all’interno che si genera l’origine del respiro e del movimento, e non per una costrizione dell’{aria} ambiente. E` pure assurdo che l’{aria} ambiente eserciti ad uno stesso tempo espulsione ed, entrando, una dilatazione. Questo e`, nel complesso, quanto egli sostiene e il modo {in cui lo fa}. (26) Ma se si deve considerare vere le proposizioni precedenti e {la proposizione} che non tutti gli animali respirano, c’`e da supporre che questa causa che egli enuncia non lo sia di ogni morte ma soltanto per coloro che respirano. Ma neppure nel caso di questi e` ben detto: e` evidente dai fatti – e da quei fatti di cui noi abbiamo tutti esperienza. Nella calura noi ci scaldiamo di piu` e abbiamo piu` bisogno della respirazione e respiriamo tutti piu` fitto; invece quando l’ambiente e` freddo e contrae e comprime il corpo, capita di trattenere il respiro. Eppure e` allora che cio` che penetra dal di fuori dovrebbe impedire la compressione. Di fatto avviene il contrario: quando il calore si raccoglie eccessivamente perche´ non si espira, allora c’`e bisogno della respirazione, e di necessita` si respira inspirando. Quando poi c’e` calura si respira spesso, in quanto lo si fa in vista del raffreddamento, allora quanto e` stato detto 799 richiede che fuoco si aggiunga a fuoco.800
104.1.1. T. Ps.-Aristotele, De spiritu 3, 482a28-32 (om. DK; = 463 Lu.): Quanto alla respirazione, alcuni – come Empedocle e Democrito – non dicono in vista di che cosa, ma soltanto il modo in cui essa si verifica, altri neppure enunciano affatto il modo, ma lo trattano come manifesto. Tuttavia anche questo stesso, cioe` se sia in vista del raffreddamento, lo si deve rendere chiaro.
104.2. T. Filopono, In de anima I (2, 404a9 [= 101.1]), 68.19-69.20 (om. DK; = 462 Lu.) [Di seguito a 101.3]: (Ad 404a9: «Percio` {ritengono} anche che la respirazione sia il limite della vita».) Democrito e i suoi cercarono di mostrare che tutte le cose che capitano all’animale sono conformi alla loro teoria. Affermarono infatti che l’ambiente e` freddo e che per questo com-
798 Il passo e ` stato inteso in piu` modi dai traduttori e commentatori. Ritengo che Aristotele voglia suggerire che il verificarsi della morte, se secondo natura (= per causa interna) o contro natura (= per causa esterna), sia in certi casi evidente in altri no, sicche´ e` necessario rendere manifesta la causa. R. MUGNIER (Aristote: Petits traite´s d’histoire naturelle, Paris 1953) e D. LANZA (Aristotele: Opere biologiche, Torino 1971) paiono intendere il passo allo stesso modo. Altri (Ross, Hett, Morel, Laurenti) paiono intendere che e` sempre evidente che la morte (non il morire in un certo modo) si verifica ad un certo momento e non ad un altro, cioe` pensano che ci sia un richiamo alla non casualita` del morire ad un certo momento, ma da questo punto di vista la distinzione fra causa interna e causa esterna perde di importanza. 799 Cioe ` quanto risulta in base al resoconto di Democrito. 800 Cioe ` che il calore aumenti. W.D. ROSS (Aristotle’s Parva naturalia, Oxford 1955, comm. ad loc., pp. 309-310) suggerisce di rendere l’intero brano come segue: «quando si produce il proverbiale ‘fuoco su fuoco’», intendendo poiei = come impersonale e rilevando occorrenze della formula in Aristofane, fr. 453 e in Ps-Aristotele, Problemata 880a20-21; ma in tal caso non e` chiara la pertinenza dell’affermazione, e il suo indubbio essere proverbiale non ha bisogno di essere sottolineato.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.D)
prime i corpi, e che, col loro essere compressi, sono espulsi gli atomi sferici, donde l’anima e la vita ineriscono all’animale. Ora, dal momento che con l’espulsione degli atomi sferici c’e` il pericolo che l’animale perisca, l’inspirazione diventa un aiuto per l’animale: inspirando dal di fuori altri atomi sferici in sostituzione di quelli espulsi esso vive. Pertanto noi viviamo finche´ respiriamo, e, una volta che cessiamo di respirare, cessiamo anche di vivere. (28) Ma non e` soltanto per il fatto di assorbire gli atomi sferici mediante la respirazione e per il fatto di aggiungerli a noi in sostituzione di quelli emessi che per noi consegue il vivere, ma anche per il fatto che quelli [scil. gli atomi] che entrano mediante la inspirazione ostacolano con il loro impeto superiore quelli che stanno per separarsi, e a questo modo diventati di piu` e, col loro rapido movimento, riscaldando il sostrato,801 scacciano il freddo {proveniente} dall’esterno, che e` la causa del loro essere espulsi. E se uno sollevasse la questione: ‘Ma come, inspiriamo solo quelli [scil. atomi] sferici?’, (1) coloro [scil. Democrito e i suoi] direbbero che, anche se essi non sono i soli, sono quelli piu` numerosi in quanto dotati di rapido movimento, allo stesso modo come, per la compressione derivante dal freddo, questi sono quelli che sono espulsi maggiormente per il fatto che sono scivolosi per la loro mancanza di angoli e, per questo fatto, assai mobili per natura. La respirazione si dice nel caso dell’inspirazione e nel caso dell’espirazione; ora essi l’hanno presa nel caso dell’inspirazione.802 (Ad 404a12: «per il fatto che non sono mai esse stesse in quiete».) Risolve [scil. Democrito] un’obiezione che pare presentarsi per questi punti. Qualcuno potrebbe dirgli: ‘Ma come? Non sono sufficienti gli atomi che sono presenti fin dall’inizio a dare vita all’animale? (9) Ma come? Essi soltanto sono espulsi dalla compressione?’ Sı`, egli dice, dal momento che, anche se non ci fosse niente ad espellere, sono essi stessi per se stessi molto mobili e, in quanto non statici, si disperdono; percio` hanno bisogno dell’aiuto esterno. (Ad 404a14: «giacche´ questi impediscono pure la separazione di quelli che si trovano dentro gli animali».) Questi, dice, {cioe`} quelli che sono immessi mediante l’inspirazione, non soltanto diventano essi stessi causa del vivere, ma anche impediscono a quelli che stanno per separarsi {di farlo}, frenando con il calore dovuto al movimento il freddo {proveniente} dall’esterno. Ma essi traggono con se´ anche quelli gia` usciti con il loro movimento maggiore. Quando infatti ci siano due {corpi} che si muovono in sensi opposti, ma il movimento dell’uno sia piu` forte {di quello dell’altro}, esso trascinera` con s´e quello inferiore. A questo modo, dunque, fra quelli che sono espirati e quelli che sono inspirati essendo di piu` quelli inspirati, {essi} trascinano con se´ i rimanenti.
104.3. T. Simplicio, In De anima I (2, 404a9 [= 101.1]), 26.4-11 (om. DK e Lu.): [Il passo si inserisce fra i due riportati come 101.4] Pertanto {Democrito sostenne} anche che il limite della vita e` la respirazione, che risulta essere causa della vita in due modi: (i) con l’impedire l’emissione degli {atomi} sferici gia` presenti {nell’anima}, per il fatto che l’aria entrante va contro le figure sferiche – sia quelle che escono per conto proprio per via della facilita` di movimento, sia quelle 803
Cioe` il corpo dell’animale. Cioe` per respirazione (ajnapnohv) intendono l’inspirazione (eijspnohv), non (anche) l’espirazione (ejkpnohv). 803 Questa distinzione di due categorie di atomi sferici non e ` suggerita dalla formulazione nel greco, ma mi sembra richiesta dal senso. 801 802
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.E)
che sono espulse forzatamente dal restringimento dei solidi dovuto all’ambiente –, e per il fatto che l’aria entrante contrasta il restringimento stesso con il fare largo 804 fra i solidi e con l’allontanarli. A questo modo la respirazione diventa causa di vita e anche (ii) con l’immettere dal di fuori quelli simili al posto di quelli sferici che escono.
2. Se la respirazione si trovi anche in tutti gli animali 104.4. T. Aristotele, De respiratione 1, 470b6-12 e 2, 470b28-30 (om. DK; = 464 e 553 Lu.): Della respirazione hanno parlato {soltanto} pochi dei naturalisti precedenti, ma in vista di che cosa appartenga agli animali gli uni non l’hanno dichiarato per nulla, gli altri ne hanno parlato, non tuttavia in modo corretto, ma con scarsa esperienza dei fatti. Ancora, dicono che tutti gli animali respirano, e questo non e` vero. Sicche´ e` necessario affrontare in primo luogo queste questioni, perch´e non sembri che stiamo censurando in modo vuoto persone assenti. (b28) Democrito di Abdera e alcuni altri fra coloro che hanno parlato della respirazione non hanno enunciato niente di preciso circa gli altri [scil. oltre all’uomo] animali, ma danno l’impressione di parlarne come se tutti respirassero. [Segue una discussione della posizione di Anassagora, che avrebbe attribuito la respirazione ai pesci.]
E. SE L’ANIMA
SIA DIVISA IN PARTI E QUALE SIA LA SEDE DELLE PARTI STESSE
1. Esclusione di una partizione per via della coincidenza di anima e intelletto ovvero di sensazione e pensiero 105.1. T. Filopono, In De anima I (1, 402b1 [= 100.2]), 35.10-14 (12-14 = 68 A 105; 74 Lu.): Come pare anche ad Alessandro, questo, {cioe` } l’essere diviso o indiviso, nel caso delle facolta` dell’anima noi siamo in grado di coglierlo {chiedendoci} se e` dotata di piu` facolta` o e` priva di parti; Democrito afferma infatti che essa [scil. l’anima] e` priva di parti e non dotata di piu` facolta`, dicendo che il pensare e` lo stesso dell’aver sensazione e che queste {attivita`} provengono da un’unica facolt`a.
105.2. T. Alessandro, De anima 27.4-8 (om. DK; = 459 Lu.): 805 [Dichiara di avere parlato dell’essenza e delle proprieta` dell’anima e di dover parlare ora delle sue parti, per determinare quali e quante siano, mostrando prima di tutto che esse sono piu` di una e in numero finito.] Che le facolta` dell’anima siano piu` di una e che non sia sempre la stessa che (come sostengono Democrito e alcuni altri) sia ritenuta essere piu` di una per i suoi mutamenti
804 805
Cioe` provocando una dilatazione (il soggetto di tutte le operazioni e` sempre l’aria entrante). In Luria l’opera e` indicata erroneamente come De sensu.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.E)
e per le attivita` che essa 806 esplica in tempi differenti in relazione ad oggetti differenti e mediante cose [scil. organi] differenti, basta a mostrarlo il conflitto che intercorre fra le facolta` nei continenti e negli incontinenti.807 [Nel seguito Alessandro adduce altre prove a favore della posizione ‘pluralista’ da lui sostenuta.]
105.3. T ed E. Filopono, In De anima I (2, 404a25 sgg.[= 101.1]), 71.17-34 (= 68 A 113; 69 Lu.): Quanto a coloro che (egli [scil. Aristotele] dice) hanno dichiarato che il tutto e` mosso dall’intelletto, anche questi paiono voler dire che il muovere e` proprio dell’anima – fra di essi c’e` anche Archelao. Ebbene? Se affermavano che l’intelletto muove il tutto, donde 808 dicevano che il movimento e` {qualcosa di} proprio dell’anima? Sı`,809 egli [scil. Aristotele] dice: sostenevano infatti che sono la stessa cosa l’anima e l’intelletto, come anche Democrito {lo sosteneva}. (21) Invero da nessuna parte troviamo affermato da essi in modo chiaro che l’intelletto e l’anima sono la stessa cosa, ma questo egli lo stabilisce col ragionamento. Democrito infatti, egli [scil. Aristotele] dice, e` di questo intento in modo ben evidente, perche´ affermo` senz’altro che il vero e il fenomeno sono lo stesso, e {pertanto che} non differiscono per nulla la verita` e il fenomeno sensibile,810 ma cio` che si manifesta a ciascuno e che viene ritenuto {vero} e` anche vero, come disse anche Protagora, pur differendo secondo la retta ragione,811 la percezione e l’immaginazione riguardando il fenomeno, l’intelletto la verit`a. (29) Se dunque l’intelletto e` circa la verita`, ma l’anima riguarda il fenomeno, e il vero e` lo stesso del fenomeno, come Democrito ritiene, anche l’intelletto di conseguenza e` lo stesso dell’anima. Al modo infatti in cui l’intelletto e` in rapporto con la verita`, allo stesso modo e` l’anima in rapporto al fenomeno; sicche´ anche, alternando {i termini}, come il fenomeno e` in rapporto con la verit`a, allo stesso modo e` l’intelletto in rapporto all’anima; se dunque sono lo stesso il fenomeno e il vero, di conseguenza anche l’intelletto e l’anima sono lo stesso.
105.4. T ed E. Simplicio, In De anima I (2, 404a24 sgg. [= 101.1]), 26.3427.13 (om. DK e Lu.): Anche se l’intelletto muove primariamente e in ogni modo essendo {esso stesso} immobile, tuttavia {muove} insieme all’anima e alla natura. Se dunque l’anima e la natura sono in movimento, il complesso risultante da esse e dall’intelletto sara` causa motrice in movimento. Una volta che egli [scil. Aristotele] ha ricordato che Anassagora, avendo fatto dell’intelletto la causa del movimento, diceva anche lui che e` l’anima a muovere, aggiunge {la precisazione} ‘‘non completamente alla maniera di Democrito’’. (2) In quanto infatti questi non distingue la capacita` conoscitiva che e` sempre nel vero, la quale noi chiamiamo intelletto, da quella che talvolta e` nel falso, qual e` l’attivi-
Sott’inteso, intendendosi l’anima fatta coincidere con un’unica facolta`. Cioe` quelli che hanno controllo su se stessi e quelli che peccano per debolezza del volere. 808 Cioe ` : con che fondamento? 809 Si intende: lo dicevano con un fondamento. 810 Cioe ` cio` che si manifesta alla percezione sensibile. 811 Intende presumibilmente: secondo un criterio corretto (i termini differenti essendo la verita ` e il fenomeno). 806 807
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.E)
ta` 812 in noi che e` percettiva e immaginativa e opinativa, per il fatto che pone come vero il fenomeno nella sua totalita`, egli [scil. Aristotele] dice che riporta allo stesso l’intelletto e l’anima, chiaramente quella cognitiva.813 Racconta in effetti che Omero viene lodato da Democrito perche´ faceva sı` che Ettore ‘giacesse altro-pensando’ per il colpo {ricevuto}, per quanto sia l’attivita` giudicatrice del composto che e` stata danneggiata mediante il colpo al corpo, ma non quella separata dal corpo; 814 ed e` questa che egli chiama la capacita` dell’anima ricettiva della verita` , e che chiaramente e` l’intelletto che ha conoscenza con senno.815 Non c’e` niente di strano nel fatto che Omero per licenza poetica facesse uso indiscriminato dei termini. Ma e` chiaro che Democrito, proprio nel lodarlo, riferisce l’intelletto {operante} con senno ad ogni sorta di conoscenza.
105.5. T. Stobeo, Eclogae I 48, 7(2) (= 28 A 45; 68 e 448 Lu.) [= Aezio IV 5 (Sull’egemonico),816 12 (Dox. 392)]: (Sull’intelletto) Parmenide ed Empedocle e Democrito {dicono che} l’intelletto e l’anima sono la stessa cosa, e secondo loro nessun animale puo` essere totalmente privo di ragione.817
105.6. T. Tertulliano, De anima 12, 6 [16.31-17.5] (om. DK; = 68 Lu.): [Viene discussa la questione se l’intelletto o mente (animus o mens), fatto corrispondere al greco nou"= e inteso come impassibile, e l’anima sono due entita` distinte oppure no.] Che, se e` sicuro che tutte queste cose [scil. le passioni, le sensazioni, i movimenti ecc. e le condizioni di assenza di questi] vanno ritenute essere di entrambe,818 allora queste due saranno una sola cosa e Democrito l’avra` spuntata nell’eliminare la loro distinzione, e ci sara` da domandarsi in che modo siano una cosa sola, se per la mescolanza di due sostanze o per la disposizione di una unica. Noi comunque diciamo che l’intelletto e` aggregato all’anima non come altro che la sostanza, ma come una funzione della sostanza.819
2. Ammissione di una partizione e definizione della sede delle parti 105.7. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 4, 3 (= 68 A 105; 455 Lu.) [= Aezio IV 4, 6 (Dox. 390)]: (Sulle parti dell’anima) 812 Letteralm.: ‘‘vita’’; lo stesso piu ` oltre (‘‘attivita` giudicatrice’’). L’inciso: ‘‘qual e` l’attivita` ...’’ equivale a ‘‘la quale e` l’attivita` ...’’. 813 Oppure: per quanto essa e ` cognitiva 814 Evidentemente non ammessa da Democrito. 815 La contrapposizione in greco e ` palesemente con la condizione di mancanza di senno attribuita ad Ettore. 816 La collocazione (da parte del Diels) del passo in un cap. con tale titolo (che diverge dal titolo in Stobeo) e` palesemente un espediente, in mancanza di meglio! (Cfr. discussione della questione da parte di J. MANSFELD, Doxography and Dialectic, pp. 3191-3192.) 817 Oppure: ‘‘Parmenide ..., secondo i quali nessun animale ..., {dicono che} l’intelletto e l’anima ...’’. 818 Cioe ` appartenere sia all’intelletto che all’anima. 819 Evidentemente: di quella sostanza che e ` l’anima.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.E)
Democrito ed Epicuro {dicono} che l’anima e` bipartita, in quanto ha la {parte} razionale situata nel torace, e la {parte} irrazionale sparsa per tutto l’aggregato corporeo.820
105.7.1. Lucrezio, De rerum natura III, vv. 136-142: [Esposizione della posizione epicurea.] Ora dico che lo spirito e l’anima si tengono strettamente congiunti | e formano di se´ un’unica natura, | ma che, per cosı` dire, e` il capo e cio` che e` dominante in tutto il corpo | quel consiglio 821 che noi chiamiamo spirito e mente, | ed e` quello che ha sede fissa in mezzo al petto. | Qui infatti si agitano il terrore e la paura, qui intorno | le gioie ci accarezzano; qui e` dunque l’intelletto, la mente.
105.8. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 5, 1-2 e 5 (om. DK; = 455 Lu.) [= Aezio IV 5, 1-2 e 5 (Dox. 391)]: (Che cos’e` la parte direttiva e in che sede si trova) Platone e Democrito {collocano la parte direttiva} in tutta la testa. (2) Stratone nello spazio tra le sopracciglia. (5) Parmenide ed Epicuro in tutto il torace.
105.9. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio V 22 [128.8-13, 14-15] (10-11 = 68 A 105; 455 Lu. [Dox. 391 n.]): (V. Sulla natura dell’uomo) [A partire da V 19 il tema e` quello delle parti dell’anima riconosciute dai vari pensatori in contrasto fra di loro.] E` facile riconoscere quanto differissero fra di loro {i pensatori pagani} circa la sede della parte direttiva: Ippocrate e Democrito e Platone hanno dichiarato che questa ha sede nel cervello; 822 invece Stratone nella zona in mezzo agli occhi, il medico Erasistrato nella meninge intorno al cervello [...], Parmenide ed Epicuro in tutto il torace.
105.10. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, § 349.1-8 (6-7 = 68 A 107; 456 Lu.): [Per mostrare che il criterio di verita` non risiede nell’intelligenza Sesto rileva che essa non risponde al requisito di conoscere la propria sostanza, la propria collocazione naturale, ecc.] {L’intelligenza} non e` in grado di cogliere queste cose se {e` vero che} alcuni, come Dicearco, dicono che essa non e` niente oltre ad una certa condizione in cui si trova il cor-
820 Per la posizione degli Epicurei si veda, oltre al seguente passo di Lucrezio (105.7.1), lo scolio all’Ep. ad Hdt. 66 (= 311 Us.). 821 Si intende: la facolta ` della ragione. 822 Fra i trattati ippocratici questa posizione e ` particolarmente evidente nel De morbo sacro (specialm. cap. 20); Platone mostra di adottarla in Timeo 73C-D, sicche´ e` evidente che la testimonianza 105.8 non e` attendibile per lui, e cio` la rende sospetta per Democrito; tuttavia e` dubbia anche l’attendibilita` della testimonianza di Teodoreto, che puo` essere influenzata dalla tendenza ad accostare Democrito ad Ippocrate (cfr. P.J. BICKNELL, «Eranos», 1968, p. 15, n. 28).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.F)
po, mentre altri dicono che essa e` esistente, non pero` che e` contenuta nello stesso luogo, ma alcuni – come Enesidemo seguendo Eraclito 823 – che e` al di fuori del corpo, altri – come certuni seguendo Democrito – che e` in tutto il corpo, altri ancora che e` in una parte del corpo – e le opinioni di questi ultimi sono, di nuovo, assai divergenti.
105.10.1. Tertulliano, De anima 15, 5 [19.27-29, 30-31, 33-34]: Pertanto non devi pensare, seguendo Eraclito, che questa parte direttiva sia in movimento al di fuori {del corpo}, ne´, seguendo Moschione,824 che sia diffusa per tutto il corpo, ne´, seguendo Platone, che sia racchiusa nel capo [...], ne´, seguendo Ippocrate, che risieda nel cervello [...], ne´, come vuole Stratone naturalista, nello spazio intermedio fra le sopracciglia, n´e, come vuole Epicuro, in tutta la gabbia toracica.
105.11. T. Tertulliano, De anima 15, 3 [19.10-13] (om. DK; = 458 Lu.): [L’esistenza di una parte principale dell’anima, quella direttiva, viene negata da chi, come Dicearco e, fra i medici, Andrea ed Asclepiade, nega l’esistenza dell’anima stessa.] Ci sono piu` filosofi che si oppongono a Dicearco, cio`e Platone, Stratone, Epicuro, Democrito, Empedocle, Socrate e Aristotele, e ci sono anche piu` medici che si oppongono ad Andrea e Asclepiade, cioe` Erofilo, Erasistrato, Diocle, Ippocrate e lo stesso Sorano.
F. RESOCONTO
DEL PENSIERO E DELLA SENSAZIONE
1. La base fisica del pensiero e della sensazione e l’assimilazione del pensare all’aver sensazioni 106.1. TN. Aristotele, De anima III 3, 427a17-b5 (a21-25 = 31 B 106 e 108; om. Lu.): Dal momento che l’anima viene definita principalmente da due differenze, {cioe`} dal movimento locale e dal pensare, avere intelligenza 825 e percepire, si ritiene che il pensare e l’avere intelligenza sia come una sorta di percepire, perche´ in entrambe queste {attivit`a} l’anima giudica e conosce qualcosa degli enti. (21) Gli antichi per l’appunto dichiarano che l’avere intelligenza e il percepire sono lo stesso, ed e` a questo modo che si e` espresso Empedocle {dicendo:} ‘‘l’intelligenza si accresce per gli uomini in relazione a cio` che e` presente {ad essi}’’, e altrove: ‘‘donde ad essi sempre anche il pensare si trova ad essere alterato’’, (25) ed e` lo stesso di queste {affermazioni} che intende il {detto} di Omero: ‘‘tale e` l’intelligenza’’.826 Tutti costoro in effetti suppongono che il pensare sia corporeo alla stre823 La stessa formula compare in 58.4, cfr. n. 426 ad loc. – Per l’attribuzione di questa tesi ad Eraclito si veda la testimonianza di Ps.-Plutarco, Placita IV 3, 6 (= Aezio IV 3, 12 = 22 A 15 DK). 824 Medico (poco noto) della scuola metodica, vissuto fra il primo sec. a.C. e il primo sec. d.C. 825 Oppure dall’avere giudizio o discernimento, seguendo i MSS che hanno krivnein invece di fronein= ; in uno di essi manca il successivo «percepire» (aijsqavnesqai). 826 Il riferimento e ` ad Odissea XVIII, vv. 136-37: ‘‘tale e` l’intelligenza [o la mente] degli uomini sulla terra, qual e` {la fortuna} che il padre degli dei e degli uomini invia loro giorno per giorno’’. Il passo e` inteso manifestamente come equivalente a quello sulla condizione di Ettore riportato in De
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.F)
gua del percepire, e che il percepire e l’avere intelligenza siano del simile mediante il simile, come abbiamo precisato nei discorsi iniziali.827 (29) Tuttavia essi avrebbero dovuto, al tempo stesso, parlare dell’errore, che e` {una condizione} particolarmente propria dei viventi e nella quale l’anima trascorre la piu` parte del tempo. Percio` e` necessario o che tutti i fenomeni siano veri, come alcuni affermano, o che l’inganno sia un contatto col dissimile, perche´ e` questo il contrario del conoscere il simile col simile.
106.2. T. Teofrasto, De sensibus, § 58 (= 68 A 135; 460 Lu.): [Passo di seguito a 119.1, e seguito da 55.1.] Per quel che riguarda l’avere intelligenza, {Democrito} dice solamente che ‘‘si genera quando l’anima si trova in condizione proporzionata nel temperamento 828’’; se qualcuno diventa troppo caldo o troppo freddo, c’`e, dice, un cambiamento {di pensiero}. Ed e` per qualche ragione del genere che anche gli antichi hanno ritenuto correttamente che c’e` un «altro-pensare». Sicche´ e` chiaro che egli produce l’avere intelligenza con il temperamento del corpo, il che presumibilmente e` ragionevole {da sostenere} per lui che fa dell’anima un corpo. (Le opinioni dei predecessori circa la percezione sensibile e circa l’avere intelligenza risultano essere pressapoco queste e di questo numero.)
106.2.1. A. Eustazio, Commentarii ad Iliadem XXIII (Y), v. 698 [IV 813.13814.1] (om. DK e Lu.): [Nel verso omerico si parla della condizione di ‘altro-pensare’ nella quale e` caduto Eurialo come conseguenza di un colpo ricevuto da Epeo, forte nel pugilato.] L’espressione ‘altropensante’ sta per ‘messo fuor di senno’ secondo gli antichi e, per dire meglio, alterato quanto all’intelletto. Il dire: ‘pensante altro’, in confronto a cio` che pensava poco prima, e` censurato dagli antichi sapienti, affinche´ non sia che lo stra-pensare,829 detto anch’esso pensare, sottometta l’intelligenza alla legge secondo {la formula} dol-
anima I 2, 404a29-30 (= 101.1) e in Metaph. IV 5, 1009b28-31(= 57). Tuttavia, come si puo` vedere, esso non contiene l’affermazione di una dipendenza della condizione mentale degli uomini dalla loro condizione fisica. Non e` improbabile pero` che Aristotele abbia in mente i vv. 130-31, nei quali si parla della dipendenza vitale degli uomini dalla terra, e inoltre, come suggeriscono i commentatori Temistio e Filopono, puo` avere inteso l’espressione ejp’ h|mar al v. 137 come riguardante l’ambiente sensibile. ‘‘Tale e` l’intelligenza’’ deve costituire un’abbreviazione per l’intero costrutto ‘‘tale ...quale ...’’ ed esso deve essere stato ritenuto corrispondere ai costrutti ‘‘quanto ... tanto ...’’ (Empedocle, fr. 108), ‘‘come ... cosı` ...’’ (Parmenide, fr. 16), ‘‘tali ... quali ...’’ (Anassagora, test. 28) che Aristotele ritiene tipici del sensismo dei Presocratici, come da lui presentato in Metaphysica IV (G) 5 (= 57). (Il suggerimento e` di M.-K. LEE, Epistemology after Protagoras, Oxford 2005, pp. 146-147.) 827 Il riferimento e ` al cap. 2 del libro I dell’opera (cfr. 101.1). Notare che la tesi qui espressa, con alcune delle citazioni (quelle di Empedocle, cioe` il fr. 106 e il fr. 108 DK peraltro variato), ricorre anche in Arist. Metaph. IV 5, 1009b12 sgg. (= 57). 828 Adotto una correzione di Schneider, ripresa da Diels (kata; th;n krhsin invece di kata; th;n = kivnhsin), come fa Stratton; Zeller, Guthrie e Alfieri difendono il testo dei MSS (cfr. discussione in M.M. SASSI, Teorie della percezione, Firenze 1978, pp. 187-190, che aderisce alla loro posizione). La correzione e` suggerita dal contesto immediato (il motivo del temperamento ritorna al § 64 [= 55.2, dove pure e` invero richiesta una correzione]); parlare di movimento, con riferimento agli atomi, crea un equivoco con il cambiamento di pensiero menzionato nel seguito immediato; infine una correzione: kata; al posto di meta;, e` comunque opportuna (come rilevato da Schneider). 829 Cioe ` l’essere folle (parafronein= ).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.F)
ce per convenzione e amaro per convenzione.830 Ma colui che, come e` stato detto, e` ‘altropensante’ puo` essere inteso essere anche estraneo al pensare.
106.3. T. Stobeo, Eclogae I 50, 4 (= 67 A 30; 68 e 436 Lu.) [= Aezio IV 8, 5 (Dox. 394)]: (Sulla sensazione e sui sensibili e se le sensazioni sono vere) Leucippo e Democrito {dicono che} le sensazioni e le intellezioni sono alterazioni del corpo.
106.4. T. Stobeo, Eclogae I 50, 12 (= 67 A 30; 68, 436 e 469 Lu.): (Sulla sensazione e sui sensibili e se le sensazioni sono vere) Leucippo, Democrito ed Epicuro {dicono che} la sensazione e l’intellezione si verificano col penetrare dei simulacri dall’esterno; nessuna delle due infatti puo` capitare a qualcuno indipendentemente da cio` che lo colpisce.
106.4.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 8, 4 [con 106.4 = Aezio IV 8, 10 (Dox. 395)]: (Sulla sensazione e sui sensibili) & Stesso testo di 106.4, ma omettendo ‘‘Epicuro’’ e aggiungendo (alla fine) ‘‘simulacro’’ (dunque: ‘‘indipendentemente dal simulacro che colpisce’’).
106.4.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 90 (635.4 e 12): (Sulla sensazione e sui sensibili) Leucippo e Democrito {dicono che} la sensazione {si verifica} col penetrare dei simulacri da davanti.
2. Le sensazioni e i sensibili (e l’attenzione della mente) 106.5. T. Stobeo, Eclogae I 50, 8-9 (8 = 68 A 115; 437 Lu.) [= Aezio IV 10 (Quanti sono i sensi),831 5 e 6 (Dox. 399)]: (Sulla sensazione e sui sensibili e se le sensazioni sono vere)
830 Le parole ‘‘legge’’ e ‘‘convenzione’’ rendono sempre il greco novmo": probabilmente c’e ` un gioco di parole, per suggerire che non viene ammessa altra legge che la convenzione. Presumo che l’autore voglia dire che chi ritiene che contrari come dolce e amaro sono per convenzione ritiene pure che per esempio buono e cattivo sono per convenzione, dunque nega il fondamento oggettivo dei valori, ma tale atteggiamento e` segno di follia (cfr. Aristotele, Gen. et corr. I 8, 325a19-23 [= 15.1]). 831 Diels (in Doxographi graeci) associa questo passo a 106.7 e 106.7.1, ma e ` sufficientemente chiaro che, nella raccolta di Stobeo, e` il capitolo 51 ad essere dedicato al numero dei sensi come facolta` (cfr. 106.7.1, titolo), mentre il capitolo 50 e` dedicato alla sensazione o percezione sensibile in generale oppure alle sensazioni (cioe` agli atti percettivi). Il capitolo 50, da solo, corrisponde ai capitoli IV 8 (Sulla sensazione e sui sensibili) e IV 9 (Se le sensazioni e rappresentazioni sono vere) nella raccolta di Ps.-Plutarco (cfr. 106.4.1 con 106.4, e 116.3.1 con 116.3).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
Democrito {dice che} le sensazioni sono piu` dei sensibili, ma che per mancanza di riflessione i sensibili ci sfuggono nella loro moltitudine.832 (9) Gli altri {dicono che esse} sono piu` o meno uguali.
106.6. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 802-804 (802-803 = 68 A 115; 437, n. 1 Lu.): [Dopo aver detto che i simulacri sono innumerevoli e vengono da ogni dove, entrando in contatto con il soggetto percipiente, ma che della molteplicita` che si cela sotto l’unit`a, per esempio di un’emissione della voce, si coglie solo cio` di cui la ragione (ratio) riconosce l’esistenza.] E poiche´ sono sottili [scil. le immagini o i simulacri], la mente non puo` acutamente discernere | se non quelle cui si protende; percio` tutte le altre che ci sono | periscono eccettuate quelle a cui essa stessa e` disposta.
3. Se i sensi siano piu` di cinque 106.7. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 10, 3 (= 68 A 116; 438 Lu.) (Quanti siano i sensi) Democrito {dice che} i sensi sono piu` {di cinque}, nel caso degli animali irrazionali e dei sapienti e degli dei.
106.7.1. VA. Stobeo, Eclogae I 51, 4 (481.2-3, 482.7-8) [con 106.7 = Aezio IV 10, 4 (Dox. 399)]: (Quanti siano i sensi e di che essenza e attivita` sia ciascuno) & Stesso testo di 106.6.
G. ALTRI
FENOMENI PSICOFISICI
1. Il sonno e la morte 107.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum V 25, 3 (909F4-5, 910A4-7) (= 67 A 34; 466 e 510 Lu.) [= Aezio V 25, 3 (Dox. 437)]: (A che appartengono il sonno e la morte, se all’anima o al corpo) Leucippo {dice che} il sonno e` del corpo e si verifica per un distacco di quanto e` minuto maggiore della penetrazione di calore vitale; e l’eccesso {del distacco} e` causa della morte; 833 queste sono affezioni del corpo, non dell’anima. 832 Alfieri traduce (sulla base della correzione del Diels: ajnalogein invece di ajnalogivzein): ‘‘ma = che i sensibili ci sfuggono per la sproporzione che c’e` tra essi e il numero delle sensazioni’’. ajnalogivzein, pur inusitato all’attivo, si puo` salvare supponendo che sia adottato per suggerire l’idea che troviamo formulata nel passo di Lucrezio, anche se la tesi che ‘le sensazioni sono piu` dei sensibili’ rimane sorprendente. Invece Luria, 437, corregge il plhvqei dei MSS in pavqei e accosta il passo ad 116.3. 833 Nella traduzione di quanto precede ho seguito il testo del Diels (in DK), ma i guasti nei MSS rendono dubbia ogni traduzione.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
107.2. T. Tertulliano, De anima 43, 2 [58.24-25 e 27] (= 68 A 136; 512 Lu.): Gli Stoici affermano che il sonno e` uno scioglimento del vigore dei sensi, gli Epicurei che e` una diminuzione dello spirito animale ... Democrito che e` un’indigenza di spirito.
107.3. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 916-928: [Sul sonno come affezione dell’anima.] Anzitutto, il sonno nasce quando e` dispersa per le membra | la forza dell’anima, e in parte, espulsa fuori {di noi}, e` svanita, | in parte, schiacciata, si e` ritirata piu` nel profondo. | E` allora che le membra si allentano e si abbandonano. | Non c’e` dubbio infatti che e` per opera dell’anima | che in noi c’e` questo senso [= la sensibilita`]; quando il sopore gli impedisce di esserci, |922| dobbiamo ritenere che allora l’anima sia disturbata | ed espulsa fuori {di noi}; ma non tutta, giacche´ il corpo | giacerebbe pervaso dal freddo eterno della morte. | Certo, laddove nessuna parte dell’anima rimanesse nascosta | nelle membra, come tra molta cenere si nasconde sepolto il fuoco, | donde potrebbe tra le membra riaccendersi all’improvviso | il senso, come da fuoco invisibile puo` sorgere la fiamma?
2. La morte e fenomeni come la catalessi 108.1. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 4, 4 [dopo 105.7] (= 68 A 117; 448 Lu.) [= Aezio IV 4, 7 (Dox. 390)]: (Sulle parti dell’anima) 834 Democrito {dice che} tutte le cose partecipano di qualche sorta di anima – anche i corpi dei morti,835 perch´e partecipano sempre in modo trasparente di qualche calore e di qualche percezione, pur avendone esalato la maggior parte.
108.2. T. Stobeo, Eclogae I 50, 35 (om. DK; = 448 Lu.) [= Aezio IV 9, 20 (Dox. 398)]: (Sulla sensazione e sui sensibili e se le sensazioni sono vere) Democrito {diceva che} i corpi dei morti hanno percezione.
108.2.1. V. Alessandro, In Topica I (1, 100b23), 21.21 (= 68 A 117; 586 Lu.) [Come parte dell’esemplificazione di un sillogismo eristico.] I corpi dei morti hanno percezione, come riteneva Democrito.
108.3. T. Cicerone, Tusculanae disputationes I 34, 82 (= 68 A 160; 586 Lu.; 17 Us.): [Nel contesto sono esposti argomenti a prova che la morte non e` un male neppure se l’anima non e` immortale.]
` manifesto che il titolo del capitolo non e` appropriato al passo, come non lo e` quello del 834 E passo successivo in Stobeo, che e` parallelo a questo (fatto sfuggito al Diels nella sua ed. di Aezio), sicche´ deve trattarsi di passi che non hanno trovato la collocazione appropriata nelle raccolte antiche (come viene rilevato da Mansfeld, Doxography and Dialectic, pp. 3191-3192). 835 Letteralmente: i morti fra i corpi. Lo stesso in 108.2 e 108.2.1.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
Poni dunque che l’anima perisca come il corpo: forse che nel corpo, dopo la morte, c’e` qualche {percezione di} dolore o, in generale, qualche sensazione? Non c’`e nessuno che lo dica, e, quantunque Epicuro lo imputi 836 a Democrito, i democritei lo escludono.837
109.1. T. Tertulliano, De anima 51.2 [69.4-8] (= 68 A 160; 586 Lu.) [Ci sono dei filosofi che, invece di ammettere senza riserve che l’anima si separa dal corpo con la morte, adottano argomenti tendenti a farci credere che ci sono delle anime che aderiscono al corpo anche dopo la morte.] A questo proposito infatti anche Platone, sebbene destini subito in cielo le anime che vuole, racconta tuttavia nella Repubblica che il cadavere di un tale rimasto insepolto si sia conservato per lungo tempo immune da corruzione, appunto per l’inscindibilita` dell’anima {dal corpo}. A questo proposito anche Democrito rileva la crescita delle unghie e dei capelli in coloro che sono sepolti da non molto tempo.838
109.2. T. Celso, De medicina II 6 (= 68 A 160; 586 Lu.) So bene che taluno puo` rivolgermi la domanda: se vi sono segni sicuri di morte futura, come va che alcuni, abbandonati nel frattempo dai medici, guariscono, e di alcuni viene tramandato che sono tornati in vita perfino dal letto funebre? Ed anzi un uomo meritatamente celebre, Democrito, sostenne non esservi segni abbastanza sicuri di vita finita, tali che i medici possano fidarsene; tanto meno poi ammise che vi siano segni sicuri di morte futura.
109.3. T. Proclo, In Rempublicam II 113.6-22 (6-19 = 68 B 1; 585 Lu.): [Di commento a Platone, Respublica X, 614b4-7, contenente la descrizione della morte apparente di Er in battaglia e della sua resurrezione, dopo aver avuto esperienza dell’al di la`. Il passo offre una replica alla polemica rivolta dall’epicureo Colote a Platone, per la quale cfr. 105.23-106.14. Tale polemica tocca la veridicit`a complessiva del racconto, inclusa la possibilit`a che qualcuno possa tornare in vita in tali circostanze, da Colote manifestamente intese come concernenti una effettiva risurrezione.] All’indagine riguardante coloro che sono ritenuti essere morti e sono successivamente tornati in vita rivolsero la loro attenzione molti altri degli antichi e il naturalista Democrito nei suoi scritti Circa l’Ade. E quel personaggio sorprendente di Colote, nemico di Platone, epicureo com’era in tutto e per tutto, non avrebbe dovuto ignorare 839 le {tesi} dell’inizia-
836 Il verbo insimulo qui usato ha il senso di ‘accusare falsamente’ (cfr. ERNOUT -MEILLET , Dictionnaire e´tymologique, p. 626). 837 L’apparente contraddizione fra questo passo e gli altri del gruppo forse si supera (come suggerisce W. KAHL, Democritstudien I, Diedenhofen 1889, pp. 27-28) supponendo che Cicerone alluda alla tesi di una vera e propria resurrezione dopo la morte (che questa fosse rifiutata espressamente dagli Epicurei con riferimento critico a Democrito e` confermato da quanto Proclo riferisce della loro posizione nel polemizzare con Colote in 109.3). 838 Questa prova di persistente animazione viene proposta anche da altri autori, per esempio da Plotino, Enneade IV 4, 29. Tertulliano stesso, nel seguito, offre una spiegazione alternativa del fatto: l’atmosfera ha conservato il corpo, ma cio` non vuol dire che nel corpo fosse rimasta qualche traccia di anima. 839 Forse nel senso di disconoscere.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
tore delle dottrine di Epicuro n´e domandarsi, per questa sua ignoranza, in che modo sia possibile che un morto torni a rivivere. (13) Infatti la morte, come pare, non era un’estinzione di tutta la vita del corpo, ma esso 840 era debilitato possibilmente per via di un qualche colpo o di una ferita, mentre i legami dell’anima al midollo rimanevano ancora ben radicati e il cuore possedeva giacente nel {suo} profondo la scintilla della vita. E, col permanere di questi {legami}, {il corpo},841 diventato atto all’animazione, riacquisto` la vita che si era spenta. (19) In effetti anche al nostro tempo ci sono alcuni che gi`a erano stati ritenuti morti ed erano stati collocati nella tomba, e che risorsero e furono visti seduti nella tomba o perfino, alcuni, in piedi ...
109.3.1. I. Platone, Timaeus, 73B1-C3: [Contesto: il demiurgo ha provveduto a conformare il nostro corpo cosı` che la morte non ci colga prematuramente.] Quanto alle ossa e alla carne e ad ogni altra natura del genere le cose stanno come segue. Per tutte queste {sostanze} l’origine e` il generarsi del midollo; infatti i legami della vita, dal momento che l’anima e` congiunta al corpo, fissati {come sono} in questo danno radice al genere mortale. Ma il midollo stesso fu generato da altre {sostanze}. Dei triangoli quelli primi, che sono regolari e lisci, {cioe`} i piu` atti a costituire, per l’esattezza {della loro figura}, il fuoco e l’acqua e l’aria e la terra, sono quelli che il dio prese separando ciascuno di essi dal proprio genere, (C) e, una volta mescolatili {cosı` da essere} in proporzione e apprestata la ‘panspermia’ per ogni genere mortale, fabbrico` a partire da essi il midollo ...
3. Come si verificano i sogni e il presentarsi degli ‘idoli’ (ei[dwla) 110.1. T. Ps.-Plutarco Placita philosophorum V 2, 1 e 3 [904E10, F1-2, 6-11] (1 = 68 A 136; 473 Lu.) [= Aezio V 2, 1 e 3 (Dox. 416)]: (Come si verificano i sogni.) (1) Democrito {afferma che} i sogni si verificano per le apparizioni degli ‘idoli’. ... [Seguito in (2) su Stratone.] (3) Erofilo {afferma che}, dei sogni, alcuni, che sono inviati da dio, si verificano di necessita`, altri, che sono naturali, {si verificano} quando l’anima si forma un’immagine di cio` che e` utile per essa e di cio` che avverr`a di seguito, altri ancora, che sono misti, {si verificano} in modo spontaneo per l’incidenza dei simulacri, quando vediamo cio` che desideriamo, come avviene nel caso di coloro che nel sonno paiono possedere le loro amanti.842
840 Suppongo (come fa anche Alfieri) che il soggetto sia il corpo, perche ´ questo deve essere il soggetto nel seguito (cfr. n. 841), ed e` plausibile che rimanga sempre lo stesso. A.J. FESTUGIE` RE, nella sua traduzione del commento di Proclo (Commentaires sur la Re´publique, III, Paris 1970, p. 58 e n. 1), ritiene invece che sia la vita. ` il soggetto piu` naturale nel caso di qualcosa che viene detto essere ‘diventato atto all’ani841 E mazione’, e cosı` intendono Diels e Alfieri; Festugie`re, op. cit., ritiene invece che il soggetto sia Er. (Rimane in ogni caso probabile che Proclo stia pensando a quanto era successo ad Er secondo il racconto platonico.) 842 I pezzi su Democrito e su Erofilo sono ripresi, con tagli, da Giovanni L. Lidio, De mensibus iv 135 (ottobre 1) (cfr. 186.3). Sull’attribuzione a Democrito della tesi qui attribuita ad Erofilo cfr. nn. 53-54 a 110.9 (riportato in appendice) e Presentazione dei testi, sez. 25. (Il pezzo su Erofilo e` incluso come testimonianza T 226b nella raccolta di von Staden.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
110.1.1. V. Ps.-Galeno, Historia philosopha 106 (640.1-2, 4-8): & Stesso titolo e stesso testo di 110.1, salvo qualche variazione (la piu` importante: ‘‘composti’’ al posto di ‘‘misti’’ detto del terzo tipo di sogni distinto da Erofilo).
110.1.2. Ps.-Plutarco, De vita et poese Homeri 150 (om. DK; = 170 Lu.): [Il capitolo fa parte di una rassegna di filosofi che avrebbero preso spunto da Omero per le loro dottrine.] Ma se si deve far menzione anche di coloro che hanno adottato proprie scuole, troveremmo che anche essi hanno preso spunto da Omero: {per esempio che} Democrito ha prodotto i suoi ‘idoli’ da quelle parole: ‘‘ma un simulacro fece Apollo {dio} dall’arco d’argento’’.843
110.1.3. T. Eustazio, Commentarii ad Odisseam IV (d), vv. 795 sgg. [p. 1518] (om. DK; = 170 Lu.): Che il poeta [scil. Omero] fu maestro, per Democrito e per i suoi contemporanei, del {la proposizione} che i sogni si generano dal di fuori mediante la penetrazione e l’incidenza di certi simulacri ... (v. 802) Che questo simulacro mitico sia corporeo, per quanto sottile in quanto aeriforme e, per cosı` dire, dal corpo sottile impresso nell’aria, alla maniera delle anime omeriche nell’Ade {lo attesta il verso}: ‘‘entro` nel talamo lungo la cinghia del paletto {della porta}’’.
110.1.4. A. Eustazio, Commentarii ad Iliadem XXIII ( ), v. 72 [IV, 683.15, 18-20] (om. DK e Lu.): [‘‘Mi tengono lontano le anime, simulacri dei morti’’: parole dell’anima di Patroclo che compare in sogno ad Achille chiedendo la sepoltura del suo corpo per poter raggiungere l’Ade.] L’espressione ‘‘simulacri dei morti’’ e` esplicativa di ‘‘anime’’. Pertanto dopo poco [al v. 104] parla di ‘‘anima e simulacro’’, il quale simulacro appunto sembra anche manifestarsi nei sogni a coloro che hanno visioni, donde c’`e anche l’antica posizione {per la quale} i sogni si verificano per l’incidenza di idoli.
110.2. T. Cicerone, De divinatione II 58, 120 (trad. Timpanaro) (= 68 A 137; 474 e 578 Lu.): [Nel contesto si parla dei sogni che sono ritenuti avere carattere predittivo.] Riteniamo dunque che le anime dei dormienti si muovano da se´ mentre sognano, oppure che, come sostiene Democrito, siano colpite da visioni esterne ed estranee? Sia vera questa opinione o quell’altra, rimane il fatto che moltissime cose false possono apparir vere a chi sogna.
110.3. T. Cicerone, De divinatione II 67, 137-139 [123.22-124.2, 124.12-17] (om. DK; = 474 Lu.) [Contesto: il parlante, Cicerone stesso, dichiara che c’`e una spiegazione naturalistica di tutti i sogni, non tuttavia esterna all’anima.] 843
E` il v. 449 del canto V dell’Iliade.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
Quale Mario tu pensi che io abbia visto {in sogno}? Una sua sembianza, credo, una sua immagine, come ritiene Democrito. Donde sarebbe provenuta l’immagine? E` da corpi solidi e da figure ben delimitate 844 che egli [scil. Democrito] vuole che fluiscano le immagini; dunque che ne sarebbe stato del corpo di Mario? {L’immagine e`} da quello – e` la replica – che era stato {il corpo di Mario}. Era dunque siffatta l’immagine di Mario che mi si fece incontro nella pianura di Atina? – L’universo e` pieno di immagini, e nessuna visione e` concepibile senza l’impulso delle immagini. [Segue obiezione in § 138 che le visioni che abbiamo possono dipendere dalla nostra volonta` e dalla capacita` di fabbricazione o finzione della nostra mente (animus), dunque non hanno origine esterna.] (139) ... non ci sono immagini dunque che si insinuino dal di fuori nelle menti dei dormienti o che, in generale, fluiscano {dai corpi}: 845 non ho conosciuto nessuno che dicesse cose senza senso 846 con maggiore autorit`a. Tale e` il potere e la natura delle menti da essere attive e vigilanti non per un impulso sopraggiungente dal di fuori ma per un proprio movimento straordinariamente veloce.
110.4. T. Plutarco, Quaestiones convivales VIII 10, 2 [734F-735C] (= 68 A 77; 476 Lu.): (Perch´e diamo credenza minima ai sogni autunnali.) Favorino stesso e` per altri versi un ammiratore entusiastico di Aristotele ed assegna al Peripato la maggior porzione di attendibilit`a {rispetto alle altre scuole filosofiche}; quella volta tuttavia 847 un vecchio discorso di Democrito, tiratolo giu` per cosı` dire annerito dal fumo, lo purifica e lo rende splendente, assumendo l’enunciazione familiare fatta da Democrito {e cioe`} che gli idoli penetrano profondamente mediante i pori nei {nostri} corpi e, quando ritornano in su, producono le visioni nel sonno.848 (735A4) Questi {ci} visitano da ogni dove, staccandosi dalle suppellettili, dai vestiti, dalle piante, e specialmente dagli animali, per via della molta {loro} agitazione e del {loro} calore, non soltanto avendo impresse somiglianze delle forme del corpo {di provenienza} – come Epicuro ritiene, seguendo fino a questo punto Democrito, ma abbandonando il {suo} discorso a questo proposito –, ma avendo recepiti anche riflessi dei movimenti dell’anima, {cioe`} delle intenzioni e delle abitudini e delle affezioni di ciascuno, li trascinano con {se´} e, venendoci incontro insieme a questi, come se fossero animati rivolgono parole e annunciano a coloro che li recepiscono le opinioni e calcoli e gli impulsi di coloro che li [scil. gli idoli] emettono, quando essi [sempre: gli idoli] entrano in contatto conservando le immagini nella loro articolazione senza confusione. (B5) Questo lo fanno soprattutto quando il loro movimento diventa non impedito e rapido per via dell’aria che e` liscia. Ma l’{aria} d’autunno, quando gli alberi perdono le
844 Et a certis figuris: in genere si intende con questo ‘‘e da oggetti ben delimitati’’, ma, piu ` che pensare ad oggetti distinti, deve trattarsi degli stessi corpi che sono solidi e dotati di figure ben delimitate. 845 Fluunt probabilmente equivale a effluunt a corporibus, come suggeriva Hottinger (cfr. A.S. PEASE, M.Tulli Ciceronis De divinatione libri duo, Darmstadt 1977, ad loc.). 846 Letteralm.: dicesse nulla (nihil). 847 Questa introduzione si spiega col fatto che, come risulta da quanto precede, altri avevano giudicata persuasiva la spiegazione di Aristotele (risalente ai suoi perduti Problemata physica, cfr. fr. 242 Rose) di come mai i sogni autunnali siano da ritenersi particolarmente poco attendibili. 848 Questa parte, a partire da ‘‘penetrano’’, e ` ritenuta essere una citazione letterale da Diels, il quale, nel seguito, considera allo stesso modo ‘‘visitano’’ e ‘‘molta agitazione e calore’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
foglie, presentando molta irregolarita` e scabrosita`, distorce e svia in vari modi gli idoli, rende la loro evidenza sbiadita e debole, con l’offuscamento dovuto alla lentezza del percorso. Cosı` come, al contrario, {gli idoli} provenienti in gran numero e trasportati rapidamente da individui accesi ed infiammati trasmettono riflessi che sono nuovi e ricchi di significato.
110.5. T. Plutarco, Quaestiones convivales V 7, 6 [682F-683A] (= 68 A 77, 476 Lu.): [Tema del capitolo: su coloro che sono detti esercitare il mal’occhio e su come questo possa verificarsi: il fenomeno non va negato per il fatto che e` difficile trovarne una spiegazione razionale.] Degli idoli di Democrito, egli [scil. Gaio, il genero di Floro] disse, voi non ne tenete nessun conto e non ne fate parola, come se si trattasse di Egiensi o di Megaresi: 849 {quegli idoli} che egli dice essere emessi dai malevoli, (683A) essendo non completamente privi di sensibilit`a e di impulso,850 anzi essendo pieni della malvagit`a e del maleficio di coloro che li emettono, recandone l’impronta e stabilendosi e soggiornando nelle vittime del maleficio, disturbano e arrecano male al loro corpo e alla loro mente. Questo credo che sia quanto esprime l’uomo nella sua opinione {effettiva}, pur usando un linguaggio ispirato ed elevato.
110.6. T. Diogene di Enoanda, fr. 10, coll. III 14 IV V [NF 1, coll. I 14 II III]: [Di seguito, salvo interruzione, al fr. 9 (= 110.9), sempre sul costituirsi dei sogni.] Aggiungo ancora quanto segue: (IV) dal momento che noi compiamo nei sogni atti amorosi come nella veglia non e` {vero} che la gioia che da essi traiamo e` vana perche´ dormiamo.851 Non si deve dire dunque che questi [scil. immagini o idoli] sono vuoti,852 in quanto tanto potere appartiene {ad essi}. Tuttavia, se essi non sono vuoti, non e` neppure {vero} che essi hanno sensazione e ragionamento e realmente conversino con noi, (V) come suppone Democrito. Non e` credibile infatti che a membrane cosı` sottili e non aventi spessore di natura solida possano appartenere queste {facolta`}. Costoro, cio`e gli Stoici e Democrito, hanno dunque commesso l’errore opposto: gli Stoici privano le rappresentazioni anche del potere che hanno,853 mentre Democrito concede ad esse un potere che non hanno. Ma la natura dei sogni 854 ***.
849 Modo di dire proverbiale (cfr. Leutsch e Schneidewin, Paroemiographi Graeci I, p. 19), con riferimento ad un oracolo secondo cui essi non andavano tenuti in nessun conto. 850 Nella sua replica Plutarco (che e ` fra i parlanti) dichiara di non rifiutare una spiegazione (effettivamente prospettata in cap. 2) mediante gli efflussi provenienti dai corpi, ma di non poter ammettere che essi siano dotati di vita. 851 Casanova nella sua edizione (cfr. bibl.) ritiene che si tratti di un’interrogativa e traduce: ‘‘forse non e` niente il ricevere da esse un piacere vano perche´ dormiamo?’’. 852 Questa posizione era stata attribuita agli Stoici all’inizio del fr. 853 Questa polemica con la posizione degli Stoici si trova sviluppata nel fr. 43 (parte non riportata sotto 110.7). 854 Il testo si interrompe.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.G)
110.7. T. Diogene di Enoanda, fr. 43, coll. I 12-14 II [NF 13, 12-14, NF 12]: [Di seguito ad una critica rivolta alla posizione degli Stoici. Il passo, che evidentemente si collega al precedente e al fr. 9, e presumibilmente ha un intento riassuntivo, non appartiene piu` alla fisica ma all’etica; tuttavia il suo contesto immediato non e` piu` accertabile.] Ora questi idoli non hanno in alcun modo sensazioni,855 come lo (II) suppone Democrito, dato che sono strutturati da atomi finissimi e che sono contemplabili solo col pensiero.856 Se essi hanno la forma di quegli oggetti per i quali la natura gioisce, suscitano il massimo diletto nell’anima; se di oggetti tali che la natura ne prova ripugnanza, riempiono molte volte l’uomo intero di una sorta di grave tumulto e di timore e provocano la palpitazione del cuore.
110.8. T + C. Cicerone, Epistulae ad familiares XV 16, 1-2 (= 68 A 118; 470 Lu.): [Lettera del gennaio 45, rivolta a C. Cassio, nella quale Cicerone racconta quanto volentieri egli scrive lettere al suo interlocutore, che sta lontano da Roma.] Avviene infatti che, non so come, quando ti scrivo qualcosa, mi pare quasi che tu sia presente, ma non «tramite l’apparizione di immagini», come dicono i tuoi nuovi amici che ritengono che anche le «rappresentazioni intelligibili» 857 siano suscitate dagli spettri di Cazio – non ti sfugga che l’epicureo Cazio Insubre, morto di recente, denomina «spettri» le cose che quello di Gargetto 858 e, ancora prima, Democrito, {avevano denominato} «idoli» –, (2) ma quello che non vedo e` come mai, anche qualora gli occhi possano essere colpiti da questi spettri, poiche´ vi penetrano sia che uno voglia sia che non lo voglia, la mente possa essere colpita da essi: bisognera` che tu mi spieghi, quando verrai tutt’intero, se il tuo spettro sia in mio potere, sicche´ non appena mi aggrada di pensare a te esso compaia, {e che me lo spieghi} non soltanto di te, che mi stai molto a cuore, ma se {`e vero per esempio che} cominciato che avessi di pensare all’isola di Britannia il suo ‘idolo’ s’involerebbe verso il mio petto.
` plausibile intendere aijsqavnetai come medio, per richiamo a quanto detto della posizione 855 E di Democrito in fr. 10, col. IV, 12, secondo una proposta di M.F. SMITH (Diogenes Oenoandensis: The Epicurean Inscription, Napoli 1993). D. CLAY («American Journal of Philology», 1980, p. 356) lo intende al passivo (‘‘are not in the least perceptible’’), ma, adottando come seguito la prima ricostruzione di Smith (nel 1974), si arriva comunque ad un’interpretazione poco plausibile (cfr. n. seguente). 856 La ricostruzione di questa parte e ` assai congetturale, e ho seguito quella recente di M.F. SMITH (op. cit., Napoli 1993). In base alla sua ricostruzione precedente (Thirteen New fragments of Diogenes of Oenoanda, Wien 1974), seguita da altri, si aveva la seguente traduzione complessiva: ‘‘So these images by no means have perception as Democritus supposes with regard to atoms, pronouncing solidly made and true such things as exist only through contemplation’’, ma non si vede proprio come Diogene potesse attribuire a Democrito la tesi che gli atomi hanno percezione, per di piu` dichiarando nel contesto che essi esistono solo per il pensiero. 857 Cioe ` le apparizioni alla mente e non solo quelle ai sensi. 858 Si intende Epicuro, che apparteneva al demo ateniese di Gargetto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.H)
H. LA
DIVINAZIONE, SPECIALMENTE MEDIANTE I SOGNI
111.1. T. Cicerone, De divinatione I 3, 5 [3.9-24] (trad. Timpanaro) (3.20-24 = 68 A 138, 578 Lu.; Dox. 224): [Rassegna delle posizioni, in primo luogo di approvazione o di rifiuto, che nel passato erano state adottate nei confronti della divinazione, a partire dall’ammissione generale che ‘gli antichi’ mostrarono di approvarla perche´ colpiti dall’avverarsi delle profezie piuttosto che in base a qualche ragionamento. Il parlante, favorevole alla divinazione, e` Quinto, fratello di Cicerone.] Ma quanto ai filosofi sono stati raccolti i loro sottili ragionamenti per dimostrare che la divinazione corrisponde al vero. Tra essi (mi rifaccio dai piu` antichi), Senofane di Colofone fu il solo che, pur credendo all’esistenza degli de`i, nego` ogni fede nella divinazione. Tutti gli altri, eccettuato Epicuro che sulla natura degli d`ei disse cose assurde, approvarono la divinazione, ma non nella stessa misura. Socrate e tutti i socratici, Zenone stoico e i suoi seguaci, si attennero alla dottrina dei filosofi piu` antichi, e dello stesso parere furono l’Accademia antica e i peripatetici; gia` prima di essi, Pitagora aveva attribuito alla divinazione grande autorita` (egli stesso, anzi, si considerava un augure), e *Democrito, filosofo di grande valore, in molti passi delle sue opere dichiaro` di credere ai presentimenti del futuro*. Invece il peripatetico Dicearco considero` veritieri soltanto i sogni e le profezie gridate in accessi di follia, nego` fede a ogni altro genere di divinazione ...
111.2. T. Aristotele, De divinatione per somnum 2, 463b31-464a21 (om. DK, salvo riferimento nel Nachtrag al vol. II, p. 422; 464a5-21 = 472 Lu.): Quanto ai sogni che non hanno princı`pi quali noi abbiamo enunciato,859 ma li hanno fuori del normale per il tempo o per il luogo o per le dimensioni, o {sono fuori del normale} in nulla di tutto questo ma in ogni caso coloro che sognano 860 non posseggono in se stessi i princı`pi,861 a meno che la previsione non risulti da {semplice} coincidenza, la spiegazione seguente sarebbe preferibile all’addurre a causa, come fa Democrito, ‘idoli’ e efflussi.862 (6) Come quando qualcosa ha messo in movimento l’acqua o l’aria, e questa muove qualcos’altro, e, con la cessazione di quello,863 succede che tale movimento prosegua fino ad un certo punto, pur in assenza del movente {originario}; allo stesso modo niente impedisce che un certo movimento e percezione pervengano alle anime che sognano – {e ci pervengano} da quegli oggetti dai quali lui [scil. Democrito] fa derivare gli idoli e gli efflussi – e, (12) dovunque capita che pervengano, essi siano maggiormente percepibili di notte per il fatto che, trasportati di giorno, sono piu` soggetti a dissoluzione – essendo l’aria
859 Cioe ` sogni che sono normali fisiologicamente, dei quali Aristotele aveva dato conto nel De insomniis. Questi altri erano stati presentati come fuori del normale anche in 1, 463b1 sgg. 860 Letteral.: vedono il sognato. 861 Ma forse si deve intendere (specie se si adotta una correzione del Biehl): ‘‘e tuttavia {i sogni} non hanno princı`pi che siano interni a coloro che sognano’’. 862 Piu ` letteralm.: e` preferibile che fosse a questo modo (cioe` quello che segue) anziche´ come dice Democrito, adducendo a causa idoli ed efflussi. 863 Cioe ` dell’impulso iniziale.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.H)
notturna meno disturbata per la minor ventosita` presentata dalle notti –, e producano sensazione nel corpo per via del sonno, dal momento che i dormienti percepiscono di piu` dei svegli anche i piccoli movimenti interni. Sono questi movimenti a produrre visioni a partire dalle quali si fanno previsioni su cio` che avverra` anche in tali casi; 864 ed e` per questo che tale esperienza capita a uomini qualunque e non {soltanto} a quelli piu` saggi. Capiterebbe infatti di giorno e ai {soli} sapienti, se fosse il dio ad inviarli.
111.3. T. Cicerone, De divinatione I 57, 131 [62.18-25] (trad. Timpanaro) (62.18-22 = 68 A 138; 578 Lu.) [Contesto: Quinto richiama le affermazioni, fatte da Posidonio e da altri, a favore della validita` della divinazione artificiale.] Democrito, a sua volta, ritiene che gli antichi saggiamente prescrissero di osservare le viscere delle vittime immolate: dalla loro forma e dal loro colore, egli dice, si possono trarre indizi sia di salubrita` dell’aria sia di pestilenza, qualche volta anche di sterilit`a o di fertilita` dei campi. E se l’osservazione e la pratica dei fenomeni naturali e` in grado di prevedere queste cose, molte altre si possono, col lungo trascorrere del tempo, scrutare e annotare.
111.4. T. Cicerone, De divinatione II 13, 30 e 32 (trad. Timpanaro con una modifica) (riferimento in 68 A 138; = 578 Lu.): [Il parlante del II libro, Cicerone stesso, rivolge una critica alla divinazione, a partire da quella che si fonda sull’osservazione delle viscere, notando che non c’e` alcun rapporto fra le caratteristiche che esse presentano e i fenomeni di cui dovrebbero essere i segni.] Democrito, tuttavia, molto spiritosamente vuol prenderci in giro,865 da filosofo della natura quale e` ; nulla di piu` arrogante di questa gente: ‘‘Nessuno bada a cio` che ha davanti ai piedi; scrutano le plaghe dei cieli!’’.866 E intanto, anche lui ritiene che l’aspetto e il colore delle viscere ci indichino almeno la qualita` di un pascolo e l’abbondanza o la scarsita` di un raccolto; crede anche che le viscere denotino la salubrit`a dell’aria o il sopraggiungere di una pestilenza. Fortunato mortale, a cui, ne sono sicuro, non manco` mai la voglia di scherzare! E` mai possibile che un tale uomo si sia divertito a spacciare sciocchezze cosı` grosse, fino al punto da non vedere che quella asserzione sarebbe stata verosimile soltanto se le viscere di tutti gli animali avessero assunto contemporaneamente lo stesso aspetto e lo stesso colore? [Seguono altre obiezioni.] (32) Ma ammettiamo pure che quelle asserzioni di Democrito siano vere: quando mai noi investighiamo quelle cose 867 mediante le viscere?
864 Cioe ` nel caso di eventi lontani che non dipendono da chi sogna, dato che sogni fuori del normale (e non aventi principi solo interni a chi sogna) possono riguardarli (cfr. 1, 463b1 sgg.). 865 La posizione attribuita a Democrito e ` quella risultante da 111.3, e non pare che Cicerone creda per davvero che il filosofo la proponesse per prenderci in giro. (Cfr. S. TIMPANARO, Cicerone: Della divinazione, Milano 1988, n. 49 al passo.) 866 Il verso e ` tratto dall’Ifigenia di Ennio. 867 Manifestamente i fenomeni di cui si e ` parlato, aventi a che fare con l’agricoltura e con l’epidemiologia.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.I)
I. LA CONCEZIONE (ei[dwla)
DELLA DIVINIT A` , LE SUE FONTI E IL RUOLO DEGLI ‘IDOLI’
1. Gli ‘idoli’ e la loro funzione attiva (nei sogni ecc.), anche nel dare origine alla concezione della divinit`a 868 112.1. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX, § 19 (= 68 B 166; 472a Lu.): [Il passo fa parte di un’esposizione dei resoconti che i filosofi dogmatici danno della formazione delle nostre credenze circa la divinita`.] Democrito dice che certi idoli si accostano agli uomini e di questi alcuni sono produttori di bene e altri produttori di male, donde anche usava pregare 869 di incontrare ‘idoli favorevoli’. Questi {idoli} sono grandi e ‘supernaturali’ e difficilmente corruttibili, non pero` {del tutto} incorruttibili, ed essi predicono gli eventi futuri agli uomini come sono osservati ed emettono suoni. Di conseguenza, avendo una rappresentazione di questi stessi, gli antichi si fecero la concezione che c’e` la divinita`, non essendoci {in effetti} oltre a questi nessun altro dio che abbia natura immortale. [Seguito, a qualche distanza, come 128.1. Il seguito immediato e` dato da un passo aristotelico.] 870
112.1.1. T. Plutarco, De defectu oraculorum 17, 419A (om. DK; = 472a Lu.): [Contesto di discussione riguardante l’esistenza dei d`emoni, cui viene attribuito un ruolo importante nella divinazione.] Ma i de`moni malvagi, disse [sogg. Filippo],871 non fu solo Empedocle ad ammetterli, o Eracleone, ma anche Platone e Senocrate e Crisippo, e inoltre Democrito, nel pregare di incontrare ‘idoli favorevoli’, rendeva chiaro di conoscerne altri funesti che sono dotati di intenzioni e di impulsi cattivi.
112.1.2. V. Plutarco, Aemilius Paullus 1.4.1-5.1 (om. DK; 472a Lu.): [Dalla prefazione a questa vita e a quella di Timoleonte, parlando dell’utilita` che la storia volta alla biografia di uomini virtuosi ha nel combattere la debolezza e il vizio, viene suggerito che essa ci mette a contatto con essi quasi come se si abitasse e vivesse con essi, offrendoci dunque una buona frequentazione, ben diversa da quella di cui parla Democrito.] Democrito dice che bisogna pregare che si incontrino ‘idoli favorevoli’ e che da quanto ci circonda si presentino a noi quelli che sono confacenti alla nostra natura e utili anzi-
Sulla questione dell’origine delle credenze religiose cfr. XIII C. 3 (128.1-4). Cioe` fare voti, esprimere desideri (cfr. LSJ s.v. eujchv, e cfr. p. es. Platone, Repubblica VII, 540D; Aristotele, Politica II 1, 1260b29; inoltre cfr. 136.2 infra). 870 Il passo risale al perduto De philosophia (fr. 10 Rose, fr. 12a Ross) e prospetta la distinzione fra due fonti della credenza negli dei: (1) esperienze interne all’anima e (2) visione dei fenomeni celesti (ovvero anche meteorologici). A (1) corrisponde il contenuto di 112.1 e di 128.1, § 25; a (2) il contenuto di 128.1, §§ 24 e 26. (Cfr. anche Presentazione dei testi, sez. 25.) 871 Uno storico che e ` fra i parlanti del dialogo plutarcheo. 868 869
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.I)
che´ malvagi e nefasti; cosı` introduce nella filosofia un discorso non vero e atto a trascinarci a superstizioni senza fine.
112.2. T. Sesto, Adversus mathematicos IX, §§ 42-43 (om. DK; 42 = 472a Lu.): [Critica della posizione di Democrito, come era stata esposta al § 19 (= 112.1).] Democrito non e` degno di fede quando spiega cio` che e` meno controvertibile con cio` che lo e` di piu`. La natura ci offre molti e vari spunti per come gli uomini hanno acquistato una concezione degli dei; ma che, in quanto ci circonda, ci siano idoli ‘supernaturali’ e aventi figure di aspetto umano, e, in generale, finzioni del genere di quelle che Democrito ha voluto inventarsi per se stesso, e` del tutto inammissibile. (43) Le stesse cose e` possibile dirle contro Epicuro, il quale riteneva che gli dei sono concepiti secondo le rappresentazioni nel sonno di idoli antropomorfi; perch´e mai da queste si sarebbe generata una concezione degli dei piuttosto che di uomini supernaturali? [Seguono altre obiezioni, rivolte non solo contro coloro per i quali ‘‘l’origine della concezione del dio e` data dalle apparizioni nei sogni’’ ma anche contro coloro (talvolta gli stessi) che la ritengono suggerita dall’osservazione di quanto avviene nel mondo, soprattutto degli ordinati fenomeni celesti.] 872
112.3. T. Cicerone, De natura deorum II 30, 76 (om. DK; 472a Lu.): [Esposizione, con argomentazioni, dal punto di vista stoico e messa in bocca a Balbo, della tesi che il mondo e` governato da una provvidenza divina.] In primo luogo dunque o bisogna negare che gli dei esistono, che e` quanto in qualche maniera viene a negare Democrito riducendoli a simulacri ed Epicuro riducendoli ad immagini o, se si concede che gli dei esistono, bisogna dichiarare che essi compiono qualche cosa e qualche cosa di illustre; ma non c’e` niente di piu` illustre che governare il mondo, dunque esso e` governato da un disegno divino.
112.4. T. Cicerone, De natura deorum I 37, 105/ 38, 107 (om. DK; 470 Lu.): [Contro la tesi epicurea che ci facciamo una concezione degli dei mediante certe immagini, costituite di atomi, che colpiscono la mente. Fa parte del discorso di Cotta, che segue quello di Velleio, cfr. 114.1.] Cosı` dicevi [sogg.: Epicuro] dunque che la forma del dio e` percepita con la capacita` del pensare e non col senso, che essa non possiede alcuna solidit`a ne´ permanenza individuale, e che la visione di esso e` tale che si scorga per similitudine e per transizione,873 e
Per questa distinzione cfr. supra, n. 870. ‘‘eamque esse eius visione ut similitudine et transitione cernatur’’. C’e` un richiamo a I 19, 49: ‘‘{la natura degli dei e` tale} ut primum non sensu sed mente cernatur, nec soliditate quadam nec ad numerum ... sed imaginibus similitudine et transitione perceptis’’. Il significato di questo passo e` discusso, perche´ si puo` pensare che la forma del dio sia colta come una successione di immagini simili oppure che essa sia colta per analogia ed inferenza. Tutto sommato, credo, il confronto fra i due passi e la difficolta` ad intendere transitio nel senso di inferenza (mentre viene usato per il fluire delle immagini in I 39, 109) rende piu` plausibile la prima interpretazione. 872 873
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.I)
che l’accostarsi {a noi} delle {immagini} simili provenienti da corpi infiniti 874 non cessa mai, donde si verifica che la nostra mente, quando si concentra su di esse, ritiene che quella natura 875 sia beata ed eterna. (38) Ma, per gli dei stessi di cui parliamo, che vuol dire questo? Se essi hanno vigore soltanto per la nostra capacit`a del pensare e non possiedono alcuna solidita` n´e alcun rilievo, che differenza fa se pensiamo all’ippocentauro o {se pensiamo} al dio? In effetti ogni tale disposizione della mente gli altri filosofi la chiamano movimento inane {della mente},876 voi la chiamate arrivo e penetrazione di immagini nella mente. (106) Cosı`, quando mi sembra di vedere Tiberio Gracco mentre parla in Campidoglio e porta l’urna per la votazione relativa a Marco Ottavio, io quello lo chiamo movimento inane della mente, tu invece {dici che} le immagini di Gracco e di Ottavio permangono e che, una volta arrivato 877 al Campidoglio, siano trasmesse alla mia mente – lo stesso si verifica nel caso del dio: e` dalla sua immagine che le menti sono colpite ripetutamente, donde {gli dei} sono concepiti come beati ed eterni. (107) Supponi che ci siano queste immagini dalle quali sono colpite le menti: e` soltanto una certa apparenza 878 quella che sopraggiunge; perche´ dovrebbe essere beata e perch´e eterna? Ma che cosa sono queste vostre immagini o donde sono? Queste non sono altro che fantasie che vengono da Democrito; ma e lui e` stato criticato da molti, e voi non riuscite a trovare una via d’uscita, e tutta la teoria vacilla e zoppica. ...
112.5. T. Agostino, Ad Dioscorum epistula CXVIII, 27-28 (om. DK; 472a Lu.; 352 Us.): Quanto sarebbe stato meglio se di Democrito non avessi nemmeno udito il nome, per non dover pensare con dolore come ai suoi tempi fosse stato reputato cosı` gran sapiente, lui che credeva che gli dei fossero immagini che fluiscono dai corpi solidi, senza essere esse stesse solide, e che tali immagini vagando qua e l`a di moto ad esse proprio e penetrando nelle anime degli uomini, fanno sı` che la forza divina sia pensata; mentre sicuramente quel corpo dal quale fluisce l’immagine e` ritenuto tanto piu` eccellente quanto piu` e` solido. Percio` anch’egli fluttuo` e vacillo` nella sua opinione, come dicono costoro,879 in modo tale che talora diceva che Dio e` una certa natura dalla quale fluiscono le immagini, e che tuttavia non lo si puo` pensare se non mediante quelle immagini che effonde ed emana – quelle che cioe` da quella natura, che non so come egli possa ritenere corporea ed eterna e, per tanto, anche divina, sono prodotte quasi alla maniera di un vapore per una continua emanazione, fino a pervenire e a penetrare nelle nostre menti, cosı` che noi possiamo pensare Dio o gli dei. Costoro non credono che vi possa essere altra causa di ogni nostro pensiero se non il
Evidentemente: dagli atomi. Si intende: la natura divina. 876 motus inanis pare corrispondere in certo modo alle vuote affezioni (dei sensi) di cui parla Sesto in passi come Adv. math. VIII 184 (= 53.1) e 354 (= 53.3). 877 Pervenerim (come proposto da Pease sulla base dei codici deteriores) anziche ´ pervenerint (codd. principali), perche´ il verbo e` difficilmente applicabile alle immagini. 878 species, reso all’inizio (nel costrutto species dei) come ‘forma del dio’, e ` in effetti usato ambiguamente, e qui pare ridursi all’apparenza, rendendo presumibilmente il greco ei[dwlon, che poco sopra era stato reso invece con facies (mia trad.: immagine). 879 Con «costoro» egli pare voler richiamare coloro che, a suo giudizio (cfr. inizio del cap.), si prendono la briga futile di raccogliere opinioni false. In questo passo comunque, come mostra l’uso del verbo nutare, l’allusione e` specificamente a Cicerone, De natura deorum I 43, 120 (= 114.2). 874 875
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.I)
fatto che da quei corpi che sono oggetto del pensare vengono ed entrano immagini nelle nostre menti ... [seguono alcune critiche]. (28) Tuttavia si dice che Democrito, nelle questioni naturali, differisce da Epicuro anche in questo, che egli ritiene che nel concorso degli atomi sia presente una qualche forza animale e spirante, per la quale forza credo che dicesse che le immagini stesse sono dotate di divinita`, non {pero`} quelle di tutte le cose ma quelle degli dei; e che ci sono princı`pi della mente, cui attribuisce divinita`, in tutte le cose, e che siano immagini animate quelle che sono solite giovarci o nuocerci ...
112.6. T. Clemente, Stromata V xiii, 87, 3 (= 68 A 79; 472a Lu.): In generale dunque Senocrate di Calcedonia non manca di fiducia nella presenza della concezione del divino anche negli animali irrazionali; Democrito a sua volta, per quanto non lo voglia, consentira` con lui in quanto e` una conseguenza delle sue dottrine: fa sı` che gli stessi idoli, provenienti dalla sostanza divina, colpiscano gli uomini e gli animali 880 irrazionali.
2. Altre divinit`a? 113.1. T. Stobeo, Eclogae I 1, 29b(6-7) (6 = 68 A 74; om. Lu.): 881 (Che il dio e` il ‘demiurgo’ degli enti e governa il tutto con la ragione provvidenziale e di quale essenza sia) [Dopo la menzione di altri pensatori, fra i quali Talete che identificherebbe il dio con ‘l’intelletto del mondo’ (cfr. 11 A 23) e Anassagora che lo identificherebbe con l’intelletto che produce il mondo (cfr. 59 A 48).] Democrito {dice che} il dio e` un intelletto che risiede in un fuoco di forma sferica. (7) Diogene e Cleante e Enopide {dicono che il dio} e` l’anima del mondo.
113.1.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 6, 4 [con 113.1 = Aezio I 7, 16 (Dox. 302)]: (Chi e` il dio) [Dopo la menzione di Talete, che identificherebbe il dio con ‘l’intelletto del mondo’, e di Anassimandro, che identificherebbe gli dei con gli astri celesti 882 (cfr. 12 A 17).] Democrito {dice che} il dio e` un intelletto, {che} l’anima del mondo e` infuocata.883
Oppure: i viventi. Questa e le altre testimonianze dello stesso gruppo sono manifestamente non attendibili, ma risultano probabilmente da una conflazione fra piu` idee, come quella che l’anima e` costituita da atomi sferici come il fuoco e quella che essa coincide con l’intelletto, oppure risultano anche dall’attribuzione a Democrito di idee altrui (cfr. n. 883). 882 Con i cieli infiniti nella lezione adottata da Diels (in DK). 883 Forse ‘‘infuocato (ejmpuroeidev")’’ e ` un errore per ‘‘in un fuoco di forma sferica (ejn puri; sfairoeidei)’’ = (cfr. 113.1 e 113.1.2-3), ma l’errore piu` grave sta nell’omissione di ‘‘Diogene e Cleante e Enopide’’, ai quali si riferisce (come mostra il passo di Stobeo) la postulazione di un’anima del mondo (si veda inoltre 113.2). 880 881
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.I)
113.1.2. VP. Eusebio, Praeparatio evangelica XIV 16, 6 (3): Democrito {dice che} l’anima del mondo e` il dio che risiede in un fuoco di forma sferica.
113.1.3. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 35 (617.22, 618.11-12): (Sul dio) Democrito ritiene che l’anima del mondo sia un intelletto che risiede in un fuoco di forma sferica.
113.1.4. VP. Cirillo, Contra Julianum I 38, 545A (om. DK; Lu. p. 572; Dox. 302 n.): [Il passo fa parte di un’esposizione dossografica delle concezioni che i filosofi pagani avevano della divinita`.] Talete di Mileto dice che il dio e` l’intelletto del mondo, e Democrito concorda in qualche cosa ma aggiunge qualche cos’altro: assicura anche lui che il dio e` l’intelletto, eccetto che risiede in un fuoco di forma sferica, ed e` esso stesso l’anima del mondo.
113.2. T. Tertulliano, Ad nationes II 2 [97.9-14] (= 68 A 74; 594 comm. Lu.): [Il passo fa parte di una polemica contro le concezioni che i filosofi ed altri autori pagani avevano della divinita` ed offre una rassegna delle loro posizioni avendo in mente il genus physicum della teologia.] La maggior parte degli Egizi ammettono quattro dei, il sole e la luna, il cielo e la terra. Democrito suppone che gli dei abbiano avuto origine insieme alla rimanente parte del fuoco che e` in alto, il cui equivalente Zenone vuole che sia la natura.884 Donde anche Varrone fa del fuoco l’anima del mondo, cosı` che il fuoco, nel mondo, governa tutte le cose al modo in cui {lo fa} l’anima in noi.
3. L’accusa di incoerenza rivolta a Democrito 114.1. T. Cicerone, De natura deorum I 12, 29 (= 68 A 74; 472a Lu.): [Contesto: rassegna dossografica, facente parte del discorso di Velleio, che e` un epicureo.] Che dire di Democrito? Non si trova forse in errore grandissimo, egli che colloca nel novero degli dei ora le immagini che si aggirano,885 ora quella natura che le diffonde e le emette, ora il nostro {stesso} pensiero ed intelligenza? E quando egli afferma che non c’e` per nulla qualcosa di eterno, poiche´ nulla rimane sempre nel suo stato, non esclude forse la divinita` in modo tale da non lasciare piu` nessuna concezione di essa? 884 Natura = fuoco (ma non solo fuoco che e ` in alto) per Zenone, cfr. Cicerone, Nat. deorum II 22, 57 (= SVF I, 171), con n. di Pease ad loc. 885 Intendendo imagines eorumque circumitus come un’endiadi per imagines circumeuntes, cfr. A.S. PEASE (M.Tulli Ciceronis de natura deorum libri tres, Cambridge, Mass., 1955-58) ad loc.; Alfieri invece ritiene che circumitus indichi dei contorni senza spessore, cfr. Atomisti, p. 110, n. 268, e traduce come segue: ‘‘le immagini coi loro esili contorni’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XI.L)
114.2. T. Cicerone, De natura deorum I 43, 120 (= 68 A 74; XCVII e 472a Lu.): [Il passo rientra nel discorso antiepicureo di Cotta, cfr. 112.4.] Mi pare invero che anche Democrito, uomo fra i primi per grandezza, alle cui fonti Epicuro irrigo` il suo giardinetto, sia tentennante circa la natura degli dei. Infatti ora ritiene che ci siano nell’universo delle immagini dotate di divinit`a, ora afferma che sono dei i princı`pi della mente che si trovano nello stesso universo, ora {che lo sono} delle immagini animate che sono solite recarci beneficio o nocumento, ora delle immagini immense, anche al punto da abbracciare dal di fuori l’intero mondo. Tutte queste {opinioni} sono piu` degne della patria di Democrito 886 che di Democrito {stesso}. Chi puo` comprendere con la mente queste immagini, chi puo` ammirarle e ritenerle degne di culto e di venerazione?
L. L’ENTUSIASMO
POETICO
115.1. T. Cicerone, De divinatione I 37, 80 (= 68 B 17; 574 Lu.): [Si parla dell’esaltazione, come quella della Pizia e quella bacchica, che rende possibile la divinazione.] E anche quell’esaltazione rende evidente che nell’anima c’`e una forza divina. Democrito, in effetti, esclude che uno possa essere un grande poeta senza follia, e la stessa cosa dice Platone. La chiami pure follia, se vuole, purch´e tale follia venga lodata come nel Fedro di Platone.887
115.2. T. Cicerone, De oratore II 46, 194 (= 68 B 17; 574 Lu.): Ho spesso sentito dire che nessun buon poeta – dicono che e` quanto hanno tramandato in scritti Democrito e Platone – possa esistere senza un’infiammazione dell’animo e senza una certa ispirazione come di follia.
115.3. T. Orazio, De arte poetica, vv. 295-298 (= 68 B 17; 574 Lu.): Poiche´ Democrito ritiene che sia piu` favorito dalla fortuna il genio che non la povera arte ed esclude dall’Elicona i poeti sani {di mente}, una buona parte {dei poeti} non si cura ne´ delle unghie ne´ della barba e va in cerca di posti nascosti, evitando i bagni.
115.4. T + F. Clemente, Stromata VI xviii, 168, 1-3 (= 68 B 18; 574 Lu.): [Nel contesto viene fatto un confronto fra sapienza cristiana e sapienza greca, per affermare la superiorit`a della prima anche perche´ e` ispirata dai profeti.]
Gli abitanti di Abdera avevano fama di stoltezza. Timpanaro ritiene che il parlante, Quinto, si rivolga a Platone, e pertanto vuole espungere «di Platone» (cfr. sua n. 216 al passo), ma mi pare piu` naturale ritenere che egli si rivolga a Democrito. 886 887
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.A)
Inoltre riguardo alla poetica Platone scrive: ‘‘Il poeta e` una cosa lieve e sacra, ed incapace di poetare, se prima non diventi ispirato dal dio e fuori di senno’’; 888 (2) e allo stesso modo Democrito {dice}: ‘‘tutto quanto il poeta scrive con entusiasmo e afflato divino 889 e` bello assai’’. (3) Noi sappiamo quali sono le cose che i poeti dicono. Ma chi non ammirera` i profeti del dio onnipotente, che diventano gli strumenti della voce divina?
115.5. T + F. Dione, Oratio LIII De Homero (36.1) (= 68 B 21; 816 Lu.): [Il passo e` l’inizio di un’orazione nella quale sono menzionati autori che avevano espresso ammirazione per Omero.] Democrito si esprime a questo modo circa Omero: ‘‘Omero, avendo avuto in sorte una natura divina, ha creato un insieme ordinato di versi di ogni genere’’, come se non fosse possibile produrre parole cosı` belle e sagge senza una natura divina e demonica.
XII. RESOCONTO A. LA
DELLA PERCEZIONE MEDIANTE I SENSI E DEI SENSIBILI
PERCEZIONE MEDIANTE I SENSI
1. Generalit`a 116.1. TN. Teofrasto, De sensibus, §§ 1-2: Circa la percezione sensibile le opinioni svariate e generali 890 {che ci sono} sono {in effetti} due: alcuni {la} producono mediante il simile, gli altri mediante il contrario. Parmenide ed Empedocle e Platone {lo fanno} mediante il simile, Anassagora, Eraclito e i loro mediante il contrario. I primi hanno tratto persuasivita` {dal fatto} che le altre cose, nella maggior parte dei casi, si contemplano mediante la similarita` e perche´ e` congenito a tutti gli animali riconoscere i loro congeneri, e, ancora, in quanto il percepire avviene mediante l’efflusso, ed e` il simile che si porta verso il simile. (2) Gli altri, ammettendo che la percezione sensibile si verifica con un’alterazione 891 e che il simile non subisce {azioni} dal simile, ma e` il contrario che subisce {dal contrario}, hanno dato il loro parere a favore di questa {altra posizione}. Ritengono che una conferma stia in quanto avviene nel caso del tatto: cio` che e` altrettanto caldo o altrettanto freddo che la {nostra} carne non produce sensazione. Queste sono le opinioni che ci sono state tramandate circa la percezione sensibile nella sua generalit`a; quanto a ciascuno {dei sensi} particolari gli altri {pensatori} li hanno piu` o meno trascurati,892 ma Empedocle ha cercato di riportare anche questi alla similarit`a. [Segue sez. su Parmenide.]
Cfr. Ione 534B: Clemente omette ‘‘alata’’ e introduce qualche leggera variazione terminologica. L’espressione iJero;n pneuma = deve essere di Clemente, secondo un sospetto gia` espresso da Zeller (PGGE I 2, p. 1164, n. 2) e confermato da Fronmu¨ller (Demokrit, pp. 21-22). 890 Si intende: che rendono conto della percezione sensibile in generale, e non nel caso di questo o quello dei sensi particolari (cfr. conclusione del passo). 891 Letteralm.: nell’alterazione. 892 Pare che si debba intendere: li hanno trascurati riguardo alla questione se operino mediante 888 889
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.A)
116.2. T. Teofrasto, De sensibus, § 49 (= 68 A 135; 317 Lu.): Democrito non precisa, circa la percezione sensibile, se e` per i contrari o per i simili. Infatti: dal momento che rende il percepire un alterarsi,893 sembrerebbe che sia per i differenti, giacche´ il simile non e` alterato dal simile; dal momento che, d’altra parte, {rende} il percepire e, in genere, l’alterarsi un patire, e pero` e` impossibile (egli dice) che cio` che non e` identico {all’agente} patisca, ma, per quanto siano differenti, {inter-}agiscono non in quanto differenti ma in quanto sussiste {in essi} qualcosa di identico, {sembrerebbe che sia} per i simili.894 Percio`, su queste questioni, si puo` intenderlo in entrambi i modi. Quanto a ciascuna di queste {facolta` sensibili}, cerca di discuterne partitamente.
116.3. T. Stobeo, Eclogae, I 50, 22 (= 28 A 47; 437 Lu.) (Sulla percezione sensibile e sui sensibili e se le sensazioni siano vere) Parmenide, Empedocle, Anassagora, Democrito, Epicuro, Eraclide {dicono che} le sensazioni particolari si verificano per via della ‘simmetria dei pori’, con l’adattarsi di ciascun sensibile proprio a ciascuna {facolta` sensibile corrispondente}.
116.3.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 9, 3 (insieme a 116.3 = Aezio IV 9, 6 [Dox. 397]): (Se le sensazioni e le rappresentazioni siano vere) & Stesso testo di 116.3 (salvo una piccola variazione), ma sono fatti solo i nomi di Empedocle e di Eraclide.
2. Il meccanismo fisico della visione 117.1. T + C. Teofrasto, De sensibus, §§ 50-55 [di seguito a 116.2] (= 68 A 135; 478 Lu.): Il vedere egli [scil. Democrito] lo produce mediante il riflesso, del quale offre un resoconto peculiare. Il riflesso non si genera immediatamente nella pupilla, ma l’aria che c’e` di mezzo fra l’organo della vista e cio` che e` veduto riceve un’impronta nel contrarsi sotto l’azione di cio` che e` veduto e del vedente; 895 da ogni cosa infatti si genera sempre qualche il simile o mediante il contrario (dato il tenore del cenno immediatamente seguente su Empedocle e dato che il seguito contiene un’esposizione dei loro resoconti dettagliati). 893 Diels (in Dox. e in DK), seguito da Luria, adotta una integrazione di Camotius, ripresa da Schneider (ma non da F. WIMMER, Theophrasti Opera quae supersunt omnia, Paris 1866), che richiederebbe la seguente traduzione: ‘‘dal momento che produce (o rende conto del) percepire mediante lo (tw/=) alterarsi’’; allo stesso modo anche piu` sotto (‘‘produce il percepire ... mediante il (tw)/= patire’’). Tale costrutto compare sı` all’inizio di 116.1 (§ 1), ma in relazione al simile e al contrario, e Aristotele, che viene seguito da Teofrasto su questa questione, tratta la percezione senz’altro come un’alterazione (cfr. De anima II 5, 416b34-35 e De insomniis 2, 459b4-5) e il percepire senz’altro come un patire (De anima II 11, 423b30-31). 894 Per questo periodo, a partire da ‘‘ma, per quanto differenti’’, adotto una correzione del Diels che e` una semplificatione di una gia` proposta da J.F.W. BURCHARD (De sensibus... fragmenta, Minden 1830, pp. 5-6) e che e` suggerita dal passo aristotelico di De generatione et corruptione I 7, 323b13 sgg. (= 62.4). ` la traduzione di Wimmer e di Tannery, difesa da W. BURKERT, «Illinois Classical Studies», 895 E II, 1977, p. 100 («contrarsi» ha il senso di decrescere, di diventare piu` piccolo); secondo Stratton, op.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.A)
efflusso. Poi questa {aria impressa}, essendo solida e di un colore mutato,896 si riflette negli occhi {, che sono} umidi.897 E il denso non recepisce, mentre l’umido fa penetrare. Percio` gli occhi umidi 898 sono migliori per vedere che quelli duri, purch´e la tunica esteriore sia quanto mai sottile e compatta,899 e le {parti} interne siano quanto mai spugnose e prive di carne compatta e resistente, inoltre {prive} di umore denso e grasso, e le vene connesse agli occhi siano dritte e senza umori, in modo da uniformarsi a quanto si imprime. Ciascuno infatti conosce meglio cio` che gli e` affine. (51) Ora, in primo luogo, questo improntarsi nell’aria e` un’assurdita`, perch´e cio` che riceve l’impronta deve possedere compattezza e non ‘sminuzzarsi’, come lo dice anche lui col suo paragone, {secondo il quale} ‘l’impronta e` tale quale sarebbe se la si plasmasse nella cera’.900 In secondo luogo, sarebbe ancora piu` possibile che si formasse un’impronta nell’acqua {che nell’aria}, in quanto e` piu` densa; tuttavia ci si vede di meno, benche´ ci si aspetterebbe 901 {di vedere} di piu`. In generale, dal momento che egli ammette un efflusso della forma {del corpo}, come nelle sue {discussioni} sulle forme,902 che bisogno c’e` di ammettere l’impronta? Sono questi simulacri stessi a riflettersi. (52) Anche qualora questo [cioe` l’improntarsi] si verificasse e l’aria fosse plasmata come cera che e` premuta e compressa, in che modo si genera il riflesso, e qual e` il suo ca-
cit., e W.K.C. GUTHRIE (HGP II, p. 443) si dovrebbe tradurre cosı`: ‘‘riceve un’impronta nell’essere compressa da cio` che e` veduto e dal vedente’’, ma questa non e` la resa piu` naturale di sustellovmenon (peraltro la differenza e` abbastanza sottile, perche´ la compressione normalmente si traduce in una contrazione); J.I. BEARE (Greek Theories of Elementary Cognition, Oxford 1906, p. 26) adotta una correzione (suggerita da Diels in Dox.) del successivo kai; in kata; e rende – piuttosto liberamente – come segue: ‘‘but the air between object and eye is impressed with a sort of stamp while being dispatched in a compact form from the object to the organ’’. 896 Intendo: di un colore reso diverso dagli oggetti (cfr. fine § 54, e n. 906). Cosı` pare avere gia ` inteso Burchard (cfr. sua trad. in De sensibus...fragmenta, pp. 27-28) e intende ora P.-M. MOREL, De´mocrite et la recherche des causes, Paris 1996, p. 225 e n. 173. Invece Stratton, nella sua trad., seguito da Sassi, op. cit., p. 101, assumendo una prossimita` alla posizione attribuita ad Anassagora (cfr. De sensibus, § 27 [= 59 A 92]), intendono: di un colore diverso da quello della pupilla. Ma ajllovcrwn pare significare ‘di colore mutato’, non semplicemente ‘di colore diverso’, cfr. LSJ s.v. (con riferimento ad Euripide, Hippolytus v. 175). 897 Oppure: nell’umidita ` degli occhi (traduzione piu` naturale adottando una integrazione di H. Gomperz). 898 uJgrov" ha anche il senso di ‘molle’ o ‘cedevole’, oltre che di ‘fluido’, donde l’opposizione istituita nel seguito immediato con gli occhi duri (la durezza in effetti e` frequentemente associata alla secchezza). 899 Forse c’e ` un errore, come (dopo K. VON FRITZ, Grundprobleme der Geschichte der antiken Wissenschaft, Berlin 1971, p. 610, n. 41) sostiene Burkert, art. cit., p. 101, n. 23, il quale tenta una correzione (stilpnovtato" = particolarmente lucida), ma forse c’e` effettivamente un’opposizione fra la tunica e l’interno dell’occhio, che e` detto essere privo di compattezza e che quindi deve essere tenuto insieme da una tunica dotata di compattezza. 900 Come Diels e Stratton, adotto una correzione di Burchard (De sensibus ...fragmenta, p. 11): khrovn invece di sklhrovn, che e` suggerita da quanto troviamo all’inizio del § 52. 901 Si intende: in base a quel resoconto. 902 Probabile riferimento al titolo di un’opera di Democrito, anche se la formula esatta qui usata: peri; tw=n eijdw=n non risulta nel catalogo o negli altri riferimenti di autori antichi. I titoli piu` prossimi sono peri; iJdew=n (cfr. Sesto in 60.1, § 137) e peri; eijdwvlwn (cfr. il catalogo in 0.6.1, titolo VI.2). Peraltro, quanto al primo titolo, gli atomi sono chiamati ijdevai e non ei[dh nelle testimonianze di Plutarco e di altri, mentre proporre l’altro titolo richiede l’ammissione di una corruzione del nostro testo (Schneider voleva in effetti correggerlo in peri; eijdwvlwn).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.A)
rattere? E` chiaro che, come negli altri casi, l’impronta sar`a di faccia all’oggetto visto. Ma, se e` cosı`, e` impossibile che si generi un riflesso da quanto e` di fronte, senza che l’impronta sia invertita; e bisognerebbe mostrare ad opera di che cosa avr`a luogo questo [cioe` l’invertirsi] e in che modo, giacche´ non e` possibile altrimenti che il vedere si verifichi. Ancora, quando si vedono piu` oggetti in uno stesso luogo, com’`e che ci saranno piu` impronte nella stessa aria? E, di nuovo, com’e` possibile vedersi l’un l’altro? Inevitabilmente le impronte si scontrerebbero, dal momento che ciascuno sarebbe di faccia {alla persona} 903 da cui proviene {l’impronta}. Sicche´ questo richiederebbe un’indagine. (53) Inoltre, perche´ mai ciascuno {di noi} non vede se stesso? le impronte dovrebbero riflettersi sui nostri occhi come {si riflettono} su quelli dei vicini, specialmente se essi ci stanno direttamente in faccia e si verifica la stessa affezione che nel caso dell’eco; dice infatti che il suono si rifrange anche verso colui che l’ha emesso. E, in generale, l’improntarsi dell’aria e` assurdo. E` necessario, sulla base di quanto dice, che tutti i corpi producano impronte e che molte si incrocino,904 cosa che sarebbe di ostacolo alla vista e anche altrimenti non ragionevole. Ancora, se l’improntarsi perdura anche quando i corpi non sono manifesti o non sono prossimi, si dovrebbe vederli, se non anche di notte, almeno di giorno; e tuttavia e` plausibile {ammettere che} le impronte permangano non di meno di notte, in quanto l’aria e` piu` fresca. (54) Ma forse e` il sole, e {insieme} la luce, che produce il riflesso, come trasmettendolo all’organo della vista, come egli pare voler sostenere.905 Perche´ e` assurdo {ritenere che} il sole respingendo l’aria e scuotendola la rende densa, come egli afferma: piuttosto esso, per sua natura, la disperde. Assurdo e` pure far partecipare della percezione {visiva} non solo gli occhi ma anche il resto del corpo. Dichiara infatti che e` per questo che l’occhio deve avere del vuoto e dell’umidita`, affinche´ {cioe`} esso sia particolarmente ricettivo e trasmetta {quanto ha recepito} al resto del corpo. Ed e` irrazionale affermare che si vedono al meglio le cose affini, ma far produrre il riflesso da cose di colore mutato,906 come se i simili non potessero riflettersi.907 Quanto alle grandezze e alle distanze, in che modo esse si rifletta-
903 P. TANNERY (Pour l’histoire ...), G.M. STRATTON (De sensibus) e R.W. BALDES («Phronesis», 1975, pp. 93-105), intendono tutti il passo al modo seguente: ‘dal momento che ciascuna {impronta} sarebbe di faccia {all’oggetto} ....’; analogamente all’inizio del § 53 si ritiene che siano le impronte a starci direttamente in faccia. L’esempio ivi aggiunto dell’eco favorisce – leggermente – la mia trad., in quanto ci si aspetta che ci sia un oggetto che respinga il suono verso chi l’ha emesso e che pertanto e` ‘‘di faccia’’ a lui; e` vero d’altra parte che l’ ‘‘essere di faccia’’ e` stato precedentemente applicato all’impronta. 904 Adotto la correzione di J.B. MC DIARMID («Hermes», 1958, p. 292, ripresa da Burkert, art. cit., p. 101, n. 25): ejpallavttein, al posto di ejnallavttein; Stratton conserva la lezione dei codd. e rende come segue: ‘‘and that great numbers of them [scil. dei corpi] are sending {their impressions} across one another’s path’’, che e` una traduzione piuttosto libera; Tannery lo rende come segue: ‘‘avec des changements continuels’’. 905 Seguo il testo dei codd., che e ` stato difeso da Burkert, art. cit., pp. 100-101 con n. 20, intendendo ‘‘la luce’’ come soggetto insieme a ‘‘il sole’’ (la sua menzione potrebbe essere, come propone Burkert, un afterthought suggerito dalla considerazione che il sole non e` l’unica sorgente di luce). Adottando il testo corretto dal Diels in Vors. (e in DK), come fa Stratton, si avrebbe la seguente traduzione: ‘‘Ma forse il riflesso e` provocato dal sole che trasmette la luce nella forma di raggi ...’’. 906 Di per se ´ e` l’aria che e` di colore mutato (cfr. sopra, § 50, e n. 896), ma Teofrasto e` indotto ad usare il plurale perche´ sono gli oggetti (ovvero gli efflussi che essi emettono) che rendono diverso il colore dell’aria. 907 Oppure: ‘‘in quanto i simili non possono riflettersi’’.
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no, per quanto cerchi di discuterne non riesce a renderne conto. (55) Pur volendo dunque dire qualcosa di peculiare circa la vista, ha lasciato ben di piu` da indagare.
117.1.1. A. Epicuro, Epistula ad Herodotum, § 49.1-6 (om. DK; = 478 Lu.): Si deve anche ritenere che e` per il sopraggiungere e penetrare di qualcosa dalle cose esterne che noi vediamo le {loro} forme e pensiamo. Le cose esterne infatti non potrebbero imprimere la loro natura riguardo al colore e alla forma mediante l’aria che si trova in mezzo fra noi e quelle,908 e neppure mediante raggi o qualsivoglia efflussi che vadano da noi verso quelle cose ...
117.2. T. Aristotele, De sensu 2, 438a5-17 (a5-7 e 9-12 = 68 A 121; 477 Lu.): [Sul funzionamento degli organi del senso, con attenzione per l’occhio, considerando la correlazione stabilita dai suoi predecessori fra questi organi e i quattro elementi.] Democrito ha ragione nel dire che {cio` con cui vediamo} e` acqua, non l’ha piu` nel ritenere che il vedere sta nel riflesso. Questo [scil. il vedere] si verifica perch´e l’occhio e` liscio, ed esso esiste non in quello [scil. nell’occhio] ma nel vedente, giacche´ l’affezione e` una riflessione. Ma, come sembra, non c’era in generale niente di chiaro circa quanto si riflette e circa la riflessione.909 Ed e` strano che egli non sia arrivato a domandarsi perche´ sia solo l’occhio a vedere e nessun altro oggetto {lo faccia} in cui si riflettono i simulacri. (12) Che l’organo della vista sia di acqua e` vero, tuttavia il vedere non consegue {per esso} in quanto acqua ma in quanto e` trasparente – il che e` comune anche all’aria. Ma l’acqua e` piu` stabile e contenuta dell’aria, percio` la pupilla e l’occhio sono di acqua, e questo e` reso chiaro dagli stessi dati di fatto ...
117.2.1. T. Alessandro, In De sensu 2 (437a17 sgg.), 15.5-7 (om. DK e Lu.): Eccetto che {nel ricorrere ad uno dei quattro elementi per ciascuno dei sensi}, egli [scil. Aristotele] dice, tutti producono la vista a partire dal fuoco, sia quelli che riportano gli organi di senso agli elementi sia quelli che si esprimono altrimenti al proposito; in effetti tutti dicono senz’altro che {la vista o l’occhio} e` di fuoco, Democrito invece che e` {prodotta} dall’acqua.
117.2.2. T o E. Alessandro, In De sensu 2 (438a5), 24.12-22 (24.14-21 = 67 A 29; 477 Lu.): Avendo egli [scil. Aristotele] polemizzato con coloro che derivano la vista dal fuoco si e` rivolto all’opinione di Democrito, e loda il fatto che egli dice che la vista e` dall’acqua,910 908 Che la teoria criticata in questo brano sia quella di Democrito e ` ammesso da piu` studiosi (p. es. P. VON DER MU¨ HLL, Epicurus: Epistulae tres et ratae sententiae, Leipzig 1922, ad loc., C. BAILEY, ´ GAE, p. 406, e M. CONCHE, Epicure: Lettres et Maximes, Paris 1987, p. 137, n. 1). 909 La ‘riflessione’ (ajnavklasi") e ` la proiezione indietro o conversione dell’immagine dell’oggetto, il riflesso (e[mfasi") e` questa immagine stessa (cfr. p. es. 117.2.2 per una definizione, 117.6-7 riguardanti il riflesso negli specchi, inoltre Arist. Meteor. III 2-3). 910 Ovvero: ‘‘l’organo della vista (o[yin) e ` costituito dall’acqua’’, ma ci deve essere un’ambiguita` del greco, perche´ si parla sia della costituzione fisica dell’occhio sia di come si verifica il vedere. Peraltro lo stesso termine ricorre in Aristotele (117.2) e nello stesso Alessandro (117.2.2) con il senso dell’organo piuttosto che della capacita` del vedere, perche´ si puo` anche dire che la vista risulta dal-
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ma non accetta la maniera in cui dice che si verifica il vedere. Dice infatti Democrito che il vedere e` il recepire il riflesso che viene dalle cose che vediamo. Il riflesso e` la forma che si riflette nella pupilla, allo stesso modo come {avviene} anche negli altri {corpi} trasparenti che siano capaci di conservare il riflesso su di se´. (18) Ed egli ritiene, e gia` prima di lui Leucippo, e dopo di lui Epicuro e i suoi, che certi simulacri che effluiscono, simili di forma agli oggetti da cui effluiscono (questi sono appunto le cose viste), colpiscono gli occhi di quelli che vedono, e che a questo modo si verifica il vedere. E adduce a prova l’esserci sempre, sulla pupilla dei vedenti, il riflesso e il simulacro della cosa vista, il che e` proprio il vedere.
117.2.3. E. Alessandro, In De sensu 2 (438a12), 26.10-15: Dice [sogg.: Aristotele] che e` vero quanto e` detto da Democrito, {cio`e} che l’organo della vista e` di acqua; ma non e` perche´ e` acqua e da acqua che esso vede, ma in quanto all’acqua e` capitato 911 di essere trasparente: il vedere ha luogo attraverso il trasparente, pertanto ha luogo anche attraverso l’acqua, giacch´e anche questa e` trasparente. Nel seguito egli aggiunge la causa per la quale, dovendo essere trasparente cio` mediante cui vediamo, e pur essendo trasparente l’aria non meno dell’acqua, l’occhio e` di acqua.
117.3. TN. Aristotele, De sensu 3, 440a15-20 (om. DK; = 483 Lu.): [Sulla natura del colore e sulle sue specie.] Dire tuttavia, come fanno i {pensatori} antichi, che il colore e` un efflusso e che si vede per questa causa, e` un’assurdita`. In effetti per essi e` necessario comunque produrre la sensazione mediante il contatto, sicche´ sarebbe meglio dire direttamente che la sensazione si verifica perch´e il mezzo della sensazione e` messo in movimento dal {l’oggetto} sensibile, {cioe`} per contatto e non per gli efflussi.912
117.3.1. T. Alessandro, In De sensu 3 (440a15), 56.8-16 (12-15 = 67 A 29; 477 e 483 Lu.): Avendo esposto le due opinioni, secondo le quali le rappresentazioni della maggior parte dei colori si generano per una mescolanza degli opposti, cioe` di bianco e di nero,913 ... { c’era una dottrina circa il vedere proposta precedentemente dagli antichi, e cioe` che il vedere si genera per l’efflusso proveniente dalle cose viste. Adducono infatti come causa del vedere certi simulacri simili di forma agli oggetti visti che emanano continuamente da essi e che colpiscono l’organo della vista. Erano di tale opinione Leucippo, Democrito e i
l’acqua ma non che essa e` di acqua; inoltre Alessandro pare voler tener distinto il vedere (to; oJra=n) dall’o[yi", che dunque puo` essere solo l’occhio. 911 Cioe ` ha la proprieta` (che potrebbe anche non avere). 912 Adottando una lezione differente (favorita da G. ROMEYER DHERBEY , La construction de la the´orie aristote´licienne du sentir, in Corps et aˆme, Paris 1996, p. 139) si dovrebbe tradurre: «la sensazione si verifica perche´ ..., piuttosto che per contatto e per gli efflussi», ma questa e` un’esposizione della posizione dello stesso Aristotele e non di quella che per essi sarebbe meglio (per coerenza) adottare. 913 Alessandro fa riferimento ai due resoconti della formazione dei colori differenti da bianco e nero che sono esposti da Aristotele in De sensu 3, 439b14-440a15 (cioe` nel passo immediatamente precedente a 117.3).
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loro, i quali facevano anche derivare la rappresentazione dei colori intermedi dalla giustapposizione di cose invisibili per la loro piccolezza. (15) Ma anche Empedocle dice che il vedere si verifica a questo modo, come egli [scil. Aristotele] aveva esposto poco prima.914 [Nel seguito ci sono delle obiezioni alla teoria, cfr. 117.9 e 118.1.]
117.4. T. Stobeo, Eclogae I 52, 1 [483.7-11] (483.7-8 = 67 A 29; 469 Lu.): 915 (Sulla vista e sui riflessi speculari) *Leucippo, Democrito, Epicuro ritengono che l’affezione visiva si verifichi per la penetrazione di simulacri* e per la separazione di certi raggi che, dopo l’impatto {che hanno} con il sostrato [scil. l’oggetto visto], sono volti indietro alla vista.916
117.4.1. VA. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 13, 1 (insieme a 117.4 = Aezio IV 13, 1 [Dox. 403]): (Sulla vista, come vediamo) & Stesso testo di 117.4, ma col seguente inizio: ‘‘Democrito, Epicuro ritenevano che’’.
117.4.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 94 (636.19-22): (Su come vediamo) *Democrito ed Epicuro ritengono che il vedere si verifichi per la penetrazione di simulacri*; altri {ritengono che si verifichi} per l’effusione di raggi, dopo l’impatto {che hanno} con l’oggetto che sta davanti essendosi rivolta indietro la vista.917
117.4.3. T. Stobeo, Eclogae I 52, 10 (= Aezio IV 13, 2b [Dox. 403]): (Sulla vista e sui riflessi speculari) Alcuni degli Accademici {ritengono che il vedere si verifichi} per l’effusione di raggi che, dopo l’impatto {che hanno} con il sostrato [scil. l’oggetto visto], sono volti indietro alla vista.
117.5. T. Macrobio, Saturnales VII 14, 3-4 (om. DK; = 471 Lu.; 319 Us.): Invero la natura stessa del vedere esamino` in modo non sciocco Epicuro, il cui parere al proposito non e` , io ritengo, da rigettare – {`e un parere che} ha soprattutto in Democrito il suo garante: come in altri, anche su questo punto adottarono la stessa concezione. (4)
Il riferimento e` a De sensu 2, 438a4-5. L’estensione della parte del passo che espone la posizione degli atomisti si lascia desumere dal confronto con la variante in Ps.-Galeno (cfr. 117.4.2): l’introduzione di un nuovo soggetto (‘‘altri’’) che viene omesso in Stobeo e in ps.-Plutarco rende evidente che la parte rimanente espone una posizione differente; l’ulteriore passo di Stobeo che riporto come 117.4.3 fa risalire tale posizione ad ‘‘alcuni degli Accademici’’ (evidentemente in Stobeo c’e` una ripetizione, forse favorita dal titolo del cap.). Nelle raccolte di Diels-Kranz e di Luria viene citata solo la parte del passo che riguarda gli atomisti. (Sulla questione cfr. anche supra, Introduzione, con supplemento (III); inoltre MansfeldRunia, Aetiana, p. 193.). 916 Oppure: ‘‘all’occhio {che li emette}’’. 917 Pare esserci stata una deformazione di quanto troviamo nelle testimonianze parallele, oppure la vista in questo passo viene fatta coincidere con la trasmissione dei raggi emessi dall’occhio. 914 915
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Dunque Epicuro ritiene che da tutti i corpi siano emanati, con un flusso continuo, certi simulacri e che non intervenga mai la piu` piccola interruzione a impedire che queste spoglie dei corpi si spostino spontaneamente, formando per coesione una figura vuota.918 I loro ricettacoli sono nei nostri occhi, e pertanto esse si muovono rapidamente alla sede, stabilita dalla natura, del senso che e` loro proprio.
117.5.1. I. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 225-29, 237-243: Tanto e` vero che da tutte le cose in flusso continuo ogni cosa | procede e si diffonde da ogni parte in tutte le direzioni, | ne´ tregua n´e riposo mai si interpone al fluire; | infatti sentiamo di continuo, e tutte le cose sempre | ci e` dato di vedere, odorare e udir suonare. (237) E` dunque evidente che nelle immagini e` la causa | della visione, e che senza di esse nessuna cosa puo` essere veduta. | Ora, quei simulacri [= immagini] delle cose che io dico si muovono | da ogni lato e sono lanciati e diffusi in tutti i sensi. | Ma poiche´ siamo in grado di scorgerli soltanto con gli occhi, | per questo avviene che, dovunque volgiamo lo sguardo, tutte | le cose lo colpiscono con la forma e il colore. [Seguito come 118.2]
3. Un’applicazione della teoria: i riflessi negli specchi 117.6. T. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 14, 2: (Sui riflessi speculari) Democrito, Epicuro {dicono che} i riflessi negli specchi si generano per le fermate 919 dei simulacri, i quali si spostano a partire da noi e sono raccolti sullo specchio con una conversione.
117.6.1. VA. Stobeo, Eclogae I 52, 15 (= 67 A 31; 479 Lu.; 320 Us.) [insieme a 117.6 = Aezio IV 14, 2 (Dox. 405)]: (Sulla vista e sui riflessi speculari) Leucippo, Democrito ed Epicuro {dicono che} i riflessi negli specchi si generano per le fermate 920 dei simulacri ... [= 117.6].
117.6.2. VP. Ps.-Galeno, Historia philosopha 95 (636.27-637.2): (Sugli specchi) Democrito ed Epicuro {dicono che} i riflessi negli specchi si generano per le fermate dei simulacri ... [= 117.6].
117.7. Papyrus Oxyrhynchus 1609, vol. XIII, p. 95 s. (recto, col. II, ll. 9-21) (= 31 B 109a; 427 Lu.): [Breve frammento, riportato per intero nella traduzione che segue.] ` probabile che l’autore, in maniera piuttosto confusa, parlando di ‘figura vuota’ intenda 918 E semplicemente alludere alla particolare tenuita` e leggerezza dei simulacri. 919 Adotto la correzione di uJpostavsei" in ejpistavsei" che e ` suggerita dal passo parallelo di Ps.Galeno. E` poco plausibile la difesa della lezione tradita proposta in LSJ s.v. uJpovstasi" (B.III.2). 920 Come nella nota precedente. Oppure: gli impatti (ejnstavsei")? (Correzione proposta da Meineke e adottata da Diels in DK e da Luria.)
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... ed essa [scil. l’immagine] pare manifestarsi ivi, giacch´e non e` sullo stesso specchio che si lascia vedere, ma {cio` che si lascia vedere e`} la riflessione ritornante all’osservatore. Di queste questioni si parla nel {mio} commento al Timeo.921 Non la si deve intendere come un simulacro, quale quello secondo Democrito o Epicuro, o come Empedocle, il quale direbbe che provengono efflussi da ciascun oggetto che si riflette nello specchio ...
4. Obiezioni alla teoria democritea 117.8. Plotino, Enneades IV 5, 3.26-36: Un’altra prova che si puo` addurre del fatto che non e` perch´e il mezzo patisce che si verifica il vedere e` la seguente: se il {mezzo} dell’aria patisse, patirebbe necessariamente alla maniera di un corpo, e questo e` come se, per esempio, si generasse un’impronta nella cera. Allora per ciascuna parte {dell’aria} 922 si imprimerebbe una parte dell’oggetto visibile, sicche´ la parte {dell’aria} che e` a contatto con l’occhio riceverebbe, dell’oggetto visibile, una parte tanto grande quanto la parte che la pupilla riceverebbe secondo le sue dimensioni. Ora e` l’oggetto intero che viene visto, e lo vedono tutti quanti si trovano nell’aria {circostante ad esso}, sia trovandosi di fronte sia in posizione obliqua, sia da vicino sia da lontano, purch´e non ostacolati nella visione; sicch´e ciascuna parte dell’aria contiene l’intero oggetto visto, un volto per esempio ...
117.9. Alessandro, In De sensu 3 (440a15 [= 117.3]), 58.1-7: Com’e` che l’occhio discrimina la grandezza e la figura dell’oggetto visto, nel recepire una parte del simulacro in movimento corrispondente alla grandezza della pupilla? Anche se recepisse molte volte e molte cose,923 in che modo e perche´ recepira` una parte differente del simulacro in tempi differenti, anziche´ sempre la stessa, anche ad intervalli? E anche se recepisse ogni volta la parte accosta {all’altra}, che composizione di queste {parti} ci puo` essere nell’occhio, di modo che si abbia l’impressione di avere visto un teatro o una nave mediante parti cosı` piccole che colpiscono {l’occhio} a partire dal simulacro da esse trasportato?
5. Il ruolo del mezzo nel vedere e la percezione delle distanze 118.1. Alessandro, In De sensu 3 (440a15 [= 117.3]), 57.11-12, 21-26: [Un’obiezione alla teoria democritea.] 924 Ancora, com’e` che si genera l’apprensione della distanza, se l’occhio vede quanto lo colpisce? [...] Ancora, se e` mediante la quantita` d’aria la quale fluisce e colpisce l’occhio 921 Questa e ` l’unica informazione che permetta di identificare l’autore del passo, forse (come congetturano B.P. GRENFELL e A.S. HUNT, The Oxyrhynchus Papyri, Part XIII, London 1919, nel presentare il passo) l’accademico Eudoro di Alessandria (citato in 82.3, cfr. n. 632 ad loc.). 922 Per accordare il passo con quello seguente di Alessandro, come tenta di fare I. AVOTINS («Classical Quarterly», 1980, p. 444, dove segnala il testo plotiniano), si dovrebbe intendere ‘‘del simulacro’’, ma Plotino sta parlando dell’impronta e nel seguito menziona espressamente le ‘parti dell’aria’. 923 Cioe ` le varie parti di un simulacro. 924 Un riferimento espresso a Democrito (insieme a Leucippo) viene fatto da Alessandro all’inizio della discussione, cioe` in 56.14; l’intero passo (includente 117.9) viene riportato e tradotto da Avotins (art. cit., pp. 431-435).
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prima del simulacro – la quale {aria} anch’essa colpisce l’occhio entrando {in esso} 925 – che, secondo loro, si coglie visivamente la distanza, in primo luogo, com’e` che l’occhio recepira` tanta aria? (In relazione allo spostamento di ciascun simulacro recepira` tanta aria quanta c’e` di mezzo fra di esso e l’oggetto visto.) Inoltre i simulacri che sono emanati avranno davvero una forza tale da essere in grado di spingerla in avanti?
118.2. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 244-55: E quanto ogni oggetto sia lontano da noi, e` la {sua} immagine | che fa sı` che lo vediamo e che {ci} assiste nel discernerlo. | Essa, non appena e` emessa, caccia e spinge in avanti | l’aria che si trova collocata fra esso e i {nostri} occhi; | questa 926 in tal modo passa tutta attraverso i nostri occhi, | e quasi deterge le pupille, e cosı` passa oltre. | Percio` avviene che noi vediamo quanto dista {da noi} | qualsiasi oggetto. E quanto piu` aria si agita davanti {a noi} | e quanto piu` e` lungo il soffio che deterge i nostri occhi | tanto piu` remoto in lontananza ci appare un qualsiasi oggetto. | S’intende che tutti questi eventi si verificano con estrema rapidita`, | cosı` che vediamo simultaneamente quale sia l’oggetto e quanto sia lontano.
118.3. T. Aristotele, De anima II 7, 419a15-21 (a15-17 = 68 A 122; 468 Lu.): [Nel parlare del funzionamento della visione viene affermata la necessita` di un mezzo di trasmissione.] Democrito non si esprime correttamente al proposito nel ritenere che, se lo {spazio} intermedio diventasse vuoto, si vedrebbe con precisione anche una formica che fosse nel cielo. Questo in effetti e` impossibile: il vedere si genera in quanto l’{organo} percettivo subisce qualche {azione}, e, poich´e e` impossibile {che subisca} dallo stesso colore che e` visto, rimane che {lo fa} dal mezzo, sicch´e e` necessario che ci sia un mezzo. Se questo diventasse vuoto, non e` che {si vedrebbe} in modo preciso: non si vedrebbe assolutamente nulla.
6. L’udito e la trasmissione del suono; gli altri sensi 119.1. TT. Teofrasto, De sensibus, §§ 55-57 (= 68 A 135; 425 e 488 Lu.): [Di seguito alla trattazione della vista, cfr. 117.1. Sulla trasmissione del suono cfr. anche 90.2 e 90.3.] Quanto all’udito, egli [scil. Democrito] lo spiega pressapoco allo stesso modo degli altri: 927 l’aria, precipitando nel vuoto,928 produce del movimento; eccetto che essa entra
925 Il confronto con l’esposizione di Lucrezio in 118.2 suggerisce che ‘fluire e colpire l’occhio’ viene detto dell’aria, e questo e` anche il modo piu` naturale di intendere il costrutto greco (rende a questo modo anche A. TOWEY in Alexander, On Aristotle On Sense Perception, London 2000); Avotins, rilevando che ‘fluire’ nel contesto viene detto da Alessandro esclusivamente del simulacro, rende come segue: ‘‘if ... distance will perceived by the amount of air which, too, enters the eye – {this air} belongs with the idol which emanates before (scil. the air) and enters the eye ...’’ (art. cit., p. 433). 926 Cioe ` sempre l’aria. 927 Presumibilmente: altri pensatori (vedi inizio e fine del § 57). 928 Cioe ` nella cavita` dell’orecchio (e` ‘il vuoto piu` ampio’, dunque vuoto relativo, di cui si parla nel seguito).
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allo stesso modo in tutto il corpo, ma di piu` e piu` completamente attraverso le orecchie, poiche´ {qui} attraversa il vuoto piu` ampio e rimane meno ferma.929 Per questo non percepisce [sogg.: l’animale?] nel resto del corpo, ma soltanto mediante questa {parte}. Quando {il movimento} si produce nell’interno, per la sua velocit`a si diffonde: il suono si ha con la condensazione dell’aria 930 e il suo penetrare a forza. Al modo dunque in cui egli spiega mediante il contatto la percezione esterna {al corpo}, allo stesso modo {spiega} quella interna. (56) L’udire e` piu` acuto, se la tunica esteriore e` densa, le piccole vene sono vuote e il piu` possibile senza umori e ben traforate nel resto del corpo oltre che nella testa e nelle orecchie; ancora, {quando} le ossa sono dense e il cervello ben temperato e quanto lo circonda il piu` asciutto possibile: a questo modo il suono entra compatto, in quanto cio` che attraversa e` un vuoto abbondante e senza umori e ben traforato, e si diffonde in modo rapido e uniforme nel corpo, senza essere rigettato fuori. (57) L’oscurita` {di cui d`a prova} nel proporre {queste} determinazioni e` simile a quella di altri, ma e` un’assurdita` peculiare {sostenere che} il suono penetra da ogni parte del corpo e che, quando penetra per l’{organo dell’}udito, si diffonde dappertutto, come se la percezione fosse non ad opera delle orecchie ma di tutto il corpo. Non e` vero infatti che, anche se risente 931 in qualche modo dell’affezione uditiva, per questo anche prova una percezione; agisce a questo stesso modo per tutte {le percezioni}, e non solo per le percezioni, ma per l’anima {tutta, in ogni sua azione o passione}. A questo modo egli rende conto della vista e dell’udito; quanto alle altre percezioni, ne tratta pressapoco allo stesso modo della maggior parte {degli altri pensatori}. [Segue la sezione sul pensiero, cfr. 106.2.]
119.1.1. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 16, 2 (= 24 A 6) [= Aezio IV 16, 2 (Dox. 406)]: (Sull’udito) Alcmeone {dice che} noi udiamo mediante il vuoto all’interno dell’orecchio; questo e` cio` che echeggia con l’intromissione dell’aria: tutto cio` che e` vuoto echeggia.
119.2. T + C. Porfirio, In Ptolemaei Harmonica 32.7-16 (= 68 A 126a; 489 Lu.): [Sulla peculiarita` della vista e sul fatto che c’`e una sorta di opposizione fra di essa e l’udito.] Non e` al modo della vista, la quale, proiettando la visione sull’oggetto cosı` da diffondersi, come dicono i matematici, produce l’apprensione dell’oggetto, che {opera} l’udito,
929 Il verbo greco usato qui (diamivmnein), come quello usato per ‘diffondersi’ (skivdnasqai) alla fine di questo § e del § 56, ha l’aria di essere democriteo. ` probabile che il testo sia da correggere, leggendo «con la percussione dell’aria» (peplhg930 E mevnou tou= ajevro" invece di puknoumevnou), come suggeriva Burchard (De sensibus ... fragmenta, p. 12, peraltro proponendo tuptomevnou), perche´ la voce e` intesa come ‘aria percossa’ da coloro che la concepiscono come materiale (cfr. 90.4 e 90.4.1); a meno che questa idea non sia suggerita dal ‘penetrare a forza’ e il condensarsi dell’aria non sia ritenuto essere un processo precedente. 931 Soggetto, presumibilmente: il corpo. Nel seguito viene suggerito che questo suo ‘risentire senza percepire’ si estende a tutte le percezioni ed anzi a tutte le attivita` dell’anima.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.B)
ma esso essendo, come dice Democrito, ‘un ricettacolo di detti’,932 attende il suono al modo di un recipiente. Questo infatti penetra e scorre dentro, per la quale causa vediamo piu` rapidamente di quanto non sentiamo: il fulmine e il tuono si verificano contemporaneamente, ma l’uno lo vediamo nello stesso tempo in cui si verifica, l’altro non lo sentiamo o lo sentiamo a distanza di tempo; e cio` avviene non per altro che per il fatto che il lampo {di luce} viene incontro alla nostra visione, mentre il tuono si presenta all’udito – l’udito fungendo da ricettacolo del tuono.
119.2.1. C. Ps.-Ippocrate, Epistula XXIII, 5 (IX 394) (= 68 C 6; 489 Lu.): [Il brano che segue rientra nello ‘schizzo’ della natura umana offerto in questa lettera, cfr. 136.1.1.] Gli orecchi sono un ricettacolo di detti.
B. ALCUNE
GENERALITA` SUI SENSIBILI E SULLA SENSAZIONE
120.1. T. Aristotele, De sensu 4, 442a29-b23 (29-b3 = 68 A 119; b11-12 = 68 A 126; a29-b12 = 428 e 495 Lu.): [A conclusione della trattazione dei sapori.] Democrito e la maggior parte dei fisiologi, quanti parlano della sensazione, avanzano una tesi particolarmente assurda, perche´ fanno di tutti i sensibili dei tattili. E pero`, se fosse cos`ı, e` chiaro che anche ciascuno degli altri sensi sarebbe una sorta di tatto, e che questo sia impossibile non e` difficile scorgerlo. (4) Ancora, trattano gli {oggetti} comuni a tutti i sensi come se fossero propri {ad uno solo}: la grandezza e la figura e lo scabro e il liscio, e ancora l’aguzzo e l’ottuso nei {corpi} solidi, sono comuni, se non a tutti i sensi, alla vista e al tatto. Percio` {i sensi} si ingannano su questi, ma non si ingannano sui propri, per esempio la vista sul colore e l’udito sui suoni. Costoro poi riportano i propri a questi [scil. ai sensibili comuni], come {fa appunto} Democrito: dice che il bianco e il nero sono lo scabro e il liscio, e riporta i sapori alle figure. (13) Eppure conoscere i {sensibili} comuni non e` {compito} di nessun senso {in particolare}, o semmai della vista. Se {questo compito} fosse piuttosto del gusto, allora, dal momento che in ciascun genere e` {compito} del senso piu` esatto discriminare le minime {differenze}, dovrebbe essere il gusto ad avere la massima percezione anche degli altri {sensibili} comuni ed essere il piu` discriminativo delle figure. Ancora, tutti i sensibili comportano contrarieta`, per esempio nei colori il bianco {e` contrario} al nero e nei sapori l’amaro al dolce, ma non pare che ci sia una figura che sia contraria ad un’altra: a quale poligono e` contraria quella circolare? Ancora, dal momento che le figure sono infinite, e` necessario che anche i sapori siano infiniti: per qual ragione, infatti, uno dei sapori produrrebbe una percezione e un altro no?
932 Presumo che solo questa espressione sia citazione di Democrito, e che nel seguito Porfirio descriva un fatto a lui ben noto; invece I. DU¨ RING (Porphyrios’ Kommentar zur Harmonienlehre des Ptolemaios, Go¨teborg 1932) ritiene che tutto quanto segue sia citazione, mentre Kranz (in DK) lo ritiene una parafrasi includente qualche parola democritea.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.C)
120.2. T o E. Alessandro, In De sensu 4 (442a29), 82.23-83.12 (om. DK; 83.312 = 428 Lu.). Avendo mostrato che l’alimento, pur essendo tattile, non e` alimento in quanto tattile, {Aristotele} accusa Democrito e la maggior parte dei fisiologi, in quanto rendono tutte le sensazioni dei ‘contatti’ e dicono che tutti i sensibili sono dei tattili e che si conosce mediante il tatto. In che modo rendevano tutte le sensazioni dei contatti, lo dice: con il rendere tutti i sensibili dei contatti, e la sensazione dei contatti essendo il tatto, di tutti i sensibili ha percezione il tatto e tutte le sensazioni diventano dei contatti. (3) Rendevano tutti i sensibili dei tattili, perche´ dicevano che l’apprensione si genera mediante l’efflusso derivante dai sensibili e l’incidenza di questi sugli organi sensibili – gli organi sensibili essendo mossi da quelli secondo le differenze delle figure presenti in essi e delle grandezze e delle lisciezze e scabrosita`. Ancora, Democrito e i suoi dicono che il bianco e il dolce e il gradevole all’odore e ciascuno degli altri sensibili non differiscono l’uno dall’altro se non per le figure e le grandezze e le lisciezze e scabrosit`a. Queste cose appaiono a coloro che percepiscono quali esse appaiono, per il fatto che il tatto secondo ciascuna percezione patisce ed e` reso disposto a questo modo ad opera delle {cose} stesse che urtano.
C. LA
TRATTAZIONE DEMOCRITEA DEI SAPORI
(IN
GENERALE) E DEGLI ALTRI
SENSIBILI NELLA LORO COSTITUZIONE E UNA SERIE DI CRITICHE AD ESSA RIVOLTE DA
TEOFRASTO
121.1. T. Teofrasto, De sensibus, § 72 [di seguito a 55.3] (= 68 A 135; 496 Lu.): Quanto ai sapori, egli [scil. Democrito] assegna a ciascuno una figura, mettendola in corrispondenza, per affinit`a, al suo potere affettivo; ma cio` 933 sarebbe dovuto discendere non soltanto da quelli [scil. dai sapori] ma anche dagli organi di senso, specialmente se essi [scil. i sapori] sono affezioni di questi. Infatti, non tutto quanto e` sferico possiede lo stesso potere, e lo stesso vale per le altre figure, sicche´ {il sapore} avrebbe dovuto essere definito anche in relazione al sostrato 934 {dell’affezione}, {precisando} se {il sostrato e` costituito} da simili o da dissimili,935 e in che modo si verifica l’alterazione dei sensi. Inoltre, avrebbe dovuto rendere conto allo stesso modo nel caso di tutte le {affezioni} mediante il tatto 936 e non soltanto di quelle riguardanti il gusto. Ma anche di queste {affezioni} 937 o e` vero che
933 Intendo: l’affezione (pathos) che e ` l’effetto ottenuto dal potere posseduto dalla figura (non capisco come Stratton possa vederci un riferimento alla stessa figura). 934 uJpokeivmenon (correzione del Wimmer). Intendo con questo l’organo sensibile (cfr. la formula simile in 121.2) oppure, piu` in generale, il soggetto percipiente, non l’oggetto percepito. 935 Intendo: da figure simili o dissimili rispetto a quelle costituenti gli oggetti percepiti. 936 Presumibilmente qui Teofrasto sta assumendo la tesi (risultante dal passo aristotelico di 120.1) che per Democrito ogni sorta di percezione sensibile e` una percezione tattile (cosı` anche Stratton). 937 Presumibilmente quelle tattili, a meno che non venga fatta una distinzione (come prospetta Stratton in n. ad loc.) fra sapori oggettivi (cioe` le figure e i loro poteri) e le affezioni che ne risultano. (Il testo non e` comunque del tutto soddisfacente e Diels, nell’apparato alla sua edizione, proponeva di correggerlo, cfr. anche discussione in Stratton.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.C)
posseggono qualche differenza nei confronti dei sapori, e allora avrebbe dovuto chiarirla, o e` vero che le ha tralasciate pur essendo possibile spiegarle allo stesso modo.
121.2. T. Teofrasto, De odoribus 64 (54.1-8) (54.1-3 = 68 A 133; 442 Lu.): Perche´ mai Democrito rende conto dei sapori in rapporto al gusto, ma non {pone} allo stesso modo gli odori e i colori in rapporto ai sensi che ne sono il sostrato? Avrebbe dovuto {farlo} a partire dalle figure. O piuttosto questo {modo di procedere} e` comune a tutti, perch´e tutti {parlano} delle affezioni, e delle differenze {che queste presentano}, o esclusivamente o prevalentemente per questo {senso}; 938 come nel caso dei colori {parlano di} bianco e nero, cosı` nel caso dei sapori di dolce e amaro, ma non cosı` nel caso degli odori: non {ne dicono} niente eccetto che uno e` gradevole e l’altro sgradevole. E neppure {lo fanno} nei caso dei tattili: ne esiste immediatamente una pluralit`a quanto ai sostrati: il duro e il molle, lo scabro e il liscio. Ma a maggior ragione nel caso dei suoni: ci sono l’acuto e il basso.
121.3. T. Teofrasto, De causis plantarum VI 1, 2.1-10 (4-7 = 68 A 119; 440 Lu.), 1, 3.1-2, 1; 1, 4.1-4 e 1, 5.12-6.12 (1.6.1-11 = 68 A 129; 497 Lu.): 939 E` facile rendere conto delle specie dei sapori enumerandole, cioe` dolce, grasso, ‘austero’, astringente, piccante, salato, amaro, acido; piu` difficile e` farlo secondo l’essenza di ciascuno. Questo e` quanto richiede, prima di tutto, una investigazione, se si deve render conto {dei sapori} con le affezioni sensibili oppure, seguendo Democrito, con le figure da cui deriva ciascuno 940 (a meno che anche queste siano in connessione con i poteri e siano enunciate in vista di quelli), oppure se potrebbe esserci qualche altro modo oltre a questi. (1, 3) Intendo {con rendere conto} con le affezioni sensibili {quanto segue:} se uno rende conto del dolce {definendolo} come {il sapore} che e` dilatante del fluido inerente alla lingua ...,941 (1, 4) oppure, di nuovo, {se,} come Platone, si rende conto in generale delle differenze dei poteri {gustativi} mediante il contrarsi e il dilatarsi, facendo uso 942 della scabrosita` e della lisciezza, {e cosı`} per ciascuno {dei poteri} si distingue una specie {di sapore} ...943 (1, 5.12) Questo modo dunque {di rendere conto dei sapori} li differenzia mediante i loro poteri. (1, 6) Democrito invece, avendo assegnato una figura a ciascun {sa-
Evidentemente: quello del gusto. Il passo presenta l’approccio di Democrito in antitesi a quello platonico, dunque e` parallelo a De sensibus §§ 60-61 (= 55.1). Il resoconto che dei sapori viene dato in 1.6 e` una rapida sintesi di quello che viene dato in De sensibus, §§ 65-67 (= 122.1). 940 Adotto la lezione del Gaza (e{kastoi), adottata anche da Wimmer (seguito da Diels in DK), mentre B. EINARSON e G. LINK (Theophrastus: De causis plantarum III, London 1990) adottano la lezione dei codici (e{kastoi") e traducono come segue: ‘‘... by the several shapes out of which they are composed ...’’ (mio corsivo). 941 Seguono altri esempi di Teofrasto, che sono affini al resoconto platonico nel Timeo. 942 Adotto il testo di Wimmer (kecrhmevno"), assumendo un soggetto immaginario (qualcuno che rende conto come fa Platone), mentre Einarson e Link adottano la lezione di uno dei codici (kecrhmevna") e traducono come segue: ‘‘... assigning the differences of the powers in general to their causing contraction and dilation, letting them make use of roughness and smoothness ...’’ (mio corsivo). 943 Segue una sintesi, piu ` aderente al testo, di Timeo 65C-66C. 938 939
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.C)
pore}, rende dolce quello 944 rotondo e piuttosto grande; astringente quello di figura grande ma scabro e con molti angoli e non tondeggiante; acido – in conformita` al nome 945 – quello acuto nella sua massa e angoloso e a sinuosita` e sottile e non tondeggiante; piccante quello tondeggiante e sottile e angoloso e a sinuosita`; salato quello angoloso e piuttosto grande e storto e dai lati eguali; amaro quello tondeggiante e liscio con curvatura e piccola grandezza; grasso quello sottile e rotondo e piccolo. Di tanto differiscono i modi {di rendere conto dei sapori}.
121.4. T + C. Teofrasto, De causis plantarum VI 2, 1 (= 68 A 130; 498 Lu.); VI, 2, 2 e 2, 3-4 (3.10-4.6 = 68 A 131; 321 Lu.): [Il passo e` di seguito a 121.3.] Probabilmente sembrer`a che anche questo [scil. resoconto], come si e` detto,946 sia in vista di quelli [scil. dei poteri]: con l’avere reso conto a questo modo dei poteri {gustativi} stessi ritiene [sogg.: Democrito] 947 di addurre le cause per le quali un {sapore} e` acre e rende secco {il palato} e solidifica {i suoi umori}, un altro d`a un senso di liscio e di uniforme e di regolare, un altro separa e diffonde {il calore} 948 e produce qualcos’altro del genere. Eccetto che si potrebbe forse richiedere da parte loro 949 che quelle {spiegazioni} siano tali da render conto della condizione del soggetto. Si deve infatti conoscere non soltanto l’agente, ma anche il paziente, specialmente se {e` vero} che, come egli dice, ‘non a tutti lo stesso {sapore} appare allo stesso modo’: niente impedisce che quanto e` dolce per noi sia amaro per alcuni altri animali, e allo stesso modo negli altri casi. (2.2) E` evidente infatti che c’`e una qualche diversita` di disposizione nell’organo di senso, dal momento che la figura del sapore, pur essendo la stessa anche in un altro {organo di senso}, sembra non poter produrre lo stesso dappertutto. Ma se questo e` vero, la causa della similarita` {di azione} sta nei soggetti,950 per cui ci si deve esprimere su di essi. Allo stesso tempo anche questo e` chiaro, che non c’e` un certo unico potere per la stessa figura, dal momento che esso e` per sua natura {tale da} produrre contrari in differenti 944 Quanto viene dichiarato possedere una certa figura, essendo un soggetto al maschile, non puo` essere l’atomo, come ci si aspetterebbe, ma un po’ impropriamente lo stesso sapore. 945 In greco lo stesso aggettivo ojxuv" puo ` significare l’acidita` del sapore, l’essere acuto o aguzzo di un corpo, e anche l’acutezza di un suono (questa ambiguita` viene rilevata da Aristotele, cfr. Topica I 15, 107a14-17). 946 Il riferimento e ` palesemente alla osservazione parentetica in VI 1, 2 (= 121.3), dove viene prospettato un rapporto fra le figure postulate da Democrito e i poteri gustativi. 947 Che il soggetto del discorso, non reso esplicito, qui e poco piu ` oltre, sia Democrito risulta non solo dalla continuit`a col passo riportato come 121.3 ma anche dal fatto che questa presentazione della sua posizione e` prossima a quella (a lui espressamente attribuita) di De sensibus 63-64 (= 55.2) e 69-70 (= 55.3). Tuttavia nel seguito immediato (‘‘si potrebbe forse richiedere da parte loro ...’’) Teofrasto pare estendere la sua attenzione a Platone, che si sarebbe comunque concentrato sui poteri inerenti ai sapori e non sulla disposizione dell’organo di senso e, dunque, sulla condizione del soggetto che percepisce. 948 Presumibilmente, cfr. CP VI 1, 3 sul piccante. 949 Da parte di coloro che adottano tale posizione (passaggio al plurale). 950 Ci si aspetterebbe che parlasse di dissimilarita ` , non di similarita`, e alcuni studiosi propongono correzioni al testo che vanno in questo senso; e` possibile d’altra parte che Teofrasto voglia suggerire, in maniera un po’ troppo sintetica, che anche la causa di similarita` (oltre a quella di dissimilarita`) sta nei soggetti.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.C)
{organi di senso}. Ora, che {la stessa figura} non porti tutto uniformemente alla {attuazione del} suo potere non e` strano (come {non e` strano} che il fuoco non bruci), ma se {e` vero che essa induce} certe cose a trovarsi addirittura in disposizioni contrarie, {ebbene}, questo e` qualcosa che ha bisogno di piu` spiegazione. Eppure anche in quel caso [scil. quello del mancato effetto] bisogna enunciare una qualche causa: (2, 3) appunto per il fuoco – quante cose non e` capace di bruciare – o per l’acqua – {quante non e` capace di} umidificare –, c’e` una qualche spiegazione della causa. Se poi ciascuno {di essi} producesse addirittura il contrario, ci sarebbe ben maggior bisogno {di spiegazione} e di piu` di una soltanto. Costoro dunque debbono esprimersi su tutti questi {punti}, mentre per coloro che {distinguono i sapori} in accordo con i poteri e` necessario solamente {dire} qual e` ciascuno degli organi di senso: bisogna infatti conoscere anche la natura e la disposizione di questi, dal momento che non ogni parte {del corpo} e` capace di percezione sensibile; del resto, quando un uno risulta da piu` {di un fattore},951 non deve sfuggire il potere e l’essenza derivante dall’altro.952 Ma anche quella e` un’assurdit`a, per coloro che affermano esserci le figure,953 che la differenza dei simili 954 secondo la piccolezza e la grandezza {porti} al non avere lo stesso potere {percettivo}. (2, 4) I poteri infatti non sono piu` della forma ma delle masse,955 le quali 956 uno potrebbe sı` addurre per la forzatura 957 e, in generale, per le variazioni di intensita` {nell’azione}, ma che non e` ragionevole {addurre} per il non avere lo stesso potere o il non produrre {lo stesso effetto}, dal momento che {secondo loro} i poteri ineriscono alle figure. Se infatti queste [scil. le masse] sono della stessa figura, sara` lo stesso anche cio` che si presenta,958 cosı` come negli altri casi. Infatti il triangolo di un piede e quello di mille piedi sono allo stesso modo {con gli angoli equivalenti} a due retti, e il quadrato {li ha sempre equivalenti a} quattro retti. Sono questo sebbene siano differenti nella quantita`; 959 invece essi sono gli stessi per rapporto (per esempio l’incommensurabilit`a della diagonale),960 mentre la quantita` e` differente: Sicche´, dal momento che risulterebbe da questi,961 la quantit`a sarebbe differente pur essendoci indifferenziazione nella forma.
951 Il senso deve essere: quando un certo dato, qual e ` un sapore, risulta da un’interazione fra gli oggetti e gli organi di senso, e non da uno solo di questi fattori. 952 Cioe ` dal secondo fattore, che sono gli organi di senso, nella loro natura e disposizione. 953 Cioe ` gli atomi. Ma probabilmente il senso e` piuttosto (come intendeva Burchard, De sensibus ... fragmenta, p. 18, n. 1, ma sulla base di un testo che presenta una differenza) ‘coloro che rendono conto dei sapori mediante le figure’. 954 Cioe ` degli atomi di figura simile o identica. 955 Cioe ` dei volumi. 956 Adotto una correzione di Schneider (ou}" invece di a}"), ammettendo che il riferimento e ` alle masse (o[gkoi), non ai poteri (come invece assumono Einarson e Link, che conservano la lezione dei MSS); la questione e` infatti se i poteri stessi dipendono, nella loro natura, anche dalle masse o solo dalle figure. 957 La forma verbale diabiavsasqai (che ricorre in Teofrasto, CP II 17, 7) presumibilmente in questo passo indica una sorta di intensificazione di una certa azione, data dal suo essere forzata, perche´ altrimenti il suo significato non si accorda col seguito immediato del passo. 958 Per to; uJpavrcon si intende presumibilmente l’insieme delle proprieta ` che in qualche modo conseguono alla natura della cosa (in questo caso una massa o volume dotata di una certa figura). 959 Cioe ` per grandezza. 960 Sottinteso, presumibilmente: e ` identica per tutti. ` tornato ai sapori? Il testo nel suo complesso e` difficile e richiede interventi che non risol961 E vono tutti i problemi. Mi sono attenuto, per questo §, al testo proposto da Wimmer.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.C)
Comunque sia: i poteri che sono in conformita` alle figure e alle forme presentano piu` difficolta` su piu` questioni.
121.4.1. T. Teofrasto, De causis plantarum VI 6, 1 (om. DK e Lu.): Quanto alle piante, o piuttosto tutte quelle {cose} nelle quali ci sono i sapori, {a voler dire} per qual ragione ciascun {tipo} ha questi 962 (intendo dire per esempio i {sapori} dolci o gli amari o i grassi), si deve addure a causa la prima costituzione {del sapore} – circa la quale 963 coloro che, come Democrito, li distinguono con le figure, ritengono di enunciare certe cause, e allo stesso modo {fa} chiunque sia in grado di addurre il resoconto peculiare, conforme ad essa [scil. alla costituzione], per ciascun {sapore}.
121.5. T. Teofrasto, De causis plantarum VI 17, 11 (= 68 A 163; 91 Lu.): [In 17.9 viene sollevato il problema 964 di come mai gli animali, a differenza delle piante, non siano gradevoli all’odore; fra l’altro viene prospettata la possibilita` che tale impressione riguardi l’uomo ma non gli altri animali.] Ma quello che e` strano e` quanto dicevamo anche prima,965 se cio` che per noi e` disgustante o privo di odore sia per quelli [scil. gli animali] beneodorante. Ma probabilmente non e` strano: vediamo che questo si verifica anche in altri casi, per esempio 966 negli alimenti stessi,967 per i quali uno dovrebbe preferibilmente addurre a causa le mescolanze, queste essendo difformi {per gli uomini e per gli animali} – *dal momento che, per l’appunto, le figure [scil. gli atomi] di Democrito avendo, come e` stato detto, le forme ordinate, dovrebbero produrre pure affezioni sensibili ordinate.968
121.6. T. Teofrasto, De causis plantarum VI 7, 2 (= 68 A 132; 499 Lu., escluse le due righe finali): [Nel contesto, a partire da VI 6, 3, viene discussa la questione della giustificazione da dare del fatto che i sapori mutano nelle piante con la loro maturazione. Questo mutamento tende ad essere presentato come una trasformazione di certi sapori in altri, che viene anche chiamato ‘alterazione’ in 7, 1.] C’e` da sollevare l’aporia di come mai sia possibile per Democrito la generazione {dei sapori} l’uno dall’altro. E` necessario infatti (i) o che le figure si trasformino e da diseguali o acutangole diventino rotonde, (ii) o che, essendo tutte presenti {in ciascuna sostanza}, per esempio quelle sia dell’acre sia dell’acido e del dolce, alcune si separino {dalla mescolanza},
Ovvero: questi quı`, intendendosi i sapori che effettivamente si notano. Vale a dire: e` riguardo a tale prima costituzione che coloro che ... 964 Questo trova un’anticipazione in VI 5.1-2, inoltre cfr. Ps.-Arist. Problemata XIII 4. 965 L’allusione e ` alla discussione in VI 5.1-2. 966 Il greco eujquv viene ad indicare che si sta prendendo il primo esempio che capita (cfr. LSJ, p. 716, s.v., B II. 4), pertanto l’integrazione di Schneider (oi|on) e` superflua. 967 Delle differenze fra animali e uomini nell’apprezzamento dei cibi Teofrasto ha parlato in CP VI 4.7. 968 Si intende: pertanto esse operano in modo uniforme e non sono in grado di giustificare le discrepanze di cui si parla, sicche´ non si possono addurre. Il riferimento e` alle critiche contenute in VI 2.1 sgg. (= 121.4). (Va osservato che il testo adottato e` stato emendato da Diels.) 962 963
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.D)
cio`e quelle che rientrano fra le prime,969 e le altre permangano {in essa}, (iii) o, terza {possibilit`a}, che alcune escano e altre entrino {nel composto}. Dal momento che e` impossibile (i) che {le figure} si trasformino, perche´ l’atomo e` impassibile, rimane {la possibilit`a (iii)} che alcune escano e altre entrino oppure {la possibilita` (ii)} che alcune si separino e che quelle proprie di ciascun {sapore} permangano, ma queste sono ambedue delle irrazionalita`: bisognerebbe addurre, in aggiunta, che cosa e` all’opera e produce questi {processi}. Ma il discorso riguarderebbe molte cose oltre questa,970 giacche´ egli [scil. Democrito] produce a questo modo le generazioni di tutte le cose, cio`e della sostanza, della quantita` e della qualit`a.
D. I
SENSIBILI SPECIFICI
1. Il resoconto dei singoli sapori (nella loro costituzione tramite le figure) 122.1. TT. Teofrasto, De sensibus, §§ 65-67 [di seguito a 55.2] (= 68 A 135; 496 Lu.): L’acido {Democrito dice che} e` di figura angolosa e molto sinuosa, piccola e sottile. Per il suo essere pungente si insinua rapidamente e dappertutto, ma, essendo scabro e angolato, ha effetto restringente e contraente; ed e` percio` che, col produrre vuoti, riscalda il corpo, giacch´e si riscalda massimamente cio` che ha piu` vuoto {al suo interno}. Il dolce e` costituito da figure tondeggianti e non troppo piccole; pertanto si diffonde nel corpo uniformemente e senza violenza e attraversa tutto con lentezza; disturba tuttavia gli altri {sapori} perche´, insinuandosi fra le altre {figure}, le svia e le inumidisce. Esse, inumidite e smosse dal loro ordine, fluiscono verso il ventre: questo e` particolarmente accessibile perche´ ivi c’e` il massimo di vuoto. (66) L’astringente e` {costituito} da figure grandi e con molti angoli e minimamente dotate di rotondita`; queste infatti, quando entrano nei corpi, ostruiscono le piccole vene riempiendole e impediscono il fluire {al loro interno}, ed e` percio` che si arresta il ventre. L’amaro e` {costituito} da {figure} piccole e lisce e rotonde, il contorno 971 che hanno ricevuto presentante anche sinuosita`; ed e` percio` che e` vischioso e collante.972 969 Intendo: quelle del primo tipo (cioe ` diseguali o acutangole) nell’esempio, per cui «le altre» sono quelle del secondo tipo (cioe` rotonde). La formulazione poco chiara ha indotto il Diels (in DK) ad un’ampia correzione, sulla cui base Alfieri offre la seguente traduzione: ‘‘... alcuni di questi atomi vengano espulsi (poiche´ in ogni composto vi sono degli atomi che stanno alla superficie e ve ne sono altri che sono propri di ogni altro sapore che puo` manifestarsi), mentre gli altri ...’’. 970 Einarson e Link traducono invece come segue: ‘‘Democritus must explain much more perhaps than this, since ...’’. 971 Ovvero la rotondita ` (perifevreia richiama evidentemente il precedente periferhv" che indica la rotondita` di quelle figure, ma designa anche il loro contorno). 972 Si puo ` osservare che, dei sette sapori che sono distinti nella rapida sintesi offerta in De causis plantarum VI 1.6 (= 121.3), manca il grasso (liparovn) ivi elencato subito dopo l’amaro. Si puo` sospettare che il passo presente presenti una lacuna (favorita dall’accostamento in greco fra periferwn= e perifevreian), perche´ la descrizione «il contorno ... vischioso e collante» si applica piu` naturalmente al grasso che non all’amaro. Un sospetto del genere era stato gia` espresso da Burchard (De sensibus ... fragmenta, pp. 20-21), ma egli riteneva che il passo sia ricostruibile mediante trasposizioni; la sua ricostruzione complessiva non mi pare convincente, ma e` possibile che qualche brano nella relativamente lunga descrizione del salato (in particolare quello finale: «sono non scalene ...») in realta` ri-
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.D)
Salato e` quello {costituito} da {figure} grandi e non rotonde e neppure diseguali – ma che in certi casi sono diseguali 973 –, pertanto non sono ricche di sinuosita` (egli intende per «scalene» 974 quelle {figure} che presentano incontri 975 e intrecci fra di esse); sono grandi, perche´ la salinita` viene alla superficie: se fossero piccole e sottoposte agli urti da quelle che le circondano, si mescolerebbero con tutto {il corpo}; sono non rotonde, perch´e il salino e` scabro mentre il rotondo e` liscio; sono non scalene perche´ non stanno attaccate 976 {le une alle altre}, e percio` {cio` che e` salino} e` friabile. (67) Il piccante e` piccolo e rotondo e angoloso, ma senza diseguaglianza; ed essendo il piccante dai molti angoli, con la sua scabrosita` riscalda 977 e tende a diffondersi per il fatto di essere piccolo e rotondo e angoloso: anche l’angoloso e` di tal fatta. [Seguito come 55.3.]
122.2. T. Teofrasto, De causis plantarum VI 10, 1 e 10, 3 (om. DK e Lu.): [Alcune peculiarita` del salato.] Dal momento che i sapori sono una pluralita`, si potrebbe sollevare il {seguente} problema: perche´ mai nelle piante e nei frutti si generano tutti gli altri, sia l’amaro sia il piccante sia l’acido, ma non il salato? Nessuna delle piante infatti e` salata cosı` da avere al suo interno tale sapore, ma la salatezza si forma al suo esterno, come anche nei ceci, che sono essi stessi dolci. [Seguono alcune spiegazioni, che si estendono a 10.2 e 10.3.] E per questa ragione: {le particelle salate} sono attratte in modo minimo dal sole {e dal calore interno delle piante} 978 e rimangono alla superficie, giacche´ dappertutto, piatte e grandi {come sono}, stanno sopra ai liquidi e non si intrecciano ne´ aderiscono {le une alle altre} per il fatto che non hanno niente di diseguale, ma sono angolose e molto sinuose.
2. Il resoconto dei colori (con critiche di Teofrasto) 123.1. TT. Teofrasto, De sensibus, §§ 73-78 (= 68 A 135; 484 Lu.): Dei colori {Democrito} dice che sono quattro ad essere semplici. {Di questi} bianco e` cio` che e` liscio,979 giacche´ cio` che e` non scabro e non getta ombra e neppure e` difficile da guardi il grasso; inoltre presentare le figure del salato come grandi e non rotonde puo` comportare un’opposizione col grasso. 973 Questa traduzione risulta da una integrazione («e neppure diseguali») che e ` la semplificazione di una piu` estesa correzione del McDiarmid, ma il testo e` problematico e viene ricostruito diversamente da Diels (mediante una piu` ampia integrazione). 974 Rendo alla lettera skalhnov" che prima ho reso con ‘‘diseguale’’ perche ´ se ne spiega il significato. 975 Cioe ` punti di incontro o di sovrapposizione (adotto una correzione del Dyroff: peripavlaxin). 976 Conservo, con Stratton, il testo dei MSS: periplavttesqai (che egli rende come segue: ‘‘because these do not ‘stick to one another’ ’’) invece di seguire Diels correggendolo in peripalavttesqai. In questo contesto, a differenza di 19.3 (cfr. n. 161 ad loc.), tale correzione non mi sembra giustificata perche´ il verbo dovrebbe assumere un senso quasi contrario. 977 C’e ` qualche difficolta` a rendere il passo per la presenza di un guasto nel testo. 978 Traggo questa integrazione dal secondo periodo di 10.3, dove il calore del sole e ` associato a quello interno delle piante per il fatto di attrarre a se´ sostanze particolarmente leggere e nutritive, assumendo che nel brano da me tradotto ci sia un richiamo abbreviato al brano precedente; altrimenti la spiegazione data diventa incomprensibile. Presumo che i liquidi di cui si parla nel seguito siano rappresentati dagli umori presenti nelle piante. 979 Cioe ` risulta da figure lisce (cfr. inizio del § 74).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.D)
traversare,980 tutto questo e` brillante; e le cose brillanti bisogna che siano traforate in modo diritto e siano traslucenti. Dei {corpi} bianchi quelli duri sono costituiti da figure del genere, per esempio {lo e`} la superficie interna delle conchiglie; a questo modo sono privi di ombra e traslucenti e dotati di pori dritti. Quelli che sono friabili e facilmente sbriciolabili sono {costituiti} da {figure} che sono rotonde, ma disposte obliquamente le une rispetto alle altre e a coppie di due, e hanno un ordine complessivo che e` massimamente uniforme. Essendo tali sono friabili perche´ l’unione per contatto 981 e` su {superficie} piccola; sono facilmente sbriciolabili perch´e hanno una collocazione uniforme (sono prive di ombra perche´ sono lisce e piatte).982 {Dei corpi} gli uni sono piu` bianchi degli altri per il fatto che le {loro} figure, che sono quelle menzionate, sono piu` precise e piu` esenti da mescolanza, e hanno piu` pienamente l’ordine e la disposizione menzionata. (74) Il bianco dunque risulta da figure di tal fatta. Il nero {risulta} dalle {figure} contrarie {, cioe`} da {figure} scabre e diseguali e dissimili; a questo modo in effetti gettano ombra e i pori non sono dritti e di facile traversabilita`. Ancora, gli efflussi sono pigri e disturbati; anche la qualita` dell’efflusso fa infatti una certa differenza in relazione alla rappresentazione, che si altera per via della ritenzione dell’aria.983 (75) Il rosso e` {composto} da {figure} quali quelle del caldo, eccetto che sono piu` grandi. Se infatti gli aggregati sono piu` grandi, pur essendo simili le figure, c’e` un rosso piu` intenso.984 Ecco una prova che il rosso e` {composto} da tali {figure}: noi, quando siamo accaldati, diventiamo rossi, e {cosı`} anche gli altri {corpi} infuocati, finche´ hanno cio` che e` infuocato. Sono piu` rossi quei {corpi} che sono {costituiti} da figure grandi, per esempio la fiamma e il carbone di legno verde piu` che {quello} di {legno} asciutto; e il ferro e tutte le altre {sostanze} infuocate. Sono piu` brillanti quelli che contengono il fuoco in quantit`a maggiore e piu` sottile, mentre sono piu` rossi quelli {che lo contengono} piu` grosso e in quantita` minore; percio` {i corpi piu` rossi} sono anche meno caldi: caldo e` cio` che e` sottile.985 Il verde e` costituito dal solido e dal vuoto – un misto di entrambi –, e la tinta varia col loro [scil. delle figure] ordine e disposizione. (76) Per i colori semplici sono queste le figure che sono impiegate; e ciascuno di essi e` tanto piu` puro quanto piu` risulta da {figure} non mescolate. Gli altri {colori} sono per una mescolanza di questi. Il dorato, appunto, e il {colore} del bronzo e tutto quanto e` del genere risultano dal bianco e dal rosso: hanno la {loro} brillantezza dal bianco e il rossastro dal rosso, giacche´ il rosso a causa della mescolanza 986 cade nei vuoti del bianco. Se poi a questi e` aggiunto il verde, si genera il colore piu` bello,987 ma bisogna che i componenti 988 di verde siano pic-
Si intende: da parte degli efflussi (di questi si parla piu` oltre, § 74 e §§ 80-81). Si intende: delle particelle. 982 Questo periodo pare essere fuori posto (come gia ` rilevato da Burchard, De sensibus... fragmenta, p. 23), perche´ l’essere privo di ombra e` detto dei bianchi in generale. 983 Presumibilmente: nell’occhio; di un disturbo dell’occhio si parla piu ` oltre (in 123.2), al § 81. 984 O forse il confronto e ` fra il rosso e il caldo (come suggerisce Stratton), per cui si deve tradurre cosı`: ‘‘c’e` piu` rosso {che caldo}’’. (Adottando una correzione di W. KRANZ, «Hermes», 47, 1912, p. 132 n. 1, si avrebbe invece: ‘‘c’e` piu` calore’’.) 985 Cioe ` e` costituito da figure sottili (e relativamente piccole). 986 Cioe ` per il fatto di essere in combinazione. 987 A quanto pare e ` il colore purpureo (o[streion), perche´ e` questo che e` presentato come il piu` bello da Platone in Repubblica IV, 420C. 988 Rendo cosı` sugkrivsei", seguendo Stratton; Tannery invece rende con ‘‘assemblages’’. 980 981
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.D)
coli, giacche´ grandi non e` possibile con bianco e rosso combinati in tal modo. Le tinte saranno differenti a seconda della proporzione recepita.989 (77) Il purpureo risulta dal bianco e dal nero e dal rosso, ma il rosso ha la parte maggiore, il nero quella {piu`} piccola, il bianco quella media; percio` e` anche gradevole la {sua} apparenza alla sensazione. Che il nero e il rosso siano presenti in esso e` manifesto alla vista, che ci sia il bianco, lo segnalano la brillantezza e la traslucenza: questi li produce il bianco. Il guado risulta dal nero intenso e dal verde, con una porzione maggiore di nero. Il verdolino risulta dal purpureo e dal guado, oppure dal verde e dal purpureo ...{ giacche´ il sulfureo e` di tal fatta e partecipa del brillante.990 L’indaco risulta dal guado e dal rosso-fuoco, con figure che sono rotonde e appuntite come frecce, in modo che nel nero vi sia lo scintillare. (78) Il color noce risulta dal verde e dall’indaco; se vi e` mescolato di piu` verde,991 diventa fiammeggiante, giacche´ per la mancanza di ombra {del verde} il color nero e` espulso.992 Nel complesso anche il rosso mescolato al bianco rende il verde rilucente e privo di nerezza; pertanto anche le piante inizialmente sono verdi, prima della sua dispersione col calore.993 E questi colori sono quanti, in moltitudine, egli menziona, ma {dichiara} che sono infiniti sia i colori che i sapori, a seconda delle loro mescolanze, con l’aggiungere o con il togliere questi o quelli e mescolandoli in dosi maggiori o minori: nessuno fra due {colori} sara` {del tutto} simile all’altro.
123.2. T. Teofrasto, De sensibus, §§ 79-82 (= 68 A 135; 484 e 502 Lu.): (79) Presenta una qualche difficolt`a in primo luogo il {suo} addurre i principi come {se fossero} molti: gli altri {ammettono} il bianco e il nero come gli unici {colori} semplici; in secondo luogo, il {suo} non rendere unica la forma per tutti i bianchi, ma differente per i duri e per i friabili, giacch´e non e` plausibile che la causa sia differente 994 per i {bianchi} differenti {solo} dal punto di vista del tatto. E, ancora, la causa della differenza 995 sarebbe non la figura, ma piuttosto la posizione,996 giacche´ anche quelle sferiche, e in genere tutt’e
Letteralmente: del prendere il piu` e il meno. Pare difficile assimilare il sulfureo ad una forma di verde (come cerca di fare Tannery); c’e` piuttosto da pensare ad una lacuna, forse accompagnata da un guasto (cosı` Stratton e altri). K. PRANTL (Aristoteles Ueber die Farben, Mu¨nchen 1849, p. 55, n. 1) propone invece di spostare il brano sul sulfureo alla fine del § (cioe` dopo ‘‘lo scintillare’’). 991 Seguo il testo proposto da Stratton, a correzione di un guasto. Altre correzioni sono proposte dal Diels (in DK) e da altri studiosi. 992 Seguo il testo adottato da Stratton, che riprende una correzione suggerita dal Diels (in Dox.). 993 Anche in questa parte il testo presenta un guasto. 994 Come sosteneva Democrito (secondo Teofrasto), cioe ` postulando differenti figure, come appena detto. 995 Si intende: dei bianchi differenti. Stratton, nella sua trad., ritiene che la differenza sia fra bianco e nero, ma questo e` giustificato non da quanto precede, ma dal seguito, dove, con una transizione un po’ brusca, viene sostenuto che la differenza di figura non spiega neppure una differenza di colore come quella estrema fra bianco e nero. (Ovviamente nel parlare di figure ecc. si sta parlando degli atomi da cui risultano i colori.) 996 Tannery connette il brano a quanto precede e (adottando all’inizio una correzione del Diels, Dox.) traduce come segue: ‘‘s’il y a quelque raison a` assigner des causes diffe´rentes lorsque les corps 989 990
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XII.D)
quante, possono farsi ombra le une con le altre. Ne e` la prova che egli stesso adduce questo argomento nel caso di quelle lisce che appaiono nere: appaiono tali perche´ hanno una coesione e un ordine che e` proprio del nero; e, di nuovo, nel caso di quelle scabre {che appaiono} bianche: queste risultano da {figure} grandi, e con giunzioni che non sono rotonde ma a scaglioni, e dalle forme delle figure che sono spezzate, come si trovano ad essere una scala 997 o i terrapieni davanti alle mura: cio` che e` di tal fatta e` privo di ombra e non ostacola la brillantezza. (80) Inoltre come puo` dire che il bianco di alcuni animali 998 diventa nero quando sono disposti in modo da gettare ombra? In generale, egli pare enunciare la natura del trasparente e del brillante piuttosto che quella del bianco: il fatto del lasciarsi vedere attraverso e del non avere pori che si incrociano e` proprio del trasparente, e quanti dei trasparenti sono bianchi? 999 Ancora, {dire} che i pori dei bianchi sono diritti e quelli dei neri si incrociano e` assumere che la natura {dell’oggetto percepito} entra dentro {il percipiente}. Egli dice che si vede mediante l’efflusso e il riflesso nell’occhio; ma se e` cosı`, che differenza fa se i pori sono disposti di seguito o se si incrociano? Neppure e` facile ritenere che l’efflusso possa formarsi dal vuoto, sicch´e dovrebbe enunciarne la causa. Parrebbe in effetti che egli faccia dipendere il bianco dalla luce o da qualcos’altro; pertanto dell’apparire nero adduce come causa anche la densita` dell’aria. (81) Ancora, non e` facile comprendere come egli renda conto del nero: l’ombra e` qualcosa di nero e un occultamento del bianco; pertanto il bianco e` prima {del nero} per natura. Allo stesso tempo, pero`, adduce come causa {del nero} non soltanto il gettar ombra ma anche la densit`a dell’aria e dell’efflusso che penetra, come anche il disturbo dell’occhio. Ma se queste cose conseguano all’opacita` o a qualche altro fattore, e quale {esso sia}, egli non lo chiarisce. (82) E` assurdo anche non addurre una forma per il verde, ma produrlo esclusivamente dal solido e dal vuoto: questi sono comuni a tutte le cose, quali che siano le figure da cui sono costituite. Egli avrebbe dovuto, come negli altri casi, rendere {ad esso} la sua peculiarita`; e se esso e` contrario al rosso, come il nero al bianco, {dovrebbe} avere la figura contraria {di quella del rosso}; se, d’altra parte, non e` contrario, ci si dovrebbe meravigliare proprio di questo, che non renda contrari i suoi principi, giacche´ tutti sono di tale opinione.1000 E soprattutto avrebbe dovuto essere preciso nel determinare quali dei colori sono semplici e perche´ gli uni sono composti e gli altri non lo sono, giacche´ la difficolta` maggiore e` circa i principi. Ma forse sarebbe stato un compito difficile, dal momento che anche nel caso dei sapori, se qualcuno sapesse addurre i semplici, costui ne direbbe di
diffe´rent au toucher, la cause ne devrait pas eˆtre cherche´e dans la figure, mais plutoˆt dans la disposition’’. Anche senza tale correzione (ma cambiando la punteggiatura) si puo` rendere come segue: ‘‘non e` plausibile che per le cose diverse al tatto ci sia altra causa – la figura neppure potrebbe essere ancora la causa della differenza, ma piuttosto la posizione’’. 997 Intendendosi con questa la successione dei gradini (come suggerisce Diels in Dox., apparato di p. 523, evitando cosı` una correzione del testo). Il precedente ‘‘a scaglioni’’ (provkrossoi) deve essere parola democritea. 998 Questa precisazione risulta da una correzione del testo (altrimenti difettoso) dovuta ad Usener, ma e` tutt’altro che chiaro che cosa Teofrasto (in base a tale correzione) ha in mente (cfr. anche Stratton, n. ad loc.). 999 Piu ` letteralmente: ‘‘quanto di cio` che e` trasparente sono cose bianche?’’. 1000 Adotto una correzione di Diels. Sulla base, a quanto pare, del testo di uno dei MSS Tannery rende come segue: ‘‘...qu’il admette des principes non contraires, ce qu’il semble faire en ge´ne´ral’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.A)
piu`.1001 Quanto all’odorato, ha rinunciato ad ogni determinazione, salvo il fatto che e` un efflusso sottile proveniente da {corpi} profondi 1002 che produce l’odore; ma non aggiunge quale sia la natura e che cosa sia cio` da cui subisce l’azione – cio` che forse e` la cosa principale. (83) Democrito dunque, a questo modo, ha trascurato vari punti.
XIII. L’UOMO A. L’UOMO:
E LA CIVILTA`
UN PICCOLO MONDO
124.1. T. David, Prolegomena philosophiae 38.14-19 (= 68 B 34; 10 Lu.): [Nel contesto si parla delle virtu` e della divisione dell’anima umana in parti, con riferimento alla posizione di Platone sulla filosofia.] Al modo in cui vediamo, nel tutto, enti che unicamente comandano, come quelli divini, altri che sia comandano sia sono comandati, come quelli umani (sono comandati dai divini e comandano agli animali irrazionali), altri ancora che unicamente sono comandati, come gli animali irrazionali, allo stesso modo si constatano queste cose 1003 *nell’uomo che, secondo Democrito, e` un piccolo mondo ...
124.1.1. V. Ps.-Elias, Commento all’Isagoge di Porfirio 14.18-19 (om. DK e Lu.): [Stesso contesto del precedente, tracciando un parallelo fra fattori o parti che comandano e sono comandate nel mondo e parti che comandano e sono comandate nell’anima umana.] Dal momento che *l’uomo e`, secondo Democrito, un piccolo mondo*, egli ha in se stesso le peculiarit`a del mondo. (19) Al modo infatti in cui nel mondo ci sono enti che unicamente sono comandati ed enti che unicamente comandano ...
124.2. A. Aristotele, Physica VIII 2, 252b24-28 (riferimento in 68 B 34; 10 Lu.): [Fra gli argomenti contro l’eternita` del movimento (affermata nel cap. 1) che Aristotele passa in rassegna per poi criticarli c’e` quello che, nel caso dell’animale, il movimento ha origine al suo interno e da una condizione di stasi.] Se nell’animale puo` verificarsi questo {circa l’origine del movimento}, che cosa impedisce che lo stesso accada per il tutto? Se infatti accade nel piccolo mondo, {si verificher`a} anche nel grande, e se nel mondo, anche nell’infinito, se e` possibile che l’infinito sia tutto in movimento o in stasi.
1001 Presumibilmente si intende: ne direbbe di piu ` di Democrito, perche´ sarebbe strano che ‘‘costui’’ indicasse lo stesso Democrito. 1002 Adotto una correzione del Bailey (GAE, p. 172, n. 3); letteralmente si dovrebbe tradurre (come in pratica fa Stratton) ‘‘che e` il sottile che nell’effluire da ...’’, ma il senso deve essere che l’efflusso e` costituito da particelle sottili. 1003 Si intende: parti che comandano e parti che sono comandate.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.B)
124.3. A. Galeno, De usu partium III 10 (= 68 B 34; 10 Lu.): [Nel contesto viene proposta un’analogia fra la perfezione e l’ordine del mondo e quello nell’animale.] ...ma anche l’animale dicono essere un piccolo mondo uomini di una volta, esperti della natura.
B. L’ORIGINE
DEL MONDO E DEL GENERE UMANO
125.1. I. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica I 6, 3; 7, 1-6 (= 68 B 5.1; 1-3 = 382 Lu., 3-6 = 515 Lu.); 7, 7 (= 59 A 62): Per quanto riguarda la prima origine degli uomini sono state espresse due tesi da parte dei piu` autorevoli fra i fisiologi e gli storici. Di essi alcuni, che avevano assunto che il mondo sia ingenerato e incorruttibile, dichiararono che anche il genere degli uomini sussiste dall’eternita`, la loro procreazione non avendo mai avuto un inizio; gli altri, che lo ritenevano generato e corruttibile, dissero che, in modo simile ad esso, agli uomini capito` di avere una prima origine in un tempo determinato. (7.1) {Dissero} infatti 1004 {che}, secondo la costituzione iniziale di tutte le cose, il cielo e la terra avevano un’unica forma, dato che la loro natura era mescolata; successivamente, col separarsi dei {loro} corpi l’uno dall’altro, il mondo venne ad abbracciare tutto l’ordinamento {attualmente} visibile in esso, mentre l’aria acquisı` il suo movimento continuo, e la parte ignea di essa ando` a raccogliersi nei luoghi piu` elevati, dal momento che tale natura tende verso l’alto per la sua leggerezza (ed e` per questa causa che il sole e la moltitudine rimanente degli astri furono coinvolti nel vortice universale); invece cio` che e` fangoso e limaccioso, in congiunzione con un’aggregazione di cose umide, si deposito` nello stesso luogo per via del suo peso; (2) e, per il suo avvolgersi continuamente su se stesso e raccogliersi, a partire dalle cose umide produsse il mare, e da quelle piu` solide la terra, che era argillosa e completamente molle. (3) Inizialmente questa, una volta che il fuoco del sole comincio` a splendere, acquisto` consistenza; successivamente, quando la sua superficie fu in fermento per via del calore, alcune {parti} di umido si gonfiarono in molti luoghi, e in queste si generarono {strati di} putrefazione avvolti da membrane sottili. E` cio` che si puo` vedere verificarsi anche ora in luoghi paludosi e melmosi, una volta che, essendosi raffreddato il terreno, l’aria diventa molto calda all’improvviso, non subendo la trasformazione in modo graduale. (4) Le cose umide essendo diventate pregne di vita per via del calore al modo che si e` detto, da allora ricevettero il nutrimento di notte dal vapore che cadeva dall’ambiente, mentre di giorno si solidificavano per il caldo intenso. Alla fine, quando gli embrioni ottennero il loro massimo sviluppo, e le membrane nel riscaldarsi intensamente si erano rotte, nacquero animali di ogni genere. (5) Di questi quelli che piu` avevano avuto parte del calore si levarono verso i luoghi alti, essendo diventati alati, quelli invece che avevano acquisito consistenza terrestre vennero enumerati nell’ordine di quelli che strisciano e degli altri che stanno sulla terra, mentre
1004 Il greco gavr serve chiaramente ad introdurre l’esposizione della seconda posizione. Tuttavia della generazione degli uomini in particolare viene fatto parola solo nei versi di Euripide.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.B)
quelli che avevano partecipato di piu` della natura umida erano andati a raccogliersi nella zona ad essi piu` congeniale, acquisendo il nome di pesci.1005 (6) E poich´e la terra divenne sempre piu` solida per via del fuoco del sole e dei venti, alla fine non fu piu` in grado di generare nessuno degli animali grossi, ma ciascuna specie di viventi genero` per congiunzione reciproca. (7) A quanto pare, riguardo alla natura di tutte le cose, non dissente da quanto e` stato riportato neppure Euripide, che fu discepolo di Anassagora, giacche´ nella sua Melanippe si esprime come segue: «che il cielo e la terra erano una sola forma, | ma, dal momento che si sono disgiunti fra di loro, | producono tutte le cose e le danno alla luce: | alberi, uccelli, fiere, quanto il mare nutre e il genere dei mortali.» (fr. 488)
125.2. T. Censorino, De die natali 4, 5 e 4, 9 ((ii) = 68 A 139; 514 Lu.; (ii) e (iii) = Usener 333) [Nel passo immediatamente precedente a questo, cio`e 4, 3-4, Censorino aveva parlato della posizione di coloro che sostenevano che gli uomini sono esistiti da sempre.] (4.5) Quanto a coloro che hanno ritenuto che ci sono stati degli uomini generati per primi, sia ad opera di una divinit`a sia della natura, sono numerosi, ma tale loro opinione ha preso forme assai differenti ... [Segue (i) un’esposizione delle posizioni di Anassimandro, Empedocle e Parmenide, che ammettevano un’origine dei viventi dalla terra.] (4.9) (ii) A Democrito di Abdera e` sembrato che gli uomini siano stati procreati inizialmente dall’acqua e dal fango.1006 (iii) Non molto diversamente penso` Epicuro: costui ha creduto che, inizialmente, dal fango riscaldato crescessero come degli uteri attaccati a terra con radici, e che questi {successivamente} offrissero ai bambini nati da essi, per intervento della natura, un congenito succo di latte; {infine} questi ultimi, cosı` allevati e divenuti adulti, assicurarono la propagazione del genere umano.
125.2.1. Lucrezio, De rerum natura V, vv. 805-814, 821-825: [Contesto: iniziale origine di tutti i viventi dalla terra.] Allora la terra diede inizio alle stirpi mortali. | Il calore e l’umidit`a sovrabbondavano nei campi. | Percio`, ovunque si offriva posizione del luogo opportuna, | crescevano uteri, attaccati con radici alla terra; | e quando, maturato il tempo, li aveva aperti l’eta` degli infanti, |810| che fuggivano l’umor liquido e cercavano l’aria, | ivi la natura volgeva i canali della terra, | e dalle vene aperte li costringeva a versare un succo | simile al latte, cosı` come ora ogni femmina, | quando ha partorito, si riempie di dolce latte [...]. [821] Per questo, ancora una volta, meritatamente la terra ha ricevuto e conserva | il nome di madre, perche´ fu essa a creare | il genere umano e, come in un tempo determinato, produsse | ogni animale che ovunque vaga selvaggio sui grandi monti | e insieme gli alati dell’aria nelle loro forme diverse.
Letteralmente: di natanti. La tesi di una iniziale generazione spontanea e` estesa a tutti gli animali nella testimonianza di Ps.-Galeno, Historia philosopha 123 (= 92.1). 1005 1006
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.C)
125.3. T. Lattanzio, Divinae institutiones VII 7, 9 (= 68 A 139; 514 Lu.) [Il capitolo offre una rassegna di opinioni dei filosofi pagani, contrapponendo quelle, a favore dell’intervento divino nel mondo ecc., che sono in accordo con la dottrina cristiana, a quelle, escludenti tale intervento ecc., che non lo sono.] Gli Stoici dichiarano che il mondo e tutte le cose che sono in esso sono state fatte a causa degli uomini; lo stesso ci insegnano le divine scritture; pertanto cadde in errore Democrito, il quale riteneva che essi siano sorti dalla terra al modo dei vermi, senza creatore e senza ragione.
C. L’ORIGINE
E LO SVILUPPO DELLA CIVILTA`
1. L’origine della civilt`a in genere e del linguaggio 126.1. I. Diodoro, Bibliotheca historica I 8, 1-9 [di seguito a 125.1] (= 68 B 5.1; 1-2 e 5-7 = 558 Lu., 3-4 = 566 Lu.): Riguardo alla generazione iniziale di tutte le cose questo e` quanto ci e` stato tramandato; quanto agli uomini che furono generati all’inizio, dicono che (a) condussero una vita indisciplinata e bestiale e (b) uscirono alla pastura in ordine sparso, procacciandosi l’erba piu` gradevole e i frutti spontanei degli alberi. (2) (c) Ed essendo aggrediti dalle fiere, (d) essi si aiutarono l’un l’altro, istruiti dalla convenienza, e, una volta indotti dal timore a raccogliersi, pervennero gradualmente a riconoscersi all’aspetto. (3) (e) La voce {che emettevano} era priva di senso e indistinta, ma poco alla volta riuscirono ad articolare le parole e, stabilendo fra di loro dei segni convenzionali per ciascun oggetto, rendevano nota gli uni agli altri l’espressione 1007 {di quanto pensavano} circa tutte le cose. (4) Essendosi costituiti tali raggruppamenti {di uomini} da ogni parte del mondo abitato, non ebbero tutti una lingua dallo stesso suono, poiche´ ciascun {gruppo} organizzo` le locuzioni come capitava. Pertanto sussistono caratteri svariatissimi delle lingue, e i primi raggruppamenti che si costituirono furono all’origine di tutti i popoli. (5) (f) Dunque i primi uomini, dal momento che non era stato scoperto ancora nulla di quanto e` utile alla vita, la passavano in modo penoso, privi com’erano di vestiti, inesperti di abitazioni e del fuoco, e del tutto ignari di un’alimentazione addomesticata. (6) In effetti, non conoscendo il modo di raccogliere il vitto agreste, non facevano alcuna provvista di frutti in vista del bisogno, sicche´ molti di loro perivano d’inverno per il freddo e per mancanza di cibo. (7) (g) Poi, a poco a poco, istruiti dall’esperienza, si rifiugiarono d’inverno nelle spelonche ed ammassarono i frutti che erano atti ad essere conservati. (8) (h) Avendo ottenuto cognizione del fuoco e delle altre cose utili a poco a poco vennero scoperte anche le arti e quant’altro puo` essere di beneficio alla vita sociale. (9) (i) In effetti in generale, maestro in ogni cosa per gli uomini fu il bisogno (creiva) stesso, servendo da guida nell’apprendimento, in modo appropriato a ciascun ambito, ad un vivente ben dotato, che e` provvisto per ogni cosa dell’ausilio delle mani e del discorso e della versatilita` della mente.
1007 L’eJrmhneiva e ` piu` propriamente il tramite col quale rendere noti i loro pensieri gli uni agli altri (cfr. per questo uso del termine Senofonte, Mem. IV 3, 12, e Aristotele, De part. anim. II 17, 660a35 sgg.).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.C)
126.1.1. V. Diodoro Bibliotheca historica II 38, 2: [Contesto: presentazione della civilta` indiana, riportando la pretesa di certi popoli che abitano l’India di essere autoctoni.] {I piu` dotti presso gli Indiani},1008 come anche presso i Greci, raccontano che gli uomini piu` antichi facevano uso per alimentarsi dei frutti che crescevano spontaneamente dalla terra e per vestirsi delle pelli degli animali nativi. In modo simile anche la scoperta delle varie arti e delle altre cose utili alla vita avvenne a poco a poco, il bisogno (creiva) stesso servendo da guida ad un vivente ben dotato, che e` provvisto per ogni cosa dell’ausilio delle mani e del discorso e della versalita` della mente.
126.2. Lucrezio, De rerum natura V, vv. 931-32, 937-38, 953-959, 982-983, 988-991, 1007-1008, 1019-1032, 1101-1107, 1448-55: [Di seguito all’introduzione della formazione del genere umano, a partire dalla terra come per gli altri animali: si parla della condizione degli uomini primitivi.] (a) E al volgere in cielo di molte rivoluzioni del sole, | trascinavano una vita errante al modo delle belve. (937) (b) {Non erano in grado di coltivare i campi ecc., ma} | cio` che il sole e la pioggia davano loro, quanto la terra creava | spontaneamente, era dono bastante a placare i loro petti. (953) (f) Ne´ sapevano ancora trattare le cose col fuoco, n´e servirsi | di pelli, e vestire il corpo con spoglie di fiere, | ma abitavano boschi e caverne nei monti e selve, | e tra i cespugli mettevano al riparo le ruvide membra | costretti ad evitare le sferzate dei venti e le piogge. | Ne´ a un bene comune riuscivano a guardare, ne´ sapevano | servirsi nei loro rapporti reciproci di norme morali e di leggi. (982) (c) Ma questo era piu` ragione di ansia,1009 che le razze delle fiere | spesso rendevano il riposo malsicuro a quei miseri [...]. (988) Ne´ allora molto piu` di oggi le stirpi mortali | lasciavano tra i lamenti la dolce luce della vita. | Allora, certo, piu` spesso, qualcuno di loro, preso di sorpresa, | offriva vivo pasto alle belve [...]. (1007) Allora anche la penuria di cibo consegnava alla morte | le membra indebolite [...]. (1019) (d) Allora cominciarono anche a stringere di buon grado amicizia | fra loro i vicini, al fine di non nuocere ne´ ricevere offesa, | e affidarano al rispetto i fanciulli e le donne, | a balbettii significando con la voce e con il gesto | ch’era giusto che tutti avessero pieta` per i deboli. | Tuttavia la concordia non poteva generarsi in ogni modo, | ma una buona e gran parte osservava i patti onestamente, |1026| altrimenti gia` allora tutto il genere umano sarebbe andato distrutto, | ne´ la riproduzione avrebbe potuto fin qui trasmettere le stirpi. | (e) Ma i vari suoni del linguaggio la natura costrinse {gli uomini} | ad emetterli, e l’utilit`a formo` i nomi delle cose, | in modo non molto diverso da come si vede che proprio | l’incapacita` della lingua 1010 a parlare spinge i bambini al gesto, | quando fa sı` che mostrino col dito le cose che sono presenti. (1101) (h) L’una o l’altra di queste cause 1011 puo` avere dato il fuoco ai mortali. | Poi, a cuocere e ammorbidire il cibo al calore della fiamma | insegno` il sole, poiche´ vedevano molte cose diventare mature | vinte, nei campi, dalla sferza dei raggi e del calore. |1105| Traggo il soggetto sottinteso dall’inizio del § 3, di tenore simile. Del timore suscitato dall’oscurita` della notte, la cui descrizione e` data nei vv. precedenti (da 972 in poi, non riportati). 1010 Intesa come organo, cfr. IV, vv. 828-29. 1011 Il fulmine oppure l’attrito dei legni che si sfregano, cfr. vv. 1091-1100. 1008 1009
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.C)
Ogni giorno di piu` insegnavano loro a mutare il cibo | e la vita di prima con nuove cose e col fuoco | quelli che eccellevano per ingegno e che erano forti nel cuore. (1448) (i) Navi e colture dei campi, mura, leggi, | armi, strade, vesti e altre cose del genere, | e anche tutti i premi e tutte le delizie della vita, | carmi, pitture, statue rifinite con arte, | fu l’uso e insieme l’esperienza della mente operosa | che li insegno` loro poco per volta, mentre gradualmente procedevano. | Cos`ı ogni cosa poco per volta il tempo la sospinge | nel mezzo, e la ragione l’eleva alle spiagge della luce.
126.3. Diogene di Enoanda, fr. 12 [10 Ch.], col. II 4-11 (om. DK; = 558 Lu.): [Sull’origine della civilta` e l’invenzione di arti come quelle della tessitura.] Dunque per nessuna arte, come neppure per queste, non bisogna ricorrere ne´ a qualche altro dio ne´ ad Atena, giacche´ le originarono tutte le necessit`a e le esperienze 1012 nel corso del tempo.
2. L’origine e lo sviluppo delle arti 1013 127.1. T. Plutarco, De sollertia animalium 20, 974A-B (= 68 B 154; 559 Lu.): [Dopo un capitolo includente esempi di animali, come certi cani e certi uccelli, che mostrano di apprendere quanto l’uomo gli insegna.] Ma forse ci rendiamo ridicoli a celebrare la capacita` di apprendimento degli animali, quando Democrito dichiara che noi siamo stati i loro discepoli nelle cose piu` grandi: del ragno nelle arti del tessere e del cucire, della rondine in quella del costruire case, e degli {uccelli} canori, {cioe`} del cigno e dell’usignolo, nel canto – {ne siamo stati i discepoli} mediante imitazione.1014 (B) E di ciascuna delle tre branche della medicina noi possiamo ravvisare una parte cospicua in essi, giacche´ non e` soltanto della farmaceutica che fanno uso. ... I cani si purgano con una certa erba quando soffrono di bile ...
127.2. T. Filodemo, De musica IV 23 [PHerc 1497, col. XXXVI.29-39] (= 68 B 144; 568 Lu.): [Sulle origini della musica.] Democrito dunque, che non soltanto fu il piu` grande fisiologo degli antichi, ma anche inferiore a nessuno di quelli che sappiamo 1015 per varieta` di interessi,1016 dice che la mu-
1012 Rendo cosı` perivptwsei", ma forse e ` presente il senso di ‘circostanze’ o di ‘vicissitudini’ ovvero di esperienza risultante dalle circostanze e dalle vicissitudini (cfr. 60.2, con la riserva che il testo proposto risulta da una doppia traduzione). 1013 Per i contributi di Democrito ad arti come la medicina e l’agricoltura, cfr. piu ` oltre, cap. XV, sez. C (= 188-190). 1014 Diels e Kranz, Luria e altri studiosi si fermano a questo punto, trattando il passo come una vera e propria citazione. Tuttavia non e` chiaro che di questo si tratti e, sebbene sia probabile che Plutarco, nel seguito, ricorrendo ad esempi spesso curiosi e introducendo dettagli quali la suddivisione per tre branche (ei[dh) della medicina, vada oltre Democrito, attingendo ad un repertorio ormai tradizionale, pare difficile che questi si fosse limitato a quei soli tre casi come esempi delle ‘cose piu` grandi’. 1015 Prendo oiJ iJstorouvmenoi come un passivo (cfr. LSJ s.v.); altri (p. es. Alfieri) lo intendono nel
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.C)
sica e` piuttosto giovane {fra le arti} e ne adduce la causa dicendo che non e` dalla menzionata necessita` 1017 ma di gi`a 1018 dal superfluo che si e` generata.
127.3. T. Mallio Teodoro, Liber de metris [GrL VI 589.20-21] (= 68 B 16; 568a Lu.): Crizia afferma che il metro esametro dattilico fu scoperto originariamente da Orfeo, Democrito invece da Museo.
3. L’origine delle credenze religiose 128.1. T. Sesto Empirico, Adversus mathematicos IX 24-26 (24 = 68 A 75; 581 Lu.; 25 = 353 Us.): [Il passo segue, a qualche distanza, 112.1.] Vi sono di quelli che suppongono che noi siamo pervenuti alla concezione degli d`ei a partire dagli accadimenti nel cosmo che sono inaspettati; 1019 anche Democrito pare essere stato di questa opinione: infatti, egli dice, gli uomini di una volta, osservando quanto si verifica nei luoghi elevati, come tuoni e lampi e fulmini e congiunzioni delle stelle 1020 e eclissi di sole e di luna, ebbero paura, ritenendo che cause di questi sono gli dei. (25) Epicuro a sua volta ritiene che gli uomini abbiano tratto la concezione del dio dalle apparizioni nel sonno: infatti, egli dice, idoli grandi e di figura umana venendo incontro {ad essi} nel sonno, essi ritennero che effettivamente esistessero alcuni de`i di tal fatta, di figura umana. (26) Alcuni {altri}, fatto ricorso al movimento inviolabile e bene ordinato dei corpi celesti, dicono che e` da questo che proviene, inizialmente, l’origine delle concezioni degli de`i.1021 [Segue, a qualche distanza, 112.2.]
128.2. T + F. Clemente di Alessandria, Protrepticus 6, 68.5 [= Stromata V xiv, 102, 1] (= 68 B 30; 580 Lu.): [Contesto nella prima opera: anche i filosofi pagani riconoscono che Dio e` uno, incorruttibile e ingenerato, risiedente in alto, oltre la volta del cielo.] senso (mediale) di ‘quelli che fanno ricerche’, ma si tratta di un uso senza paralleli (vedi discussione di J. HAMMERSTAEDT, Nochmals zu Demokrit, ZPE 1991, n. 14). 1016 Il termine polupravgmwn ha qui il senso di ‘curioso’, ‘pieno di interessi’, cfr. Polibio IX 1,4, e Diodoro Sic. I 37,4 (applicato ad Erodoto). 1017 Letteralm.: ‘da quella necessita ` ’. Adotto la lezione proposta da D. DELATTRE (Une lecture nouvelle du fr. B 144 D.-K. de Democrite, ZPE 1991), con la ulteriore correzione suggerita da Hammerstadt in art. cit. (di replica al precedente), del quale accolgo l’interpretazione complessiva. 1018 Cioe ` dal superfluo gia` esistente (cfr. Platone, Crizia 110a3-6, parallelo addotto da Hammerstaedt, n. 16). 1019 O anomali (letteralmente: ‘paradossali’). ` probabile che il riferimento sia alle comete (cfr. 85.6-11), come intende anche Luria, sicche´ la 1020 E traduzione ‘‘collisioni di astri’’ adottata da alcuni traduttori (come Bury e Russo-Indelli) non e` esatta. 1021 Quest’ultima posizione coincide con quella che era stata attribuita in precedenza ad Aristotele (cfr. 112.1 con n. 870).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.C)
Democrito pertanto non aveva torto {nel dire:} ‘‘Alcuni pochi tra gli uomini dotti, levando le mani verso il luogo che ora noi Greci chiamiamo aria, favoleggiano di ‘Zeus’: 1022 questi sa tutto e da` e prende {tutto} ed e` il re di tutto.1023 ’’
128.3. T. Filodemo, De pietate, PHerc 1428, fr. 16.2-111024 (= 68 A 75; 581 Lu.): [Brano di papiro lacunoso, integrato congetturalmente all’inizio; manca quanto precede immediatamente, e il testo si interrompe.] ... da lı` l’estate e l’inverno e la primavera e l’autunno e tutte queste cose si verificano derivanti dall’alto, inviate dal cielo. Pertanto anche avendo riconosciuto cio` che le produce {gli uomini} ne fanno oggetto di culto. A me non pare che Democrito, come alcuni ...
128.4. I. Lucrezio, De rerum natura V, vv. 1161-93 (1186-93 = 68 A 75; 581 Lu.): Ora, qual causa ha diffuso la potenza degli de`i fra i grandi popoli | e riempito le citt`a di altari | e indotto ad accogliere i riti solenni | che ora fioriscono come oggetto di culto nelle grandi occasioni e nelle grandi sedi, | donde ancora oggi sia impresso nei mortali l’orrore | che fa sorgere nuovi templi agli de`i su tutta | la terra e spinge ad affollarli nei giorni festivi, | non e` certo difficile darne ragione con le parole. |1169| Gia` in quel tempo {lontano} le genti mortali vedevano | con la mente desta, e piu` ancora in sogno, | le immagini degli d`ei bellissime e di stupefacente grandezza corporea.| Ad esse dunque attribuivano il senso, perche´ | sembravano muovere le membra ed emettere parole superbe | conformi allo splendore del loro aspetto e alle forze possenti. | E attribuivano loro vita eterna, perche´ sempre | si rinnovava la loro immagine e la forma restava immutata, | ma soprattutto perche´ ritenevano che, dotati di tanto vigore, | non potevano facilmente essere vinti da alcuna forza. |1179| E ritenevano che fossero molto superiori per felicita`, | perch´e la paura della morte non turbava nessuno di loro, | e anche perch´e nel sonno molte mirabili azioni li vedevano | compiere e tuttavia non risentirne alcuna fatica. |1183| Per giunta essi osservavano lo svolgersi dei ritmi del cielo in ordine determinato | e l’alternarsi delle varie stagioni dell’anno, | senza potere conoscere le cause dalle quali cio` procedeva. | Dunque avevano per se´ come unico scampo affidare ogni cosa | agli dei e pensare che tutto si piegasse al loro cenno. | E in cielo collocarono le sedi e le dimore degli de`i, | perche´ nel cielo si vedono volgersi la notte e la luna, | la luna, il giorno e la notte, e della notte gli astri severi, | e le faci che a notte errano nel cielo, e le fiamme volanti, | e le nubi, il sole, la pioggia, la neve, i venti, i fulmini, la grandine, | e i rombi improvvisi e i lunghi mormorii di minacce [scil. dei tuoni].
128.5. T. Plinio, Naturalis historia II (5) 14 (= 68 A 76; 594, comm. Lu.): [Le erronee rappresentazioni che gli uomini si fanno della divinita` riflettono la loro imbecillitas.]
1022 Forse (conservando pavnta, la cui omissione e ` proposta da Wilamowitz, seguito da Sta¨hlin) ‘‘chiamano tutte le cose ‘Zeus’ ’’. 1023 Seguo fondamentalmente il testo di Sta ¨ hlin, anche se le sue correzioni, come rilevato in DK, nota a B 30, non si adattano al testo variato degli Stromata; non vedo soluzione migliore. 1024 Seguo il testo proposto da M. GIGANTE e G. INDELLI , Democrito nei papiri ercolanesi di Filodemo, «Siculorum Gymnasium», 1980, p. 451, n. 3. Quanto all’estensione del passo riguardante Democrito si veda discussione in PT, sez. 27.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.D)
Credere invero che ci siano innumerevoli de`i, tratti perfino dai vizi umani, come Pudicizia, Concordia, Mente, Speranza, Onore, Fedelta`, o, come opinava Democrito, due in tutto, Castigo e Beneficio, si accosta ad una stupidita` anche maggiore.1025
D. TEORIA
DEL LINGUAGGIO
129.1. T. Proclo, In Cratylum, 5.25-6.2, 6.10-7.17 (5.25-27, 6.10-7.6 = 68 B 26; 563 Lu.): Che della stessa opinione di Cratilo furono Pitagora ed Epicuro, mentre Democrito ed Aristotele {furono della stessa} di Ermogene. Pitagora, alla domanda: ‘‘qual e` il piu` sapiente degli enti?’’, disse che e` il numero; ‘‘che cosa contribuisce in secondo luogo alla sapienza?’’ ‘‘Colui che impose i nomi alle cose’’. ...[Segue parte sul pensiero pitagorico di delucidazione del primo punto.] (6.10) Con l’espressione ‘‘colui che impose i nomi {alle cose}’’ egli [scil. Pitagora] faceva allusione all’anima, che ha sussistenza dall’intelletto; e le cose stesse non esistono in modo primario come l’intelletto, ma {l’anima} possiede le loro immagini e le loro formule essenziali in tutti i dettagli al modo di simulacri (ajgavlmata) degli enti, come lo sono i nomi che sono imitazioni delle specie intelligibili, {cioe`} dei numeri. L’essere viene a tutte le cose dall’intelletto che conosce se stesso ed e` sapiente, il denominare invece dall’anima che imita l’intelletto. Non e` dunque, dice Pitagora, compito di chicchessia il fabbricare nomi, ma di colui che ha la visione dell’intelletto e della natura degli enti. Pertanto i nomi sono per natura. (20) Democrito invece, che afferma {la tesi} che i nomi sono per convenzione, dimostro` questo mediante quattro argomentazioni: (i) a partire dall’omonimia: cose differenti sono chiamate mediante lo stesso nome; dunque il nome non e` per natura; (ii) e a partire dalla molteplicita` di nomi: se nomi differenti si adattano 1026 ad una stessa e unica cosa, {si adatteranno} anche l’uno all’altro, il che e` impossibile; (iii) terzo, a partire dal mutamento di nome: come mai potremmo cambiare «Aristocle» in «Platone» e «Tirtamo» in «Teofrasto», se i nomi sono per natura? (7.1) (iv) a partire dalla mancanza di {nomi} simili: come mai da frovnhsi" diciamo fronein= , ma da dikaiosuvnh non deriviamo un altro nome? I nomi dunque sono per caso e non per natura.
1025 Se questa testimonianza ha un minimo di attendibilita ` , c’e` da presumere che offra una visione distorta e riduttiva di una tesi di Democrito circa l’origine della religione, la quale risiederebbe in parte nell’oggettivare e personificare nostre reazioni di fronte agli eventi. Per passi di tenore simile (segnalati da A. HENRICHS, «Harvard Studies in Classical Philology», 79, 1975), ma non riguardanti Democrito, cfr. Cicerone, De natura deorum II 23, 60-62, e Ps.-Plutarco, Placita I 6, 880B7-C6 (= Aezio I 6, 12 [Dox. 296]). Bailey, GAE, p. 176, n. 2, seguito da Luria, ritiene piuttosto che il passo si spieghi con la indebita personificazione degli ‘idoli favorevoli’ e quelli malvagi di cui si fa parola in 112.1. 1026 Suppongo che il verbo greco usato qui (ejfarmovzein) sia in effetti usato ambiguamente: nella prima occorrenza significa ‘applicarsi’, ‘essere appropriato a’, cioe` indica il rapporto che i nomi hanno con la cosa alla quale si riferiscono; nella seconda occorrenza (verbo sottinteso) esso significa ‘coincidere’, secondo un uso che e` corrente in matematica (cfr. p. es. Euclide, Elementi, Nozione comune 4 (o 7) [vol. I, p. 6 ed. Heiberg]), dove la coincidenza e` verificata tramite una sovrapposizione intellettuale di due figure geometriche uguali.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.E)
Egli [scil. Democrito] chiama la prima dimostrazione {relativa alla} «polisignificanza», la seconda {relativa alla} «equipollenza», la terza {relativa al} «mutamento dei nomi»,1027 la quarta {relativa alla} «assenza di nome.» Nel risolvere {gli argomenti} alcuni asseriscono,1028 contro al primo {argomento} che non c’`e niente di strano se un unico nome e` immagine di piu` cose, come ‘‘Eros’’ significa cose differenti e a partire dalla forza (rJwvmh) e a partire dall’Alato (Ptevrw"); 1029 contro al secondo, che niente impedisce che differenti nomi indichino lo stesso per differenti aspetti, come ‘‘mortale’’ e ‘‘uomo’’, per il fatto di avere la vita troncata ‘‘mortale’’, per il fatto di osservare attentamente quanto ha veduto 1030 ‘‘uomo’’; contro il terzo, che questo fatto stesso e` una prova dell’essere i nomi per natura, e cio`e che cambiamo quelli posti in modo non autoritativo e contro natura in quelli secondo natura; contro il quarto che non c’e` niente di strano se {nomi} che in origine sono stati posti col passare del tempo sono scomparsi. [Segue una parte sulla posizione di Epicuro, per la quale cfr. 335 Us.]
129.2. Damascio,1031 In Platonis Philebum, 24.1-4 (= 68 B 142; 564 Lu.): [Di commento a Filebo 12C, cioe` al passo nel quale il parlante, Socrate, dichiara, nel riferirsi alla dea Afrodite, di volersi attenere al suo nome tradizionale ’Afrodivth, anziche´ sostituirlo con ‘Hdonhv», e questo per timore reverenziale riguardo ai nomi degli dei.] Perche´ un cosı` grande timore reverenziale di Socrate riguardo ai nomi degli dei? Forse perche´ da lungo tempo questi nomi loro propri sono consacrati loro dall’uso patrio ed e` sconveniente andare a smuovere le cose {tradizionalmente} immobili, o perche´ {i nomi} sono loro appropriati per natura secondo la teoria esposta nel Cratilo, o perche´ anche questi sono ‘simulacri (ajgavlmata) parlanti’ degli dei, come {ne parla} Democrito.
E. ALTRI
ASPETTI DELLA CULTURA
1. Questioni omeriche 130.1. T. Scholium A ad Iliadem VII, v. 390 (= 68 B 23; 818 Lu.): [Di commento a dei versi in cui si descrive con quali parole l’araldo dei Troiani trasmetta ai Greci una proposta pacificatrice avanzata da Paride; le sue parole includono appunto l’intercalare un po’ sorprendente che viene citato nello scolio.]
1027 Il testo presenta una lacuna. Di solito viene accolta l’integrazione al testo proposta dal Diels: to; de; trivton metwvnumon, ma l’aggettivo pare anacronistico; lo sostituisco con metonomazovmenon. 1028 Va osservato che un’altra versione di questa replica si trova nel commento di Ammonio al De interpretatione, 37.28-38.16. Questa coincidenza probabilmente si spiega con la dipendenza di Ammonio da Proclo (cfr. D. BLANK, Introduction to Ammonius: On Aristotle On Interpretation 1-8, London 1996). 1029 Per questa seconda pseudoetimologia cfr. Phaedrus, 252B. 1030 Cfr. Cratylus, 399C. 1031 Precedentemente attribuito ad Olimpiodoro (cfr. Presentazione dei testi, sez. 27, su questo punto e su questione dell’attendibilita` della citazione).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.E)
La {frase} ‘‘Che fosse morto prima!’’ l’araldo la enuncia {quando viene menzionato Paride}, o ad alta voce per essere sentito pure dai Greci, in modo da ottenere la loro comprensione per gli altri Troiani in quanto erano anch’essi in collera {con Paride}, oppure a bassa voce e rivolto a se stesso, come riteneva Democrito che giudicava non conveniente essere detta in modo manifesto; entrambe {le interpretazioni} vanno date.
130.2. T. Eustazio, Commentarii ad Odysseam XV, v. 376, p. 1784 (= 68 B 24; 819 Lu.): Bisogna sapere che questo fedele servitore Eumeo era stimato a tal punto dagli antichi da trovargli una madre. Democrito {disse che era} Povert`a, Euforione Panteia, mentre Filosseno {disse che} la sidonia {era} Danae.1032
130.3. T. Porfirio, Quaestiones homericae I 274.9-12 (= 68 B 22; 817 Lu.): [Di commento ad Iliade XXI, v. 252: aijetou= oi[mata e[cwn mevlano", tou= qhrhthro" = : ‘‘avendo l’impeto dell’aquila nera, quella cacciatrice ...’’, dove questo viene detto di Achille che viene fermato dal fiume Scamandro mentre volge la sua ira sanguinosa contro i Troiani.] Alcuni hanno preteso falsamente del poeta che egli avesse detto «dall’osso nero (melanovstou)» in una sola parola come «Oreste», per il fatto che anche Democrito riferisce circa l’aquila che essa ha le ossa nere, ma {l’hanno fatto} andando {essi stessi} contro la verita`.1033
2. Questioni grammaticali 130.4. T. Eustazio, Commentarii ad Iliadem III, v. 1 [I 584.3-4] (= 68 B 19; 824 Lu.): [Spiegazione data con riferimento alla lettera dell’alfabeto che in greco serve ad identificare il terzo canto dell’Iliade:] Devi sapere che gli Ioni, e in particolare Democrito, chiamano la lettera gavmma gevmma, e questi denomina anche la mu= mw=.
130.4.1. T. Fozio, Lexicon, s.v. mw= (M 654, II, p. 592) (= 68 B 19; 824 Lu.): La lettera mu= per Democrito.
1032 Accetto una correzione proposta da Philippson, Democritea, p. 173, sulla base del riconoscimento che, nella storia raccontata da Eumeo ad Odisseo in questo canto dell’Odissea, la figura della madre, una regina, e` da tenere distinta dalla servitrice di Sidone che lo rapisce (peraltro Eustazio pare non essersene reso conto). Altrimenti e` poco probabile che il nome «Poverta`» proposto da Democrito sia da prendere come il nome proprio della madre reale (da Omero lasciata innominata a segno di scarsa considerazione per la sua leggerezza) anziche´ come una descrizione della condizione di Eumeo: figlio di poverta` (cfr. sulla questione Philippson, art. cit., pp. 173-175). 1033 Dallo Scolio B al passo risulta che Aristotele aveva letto melanovstou, cioe ` avente le ossa nere, mentre Aristarco aveva letto mevlano" tou= (va ricordato che la punteggiatura e` un’invenzione relativamente tarda). Forse Aristotele seguiva Democrito in questo, ma rimane comunque sorprendente che questi avesse sostenuto una tesi cosı` facilmente smentibile empiricamente. (Sulla questione cfr. Philippson, art. cit., pp. 167-168.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIII.E)
130.5. T. Scolio in Dionisio Trace, GG I 3, 184.13 e 18 (= 68 B 20; 825 Lu.): I nomi delle lettere {dell’alfabeto} sono indeclinabili ... ma per Democrito si declinano, giacche´ parla di devltato" e di qhvtato".
130.6. Epitome degli Epimerismi Homerici presso Etym. Magnum 500.9 (CG III 2, 224.12-14, e SGLG V 2, 692.26-30) (om. DK e Lu.): ... e la {forma} kevklitai senza la n per Democrito {si ha} secondo la deviazione dell’omerico keklivatai, come afferma Erodiano, {attestata al verso 68 di Iliade XVI:}’’sono volti indietro 1034 tenendo ancora una piccola porzione di territorio’’.1035
130.6.1. T. Erodiano, Epimerismi Homerici, 396.11 (GG III 2, 224 n.) (= 69 B 129a; 829 Lu.): ... e da klivnw per Democrito si trae kevklitai senza la n.
130.7. T. Eustazio, Commentarii ad Odysseam II, v. 190, p. 1441 [da Filosseno Sui comparativi] (= 68 B 121; 829 Lu.): E {la forma} ajnihrevstaton (= peggio, usata in quel verso dell’Odissea), avrebbe dovuto essere ajnihrovteron, ma e` espressa a questo modo per via del metro, e allo stesso modo {la forma} aijdioievresteron, e le restanti {forme} del genere. ... Ecateo: i Biantidi, divennero uomini spoudaievstatoi (= valorosissimi), ed Erodoto: le spoudaievstera delle cose; Democrito dice ejpithdeievstaton (= appropriatissimo).
130.8. T. Apollonio Discolo, De pronominibus, GG II 1, 65.15-18 (= 68 B 13; 829 Lu.): E Ferecide nella Teologia e ancora Democrito nei {discorsi} Sull’astronomia e nelle composizioni 1036 rimasteci usano con molta frequenza la {forma} ejmeu= e anche ejmevo.
130.9. T. Apollonio Discolo, De pronominibus, GG II 1, 92.20-93.2 (= 68 B 29a; 829 Lu.): I plurali al nominativo nella lingua corrente sono, per gli Ionici e per gli Attici, hJmei". = , uJmei"= , sfei"= , e del resto che non si lasci sciogliere {la forma contratta} del nominativo presso gli Ionici e` attestato dagli {scritti} di Democrito, di Ferecide e di Ecateo.1037
Cioe`: hanno ripiegato, detto degli Argivi. Prima di questo passo deve essere caduto qualche cosa, come suppongono A. LENTZ (in Grammatici graeci III 1, 2, Leipzig 1868) e A.R. DYCK (in Epimerismi homerici, Berlin 1995), e per questo non si puo` escludere che la forma proposta da Democrito sia in effetti la stessa di quella ‘‘deviante’’ omerica (come suggerisce il secondo studioso). Quanto ci e` rimasto di Erodiano e` comunque frammentario e di ricostruzione problematica. 1036 Cioe ` opere (cfr. supra, 0.9.8 con n. 206). Intendendo invece con suntavgmata ‘costrutti sintattici’ si dovrebbe rendere (come propone Luria) al modo seguente: ‘‘...nei {discorsi} Sull’astronomia, persino nei costrutti (o locuzioni) conservati (cioe` non alterati dalla tradizione), usano ...’’. 1037 Oppure: dagli {scritti} riguardanti Democrito ...? 1034 1035
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
130.10. T. Erodiano, Prosodia Catholica, GG III 1, 355.10-11, presso Teognosto 79 (= 68 B 128; 828 Lu.): Non si trova nessun nome del solo genere neutro che esca in wn o in hn o in an o in in o in un, giacche´ ijquvtrhn presso Democrito e` una forzatura.1038
130.11. Suda, s.v. a[lfa (1a.20, 1b.3-5 G.1039 = Fozio, Lexicon, s.v. a[lfa) (= 68 B 298; 829 Lu.): Quello {pronunciato} brevemente e con lo spirito aspro 1040 {significa} ‘‘qualsiasi cosa’’ (a{tina), come presso Ippocrate; presso Democrito ‘‘le cose proprie’’ (i[dia), presso Omero ‘‘le cose sue’’ (ta; eJautou), = {p. es. nel verso} ‘‘{essi si dispersero} ciascuno alle sue case’’.
XIV. L’ETICA A. LA ‘TRANQUILLITA` D’ANIMO’
E LA POLITICA
E LE SUE CONDIZIONI NELL ’UOMO
1. Dossografia sul ‘telos’ di Democrito e dei Democritei 131. T + F. Ario Didimo presso Stobeo, Eclogae II 7, 3i (52.13-53.20) (52.1320 = 68 A 167 e B 170-71; 742, 777 e 780 Lu.; B 2 e C 9.10.11 N.): 1041 (Sul fine) In modo comune Democrito e Platone pongono la felicita` nell’anima. L’uno [scil. Democrito] scrive a questo modo: ‘‘La felicit`a e l’infelicit`a e` dell’anima’’. ‘‘La felicita` non dimora n´e nel bestiame n´e nell’oro; e` l’anima la dimora del demone’’. La felicita` ovvero il buon animo (eujqumivan) e il ben-essere (eujestwv) e l’armonia egli la chiama equilibrio e ‘atarassia’.1042 Essa {egli dice} si costituisce a partire dalla definizione e discriminazione dei piaceri, e questa e` la cosa piu` bella e piu` utile agli uomini. (53.1) Platone a sua volta, concordando in questo con Democrito, scrive circa ‘la dominante’ di quelle {parti o forme
Cioe` un conio arbitrario. Questa voce e` tratta dal Diels dalla Suda nell’edizione di Th. GAISFORD e G. BERNHARDY, Halle 1853, perche´ non compare nell’edizione della Adler; la stessa voce compare anche nel Lexicon di Fozio, con le seguenti varianti che esplicitano quanto sottinteso nell’altra versione: ‘‘quello pronunciato brevemente e con lo spirito aspro significa ‘qualsiasi cosa’, presso Democrito ...’’. 1040 Detto s’intende di a[ lfa. Dal verso omerico citato sotto di Odissea II 258 e ` chiaro che a{ – sostituito da eJav, plurale del pronome riflessivo eJov", nei MSS su cui si basano le edizioni recenti del poema – e` il plurale del possessivo oJ". 1041 La testimonianza e ` riportata nella sua completezza; sull’attribuzione ad Ario Didimo si veda l’Introduzione (con il supplemento (V)). 1042 Il soggetto ‘felicita ` ’ risulta da un’integrazione di Meineke, ma si puo` sottintenderlo da quanto precede. In alternativa si puo` tradurre (come fanno V.E. ALFIERI, Gli atomisti, Bari 1936, e J. BARNES, Early Greek Philosophy, Harmondsworth 1987): ‘‘La felicita` egli la chiama buon animo e ben-essere e armonia ...’’. 1038 1039
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dell’anima} che sono in noi che dobbiamo ammettere che ‘‘il dio l’ha data a noi come un demone’’ e che in essa ha sede la felicita`.1043 Intende con questo una certa qual stabile disposizione nella parte direttiva dell’anima; all’origine di questo bene sono le affezioni, ma il limite definitorio ne e` la facolta` calcolatrice. E` possibile ascoltarlo: ‘‘Sono queste le due sorgenti alle quali la natura accorda di scorrere (cio`e il piacere e il dolore), e colui che attinge ad esse dove, quando e come si deve, e` felice, altrimenti e` nella condizione contraria.’’ 1044 (11) Nel nominare allora il piacere e il dolore egli costituisce il principio della felicita` dalle affezioni, ma {nel parlare} di colui che, attingendo ad esse dove, quando e come si deve, e` felice, ha detto che il fattore definitorio della felicita` sta nella facolta` calcolatrice. Sotto questo rispetto 1045 i due [scil. Platone e Democrito] sono in accordo fra di loro, ma secondo Platone e` nella buona condizione della facolta` calcolatrice che si colloca il bene preminente – quello che e` da scegliere per se stesso –, mentre nel piacere sta quello derivativo, che anche lui 1046 giudica essere gioia ed ‘atarassia’, usando questi termini come sinonimi; per conseguenza differiscono fra di loro.1047
132.1. T + F. Clemente, Stromata II xxi, 130, 4-6 (4-5 = 68 B 4; 734 Lu.; B 3 N.): (Sul fine) [Rassegna di posizioni sul tema, dopo la presentazione delle posizioni dei ‘naturalisti’ Anassagora, Eraclito e Pitagora.] (4) Ma anche gli Abderiti insegnano che sussiste il fine: Democrito nel suo scritto Sul fine {insegna che esso e` } il buon animo, che egli denomina anche ben-essere, e spesso aggiunge: ‘‘La gioia e l’assenza di gioia sono il limite di quello che capita’’,1048 (5) Ecateo
1043 Cfr. Timeo 90A (con citazione un po’ libera di A3-4). Nel seguito di quest’opera, non citato da Stobeo, Platone afferma che chi ha cura del divino, poiche´ conserva ‘in buon ordine il demone che abita in lui’, e` singolarmente felice (90C). Cfr. anche Eraclito, fr. 119: ‘‘Il carattere per l’uomo e` il suo demone’’. In greco c’e` un’associazione fra demone (daivmwn) e felicita` (eujdaimoniva = avere un buon demone) che si perde in traduzione. 1044 Il passo e ` Leggi I, 636D7-E1, citato con qualche liberta`. 1045 Cioe ` nel costituire il principio della felicita` dalle affezioni (e quindi nel porre la sua sede nell’anima), rendendole pero` soggette ad una capacita` di definizione e di discriminazione. 1046 Presumibilmente Platone, come suggerisce l’uso di ‘‘anche (kaiv)’’: di Democrito questo era gia` stato detto. Platone invero non propone mai espressamente l’ ‘atarassia (ajtaraxiva)’ come fine da realizzare, ma presenta il ‘turbamento (tarachv)’ come una condizione negativa, causata soprattutto dal corpo, che e` da evitare (cfr. Fedone, 66a5, 66d, 79c, Repubblica IV, 444b, IX, 577e, X, 602c-d, Timeo, 47c). 1047 Le ultime parole («differiscono fra di loro») rendono un’integrazione di Meineke, ma l’intero costrutto dell’ultima proposizione rimane poco soddisfacente, sicche´ c’e` da sospettare una piu` estesa corruttela del testo. J. ANNAS, in Democritus and Eudaimonism, in Presocratic Philosophy, Alderhot 2002, p. 172, traduce il periodo come segue: ‘‘On this point, therefore, Plato and Democritus agree, inasmuch as Plato places in excellence the good which is primary and sought for its own sake, and in pleasure that which supervenes, which he supposes as a consequence to be called by the same words as joy and tranquillity’’. Questa traduzione, pur possibile, ha sı` il vantaggio di non richiedere integrazioni, ma trascura il dev avversativo, che si giustifica col fatto che Platone, nel proporre quella distinzione fra bene preminente e bene derivativo, in effetti si differenzia da Democrito; inoltre non e` chiaro in che cosa stia la conseguenza indicata da ‘‘as a consequence’’. 1048 Adotto una correzione del Dihle (riportata da J.F. PROCOPE´ , Democritus the Moralist and
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{insegna che il fine e`} l’autosufficienza, e Apollodoto 1049 di Cizico {che e`} il diletto, come Nausifane {che e`} il non-essere-scossi: questo infatti, egli disse, viene chiamato ‘athambia’ da Democrito; (6) ancora oltre a questi Diotimo la completezza 1050 dei beni, la quale {diceva} viene denominata [scil. da Democrito?] ‘ben-essere’, la dichiaro` il fine.
132.2. F. Stobeo, Florilegium III 1, 46 (= 68 B 188; 734 Lu.; 2 N.): ‘‘La gioia e l’assenza di gioia sono il limite di cio` che e` conveniente e di cio` che e` sconveniente.’’
132.3. T. Epifanio, Adversus haereses III 2, 9 [III 14, 590.30-34] (= 68 A 166; 195, 725 e 738 Lu., parte come B 3 n. N.): [Di seguito al testo 8.5 su Leucippo.] Democrito di Abdera, figlio di Damasippo, disse che il mondo e` infinito e si trova sopra il vuoto. Disse pure che il fine di tutti e` uno e che la cosa dominante e` il buon animo, e che i dolori sono i limiti che definiscono il vizio. E che il giusto apparente non e` il giusto, e che l’ingiusto e` cio` che e` contrario alla natura, giacch´e diceva che le leggi sono {il risultato di} un’intenzione malvagia e che il saggio non deve obbedire alle leggi, ma vivere liberalmente.1051
132.4. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio XI 6 (om. DK; = 747 Lu.; B 3 n. N.): (Sul fine e sul giudizio.) 1052 Epicuro dunque definı` come fine il vivere nel modo piu` piacevole, giacche´ considero` come bene completo soltanto il piacere; a sua volta Democrito di Abdera, padre delle opinioni di costui, al posto del piacere pose il buon animo, operando un cambiamento di parole, non di opinioni. Anche Eraclito di Efeso cambio` il nome, ma conservo` la nozione: invece del piacere pose la soddisfazione.
132.5. T. Suda, s.v. eujestwv (E 3446) [II 447.9-13] (= 735 Lu.): Democrito l’Abderita afferma che il fine {dell’uomo} e` il buon animo ... [il seguito coincide con D.L. IX 45 (= 4.1), salvo omettere il periodo finale].
his contemporaries, Diss. Cambridge 1971: perihkovntwn), ma sono state proposte altre correzioni (p. es. da Zeller, PGGE I 2, p. 1142, n. 1, seguito da P. NATORP (Die Ethika des Demokritos, Marburg 1893): ‘‘... sono il limite di cio` che si deve fare [prhktevwn]’’) di un testo che non si lascia difendere cosı` com’e` (nonostante il tentativo in tale senso di H. LANGERBECK, DOXIS EPIRHYSMIE, Berlin 1935, p. 64). 1049 Errore per ‘‘Apollodoro’’, cfr. supra, 0.8.20 (+ n. 178) e 74.1 DK. 1050 Nel senso della loro totalita ` oltre che della perfezione. 1051 L’ultimo periodo (ma anche quello iniziale) pare poco attendibile, cfr. J.F. PROCOPE´ («Classical Quarterly», 1989), p. 324, n. 114. 1052 Il fine (tevlo") di cui si parla in questa parte e `, come nelle altre testimonianze, il fine ultimo dell’uomo, invece il giudizio (krivsi") di cui si parla piu` oltre e` il giudizio cui sono sottoposte le anime nell’al di la`.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
2. Attestazioni riguardanti la ‘tranquillit`a d’animo’ secondo Democrito 133.1. I. Seneca, De tranquillitate animi 1, 18; 2, 2-4 (om. DK e Lu.; parziale in Natorp, p. 4, n. 7): [Intervento iniziale di Sereno, che si rivolge a Seneca, e replica di questi al suo amico.] (1.18) Ti prego, dunque, se tu hai un rimedio con cui arrestare questo mio fluttuare, di ritenermi degno di essere tuo debitore della mia tranquillit`a. [...] (2.2) Non c’`e {piu`} bisogno di quei trattamenti particolarmente energici oltre i quali siamo gia` passati, cioe` che tu lotti talvolta contro te stesso, che talvolta ti adiri {con te stesso}, che talvolta incomba {su te stesso} con pesantezza, ma c’`e bisogno di quello che viene per ultimo, cioe` che tu abbia fiducia in te stesso e ti convinca di andare per la retta via, senza farti distrarre dal {desiderio di seguire} le orme traverse di molti che vagolano qua e l`a e di certuni che vanno errando proprio intorno alla retta via. (3) Cio` di cui senti bisogno e` cosa grande e somma e vicina alla divinita`: non lasciarsi scuotere. Questa stabilita` dell’animo i Greci la chiamano ‘euthymia’, e su questo tema c’e` un egregio libro di Democrito; io la chiamo ‘tranquillita`’, giacch´e non e` necessario riprodurre le parole {greche} e di trasferirle {nella nostra lingua} secondo la forma loro; la cosa stessa di cui si tratta deve essere significata con un qualche nome, che del termine greco deve avere il valore, non l’aspetto. (4) Dunque noi cerchiamo in che modo l’animo possa procedere con un corso sempre uniforme e favorevole, sia benevolo con se stesso, contempli con letizia le cose sue, e questa gioia non la interrompa, ma rimanga in uno stato placido, non esaltandosi ne´ deprimendosi mai: questa condizione sara` la tranquillita`. In che modo sia possibile giungerci, cerchiamolo in generale: di una medicina che e` per tutti tu prenderai quanto ne vorrai tu.
133.2. T. Cicerone, De finibus V 8, 23 (= 68 A 169; 741 Lu.; B 4 N.): [Contesto: dato che il sommo bene e` concepito in genere dai filosofi come una condizione di felicit`a che e` in accordo con la natura, quale sia l’oggetto primo della facolta` appetitiva, per esempio se il piacere o l’assenza del dolore o la salute, e` un fondamentale punto di controversia fra le teorie filosofiche del sommo bene; le possibilita` che si presentano al proposito sono state codificate da Carneade nella sua nota divisio.] 1053 Quanto alla esenzione da cure di Democrito, che e` una sorta di tranquillita` d’animo, che egli chiamo` eujqumivan, abbiamo dovuto tenerla fuori dalla nostra discussione, poich´e questa tranquillit`a d’animo 1054 e` essa stessa la vita beata; e noi stiamo indagando non che cosa sia {la vita beata}, ma donde venga.
133.3. T. Cicerone, De finibus V 29, 87-88 (= 68 A 169; 741 Lu.; B. 4 N.): [Contesto: tutto il credito della filosofia sta nel procurarci la vita beata, e questo e` quanto in effetti i filosofi almeno promettono con le loro teorie. Per qual motivo, altrimenti, Platone e Pitagora avrebbero tanto viaggiato?] 1053 Sulla classificazione o sulle classificazioni che Carneade aveva in mente si veda p. es. M. DAL PRA, Lo scetticismo greco, Roma-Bari 1975 (2a ed.), pp. 252 sgg., ovvero lo specchietto proposto da J. ANNAS nella trad. inglese da ella curata (Cicero, On Moral Ends, Cambridge 2001, p. XXIV). 1054 Ista animi tranquillitas in alcune edizioni viene omesso dal curatore evidentemente perche ´ ripetitivo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
Per quel motivo Democrito ha fatto lo stesso? Di lui viene raccontato – non ci domandiamo se in modo vero o falso – che si era privato degli occhi; 1055 certamente e` affinche´ lo spirito fosse distolto il meno possibile dalla riflessione che egli ha trascurato il patrimonio, ha lasciato i campi incoltivati; per cercare che cosa, se non la vita beata? Sebbene la facesse risiedere nella conoscenza della realta`, a partire da quella indagine circa la natura era pur sempre la condizione del buon animo che cercava di conseguire. Questo e` quel sommo bene che chiama eujqumivan e spesso ajqambivan, vale a dire la condizione dell’animo libero da timore. (88) Per quanto sia detto splendidamente, manca tuttavia di rifinitura, perche´ egli dice ben poco circa la virtu` stessa e anche questo senza toccare il nocciolo. E` {solo} piu` tardi che su queste questioni si comincio` a condurre un’indagine in questa citt`a,1056 inizialmente da parte di Socrate, successivamente trasferendola proprio in questa sede,1057 e si riconobbe in modo indubitabile che nella virtu` va riposta ogni speranza di vivere bene e, insieme, beatamente.
133.4. T. Strabone, Geographica I 3, 21 [61.5-8] (= 68 A 168; 744 Lu.; B 4 n. N.): [All’inizio del § 16 Strabone parla dell’acquisizione dell’attitudine del non-stupirsi (ajqaumastiva) mediante il riconoscimento che ci sono cause naturali per fenomeni apparentemente straordinari, come i diluvi, i terremoti, le eruzioni vulcaniche, le conversioni di isole a penisole.] Aggiungono anche i mutamenti dovuti alle migrazioni, volendo accrescere in noi il non-stupirsi, che e` lodato da Democrito e da tutti gli altri filosofi; e` infatti condizione prossima alla ‘athambia’ e all’atarassia e all’essere imperterrito.
3. Sulla superiorit`a dell’anima rispetto al corpo 134.1. F. Democrate 3 (= 68 B 37; 573 Lu.; 8 N.): ‘‘Colui che sceglie i beni dell’anima sceglie le cose piu` divine, colui che {sceglie} quelli del corpo {sceglie} le cose umane.’’
134.2. F. Democrate 6 (= 68 B 40; 781 Lu.; 15 N.): ‘‘Non e` ne´ per i corpi ne´ per le ricchezze che gli uomini sono felici, ma grazie a rettitudine e molta saggezza.’’
134.3. F. Stobeo III 1, 27; Democrate 21058 (= 68 B 187 e 36; 784 Lu., 18 N.): E` conveniente per gli uomini tener conto dell’anima piuttosto che del corpo. 1055 Sul motivo della cecita ` che Democrito si sarebbe procurato volontariamente cfr. 0.4.7 (sempre Cicerone) e 0.4.8-11 (Gellio, Plutarco, ecc.). 1056 Si intende la citta ` di Atene, dove Cicerone si immagina abbia luogo la conversazione da lui riportata nel libro V della sua opera. 1057 La sede della scuola di Platone, l’Accademia, dove precisamente si svolgerebbe la conversazione riportata da Cicerone. 1058 Limitatamente al secondo periodo. Di tenore simile al passo nel suo complesso e ` Platone, Respublica III, 403D: ‘‘A me non sembra che sia il corpo, per quanto efficiente esso sia, a render buona l’anima con la sua virtu`, ma, al contrario, che sia l’anima buona, con la sua virtu`, a conferire la miglior condizione possibile al corpo.’’
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
In effetti la perfezione dell’anima rettifica la difettosita` del corpo, mentre la forza del corpo senza la riflessione non rende l’anima in alcun modo migliore.
134.4. F. Democrate 71 (68 B 105; 778 Lu.; 16 N.): ‘‘La bellezza del corpo e` animalesca, se sotto non c’e` l’intelletto.’’
134.5. F. Stobeo IV 29, 18; Democrate 23 (= 68 B 57; 783 Lu.; 17 N.): ‘‘L’essere ben-nato 1059 per le bestie sta nella floridezza del corpo, per gli uomini sta nella buona disposizione del carattere.’’
4. La prevalente responsabilit`a dell’anima 135.1. T + F. Plutarco, Fragmenta moralia I: De libidine et aegritudine 2 (= 68 B 159; 776 Lu.; 22 N. [Teofrasto = T 440A FHSG; L 3 Quellen]): [Il tema generale affrontato e` se le passioni, a cominciare dalle quattro fondamentali di piacere e dolore, desiderio e paura, siano da attribuire primariamente al corpo o all’anima, e se il corpo non ne sia la causa anche nel secondo caso.] E` antica, a quanto pare, questa controversia giudiziaria 1060 promossa dal corpo contro l’anima per via delle passioni. E Democrito, riferendo l’infelicita` all’anima, dice: se il corpo la portasse in tribunale per quanto ha sofferto e per i mali ricevuti durante tutta la vita, ed egli [scil. Democrito] diventasse un giudice dell’accusa, voterebbe con piacere contro l’anima, per avere guastato il corpo con la sua trascuratezza e averlo reso dissoluto con le sbornie da un lato, e per averlo corrotto e distratto 1061 con la brama dei piaceri dall’altro, al modo in cui del cattivo stato di uno strumento o di un utensile e` reso responsabile colui che senza riguardo 1062 ne fa uso.1063 Teofrasto, al contrario, disse che all’ani-
1059 In greco questo e ` il primo di una serie di composti di euj; il senso e` quello di nobilta` o eccellenza, ma almeno il primo termine non e` troppo appropriato per le bestie. 1060 Rendo cosı` il greco diadikasiva, che serve da termine tecnico del diritto, per indicare una controversia di carattere privato fra due o piu` parti che avanzano la stessa pretesa (cfr. p. es. A.R.W. HARRISON, The Law of Athens, vol. II: Procedure, London, Duckworth, 19982, pp. 79-80). Qui tuttavia il termine probabilmente e` usato in un senso non tecnico, semplicemente per indicare una controversia o disputa (ajmfisbhvthsi") che ha luogo avanti ad un giudice. (I due termini sono accoppiati, come se fossero equivalenti, in Platone, Leggi XI, 937D, e la loro associazione, estesa ai verbi corrispondenti, e` piuttosto frequente, cfr. p. es. Lisia, Oratio XVII, 1 e 10 con 5 e 9; Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 57, 2; il primo termine viene usato in senso non tecnico per ‘disputa’ in Eschine Oratio III, 146.) 1061 Nel tradurre diaspavw seguo un suggerimento di Procope ´ , Diss.: renderlo con ‘fatto a pezzi’ sembra eccessivo. 1062 Il greco ajfeidw" viene di solito associato a ‘colui che ne fa uso’ (anche per via del parallelo = con ajfeidein= , usato in De tuenda sanitate 135E8 [= 135.2] per indicare come l’anima trascura il corpo); in alternativa, introducendo un parallelo con quanto precede, si puo` associarlo a ‘esser reso responsabile’ e tradurre come fa J.F. PROCOPE´ («Classical Quarterly», 1990, p. 32): «he would mercilessly put the blame on the user». 1063 Diels ritiene che l’intero passo dopo ‘‘dice’’ sia una vera e propria citazione di Democrito, H. GOMPERZ (Nachtra¨ge) concorda ma escludendo il periodo finale, io sono incline a ritenere che sia
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
ma costa molto risiedere nel corpo, per un breve soggiorno dovendo pagare una pesante pigione – in dolori, in timori, in desideri, in gelosie. Trovandosi coinvolta in queste {passioni} in connessione col corpo, avrebbe piu` giusti motivi di intentargli un processo, accusandolo del danno delle cose rimaste occulte,1064 della violenza dei mezzi usati per tenerla in detenzione, e dell’oltraggio sofferto per la cattiva reputazione e il vilipendio di cui e` oggetto, per essere a torto ritenuta responsabile dei mali del corpo.
135.2. T. Plutarco, De tuenda sanitate praecepta 24, 135D4-E8 (D9-E3 = 68 B 159; 776 Lu.; 22 N. [Teofrasto = 440B FHSG; L 3 Quellen]): Noi consiglieremmo a coloro che si dedicano agli affari pubblici di usare i loro sforzi in vista del bello e del necessario, non di torturare il corpo in vista di cose piccole e disprezzabili, come fa la moltitudine di coloro che sono afflitti dai casi della vita, i quali tormentando se stessi in notti insonni e in erramenti e in corse in giro non sono rivolti a nulla di valido e di decoroso, ma calunniano altri o li invidiano o rivaleggiano con essi o perseguono opinioni 1065 senza frutto e vuote. Ritengo in effetti che sia soprattutto nei loro riguardi che Democrito diceva che, se il corpo avesse portato in tribunale l’anima per il male {subito}, essa non avrebbe potuto essere assolta. E forse c’e` del vero in quanto Teofrasto dice, usando la metafora dell’anima che paga un forte affitto al corpo. Comunque il corpo guadagna piu` mali dall’anima {che viceversa}, in quanto essa ne fa uso contro ragione e non se ne cura in modo appropriato. Quando infatti essa e` occupata con le sue proprie emozioni e i propri sforzi e preoccupazioni, trascura il corpo.
135.2.1. I. Diogene di Enoanda, fr. 2 [1 Ch.], coll. I, II.1-4 (om. DK; = 776a Lu.): *** rivolgendo all’anima {accuse importanti} e giuste, perche´ e` molestato e danneggiato da essa in modo indebito ed e` trascinato a cose che non sono necessarie – infatti le cose richieste da esso 1066 sono piccole e facili a procurarsi, e, se ne compartecipa, anche l’anima puo` vivere bene; invece quelle richieste dall’anima sono grandi e difficilmente procurabili, e, oltre a non giovare affatto alla natura, procurano anche pericoli ...
135.3. T. Plutarco, Animine an corporis affectiones sint peiores 1, 500B-C10 e 2, 500C11-E3 (500D5-E3 = 68 B 149; 776a Lu.; 49 N.): Omero, avendo contemplato i generi mortali degli animali e messo a confronto gli uni con gli altri riguardo alle loro vite e ai loro regimi, dichiaro` che nessuno e` ‘‘piu` sventurato
tutto un sintesi plutarchea di un passo piu` lungo; e` facile tuttavia che la sintesi aderisca in qualche misura all’originale nella terminologia usata. (Si puo` sospettare che sia dovuta a Plutarco l’immagine, corrente nel platonismo, del corpo come strumento, ma non si puo` escludere che essa circolasse piu` diffusamente e che Democrito ne facesse uso, seppure in modo non del tutto coerente. Cfr. sulla questione C.H. KAHN, «American Journal of Philology», 1985, pp. 8-11, e Procope´, 1990, p. 32: entrambi ritengono democriteo l’uso dell’immagine.) 1064 Oppure: ‘‘fatte dimenticare’’. 1065 Probabilmente anche nel senso di opinioni che altri si fanno di una persona, cioe ` la reputazione che egli acquisisce. 1066 Il soggetto e ` palesemente il corpo (non citato esplicitamente perche´ il passo e` lacunoso all’inizio).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
dell’uomo, | di tutti e quanti che respirano e si muovono sulla terra’’,1067 attribuendo all’uomo uno sfortunato primato nell’eccesso dei mali. Noi pero`, {procedendo} come se l’uomo avesse gia` vinto {la competizione} per l’infelicita` e fosse stato proclamato il piu` disgraziato degli animali, sottoponiamo lui ad un giudizio comparativo con se stesso, dividendo il corpo e l’anima per un agone nei mali ad essi propri, in modo non inutile ma anzi assai necessario, per apprendere se e` ad opera del caso o di noi stessi che viviamo nel modo piu` infelice. Giacch´e, mentre la malattia nel corpo cresce per caso e per natura, il vizio e la depravazione dell’anima sono in primo luogo la sua opera, poi la sua afflizione. Non e` di poca utilit`a per il buon animo (eujqumiva) se la condizione peggiore e` curabile e piu` leggera {da sopportare} e non violenta.1068 2. La volpe di Esopo,1069 entrando dunque in una controversia giudiziaria con la pantera riguardo alla loro varieta` (poikiliva), come che quella aveva mostrato che il suo corpo {era flessuoso} e il suo esteriore era brillante e screziato, mentre il giallastro {della volpe} era squallido e spiacevole alla vista, disse: ‘‘ma tu, o giudice, guarda dentro di me e vedrai che sono piu` varia di quella’’, indicando {con cio`} la versatilita` 1070 del suo carattere che e` suscettibile, il piu` delle volte, di trasformarsi in relazione alle necessita`. Diciamo, nel nostro caso, ‘che molte delle malattie e affezioni, o uomo, il corpo te le produce naturalmente da se stesso e molte ne riceve che gli capitano dal di fuori; ma se aprirai te stesso al tuo interno, troverai – come dice Democrito 1071 – un magazzino e uno scrigno ben vario e ricco di mali e di affezioni, che non affluiscono dall’esterno, ma hanno come delle fonti sotterranee e connaturate, che il vizio fa scaturire, essendo abbondantemente provvisto di passioni.1072’
135.3.1. F. Gnomologium Byzantinum 24, Florilegium Marcianum 395, Georgidae Gnomologium 1166: 1073 L’anima del bene e` un magazzino buono, del male e` un magazzino cattivo.
Iliade XVII, vv. 446-47. Oppure, adottando un’integrazione di Capps: ‘‘... e` curabile, essendo piu` leggera {da sopportare} e non violenta [letteralm.: priva di polso]’’, ma forse il testo presenta un guasto oppure (come suppone Pohlenz) una lacuna dopo ‘‘e` curabile’’. 1069 Allusione alla Favola 42 (nella numerazione dell’ed. Halm, 12 dell’ed. Hausrath). 1070 In greco eujtropiva, ma la stessa idea e ` suggerita sempre dal greco poikiliva indicante ora doti come l’astuzia e l’agilita` intellettuale. 1071 In questo caso (come mostrano anche i riecheggiamenti segnalati nella prossima nota) ci deve essere la citazione di un brano democriteo, ma e` difficile determinarne l’estensione (per Diels va da ‘‘se aprirai te stesso’’ fino a ‘‘ricco ... di affezioni’’, per H. GOMPERZ, Nachtra¨ge, e` limitata a ‘‘un magazzino o uno scrigno di mali’’). In ogni caso l’intero passo deve parafrasare quanto detto da Democrito, come gia` sosteneva J.F.W. BURCHARD, Fragmente der Moral des Abderiten Democritus, Minden 1834, p. 35, n. 1. 1072 Il motivo dell’anima come scrigno o tesoro (sia del bene che del male) compare anche, possibilmente come riecheggiamento del passo democriteo cui fa riferimento Plutarco, in alcuni florilegi (cfr. 135.3.1, inoltre, piu` alla lontana, Flor. APM 155), senza essere sempre espressamente riferito a Democrito. Una trasposizione di questo, unito (come nel passo plutarcheo immediatamente successivo) ad un richiamo al motivo del buon animo, pare esserci nello scritto ippocratico intitolato Novmo" dove, al cap. 4, si contrappone al possesso dell’arte medica l’inesperienza, che e` detta essere un ‘‘cattivo tesoro’’ per quelli che l’hanno, aggiungendo che e` una condizione non partecipe di buon animo (eujqumivh) e di gioia (eujfrosuvnh) perche´ favorisce la vigliaccheria e l’impulsivita`. (Il passo viene segnalato da U. VON WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Lesefru¨chte 152, «Hermes», LIV, 1919, pp. 46-50.) 1073 La sentenza e ` attribuita a Democrito nel Florilegium Marcianum, a Sesto Pitagorico nel 1067 1068
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
135.4. I. Plutarco, De tranquillitate animi 14, 473B (om. DK e Lu.): [Inizio di un nuovo capitolo; il seguito illustra quanto affermato nel passo.] Ma che ogni uomo ha in se stesso il magazzino del buon animo e del malanimo, e che i vasi dei beni e dei mali sono depositati non ‘‘sulla soglia di Zeus’’ 1074 ma nell’anima, lo mostrano le differenze nelle passioni. Gli insensati disprezzano e trascurano le cose buone anche quando sono presenti, perche´ con i loro pensieri sono sempre protesi verso il futuro, mentre i saggi, mediante la memoria, rendono vivamente presenti a se stessi anche le cose che non sono piu`. ...
135.5. F. Stobeo III 10, 65 (= 68 B 223; 750 Lu.; 19 N.): ‘‘Cio` che il corpo richiede e` disponibile a tutti senza sforzo e fatica; cio` che richiede sforzo e fatica e rende la vita dolorosa lo desidera non il corpo ma la mente accesa al male.1075 ’’
135.6. I. Epicuro, fr. 445 Usener (trad. Diano): ‘‘Non facciamo responsabile la carne dei grandi mali che ci colpiscono, e non rigettiamo sulle circostanze esterne la colpa delle nostre impazienze: cerchiamo piuttosto nell’anima la causa di tutte queste cose, e sradicandone ogni vana brama e speranza di beni che hanno la durata di un giorno, riduciamoci interi in potere di noi stessi.’’
5. Terapia dell’anima e terapia del corpo 136.1. T. Clemente, Paedagogus I ii, 6, 1-2 (= 68 B 31; 779 Lu.; 50 N.): [Contesto: la parola (logos) del Padre e` il solo medico delle infermita` morali dell’uomo.] In effetti, secondo Democrito, la medicina cura i mali del corpo, la sapienza libera l’anima dalle affezioni.1076
136.1.1. I. Ps.-Ippocrate, Epistula XXIII 1-2 (IX, 394 [102.1-9]) (= 68 C 6): Democrito ad Ippocrate Sulla natura dell’uomo: (1) Tutti gli uomini, o Ippocrate, dovrebbero conoscere l’arte medica, giacche´ e` ad un tempo bello e utile alla vita, ma fra di essi soprattutto quelli che sono diventati esperti di Georgidae Gnomologium. E` inclusa nella raccolta curata da H. CHADWICK (The sentences of Sextus, Cambridge 1959) al nr. 117. 1074 Cfr. Iliade XXIV 527. 1075 Adotto kakoqhgivh, che e ` la lezione di alcuni MSS (difesa da Langerbeck, op. cit., pp. 70-71, seguito da Luria e da Procope´, Diss.); Diels, Vors., adottando il testo a quanto pare modificato di un altro MS (kakoqigivh, ma M ha kakodigivh), riproposto dal Kranz in DK con un punto interrogativo, traduce: ‘‘sondern die Ziellosigkeit des Urteils’’; Alfieri, adottando lo stesso testo, traduce: ‘‘ma la fallacita` della nostra mente’’; Burchard (Fragmente der Moral, p. 24), Natorp, Wilamowitz (Lesefru¨chte 197b, «Hermes», LX, 1925, p. 306) e altri propongono la correzione in kakohqivh (termine indicante l’indole malvagia della mente). 1076 Una variante della stessa affermazione, ma senza menzione di Democrito, compare in Strom. VII i, 3, 1.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
cultura e di discorsi, giacche´ io ritengo che la ricerca della sapienza 1077 sia sorella e ‘coabitante’ della medicina. (2) La sapienza infatti libera l’anima dalle affezioni, la medicina elimina le malattie dei corpi. L’intelletto e` accresciuto quando e` presente la salute,1078 della quale e` bene che si preoccupino coloro che hanno una saggezza superiore; quando la disposizione corporea e` sofferente l’intelletto non ha fervore per l’esercizio della virtu`, giacche´ la presenza della malattia debilita seriamente l’anima, coinvolgendo la saggezza. [Segue quello che viene chiamato uno schizzo (hypographe´) della natura umana, ma concentrato sul corpo.] 1079
136.1.2. I. Epicuro, fr. 221 Us. (trad. Diano modificata): Vana e` la parola di quel filosofo dalla quale nessuna affezione umana viene curata. Come non v’e` nessuna utilita` d’un’arte medica che non liberi il corpo dai suoi mali, cosı` neppure della filosofia se non libera l’anima dalle sue affezioni.
136.2. F. Stobeo III 18, 30 1080 (= 68 B 234; 593 Lu.; 21 N.): ‘‘Ci sono uomini che 1081 con preghiere chiedono la salute da parte degli dei, e non sanno che hanno in se stessi il potere di questa; nell’operare per intemperanza in senso avverso diventano essi stessi i traditori della salute per via dei desideri.’’
137.1. F. Stobeo III 1, 210 [176.8-177.12] (= 68 B 191; 657 Lu.; 52 N.): (Sulla virtu`) ‘‘Per gli uomini infatti 1082 il buon animo si genera con la misura nella gioia e l’equilibrio della vita.1083 Le deficienze e gli eccessi tendono al trapassare 1084 e al produrre gran-
1077 Non e ` chiaro se si tratta di un genitivo soggettivo od oggettivo. W.D. SMITH (Hippocrates, Pseudoepigraphic Writings, Leiden 1990, p. 103) propone senz’altro ‘‘the search for wisdom’’, ma non e` facile trovare esempi per quest’uso di historie e il parallelo con la medicina (che e` un tipo di indagine) suggerisce piuttosto che si tratta della ricerca condotta dalla sapienza. Nel seguito immediato, come anche nel passo affine di Clemente, si parla senz’altro di sapienza e non di filosofia come ricerca della sapienza. 1078 Ho adottato il testo del Littre´ presentante quella che deve essere una sua congettura: novo" , al posto di nou=so". 1079 Questo, almeno nel suo complesso, non puo ` essere democriteo (si veda Presentazione dei testi, sez. 2 e n. 7 e Introduzione, p. XXIII). 1080 Apparentemente assai simile a questo passo, attribuito espressamente a Democrito, e ` un detto attribuito a Diogene di Sinope, che tuttavia pare ridurre l’intemperanza agli eccessi nei quali si cade nel compiere quei sacrifici agli dei che accompagnano le preghiere (cfr. Diogene Laerzio VI 28 e Stob. III 6, 35). 1081 Intendo a questo modo (come fa anche Luria ad loc.) il greco a[nqrwpoi (senza l’articolo), perche´ non puo` trattarsi indiscriminatamente degli uomini tutti, ma non si puo` escludere che si parli genericamente degli uomini, intendendo gli uomini con poche eccezioni. 1082 La presenza della particella ga;r fa pensare che il passo fosse preceduto da qualcosa che e ` stato omesso. 1083 Cioe ` dei fattori o elementi che costituiscono la vita. Si puo` anche intendere: ‘‘commisuratezza della vita’’ rispetto alle nostre forze, come propone Procope´, Diss. 1084 Probabilmente il senso e ` : ad una condizione di mutamenti improvvisi e di variabilita`.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
di movimenti nell’anima. Quelle fra le anime che sono mosse da grandi intervalli 1085 non sono ne´ stabili ne´ di buon animo. (13) Si deve dunque tenere la mente a cio` che e` possibile e contentarsi di cio` che e` a portata di mano, avendo poca cura 1086 di coloro che sono invidiati ed ammirati e non rivolgendo la mente ad essi,1087 ma {si deve} contemplare le vite dei disgraziati, considerando strenuamente 1088 quanto essi subiscono, di modo che le cose a te presenti e disponibili appaiano grandi e invidiabili e che non ti succeda piu` di avere male nell’anima perche´ coinvolto nel desiderio del di piu`. (177.1) In effetti colui che ammira coloro che hanno {possessi} e che sono tenuti per beati dagli altri uomini, e che ha la mente tutto il tempo rivolta a cio`, e` costretto alla continua ricerca del nuovo 1089 e, per {soddisfare} il suo desiderio, a volgersi a qualche azione irrimediabile che le leggi proibiscono. (6) Percio` alcune cose non si debbono ricercare, ma in altre si deve essere di buon animo, mettendo a confronto la propria vita con quella di chi si trova in una condizione peggiore, e tenere se stesso per beato, considerando cio` che essi subiscono e di quanto la propria condizione sia migliore della loro. Se ti riesce di attenerti a questa disposizione mentale ti troverai ad essere sempre piu` di buon animo e nella vita terrai lontani non pochi guai: l’invidia e la gelosia e il mal animo.’’
137.1.1. I. Lucrezio, De rerum natura II, vv. 1-4 (trad. Canali): E` dolce, quando i venti sconvolgono le distese del vasto mare, | guardare da terra il grande travaglio di altri; | non perche´ l’altrui tormento procuri giocondo diletto, | bensı` perche´ t’allieta vedere da quali affanni sei immune. ...
137.2. F. Stobeo IV 44, 67 (= 68 B 290; 763 Lu.; 89 N.): ‘‘Scaccia con la ragione il dolore senza governo dall’anima paralizzata.1090 ’’
137.3. I. Plutarco, De tranquillitate animi 12, 471D: In non piccola misura ostacola il buon animo il non disporre degli impulsi, come se fossero vele, in proporzione alla capacita` sottostante, ma, volgendosi nelle speranze a cose troppo grandi e poi trovandosi nel fallimento, attribuire la causa alla divinita` e al caso invece che alla nostra stupidita`.
Cioe` che vanno da un estremo all’altro. Letteralmente: ‘‘memoria’’. 1087 Ritengo, come fanno Diels, Alfieri, Procope ´ (Diss., ripreso da Schofield in KRS, p. 430) e altri, che si parli di persone, in contrapposizione ai ‘disgraziati’ menzionati nel seguito; altri studiosi, p.es. Burchard, Fragmente der Moral, p. 22, e Barnes, Early Greek Philosophy, p. 269, ritengono che si parli di cose (quest’ultimo traduce: ‘‘... giving little thought to things that are envied and admired, and not dwelling on them in your mind; and you must observe the lives of those who are badly off ...’’). 1088 O: ‘‘veramente’’; ma si puo ` anche intendere il passo a questo modo: ‘‘considerando quanto essi subiscono in modo estremo’’ (‘‘bearing in mind how mightily they are suffering’’, Procope´, Diss., seguito da Schofield in KRS, p. 430, ma gia` Burchard, Fragmente der Moral, p. 22, proponeva: ‘‘... was sie schwer tragen’’). 1089 Tende a suggerire l’idea del darsi alla sovversione. 1090 Oppure: intorpidita (presumibilmente, dal dolore stesso). 1085 1086
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.A)
6. Saggezza e stoltezza 138.1. F. Stobeo III 7, 74 (= 68 B 216; 743 Lu.; 34 N.): ‘‘La sapienza senza sorpresa vale tutte le cose essendo la piu` onorabile.1091 ’’
138.2. F. Stobeo III 20, 56 (= 68 B 236; 762 Lu.; 88 N.): ‘‘Contrastare il proprio impulso e` difficile, ma il dominarlo e` proprio dell’uomo dotato di giudizio.1092 ’’
138.3. F. Stobeo III 4, 71 (= 68 B 197; 798 Lu.; 33 N.): ‘‘Gli stolti si formano con i guadagni dovuti alla fortuna, coloro che hanno conoscenza di cotali cose 1093 con quelli dovuti alla sapienza.’’
138.4. F. Stobeo III 4, 75 (= 68 B 201; 793 Lu.; 94 N.): ‘‘Stolti che hanno desiderio della novita` 1094 ma dalla novita` non traggono gioia.’’
138.5. F. Stobeo III 4, 76 (= 68 B 202; 794 Lu.; 60 N.): ‘‘Stolti, che hanno desiderio delle cose assenti, mentre dissipano le cose presenti pur essendo assai piu` vantaggiose anche di quelle del passato.’’
138.6. F. Stobeo III 4, 78 (= 68 B 204; 795 Lu.; 98 N.): ‘‘Stolti, che non apprendono 1095 nulla in tutta la loro vita.’’
138.7. F. Democrate 20 (= 68 B 54; 800 Lu.; 31 N.): ‘‘Gli insensati diventano saggi {solo} con le disgrazie.’’
1091 La parte finale del periodo e ` omessa da H. Gomperz, seguito da Kranz in DK (Diels, in Vors., l’ammetteva e traduceva: ‘‘denn sie verdient die ho¨chsten Ehren’’); Alfieri traduce: ‘‘la sapienza imperturbabile vale tutti i beni {del mondo}, perche´ e` la cosa piu` preziosa che ci sia’’. 1092 Il passo richiama (forse polemicamente) Eraclito, fr. 85 DK: ‘‘Contrastare il proprio impulso e` difficile; qualunque cosa desideri, la compra a prezzo dell’anima.’’ 1093 Non e ` chiaro di quali cose si stia parlando, presumibilmente perche´ manca il contesto cui il passo apparteneva, ma forse si tratta sempre dei guadagni dovuti alla fortuna, riconoscendone l’instabilita`. 1094 Accetto, come F.W.A. MULLACH (Fragmenta Philosophorum Graecorum, I, Paris 1860, fr. 52) e P. NATORP (op. cit.), la lezione dei MSS, anziche´ adottare, come Diels (in DK), qui e alla fine del passo, una correzione di Bu¨cheler e tradurre ‘‘desiderio di una vita lunga’’ e ‘‘da una vita lunga ...’’. 1095 Adotto, come Mullach (op. cit., fr. 56) e Natorp, la correzione manqavnousin (dovuta a Valckenaer). Alfieri, attenendosi alla lezione dei MSS modificata da Diels (con l’introduzione dell’elisione, per oujdeniv), cioe` oujdevn’ ajndavnousin, traduce: ‘‘non riescono a piacere a nessuno’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.B)
138.8. F. Democrate 86 (= 68 B 115; 1096 om. Lu.; 35 N.): ‘‘Una saggezza modesta va stimata al di sopra di una grande reputazione per stoltezza.’’
138.9. F. Democrate 32 (= 68 B 67; 606 Lu.; 224 N.): ‘‘Bisogna prestar ascolto non a tutti, ma alle persone degne di stima; l’una cosa e` propria del sempliciotto, l’altra del saggio.’’
138.10. F. Stobeo IV 46, 18; Democrate 23a 1097 (= 68 B 58; 799 Lu.; 102 N.): ‘‘Le speranze di coloro che pensano rettamente sono realizzabili, quelle degli insensati sono impossibili.’’
138.11. F. Stobeo IV 46, 19 (= 68 B 292; 799 Lu.; 103 N.): ‘‘Le speranze degli insensati sono irragionevoli.’’
7. Per il saggio la patria e` il mondo 138.12. F. Stobeo III 40, 7 (= 68 B 247; 730 Lu.; 168 N.): ‘‘Per l’uomo saggio tutta la terra e` percorribile: tutto il mondo e` la patria dell’anima buona.1098 ’’
B. IL
PIACERE
1. La valutazione dei piaceri 139.1. F. Stobeo III 1, 47 (= 68 B 189; 748 Lu.; 7 N.): ‘‘Il meglio per l’uomo e` condurre la vita cosı` da essere di buon animo per la maggior parte delle cose 1099 e da affliggersi il minimo. E questo avverrebbe se non si facesse risiedere i piaceri nelle cose mortali.1100 ’’
1096 Il passo e ` trattato come non autentico da Diels (in DK), presumibilmente perche´ segue due passi da giudicarsi non autentici (uno di essi e` 184.3, l’altro, Democrate 85, coincide con la sentenza anonima citata da Marc’Aurelio, IV 3, fine: ‘‘il mondo e` cambiamento, la vita, una supposizione’’). 1097 In questa collezione la sentenza e ` riportata solo da alcuni MSS. 1098 L’autenticita ` del passo viene contestata da Freudenthal, da Luria (Entstellungen I, p. 88, ma non piu` in Democritea) e da altri per la forma ritmica che presenta, ma questa (come suggerisce anche Diels) potrebbe essere casuale. Il passo pare essere una variazione sul motivo assai diffuso che ‘tutta la terra e` una patria’ (cfr. Euripide, fr. 777 N.: ‘‘dappertutto e` patria la terra che ci nutre’’; 1047 N.: ‘‘tutta la terra e` patria per l’uomo nobile’’; mentre solo in parte simile e` quanto troviamo in Tucidide II 43, 3.e in Lisia, Oratio 31, 6); c’e` una ripresa del motivo in Diogene di Enoanda, fr. 30 (fr. 25 Ch.), col. II. 1099 Oppure: ‘‘il piu ` possibile’’. 1100 L’obbiettivo del perseguire beni immortali e ` suggerito anche da Epicuro alla fine della Lettera a Meneceo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.B)
139.2. F. Stobeo III 5, 22 (= 68 B 207; 786 Lu.; 4 N.): ‘‘Bisogna perseguire non ogni piacere ma quello che ha sede nel bello.’’
139.3. F. Democrate 39 (= 68 B 74; 756 Lu.; 5 N.): ‘‘Non accettare niente di piacevole se non e` conveniente.1101 ’’
139.4. F. Democrate 34 (= 68 B 69; 89 Lu.; 6 N.): 1102 ‘‘Identico per tutti gli uomini e` il buono e il vero,1103 mentre il piacevole e` differente per uomini differenti.’’
2. La moderazione e i piaceri 140.1. F. Stobeo, III 5, 27 (= 68 B 211; 751 Lu.; 56 N.): ‘‘La moderazione accresce le gioie e rende ancora piu` grande il piacere.’’
140.2. F. Stobeo III 5, 26 (= 68 B 210; 759 Lu.; 65 N.): ‘‘La fortuna appresta una tavola abbondante, la moderazione una adeguata.’’
140.3. F. Stobeo III 17, 37; III 6, 59 1104 (= 68 B 232; 757 Lu.; 57 N.): ‘‘Fra i piaceri quelli che sono i piu` rari sono i piu` gradevoli.’’
141.1. F. Stobeo III 17, 38; III 6, 601105 (= 68 B 233; 753 Lu.; 55 N.): ‘‘Se uno eccede la misura, le cose piu` gradevoli possono diventare le piu` sgradevoli.’’
141.2. F. Stobeo III 18, 35 1106 (= 68 B 235; 750 Lu.; 53 N.): (Sull’intemperanza) ‘‘Quanto a coloro che traggono i loro piaceri dallo stomaco andando oltre l’opportuno nei cibi, nelle bevande o nel sesso, per essi tutti i piaceri {stessi} risultano essere rapidi e 1101 Barnes, in Early Greek Philosophy, p. 286, traduce come segue: ‘‘It is pleasant to get nothing which is not to your advantage.’’ 1102 Il passo e ` presente solo in una famiglia dei MSS di ‘Democrate’, cioe` nei codd. palatino e laurenziano. 1103 La formulazione potrebbe voler dire sia che il buono e il vero coincidono sia che ciascuno di essi e` lo stesso per tutti gli uomini, ma il seguito favorisce la seconda interpretazione. 1104 La sentenza III 6, 59 (identica a III 17, 37, con lemma ‘‘di Democrito’’) compare senza lemma, di seguito ad una sentenza che ha ‘‘Epitteto’’ come lemma. 1105 In quest’altra occorrenza tuttavia l’ecloga compare con l’indicazione ‘‘lo stesso’’, richiamante apparentemente l’autore di III 6, 58, indicato come Epitteto (cfr. n. precedente). 1106 La sentenza compare (con il lemma «di Democrito») nel solo cod. S (vindob.); la stessa sentenza compare in Stobeo III 6, 65, ma solo nel cod. L (laurenziano), sotto il nome di Epitteto (presumibilmente dovuto ad un errore, cfr. l’apparato di Hense al passo).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.C)
di breve durata, {cioe`} per il tempo che mangiano o bevono,1107 i dolori invece sono molti.1108 E` presente infatti continuamente questo desiderare le stesse cose, e quando sopraggiungono le cose che desiderano, rapidamente il piacere e` dissipato e non c’e` nulla di buono in essi, eccetto una breve gioia, e c’`e subito bisogno delle stesse cose.’’
141.3. F. Democrate 36 (= 68 B 71; 755 Lu.; 54 N.): ‘‘I piaceri inopportuni generano disgusto.’’
C. ALTRI
` FINI O ALTRE VIRT U
1. La realizzazione del bello ovvero del nobile 142.1. F. Plutarco, De profectibus in virtute 10, 80E e 81A-B (= 68 B 146; 790 Lu.; 13 N.): Ciascuno deve sorvegliare non soltanto i {propri} discorsi ma anche le {proprie} azioni {per vedere} se in esse prevale l’utilita` sul {desiderio di} lode e la verita` sull’ostentazione,1109 giacch´e, se l’amore vero per un fanciullo o una donna non ricerca testimoni ma fruisce del godimento anche se e` di nascosto che realizza il desiderio, e` ancora piu` naturale che l’amante del bello e della sapienza, nella sua congiunzione con la virtu` 1110 mediante le azioni tenga per se stesso, in silenzio, la sua grandezza d’animo, senza bisogno di ascoltatori che lo lodino.1111 [...] Costui, avendo un’alta opinione di se stesso nel non disprezzare ma provare gioia ed essere soddisfatto per la sua adeguatezza come testimone e, insieme, osservatore di {azioni} belle, mostra la ragione di gi`a alimentantesi di dentro e radicata in lui stesso e, secondo Democrito, «abituata a trarre le gioie da se stessa».1112
142.2. F. Stobeo III 3, 46 (= 68 B 194; 788 Lu.; 36 N.): ‘‘Le grandi gioie risultano dal contemplare le opere belle.’’
142.3. F. Democrate 79 (= 68 B 112; 573a Lu.; 37 N.): ‘‘E` proprio della mente divina rivolgere sempre il pensiero a qualcosa di bello.’’ 1107 Hense integrava: ‘‘o hanno rapporti sessuali’’ (sarebbe stato omesso dal copista per pruderie!), ma l’integrazione non e` strettamente indispensabile in un discorso che non vuole essere troppo sistematico. 1108 Diels (in Vors.) integrava: ‘‘e grandi’’, ma anche questa integrazione non e ` strettamente indispensabile. 1109 Piu ` letteralmente: ‘‘cio` che e` in rapporto alla verita` su cio` che e` in rapporto all’ostentazione’’. 1110 La metafora di una congiunzione sul tipo di quella sessuale e ` ovviamente suggerita dal contesto. 1111 Nel seguito, da me omesso, sono offerti alcuni esempi, sicuramente dovuti (come i paragoni iniziali) allo stesso Plutarco. 1112 Associo lo aujto;n dell’inizio della citazione democritea al precedente lovgon (= ragione); in alternativa si puo` associarlo al ‘‘costui’’ con cui inizia il periodo e rendere con ‘‘abituato (o abituantesi) a trarre le gioie da se stesso’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.C)
142.4. F. Democrate 22 (= 68 B 56; 686 Lu.; 186 N.): ‘‘Conoscono e perseguono le cose belle coloro che sono ad esse predisposti per natura.’’
2. La nobilt`a d’animo 143.1. F. Stobeo IV 44, 69; Democrate 12 (= 68 B 46; 768 Lu.; 218 N.): ‘‘Nobilta` d’animo e` tollerare con dolcezza la prevaricazione {altrui}.’’
3. L’autocontrollo 143.2. F. Stobeo III 7, 25 (= 68 B 214; 706 Lu.; 63 e 169 N.): ‘‘Coraggioso non e` soltanto chi prevale sui nemici, ma chi prevale sui piaceri.1113 Ci sono di quelli che sono padroni delle citta`, ma schiavi delle donne.’’
4. L’autosufficienza 143.3. F. Stobeo III 40, 6 (= 68 B 246; 732 Lu.; 66 N.): ‘‘Il soggiorno all’estero 1114 insegna l’autosufficienza nella vita; infatti un pane d’orzo e un letto di paglia sono i piu` dolci rimedi alla fame e alla fatica.’’
143.4. F. Stobeo III 5, 25 (= 68 B 209; 758 Lu.; 67 N.): ‘‘Mediante l’autosufficienza nell’alimentazione la notte non diventa mai lunga.1115 ’’
143.4.1. I. Epicuro, fr. 476 Us.: ‘‘L’autosufficienza e` la massima ricchezza.’’
5. La moderazione 144.1. F. Democrate 68 (= 68 B 102; 749 Lu.; 51 N.): ‘‘In tutto bello e` l’uguale,1116 mentre l’eccesso e il difetto non mi pare {tale}.’’
1113 Si tratta di un’ecloga distinta dal periodo che segue? Ciascun periodo ricorre da solo altrove nella raccolta di Stobeo: il primo come III 17, 39 (om. DK e Lu.), il secondo come III 6, 26 (= 68 B 211, non segnalato in Lu.). Un detto molto simile a quello del primo periodo e` attribuito ad Aristotele da Massimo e da Antonio (cfr. V. ROSE, Aristoteles pseudoepigraphus, Leipzig 1863, p. 607). 1114 Alcuni (compresi LSJ) ritengono che xeniteivh in questo passo democriteo abbia il senso peculiare di ‘‘vita mercenaria’’, ma non vedo bene perche´. Mullach (FPHG, fr. 38) lo rende piu` accettabilmente con peregrinatio. 1115 Adotto il testo della raccolta di Massimo, dove ricorre questa ecloga (cosı` fa anche Luria, vedi suo commento ad loc.); in base al testo di Stobeo l’aggettivo va reso con «breve» (da Diels e altri sono state tentate correzioni che non paiono persuasive). 1116 Cioe ` la giusta misura.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.D)
144.2. F. Stobeo III 10, 68 (= 68 B 224; 645 Lu.; 59 N.): ‘‘Il desiderio di {avere} di piu` guasta quanto e` presente, diventando simile al cane di Esopo.1117 ’’
144.3. F. Democrate 35 (= 68 B 70; 754 Lu.; 62 N.): ‘‘E` proprio di un fanciullo, non di un uomo, avere desideri smodati.’’
144.4. F. Democrate 37 (= 68 B 72; 767 Lu.; 58 N.): ‘‘I desideri eccessivi per qualche cosa accecano l’anima rispetto agli altri oggetti.’’
144.5. F. Stobeo IV 39, 17 (= 68 B 286; 651 Lu.; 71 N.): ‘‘Ha il favore della sorte colui che trae buon animo 1118 da beni moderati, e` sfavorito colui che e` malcontento di molti.’’
144.6. F. Stobeo III 17, 25 (= 68 B 231; 644 Lu.; 61 N.): ‘‘E` di mente buona colui che non soffre per quanto non ha, ma che gioisce per quanto ha.’’
D. BENE
E MALE DIPENDONO DALL ’USO DI QUANTO DISPONIAMO E DAL DOMI-
NIO CHE ABBIAMO SULLE CIRCOSTANZE ESTERIORI
1. Bene e male 145.1. F. Stobeo II 9, 1 (= 68 B 172; 33 Lu.; 26 N.): ‘‘Da cio` da cui ci vengono i beni, di l`a stesso possiamo ottenere anche i mali, ma {mediante esso} possiamo {pure} tenerci fuori dai mali.1119 Cosı` le acque profonde sono utili per molte cose e anche dannose, giacche´ c’e` il pericolo di affogare. Si e` allora trovato un rimedio: insegnare a nuotare.’’
145.2. F. Stobeo II 9, 2 (= 68 B 173; 34 Lu.; 25 N.): ‘‘Per gli uomini i mali si generano dai beni, quando uno non sappia ne´ guidare i beni
1117 Allusione alla favola 233 (ed. Halm) oppure 136 (ed. Hausrath). Si racconta di una cagna che, nell’attraversare un fiume con un pezzo di carne in bocca, vede la propria immagine riflessa nell’acqua e, essendo indotta a credere che quella sia un’altra cagna con un pezzo di carne piu` grosso, abbandona il proprio nel tentativo di prendere l’altro e cosı` rimane a bocca asciutta. 1118 Ovvero: contentezza (lo stato di euthumia e ` contrapposto allo stato contrario di malcontento, dusthumia, come quello di favore della sorte, eutuchia, a quello di suo sfavore, dustuchia). 1119 Alfieri adotta una congettura del Langerbeck (cfr. DE, p. 73) e traduce come segue: ‘‘ma contro i mali possono servire {da rimedio} appunto {i beni}’’, secondo quanto suggerisce il frammento immediatamente successivo. Il testo in ogni caso non pare soddisfacente.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.D)
ne´ procedere in modo soddisfacente.1120 Non e` giusto giudicare tali cose fra i mali ma piuttosto fra i beni: e` possibile fare uso dei beni verso i mali, quando uno lo voglia, a difesa {da essi}.1121 ’’
2. Moderare i desideri e ricchezza e povert`a 146.1. F. Stobeo III 10, 43 (= 68 B 219; 631 Lu.; 70 N.): ‘‘Il desiderio delle ricchezze che non sia limitato dalla sazieta` e` molto piu` penoso dell’estrema poverta`, giacche´ desideri {sempre} piu` grandi producono un {sempre} piu` grande bisogno.’’
146.2. F. Stobeo IV 33, 23 (= 68 B 283; 652 Lu.; 68 N.): ‘‘Ricchezza e poverta` sono nomi per il bisogno e la sazieta`; dunque non e` ricco colui che prova bisogno e non e` povero colui che non lo prova.1122 ’’
146.3. F. Stobeo IV 33, 24-25 (= 68 B 284; 653 Lu.; 69 N.): ‘‘Se tu non desideri molte cose, le poche cose 1123 ti sembreranno molte, giacche´ il desiderio piccolo fa sı` che la povert`a abbia peso pari alla ricchezza.1124 ’’
146.3.1. I. Epicuro, fr. 471 Us. (trad. Diano): E` raro trovare un uomo che per il fine che e` proprio della nostra natura sia povero e per quello che e` richiesto dalle vane opinioni sia ricco. Nessuno degli stolti si tiene, infatti, contento di cio` che ha; assai piu` si tormenta per cio` che non ha. E come quelli che han la febbre, per la triste indole del male ardono continuamente di sete e bramano le cose alla loro condizione piu` contrarie, cosı` coloro che hanno l’anima malata, sono sempre poveri di tutto e dalla loro insaziabilita` vengono tratti nei desideri piu` diversi.
146.3.2. I. Epicuro, Gnomologium Vaticanum 25 (trad. Diano): Poverta` misurata al fine che e` proprio della natura, e` gran ricchezza; ricchezza che non ha limite a cui riportarsi, e` gran povert`a.
146.4. F. Stobeo III 4, 82; Democrate 42 (= 68 B 77; 637 Lu.; 78 N.): 1125 ‘‘La reputazione e la ricchezza senza intelligenza sono acquisti insidiosi.’’ 1120 Mi attengo al testo dei MSS; Alfieri adotta una correzione del Diels (ojcein eujfovrw" invece = di ojcein= eujpovrw") e traduce: ‘‘... qualora uno i beni non sappia dominarli e portarli con mano abile’’. – Da solo questo primo periodo ricorre come Stobeo III 4, 51; la continuita` col secondo in effetti non e` chiara. 1121 Il testo e ` dubbio, adotto una correzione del Diels. 1122 Piu ` letteralm.: chi ha bisogno e chi non ha bisogno. 1123 Si intende: che hai effettivamente o che potresti avere. 1124 Il secondo periodo manca nel cod. S (vindob.), che associa il primo periodo alla ecloga precedente; esso viene introdotto dal lemma «di Democrito» nei codd. MA, come se fosse una nuova ecloga. 1125 Massima attribuita a Catone in due edizioni della raccolta di Massimo e in CPP.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.D)
146.5. F. Stobeo III 16, 19 (= 68 B 229; 760 Lu.; 81 N.): ‘‘La parsimonia e la fame sono utili, ma cosı` anche lo spendere al momento opportuno; saperlo e` proprio del buono.’’
146.6. F. Stobeo IV 44, 70 (= 68 B 291; 654 Lu.; 83 N.): ‘‘E` del {l’uomo} saggio il sopportare dignitosamente la poverta`.’’
146.7. F. Democrate 16 (= 68 B 50; 639 Lu.; 73 N.): ‘‘Chi fosse del tutto succube delle ricchezze non potrebbe mai essere giusto.’’
146.8. F. Stobeo III 10, 36; IV 31, 50 1126 (= 68 B 218; 642 Lu.; 75 N.): ‘‘La ricchezza che proviene da un malo mestiere acquisisce una macchia particolarmente manifesta.’’
146.9. F. Stobeo III 10, 44 (= 68 B 220; 640 Lu.; 76 N.): ‘‘Mali guadagni procurano una perdita della virtu`.’’
146.10. F. Stobeo III 10, 58 (= 68 B 221; 641 Lu.; 77 N.): ‘‘L’aspettativa di un malo guadagno e` il principio della perdita.’’
146.11. F. Stobeo IV 31, 120 (= 68 B 282; 636 Lu.; 79 N.): ‘‘L’uso delle ricchezze con intelligenza e` utile all’essere liberale e attento al bene pubblico, invece senza intelligenza e` un’imposta generale.1127 ’’
146.12. F. Stobeo IV 31, 121; Democrate 43 (= 68 B 78; 638 Lu.; 74 N.): ‘‘Raccogliere ricchezze non e` inutile, ma farlo con l’ingiustizia e` la peggiore delle cose.’’
146.13. F. Massima di Democrito 211128 (= 69 B 302.184; 643 Lu.): ‘‘Ininterrotto presso tutti gli uomini e` l’appetito della ricchezza: non acquisita {la ricchezza} consuma, acquisita tormenta con le preoccupazioni, perduta 1129 con le sofferenze.’’
1126 I due passi nella raccolta di Stobeo sono uguali salvo qualche differenza testuale, dovuta probabilmente, nel caso del secondo, all’erronea ripetizione di un brano dell’ecloga immediatamente precedente, cioe` IV 31, 49 (= 146.14). 1127 corhgivh xunhv e ` difeso, seppure con qualche dubbio, da A.T. COLE, «Harvard Studies in Classical Philology», 1961, p. 152 e n. 6, piu` decisamente da Procope´, 1990, p. 44 (inoltre almeno xunhv ha una ragion d’essere stilistica, cfr. T. BIRT, Ueber den Stil der Ethika, p. 185). Il senso pare essere: ‘quella che sarebbe stata la liberalita` del singolo a vantaggio di tutti diventa per tutti un’imposta, cioe` uno svantaggio’. 1128 Nr. 182 (184 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in DEI, 204; Massimo 12.55; Antonio Melissa I 31, 62. La massima e` giudicata non autentica da Burchard, Fragmente der Moral,
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.D)
146.14. F. Stobeo IV 31, 49 (= 68 B 281; 632 Lu.; 72 N.): ‘‘Come fra le piaghe il cancro e` la malattia peggiore, cosı` nelle ricchezze lo e` il non adatto e il continuo.1130 ’’
3. La fortuna 147.1. F. Stobeo II 8, 16 [= Dionisio presso Eusebio, Praeparatio evangelica XIV 27, 5 (supra, 0.5.5.)] (= 68 B 119; 32 Lu.; 30 N.): 1131 ‘‘Gli uomini si sono creati un’immagine della fortuna come scusa per la propria stoltezza.1132 La fortuna infatti si oppone alla saggezza scarsamente 1133 e la perspicacia intelligente rende rette la maggior parte delle cose nella vita.’’
147.1.1. I. Epicuro, Massima capitale (Kuriai doxai) XVI (= 68 B 119): La fortuna si abbatte sul saggio debolmente: 1134 le cose piu` grandi e di importanza p. 58, per la generalita` di applicazione («tutti gli uomini» senza eccezioni) e per l’artificiosita` del costrutto (cfr. n. seguente). Il costrutto mi pare al contrario piuttosto tipico per Democrito, mentre «tutti» potrebbe essere penetrato per errore oppure potrebbe essersi verificato qualche altro guasto. 1129 Per conservare l’assonanza del greco si dovrebbe rendere con «disacquisita» (come terzo membro dopo «non acquisita» e «acquisita»). 1130 Ci deve essere un guasto riguardante le ultime parole del passo, come ammesso da vari studiosi (alcuni dei quali tentano di emendarlo), ma forse (come era stato suggerito dal Diels, Vors., seguito da Luria) si parlava dell’avidita` che, nella sua continuita`, e` insaziabile (cfr. 146.13, dove tuttavia la terminologia e` differente). R. PHILIPPSON («Philologische Wochenschrift», 1923) ritiene che sia una glossa penetrata nel testo e segnalante un guasto anche nel passo successivo (‘‘non appropriato anche il seguente’’), cioe` 146.8, ma cio` pare piuttosto artificioso (il riferimento dovrebbe essere appunto al seguente piuttosto che al continuo). Alfieri segue H. Gomperz nel difendere il testo tradito, proponendo la seguente traduzione: ‘‘... del pari lo e` nelle finanze la continua sproporzione {fra le entrate e le spese}’’, ma anche questa e` una forzatura. 1131 La citazione dovuta a Dionisio e riportata da Eusebio e ` identica limitatamente alla sentenza iniziale (se si accoglie la correzione del testo, cfr. n. seguente), per il resto contiene una variante del passo, ma e` piu` estesa, ed ha un senso differente (vedi 0.5.5 e n. 94 ad loc.): solo la presente suggerisce che e` facile per il sapiente imporsi sulle circostanze dipendenti dalla fortuna. E` possibile che ci sia un’allusione allo stesso motivo in Giovenale (= 0.3.7). 1132 Il passo potrebbe anche essere tradotto come segue: ‘‘gli uomini si sono fatti dell’immagine della fortuna una scusa ...’’, ammettendo che ejplavsanto regga due accusativi (come suggerisce Procope´, Diss.). Adotto la correzione di ajboulivh in ajnoivh, uniformando il testo a quello riportato da Eusebio (cfr. 0.5.5, n. 92 ad loc.). 1133 Intendo l’aggettivo baiav come un femminile singolare usato avverbialmente e con un significato che puo` andare da ‘debolmente’ o ‘mediocremente’ a ‘poco frequentemente’ (similmente Burchard, Fragmente der Moral, p. 21: ‘‘denn die Tyche streitet schwach gegen kluge Ueberlegung’’). Diels e Kranz, nel tradurre come segue (versione di Kranz in DK): ‘‘denn nur in seltenen Fa¨llen ka¨mpft gegen die Klugheit der Zufall an’’ (Alfieri: ‘‘perche´ raramente il caso viene in contrasto con la saggezza’’; versione prossima a quella di Diels in Vors.), paiono intenderlo come un neutro plurale sempre usato avverbialmente (cosı` segnalato anche in LSJ, s.v.), ma si tratta di un’occorrenza piu` unica che rara, giustificabile solo se si ammette (come fa esclusivamente Alfieri) una contrapposizione con ta de pleista inteso in senso frequentativo («il piu` delle volte»). 1134 Si puo ` intendere braceva in senso temporale, in opposizione a ‘per l’intera durata della sua vita’, ma su questo punto non ci sarebbe allora uno stretto parallelo col passo democriteo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.D)
suprema le ha messe in ordine e, per l’intera durata della sua vita, le mette e le mettera` in ordine il raziocinio.
147.2. F. Stobeo II 9, 5 (= 68 B 176; 33a Lu.; 64 N.): ‘‘La fortuna e` ricca di doni ma instabile, la natura e` sufficiente da se stessa; pertanto {la seconda} prevale con il {suo} meno, ma sicuro, sul di piu` della speranza.1135 ’’
147.3. F. Stobeo IV 10, 28 (= 68 B 269; 33b Lu.; 126 N.): ‘‘L’audacia e` l’inizio dell’azione, ma e` la fortuna che ha il dominio sull’esito.’’
147.4. F. Massima di Democrito 4 1136 (= 302.166; 792 Lu.): Col mutare delle opportunita` anche quelli che sono assai potenti si trovano ad essere bisognosi dei piu` deboli.
4. Gli d`ei e gli uomini 148.1. F. Stobeo II 9, 4 (= 68 B 175; 594, comm., Lu.; 24 N.): 1137 ‘‘Gli de`i danno agli uomini, nel passato e nel presente, ogni cosa, eccetto quanto e` malvagio e dannoso e inutile; questo gli de`i non lo danno in dono agli uomini, n´e nel passato ne´ nel presente, ma sono essi che incappano in cio` per cecit`a della mente e per insipienza.’’
148.2. F. Stobeo III 9, 30 (= 68 B 217; 594, comm., Lu.; 41 N.): ‘‘Sono cari agli d`ei soltanto coloro per i quali e` odioso il compiere ingiustizie.’’
148.3. F. Democrate 80 (= 68 B 112; om. Lu.; om. N.): 1138 ‘‘Se uno crede che gli de`i sorvegliano tutto, non commettera` falli ne´ di nascosto ne´ in modo manifesto.’’
1135 Cioe ` sul di piu` che la speranza promette (cosı` intende Diels nelle prime ed. dei Vorsokratiker, modificato solo verbalmente da Kranz in DK); in alternativa: ‘conquista il di piu` della speranza’. 1136 Nr. 165 (166 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo, c. 67, p. 684, e in Antonio, Melissa I, 72, p. 118. 1137 Il passo e ` senza lemma e ne segue un altro (157.8) anch’esso senza lemma. Sono solitamente attribuiti entrambi a Democrito perche´ seguono 145.2, che e` accompagnato dall’indicazione ‘‘dello stesso’’ che riguarda Democrito, il cui nome viene fatto per 145.1. Luria (nel suo commento ad 594) contesta questa attribuzione che ritiene incompatibile con l’esclusione da parte di Democrito di un intervento divino in cosmologia. Tuttavia, tenuto anche conto del fatto che 148.2 e` accompagnato dall’indicazione ‘‘Di Democrito’’, non si puo` escludere qualche sua concessione alle credenze popolari nell’ambito dell’etica. 1138 Il frammento e ` presentato come non autentico da Diels in DK e omesso da Luria e da Natorp evidentemente per la stessa ragione, ma non e` di tenore molto differente dai due precedenti riportati da Stobeo, e il motivo del non fallare o del non fare qualcosa ‘‘ne´ di nascosto ne´ in modo manifesto’’ ricorre in 155.3. L’accostamento proposto da Diels con Porfirio, Ad Marcellam 20, e` piuttosto tenue.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.E)
E. LA
VITA E IL BENE VIVERE
1. La vita: gioie e paure; come si deve vivere 149.1. F. Stobeo III 16, 22 (= 68 B 230; 718 Lu.; 229 N.): ‘‘Una vita senza festa e` una lunga strada senza ostello.’’
149.2. F. Stobeo IV 34, 65 (= 68 B 285; 646 Lu.; 84 N.): ‘‘Bisogna sapere che la vita umana e` fragile e di breve durata e mescolata a molte sciagure e difficolt`a, in modo che uno si preoccupi di un possesso misurato e che la {sua} sofferenza sia misurata in relazione al necessario.1139 ’’
149.3. F. Stobeo IV 44, 64 (= 68 B 289; 717 Lu.; 91 N.): ‘‘E` irragionevolezza non adattarsi alle necessita` della vita.’’
149.4. F. Stobeo III 37, 25; Democrate 26 (= 68 B 61 e 244; 752 Lu.; 14 N.): ‘‘Per coloro per i quali il modo 1140 e` ben ordinato anche la vita e` bene ordinata.’’
149.5. T. Porfirio, De abstinentia IV 21 [267.17-20] (= 68 B 160; 628 Lu.): [Contesto: sono da imitare non i popoli che si cibano di carne, ma quelli rispettosi degli dei.] Vivere in modo malvagio e non secondo saggezza e moderazione e pieta` Democrito 1141 lo disse non un vivere malamente, ma un morire per lungo tempo.
2. «Pensieri nuovi» 150.1. T + C. Plutarco, De latenter vivendo 5, 1129E (= 68 B 158; 511 Lu.; 129 N.): ... il sole sorgendo ... risveglia ed eccita con la luce le azioni e i pensieri di tutti, come dice Democrito: «avendo pensieri nuovi col giorno» gli uomini, tratti dall’impulso dell’uno verso l’altro come da una corda tesa, si levano chi qua chi la` per riprendere le loro opere.
150.2. V. Plutarco, Quaestiones convivales III 6, 4, 655D (rif. in 68 B 158; = 511 Lu.; 129 N.): [Bisogna evitare di fare sacrifici subito dopo avere avuto rapporti sessuali, ma lasciare intervenire la notte e il sonno:] 1139 Cioe ` in relazione alle necessita` della vita. Alfieri adotta una congettura di Kochalsky e rende cosı` l’ultimo periodo: ‘‘... affinche´ l’uomo aspiri soltanto ad una moderata ricchezza e sia moderato e non si abbatta di fronte alle necessita` della vita’’. 1140 trovpo" = la condotta, presumibilmente. 1141 Correzione di Reiske, nei MSS Democrate.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.E)
... donde e` bene che ci sia l’intermezzo della notte e del sonno e che operata una pausa ed un intervallo sufficiente ci si levi puri di nuovo come in precedenza e, secondo Democrito, «avendo pensieri nuovi col giorno».
150.3. V. Plutarco, Quaestiones convivales VIII 3, 5, 722D (rif. in 68 B 158; = 511 Lu.; 129 N.): [Di seguito, ma non immediatamente, a 90.2.] Essi [scil. gli uomini] lo seguono [scil. il sole], come nati di nuovo, «avendo pensieri nuovi col giorno», come dice Democrito, con attivita` che non sono n´e prive di voce ne´ di effetti pratici.1142
3. La paura della morte 151.1. F. Stobeo III 4, 74 (= 68 B 200; 793 Lu.; 93 N.): ‘‘Stolti che vivono senza trarre gioia dalla vita.’’
151.2. F. Stobeo III 4, 79 (= 68 B 205; 797 Lu.; 95 n. N.): ‘‘Stolti che sono desiderosi della vita per timore della morte.1143 ’’
151.3. F. Stobeo III 4, 73 (= 68 B 199; 584 Lu.; 96 N.): ‘‘Stolti che odiando la vita vogliono vivere per timore dell’Ade.’’
151.4. F. Stobeo III 4, 77 (= 68 B 203; 797 Lu.; 97 N.): ‘‘Uomini 1144 che, nell’{intento di} evitare la morte, la perseguono.’’
151.5. F. Stobeo III 4, 80 (= 68 B 206; 797 Lu.; 95 N.): ‘‘Stolti che, per timore della morte, vogliono diventare vecchi.’’
1142 Non e ` chiaro se vada attribuita a Democrito solo la formula ricorrente dell’avere pensieri nuovi ogni giorno, come paiono assumere Natorp e Kranz (in DK), oppure qualcosa di piu`. Peraltro si puo` dubitare del suggerimento del Kranz che ci sia una connessione col fr. 6 di Eraclito: ‘‘Ogni giorno il sole e` nuovo.’’ 1143 Forse questo passo e ` solo una variante del seguente, o quello una variante di questo. Il passo e` stato corretto mediante l’omissione di una parola, ma e` emendabile in altri modi. Alfieri, sulla base di una congettura di Th. Gomperz, traduce come segue: ‘‘... poiche´, invece della vecchiaia, temono la morte’’. 1144 Alcuni correggono in ‘‘stolti’’ (o ‘‘insensati’’), per uniformita ` con gli altri passi dello stesso tenore (cfr. anche 138.3-7 e 10-11). Simile al passo presente e a quello immediatamente successivo (151.5) e` la seguente sentenza di Menandro: ‘‘Viviamo sconsideratamente, con la convinzione di non morire mai’’ (N. 284).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.E)
151.6. F. Stobeo IV 52, 40 1145 (= 68 B 297; 583 Lu.; 92 N.): ‘‘Alcuni uomini, non riconoscendo la dissoluzione della {nostra} natura mortale, ma con la coscienza del loro male agire 1146 nella vita, passano miseramente il tempo della vita in turbamenti e in paure, inventando racconti falsi circa il tempo dopo la fine {della vita}!’’.
151.7. T. Filodemo, De morte, PHerc 1050, col. XXIX 27-32 (= 68 B 1a; 587 Lu.): Dalla putrefazione dipende anche, secondo Democrito, l’essere turbato per via della rappresentazione del loro [scil. dei cadaveri] lezzo e della decomposizione. Essi [scil. gli uomini] sono portati a tale condizione come da coloro 1147 che muoiono in floridezza di carne e nella bellezza 1148 ...
151.8. T + C. Filodemo, De morte, PHerc 1050, col. XXXIX 9-15 (= 68 B 1a; 587 Lu.): {Gli uomini allontanano da se´ il pensiero della morte} e anche quando la sua visione divenga chiara, essa capita loro adosso inattesa, e per questa ragione, senza che neppure abbiano tollerato di scrivere testamenti, si trovano messi alle strette [scil. dalla morte] e ‘‘sono costretti a riempirli due volte’’,1149 come afferma Democrito.
1145 Lo stesso testo e ` riportato in forma abbreviata e leggermente variata come IV 34, 62 (sempre col lemma «Di Democrito»). 1146 Il sostantivo kakopragmosuvnh, forse inventato da Democrito, puo ` anche indicare la condizione in cui uno si trova e forse l’ambiguita` (presente nella resa di Diels, Vors.: «schlechter Lebenswandel») e` intenzionale, ma e` da escludere, dato il contesto, una preminenza di tale senso (cosı` in Barnes: «aware of the wretchedness of life»), cfr. Procope´, 1990, p. 36, ma gia` W. NESTLE, «Philologus», 67, 1908, pp. 548-549. 1147 Adotto il testo, e seguo l’interpretazione, proposti da M. GIGANTE e G. INDELLI (Democrito nei papiri ercolanesi di Filodemo, «Siculorum Gymnasium», 1980); sulla base del testo proposto da Bassi nella sua edizione (cfr. infra, n. 1163 e bibl.) e adottato da T. KUIPER nella sua (Philodemus, Over den Dood, Amsterdam 1925) J. WARREN («Classical Quarterly», LII, 2002) traduce cosı`: «For [bodies?] are reduced to such a state, just as those belonging to people who die in good physical condition and with beautiful appearance». 1148 Il testo si interrompe a questo punto, ma e ` seguito da vicino da un passo (col. 30.1-11) che viene riportato da Diels in DK e in Luria, anche se non contiene nessuna menzione di Democrito, perche´ ci sono richiami al brano presente. Tuttavia uno dei richiami e` alla chiusa, che deve esprimere un’osservazione di Filodemo, e anche il resto deve essere un suo sviluppo di un motivo inizialmente democriteo, come paiono ritenere anche Gigante e Indelli. Lo riporto comunque nella loro traduzione: «... e trascurano che tutti insieme con quelli che sono floridi come Milone in breve tempo diventano scheletri e alla fine si dissolvono nelle nature prime; ma e` chiaro che si devono comprendere le affermazioni analoghe a queste sia intorno al brutto colorito sia in generale intorno alla deformita`. E` dunque la cosa piu` stolta che si addolorino coloro i quali prevedono la sepoltura non sontuosa e che susciti ammirazione, ma semplice e come ca`pita.» 1149 Adotto il testo di Th. GOMPERZ («Hermes», XII, p. 225): di;|["] ejmforein, intendendo che = essi, nella loro incertezza sul da farsi, scrivono testamenti due volte. Diels, sulla base della correzione div|[ss’]ejmforein= , contestabile anche filologicamente, intendeva: «rimpinzarsi doppiamente (o con una doppia porzione)», ma la proposta, nonostante il suo successo presso curatori (compreso Kuiper) e traduttori, e` singolare e poco sostenibile (il verbo all’attivo non risulta avere quel significato). M. GIGANTE (Ricerche filodemee, Napoli 1969, pp. 116-121), sulla base della correzione div|[c’]ejmfo-
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.E)
4. Il ‘fare tante cose’ 152.1. F. Stobeo IV 39, 25 (= 68 B 3; 737 Lu.; 163 N.): (Sulla felicita`) ‘‘Chi vuol essere di buon animo non deve fare tante cose 1150 ne´ in privato ne´ in comune, e neppure, quanto egli faccia, perseguirlo oltre la propria forza e natura; ma {deve} stare in guardia al punto che, se anche la fortuna gli e` favorevole e lo porta ad un di piu` nelle aspettative,1151 si tiene fermo e non prende niente che sia oltre il possibile {per lui}, giacche´ il giusto peso e` piu` sicuro di quello grande.’’
152.2. T + C. Plutarco, De tranquillitate animi 2, 465C-D (= 68 B 3; 737 Lu.; 163 n. N.): Colui che afferma dunque che ‘‘chi vuol essere di buon animo non deve fare tante cose n´e in privato ne´ in comune’’, per prima cosa rende la tranquillita` d’animo molto costosa per noi nel farla generare a prezzo dell’inattivit`a; e` come se consigliasse ad ogni malato: ‘‘non ti muovere, povero sofferente, stai fermo nel tuo letto’’.1152 Eppure, se la perdita di sensibilita` nel corpo e` un cattivo rimedio contro la mancanza di energia,1153 non e` per niente miglior medico dell’anima colui che cerca di eliminare il turbamento e il dolore che l’affligge ricorrendo all’inerzia, alla mollezza e al tradimento degli amici, dei familiari e della patria. Inoltre e` falso che hanno tranquillita` d’animo quelli che non compiono molte attivit`a.1154 [...]
rein= , intende il costrutto come equivalente a dicoforein= , a sua volta equiparato a dicofronein= (cfr.
Plut. De virtute morali 447CD), ma cio` pare non poco azzardato. 1150 Il motivo del fare tante cose e ` da porsi in rapporto al sostantivo polupragmosuvnh che spesso ha il senso negativo di occuparsi degli affari di cui uno non e` competente oppure del mischiarsi indebitamente negli affari altrui (vedi p. es. Aristofane, Plutos, vv. 907-913; Platone, Repubblica IV, 433A e 444B; Lisia, Oratio I, 16; Isocrate, Oratio XV, 98), dunque per Democrito non deve avere il senso attribuito ad esso da Plutarco in 152.2 (vedi invece Seneca in 152.3 e 152.4, inoltre Diogene di Enoanda in 152.5.2). Per un’ampia rassegna della documentazione vedi V. EHRENBERG, Polypragmosyne, «Journal of Hellenic Studies», 67, 1947. 1151 Cioe ` ad una loro crescita. Abbastanza su questa linea e` anche la traduzione di Langerbeck: ‘‘... zu Gro¨sserem den Weg weist durch die Erwartung, die sie erregt ...’’ (DE, pp. 60-61). Altri, come Alfieri, ritengono che sia in gioco una stima eccessiva di se stesso e/o della propria conditione («o sospinge con le illusioni verso condizioni piu` alte»). Invece Burchard, Fragmente der Moral, p. 33, seguito da Diels, Vors., intendeva tw=/ dokein= nel senso di ‘‘in apparenza (dem Scheine nach)’’, ma allora sarebbe piu` plausibile dargli il senso di ‘‘nella reputazione’’. Procope´, Diss., associa l’espressione al seguito (cambiando la punteggiatura) e traduce come segue: ‘‘... even if chance should come his way and point to more, he will keep (this principle) to fall back on when forming an opinion and not put his hand to more ...’’. 1152 Euripide, Oreste, v. 258 (verso messo in bocca ad Elettra che si rivolge al fratello caduto in delirio dopo l’uccisione della madre). La stessa citazione ricorre presso Plutarco in 153.1. 1153 Leggo ajponiva (e non ajpovnoia), come in alcuni codd. di Stobeo III 29 (Peri philoponias), 79 (dove il passo plutarcheo viene riportato), perche´ lo stesso titolo di quel cap. suggerisce tale lezione, e ci deve essere una contrapposizione fra condizione corporea e condizione dell’anima. 1154 Questo passo e ` in evidente contraddizione non soltanto con l’interpretazione che Seneca offre del detto democriteo in 152.3 e 152.4 ma anche con l’approvazione della politica che lo stesso Plutarco attribuisce a Democrito, nel polemizzare con Colote in Adv. Colot. 32 (cfr. 153.1), dove,
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.E)
152.3. T + C. Seneca, De tranquillitate animi 13, 1 (n. ad 68 B 3; 737 Lu.; 163 n. N.): [Dopo avere parlato, in 12, 1-7, del precetto di non affaticarsi in cose vane e inutilmente, andando in giro senza meta, occupandosi degli affari altrui, ecc.] Ritengo che sia attenendosi a cio` [scil. a tale precetto] che Democrito abbia cominciato 1155 cosı`: ‘‘Chi voglia vivere tranquillamente non faccia molto n´e privatamente ne´ pubblicamente’’, manifestamente riferendosi alle cose inutili: infatti, se sono necessarie, si debbono trattare sia privatamente che pubblicamente non solo molte, ma innumerevoli cose; ma quando nessun dovere ordinario ci chiama, bisogna frenare le azioni. (2) In effetti chi fa molte cose, spesso da` potere su se stesso alla fortuna ...
152.4. T + I. Seneca, De ira III 6, 3 e 5-6; 7, 2 (= n. ad 68 B 3; 737 Lu.; 163 n. N): Ci sara` di vantaggio quel salutare precetto di Democrito, in cui viene indicata la tranquillita`, se ‘ne´ privatamente ne´ pubblicamente noi facciamo molte cose’ e cose maggiori delle nostre forze. Mai chi si disperde in molti affari trascorre la giornata tanto felicemente che non nasca da uomo o da cosa una qualche contrarieta`, che prepari l’animo a reazioni d’ira. (5) A nessuno la fortuna e` cosı` dedita, da rispondere ovunque a chi si arrischi in molte iniziative: ne consegue che colui al quale certe cose risultarono al contrario di come se le era proposte si spazientisca con gli uomini e con le cose e per i motivi piu` futili si adiri ora con una persona ora con un affare ora con un luogo ora con la fortuna ora con se stesso. (6) Pertanto, affinche´ l’animo possa essere quieto, non bisogna sballottarlo n´e affaticarlo con l’agire, come ho detto, in cose che siano molte o grandi e desiderate al di sopra delle forze. E` facile adattare al collo pesi leggeri e trasferirli da una parte all’altra senza scivolare; invece quelli che ci sono stati imposti da mani altrui li sosteniamo a fatica, vinti li spargiamo vicino. Anche quando stiamo in piedi sotto la soma, impari al peso vacilliamo. (7.2) Ogni volta che tenterai qualche cosa, contemporaneamente misura te stesso e le cose che prepari e per le quali tu ti prepari: il rammarico per l’opera incompiuta ti render`a aspro ...
152.5. F. Democrate 45 (= 68 B 80; 648 Lu.; 164 N.): ‘‘E` turpe occuparsi molto degli affari altrui e trascurare i propri.’’
152.5.1. I. Marc’Aurelio IV 24 1156 (riferimento in B 3, n.; 163 n. N.): ‘‘Occupati di pochi affari’’, dice,1157 ‘‘se vuoi essere di animo tranquillo’’.
contro costui, viene citato lo stesso verso di Euripide. (Sulla questione cfr. Presentazione dei testi, sez. 28 con nn. 83-84.) 1155 Il testo non e ` sicuro (adotto coepisse per cepisse, ma Koch proponeva praecepisse). 1156 Ci sono altri richiami al detto democriteo o suoi echeggiamenti, per esempio nella sentenza 262 di Sesto Pitagorico e nella sentenza 509 (attribuita ad Erodoto) nel Gnomologio Vaticano. Fra i passi dello stesso Democrito e` in qualche misura accostabile (come ammettono implicitamente Natorp ed esplicitamente Luria, Comm. ad 737) 157.6. 1157 Questo ‘‘dice’’ pare tipico di una citazione, ma l’autore non risulta in alcun modo dal contesto.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
152.5.2. I. Diogene di Enoanda, fr. 113 [40 Ch.] (B 3, n.; 737 Lu.): Nulla e` cosı` produttivo di buon animo come il non fare molte cose, non intraprendere affari molesti, non sforzarsi oltre la propria possibilita`: tutte queste cose ingenerano turbamenti nella natura.
F. LA
VITA IN COMUNITA`
1. Dedicarsi alla cosa pubblica 153.1. T + F. Plutarco, Adversus Colotem 32, 1126A (= 68 B 157; 728 Lu.; 133 N.): [Critica rivolta a Colote per il fatto che questi presenta il ricorso alle leggi e al governo politico come un espediente per evitare i conflitti fra gli uomini, e mostra di attenersi alla regola epicurea di non partecipare agli affari politici se non e` necessario farlo.] Se egli [scil. Colote] avesse fatto menzione delle leggi e del governo e dell’ordinamento {politico} scrivendo contro Antidoro 1158 o il sofista Bione 1159 nessuno avrebbe detto a lui: 1160 ‘‘non ti muovere, povero sofferente, stai fermo nel tuo letto’’, mettendo al coperto la tua carne delicata, ma per me che riserve su queste cose le esprimano semmai coloro che hanno vissuto per la casa e per lo stato! Sono appunto tutti quelli che Colote ha coperto di ingiurie. Fra di essi Democrito consiglia di apprendere l’arte politica 1161 come la piu` grande e ‘‘di perseguire le fatiche {che comporta}, dalle quali provengono le cose piu` grandi e illustri per gli uomini’’. [Nel seguito sono menzionati altri filosofi che si erano preoccupati del buon governo dello stato, a cominciare da Parmenide.]
153.1.1. V. Plutarco, Non posse suaviter vivi secundum Epicurum 19, 1100B-C (= 68 B 157; 728 Lu.; 133 N.): {Coloro che, come Epicuro e gli Epicurei, sono amanti della gloria sono obbligati a riconoscere di rinunciare a grandi piaceri} nell’evitare per debolezza o mollezza le cariche pubbliche e gli impegni politici e l’amicizia dei re, {cioe` le attivita`} da cui ‘‘provengono le cose piu` grandi ed illustri’’ per la vita, come afferma Democrito.
1158 Di questo Antidoro non si sa praticamente nulla di sicuro se non che era stato attaccato da Epicuro (cfr. Diogene Laerzio X 8). 1159 Bione di Boristene, vissuto ad Atene alla fine del IV sec. a. C., figura poco classificabile, il quale viene talvolta associato al cinismo e viene spesso denominato ‘sofista’ (cfr. Diogene Laerzio IV 46-58). 1160 Come Plutarco stesso immagina di fare (viene citato Euripide, Oreste, v. 258, cfr. n. 1152 supra). 1161 Nei MSS: l’arte della guerra (polemikhv). La correzione di Reiske in politikhv (per quanto rigettata da piu` studiosi) e` suggerita dal contesto, concernente uomini che si sono occupati, teoricamente o praticamente, di politica, e dalla testimonianza parallela di 153.1.1, che evidentemente si riferisce ad uno stesso passo in Democrito.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
153.1.2-3. VF. Massimo 32.15 e Antonio, Melissa II 45 (= 133 N.; riferimento in 728 Lu.): ‘‘Bisogna perseguire le fatiche dalle quali provengono 1162 le cose piu` grandi ed illustri per gli uomini’’.
153.2. T. Plutarco, Reipublicae gerendae praecepta 28, 821A (= 68 B 153; 611 Lu.; 150 N.): L’uomo politico non disprezzera` l’onore e il favore veri, fondati sulla benevolenza e sulla disposizione di chi ha memoria, e neppure disdegner`a la reputazione schivando il «piacere ai vicini», come pretendeva Democrito.
153.2.1. T. Filodemo, De adulatione, PHerc 1457, col. x.4-12 (= 68 B 153; 611 Lu.): ... piuttosto 1163 anche da parte dei privati si guarda a quanto hanno senza tale piacenteria. Nicasicrate,1164 nel lodare Democrito perche´ condanna come dannosa piacenteria il ‘‘piacere ai vicini’’,1165 si trova, non so come, a concordare con Epicuro e i suoi.1166
153.3. T + F. Seneca, Epistula 7, 10 (= 68 B 302a; 727 Lu.; 120 N): [Contesto: bisogna evitare la massa e non fare concessioni ai suoi gusti.] Dice Democrito: ‘‘Per me uno equivale ad un popolo e un popolo ad uno.’’
2. Gli affari pubblici, la citt`a bene ordinata 154.1. F. Stobeo IV 1, 43 (= 68 B 252; 595 Lu.; 134 N.): ‘‘Gli affari della citt`a debbono essere tenuti in considerazione piu` di tutto il resto, affinche´ siano bene ordinati, senza rivaleggiare oltre il conveniente o procacciando potere a se stesso oltre quanto sia utile al {bene} comune. Una citta` ben governata e` la massima riuscita, e tutto risiede in questo, e preservato questo tutto e` preservato, mentre se questo e` distrutto tutto e` distrutto.’’ Oppure (adottando il testo di Antonio): ‘‘in cambio delle quali vengono’’. La colonna inizia alla riga 1, ma questa parte, per i guasti che presenta e per l’assenza del contesto, e` poco comprensibile. Pare comunque riflettere un apprezzamento per il sapersi accontentare di cio` che si ha a disposizione, dunque (si puo` congetturare) evitando di ricorrere alla piacenteria (come forma di adulazione) per procurarsi cio` di cui uno non dispone. (L’intera colonna e` riportata da W. CRO¨NERT , Kolotes und Menedemos, Mu ¨ nchen 1906, p. 130, n. 542, e da D. BASSI nell’edizione completa del papiro riportante scritti filodemei in Herculanensium volumina quae supersunt III, I, Milano 1914.) 1164 Di questo Nicasicrate, citato anche altrove da Filodemo, non si sa quasi nulla, ma sembra plausibile ritenere (come fa R. PHILIPPSON, Nikasikrates und Tismagoras in RE 17/1, 1936, [pp. 281283] p. 282) che fosse un epicureo, perche´, se fosse stato uno stoico o un peripatetico (come supposto da altri studiosi), non ci sarebbe stato bisogno di indicare che egli si trovava frequentemente in disaccordo con Epicuro. 1165 Questa lettura del testo e ` piu` plausibile di altre che sono state proposte, ma non e` del tutto sicura (Bassi, seguendo Cro¨nert, riconosce un K dove ci dovrebbe essere un L). 1166 Il seguito e ` come segue (nella trad. di E. KONDO, «Cronache Ercolanesi», 4, 1974, p. 54): ‘‘non solo, ma anche con Colote, sul quale nei libri Sulle leggi e sulla opinione si tramandano maggiormente cose utili all’uomo in molteplici maniere’’. 1162 1163
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
154.2. F. Stobeo IV 1, 40 (= 68 B 250; 713 Lu.; 136 N.): ‘‘A partire dalla concordia e` possibile riuscire nelle grandi azioni e, per le citta`, nelle guerre, altrimenti no.’’
154.3. F. Stobeo IV 1, 34 (= 68 B 249; 712 Lu.; 138 N.): ‘‘Il conflitto civile all’interno di un popolo 1167 e` un male per entrambe {le parti}: sia per i vincitori sia per i vinti la distruzione e` la stessa.’’
154.4. F. Stobeo IV 1, 42 (= 68 B 251; 596 Lu.; 147 N.): 1168 ‘‘La poverta` in democrazia e` preferibile alla cosiddetta felicita` nelle dittature tanto quanto la liberta` alla schiavitu`.’’
154.5. F. Stobeo IV 1, 45 (= 68 B 254; 614 Lu.; 151 N.): ‘‘Quando i cattivi accedono alle cariche pubbliche, quanto piu` sono indegni quelli che vi accedono, tanto piu` diventano negligenti e si riempiono di imprudenza e temerarieta`.’’
154.6. F. Stobeo IV 5, 48 (= 68 B 266; 613 Lu.; N. 167): ‘‘Non c’e` nessun espediente nell’attuale ordinamento per evitare che i magistrati compiano ingiustizie,1169 per quanto eccellenti essi siano. A nessun altro e` simile ...{.1170 Bisogna anche che queste cose siano ordinate in modo tale che colui che non compie nessuna ingiustizia, per quanto fortemente sottoponga ad esame gli ingiusti, non si trovi ad essere sotto di essi, ma qualche statuto o altro {espediente} protegga colui che compie cio` che e` giusto.’’
154.7. F. Stobeo IV 1, 46 (= 68 B 255; 633 Lu.; 146 N.): ‘‘Quando coloro che hanno mezzi osano prestare {denaro} a coloro che non li hanno e rendergli servizi e gentilezze, e` proprio allora che 1171 si trova la compassione e il non es-
Piu` precisamente: di un gruppo o di una schiatta: fulhv. Nella raccolta di Stobeo questo passo concerne la politeia ed e` seguito immediatamente da 154.1, 157.6, 154.5, e 154.7 (il primo della serie e` l’unico che abbia il lemma «Democrito»). 1169 Trad. alternativa (eventualmente, ma non necessariamente, adottando la correzione di Natorp che mette il verbo al passivo): «subiscano ingiustizie», ma in tal caso si comprende poco la concessiva che segue, come rilevato da Procope´ (1990, p. 30). 1170 Il periodo non e ` piu` comprensibile per un guasto, probabilmente comportante una lacuna (ho omesso le parole finali). Adottando la congettura di Th. GOMPERZ (Beitra¨ge zur Kritik und Erkla¨rung griechischer Schriftsteller III, 1876), che presuppone un precedente «subiscano ingiustizie», si avrebbe: ‘‘a nient’altro e` simile {la loro condizione} che a quella di un’aquila in balia dei serpenti’’. Alfieri adotta una congettura (piuttosto estesa) del Diels e traduce come segue: ‘‘Perche´ chi non dovrebbe dinanzi a niun altro che a se stesso , cader lui stesso in potere degli altri.’’ (Fra parentesi uncinate le integrazioni.) 1171 Oppure: ‘e ` gia` lı` che’ (ejn touvtw/ h[dh = ejntau=qa h[dh), cfr. le osservazioni di Procope´ (1990, 1167 1168
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
sere soli e diventare compagni e l’aiutarsi a vicenda e l’esserci concordia fra i cittadini, e altri beni, cosı` tanti che nessuno potrebbe enumerarli.’’
3. La legge 155.1. F. Stobeo IV 1, 33 (= 68 B 248; 608 Lu.; 139 N.): ‘‘La legge ha l’intento di essere di beneficio alla vita degli uomini. Puo` esserlo, quando essi stessi abbiano l’intento di trovarsi bene: a coloro che l’obbediscono essa rivela la loro propria 1172 eccellenza.’’
155.2. F. Stobeo III 38, 53 (= 68 B 245; 570 Lu.; 140 N.): ‘‘Le leggi non impedirebbero a ciascuno di vivere secondo il proprio arbitrio, se non fosse che l’uno danneggia l’altro, giacch´e l’invidia crea l’origine del conflitto civile.’’
155.3. F. Stobeo II 31, 59 (= 68 B 181; 607 Lu.; 44 N.): ‘‘Si manifesta migliore colui che fa uso di incitamento alla virtu`1173 e di persuasione col discorso, piuttosto che della legge e della costrizione. Infatti e` probabile che commetta falli nascostamente colui che sia tenuto lontano dall’ingiustizia dalla legge, mentre colui che sia stato guidato a cio` che e` dovuto con la persuasione non e` probabile che compia qualcosa di stonato ne´ di nascosto ne´ in modo manifesto. E` per questo che colui che agisce rettamente per coscienza e conoscenza diventa ad un tempo valoroso e di animo retto.’’ 1174
4. Comandare ed ubbidire 156.1. F. Stobeo IV 6, 19 (= 68 B 267; 688 Lu.; 142 N.): ‘‘Per natura il comandare e` proprio del migliore.’’
p. 44, con riferimento a KG II, p. 121 fine); la traduzione di Diels (in Vors.) e` ‘‘bereits hierin’’; piu` libera la trad. di Alfieri: ‘‘cio` vuol dire gia` tutto questo: ...’’. 1172 Oppure: la sua propria? (Cosı` MULLACH , op. cit., fr. 197, Burchard, Fragmente der Moral, p. 47, e DIELS, Vors., ma la funzione della legge e` di rendere virtuosi i cittadini, cfr. Procope´ 1990, p. 37). 1173 La traduzione prevalente e ` del seguente tenore: ‘‘si manifesta migliore nell’indurre alla virtu` colui che fa uso di incitamento (o esortazione) ...’’, ma in greco non c’e` nulla che renda l’idea dell’‘‘indurre qualcuno a’’, mentre il costrutto protroph; ejpi; ajrethvn e` del tutto normale (cfr. LSJ, s.v. protrophv) e l’iperbato, come sottolinea Procope´ (cfr. 1990, p. 37), ha altri esempi in Democrito (cfr. 151.6, ecc.); semmai si potrebbe rendere (come proponeva Burchard, Fragmente der Moral, p. 40): ‘‘si manifesta migliore rispetto alla virtu` (cioe`: quanto alla virtu` da lui posseduta) colui che fa uso di {altrui} incitamento e di persuasione ...’’. 1174 Forse c’e ` un’allusione polemica di Aristotele a questa tesi di Democrito in Eth. Nic. X 9, ove, poco dopo l’inizio (in 1179b10 sgg.), rigetta la tesi che il discorso (lovgo") ovvero il discorso e l’apprendimento possano riformare (metarruqmivsai, con allusione a 171.1) caratteri consolidati nel tempo (cfr. R. PHILIPPSON, Demokrits Sittenspru¨che, pp. 407-408 e 411).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
156.2. F. Stobeo IV 2, 13; Democrate 40 (= 68 B 75; 655 Lu., 144 N.): ‘‘Per gli stolti e` meglio che siano comandati piuttosto che comandare.’’
156.3. F. Stobeo III 1, 45; Democrate 13 (= 68 B 47; 599 Lu.; 141 N.): 1175 ‘‘E` conveniente ubbidire alla legge e al governante e a chi e` piu` saggio.’’
156.4. F. Stobeo IV 4, 27; Democrate 15 (= 68 B 49; 614 Lu.; 143 N.): ‘‘E` grave lasciarsi comandare da uno peggiore.’’
5. Fra etica e politica: giustizia e ingiustizia 157.1. F. Democrate 11 (= 68 B 45; 655 Lu.; 48 N.): ‘‘Colui che compie ingiustizia e` piu` infelice di chi la subisce.1176 ’’
157.2. F. Stobeo IV 2, 14 (= 68 B 256; 601 Lu.; 156 N.): ‘‘Giustizia e` compiere cio` che si deve, ingiustizia e` non compiere cio` che si deve ma ‘volgersi da un’altra parte’.’’
157.3. F. Democrate 4 (= 68 B 38; 656 Lu.; 154 N.): ‘‘Nobile e` essere di ostacolo a colui che si comporta in modo ingiusto, altrimenti non condividere l’ingiustizia.’’
157.4. F. Stobeo IV 5, 43 (= 68 B 261; 624 Lu.; 155 N.): ‘‘Bisogna vendicare per quanto e` possibile coloro che hanno subito ingiustizia e non lasciar correre: il {comportamento} siffatto e` giusto e buono, quello non siffatto e` ingiusto e malvagio.’’
157.5. F. Stobeo IV 5, 44 (= 68 B 262; 615 Lu.; 157 N.): ‘‘E coloro che compiono azioni degne dell’esilio o della prigione o che sono degni di una pena, vanno condannati col voto e non lasciati liberi. Colui che {li} lasciasse liberi contro la legge,1177 definendo {la questione} in base al guadagno o al piacere, compie ingiustizia, e questo deve stargli necessariamente sul cuore.’’
Massima attribuita ad Isocrate o ad altri nelle raccolte di Massimo e Antonio. L’affermazione e` di tenore assai socratico (cfr. particolarmente Gorgia 469B-C e 479E), e in netto contrasto con le opinioni correnti sulla giustizia, sicche´ c’e` da domandarsi se il passo rifletta veramente il pensiero di Democrito. (Cfr. Zeller, PGGE I 2, p. 1146, n. 8.) 1177 Adotto (come il Diels in DK) una correzione di Jacobs (novmon al posto di noun); H. Gom= perz difende il testo dei MSS e intende: ‘‘wider die eigne Einsicht’’, e cosı` fa Alfieri, con la seguente traduzione: ‘‘contro il proprio intimo sentire’’. 1175 1176
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
157.6. F. Stobeo IV 1, 44 (= 68 B 253; 612 e 648 Lu.; 165 N.): ‘‘Non e` conveniente per i buoni trascurare i propri affari per darsi ad altre attivita`, giacche´ i propri affari riusciranno male. Ma se uno trascura quelli pubblici, acquista una cattiva reputazione anche se non ruba niente ne´ compie ingiustizie. Dal momento che anche senza trascurarli o compiere ingiustizie 1178 c’e` il pericolo di acquistare una cattiva reputazione e invero di subire un danno; e` inevitabile cadere in errore, ma non e` facile per gli uomini ottenere il perdono.1179 ’’
157.7. F. Stobeo IV 5, 47 (= 68 B 265; 616 Lu.; 166 N.): ‘‘Gli uomini si ricordano di piu` degli errori che delle buone azioni. Ed in effetti e` giusto a questo modo: come chi restituisce un deposito non deve essere elogiato, mentre colui che non lo restituisce deve acquistare una cattiva reputazione e ricevere un danno, cosı` {si trovi} anche il magistrato: non era stato eletto perche´ agisse male ma perch´e agisse bene.’’
157.8. F. Stobeo II 9, 3 (= 68 B 174; 740 Lu.; 47 N.): ‘‘Colui che, essendo di buon animo,1180 si volge ad azioni giuste e secondo legge, ne gioisce da sveglio e sognando, ed e` forte e senza preoccupazioni; colui invece che non tiene conto della giustizia e non compie quanto bisogna, per questi tutte le cose cotali sono un’afflizione, ogni volta che se ne ricorda, ed e` pieno di timore e biasima se stesso.’’
157.9. F. Stobeo III 7, 31 (= 68 B 215; 602 Lu.; 46 N.): ‘‘La gloria della giustizia: la fermezza della mente e la serenita`.1181 Il timore {suscitato} dall’ingiustizia: la fine della riuscita.1182 ’’
1178 Adotto una correzione proposta da Meineke e recepita da Diels e Kranz, ma il testo rimane di non facile interpretazione. 1179 Si intende il perdono altrui. La traduzione del Diels (leggermente modificata da Kranz in DK) e` piuttosto nel senso che e` assai difficile (evidentemente per il singolo) ottenere il perdono degli uomini (die Verzeihung der Menschen). Peraltro sugginwvskesqai potrebbe significare semplicemente «riconoscere», «essere consapevole» (cfr. Erodoto I 45.3). 1180 eu[qumo" da omettere (come propone il Grilli)? Cfr. Procope ´ (1990), pp. 33-34. Alfieri adotta la correzione (dovuta a Schneider) eujquvmw" e traduce cosı`: ‘‘l’uomo che e` sempre portato di buon animo a compiere opere ...’’. 1181 In greco ajqambivh (cod. A). Il cod. M ha ajqumivh, che qualche studioso (Gesner, seguito da Orelli) vuol correggere in eujqumivh. 1182 Altre traduzioni possibili: ‘‘il risultato dell’ingiustizia: il timore della sventura’’ (favorita dall’inversione proposta da Kranz fra deima = e tevrma); ‘‘il timore dell’ingiustizia e` il culmine della sventura’’ oppure anche ‘‘il timore dell’ingiustizia e` il limite della sventura’’ (dando a sumforhv sempre un senso negativo, indubbiamente riscontrabile in 164.7 e in 176.2-4, anziche´ positivo, come nella traduzione da me adottata), ma Procope´ (1990, p. 35) traduce: ‘‘injustice’s dread: a disastrous ending’’ (da intendersi come: ‘end consisting in disaster’; per questo senso adduce dei paralleli) e ritiene che la presenza di omoioteleuti nel greco renda improbabile la prima delle traduzioni riportate in questa nota.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.F)
6. Prescrizioni di giustizia (Stobeo: ‘‘Sulle leggi e sui costumi’’) 158.1. F. Stobeo IV 2, 15 (= 68 B 257; 620 Lu.; 158 N.): ‘‘Per quanto riguarda la uccisione o non uccisione degli animali, le cose stanno cosı`: colui che uccide quelli che fanno danno o tendono a fare danno e` impunito; e fare questo e` in vista del ben-essere 1183 piuttosto che no.1184 ’’
158.2. F. Stobeo IV 2, 16 (= 68 B 258; 621 Lu.; 160 N.): ‘‘E` necessario uccidere quelli che fanno danno 1185 contro giustizia, tutti e ad ogni costo; colui che fa questo avra` maggior partecipazione del buon animo, della giustizia, della sicurezza e della propriet`a 1186 in ogni ordine {sociale}.’’
158.3. F. Stobeo IV 2, 17 (= 68 B 259; 622 Lu.; 159 N.): ‘‘Come e` stato scritto 1187 riguardo alle volpi e ai serpenti, quelli che {ci sono} nemici, cosı` si deve operare a mio avviso pure nel caso degli uomini: uccidere, secondo le leggi ancestrali,1188 colui che e` ostile in ogni ordine {sociale}, in cui la legge non lo impedisca; lo impedisce in ogni paese l’esistenza di luoghi sacri e di trattati e di giuramenti.1189 ’’
158.4. F. Stobeo IV 2, 18 (= 68 B 260; 623 Lu.; 161 N.): ‘‘Colui che uccide un qualsiasi bandito o pirata, di sua propria mano o col suo ordine o col suo voto, puo` rimanere impunito.’’
1183 Presumibilmente il ben-essere comune, che pero ` non deve escludere quello dell’agente (cfr. Eschilo, Agamennone, vv. 647 e 929). Notare che eujestou=n (acc. di eujestwv) e` una correzione di Valckenaer, recepita ma non segnalata come tale nell’edizione di Diels e Kranz. 1184 Ho conservato l’ambiguita ` del greco. Si puo` intendere: (1) ‘piuttosto che in vista della condizione contraria al ben-essere’, oppure (2) ‘piuttosto che non fare questo’. 1185 Il participio e ` al neutro, presumibilmente si intende: animali (data anche la contiguita` con 158.1 in Stobeo), ma la norma e` estesa agli uomini in 158.3. 1186 Il testo e ` incerto, adotto (come Diels) una correzione di Hense; Alfieri, adottando una correzione di Th. Gomperz, rende con ‘‘{partecipazione del} sollievo’’, ma cio` pare ripetitivo rispetto al partecipare del buon animo. 1187 Adottando una integrazione congetturale del Diels, certamente opportuna mantenendo il testo dei MSS, si avrebbe: ‘‘sono state fatte delle leggi per ...’’, ma, come obbietta Langerbeck, DE, p. 55, non c’erano leggi riguardanti tali animali; questo autore pensa ad un’autocitazione e propone di correggere cosı` da avere: ‘‘come ho scritto’’. 1188 H. Gomperz, cambiando punteggiatura, associa questo inciso non ad ‘‘uccidere’’ ma a quanto precede; forse pero` esso vale indifferentemente per quanto precede e per quanto segue. 1189 Il testo dell’ultimo periodo e ` difficile, seguo una correzione di K. DEICHGRA¨ BER («Philologus», 1933, p. 349, n. 6) adottata da Kranz in DK; Alfieri segue una correzione di H. Gomperz e traduce: ‘‘e la legge lo vieta se lo vietano i templi, sacri al culto delle singole regioni, i trattati e i giuramenti’’; Mullach (seguendo i MSS) rende: ‘‘aliquando enim lex prohibet et sua cuiusque regionis sacra (templa), foedera et sacramenta’’ (fr. 208).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.G)
G. PRINCI` PI
E PRESCRIZIONI DI MORALITA`
1. La vergogna di fronte a se stesso 159.1. F. Stobeo IV 5, 46 (68 B 264; 604 Lu.; 43 N.): ‘‘Non si deve neppure un qualcosa 1190 provare piu` vergogna di fronte agli {altri} uomini che di fronte a se stesso: non si deve neppure un qualcosa agire male se nessuno lo sapra` piuttosto che se {lo sapranno} tutti gli uomini, ma si deve provare vergogna soprattutto di fronte a se stesso, e questa deve essere stabilita come legge nell’anima, di modo che non si compia niente di sconveniente.1191 ’’
159.2. F. Stobeo III 31, 7 (= 68 B 244; 604 Lu.; 42 N.): ‘‘Non dire ne´ compiere nulla di malvagio anche se sei solo: apprendi a vergognarti molto di piu` di fronte a te stesso che di fronte agli altri.’’
159.3. F. Democrate 50 (= 68 B 84; 604 Lu.; 43 N.): ‘‘E` necessario in primo luogo che si vergogni di fronte a se stesso chi compie azioni turpi.’’
2. L’intenzione 160.1. F. Stobeo III 9, 29; Democrate 27 (= 68 B 216 e B 62; 603 Lu.; 38 N.): ‘‘Bene e` non {soltanto} non compiere ingiustizia ma il non volerlo.’’
160.2. F. Democrate 55 (= 68 B 89; 606 Lu.; 39 N.): ‘‘Ostile [cioe` malvagio] e` non soltanto chi compie ingiustizia ma anche chi lo vuole.1192 ’’
160.3. F. Democrate 33 (= 68 B 68; 606 Lu.; 40 N.): ‘‘L’uomo rispettabile e quello non rispettabile risultano non soltanto dalle loro azioni ma anche dalle loro intenzioni.’’
Cioe`: per nulla (ho reso il passo nel modo piu` letterale). Oppure: ‘... nell’anima: di non far niente di sconveniente’ (intendendo con questa espressione il contenuto della legge). Di questo tenore e` la traduzione di Diels (in Vors.) e di Kranz in DK, ma e` piu` plausibile supporre che la legge stia nella prescrizione formulata in precedenza; ci si aspetterebbe altrimenti un costrutto con il semplice infinito (cfr. Procope´, 1990, p. 40). 1192 Ho seguito il testo leggermente variato del Flor. APM. 1190 1191
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.G)
3. L’errore e il pentimento 161.1. F. Democrate 49 (= 68 B 83; 696 Lu.; 28 N.): ‘‘Causa dell’errore {morale} e` l’ignoranza del meglio.1193 ’’
161.2. F. Democrate 9 (= 68 B 43; 675 Lu.; 99 N.): ‘‘Il pentimento per le azioni malvagie e` la salvezza della propria vita.’’
161.2.1. I. Epicuro, fr. 522 Us. (da Seneca, Epistula 28, 9): La cognizione dell’errore e` l’inizio della salvezza.
161.3. F. Democrate 31 (= 68 B 66; 675 Lu.; 101 N.): ‘‘Deliberare prima delle azioni e` meglio che ripensarci.’’
161.4. F. Stobeo III 13, 46; Democrate 25 (= 68 B 60; 677 Lu.; 114 N.): ‘‘E` meglio condannare i propri errori che quelli altrui.’’
161.5. F. Stobeo III 1, 95; Democrate 7 (= 68 B 41; 605 Lu.; 45 N.): ‘‘Tenersi lontani dagli errori non per paura ma per dovere.’’
4. Prescrizioni varie 162.1. F. Democrate 57 (= 68 B 91; 676 Lu.; 223 N.): ‘‘Non essere sospettoso verso tutti, ma sii cauto e fermo.’’
162.2. F. Stobeo III 37, 22; Democrate 5 (= 68 B 39; 649 Lu.; 196 N.): ‘‘Bisogna essere buono o almeno imitare {il buono}.1194 ’’
162.3. F. Stobeo III 38, 46; Democrate 14 (= 68 B 48; 769 Lu.; 119 N.): ‘‘L’uomo onesto non tiene conto dei biasimi dei meschini.’’
1193 Anche questa massima (come 157.1) e ` di tenore socratico, ma niente impedisce che sia anche democritea. 1194 Ho reso adottando (come fa Diels) il testo di Stobeo (introducente due h], uno dei quali davanti ad eij~nai); adottando il testo di ‘‘Democrate’’ (introducente un solo h]) si ha la resa seguente: ‘‘Bisogna essere buono piuttosto che [h]] imitare {il buono}’’ (quest’ultimo testo e` difeso da J.K. VON ORELLI, Opuscola Graecorum veterum sententiosa et moralia I, Leipzig 1819, p. 496, n. ad sentenza 5, che assume che imitatio sia equivalente a simulatio).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.G)
162.4. F. Democrate 82 (= 68 B 114; CXIV Lu.; 117 N.): ‘‘E` meglio essere lodato da un altro che da se stesso.’’
162.5. F. Massima di Democrito 12 1195 (= 302.174; 674 Lu.): ‘‘Scegli, durante la vita, di essere amabile piuttosto che temibile, giacche´ colui che tutti temono teme tutti.’’
162.6. F. Massima di Democrito 29 1196 (= 302.192; 681a (2) Lu.): ‘‘Decidi piuttosto di dare cose piccole che impegnarti {a dare} cose grandi, giacche´ il pericolo 1197 e` assente e colui che riceve ha bisogno di opere, non di discorsi.’’
162.7. F. Massima di Democrito 33 1198 (= 302.196; 770 Lu.): ‘‘Tieni lontano la fretta e la voracita` dal mangiare, giacch´e questo e` canino e proprio di una bestia piuttosto che di un uomo.’’
162.8. F. Stobeo IV 19, 45 (= 68 B 270; 710 Lu.; 177 N.): ‘‘Fai uso dei servi come degli organi del corpo: uno per un compito e l’altro per un altro.’’
5. Discorsi e azioni 163.1. F. Stobeo II 15, 36; Democrate 21 (= 68 B 55; 669 Lu.; 121 N.): ‘‘Bisogna perseguire le opere e le azioni della virtu`, non i discorsi.’’
163.2. F. Stobeo II 15, 40 (= 68 B 177; 668 Lu.; 124 N.): ‘‘Ne´ un discorso eccellente puo` oscurare un’azione malvagia ne´ un’azione buona puo` essere macchiata da un discorso calunnioso.’’
163.3. F. Stobeo III 1, 91 (= 68 B 190; 493a Lu.; 107 N.): ‘‘Dalle azioni inique bisogna distogliere anche i discorsi.’’
1195 Nr. 173 (174 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo c. 9, p. 560 (+ 9.31) e Antonio, Melissa II 1, p. 128. Di tenore simile alla seconda parte (‘‘chi e` temibile per molti teme molti’’) e` una massima che viene attribuita sia ad Aristotele sia a Solone, ma anche una che viene attribuita ad Epicuro (cfr. fr. 537 Us.). 1196 Nr. 190 (192 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Antonio, Melissa I 29, p. 59. 1197 Presumibilmente: il rischio di non mantenere la promessa. 1198 Nr. 194 (196 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo c. 27, p. 612, e in Antonio, Melissa I 39, p. 79.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.G)
163.4. F. Democrate 19 (= 68 B 53; 685 Lu.; 122a N.): ‘‘Molti, che non hanno appreso il discorso, vivono {ugualmente} secondo il discorso.’’ 1199
163.5. F. Stobeo II 15, 33; Democrate 19a 1200 (= 68 B 53a; 672a Lu.; 122b N.): ‘‘Molti che compiono le azioni piu` malvage praticano i discorsi piu` nobili.’’
163.6. F. Stobeo III 14, 8; Democrate 28 (= 68 B 226 e B 63; 670 Lu.; 106 N.): ‘‘E` bello parlare bene {di qualcuno} a proposito di azioni belle, giacche´ {farlo} nel caso di quelle malvagie e` opera di chi e` falso e ingannevole.’’
163.7. F. Democrate 47 (= 68 B 82; 667 Lu.; 123 N.): ‘‘Coloro che fanno tutto a discorsi ma niente nella pratica 1201 sono falsi e ipocriti.’’
6. L’azione dei discorsi 164.1. T + C. Plutarco, De pueris educandis 14, 9F (= 68 B 145; 493a Lu.; 105 N.): Inoltre bisogna tenere i figli lontani dal linguaggio del vituperio, perch´e, secondo Democrito: ‘‘Il discorso e` l’ombra dell’opera’’.1202
164.2. F. Stobeo II 4, 12; Democrate 17 (= 68 B 51; 694 Lu.; 104 N.): ‘‘Il discorso risulta molte volte piu` forte alla persuasione dell’oro.’’
164.3. F. Stobeo III 10, 42; Democrate 18 (= 68 B 52; CIX Lu.; 113 N.): 1203 ‘‘Dare ammonimenti ad uno che ha la pretesa di avere senno e` fatica inutile.’’
` possibile che in questo passo ci sia un richiamo al passo iniziale dell’opera eraclitea (= 22 1199 E B 1 DK), nel quale si parla di un logos, a quanto pare oggettivo (cioe` di una ragione o legge universale), che gli uomini non intendono, sebbene tutto (dunque anche il loro modo di vivere o le loro azioni) si svolga in accordo con esso. 1200 In questa raccolta il passo e ` immediatamente di seguito a 163.4 (il suo inizio va reso allora: ‘‘molti invece che compiono ...’’). 1201 Ovvero nei fatti o nell’opera (e[rgw/). 1202 La formula e ` citata (attribuendola a Democrito) anche da Anon., in Rhet. II 6, 1384b19 (= 493a Lu.), e da Diogene Laerzio IX 37 (= 0.2.1); e` citata ugualmente, ma senza fare il nome del suo autore, da Filone, De mutatione nominum (42) 243 (= 493a Lu.). Di tenore simile e` il detto attribuito a Solone in Diogene Laerzio I 58. 1203 Questo passo, che segue 164.2 nella raccolta di ‘Democrate’, doveva seguirlo immediatamente anche in una fonte comune alle due raccolte, cosa che spiega l’intromissione della finale del passo precedente (crusou=) nel testo riportato da Stobeo (e` un’ipotesi avanzata da F. LORTZING, Ueber die ethischen Fragmente Demokrits, Berlin 1873, pp. 10-11).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.G)
164.4. F. Stobeo III 36, 24; Democrate 52 (= 68 B 86; CX Lu.; 110 N.): ‘‘E` un abuso parlare di tutto, e non voler ascoltare niente.1204 ’’
164.5. F. Stobeo II 31, 73; Democrate 51 (= 68 B 85; CVIII Lu.; 108 N.): ‘‘Colui che contraddice e chiacchiera molto non ha attitudine ad apprendere cio` che si dovrebbe.’’
164.6. T + C. Plutarco, Quaestiones convivales I 1, 5, 614E (= 68 B 150; CVII Lu.; 109 N.): {Mentre i dibattiti condotti con leggerezza su questioni semplici muovono gli animi in modo gradevole e profittevole,} bisogna evitare i discorsi degli ‘attaccabrighe’ (seguendo Democrito) e dei ‘tortuosi’.
164.6.1. T + C. Clemente, Stromata I iii, 22, 2 [14.22-25] (riferimento in 68 B 150; CVII Lu.; 109 N.): [In polemica contro coloro che fanno ricorso a discorsi sofistici invece di perseguire la vera filosofia.] ... cacciatori di esili discorsi, appassionati di artifici, ‘attaccabrighe e tortuosi’, come dice quell’Abderita.
164.7. F. Democrate 41 (= 68 B 76; 800 Lu.; 32 N.): ‘‘Per gli stolti diviene maestro non il discorso ma la sventura.’’
7. L’opportunita` nei discorsi 165.1. F. Stobeo III 12, 13 (= 68 B 225; 598 Lu.; 112 N.): 1205 ‘‘Bisogna dire la verita`, non fare molti discorsi.’’
165.1.1. V. Democrate 10 (= B 44; appar. 598 Lu.; appar. 112 N.): ‘‘Bisogna essere veritiero, non loquace.’’
1204 Adottando l’inversione delle due parole finali (ejqevlein ajkouvein) suggerita da Orelli in op. cit. si ha piuttosto: ‘‘e` un abuso voler parlare di tutto ... e non voler ...’’. 1205 Il testo presenta problemi, ma adotto quello proposto da Kranz (in DK, seguendo Friedla¨nder) sotto B 225, ricalcando Democrate 10 (= 165.1.1). Attenendosi al testo dei MSS (o{pou lwvion), come fanno Burchard (Fragmente der Moral, p. 38, il quale giudica poluvlogon in Democrate una sua corruzione), Natorp, Luria e Alfieri in nota (ma prendendolo per un emendamento di Zeller), si deve tradurre come segue (cito Alfieri): ‘‘Bisogna dire la verita`, sempre tuttavia che sia opportuno’’; la traduzione di Alfieri nel testo: ‘‘Si deve dire la verita`, cio` che e` anche, oltre tutto, piu` vantaggioso’’, e` in conformita` al testo e alla traduzione adottati da Diels in Vors. e si basa su di una correzione di Bu¨cheler (o} polu; lwvion) suggerita dal parallelo, peraltro non completo, con Esiodo, Opere, v. 433.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.H)
165.2. F. Stobeo III 13, 47 (= 68 B 226; 597 Lu.; 111 N.): ‘‘Proprio della libert`a e` la franchezza, ma c’e` rischio nel riconoscere il momento opportuno.’’
H. L’IMMORALITA` ,
IL MALE
1. Il male, le sue variet`a e le sue fonti 166.1. F. Stobeo IV 40, 21 (= 68 B 288; 12a Lu.; 176 N.): ‘‘Si verificano la malattia della casa e della vita come {si verifica} quella del corpo.1206 ’’
166.2. T + C. Filodemo, De ira, PHerc 182, col. XXIX 12-29 (= 68 B 143; 64 Lu.): Pare che anche la filosofia abbia di che vergognarsi a causa di essa [scil. dell’ira] e delle azioni ad essa conseguenti, quando coloro che hanno fama di essersi distinti {nella filosofia} si lasciano scoprire siffatti [scil. proni all’ira]. E capitano molte volte molte sventure e ad amici e ad altri congiunti e talvolta anche a paesi e a regni, non soltanto anticamente, quando quell’ira famosa ‘‘arreco` innumerevoli dolori agli Achei’’,1207 ma ogni giorno, e poco manca che tutti ‘‘i mali, quanti se ne potrebbe pensare’’, secondo {il detto di} Democrito, siano la conseguenza di ire smodate.
166.3. F. Stobeo III 4, 70 (= 68 B 196; 765 Lu.; 100 N.): ‘‘L’oblio dei propri mali 1208 genera la temerariet`a.’’
166.4. F. Stobeo IV 7, 13 (= 68 B 268; 610 Lu.; 222 N.): ‘‘La paura produce l’adulazione, ma non possiede benevolenza.’’
166.5. F. Stobeo II 31, 90 (= 68 B 184; 698 Lu.; 194 N.): ‘‘La frequentazione continua dei malvagi accresce la disposizione al vizio.’’
166.6. F. Stobeo III 2, 36 (= 68 B 192; 671 Lu.; 115 N.): ‘‘E` facile lodare e biasimare cio` che non si deve, ma l’uno e l’altro sono propri di un cattivo carattere.’’ 1206 Il senso deve essere quello suggerito dalla seguente traduzione, piuttosto libera, di Barnes, Early Greek Philosophy, p. 283: ‘‘Your house and your life, no less than your body, may suffer disease.’’ 1207 Iliade, I, v. 2. ` probabile che, come suggerisce Langerbeck, DE, p. 70, si tratti in primo luogo di mali 1208 E subiti, cioe` di disgrazie (vedi la citazione omerica in 166.2), ma non e` escluso che Democrito pensi anche ai mali provocati (cfr. supra, n. 1146).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.H)
166.7. F. Stobeo III 28, 13 (= 68 B 239; 791 Lu.; 162 N.): ‘‘I giuramenti che fanno in stato di necessita` i meschini non li rispettano, una volta che ne sono usciti.’’
166.8. F. Stobeo III 22, 42 (= 68 B 238; 645a Lu.; 145 N.): ‘‘Finisce infatti 1209 nella cattiva fama 1210 colui che si paragona con chi vale di piu`.’’
2. I rimedi al male 167.1. F. Democrate 53 (= 68 B 87; 672 Lu.; 152 N.): ‘‘Bisogna vegliare sul malvagio perch´e non colga l’occasione {di nuocere}.’’
167.2. F. Stobeo III 3, 43 (= 68 B 193; 609 Lu.; 153 N.): ‘‘E` opera della saggezza stare in guardia dall’ingiustizia che sta per verificarsi, dell’indifferenza al dolore 1211 non vendicarsi di quella che si e` verificata.’’
167.3. F. Democrate 83 (= 68 B 115; 664 Lu.; 118 N.): ‘‘Se non riconosci {come fondate} le lodi, ritieni di essere adulato.’’
167.4. F. Democrate 81 (= 68 B 113; 690 Lu.; 116 N.): ‘‘Fanno loro molto danno coloro che lodano gli insensati.’’
167.5. F. Democrate 44 (= 68 B 79; 650 Lu.; 195 N.): ‘‘E` penoso imitare i malvagi, e non voler neppure {imitare} i buoni.’’
3. L’avidit`a di ricchezze oppure l’avarizia; la miseria 168.1. F. Stobeo III 10, 64 (= 68 B 222; 626 Lu.; 200 N.): ‘‘Mettere insieme troppe ricchezze per i figli e` un pretesto dell’avarizia che ne prova l’atteggiamento proprio.’’
168.2. F. Stobeo III 16, 17 (= 68 B 227; 627 Lu.; 80 N.): ‘‘Gli avari hanno il destino dell’ape: sono operosi come se dovessero vivere per sempre.’’ Questo «infatti» fa pensare che sia stato omesso quanto precedeva. Seguo il testo proposto da Meineke e adottato da Kranz (in DK): ej" kakodoxivhn [kakh;n]; Diels (Vors.), adottando una correzione di Bu¨cheler (ej" kenodoxivhn kakh;n), traduceva: ‘‘... endet mit schlimmer Aufgeblasenheit’’ (similmente Alfieri). 1211 Analghsiv j h viene reso con ‘‘empfindungsloser Stumpfsinn’’ dal Diels in DK; viene inteso come ‘assenza d’ira’ (ma nel senso negativo di mancanza di indignazione) da Procope´, Diss. 1209 1210
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.I)
168.3. F. Stobeo III 16, 18 (= 68 B 228; 629 Lu.; 202 N.): ‘‘I figli degli avari, lasciati nell’ignoranza, sono come i danzatori che balzano sulle spade,1212 i quali, se, nel cadere, non centrano uno solo dei punti dove si debbono poggiare i piedi, periscono (`e difficile trovare un punto, giacche´ quanto rimane di libero {fra le spade} e` solo l’orma dei piedi); allo stesso modo costoro, se si allontanano dall’impronta paterna di diligenza e di avarizia, tendono alla distruzione.’’
I. PRINCI`PI
E OSSERVAZIONI DI VITA
1. La fatica (Povno") 169.1. F. Stobeo III 29, 63 (83a) 1213 (= 68 B 240; 772 Lu.; 131 N.): ‘‘Le fatiche volontarie rendono piu` leggera la sopportazione di quelle non volute.1214 ’’
169.2. F. Stobeo III 29, 64 (= 68 B 241; 773 Lu.; 132 N.): ‘‘La fatica continua diventa piu` leggera con la propria abitudine.’’
169.3. F. Stobeo III 29, 88 (= 68 B 243; 771 Lu.; 130 N.): ‘‘Tutte le fatiche sono piu` piacevoli dell’inoperosita`, quando si pervenga al fine per cui si fatica o si sa di poterlo raggiungere; ma in ogni fallimento il faticare 1215 e` ad un tempo duro e penoso.’’
169.4. F. Stobeo II 31, 66 (= 68 B 182; 35 Lu.; 189 N.): ‘‘L’apprendimento produce belle cose mediante la fatica, mentre quelle malvagie si raccolgono da se stesse e senza fatica; in effetti spesso impediscono anche ad uno che non e` volente di essere tale 1216 ...’’
Una illustrazione di questo tipo di danza acrobatica si trova in Senofonte, Symposium 2, 11. Nei codd. MA la sentenza viene iterata dopo la sentenza 83. 1214 Di tenore simile e ` il consiglio dato da Isocrate, Orazione I (A Demonico), § 21. 1215 Seguo il testo proposto (dubitativamente) da Kranz (in DK), che riprende una correzione del Diels e una del Mullach, ma sono possibili (e sono state tentate) altre correzioni. 1216 Il testo contiene un guasto, sicche ´ la traduzione dell’ultimo periodo rimane problematica e incompleta. Alfieri adotta un’ampia correzione proposta dal Diels e traduce come segue: ‘‘E proprio queste, spesso, costringono ad esser tale [cioe` ignobile] a suo malgrado un uomo che ha da natura l’animo disposto a debolezza’’. Tuttavia rendere ejxeivrgei con ‘‘costringono’’, adducendo Erodoto VII 96, non tiene conto del fatto che le occorrenze riportate in LSJ del verbo preso in questo senso sono al passivo – compreso il passo erodoteo e con l’unica eccezione di Platone, Leggi XI, 935C (ma ivi tutti i traduttori lo rendono, plausibilmente, con «espellere»). Che ‘essere tale’ indichi l’essere ignobile o cattivo non risulta da quanto precede, ma solo dal seguito corretto a quel modo. 1212 1213
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.I)
169.5. F. Stobeo III 29, 66 (= 68 B 242; 684 Lu.; 193 N.): ‘‘Sono di piu` quelli che sono resi buoni dall’esercizio di quelli che lo sono dalla natura.’’
2. Conoscenza e intelligenza 170.1. F. Stobeo II 1, 12 (= 68 B 169; CXII Lu.; 192 N.): ‘‘Non aspirare a conoscere tutte le cose, per non diventare ignorante di tutte.’’
170.2. F. Stobeo III 4, 81; Democrate 29 (= 68 B 64; CXI Lu.; 190 N.): ‘‘Molti, che sanno molte cose, non hanno intelligenza.1217 ’’
170.3. F. Democrate 30 (= 68 B 65; CXI Lu.; 191 N.): ‘‘Bisogna esercitare tanta intelligenza non tanta dottrina.’’
3. L’apprendimento ovvero l’educazione e la cultura 171.1. F. Stobeo II 31, 65 (= 68 B 33; 682 Lu.; 1218 187 N.): ‘‘La natura e l’insegnamento sono prossimi: l’insegnamento riforma l’uomo e, nel riformarlo, produce {la sua} natura.’’
171.1.1. T + C. Clemente, Stromata IV xxiii, 149, 4 [314.12-16] (= 68 B 33, n.; 682 Lu.; 187 N.): Pertanto 1219 Democrito dice bene {nel dire} come la natura e l’insegnamento siano prossimi, e ne ha addotto la causa in sintesi: ‘‘l’insegnamento riforma l’uomo e, nel riformarlo, produce {la sua} natura’’ e non c’`e nessuna differenza fra l’essere plasmato in un certo modo dalla natura e l’essere trasformato dal tempo e dall’apprendimento.
171.1.2. T. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 1 (om. DK; = 682 Lu.; 187 n. N.): Di Democrito figlio di Damasippo, Abderita, dicono che affermasse che il miglior insegnamento e` prossimo alla natura: trasforma questa 1220 e riforma verso il meglio l’anima
Il passo richiama Eraclito, fr. 40 DK: ‘‘Sapere molte cose non insegna {avere} intelligenza ...’’. Il testo offerto da Luria (salvo precisazioni in apparato) e` una combinazione dei tre, da me riportati separatamente. 1219 Nel contesto si parla di cio ` che e` stato predisposto dal Signore a vantaggio dell’uomo, ma le frequenti citazioni in questo cap. hanno una connessione debole col discorso principale. 1220 Deve essere l’anima (come intendono Festa e Canivet nelle loro traduzioni), per quanto il costrutto non lo suggerisca, perche´ deve corrispondere all’uomo nelle citazioni di Stobeo e di Clemente e perche´ il tenore complessivo del passo esclude la natura come unico altro possibile oggetto del trasformare menzionato nel contesto. 1217 1218
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.I)
e gli antichi caratteri, quelli che la natura aveva disposto [scil. nell’anima] fin dall’inizio, si rinnovano.1221
171.2. F. Stobeo II 31, 58 (= 68 B 180; 693 Lu.; 183 N.): ‘‘La cultura e` l’ornamento per i fortunati e il rifugio per gli sfortunati.1222 ’’
171.3. F. Stobeo II 31, 72 (= 68 B 183; 683 Lu.; 185 N.): 1223 ‘‘C’e` una perspicacia dei giovani e una stoltezza dei vecchi, giacche´ non e` il tempo che insegna ad essere saggi, ma un’educazione precoce e la natura.’’
171.4. F. Stobeo II 31, 71; Democrate 24 (= 68 B 59; 682a Lu.; 188 N.): ‘‘Non si puo` pervenire n´e all’arte n´e alla sapienza se uno non apprende.’’
171.5. F. Stobeo II 31, 94 (= 68 B 185; 697 Lu.; 201 N.): ‘‘Le speranze di coloro che sono stati educati sono migliori che la ricchezza degli ignoranti.’’
4. L’educazione morale 172.1. F. Stobeo IV 26, 26 (= 68 B 280; 691 Lu.; 184 N.): ‘‘E` possibile senza spendere molte delle proprie risorse educare i fanciulli e {in tal modo} elevare un muro a salvezza dei {loro} beni e dei loro corpi.1224 ’’
172.2. F. Stobeo II 31, 56 (= 68 B 178; 695 Lu.; 198 N.): 1225 ‘‘La facilit`a e` il peggior insegnamento da trasmettere ai giovani; 1226 essa infatti e` cio` che d`a la nascita a quei piaceri dai quali viene la malvagit`a.’’
1221 Questo passo costituisce l’inizio stesso del libro (riguardante la materia e il mondo), dove la parte dossografica viene introdotta da un elogio della cultura e dell’applicazione disciplinata. 1222 Una formulazione quasi identica e ` attribuita ad Aristotele da Diogene Laerzio V 19 e da Stobeo II 31, 35 (= 693 Lu.). 1223 In alcune fonti (Massimo e Antonio) questo detto viene attribuito a Filemone. 1224 Si intende: ‘‘delle loro persone’’, oppure ‘‘della loro vita’’. Si tratta di una formula che e ` tipica del linguaggio giuridico, cfr. Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 29, 5, e Tucidide VIII 65, 3 (citati da Luria nel suo commento ad loc.), ma cio` suggerisce pure che si sta parlando dei loro beni (evidentemente preservati al momento dell’eredita`), non dei propri. 1225 Il lemma e ` «Di Democrate» per questo passo (viene corretto dagli studiosi seguendo Burchard), «Dello stesso» per i successivi (cfr. 172.3, 171.2, 155.3). 1226 Si intende: la facilita ` nell’ottenere le cose. In alternativa si puo` tradurre: ‘‘Il peggiore di tutti i mali e` l’indulgenza [= dare prova di indulgenza] nell’educare la gioventu`’’. (P. SHOREY, «Classical Philology», XIII, 1918, pp. 313-14, critica Diels, in Vors., per la resa di eujpeteivh con Leichtsinn, precisando che il senso e` ease. Kranz modifica la traduzione del Diels, ma mantiene quella resa; anche Alfieri rende con ‘leggerezza’.)
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.I)
172.3. F. Stobeo II 31, 57 (= 68 B 179; 692 Lu.; 197 N.): ‘‘I fanciulli che sono lasciati rilassarsi nel faticare 1227 non apprenderanno ne´ le lettere ne´ la musica ne´ la competizione atletica n´e cio` che massimamente mantiene la virtu`: l’aver pudore. E` in effetti soprattutto da queste cose che il pudore tende a generarsi.’’
5. Osservazioni varie 173.1. T. Plutarco, Quaestiones convivales II 10, 2, 643E (= 68 B 151; 716 Lu.; 230 N.): [Il contesto contiene un elogio della convivialita` e specialmente di quella attuata nei pasti in comune.] ... Nel pesce in comune non ci sono spine, come dice Democrito.
173.2. F. Stobeo IV 40, 20 (= 68 B 287; 647 Lu.; 135 N.): ‘‘La miseria comune e` piu` difficile da sopportare di quella individuale, perche´ non rimane la speranza di aiuto {altrui}.’’
173.3. F. Stobeo III 4, 72 (= 68 B 198; 761 Lu.; 20 N.): ‘‘L’animale che prova bisogno sa di quanto ha bisogno, colui [scil. uomo] che prova bisogno non lo sa.1228 ’’
173.4. F. Stobeo III 29, 67; Democrate 46 (= 68 B 81; 775 Lu.; 125 N.): ‘‘Essere sempre sul punto di fare rende le azioni prive di compimento.’’
173.5. F. Stobeo IV 34, 58; Democrate 75 (= 68 B 108; 33b Lu.; 27 N.): ‘‘A coloro che li cercano i beni si presentano a stento, invece i mali {si presentano} anche a coloro che non li cercano.’’
1227 Il testo e ` difficile: adotto una correzione del Dihle riportata e difesa da Procope´ (Diss. e 1990, p. 39): e[xw tiv kw" ponei n= . Traduzione piu` letterale: ‘‘I fanciulli che sono lasciati {fare} qualcosa in qualche modo al di fuori del faticare ...’’. Il testo dell’unico MS riportante il passo (ejxwtikw=" mh; ponei n= ) viene difeso da H. Gomperz e viene adottato da Alfieri nella sua trad. (‘‘I ragazzi, abbandonati a se stessi, alla maniera dei barbari, a non faticare, non apprenderebbero ...’’). 1228 Seguo quegli studiosi (Lortzing, Philippson, Luria, ecc.) che hanno ritenuto plausibilmente che il participio neutro iniziale richiami, come soggetto non espresso (risultante da un contesto andato perduto), l’animale in contrapposizione all’uomo (indicato a sua volta dallo stesso participio al maschile). Invece Zeller (PGGE, I 2, p. 1144, n. 4), seguito da Langerbeck (DE, p. 70), ritiene che esso non si riferisca all’animale ma al corpo, in contrapposizione alla mente, richiamandosi ad un passo di Stobeo dove compare lo stesso verbo crhv/zein (cfr. 135.5), ma non si vede come questa (ivi denominata gnwvmh) o l’anima possa essere indicata da un participio al maschile, e il parallelo con quel passo non e` cosı` stretto. Burchard, Fragmente der Moral, p. 24, tratta il (primo) participio come un sostantivo e rende come segue: ‘‘das Bedu¨rfniss weiss, wie weit es bedarf, der Bedu¨rfende nur erkennt es nicht’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.L)
173.6. F. Stobeo III 4, 69 (= 68 B 195; CXIII Lu.; 172 N.): ‘‘Immagini splendide alla contemplazione per eleganza 1229 e per decoro, ma vuote di cuore.1230 ’’
173.7. F. Massima di Democrito 181231 (= 302.181; 666a Lu.): ‘‘Negli specchi si scorge il carattere visibile, nelle conversazioni quello dell’anima.’’
173.8. F. Massima di Democrito 341232 (= 302.197; 759a Lu.): ‘‘Come un’essenza profumata vale non se e` piacevole o se e` abbondante ma se e` salutare, cosı` anche il cibo vale non se e` piacevole o se e` abbondante ma se e` salutare.’’
L. RAPPORTI
FRA PERSONE
(SECONDO
I TIPI DI AZIONE)
1. La rivalita` e l’invidia 174.1. F. Stobeo III 20, 62 (= 68 B 237; 679 Lu.; 221 N.): ‘‘La rivalita` e` tutta insensata, giacche´, nel mirare al danno del nemico, non guarda al proprio vantaggio.’’
174.2. F. Massima di Democrito 28 1233 (= 68 B 302.191; 714 Lu.): ‘‘La competizione 1234 fra i buoni e` di vantaggio per chi emula, senza danneggiare chi viene emulato.’’
174.3. F. Stobeo III 38, 47; Democrate 54 (= 68 B 88; 679 Lu.; 82 N.): ‘‘Colui che prova invidia reca sofferenza a se stesso come se fosse un nemico.’’
174.4. T + C. Sentenza democritea in CPP, 710; Maxim. c. 54, p. 658; Ant. Melissa I 62, p. 109 (= 68 B 302.710; 679a Lu.): Democrito diceva che ‘l’invidia e` una piaga della veracita`’. 1229 Adotto una correzione di Meineke: ejsqhti invece di aijsqhtika;. In alternativa (conservando = il testo dei MSS, come fa Burchard, Fragmente der Moral, p. 22): ‘‘immagini sensibili, splendide alla contemplazione per decoro ...’’. Manifestamente manca il contesto. 1230 Traduco alla lettera, ma kardivh, come e ` stato osservato da Langerbeck, DE, p. 70, e da Luria, comm. ad loc., e` visto soprattutto come l’organo dell’intelligenza. (Vedasi la parte finale della favola esopica su leone, volpe e cervo citata da Luria, nr. 243 nell’edizione Halm, ma attribuita a Babrio, nr. 95 Crusius: il cervo e` un animale bello ma privo di intelligenza.) 1231 Nr. 179 (181 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Antonio, Melissa I 48, p. 87. 1232 Nr. 195 (197 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo c. 27, p. 612. 1233 Nr. 189 (191 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo c. 54, p. 658. 1234 La e[ri" di cui si parla in questo passo pare corrispondere a quella buona di cui parla Esiodo (cfr. Opere e giorni, vv. 11 sgg.) ed essere tenuta distinta dalla filonikivh del passo precedente.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.L)
2. L’amore e il sesso 175.1. F. Stobeo IV 20, 33 (= 68 B 271; 707 Lu.; 175 N.): ‘‘Solo l’amore toglie il biasimo inerente al desiderio sessuale.1235 ’’
175.2. F. Stobeo III 5, 23; Democrate 38 (= 68 B 73; 787 Lu.; 87 N.): ‘‘L’amore giusto sta nel perseguire senza insolenza le cose belle.1236 ’’
175.3. F. Erodiano, Prosodia Catholica (GG III 1, 445.9-11), ripreso da Eustazio, Commentarii ad Odysseam XIV, v. 428, p. 1766 (= 68 B 127; 528 Lu.; 85 N.): E Democrito: ‘‘Gli uomini hanno piacere nello strofinarsi 1237 e questo si verifica per essi come nei rapporti amorosi.’’
3. Le sventure, proprie e altrui 176.1. F. Stobeo III 7, 21 (= 68 B 213; 764 Lu.; 127 N.): ‘‘Il coraggio rende piccoli i colpi della sorte.’’
176.2. F. Stobeo IV 44, 68; Democrate 8 (= 68 B 42; 766 Lu.; 90 N.): ‘‘E` cosa grande, nelle sventure, pensare a cio` che si deve.’’
176.3. F. Stobeo IV 48, 10 (= 68 B 293; 678 Lu.; 220 N.): ‘‘Quanti traggono piacere dalle sventure dei vicini non comprendono che i colpi della sorte sono comuni a tutti, e sono a corto di gioia in proprio.1238 ’’
176.4. F. Democrate 74 (= 68 B 107a; 678 Lu.; 219 N.): 1239 ‘‘E` cosa degna, essendo uomini, non ridere delle sventure degli uomini ma compatirli.’’
1235 Adotto una correzione del Nauck (ajgavph mouvnh, peraltro implicante un uso anacronistico di ajgavph). Il testo e` difficile, ma Guthrie (HGP II, p. 491, n. 3) difende la lezione dei MSS (ajgapwmevnh)
e traduce cosı`: ‘‘a woman who is loved may indulge desire without blame’’ (precisando: «more literally ‘purges the blame attached to sexual desire’»). 1236 Oppure: ‘‘i belli’’ (al maschile)? (Suggerimento di Procope ´ , Diss.). 1237 Si intende: masturbarsi, cfr. Aristotele, Gen. anim. I 20, 728a9-14 e Problemata I 30, 953b33-38. 1238 Diels (in DK), seguito da Alfieri, rende ‘‘sono a corto di gioia in casa propria (im eigenen Hause)’’, ma questa traduzione e` piuttosto libera e non sufficientemente suggerita da quanto precede. 1239 Il passo e ` presente solo in una famiglia dei MSS di ‘Democrate’, cioe` nei codd. barberino (B) e di Grotta Ferrata (C in DK).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.L)
4. I favori 177.1. F. Democrate 58 (= 68 B 92; 680 Lu.; 228 N.): ‘‘Bisogna accettare favori {solo} avendo in mente di darne di molto piu` grandi in contraccambio.’’
177.2. F. Democrate 59 (= 68 B 93; 680 Lu.; 227 N.): ‘‘Nel concedere un favore stai attento che colui che lo riceve, essendo un {uomo} falso, non renda un male per un bene.’’
177.3. F. Democrate 60 (= 68 B 94; 680 Lu.; 225 N.): ‘‘Piccoli favori al momento opportuno sono grandissimi per coloro che li ricevono.1240 ’’
177.3.1. I. Epicuro, fr. 214 Us. (trad. C. Diano): Non rifuggire dal concedere il tuo favore nelle piccole cose: sembrera` che tu faccia il medesimo anche nelle grandi.
177.4. F. Democrate 62 (= 68 B 96; 681 Lu.; 226 N.): ‘‘Benefico non e` colui che ha lo sguardo volto al contraccambio, ma colui che ha scelto di agire bene.’’
5. Gli onori 178.1. F. Democrate 61 (= 68 B 95; 689 Lu.; 149 N.): ‘‘Gli onori possono molto presso coloro che sono di animo retto, che sono consapevoli di essere onorati.’’
178.2. F. Stobeo IV 5, 45 (= 68 B 263; 619 Lu.; 148 N.): ‘‘Partecipa grandemente di giustizia e di virtu` colui che distribuisce le ricompense piu` alte ai piu` degni.1241 ’’
1240 In alcuni florilegi in cui la sentenza ricorre viene aggiunto: «in circostanze avverse», usando (come in 179.11) un termine (perivstasi") probabilmente successivo a Democrito, ma che puo` rendere il senso originale del passo. 1241 ‘‘ai piu ` degni’’ e` un’integrazione di Diels. Adottando una correzione proposta da Th. Gomperz si ha: ‘‘colui che amministra in modo degno le cariche (tima;", altrimenti omesso) piu` importanti’’.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.M)
M. I
RAPPORTI FRA LE PERSONE
(SECONDO
LE CATEGORIE DELLE PERSONE)
1. Gli amici 179.1. F. Democrate 72 (= 68 B 106; 665 Lu.; 214 N.): ‘‘Trovare un amico nella buona fortuna e` facile, {trovarlo} nella disgrazia e` la cosa piu` difficile di tutte.’’
179.2. F. Democrate 67 (= 68 B 101; 665 Lu.; 215 N.): 1242 ‘‘Molti evitano gli amici, quando {essi} passano dall’abbondanza alla poverta`.’’
179.3. F. Democrate 63 (= 68 B 97; 661 Lu.; 210 N.): 1243 ‘‘Molti che sono ritenuti essere amici non lo sono {veramente}, e {molti che} non paiono esserlo lo sono.’’
179.4. F. Democrate 64 (= 68 B 98; 660 Lu.; 211 N.): ‘‘L’amicizia di uno soltanto che sia sensato vale di piu` {di quella} di tutti gli insensati.’’
179.5. F. Democrate 65 (= 68 B 99; 662 Lu.; 209 N.): ‘‘Non e` degno di vivere colui che non ha neppure un buon amico.’’
179.6. F. Democrate 76 (= 68 B 109; 677 Lu.; 217 N.): ‘‘Coloro che sono inclini a biasimare non sono atti all’amicizia.’’
179.7. F. Democrate 69 (= 68 B 103; 662 Lu.; 208 N.): ‘‘Non e` neppure amato da uno solo, a me sembra, colui che non ama nessuno.’’
179.8. F. Democrate 66 (= 68 B 100; 663 Lu.; 216 N.): 1244 ‘‘Colui per il quale gli amici sperimentati non permangono a lungo {tali}, e` di carattere difficile.1245 ’’
1242 Ricorre nello Gnomologio Bizantino, dove e ` seguito dalla seguente sentenza (che non compare in altri gnomologi affini, ma viene riportata da Luria): ‘‘giacche´ la maggior parte sono amici delle ricchezze, non di coloro che le hanno’’. 1243 La sentenza ricorre in Massimo (VI 46) e in Gnomologio Bizantino, 159, dove e ` seguita dalla seguente sentenza (che viene riportata da Luria): ‘‘e` proprio del saggio riconoscere ciascun caso’’. 1244 Il passo e ` presente solo in una famiglia dei MSS di ‘Democrate’, cioe` nei codd. palatino e laurenziano. 1245 Adotto il testo di Diels (in DK); adottando il testo proposto da Orelli (e accolto da Bur-
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.M)
179.9. F. Democrate 73 (= 68 B 107; 711 Lu.; 213 N.): ‘‘Amici non sono tutti i congiunti, ma solo quelli che sono concordi {con noi} circa il conveniente.1246 ’’
179.10. F. Stobeo II 33, 9 (= 68 B 186; 673 Lu.; 212 N.): ‘‘La concordia nei pensieri produce amicizia.’’
179.11. F. Massima di Democrito 71247 (= 302.169; 658 Lu.): ‘‘L’amico bravo deve essere presente, chiamato, alle gioie, nei rovesci {della fortuna} deve essere compresente senza essere chiamato.1248 ’’
179.12. F. Massima di Democrito 9 1249 (= 302.171; 659 Lu.): ‘‘I veri amici rendono le gioie piu` dolci 1250 e le sventure piu` lievi, gustando insieme le prime e condividendo le altre.’’
179.13. F. Massima di Democrito 8 1251 (= 302.170; 666 Lu.): ‘‘Il non poter aiutare gli amici e` prova di mancanza di mezzi, il non volere lo e` di malvagita`.’’
179.14. F. Massima di Democrito 26 1252 (= 302.189; 666b Lu.): ‘‘Il coltello taglia, la calunnia divide gli amici.’’
2. La donna 180.1. F. Stobeo IV 23, 38 (= 68 B 274; 703 Lu.; 171 N.): ‘‘Parlar poco e` un ornamento per la donna; ed e` una cosa bella anche la semplicita` nell’ornamento.’’ chard e da Natorp) si dovrebbe tradurre: ‘‘Colui al quale gli amici a lungo sperimentati non danno aiuto e` di carattere difficile’’. 1246 To; xumfevron probabilmente non indica solo il conveniente nel senso dell’utile ma anche cio ` su cui si conviene (con l’implicazione dell’essere concordi). 1247 Nr. 168 (169 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in DIE 165; Massimo 6.99; Antonio, Melissa I 24, p. 46; e in altre raccolte ancora. 1248 Letteralm.: chiamato da se stesso. 1249 Nr. 170 (171 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo 6.101 e in Antonio, Melissa I 24, p. 46. 1250 Adotto una correzione di Burchard, Fragmente der Moral, p. 58 (ripresa da Luria), ma egli giudica non autentica questa sentenza e la successiva, nonostante il loro stile, che pare essere democriteo. 1251 Nr. 169 (170 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo c. 6, p. 549 (+ 6.100) e in Antonio, Melissa I 25, p. 47. 1252 Nr. 187 (189 Elt.) del Corpus Parisinum profanum; ricorre in Massimo c. 10, p. 563 (+ 10.25).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.M)
180.2. F. Democrate 77 (= 68 B 110; 703 Lu.; 173 N.): ‘‘La donna non pratichi il discorrere, perche´ e` pericoloso.’’
180.3. F. Stobeo IV 23, 39; Democrate 78 (= 68 B 111; 704 Lu.; 170 N.): 1253 ‘‘Essere comandato da una donna sarebbe l’offesa estrema per un uomo.’’
180.4. F. Stobeo IV 22, 199 (= 68 B 273; 705 Lu.; 174 N.): ‘‘La donna e` assai piu` puntuta dell’uomo nella malizia.’’
3. I figli, la famiglia 181.1. F. Stobeo IV 24, 29 (= 68 B 275; 721 Lu.; 182 N.): ‘‘L’allevamento dei figli e` cosa malsicura: la riuscita che riserva e` piena di lotta e di preoccupazioni, il fallimento {che riserva} non e` superato da alcun altro dolore.’’
181.2. F. Stobeo IV 24, 31 (= 68 B 276; 722 Lu.; 180 N.): ‘‘A mio avviso, non si deve acquisire figli, giacche´ io scorgo nell’acquisizione di figli molti e grandi pericoli, molte sofferenze, per vantaggi scarsi e, per giunta, tenui e deboli.’’
181.3. T. Clemente, Stromata II xxiii, 138, 2-4 [189.12-18] (3-4 = 68 A 170; 723 Lu.; 179 N.; 526 Us.): [Tema: il matrimonio, discusso in relazione al bene dell’uomo.] Platone colloca il matrimonio fra i beni esterni, ammettendo che esso assicura l’immortalita` della nostra specie e una sorta di stabilita` che viene trasmessa come una fiaccola ai figli dei figli.1254 (3) Democrito invece cerca di allontanare dal matrimonio e dal fare figli, per il fatto che da essi derivano molte spiacevolezze e molte distrazioni dalle cose piu` importanti; (4) Epicuro e` d’accordo con lui ed {in genere lo sono} quanti pongono il bene nel piacere e nell’assenza di turbamento e di dolore.
181.3.1. V. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio XII 74 (om. DK; = 723 Lu.; 179 N.; rifer. in 526 Us.): (Sulla virtu` pratica) [Sul matrimonio e la castita`.] Noi approviamo Platone quando egli colloca il matrimonio fra i beni e lo denomina una progetto di immortalita` e una stabilit`a della specie. Invece biasimiamo assai Democri1253 Attribuito a Filone nella raccolta di Antonio. Il testo di Stobeo richiede un’integrazione e quello di Democrate (‘‘Essere comandato da una donna e` un’offesa e una vilta` estrema’’), pur difendibile per altri versi, suscita riserva per l’accostamento fra l’offesa come cosa subita e la vilta` come condizione di cui uno e` responsabile (cosı` Lortzing, ethischen Fragmente, p. 12). 1254 Il richiamo e ` a Leggi VI, 773E e 776B, cfr. inoltre IV, 721c e Simposio, 207c-d.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.M)
to ed Epicuro: essi ci ingiungono anche di evitare il matrimonio e la generazione dei figli; avendo infatti definito il fine col piacere, bandirono in ogni modo cio` che comporta preoccupazioni e qualche spiacevolezza.
182.1. F. Stobeo IV 24, 32 (= 68 B 277; 724 Lu.; 181 N.): ‘‘Chi ha bisogno di procurarsi un figlio farebbe meglio,1255 mi pare, {a procurarselo} da qualcuno degli amici: allora il figlio sar`a tale quale egli lo desidera, giacche´ puo` sceglierselo come lo vuole; e quello che gli sembrera` adatto sara` anche particolarmente ubbidiente per natura.1256 La differenza sta nel fatto che in un caso e` possibile prendere il figlio fra molti in conformit`a al desiderio, come se ne ha bisogno, mentre se uno se lo procura da se stesso,1257 ci sono molti pericoli, perche´ si e` costretti a prenderlo come viene.’’
182.2. F. Stobeo IV 24, 33 (= 68 B 278; 562 Lu.; 178 N.): ‘‘Gli uomini ritengono che rientri fra le cose necessarie per natura e per un’antica disposizione 1258 avere figli. E questo e` manifesto anche negli altri animali, giacch´e tutti si procurano prole per natura e senza avere in vista una utilita` [scil. per se stessi]. Anzi, quando sono generati, ciascuno ha tribolazioni e li alleva come puo` ed e` pieno di timori per essi finche´ sono piccoli, e si affligge se succede loro qualcosa. Tale e` la natura per tutti coloro che hanno anima. Ma presso l’uomo si e` stabilito l’uso 1259 che dalla prole possa derivare anche qualche vantaggio.’’
182.3. F. Stobeo III 5, 24 (= 68 B 208; 687 Lu.; 199 N.): ‘‘La moderazione del padre e` il maggior precetto per i figli.’’
182.4. F. Stobeo IV 26, 25 (= 68 B 279; 715 Lu.; 203 N.): ‘‘Si deve ripartire il piu` possibile le ricchezze tra i figli, e allo stesso tempo vegliare su di loro affinche´ non compiano qualcosa di malvagio avendole in mano: diventano ad un tempo piu` economi di fronte alle ricchezze e piu` desiderosi di acquistarle ed entrano in
1255 Seguo il testo corretto da Diels; Burchard, sulla base del testo dei MSS, traduce come segue: ‘‘Wer Geld hat, scheint mir besser zu thun, wenn ...’’ (Fragmente der Moral, p. 46); similmente Mullach: ‘‘Qui divitiis affluit, is melius mihi videtur facturus ...’’ (fr. 188). 1256 Oppure: «piu ` pronto a seguirlo per natura». Ma c’e` da sospettare un guasto, come rileva Burchard, ivi, n. 2. 1257 Con un gioco di parole nel greco, si prospetta l’alternativa fra il procurarsi un figlio da se stesso, cioe` procrearlo, e il procurarselo da altri, cioe` adottarlo. 1258 Oppure: «fra le cose necessarie e per un’antica costituzione naturale». 1259 Adotto la correzione di nomivzon in novmimon proposta da Natorp; Diels (in DK) conserva la lezione dei MSS e rende: ‘‘si e` creata la convinzione usuale’’ (‘‘hat es sich schon zu einer gewo¨hnlichen Anschauung ausgebildet’’), ma cio` sembrerebbe richiedere piuttosto il passivo nomizovmenon, mentre Alfieri (pretendendo di seguire il Diels) intende nomivzon come intransitivo e rende (in modo non persuasivo) cosı`: ‘‘ma negli uomini cio` risponde ad una intenzione, di ricavare ...’’ (con la precisazione in nota: ‘‘lett. ‘cio` che si fa pensando {ad un fine}’).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XIV.N)
competizione gli uni con gli altri; messe in comune le spese sono meno pesanti che tenute singolarmente e i profitti non danno buon animo, se non molto meno.1260 ’’
182.5. F. Democrate 56 (= 68 B 90; 709 Lu.; 137 N.): ‘‘L’ostilita` fra congiunti e` assai piu` dura che quella fra estranei.’’
182.6. F. Stobeo IV 22, 108 (= 68 B 272; 708 Lu.; om. N.): ‘‘Chi e` fortunato col genero trova un figlio, chi e` sfortunato perde anche la figlia.’’
4. Giovani e vecchi (e la vecchiaia) 183.1. F. Stobeo IV 50, 20 (= 68 B 294; 700 Lu.; 205 N.): ‘‘La forza e la bellezza sono beni della giovinezza, ma il fiore della vecchiezza e` la moderazione.1261 ’’
183.2. F. Stobeo IV 50, 22 (= 68 B 295; 700 Lu.; 204 N.): ‘‘Il vecchio e` stato giovane, il giovane e` all’oscuro se perviene alla vecchiaia; dunque il bene compiuto e` superiore a quello ancora da venire ed oscuro.’’
183.3. F. Democrate 70 (= 68 B 104; 701 Lu.; 206 N.): ‘‘Vecchio dotato di grazia e` colui che e` affabile e serio nei suoi discorsi.1262 ’’
183.4. F. Stobeo IV 50, 76 (= 68 B 296; 702 Lu.; 207 N.): ‘‘La vecchiaia e` una completa menomazione: possiede tutto e manca di tutto.’’
N. VARIA (FRAMMENTI
DI DUBBIA AUTENTICITA` )
184.1. Democrate 1 (di introduzione alla raccolta) 1263 (= 68 B 35): ‘‘Se uno ascolta queste mie massime con intelligenza compira` molte azioni degne di un uomo buono ed eviter`a di compiere molte azioni malvagie.’’
Il senso del passo, pur con qualche correzione del testo, non e` totalmente chiaro. Adotto il testo proposto da Diels (con le correzioni di Halm e di Meineke); attenendosi al testo dei MSS si ha: «ma la vecchiezza e` il fiore [cioe` la fioritura, il culmine] della moderazione». 1262 La mia traduzione e ` prossima a quella proposta da Kranz (in DK); Diels (in Vors.) traduceva come segue: ‘‘Ein liebenwu¨rdiger Greis ist wer in Scherz und Ernst zu plaudern weiss’’, ricalcando Mullach (fr. 217: ‘‘gratus est senex qui scite jocari potest et seria loqui’’), il quale riprendeva un’indicazione di Orelli (Opuscola, p. 505). 1263 Dal titolo convenzionale: Democratis philosophi Sententiae aureae. 1260 1261
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.A)
184.2. F. Democrate 48 (= 68 B 82; om. Lu.; om. N.): ‘‘Felice colui che oltre alla ricchezza possiede l’intelligenza, giacche´ se ne serve in modo retto in vista di cio` che si deve {fare}.’’ 1264
184.3. F. Democrate 84 (= 68 B 115; om. Lu.; om. N.): ‘‘Il mondo e` una scena, la vita e` una recita: 1265 entrasti, vedesti, uscisti.’’
184.4. F. Stobeo IV 41, 59 (= 68 B 288; om. Lu.; om. N.): ‘‘Non c’e` una porta della ricchezza che sia cosı` sicura che un’occasione fortuita non possa aprirla.’’ 1266
XV. TESTI A. CONTRIBUTI
VARI
ALL’ASTRONOMIA DESCRITTIVA E DI PREVISIONE
1. Il «grande anno» e il calendario 185.1. T. Censorino, De die natali 18, 8 (= 68 B 12; 423 Lu.): [Contesto: definizione dei periodi in cui il tempo viene suddiviso; viene proposta una distinzione fra ‘anno solare’ (annus) e ‘grande anno’ (annus magnus), che risulta dalla combinazione di ciclo solare e ciclo lunare; sono considerate le varie tesi circa l’estensione di tale ‘grande anno’, a cominciare da quella di Eudosso; nel seguito, 18.11, viene menzionato l’anno da denominare ‘piu` grande’ (maximus) anzich´e solo grande, perche´ coincide col ciclo cosmico.] Oltre a questi ci sono diversi ‘grandi anni’, come quello ‘metonico’, che l’ateniese Metone costituı` di diciannove anni [...]; c’e` anche l’anno del Pitagorico Filolao, di cinquantanove anni [...], pure quello di Callippo di Cizico, di 76 anni, con 28 mesi intercalari, e quello di Democrito, di 82 anni, ugualmente con 28 mesi intercalari.
1264 Traduco il primo periodo piuttosto liberamente, perche ´ mi pare chiaro che il senso sia che l’intelligenza permette il retto uso della ricchezza, mentre la ricchezza da sola puo` essere di danno. Il passo e` trattato come non autentico da Diels in quanto sarebbe un’abbreviazione di una sentenza di Menandro (cfr. Menandri Sententiae, ed. S. JA¨ KEL, Leipzig 1964, n. 465; cfr. inoltre fr. 114, III, 34 Ko¨rte), ma in realta` questa coincide (salvo una variazione non significativa) con il primo periodo. Peraltro il passo manca in una famiglia di MSS (codici palatino e laurenziano). 1265 Il senso di pavrodo" deve essere questo, ma e ` attestato solo tardivamente; inoltre nel seguito ci si aspetterebbe non un verbo del vedere (il cui uso e` forse influenzato dal celebre detto di Cesare in occasione della battaglia di Farsalo, come rilevava gia` Burchard, Fragmente der Moral, p. 60) ma dell’agire o del recitare. Infine questa sentenza, nella raccolta, e` separata dalle precedenti dall’epigramma X, 58, dell’Antologia palatina, e presenta una certa affinita` con l’epigramma X, 72, della stessa raccolta. 1266 Si tratta di due trimetri, dei quali il secondo e ` incompleto. L’autenticita` del passo e` contestata da Hense, seguito da Diels (Hense pensa al comico Demetrio, cfr. Stob. III 2, 1).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.A)
185.2. T. Leptines, Oujravnio" didaskaliva (Eudoxi Ars astronomica o Ars Eudoxi),1267 coll. 22 e 23 (= 68 B 14.2; 424 Lu., ma 22.24 omesso): [XXII 21] Per Eudosso e per Democrito il solstizio d’inverno e` nel {mese di}Athyr, talvolta il 20 e talvolta il 19. [XXII 24] Per Eudosso e per Democrito dal solstizio d’estate all’equinozio autunnale ci sono giorni 91, per Euctemone 90, per Callippo 92. [XXIII 3] Dall’equinozio d’autunno al solstizio d’inverno ci sono 92 giorni per Eudosso, 91 per Democrito, 90 per Euctemone, 89 per Callippo. [XXIII 9] Dal solstizio d’inverno all’equinozio di primavera ci sono 91 giorni per Eudosso e per Democrito, 92 per Euctemone, 90 per Callippo.
2. Raccolta di dati sulle costellazioni 185.3. T. Vitruvio, De architectura IX 5, 4 (= 68 B 14.1; 424.1 Lu.): Ho esposto quali siano la figura e la conformazione dei simulacri degli astri 1268 nel mondo, e come risultino da un disegno della natura e della mente divina – secondo la dottrina del naturalista Democrito 1269 –, limitandomi tuttavia a quelli di cui possiamo constatare e cogliere con gli occhi la levata e il tramonto.
3. Raccolta di effimeridi astronomiche 185.4. T. Vitruvio, De architectura IX 6, 3 (= 68 B 14.1; 424.1 Lu.): [Dopo aver dichiarato conclusa la sua presentazione delle costellazioni celesti, per la quale cfr. 185.3, Vitruvio, in 6, 2, parlando della parte dell’astronomia (astrologia) che se ne occupa, dichiara di lasciare alla speculazione dei Caldei lo studio degli effetti che esse, insieme ai pianeti, al sole e alla luna, hanno sulla vita umana.] Riguardo alle cose naturali Talete di Mileto, Anassagora di Clazomene, Pitagora di Samo, Senofane di Colofone, Democrito di Abdera hanno escogitato e ci hanno lasciato resoconti circa i fattori dai quali e` governata la natura e il modo in cui si producono i loro effetti. Di seguito alle scoperte di costoro, osservando 1270 la levata e il tramonto delle stelle e i segni delle stagioni, Eudosso, Euctemone, Callippo, Metone, Filippo, Ipparco, Arato e altri ancora, introdussero la disciplina dei ‘parapegmata’ a partire dall’astronomia e lasciarono ai posteri i resoconti di quei {fenomeni}. Le loro conoscenze scientifiche sono degne di ammirazione da parte degli uomini, giacche´ la loro accuratezza fu tale che essi sem-
1267 L’opera era una volta attribuita erroneamente ad Eudosso, e compare sotto il suo nome nell’edizione di Diels e Kranz (sulla base dell’edizione di Blass). I passi sono riportati da F. LASSERRE, Die Fragmente des Eudoxus von Knidos, Berlin 1966, rispettivamente come F 214b, F 173a, F 214c, F 236b. 1268 Cioe ` delle costellazioni nella loro figura apparente, cfr. IX 4, 2; 4, 3; 4, 6; 5, 1. 1269 Non e ` chiaro se il richiamo a Democrito concerna solo questi principi generali o anche le informazioni dettagliate esposte in precedenza, ma in un caso come nell’altro si tratta di una testimonianza di valore assai dubbio perche´ egli fa ricorso ad un’opera non autentica (cfr. 0.6.4) e adotta dichiaratamente una prospettiva finalistica estranea a quel pensatore. 1270 Il testo latino e ` lacunoso, e va integrato (congetturalmente, seguendo il suggerimento di C. FENSTERBUSCH in De architectura libri decem, Darmstadt 1964) con un observantes.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.A)
brano dotati di una intelligenza divina che fa loro pronunciare in anticipo i segni 1271 delle condizioni del tempo che si verificheranno in seguito.
185.5. T. Scolio ad Apollonio Rodio II, vv. 1098-99 (= 68 B 14.5; 424.5 Lu.): [Ai versi: ‘‘Zeus fece spirare l’impetuoso vento di Borea | segnando con la pioggia l’umido corso di Arturo.’’] Disse questo dal momento che al sorgere di Arturo cadono piogge impetuose, come dice Democrito nella sua Astronomia e Arato.1272
185.6. T. Calendarium Clodii Tusci, cap. 70 del Lydi de ostentis, 157.18-158.1 (= 68 B 14.6; 424.6 Lu.): [A conclusione del calendario di Clodio, cioe` di una raccolta di effimeridi che associa fenomeni meteorologici e celesti alle date del calendario annuale.] E questo lo dice Clodio traendolo parola per parola dagli scritti sacri degli Etruschi, e non lui soltanto, ma anche Eudosso per lo piu`, Democrito come primo fra questi, il romano Varrone, Ipparco, Metrodoro, e dopo di essi Cesare, riguardo alla levata e al tramonto giornalieri delle cose che si manifestano (nel cielo).
185.7. T. Tolomeo, Inerrantium stellarum apparitiones et significationum collectio: epilegomena, 275.1-2, 5-6, 13-15, 19-20 e 276.1 (= 68 B 14.7; 424.7 Lu.): [A conclusione della sua raccolta di effimeridi, per la quale cfr. piu` sotto, 186.2.] E di queste {posizioni ecc. delle stelle} ho riportato i segni premonitori e li ho ordinati secondo gli Egizi e Dositeo ... Eudosso, Cesare, Ipparco e Democrito. Di questi, gli Egizi fecero osservazioni dalle nostre parti ... Democrito in Macedonia e in Tracia. Pertanto i segni premonitori degli Egizi si adattano meglio ai paesi che sono intorno a questo parallelo ..., quelle di Democrito, di Cesare e di Ipparco alle regioni di quel parallelo dove la giornata piu` lunga e` di 15 ore equinoziali.
4. Attestazioni circa tali effimeridi 186.1. T. Gemino, Isagoge: Calendarium 210.8-11, 218.14-17, 220.5-6, 222.911, 224.22-23, 226.4-5, 226.15-16, 226.23-24, 228.23-24, 232.16, 232.21-22 (= 68 B 14.3; 424.3 Lu.): {Parapegma.} Tempi che il sole impiega a percorrere ciascun segno zodiacale, e, per ciascun segno, i presagi che sono stati lasciati per iscritto. Cominciamo dal solstizio d’estate. [Sono passati in rassegna i contributi di astronomi, ecc., non includenti Democrito, relativi ai periodi definiti dai segni zodiacali di Cancro, Leone, Vergine e Bilancia.] 1271 Significatus rende il greco ejpishmasiva, per indicare gli indizi usati per prevedere il tempo, cfr. 185.7: ‘‘segni premonitori’’; in senso proprio sono le condizioni del tempo futuro e non questi segni ad essere ‘pre-annunciati’. 1272 Cfr. Phaenomena, v. 744.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.A)
{Scorpione.} Il sole percorre lo Scorpione in 30 giorni. Nel quarto giorno per Democrito le Pleiadi tramontano all’alba; sono soliti, il piu` delle volte, spirare venti invernali ed e` gia` freddo e c’`e brina; gli alberi cominciano a perdere abbondantemente le loro foglie. [29 ottobre] Nel tredicesimo giorno per Democrito sorge la Lira col levar del sole; l’aria per lo piu` diventa invernale 1273. [7 novembre] {Sagittario.} Il sole percorre il Sagittario in 29 giorni. Nel sedicesimo giorno per Democrito sorge l’Aquila col sole; e suole presagire, il piu` delle volte, il tuono e la folgore e la pioggia o il vento (o entrambi). [10 dicembre] {Capricorno.} Il sole percorre il Capricorno in 29 giorni. Nel dodicesimo giorno per Democrito spira, il piu` delle volte, il Noto.1274 [4 gennaio] {Acquario.} Il sole percorre l’Acquario in 30 giorni. Nel terzo giorno per Euctemone ci sono piogge, per Democrito giorno infesto,1275 c’e` tempesta. [24 gennaio] Nel sedicesimo giorno per Democrito comincia a spirare lo Zefiro e si mantiene; sono 43 giorni dopo il solstizio {d’inverno}. [6 febbraio] {Pesci.} Il sole percorre i Pesci in 30 giorni. Nel quarto giorno per Democrito si hanno giornate variabili che sono dette alcioniche. [24 febbraio] Nel giorno quattordicesimo per Democrito soffiano venti freddi, denominati i venti degli uccelli,1276 circa per nove giorni. [6 marzo] {Ariete.} Il sole percorre l’Ariete in 31 giorni. Nel tredicesimo giorno per Eudosso le Pleiadi tramontano sul cominciar della notte ... per Democrito le Pleiadi si nascondono insieme al tramontare del sole e restano invisibili per quaranta notti. [4 aprile] [Nessun contributo di Democrito registrato a proposito del periodo definito dal Toro.] {Gemelli.} Il sole percorre i Gemelli in 32 giorni. Nel decimo giorno per Democrito si ha pioggia. [3 giugno] Nel ventinovesimo giorno per Democrito Orione comincia a levarsi, e suole offrire presagi. [22 giugno]
186.2. T. Tolomeo, Inerrantium stellarum apparitiones et significationum collectio: Calendarium, 213.19, 215.17, 217.12, 220.13, 223.14, 227.5, 229.9, 230.11, 233.8, 233.14, 234.20, 237.17, 238.7, 240.12-13, 241.5, 243.5-6, 245.1-2, 246.16, 247.18, 252.2, 258.9, 259.8, 262.19, 263.15, 263.17, 267.4, 268.21, 271.22 1277 (= 68 B 14.7; 424.7 Lu.): Thot 17 [14 settembre]. ... Per Democrito di Abdera {`e giorno che} offre presagi e {in cui} scompare la rondine.
1273 Presumibilmente fredda, come intende anche G. AUJAC (in Geminos, Introduction aux phe ´nomenes, Paris 1975), piuttosto che ‘‘tempestosa’’, come intende Alfieri. 1274 Cioe ` il vento del sud. 1275 a[logco" (= dies nefastus), emendamento del Diels a testo corrotto. 1276 Sono venti etesii che coincidono col ritorno delle rondini. 1277 Come si puo ` notare, viene adottato il calendario egizio, ed alcune attestazioni presentano delle coincidenze con quelle presso Gemino (sotto 186.1).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.A)
Thot 29 [26 settembre]. Per Euctemone {e` giorno che} offre presagi, per Democrito c’e` forte pioggia e variabilita` dei venti. Phaopi 8 [5 ottobre]. Per Democrito c’e` tempo tempestoso ed e` il momento della semina. Athyr 2 [29 ottobre]. Per Democrito freddo o brina, per Ipparco Noto frequente. Athyr 17 [13 novembre]. Per Democrito tempesta sia per terra che per mare. Choiak 1 [27 novembre]. Per Democrito il cielo e il mare sono turbati il piu` delle volte. Choiak 9 [5 dicembre]. Per gli Egizi, per Dositeo e per Democrito tempesta. Choiak 14 [10 dicembre]. Per Democrito tuoni, folgori, pioggia e vento. Tybi 1 [27 dicembre]. Per Democrito grande tempesta. Tybi 3 [29 dicembre]. Per Euctemone, per Filippo e per Democrito {il giorno} offre presagi. Tybi 9 [4 gennaio]. Per Democrito c’e` il Noto il piu` delle volte. Tybi 25 [20 gennaio]. Per Euctemone e per Democrito piove. Tybi 29 [24 gennaio]. Per Democrito grande tempesta. Mechir 12 [6 febbraio]. Per Democrito comincia a spirare lo Zefiro. Mechir 14 [8 febbraio]. Per Ipparco, per Callippo, per Democrito spira lo Zefiro. Mechir 30 [24 febbraio]. Per Democrito giornate variabili che sono dette alcioniche. Phamenoth 11 [7 marzo]. Per Democrito venti freddi: i venti degli uccelli, per giorni nove. Phamenoth 22 [18 marzo]. Per gli Egizi e per Democrito {il giorno} offre presagi, c’e` vento freddo. Pharmuthi 1 [27 marzo]. Per Euctemone e per Democrito {il giorno} offre presagi. Pharmuthi 29 [24 aprile]. Per Democrito {il giorno} offre presagi. [Nessuna attestazione per il mese chiamato Pachon.] Payni 3 [28 maggio]. Per gli Egizi e per Democrito tempo piovoso. Payni 9 [3 giugno]. Per Democrito si verifica pioggia. Payni 28 [22 giugno]. Per Democrito {il giorno} offre presagi. Epiphi 3 [27 giugno]. Per gli Egizi e per Democrito spira lo Zefiro. Epiphi 4 [28 giugno]. Per Democrito Zefiro e pioggia all’alba, poi venti settentrionali preannunciatori per sette giorni. Epiphi 22 [16 luglio]. Per Democrito pioggia, turbini. Mesori 2 [26 luglio]. Per Metrodoro, Conone, Democrito, Ipparco il Noto e calura. Mesori 26 [19 agosto]. Per Democrito {il giorno} offre presagi con piogge e venti.
186.3. T. Giovanni Lorenzo Lidio, De mensibus iv 16 [78.14-16], 18 (1) e (4), [79.4-6 e 79.15-17], 51 [109.3-4], 124 [159.12, 16-18], 135 [162.1-7], 139 [163.10-12], 152 [169.3-4] (salvo 135 = 68 B 14.8; 424.8 Lu.): [gennaio, 15] Al {giorno} 18 prima delle Calende di febbraio Varrone afferma che si genera una lotta dei venti, Democrito che si genera il {vento} piovoso accompagnato da rovesci di pioggia. [gennaio, 18] Al {giorno} 15 prima delle Calende di febbraio Democrito dice che il Delfino tramonta e che si ha per lo piu` un cambiamento di tempo. [gennaio, 23] Al {giorno} 10 prima delle Calende di febbraio Democrito dice che spira il vento piovoso. [marzo, 17] Democrito dice che nel giorno dei Baccanali tramontano i Pesci, Varrone ... [settembre, 2] Al {giorno} 4 prima delle None di settembre ... Democrito dice che in questo giorno avviene un’inversione dei venti e una prevalenza di umidita`.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.A)
[ottobre, 1] Alle Calende di Ottobre i sacerdoti decretavano al popolo di non tenere presenti i sogni per via delle immagini {ingannevoli} provenienti dall’umido gonfiarsi dei frutti nell’autunno. A partire invece dalla crescita di luce di gennaio conviene massimamente {tenerli presenti} secondo il parere di Erofilo, il quale riteneva che i sogni siano inviati dal dio, mentre Democrito {riteneva che essi si verificano} per le apparizioni degli ‘idoli’.1278 [ottobre, 6] Al {giorno} 1 prima delle None di ottobre Democrito {dice} che sorgono i Capretti e che il Borea spira con forza intensificata, Eudosso ... [novembre, 25] Al {giorno} 7 prima delle Calende di dicembre Democrito dice che il sole viene a trovarsi nel sagittario.
186.4. T. Plinio, Naturalis historia XVIII (62) 231 (= 68 B 14.4; 424.4 Lu.; 5 W.): [Il tema di questa parte del libro, a partire da 201, e` il calendario dei lavori agricoli, unito ad una rassegna dei segni astronomici.] Democrito ritiene che il tempo d’inverno sar`a come quello del solstizio invernale e i tre giorni vicini; lo stesso vale per il solstizio {estivo} e per l’estate. Intorno al solstizio d’inverno, il piu` delle volte 1279 i quattordici giorni della riproduzione delle alcioni con la caduta dei venti portano tempo sereno.
186.5. T. Plinio, Naturalis historia XVIII (74) 312 (= 68 B 14.4; 424.4 Lu.): Inoltre, caso raro, Filippo, Callippo, Dositeo, Parmenisco, Conone, Critone, Democrito, Eudosso sono d’accordo sul fatto che il 4o giorno prima delle calende di ottobre [28 settembre] la Capra sorge al mattino, ed il 3o giorno prima delle calende [29 settembre] sorgono i Capretti.
5. Un’attestazione di Democrito su Talete astronomo 186.6. T. Diogene Laerzio I 22 e 23 (= 11 A 1 [68 B 115a]; 156 Lu.): (Cap. 1. Talete) Quanto a Talete, suo padre, come affermano Erodoto e Duride e Democrito, era Essamias, sua madre Cleombuline, della famiglia dei Telidi, che sono Fenici e i piu` nobili discendenti di Cadmo ed Agenore. ... (23) Nell’opinione di alcuni egli fu il primo a fare astronomia e a predire le eclissi solari e i solstizi, come dichiara Eudemo nella sua Storia dell’astronomia; donde mostrano di ammirarlo anche Senofane ed Erodoto; 1280 lo attestano a suo merito anche Eraclito e Democrito.
Il brano finale, riportante il nome ‘‘Democrito’’, non compare in uno dei MSS. Intendo plerisque come fa H. Rackham (Plinius, Natural History IV, London 1950, ad loc.); altri traduttori lo rendono con ‘‘secondo i piu` {degli autori}’’. 1280 Cfr. Storie I 74.2; non ci sono rimasti passi di Senofane e di Eraclito che contengano riferimenti all’astronomia di Talete. 1278 1279
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.B)
B. GEOGRAFIA 1. Generalit`a e conformazione della terra abitata 187.1. T. Strabone, Geographica I 1 [1-2.3] (om. DK e Lu.): Riteniamo che rientri nel campo degli studi del filosofo, se c’e` qualche {scienza} che ci rientra, anche quella geografica, che e` l’oggetto dell’investigazione che ora abbiamo intrapreso; e che non giudichiamo malamente e` chiaro da molti dati. {In primo luogo}, coloro che per primi hanno avuto l’audacia di perseguirla erano di tal fatta: Omero e Anassimandro il Milesio ed Ecateo, suo concittadino, come dice anche Eratostene; inoltre Democrito, Eudosso, Dicearco ed Eforo e diversi altri; ancora, quelli dopo di essi, cioe` Eratostene e Polibio e Posidonio, tutti dei filosofi.
187.1.1. T. Eustazio, Commentarii (Epistula de commentariis in Dionysium Periegeten), GGM II, 208.14-17 (om. DK e Lu.): Si racconta che questa impresa [scil. quella geografica] fu iniziata da Anassimandro, discepolo di Talete; Ecateo dopo di lui si getto` nella stessa impresa, dopo {di lui} Democrito, e, come quarto, Eudosso.
187.2. T. Agatemero, Geographiae informatio I 1, 2 [GGM II, 471.1-2, 6-15] (1-4 = 12 A 6; 6-15 = 68 B 15; 407 Lu.): Anassimandro di Mileto, discepolo di Talete, per primo oso` rappresentare la terra abitata su tavoletta. ... [Segue una menzione dei contributi di Ecateo e di Ellanico.] Successivamente Damaste di Sige redasse un Periplo riprendendo la maggior parte {delle informazioni} da Ecateo. Successivamente Democrito ed Eudosso e alcuni altri elaborarono dei Circuiti della terra 1281 e dei Peripli. (2) Gli antichi descrissero la terra abitata come rotonda, con la Grecia collocata al suo centro e al centro di questa Delfi, giacche´ {pensavano che la citta`} contiene l’ombelico della terra; per primo Democrito, uomo di molta esperienza, si rese conto che la terra e` oblunga ed e` una volta e mezzo piu` lunga che larga. Su questo punto fu d’accordo con lui il peripatetico Dicearco.
187.2.1. V. Scolio in Dionigi di Alessandria ‘periegeta’, GGM II, 428.7-11 (om. DK e Lu.): Chi sono coloro che, in precedenza,1282 hanno rappresentato la terra abitata su tavoletta? Il primo fu Anassimandro, il secondo Ecateo di Mileto, il terzo Democrito discepolo
1281 Puo ` trattarsi, come nel caso di Anassimandro, di semplici mappamondi tracciati su tavoletta, ma, come risulta da Aristotele, Retorica I 4, 1360a33 sgg. e Politica II 3, 1262a18 sgg., opere di questo tipo potevano anche contenere informazioni sui costumi dei popoli (in LSJ s.v. perivodo", aiJ th"= gh"= perivodoi e` reso con books of descriptive geography). 1282 Presumibilmente: prima di Dionigi (ma il brano immediatamente precedente e ` dedicato alla distinzione fra geografia e corografia).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.B)
di Talete,1283 il quarto Eudosso. Alcuni la descrissero come rotonda, Democrito come oblunga, Cratete come semicircolare ...
187.3. T. Eustazio, Commentarii ad Iliadem VII (H), v. 446 [II, 496.15-17] (= 68 A 94; 407 Lu.): [A commento del verso omerico che presenta la terra come sconfinata (ajpeivrwn).] Secondo Omero e` tutta la terra ad essere sconfinata, cioe` sferoidale e circolare. Quanto alla terra abitata lo stoico Posidonio e Dionigi {di Alessandria il periegeta} dicono che ha la figura simile a quella di una fionda, Democrito che essa e` oblunga, Ipparco che ha la figura trapezoide.
2. Altra informazione 187.4. T. Strabone, Geographica XV 1, 38 [703.19-21] (= 68 A 12; 408 Lu.): Nella zona montagnosa {dell’India} c’`e il fiume Sila, che niente puo` percorrere navigando; 1284 ma Democrito, essendosi aggirato per gran parte dell’Asia, non ci crede, come non ci crede Aristotele.1285
3. Le dispute geografiche 187.5. Strabone, Geographica I 4, 7 [65.17-19] (68 B 150, solo riferimento; in parte CVII Lu.): [Viene riportata un’opinione di Eratostene, per il quale non ha senso, nel suddividere la terra abitata in continenti e in loro parti, disputare su certe classificazioni di terre abitate, se sono isole o istmi o penisole.] Egli dice di non vedere in che modo questa indagine sia volta ai dati di fatto, ma {occuparsene} e` proprio piuttosto di coloro che si dilungano in una disputa 1286 alla maniera di Democrito.
1283 Evidente trasposizione: si applica ad Anassimandro (a meno che non si tratti di un errore per Leucippo). 1284 Oppure: su cui niente galleggia. 1285 Cio ` non risulta dalle opere che ci sono rimaste (il passo non e` incluso da V. ROSE in Aristotelis Fragmenta, Leipzig 1886). La fonte delle informazioni che Strabone offre sull’India deve essere Megastene (autore di un’opera su quel paese datata circa 300-290 a.C.), come suggeriscono i riferimenti a lui in quanto precede, ma questo non deve significare che questi sia anche la fonte di quanto dichiarato da Democrito e da Aristotele (di attendibilita` molto dubbia, dato che entrambi precedono Megastene, per cui non possono averlo contraddetto, e che non e` probabile che Democrito fosse giunto fino all’India). 1286 Oppure ‘‘che arbitrano una disputa’’ (e[rin diaitwvntwn)? Strabone usa diaitavw, ma senza quel sostantivo, in Geographica II 2, 1, dove il contesto e` simile, perche´ si discute di teorie riguardanti la suddivisione della terra. Natorp e Luria (seguiti da S. RADT, Strabons Geographika, Bd. I, Go¨ttingen 2002) adottano una correzione del testo (in ejridantevwn) proposta da Cobet e accostano il passo alle testimonianze 164.6 e 164.6.1, trascurando tuttavia il secondo passo di Strabone (dove anche Radt conserva il testo dei MSS, contro Cobet).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
187.6. Strabone, Geographica I 4, 7 [65.29-32] (om. DK e Lu.): [Ritorna alla questione della divisione dei continenti in particolare.] Coloro che per primi li hanno divisi per tre – per cominciare dalla fine, dilungandomi nella disputa non alla maniera di Democrito ma alla maniera sua [scil. di Eratostene] –, questi primi erano coloro che cercavano di distinguere il loro paese da quello di faccia, la Caria? [Nel seguito Strabone, in polemica con Eratostene, suggerisce che la divisione dei continenti e` il risultato di una crescita delle conoscenze empiriche.]
C. LE
ARTI
1. Contributi alla medicina 188.1. T. Celso, De medicina I, proemio, 7-8 (= 68 B 300.10; 1287 801 Lu.): [Come parte di una breve storia della medicina, e dopo aver rilevato che, in uno stadio iniziale, l’arte medica veniva trattata come una parte della sapientia, cio`e della filosofia.] Abbiamo acquisito che molti fra coloro che professarono la sapienza erano esperti di essa [scil. della medicina]: i piu` illustri invero fra di essi furono Pitagora, Empedocle e Democrito. (8) Discepolo di questi poi, come alcuni credettero, Ippocrate di Cos, fu in effetti il primo, fra tutti coloro che sono degni di ricordanza, che dalla ricerca della sapienza 1288 separo` questa disciplina.
188.2. T. Celio Aureliano, Celerum passionum libri tres, III, cap. 15, 120 (om. DK salvo riferimento sotto 300.10, p. 216.7-8; om. Lu.) [Nel cap. 15 viene discussa la questione se l’idrofobia e` una malattia comparsa di recente oppure antica. Estesa ad altre malattie come l’elefantiasi questa costituisce anche la quaestio 8 del libro VIII delle Quaestiones convivales di Plutarco.] Ma coloro che sostengono la posizione contraria alla loro [scil. contraria a quella di coloro che affermano che e` una malattia nuova] dicono che non e` vero che nessuno degli antichi aveva menzionato questa malattia. In effetti Democrito, che fu il contemporaneo di Ippocrate, non soltanto ha menzionato l’esistenza di questa malattia ma ci ha anche trasmesso la sua causa, quando si e` trovato a scrivere di coloro che sono affetti da opisthotonus.1289 [Segue il suggerimento di un riconoscimento non esplicito della stessa malattia da parte di Ippocrate in Prorrheticus I 16.]
1287 Diels (in DK) tratta la testimonianza come non attendibile perche ´ riferentesi all’attivita` di Bolo, ma senza una ragione ben precisa per tale riferimento. 1288 Studium sapientiae e ` l’espressione usata da Cicerone e da altri per indicare la filosofia. ` un’affezione che viene presentata come una variante del tetano, per 1289 In greco ojpisqovtono". E il fatto che il corpo si contrae involontariamente all’indietro, in Ippocrate, Malattie III 13 (L. 132133) e Affezioni interne 53, inoltre dallo stesso Celio in Celerum passionum liber III, cap. 6, 65 (notare che le due affezioni sono accostate anche da Platone, Timeo, 84E).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
188.3. T. Celio Aureliano, Celerum passionum libri tres, III, cap. 14, 112 (idem): Prossima alla questione sopra discussa 1290 e` quale parte del corpo sia affetta negli idrofobici. E di certo Democrito dichiara, quando ha parlato di coloro che sono affetti da emprosthotonus,1291 che sono i nervi, inferendo questo dalla contrazione del corpo e dalla tensione dell’organo genitale. [Nel seguito vengono menzionate le posizioni dei seguaci di Asclepiade.]
188.4. T. Celio Aureliano, Celerum passionum libri tres, III, cap. 16, 132-133 (idem): [Titolo del cap.: ‘‘quomodo curandi sunt hydrophobae’’.] Dei medici antichi nessuno ci ha tramandato una cura per questa malattia [scil. dell’idrofobia]. ... Democrito invero prescrive di dare un decotto di origano e di arrotondare lo stesso recipiente da cui bere in forma di sfera. (133) Tuttavia questo genere di decotto e` particolarmente aspro e irritante e bruciante per lo stomaco. Si vede che in questa prescrizione egli si trova anche in conflitto con se stesso, giacch´e egli dice che l’idrofobia e` un’infiammazione dei nervi.
188.5. T. Oribasio, Collectiones medicae XLIV 14, 1 (om. DK salvo riferimento sotto 300.10; om. Lu.): [Passo tratto da Rufo.] Un tipo di bubbone e` quello che, per cause accidentali, si eleva in modo manifesto sul collo, sulle ascelle e sulle cosce, senza o con febbre [...]. Riguardo a questo Democrito dice che, se si mette intorno del piombo con frutto di palma, diventa del tutto senza infiammazione oppure decresce notevolmente.
188.6. Aulo Gellio, Noctes atticae IV (= 68 B 300.7; om. Lu.): 13. Che certe melodie dei flauti, attuate in una certa maniera, possono curare i malati di sciatica. E` stato creduto da molti ed e` stato tramandato per iscritto che, quando il nervo sciatico duole nel modo piu` acuto, se un flautista suona un’aria dolce i dolori diminuiscono; (2) cosı` ho recentemente trovato scritto in un libro di Teofrasto.1292 (3) Riporta che il suono del flauto, quando sia modulato in modo accorto, serve da medicina ai morsi delle vipere anche un libro di Democrito, che si intitola ***,1293 dove egli spiega che per molti
Nel cap. 13, cioe` se l’idrofobia e` una malattia dell’anima o del corpo. In greco ejmprosqovtono". Questa affezione non viene menzionata da Ippocrate e da Platone, ma viene presentata anch’essa come una variante del tetano, per il fatto che il collo si contrae involontariamente in avanti, da Celio in Celerum passionum liber III, cap. 6, 65, il quale dichiara di attenersi (come per l’opisthotonos) alla terminologia medica greca. 1292 I primi due §§ di questo cap. sono inclusi, come T 726C, in FHSG. Il riferimento presumibilmente e` allo scritto De enthusiasmo, cfr. fr. 87 e 88 Wimmer (= T 726B e 726A nella raccolta FHSG). 1293 Il titolo e ` caduto, sono state proposte varie integrazioni, come Peri; loimw=n (Hertz). 1290 1291
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
uomini malati le melodie del flauto 1294 hanno servito da medicina. (4) Tanto stretta e` l’affinit`a fra i corpi e gli animi degli uomini e pertanto {altrettanto stretta e` quella} fra i mali oppure fra i rimedi dei corpi e degli animi.
188.7. F. Stobeo, Florilegium III 6, 27 (= 68 B 212; 801b Lu.; 128 N.): ‘‘I sonni durante il giorno sono segno di disturbo al corpo oppure di irrequietezza dell’anima oppure di pigrizia oppure di mancanza di educazione’’.
188.8. T. Erotiano, Vocum Hippocraticarum collectio, s.v. fledonwvdea (F 3, 90.18-20) (= 68 B 120; 805 Lu.): [Di commento al termine fledonwvdea (= loquacita`) che viene usato da Ippocrate nel Prorrheticus, libro I, § 101 (= V, p. 540.3 L.), come parte della descrizione dei sintomi di una malattia; il commento peraltro si riferisce alla lezione alternativa flebonwvdea presa in considerazione da Erotiano.] Egli [scil. Ippocrate] denomino` vene (flevba") quelle che solitamente non sono chiamate {a questo modo} ma le arterie; e Democrito chiama flebopalivh [= pulsazione delle vene] il movimento delle arterie.
188.9. T. Sorano, Gynaecia III 17 (= 68 A 159; 567a Lu.): [Inizio del cap. 4 intitolato: ‘‘Sull’infiammazione dell’utero’’.] L’infiammazione (flegmonhv) e` denominata {a questo modo} dall’ ‘‘infiammare’’ (flevgein) e non, come ha detto Democrito, dall’avere come causa il flemma.
188.10. T. Crateuas, fr. 8 (= 68 B 300.4a; om. Lu.): Le anagallidi,1295 di entrambe {le specie}, curano le ferite e le infiammazioni [...]. Alcuni dicono che quelle che hanno il fiore blu [...] fermano il prolasso dell’ano, mentre quelle che hanno {il fiore} rosso applicate come cataplasma sono eccitanti. Fanno uso di questa anche in relazione ai poteri democritei.
2. Contributi all’agricoltura a) Testimonianze generali 189.1. T. Varrone, De re rustica I 1, 7-8 (= 68 B 26f [47 B8], 806a Lu.; fr. 2 W.): [Dopo un’introduzione all’opera.] Quanto a coloro che, in greco, hanno scritto qua e la` chi di questo e chi di quell’argomento {concernente l’agricoltura} sono piu` di cinquanta. (8) Coloro dai quali potrai ot1294 Il latino tibia sicuramente rende il greco aujlov", che solo piuttosto impropriamente puo ` essere reso con ‘‘flauto’’, ma che comunque e` uno strumento a fiato. ` una pianta delle primulacee. Si puo` sospettare che ‘‘i poteri democritei’’ menzionati nel 1295 E seguito siano di tipo magico e dunque concernano il Democrito dedito alla magia, donde la collocazione della testimonianza fra quelle non autentiche da parte del Diels in DK.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
tenere un consiglio quando vorrai chiederglielo sono Ierone di Sicilia e Attalo Filometore; fra i filosofi c’`e Democrito il fisico, Senofonte socratico, i Peripatetici Aristotele e Teofrasto, il Pitagoreo Archita ...
189.2. T. Columella, De re rustica I, pref. 32 (= 68 B 26f, 806a Lu.): [Il fatto di non poter pervenire nell’arte dell’agricoltura alle vette raggiunte nel passato da alcuni che hanno contribuito ad essa non deve scoraggiarci dal rivolgerci ad essa.] Aggiungi che colui che vogliamo che sia esperto in agricoltura, per quanto poco versato egli sia nell’arte e non abbia seguito la sagacia di Democrito o di Pitagora circa la natura universale delle cose, la capacit`a di previsione di Metone o di Eudosso riguardo al movimento delle stelle e dei venti, [...] avra` tuttavia fatto un grande progresso se riuscira` ad eguagliare nella pratica i nostri Tremeli e Saserna e Stoloni.
189.3. T. Columella, De re rustica I 1, 7 (solo riferimento in 47 B 8 1296 e in 806a Lu.): [Per quanto ci sia stata un’evoluzione nelle pratiche dell’agricoltura, non si deve trascurare il contributo di coloro che, in passato, si sono occupati di essa.] C’e` inoltre una grande turba di Greci che hanno fornito ammaestramenti in agricoltura, dei quali l’iniziatore e` il vate celeberrimo Esiodo di Beozia, che diede un contributo non piccolo alla nostra arte; ad essa successivamente diedero un grande aiuto, {attingendo} alle fonti dell’orto della sapienza, Democrito di Abdera, Senofonte il Socratico, Archita di Taranto e i due Peripatetici, maestro e allievo, Aristotele e Teofrasto.
189.4. T. Isidoro, Etymologiae XVII 1, 1 (om. DK.; = 806a Lu.): (1. Degli autori {di opere} di agricoltura) L’abilita` nello scrivere di agricoltura fu unita agli studi umani per primo da Esiodo della Beozia, successivamente da Democrito. [Nel seguito menziona il cartaginese Magone e il romano Catone, poi altri ancora, incluso Columella.]
b) Testimonianze (di attendibilita` incerta) su contributi specifici 189.5. Columella, De re rustica XI 3, 2 (= 68 B 28; 809 Lu.; fr. 3 W.): Democrito nel libro che ha denominato Georgico ritiene che agiscano in modo poco prudente coloro che circondano gli orti di protezioni, dato che un muro fatto di mattoni, per via delle frequenti ingiurie delle piogge e dei temporali, non puo` durare a lungo, e, a costruirlo di pietra, richiederebbe una spesa superiore al valore della cosa; invero, se uno volesse recintare un’ampia distesa di terreno, gli ci vuole un intero patrimonio.
1296 Perche ´ ritenuto dipendere da Varrone, De re rustica I 1, 8 (= 189.1). Potrebbero pero` dipendere entrambi da una fonte comune.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
189.6. Columella, De re rustica III 12, 5 (= 68 B 27; 807 Lu.; insieme al seguente = fr. 29 W.): Quanto alla regione del cielo verso la quale debbono essere orientate le vigne, la disputa e` antica ... Democrito e Magone lodano {l’orientamento verso} la regione settentrionale del cielo, perche´ ritengono che le vigne esposte ad essa sono particolarmente fruttifere, anche se sono inferiori {ad altre} per la qualita` del vino.
189.6.1. Plinio, Naturalis historia XVII (2) 23 (trad. Cotrozzi) (riferimento in 68 B 300.8; om. Lu.): [Sulla coltivazione degli alberi, dopo l’esposizione di una pratica attribuita ad innominati quidam.] Gli altri, piu` o meno attenendosi a un regola di natura, consigliano di disporre viti e alberi contro l’aquilone. Democrito ritiene che cosı`, inoltre, vengono frutti piu` odorosi.
c) Testimonianze (non attendibili) su contributi specifici 1297 189.7. Columella, De re rustica IX 14, 6 (= 68 B 27a; 808 Lu.; fr. 80 W.): [Sulle pratiche che concernono le api e sui periodi dell’anno in cui metterle in atto. Il riferimento e` al periodo dopo il solstizio, fino al sorgere della canicola.] In questo stesso periodo le api possono essere generate dal cadavere di un bue, come ci hanno tramandato Democrito e Magone, oltre che Virgilio.1298
189.8. Columella, De re rustica XI 3, 64 (= 68 B 300.3; om. Lu.): [Parla degli effetti che i bruchi hanno sulle piante.] Democrito in quel libro, che in greco e` intitolato Peri; ajntipaqw=n,1299 afferma che queste stesse bestiole sono uccise se una donna, che e` nella condizione di mestruazione, cammina per tre volte intorno a ciascuna aia avendo i capelli sciolti e il piede nudo: dopo di questo tutti i vermicelli cadono a terra e cosı` muoiono.1300
Nel caso dei passi di Plinio si tratta di una scelta, cfr. Introduzione. Il riferimento e` a Georgiche IV, vv. 281 sgg., dove viene esposto in dettaglio come vada ucciso un vitello per renderlo atto a produrre le api (ovviamente mediante una forma di generazione spontanea). Che si tratti di una pratica magica diffusasi in ogni caso in un tempo successivo a Democrito viene evidenziato da Wellmann, Georgika, pp. 24-25. (Un testo affine, Geoponica XV 2, 21, dove la stessa pratica, descritta in dettaglio e con qualche variazione rispetto a Virgilio, viene fatta risalire a Democrito, si trova da lui riportato nella sua raccolta di testi come fr. 81 a pp. 57-58.) 1299 L’opera citata da Columella, e dalla quale deve avere tratto gran parte delle informazioni da lui fatte risalire a Democrito, va quasi certamente attribuita a Bolo, cfr. Suda, s.v. Bwlo" (= 0.8.23) e = scolio a Nicandro (= 0.8.25) (va osservato che il titolo in greco si ottiene con una correzione di lezioni poco intelligibili dei MSS). 1300 Questa stessa indicazione, anche se in forma un po’ variata, e senza richiamo a Democrito, compare in Geoponica XII 8, 5 (coincidenza segnalata da Oder, Beitra¨ge, p. 70). 1297 1298
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
189.9. Columella, De re rustica VI 28 (om. DK; = 531a [= 812] Lu.; fr. 74 W.): [Il libro e` sulla cura degli animali domestici; nei capitoli fra i quali rientra il presente l’autore si occupa dei cavalli e della loro riproduzione.] Che questa [scil. la prole dei cavalli] sia concepita come femmina o come maschio dipendera` dal nostro arbitrio, afferma Democrito, il quale prescrive che, quando si voglia far generare un maschio, si leghi ad uno stallone, con un filo di lino o di qualsiasi altro materiale, il testicolo sinistro, quando una femmina, quello destro. Ritiene che si debba operare allo stesso modo con quasi ogni genere di bestiame.
189.9.1. Aristotele, De generatione animalium IV 1, 765a3-11, 765a21-25: Lo stesso discorso {da noi fatto} contro Empedocle e contro Democrito 1301 {puo` essere fatto} contro coloro che sostengono che il maschio proviene dalla parte destra e la femmina dalla parte sinistra.1302 Se infatti il maschio non contribuisce con alcuna materia, coloro che parlano a questo modo non dicono nulla; e anche ammesso che contribuisca, come dicono, si deve obbiettare ad essi come si era obbiettato al discorso di Empedocle che definisce la femmina rispetto al maschio mediante il calore e la freddezza dell’utero. [...] In modo simile vi sono alcuni che sono persuasi di queste tesi e che sostengono che, a quelli {animali maschi} ai quali si lega il testicolo destro o quello sinistro, accade, nel copulare, di generare dei maschi o delle femmine; e questo in effetti lo diceva anche Leofane.1303
189.10. Columella, De re rustica XI 3, 61 (= 68 B 300.3; = 810 Lu.; insieme al seguente = fr. 19 W.): Alcuni antichi autori come Democrito prescrivono di medicare tutte le sementi col succo di un’erba che viene chiamata sedum 1304 e ad usare lo stesso rimedio contro gli animaletti nocivi. Che cio` sia vero ce lo insegna l’esperienza.
189.10.1. Plinio, Naturalis historia XVIII (45) 159 (riferimento in 68 B 300.8; om. Lu.) (trad. Consolino): [Sui rimedi alle malattie delle piante.] Democrito ordina di trattare tutti i semi, prima di seminarli, con il succo d’erba che nasce sulle tegole ed e` chiamata aizoum,1305 e da altri aesum, mentre in latino la chiamano sedum o ditino.1306
Per la parte di esposizione e di critica della posizione di Democrito cfr. 94.1. Una posizione di questo tipo era stata attribuita in precedenza ad Anassagora insieme ad ‘altri naturalisti’ (cfr. 763b31 sgg., cioe` parte omessa in 94.1). 1303 Questo Leofane, del quale altrimenti non si sa nulla, viene menzionato anche da Teofrasto in De causis plantarum II 4, 12, e deve essersi occupato di agricoltura. ` una pianta grassa della quale un tipo e` il Sempervivum arboreum e un altro e` il Semper1304 E vivum tectorum (cfr. J. ANDRE´, Les noms de plantes dans la Rome antique, Paris 1985, p. 233, inoltre cfr. p. 235 sui tipi di Sempervivum [forse calco del greco ajeivzwon]). 1305 Il termine e ` una trascrizione in latino del greco ajeivzwon (= ‘‘semprevivo’’, cioe` sempreverde). 1306 Detto cosı` per la forma delle foglie; si tratta del Sempervivum arboreum (cfr. Andre ´ , op. cit., p. 89). 1301 1302
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
189.11. Columella, De re rustica VIII 8, 7 (om. DK; = 811 Lu. = fr. 68 W.): [Sulla cura degli animali che sono allevati in fattoria, con riferimento a certe specie di uccelli. Si tratta di evitare, rendendo attraente l’ambiente, che essi abbandonino le loro sedi.] Affinche´ cio` non avvenga, c’e` un vecchio precetto di Democrito. C’e` un tipo di falco che i campagnoli chiamano tinnunculus (= gheppio) e che per lo piu` fa il suo nido negli edifici. I pulcini di questo uccello sono richiusi separatamente in pentole di terracotta e, quando ancora respirano, {alle pentole} vengono sovrapposti dei coperchi, e vasi imbiancati col gesso 1307 vengono sospesi negli angoli delle colombaie; questa cosa produce negli uccelli un tale amore per il luogo da non abbandonarlo mai.
189.12. Plinio, Naturalis historia XIV (4) 20 (trad. Aragosti) (riferimento in 68 B 300.8; om. Lu.; = fr. 36 W.): [Sulla vite e sul vino.] Democrito, che dichiarava di conoscere tutte le specie greche, fu il solo a sostenere che si potessero contare le varieta` della vite; tutti gli altri ci hanno tramandato che sono innumerevoli ed infinite, affermazione che verra` ulteriormente confermata quando si parler`a dei vini.
189.13. Plinio, Naturalis historia XVII (11) 62 (trad. Cotrozzi) (riferimento in 68 B 300.8; om. Lu.; = 65 W.): [Sulla riproduzione di piante come l’alloro.] Tutte le specie di mirto si riproducono in Campania dalle bacche, a Roma per propagginazione. Democrito insegna a far riprodurre quello di Taranto anche in altro modo: si schiacciano le bacche piu` grosse, delicatamente, in modo da non spezzare i semi *** si spalma di questa poltiglia una corda e la si sotterra cosı`. Si otterra` una sorta di parete *** spessa, da cui non si potranno staccare i ramoscelli. Si seminano in questo modo anche i rovi per fare una siepe: si spalma una corda di giunco con le more dei rovi. In capo a tre anni, se ce ne sar`a bisogno, le pianticelle di alloro e di mirto saranno pronte per essere trapiantate con le loro zolle.
189.14. Plinio, Naturalis historia XV (40) 138 (trad. Aragosti) (riferimento in 68 B 300.8; om. Lu.; = 60 W.): [Sulla coltivazione dell’alloro.] Questo stesso albero e` impiegato nelle purificazioni e, sia detto incidentalmente, si puo` piantare anche usando un suo ramo, poiche´ Democrito e Teofrasto 1308 l’hanno messo in dubbio.
1307 Presumibilmente, come intende anche qualche traduttore, sono sempre gli stessi recipienti (le pentole) che vengono imbiancati col gesso. 1308 Il riferimento e ` probabilmente a Hist. Plant. II 1, 3 (come suggerisce Wellmann).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.C)
189.15. Plinio, Naturalis historia XVIII (8) 47 (trad. Consolino) (riferimento in 68 B 300.8; om. Lu.; = 20 W.): [Sull’eliminazione di arbusti e cespugli che ostacolano la crescita di altre piante.] Democrito ci ha insegnato come estirpare gli arbusti cospargendone le radici con del fiore di lupino fatto macerare per un giorno nella cicuta.
3. Sulla prospettiva (da Actinographia?) 190.1. T. Vitruvio VII, prooem. 11 (= 59 A 39; 139 Lu.): [Rassegna degli autori del passato che hanno scritto di architettura.] Per primo Agatarco di Atene, quando Eschilo si trovo` a far rappresentare una sua tragedia, costruı` una scena e lascio` un commento al riguardo. Istruiti da lui,1309 Democrito e Anassagora scrissero sulla stessa questione, {cioe`} in che modo convenga che, allo sguardo {dello spettatore} e all’estensione dei raggi,1310 una volta definito un punto determinato come centro, corrispondano le linee {del disegno} secondo una proporzione naturale, di modo che, a partire da qualcosa di indistinto,1311 delle immagini distinte possano dare alle pitture sulla scena l’aspetto di edifici, e che le figure tracciate su superfici piane e verticali sembrino ora rientrare ora sporgere.
190.1.1. Vitruvio I 2, 2: [L’articolazione dell’architettura in ordine, disposizione (dispositio, in greco diavqesi"), ed ‘economia’; dopo aver parlato dell’ordine, l’autore si occupa della disposizione.] Gli aspetti della disposizione, che in greco sono detti ideai, sono l’icnografia,1312 l’ortografia, e la scenografia [...]. L’ortografia e` l’immagine della fronte {dell’edificio} tracciata in verticale e la figura tracciata secondo regola in modo da preservare le proporzioni dell’opera futura. Allo stesso modo la scenografia e` l’adombramento 1313 della facciata e dei lati {dell’edificio} che si ritirano 1314 e la correlazione di tutte le linee verso il centro di un cerchio.
1309 O da esso (scil. dal suo commento)? Ma probabilmente il senso e ` : istruiti da lui tramite il suo commento. 1310 La extensio deve essere la diffusione o espansione o proiezione dei raggi emessi (a mo’ di cono) dall’occhio dello spettatore (c’e` dunque un rapporto stretto fra ‘sguardo’ ed ‘estensione’). 1311 Presumibilmente: di non-evidente (per incertus come resa del greco a[dhlo" cfr. Cicerone, Accademica priora [Lucullus] II (17) 54; peraltro gli usi in Vitruvio, III 5, 9, e VII 3, 9 non sono conformi); e` comunque probabile che ci sia una coincidenza fra questo ‘qualcosa di incerto’ e la punta oscura di un cono nell’illustrazione di Lucrezio (anche obscurus corrisponde all’aggettivo greco). 1312 Lat. ichnographia, cioe ` la pianta o il disegno sul piano orizzontale. 1313 Adumbratio non ha solo il senso di schizzo ma anche di ombreggiatura (cfr. H. BL U ¨ MNER, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Ku¨nste bei Griechen und Ro¨mern, IV, Leipzig 1887, p. 424, n. 3), e pare corrispondere in qualche misura al greco skiagraphia (fra questo e skenographia, lat. scaenographia, non sempre viene fatta una chiara distinzione, cfr. W. TRIMPI, «Traditio», 34, 1978). 1314 Abscendentia probabilmente suggerisce sia l’effetto di prospettiva sia la messa in rilievo che alla fine di 190.1 e` indicato dalla coppia abscendentia-prominentia.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.D)
190.1.2. Anonimo incluso in Heronis Alexandrini Geometricorum et Stereometricorum reliquiae, ed. Hultsch, p. 252, n. 14: 1315 (Che cos’e` la scenografia?) La parte dell’ottica detta scenografia ricerca come conviene disegnare le immagini degli edifici. Dal momento infatti che gli enti non appaiono tali quali essi sono {essa ricerca} non come rappresentare le proporzioni reali, ma come renderle tali quali appariranno. Il fine per l’architetto e` di rendere la sua opera armoniosa riguardo all’apparenza e di trovare, nella misura del possibile, delle difese contro gli inganni della vista, mirando non all’uguaglianza o all’armonia reale ma a quelle relative alla vista.
190.1.3. Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 426-431: Un portico, sebbene sia dal tracciato uniforme al suo limite | e si regga sorretto da colonne uguali senza interruzione, | se si vede da un estremo in tutta la sua lunghezza, | a poco a poco si stringe nella sommita` di un cono sottile, | congiungendo il tetto al suolo e il lato destro al sinistro, | fino a contrarsi nella punta oscura d’un cono.
4. Pretesi contributi ad altre arti 190.2. Seneca, Epistula 90, 31-33 (= 300.14; 814 Lu.): [In polemica contro la pretesa di Posidonio di fare risalire tutte le invenzioni alla filosofia, anziche´ ad arti da essa distinte.] Queste invenzioni furono fatte quando si cesso` di ricercare la sapienza. (32) ‘‘Democrito,’’ egli [scil. Posidonio] afferma, ‘‘`e detto essere l’inventore dell’arco in cui le pietre, formando a poco a poco una curva, sono tenute ferme dal sasso di mezzo.’’ Diro` che questo e` falso. Ci dovettero essere anche prima di Democrito e ponti e porte la cui sommita` era ricurva. (33) Avete poi dimenticato che il medesimo Democrito ha inventato il sistema di levigare l’avorio, il procedimento con cui una pietruzza, portata ad alta temperatura, si trasforma in uno smeraldo, e in che modo anche oggi, cuocendoli, si possano colorare dei sassi che si siano scoperti adatti a questo scopo. Anche ad ammettere che il sapiente abbia fatto queste invenzioni, non le ha fatte perche´ era sapiente: egli fa molte cose che vediamo fare con piu` perizia e con piu` esperienza da uomini del tutto privi di sapienza.
D. ETIMOLOGIE
E DELUCIDAZIONI DI PAROLE
191.1.1. T. Scolio ad Omero, Iliade VIII (Q) v. 39 [II, 307.38-40] (om. DK e Lu.1316): Democrito, nell’offrire un’etimologia del nome [scil. di Tritogevneia], afferma che essa e` la saggezza, dalla quale risultano tre cose: ben riflettere, ben parlare e fare quello che si deve.
1315 Si veda P.-M. SCHUHL, Platon et l’art de son temps, Paris 1952 (2a ed.), appendice II, p. 77, con discussione a pp. 77-79. 1316 Salvo loro riferimento al passo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.D)
191.1.2. T. Etymologicon Orionis Thebanis, s.v. Tritogevneia (= 68 B 2; 822 Lu.): Atena Tritogenea secondo Democrito e` ritenuta essere la saggezza. Infatti dall’essere saggio vengono queste tre cose: il ben deliberare, il parlare senza errori e il fare quello che si deve.
191.1.3. T. Scolies Genevoises I 111 (= 68 B 2; 822 Lu.): Democrito, nell’offrire un’etimologia del nome [scil. di Tritogevneia] afferma che dalla saggezza risultano queste tre cose: il ben riflettere, il bene parlare e il fare quello che si deve.
191.1.4. T. Eustazio, Commentarii ad Iliadem VIII (Q) v. 39 [II, 521.19-21] (om. DK e Lu.): Tritogenea in modo allegorico e` la saggezza, dal momento che secondo Democrito da essa vengono queste tre cose: il ben calcolare, l’enunciare bellamente cio` che e` stato pensato, e compiere rettamente questo.
191.1.5. T. Tzetzes, Exegesis in Iliadem A 194 [45.3-4] (= R 16 Mansfeld; om. DK e Lu.): Tritogenea secondo Democrito e` quella che produce tre cose: il ben deliberare, l’agire in modo abile, e il giudicare in modo corretto.
191.2. T. Etymologicum Gudianum, additamenta, s.v. gunhv [II, 326.25-26] (= 68 B 122a; 567 Lu.): 1317 gunhv (‘donna’) ... o, come {dice} Democrito, come se fosse una sorta di matrice (gonhv): quella che riceve il seme genitale (gonhv).1318
191.3. T. Etymologicum Genuinum, s.v. deivkelon (= 68 B 123; 467 e 828 Lu.): Secondo Democrito: un efflusso che e` simile nella sua forma agli oggetti {che lo emettono}.
191.4. T. Etymologicum Genuinum, s.v. ajlapavxai (= 68 B 122; 813 Lu.): ejkporqh=sai (= svuotare), da lapazio, erba che ha l’effetto di vuotare l’intestino; e Democrito chiama lapazii le fosse prodotte dai cacciatori per via dello svuotamento.
1317 Per la voce che segue non c’e ` riscontro nella fonte indicata da Diels: Etymologicum Genuinum (cfr. V. CASADIO, «Museum Criticum», 1986/7, p. 410 [bibl., sez. 4]); la stessa voce e` presente, ma senza attribuzione, nell’Orionis Etymologicon, p. 39.19; un’allusione alla stessa etimologia si trova in Platone, Cratylus, 414a3-4: ‘‘gunhv (‘donna’) a me pare voler essere gonhv (‘matrice’ o ‘seme genitale’?)’’. 1318 Adotto questa resa ammettendo un uso ambiguo di gonhv, ma si puo ` dubitare che la frase finale sia democritea, sia perche´ Democrito non ritiene che la donna sia soltanto ricettiva del seme genitale (vedi supra, testimonianze sotto 94 e 95), sia perche´ (come mi e` stato fatto notare da Ademollo) in Etymologicum Gudianum, 326.14-16 l’etimologia per la quale la donna e` ricettiva del seme genitale (ora chiamato sperma) e` tenuta distinta da quella per la quale e` considerata una generatrice (a partire dal verbo geivnw).
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.D)
191.4.1. V. Anecdota Graeca: I. Lexica segueriana. Lexicon VI, 374.14-17 (= 68 B 122; 813 Lu.): Sicuramente Democrito dice che si chiamano lapazii le fosse scavate dai cacciatori, al di sopra delle quali si getta della cenere fina e si collocano rami secchi, affinche´ le lepri ci caschino dentro.
191.4.2. V. Eustazio, Commentarii ad Odysseam IV, v. 176, p. 1490 (om. DK; 813 Lu.): L’ajlapavxai, usato al posto del semplice ejkkenwsai (‘svuotare completamente’) usato at= tualmente. [Seguito su Democrito, con qualche leggera variazione rispetto ai precedenti.]
191.4.3. V. Etymologicum Magnum, s.v. ajlapavzein (om. DK e Lu.) [Su Democrito, come nei precedenti, con qualche leggera variante.]
191.5. T. Scolio AB ad Omero, Iliade XIII (N), v. 137 (= 68 B 162; 128 Lu.): ojlooivtroco": pietra circolare e rotonda, quella che e` rovinosa nella corsa (oJ evn tw/= trevcein ojloov"), dal momento che nel precipitare danneggia tutto cio` che colpisce ...Democrito denomina la figura cilindrica ojlooivtroco".
191.5.1. V. Erodiano, De affectibus, fr. 294 (GG III 2, 271.11-12, da Etym. Magn. s.v. ojlooivtroco"): Democrito denomina la figura cilindrica ojlooivtroco".
191.5.2. V. Eustazio, Commentarii ad Iliadem XIII (N), v. 137 [III, 452.2124] (om. DK; = 128 Lu.): [Commento ad un verso dell’Iliade includente il termine ojlooivtroco".] Dicono che Democrito chiama a questo modo la figura cilindrica, traendo forse le mosse dal {verso 142} ‘‘non rotola piu` per quanto impetuoso’’.
191.6. T. Esichio, Lexicon, s.v. ajmfidhvtioi (A 3988) (= 68 B 130; 828 Lu.): Come ‘fermagli cavi’ per Democrito.
191.7. T. Esichio, Lexicon, s.v. ajpavthton (A 5840) (= 68 B 131; 828 Lu.): ‘Disposto in modo irregolare’ per Democrito.
191.8. T. Esichio, Lexicon, s.v. ajskalhnev" (A 7691) (= 68 B 132; 136 e 828 Lu.): ‘Equilatero’ per Democrito.
191.9. T. Esichio, Lexicon, s.v. brocmwvdh" (B 1215) (= 68 B 133; 828 Lu.): ‘Umida e tenera’ per Democrito.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.E)
191.10. T. Esichio, Lexicon, s.v. brovco" (B 1218) (= 68 B 134; 828 Lu.): ‘Correggia’ (Democrito), ‘capestro’, ‘legame’.
191.11. T. Esichio, Lexicon, s.v. dexamenaiv (D 631) (= 68 B 135; 828 Lu.): ‘Recipienti per l’acqua’ e, nel corpo, ‘le vene’ (Democrito).
191.12. T. Esichio, Lexicon, s.v. duocoi = (D 2498) (= 68 B 136; 828 Lu.): ‘Chiude con un coperchio’ per Democrito.
191.13. T. Esichio, Lexicon, s.v. suggonhv (S 2156) (= 68 B 137; 828 Lu.): Costituzione (Democrito).
191.14. T. Apollonio Cizico, In Hippocratis de articulis commentarius 6. 37-42 (= 68 B 29; 828 Lu.): ... Bacchio nell’opera Sulle locuzioni ippocratiche spiega la cosiddetta prominenza [a[mbh] nel legno a forma di leva, {dicendo} che ‘e` scritto nei lessici che i Rodii chiamano prominenze le sommit`a dei monti e, in generale, i gradini’; e, di seguito, dice pure: ‘‘Si trova scritto anche che Democrito avrebbe chiamato ‘prominenza’ l’orlo {sporgente} dello scudo che ne circoscrive la cavit`a’’.
191.15. T. Fozio, Lexicon, s.v. ajnabhvsomai (A 1406) [I, p. 147] (= 68 B 144a; 828 Lu.): Democrito: {equivale a} ‘mi rifaro` alle cose dette da principio’.
191.16. Damascio, In Platonis Phaedonem, 108c5 sgg. (503.1-4): Che la terra, quella che e` chiamata {cosı`} qui {fra di noi uomini},1319 gli uni la dicono incorporea, gli altri corporea; di questi {ultimi} Arpocratione {chiama ‘terra’} l’intero mondo, Teodoro quello sotto la luna; di coloro {che la dicono} incorporea Democrito {chiama ‘terra’} l’ ‘idea’,1320 Plutarco la natura.
E. DELUCIDAZIONI
ALTRUI DI PAROLE USATE DA
DEMOCRITO
192.1. Esichio, Lexicon (A 3562) (= 68 B 138; 828 Lu.): Cambiamento di mondo (ajmeiyikosmivh) = metacosmesi. 1319 Si deve intendere ‘‘la terra qui’’ (Fedone, 110A1), cioe ` la terra di cui abbiamo esperienza, secondo il resoconto dato in questa parte dell’opera platonica. 1320 Presumo che il termine, che e ` suggerito da Fedone, 108D9, dove si applica alla figura della terra, sia stato trasposto per errore rispetto all’applicazione che Democrito ne faceva all’atomo.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.F)
192.2. Esichio, Lexicon (A 3563) (= 68 B 139; 828 Lu.): Cambiare di forma (ajmeiyirusmein= ) = modificare la propria composizione o subire una metamorfosi.
192.3. Esichio, Lexicon (A 3564) (= 68 B 139a; 327 e 828 Lu.): Cambiante di colore (ajmeiyivcron) = che muta di colore.
192.4. Esichio, Lexicon (E 5141) (= om. DK e Lu.): Che fluisce (ejpiruvsmion) = che scorre (ejpirevon).
192.5. Esichio, Lexicon (E 6809) (= 68 B 140; 736 Lu.): Ben-essere (eujestwv) = (1) prosperita` – dal ben essere (euj ei\nai); e (2) felicit`a – dallo star bene (euj eJstavnai) quanto alla dimora (oi\ko").1321
192.6. Esichio, Lexicon (I 171) (= 68 B 141; 828 Lu.): Idea (ijdeva) = la somiglianza, la forma, la figura; anche il corpo minimo.
F. CITAZIONI
O RIFERIMENTI FUORI CONTESTO
193.1. C. Erodiano, De affectibus (peri; paqwn= ), fr. 240, presso Et. gen., s.v. nevnwtai (GG III 2, 253.9-10) (= 68 B 129; 829 Lu.): [Riporta, come segue, un passo di Democrito come esempio di uso di novw in forma contratta, senza alcuna indicazione sul suo contesto, e sul suo soggetto: gli uomini, i pensatori, i poeti?] E di nuovo come crusovontai fa crusou=ntai cosı` anche novontai fa nou=ntai. Democrito: ‘‘Cose divine pensano (nou=ntai) con la mente.1322 ’’
193.2.1. C. Clemente, Protrepticus 10, 92.4 (= 68 B 147; 581a Lu.): Alcuni {del luogo} al modo dei vermi che sono intorno alle paludi e ai pantani, voltolandosi nei flussi del piacere, si nutrono di lussurie vane e prive di senso, uomini simili ai porci: ‘‘i porci’’, dice {il proverbio?} 1323 ‘‘godono di piu` nella melma che nell’acqua pura’’, e, secondo Democrito, ‘‘folleggiano nel letame’’. 1321 Oppure: dal fatto che la casa sta bene. – Su eujestwv come titolo di opera democritea cfr. supra, 0.6.1 (II.4) e 131. 1322 Testo corretto. Con un’altra correzione (sempre del Lobeck) di un testo che presenta un guasto: ‘‘pensano con mente divina’’. 1323 La citazione (che compare anche in Stromata I 2, 2) e ` di un passo che, sulla base di altri riscontri, e` da attribuire ad Eraclito, come ammettono gli studiosi (cfr. 22 B 13 DK e cfr. M. MARCOVICH, Eraclito: Frammenti, Firenze 1978, pp. 129-132 per tutta la documentazione); tuttavia si puo ` supporre (come fa Marcovich) che esistesse gia` prima di Eraclito un proverbio di tenore simile (al
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.G)
193.2.2. C. Plutarco, De tuenda sanitate praecepta 14, 129A (= 68 B 147; 581a Lu.): E` assurdo prestare seria attenzione al gracchiare dei corvi, al crocidare delle galline, e al ‘‘folleggiare dei porci per il letame’’, come disse Democrito, traendone segni dei venti e delle piogge, e non prevedere e prevenire i movimenti del nostro corpo {che sono segni di una prossima tempesta al nostro interno}.
193.2.2.1. Arato, Phaenomena, vv. 1122-23: [Segni vari del tempo:] N´e quando le capre si affrettano a {la ricerca del} le spine di leccio | {questo e` segno} di bel tempo, ne´ {lo e` se} ‘i porci folleggiano per il letame’.
193.2.2.2. Teofrasto (o Ps.-Teofrasto), De signis 49: Ed e` considerato dappertutto popolarmente come segno di tempesta che i topi 1324 litighino per il letame e si voltolino in esso.
193.3. Epicuro, Peri; fuvsew", libro XIV, PHerc 1148, col. xxx (trad. Leone): ... uomini migliori fanno, ma anche dei cosiddetti filosofi, che, per il dio, io spero che anche Democrito abbia denominato cosı`, se e` proprio necessario dare loro un nome. Potremmo forse opporci 1325 ...
G. APPENDICE 7.3. Ibn al-Matran, Giardino dei medici e prato dei sapienti (trad. G. Strohmaier): [Dopo un’esposizione del resoconto che gli Epicurei danno delle malattie.] Feststellung des Demokrates – das ist der Mann mit dem Staub und den Teilen, die nicht geteilt werden –, er sagt: Die Zusammensetzung der Ko¨rper ist aus dem ganz feinen Staub, der in der Luft verteilt ist und der im Sonnenstrahl sichtbar wird. Ein Beweis dafu¨r ist: Wenn man sich in ihn hineinstellt und seinen Ko¨rper kratzt, steigt von ihm solcher Staub auf und nimmt von der Haut ab, so dass die Haut abgescha¨lt wird, wenn das Kratzen andauert. Er sagte: Und dieses Abgesch¨altwerden ist wegen der Verminderung dessen, was von dem Bau des Ko¨rpers aus jenen Teilen, die nicht geteilt werden, zersto¨rt ist.
quale Democrito potrebbe richiamarsi), forse da parte di Clemente non tenuto distinto dal passo eracliteo. 1324 Questo passo viene citato da Diels (seguito da Kranz in DK), con l’indicazione vgl., insieme a quello di Arato, e di seguito a quelli di Clemente e di Plutarco; per uniformarlo ai precedenti viene adottata una correzione, perche´ nei MSS (come da me resi) c’e` muve" (= topi), non suve" (= porci). 1325 Quanto segue non e ` piu` leggibile; l’inizio del passo e` lacunoso.
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TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA (XV.G)
110.9. Diogene di Enoanda, fr. 9, col. VI 3-14 [NF 6, coll. I 12-14 II]: [Sulla formazione delle immagini che ci si presentano in sogno.] Al tuo discorso noi [scil. Epicurei] opponiamo quanto segue, o Democrito: 1326 la natura dei sogni non e` in alcun modo inviata dal dio,1327 come tu dici, oppure monitoria, ma piuttosto cio` che produce i sogni sono, io dico, certe nature, sicche´ viene rovesciato l’argomento sofistico; 1328 sono infatti gli stessi idoli ... [nel seguito, che manca, presumibilmente ribadiva quanto detto in precedenza, cioe` che sono gli stessi idoli che producono i sogni, il pensiero e le immagini che si esperimentano da svegli.]
112.7. Autore incerto, Hermippus o De astrologia I 16, 122 (26.13-15 = 68 A 78; 472a Lu.): [Sui demoni come enti intermedi fra gli intelletti delle sfere celesti e gli uomini.] Non sarebbe giusto pero` tralasciare la {opinione} di Democrito, il quale, chiamandoli [scil. i demoni] idoli, dichiara che l’aria ne e` piena e che essi, dotati di tendini e di midollo, risvegliano e trasformano le nostre anime in essi stessi penetrando attraverso le vene e le arterie e lo stesso cervello e fino alle viscere.
1326 Questo richiamo espresso a Democrito, con quanto precede immediatamente, e ` un’integrazione presente nel testo fornito da M.F. SMITH nella sua edizione recente dei frammenti di Diogene (The Epicurean Inscription, Napoli 1993), dove riceve una motivazione non filologica ma dottrinale (cfr. n. successiva); non e` presente nel testo da lui fornito nella sua prima edizione del frammento (in «American Journal of Philology», 75, 1971, pp. 357-389, specialm. p. 360, dove e` numerato fr. 5, col. II), anche se gia` allora egli congetturava che il passo fosse in polemica con Democrito. L’integrazione compare per la prima volta nell’edizione del passo di A. BARIGAZZI (apparsa in «Prometheus», III, 1947), il quale altrimenti offriva integrazioni in parte alquanto diverse da quelle proposte ultimamente da Smith (sono adottate da A. Casanova nella sua ed. dei frammenti). Com’e` palese dalle illustrazioni (fornite dallo Smith come appendice ad art. cit. e in The Philosophical Inscription of Diogenes of Oinoanda, Wien 1996, p. 60) il testo e` riprodotto su di una pietra della quale ci e` pervenuta, nel senso dell’altezza, meno della meta`, sicche´ non solo questa ma ogni integrazione e` largamente speculativa. 1327 Anche questo brano in particolare e ` ricostruito congetturalmente, ma in un modo che ha una certa plausibilita`. Tuttavia la tesi che se ne ricava e` attribuita al solo Erofilo, per un tipo di sogni, in Ps.-Plutarco, Placita V 2, 3 (= 110.1) e in Ps.-Galeno (= 110.1.1); il fatto che Erofilo e Democrito siano accostati abbastanza strettamente nella piu` rapida presentazione di Lorenzo Lidio (cfr. 186.3: ottobre 1) favorirebbe il sospetto di una confusione fra i due autori, qualora il brano precedente fosse stato ricostruito in modo credibile, come non credo. Lo Smith, del quale ho adottato il testo nella mia traduzione, giustifica la sua lettura del passo solo con un generico richiamo al motivo del carattere divino degli ‘idoli’ che risulta da alcuni dei passi sotto 110-112. (Vedasi, per ulteriori precisazioni, Presentazione dei testi, sez. 25). 1328 A quanto pare giudica a questa stregua un argomento degli Stoici cui fa riferimento nei fr. 33-34, ma il testo e` troppo frammentario per comprendere di che argomento si tratta.
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INDICE
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. TESTI
V
RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON AL-
TRI PENSATORI
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A. Vita di Leucippo (0.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B. Vita di Democrito e cronologia (0.2.1-12) . . . . . . . . . . . . . . C. La figura di Democrito nella tradizione . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il riso (0.3.1-9) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il riso e la follia (0.3.10-12) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. I suoi viaggi reali o con la mente, dei quali i primi resi possibili dalla consumazione dell’eredit`a (0.3.13-24.1) . . . . . . . D. Eventi piu` o meno leggendari della sua vita . . . . . . . . . . . . 1. La morte «ritardata» e/o il suicidio (0.4.1-6.1) . . . . . . . . . 2. L’accecamento volontario (0.4.7-11) . . . . . . . . . . . . . . . 3. Previsioni e altre azioni straordinarie (0.4.12-16) . . . . . . . E. L’atteggiamento scientifico e quello etico di Democrito nelle sue dichiarazioni e nella tradizione (0.5.1-20) . . . . . . . . . . . . . . F. Le opere di Democrito (e di Leucippo) . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il catalogo delle opere di Democrito in Diogene Laerzio (0.6.11.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Attestazioni relative a singole opere (0.6.2-3.1). . . . . . . . . 3. Attestazioni relative ad opere spurie (0.6.4-17). . . . . . . . . G. Sullo stile (0.7.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . H. Rapporti con altri pensatori, inclusi i continuatori o successori di Leucippo e di Democrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Successioni di filosofi (0.8.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Moco, un mitico anticipatore dell’atomismo (0.8.6) . . . . . . 3. Predecessori (0.8.7-8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Continuatori e successori (0.8.9-25) . . . . . . . . . . . . . . . — 437 —
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5. Epicuro e Democrito (0.8.26-35) . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 48 6. Gli scettici e Democrito (0.8.36-39) . . . . . . . . . . . . . . . » 51 I. Lista di scritti su (o contro) Democrito e altri riferimenti (0.9.1-9) TESTI
RELATIVI ALLA DOTTRINA
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I. Un approccio predialettico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’approccio di Democrito rispetto a materia e forma (1.1-6) 2. La «definizione» dell’uomo (2.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . .
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II. Generalit`a sul pensiero dei primi atomisti . . . . . . . . . . . . . .
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A. I princı`pi, le loro operazioni e i loro risultati (3) . . . . . . . B. Esposizioni complessive del pensiero di Democrito e di Leucippo focalizzate sull’aspetto cosmologico e cosmogonico (4.1-6) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C. Dossografia sui princı`pi (5.1-12) . . . . . . . . . . . . . . . . . D. Classificazioni dei princı`pi o elementi (6.1-7) . . . . . . . . . E. Esposizioni sintetiche riguardanti gli atomi e le loro operazioni (e immagine del pulviscolo atmosferico) (7.1-2) . . . . F. Atomi, qualit`a e composti ovvero apparenza e realt`a (8.1-5) G. La teoria atomistica di Democrito e quella di Epicuro . . . 1. I princı`pi degli atomisti e l’ambito dell’‘‘essere’’ secondo Epicuro (9.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La fisica di Democrito e quella di Epicuro (9.3-3.1) . . . 3. Il resoconto atomistico della costituzione del mondo (9.4-6) 4. La materia discontinua degli atomisti (9.7-8) . . . . . . . . H. L’atomismo fra monismo e pluralismo . . . . . . . . . . . . . 1. Causa materiale e causa formale nella teoria atomistica secondo Aristotele (10.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La causa materiale secondo i dossografi e secondo Alessandro (10.4-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Una classificazione delle posizioni circa i princı`pi in base al loro numero e ad altre caratteristiche (11.1-5) . . . . . 4. I contrari come princı`pi (12.1-7) . . . . . . . . . . . . . . .
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III. Il rifiuto della generazione e della divisibilit`a all’infinito . . . .
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A. «Nulla nasce da nulla» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’«opinione comune dei naturalisti» (13.1) . . . . . . . . .
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INDICE
2. La condizione iniziale del mondo (13.2) . . . . . . . . . . Pag. 92 3. L’accusa peripatetica di violazione del principio di non93 contraddizione (13.3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 94 4. La tesi «nulla nasce da nulla» presso gli Eleati (14.1-3) . » B. La genesi dell’atomismo in rapporto con l’eleatismo . . . . . » 94 94 1. «La difficolt`a degli antichi» (14.4) . . . . . . . . . . . . . . » 2. L’approccio degli atomisti contrapposto a quello eleatico 95 (15.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 98 3. Parmenide e Zenone contro la molteplicit`a (16.1-3) . . . » 99 4. Postulazione leucippea del vuoto come divisore (16.4) . . » 5. Rifiuto eleatico del vuoto come condizione del movimen99 to (16.5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » C. Generazione apparente e processi reali . . . . . . . . . . . . . » 99 99 1. Le «unit`a eterne» prospettate da Melisso (17) . . . . . . . » 2. La negazione della generazione da parte di Empedocle e di Anassagora (18.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100 3. La negazione della generazione da parte degli atomisti (18.6-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 101 D. Riduzione dei processi percettibili al movimento locale di particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 102 1. Alcune giustificazioni della priorit`a del movimento locale (19.1-1.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 102 2. Il riconoscimento della priorit`a del movimento locale da parte dei naturalisti (19.2-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 103 3. La riduzione dei processi al movimento operata dagli atomisti (19.5-8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 104 E. Uno e molti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106 1. Il principio che n´e i molti derivano dall’uno n´e l’uno dai molti (20.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106 2. Epicuro sui composti (20.5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 107 F. Continuit`a e contatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 108 1. La posizione di Aristotele (21.1) . . . . . . . . . . . . . . . » 108 2. Nella prospettiva aristotelica i composti di atomi non sono dotati di continuit`a (21.2) . . . . . . . . . . . . . . . . . » 109 3. L’analogia degli atomi coi numeri (intesi come unita` discrete) ovvero con entit`a matematiche (21.3-4.1) . . . . . » 109 4. La questione del contatto (in relazione all’agire e al patire) (21.5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 110 5. Necessit`a di indivisibili per l’agire e il patire (contro Empedocle) (21.6-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 110 32
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G. La questione dell’indivisibilit`a degli atomi . . . . . . . . . . . Pag. 111 1. Affermazione dell’esistenza di grandezze corporee indivisibili e sue possibili giustificazioni (22.1-7.1) . . . . . . . . » 111 2. Un preteso riferimento agli atomisti (23.1-2) . . . . . . . . » 114 3. Un argomento a favore dell’atomismo nell’esposizione di Aristotele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 115 a) La questione ovvero contesto dell’esposizione (24.1-3) » 115 b) L’esposizione (24.4-11) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 116 H. L’atomismo e le matematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 122 1. Carattere spaziale ma non geometrico degli atomi, per via della variet`a delle loro figure (25.1-5) . . . . . . . . . . . . » 122 2. Una critica aristotelica: la postulazione di indivisibili e` in contrasto con la matematica (26.1-3.1) . . . . . . . . . . . » 124 3. Contributi di Democrito alle matematiche . . . . . . . . . » 125 a) Il dilemma del cono (27.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125 b) Il metodo da lui impiegato (27.2) . . . . . . . . . . . . » 125 IV. Il materialismo e l’infinitismo degli atomisti . . . . . . . . . . . .
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A. Corpo ed essere, vuoto e non-essere . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il vuoto come ‘natura intangibile’ secondo Epicuro (28.1-2) 2. La tangibilit`a e/o la capacit`a di agire e di patire come criterio dell’essere (fatto coincidere col corporeo) (28.3, 29.1-9) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B. Vuoto e spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Luogo e vuoto (30.1-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Luogo come estensione o intervallo (fra le possibili concezioni del luogo) (31.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Argomenti di Zenone e degli scettici contro l’esistenza del luogo (32.1-2). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. La questione dell’esistenza e della natura del vuoto (33.16.2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Argomenti a favore e contro l’esistenza del vuoto (34.1-4) 6. La questione del vuoto come condizione del movimento (35.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C. Uniformit`a del vuoto o dell’infinito spaziale . . . . . . . . . 1. Rifiuto aristotelico del vuoto indifferenziato e infinito come condizione del movimento (36.1-4) . . . . . . . . . . . 2. Rifiuto aristotelico dell’infinito spaziale (36.5) . . . . . . . 3. L’indifferenziazione dell’infinito spaziale ammesso dagli atomisti (36.6-8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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D. L’infinito come principio e le sue applicazioni . . . . . . . . Pag. 142 1. Tipi di infinito (37.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 142 2. L’infinitezza (complessiva) della materia ovvero degli atomi (e la loro ingenerabilit`a) (38.1-4) . . . . . . . . . . . . . » 143 3. (In subordine:) Ingenerabilit`a reciproca degli atomi (39.1-2) » 146 4. Le variazioni degli atomi quanto a figura (e grandezza) sono infinite? (Confronto con la posizione epicurea) (40.14) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 146 5. L’infinitezza nel tempo e nello spazio e la pluralit`a dei mondi (41.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 147 6. L’assenza di un perch´e dell’eterno e l’eternit`a del movimento (42.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 149 7. Il rapporto fra tempo e movimento e la loro eternita` (anche con riferimento alla posizione epicurea) (43.1-3.1). . » 150 8. Il principio di indifferenza e la pluralit`a infinita dei mondi (44.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 151 9. L’infinitezza dei mondi fatta dipendere anche dall’infinitezza delle cause (44.2-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 152 E. L’esistenza di una pluralit`a di individui, compresi i mondi, di una stessa specie e la possibilit`a che ce ne siano di identici . » 153 1. Non unicit`a del mondo come di ogni altra cosa individuale (45.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 153 2. Mondi ed individui identici (46.1-2) . . . . . . . . . . . . . » 154 V. La trattazione dei quattro elementi fisici e degli altri corpi composti e quella dei vari tipi di processo . . . . . . . . . . . . . . . A. La trattazione dei quattro elementi fisici e degli altri corpi composti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’approccio degli atomisti (47.1-5) . . . . . . . . . . . . . . 2. L’idea corrente fra i naturalisti della trasformazione reciproca e ciclica dei quattro elementi (48.1) . . . . . . . . . 3. L’applicazione dell’approccio ovvero il resoconto degli atomisti (48.2-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. La composizione dei quattro elementi (e tesi della ‘panspermia’) (48.4-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Alcune critiche di Aristotele agli atomisti, relative alla composizione dei quattro elementi e alle modalit`a delle loro trasformazioni (48.6-7.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . B. I processi cui sono sottoposti i composti: loro natura e tipologia e loro princı`pi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . — 441 —
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1. Il resoconto della differenza fra generazione (e corruzione) e alterazione (in subordine: come differiscono i composti l’uno dall’altro) (49.1-4.2) . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 162 2. I processi nel loro rapporto con l’osservatore (50.1-6) . . » 165 3. Sintesi della posizione di Democrito (al confronto con quella di Empedocle) (51.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . » 168 4. Precisazioni e critiche di Aristotele (51.3-5) . . . . . . . . » 169 C. I composti risultanti da mescolanza . . . . . . . . . . . . . . . » 171 1. La questione della mescolanza (52.1-2) . . . . . . . . . . . » 171 2. Le testimonianze di Alessandro d’Afrodisia e dei dossografi (52.3-5.2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 172 VI. La teoria democritea delle propriet`a sensibili e l’epistemologia A. La questione della sussistenza delle propriet`a sensibili (esemplificata dal caso dei colori e da quello dei suoni) (53.1-8) . B. La genesi dei dati della sensazione e la loro soggettivit`a . . 1. Nella testimonianza aristotelica: i sensibili non sono nulla senza la sensazione in atto (54.1-2) . . . . . . . . . . . . . . 2. La teoria della percezione sensibile adottata da certi sostenitori del mobilismo universale secondo Platone (54.3-5) . C. La tipologia dei sensibili in relazione alla loro maggiore o minore oggettivit`a e alle loro cause . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Confronto fra l’approccio di Democrito e quello di Platone (55.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il resoconto di Teofrasto, seguito da una serie di sue critiche (55.2-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D. La teoria della mescolanza completa e della prevalenza nell’adattamento ai sensi (56.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . E. L’epistemologia di Democrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il sensismo attribuitogli da Aristotele (57-57.3) . . . . . . 2. L’eliminazione di tutti i fenomeni sensibili (secondo Sesto a favore di intelligibili) (58.1-6) . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Democrito critico di Protagora e possibilmente anche di Seniade (59.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. L’atteggiamento ambiguo di Democrito circa l’attendibilit`a dei sensi (60.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Il rifiuto della dimostrazione (60.4) . . . . . . . . . . . . . 6. ‘La verit`a e` nel profondo’ (61.1-6) . . . . . . . . . . . . . . — 442 —
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VII. Principi della fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 199 A. Condizioni dell’agire e del patire . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. I pluralisti (in generale) sulla questione del rapporto fra i processi e l’agire e il patire (62.1-2) . . . . . . . . . . . . . 2. La questione del contatto secondo Aristotele (62.3) . . . 3. Se l’agire e il patire sono per simili o per contrari, ecc. (62.4-6) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Il principio dell’attrazione dei simili (63) . . . . . . . . . . B. Il movimento primordiale degli atomi . . . . . . . . . . . . . . 1. Il movimento primordiale degli atomi presentato da Aristotele come movimento forzato o contro natura (64.1-4) 2. La posizione di Democrito e quella di Epicuro (64.5-8) . C. Il movimento degli atomi e la questione del peso . . . . . . . 1. La necessit`a (secondo Aristotele) che il movimento degli atomi sia di un solo tipo (65.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il movimento verso l’alto ‘‘per espulsione’’ o ‘‘per compressione’’ (e[kqliyi") (66.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Stabilit`a della terra e ruolo del vortice (67-67.1) . . . . . 4. Operazioni di pesantezza e di leggerezza entro il mondo (68.1-4.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D. Ruolo della conformazione posseduta dai corpi (69.1-5) . .
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VIII. Necessit`a, caso e fine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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A. Tutto avviene per necessit`a (70.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . B. Il rifiuto del caso come causa (71.1-4) . . . . . . . . . . . . . . C. Il ricorso al caso in cosmogonia (72.1-6) . . . . . . . . . . . . D. La fortuna (o il destino) come causa occulta (73.1-7) . . . . E. Necessit`a e caso combinati a spiegazione degli eventi (74.1-3) F. Ricorso al solo caso, eventualmente ad esclusione della provvidenza, oppure semplice esclusione della stessa (75.1-5) . . G. Ricorso alla necessita`, ad esclusione del caso (76.1-3) . . . . H. Necessit`a e materia (77.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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IX. Cosmogonia, cosmologia, sistema astronomico, meteorologia .
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A. Il nostro mondo e gli altri mondi di numero infinito (78.1-8) B. Generabilit`a e corruttibilit`a dei mondi (79.1-10) . . . . . . .
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C. La generazione di un mondo (e dei corpi celesti in esso) (80.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 243 D. Il ricorso al vortice e alla necessita` (o al caso) in cosmologia (81.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 246 E. Il sistema astronomico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 247 1. Composizione fisica dei corpi celesti e loro conformazione (82.1-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 247 2. La terra: figura, collocazione, stabilita` (o movimento), ecc. (83.1-10) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 250 3. Dislocazione dei corpi celesti e trattazione dei pianeti (84.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 252 4. Altri fenomeni celesti: la via lattea e le comete (85.1-11) . » 253 5. Il movimento dei corpi celesti (86.1-3) . . . . . . . . . . . » 257 F. Meteorologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 258 1. I venti (87.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 258 2. I terremoti (87.2-4.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 258 3. Il tuono, il fulmine, ecc. (87.5-7) . . . . . . . . . . . . . . . » 260 4. Fiumi e mari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 261 a) Sull’inondazione del Nilo (88.1-3) . . . . . . . . . . . . » 261 b) Durata del mare e sua salinit`a (88.4-6) . . . . . . . . . » 262 X. Cause dei fenomeni nel mondo inanimato e nel mondo vivente
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A. Fenomeni nel mondo inanimato . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Un esempio di agire e patire: l’attrazione della calamita sul ferro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . a) Il resoconto di Democrito (89.1-1.2) . . . . . . . . . . . b) Il resoconto degli Epicurei (89.2-3) . . . . . . . . . . . 2. Altri esempi di interazione o di trasmissione di entit`a come il suono (e questione stessa della natura del suono) (90.1-7) B. Fenomeni nel mondo vivente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Osservazioni anatomiche ecc. sugli animali e sulle piante (91.1-5.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Tesi della iniziale generazione spontanea degli animali (92.1-1.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La riproduzione degli animali: tesi della pangenesi e del preformazionismo (93.1-6, 94.1-6, 95.1). . . . . . . . . . . 4. La tesi della ‘panspermia’ (95.2) . . . . . . . . . . . . . . . 5. Una sintesi epicurea della teoria atomistica della riproduzione (95.3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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6. Aspetti anatomici ecc. della riproduzione (96.1-8) . . . . Pag. 280 7. La formazione di anomalie fra gli animali (97.1-3) . . . . » 283 8. Fenomeni riguardanti la crescita, la durata della vita, ecc., di piante e animali (98.1-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 284 9. Fenomeni svariati (99.1-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 287 XI. L’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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A. L’approccio all’anima (100.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . B. L’anima, la sua costituzione e le sue funzioni distintive (101.19, 102.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C. Anima e corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’anima come fonte di movimento per il corpo (103.1-4) 2. L’intreccio fra anima e corpo (103.5) . . . . . . . . . . . . 3. L’anima e` corruttibile (103.6-7.3) . . . . . . . . . . . . . . D. La respirazione come condizione della vita . . . . . . . . . . 1. Il funzionamento della respirazione (104.1-3) . . . . . . . 2. Se la respirazione si trovi anche in tutti gli animali (104.4) E. Se l’anima sia divisa in parti e quale sia la sede delle parti stesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Esclusione di una partizione per via della coincidenza di anima e intelletto ovvero di sensazione e pensiero (105.16) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Ammissione di una partizione e definizione della sede delle parti (105.7-11) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . F. Resoconto del pensiero e della sensazione . . . . . . . . . . 1. La base fisica del pensiero e della sensazione e l’assimilazione del pensare all’aver sensazioni (106.1-4.2) . . . . . . 2. Le sensazioni e i sensibili (e l’attenzione della mente) (106.5-6) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Se i sensi siano piu` di cinque (106.7-7.1) . . . . . . . . . . G. Altri fenomeni psicofisici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il sonno e la morte (107.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La morte e fenomeni come la catalessi (108.1-3; 109.13.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Come si verificano i sogni e il presentarsi degli ‘idoli’ (ei[dwla) (110.1-8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . H. La divinazione, specialmente mediante i sogni (111.1-4) . .
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I. La concezione della divinit`a, le sue fonti e il ruolo degli ‘idoli’ (ei[dwla) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 321 1. Gli ‘idoli’ e la loro funzione attiva (nei sogni ecc.), anche nel dare origine alla concezione della divinita` (112.1-6) . » 321 2. Altre divinit`a? (113.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 324 3. L’accusa di incoerenza rivolta a Democrito (114.1-2) . . » 325 L. L’entusiasmo poetico (115.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 326 XII. Resoconto della percezione mediante i sensi e dei sensibili . .
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A. La percezione mediante i sensi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Generalit`a (116.1-3.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il meccanismo fisico della visione (117.1-5.1) . . . . . . . 3. Un’applicazione della teoria: i riflessi negli specchi (117.6-7) 4. Obiezioni alla teoria democritea (117.8-9) . . . . . . . . . 5. Il ruolo del mezzo nel vedere e la percezione delle distanze (118.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. L’udito e la trasmissione del suono; gli altri sensi (119.12.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B. Alcune generalit`a sui sensibili e sulla sensazione (120.1-2) . C. La trattazione democritea dei sapori (in generale) e degli altri sensibili nella loro costituzione e una serie di critiche ad essa rivolte da Teofrasto (121.1-6) . . . . . . . . . . . . . . . . . . D. I sensibili specifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il resoconto dei singoli sapori (nella loro costituzione tramite le figure) (122.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il resoconto dei colori (con critiche di Teofrasto) (123.1-2)
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XIII. L’uomo e la civilt`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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A. L’uomo: un piccolo mondo (124.1-3) . . . . . . . . . . . . . . B. L’origine del mondo e del genere umano (125.1-3) . . . . . . C. L’origine e lo sviluppo della civilt`a . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’origine della civilt`a in genere e del linguaggio (126.1-3) 2. L’origine e lo sviluppo delle arti (127.1-3) . . . . . . . . . 3. L’origine delle credenze religiose (128.1-5) . . . . . . . . . D. Teoria del linguaggio (129.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . E. Altri aspetti della cultura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Questioni omeriche (130.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Questioni grammaticali (130.4-11) . . . . . . . . . . . . . .
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XIV. L’etica e la politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 361 A. La ‘tranquillit`a d’animo’ e le sue condizioni nell’uomo . . . » 361 1. Dossografia sul ‘telos’ di Democrito e dei Democritei (131; 132.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 361 2. Attestazioni riguardanti la ‘tranquillit`a d’animo’ secondo Democrito (133.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 364 3. Sulla superiorit`a dell’anima rispetto al corpo (134.1-5) . » 365 4. La prevalente responsabilit`a dell’anima (135.1-6) . . . . . » 366 5. Terapia dell’anima e terapia del corpo (136.1-2; 137.1-3) » 369 6. Saggezza e stoltezza (138.1-11) . . . . . . . . . . . . . . . . » 372 7. Per il saggio la patria e` il mondo (138.12) . . . . . . . . . » 373 B. Il piacere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. La valutazione dei piaceri (139.1-4) . . . . . . . . . . . . . 2. La moderazione e i piaceri (140.1-3; 141.1-3) . . . . . . .
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C. Altri fini o altre virtu` . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. La realizzazione del bello ovvero del nobile (142.1-4) 2. La nobilta` d’animo (143.1). . . . . . . . . . . . . . . . . 3. L’autocontrollo (143.2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. L’autosufficienza (143.3-4.1) . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La moderazione (144.1-6) . . . . . . . . . . . . . . . . .
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D. Bene e male dipendono dall’uso di quanto disponiamo e dal dominio che abbiamo sulle circostanze esteriori . . . . . . . 1. Bene e male (145.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Moderare i desideri e ricchezza e poverta` (146.1-14) . . . 3. La fortuna (147.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Gli d`ei e gli uomini (148.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . .
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E. La vita e il bene vivere . . . . . . . . . . 1. La vita: gioie e paure; come si deve 2. «Pensieri nuovi» (150.1-3) . . . . . . 3. La paura della morte (151.1-8) . . . 4. Il ‘fare tante cose’ (152.1-5.2) . . .
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........... vivere (149.1-5) . ........... ........... ........... F. La vita in comunit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Dedicarsi alla cosa pubblica (153.1-3) . . . . . . . . . . 2. Gli affari pubblici, la citt`a bene ordinata (154.1-7) . . 3. La legge (155.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Comandare ed ubbidire (156.1-4) . . . . . . . . . . . . 5. Fra etica e politica: giustizia e ingiustizia (157.1-9) . . 6. Prescrizioni di giustizia (158.1-4) . . . . . . . . . . . . . — 447 —
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G. Princı`pi e prescrizioni di moralit`a . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 394 1. La vergogna di fronte a se stesso (159.1-3) . . . . . . . . . » 394 2. L’intenzione (160.1-3). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 394 3. L’errore e il pentimento (161.1-5) . . . . . . . . . . . . . . » 395 4. Prescrizioni varie (162.1-8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 395 5. Discorsi e azioni (163.1-7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 396 6. L’azione dei discorsi (164.1-7) . . . . . . . . . . . . . . . . » 397 7. L’opportunita` nei discorsi (165.1-2) . . . . . . . . . . . . . » 398 H. L’immoralit`a, il male . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 399 1. Il male, le sue variet`a e le sue fonti (166.1-8) . . . . . . . » 399 2. I rimedi al male (167.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 400 3. L’avidita` di ricchezze oppure l’avarizia; la miseria (168.1-3) » 400 I. Princı`pi e osservazioni di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 401 1. La fatica (Povno") (169.1-5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 401 2. Conoscenza e intelligenza (170.1-3) . . . . . . . . . . . . . » 402 3. L’apprendimento ovvero l’educazione e la cultura (171.15) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 402 4. L’educazione morale (172.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . » 403 5. Osservazioni varie (173.1-8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 404 L. Rapporti fra persone (secondo i tipi di azione) . . . . . . . . » 405 1. La rivalit`a e l’invidia (174.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . » 405 2. L’amore e il sesso (175.1-3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 406 3. Le sventure, proprie e altrui (176.1-4) . . . . . . . . . . . . » 406 4. I favori (177.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 407 5. Gli onori (178.1-2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 407 M. I rapporti fra le persone (secondo le categorie delle persone) » 408 1. Gli amici (179.1-14) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 408 2. La donna (180.1-4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 409 3. I figli, la famiglia (181.1-3.1, 182.1-6) . . . . . . . . . . . » 410 4. Giovani e vecchi (e la vecchiaia) (183.1-4) . . . . . . . . . » 412 N. Varia (frammenti di dubbia autenticit`a) (184.1-4) . . . . . . » 412 XV. Testi vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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A. Contributi all’astronomia descrittiva e di previsione . . . . . 1. Il «grande anno» e il calendario (185.1-2) . . . . . . . . . 2. Raccolta di dati sulle costellazioni (185.3) . . . . . . . . . 3. Raccolta di effimeridi astronomiche (185.4-7) . . . . . . . 4. Attestazioni circa tali effimeridi (186.1-5) . . . . . . . . . . 5. Un’attestazione di Democrito su Talete astronomo (186.6)
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B. Geografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 419 1. Generalita` e conformazione della terra abitata (187.1-3). » 419 2. Altra informazione (187.4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 420 3. Le dispute geografiche (187.5-6) . . . . . . . . . . . . . . . » 420 C. Le arti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 421 1. Contributi alla medicina (188.1-10) . . . . . . . . . . . . . » 421 2. Contributi all’agricoltura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 423 a) Testimonianze generali (189.1-4) . . . . . . . . . . . . . » 423 b) Testimonianze (di attendibilit`a incerta) su contributi specifici (189.5-6.1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 424 c) Testimonianze (non attendibili) su contributi specifici (189.7-15) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 425 3. Sulla prospettiva (da Actinographia?) (190.1-1.3) . . . . . » 428 4. Pretesi contributi ad altre arti (190.2) . . . . . . . . . . . . » 429 D. Etimologie e delucidazioni di parole (191.1.1-191.16) . . . » 429 E. Delucidazioni altrui di parole usate da Democrito (192.1-6) » 432 F. Citazioni o riferimenti fuori contesto (193.1-3) . . . . . . . . » 433 G. Appendice (7.3; 110.9, 112.7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 434
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CITTA` DI CASTELLO
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PG
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MAGGIO 2009
ISSN 0065-0781
ISBN 978 88 222 5851 9
ISTRUZIONI Come indicato nell’Introduzione al volume, il presente CD ad esso allegato include il seguente materiale: ● Una serie di ‘Supplementi’ alla stessa Introduzione (per un totale di 17 supplementi e pagine 25); ● una ‘Presentazione dei testi’ (divisa in 29 sezioni, per un totale di pagine 97); ● un ‘Quadro sinottico dei principali termini e concetti o argomenti del primo atomismo’; ● un ‘Glossario’, cioè una lista dei principali termini greci e latini, accompagnata dalla resa in lingua italiana e dall'indicazione (selettiva) delle loro occorrenze; ● un ‘Ragguaglio’ sui testi inclusi nella presente raccolta sui primi atomisti (al confronto con altre raccolte) e sui testi da essa esclusi; ● una ‘Bibliografia’ dei libri consultati per la preparazione dell’edizione e della traduzione dei testi (non un bibliografia completa degli studi apparsi su Democrito), ● un ‘Indice generale’ più dettagliato di quello fornito in fondo al volume (sono indicati tutti i passi citati per opera ed autore); ● un ‘Indice dei passi’ (che differisce dal precedente per essere in ordine alfabetico di autore e per offrire occasionalmente qualche informazione più dettagliata); ● un ‘(indice delle) Abbreviazioni’ usate nell’Introduzione, nella Presentazione dei testi, e negli indici; ● una ‘Tavola di concordanza’ fra l’edizione di Diels e Kranz dei Vorsokratiker e la presente (è limitata a Leucippo e a Democrito per quella edizione, ma la mia raccolta occasionalmente include passi ivi riportati sotto altri autori); ● una analoga ‘Concordanza’ fra l’edizione di Luria dei Democritea e la presente; ● infine una ‘Concordanza’ fra i passi inclusi da Natorp in Die Ethika des Demokritos e quelli della presente edizione. Come indico in una nota in fondo alla pagina iniziale, il Quadro sinottico è complementare all’indice generale, non sostitutivo di esso, e presenta alcuni altri limiti ivi sottolineati; similmente certi limiti che sono presentati dal Glossario sono sottolineati in una nota in fondo alla pagina iniziale (un indice completo dei termini è previsto per la edizione dei testi). Il Ragguaglio non offre una rassegna completa e definitiva dei testi, almeno nel caso dei testi che sono stati lasciati fuori dalla presente raccolta sui primi atomisti. In particolare, le ricerche che attualmente più studiosi, a quanto pare, stanno conducendo sugli gnomologi e sui florilegi dovrebbero portare ad un quadro più ampio e più preciso di quello da me fornito con riferimento ad alcune raccolte (quella del Corpus Parisinum profanum in sez. VII e quella di [Massimo], Loci communes in sez. VI). È anche possibile che nuove ricerche impongano una revisione della conclusione del tutto negativa da me tratta nell’Introduzione (con Supplemento XIII) circa la possibilità di usare i Geoponica, sicché diventerebbe pure opportuno offrire una rassegna dei passi che compaiono in quest’opera col lemma ‘Democrito’ o ‘Di Democrito’. Ovviamente queste non sono le uniche revisioni che nuove ricerche potrebbero rendere necessarie.
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ABBREVIAZIONI
Aless. Quaest. Mixt. In Metaph. In Meteor.
Alessandro Quaestiones De mixtione In Aristotelis Metaphysica In Aristotelis Meteorologica
Apuleio Apol.
Apologia
Arist. Cael. Cat. De an. De resp. Divin. GA, Gen. anim. GC, Gen. et corr. Metaph. Meteor. Part. anim. Phys. Ps.-Arist. MXG
Aristotele De caelo Categoriae De anima De respiratione De divinatione per somnum De generatione animalium De generatione et corruptione Metaphysica Meteorologica De partibus animalium Physica Ps.-Aristotele De Melisso Xenophane Gorgia
Ateneo Deipnosoph.
Deipnosophistae
Cicer. Ac. pr. Ac. post. Divin. Epist. ad fam. ND, Nat. deor. Tusc.
Cicerone Academica priora Accademica posteriora De divinatione Epistulae ad familiares De natura deorum Tusculanae disputationes
Clem. Protr. Strom.
Clemente Alessandrino Protrepticus Stromata
D.L., Diog. Laerz.
Diogene Laerzio Vitae philosophorum
Diog. En.
Diogene di Enoanda
Eliano Nat. anim.
De natura animalium
1
Epicuro Ep. ad Hdt. Ep. ad Pyth.
Epistula ad Herodotum Epistula ad Pythoclem
Epifanio Adv. haereses
Adversus haereses
Ermia Irrisio
Irrisio Gentilium Philosophorum
Euseb. PE, Praep. evang.
Eusebio di Cesarea Praeparatio evangelica
Eustazio In Iliadem In Odisseam
Commentarii ad Iliadem Commentarii ad Odisseam
Filodemo Mus.
De musica
Filone Aetern.
De aeternitate mundi
Filop. Phys. In De anima GC, In De gen. et corr.
Filopono In Aristotelis Physica In Aristotelis De anima In Aristotelis De generatione et corruptione
Filostr. Vitae soph.
Filostrato Vitae sophistarum
Galeno Animi mores Med. exp. Elem. Nat. fac. Ther.
Quod animi mores corporis temperamenta sequantur De medica experientia De elementis ex Hippocrate De naturalibus facultatibus Ad Pisonem de theriaca liber
Ps.-Galeno HP, Hist. philos. An animal sit
Historia philosopha An animal sit quod est in utero
Gellio NA, Noct. att.
Aulo Gellio Noctes atticae
Ippol. Ref.
Ippolito Refutatio omnium haeresium
Isid. Etym.
Isidoro Etymologiae
2
Latt. ID DI, Div. Instit. Epit.
Lattanzio De ira Dei Divinae institutiones Epitome divinarum institutionum
Luciano Philops.
Philopseudes sive Incredulus
Lucr.
Lucrezio, De rerum natura
Nemesio Nat. homin.
De natura hominis
Plinio Nat. hist.
Naturalis Historia
Plut. AC, Adv. Colot. Defectu Non posse Primo frig. QC, Quaest. conv.
Plutarco Adversus Colotem De defectu oraculorum Non posse suaviter vivi secundum Epicurum De primo frigido Quaestiones convivales
Ps.-Plutarco Plac. Vita Homeri Fragm. mor.
Placita philosophorum De vita et poese Homeri Fragmenta moralia
Porfirio Harm.
In Ptolemaei Harmonica
Proclo In Remp.
In Rempublicam
Seneca Nat. quaest.
Naturales quaestiones
Sesto o Sesto Emp. AM, Adv. math. PH, Pyrrh. hypot.
Sesto Empirico Adversus mathematicos Pyrrhoniae hypotyposes
Simpl. In De anima In Phys. In Categ.
Simplicio In Aristotelis De anima In Aristotelis Physica In Aristotelis Categorias
Stobeo Ecl. Flor.
Stobeo (anche da solo) Eclogae Florilegium
Teodor.
Teodoreto (anche da solo) 3
GAC, Graec. affect. cur.
Graecorum affectionum curatio
Teofr. CP HP Odor. Sens.
Teofrasto De causis plantarum Historia plantarum De odoribus De sensibus
Tzetzes Chil.
Chiliades
Varrone Lingua lat.
De lingua latina
4
BIBLIOGRAFIA 1. Raccolte complessive o miscellanee e Democritea 1 Doxographi Graeci, collegit recensuit prolegomenis indicibusque instruxit Hermann Diels, Berlin: Reimer, 1879 (abbrev. Dox.) Doxographica aus Basiliusscholien, a cura di Giorgio Pasquali, “Nachrichten von der Gesellschaft d. Wiss. zu Göttingen”, Philol.-Hist. Kl., Berlin 1910, pp. 194-228 (abbrev. Dox.Basil.). Fragmenta Philosophorum Graecorum, collegit recensuit vertit .... F.W.A. Mullach, in 3 voll., Paris: Firmin Didot, 1860, 1867, 1881 (abbrev. FPhG). Die Fragmente der Vorsokratiker, ed. H. Diels e W. Kranz, 6a ed. in 3 voll., Berlin: Weidmann, 1952 (abbrev. DK). Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und deutsch von Hermann Diels, Bd. II, Berlin: Weidmann, 1912 (3a ed. del precedente; abbrev. Vorsokratiker o Vors.). Die Fragmente der Vorsokratiker: Nachträge (di complemento ai voll. della terza ed.), Berlin: Weidmann, 1922. The Presocratic Philosophers. A Critical History with a Selection of Texts, by G.S. Kirk, J.E. Raven and M. Schofield, Second Edition (revisione di Schofield dell’opera apparsa inizialmente nel 1957), Cambridge: Cambridge University Press, 1983 (abbrev. KRS). Epicurea, ed. Hermann Usener, Leipzig: Teubner, 1887 (abbrev. Us.). W. Crönert, Kolotes und Menedemos. Texte und Untersuchungen ... von W.C., “Studien zur Palaeographie und Papyruskunde” VI, München: Müller Verlag, 1906 [rist. Amsterdam: Hakkert, 1965] (abbrev. Kolotes). Stoicorum Veterum Fragmenta, ed. H. von Arnim, in 3 voll. (con vol. IV di indici di M. Adler, 1924), Leipzig: Teubner, 1903-1905 (abbrev. SVF). The Hellenistic philosophers, vol. 1: Translations of the principal sources, with philosophical commentary; vol. 2: Greek and Latin texts with notes and bibliography, by A.A. Long and D.N. Sedley, Cambridge: Cambridge Univ. Press, 1987. Corpus dei papiri filosofici greci e latini (CPF). Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina. Parte I: Autori Noti. Vol. I** , Firenze: Olschki, 1992; vol. I*** (P-Z), Firenze: Olschki, 1999 (abbrev. CPF). Collection des anciens alchimistes grecs, partie II: Texte grec, publiée ... par M. Berthelot, avec la collaboration de Ch.-Em. Ruelle, Paris 1888 [rist. Osnabrück: Zeller, 1965]. Les alchimistes grecs, t. I: Papyrus de Leyde, Papyrus de Stockholm, Recettes, texte établi et traduit par R. Halleux, «Collection des Universités de France», Paris: “Les Belles Lettres”, 1981. Anonimi medici De morbis acutis et chroniis, edited with commentary by Ivan Garofalo, translated into English by Brian Fuchs, Leiden: Brill (“Studies in Ancient Medicine”, XII), 1997. Democritea: collegit, emendavit, interpretatus est Salomo Luria, Leningrad: Nauka, 1970 (abbrev. Lu.) [vedi infra, sez. 5, per trad. it.] Paul Natorp, Die Ethika des Demokritos. Text und Untersuchungen, Marburg: Elwert, 1893 [rist. Hildesheim: Olms, 1970] (abbrev. N oppure Ethika). 1
Il segno * anteposto indica l’edizione da me utilizzata laddove più edizioni di un’opera siano segnalate nella bibliografia. Il segno ° anteposto indica un titolo cui viene fatto riferimento in qualche pubblicazione da me consultata, ma che non ho potuto vedere di persona.
1
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2
MAXIMUS Abbates, Loci Communes, raccolti nel vol. Capita Theologica etc., ed. Fr. Combefis, Paris 1675, rist. in Patrologia Graeca, ed. J.-P. Migne, vol. 91, Paris: Vrayet, 1865. ——, Loci Communes of Maximus the Confessor: Vaticanus Graecus 739, ed. by Margaret B. Phillips, diss., Saint Louis University, 1977 (abbrev. Maxim., come per il precedente, con riferimenti distinti secondo l’edizione). ——, Ps.-Maximus Confessor. Erste kritische Edition einer Redaktion des socroprofanen Florilegiums “Loci communes”, a cura di Sibylle Ihm, Stuttgart: Steiner, 2001. ANTONIUS Monachus, Melissae Sententiae Sive Loci communes, ed. Fr. Combefis, Paris 1675, rist. in Patrologia Graeca, ed. J.-P. Migne, vol. 136, Paris: Vrayet, 1865 (abbrev. Anton.), coll. 765-1244. GNOMICA Basileensia, ed. J.F. Kindstrand, “Studia Byzantina Upsaliensia”, 2, Uppsala [distr. Almqvist & Wiksell, Stockholm] 1991 (abbrev. Gnom. Bas. ). H. Schenkl, Das Florilegium /[Ariston kaˆ prîton m£qhma, “Wiener Studien” 11, 1889, pp. 1-42 (abbrev. Flor. APM) Paolo Odorico, Il prato e l’ape: il Sapere sentenzioso del monaco Giovanni, “Wiener Byzantinische Studien” 17, Wien: Oesterreichische Akademie der Wissenschaften, 1986 (include il Georgidae Gnomologium e il Florilegium Marcianum, per il primo abbrev. Georgida). Alessandra Bertini Malgarini, jArca…wn filosÒfwn gnîmai kaˆ ¢pofqšgmata in un manoscritto di Patmos, “Elenchos” 1984, fasc. 1, pp. 153-200 D.M. Searby, Aristotle in the Greek Gnomological Tradition, Uppsala 1998. 3. Edizioni di opere o altri testi di singoli autori 2 ACHILLES, Isagoga, in Commentariorum in Aratum reliquiae (vedi infra). AELIANUS Claudius, De natura animalium, ed. R. Herscher, vol. I delle Opere, BT, Leipzig: Teubner, 1864. ——, la stessa opera col titolo On animals, in 3 voll., ed. A.F. Schofield, “Loeb Classical Library”, Cambridge, Mass.& London: Heinemann, 1958-59. ——, Varia historia, ed. M.R. Dilts, BT, Leipzig: Teubner, 1974. AESOPUS: Corpus Fabularum Aesopicarum, ed. August Hausrath, vol. I, fasc. 1 e 2, BT, Leipzig: Teubner, 1940-1956. AGATHEMERUS, Geographiae informatio, in Geographi graeci minores, rec. K. Müller, vol. II, Paris: Firmin Didot, 1861, pp. 471-487 (abbrev. GGM). ALEXANDER Aphrodisiensis, De mixtione, ed. R.B. Todd (col titolo: Alexander of Aphrodisias on Stoic Physics. A Study of the De mixtione with preliminary essays, text, translation and commentary), Leiden: Brill, 1976. ——, In Aristotelis Metaphysica commentaria, ed. M. Hayduck, nella serie Commentaria in Aristotelem Graeca, vol. I, Berlin: Reimer, 1891. ——, In Aristotelis topicorum libros octo commentaria, ed. M. Wallies, nella stessa serie, vol. II, 2, Berlin: Reimer, 1891. ——, In librum de sensu commentarium, ed. P. Wendland, nella stessa serie, vol. III.1, Berlin: Reimer, 1901. ——, In Aristotelis meteorologicorum libros commentaria, ed. M. Hayduck, nella stessa serie, III.2, Berlin: Reimer, 1899. 2
Quando sono riportate più edizioni di una stessa opera, un asterisco indica l’edizione che ha servito da riferimento e della quale è stata adottata la paginazione.
3
——, De anima liber cum mantissa, in Scripta minora, ed. I Bruns, nella stessa serie, Supplementum aristotelicum II.1, Berlin: Reimer, 1887. ——, Quaestiones et solutiones (¢por…ai kaˆ lÚseij), in Scripta minora. Quaestiones - De fato - De mixtione, ed. I. Bruns, nella stessa serie, Supplementum aristotelicum II.2, Berlin: Reimer, 1892. ——, *De mixtione, nello stesso volume. ——, De fato, nello stesso volume. ——, De fato (Alexander of Aphrodisias On Fate), Text, translation and commentary by R.W. Sharples, London: Duckworth, 1983. AMMONIUS, In Aristotelis De Interpretatione commentarius, ed. A. Busse, nella serie Commentaria in Aristotelem Graeca, vol. IV, part V, Berlin: Reimer, 1897. ANACHARSIS, The Legend and The Apophthegmata, ed. Jan Fredrik Kindstrand, Uppsala, 1981. ANAXAGORAS, Testimonianze e frammenti a cura di Diego Lanza, “Biblioteca di Studi Superiori” LII, Firenze: La Nuova Italia, 1966. ANONYMUS LONDINENSIS ex Aristotelis Iatricis Menoniis et aliis medicis eclogae, ed. H. Diels, Berlin: Reimer, 1893. ——, *Iatrica (limitatamente a col. XXXVII 32-46), ed. D. Manetti, nel Corpus dei papiri filosofici greci e latini, Parte I, Vol. I** (cfr. supra, sez. 1), pp. 11-15. ANONYMI in Aristotelis Sophisticos Elenchos paraphrasis, ed. M. Hayduck, nella serie Commentaria in Aristotelem Graeca, vol. XXIII, Berlin: Reimer, 1894. APOLLONIUS Citicus, In Hippocratis de articulis commentarius nell’edizione di H. Schöne, Kommentar zu der hippokratischen Schrift Perˆ ¥rqrwn, Leipzig 1896. APOLLONIUS Dysculus, De pronominibus (Perˆ ¢ntwnum…aj) in Apollonii Dyscoli quae supersunt: Scripta minora, vol. II, fasc. 1 dei Grammatici graeci, ed. R. Schneider, Leipzig: Teubner, 1878 (abbrev. GG). APULEIUS, Pro se de magia liber (Apologia), vol. II, fasc. 1 di Opera quae supersunt, ed. Rudolf Helm, BT, Leipzig 1949 (ed. altera). ARATUS, Phaenomena, Introd., texte critique, comm. et trad. par J. Martin, “Biblioteca di Studi Superiori”, XXV, Firenze: La Nuova Italia, 1956. (ARATUS) Commentariorum in Aratum reliquiae, collegit recensuit prolegomenis indicibusque instruxit E. Maass, Berlin: Weidmann, 1898 (2a ed. 1958). ARCHIMEDES, Ad Eratosthenem Methodus, in Opera omnia, vol. II, ed. J.L. Heiberg, BT, Leipzig: Teubner, 1913 (rist., con correz. di E. Stamatis, Stuttgart 1972). ARISTOCLES, Fragmenta, raccolti in Mullach, FPhG, vol. III (Platonicos et Peripateticos continens), pp. 206-21. (Aristocles of Messene) Testimonia and Fragments, ed. with transl. and comm. by M. Lorenza Chiesara, Oxford, Oxford University Press, 2001. ARISTOTELES, Categoriae, in Aristotelis categoriae et liber de interpretatione, ed. L. Minio-Paluello, “Oxford Classical Texts”, Oxford: Oxford University Press, 1949. ——, Topica, ed. W.D. Ross, “Oxford Classical Texts”, Oxford: Oxford University Press, 1958. ——, Physica, A revised text with Introduction and Commentary by W.D. Ross, Oxford: Clarendon Press, 1936. ——, De caelo, ed. D.J. Allan, “Oxford Classical Texts”, Oxford: Oxford University Press, 1936. ——, De caelo (col titolo Du ciel), texte établi et traduit par P. Moraux, «Collection des Universités de France», Paris: “Le Belles Lettres”, 1965.
4
——, De generatione et corruptione (On coming-to-be and passing-away), ed. H.H. Joachim, Oxford: Clarendon Press, 1922. ——, De anima, ed. W.D. Ross, “Oxford Classical Texts”, Oxford: Oxford University Press, 1961. ——, De divinatione per somnum e De respiratione, in Parva naturalia, A revised text with introduction and commentary by W.D. Ross, Oxford: Clarendon Press, 1955. ——, De sensu e De respiratione, nello stesso vol. ——, History of Animals, books VII-X, ed. and transl. D.M. Balme, “Loeb Classical Library”, Cambridge, Mass. & London: Heinemann, 1991. ——, De generatione animalium, ed. H.J. Drossaart Lulofs, “Oxford Classical Texts”, Oxford: Oxford University Press, 1965. ——, De partibus animalium, in Aristotelis Opera, ed. I. Bekker, vol. I, Berlin: Reimer, 1831. ——, Problemata, nello stesso vol. ——, Meteorologica nello stesso vol. ——, Metaphysica (col titolo Aristotle’s Metaphysics), in 2 voll., ed. W.D. Ross, Oxford: Clarendon Press, 1924. ——, Metaphysica. Recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. Jaeger, Oxford: Clarendon Press, 1957. ARISTOTELES, Ueber die Farben. Erläutert durch eine Uebersicht der Farbenlehre der Alten von K. Prantl, München 1849 [rist. Aalen: Scientia, 1978]. ARISTOTELIS qui fertur De Melisso Xenophane Gorgia libellus, ed. H. Diels, “Abhandlungen der Kgl. Pr. Akademie der Wissenschaften zu Berlin”, Phil.-Hist. Kl. I, 1900. ARISTOTELIS quae feruntur, De plantis .... de Melisso Xenophane Gorgia, ed. O. Apelt, BT, Leipzig: Teubner, 1888. ARISTOTELIS qui ferebantur librorum fragmenta collegit Valentinus Rose, BT, Leipzig: Teubner, 1886. ARISTOTELES pseudoepigraphus, ed. Valentinus Rose. BT, Leipzig: Teubner, 1863. [ARISTOTELES] De spiritu in Aristotelis De animalium motione et de animalium incessu; Ps-Aristotelis De spiritu libellus, edidit Werner Jaeger, BT, Leipzig: Teubner, 1913. [ARISTOTELES] Liber Aristotelis de vegetalibus et plantis, translatus ab arabico in latinum a magistro Alveredo de Sareshed, raccolto in NICOLAUS DAMASCENUS, De plantis, Five Translations, Edited and Introduced by H.J. Drossart Lulofs and E.L.J. Poortman, Amsterdam: North Holland Publ. Co., 1989. (ARISTOTELES), Vita Aristotelis ex Hesychii onomatologo, in Aristotelis fragmenta, cit., ed. V. Rose. ARISTOXENOS, Texte und Kommentar, Heft II di Die Schule des Aristoteles herausgegen von Fritz Wehrli, Basel/Stuttgart: Schwabe, 1967 (2a ed.). ATHENAEUS, Deipnosophistae, vol. I (I-IV) e vol II (VI-X), rec. G. Kaibel, BT, Leipzig: Teubner, 1887. BASILIUS (Basilio di Cesarea), Sulla genesi (Omelie sull’Esamerone), a cura di Mario Naldini, Milano: Fondazione Lorenzo Valla, 1990. CAELIUS Aurelianus, *Celerum passionum libri tres, ed. G. Bendz, “Corpus medicorum latinorum”, VI 1, Berlin: Akademie Verlag, 1990.
5
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28
TAVOLA DI CONCORDANZA (fra l’edizione di Diels e Kranz e la presente) 1. LEUCIPPO (testimonianze: A) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
0.1.1 + 4.2+ 4.3 + 80.1 0.1.2 0.8.9 0.8.2 0.8.4; 0.1.3; 0.2.4 10.1; 64.4; 101.3 15.1 + 25.1 + 51.3; 16.4; 21.5; 21.7 3; 5.3 49.1; 50.2 4.4 5.3; 75.2; (9.5; 9.6) 5.1; (25.5; 5.4) 22.1 47.5; 65.2 33.6 + 33.6.1; 20.1 + 48.4 64.1; 64.1.1 5.6 42.3 65.1; 33.1 + 34.1 33.3 78.5; (78.6; 79.2)
22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37
78.3; 81.1 (con 81.1.1); 79.9 78.4 80.2; 78.2 + 81.2 87.5 83.4 83.9 101.1; 101.5 117.4;117.2.2;117.3.1 106.3; 106.4 117.6.1 53.4 8.5 107.1 93.4 94.3 om. (non leucippeo)
(frammenti: B) 1 1a 2
82.3 0.6.2 70.1
26 27 28 29 30 (scritti) 31 32 33 (stile) 34 (dottrina) 34a 35 35a 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 46a 47
0.4 9 0.4.11 0.4.1; 0.4.2 0.4.3 om.(ma PT, sez. 1, n. 5)
2. DEMOCRITO (testimonianze: A) (vita, ecc.) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 10a 11 12 13 14 15 16 17 17a 18 19 20 21 22 23 24 25
0.2.1 + 4.1 0.2.2 5.2(9) 0.2.8 0.2.6 0.4.4; 0.2.7 87.2 59.2 0.8.13; 0.8.11 0.8.16.1 0.8.18 0.5.16 187.4 0.3.14 0.3.18 0.3.16; (0.5.14); 0.3.15 0.3.19 0.4.14 0.5.6 0.4.12; 0.4.13 0.4.15 0.5.18 0.3.6;0.3.5;0.3.3;0.3.7 0.4.7 0.4.8 0.4.5; (0.4.6.1) 0.4.10 1
0.2.2 0.9.8; 0.9.9 0.6.1 0.7.1;0.7.2;0.7.3;0.7.4 79.4; 0.9.1-7 50.2 0.5.12 1.1; 1.3 7.1 + 79.4 3; 51.5 4.6 4.5 + 0.2.3 38.1 20.3; (om., su Parmenide) 9.4; 40.3 5.7 12.1 5.1 (+ Galen.) 18.6 + 48.7 9.1; 64.6;
48 48a 48b 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 60a 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 89a 90 91 92 93 93a 94 95 96 97 98 99 99a 100
64.7; 64.3; 64.5 22.7 22.6 24.3 + 24.4 8.3 76.1 0.8.29 0.8.26 0.8.27; 0.8.32 saltato in DK 0.8.6; 6.2; 0.8.6, n. 165 9.3 6.6; 8.1; 13.2 19.2; 19.3 58.4 51.3; 68.2 48.4 66.3; 68.4.1; om. (Epic.) 69.1 62.4 52.3; (52.5) 42.2 70.5; 98.3; 77.1; (70.3) 72.3 71.1; 71.3 72.1; (72.4); 74.3 73.1; (73.4); 75.1 43.1; 43.2 43.3; (om. Epic.) 90.7 113.1;113.2;114.1; 114.2 128.1;128.3;128.4 128.5 110.4;110.5 112.7 (appendice) 112 6 75.4 46.1 79.6 81.3 79.10 82.1 84.1; (86.1) 82.4.1; 9.3 86.2 86.3 84.2 82.7 (85.1;) 85.2; 85.3; 85.5 (85.6;) 85.7; 85.11 87.6 87.1 83.5;187.3 83.7 83.10 87.2 87.3 88.1; (88.2); om. (ma PT, sez. 21) 88.6 88.4
101 102 103 104 104a 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 126a 127 128 129 130 131 132 133 134 135
136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 150a 151 152 153 154 2
101.1;102.1;102.2 101.6 101.9 103.3 103.1 105.7;105.9;105.1 104.1 105.10 103.5 103.6 58.3 60.1 57 105.3 59.2 106.5;106.6 106.7 108.1;108.2.1 110.8 120.1;121.3 47.1 117.2 118.3 50.5 53.6 53.6 120.1 119.2 90.5 90.3 121.3 121.4 121.4 121.6 121.2 58.2 116.2 + 117.1 + 119.1 + 106.2 + 55.1 + 55.2 + 122.1 + 55.3 + 121.1 + 123.1 + 123.2 107.2; 110.1 110.2 111.1; 111.3; (111.4) 125.2;92.1;125.3 93.6 93.3 94.2 94.1; 94.5; 94.4; 94.6 96.1; 96.4; 96.5 96.2; 96.3 97.1 98.3 91.4 97.2 91.5; (91.5.1) 96.8 96.7; om.(ma PT, sez. 23); 96.7.1; 97.2 97.3 98.5 98.6
155 155a 155b 156 157 158 159 160 161
98.7 99.3 99.2 99.4.1; 99.4 99.5 99.1 188.9 108.3; 109.1; 109.2 0.4.3.1
162 163 164 165 166 167 168 169 170
98.1; 98.2 121.5; (91.2) om. (Alberto Magno) 89.1; 89.1.1 132.3 131 133.4 133.2;133.3 181.3
30 31 32
128.2 136.1 93.2.2;93.2.7;93.2.1;93.2.3;93.2.5; 93.2.6 (93.2.4) 171.1;171.1.1 124.1;124.3;(124.2) 184.1 134.3 134.1 157.3 162.2 134.2 161.5 176.2 161.2 165.1.1 157.1 143. 1 156.3 162.3 156.4 146.7 164.2 164.3 163.4 163.5 138.7 163.1 142.4 134.5 138.10 171.4 161.4 149.4 160.1 163.6 170.2 170.3 161.3 138.9 160.3 139.4 144.3 141.3 144.4 175.2 139.3 156.2 164.7
(frammenti: B) 0c 1 1a 2 3 4 4a 4b 4c 5 5.1 5.2 e 3 6 7 8 9 10 10b 11 12 13 14.1 14.2 14.3 14.4 14.5 14.6 14.7 14.8 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 26b 26f 27 27a 28 29 29a
0.3.23 109.3 151.7;151.8 191.1.1-1.3 152.1;152.2;152.3;152.4; (152.5.1, 152.5.2) 132.1 0.6.1 (DL IX 46) 0.6.2 0.6.1 (DL IX 46) 0.2.1 (DL IX 41) 125.1 + 126.1 om. (ma Introd.) 60.1 60.1 60.1 60.1 60.1 60.4 60.1 185.1 130.8 185.4;185.3 185.2 186.1 186.4;186.5 185.5 185.6 185.7 + 186.2 186.3 187.2 127.3 115.2;115.1;115.3 115.4 130.4;130.4.1 130.5 115.5 130.3 130.1 130.2 82.5 129.1 (om.) 189.1;189.2 189.6 189.7 189.5 191.14 130.9
33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 53a 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 3
77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 107a 108 109 110 111 112 113 114 115 115a 116 117 118 119 120 121 122 122a 123 124 125 126 127 128 129 129a 130 131 132 133
146.4 146.12 167.5 152.5 173.4 163.7;184.2 161.1 159.3 164.5 164.4 167.1 174.3 160.2 182.5 162.1 177.1 177.2 177.3 178.1 177.4 179.3 179.4 179.5 179.8 179.2 144.1 179.7 183.3 134.4 179.1 179.9 176.4 173.5 179.6 180.2 180.3 142.3;148.3 167.4 162.4 167.3;138.8;184.3 186.6 0.5.15 61.1;61.3 0.5.5 0.5.5;147.1;147.1.1 188.8 130.7 191.4-4.1 191.2 191.3 93.4 60.3 99.6 175.3 130.10 193.1 130.6.1 191.6 191.7 191.8 191.9
134 135 136 137 138 139 139a 140 141 142 143 144 144a 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 155a 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 4
191.10 191.11 191.12 191.13 192.1 192.2 192.3 192.5 192.6 129.2 166.2 127.2 191.15 164.1 142.1 193.2.2;193.2.1;193.2.2.2;193.2.2.1 96.6;(96.6.1) 135.3 164.6;(187.5;164.6.1) 173.1 87.7 153.2;153.2.1 127.1 27.1;27.2 69.3;69.4 59.1 153.1;153.1.1 150.1;(150.2;150.3) 135.1-2 149.5 om. (ma PT, sez. 29) 191.5 59.4 63 2.1(265);61.2; 2.3;2.1(267);0.5.1 112.1 72.3 19.3 170.1 131 131 145.1 145.2 157.8 148.1 147.2 163.2 172.2 172.3 171.2 155.3 169.4 171.3 166.5 171.5 179.10 134.3 132.2 139.1 163.3 137.1
192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227 228 229 230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240 241 242 243 244 245 246 247 248 249 250 251 252
166.6 167.2 142.2 173.6 166.3 138.3 173.3 151.3 151.1 138.4 138.5 151.4 138.6 151.2 151.5 139.2 182.3 143.4 140.2 140.1 188.7;93.2.1 176.1 143.2 157.9 138.1 e 160.1 148.2 146.8 146.1 146.9 146.10 168.1 e 163.6 135.5 144.2 165.1 165.2 168.2 168.3 146.5 149.1 144.6 140.3 141.1 136.2 141.2 138.2 174.1 166.8 166.7 169.1 169.2 169.5 169.3 159.2 e 149.4 155.2 143.3 138.12 155.1 154.3 154.2 154.4 154.1
253 254 255 256 257 258 259 260 261 262 263 264 265 266 267 268 269 270 271 272 273 274 275 276 277 278 279 280 281 282 283 284 285 286 287 288 289 290 291 292 293 294 295 296 297 298 (dubbi) 298a (non autentici) 299 300.1 300.2 300.3 300.4 300.4a 300.5 300.6 300.7 300.7a 300.8 300.9 5
157.6 154.5 154.7 157.2 158.1 158.2 158.3 158.4 157.4 157.5 178.2 159.1 157.7 154.6 156. 1 166.4 147.3 162.8 175.1 182.6 180.4 180.1 181.1 181.2 182.1 182.2 182.4 172.1 146.14 146.11 146.2 146.3 149.2 144.5 173.2 184.4 149.3 137.2 146.6 138.11 176.3 183.1 183.2 183.4 151.6 130.11 om. 0.3.22; (0.3.21; 0.3.22.1-22.2) 0.8.23;0.8.23.1 0.6.4;0.6.5 0.8.24,189.10;189.8 0.8.25 188.10 om. (ma Introd.) 0.6.5.1;0.5.7 om. (Gal. su Senocr.);0.6.7;0.6.6;188.6 om. (“Probe”) (189.6.1;189.10.1;189.12-15);0.6.16.1;0.6.16 0.6.10.1
300.10 300.11 300.12 300.13 300.13a 300.14 300.16 300.17 300.18 300.19 300.20 301 302
188.1;0.6.10;(188.2-4);0.6.14; 0.6.14.1;0.6.14.2;(188.5) 0.6.17 0.5.11;0.6.10 0.6.9 om.(Gal. Su Senocr.);0.6.8 190.2 0.6.12 0.6.11 0.6.13;0.6.13.1 om. (cfr. Introd. + n. 65) om. (cfr. Introd. + n. 65) om. (Fulgenzio) scelta (cfr. Introd.)
6
302.166 ….. 302a 303 ecc.
147.4
C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8
0.5.8 0.3.10 0.3.12 om. (cfr. Introd.) 0.5.4 136.1.1 + 119.2.1 om. (Ipparco, cfr. Introd.) riferim. (cfr. Introd.)
153.3 om.
CONCORDANZA (Luria - Leszl) De vita Democriti a.1.Quo tempore Dem. vixerit I 0.2.1 (D.L. IX 41-42) II 1.1; 1.3; 61.4; 133.3 III 0.2.5 IV 0.8.16 V 0.2.2; Zenone in Suda (om., informazione cronologica imprecisa) VI 0.2.6 2.Dem. in philosophiae historia ... VII 0.8.1 VIII 0.8.3; 0.8.3.1; 0.8.2; 8.5 VIII (Leuc.) 0.1.1; 3 3.Ubi natus sit IX 5.2; 0.2.1; 0.3.22.2 X 0.6.11 b.vita.1.pueritia et iuventus XI 0.2.1 (D.L. IX 34-36) XII 0.5.16 XIII 0.2.1 (D.L. IX 36, 38) XIIIa [Hipp.] Epist. XII (om., Dem. leggendario) (Anon. in SE) (n. 59 ad 0.3.11.1) (Lucian.) 0.5.9 2.Iter in terras orientales XIV 0.3.22, 0.3.22.1 XV 0.3.22.2 XVI 0.3.21, 0.3.20 XVII 0.2.1 (D.L. IX 35) XVIII 0.2.3 XIX 0.2.2 XX 0.3.19 XXI 0.3.14 XXII 187.4 XXIII 0.5.18 XXIIIa (comm.) 0.6.9; 0.6.5.1; 0.6.12; 0.4.16; 0.6.11 3. Iter ad Athenas XXIV 0.2.1 (D.L. IX 36); 0.5.15; 0.5.16 XXV 0.2.1 (D.L. IX 37) 4. D. in patriam redit, in ius vocatur, gloria potitur XXVI 0.2.1 (D.L. IX 39); 0.4.7; 133.3 XXVII 0.3.16; (0.3.25;) 0.3.15; Origine (om., cfr. ragguaglio [= R]) XXVIII 0.2.1 (D.L. IX 39) XXIX 0.3.18 XXIXa Athenag. (om., cfr. n. 59 ad 0.3.11.1) XXX 0.2.2 XXXI Nummus (cfr. PT, sez. 1) 5. De sapientia Democriti narrationes fabulosae.
1
Apophthegmata ipsius XXXII 0.2.1 (D.L. IX 39); 0.2.2 XXXIII 0.4.15 XXXIV 0.4.14 XXXV 0.4.12; 0.4.13 XXXVI 0.2.1 (D.L. IX 42) XXXVII 0.5.6 XXXVIII Maxim. 20, p. 597 (om., non attendibile per lo stesso Luria) XXXIX Maxim. 16, p. 586 (om., idem) XL dubium (Maximum, om., test. non attendibile) XLI Maxim. 32, p. 621, Anton. II 45, p. 195 (om.) XLII 0.4.7 XLIII 133.3 XLIV 0.4.8 XLV 0.4.11 XLVI 0.4.10 XLVII 0.4.9 6. Senectus et mors XLVIII 0.4.4; 0.2.7 XLIX 0.2.1 (D.L. IX 39); PHerc. (om.) L Hieron. (P.L., om.) LI 0.4.5 LII Maxim. 36, p. 627, Ant. Melissa I 58, p. 103 (om., R) LIII 0.2.1 (D.L. IX 43) LIV 0.4.1 LV 0.4.2 LVI 0.4.3 LVII Marc’Aur. III 3 (om., cfr. Presentazione dei testi [= PT], sez. 1 + n. 5) c. Democritus scientiae cultor 1. Doctrinae studia summum vitae gaudium LVIII 0.5.5; Theodor. Prodr. (om.) LIX 0.5.12 LX 0.5.7 2. Fabula de philosopho ridente LXI 0.3.6 LXII 0.3.5; 0.3.3; 0.3.1; 0.3.2; 0.3.11.1 LXIII 0.3.10; [Hipp.] Ep. XVII (om., cfr. Introduzione) LXIV 0.3.7 LXV 0.3.11; 0.3.8 LXVI 0.3.9; 0.3.4 LXVII 0.2.2 LXVIII 0.2.3 (+ test. cristiane, om.) 3. Amici et consortes studiorum LXIX 0.2.1 (D.L. IX 42); 0.8.10; 0.8.12; 0.8.32 LXX 0.8.13; 0.8.14; 0.8.15 LXXI 0.8.11 LXXII 5.5; Apul. Florida 18 (om., R) LXXIII 78 e 76 LXXIV 0.5.19
2
LXXV 0.8.9 LXXVI 0.8.18 LXXVII 0.8.16.1 LXXVIII 0.8.17 LXXIX 0.2.2 4. Plato et Democritus LXXX D.L. III 25 (n. 26 ad 0.2.1); 0.2.1 (D.L. IX 40) 5. Discipuli et consectatores Democriti Democritei LXXXI 0.8.3; 0.8.19 LXXXII 0.8.2; 0.8.37 LXXXIII 0.8.19.1; 0.8.38 LXXXIV 0.2.2 LXXXV 734 LXXXVI 0.8.20 LXXXVII 0.8.1 LXXXVIII 0.8.34 LXXXIX 0.8.21 XC 0.8.22 XCI 0.8.25; 0.8.23; 0.8.24 Sceptici XCII 0.8.36 XCIII 0.8.39 XCIV 0.8.38 Epicurei XCV 0.8.26 XCVI 9.1; 0.3.13 XCVII 114.2 XCVIII 0.8.27 XCIX 0.8.29 C 9.3 CI 0.9.4; 0.9.5 CII 0.8.35 CIII 0.8.32 CIV 0.8.30 CV 59.1 CVI 0.8.28 6. Democritus contra dialecticos CVII 164.6, 187.5, 164.6.1 CVIII 164.5 CIX 164.3 CX 164.4 CXI 170.2, 170.3 CXII 170.1 CXIII 173.6 CXIV 162.4 7. Scripta Democriti CXV 0.6.1 CXVI 0.2.2; 70.1; 60.1; 130.8; 185.5
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8. Scripta de Democrito CXVII-CXXVI = 0.9.1-0.9.9 CXXVII 0.2.1 (D.L. IX 41: Trasillo) Democriti doctrina A. Principia generalia a. Principia rerum 1. Principium “isonomiae” 1 41.1; 41.4; 44.1; 9.5 (§ 10) 3 2 3 58.1; 57; 55.3 4 83.8; Arist. DC II 13 (om., su Anassimandro, non pertinente, perché 83.8 non attendibile, cfr. n. 643 ad loc.) 5 36.1 6 46.1; 46.2; 0.3.10 (p. 322) 7 59.1; 10.1; 3 7 177 (Asclep.) 8 57; 13.3 II. Principium analogiae inter microcosmum et macroc. 9 65 10 124.2; 124.1; 124.3 11 316 12 371 e 530 12a 166.1 III. Quod aeternum est, neque initium neque causam habet 13 42.1 14 304 14 42.2 15 180 e 181 15a 5.9 16 64.1; 10.1; 64.4; 4.4 17 42.3; Alex. Metaph. XII 6 (om., R) 18 72.1; 72.4; Themist. (om., R); 72.5; 72.6; Filop. (om.) 19 72.3 20 4.6 21 43.1; 43.2 IV. Necessitas naturalis 22 70.1 23 4.1; 81.3; 70.2.1; 98.3; 4.6; 4.4; 81.1.1 24 71.1; 71.3; 71.2; 70.5 25 77.1; 64.1 26 75.4 27 75.1 28 73.4 (+ 73.4.3); 73.1 29 0.5.5 30 0.3.7 31 74.1 (Arist. Phys. II 8); Simpl. ad loc.(om., parafrasi, senza menzione di Dem.)
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V. Libera voluntas 32 0.5.5, 147.1 33 145.1 33a 147.2 33b 147.3, 173.5 33c 606 33d Ant. Melissa I, 70 (om.) 34 145.2 35 169.4 36 Arist. De interpr. 9 (om., non pertinente) 36a 74.2; Epic. Gnom Vatic. 57 (om., pertinenza almeno dubbia, spesso associato al 56); 0.9.4 37 76.1.1 76.3; 76.2 38 39 76.1; 5.11; 8.4 40 Themist. (om. = 18) 41 73.6 (+ 73.6.1) VI. Ex nihilo nihil fieri 42 8.1; 4.1; 13.3 42 (Alex.) 178 43 20 44 79.6 VII. Principium impenetrabilitatis 45 255 46 146 e 211 47 292, 237, 293 b. Theoria cognitionis (gnoseologia) 1. Confessio ignorationis propaedeutica 48 60.1 49 60.1 50 60.1 51 61.1; 61.3; 61.5: 61.6; Isidoro (om., cfr. PT, sez. 16) 52 80 52 57.1 53 8.5 54 58.3; 53.5 55 60.1 56 58.2 57 53.1 57 92 58 61.2; 61.4 59 53.7 60 54.1.2 61 8.1; 8.4; 59.1; 58.5 62 73.6 63 Graeco-Syr. dicta ecc. (om., spurio: socratico) 64 166.2 65 2.1; 2.2: 2.3; Mich. Ephes. in PA I 1 (om., libera interpr., R) 66 429
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67 101.1; 57 67 460 68 452, 463 68 105.5, 106.4 e 106.3 (Aet.); 4.1 (D.L.); 105.6 (Tert.) 69 105.3 70 240, 96 71 55.1; 55.2 72 60.1 73 80 74 105.1 II. Refutatio phenomenalismi puri Xeniadis et Protagorae 75 59.4 76 59.2 77 57; Syrian. (om., R) 78 59.1 III. Cognitionis duo genera 79 60.3 80 57 81 60.1 82 CXV 83 60.1; 105.7 84 0.5.13 85 58.1; (Marc’Aur. VII 31) 8.4, n.79 86 438 87 Anon. in Arist. Eth. Nic. (om., Dem. citato solo ad esempio) 88 0.5.3 89 139.4 90 8.3 91 121.5 92 58.4 93 382 94 487 95 53.4 96 434 97 Albertus Magnus (om., Introd. LIII-IV) c. Eorum quae sunt formae logicae I. Generalia 98 CXV 99 1.3; 1.1; 1.2; 1.2.1; Themist. in Phys. II 2 (om., R); 1.2.2 100 50.2 101 24.1 e 24.3; Philop. (om., parafrasi, R); (27.1) 101 530; 533 II. Cognitio directa 102 65 102 60.4 103 70.4 (+ n. 545 e PT, sez. 19) III. Tertium non datur 104 Plut. 1080C (om., riferimento a posizione epicurea secondo Cherniss ad loc., cfr. PT, sez. 9 fine)
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B. Mathematica a. Demonstratur necessitas admittendi ta amere 105 24.4; 24.7; 24.8; 24.9; 24.10; 24.11 105a 23.1 b. Amere mathematica I. Indivisibilitas tôn amerôn 106 22.7 107 22.6 108 26.3; 26.3.1; Simpl. DC III 7 (om., parafrasi); Philop. CG I 8 (om., sempre parafrasi di Arist. DC III 7) 109 20.1; 26.1; Simpl. in Phys. III 7 (om., solo interpr.) 110 429 111 247 112 8.3 22.1; 5.2 113 114 Ascl. (om., R); 6.7 Ps.-Arist. Lin. insec. (om., non pertinente) 115 Bratward. (om., Bradwardine, autore medioev., 116 nessuna informazione indipendente) II. Amere et elementa Platonicorum et Pythagoreorum 117 103.1; Simpl. in De anima I 4 (om., parafrasi); 103.2; Sophon., idem (om.) 118 222 119 131 120 21.4; 21.4.1; Syrian. (om., R) 121 Sextus AM X 252-256 (om., solo critica della teoria atomistica, con riferimento esplicito al solo Epicuro in § 257) 122 47.3 III. Genera atomorum duo 123 362 123 Themist. (om., poco attendibile) 124 Suppl. su Diodoro Crono (om., ma cfr. 6.2, 6.3 e 6.4) IV. Axiomatica 125 27.2, Euclide ecc. (om., non pertinente) V. Amerôn integratio 126 27.1; 26.2; Simpl. DC III 7 (om., solo parafrasi o spieg.); Arist. DC III 5 (om, cfr. PT, sez. 9); 126 104 (Plut. 1080C) 127 Syrian. (om., R) 191.5; 191.5.2 128 Arist. (om., critiche) 129 Arist. DC III 4 (om., riguarda i Platonici, non Dem., nonostante 130 contesto); Simpl. ad loc. (om., solo spieg., senza riferimento agli atomisti) 69.3; 21.2; 69.4; 69.5; Themist. (om.) 131 132 102.3 (in parte) VI. Tactus 133 82 (CXV) VII. Incommensurabilitatis aporia
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134 CXV c. Geometria I. Planimetria 135 CXV 136 191.8 137 XIV II. Actinographia 138 CXV 139 190.1 (+ 117.1) 139 434 (Philop.); 53 (Epiph.) d. Infinitas I. Demonstrationes, quibus ostenditur infinitatem exsistere 140 1 II. In corpore finito numerus infinitus atomorum contineri non potest ... 140a 200; 275 141 40.1 142 277, 494 142 48.5 (Philop.); 101.4 (Simpl.) 143 8; 105; Themist. (om.) 144 280 144 Schol. e Apost. (om., cattiva dossografia) 145 38.1; 38.4 e 38.3; 38.2; 69.2; 123.1 C. Atomorum doctrina a. Historica et generalia I. De historia atomorum doctrinae 146 15.1 147 3 148 Schol. (om.); 12.7 149 0.2.1 150 3; 5.4 151 4.4 152 VII 152 0.1.1, 0.8.4, 0.8.2 153 0.2.4 154 CXV 154 0.2.1; 0.1.3; 0.8.7 155 Philop. (om., parafrasi, R) 156 186.6 157 413 158 Philop. (om., R; per riferimento a Phys. I n. 189 ad 22.4) 159 0.2.1 (D.L. IX 34-35); 0.8.8 160 72; 139 161 4.2 162 0.1.2 163 0.2.2 163 CXV, 22 164 0.6.2 165 5.3
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165 226 166 252 167 75 168 0.2.1 (D.L. IX 41) 169 0.8.6; 6.2 170 110.1.2; 110.1.3 II. Testimonia generalia 171 47.1; 47.2; 47.1.1; 77.2 171 31, 99 172 7.1 173 10.1; Alex. ad Metaph. I 4 (om., riporta variante del testo) 174 109 175 25.4 176 Schol. (om., non attendibile: vuoto = aria) 177 Asclep. (om., R) 178 13.3; Asclep. (om., R) 179 8.1 180 9.3 181 46.2 182 9.3 183 6.5; 6.5.1 184 382 185 8.3 186 5.1 187 33.6 188 12.2 189 101.2 190 16 191 5.4 192 5.6 e 5.7 193 10.4; 10.4.2 194 5.5; 5.5 195 132.3 (cosmol.) b. De atomo I. Quibus nominibus atomi notentur 196 247 196a 313 197 188; 172; 90; 78 198 6.6; 8.1; 101.6; 192.6 199 5.2 II. De atomorum forma a sensuum perceptionibus spectata 200 101.1; 101.4; 101.2; Themist. (om., R); Sophon. (om., R); 11.4 201 5.2, 5.2.1 202 Hieronym. (om.) 203 302 III. De atomorum magnitudine 204 7.1 205 146 206 24.11
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207 64.6; 9.4 208 123 (Themist., om.) 209 217 210 230 IV. De atomorum apathia et soliditate 211 20.3, 20.4 212 22.2 212 237 213 Arist. Phys. VIII 4 (om., generale) 214 65.2; 53.6; 10.4; 5.1; 12.6 215 4.1; 8.3 216 8.1 217 9.1.1 218 9.5; 9.6 219 9.4 V. De atomorum materia et formis 220 38.1 220a 48.4 221 13.2; Alex. Metaph. XII 2 (om., R); 8.3 222 25.1 223 11.1 224 37.2 225 9.7 226 75.2 227 7.1 228 11.3 229 25.5 230 39.2 231 131; 240 (Philop. GC I 1); 279 (Philop. Phys. II 2) 231 Simpl. (om, parafrasi, R) 232 90.7 233 12.3 234 9.1; 40.2 235 9.5; 9.6 c. Quomodo atomi inter se sitae sunt I. Quid sibi velit haphe 236 21.5; 21.7; Philop. GC I 2 (om., R) 237 38.1, 38.3 (Simpl. [448, errore per 458]), 20.2, 41.3 II. De uniuscuiusque atomi situ 238 12.1 239 51.5 240 49.1, 50.2, 49.2 240 433 241 10.1, 9.6 242 10.2 243 487, 95 244 295 245 18 246 12.3; 50.6
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247 47.5; 3 247 295 248 5.7 d. De inani I. Inane definitur 249 36.2; Themist. (om.; non democriteo: vuoto = privazione) 250 om. (n. 249 ad 30.5); 30.5 251 30.6 252 16.4 253 30.7 254 31.2 II. Esse inane demonstratur. Inane motus causam esse 33.1, 34.1 255 256 34.3; Themist. (om.); 34.3.1 257 Arist. Phys. IV 8 (om., niente che non compaia negli altri passi riportati) 258 48.7 259 48.7.1 260 35.1, 35.3 260 332 III. Qua de causa to me on a philosophis admittatur ... 261 105a 261 65.1 262 13.3 263 Alex. (om., niente di nuovo) 264 177 265 9.4 266 30.1 267 30.2 IV. Duo genera inanis 268 Themist. (om., niente di nuovo); 33.3 269 101.2 270 33.4; 33.3 e. De quattuor elementis I. De conformatione quattuor elementorum 271 4.1 272 171 272 Sophon. (om., niente di nuovo); 9.5 II. Quibus primordiis unumquidque quattuor elementorum constet 273 47.5 274 48.4, Simpl. (om., spiegazione di critica aristotelica, non testim.) 275 48.4; Simpl. (om., nessuna informazione nuova o indipendente, R); 48.6.2 (Simpl.); Themist. (om., R) 276 18.7 277 Arist. De sensu 4 (om.) + Alex. ad loc. (om., cfr. PT, sez. 26) 278 48.2 279 1.2.2 279 240 280 496 281 87.7
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D. Mechanica et cosmogonica a. De motus et temporis natura 282 483 (resto omesso, cfr. PT, sez. 26) 282 August. Ad Diosc. 30 (om, riprende Cicer. Nat. deorum I 109 riguardante posizione epicurea) 283 21.1 (in parte) 284 Arist. De sensu 6 (om., perché passo, come i successivi, non attinente, cfr. PT, sez. 18). 285 Arist. De sensu 6 (om.) 286 Arist. Phys. VIII 8 (om.) 287 43.3 287a 104 287b,c passi ritenuti essere, come 284, 285, 286, in polemica con Dem., non menzionato (om.) b. De magni inanis forma et temperatione. De mundorum origine I. Generalia. Dinos. De primordiali atomorum motu 288 18, 19 288 72.6 289 80.1 290 308 291 4.4; 78,2 e 81.2 292 20.1; 20.2 293 7.1 294 16, 117 295 65.2 296 Themist. (om., R) 297 80.2 298 8.3 299 9.4 300 79.1; 79.1.1; 79.2 301 9.3; 76.2 302 9.5 303 August. (om., solita polemica contro gli atomisti) 304 43.1; Arist. Phys. VIII 3 + Simpl. (om., R) 304 330 (Arist. Phys. VIII 7), 331 (Arist. Phys. VIII 8) 304 64.1; 64.1.2; 64.1.3 305 64.1; 64.1.1; Simpl. 591.12 (om., niente di nuovo, R) 306 103.4; 64.3; 4.5 306 192 (Hermias) 307 365 308 81.3 309 Themist. (om., parafrasi non precisa) 310 299, 297 311 64.5 312 73.5 313 332 313 19.3 II. De primordiali atomorum celeritate 314 36.3; 36.4
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III. De attractione et repulsione 315 62.4 315 431 316 63; 90.3; Arist. MM (om., non è una test., ma cfr. n. 693 ad 90.3) 317 116.2 317 478 318 3; 80.1; 88.5; 4.4 319 0.6.1; 89.1; 89.1.1 320 7.1 321 121.4 322 523 e 493 323 64.6; 77.1; 80.1 323 294, 295, 298 IV. De concretione et discretione. De mixtione 324 191.13 325 192.1 326 192.2; 0.6.1 327 192.3 328 13.1, 49.3, 12.2 329 → 300 330 Arist. Phys. VIII 7 (om., posizione aristotelica, eccetto 260b7-15 = 19.1); 19.1.1 (Simpl. ad 260b7) 331 Arist. Phys. VIII 8 (om., riguarda soprattutto Eraclito, cfr. Ross ad loc.) 332 19.2 19.3, 19.4 333 Simpl. (om., niente di nuovo, R) 334 18.6; 18.7 335 335 → 145 336 49.1; Philop. (om., niente di nuovo, R) 337 24.1; 50.5; 24.7 338 51.3 339 79.4 340 52.1, 52.2 341 52.5, Simpl. (om., niente di nuovo), Themist. (om.) 342 52.3, 52.4 V. Ignis per lucem producit calorem 342a Brunus (om.) (testo tardo non indipendente) VI. Innumeros esse mundos interitu obnoxios 343 79.3, 79.4 344 79.5; 79.6 345 78.5; 72.4 346 78.7; 72.5 346 → 12 (Them.) 347 → 1 348 → 300 349 78.8; 4.5 350 9.3; 46.1 351 79.7 352 78.6
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353 79.9; 79.10 354 99.7 355 4.3 356 4.1 357 78.6.4 358 Ambros. (om.) 359 August. (om.) 360 Ioann. (om.); 0.8.19.2 VII. Num etiam extra tous kosmous gravitas et summum et infimum sit 361 9.3; 68.1; 36.6; 36.7 362 Arist. DC III 1 (om., del tutto non pertinente); 10.1; 64.4 363 55.3 364 313 365 9.1; 64.6; 64.7 366 378 c. De mundi mechanica temperatione I. Omnia ad centrum turbinis niti. De gravitate 367 66.1, 66.2 368 51.3; 68.2; 68.2.1; 68.2.4; 66.3; 68.4.1; Simpl. 685.17 e 693.4 (om.) 369 55.2, 55.3 370 67; 67.1; Simpl. (om., parafrasi, niente rifer. a Dem.) 370 → 18 (Philop.) 371 87.1; Themist. (om.); Arist. DC II 14 (om.: resoconto aristotelico della formazione della terra anche se ispirantesi a quello di ‘alcuni dei naturalisti’, ma non includenti Dem.) 371 → 256 (Simpl.) 372 383 373 5.6 374 Alphonso (om.) 374a 408 II. Motus corporis pendet ex forma eius nec non e materia medii in quo corpus movetur. Frictio 375 69.1; 69.2; Themist. (om., R); Simpl. (DC IV 5, om., interpr., niente rifer. a Dem.) 375 → 314 (Simpl. Phys. IV 8); 275 (Simpl. DC III 4) 376 67; 83.6 377 36.1.1 (in parte, per resto cfr. PT, sez. 10 fine) III. He dia ten dinesin phora 378 om. (Arist. e Simpl., R); 72.5 IV. Cur res quae in centro turbinis iacent immobiles sint 379 → 4 V. Corporum motus mutuo nexu coniunctos esse 380 Arist. DC II 7 (om., non pertinente); 64.1.1 380 → 394 (Lucr.) d. De mundi origine I. Generalia 381 → 221 381 Themist. (om.) 382 80,1; 125.1
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383 80.2 384 XXXIV II. Mundum nostrum rotundum esse 385 78.3 III. De caeli origine 386 78.4 387 86.1 388 → 17 389 4.2; 80.1 390 84.1; 0.6.1; 85.11 390 → 394 (Lucr.) 391 4.5 392 82.3 393 82.1; 80.1; 82.2 394 86.2 395 4.6, 80.4 396 82.4.1; 9.3 397 4.1 397a 82.5 398 82.6; Achilles (om., niente rifer. a Dem.) 399 84.2; 80.1; Olymp. (om.) 400 82.7 IV. De terra 401 83.3; Themist. (om.) 402 83.7 403 83.2; 83.8 404 4.2 405 83.4-5; 83.5.1 e. Geographica et meteorologica I. Geographia et geologia 406 0.6.1 407 187.2; 187.3 408 187.4 409 88.4; 88.5; Olymp. (om., libera interpr.) 410 88.6 411 88.1; 88.2; 88.3 412 Schol. Apoll. Rhod. (om., cfr. PT, sez. 21) 413 87.2 414 87.3 II. De rebus caelestibus 415 87.5; 87.6; 87.7 416 85.6; 85.7; Philop. (om., R), 85.8, 85.9, 85.11 417 85.1; 85.2, Olymp. (om.) 418 85.3; 85.5 III. De ecliptica 419 83.9, 83.10, 80.1 420 86.3 IV. Astronomia descriptiva et temporum ratio 421 0.6.1
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422 185.5, 130.8; 0.9.2 (D.L. V 43) 423 185.1 424.1 185.4 ; 185.3 424.2 185.2 424.3 186.1 424.4 186.4 424.5 185.5 424.6 185.6 424.7 186.2 E. De sensibus et cognitione a. Generalia I. Ad rei historiam 425 119.1 426 55.1 (in parte) 427 117.7 II. Sensus e ratione atomorum explicantur 428 120.1; 120.2; Alex. 93.12 (om., critica a Dem.) 429 Arist. De Sensu 6; Alex. (om., come i seguenti, cfr. PT, sez. 26) 430 Arist. De Sensu 6; Alex. (om.) 430 → 441 (Theophr) 431 Arist. De Sensu 6; Alex. (om.) 432 54.2 433 50.1 50.3; Lucr. (om.) 434 55.2; 123.1 435 106.3; 106.4 436 437 106.5; 116.3 438 106.7 439 → 247 III. Democritus quid sensuum ad exteriora quid ad interiora referat Theophrasto interprete 440 121.3 441 55.2; 55.3 442 121.2 b. De anima I. Animam ex ignis atomis constare .... 0.6.1 443 101.1; 101.2; 101.4 443a 102.1; 102.2; Themist. (om.); 6.1.1; Sophon. (om.) 444 103.3; Sophon. (om.); 104.1; Arist. PA II 7 (om., cfr. PT, sez. 24) 445 103.1; Simpl. (om., parafrasi) 446 447 101.5; 101.6 448 105.5; 91.3; 108.1; 108.2; 91.2; Albert. Magn. (om.); 89.1.2 449 75.3 450 101.9 451 101.7; Hermias 2 (om., cfr. PT, sez. 24) II. Anima et intellectus. De eorum situ in corpore. De cogitatione 452 → 463; 67; 68 453 103.1
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454 455 456 457
103.5 105.7; 105.10; 105.9 105.12 Philop. GA I 4 (errore per II 4, om., ripresa della critica aristotelica, cfr. 96.1-2 e 535 infra) 105.11 105.2 (Alex. In De sensu: erroneo per De anima) 106.2; 55.3 478, 488
458 459 460 461 III. De spiritu 462 101.1; 104.2; Themist. (om.) 463 104.1; 104.1.1 464 104.4 465 91.4 IV. Animas mortales esse 466 107.1; 103.6; 151.6; 103.7; 0.4.6.1; 103.7.1; Hieronym. (om.); 0.5.9 466 → 583 (Stob.); 579a c. De visu et eis quae visu percepiuntur I. Eidola omnino quid sibi velint 467 191.3 468 118.3 469 → 436 469 117.4; 4.1 470 110.8; 46.2; 112.4; 9.3 471 112.5; 117.5 II. Eidola fons insomniorum et deorum emanationes 472 111.2 (in parte); Michel. Eph. (om., cfr. PT, sez. 25) 472 801b De deis 472a Themist. (om.); 112.1; 112.2; 112.1.2; 112.1.1; 112.7 (append.); 0.6.1; 112.5; D.L. Prooem. 7 (om.); 0.3.10; 0.5.4; Sextus AM IX 45 (om.); Irenaeus (om.); 112.3; 114.1; 114.2; 0.5.11; 112.6 (Clem.) 472a → 0.6.1 (D.L. IX 46) 473 110.1 474 110.2; 110.3 475 cfr. 476 476 110.4; 110.5 III. Apparentia 477 117.2; 117.2.2 478 117.1; 117.1.1 479 117.6.1 479 → 477 480 → 489 IV. De coloribus 481 → 428 482 50.5 483 117.3; 117.3.1 484 123.1; 123.2 485 0.6.1
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486 53.6 487 53.6 d. De ceteris sensibus I De auditu 488 119.1 489 119.2; 119.2.1 490 90.2 491 90.3 492 90.4 493 90.5; 90.5.1 493a 164.1 (+ n. 1202 ad loc.); 0.2.1; 163.3; 164.1.1 II. De gustatu 494 → 277 (Arist.) 494 Alex. (om., cfr. supra, 277) 495 120.1; Alex. (om., R) 496 122.1; 55.3; 121.1 497 121.3 497a → 318 498 121.4 499 121.6 III. De odoratu 500 → 442 501 Arist. De sensu 5 + Alex. (om., cfr. PT, sez. 26) 502 123.2 IV. De tactu (frigus et calor) 503 → 463; 462 504 55.2, 122.1 e 55.3 505 → 171 506 47.4 507 → 490 508 → 247 509 → 433 e. Varia 510 107.1 511 150.2; 150.3; 150.1 (Plut., etica) 512 107.2 513 0.3.6 F. Biologia a. Zoogonia I. Quomodo animalia e terra orta sint 514 125.2; 92.1; 125.3 515 125.1 + Hermipp., Tzetzes (om., cfr. introd.); 189.7 II. Mutationes causa an fine determinentur. De instinctu et intellectu 516 74.1; Simpl. (om., parafrasi, niente rifer. a Dem., salvo 74.1.1) 517 98.3; 98.4 518 Arist. + Philop. (om., cfr. PT, sez. 23) 518 → 171 519 97.2 (Arist. GA II 8); Philop. ad loc. (om., libera interpr.)
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519 → 561 520 → 438 521 97.3 III. Embryologia 522 93.6 523 93.6 524 94.1 524 → 533 525 93.4; 93.3 526 93.5 527 93.2.2; 93.2.7; 93.2.5; 93.2.3; 93.4; 93.2.6; 93.2.9; 93.2.8; 93.2.10 528 175.3 (+ n. 1237 ad loc.) (moralia) 94.2; 94.6 529 530 94.1; Philop. (om., libera interpr.) 531 94.3 531a → 812 94.5 532 533 95.1; 95.2 Hermipp. (om., posizione empedoclea sulla riproduzione) 534 96.1 (Arist. GA II 4); 96.4; Philop. ad GA II 4 (om., parafrasi) 535 536 96.5 537 96.6; 96.6.1; Plut. AP 1 (om., affinità superficiale con gli altri passi) 538 96.2 539 96.3 b. DE CORPORIS ORGANIS I. Organorum origo naturalis et officia 540 191.11; 188.8; Boethius (om.) 541 98.5 542 98.7 543 98.6 544 91.5; 91.5.1 II. De multiplici fecunditate. De monstris 545 96.7; Theophyl. (om., R); Hipp. (om., solo influenzato da D.); 96.7.1 546 97.1; Philop. (om., libera interpr.) c. DE CAUSIS ANIMALIUM Animalium genera 547 82.3.1 548 → 465 Singula genera I. Mammalia 549 99.4.1; 99.4.2; 99.4 II. Aves 550 99.5 551 99.1 III. Pisces et aquatilia 552 99.2 553 104.4 554 99.3
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IV. Animalia exsanguia 555 99.6 (+ n. 763) 555 → 465 d. DE CAUSIS PLANTARUM 556 Hermipp. (om., cfr. 515); 91.2; 91.1 557 98.1 G. SOCIETAS HUMANA a. HISTORIA SOCIETATIS HUMANAE I. De initiis societatis humanae 558 60.2; 126.1; Hipp. AM (om.); 126.3 (Diog. Oen.) Tzetzes (om.) II. Animalium mores hominibus exemplo propositi 559 127.1 560 96.8 561 96.7 561a → 761 (moralia) 562 182.2 (mor.) III. Loquela quomodo provenerit 563 129.1 564 129.2; Hier. (om., cfr. PT, sez. 27 fine) 565 → 492, 493, 493a, 241 565 5.12 (Isid.); Beda (om.) 565 → 493 566 126.1 567 191.2 567a 188.9 IV. Musicam sicuti omnem cultum politiorem non ex inopia sed ex rerum abundantia provenisse 568 127.2 568a 127.3 V. Lex quomodo provenerit 569 D.L. IX 45 (= 4.1, n. 21) 570 155.2 571 → 725 b. De cultu deorum II. De vi divina 572 → 438, 472a (Clem.) 572a → 515 572a Arist., PA II 10 e IV 10 (om., non pertinente) 572b → 472 573 134.1 573a 142.3 574 115.4; 115.2; 115.1; 115.3 575 → 816 576 193.1 III. De religione populari 577 Schol. (om., non pertinente: ‘al tempo di Dem.’) 578 111.1; 111.3; 111.4 578 → 472a, CXV
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579 → 476 579a 0.5.9 IV. De origine cultus deorum 580 128.2; Filodemo (om.) 581 128.1; 128.3; 128.4 581a 193.2.2; 193.2.1; Origene, ecc. (om., non pertinenti) V. An vera sint quae de Orco narrentur 582 0.6.3.1; 0.3.10; 0.3.23 583 151.6 584 151.3 585 109.3 586 108.3; 109.1; 109.2; 108.2.1 586 → 448 (Aet.) 587 151.7 (+ n. 1148 ad loc.), 151.8 588 0.4.3.1 588a 0.4.3.2 VI. De providentia et onnipotentia divina 589 0.6.1; 70.2.1; 81.1.1 590 75.2 591 75.1; 9.6; 9.5 592 75.5 593 136.2 VII. Cultus deorum 594 112.1.3 (om., Origene, CC VII 66, 1-6, cfr. R) 594 (comm.) 148.1 H. Civitas et philosophus. a. Civitas democratica I. Civis officia et iura 595 154.1 596 154.4 597 165.2 598 165.1; 165.1.1 599 156.3 600 Anton. II 8, p. 146 (om.) 601 157.2 II. Quid civem deceat 602 157.9 603 160.1 604 159.2, 159.3, 159.1 605 161.5 606 138.9, 160.3, 160.2 607 155.3 608 155.1 609 167.2 610 166.4 III. Magistratuum officia et iura 611 153.2, 153.2.1 612 157.6
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613 154.6 614 154.5, 156.4 + Maxim. c. 9, 561 (om.) 614 → 688 615 157.5 616 157.7 617 Maxim. c. 9, 560, Ant. Melissa II 1, p. 128 (om.) 618 Maxim. c. 9, p. 560 (om.) 619 178.2 IV. Ius poenale 620 158.1 621 158.2 622 158.3 623 158.4 624 157.4 625 → 615 V. Divites et pauperi 1. Divites .... 626 168.1 627 168.2 628 149.5 + Maxim. c. 29, 616 (om.) 629 168.3 630 Maxim. c. 12, 573 (om.) 631 146.1 632 146.14 633 154.7 634 Anton. I 29, p. 59, ecc. (om.) 635 Maxim. c. 7, 555, Anton. I 27, p. 56 (om.) 636 146.11 637 146.4 638 146.12 639 146.7 640 146.9 641 146.10 642 146.8 643 146.13 643a Maxim. c. 12, 569 (om.) 643b Maxim. c. 12, 569 (om.) 643c Maxim. c. 12, 569 (om.) 643d Maxim. c. 12, 570 (om.) 2. Non oportere pauperes ... 644 144.6 645 144.2 645a 166.8 646 149.2 647 173.2 648 152.5 648 → 612 3. Siquidem .... 649 162.2
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650 167.5 650a Anton. II 69, p. 221 (om.) 4. Euthumies .... 651 144.5 652 146.2 653 146.3 654 146.6; 143.1 655 157.1, 156.2 656 157.3 657 137.1 657a Maxim. c. 12, p. 570, Anton. 33, p. 67 (om.) VI. De amicis veris et falsis .... 658 179.11 (Anton. I 24, p. 46) 659 179.12 (Anton. I 24, p. 46) 660 179.4 661 179.3 662 179.5, 179.7 663 179.8 167.3 664 179.2; 179.1 665 666 179.13 (Maxim. c. 6, p. 549, Anton. I 25, p. 47) 173.7 (Anton. 48, p. 87) 666a 179.14 (Maxim. c. 10, p. 563, e altri) 666b 667 163.7 668 163.2 669 163.1 670 163.6 671 166.6 672 167.1 672a 163.5 VII. De recte vivendo cum amicis ... 673 179.10 674 162.5 (Anton. II 1, p. 128, Maxim. c. 9, 560) 675 161.3; 161.2 676 162.1 VIII. De invidis obtrectatoribus 677 161.4, 179.6 678 176.3, 176.4 679 174.1, 174.3 679a 174.4 (Maxim. c. 54, 658, Anton. I 62, p. 109) 679a → 570 IX. De mutuo auxilio 680 177.1, 177.2, 177.3 681 177.4 681a 162.6; CPP 192 (= Anton. I 29, p. 59, om.) X. Origo nobilis et educatio 682 171.1; 171.1.1; 171.1.2; Maxim. (om.) 682a 171.4 682b Maxim. c. 16, 586, Anton. I 50, p. 91 (om.)
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683 171.3 684 169.5 685 163.4 686 142.4 687 182.3 688 156.1 689 → 614 689 178.1 690 167.4 691 172.1 692 172.3 692 → 607 693 171.2 (+ n. 1222 ad loc.) 694 164.2 695 172.2 696 161.1 697 171.5 698 166.5 XI. Iuvenes et senes 699 683 700 183.1; 183.2 701 183.3 702 183.4 ; Stob. IV 50, 80-81 (om.: Democrito errore per Democede); Anton. (om.) XII. Mulieres, conubium, propinqui 703 180.1; 180.2 704 180.3 705 180.4 706 143.2; Anton. (om.) 707 175.1 708 182.6 709 182.5 XIII. Servi 710 162.8 XIV. Factiones 711 179.9 711 → 673 712 154.3 713 154.2 714 174.2 (Maxim. c. 54, p. 658) XV. De re familiari dividenda aut non dividenda 715 182.4 716 173.1 b. Philosophus in re publica I. De ascetismo repudiando 717 149.3 718 149.1 II. Philosophus et familia 719, 720, cfr. 804a, 804
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721 181.1 722 181.2 723 181.3, 181.4 724 182.1 III. Philosophus et res publica 725 132.3 726 0.6.1 (titolo in D.L. IX 46) 727 153.3 728 153.1; 153.1.2; 153.1.1 729 0.3.19; Macar. (om., non attendibile); 0.5.5; Cicero (om. R.) IV. Philosophus civis mundi 730 138.12 731 (= 68 B 303 DK, om.) 732 143.3 I. Institutiones morales sive de tranquillitate animi impetranda a. quid verba euesto ... valeant ... I. Definitiones ipsius Democriti 733 0.6.1 (D.L. IX 46) 734 132.1; 132.2 734 → 81, 712 735 132.5 736 Suda (om.); 192.5 737 152.2; 152.1; 152.5.2; 152.3; 152.4 738 132.3 739 657, 651, 749 740 157.8 741 133.2, 133.3 742 131 743 138.1 743 → 602, 734, 741 744 133.4 745 620, 621 II. Quomodo doctrinam atomisticam inimici interpretati sint 746 Cicero Fin. II 22, 74 e 23, 75 (Epic., om.); 0.8.33 747 132.4 b. Quomodo euesto impetranda sit I. Necessarium solum optando, omne superfluum vitando 748 139.1 749 144.1 750 141.2; 135.5 750a → 732 750a Anton. I 31, p. 62 ecc. (om.) 751 140.1 752 149.4 753 141.1 754 144.3 755 141.3 756 139.3 757 140.3
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758 143.4 759 140.2 759a 173.8 760 146.5 761 173.3 II. Nimia studia ... cohibendo 762 138.2 763 137.2 764 176.1 765 166.3 766 176.2 767 144.4 768 → 654 769 162.3 770 162.7 (Maxim. c. 27, p. 612) 770a CPP (om., non considerato anche da Gerlach) III. Laborem assidue ferendo ... 771 169.3 772 169.1 773 169.2 774 35 775 173.4 IV. Voluptates animi corpori praeferendo 776 135.1, 135.2 776a 135.3; 135.2.1 777 131 778 134.4 779 136.1 780 131 781 134.2 782 573 783 134.5 784 134.3 785 (Leucimo, non Leucippo, om.) 786 139.2 787 175.2 788 142.2 V. Nulla re cogente .... 789 605 790 142.1 c. flauroi et anoemones ... 791 166.7 792 CPP 166; Maxim. c. 67, p. 684, Anton. I 72, p. 118 (om.) 793 151.1, 138.4 794 138.5 795 138.6 795 → 660, 662 796 584 797 151.2, 151.5, 151.4
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798 798 → 32 799 799 → 697 800
138.3 138.10; 138.11 138.7; 164.7
K. Artes a. Medicina 801 188.1 801a → 567a 801b 188.7 802-804 0.6.1 (titoli) 804a → 527 804b Epic., 62 Us., cfr. 93.2.5. 805 188.8 b. Res rustica 806 0.6.1 (titoli) 806a 189.1; 189.4; 189.2 807 189.6 808 189.7 809 189.5; Colum. (om., R) 810 189.10 811 189.11 812 189.9 813 191.4, 191.4.1 e 191.4.2 c. Architectura 814 190.2 L. De poesi …. c. De Homero 815 0.6.1 (titoli, D.L. IX 48) 816 115.5 817 130.3 818 130.1 819 130.2 820 → 67 821 82.5 d. De ratione bene dicendi et scribendi 822 191.1.1; 191.1.2 823 0.6.1 (titoli, D.L. IX 48) 824 130.4; 130.4.1 825 130.5 M. De ipsius Democriti genere dicendi a. Ars dicendi ("stilus") 826 0.7.1; 0.7.2; 0.7.3; 61.2; 0.2.1 (D.L. IX 40) 827 0.7.4 b. Dialectismi … 828 191.14, ecc. (sotto 191); 130.10 829 130.6.1; 130.7; 130.8; 130.9; 130.11; 193.1.
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CONCORDANZA (Natorp – Leszl)
35 36 37 37a 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 77 78 79 80 81 82 83 84
A. Demokritos ethische Schriften Diog. Laerz. IX 45 = 0.6.1 n. 7 (Seneca) = 133.1 B. Doxographie ueber das telos des Demokritos und der Demokriteer 1 (D.L. IX 45) = 4.1 2 (Stob.) = 131 3 (Clem.) = 132.1 + Epifanio = 132.3 + Teodoreto = 132.4 4 (Cic.) = 133.3 + 133.2 (Strab.) = 133.4 C. Fragmente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 B 1 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34
132.1 132.2 60.1 139.2 139.3 139.4 139.1 134.1 131 (cit.) 131 (cit.) 131 (cit.) 142.1 149.4 134.2 134.4 134.5 134.3 135.5 173.3 136.2 135.2 + 135.1 193.2.2 + 193.2.1 148.1 145.2 145.1 173.5 161.1 0.5.5 147.1 138.7 164.7 138.3 138.1
1
138.8 142.2 142.3 193.1 160.1 160.2 160.3 148.2 159,2 159.1 + 3 155.3 161.5 157.9 157.8 157.1 135.3 136.1 144.1 137.1 141.2 141.3 141.1 140.1 140.3 144.4 144.2 138.5 144.6 144.3 143.2 147.2 140.2 143.3 143.4 146.2 146.3 146.1 144.5 146.14 146.7 146.12 146.8 146.10 146.4 146.11 168.2 146.5 174.3 146.6 149.2
85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 122b 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139
140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195
175.3 93.2 175.2 138.2 137.2 176.2 149.3 151.6 151.1 138.5 151.5 + 151.2 151.3 151.4 138.6 161.2 166.3 161.3 138.10 138.10 164.2 164.1 163.6 163.3 164.5 164.6 + 164.6.1 164.4 165.2 165.1 + 165.1.1 164.3 161.4 166.6 167.4 162.4 167.3 162.3 153.3 163.1 163.4 163.5 163.7 163.2 173.4 147.3 176.1 188.7 150.1-3 169.3 169.1 169.2 153.1 + 1.1 + 1.2-3 154.1 173.2 154.2 182.5 154.3 155.1
2
155.2 156.3 156.1 156.4 156.2 166.8 154.7 154.4 178.2 178.1 153.2 154.5 167.1 167.2 157.3 157.4 157.2 157.5 158.1 158.3 158.2 158.4 166.7 152.1 + 152.2-4 + 152.5.1 152.5 157.6 157.7 154.6 138.12 143.2 180.3 180.1 173.6 180.2 180.4 175.1 166.1 162.8 182.2 181.3 + 181.4 181.2 182.1 181.1 171.2 172.1 171.3 142.4 171.1 + 171.1.1-2 171.4 169.4 170.2 170.3 170.1 169.5 166.5 167.5
196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227 228 229 230
162.2 172.3 172.2 182.3 168.1 171.5 168.3 182.4 183.2 183.1 183.3 183.4 179.7 179.5 179.3 179.4 179.10 179.9 179.1 179.2 179.8 179.6 143.1 176.4 176.3 174.1 166.4 162.1 138.9 177.3 177.4 177.2 177.1 149.1 173.1
3
G L O S S A R I O* ¢rc» principio (frequente), inizio (intendesi: nel tempo o in un'indagine) (4.6, 24.1, 24.2. 60.1: § 140), origine (intendesi: di un processo) (104.1). primordium principio (Lucrezio: 7.2: v. 121; 44.5: vv. 419 e 422; 48.3: vv. 815, 828, 908; 64.8, 95.3: v. 1220) exordium origine (Lucr. 44.4: v. 1062) a„t…a causa (0.5.6, 4.6, 102.3, 104.1; 121.4; 121.4.1; 123.2: § 79; 127.2), ragione (11.2, 15.1), spiegazione (79.6) a‡tioj causa (128.1: § 24) a„ti£omai adduco a causa (111.2; 121.5; 123.2: § 80) a„t…a e„dopoiÒj causa formatrice (1.2.1; 1.2.2) a„tiolog…a spiegazione causale (0.5.5) a„tiologe‹n addurre {come} cause (47.2; 47.3) a„t…a kaˆ lÒgoj spiegazione della causa (121.4: CP VI 2.2) a‡tion poihtikÒn causa efficiente (19.3) a‡tion e„dikÒn causa formale (1.2.2) e„dopoie‹n formare (12.3; 47.3) stoice‹on elemento (4.5; 5.1; 6.2; 6.7; 8.3; 9.7; 10.1; 24.2; 25.2; 38.1; 38.2; 38.3; 48.4; 48.6; 48.6.2; 49.1; 62.1), lettera (12.4); lat. elementum (Lucr. 48.3, ivi reso con ’lettera’ e con ’elemento’) fÚsij natura perˆ fÚsewj, oƒ i ‘fisici’ (38.1; cfr. 79.1) fusikÒj, Ð il naturalista (1.2; 1.2.1; 1.2.2; 1.3; 11.1; 33.6; 39.1; 41.1: 203b3; 43.2; 43.3; 47.4; 53.1; 63; 76.1.1; 100.3; 104.1; 72a2; 104.4), lat. physicus (Cicerone: 0.7.1; 0.7.1.1; 46.1; 111.4; Vitruvio: 185.3) fusiolog…a fisiologia [= studio della natura] (1.2.2; 89.2) fusiolÒgoj fisiologo (30.2; 33.1: 213b1; 41.1: 203b15; 54.1; 120.1; 120.2; 127.2) fusikîj fisicamente (24.3), da fisico (27.1) sÚmfusij coesione (123.2: § 79) sÚmfuloj confacente alla natura di - (112.1.2) sÚmfutoj per natura (8.3: 3.18), congenito (93.1: b29; 116.1: § 1) Ðmofuloj affine (117.1: §§ 50 e 54) Ðmofušj della stessa natura (66.3) *
Il presente “glossario” è una lista dei principali termini greci e latini, accompagnata dalla resa in lingua italiana e dall'indicazione (selettiva) delle loro occorrenze. La lista non è dunque un indice esaustivo e concerne sia termini usati dallo stesso Democrito (la loro occorrenza viene evidenziata p. es. come segue: « ™ngkatabussoàsqai penetrare profondamente (110.4*) », dove il primo segno evidenzia che il termine è stato usato da Democrito, il secondo dove esso viene citato, se fa parte di una citazione) sia quelli usati dagli autori che ne espongono il pensiero. Sarebbe desiderabile una lista completa dei primi (qui limitata a quelli più caratteristici). Sopperisce in parte l’indice completo delle parole usate nei frammenti etici che compare in appendice all’edizione di Natorp (a pp. 34-50). Per facilitare l’uso di questo indice per la mia edizione e traduzione ho aggiunto una apposita concordanza.
1
Øperfušj supernaturale (112.1; 112.2) Ûlh materia (1.1; 1.2; 31.3) ØlikÒj materiale (90.2: 720D) phg» fonte (53.3: § 356; 131) lÒgoj formula razionale (1.1; 51.4), semplicemente: formula (63), concetto (1.4 + n. 3; 21.4; 24.3), discorso (0.5.6 + n. 97 ad loc.; 34.2; 82.2; 121.6; 163.4; 164.1; 164.2), definizione (1.2.1; 2.1: § 269; 78.8), spiegazione (15.1; 94.1: A 23; 121.4: CP VI 2.2), ragione (nel senso di spiegazione: 12.3: 116.25), argomentazione (24.3, 24.5: 28.15), argomento (24.9), ragionamento (60.3, inizio), resoconto (51.5; 68.2: 308b2; 121.4.1), tesi (57 inizio), rapporto (12.3: 126.25; 48.6: a4, 5; 121.4: VI 2.4), ragione (come facoltà: 8.2: 217.3; 60.1; 60.3 + n. 453 ad loc.; 91.3; 142.1; inoltre 9.1, 19.8: § 42, e 53.6, nella formula: lÒgJ qewrht£ applicata agli atomi, mentre ho reso di¦ lÒgou qewr…a in 22.1.1 con ’contemplazione intellettuale’); lat. ratio (9.5: X 32; 125.3) logikÒj ’logico’ (1.5), razionale (2.1) logikîj ‘in modo logico’ (1.5 + n. 3; 24.3) logismÒj riflessione (134.3), ragione (137.2) kat¦ lÒgon ragionevolmente, (in modo) ragionevole (106.2), secondo ragione (3: 28.24), secondo {lo stesso} concetto (55.2: § 62 + n. 393 ad loc.); logicamente (79.1), in proporzione (36.3) eÜlogoj ben fondato (24.1); plausibile (24.2: 25.2; 24.5); ragionevole (29.5; 50.5; 93.1: b10, b25; 117.1: § 53; 121.4: VI 2, 4) eÙlÒgwj con giustificazione (3: 28.22), con buona ragione (41.1); {è} ragionevole (22.5) ¥logoj irrazionale (117.1: § 54; 121.6) ¢log…a irrazionalità (50.5) lÒgioj dotto (detto di uomini) (0.3.22*: § 5 + 0.3.22.1; 128.2*) ¢nalog…a rapporto (22.1.1), proporzione (68.2: 309a14) ¢nalog…zein riflettere (106.5 + n. 832 ad loc.) ¢ntilog…a obiezione (8.3) ¢ntilšgein contraddire {qualcuno} (59.2) filolog…a amore del sapere (0.5.6 + n. 95 ad loc.) Óroj criterio definitorio (29.1), limite (101.1: a9; 104.3; 132.2) oároj limite (132.1*) Ðr…zw oppure Ðr…zomai definisco (1.1; 1.3; 100.5; 102.4; 102.5) ÐrismÒj definizione diorismÒj definizione (131) dior…zein distinguere (24.9; 65.1; 121.4.1), definire (48.6: b30; 55.1: §§ 60-61; 55.3: § 71; 68.2: b1; 121.1), precisare (116.2), determinare (119.1: § 57) dioristikÒn, tÕ fattore definitorio (131) ¢for…zein circoscrivere (1.2.1), differenziare (121.3: VI 1, 5), definire (55.1: § 60; 55.2: § 63), determinare (119.1: § 57) kr…sij discriminazione (16.5), decisione (58.3 fine), giudizio (132.4: titolo in Teod., cfr. n. 1052 ad loc.) [vedi infra, p. 23] di£krisij discriminazione (131)
2
kaqÒlou universale (1.3, 21.4) nÒhsij intellezione (106.3-4.1), concezione (43.3; 112.2: § 43) œnnoia nozione (8.3.4: 121.11; 60.1: § 140), concezione (112.6; 128.1: §§ 24 e 25) ™p…noia concetto (2.1; 2.2), concezione (33.3: 648.10; 58.5 + n. 427; 128.1: § 26); al dat.: intellettualmente (22.4:18; 30.2: 22-23) Øponoe‹n farsi la concezione (112.1) nohtÒj intelligibile (vs. sensibile, vedi infra, p. 20) (53.3) nohtÒn, tÕ (l’) intelligibile (58.4; 58.5) gnîsij conoscenza (60.1) gnîmh cognizione (60.1*) ¥gnwstoj inconoscibile (37.1; 37.2) deiktikîj per indicazione (2.1) ¢pÒdeixij illustrazione (0.3.22 + n. 73 ad loc., 0.3.22.1), dimostrazione (27.2; 58.5, 60.4: 319, 322, 327) œlegcoj confutazione (24.8; 24.11) ¢x…wma assioma [= proposizione degna di assenso] (15.2: 154.27 + n. 134 ad loc.) lÁmma premessa (53.3) prÒslhyij assunto aggiuntivo (15.2 + n. 136 ad loc.) sunhmm»non, tÕ (il) condizionale (15.2 + n. 135 ad loc.) [in senso non logico, cfr. infra, p. 12] tekm»rion indizio (93.1: b13) katab£llein abbattere (0.4.11; 60.3*) diab£llein screditare (60.3) ™kb£llein respingere (61.1) ¢nt…fasij i contradditori (13.3), la contradditoria (detto di proposizione) (23.2: 22) ¢kolouqe‹n conseguire (logicamente) (21.2: 27; 21.3) ¢kolouq…a conseguenza (112.6) ¡n£gein riportare (120.1: b10) ¢podidÒnai assegnare (19.3: 1319.3; 51.3: 326a4; 121.1: 16), rendere conto (47.1; 47.2; 47.3; 121.1: 22; 121.2; 121.3; 121.4; 123.2: § 81), addurre (12.3: 116.25; 121.4; 121.4.1; 123.2: §§ 79 e 82), (con prÕj) riportare (55.1: §§ 60-61) prosapodidÒnai addurre in aggiunta (121.6) ¢pÒdosij resoconto (47.2) ¥topoj strano (121.5), assurdo (22.5; 55.3: § 69; 121.4: CP VI 2, 3) e„kÒtwj con plausibilità (97.3) ¢por…a difficoltà (24.4; 24.9) ¥poroj controvertibile (112.2) lÚsij soluzione (24.9) [Per ¢n£lusij ecc. vedi infra, p. 5] peritrop» tesi {che si rivela} autoconfutantesi (59.2)
3
trÒpoj modo (nel senso di metodo) (10.1: b12; 51.1; 121.3), modo (nel senso di condotta) (149.4 + n. 1140 ad loc.), modalità (di causazione) (1.1, con n. 1), tipo (di causa) (95.1; 95.2), approccio (25.1) eÙtrop…a versatilità (135.3 + n. 1070 ad loc.), buona disposizione (134.5) ÐdÒj via (nel senso di metodo) (3; 14.4), metodo (15.1: 324b35) œfodoj metodo (55.1: § 60) mšqodoj approccio (3: 28.30) „diÒthj specificità (2.2) „diÒtikoj peculiare, rozzo (2.1) „diotikîj in modo troppo particolare (47.1 + n. 307 ad loc.; 47.2; 47.3) mhcanikîj versus gewmetrikîj in modo meccanico versus in modo geometrico (27.2) Ôn, tÕ l’essere (3; 5.5; 7.1; 10.1; 12.1; 13.3; 57) m¾ Ôn, tÕ il non-essere (3; 5.5; 10.1; 12.1; 13.3; 57) dšn (de…j) ente (59.1: 9A6-7; cfr. 7.1 + n. 57, 8.3 + n. 76; 12.2 + n. 116) oÙs…a essenza (1.1, 1.6, 37.2: 166.8; 55.3: § 71), sostanza (1.5; 3: 28.13; 7.1: 295.2 e 6; 8.1: 10F5), essere (9.2; 28.3), realtà (55.3: § 71 + n. 403) ÐmooÚsioj della stessa sostanza (11.3: 44.3) t… ™stin, tÕ il ’che cos’e’ (1.3) t… Ãn enai, tÕ la quiddità (1.1; 1.6) Øp£rcein sussistere (2.2: § 24; 24.1: b27; 24.11; 33.3: 648.12; 51.3: passim; 53.8; 55.2: § 63; 56.2; 57: 9a24; 58.4), appartenere (24.7 fine), essere presente (24.7: b21; 74.1: b28) Ûparxij sussistenza (53.1, 53.2, 53.3: § 355) Øp£rcon, tÕ ciò che si presenta (121.4: CP VI 2, 4 + n. 958 ad loc.) Øp£rconta, t¦ (i) dati (24.3), (le) cose disponibili (137.1*) sunup£rcein sussistere insieme a ... (53.7) ™nup£rcein inerire (48.6 fine), essere presente (13.3: 303.33; 20.3: a4, a8; 104.3), sussistere entro (24.7: 32), sussistere (50.1 fine) ™nup£rcon preesistente inerente (18.6, 48.7: b9) proup£rcein pre-esistere (57: 9a26; 13.3: 303.29 e 34) ØpÒstasij sussistenza (33.3: 648.9; 54.1.1, 59.1), realtà (20.5) Øfƒstasqai sussistere (54.1.2) ke…menon, tÕ il dato (24.9: 35.12) Øpoke…sqai sussistere (2.2; 53.1; 53.2; 53.3; 58.4) Øpoke…menoj che è sostrato (121.2) Øpoke…menon, tÕ il sostrato (cioè l’oggetto sottostante a ciò che viene percepito) (56.1: D5 + n. 407 ad loc.; 117.4), l’oggetto (119.2), il sostrato (cioè ciò che percepisce, organo o soggetto) (121.1 + n. 934), il soggetto (121.4: VI 2, 1 e 2), l’assunto (34.4) proke…menon, tÕ l’oggetto che sta davanti (117.4.2) ¢ntike…menon, tÕ l’opposto (57.3) ™n£ntioj contrario (11.1; 11.2; 11.3; 57.3; 62.4; 121.4: VI 2, 2-3; 123.2: § 82) ™nant…wsij contrarietà (26.3; 34.4; 62.4; 120.1: b18) ™nant…wma contraddizione (55.3: § 69) cwristÕj separato (33.1; 33.3; 35.2; 35.3; 48.7.1 + n. 326 ad loc.), separabile (33.4 + n. 261 ad loc.)
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tom» sezione (5.2; 5.2.1; 20.2; 22.1; 22.7; 24.8; 24.9; 64.9), lat. sectio (cfr. 5.12) tšmnein secare (9.1; 9.1.2; 22.4), tagliare (24.4: b11; 69.3: 7a17), lat. secare (Lucr. 22.3: v. 533) tm»ma segmento (24.10; 27.1) ¥tomoj atomo, indivisibile (agg. o sost. al femm.: frequente), lat. atomus (Cicer. 46.2; 76.2; 76.3; Seneca 87.1), individuus (Cicer. 75.2; 76.2) ¥tomon, tÕ atomo (frequente), lat. individuum (9.8; 46.1), insecabile (9.8) ¢potom» sezione (78.2; 80.1: § 31, cfr. n. 617), linea di sezione (83.3) ¥tmhtoj inscindibile (20.4) dicotom…a dicotomia (16.3; 23.1) dia…resij divisione (5.2; 5.2.1; 15.2; 22.4; 24.4; 24.9; 24.10) diaire‹n discriminare (48.6: b30) dia…reisqai dividere (22.1; 22.2; 24.4; 24.5; 24.7; 24.9) diairetÒj divisibile, diviso (15.1; 22.2; 22.4; 24.4 + n. 203 ad loc.; 24.5; 24.7; 24.9) ¢dia…retoj indivisibile (5.1; 5.2; 15.1; 21.1; 21.6; 21.7; 22.2; 22.4; 22.5; 24.1; 24.7; 24.9; 24.11; 25.1) ¢naire‹n eliminare (15.2; 24.2: passim; 24.8; 58.3; 58.5; 60.1) ¢na…resij eliminazione (24.2) ¢ntidia…resij suddivisione per contrari (11.5 + n. 114) lÚein risolvere (23.2: 81.20) ¢n£lusij risoluzione (in senso fisico, detta di un composto nelle sue parti: 52.2: 193.22), dissoluzione (52.4: 215.7) ¢nalÚein risolvere (in senso fisico: 52.2: 193.2 e 4; 52.4; in senso logico: 23.2: 81.24 + n. 196), dissolvere (52.2: 193.8) ¢pÒlusij dissoluzione (20.2) di£lusij dissoluzione (15.1: b3-4; 79.6; 151.6*) dialÚein risolvere (18.6; 24.1: 22); (al medio:) dissolversi (22.5; 41.1, 51.1), risolversi, scil. negli elementi (49.1) qraÚesqai frangersi (9.1; 22.5), lat. frangi (Lucr. 22.3: v. 533) qraustÒj frangibile (6.3: § 33) ¥qraustoj infrangibile (8.3: 4.18; 9.1) eÜqraustoj facile a rompersi (9.1) qraàsma frammento (90.3), particella (ivi) qrÚptesqai frantumarsi (in frammenti o particelle, detto della voce o del suono, 90.3), sminuzzarsi (117.1: § 51*) qrÚyij frammentazione (24.7: b30) eÜqruptoj facilmente sbriciolabile (123.1: § 73) yaqurÒj friabile (123.1: § 73; 123.2: § 79) sc…zein scindere (51.5) ¥narmoj inarticolato (6.2, 6.3, 6.4, 6.5; 8.3) xÚsmata, t¦ pulviscolo (101.1: 404a3; 101.2: 67.20; 101.4) koniortèdh y»gmata, t¦ particelle del pulviscolo atmosferico (11.4; 24.11 fine; 101.2: 67.22), lat. tenuissimi pulveres (Isid. 5.12), minutiae pulveris (Latt. 9.5)
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Óloj intero (20.5; 93.1), tutto (21.1), Ólon, tÕ il tutto (36.5; 50.4; 93.1), insieme (al pl. 72.5, fine) p©n, tÕ il tutto (9.4) p£ntV dappertutto (24.4 + n. 202 ad loc.) mšroj parte (9.4: 23.4; 19.6; 20.5; 21.1; 22.2; 23.4; 44.1; 49.1: a20) mÒrion parte (19.7: 13, 14; 21.7; 22.2; 22.4; 24.9; 39.2; 52.1; 93.1; 97.1), particella (90.2: 21A1) meristÒj dotato di parti [vs. ¢mer»j] (100.2) ¢meristÒj impartibile (8.3: 3.13) ¢mer»j impartibile (5.2.1, 6.2: § 363; 6.3: § 32; 6.4; 8.3: 3.6; 22.1.1, 22.7), privo di parti (21.1: 31b3; 100.2) [Essere privo di parti ed essere impartibile sono equivalenti se la partizione è ritenuta possibile solo laddove ci sono parti preesistenti anche se non evidenti, sicché in tal caso “impartibile” potrebbe essere sostituito da “privo di parti”.] ¢meršj, tÕ mancanza di parti (22.1) Ðmoiomeršj, tÕ omeomeria (25.5; 38.1; 49.1: a19 e a28; 53.6) Ðmoiomer…a omeomeria (6.3: § 363; 6.4: §§ 32-33; 11.3; 39.1) mikromeršj, tÕ (il) composto di parti piccole (48.6) mikromšreia sottigliezza (101.2: 24; 102.3: 18) megalomeršj, tÕ (il) composto di parti grandi (48.6) leptomer»j composto di particelle minute, dalla composizione minuta (5.6; 48.7; 102.1; 102.2; 102.5; 103.1), minuto (47.5; 49.4; 102.3; 107.1) leptomšreia sottigliezza nella composizione (102.1: 405a11; 102.2: 28) pacumeršj composto di particelle grosse (5.6) nastÒj compatto (per tenerlo distinto da stereÒj e da puknÒj) (3: 28.13; 5.1; 5.2; 7.1: 295.5; 53.6; 64.6; 65.2: 242.19; 66.2: 269.12); compatto (= solido, 0.6.1 [titolo VII 4] + n. 124) [Denominazione democritea per ciò che è solido o corporeo e del tutto pieno, dunque per l’atomo preso collettivamente, cfr. 7.1: 295.3-5 + n. 58 ad loc., e Quadro sinottico, B.2.5.] nastÒthj compattezza (8.2; 12.6; 22.2; 68.2.1) stereÒj solido (13.1: 325b6; 21.7), lat. solidus (Lucr.: 22.3: v. 538) stereÒn, tÕ (il) solido (10.1; 25.1; 68.2: 309a14, 18, 29, 31, b12; 123.2: § 82) sterrÒthj solidità (4.1, 8.1; 9.4: 23, 3; 22.2; 33.5), lat. soliditas (Vitruvio: 9.8: 2, 1) sîma corpo [vs. incorporeo] (6.2: § 359; 30.1); solido (21.2 + n. 179) swmatikÒj corporeo (6.1; 6.1.1; 47.5 + n. 318) swmatÒthj corporeità (8.2: 216.33) ¢sèmatoj incorporeo (6.1; 6.1.1; 6.2: § 359; 30.1; 30.2; 102.1; 102.4; 102.5) pl»rhj pieno (3: 28.13) plÁrej, tÕ (il) pieno (3; 4.2; 4.4; 4.5; 5.5; 10.1; 11.3: 44.4; 12.1; 12.6; 13.3; 33.1; 57: a28; 68.2), lat. plenum (Cicer. 5.3) kenÒj vuoto (4.2) kenÒn, tÕ (il) vuoto (3; 4.4; 4.5; 5.5; 10.1; 12.1; 12.6; 13.3; 15.1; 30.2; 30.3; 30.4; 30.6; 30.7; 32.2; 33.1; 33.3; 33.5; 33.6; 35.1; 36.1; 36.2; 48.7.1; 57: a28; 68.2); vuotezza (90.2: 721D), lat. inane vuoto (Cicer. 5.3; Lucr. 29.7)
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kenÒthj (il) vuoto (90.2: 721A) polÚkenoj ricco di vuoto (89.1: 72.32; 90.2: 721C6) „dša forma (come posseduta da più corpi: 8.3; 101.6 [forse usata terminologia democritea]; 101.8; 125.1: I 7, 1), forma (della divinità: 5.5), ’idea’ (come termine democriteo per atomo: 6.6; 72.3; 192.6), idea (Platone: 6.2: § 364); forma (come sinonimo di atomo: 8.1, dove il termine è accompagnato dall’agg. ‘indivisibile’, ma cfr. n. 66 ad loc.; 60.1: § 137, dove titolo di opera) species [scil. deorum] (112.4) edoj forma (1.2; 1.2.1; 1.4; 1.6; 37.1; 37.2: 166.7), lat. forma (Lucr. 40.4) scÁma figura (3; 7.1; 10.1; 10.2; 12.1; 12.3; 20.2; 25.1; 47.5; 50.6; 55.3: § 67; 67: 294b23; 101.3; 101.7; 123.2: § 79), ma: configurazione (55.2: § 63), lat. figura (Lucr. 40.4) schm£tisij configurazione (Epicuro: 40.2) schmat…zein formare (25.2: 15-16) Ðmoiosc»mwn di figura identica (48.6.2; 90.3: § 3) Ðmogen»j omogeneo (38.4: 462.4) Ðmoeid»j omogeneo (38.4: 462.14 e 15) polusc»mwn dalla figura varia (9.4: 23.2), con molte figure (25.5) morf» forma (1.2.1; 2.3; 7.1; 25.4; 123.2: §§ 79 e 82) ÐmoiÒmorfoj simile di forma (117.2.2: 24.19; 117.3.1) t£xij ordine (3; 10.1; 10.2; 12.1; 12.3; 25.4; 47.5; 49.1; 49.2; 64.1; 101.2; 101.3), lat. ordo (Lucr. 48.3: vv. 801, 827) ¢tax…a disordine (64.1) met£taxij cfr. infra, p. 16 qšsij posizione (3; 10.1; 10.2; 12.1; 12.3; 12.4; 47.5; 49.1, 49.2, 50.6; 53.4; 53.6; 55.2: § 62; 65.2; 68.1: 308a22; 83.1; 101.2; 123.2: § 79), postulazione [come ØpÒqesij] (24.2: 25.3), convenzione (36.5, 53.7; 129.1: 6.20), disposizione (50.3: 23.11); lat. positura (Lucr. 48.3: vv. 818, 909) met£qesij cfr. infra, p. 16 par£qesij cfr. infra, p. 8 trop» verso (3; 10.1; 10.2; 12.1; 12.3; 50.5; 50.6; 51.5; 101.3), disposizione (62.2: 26 + n. 469 ad loc.) diaqig» contatto (3; 10.1; 10.2; 12.1: 12.3; 12.4; 50.5; 50.6, 51.5, 101.3) ·usmÒj (·uqmÒj) ritmo (3; 10.1; 10.2; 12.1; 12.3; 12.4; 48.2; 50.6, 101.3), configurazione (101.1: 404a7), ordinamento (154.6) [questi ultimi tre termini sono palesemente introdotti da Aristotele in 10.1 come termini usati da Democrito, e sono detti ’voci abderitiche’ da Filopono in 12.3, 50.6 e, limitatamente al primo, in 101.3, ma aggiungendo che tutt’e tre sono ‘voci del suo paese’] ™pirusm…oj che fluisce (192.4) ™pirusm…oj modificazione di forma (60.1*: § 137 + n. 441 ad loc.) ¢meiyirusme‹n cambiare di forma (0.5.4 + n. 90 ad loc.; 192.2) ¢meiyirusm…a cambiamento di configurazione (0.6.1 [titolo V.4]) metarruqm…zw ecc., cfr. infra, p. 16
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di£qesij disposizione (0.5.4; 3: 28.22; 55.2: § 64; 55.3: § 72; 121.4: CP VI 2.2) diake…menoj disposto (55.3: § 69) par£qesij giustapposizione (52.2; 52.3; 52.4; 52.5; 117.3.1) parake‹sqai essere giustapposto a ... (52.2; 52.3) m…xij mescolanza (52.1, 52.2, 52.3) kr©sij temperamento (52.1; 52.2; 52.3; 55.2: § 64; 106.2), mescolanza (121.5) kraqe‹j contemperato (52.1) diaq»kh disposizione (60.1: § 136*) ›xij disposizione (55.3: §§ 67 e 69; 57: b18) plÁqoj moltitudine (tenuto distinto da ¢riqmÒj [‘numero’], ma con lo stesso suo senso, cfr. 3: 28.10; 6.1; 7.1; 8.1: 1110F5; 9.7; 11.2; 15.1: 325a30; 33.6; 37.1; 37.2: 166.7; 38.3; 38.4; 40.1; 49.1: 22; 65.2: 18; 78.5; 79.2; 123.1: § 78); moltitudine (nel senso di ’molteplicità’ o ’pluralità’ cfr. 15.1: 325a35; 15.2: 154.25 e 155.4, 11, 14, 16; 15.4: 158.13), moltitudine (nel senso di 'quantità’ o di ’massa’, cfr. 48.5; 80.1: § 31; 80.2: § 2), quantità (nel senso di quantità grande versus quantità piccola [ÑligÒthj]: 48.2; 67: 294b27; 68.2: 309a31; 68.2.1; 88.2: § 2; 88.4: 356b10), raggruppamento (8.1: 1111E9) ÑligÒthj scarsità (48.2; 57: b2-3; 68.2.1) poll£, t¦ la pluralità (15.1), i molti (48.2) mon£j unità (103.1, 103.2) mšgeqoj grandezza (7.1; 9.1; 22.2; 24.1; 24.4; 26.3; 33.6; 37.1; 37.2; 67; 120.1), altezza (83.4.1) ™l£cistoj minimo (detto di grandezza: 6.2: § 363; 6.3: § 32; 22.6; 26.3; 26.3.1), minimo (detto a proposito dell’intervallo ammesso dagli Epicurei: 76.2) ™l£ciston, tÕ (il) minimo (26.3, 47.4, 47.5; 52.1) ™l£cistoj crÒnoj attimo (58.4) pšraj limite (6.3: § 363; 6.4: § 32; 15.1: 325a15; 24.6; 31.3 + n. 253; 36.6; 41.1: b7, 21); estremo (78.2) pera…nein essere limite (cioè finire, intr.: 15.1: 325a16; 41.1: b22; pass.: 15.2: 155.21), attraversare (122.1: § 65) ¥peiroj infinito (3; 4.1; 6.2; 6.5: § 318; 9.1; 20.2; 30.2; 38.1; 38.2; 38.4; 40.1; 41.1; 65.2; 78.5; 79.2) ¥peiron, tÕ l'infinito (5.4; 6.3: § 360; 36.2; 36.5; 36.6; 36.7; 37.1; 37.2; 38.1; 41.1) ¢peir…a infinitezza (3: 28.26; 5.4; 9.1; 30.2) stigm» punto (21.1; 24.4; 24.5; 24.6; 24.7; 24.9) shme‹on punto (24.4; 24.7; 50.1; 69.4; 101.2: 67.13; 102.3: 84.24), segno (equivalente a ‘punto’, ma probabilmente conserva il senso di traccia fisica [cfr. Arist. De anima II 12, 424a19-20]) (24.6; 24.9), segno (che indica qualcos’altro, vedi infra, p. 28) ™p…pedon piano (27.1), superficie (31.3) ™pifane…a superficie - ma nel senso di superficie piana (25.1; 25.3; 27.1; 29.5) Ôgkoj massa (4.1; 7.1; 13.1: a37; 15.1: 325a30; 33.1; 34.4; 34.5; 41.1: b28; 48.7; 51.5; 62.5; 66.2: 269.11; 68.1: 308a32; 121.4: VI 2, 4), mole (68.2: 308b32, 35, 309a4, a9 e a24; 90.2: 21C6), molecola (detto degli indivisibili di Eraclide Pontico e di Asclepiade: 6.2;
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6.2.1; 6.3; 6.4; 6.5; 8.3.2; 9.3), molecola (detto degli atomi: 19.8 + n. 166; 90.3.1), solido (120.1) b£roj peso (9.1; 65.1; 66.4; 67; 68.1; 68.2; 68.2.1; 68.2.4; 68.3; 68.4; 68.4.1), lat. pondus (Cicer. 76.2; 76.3), gravitas (Cicer. 76.3) barÚthj pesantezza (19.3; 51.3; 64.4; 66.2) „sobarÒj di egual peso (68.2: 308b34) koufÒthj leggerezza (51.3; 65.1; 66.2; 68.2.1; 68.3) barÚj pesante (51.3: a9; 55.2; 55.3: § 68; 66.2; 66.4) barÚ, tÕ (il) pesante (55.2; 68.1, 68.2, 68.2.1, 68.4) koàfoj leggero (55.3: § 68; 66.4) koàfon, tÕ (il) leggero (55.2; 68.1, 68.2, 68.2.1, 68.4.1) kouf…zein rendere leggero (68.2: 9a7) staqmÒj peso (55.2: § 61) st£qmh linea retta (nel costrutto kat¦ st£qmhn = allineato: 84.2) ·špein pendere (83.6) ·op» momento (36.3, 68.2.2) „sÒrropoj in equilibrio (80.1; 80.3), equipollente (129.1) „sorrop…a equilibrio (83.6; 83.8) œgklisij inclinazione (detto della terra: 83.9) Øfiz£nein depositarsi al di sotto (66.2; 66.3: 569.7; 68.2) pwmat…zein chiudere con coperchio (191.12) ™pipwm£zein fungere da coperchio (67: 94b15), chiudere come un coperchio (89.1: 72.13) ™pipwmat…zein ricoprire come un coperchio (83.6) ¢nakwceÚein sostenere (69.1; 69.2) Øperoc» eccedenza (51.3: a9; 68.2: 308b9); prevalenza (94.1: a20-21, b20-21) Øperb£llein superare (51.3: a12), essere eccedente o in eccesso (137.1) Øperbol» eccesso (144.1) œlleiyij difetto (144.1) ™lle‹pon, tÕ deficienza (137.1) kratÁsai prevalere (94.1: a10, b21) ™pikratoàn, tÕ il prevalente (Anassagora: 11.2) ™pikr£teia prevalenza (56.2; 94.4; 186.3) ÐmalÒj equilibrato (87.6) Ðmalîj in modo regolare (55.2: § 62), equilibrato (80.3), uniforme (119.1: § 56) ¢nèmaloj irregolare (27.1), squilibrato (87.6), difforme (121.5) ¢nwmal…a incongruenza (58.1: § 214), irregolarità (110.4: B8) ¢nwm£lwj in modo irregolare (55.2: § 62; 191.7) ¡rmon…a armonia (131) summetr…a accordo (47.3; 65.2), equilibrio (131; 137.1 + n. 1083 ad loc.), ’simmetria’ (nel senso di adattamento reciproco nelle dimensioni, corrispondenza) (116.3) sÚmmetroj in proporzione (109.3.1; 137.3), corrispondente (= della stessa misura) (89.1), commensurato (22.4: 371.29; 62.6: 154.14) summ»trwj in condizione proporzionata (106.2) ¢summetr…a incommensurabilità (121.4: VI 2, 4)
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oÙ m©llon non più (57: b10; 58.1) oÙdn m©llon non più (3: 28.11-12; 57: b10; 57.1) mhdn m©llon non più (3: 28.10, 25-26; 59.1) m¾ m©llon non più (56.1; 59.1) m©llon...À ... … piuttosto che …. (36.1: a19-20; 41.1: b27) diafwn…a discordanza (57.1 ) diafor£ differenza (7.1; 10.1; 10.2; 12.3: 116.25; 36.1; 36.2; 36.5; 40.1; 40.2; 47.2; 47.5; 48.4; 94.1; 121.2; 123.2: § 79), differenziazione (12.3: 116.24) Ómoioj simile (3: 28.19-20; 62.4; 63; 80.1; 88.6; 89.1; 116.1) Ómoion, tÕ uniformità (36.1) Ðmo…wj in modo uniforme (55.2: § 62), allo stesso modo (57: b11) ÐmoiÒthj similarità (89.1: 73.4; 116.1) Ðmoà p£nta tutte le cose insieme (13.1; 13.2; 38.1: 203a25; 38.4: 462.11) ¢nÒmoioj dissimile (55.3: § 69; 62.4; 123.1: § 74) ¢nomo…wj in modo dissimile (55.3: § 69) ¢nomoiÒthj dissomiglianza (7.1: 295.10) ˜tero‹oj dissimile (49.2: 13.15), vs. ›teroj differente ¢llo‹oj altro (50.4) po…othj qualità (6.3, 8.3, 19.7, 19.8; 47.5; 53.2) poiÒj dotato di qualità (6.3: § 33) ¥poioj privo di qualità (6.3; 8.1; 8.3; 19.7; 53.6) po…hsij azione (62.1 e 2) poie‹n, tÕ (l’) agire (21.7; 62.1; 62.2; 62.3; 62.4; 62.5) e„dopoie‹sqai essere formato (12.3: 116.23) p£scein, tÕ (il) patire (subire, scil. un’operazione altrui) (15.1; 21.7; 51.3; 62.1, 62.2; 62.3; 62.4; 62.5; 116.2) p£qoj affezione (47.4; 50.1: 17 e 20; 51.2; 51.3: a3; 53.1: § 184; 55.1: §§ 60-61; 55.2: § 63; 55.3: § 69; 60.1: § 140; 107.1; 121.1; 121.2), cfr. infra, p. 25 p£qh kat¦ t¦j a„sq»seij affezioni sensibili (121.3) ¢paq»j impassibile (4.1; 6.5: § 318; 8.1; 8.3; 10.4; 19.7: 431.25; 21.6: 23; 22.1: 925.20; 51.2; 51.3; 116.1) ¢p£qeia impassibilità (22.1) p£qhma affezione (10.1) paqhtÒj che patisce (6.2) kenopaqe‹n (passivo:) essere affetto in modo vuoto (53.2) kenop£qeia vuota affezione (53.1: § 184), reso probabilmente con motus inanis da Cicerone (112.4: § 105, con n. 876) kenop£qhma vuota affezione (53.3) [variante del precedente] dÚnamij potere (8.1: 11E6; 8.2; 8.3; 55.3: § 67 + n. 399 ad loc.; 68.1 inizio; 110.6; 121.1; 121.3; 121.4; 136.2; 188.10), facoltà (105.1; 105.2), capacità (29.1; 100.3), potenza (vs. atto [Arist.]: 24.7; 24.9; 35.3; 54.1; 54.1.1), forza (93.6; 93.6.1), possibilità (152.5.2) ™nšrgeia atto (18.7; 24.7; 24.9: 34.23 e 32, 35.5 e 7; 33.1: a32-33; 33.3: 648.11 e 17; 33.4: 613.21; 42.3; 54.1; 54.1.1)
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scšsij rapporto (50.1: 17.20 e 31-32; 50.3: 23.7 e 16; 50.4) di£krisij disaggregazione (13.1; 19.1; 19.2; 24.11; 49.3; 49.4; 50.2; 51.4; 62.1; 62.2) [uso questo termine, per quanto artificiale, invece di ‘disgregazione’, per conservare l'affinità col successivo nell'indicare la separazione degli atomi stessi anziché la dissoluzione del composto come sua conseguenza], divergenza (58.1: § 214) sÚgkrisij aggregazione (processo: 13.1; 19.1; 19.2; 24.1: 20 e 23; 24.2; 24.11; 49.3; 49.4, 50.1; 50.2; 51.4; 62.1; 62.2), aggregato (3: 28.21; 8.1: 10E8; 105.7), componente (123.1: § 76) diakr…nein separare (6.4; 19.2; 72.1), dilatare (121.3: VI 1.4), disperdere (117.1: § 54) sugkr…nein aggregare (7.1; 19.2), combinare (6.4), contrarre (121.3: VI 1.4) diakr…nesqai separarsi (8.3: 4.13-14; 24.1), dilatarsi (48.1) sugkr…nesqai aggregarsi (8.3: 4.13-14; 24.1), condensarsi (48.1), lat. cohaerescere (Cicer. 9.3: §§ 17 e 20) sugkritikÒj aggregante (47.1), unificante (11.5; 26.5) diakritikÒj separante (47.1), separativo (11.5; 26.3) sÚgkrima aggregato (2.2; 4.1; 8.3: 4.15; 9.2; 19.6; 19.8; 20.5; 50.1: 17.26; 53.6; 87.6) ¢pokr…nesqai disaggregarsi (19.3), separarsi (72.3*) ¢pÒkrisij distacco (107.1) proskr…nesqai aggregarsi (19.3), aggiungere (104.2: 68.29) e„skr…nesqai assorbire (104.2: 68.28) e‡skrisij penetrazione (50.4; 107.1; 110.1.3; 117.4) œkkrisij separazione (13.3; 18.7; 48.9; 79.1.1) [il senso è, più precisamente, quello di differenziazione interna e distacco o venir fuori da –, p. es. degli elementi da una mescolanza iniziale]; secrezione (89.1: 73.5) ™kkr…nesqai separarsi (104.2; 121.6), emergere per separazione (18.6) die…rgein tener separato (38.4: 462.17 e 18 + n. 282 ad loc.), ostacolare (38.4: 462.16) die…rgesqai essere separato {p. es. dal vuoto} (12.3, inizio; 21.5; 101.2: 67.19) ™xe…rgein impedire (169.4 + n. 1216) ¢ne…rgein trattenere (104.1: 472a9 e 13) sun…sthmi associarsi (15.1), costituirsi (medio: 18.7) sunist£menoj associandosi (15.1: 32) t¦ sunist£mena ciò che si è costituito (79.3-4) sunestÒj composto (48.6: b29) sÚsthma complesso (4.1) sÚstasij costituzione (6.5: § 310, 15.4: 158.18; 65.2: 29; 79.5; 121.4.1; 125.1: I 7, 1), (il) costituirsi (processo: 79.1.1) sunt…qhmi combinare (15.1) sÚnqesij composizione (9.7; 19.7: 431.28-29; 20.3; 21.2; 52.1, 52.4) sÚnqetoj composto (100.1) sÚnqeton, tÕ (il) composto (12.3: 116.31; 49.1: a29; 49.2, 50.1: 17.19 e 29; 65.2: 26; 66.2: 69.13) ¢sÚnqeton, tÕ (il) non composto (68.3) ¡ploàj semplice (49.1; 100.1; 123.1: § 76)
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sugke‹sqai essere composto (49.1; 49.2; 51.1; 52.2; 55.2: § 62) sugke…menoj composto (24.4; 52.4), messo insieme (21.2: 21) sugke…menon, tÕ il composto (21.2: 659.28) parake‹sqai cfr. supra, p. 8 sÚndesij giunzione (123.2: § 79) sumplok» intreccio (12.3: 116.23; 20.1, 20.2, 122.1: § 66) sumplškesqai intrecciarsi (4.4; 9.4: XIV 23.2; 78.4; 80.1) periplok» intreccio (7.1: 295.11; 9.7; 29.5) periplškesqai intrecciarsi (4.2; 4.4; 7.1: 295.11; 8.1: 11A1; 8.3: 4.12; 15.1: 325a34; 36.4; 65.2: 24; 73.5; 73.6; 80.1) paremplok» inserimento {del vuoto} (48.7.1; 68.2.1), cfr. interiecto inani (Cicer. 75.4) ™piplok» intreccio (79.7) complexiones et copulationes et adhaesiones (Cicer. 9.3: 19) ¥qroisma insieme {di parti} (20.5), raggruppamento (54.4 fine) ¢qroismÒj combinazione (29.9) ¢qro…zesqai raccogliersi (104.1: b2; 126.1: § 2) ¢qroizÒmena, t¦ gli aggregati (8.1: 11A2) sunaqroismÒj agglomerazione (49.4) ¢qrÒoj continuo (89.1: 73.5), compatto (119.1: § 56), condensato (54.5 + n. 387 ad loc.) ¢qrÒwj raccolto (67: 294b20) œnarqroj articolato (110.4: 735B4) diarqroàn articolare (126.1: I 8, 3) swrÒj mucchio (8.1: 11E10) diaspe…rein disperdere (7.1: 20) diesparmšnoj disperso (8.1: 10F7; 69.2: 21), sparso (105.7) kataspe…rasqai essere diffuso (33.4 + n. 262; 35.3; 36.1.1), essere sparpagliato (90.2: 21A1) ™gkataspe…rasqai essere diffuso (33.2; 33.4) paraspe…rasqai essere diffuso (34.3.1: 17; 48.7.1 + n. 326) pel£zein accostarsi (8.1: 10F7) ™mpel£zein accostarsi (112.1) prosegg…zein essere accosto (20.2: 20) sunec»j continuo (21.1; 21.2; 21.3; 21.7; 22.2; 33.3; 33.4; 38.1; 51.3; 51.4; 65.1), contiguo (85.3), di seguito (scil. nell’esposizione) (52.1) ™fex»j in consecuzione (21.1), di seguito (scil. nell’esposizione) (66.2) sunhmm»noj connesso (100.1: 9.5) [in senso logico cfr. supra, p. 3] ¡f» contatto (rapporto: 20.2: 20; 21.2: 21, 24; 21.5; 21.6; 29.5; 38.1: 22; 62.3), contatto (nel senso di punto di contatto fra corpi: 24.4; 24.6), tatto o contatto (vedi infra, p. 20) ¤ptesqai essere a contatto (38.4) ¡ptÒj tangibile o tattile (33.5; 121.2) ¡ptÒmenon in contatto (21.1; 39.1) ¢sÚnaptoj non connesso (100.1: 9.5 e 16) ¡naf»j intangibile (28.1; 28.2), intactilis (Lucr. 29.7: v. 437)
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sÚnayij unione per contatto (123.1: § 73), congiunzione (85.6 + n. 652 ad loc.) sunaf»j ’sunaptico’ (38.4: 462.3 + n. 281 ad loc.) dialamb£nein dividere (21.2; 21.7; 22.2, 33.1: a33; 34.3: 19; 34.3.1: 19; 62.6: 154.3) katalamb£nein prendere (48.7: b12) metalamb£nein scambiare (19.6), partecipare (80.1: § 33), condividere (179.12) ™pikatalamb£nesqai [scil.: ¢ll»louj] incontrarsi (65.2) ™mperikatalamb£nesqai essere racchiuso dentro (68.2: 309a6) ¢nalamb£nesqai recepire (110.4: 735B1) mesolamb£nesqai essere interrotto (33.3: 20) ¢nt…lhyij presa reciproca (7.1: 15-16), ma: apprensione (nel campo della percezione [= kat£lhyij], cfr. infra, p. 23) sÚllhyij congiunzione (85.8) ™napÒlhyij ritenzione (123.1: § 74), inclusione (55.2: § 62) ¡rmÒzein adattarsi (116.3.1) ™narmÒttein adattarsi (116.3) ™farmÒzein sovrapporre (21.5), adattarsi (129.1: 6.25 + n. 1026 ad loc.) di…stasqai distendersi (97.3) diest£nai distare (21.5) diestèj distante (11.5: 26.6), che ha dimensione (30.1: 20) diastatÒj esteso (30.1), avente dimensione (29.8) ¢d…astatoj inesteso (30.1) di£sthma estensione (30.1, 30.2; 31.3; 33.3; 34.3: b32 + n. 270 ad loc.; 35.1; 35.3; 90.2: 21B4), intervallo (ma include l’idea di estensione: 31.1; 31.2; 90.2: 21D5; 117.9; 137.1*), distanza (4.5: § 3; 118.1) di£stasij intervallo (90.2: 21A4), separazione (101.2) œktasij estensione (38.2) tÒpoj luogo (7.1; 30.1; 30.2; 30.3; 30.4; 31.1; 31.2; 31.3; 32.1; 32.2; 35.1; 36.5) topikÒj locale (detto di movimento) (19.8: § 42) cèra spazio (8.3: 4.11; 28.1; 31.3) metaxÝ cèra spazio interstiziale (8.3.4) stenocwr…a ristrettezza di spazio (48.7: b16; 67: 94b26) cwre‹n fare posto (16.5), ricevere (30.2) pl£toj tÕ (la) piattezza (67), larghezza (83.4.1, 83.5) pl£tuj piatto (69.1; 69.2; 83.5.1; 123.1: § 73) nàn istante (21.1: 231b10) crÒnoj tempo (43.1; 43.2; 43.3) œscatoj ultimo (21.6; 22.4: 371.21; 47.4: 48C3 + n. 314) œscaton, tÕ l’estremità (31.1; 31.2) manÒj rado (10.1; 12.1; 34.3; 55.2; 55.3: § 68) manÒthj rarefazione (processo: 19.2), rarità (48.6) m£nwsij rarefazione (34.3.1) puknÒj denso (10.1; 12.1; 34.3; 55.2; 55.3)
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puknoàsqai (medio:) condensarsi (34.2), compattarsi (69.2); (passivo:) essere compresso (34.1; 34.3.1; 117.1: § 52) puknÒthj condensazione (processo: 19.2), densità (48.6) pÚknwsij condensazione (19.8; 90.2: 21A7) p…lhsij contrazione (34.3; 50.1: 25; 50.1: 25; 90.2: 721A2), {il} condensarsi (34.3.1: 16) pile‹sqai condensarsi (34.1; 34.3; 34.3.1) pilhtikÒj condensante (11.5; 47.1) piloÚmenoj che si condensa (34.1) p»gnumi condenso (48.1; 90.2: 721A; 98.5) sunišnai contrarsi (34.1: 16, 18; 34.3; 48.1), convergere (49.1 fine) sunšleusij contrazione (letteralm. riunione: 19.8) di£tasij dilatazione (19.8: § 44) ™pšktasij espansione (48.7; 48.7.1) ™pekte‹nai (-e…nesqai) espandersi (48.9), estendersi (34.3; 34.3.1) diastšllein dilatare (104.1: a25) sustšllesqai contrarsi (34.3.1; 90.2; 117.1: § 50) susp©n contrarre (122.1: § 65) leptÒj fine (48.6), sottile (55.2: § 62; 89.1: 72.31; 98.7; 110.1.3), tenue (98.5; 181.2) leptÒthj finezza (48.6) pacÚj grosso (48.6; 98.5; 123.1: § 75) pacÚthj grossezza (48.6), densità (123.2: §§ 80, 81) ¢raiÒj rado (89.1: 31), sottile (vs. pacÚj: 98.5) qermÒj caldo (47.3; 47.4; 47.5; 51.3; 53.1; 55.3: § 68) qermÒthj (il) caldo (47.1; 47.2; 47.4; 50.1) yukrÒj freddo (47.3; 47.4; 47.5; 51.3; 53.1; 55.3: § 68) yÚxij (il) freddo (47.1; 47.2; 47.4; 50.1; 104.2: 68.32) ¢nayÚxij raffreddamento (104.1: b4) katayÚxij raffreddamento (104.1.1) xhrÒthj secchezza (47.2) ØgrÒthj umidità (47.2) gl…scroj vischioso (122.1: § 66) kollèdhj collante (122.1: § 66) sklhrÒj duro (51.3; 51.5; 121.2; 123.2: § 79) sklhrÒthj durezza (8.3: 4.18; 11.4: 25.7) sklhrÚnomai mi indurisco (19.8) malakÒj molle (51.3; 121.2) malakÒthj mollezza (51.2). malakÚnomai mi rammollisco (19.8: § 44) e‡kein cedere (19.3) Øpe…kein cedere (36.1) ØpeiktikÒj cedevole (51.2; 51.3: a14; 98.7). dšcesqai recepire (16.5; 34.1; 62.6: 154.14; 98.7; 117.1: § 50; 117.2.2)
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Øpodšcesqai recepire (110.4: 735B2) dektikÒj ricettivo (2.1: § 269; 33.1; 98.7) ØpodektikÒj ricettivo (32.2) ™kdoce‹on ricettacolo (119.2) ¥ggeion recipiente (18.6; 33.1; 48.7; 90.2: 21A11; 119.2) tracÚthj scabrosità (47.4; 110.4: B 8, 120.2: 83.7 e 10; 121.3: VI 1, 4; 122.1: § 67) tracÚj scabro (55.3: § 67; 120.1; 121.2; 121.3: VI 1, 6; 122.1: §§ 65-66; 123.1: § 74), lat. asper (9.5: X 1, 5; 9.6: III 17, 25; 75.2) le‹oj liscio (110.4: 735B6; 117.2; 120.1; 121.2; 121.3: VI 1, 6; 123.1: § 73), lat. levis o laevis (9.5: X 1, 5; 9.6: III 17, 25; 75.2) le‹on, tÕ lisciezza (121.2) leiÒthj lisciezza (120.2: 83.7 e 10; 121.3: VI 1, 4) ¢mblÚj ottuso (120.1) ÑxÚj aguzzo (dei corpi) (120.1), acuto (dei suoni) (121.2), acido (dei sapori) (vedi infra, p. 22) [ambiguo in greco, cfr. n. 945 ad 121.3] Ñxugènioj acutangolo (121.6) stroggÚloj rotondo (121.3), lat. rutundus (75.2, 75.3) perifer»j tondeggiante (121.3, 122.1: § 65) perifšreia contorno (122.1: § 66) kamp» sinuosità (122.1: § 66) kampÚloj a sinuosità (121.3: VI 1, 6), lat. curvatus, quasi aduncus (75.2) polukamp»j molto sinuoso (122.1: § 65; 122.2) gwnoeid»j angoloso (121.3: VI 1, 6; 122.1: §§ 65 e 67; 122.2), lat. angulatus (9.5: X 1, 5; 75.2) polugènioj con (dai) molti angoli (122.1: §§ 66 e 67; 121.3: VI 1, 6) skoliÒj storto (121.3) „soskel»j dai lati eguali (121.3: VI 1, 6) skalhnÒj diseguale (7.1, 90.2, 121.6, 122.1: § 66, 123.1, 122.2), “scaleno” (122.1: § 66, cfr. n. 974) ¢gkistrèdhj uncinato (7.1; 78.4), lat. hamatus (9.5: X 1, 5; 9.6: III 17, 25; 75.2 [cfr. Lucrezio IV 662]); ma uncinatus (75.4, dove hamatus è reso con ‘adunco’) belonoeid»j a punta come frecce (123.1: § 77) sfairoeid»j sferico (55.3: §§ 68-69) ko‹loj concavo (7.1), cavo (83.4.1, 83.5, 83.5.1, cfr. PT, sez. 21) kurtÒj convesso (7.1) prÒkrossoi a scaglioni (cioè ordinati a ranghi (ranged in ranks), cfr. LSJ s.v.) (123.2: § 79 + n. 997) tenqrhniîdej alveolatura (98.7) ¥mbh prominenza (191.14) ¢nak£mptein subire conversione (79.4 fine; 79.5) met£basij cambiamento (19.7: 431.11-12), mutazione (48.7: b14) metaba…nein cambiare (19.6; 19.7: 431.13), passare (19.7: 431:15) metabatik¾ (scil. k…nhsij) movimento di transizione (19.8 + n. 165 ad loc.)
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metabatikîj per transizione (19.8: § 43) metab£llein mutare (13.2; 18.6; 19.1; 55.2: § 64; 57: b17-18), trasformarsi (34.3; 51.4; 51.5; 79.6 fine) metabol» mutamento (3: 28.11; 4.4; 8.3 fine; 19.7: 431.12 e 29, 50.2; 50.4; 51.4), trasformazione (92.1.1) metablhtik¾ (scil. k…nhsij) movimento di cambiamento (19.8 + n. 165) metap…ptein mutare (17: §§ 2 e 5-6; 55.2: § 63), trapassare (137.1* + n. 1084), passare (179.2*) prosp…ptein cfr. infra, p. 18 metall£ttein cambiare (106.2) diall£ttein cambiare (0.5.4) ¢me…bein cambiare (19.4; 19.6) ¢moib» contraccambio (177.4) met£qesij trasposizione (19.7), mutamento di posizione (50.1: 17.26, 50.1; 50.2 + n. 341; 50.4; 51.2: 160.29) metat…qesqai mutare di posizione (50.1: 17.29, 50.6; 51.5) met£taxij mutamento di ordine (50.1: 17.26; 50.1; 50.2 + n. 341; 50.4; 51.2: 160.29) metat£ttesqai mutare di ordine (50.1: 17.29; 50.6; 51.5) metarusmÒw (metarruqmÒw, metarruqm…zw)° riformo (171.1, 171.1.1-1.2) metarruqm…zesqai trasformarsi (121.6 [democriteo? sostituito dal seguente in Teofr.]) metaschmat…zesqai trasformarsi (121.6) metakosmšomai muto di organizzazione (19.8) ¢meiyirusme‹n cambiare di forma (0.5.4, 192.2) meq…stasqai spostarsi (31.1; 32.2) œxodoj emissione (103.4: 28; 104.3), fuoriuscita (104.1: a15) eÙd…odoj facile da traversare (123.1: § 74) dusd…odoj difficile da traversare (123.1: § 73) ™xolisqa…nein scivolare via (101.3; 102.3: 25), sfuggire (87.6.1) diolisqa…nein sfuggire (69.2: 13-14), scivolare (97.3) diadÚnein insinuarsi (101.1: 404a7; 101.3: 15; 102.3: 18) diadÚesqai insinuarsi (89.1: 73.2; 122.1: § 65) ™ndÚesqai penetrare (89.1: 73.1) ØpeisdÚesqai penetrare in modo inosservato (15.1: 325b4-5) ™ngkatabussoàsqai penetrare profondamente (110.4: A2-3*) ¢ntšcesqai resistere (7.1: 295.18) stasi£zein trovarsi in lotta (7.1: 295.9) ™xšssusqai erompere (93.2.1; 93.2.3; 93.2.7) ™kqÒrnusqai balzare fuori (93.2.4) diace‹n diffondersi (122.1: §§ 65 e 67) gšnesij generazione (15.1; 49.1; 49.3; 49.4; 50.2; 50.5; 50.6; 51.2; 51.4; 52.4; 79.1; 79.4) g…gnesqai generarsi (4.5, 49.1; 79.1; 79.2; 79.4) fqor© corruzione (49.1; 49.4; 50.2; 51.4; 52.4; 79.1; 79.4) fqe…restai perire (4.5, 14.3; 79.1; 79.2), corrompersi (49.3), cessare (54.1)
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fqartÒj corruttibile (79.2; 79.3; 103.6) ¥fqartoj incorruttibile (9.4: 25.3; 112.1) ¢fqars…a indistruttibilità (8.1: 11D4) dÚsfqartoj difficilmente corruttibile (112.1) ¢di£fqoroj indistruttibile (8.1: 10E6) sèzesqai conservarsi (54.1) aÜxhsij accrescimento (15.1: 325b4; 19.5; 19.7; 34.1; 34.2; 50.2, 50.4), crescita (13.2) fq…sij diminuzione (13.2; 50.4) aÙx£nesqai crescere (19.7), accrescersi (19.2; 19.3; 34.2) fq…nein deperire (19.2, 19.3), essere in diminuzione (4.5) ¢llo…wsij alterazione (19.7; 49.1; 50.2; 50.5; 51.2; 55.2: § 63; 116.1) ¢lloioàsqai alterarsi (13.1; 19.7; 55.2: § 63; 116.2) ¢nallo…wtoj inalterabile (4.2) ¢km£zein fiorire (4.5: 4), essere al culmine (ivi: 3) [la condizione suggerita dalla prima resa è più estesa di quella suggerita dall’altra, cioè non riguarda solo una fase del ciclo cosmico, sicché c’è un uso ambiguo del termine in uno stesso testo] k…nhsij movimento kine‹sqai muoversi metakine‹sqai trasformarsi (50.2: b13), essere trasposto (50.2: b14) for© spostamento (19.2, 19.3, 19.7, 34.1; 35.2, 36.2, 36.4; 64.1: 300b8; 80.1), movimento (64.1: 300a31, 301a1; 65.1; 77.1; 89.1) fšresqai essere trasportato (4.1), portarsi (36.1; 66.1; 68.1; 68.4; 80.1; 89.1; 116.1), spostarsi (19.1; 36.3; 36.4; 66.2), muoversi (7.1: 295.10; 8.1, 9.3; 36.1; 64.1; 64.2; 65.2: 23; 67: a8; 90.2: 20F3), percorrere (36.3), lat. ferri (Isid. 5.12; Cicer. 9.3; Lucr. 64.8) ™panafšresqai ritornare su (110.4: 735A4) Øpofšrein trascinare (96.6.1 + n. 738 ad loc.) t£coj, tÕ velocità (36.4) „sotacîj con velocità eguale (36.4) ¢nisotacîj con velocità diseguale (36.4) foit©n visitare (110.4: 735A4) ¢pišnai staccarsi (110.4: 735A5) Øpexišnai rimpiazzare (35.1: 29-30) Øster…zein rimanere indietro (68.2: 10a10) ¹rem…a stasi (64.1; 67; 83.3) ¹reme‹n essere in stasi (36.1; 64.1: 300a28 e b23; 67; 83.1) mšnein rimanere fermo (64.1: 300a30; 65.1: a13; 67; 83.6; 83.7; 83.8) summšnein permanere insieme (7.1: 14 e 18-19; 65.2: 26) Øpomšnein permanere (121.6) sunefšlkein trascinare con (sé) (103.3: 21) sunefšlkesqai trascinare con (sé) (110.4: 735B1) sÚnodoj convergenza (8.2: 217.4; 8.3: 3.22; 8.3.4: 120.24; 101.2), congiunzione (degli astri: 85.8; 128.1) sun£gein raccogliere insieme (63); restringere (122.1: § 65)
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sun£gesqai stringersi (90.2: 21A10); contrarsi (90.7) sunagwg» restringimento (104.3), riduzione (21.2: 659.23) e„s£gein introdurre (21.6) dineÚw (dinšw) muovo vorticosamente (4.1; 4.2) (cfr. d…nh e d‹noj infra, p. 24) ™p…stasij fermata (117.6 + n. 919 ad loc.; 117.6.2) stršfein invertire (117.1: § 52) sustrof» rotazione (67.1) ¢ntitup…a resistenza (agli urti oppure al tatto) (8.1: 11E7; 29.8; 29.9 + n. 241 ad loc.; 77.1) ¢nt…tupoj respingente (54.4: 156a1), resistente (98.7) ¢ntitupe‹n opporre resistenza (19.3) ¢llhlotup…a urto reciproco (64.4; 64.6; 79.7) ¢llhlotÚpein urtarsi reciprocamente (36.4; 64.4) ™mp…ptein incontrare (7.1), precipitare (4.2; 119.1: § 55), colpire (117.7; 118.1) œmptwsij incidenza (4.1; 110.1.3; 110.1.4; 120.2) prosp…ptein venire incontro (110.4: 735B1; 128.1), colpire (106.4; 112.6) prÒsptwsij incidenza (detto degli ’idoli’, 110.1) per…ptwsij esperienza (58.5: § 59; 126.3, cfr. n. 1012 ad loc.) sump…ptein incontrarsi (8.1: 11A1; 9.4; 90.2: 21A3) Øpop…ptein colpire (54.1.1) diekp…ptein rigettare (119.1: § 56) parekp…ptein rendere inclinato (83.8) par£stasij apparizione (detto degli ’idoli’, 110.1; 186.3 (135)) œnstasij impatto (117.4-4.3) peripl£ttesqai stare attaccato (122.1: § 66 + n. 976 ad loc.) ¢pall£ssein stare lontano (60.1*: § 137) ™pall£ssein intrecciarsi (97.1), incrociarsi (117.1: § 53 + n. 904 ad loc.; 123.2: § 80), mutare (97.1 + n. 742) ™pallag» adesione (reciproca) (7.1) ™p£llaxij incrocio (20.1; 20.2) [L'intreccio {degli atomi} gli Abderiti, come Democrito, lo chiamarono “incrocio”: Simpl. 20.2] ™nallag» inversione (186.3) parallag» incrocio (94.3) perip£laxij incontro (122.1: § 66 + n. 975) peripal£ssesqai essere scagliato intorno (19.3 + n. 161) p£llesqai essere agitato (5.2; 5.2.1; 8.1: 1111E; 73.5; 73.6) palmÒj scossa (93.2.10; 64.5.1 [movimento per scosse]) ¢pop£llesqai rimbalzare (8.3: 418.11), essere respinto (65.2: 24) ¢popalmÒj impulso (64.6), lat. impulsio (Cicer. 64.7) pa…ein urtare (8.1: 11E8) plhg» impatto (9.1; 64.3; 64.5 + n. 490 ad loc.; 64.6; 77.1), urto (90.3.1; 90.4), colpo (90.2: 21B8; 93.2.7, 93.2.10), lat. plaga (Cicer. 64.7; 76.2; Luc. 89.3: v. 1003; Gell. 90.4) ¢popl»ttesqai scuotere (117.1: § 54) kroÚesqai scontrarsi (64.4)
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proskroÚw collido (4.4; 8.3: 4.13; 80.1: § 31) sugkroÚesqai urtarsi (65.2: 23) sÚgkrousij urto (76.1: ii 9); scontro (87.6) ¢ntikop» repulsione (79.7) ¢ntšreisij resistenza (67: 294b17; 69.2: 730.14; 80.1: § 32 + n. 621 ad loc.) ¢ntisthr…zein resistere (60.1*: § 136) ql…bein fare pressione (98.5) ql…yij pressione (104.1: 472a9) œkqliyij espulsione (66.1, 66.2, 68.2: 310a10; 90.3.1; 104.1: 472a16), compressione (66.2 + n. 504 ad loc.) ™kql…bein espellere (101.1: a11; 104.1: 472a6 + n. 797; 104.3), (passivo:) essere espulso (68.2: 10a10; 68.4.1; 80.1; 98.5; 104.2), essere compresso (66.2) sunql…bein espellere (104.1: 472a12, a25) sunql…yij compressione (104.1: 472b1) ™kpurhn…zein espellere (34.2), (passivo:) essere espulso (104.2: 68.22, 24, 26, 33; 69.2: usato da Filopono al posto di ™kql…bein ecc. come compaiono in Arist., 104.1, ecc.) çqe‹n premere (117.1: § 52) ¢pwqe‹n respingere (117.1: § 54) ˜xwqe‹n proiettare fuori (66.3), spingere all'infuori (34.3: A15; 98.5) sunexwqe‹n espellere insieme (8.1: E7) ›lkein attrarre (89.1; 89.1.1; 89.2) soàj impeto (69.1 + n. 537) diam…mnein rimanere fermo (119.1, § 55) sk…dnasqai diffondersi (119.1, §§ 55 e 56) s£loj agitazione (96.6*; 110.4: 735A6) pl£nh (l’) errare (96.6; 96.6.1) e‡dwlon° simulacro (4.1: § 44; 106.4; 117.1; 117.2; 117.3.1; 117.4; 117.6; 117.7; 117.9; 118.1), idolo (come termine tecnico, 5.4; 110.1; 110.4; 110.5; 110.7; 110.8; 111.2; 112.1; 112.1.1; 112.2; 112.6; 128.1: § 25; 186.3) [uso esclusivamente ’idolo’ nei testi riguardanti le immagini che originano l’idea del divino, dato anche il richiamo a quelle di cui parla Omero (cfr. 112.1 sgg.)], immagine (0.5.5*;147.1*; 173.6*) de…kelon immagine (191.3*) „ndalmÒj apparenza (0.5.4) e„kîn immagine (110.4: 735B5) ¥galma simulacro (129.1: 6.13; 129.2) spectrum simulacro (Cicer. 110.8) simulacrum simulacro (Cicer. 112.3; Macrobio: 117.5) imago immagine (Cicer. 46.2 fine; 110.3; 112.4; 114.1; 114.2) ¢porre‹n effluire (117.2.2) ¢porro» efflusso (89.1; 116.1, 117.1: §§ 50-51), emissione (50.4 + n. 348 ad loc.) ¢pÒrroia efflusso (89.1.1; 111.2; 116.1; 117.3; 117.3.1; 120.2: 83.4; 123.1: § 74; 191.3)
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pÒroj poro (8.3.2; 15.1; 21.6; 21.7; 62.6: 153.24; 154.6,7,11,13,14,16; 89.1; 97.2; 110.4; 116.3; 123.1: §§ 73-74, 123.2: § 80), lat. foramen (Seneca 90.1) eÙqÚporoj dai pori dritti (123.1: § 73) eÙqÚtruptoj traforato in modo dritto (123.1: § 73) eÜtrhtoj ben traforato (119.1: § 56) metaxÚ, t¦ interstizi (15.1: 325b10; 21.7) metaxÚ, tÕ mezzo (scil. di trasmissione, p.es. in ambito percettivo) (117.3; 118.3) ·eàma flusso (90.3: § 2; 90.3.1; 90.4; 117.1.1) „km£j umore (117.1: § 50) ¥nikmoj senza umori (117.1: § 50; 119.1: § 56) a‡sqhsij percezione sensibile (15.2; 56.1; 57; 116.1; 116.2), sensazione (15.1; 53.4; 54.4; 55.1; 55.3; 56.1; 57.1; 58.3; 58.5; 100.4; 100.5; 106.4; 110.5; 110.6; 117.3), percezione (57; 90.3; 119.1: § 57), senso (organo) (53.2; 56.2; 58.2; 60.1; 106.7) a„sq£nesqai aver sensazione (100.4; 110.7 + n. 855 ad loc.) a„sq£nesqai, tÕ il percepire (57.2; 106.1; 116.1; 116.2) a„sqht»rion organo di senso (56.1; 117.2.1; 120.2; 121.1; 121.4: VI 2, 2) a„sqhtÒj sensibile (eventualmente vs. intelligibile, vedi supra, p. 3) (53.1; 53.3; 53.8; 58.4) a„sqhtÒn, tÕ il (cosa) sensibile (53.1; 53.2; 53.3; 53.4; 54.1; 54.1.1; 54.4; 55.1 inizio; 56.2; 57; 57.2; 58.2; 58.4; 58.5; 60.1), ciò che è percepito (54.1) ¡f» tatto (come facoltà percettiva, 116.1; 120.1; 120.2; 121.1; 123.2: § 79), contatto (ma includendo l’idea del tatto: 117.3; 119.1: § 55), contatto (cfr. supra, p. 12) ™paf» contatto (ma includendo l’idea del tatto: 56.1: 9D4) yaàsij tatto (60.1: § 139) sumyaÚein essere a contatto (7.1: 295.12), entrare a contatto (80.1: § 32) ™p…yausij tocco (80.1) sÚnayij contatto (123.1: § 73), congiunzione (85.6) Ôyij vista (117.1: § 55; 117.2.1; 117.2.2; 117.4), l’organo della vista (117.1: 513.19 e 514.25; 117.2; 117.2.3; 117.3.1) [Sull’ambiguità del termine cfr. 117.2.2, n. 910.] geàsij gusto (121.2) fantas…a rappresentazione (11.5: 26.3; 18.5; 53.4; 53.6; 55.2; 57.2; 59.1; 59.2; 123.1: § 74), parvenza (8.5; 50.1: 17.27; 50.3: 23.10; 50.4: 23.24), apparenza (190.1.2), apparizione (0.2.1: § 38 + n. 23 ad loc.) immagine (85.7), {capacità di} rappresentazione (53.6); immaginazione (facoltà, 105.3) f£ntasma immagine (85.10), rappresentazione (43.3 + n. 296 ad loc.), visione (111.2: a18) tÚpoj impronta (117.1: §§ 52-54) tupoàsqai ricevere un'impronta (117.1: §§ 50-51); formare un'impronta (117.1: § 51) ™napotupoàsqai produrre impronte (117.1: § 53) tÚpwsij improntarsi (117.1: § 53) ¢potÚpwsij improntarsi (117.1: § 51), ma anche impronta (ivi) ™ntÚpwsij impronta (117.1: § 51)
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¢nt…lamyij riflessione della luce (delle comete) (85.10) ¢ntil£mpein rimandare – riflettere la luce (85.9 e 10) peril£mpein illuminare (85.2) lamprÒj brillante (ma nel senso di luminoso, che irradia luce) (123.1) lamprÒn, tÕ brillantezza (123.2: § 79 fine, § 80) sunaugasmÒj concorso di raggi luminosi (85.3, 85.7) diaug»j traslucente (123.1: §§ 73 e 77) diaugšj, tÕ traslucenza (123.1: § 77), eÙaug»j rilucente (123.1: §§ 73 e 78) poluaÚgeia molta irradiazione (56.2 + n. 409 ad loc.) st…lbon, tÕ lo scintillare (123.1: § 77) sumfwt…zein illuminare a vicenda (85.3) œmfasij apparenza (82.7), riflesso (nel senso di: immagine riflessa: 117.1: §§ 50, 52, 54; 117.2 + n. 909 ad loc.; 117.2.2; 117.4; 117.4.3; 117.6; 117.6.1-2; 123.2: § 80) [il termine, pur mantenendo il senso di ‘apparenza’, come sottolinea von Fritz, Grundprobleme, p. 612, assume manifestamente quest’altro senso, che diventa un senso tecnico, come mostrano il parallelo, in 117.1: § 53, col rifrangersi (¢nakl©sqai) dei suoni nel caso dell’eco, inoltre la sua associazione ad ¢n£klasij in Arist. Meteor. III 4, 373b31 e il suo uso per le immagini che compaiono sugli specchi o nell’acqua, p. es. anche Arist. Divin. 2, 464b11, Ps.-Arist. De mundo 4, 395a33, e la definizione data da Alessandro in 117.2.2], riflesso (nel senso prevalente di impronta: 110.4: 735A11 + C1) ™mfa…nesqai riflettersi (117.1: §§ 51 e 54; 117.2: a12; 117.2.2: 16) sÚmfasij apparizione simultanea (85.6 + n. 652 ad loc.; 85.7) diafan»j trasparente (117.2, 117.2.2, 117.2.3, 123.2: § 80) sk…azein gettare ombra (123.1: § 74) ™pisk…azein gettare ombra (123.2: §§ 79, 80, 81) ¥skioj privo di ombra (123.1: § 73) ¢posk…asma proiezione di ombra (82.7) ¢nakl©sqai rifrangersi (117.1: § 53) ¢n£klasij riflessione (117.2 + n. 909; 117.7) œsoptron specchio (0.4.11; 173.7) katÒptron specchio (117.6; 117.7) katoptrikÒj speculare (117.4; 117.6) ¢nti(peri)strof» conversione (117.6; 117.6.1; 117.6.2) di£strefein distorcere (110.4: 735B8) ØpÒstrefein volgersi indietro (117.4) paratršpein sviare (110.4: 735B8) paratršpesqai volgersi da un'altra parte (157.2) ¢ntifr£ttein fungere da schermo (85.1) ¢pÒkruyij occultamento (83.3) ¢sÚgcutoj senza confusione (110.4: 735B4) culÒj sapore (55.2: § 64; 55.3: § 68; 121.1; 121.2; 121.3, inizio; 122.2) drimÚj piccante (55.2: § 63; 121.3; 122.1: § 67; 122.2)
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drimÚthj l'essere pungente (122.1: § 65) ÑxÚj acido (55.2: § 63; 121.3: VI 1, 6; 121.6; 122.1: § 65; 122.2), acuto ecc. (cfr. supra, p. 15) glukÚj dolce (55.2: § 63; 121.4.1; 121.3; 121.6; 122.1: 65) strufnÒj astringente (55.2: § 63; 121.3; 121.6; 122.1: § 66) pikrÒj amaro (55.2: § 63; 121.3; 121.4.1; 122.1: § 66; 122.2) ¡lmurÒj salato (121.3; 122.1: § 66; 122.2) liparÒj grasso (121.3; 121.4.1) aÙsthrÒj ’austero’ (121.3) Ñsm» odore (121.2; 123.2: § 82) eÜosmoj gradevole (di odore) (121.2; 121.5) k£kosmoj sgradevole (121.2; 121.5) crîma colore (2.3; 53.6; 54.1.1; 55.2: § 64; 120.1; 123.1: §§ 73, 76) crÒa tinta (123.1: § 76); colore (8.1: 11A7; 117.3; 117.3.1) croi» colore (8.1*: 10E8, 11B5; 8.2*: 217.4; 8.3*: 3.20; 60.1*: § 135; 60.3*), croi£ (Arist.: 50.5) ¢llÒcrwn di colore mutato (117.1: § 50 + n. 896 ad loc., e § 54) leukÒj bianco (120.1; 123.1: § 73) mšlan nero (120.1; 123.1: § 74) ™ruqrÒj rosso (123.1: §§ 75, 76, 77) puroeid»j infuocato (123.1: § 75) purèdhj rosso-fuoco (123.1: § 77) clwrÒn verde (123.1: §§ 75 e 78) crusoeid»j dorato (123.1: § 76) porfuroàn purpureo (123.1: § 77) porfuroeid»j purpureo (123.1: § 77) flogoeid»j fiammeggiante (123.1: § 78) ‡satij guado (colore sul turchino o sul blu derivante dalla pianta isatis tintoria) (123.1: § 77) pr£sinoj verdolino (123.1: § 77) qe‹on, tÕ sulfureo (123.1: § 77) ku£neoj indaco (azzurro cupo, “cianotico”, o blu) (123.1: § 77) karÚinoj color noce (123.1: § 78) fanerÒn manifesto (15.2) fa…nesqai apparire (58.1) fainÒmenoj che appare (58.3; 58.5) fainÒmenon, tÕ (il) fenomeno (15.1; 57: 1009a8, b1; 58.1; 58.3; 58.5; 60.1; 60.3; 105.3; 106.1) fainÒmena ta‹j a„sq»sesi apparenze sensibili (60.1: § 135) ™narg»j evidente (15.2; 60.4) ™nargšj, tÕ ciò che è evidente (60.3) ™narge…a evidenza (24.10, 60.3; 60.4)
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saf»neia chiarezza (90.2: 21A7) ¢fan»j non manifesto (15.2) ¥dhloj non-evidente (15.2; 57: b12; 58.3; 58.5: § 62; 58.7; 60.4 + n. 454 ad loc.; 91.4), oscuro (57: b10; 57.1; 183.2), occulto (60.1: § 140), lat. incertus (190.1 + n. 1311 ad loc.), obscurus (190.1.3 + n. 1311 cit.) prÒdhloj pre-evidente (60.4), ben evidente (47.2; 58.1: § 214; 105.3: 71.23) ¢pokekrummšnoj celato (60.4: §§ 324 e 325) ¢l»qeia verità (52.3; 55.3: § 71; 57 [passim]; 58.1; 58.5; 61.1) ¢lhq»j vero (8.3; 57: b12) ¢trekšj sicuro (60.1: § 136 + n. 438 ad loc.) ¢trekšwj con precisione (0.5.4) ™teÒj reale (8.3) ™teÍ in realtà (58.1*: § 214, 60.1*: §§ 135, 136, 137, 60.3*, 61.1*) [trattato come equivalente a “in verità (¢lhqe…v)” da Sesto (cfr. 58.1: § 214, anche 60.1: § 135), ma, pare, come equivalente a tù ™Ònti dallo stesso Democrito (cit. in 60.1, §§ 135-136)] k£nwn regola (60.1: § 137), canone o canoni (titolo di Dem.: 0.6.1: VI.3; 60.1: § 138; 60.4: § 327), canone (titolo di Epicuro: 0.5.8) krit»rion criterio (0.5.15; 2.1; 58.2; 58.3; 58.5, 59.2, 59.4, 60.1: §§ 139-140) kritikÒj discriminativo (120.1: b17), cfr. kr…sij supra, p. 2 ™pikritikÒj di critica (0.6.1: VI 1; 0.6.3) kat£lhyij apprensione (2.1: § 263; 58.2, 60.1: §§ 137 e 140) katalhptikÒj {criterio} di apprensione (58.2) katalhptÒj comprensibile (2.1: § 263; 53.4), suscettibile di apprensione (2.1: § 263) ¢perilhptÒj inconcepibile (37.2: 16; 40.1: 8-9; Epicuro: 40.2; 64.6) ¢nt…lhyij apprensione (mediante un organo sensibile) (53.1: § 184, 56.1: 9D4, 118.1, 119.2, 120.2) prÒlhyij prenozione (73.7) gn»sioj genuino (60.1: §§ 138-39) skotÒj tenebra (60.4: § 325) skÒtioj tenebroso (60.1: §§ 138-39 + n. 443 ad loc.), lat. tenebricosus o tenebricus (Cicer., tenuto distinto da obscurus, 61.2 + n. 461 ad loc.) p…stij credibilità (60.1: § 136 + n. 437 ad loc.), prova (60.3 + n. 452 ad loc.; 123.2: § 79) ¢pist…a mancanza di credibilità (60.3) pistÒj credibile (60.3) pistÒn, tÕ credibilità (60.1: § 138) pe…ra esperienza (126.1: § 7; cfr. 60.2), lat. experientia (Lucr. 126.2: v. 1452) polÚpeiroj di molta esperienza (187.2) bÚqoj profondo (61.1*), lat. profundus (Cicer.: 61.3; 61.4) aÙtÒmatoj spontaneo (74.1.2) aÙtom£twj casualmente (9.4: 23.2) aÙtÒmaton, tÕ caso (71.1, 72.1, 72.2, 72.3, 72.4; 72.5) tÚch fortuna (0.5.5 e 147.1; 71.1, 71.2, 71.3, 72.2, 72.3, 72.4; 147.2; 147.3), caso (73.5), sorte (176.3)
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kat¦ tÚchn fortuitamente (72.6), in modo fortuito (72.5) sÚmptwma (un) coincidente (71.4) ¢pÕ sumptèmatoj per coincidenza (111.2) kat¦ sumbebhkÒj per concomitanza (13.2; 51.4; 71.4; 73.4.3; 73.5) [preferisco questa resa, più letterale, al tradizionale "per accidente", perché la tendenza ad associare quest’ultimo agli "accidenti" lo rende poco appropriato a rendere idee come quella di coincidenza nella trattazione del caso] sumbeb»kota, t¦ concomitanti (53.4: detto dei composti!) sumba…nonta, t¦ concomitanti (104.2), fatti (104.1 e 104.4), conseguenze (8.1: 1111A9; 20.1) ¢n£gkh necessità (42.1; 70.1; 70.2; 70.3; 73.5; 73.6; 98.3) ¢nagka‹on, tÕ la necessità (127.2) eƒmarmšnh, ¹ destino (70.1; 70.2; 70.3; 73.7; 76.1.1), lat. fatum (Cicer.: 70.5; 76.2) eƒmarmšnoj fatale (73.5, dove qualifica tÚch) peprwmšnh, ¹ fato (73.7) ›nek£ tou, tÕ l’in-vista-di-qualcosa (74.1) oá ›neka, tÕ l’in vista di che (98.3) tšloj fine (66.1; 65.1 + n. 500 ad loc.; 132.1; 132.2; 132.4; 181.3.1; 4.1: § 45, e 132.5) kÒsmoj mondo (4.1; 4.2; 4.5; 44.1; 44.2; 64.1, 64.1.1; 78.1, 78.2, 78.4, 78.5, 78.6, 79.1, 79.4, 124.1; 124.2 [talvolta, come in 64.1 e in 78.1, viene richiamato il senso etimologico di ordine]), cosmo (9.4: 25.1), insieme ordinato (in poesia: 115.5) diakÒsmhsij ordinamento cosmico (0.2.1: § 35 + n. 12 ad loc., 72.5) di£kosmoj sistema del mondo (titolo di opera, 0.6.1: III.1 e 2; 0.2.1: §§ 39, 40 e 41; 0.2.2; 0.3.18; 0.3.23; 0.6.2; 82.3) kosmia…a cosmico (hapax, detto dell’atomo) (64.6, cfr. n. 495 ad loc. sulla resa ’grande come un mondo’) oÙranÒj cielo (83.1; 93.6; ma nel senso di mondo: 67: 295a14, ambiguo in 72.1 + n. 555 ad loc.; 72.2; 72.4) d…nh vortice (4.1: § 45; 67; 67.1; 70.4; 72.1, 72.4, 72.5, 72.6, 80.1: § 31; 81.3) d‹noj (de‹noj) vortice (72.3) d…nhsij vortice (67: 295a10, a33) perid…nhsij movimento vorticoso (72.6, 82.2) peridine‹sqai ruotare vorticoso (80.1: § 32) perišcwn circostante (scil. zona) (4.4), ambiente (7.1 fine; 101.1: A10; 104.1-2), quanto ci circonda (112.1.2, 112.2) perioc» perimetro (78.1; 78.2 + n. 595 ad loc.; 78.6.3) periagwg» ciclo (78.6 + n. 601 ad loc.), volteggio (72.5: 262.13) per…stasij direzione (78.6.1) ™pitol» levata (degli astri) (185.6) dàsij tramonto (degli astri) (185.6) o„koumšnh terra abitata (187.2, 187.2.1, 187.3) aƒ tÁj gÁj per…odoi circuiti della terra (187.2 + n. 1281 ad loc.) per…plouj periplo (187.2) prom»khj oblungo (187.2: § 2; 187.3)
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Øpobol» disposizione fondamentale (4.6) ¢gkurhbÒlion ancoraggio (96.6; 96.6.1) ¢strolog…a astronomia (0.3.21 + n. 68 ad loc.), lat. astrologia (185.4) ¢stronom…a astronomia (titolo: 0.6.1: § 48; 130.8; 185.5) kÒskinoj vaglio (63) koskineÚw passo al vaglio (63), vagliare (90.3: § 3) diakritikîj in modo selettivo (63) sîma corpo, cfr. supra, p. 6 skÁnoj corpo (nei framm. etici: 134.1, 134.3, 134.5, 135.5, 162.8, 166.1, inoltre in Eliano, 97.3) ¢napnšw respiro (104.1), ma anche: inspiro (ivi) ¢napno» respirazione (104.1), resp. inclusiva di inspirazione ed espirazione (104.2: 69.4 + n. 802 ad loc.), ma anche: inspirazione (ivi) e„spno» inspirazione (104.2) ™kpnšw espiro (104.1) ™kpno» espirazione (104.2) per…ttwma residuo (biologia) (91.5 + n. 701) gon» germe (94.7) yuc» anima (100.1-5; 101.1-7; 102.1-5; ecc.; 182.2), lat. anima (Latt. 7.1; 103.7; Macr. 101.9), animus (Cicer. 75.3 + n. 584 ad loc., 108.3; 110.2; 110.3) animus spirito, tenuto distinto da anima (Lucr. 105.7.1, Tert. 105.6), in senso generico (133.3) ¹gemonikÒn, tÕ la parte direttiva (dell’anima) (105.9-10; 131) noàj intelletto (4.1: § 44; 100.5; 101.1: 404a25 sgg.; 102.1: 405a13; 105.3; 105.4; 105.5), intelligenza (146.11; 170.2), mente (148.1) di£noia intelligenza (60.1: § 138; 100.4; 105.11), intelletto (58.2, 58.3) [prendo il primo termine in un senso più generico del secondo, per il quale esso equivale sostanzialmente a noàj], mente (110.5; 112.4) gnèmh mente (137.1), cognizione (60.1) p£qoj affezione (nel senso di passione, emozione: 131; 135.1, inizio; 135.3, fine; 135.4; 136.1; 136.1.1; 136.1.2), anche supra, p. 10 Ðrmº impulso (110.4: 735B4; 110.5; 137.3) ™piqume‹n desiderare (146.3) ™piqum…h desiderio (136.2; 144.2) Ôrexij desiderio (146.1; 146.3) Ñršgein desiderare (151.2) xÚnesij (sÚnesij) intelligenza (146.4; 171.3), coscienza (155.3) xunetÒj che è sensato (179.4) ¢xÚnetoj insensato (138.7, 10-11; 167.4; 179.4) ¢xunes…h stoltezza (171.3) eÙgnèmwn di mente buona (144.6)
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eÙqugnèmoj di animo retto (155.3) sune…desij coscienza (151.6) frone‹n avere intelligenza (106.1-2), pensare (55.3: § 72; 57.2; 106.2.1), avere pensieri (150.1; 150.2; 150.3), cfr. frÒnhsij infra, p. 27 ¢llofrone‹n altro-pensare (57: b30; 101.1: a30; 106.2; 106.2.1) parafrone‹n stra-pensare (106.2.1 + n. 829 ad loc.) qumÒj impulso (138.2 + n. 1092 ad loc.) eÙqum…h buon animo (131; 132.1; 132.3; 132.4, 4.1 e 132.5; 133.1-3; 135.3; 135.4; 137.1; 137.3; 152.5.2; 158.2), lat. tranquillitas (animi) (Sen. 133.1; 133.2) eÙqume‹n dare buon animo (182.4) eÙqume…sqai essere di buon animo (139.1; 144.5; 152.1; 152.2), lat. bono animo esse (Cicer. 133.3) dusmen…h mal animo (137.1) eÜnoia benevolenza (166.4) metanoe‹n aver ripensamenti (161.3) metamšleia pentimento (161.2) ¡m£rthma (¡mart…h) errore (161.1; 161.4; 161.5) ¡mart£nein errare (157.6; 157.7) poluno…h tanta intelligenza (170.3) ¢no»mwn stolto (138.3-6; 151.1-3 e 5) ¢nÒhtoj stolto (0.5.4) polupr£gmwn pieno di interessi (127.2 + n. 1016) polupragmone‹n fare molte cose, occuparsi molto degli affari (in senso negativo, cfr. n. 1150 ad152.1), 152.5 kard…h cuore (173.6 [ma visto soprattutto come l’organo dell’intelligenza, cfr. n. 1230 ad loc.]) ™gk£rdioj sul cuore (157.5) proa…resij scelta deliberata (73.4, 73.4.3, 73.4.4, 103.3) poikil…a varietà (135.3 + n. 1170 ad loc.) ™ridantšej° attaccabrighe (164.6; 164.6.1) ƒmanteliktšej° tortuosi (164.6; 164.6.1) tšryij gioia (132.2; 137.1; 141.2; 142.1; 142.2) tšrpein trarre gioia (138.5; 140.3) ¢terpe…h afflizione (157.6) car£ gioia (131) ¹don» piacere (131; 139.1; 139.2; 141.2: 141.3; 181.4) da…mwn demone (131) eÙdaimon…a felicità (131) kakodaimon…a infelicità (131) eÙestè ben-essere (131; 132.1; 4.1 ovvero 132.5; 158.1 + n. 1183 ad loc.; 192.5; 0.6.1: titolo) ¢ret» virtù (163.1; 172.3) galhnîj nella calma (4.1: § 45, ovvero 132.5) tarac» turbamento (151.6; 152.5.2), disturbo (93.2.10; 123.2: § 81)
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tar£ttesqai essere turbato (4.1: § 45, ovvero 132.5) ¢tarax…a ‘atarassia’ (131) ¢tar£con, tÕ ‘atarassia’ (133.4) eÙstaqîj nella stabilità (4.1: § 45, ovvero 132.5) ¢qamb…h ’athambia’ (132.1, 133.3, 133.4), serenità (157.9, con n. 1181) ¥qamboj senza sorpresa (138.1) ¢qaumast…a (il) non-stupirsi (133.4) ¢ut£rkeia autosufficienza (143.3; 143.4) frÒnhsij saggezza (0.5.5*; 147.1; 167.2; 191.1.1-1.4), pensiero (57: b13 + n. 416 ad loc.), senno (105.4) sof…h sapienza (136.1; 136.1.1; 138.1), saggezza (138.8) swfrosÚnh moderazione (140.1, 182.3; 183.1) ™lp…j speranza (137.3; 138.9-10, 146.11, 171.5, 173.2) polumaq…h tanta dottrina, sapere molte cose (170.3 e 170.2.1), polimatia (0.3.22) polumaqšhj che sa molte cose (170.2) ™nqousiasmÒj entusiasmo (115.4), lat. furor (115.1; 115.2) qe£zein essere di natura divina (115.5) kalÒn bello (139.2; 142.1,142.2, 142.3, 142.4, 144.1), nobile (157.3) a„scrÒj turpe (152.5, 159.3) kairÒj opportuno (141.2) ¥kairoj inopportuno (141.3), ovvero intempestivo eÙtuc»j avente il favore della sorte (144.5), quindi anche felice dustuc»j non avente il favore della sorte (144.5), dunque anche infelice (cfr. il nostro ’disgraziato’) sumfor» sventura (164.7; 176.2-4), riuscita (157.9 + n. 1182 ad loc.) eÜlogcoj° favorevole (112.1; 112.1.1; 112.1.2) ¢hd…a disgusto (141.3) kakopragmosÚnh male agire (151.6 + n. 1146 ad loc.) kakofradmosÚnh malizia (180.4) baskan…a maleficio (110.5) eÜcesqai pregare (112.1 + n. 869 ad loc.) eÙc» preghiera (136.2) tim» onore (178.1), carica pubblica (154.5, forse 178.2, cfr. n. 1241 ad loc.) nÒmoj legge (106.2.1; 137.1; 155.1-3; 156.3; 157.5 + n. 1177 ad loc.; 158.3; 159.1), convenzione (4.1: § 45; 8.1; 8.2: 217.4; 8.3: 3.20-21; 53.4; 54.1.1; 60.1: § 135; 60.3; 61.1; 106.2.1) nom…zesqai essere invalso (8.3) nomist… (nomiste…) per statuizione (8.3: 4.1, 8.4), secondo legge (n. 79 ad 8.4) diadikas…a controversia giudiziaria (135.1 + n. 1060 ad loc.) katadik£zein condannare (60.1: § 136) diait£w (scil. œrin) dilungarsi (in una disputa) (187.5 + n. 1286 ad loc.; 187.6) œrij competizione (174.2 + n. 1234 ad loc.) filonik…h rivalità (174.1 + n. 1234 cit.)
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cre…a bisogno (126.1, 126.1.1); ma forse è usato ambiguamente, e significa anche “uso” utilitas (Lucr. 126.2: v. 1029), usus (Lucr. 124.2: v. 1452) xumfšron, tÕ il conveniente (179.9 + n. 1246 ad loc.) ™xous…a podestà (73.6 e 73.6.1: nel senso di libero arbitrio, cfr. n. 568 ad loc.) protrop» incitamento (155.3 + n. 1173 ad loc.) xenite…h soggiorno all’estero (143.3 + n. 1114 ad loc.) sÚmbolon segno convenzionale (126.1) di£lektoj linguaggio (126.1: § 4) ˜rmhne…a espressione (126.1: I 8, 3 + n. 1007 ad loc.) ˜rmhneÚein interpretare (0.3.22 + n. 70 ad loc.) nènumon, tÕ assenza di nome (129.1) metènumon, tÕ mutamento dei nomi (129.1: 7.5 + n. 1027 ad loc.) shme‹on segno (53.1), cfr. supra, p. 8 ™pishmas…a segno premonitore (185.7, cfr. 185.4 + n. 1271: significatus), presagio (186.1) ™pishma…nein presagisco, offro presagi (186.1, 186.2) par£phgma ‘parapegma’ (185.4) p…nax tavola (= catalogo o lista o elenco) (0.9.8 + n. 205 ad loc.) sÚntagma composizione (= opera o libro, in 130.8 + n. 1036 ad loc.; significato discusso per 0.9.8, cfr. n. 206)
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INDICE GENERALE INTRODUZIONE, p. V TESTI RELATIVI ALLA BIOGRAFIA, ALLE OPERE E AI RAPPORTI CON ALTRI PENSATORI A. Vita di Leucippo, p. 1 0.1.1-3: Diogene Laerzio, Vitae philosophorum IX 30; X 13; Giamblico, Vita Pythagorica, 23, 104.
B. Vita di Democrito e cronologia, p. 2 0.2.1-12: Diog. Laerz. IX 34-43; Suda, s.v. pšntaqloj (P 971); Suda, s.v. DhmÒkritoj (D 44748); Ippolito, Refutatio omnium haeresium I 13, 1, 2 e 4; Tzetzes, Chiliades II, vv. 982-1000; idem III, vv. 1-3; idem IV, vv. 528-30; idem XIII, vv. 79-83; Aulo Gellio, Noctes Atticae XVII 21, 16 e 18; Diodoro Siculo, Bibliotheca historica XIV 11, 5; Censorino, De die natali 15, 3; Cirillo, Contra Julianum I 15, 521B; Eusebio, Chronica, 100, 106, 110; Eusebio, Praeparatio evangelica X 9, 24; Suda, s.v. PrÒdikoj (P 2365); Stefano di Bisanzio, Ethnica, s.v. /Abdhra (I 5.14-17).
C. La figura di Democrito nella tradizione, p. 9 1. Il riso 0.3.1-9: Seneca, De ira II 10, 5; De tranquillitate animi 15, 2; Sozione, Perˆ ÑrgÁj, libro II, presso Stobeo, Florilegium III 20, 53; Luciano, Vitarum auctio 13; Orazio, Epistula II i, v. 194; Cicerone, De oratore II 58, 235; Giovenale, Satura X, vv. 28-30, 33-34 e 47-53; Eliano, Varia historia IV 29; Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 14.
2. Il riso e la follia, p. 11 0.3.10-12: Ps.-Ippocrate, Epistula X (IX, 320-22); Eliano, Varia historia IV 20, 21-31; Seneca, Epistula 79, 13; Ps.-Ippocrate, Epistula XVII (IX, 354, 356).
3. I suoi viaggi reali o con la mente, dei quali i primi resi possibili dalla consumazione dell'eredità, p. 13 0.3.13-24.1: Cicerone, De finibus bonorum et malorum II 31, 102; idem V 18, 49 / 19, 50; Orazio, Epistula I xii, vv. 12-13; Filone di Alessandria, De vita contemplativa (2) 14 (VI 49, 1214); Eusebio, Demonstratio evangelica III 6, 22; Seneca, De providentia 6, 2; Filone di Alessandria, De providentia II 13, 52; Eliano, Var. hist. IV 20, 1-21; Diodoro Sic. I 96, 1-3; idem I 98, 1-3; Clemente Alessandrino, Stromata I xv, 69, 4-6; Eusebio, Praep. ev. X 4, 23-24; Sozomeno, Historia ecclesiastica II 24, 4; Ateneo, Deipnosophistae IV 65, 168B; Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 34, 3; Divinae institutiones III 23, 4.
D. Eventi più o meno leggendari della sua vita, p. 18 1. La morte "ritardata" e/o il suicidio 0.4.1-6.1: Anonimo Londinese XXXVII, 34-46; Celio Aureliano, Celerum passionum liber II, 37, 205-206; Ateneo, Deipnos. II 26, 46E-F; Varrone, Saturae Menippeae 81; Plinio, Naturalis historia VII (56) 189; Ps.-Luciano, Macrobii 18; Lucrezio, De rerum natura III, vv. 1039-41; Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 34, 8-9; idem Div. instit. III 18, 5-6.
2. L'accecamento volontario, p. 20 0.4.7-11: Cicerone, Tusc. V 39, 113-115; Gellio, Noct. Att. X 17, 1-4; Tertulliano, Apologeticum 46, 11; Imerio, Oratio 3, 18; Plutarco, De curiositate 12, 521C-D.
3. Previsioni e altre azioni straordinarie, p. 21 1
0.4.12-16: Clemente, Strom. VI iii, 32, 2; Plinio, Nat. hist. XVIII (75) 321, (78) 340-341; idem XVIII (68) 273-274; Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 8; idem I 2, 3.
E. L'atteggiamento scientifico e quello etico di Democrito nelle sue dichiarazioni e nella tradizione, p. 23 0.5.1-20: Inizio di opera democritea; Ps.-Ippocrate, Epistula XX (p. 386); Plutarco, De tranquillitate animi 13, 472D; Ps.-Ippocrate, Epistula XVIII (pp. 380-82); Dionisio presso Eusebio, Praep. ev. XIV 27, 4-5; Plutarco, Quaestiones convivales I 10, 2 (628B-D); Petronio Arbitro, Satyricon, 88, 2-3; Damosseno, I sodali (SÚntrofoi), fr. 2, vv. 6-34, presso Ateneo III 102A sgg.; Luciano, Philopseudes 32; idem Alexander 17 e 50; Apuleio, Apologia 27; Plutarco, De virtute morali 7, 447F-448A; Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII 321; Dione di Prusa, Oratio LIV 2; Cicerone, Tusc. V 36, 104; Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia VIII 7, ext. 4; Plutarco, Adversus Colotem 29, 1124C; Giuliano, Epistula ad Himerium (XVI), 413A-C; Tzetzes, Chiliades X, 576-589; Eliano, Varia historia, I 23; Cicerone, Academica priora II 5, 13.
F. Le opere di Democrito (e di Leucippo), p. 30 1. Il catalogo delle opere di Democrito in Diogene Laerzio 0.6.1-1.1: D.L. IX 45-49; proem., I 16.
2. Attestazioni relative a singole opere, p. 33 0.6.2-3.1: Pap. Herc. 1788 (coll.alt. VIII), fr. 1; Suda, s.v. Kratunt»ria.(K 2348); Suda, s.v. Tritogšneia ( 1019).
3. Attestazioni relative ad opere spurie, p. 34 0.6.4-17: Vitruvio, De architectura IX, prooem. 14; Plinio, Nat. hist. XXIV (99) 156, (102) 160 e 166; idem XXV (5) 13; idem XXVIII (29) 112, 114, 118; Gellio, Noct. Att. X 12, 1 e 6-8; Plinio, Nat. hist. XXVIII (2) 6-7; idem XXX (1) 8-10; Taziano, Oratio ad Graecos 17; titolo di opera spuria bizantina; Sinesio (?), A Dioscoro: Annotazioni sul libro di Democrito 1; Sincello, Chronographia, 248B; Physica et mystica di Democrito; Libro V di Democrito dedicato a Leucippo; Papyrus holmiensis 2, ll. 12-14; Celio Aureliano, Tardarum passionum liber IV, cap. 1, 4; Medico anonimo, De morbis acutis et chroniis, 51; Oribasio, Collectiones medicae XLV 28.1; Ps.-Ippocrate, Epistula XVIII (p. 384); Scolio XXI all’Hexahemeros di Basilio; Geoponica II 6; Titoli in Codex Vaticanus Graecus 299.
G. Sullo stile, p. 39 0.7.1-4: Cicerone, De oratore I 11, 48-49; idem I 10, 41-42; idem, Orator 20, 66-67; idem, De divinatione II 64, 132-33; Dionisio di Alicarnasso, De compositione verborum 24, 5.
H. Rapporti con altri pensatori, inclusi i continuatori o successori di Leucippo e di Democrito, p. 41 1. Successioni di filosofi 0.8.1-5: Diogene Laerzio, Prooem. I 15; Clemente Alessandrino, Strom. I xiv, 64, 2 e 3-4; Eusebio, Praep. ev. XIV 17, 10; idem X 14, 15-16; Ps.-Galeno, Historia philosopha 3 (601.514); idem 7 (603.21, 604.16-21); Ippolito, Ref. I Philos. prooemium.
2. Moco, un mitico anticipatore dell'atomismo, p. 43 0.8.6: Strabone, Geographica XVI, p. 757.
3. Predecessori, p. 44 0.8.7-8: Porfirio, Vita Pythagorae 3; Diog. Laerz. II 14.
4. Continuatori e successori, p. 44 2
0.8.9-25: Simplicio, In Physica 25.1-3; Diogene Laerzio IX 50 (Protagora); Filostrato, Vitae sophistarum 10; Diogene Laerzio IX 53 (Protagora); Ateneo, Deipnosoph. VIII, 50, 354C; Scholium in Platonis De republica 600 C; Gellio, NA V 3, 1 e 4-6; Vita Hippocratis secundum Soranum 1.1 e 2, 2.3 e 3.1-2; Suda, s.v. `Ippokr£thj (Ι 564); Diogene Laerzio IX 24; Suda, s.v. DiagÒraj (D 523); Diogene Laerzio IX 58 (Anassarco); Valerio Massimo VIII 14, ext. 2; Elia, In Categorias Prooemium, 112.26-28; Plinio, Nat. hist. XXIV (102) 167; Stobeo I 24.3(3); Diogene Laerzio IV 58 (Bione); Suda, s.v. Bîloj (B 482); Suda, s.v. Bîloj (B 481); Columella VII 5, 17; Scholia in Nicandri Theriaca 764a.
5. Epicuro e Democrito, p. 48 0.8.26-35: Diogene Laerzio su Epicuro, X 2; Plutarco, Adv. Colot. 3, 1108E-F; idem, Non posse suaviter vivi secundum Epicurum, 18, 1100A; Cicerone, De natura deorum I 26, 73; idem, Nat. deor. I 33, 93; Suda, s.v. /Ep…kouroj (E 2404); Diogene Laerzio X 4 e 8 (Epicuro); Cicerone, Academica posteriora I 2, 6; Epicuro, Lettera ai filosofi di Mitilene, P.Herc. 1005, fr. 24; idem, Lettera a ..., P.Herc. 1005, fr. 21.
6. Gli scettici e Democrito, p. 51 0.8.36-39: Diogene Laerzio IX 67; Suda, s.v. PÚrrwn (P 3238); Eusebio, Praep. Evang. XIV 18, 27; Eusebio, Praep. evang. XIV 6, 4.
I. Lista di scritti su (o contro) Democrito e altri riferimenti, p. 52 0.9.1-9: D.L. V 26 e 27 (Aristotele); Esichio, Vita Aristotelis 116; D.L. V 49 e 43 (Teofrasto); idem V 87 e 88 (Eraclide Pontico); Filodemo, De libertate dicendi fr. 20 (Epicuro); D.L. X 24 (Metrodoro Epicureo); idem VII 174 (Cleante); Fr. 3 da papiri anonimi viennesi; D.L. VII 134 (Zenone); idem VII 178 (Sfero); Suda, s.v. Kall…macoj (K 227); Stefano di Bisanzio, Ethnica, 640.4-6.
TESTI RELATIVI ALLA DOTTRINA I. Un approccio predialettico, p. 55 1. L'approccio di Democrito rispetto a materia e forma 1.1-6: Aristotele, De partibus animalium I 1, 642a14-30; idem, Physica II 2, 194a15-21, con i commenti di Simplicio (300.13-18) e di Filopono (228.24-229.2); Arist. Metaph. XIII (Μ) 4, 1078b17-27; idem I (Α) 6, 987b29-33; idem XII (Λ) 1, 1069a24-30; idem I (Α) 7, 988a32-b1.
2. La "definizione" dell'uomo, p. 57 2.1-3: Sesto Empirico, Adversus Mathematicos VII 263 e 265-69; idem, Pyrrhoniae hypotyposes II 23-24; Arist. Part. Anim. I 1, 640b28-35.
II. Generalità sul pensiero dei primi atomisti A. I princìpi, le loro operazioni e i loro risultati, p. 59 3: Simplicio, In Physica 28.4-30 (= Teofrasto, Physicorum Opinionum fr. 8).
B. Esposizioni complessive del pensiero di Democrito e di Leucippo focalizzate sull'aspetto cosmologico e cosmogonico, p. 60 4.1-6: Diog. Laerz. IX, 44-45 (Democrito); idem IX, 30 (Leucippo); idem IX 31 (Leucippo); Ippolito, Refut. I 12, 1-2, su Leucippo, e I 13, 2-4, su Democrito; Eusebio, Praeparatio evangelica I 8, 7 (= Ps.-Plutarco, Stromata 7).
C. Dossografia sui principi, p. 63 5.1-12: Stobeo, Eclogae I 10, 14 (5,6,2) e 16a (1); Teodoreto, Graecarum affectionum curatio IV 8-10 e 11; Suda, s.v. ¥toma (Α 4373); Cicerone, Ac. pr. II 37, 118; Clemente, Protrepticus 5, 66 (1-2 e 5); Eusebio, Praep. evang. XIV 3, 7; Ermia, Irrisio Gentilium Philosophorum 12;
3
idem, Irrisio 13; Teodoreto, Graec. affect. cur. II 11; Varrone, De lingua latina VI 39; Plutarco, De Iside et Osiride 45, 369A, B, C; Diogene di Enoanda, fr. 6, coll. II 9-14, III 1; Isidoro di Siviglia, Etymologiae XIII 2, 1-4.
D. Classificazioni dei princìpi o elementi, p. 67 6.1-7: Aristotele, De anima I 2, 404b30-405a3, con commento di Filopono (82.17-24); Sesto Empirico, Adv. math. IX 359-361; Pyrrh. hypot. III 31-33; Ps.-Galeno, Historia philosopha 18 (610.16-611.3); Scolio II all’Hexahemeros di Basilio; Sesto Empirico, Adv. math. X 310-11 e 318; Ippolito, Refutatio X 7, 5-6 Scolio III all’Hexahemeros di Basilio; Alessandro d’Afrodisia, In Metaphysica V, 355.9-15.
E. Esposizioni sintetiche riguardanti gli atomi e le loro operazioni (e immagine del pulviscolo atmosferico), p. 71 7.1-2: Aristotele, Su Democrito, presso Simplicio, In De caelo 295.1-20; Lucrezio II, vv. 95124.
F. Atomi, qualità e composti ovvero apparenza e realtà, p. 72 8.1-5: Plutarco, Adv. Col. 8, 1110E-1111B, 1111C-D; 9, 1111E; Simplicio, In Categorias 8 (8b25), 216.31-217.7; Galeno, De elementis ex Hippocrate I 2 (I, 416-419), insieme a Quod animi mores 5 (IV, 785); idem, Ad Pisonem de theriaca liber 11 (XIV, 250); idem, De naturalibus facultatibus II 6; idem I 12; Diogene En. fr. 7, col. II 2-14, III 1-2; Epifanio, Adversus haereses III 2, 9 [III 13].
G. La teoria atomistica di Democrito e quella di Epicuro, p. 78 1. I princìpi degli atomisti e l’ambito dell’”essere” secondo Epicuro 9.1-2: Ps-Plutarco, Placita philosophorum I 3, 9; Eusebio, Praep. ev. XIV 14, 5; Stobeo I 10, 14(7); Plutarco, Adversus Colotem, 16, 1116D.
2. La fisica di Democrito e quella di Epicuro, p. 79 9.3-3.1: Cicerone, Fin. I 6, 17-21; idem I 7, 28.
3. Il resoconto atomistico della costituzione del mondo, p. 81 9.4-6: Dionisio di Cesarea presso Eusebio, Praep. ev. XIV 23, 1-4; 24,1 e 4-5; 25.1-4; Lattanzio, De ira dei X 1, 3-5, 9-10, 32-33; Lattanzio, Divinae institutiones III 17, 21-25.
4. La materia discontinua degli atomisti, p. 83 9.7-8: Alessandro, De mixtione 1, 213.15-214.6; Vitruvio, De architectura II 1, 9 e 2, 1-2.
H. L'atomismo fra monismo e pluralismo, p. 85 1. Causa materiale e causa formale nella teoria atomistica secondo Aristotele 10.1-3: Aristotele, Metaph. I (Α) 4, 985b4-20; idem, Metaph. VIII (H) 2, 1042b11-15; Simplicio, In Phys. I 4, 179.12-19.
2. La causa materiale secondo i dossografi e secondo Alessandro, p. 86 10.4-5: Ps.-Plutarco, Placita I 9, 2-3; Stobeo, Ecl. I 11, 3(1)(2); Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 13; Alessandro, In Metaph. V 4, 359.6-10.
3. Una classificazione delle posizioni circa i princìpi in base al loro numero e ad altre caratteristiche, p. 87 11.1-5: Aristotele, Phys. I 2, 184b15-22, con i commenti di Simplicio (26.31-27.2, 27.26-28.3 e 28.30-31; 43.26-44.20, 45.1-8) e di Filopono (24.23-25 e 25.5-10; 25.14-26.11).
4. I contrari come principi, p. 89 4
12.1-7: Aristotele, Phys. I 5, 188a19-26, con i commenti di Filopono (110.8-13; 116.21-117.13) e di Simplicio (180.16-25; 196.35-197.3); Alessandro, In Metaph. I 4, 985b4 sgg. [= 10.1] (35.24-36.3); idem, In Metaph. I 5, 986b27 (45.5-8).
III. Il rifiuto della generazione e della divisibilità all'infinito A. "Nulla nasce da nulla", p. 92 1. L'"opinione comune dei naturalisti" 13.1: Aristotele, Phys. I 4, 187a26-b1.
2. La condizione iniziale del mondo, p. 92 13.2: Aristotele, Metaph. XII () 2, 1069b15-24.
3. L'accusa peripatetica di violazione del principio di non contraddizione, p. 93 13.3: Alessandro, In Metaph. IV 5, 1009a22-30 [= 57] (303.23-304.5).
4. La tesi "nulla nasce da nulla" presso gli Eleati, p. 94 14.1-3: Parmenide, fr. 8, vv. 5-16; Melisso, fr. 1 e parafrasi di Simplicio (In Phys., 103.15-23).
B. La genesi dell'atomismo in rapporto con l'eleatismo, p. 94 1. "La difficoltà degli antichi" 14.4: Aristotele, Phys. I 8, 191a23-33 e b31-33.
2. L'approccio degli atomisti contrapposto a quello eleatico, p. 95 15.1-4: Aristotele, Gen. et corr. I 8, 324b35-325b11, con commenti di Filopono (154.21-155.2 e 155.4-22; 156.20-157.1; 158.12-25).
3. Parmenide e Zenone contro la molteplicità, p. 98 16.1-3: Aristotele, Metaph. I (A) 5, 986b27-30; Parmenide, fr. 8, vv. 22-25; Zenone, fr. 3 (Lee).
4. Postulazione leucippea del vuoto come divisore, p. 99 16.4: Ps.-Arist. De Melisso 6, 15-16 (980a3-8).
5. Rifiuto eleatico del vuoto come condizione del movimento, p. 99 16.5: Melisso, fr. 7, 7-10.
C. Generazione apparente e processi reali, p. 99 1. Le "unità eterne" prospettate da Melisso 17: Melisso, fr. 8.
2. La negazione della generazione da parte di Empedocle e di Anassagora, p. 100 18.1-5: Empedocle, fr. 8, fr. 9, fr. 11, fr. 12; Anassagora, fr. 17.
3. La negazione della generazione da parte degli atomisti, p. 101 18.6-7: Aristotele, De caelo III 7, 305a33-b5, con commento di Simplicio (632.2-11, 16-25).
D. Riduzione dei processi percettibili al movimento locale di particelle, p. 102 1. Alcune giustificazioni della priorità del movimento locale 19.1-1.1: Aristotele, Phys. VIII 7, 261a20-23 e 260b7-15, con commento di Simplicio (1266.3336).
2. Il riconoscimento della priorità del movimento locale da parte dei naturalisti, p. 103
5
19.2-4: Aristotele, Phys. VIII 9, 265b17-266a1, con commenti di Simplicio (1318.30-1319.5; 1320.16-19).
3. La riduzione dei processi al movimento operata dagli atomisti, p. 104 19.5-8: Aristotele, Categoriae 14, 15a13-19, con commenti di Simplicio (428.14-20; 431.6-19 e 24-32); Sesto, Adv. Math. X 42-45.
E. Uno e molti, p. 106 1. Il principio che né i molti derivano dall'uno né l'uno dai molti 20.1-4: Aristotele, De caelo III 4, 303a3-10, con commento di Simplicio (609.15-25); Arist. Metaph. VII (Ζ) 13, 1039a3-14, con commento di Ps.-Alessandro (526.13-16).
2. Epicuro sui composti, p. 107 20.5: Sesto Empirico, AM IX, 335 e 338.
F. Continuità e contatto, p. 108 1. La posizione di Aristotele 21.1: Arist. Phys. VI 1, 231a21-b12 e b15-18.
2. Nella prospettiva aristotelica i composti di atomi non sono dotati di continuità, p. 109 21.2: Simplicio, In De caelo III 8, 306b22-29 (659.13-28).
3. L'analogia degli atomi con i numeri (intesi come unità discrete) ovvero con entità matematiche, p. 109 21.3-21.4.1: Simplicio, In De caelo III 4, 303a8-10 [= 20.1], 610.3-11; Aristotele, Metaphysica XIII (Μ) 8, 1084b23-28, con commento di Ps.-Alessandro (775.28-31).
4. La questione del contatto (in relazione all'agire e al patire), p. 110 21.5: Filopono, In De gen. et corr. I 8, 325a32 [= 15.1], 158.26-159.3.
5. Necessità di indivisibili per l’agire e il patire (contro Empedocle), p. 110 21.6-7: Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b5 [= 15.1]), 159.16-26; idem, ad 325b6 [= 15.1], 160.3-11.
G. La questione dell'indivisibilità degli atomi, p. 111 1. Affermazione dell'esistenza di grandezze corporee indivisibili e sue possibili giustificazioni 22.1-22.7.1: Simplicio, In Phys. VI 1, 231a21-29 [= 21.1], 925.10-22; Epicuro, Epistula ad Herodotum, 58-59; Simplicio, In Phys. I 2, 185b5 sgg. (81.34-82.6); Lucrezio, De rerum natura I, vv. 524-539; Filopono, In De anima II 8, 420a23 sgg. (371.10-33); Aristotele, GC I 8, 326a24-29; Scolio ad Euclide, Elementa X 1; Ps.-Plutarco, Placita I 16, 2; Stobeo I 14, 1g.
2. Un preteso riferimento agli atomisti, p. 114 23.1-2: Aristotele, Phys. I 3, 187a1-3, e commento di Filopono (81.17-29, 83.19-22 e 28-31).
3. Un argomento a favore dell'atomismo nell'esposizione di Aristotele, p. 115. a) La questione ovvero contesto dell'esposizione 24.1-3: Aristotele, GC I 2, 315b15-32, e commento di Filopono (24.21-25.6); Arist. GC I 2, 316a5-14.
b) L'esposizione
6
24.4-11: Aristotele, GC I 2, 316a14-b16, e commenti di Filopono (27.29-28.15; 32.6-10); Arist. GC I 2, 316b16-317a4 (+ 316b9-14), e commenti di Filopono (33.24-34.9; 34.11-35.12; 37.3138.9; 38.22-39.10).
H. L'atomismo e le matematiche, p. 122 1. Carattere spaziale ma non geometrico degli atomi, per via della varietà delle loro figure 25.1-5: Aristotele, GC I 8, 325b25-29, e commento di Filopono (162.12-27); Scolio ad Arist. De caelo inizio (469b14-16 e 23-26); Teofrasto, Metaph. IX 34; Stobeo I 15, 6a(2-3).
2. Una critica aristotelica: la postulazione di indivisibili è in contrasto con la matematica, p. 124 26.1-3.1: Aristotele, De caelo III 4, 303a20-24; idem, III 7, 306a26-b2; idem, I 5, 271b6-11; commento di Simplicio all'ultimo passo, 202.25-31.
3. Contributi di Democrito alle matematiche, p. 125. a) Il dilemma del cono 27.1: Plutarco, De communibus notitiis adversus Stoicos 39, 1079E.
b) Il metodo da lui impiegato 27.2: Archimede, Ad Eratosthenem Methodus (II, 429.21-430.9).
IV. Il materialismo e l'infinitismo degli atomisti A. Corpo ed essere, vuoto e non-essere, p. 126 1. Il vuoto come 'natura intangibile' secondo Epicuro 28.1-2: Sesto Empirico, AM X 1-2; Epicuro, Ep. ad Hdt. 39-40.
2. La tangibilità e/o la capacità di agire e di patire come criterio dell'essere (fatto coincidere col corporeo), p. 126 28.3: Platone, Sophista, 246A-B. 29.1-9: Platone, Sophista, 247D-E; Aristotele, Topica VI 7, 146a22-23; Plutarco, De communibus notitiis 30, 1073E; Sesto Emp. AM IX 366; idem IX 257-58; Epicuro, Ep. ad Hdt. 67; Lucrezio I, vv. 433-448; Sesto Empirico, Pyrrh. hypot. III 39; idem, Adv. Math. X 257.
B. Vuoto e spazio, p.129 1. Luogo e vuoto 30.1-7: Simplicio, In Phys. IV 1 (corollario), 601.14-24; idem, 618.7-25; Filopono, In Phys. IV 1, 208a27-35 (498.8-15); Aristotele, Phys. IV 1, 208b25-27; Simplicio, In Phys. III 1, 200b2021 (396.34, 397.1-5); Simplicio, In Phys. IV 1, 209a18-22 (533.14-19); Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 14.
2. Luogo come estensione o intervallo (fra le possibili concezioni del luogo), p. 131 31.1-3: Aristotele, Phys. IV 4, 211b6-9 e 14-25, e commento di Simplicio (571.21-26 e 27-31); Arist. Phys. IV 1, 209a2-4, 2, 209b5-9, 11-17.
3. Argomenti di Zenone e degli scettici contro l'esistenza del luogo, p. 133 32.1-2: Aristotele, Phys. IV 1, 209a23-26, e Sesto Emp. AM X 19-23.
4. La questione dell’esistenza e della natura del vuoto, p. 133 33.1-6.2: Aristotele, Phys. IV 6, 213a15-19 e a22-b4, con commenti di Filopono [ad 213a12 sgg.], (608.7-10), di Simplicio (648.9-22) e di Filopono (613.19-27); Aristotele, Phys. IV 7, 213b30-214a3; Ps.-Plutarco, Placita I 18, 1-3; Stobeo, Ecl. I 18, 1a(1-3); Ps.-Galeno, Hist. philos. 30 (616.15-18).
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5. Argomenti a favore e contro l'esistenza del vuoto, p. 136 34.1-4: Aristotele, Phys. IV 6, 213b4-22; idem, IV 7, 214a32-b6 e b8-10; idem, IV 9, 216b2234 e 217a15-21; commento di Simplicio [ad 216b22 sgg.] (683.6-21); Aristotele, Phys. IV 9, 217a21-26, a33-b2, b8-11.
6. La questione del vuoto come condizione del movimento, p. 139 35.1-3: Aristotele, Phys. IV 7, 214a19-32; idem, IV 8, 214b12-17, con commento di Filopono (630.8-18).
C. Uniformità del vuoto o dell'infinito spaziale, p. 140 1. Rifiuto aristotelico del vuoto indifferenziato e infinito come condizione del movimento 36.1-4: Aristotele, Phys. IV 8, 214b28-215a1 e 19-24, con commento di Filopono (644.25-26); Aristotele, Phys. IV 8, 215a1-14; idem, 216a13-23; Alessandro presso Simplicio, In Phys. IV 8, 216a12 sgg. (679.12-22).
2. Rifiuto aristotelico dell'infinito spaziale, p. 141 36.5: Aristotele, Phys. III 5, 205b31-206a2.
3. L'indifferenziazione dell'infinito spaziale ammesso dagli atomisti, p. 141 36.6-8: Simplicio, In De caelo IV 1, 308a17-21 [= 68.1] (679.1-8); Epicuro, Ep. ad Hdt. 60; Lucrezio I, vv. 1070-71.
D. L'infinito come principio e le sue applicazioni, p. 142 1. Tipi di infinito 37.1-3: Aristotele, Phys. I 4, 187b7-12, con commento di Simplicio al passo (165.8-18 e 166.312) e a 188a17 (178.23-25).
2. L'infinitezza (complessiva) della materia ovvero degli atomi (e la loro ingenerabilità), p. 143 38.1-4: Aristotele, Phys. III 4, 202b36-203a5, 203a16-b2, con commenti di Filopono (ad 203a19) (369.3-12) e di Simplicio (458.23-29 e 459.16-28; 461.30-462.19).
3. (In subordine:) Ingenerabilità reciproca degli atomi, p. 146 39.1-2: Altri commenti di Filopono a Phys. III 4 (369.15-21 e 398.11-16).
4. Le variazioni degli atomi quanto a figura (e grandezza) sono infinite? (Confronto con la posizione epicurea), p. 146 40.1-4: Filopono, In De gen. et corr. I 1, 314a15 [= 49.1] (11.23-24 e 12.2-10); Epicuro, Ep. ad Hdt. 42.6-43.3; idem, 55.9-56.4; Lucrezio II, vv. 478-499.
5. L'infinitezza nel tempo e nello spazio e la pluralità dei mondi, p. 147 41.1-4: Aristotele, Phys. III 4, 203b3-30; idem, III 8, 208a11-14, con commento di Filopono (494.19-23); Simplicio, In Phys. III 4, 203b22 sgg. (467.14-16).
6. L'assenza di un perché dell'eterno e l'eternità del movimento, p. 149 42.1-3: Aristotele, Gen. anim. II 6, 742b17-29; Phys. VIII 1, 252a32-b4; Metaph. XII (Λ) 6, 1071b31-34 e 1072a5-7.
7. Il rapporto fra tempo e movimento e la loro eternità (anche con riferimento alla posizione epicurea), p. 150
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43.1-3.1: Aristotele, Phys. VIII 1, 251b14-18, con commento di Simplicio (1153.18-21 e 2224); Sesto Emp. AM X 181; Cicerone, De natura deorum I 9, 21-22.
8. Il principio di indifferenza e la pluralità infinita dei mondi, p. 151 44.1: Filopono, In Phys. III 4, 203b4 [= 41.1], 405.23-27.
9. L'infinitezza dei mondi fatta dipendere anche dall'infinitezza delle cause, p. 152 44.2-5: Metrodoro di Chio, test. 6 (= Ps.-Plut. I 5, 4); Epicuro, Ep. ad Hdt. 45; Lucrezio II, vv. 1052-1076; idem V, vv. 416-31.
E. L'esistenza di una pluralità di individui, compresi i mondi, di una stessa specie e la possibilità che ce ne siano di identici, p. 153 1. Non unicità del mondo come di ogni altra cosa individuale 45.1: Aristotele, De caelo I 9, 277b27-278a16 e 18-22; Lucrezio II, vv. 1077-1089.
2. Mondi ed individui identici, p. 154 46.1-2: Cicerone, Ac. pr. II 17, 55/ 18, 56; idem II 40, 125.
V. La trattazione dei quattro elementi fisici e degli altri corpi composti e quella dei vari tipi di processo A. La trattazione dei quattro elementi fisici e degli altri corpi composti, p. 155 1. L'approccio degli atomisti 47.1-5: Simplicio, In De caelo III 1, 299a2-11 (564.24-565.2); ad III 1, 299a2-11 (565.22-28); ad III 7, 306a1 (641.1-9); ad III 1, 299b23-30 (576.10-19); Plutarco, De primo frigido 8, 948AB e C; Simplicio, In Phys. I 2, 184b15 [= 11.1] (35.22-36.7).
2. L'idea corrente fra i naturalisti della trasformazione reciproca e ciclica dei quattro elementi, p. 158 48.1. Platone, Timaeus, 49B-C.
3. L'applicazione dell'approccio ovvero il resoconto degli atomisti, p. 158 48.2-3: Ps.-Aristotele, De Melisso 2, 10-11, 975b21-29; Lucrezio I, vv. 794-802, 814-29, 907914.
4. La composizione dei quattro elementi (e tesi della 'panspermia'), p. 159 48.4-5: Aristotele, De caelo III 4, 302b31-303a3, 303a11-20 e 24-29; Filopono, In De anima I 2, 404a4 [= 101.1], 67.30-33.
5. Alcune critiche di Aristotele agli atomisti, relative alla composizione dei quattro elementi e alle modalità delle loro trasformazioni, p. 160 48.6-7.1: Aristotele, De caelo III 5, 303b22-304a7, con commenti di Simplicio al passo (617.2227) e ad 304b6-11 (624.29-625.5); Aristotele, De caelo III 7, 305b6-19; Simplicio, In De caelo III 7, 305b18 (634.17-20, 28-34).
B. I processi cui sono sottoposti i composti: loro natura e tipologia e loro principi, p. 162 1. Il resoconto della differenza fra generazione (e corruzione) e alterazione (in subordine: come differiscono i composti l'uno dall'altro) 49.1-4.1-2: Aristotele, GC I 1, 314a1-12 e a16-314b6, con commenti di Filopono ad 314a23 (12.27-13.15) e ad Phys. I 4, 187a29 [= 13.1] (95.10-15); Stobeo I 20, 1d(1); Ps.-Plutarco, Placita I 24, 2; Ps.-Galeno, Hist. philos. 39 (619.20 e 22-26).
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2. I processi nel loro rapporto con l'osservatore, p. 165 50.1-6: Filopono, In De gen. et corr. I 1, 314b15 (17.14-18.3); Aristotele, GC I 2, 315a29-b15, con commenti di Filopono (23.2-16; 23.21-30); Aristotele, GC I 2, 315b32-316a4; Filopono, In De gen. et corr. I 2, 315b35 (26.8-15).
3. Sintesi della posizione di Democrito (al confronto con quella di Empedocle), p. 168 51.1-2: Aristotele, Gen. et corr. I 8, 325b12-25; Filopono, In De gen. et corr. I 8, 325b12, 160.14-31.
4. Precisazioni e critiche di Aristotele, p. 169 51.3-51.5: Aristotele, Gen. et corr. I 8, 325b29-326a24; idem, I 2, 317a12-27; idem, I 9, 327a14-26.
C. I composti risultanti da mescolanza, p. 171 1. La questione della mescolanza 52.1-2: Aristotele, GC I 10, 327b32-328a16, con commento di Filopono (192.29-193.9 e 193.20-25).
2. Le testimonianze di Alessandro d'Afrodisia e dei dossografi, p. 172 52.3-5.2: Alessandro, De mixtione 2, 214.18-26; idem 214.28-215.8; Stobeo I 17, 1-2; Ps.Plutarco, Placita I 17, 1-2; Ps.-Galeno, Hist. philos. 29 (616.9-12).
VI. La teoria democritea delle proprietà sensibili e l'epistemologia A. La questione della sussistenza delle proprietà sensibili (esemplificata dal caso dei colori e da quello dei suoni), p. 174 53.1-8: Sesto Emp. AM VIII 183-85; idem VIII 213; idem VIII 354-55; Stobeo I 50, 24; idem I 50, 17 e 21; idem I 16, 1(7), (8) e (10); Simplicio, In Phys. III (7, 207b27), 512.28-33; Sesto Emp. AM VI 52-53.
B. La genesi dei dati della sensazione e la loro soggettività, p. 177 1. Nella testimonianza aristotelica: i sensibili non sono nulla senza la sensazione in atto 54.1-2: Aristotele, De anima III 2, 426a15-26, con i commenti di Filopono (471.29-472.3) e di Simplicio (193.27-30); Aristotele, De sensu 6, 446b17-26.
2. La teoria della percezione sensibile adottata da certi sostenitori del mobilismo universale secondo Platone, p. 178 54.3-5: Platone, Theaetetus, 153D-154A; idem, 155E-157C; idem, 182A-B.
C. La tipologia dei sensibili in relazione alla loro maggiore o minore oggettività e alle loro cause, p. 181 1. Confronto fra l'approccio di Democrito e quello di Platone 55.1: Teofrasto, De sensibus 59-61.
2. Il resoconto di Teofrasto, seguito da una serie di sue critiche, p. 181 55.2-3: Teofrasto, De sensibus 61-64; idem 67-72.
D. La teoria della mescolanza completa e della prevalenza nell’adattamento ai sensi, p. 184 56.1-2: Plutarco, Adv. Col. 5, 1109C-E; Stobeo I 50, 26.
E. L'epistemologia di Democrito, p. 185
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1. Il sensismo attribuitogli da Aristotele 57-57.3. Aristotele, Metaph. IV (Γ) 5, 1009a6-16 e 1009a22-1010a1, con il commento di Alessandro ad 1009b7 (305.26-34), ad 1009b12 (307.30-308.1) e ad IV 4, 1005b35 sgg. (271.38-272.4).
2. L'eliminazione di tutti i fenomeni sensibili (secondo Sesto a favore di intelligibili), p. 188 58.1-6: Sesto, Pyrrh. hypot. I (30) 213-14; idem II 63; idem AM VII 369; idem VIII 6-8 e 9; idem VIII 56, 60-62; Diog. Laer. IX 106.
3. Democrito critico di Protagora e possibilmente anche di Seniade, p. 191 59.1-4: Plutarco, Adv. Col. 4, 1108F6-1109B4, B10-C4; Sesto, AM VII, 388 e 389-90; idem VII, 399; idem VII, 53.
4. L'atteggiamento ambiguo di Democrito circa l'attendibilità dei sensi, p. 192 60.1-3: Sesto, AM VII, 135-40; Cicerone, De finibus bonorum et malorum II, 1, 3/ 2,4; Galeno, De medica experientia IX 5; idem XV 7-8.
5. Il rifiuto della dimostrazione, p. 196 60.4: Sesto, AM VIII, 316-317, 319, 324-25, 327.
6. ‘La verità è nel profondo’, p. 197 61.1-6: D.L. IX (11) 72; Cicerone, Ac. pr. II 23, 73; Eusebio, PE XIV 19, 8-9 (= Metrodoro, fr. 1); Cicerone, Ac. pr. II 10, 32; idem, Ac. post. I 12, 44; Lattanzio, Epit. 35, 3-4; idem, Div. Instit. III 28,13-14.
VII. Princìpi della fisica A. Condizioni dell'agire e del patire, p. 199 1. I pluralisti (in generale) sulla questione del rapporto fra i processi e l'agire e il patire 62.1-2: Aristotele, Gen. et corr. I 6, 322b6-13, con commento di Filopono, 126.21-127.11.
2. La questione del contatto secondo Aristotele, p. 201 62.3: Aristotele, Gen. et corr. I 6, 322b21-26.
3. Se l'agire e il patire sono per simili o per contrari, ecc., p. 201 62.4-6: Aristotele, Gen. et corr. I 7, 323b1-15; idem, I 8, 326a29-b2; commento di Filopono a I 8, 324b25 (153.20-25 e 154.2-20).
4. Il principio dell'attrazione dei simili, p. 203 63: Sesto Empirico, Adv. math. VII, 116-118.
B. Il movimento primordiale degli atomi, p. 203 1. Il movimento primordiale degli atomi presentato da Aristotele come movimento forzato o contro natura 64.1-4: Arist., De caelo III 2, 300a20-21, 27-b1, b5-25, b31-301a11 e commenti di Simplicio a III 2 (583.17-23, 588.10-11, 589.6-7); e a III 2, 300b16 (585.27-586.2); In Phys. I 2, 184b18 [= 11.1] (42.7-11); Alessandro, In Metaph. I 4, 985b19 [= 10.1] (36.21-27).
2. La posizione di Democrito e quella di Epicuro, p. 206 64.5-8: Ps.-Plutarco, Placita I 23, 3-4; Stobeo, Ecl. I 19, 1(2); Stobeo, Ecl. I 14, 1f(2-3); Cicerone, De fato 20, 46; Lucrezio, De rerum natura II, vv. 83-85.
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C. Il movimento degli atomi e la questione del peso, p. 208 1. La necessità (secondo Aristotele) che il movimento degli atomi sia di un solo tipo 65.1-2: Aristotele, De caelo I 7, 275b29-276a16, con commento di Simplicio, 242.14-34.
2. Il movimento verso l'alto "per espulsione" o “per compressione” (œkqliyij), p. 209 66.1-3: Aristotele, De caelo I 8, 277a33-b8, con commento di Simplicio (267.17-22, 267.29268.4 e 269.4-14); commento di Simplicio a De caelo III 1, 299a25-b7 (569.4-10).
3. Stabilità della terra e ruolo del vortice, p. 211 67-67.1: Aristotele, De caelo II 13, 294b13-34, 295a2-4, a6-295b9; Simplicio, commento ad 295a9-11 (526.34-527.6).
4. Operazioni di pesantezza e di leggerezza entro il mondo, p. 213 68.1-4.1: Aristotele, De caelo IV 1, 308a1-4, 7-24, 29-33; idem, IV 2, 308a34-b13, b29-309a33, 309b8-310a13, con commenti di Simplicio a 308b30 sgg. (684.19-26), a 308b35 sgg. (685.411), a 309b29 (690.17-26), e a 310a11-13 (693.25-32); Aristotele, De caelo IV 4, 311a29-b1; idem, 311b13-25, con commento di Simplicio (712.26-31).
D. Ruolo della conformazione posseduta dai corpi, p. 219 69.1-5: Aristotele, De caelo IV 6, 313a14-b5, con commento di Simplicio (730.7-27); Aristotele, De caelo III 8, 306b3-5 e b29-307a7 e a13-22, con commento di Simplicio al secondo passo (661.29-662.1 e 662.7-12) e al terzo (664.26-665.3, 5-8).
VIII. Necessità, caso e fine A. Tutto avviene per necessità, p. 221 70.1-5: Stobeo Ecl. I 4, 7c(3); Stobeo, Ecl. I 4, 7c(1-2); Ps.-Plutarco, Placita I 25, 2-3; PsGaleno, Hist. philos. 40 (620.3 e 6-7); Teodoreto, Graec. affect. cur. VI 13; Suda, s.v. ¢nagka‹on (Α 1827) [I 164.5-6, 11-13, 15-16]; Cicerone, De fato 17, 39.
B. Il rifiuto del caso come causa, p. 223 71.1-4: Aristotele, Physica II 4, 195b36-196a16, con commenti di Simplicio a 195b31 sgg. (328.1-5), a 196a11 sgg. (330.14-20) e a 5, 196b10 sgg. (338.4-10).
C. Il ricorso al caso in cosmogonia, p. 225 72.1-6: Aristotele, Physica II 4, 196a24-35; idem, Part. anim. I 1, 641b16-23, con commenti di Simplicio a Phys. II 4, 195b31 sgg. (327.14-16 e 23-26) e a 196a24-35 (331.16-332.1), e di Filopono al secondo passo (261.31-262.20; 264.27-265.1 e 265.5-9).
D. La fortuna (o il destino) come causa occulta, p. 227 73.1-7: Aristotele, Physica II 4, 196b5-7, con commenti di Simplicio (332.35-333.11) e di Filopono (266.8-12); Ps.-Plut., Placita I 29, 1-4; Ps.-Galeno, Hist. philos. 43 (620.23 e 25-27); Stobeo, Ecl. I 7, 9; Teodoreto, Graec. affect. cur. VI 15-16; Stobeo I 6, 17c(2); Suda, s.v. eƒmarmšnh (Ει 144); Enomao di Gadara, presso Eusebio, Praep. ev. VI 7, 2 e 18, e presso Teodoreto VI 8 e 9; Alessandro, De fato 2 (165.19-23).
E. Necessità e caso combinati a spiegazione degli eventi, p. 230 74.1-3: Aristotele, Physica II 8, 198b10-32, con commento di Simplicio (372.9-11); Platone, Leges X, 889B1-C6; Epicuro, Perˆ fÚsewj, libro incerto (PHerc 1056, fr. 7, col. xi = 34, 30.715 A.).
F. Ricorso al solo caso, eventualmente ad esclusione della provvidenza, oppure semplice esclusione della stessa, p. 232 12
75.1-5: Lattanzio, Div. instit. I 2, 1-2; Cicerone, Nat. deor. I 24, 66 e 67; Tusc. I 11, 22 e 18, 42; Ac. pr. II 37, 121; Nemesio, De natura hominis 43 (127.1-10).
G. Ricorso alla necessità, ad esclusione del caso, p. 234 76.1-3: Diogene di Enoanda, fr. 54, coll. I 14, II, III; Epicuro, Epist. ad Menoeceum, 133-134; Cicerone, De fato 10, 22-23; Nat. deor. I 25, 69.
H. Necessità e materia, p. 236 77.1-2: Ps.-Plutarco, Placita I 26, 3; Ps.-Galeno, Hist. philos. 41 (620.9 e 11-12); Aristotele, Part. anim. I 1, 640b4-17.
IX. Cosmogonia, cosmologia, sistema astronomico, meteorologia A. Il nostro mondo e gli altri mondi di numero infinito, p. 236 78.1-8: Ps.-Plutarco, Placita II 1, 1; Epicuro, Epistula ad Pythoclem, 88-89; Stobeo Eclogae I 15, 6b(2); idem, I 22, 1e(1); Ps.-Plutarco, Placita II 7, 2; Simplicio, In De caelo I 5, 271b1 (202.11-18); Stobeo Eclogae I 22, 3b(1)(2); Ps.-Plutarco Placita II 1, 2-3; Cirillo, Contra Julianum II 14, 572A; Ps.-Galeno, Hist. philos. 44 (621.1-5); Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 15; Simplicio, In phys. IV 10, 218b4 (701.30-31); Ps.-Alessandro In Metaph. VII 15, 1040a27 sgg. (534.7-11).
B. Generabilità e corruttibilità dei mondi, p. 240 79.1-10: Aristotele, Phys. VIII 1, 250b15-23, con commenti di Simplicio (1120.18-24; 1121.515); Arist. De caelo I 10, 279b12-17, con commento di Simplicio (294.23-295.1 e 20-26); Aristotele, De caelo I 10, 280a23-27, con commento di Simplicio (310.4-17); Filone, De aeternitate mundi (3) 8 [VI 75.5-14]; Lattanzio, Divinae institutiones VII 1, 10; Stobeo Ecl. I 20, 1f(4); idem, I 20, 1f(7).
C. La generazione di un mondo (e dei corpi celesti in esso), p. 243 80.1-4: Diogene Laerzio, IX 31-33; Ps.-Plutarco, Placita I 4; Platone, Timaeus 52D-53A; Epicuro, Ep. ad Pyth. 90.6-10.
D. Il ricorso al vortice e alla necessità (o al caso) in cosmologia, p. 246 81.1-3: Ps.-Plut., Placita II 3, 1-2; Stobeo Ecl. I 21, 3c; Ps.-Galeno, Hist. philos. 46 (621.12-15); Epicuro, Ep. ad Pyth., 89.3-90.5; Sesto Empirico, Adv. math. IX, 111-113.
E. Il sistema astronomico, p. 247 1. Composizione fisica dei corpi celesti e loro conformazione 82.1-7: Stobeo, Ecl. I 24, 1e; Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 17; Achille, Isagoga I, 13; Ps.Plutarco, Placita V 20, 1-2; idem II 20, 5; Stobeo, Ecl. I 25, 3a, 3h; Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 21; Eustazio, comm. ad Odissea XII, v. 62; Ps.-Plutarco, Placita II 25, 5; Stobeo, Ecl. I 26, 1e(2); Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 23; Stobeo, Ecl. I 26, 4, 4.
2. La terra: figura, collocazione, stabilità (o movimento), ecc., p. 250 83.1-10: Aristotele, De caelo II 13, 293a15-23, con commento di Simplicio (511.22-25); Aristotele, De caelo II 13, 293b33-294a5 e 8-10; Ps.-Plutarco, Placita III 10, 4; Ps.-Galeno, Historia philosopha 82 (632.25 e 633.2); Ps.-Plutarco, Placita III 10, 5; Excerpta astronomica codicis Vaticani (Aratea, p. 143); Simplicio, In De caelo II 13, 294a11 (520.26-521.1); Ps.Plutarco, Placita III 13, 1 e 4; idem, III 15, 7; idem, III 12, 1; idem, III 12, 2.
3. Dislocazione dei corpi celesti e trattazione dei pianeti, p. 252 84.1-2: Ps.-Plutarco, Placita II 15, 3; Ps.-Galeno, Historia philosopha 57 (624.25-625.2); Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet 16, 929C.
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4. Altri fenomeni celesti: la via lattea e le comete, p. 253 85.1-11: Aristotele, Meteorologica I 8, 345a25-31, con commento di Alessandro (37.23-28); Ps.-Plutarco, Placita III 1, 5-6; Stobeo, Ecl. I 27, 5-6; Ps.-Galeno, Historia philosopha 74 (629.4 e 14-16); Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I 15, 3-4 e 6; Achille, Isagoga I 24 (55.24-27); Aristotele, Meteor. I 6, 342b25-29 e 343b8-9, 25-28, con commento di Alessandro (26.11-17); Ps.-Plutarco, Placita III 2, 2; Stobeo, Ecl. I 28, 1a(2); Ps.-Galeno, Hist. philos. 75 (629.20 e 630.2-3); Scholia in Aratum vetera 1091, 509.7-16; Stobeo, Ecl. I 28, 1b (2); Seneca, Nat. quaest. VII 3, 1-2, e 12, 1 e 6.
5. Il movimento dei corpi celesti, p. 257 86.1-3: Ps.-Plutarco, Placita II 16, 1; Ps.-Galeno, Hist. philos. 58 (625.8-10); Stobeo, Ecl. I 24, 1c; Lucrezio, V, vv. 621-36; Stobeo, Ecl. I 25, 3h.
F. Meteorologia, p. 258 1. I venti 87.1: Seneca, Nat. quaest. V 2.
2. I terremoti, p. 258 87.2-4.1: Aristotele, Meteor. II 7, 365a14-19 e b1-6; Seneca, Nat. quaest. VI 20, 1-4; Ps.Plutarco, Placita III 15, 1; Ps.-Galeno, Hist. philos. 86 (633.19-20).
3. Il tuono, il fulmine, ecc., p. 260 87.5-7: Stobeo, Ecl. I 29, 1(10); idem, I 29, 1(11); Epicuro, Epistula ad Pythoclem, § 101.1-4, 6-7, 10-11; Plutarco, Quaest. conv. IV 2, 4, 665E-F.
4. Fiumi e mari, p. 261 a) Sull'inondazione del Nilo 88.1-3: Ps.-Plutarco, Placita IV 1, 4; Ps.-Galeno, Historia philosopha 89 (634.19 e 25-28); Diodoro, Bibliotheca historica I 39, 1-4; Anonimo presso Ateneo, Deipnosophistae II 87.
b) Durata del mare e sua salinità 88.4-6: Aristotele, Meteor. II 3, 356b4-17 e 30-357a3; idem I 14, 352a17-28, con commento di Alessandro al primo passo, 78.12-16; Teofrasto (?), fr. del De aquis (?), Hibeh Papyr. 16, pp. 62-63.
X. Cause dei fenomeni nel mondo inanimato e nel mondo vivente A. Fenomeni nel mondo inanimato, p. 264 1. Un esempio di agire e patire: l'attrazione della calamita sul ferro. a) Il resoconto di Democrito 89.1-1.2: Alessandro, Quaestiones II 23, 72.9-17 e 28-73.11; Simplicio, In Phys. VII 2, 244a11 (1056.1-3); Psello, De lapidibus, 26.
b) Il resoconto degli Epicurei 89.2-3: Galeno, De naturalibus facultatibus I 14 [II p. 45 K.]; Lucrezio VI, vv. 998-1016.
2. Altri esempi di interazione o di trasmissione di entità come il suono (e questione stessa della natura del suono), p. 266 90.1-7: Seneca, Naturales quaestiones IVb 9; Plutarco, Quaestiones convivales VIII 3,1 (720DE), 2 (720E-721D), 3 (721D-E e F), 4 (722B); Ps.-Plutarco, Placita IV 19, 2-3; Epicuro, Epistula ad Herodotum, 53; Aulo Gellio, Noctes atticae V 15, 1 e 6-8; Scolio a Dionisio Trace in Anecdota Greca II, 770.21-27; Scolio a Dionisio Trace, GG I 3, 482.13-14; Grammatico bizantino, cod. Paris. 2555 (in Anecdota Graeca, II 1168.1-3); Lucrezio IV, vv. 526-29; Teofrasto, De igne, 52.
B. Fenomeni nel mondo vivente, p. 270 14
1. Osservazioni anatomiche ecc. sugli animali e sulle piante 91.1-5.1: Plutarco, Quaestiones naturales I (911C-D); Ps.-Aristotele, De plantis I 1, 815b14-17; Porfirio, De abstinentia III 6 (7), 195.2-5; Aristotele, De partibus animalium III 4, 665a28-33; Historia animalium VIII (IX) 39, 623a30-33; Plinio, Nat. hist. XI (28) 80.
2. Tesi della iniziale generazione spontanea degli animali, p. 272 92.1-1.1. Ps.-Galeno, Historia philosopha 123; Ps.-Plutarco, Placita V 19, 1-2.
3. La riproduzione degli animali: tesi della pangenesi e del preformazionismo, p. 272 93.1-6: Aristotele, De generatione animalium I 17, 721b6-722a1; Stobeo, Flor. III 6, 28; Clemente, Paedagogus II 10 (94.3-4); Ps.-Galeno, An animal sit quod est in utero XIX 176; Galeno, In Hippocratis Epidemiarum libros commentaria XVII/2, 28; idem XVII/1, 521 e 52223; Plinio, Nat. hist. XXVIII (16) 58; Ippolito, Ref. VIII 14, 3-4; Stobeo, Flor. III 6, 44; Gellio, Noct. att. XIX 2, 8; Plutarco, Quaestiones convivales III 6, 2, 653F; Ps.-Plutarco, Placita V 3, 46; Ps.-Galeno, Historia philosopha 107; Ps.-Plutarco, Placita V 4, 1-3; Ps.-Galeno, Hist. philos. 108; Ps.-Galeno, Definitiones medicae 439; Censorino, De die natali 5, 3. 94.1-6: Aristotele, De generatione animalium IV 1, 763b27-31, 764a1-2, a6-11, a20-23, 764b10-29; Ps.-Plutarco, Placita V 5, 1; Ps.-Galeno, Hist. philos. 109; Aristotele, De generatione animalium I 20, 727b33-36; Ps.-Plutarco, Placita V 7, 6; idem, V 7, 7; Censorino, De die natali 6, 5; Nemesio, De natura hominis 25 (86.19-22). 95.1: Aristotele, De generatione animalium IV 3, 769a6-21.
4. La tesi della ‘panspermia’, p. 279 95.2: Aristotele, De generatione animalium IV 3, 769a26-b3.
5. Una sintesi epicurea della teoria atomistica della riproduzione, p. 280 95.3. Lucrezio IV, vv. 1209-1222, 1227-32.
6. Aspetti anatomici ecc. della riproduzione, p. 280 96.1-8: Aristotele, De generatione animalium II 4, 740a33-b2; idem, II 4, 740a13-17; Censorino, De die natali 6, 1; Aristotele, De generatione animalium II 7, 746a19-21, 27-28a; Ps.-Plutarco, Placita V 16, 1; Ps.-Galeno, Historia philosopha 120; Galeno (?), In Hippocratis De alimento (PFlor 115, B 7-13) 39; Plutarco, De amore prolis 3, 495E; De fortuna Romanorum 2, 317A; Eliano, De natura animalium XII 16; Ps.-Aristotele, Problemata X 14, 892a38-b3; Eliano, Nat. anim. VI 60.
7. La formazione di anomalie fra gli animali, p. 283 97.1-3: Aristotele, De generatione animalium IV 4, 769b30-770a4; idem, II 8, 747a23-34; Eliano, Nat. anim. XII 17.
8. Fenomeni riguardanti la crescita, la durata della vita, ecc., di piante e animali, p. 284 98.1-7: Teofrasto, De causis plantarum II 11, 7-8; idem, I 8, 2; Aristotele, De generatione animalium V 8, 788b9-15 e 17-20; 788b24-29; 789a4-5; 789b2-9 e 12-15; Filopono (Michele di Efeso), ad loc., 247.11-12 e 19-22; Eliano, Nat. anim. XII 18; idem, XII 19; idem, XII 20.
9. Fenomeni svariati, p. 287 99.1-7: Cicerone, De divinatione II 26, 57; Teofrasto, De piscibus (fr. 171), 12; Eliano, De natura animalium IX 64; Aristotele, Historia animalium VII (VIII) 2, 590a22-27; Meteorologica II 3, 358b34-359a5; Eliano, Nat. anim. V 39; Schol. Hom. T ad Iliadem XI, v. 554; Eustazio, Commento ad Iliadem XI, v. 554; Etym. Magnum, s.v. glaÚx; Galeno, De differentia pulsuum I 25; Plutarco, Quest. conv. VIII 9, 733D.
XI. L'anima
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A. L'approccio all'anima, p. 290 100.1-5: Filopono, In De anima I, prooemium, 9.3-6, 7-8 e 16-19; Aristotele, De anima I 1, 402b1-5, con commento di Filopono (36.13-19); Aristotele, De anima I 5, 410b16-24, con commento di Filopono (185.14-23).
B. L'anima, la sua costituzione e le sue funzioni distintive, p. 291 101.1-9: Aristotele, De anima I 2, 403b24-404a31, con commenti di Filopono (67.3-28; 68.1-3, 10-18) e di Simplicio (25.26-26.4, 11-19); Stobeo Ecl. I 49, 1b(6); Ps.-Plutarco, Placita IV 3, 4; Stobeo Ecl. I 49, 1b(4); Nemesio, De natura hominis 2 (16.11-18); Pap. gen., inv. 203, B 27-29; Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I 14, 19. 102.1-5: Aristotele, De anima I 2, 404b7-18, b27-30 e 405a3-13, con commenti di Filopono (83.15-28; 84.9-25); Aristotele, De anima I 2, 405b11-21; idem I 5, 409b18-26.
C. Anima e corpo, p. 298 1. L'anima come fonte di movimento per il corpo 103.1-4: Aristotele, De anima I 4, 409a10-16 e 5, 409a31-b11, con commento di Filopono a 409a10 (167.20-30 e 168.10-14); Aristotele, De anima I 3, 406b15-25, con commento di Simplicio (39.22-31).
2. L'intreccio fra anima e corpo, p. 300 103.5: Lucrezio III, vv. 370-73.
3. L'anima è corruttibile, p. 300 103.6-7.3: Ps.-Plutarco, Placita IV 7, 3-4; Teodoreto, Graec. affect. cur. V 24; Lattanzio, Divinae institutiones III 17, 33-34; idem, VII 7, 12; idem, VII 13, 7; Ps.-Galeno, Historia philosopha 24 (613.3 e 14-16).
D. La respirazione come condizione della vita, p. 301 1. Il funzionamento della respirazione 104.1-3: Aristotele, De respiratione 4, 471b30-472b5; Ps.-Aristotele, De spiritu 3, 482a28-32; Filopono, In De anima I 2, 404a9 [= 101.1] (68.19-69.20); Simplicio, In De anima I 2, 404a9 [= 101.1] (26.4-11).
2. Se la respirazione si trovi anche in tutti gli animali, p. 304 104.4: Aristotele, De respiratione 1, 470b6-12 e 2, 470b28-30.
E. Se l'anima sia divisa in parti e quale sia la sede delle parti stesse, p. 304 1. Esclusione di una partizione per via della coincidenza di anima e intelletto ovvero di sensazione e pensiero 105.1-6: Filopono, In De anima I 1, 402b1 [= 100.2], 35.10-14; Alessandro, De anima 27.4-8; Filopono, In De anima I 2, 404a25 sgg. [= 101.1], 71.17-34; Simplicio, In De anima I (2, 404a24 sgg. [= 101.1]), 26.34-27.13; Stobeo Ecl. I 48, 7(2); Tertulliano, De anima 12, 6.
2. Ammissione di una partizione e definizione della sede delle parti, p. 306 105.7-11: Ps.-Plutarco, Placita IV 4, 3; Lucrezio III, vv. 136-42; Ps.-Plutarco, Placita IV 5, 1-2 e 5; Teodoreto, Grac. affect. cur. V 22; Sesto, Adv. math. VII 349; Tertulliano, De anima 15, 5; idem, 15, 3.
F. Resoconto del pensiero e della sensazione, p. 308 1. La base fisica del pensiero e della sensazione e l'assimilazione del pensare all'aver sensazioni
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106.1-4.2: Aristotele, De anima III 3, 427a17-b5; Teofrasto, De sensibus, 58; Eustazio, comm. ad Iliadem XXIII, v. 698 (IV 813.13-814.1); Stobeo, Ecl. I 50, 4; idem, I 50, 12; Ps.-Plutarco, Placita IV 8, 4; Ps.-Galeno, Hist. philos. 90 (635.4 e 12).
2. Le sensazioni e i sensibili (e l’attenzione della mente), p. 310 106.5-6: Stobeo, Ecl. I 50, 8-9; Lucrezio IV, vv. 802-804.
3. Se i sensi siano più di cinque, p. 311 106.7-7.1: Ps.-Plutarco, Placita philosophorum IV 10, 3; Stobeo, Ecl. I 51, 4.
G. Altri fenomeni psicofisici, p. 311 1. Il sonno e la morte 107.1-3: Ps.-Plutarco, Placita V 25, 3; Tertulliano, De anima 43, 2 (58.24-25 e 27); Lucrezio IV, vv. 916-928.
2. La morte e fenomeni come la catalessi, p. 312 108.1-3: Ps.-Plutarco, Placita IV 4, 4; Stobeo, Ecl. I 50, 35; Alessandro, In Top. I (1, 100b23), 21.21; Cicerone, Tusc. disp. I 34, 82. 109.1-3.1: Tertulliano, De anima 51, 2 (69.4-8); Celso, De medicina II 6; Proclo, In Rempublicam II 113.6-22; Platone, Timaeus, 73B-C.
3. Come si verificano i sogni e il presentarsi degli ‘idoli’, p. 314 110.1-8: Ps.-Plutarco, Placita V 2, 1 e 3; Ps.-Galeno, Hist. philos.106 (640.1-2 e 4-8); Ps.Plutarco, De vita et poese Homeri 150; Eustazio, Comm. ad Odisseam IV, vv. 795 sgg.; Eustazio, Comm. ad Iliadem XXIII, v. 72 (IV, 683.15, 18-20); Cicerone, De divinatione II 58, 120; idem, II 67, 137-139; Plutarco, Quaest. conv. VIII 10, 2 (734F-735C); idem, V 7, 6 (682F683A); Diogene di Enoanda, fr. 10, coll. III 14 IV V; idem, fr. 43, coll. I 12-14 II; Cicerone, Epist. ad fam. XV 16, 1-2.
H. La divinazione, specialmente mediante i sogni, p. 319 111.1-4: Cicerone, Divin. I 3, 5; Aristotele, De divinatione per somnum 2, 463b31-464a21; Cicerone, Divin. I 57, 131; idem, II 13, 30 e 32.
I. La concezione della divinità, le sue fonti e il ruolo degli 'idoli', p. 321 1. Gli 'idoli' e la loro funzione attiva (nei sogni ecc.), anche nel dare origine alla concezione della divinità 112.1-6: Sesto, Adv. math. IX 19; Plutarco, De defectu oraculorum, 17, 419A; Plutarco, Aemilius Paullus, 1.4.1-5.1; Sesto, Adv. math. IX 42-43; Cicerone, De natura deorum II 30, 76; idem, I 37, 105/ 38, 107; Agostino, Ad Dioscorum epistula (ep. CXVIII, 27-28); Clemente, Strom. V xiii, 87, 3.
2. Altre divinità?, p. 324 113.1-2: Stobeo, Ecl. I 1, 29b(6-7); Ps.-Plutarco, Placita I 6, 4; Eusebio, PE XIV 16, 6 (3); Ps.Galeno, Hist. Philos. 35 (617.22, 618.11-12); Cirillo, Contra Julianum I 38, 545A; Tertulliano, Ad nationes II 2, 97.9-14.
3. L'accusa di incoerenza rivolta a Democrito, p. 325 114.1-2: Cicerone, De natura deorum I 12, 29; idem, I 43, 120.
L. L'entusiasmo poetico, p. 326 115.1-5: Cicerone, Divin. I 37, 80; De oratore II 46, 194; Orazio, De arte poetica, vv. 295-298; Clemente, Strom. VI xviii, 168, 1-3; Dione, Oratio LIII De Homero (36), 1.
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XII. Resoconto della percezione mediante i sensi e dei sensibili A. La percezione mediante i sensi, p. 327 1. Generalità 116.1-3.1: Teofrasto, De sensibus 1-2; idem, 49; Stobeo, Ecl. I 50, 22; Ps.-Plutarco, Placita IV 9, 3.
2. Il meccanismo fisico della visione, p. 328 117.1-5.1: Teofrasto, De sensibus 50-55; Epicuro, Epistula ad Herodotum, 49; Aristotele, De sensu 2, 438a5-17, con commenti di Alessandro (15.5-7; 24.12-22; 26.10-15); Aristotele, De sensu 4, 440a15-20, con commento di Alessandro (56.8-16); Stobeo I 52, 1; Ps.-Plutarco, Placita IV 13, 1; Ps.-Galeno, Hist. Philos. 94 (636.19-22); Stobeo, Ecl. I 52, 10; Macrobio, Saturnales VII 14, 3-4; Lucrezio IV, vv. 225-29, 237-243.
3. Un'applicazione della teoria: i riflessi negli specchi, p. 334 117.6-7: Ps.-Plutarco, Placita IV 14, 2; Stobeo, Ecl. I 52, 15; Ps.-Galeno, Hist. Philos. 95 (636.27-637.2); Papyrus Oxyrhynchus 1609 (vol. XIII, p. 95 s.).
4. Obiezioni alla teoria democritea, p. 335 117.8-9: Plotino, Enneades IV 5, 3.26-36; Alessandro, In De sensu 3, 440a15 [= 117.3], 58.1-7.
5. Il ruolo del mezzo nel vedere e la percezione delle distanze, p. 335 118.1-3: Alessandro, In De sensu 3, 440a15 [= 117.3], 57.11-12 e 21-26; Lucrezio IV, vv. 244255; Aristotele, De anima II 7, 419a15-21.
6. L'udito e la trasmissione del suono; gli altri sensi, p. 336 119.1-2.1: Teofrasto, De sensibus 55-57; Ps.-Plutarco, Placita IV 16, 2; Porfirio, In Ptolemaei Harmonica 32.7-16; Ps.-Ippocrate, Epistula XXIII (IX 394).
B. Alcune generalità sui sensibili e sulla sensazione, p. 338 120.1-2: Aristotele, De sensu 4, 442a29-b23, con commento di Alessandro (82.23-83.12).
C. La trattazione democritea dei sapori (in generale) e degli altri sensibili nella loro costituzione e una serie di critiche ad essa rivolte da Teofrasto, p. 339 121.1-6: Teofrasto, De sensibus 72; idem, De odoribus 64; idem, De causis plantarum VI 1. 2.1-10, 1.3.1-2, 1.4.1-4, 1.5.12-6.12; idem, VI 2.1, 2.2 e 2.3-4; idem, VI 6, 1; idem, VI 17, 11; idem, VI 7, 2.
D. I sensibili specifici, p. 344 1. Il resoconto dei singoli sapori (nella loro costituzione tramite le figure) 122.1-2: Teofrasto, De sensibus 65-67; Teofrasto, De causis plantarum IV 10, 1 e 10, 3.
2. Il resoconto dei colori (con critiche di Teofrasto), p. 345 123.1-2: Teofrasto, De sensibus 73-78, idem, 79-82.
XIII. L'uomo e la civiltà A. L'uomo: un piccolo mondo, p. 349 124.1-3: David, Prolegomena philosophiae 38.14-19; Ps.-Elias, In Porphyrii Isagogen 14, 1819; Aristotele, Phys. VIII 2, 252b24-28; Galeno, De usu partium III 10.
B. L'origine del mondo e del genere umano, p. 350 125.1-3: Diodoro Siculo, Bibliotheca historica I 6, 3; 7, 1-7; Censorino, De die natali 4, 5 e 4, 9; Lucrezio, De rerum natura V, vv. 805-814, 821-825; Lattanzio, Div. inst. VII 7, 9.
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C. L'origine e lo sviluppo della civiltà, p. 352 1. L'origine della civiltà in genere e del linguaggio 126.1-3: Diodoro I, 8, 1-9; idem, II 38, 2; Lucrezio V, vv. 931-32, 937-38, 953-959, 982-983, 988-991, 1007-1008, 1019-1032, 1101-1107, 1448-55; Diogene di Enoanda, fr. 12, coll. II 4-11.
2. L'origine e lo sviluppo delle arti, p. 354 127.1-3: Plutarco, De sollertia animalium, 20, 974A-B; Filodemo, De musica IV 23; Mallio Teodoro, Liber de metris (GrL VI 589.20-21).
3. L'origine delle credenze religiose, p. 355 128.1-5: Sesto Empirico, AM IX 24-26; Clemente di Alessandria, Protr. 6, 68.5 (= Strom. V 102, 1); Filodemo, De pietate, PHerc 1428, fr. 16.2-11; Lucrezio V, vv. 1161-93; Plinio, Nat. hist. II (5) 14.
D. Teoria del linguaggio, p. 357 129.1-2: Proclo, In Cratylum, 5.25-6.2, 6.10-7.17; Damascio, In Platonis Philebum 24.1-4.
E. Altri aspetti della cultura, p. 358 1. Questioni omeriche 130.1-3: Scolio A ad Omero, Iliade VII, v. 390; Eustazio, comm. ad Omero, Odissea XV, v. 376, p. 1784; Porfirio, Quaestiones homericae (ad Iliadem XXI, v. 252) I 274, 9-12.
2. Questioni grammaticali, p. 359 130.4-11: Eustazio, Comm. ad Iliadem III, v. 1 (I, 584.3-4); Fozio, Lexicon, s.v. mî ( 654); Scolio in Dionisio Trace, p. 184.13 e 18; Epitome degli Epirismi Homerici presso Etym. Magnum 500.9; Erodiano, Epimerismi Homerici, 396.11; Eustazio, In Odisseam II, v. 190, p. 1441; Apollonio Discolo, De pronominibus, GG II 1, 65.15-18; idem, 92.20-93.2; Erodiano, Prosodia Catholica, GG III 1, 355.10-11; Suda, s.v. ¥lfa,1a.20, 1b.3-5 (= Fozio, Lexicon, s.v. ¥lfa).
XIV. L'etica e la politica A. La ‘tranquillità d'animo’ e le sue condizioni nell'uomo, p. 361 1. Dossografia sul telos di Democrito e dei Democritei 131: Ario Didimo presso Stobeo, Ecl. II 7, 3i. 132.1-5: Clemente, Strom. II xxi, 130, 4-6; Stobeo, Flor. III 1, 46; Epifanio, Adv. haeres. III 2, 9 (III 14); Teodoreto, Grac. affect. cur. XI 6; Suda, s.v. eÙestè (Ε 3446). 2. Attestazioni riguardanti la ‘tranquillità d’animo’ secondo Democrito, p. 364 133.1-4: Seneca, De tranquillitate animi 1.18 e 2.2-4; Cicerone, De fin. V 8, 23; idem, V 29, 8788; Strabone, Geographica I 3, 21.
3. Sulla superiorità dell'anima rispetto al corpo, p. 365 134.1-5: Democrate 3; idem, 6; Stobeo, III 1, 27 (= Democrate 2); Democrate 71; Stobeo IV 29, 18 (= Democrate 23).
4. La prevalente responsabilità dell'anima, p. 366 135.1-6: Plutarco, Fragmenta moralia I: De libidine et aegritudine 2; Plutarco, De tuenda sanitate praecepta 24, 135D-E; Diogene di Enoanda, fr. 2, coll. I, II.1-4; Plutarco, Animine an corporis affectiones sint peiores 1, 500B-C e 2, 500C-E; Gnomologium Byzantinum 24; Plutarco, De tranquillitate animi 14, 473B; Stobeo III 10, 65; Epicuro, fr. 445 Us.
5. Terapia dell'anima e terapia del corpo, p. 369 19
136.1-2: Clemente, Paedagogus I ii, 6, 1-2; Ps.-Ippocrate, Epistula XXIII, 1-2; Epicuro, 221 Us.; Stobeo III 18, 30. 137.1-3: Stobeo III 1, 210; Lucrezio II, vv. 1-4; Stobeo IV 44, 67; Plutarco, De tranquillitate animi 12, 471D.
6. Saggezza e stoltezza, p. 372 138.1-11: Stobeo, III 7, 74; Stobeo III 20, 56; Stobeo III 4, 71; idem, III 4, 75; idem, III 4, 76; idem, III 4, 78; Democrate 20; Democr. 86; Democr. 32; Stobeo IV 46, 18 (= Democr. 23a); Stobeo IV 46, 19.
6. Per il saggio la patria è il mondo, p. 373 138.12: Stobeo, III 40, 7.
B. Il piacere, p. 373 1. La valutazione dei piaceri 139.1-4: Stobeo, III 1, 47; idem, III 5, 22; Democrate 39; idem 34.
2. La moderazione e i piaceri, p. 374 140.1-3: Stobeo III 5, 27; idem, III 5, 26; idem, III 17, 37 (= III 6, 59). 141.1-3: Stobeo III 17, 38 (= III 6, 60); idem, III 18, 35 (= III 6, 65); Democrate 36.
C. Altri fini o altre virtù, p. 375 1. La realizzazione del bello ovvero del nobile. 142.1-4: Plutarco, De profectibus in virtute 10, 80E e 81A-B; Stobeo III 3, 46; Democrate 79; idem 22.
2. La nobiltà d'animo, p. 376 143.1: Stobeo IV 44, 69 (= Democrate 12).
3. L'autocontrollo, p. 376 143.2: Stobeo III 7, 25.
4. L'autosufficienza, p. 376 143.3-4.1: Stobeo III 40, 6; idem, III 5, 25; Epicuro, 476 Us.
5. La moderazione, p. 376 144.1-6: Democrate 68; Stobeo III 10, 68; Democrate 35; idem, 37; Stobeo IV 39, 17; idem III 17, 25.
D. Bene e male dipendono dall'uso di quanto disponiamo e dal dominio che abbiamo sulle circostanze esteriori, p. 377 1. Bene e male 145.1-2: Stobeo II 9, 1; idem, II 9, 2.
2. Moderare i desideri e ricchezza e povertà, p. 378 146.1-14: Stobeo III 10, 43; Stobeo IV 33, 23; idem, IV 33, 24-25; Epicuro 471 Us.; Epicuro, Gnomologium Vaticanum 25; Stobeo III 4, 82 (= Democrate 42); idem, III 16, 19; idem, IV 44, 70; Democrate 16; Stobeo III 10, 36 (= IV 31, 50); idem, III 10, 44; idem, III 10, 58; idem, IV 31, 120; idem, IV 31, 121 (= Democrate 43); Massima di Democrito (in CPP) 21; Stobeo IV 31, 49.
3. La fortuna, p. 380
20
147.1-4: Stobeo II 8, 16; Epicuro, Ratae Sententiae XVI; Stobeo II 9, 5; idem, IV 10, 28; Massima di Democrito (in CPP) 4.
4. Gli dei e gli uomini, p. 381 148.1-3: Stobeo II 9, 4; Stobeo III 9, 30; Democrate 80.
E. La vita e il bene vivere, p. 382 1. La vita: gioie e paure; come si deve vivere 149.1-5: Stobeo III 16, 22; idem, IV 34, 65; idem, IV 44, 64; idem, III 37, 25 (= Democrate 26); Porfirio, De abstinentia IV 21.
2.”Pensieri nuovi”, p. 382 150.1-3: Plutarco, De latenter vivendo 5, 1129E; idem, Quaest. conv. III 6, 4, 655D; ibidem, VIII 3, 5, 722D.
3. La paura della morte, p. 383 151.1-8: Stobeo III 4, 74; idem, III 4, 79; idem, III 4, 73; idem, III 4, 77; idem, III 4, 80; idem, IV 52, 40 (= IV 34, 62); Filodemo, De morte, PHerc 1050, col. XXIX.27-32; idem, col. XXXIX.9-15.
4. Il ’fare tante cose’, p. 385 152.1-5.2: Stobeo IV 39, 25; Plutarco, De tranquillitate animi 2, 465C-D; Seneca, De tranquillitate animi 13, 1; idem, De ira III 6, 3 e 5-6; 7, 2; Democrate 45; Marc'Aurelio IV 24; Diogene di Enoanda, fr. 113.
F. La vita in comunità, p. 387 1. Dedicarsi alla cosa pubblica 153.1-3: Plutarco, Adv. Colot. 32, 1126A; Non posse suaviter vivi sec. Epic. 19, 1100B-C; Massimo 32.15 e Antonio Melissa II 45; Plutarco, Reipublicae gerendae praecepta 28, 821A; Filodemo, De adulatione, Pherc 1457, col. X.4-12; Seneca, Epistula 7, 10.
2. Gli affari pubblici, la città bene ordinata, p. 388 154.1-7: Stobeo IV 1, 43; idem, IV 1, 40; idem, IV 1, 34; idem, IV 1, 42; idem, IV 1, 45; idem, IV 5, 48; idem, IV 1, 46.
3. La legge, p. 390 155.1-3: Stobeo IV 1, 33; idem, III 38, 53; idem, II 31, 59.
4. Comandare ed ubbidire, p. 390 156.1-4: Stobeo IV 6, 19; idem, IV 2, 13 (= Democr. 40); Stobeo III 1, 45 (= Democr. 13); Stobeo IV 4, 27 (= Democr. 15).
5. Fra etica e politica: giustizia e ingiustizia, p. 391 157.1-9: Democrate 11; Stobeo IV 2, 14; Democrate 4; Stobeo IV 5, 43; idem, IV 5, 44; idem, IV 1, 44; idem, IV 5, 47; idem, II 9, 3; idem, III 7, 31.
6. Prescrizioni di giustizia, p. 393 158.1-4: Stobeo IV 2, 15; idem, IV 2, 16; idem, IV 2, 17; idem, IV 2, 18.
G. Princìpi e prescrizioni di moralità, p. 394 1. La vergogna di fronte a se stesso 159.1-3: Stobeo IV 5, 46; idem, III 31, 7; Democrate 50.
21
2. L'intenzione, p. 394 160.1-3: Stobeo III 9, 29 (= Democrate 27); Democrate 55; idem, 33.
3. L'errore e il pentimento, p. 395 161.1-5: Democrate 49; idem, 9; Epicuro, 522 Us.; Democrate 31; Stobeo III 13, 46 (= Democrate 25); idem, III 1, 95 (= Democr. 7).
4. Prescrizioni varie, p. 395 162.1-8: Democrate 57; Stobeo III 37, 22 (= Democrate 5); III 38, 46 (= Democrate 14); Democrate 82; Massime di Democrito (in CPP) 12, 29, 33; Stobeo IV 19, 45.
5. Discorsi e azioni, p. 396 163.1-7: Stobeo II 15, 36 (= Democr. 21); idem, II 15, 40; idem, III 1, 91; Democrate 19; Stobeo, II 15, 33 (= Democr. 19a); idem, III 14, 8 (= Democrate 28); Democrate 47.
6. L'azione dei discorsi, p. 397 164.1-7: Plutarco, De pueris educandis 14, 9F; Stobeo II 4, 12 (= Democrate 17); Stobeo III 10, 42 (= Democr. 18); Stobeo III 36, 24 (= Democr. 52); Stobeo II 31, 73 (= Democr. 51); Plutarco, Quaest. conv. I 1, 5, 614E; Clemente, Strom. I iii, 22, 2; Democrate 41.
7. L'opportunità nei discorsi, p. 398 165.1-2: Stobeo III 12, 13 e Democrate 10; Stobeo III 13, 47. H. L'immoralità, il male, p. 399 1. Il male, le sue varietà e le sue fonti 166.1-8: Stobeo IV 40, 21; Filodemo, De ira, Pherc 182, col. XXIX.12-29; Stobeo III 4, 70; idem, IV 7, 13; idem, II 31, 90; idem, III 2, 36; idem, III 28, 13; idem, III 22, 42.
2. I rimedi al male, p. 400 167.1-5: Democrate 53; Stobeo III 3, 43; Democrate 83; idem, 81; idem, 44.
3. L'avidità di ricchezze oppure l'avarizia; la miseria, p. 400 168.1-3: Stobeo III 10, 64; idem, III 16, 17; idem, III 16, 18.
I. Princìpi e osservazioni di vita, p. 401 1. La fatica (Ponos) 169.1-5: Stobeo III 29, 63; idem, III 29, 64; idem, III 29, 88; idem, II 31, 66; idem, III 29, 66.
2. Conoscenza e intelligenza, p. 402 170.1-3: Stobeo II 1, 12; idem, III 4, 81 (= Democrat. 29); Democrate 30.
3. L'apprendimento ovvero l'educazione e la cultura, p. 402 171.1-5: Stobeo II 31, 65; Clemente, Strom. IV xxiii, 149, 4; Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 1; Stobeo II 31, 58; idem, II 31, 72; idem, II 31, 71 (= Democr. 24); idem, II 31, 94.
4. L'educazione morale, p. 403 172.1-3: Stobeo IV 26, 26; idem, II 31, 56; idem, II 31, 57.
5. Osservazioni varie, p. 404 173.1-8: Plutarco, Quaest. conv. II 10, 643E; Stobeo IV 40, 20; idem, III 4, 72; idem, III 29, 67 (= Democrate 46); idem, IV 34, 58 (= Democrate 75); idem, III 4, 69; Massime di Democrito (in CPP) 18 e 34.
22
L. Rapporti fra persone (secondo i tipi di azione), p. 405 1. La rivalità e l'invidia 174.1-4: Stobeo III 20, 62; Massima di Democrito (in CPP) 28; Stobeo III 38, 47 (= Democrate 54); sentenza democritea in CPP, 710.
2. L'amore e il sesso, p. 406 175.1-3: Stobeo IV 20, 33; idem, III 5, 23 (= Democr. 38); Erodiano presso Eustazio, ad Odisseam XIV, v. 428 (p. 1766).
3. Le sventure, proprie e altrui, p. 406 176.1-4: Stobeo III 7, 21; idem, IV 44, 68 (= Democrate 8); idem, IV 48, 10; Democrate 74.
4. I favori, p. 407 177.1-4: Democrate 58; idem, 59; idem, 60; Epicuro, fr. 214 Us.; Democrate 62.
5. Gli onori, p. 407 178.1-2: Democrate 61; Stobeo IV 5, 45.
M. I rapporti fra le persone (secondo le categorie delle persone), p. 408 1. Gli amici 179.1-14: Democrate 72; idem, 67; idem, 63; idem, 64; idem, 65; idem, 76; idem, 69; idem, 66; idem, 73; Stobeo II 33, 9; Massime di Democrito (in CPP) 7, 9, 8, 26.
2. La donna, p. 409 180.1-4: Stobeo IV 23, 38; Democrate 77; Stobeo IV 23, 39 (= Democrate 78); Stobeo IV 22, 199.
3. I figli, la famiglia, p. 410 181.1-3.1: Stobeo IV 24, 29; idem, IV 24, 31; Clemente, Strom. II xxiii, 138, 2-4; Teodoreto, Graec. affect. cur. XII 74. 182.1-6: Stobeo IV 24, 32; idem, IV 24, 33; idem, III 5, 24; idem, IV 26, 25; Democrate 56; Stobeo IV 22, 108.
4. Giovani e vecchi (e la vecchiaia), p. 412 183.1-4: Stobeo IV 50, 20; idem, IV 50, 22; Democrate 70; Stobeo IV 50, 76.
N. Varia (frammenti di dubbia autenticità), p. 412 184.1-4: Democrate 1; idem, 48; idem, 84; Stobeo IV 41, 59.
XV. Testi vari A. Contributi all'astronomia descrittiva e di previsione, p. 413 1. Il “grande anno” e il calendario 185.1-2: Censorino De die natali 18, 8; Leptines, OÙr£nioj didaskal…a (Eudoxi Ars astronomica o Ars Eudoxi), coll. 22.21 e 24, coll. 23.3 e 9.
2. Raccolta di dati sulle costellazioni, p. 414 185.3: Vitruvio, De architectura IX 5, 4.
3. Raccolta di effimeridi astronomiche, p. 414
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185.4-7: Vitruvio IX 6, 3; Scolio ad Apollonio Rodio II, vv. 1098-99; Clodio, Calendarium in Lydi de ostentis, cap. 70, 157.18-158.1; Tolomeo, Inerrantium stellarum apparitiones et significationum collectio: epilegomena, 275.1-2, 5-6, 13-15, 19-20 e 276.1.
4. Attestazioni circa tali effemeridi, p. 415 186.1-5: Gemino, Isagoge: Calendarium, 210.8-11, 218.14-17, 220.5-6, 222.9-11, 224.22-23, 226.4-5, 226.15-16, 226.23-24, 228.23-24, 232.16, 232.21-22; Tolomeo, Inerrantium stellarum apparitiones et significationum collectio: Calendarium, 213.19, 215.17, 217.12, 220.13, 223.14, 227.5, 229.9, 230.11, 233.8, 233.14, 234.20, 237.17, 238.7, 240.12-13, 241.5, 243.5-6, 245.1-2, 246.16, 247.18, 252.2, 258.9, 259.8, 262.19, 263.15, 263.17, 267.4, 268.21, 271.22; Giovanni Lidio, De mensibus iv 16, 18 (1) e (4), 51, 124, 135, 139, 152; Plinio, Nat. hist. XVIII (62) 231; XVIII (74) 312.
5. Un’attestazione di Democrito su Talete astronomo, p. 418 186.6: Diogene Laerzio I 22 e 23.
B. Geografia, p. 419 1. Generalità e conformazione della terra abitata 187.1-3: Strabone, Geographica I 1 (1-2.3); Eustazio, Commento a Dionigi di Alessandria periegeta, GGM II, 208.14-17; Agatemero, Geographiae informatio I 1, 2 (GGM 471.1-2, 615); Scolio in Dionigi di Alessandria periegeta (GGM II, 428.7-11); Eustazio, comm. ad Iliadem VII, v. 446 (II, 496.15-17).
2. Altra informazione, p. 420 187.4: Strabone XV 1, 38 (703.19-21).
3. Le dispute geografiche, p. 420 187.5-6: Strabone I 4, 7 (65.17-19); Strabone I 4, 7 (65.29-32).
C. Le arti, p. 421 1. Contributi alla medicina 188.1-10: Celso, De medicina I, proemio, 7-8; Celio Aureliano, Celerum passionum liber III, cap. 15, 120; idem, Celerum passionum liber III, cap. 14, 112; idem, Celerum passionum III, cap. 16, 132-133; Oribasio, Collectiones medicae XLIV 14, 1; Gellio, Noct. att. IV 13; Stobeo III 6, 27; Erotiano, Vocum Hippocraticarum collectio, s.v. fledonèdea (F 3, 90.18-20); Sorano, Gynaecia III 17; Crateuas, fr. 8.
2. Contributi all'agricoltura, p. 423 a) Testimonianze generali 189.1-4: Varrone, De re rustica I 1, 7-8; Columella, De re rustica I, pref. 32; idem, I 1, 7; Isidoro, Etymologiae XVII 1, 1.
b) Testimonianze (di attendibilità incerta) su contributi specifici 189.5-6.1: Columella XI 3, 2; idem, III 12, 5; Plinio, Nat. hist. XVII (2) 23.
c) Testimonianze (non attendibili) su contributi specifici (scelta) 189.7-15: Columella IX 14, 6; idem, XI 3, 64; idem, VI 28; Aristotele, De generatione animalium IV 1, 765a3-11, 765a21-25; Columella XI 3, 61; Plinio, Nat. hist. XVIII (45) 159; Columella VIII 8, 7; Plinio XIV (4) 20; idem, XVII (11) 62; idem, XV (40) 138; idem, XVIII (8) 47.
3. Sulla prospettiva (da Actinographia?), p. 428 190.1-1.3: Vitruvio VII, prooem. 11; idem I 2, 2; Anonimo incluso in Heronis Alexandrini Geometricorum et Stereometricorum reliquiae, ed. Hultsch, p. 252, n. 14; Lucrezio, IV, vv. 426-431.
24
4. Pretesi contributi ad altre arti, p. 429 190.2: Seneca, Epistula 90, 31-33.
D. Etimologie e delucidazioni di parole, p. 429 191.1.1-5: Scolio ad Iliadem VIII, v. 39; Etymologicon Orionis Thebanis, s.v. Tritogšneia; Schol. Genev. I 111; Eustazio, Comm. ad Iliadem VIII, v. 39; Tzetzes, Exeg. in Iliad. A 194, 45.3-4 su Tritogšneia. 191.2-16: Etym. Gudianum, addimenta, s.v. gun»; Etym. Gen., s.v. de…kelon; idem, s.v. ¢lap£xai; Anecdota graeca. Lexicon VI 374.14-17; Eustazio, Comm. ad Odisseam IV, v. 176; Etymologicon Magnum, s.v. ¢lap£zein; Scolio AB ad Iliadem XIII (N), v. 137 (Ñloo…trocoj); Erodiano, De affectibus, fr. 294; Eustazio, Comm. ad Iliadem XIII (N), v. 137; Esichio, Lexicon, s.v. ¢mfid»tioi; idem, s.v. ¢p£thton; idem, s.v. ¢skalhnšj; idem, s.v. brocmèdhj; idem, s.v. brÒcoj; idem, s.v. dexamena…; idem, s.v. duoco‹; idem, s.v. suggon»; Apollonio Cizico, In Hippocratis de articulis commentarius 6.37-42; Fozio, Lexicon A, s.v. ¢nab»somai; Damascio, In Phaedonem 108C5 sgg.
E. Delucidazioni altrui di parole usate da Democrito, p. 432 192.1-6: Esichio, Lexicon, s.v. ¢meiyikosm…h; idem, s.v. ¢meiyirusme‹n; idem, s.v. ¢meiy…cron; idem, s.v. ™pirÚsmion; idem, s.v. eÙestè; idem, s.v. „dša.
F. Citazioni o riferimenti fuori contesto, p. 433 191.1-3: Erodiano, De affectibus (perˆ paqîn), fr. 240, in Et. gen., s.v. nšnwtai; Clemente, Protrept. 10, 92.4; Plutarco, De tuenda sanitate praecepta 14, 129A; Arato, Phaenomena, vv. 1122-1123; Teofrasto (?), De signis 49; Epicuro, Peri physeos libro XIV, PHerc. 1148, col. xxx.
G. Appendice, p. 434 7.3. Ibn al-Matran, Giardino dei medici e prato dei sapienti. 110.9. Diogene di Enoanda, fr. 9, col. VI 3-14. 112.7. Autore incerto, Hermippus o De astrologia I 16, 122.
INDICE, p. 437
25
INDICE DEI PASSI Achille, Isagoga I 13 (40.25-29) Isagoga I 24 (55.24-27)
82.3 85.5
Aelianus, cfr. Eliano Agatemero, Geographiae informatio I 1, 2
187.2
Agostino, Ad Dioscorum epistula (ep. CXVIII, 27-28)
112.5
Alessandro, In Topica I 1, 21.21 Alessandro, In Metaph. I 4, 35.24-36.3 In Metaph. I 4, 36.21-27 In Metaph. I 5, 45.5-8 In Metaph. IV 4, 271.38-272.4 In Metaph. IV 5, 303.23-304.5 In Metaph. IV 5, 305.26-34 In Metaph. IV 5, 307.30-308.1 In Metaph. V 3, 355.9-15 In Metaph. V 4, 359.6-10 [Alessandro], In Metaph. VII 13, 526.13-16 In Metaph. VII 15, 534.7-11 In Metaph. XIII 8, 775.28-31 Alessandro, In De sensu 1, 15.5-7 In De sensu 2, 24.12-22 In De sensu 2, 26.10-15 In De sensu 3, 56.8-16 In De sensu 3, 57.11-12, 21-26 In De sensu 3, 58.1-7 In De sensu 4, 82.23-83.12 Alessandro, In Meteor. I 6, 26.11-17 In Meteor. I 8, 37.23-28 In Meteor. II 3, 78.12-16 Alessandro, De anima 27.4-8 Alessandro, De fato 2, 165.19-23 Alessandro, De mixtione 1, 213.15-214.6 De mixtione 2, 214.18-26 De mixtione 2, 214.28-215.8 Alessandro, Quaestiones II 23, 72.9-17 e 72.28-73.11
108.2.1 12.6 64.4 12.7 57.3 13.3 57.1 57.2 6.7 10.5 20.4 78.8 21.4.1 117.2.1 117.2.2 117.2.3 117.3.1 118.1 117.9 120.2 85.7 85.2 88.5 105.2 73.7 9.7 52.3 52.4 89.1
Anassagora, fr. 17 test. 28 test. 66 test. 72 test. 77 test. 78 test. 80 test. 81 test. 87 test. 88 test. 116
18.5 57 (+ n. 418) 73.4 + 73.7 82.4 82.6 86.1 85.1 + 85.3 85.6 + 85.8 83.5.1 83.2 + 83.6 91.1
Anassarco, test. 1 Test. 11
0.8.19 0.8.19.1
1
Anassimandro, test. 15 Test. 17
41.1 79.2 + 78.6
Anecdota Graeca, vol. I. Lexicon VI (374.14 Bekker) Anecdota Graeca, vol. II: Scolio alla Grammatica di Dionisio Trace, vedi Scolia Grammatico bizantino, vedi s.v.
191.4.1
Anecdota medica Graeca, 40 (vedi infra, anonimo, medico)
0.6.14.1 (n. 147)
Anonimo presso Ateneo, Deipnosophistae II 87
88.3
Anonimo presso Erone Alessandrino
190.1.2
Anonymus Londinensis XXXVII, 34-46
0.4.1
Anonimo, medico, De morbis acutis et chroniis, 51
0.6.14.1
Apollodoro di Cizico, test. 3
0.8.20
Apollonio Cizico, In Hippocratis de articulis commentarius 6.37-42
191.14
Apollonio Discolo, De pronominibus, GC II 1, 65.15-18 De pronominibus, GC II 1, 92.20-93.2
130.8 130.9
Apuleio, Apologia 27.1-12
0.5.11
Arato, Phaenomena, vv. 1122-23
193.2.2.1
Archimede, Ad Eratosthenem Methodus (II, 429.21-430.9)
27.2
Aristocle, fr. 3 Mullach, fr. 4 Chiesara
0.8.38
Aristotele, Categoriae 14, 15a13-19 Aristotele, Topica VI 7, 146a22-23 Aristotele, Physica I 2, 184b15-22 Phys. I 3, 187a1-3 Phys. I 4, 187a26-b1 Phys. I 4, 187b7-12 Phys. I 5, 188a19-26 Phys. I 8, 191a23-33 e b31-33 Phys. II 2, 194a15-21 Phys. II 4, 195b36-196a16 Phys. II 4, 196a24-35 Phys. II 4, 196b5-7 Phys. II 8, 198b10-32 Phys. III 4, 202b36-203a5, 203a16-b2 Phys. III 4, 203b3-30 Phys. III 5, 205b31-206a2 Phys. III 8, 208a11-14 Phys. IV 1, 208b25-27 Phys. IV 1, 209a2-4; 2, 209b5-9, 11-17 Phys. IV 1, 209a23-26 (= Zenone, fr. 13 Lee) Phys. IV 4, 211b6-9 e 14-25
19.5 29.2 11.1 23.1 13.1 37.1 12.1 14.4 1.2 71.1 72.1 73.1 74.1 38.1 41.1 36.5 41.2 30.4 31.3 32.1 31.1 2
Phys. IV 6, 213a15-19 e a22-b4 Phys. IV 6, 213b4-22 Phys. IV 7, 213b30-214a3 Phys. IV 7, 214a19-32 Phys. IV 7, 214a32-b6 e b8-10 Phys. IV 8, 214b12-17 Phys. IV 8, 214b28-215a1 e a19-24 Phys. IV 8, 215a1-14 Phys. IV 8, 216a13-23 Phys. IV 9, 216b22-34 e 217a15-21 Phys. IV 9, 217a21-26, a33-b2, b8-11
33.1 34.1 33.5 35.1 34.2 35.2 36.1 36.2 36.3 34.3 34.4
Phys. VI 1, 231a21-b12 e b15-18 Phys. VIII 1, 250b15-23 Phys. VIII 1, 251b14-18 Phys. VIII 1, 252a32-b4 Phys. VIII 2, 252b24-28 Phys. VIII 7, 261a19-23 e 260b7-15 Phys. VIII 9, 265b17-266a1 Aristotele, De caelo I 5, 271b6-11 De caelo I 7, 275b29-276a16 De caelo I 8, 277a33-b8 De caelo I 9, 277b27-278a16 e a18-22 De caelo I 10, 279b12-17 De caelo I 10, 280a23-27 De caelo II 13, 293a15-23 De caelo II 13, 293b33-294a5 e 8-10 De caelo II 13, 294b13-b34, 295a2-4, a6-295b9 De caelo III 1, 299a26-28 De caelo III 2, 300a20-21,27-b1,b5-25,b31-301a11 De caelo III 4, 302b31-303a3, 303a11-20 e 24-29 De caelo III 4, 303a3-10 De caelo III 4, 303a20-24 De caelo III 5, 303b22-304a7 De caelo III 7, 305a33-b5 De caelo III 7, 305b6-19 De caelo III 7, 306a26-b2 De caelo III 8, 306b3-5 e b29-307a7 e a13-22 De caelo IV 1, 308a1-4, 7-24, 29-33 De caelo IV 2, 308a34-b13, b29-309a33, 309b8-310a13 De caelo IV 4, 311a29-b1 De caelo IV 4, 311b13-25 De caelo IV 6, 313a14-b5 Aristotele, De generatione et corruptione I 1, 314a1-12 e a16-314b6 GC I 2, 315a29-b15 GC I 2, 315b15-32 GC I 2, 315b32-316a4 GC I 2, 316a5-14 GC I 2, 316a14-b16 GC I 2, 316b16-317a4 (+ 316b9-14) GC I 2, 317a12-27 GC I 6, 322b6-13 GC I 6, 322b21-26 GC I 7, 323b1-15 GC I 8, 324b35-325b11 GC I 8, 325b12-25
21.1 79.1 43.1 42.2 124.2 19.1 19.2 26.3 65.1 66.1 45.1 79.3 79.5 83.1 83.3 67 66.3, n. 508 64.1 48.4 20.1 26.1 48.6 18.6 48.7 26.2 69.3 68.1 68.2 68.3 68.4 69.1 49.1 50.2 24.1 50.5 24.3 24.4 24.7 51.4 62.1 62.3 62.4 15.1 51.1
3
GC I 8, 325b25-29 GC I 8, 325b29-326a24 GC I 8, 326a24-29 GC I 8, 326a29-b2 GC I 9, 327a14-26 GC I 10, 327b32-328a16 Aristotele, Meteorologica I 6, 342b25-29 e 343b8-9, 25-28 Meteor. I 8, 345a25-31 Meteor. I 14, 352a17-28 Meteor. II 3, 356b4-17, 30-357a3 Meteor. II 3, 358b34-359a5 Meteor. II 7, 365a14-19 e b1-6 Aristotele, De anima I 1, 402b1-5 De anima I 2, 403b24-404a31 De anima I 2, 404b7-18, b27-30 e 405a3-13 De anima I 2, 404b30-405a3 De anima I 2, 405b11-21 De anima I 3, 406b15-25 De anima I 4, 409a10-16 e 5, 409a31-b11 De anima I 5, 409b18-26 De anima I 5, 410b16-24 De anima II 7, 419a15-21 De anima III 2, 426a15-26 De anima III 3, 427a17-b5 Aristotele, De sensu 2, 438a5-17 De sensu 3, 440a15-20 De sensu 4, 442a29-b23 De sensu 6, 446b17-26 Aristotele, De divinatione per somnum 2, 463b31-464a21 Aristotele, De respiratione 1, 470b6-12 e 2, 470b28-30 De respiratione 4, 471b30-472b5 Ps.-Aristotele, De spiritu 3, 482a28-32 Aristotele, Historia animalium VII (VIII) 2, 590a22-27 Historia animalium VIII (IX) 39, 623a30-33 Aristotele, De partibus animalium I 1, 640b4-17 De partibus animalium I 1, 640b28-35 De partibus animalium I 1, 641b16-23 De partibus animalium I 1, 642a14-30 De partibus animalium III 4, 665a28-33 Aristotele, De generatione animalium I 17, 721b6-722a1 De generatione animalium I 20, 727b33-36 De generatione animalium II 4, 740a13-17 De generatione animalium II 4, 740a33-b2 De generatione animalium II 6, 742b17-29 De generatione animalium II 7, 746a19-21, 27-28a De generatione animalium II 8, 747a23-34 De generatione animalium IV 1, 763b27-31, 764a1-2, a6-11, a20-23, 764b10-29 De generatione animalium IV 1, 765a3-11, 765a21-25 De generatione animalium IV 3, 769a6-21 De generatione animalium IV 3, 769a26-b3 De generatione animalium IV 4, 769b30-770a4 De generatione animalium V 8, 788b9-15 e 17-20; 788b24-29; 789a4-5; 789b2-9 e 12-15 Ps.-Aristotele, De plantis I 1, 815b14-17 Ps.-Aristotele, Problemata X 14, 892a38-b3 4
25.1 51.3 22.5 62.5 51.5 52.1 85.6 85.1 88.4.1 88.4 99.3.2 87.2 100.2 101.1 102.1 6.1 102.4 103.3 103.1 102.5 100.4 118.3 54.1 106.1 117.2 117.3 120.1 54.2 111.2 104.4 104.1 104.1.1 99.3.1 91.5 77.2 2.3 72.2 1.1 91.4 93.1 94.2.2 96.2 96.1 42.1 96.4 97.2 94.1 189.9.1 95.1 95.2 97.1 98.3 91.2 96.7.1
Ps.-Aristotele, De Melisso … 2, 10-11, 975b21-29 De Melisso .... 6, 15-16, 980a3-8 Aristotele, Metaphysica I 4, 985b4-20 Metaph. I 5, 986b27-30 Metaph. I 6, 987b29-33 Metaph. I 7, 988a32-b1 Metaph. IV 5, 1009a6-16 e 1009a22-1010a1 Metaph. VII 13, 1039a3-14 Metaph. VIII 2, 1042b11-15 Metaph. XII 1, 1069a24-30 Metaph. XII 2, 1069b15-24 Metaph. XII 6, 1071b31-34 Metaph. XIII 4, 1078b17-27 Metaph. XIII 8, 1084b23-28 Aristotele, Su Democrito, presso Simplicio, In De caelo I 10, 295.1-20
48.2 16.4 10.1 16.1 1.4 1.6 57 20.3 10.2 1.5 13.2 42.3 1.3 21.4 7.1 (+ 79.4)
Ateneo, Deipnosophistae II 26 [46E-F] Deipnosoph. II 87 (anonimo presso Ateneo) Deipnosoph. IV 65 [168B] Deipnosoph. VIII 50 [354C]
0.4.3 88.3 0.3.23 0.8.13
Autore incerto, Hermippus o De astrologia I 16, 122
112.6 (append.)
Basilio di Cesarea, Omelia I, 2, 2
6.4.1, n. 51
Cassiano Basso, vedi Geoponica Celio Aureliano, Celerum passionum liber II, cap. 37, 205-206 Celerum passionum liber III, cap. 14, 112 Celerum passionum liber III, cap. 15, 120 Celerum passionum liber III, cap. 16, 132 Celio Aureliano, Tardarum passionum liber IV, cap. 1, 4
0.4.2 188.3 188.2 188.4 0.6.14
Celso, De medicina I, proemio, 7-8 De medicina II 6
188.1 109.2
Censorino, De die natali 4, 5 e 4, 9 De die natali 5, 3 De die natali 6, 1 De die natali 6, 5 De die natali 15, 3 De die natali 18, 8
125.2 93.6 96.3 94.5 0.2.7 185.1
Cicerone, De oratore I 10, 41-42 De orat. I 11, 48-49 De orat. II 46, 194 De orat. II 58, 235 Cicerone, Orator 20, 66-67 Cicerone, Academica priora II 5, 14 Ac. pr. II 10, 32 Ac. pr. II 17, 55 / 18, 56 Ac. pr. II 23, 73 Ac. pr. II 37, 118 Ac. pr. II 37, 121 Ac. pr. II 40, 125 Cicerone, Academica posteriora I 2, 5-6
0.7.1.1 0.7.1 115.2 0.3.6 0.7.2 0.5.20 61.3 46.1 61.2 5.3 75.4 46.2 0.8.33 5
Ac. post. I 12, 44 Cicerone, De finibus bonorum et malorum I 6, 17-21 De fin. I 7, 28 De fin. II 1, 3 / 2, 4 De fin. II 31, 102 De fin. V 8, 23 De fin. V 18, 49 / 19, 50 De fin. V 29, 87-88 Tusculanae disputationes I 11, 22 e 18, 42 Tusc. I 34, 82 Tusc. V 36, 104 Tusc. V 39, 113-115 Cicerone, De natura deorum I 9, 21-22 Nat. deor. I 12, 29 Nat. deor. I 24, 66 e 67 Nat. deor. I 25, 69 Nat. deor. I 26, 73 Nat. deor. I 33, 93 Nat. deor. I 37, 105 / 38, 107 Nat. deor. I 43, 120 Nat. deor. II 30, 76 Cicerone, De divinatione I 3, 5 Div. I 37, 80 Div. I 57, 131 Div. II 13, 30 e 32 Div. II 26, 57 Div. II 58, 120 Div. II 64, 132-33 Div. II 67, 137-139 Cicerone, De fato 10, 22-23 De fato 17, 39 De fato 20, 46 Cicerone, Epist. ad fam. XV 16, 1-2
61.4 9.3 9.3.1 60.1.1 0.3.13 133.2 0.3.14 133.3 75.3 108.3 0.5.15 0.4.7 43.3.1 114.1 75.2 76.3 0.8.29 0.8.30 112.4 114.2 112.3 111.1 115.1 111.3 111.4 99.1 110.2 0.7.3 110.3 76.2 70.5 64.7 110.8
Cirillo, Contra Julianum I 15, 521B Contra Julianum II 14, 572A Contra Julianum I 38, 545A
0.2.8 78.6.2 113.1.4
Clemente Alessandrino, Protrepticus 5, 66.1-2 e 5 Protr. 6, 68.5 (= Strom. V xiv, 102, 1 [394.21-25]) Protr. 10, 92.4 Clemente Alessandrino, Paedagogus I ii, 6, 1-2 Paedag. II x, 94, 4 Clemente Aless,, Stromata I iii, 22, 2 [14.22-25] Strom. I xiv, 64, 2 e 3-4 [40.20, 24, 41.1-4] Strom. I xv, 69, 4-6 [43.13-44.4] Strom. II xxi, 130, 4-6 [184.10-18] Strom. II xxiii, 138, 2-4 [189.12-18] Strom. IV xxiii, 149, 4 [314.12-16] Strom. V xiii, 87, 3 [383.24-29] Strom. VI iii, 32, 2 [446.28-447.5] Strom. VI xviii, 168, 1-3 [518.18-24]
5.4 128.2 193.2.1 136.1 93.2.2 164.6.1 0.8.2 0.3.22 132.1 181.3 171.1.1 112.6 0.4.12 115.4
Clodio, Calendarium in Lydi de ostentis, 157.18-158.1
185.6
Codex Vaticanus Graecus 299, f. 304 sgg. (titoli)
0.6.18 6
Columella, De re rustica I, pref. 32 I 1, 7 III 12, 5 VI 28 VII 5, 17 VIII 8, 7 IX 14, 6 XI 3, 2 XI 3, 61 XI 3, 64
189.2 189.3 189.6 189.9 0.8.24 189.11 189.7 189.5 189.10 189.8
Crateuas, fr. 8
188.10
Damascio, In Phaedonem 108C5 sgg. (503.1-4) Damascio, In Platonis Philebum 24.1-4 (p. 15)
191.16 129.2
Damosseno, I sodali (SÚntrofoi), fr. 2, vv. 6-34
0.5.8
David, Prolegomena philosophiae 38.14-19
124.1
Democrate, Sententiae aureae, 1 Democrate 2 (= Stobeo III 1, 27) Democrate 3 Democrate 4 Democrate 5 (= III 37, 25) Democrate 6 Democrate 7 (= III 1, 95) Democrate 8 (= IV 44, 68) Democrate 9 Democrate 10 (= III 12, 13) Democrate 11 Democrate 12 (= IV 44, 69) Democrate 13 (= III 1, 45) Democrate 14 (= III 38, 46) Democrate 15 (= IV 4, 27) Democrate 16 Democrate 17 (= II 4, 12) Democrate 18 (= III 10, 42) Democrate 19 Democrate 19a (= II 15, 33) Democrate 20 Democrate 21 (= II 15, 36) Democrate 22 Democrate 23 (= IV 29, 18) Democrate 23a (= IV 46, 18) Democrate 24 (= IV 31, 71) Democrate 25 (= III 13, 46) Democrate 26 (= III 37, 25) Democrate 27 (= III 9, 29) Democrate 28 (= III 14, 8) Democrate 29 (= III 4, 81) Democrate 30 Democrate 31 Democrate 32 Democrate 33
184.1 134.3 134.1 157.3 162.2 134.2 161.5 176.2 161.2 165.1.1 157.1 143.1 156.3 162.3 156.4 146.7 164.2 164.3 163.4 163.5 138.7 163.1 142.4 134.5 138.10 171.4 161.4 149.4 160.1 163.6 170.2 170.3 161.3 138.9 160.3 7
Democrate 34 Democrate 35 Democrate 36 Democrate 37 Democrate 38 (= III 5, 23) Democrate 39 Democrate 40 (= IV 2, 13) Democrate 41 Democrate 42 (= III 4, 82) Democrate 43 (= IV 31, 121) Democrate 44 Democrate 45 Democrate 46 (= III 29, 67) Democrate 47 Democrate 48 Democrate 49 Democrate 50 Democrate 51 (= II 31, 73) Democrate 52 (= III 36, 24) Democrate 53 Democrate 54 (= III 38, 47) Democrate 55 Democrate 56 Democrate 57 Democrate 58 Democrate 59 Democrate 60 Democrate 61 Democrate 62 Democrate 63 Democrate 64 Democrate 65 Democrate 66 Democrate 67 Democrate 68 Democrate 69 Democrate 70 Democrate 71 Democrate 72 Democrate 73 Democrate 74 Democrate 75 (= IV 34, 58) Democrate 76 Democrate 77 Democrate 78 (= IV 32, 39) Democrate 79 Democrate 80 Democrate 81 Democrate 82 Democrate 83 Democrate 84 Democrate 85 Democrate 86
139.4 144.3 141.3 144.4 175.2 139.3 156.2 164.7 146.4 146.12 167.5 152.5 173.4 163.7 184.2 161.1 159.3 164.5 164.4 167.1 174.3 160.2 182.5 162.1 177.1 177.2 177.3 178.1 177.4 179.3 179.4 179.5 179.8 179.2 144.1 179.7 183.3 134.4 179.1 179.9 176.4 173.5 179.6 180.2 180.3 142.3 148.3 167.4 162.4 167.3 184.3 138.8, n. 1096 138.8
Democrito, Massima di, 4 (Corpus Parisinum Profanum 165)
147.4
8
Democrito, Massima di, 7 (CPP 168) Democrito, Massima di, 8 (CPP 169) Democrito, Massima di, 9 (CPP 170) Democrito, Massima di, 12 (CPP 173) Democrito, Massima di, 18 (CPP 179) Democrito, Massima di, 21 (CPP 182) Democrito, Massima di, 26 (CPP 187) Democrito, Massima di, 28 (CPP 189) Democrito, Massima di, 29 (CPP 190) Democrito, Massima di, 33 (CPP 194) Democrito, Massima di, 34 (CPP 195) Sentenza democritea in CPP, 710 Sentenza democritea in Massimo 32.15 e Antonio Melissa II 45
179.11 179.13 179.12 162.5 173.7 146.13 179.14 174.2 162.6 162.7 173.8 174.4 153.1.2-3
[Democrito] Physica et mystica Libro V di Democrito dedicato a Leucippo
0.6.13 0.6.13.1
Diodoro Siculo, Bibliotheca historica I 6, 3; 7, 1-7 Diodoro I 8,1-9 Diodoro I 39, 1-4 Diodoro I 96, 1-3 Diodoro I 98, 1-3 Diodoro II 38, 2 Diodoro XIV 11, 5
125.1 126.1 88.2 0.3.20 0.3.21 126.1.1 0.2.6
Diogene di Apollonia, test. 5
0.8.9
Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, I 1 (prooemium) Diog. Laerz., I 15 (prooem.) Diog. Laerz., I 16 (prooem.) Diog. Laerz. I 22 e 23 (1: Talete) Diog. Laerz. II 14 (3: Anassagora) Diog. Laerz. III (Platone) 25 Diog. Laerz. IV 58 (7: Bione) Diog. Laerz. V 26 e 27 (1: Aristotele) Diog. Laerz. V 49 e 43 (2: Teofrasto) Diog. Laerz. V 87 e 88 (6: Eraclide) Diog. Laerz. VII 134 (1: Zenone) Diog. Laerz. VII 174 (5: Cleante) Diog. Laerz. VII 178 (6: Sfero) Diog. Laerz. IX 24 (4: Melisso) Diog. Laerz. IX 30 (6: Leucippo) Diog. Laerz. IX 30 Diog. Laerz. IX 31 Diog. Laerz. IX 31-33 Diog. Laerz. IX 34-43 (7: Democrito) Diog. Laerz. IX 44-45 Diog. Laerz. IX 45-49 Diog. Laerz. IX 50 (8: Protagora) Diog. Laerz. IX 53 Diog. Laerz. IX 58 (10: Anassarco) Diog. Laerz. IX 67 (11: Pirrone) Diog. Laerz. IX 72 Diog. Laerz. IX 106 Diog. Laerz. (Epicuro) X 2 Diog. Laerz. X 4 e 8
0.8.6 (n. 166) 0.8.1 0.6.1.1 186.6 0.8.8 0.2.1 (n. 26) 0.8.22 0.9.1 0.9.2 0.9.3 0.9.6.2 0.9.6 0.9.7 0.8.17 0.1.1 4.2 4.3 80.1 0.2.1 4.1 0.6.1 0.8.10 0.8.12 0.8.19 0.8.36 61.1 58.6 0.8.26 0.8.32
9
Diog. Laerz. X 13 Diog. Laerz. X 24 [Metrodoro Epicureo]
0.1.2 0.9.5
Diogene di Enoanda, fr. 2 [1 Ch.], coll. I, II 1-4 Diogene En., fr. 6 [5 Ch.], coll. II 9-14, III 1 Diogene En., fr. 7 [6 Ch.], col. II 2-14, III 1-2 Diogene En., fr. 9, col. VI 3-14 [NF 6, I II] Diogene En., fr. 10, coll. III 14 IV V [NF 1, I 14 II III] Diogene En., fr. 12 [10 Ch.], coll. II 4-11 Diogene En., fr. 43, coll. I 12-14 II [NF 13, 12] Diogene En., fr. 54 [32 Ch.], coll. I 14, II, III Diogene En., fr. 113 [40 Ch.]
135.2.1 5.11 8.4 110.9 (append.) 110.6 126.3 110.7 76.1 152.5.2
Dione di Prusa, Oratio LIV (37) 2 Oratio LIII (36) 1
0.5.14 115.5
Dionisio di Alicarn., De compositione verborum 24, 5
0.7.4
Dionisio di Cesarea presso Eusebio, PE XIV 23-25 idem, PE XIV 27, 4-5
9.4 0.5.5
Ecfanto, test. 2
5.1
Eliano, Varia historia, I 23 [I 9.12-17] Varia hist. IV 20 [I 69.1-21] Varia hist. IV 20 [I 69.21-31] Varia hist. IV 29 [I 72.4-10] Eliano, De natura animalium V 39 [I 126.23-26] Nat. anim. VI 60 [I 166.29-167.9] Nat. anim. IX 64 [I 241.15-26] Nat. anim. XII 16 [I 300.17-301.4] Nat. anim. XII 17 [I 301.5-19] Nat. anim. XII 18 [I 301.20-302.16] Nat. anim. XII 19 [I 302.17-26] Nat. anim. XII 20 [I 302.27-303.13]
0.5.19 0.3.19 0.3.11 0.3.8 99.4 96.8 99.3 96.7 97.3 98.5 98.6 98.7
Elias, In Categorias Prooemium, 112.26-28 Ps.-Elias, … in Porphyrii Isagogam 14.18-19
0.8.19.2 124.1.1
Empedocle, fr. 8 DK [21 Inwood] fr. 9 DK [22 Inwood] fr. 11 DK [23 Inwood] fr. 12 DK [12 Inwood] fr. 61 (contesto e citazione di brano del fr.) fr. 106 DK [93 Inwood] fr. 108 DK [94 Inwood] fr. 109a (parafrasi, non fr.) test. 70 test. 82 test. 89
18.1 18.2 18.3 18.4 74.1 57 + 106.1 57 + 106.1 117.7 91.2 97.2 89.1 + 89.1.2
Enomao di Gadara, presso Eusebio, PE VI 7, 2 e 18 -- presso Teodoreto GAC VI 8 e 9
73.6 73.6.1
Epicuro, Epistula ad Herodotum, 39.7-40.3 Ep. ad Hdt. 42.6-43.3
28.2 40.2 10
Ep. ad Hdt. 45.3-8 Ep. ad Hdt. 49.1-6 Ep. ad Hdt. 53.2-8 Ep. ad Hdt. 55.9-56.4 Ep. ad Hdt. 58.1-59.8 Ep. ad Hdt. 60.1-2 Ep. ad Hdt. 67.1-8 Epicuro, Epistula ad Pythoclem, 88.4-8, 89.1-2 Ep. ad Pyth. 89.3-90.5 Ep. ad Pyth. 90.6-10 Ep. ad Pyth. 101.1-4, 6-7, 10-11 Epicuro, Epistula ad Menoeceum, 133.7-134.9 Epicuro, Ratae Sententiae XVI Epicuro, Gnomologium Vaticanum 25 Epicuro, 214 Us. Epicuro, 221 Us. Epicuro, 311 Us. (scholium ad Ep. ad Hdt. 66) Epicuro, 445 Us. Epicuro, 471 Us. Epicuro, 476 Us. Epicuro, 522 Us. Epicuro, Perˆ fÚsewj, libro incerto, PHerc 1056, fr. 7, col. xi Perˆ fÚsewj, libro XIV, PHerc 1148, col. xxx Epicuro, Lettera ai filosofi di Mitilene, PHerc 1005, fr. 24 Lettera a ..., PHerc 1005, fr. 21
44.3 117.1.1 90.3.1 40.3 22.1.1 36.7 29.6 78.2 81.2 80.4 87.6.1 76.1.1 147.1.1 146.3.2 177.3.1 136.1.2 93.3, n. 715 135.6 146.3.1 143.4.1 161.2.1 74.3 193.3 0.8.34 0.8.35
Epifanio, Adversus haereses III 2, 9 Adv. haeres. III 2, 9 (contin. del prec.)
8.5 132.3
Eraclito, fr. 40 DK Eraclito, fr. 85
170.2, n. 1217 138.2, n. 1092
Ermia, Irrisio Gentilium Philosophorum 12 Irrisio 13
5.6 5.7
Erodiano, Prosodia Catholica, GG III 1, 355.10-11 Prosodia Catholica, GG III 1, 445.9-11 [= Eustazio, In Homeri Odisseam XIV, v. 428] Erodiano, Epimerismi Homerici, 396.11 Epitome degli Epimerismi Homerici presso Etym. Magnum 500.9 Erodiano, De affectibus, fr. 240 Erodiano, De affectibus, fr. 294
130.10 175.3 130.6.1 130.6 193.1 191.5.1
Erotiano, Vocum Hippocraticorum collectio, s.v. fledonèdea (F 3, 90.18-20)
188.8
Esichio, Lexicon, s.v. ¢meiyikosm…h ( 3562) s.v. ¢meiyirusme‹n ( 3563) s.v. ¢meiy…cron ( 3564) s.v. ¢mfid»tioi ( 3988) s.v. ¢p£thton (Α 5840) s.v. ¢skalhnšj (Α 7691) s.v. brocmèdhj (Β 1215) s.v. brÒcoj (Β 1218) s.v. dexamena… (Δ 631) s.v. duoco‹ (Δ 2498)
192.1 192.2 192.3 191.6 191.7 191.8 191.9 191.10 191.11 191.12 11
s.v. ™pirÚsmion ( 5141) s.v. eÙestè ( 6809) s.v. „dša ( 71) s.v. suggon» (Σ 2156)
192.4 192.5 192.6 191.13
Esichio, Vita Aristotelis
0.9.1.1
[Esichio Milesio] De viris illustribus librum, cap. 23 De viris illustribus librum, cap. 43
0.2.1, n. 5 (+ 4.1, n. 3) 4.2, n. 10
(Etymologica) Etymologicum genuinum, s.v. ¢lap£xai Etym. gen., s.v. de…kelon Etymologicum Gudianum, additamenta, s.v. gun» Etymologicum Magnum, s.v. ¢lap£zein Etymologicum Magnum, s.v. glaÚx Orionis Thebanis Etymologicon, s.v. Tritogšneia
191.4 191.3 191.2 191.4.3 99.5 191.1.2
Eudemo, fr. 53 Eudemo, fr. 54a Eudemo, fr. 54b Eudemo, fr. 62 Eudemo, fr. 75
72.3 (+ n. 558) 71.3 (+ n. 553) 71.4 (+ n. 553) 38.3 30.6
Eudosso, Ars astronomica, vedi Leptines Euripide, Oreste, v. 258 Euripide, Melanippe, fr. 488 N. Euripide, fr. 777 N. Euripide, fr. 1047 N.
152.2 (+ n. 1152) 125.1 138.12, n. 1098 138.12, n. 1098
Eusebio, Chronica, 100, 106, 110 Eusebio, Demonstratio evangelica III 6, 22 Eusebio, Praeparatio evangelica I 8, 7 [30.15-24] Praep. ev. VI 7, 2 e 18 (Enomao) [313.1-5, 316.2-8] Praep. ev. X 4, 23-24 [572.1-9] Praep. ev. X 9, 24 [590.8-10] Praep. ev. X 14, 15-16 [612.15-17, 612.21-23] Praep. ev. XIV 3, 7 [II 262.16-22] Praep. ev. XIV 6, 4 [II 273.16-18] Praep. ev. XIV 14, 5 [II 295.9-23] Praep. ev. XIV 16, 6 (3) [II 301.14] Praep. ev. XIV 17, 10 [II 305.12-17] Praep. ev. XIV 18, 27 [II 312.4-9] Praep. ev. XIV 19, 8-9 [II 315.11-19] (= Metrodoro, fr. 1) Praep. ev. XIV 23, 1-4 [II 324.10.325.8]; 24,1 e 4-5 [325.12-13 e 326.4-14]; 25.1-4 [326.19-327.7, 327.10-11 e 15-16] Praep. ev. XIV 27, 4-5 [II 335.7-20] Praep. ev. XIV 27, 5 [= precedente]
0.2.9 0.3.16.1 4.6 73.6 0.3.22.1 0.2.10 0.8.3.1 5.5 0.8.39 9.1.1 113.1.2 0.8.3 0.8.38 61.2.1
Eustazio, In Homeri Iliadem III (), v. 1 [I, 584.3-4] In Homeri Iliadem VII (), v. 446 [II, 496.15-17] In Homeri Iliadem VIII (), v. 39 [II, 521.19-21] In Homeri Iliadem XI (), v. 554 [III, 252.4-8] In Homeri Iliadem XIII (N), v. 137 [III, 452.21-24]
130.4 187.3 191.1.4 99.4.2 191.5.2 12
9.4 0.5.5 147.1 (rifer.)
In Homeri Iliadem XXIII (), v. 72 [IV, 683.15, 18-20] In Homeri Iliadem XXIII (), v. 698 [IV, 813.13-814.1] Eustazio, In Homeri Odisseam II (b), v. 190, p. 1441 In Homeri Odisseam IV (d), v. 176, p. 1490 In Homeri Odisseam IV (d), vv. 795 sgg., p. 1518 In Homeri Odisseam XII (m), v. 62, p. 1713 In Homeri Odisseam XIV (o), v. 428, p. 1766 In Homeri Odisseam XV (p), v. 376, p. 1784 Eustazio, Commento a Dionigi di Alessandria periegeta, 208.14-17
110.1.4 106.2.1 130.7 191.4.2 110.1.3 82.5 175.3 130.2 187.1.1
Excerpta astronomica codicis Vaticani (Aratea, p. 143)
83.5.1
Filodemo, De libertate dicendi, PHerc 1471, fr. 20 De musica IV 23 (PHerc 1497, col. xxxvi.29-39) De pietate, PHerc 1428, fr. 16.2-11 Filodemo, De adulatione, PHerc 1457, col. x.4-12 Filodemo, De ira, PHerc 182, col. xxix.12-29 Filodemo, De morte, PHerc 1050, col. xxix. 27-32 De morte, PHerc 1050, col. xxx 1-11 De morte, PHerc 1050, col. xxxix 9-15 Filod. Adversus , PHerc 1005, fr. 24 [104 Arr.] Adversus , PHerc 1005, fr. 21 [113 Arr.]
0.9.4 127.2 128.3 153.2.1 166.2 151.7 151.7, n. 1148 151.8 0.8.34 0.8.35
Filone, De providentia II 13, 52 Filone, De vita contemplativa (2) 14.1-3 [VI 49, 12-14] Filone, De aeternitate mundi (3) 8 [VI 75.5-14]
0.3.18 0.3.16 79.7
Filopono, In Phys. I 2, 24.23-25, 25.5-10 In Phys. I 2, 25.14-26.11 In Phys. I 3, 80.23-29 In Phys. I 3, 81.17-29, 83.19-22 e 28-31 In Phys. I 4, 95.10-15 In Phys. I 5, 110.8-13 In Phys. I 5, 116.21-117.13 In Phys. II 2, 228.24-229.2 In Phys. II 4, 261.31-262.20 In Phys. II 4, 264.27-265.1 e 265.5-9 In Phys. II 4, 266.8-12 In Phys. III 4, 396.3-12 In Phys. III 4, 396.15-21 In Phys. III 4, 398.11-16 In Phys. III 4, 405.23-27 In Phys. III 8, 494.19-23 In Phys. IV 1, 498.8-15 In Phys. IV 6, 608.7-10 In Phys. IV 6, 613.19-27 In Phys. IV 8, 630.8-18 In Phys. IV 8, 644.25-26 Filopono, In De gen. et corr. I 1, 11.23-24, 12.2-10 In De gen. et corr. I 1, 12.27-13.15 In De gen. et corr. I 1, 17.14-18.3 In De gen. et corr. I 2, 23.2-16 In De gen. et corr. I 2, 23.21-30 In De gen. et corr. I 2, 24.21-25.6 In De gen. et corr. I 2, 26.8-15 In De gen. et corr. I 2, 27.29-28.15
11.4 11.5 16.3 23.2 49.3 12.2 12.3 1.2.2 72.5 72.6 73.3 38.2 39.1 39.2 44.1 41.3 30.3 33.2 33.4 35.3 36.1.1 40.1 49.2 50.1 50.3 50.4 24.2 50.6 24.5 13
In De gen. et corr. I 2, 32.6-10 In De gen. et corr. I 2, 33.24-34.9 In De gen. et corr. I 2, 34.11-35.12 In De gen. et corr. I 2, 37.31-38.9 In De gen. et corr. I 2, 38.22-39.10 In De gen. et corr. I 6, 126.21-127.11 In De gen. et corr. I 8, 153.20-25 e 154.2-20 In De gen. et corr. I 8, 154.21-155.2 e 155.4-22 In De gen. et corr. I 8, 156.20-157.1 In De gen. et corr. I 8, 158.12-25 In De gen. et corr. I 8, 158.26-159.3 In De gen. et corr. I 8, 159.16-26 In De gen. et corr. I 8, 160.3-11 In De gen. et corr. I 8, 160.14-31 In De gen. et corr. I 8, 162.12-27 In De gen. et corr. I 10, 192.29-193.9 e 193.20-25 Filopono, In De anima I, prooemium, 9.3-6, 7-8 e 16-19 In De anima I 1, 35.10-14 In De anima I 1, 36.13-19 In De anima I 2, 67.3-28 In De anima I 2, 67.30-33 In De anima I 2, 68.1-3, 10-18 In De anima I 2, 68.19-69.20 In De anima I 2, 71.17-34 In De anima I 2, 82.17-24 In De anima I 2, 83.15-28 In De anima I 2, 84.9-25 In De anima I 4, 167.20-30 e 168.10-14 In De anima I 5, 185.14-23 In De anima II 8, 371.10-33 In De anima III 2, 471.29-472.3
24.6 24.8 24.9 24.10 24.11 62.2 62.6 15.2 15.3 15.4 21.5 21.6 21.7 51.2 25.2 52.2 100.1 105.1 100.3 101.2 48.5 101.3 104.2 105.3 6.1.1 102.2 102.3 103.2 100.5 22.4 54.1.1
Filopono (Michele Efes.), In De gen. anim. V 8, 247.11-12 e 19-22
98.4
Filostrato, Vita Apollonii I 2, 3 [2.26-28] Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 8 [313.17-21] Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 14 [321.23-25] Filostrato, Vitae sophistarum I 10 [II, 13.1-4]
0.4.16 0.4.15 0.3.9 0.8.11
Fozio, Lexicon, s.v. ¥lfa (cfr. Suda, ibid.) Fozio, Lexicon, s.v. ¢nab»somai Fozio, Lexicon, s.v. mî
130.11 191.15 130.4.1
Galeno, De differentia pulsuum I 25 Galeno, Ad Pisonem de theriaca liber, 11 Galeno, Quod animi mores corporis temperamenta sequantur, 5 Galeno, De naturalibus facultatibus I 12 De naturalibus facultatibus I 14 De naturalibus facultatibus II 6 Galeno, De usu partium III 10 In Hippocratis Epidemiarum libros comment. XVII-1, 521, 522-23 In Hippocratis Epidemiarum ... XVII-2, 28 Galeno, De elementis ex Hippocrate I 2 Galeno, De medica experientia IX 5 De medica experientia XV 7-8
99.6 8.3.2
14
8.3.1 8.3.4 89.2 8.3.3 124.3 93.2.5 93.2.4 8.3 60.2 60.3
Galeno (?), In Hippocratis De alimento (PFlor 115, B 7-13)
96.5.2
Ps.-Galeno, Definitiones medicae 439 Ps.-Galeno, An animal sit quod est in utero XIX 176.9-18 Ps.-Galeno, Historia philosopha 3 [601.5-14] Ps.-Galeno, Hist. philos. 7 [603.21, 604.16-21] Ps.-Galeno, Hist. philos. 18 [610.16-611.3] Ps.-Galeno, Hist. philos. 24 [613.3 e 14-16] Ps.-Galeno, Hist. philos. 29 [616.9-12] Ps.-Galeno, Hist. philos. 30 [616.15-18] Ps.-Galeno, Hist. philos. 35 [617.22, 618.11-12] Ps.-Galeno, Hist. philos. 39 [619.20 e 22-26] Ps.-Galeno, Hist. philos. 40 [620.3 e 6-7] Ps.-Galeno, Hist. philos. 41 [620.9 e 11-12] Ps.-Galeno, Hist. philos. 43 [620.23 e 25-27] Ps.-Galeno, Hist. philos. 44 [621.1-5] Ps.-Galeno, Hist. philos. 46 [621.12-15] Ps.-Galeno, Hist. philos. 57 [624.25-625.2] Ps.-Galeno, Hist. philos. 58 [625.8-10] Ps.-Galeno, Hist. philos. 74 [629.4 e 14-16] Ps.-Galeno, Hist. philos. 75 [629.20 e 630.2-3] Ps.-Galeno, Hist. philos. 82 [632.25 e 633.2] Ps.-Galeno, Hist. philos. 86 [633.19-20] Ps.-Galeno, Hist. philos. 89 [634.19 e 25-28] Ps.-Galeno, Hist. philos. 90 [635.4 e 12] Ps.-Galeno, Hist. philos. 94 [636.19-22] Ps.-Galeno, Hist. philos. 95 [636.27-637.2] Ps.-Galeno, Hist. philos. 106 [640.1-2 e 4-8] Ps.-Galeno, Hist. philos. 107 [640.9 e 13-15] Ps.-Galeno, Hist. philos. 108 [640.16-20] Ps.-Galeno, Hist. philos. 109 [640.21-24] Ps.-Galeno, Hist. philos. 120 [643.26-644.1] Ps.-Galeno, Hist. philos. 123 [645.1-2 e 6-7]
93.5 93.2.3 0.8.4 0.8.4.1 6.4 103.7.3 52.5.2 33.6.2 113.1.3 49.4.2 70.2.2 77.1.1 73.4.1 78.6.3 81.1.2 84.1.1 86.1.1 85.3.2 85.8.2 83.4.1 87.4.1 88.1.1 106.4.2 117.4.2 117.6.2 110.1.1 93.3.1 93.4.1 94.2.1 96.5.1 92.1
Gellio, Noctes atticae IV 13 Noct. att. V 3, 1 e 4-6 Noct. att. V 15, 1 e 6-8 Noct. att. X 12, 1 e 6-8 Noct. att. X, 17, 1-4 Noct. att. XVII 21, 16 e 18 Noct. att. XIX 2, 8
188.6 0.8.15 90.4 0.6.7 0.4.8 0.2.5 93.2.9
Gemino, Isagoge: Calendarium, p. 210.8-11, 218.14-17, 220.5-6, 222.9-11, 224.22-23, 226.4-5, 226.15-16, 226.23-24, 228.23-24, 232.16, 232.21-22
186.1
Geoponica II 6
0.6.17
Giamblico, Vita Pythagorica 23, 104
0.1.3
Giovenale, Satura X, 28-30, 33-34 e 47-53
0.3.7
Giuliano, Epistula XVI, 413A-C
0.5.18
Gnomologium Byzantinum 24
135.3.1
15
Grammatico bizantino in Anecdota Graeca II, 1168.1-3 Bekker
90.5.1
Hermias, cfr. Ermia Hermippus o De astrologia (autore incerto) I 16, 122
112.7 (append.)
Herodianus grammaticus, cfr. Erodiano Hippolitus, cfr. Ippolito Ibn al-Matran, Giardino ... e prato dei sapienti
7.3 (appendice)
Imerio, Oratio 3, 18
0.4.10
Ps.-Ippocrate, Epistula X (IX, 320-22) Epistula XVII (IX, 354, 356) Epistula XVIII (IX, 380, 382) Epistula XVIII (IX, 384) Epistula XX (IX, 386) Epistula XXIII (IX, 393-395) Epistula XXIII (IX, 394)
0.3.10 0.3.12 0.5.4 0.6.15 0.5.2 136.1.1 119.2.1
Ippolito, Refutatio omnium haeresium I, Philosophumenon prooemium Refut. I 12, 1-2 Refut. I 13, 1, 2 e 4 Refut. I 13, 2-4 [passo intermedio, vedi precedente] Refut. VIII 14, 3-4 Refut. X 7, 5-6
0.8.5 4.4 0.2.3 4.5 93.2.7 6.5.1
Isidoro di Siviglia, Etymologiae XIII 2, 1-4 Etym. XVII 1, 1
5.12 189.4
Lattanzio, Divinae institutiones I 2, 1-2 Div. instit. III 17, 21-25 Div. instit. III 17, 33-34 Div. instit. III 18, 5-6 Div. instit. III 23, 4 Div. instit. III 28, 13-14 Div. instit. VII 1, 10 Div. instit. VII 7, 9 Div. instit. VII 7, 12 Div. instit. VII 13, 7 Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 34, 3 Epit. 34, 8-9 Epit. 35, 3-4 Lattanzio, De ira dei X 1, 3-5, 9-10, 32-33
75.1 9.6 103.7 0.4.6.1 0.3.24.1 61.6 79.8 125.3 103.7.1 103.7.2 0.3.24 0.4.6 61.5 9.5
Leptines, Ars Eudoxi, coll. 22 e 23
185.2
Lidio Giovanni Lorenzo, De mensibus iv 16, 18 (1) e (4), 51, 124, 135, 139, 152
186.3
Luciano, Alexander 17 e 50 Luciano, Vitarum auctio 13 Luciano, Philopseudes 32 Ps.-Luciano, Macrobii 18
0.5.10 0.3.4 0.5.9 0.4.4 16
Lucrezio, De rerum natura I, vv. 433-448 Lucrezio I, vv. 524-539 Lucrezio I, vv. 794-802, 814-29, 907-914 Lucrezio I, vv. 1070-71 Lucrezio II, vv. 1-4 Lucrezio II, vv. 83-85 Lucrezio II, vv. 95-124 Lucrezio II, vv. 478-499 Lucrezio II, vv. 1052-1076 Lucrezio II, vv. 1077-1089 Lucrezio III, vv. 136-42 Lucrezio III, vv. 370-73 Lucrezio III, vv. 1039-41 Lucrezio IV, vv. 116-120 Lucrezio IV, vv. 225-29, 237-243 Lucrezio IV, vv. 244-255 Lucrezio IV, vv. 426-31 Lucrezio IV, vv. 526-29 Lucrezio IV, vv. 802-804 Lucrezio IV, vv. 916-928 Lucrezio IV, v. 1042 Lucrezio IV, vv. 1209-1222, 1227-32 Lucrezio V, vv. 416-31 Lucrezio V, vv. 621-36 Lucrezio V, vv. 805-814, 821-825 Lucrezio V, vv. 1161-93 Lucrezio V, vv. 931-32, 937-38, 953-959, 982-983, 988-991, 1007-1008, 1019-1032, 1101-1107, 1448-55 Lucrezio VI, vv. 160-65 e 211-13 Lucrezio VI, vv. 729-34 Lucrezio VI, vv. 998-1016
29.7 22.3 48.3 36.8 137.1.1 64.8 7.2 40.4 44.4 45.2 105.7.1 103.5 0.4.5 91.4, n. 699 117.5.1 118.2 190.1.3 90.6 106.6 107.3 93.3, n. 715 95.3 44.5 86.2 125.2.1 128.4 126.2 87.6.1, n. 665 88.1, n. 669 89.3
Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I 14, 19 [58.28-32, 59.5-7] Commentarii in Somnium Scipionis I 15, 3-4 e 6 [61.13-18 e 25-29] Macrobio, Saturnales VII 14, 3-4
101.9 85.4 117.5
Marc’Aurelio IV 3 (fine) Marc'Aurelio IV 24 Marc’Aurelio VII 31
138.8, n. 1096 152.5.1 8.4, n. 79
Melisso, fr. 1 fr. 7, 7-10 fr. 8 test. 1
14.2 16.5 17 0.8.17
Metrodoro di Chio, test. 3 test. 6 fr. 1
3 44.2 61.2 e 61.2.1
Nemesio, De natura hominis, 2 [16.11-18] De natura hominis, 25 [86.19-22] De natura hominis, 43 [127.1-10]
101.7 94.6 75.5
Nicolaus Damascenus, De plantis, p. 518, 17
cfr. Ps.-Aristotele, De plantis I 1 Oenomaus, cfr. Enomao Orazio, Epist. I xii, vv. 12-13 Orazio, Epist. II i, v. 194 Orazio, De arte poetica, vv. 295-298
0.3.15 0.3.5 115.3
Oribasio, Collectiones medicae XLIV 14, 1 Collectiones medicae XLV 28, 1
188.5 0.6.14.2
Origene, Contra Celsum VII 66
112.1.3
Papyrus herculanensis 1788, coll.alt. VIII Papyrus holmiensis 2 Papyrus genevensis, inv. 203, B 27-29 Papyrus oxyrhynchus 1609 (vol. XIII, p. 95) Papyrus vindobonensis G 29329 + 26008b, fr. 3
0.6.2 0.6.13.2 101.8 117.7 0.9.6.1
Parmenide, fr. 8, vv. 5-16 fr. 8, vv. 22-25 fr. 16 test. 24 test. 32 test. 44 test. 45 test. 47
14.1 16.2 57 16.1 70.2.1 83.8 105.5 116.3
Petronio Arbitro, Satyricon, 88, 2-3
0.5.7
Pirrone 1 B Caizzi Pirrone 20 Caizzi
0.8.37 0.8.36
Philodemus, cfr. Filodemo Philoponus, cfr. Filopono Philostratus, cfr. Filostrato Photius, cfr. Fozio Platone, Cratylus, 412B (possibile allusione) Cratylus, 414A3-4 Platone, Respublica III, 403D Platone, Theaetetus, 153D-154A Theaetetus, 155E-157C Theaetetus, 182A-B Platone, Sophista, 246A-B Sophista, 247D-E Sophista 265C7-9 Platone, Philebus, 28D5-9 Platone, Timaeus, 49B-C Timaeus, 52D-53A Timaeus, 73B-C Platone, Leges X, 889B-C
69.1, n. 537 191.2, n. 1317 134.3, n. 1058 54.3 54.4 54.5 28.3 29.1 74.2, n. 577 74.2, n. 577 48.1 80.3 109.3.1 74.2
Plinio, Naturalis historia II (5) 14 [I, 132.10-14] Nat. hist. VII (56) 189 [II, 66.12-16] Nat. hist. XI (28) 80 [II, 308.8-12]
128.5 0.4.3.2 91.5.1 18
Nat. hist. XIV (4) 20 [II, 469.15-18] Nat. hist. XV (40) 138 [II, 552.22-23] Nat. hist. XVII (2) 23 [III, 71.5-7] Nat. hist. XVII (11) 62 [III, 82.12-20] Nat. hist. XVIII (8) 47 [III, 155.4-6] Nat. hist. XVIII (45) 159 [III, 186.11-13] Nat. hist. XVIII (62) 231[III, 207.8-15] Nat. hist. XVIII (68) 273-74 [III, 215.1-10] Nat. hist. XVIII (74) 312 [III, 229.14-17] Nat. hist. XVIII (75) 321, (78) 340-341 [III, 232.4-9; 237.16-23 e 238.1] Nat. hist. XXIV (99) 156, (102) 160 e 166 [IV, 105.16-19; 106.18-19, 107.1; 109.6-13] Nat. hist. XXIV (102) 167 [IV, 109.14-15] Nat. hist. XXV (5) 13 [IV, 120.13-18] Nat. hist. XXVIII (2) 6-7 [IV, 277.19-21; 278.1-7] Hist. nat. XXVIII (16) 58 [IV, 296.1-2] Nat. hist. XXVIII (29) 112, 114, 118 [IV, 313.10-14; 313.22-314.4 ; 315.8-15] Nat. hist. XXX (1) 8-10 [IV, 422.13-17, 423.1-16]
189.12 189.14 189.6.1 189.13 189.15 189.10.1 186.4 0.4.14 186.5 0.4.13 0.6.5 0.8.20 0.6.5.1 0.6.8 93.2.6 0.6.6 0.6.9
Plotino, Enneades IV 5, 3.26-36
117.8
Plutarco, De pueris educandis 14, 9F Plutarco, De profectibus in virtute 10, 80E e 81A-B Plutarco, De tuenda sanitate praecepta 14, 129A De tuenda sanitate praecepta 24, 135D-E Plutarco, De fortuna Romanorum 2, 317A Plutarco, De Iside et Osiride 45, 369A, B, C Plutarco, De defectu oraculorum 17, 419A Plutarco, De virtute morali 7, 447F-448A Plutarco, De tranquillitate animi 2, 465C-D De tranqu. an. 12, 471D De tranqu, an. 13, 472D De tranqu. an. 14, 473B Plutarco, De amore prolis 3, 495E Plutarco, Animine an corporis affectiones sint peiores 1, 500B-C e 2, 500C-E Plutarco, De curiositate 12, 521C-D Plutarco, Quaestiones convivales I 1, 5, 614E Quaest. conv. I 10, 2, 628B-D Quaest. conv. II 10, 643E Quaest. conv. III 6, 2, 653F Quaest. conv. III 6, 4, 655D Quaest. conv. IV 2, 4, 665E-F Quaest. conv. V 7, 6, 682F-683A Quaest. conv VIII 3, 1 (720 D-E), 2 (720 E-721 D), 3 (721D-E e F), 4 (722 B) Quaest. conv. VIII 3, 5, 722D Quaest. conv. VIII 9, 733D Quaest. conv. VIII 10, 2, 734F-735C Plutarco, Reipublicae gerendae praecepta 28, 821A Plutarco, Quaestiones naturales I, 911C-D Plutarco, De primo frigido 8, 948A-B e C Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet 16, 929C Plutarco, De sollertia animalium 20, 974A-B
164.1 142.1 193.2.2 135.2 96.6.1 5.10 112.1.1 0.5.12 152.2 137.3 0.5.3 135.4 96.6
19
135.3 0.4.11 164.6 0.5.6 173.1 93.2.10 150.2 87.7 110.5 90.2 150.3 99.7 110.4 153.2 91.1 47.4 84.2 127.1
Plutarco, De communibus notitiis 30, 1073E De communibus notitiis 39, 1079E Plutarco, Non posse suaviter vivi sec. Epicurum 18, 1100A Non posse suaviter vivi sec. Epic. 19, 1100B-C Plutarco, Adversus Colotem 3, 1108E-F Adv. Col. 4, 1108F-1109C Adv. Col. 5, 1109C-E Adv. Col. 8, 1110E-1111B, 1111C-D; 9, 1111E Adv. Col. 16, 1116D Adv. Col. 29, 1124C Adv. Col. 32, 1126A Plutarco, De latenter vivendo 5, 1129E Plutarco, Fragm. mor. I: De libidine et aegritudine 2 Plutarco, (Vitae) Aemilius Paullus 1.4-5
29.3 27.1 0.8.28 153.1.1 0.8.27 59.1 56.1 8.1 9.2 0.5.17 153.1 150.1 135.1 112.1.2
Ps.-Plutarco, De vita et poese Homeri, 150 Ps.-Plutarco, Stromata 7, presso Eus. PE I 8, 7 Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 3, 9 Placita I 4 Placita I 5, 4 Placita I 6, 4 Placita I 9, 3 Placita I 16, 2 Placita I 17, 1-2 Placita I 18, 1-3 Placita I 23, 3-4 Placita I 24, 2 Placita I 25, 2-3 Placita I 26, 3 Placita I 29, 1-4 Placita II 1, 1 Placita II 1, 2-3 Placita II 3, 1-2 Placita II 7, 2 Placita II 15, 3 Placita II 16, 1 Placita II 20, 5 Placita II 25, 5 Placita III 1, 5-6 Placita III 2, 2 Placita III 10, 4 Placita III 10, 5 Placita III 12, 1 Placita III 12, 2 Placita III 13, 1 e 4 Placita III 15, 1 Placita III 15, 7 Placita IV 1, 4 Placita IV 3, 4 Placita IV 4, 3 Placita IV 4, 4 Placita IV 5, 1-2 e 5 Placita IV 7, 3-4 Placita IV 8, 4 Placita IV 9, 3 Placita IV 10, 3
110.1.2 4.6 9.1 80.2 44.2 113.1.1 10.4 22.7 52.5.1 33.6 64.5 49.4.1 70.2.1 77.1 73.4 78.1 78.6.1 81.1 78.4.1 84.1 86.1 82.4 82.6 85.3 85.8 83.4 83.5 83.9 83.10 83.7 87.4 83.8 88.1 101.6 105.7 108.1 105.8 103.6 106.4.1 116.3.1 106.7 20
Placita IV 13, 1 Placita IV 14, 2 Placita IV 16, 2 Placita IV 19, 2-3 Placita V 2, 1 e 3 Placita V 3, 4-6 Placita V 4, 1-3 Placita V 5, 1 Placita V 7, 6 Placita V 7, 7 Placita V 16, 1 Placita V 19, 1-2 Placita V 20, 1-2 Placita V 25, 3
117.4.1 117.6 119.1.1 90.3 110.1 93.3 93.4 94.2 94.3 94.4 96.5 92.1.1 82.3.1 107.1
Porfirio, Vita Pythagorae 3 [18.17-20] Porfirio, De abstinentia III 6 (7) [195.2-5] Porfirio, De abstinentia IV 21 [267.17-20] Porfirio, In Ptolemaei Harmonica 32.7-16 Porfirio, Quaestiones homericae I 274.9-12
0.8.7 91.3 149.5 119.2 130.3
Protagora, test. 1 Protagora, test. 3 Protagora, fr. 4
0.8.10, 0.8.12 0.8.14 5.5
Proclo, In Rempublicam II 113.6-22 Proclo, In Cratylum 5.25-6.2, 6.10-7.17
109.3 129.1
Psello, De lapidibus 26
89.1.2
Ptolemaeus Claudius, cfr. Tolomeo Scolio ad Apollonio Rodio II, vv. 1098-99 Scholia in Aratum vetera 1091, 509.7-16 Scolio ad Arist. De caelo inizio (469b14-16 e 23-26) Scolio II all’Hexahemeros di Basilio [Dox. Bas., 195.6-10] Scolio III all’Hexahemeros di Basilio [195.11-12, 196.1-7] Scolio XXI all’Hexahemeros di Basilio [200.11-12] Scolio a Dionisio Thrace, GG I 3, 184.13 e 18 Scolio a Dionisio Thrace, GG I 3, 482.13-14 Scolia alla Grammatica di Dionisio Trace, § 7, in Anecdota Graeca II, 770.21-27 Bekker Scolio in Dionigi di Alessandria periegeta (II 428.7-11) Scolio ad Euclide, Elementa X 1 Scholia in Nicandri Theriaca 764a Scholium in Platonis De republica 600 C
90.4.1 187.2.1 22.6 0.8.25 0.8.14
(Scholia Homerica) Schol. Hom. T ad Iliadem XI v. 554 Scolio A ad Omero, Iliade VII, v. 390 Scolio AB ad Omero, Iliade XIII (N), v. 137 Scolio ad Omero, Iliade VIII () v. 39 [II, 307.38-40] Scholia Genevensia I 111
99.4.1 130.1 191.5 191.1.1 191.1.3
Seneca, De ira II 10, 5 De ira III 6, 3 e 5-6; 7, 2
0.3.1 152.4 21
185.5 85.9 25.3 6.4.1 6.6 0.6.16 130.5 90.5
De providentia 6, 2 De tranquillitate animi 1, 18; 2, 2-4 De tranquillitate animi 13, 1 De tranquillitate animi 15, 2 Epistula 7, 10 Epistula 79, 13 Epistula 90, 31-33 Naturales quaestiones IVb 9 Nat. quaest. V 2 Nat. quaest. VI 20, 1-4 Nat. quaest. VII 3, 1-2 e 12, 1 e 6
0.3.17 133.1 152.3 0.3.2 153.3 0.3.11.1 190.2 90.1 87.1 87.3 85.11
Senocrate, fr. 49 Heinze
25.3
Sesto Empirico, Adversus mathematicos VI 52-53 Adv. math. VII 53 Adv. math. VII 116-18 Adv. math. VII 135-40 Adv. math. VII 263 e 265-69 Adv. math. VII 321 Adv. math. VII 349 Adv. math. VII 369 Adv. math. VII 388 e 389-90 Adv. math. VII 399 Adv. math. VIII 6-8 e 9 Adv. math. VIII 56, 60-62 Adv. math. VIII 183-85 Adv. math. VIII 213 Adv. math. VIII 316-317, 319, 324-25, 327 Adv. math. VIII 354-55 Adv. math. IX 19 Adv. math. IX 24-26 Adv. math. IX 42-43 Adv. math. IX 111-113 Adv. math. IX 257-58 Adv. math. IX 335 e 338 Adv. math. IX 359-361 e 363-364 Adv. math. IX 366 Adv. math. X 1-2 Adv. math. X 19-23 Adv. math. X 42-45 Adv. math. X 181 Adv. math. X 257 Adv. math. X 310-11 e 318 Pyrrhoniae hypotyposes I 213-14 Pyrrh. hypot. II 23-24 Pyrrh. hypot. II 63 Pyrrh. hypot. III 31-33 Pyrrh. hypot. III 39
53.8 59.4 63 60.1 2.1 0.5.13 105.10 58.3 59.2 59.3 58.4 58.5 53.1 53.2 60.4 53.3 112.1 128.1 112.2 81.3 29.5 20.5 6.2 29.4 28.1 32.2 19.8 43.3 29.9 6.5 58.1 2.2 58.2 6.3 29.8
Simplicio, In Categorias 8, 216.31-217.7 In Categorias 14, 428.14-20 In Categorias 14, 431.6-19 e 24-32 In Physica I 2, 25.1-3 In Phys. I 2, 26.31-27.2, 27.26-28.3 e 28.30-31 In Phys. I 2, 28.4-30
8.2 19.6 19.7 0.8.9 11.2 3 22
In Phys. I 2, 35.22-36.7 In Phys. I 2, 42.7-11 In Phys. I 2, 43.26-44.20, 45.1-8 In Phys. I 2, 81.34-82.6 In Phys. I 3, 103.15-23 (parafr. fr. 1 di Melisso) In Phys. I 4, 165.8-18, 166.3-12 In Phys. I 4, 178.23-25 In Phys. I 4, 179.12-19 In Phys. I 5, 180.16-25 In Phys. I 6, 196.35-197.3 In Phys. II 2, 300.13-18 In Phys. II 4, 327.14-16 e 23-26 In Phys. II 4, 328.1-5 In Phys. II 4, 330.14-20 In Phys. II 4, 331.16-332.1 In Phys. II 4, 332.35-333.11 In Phys. II 5, 338.4-10 In Phys. II 8, 372.9-11 In Phys. III 1, 396.34, 397.1-5 In Phys. III 4, 458.23-29, 459.16-28 In Phys. III 4, 461.30-462.19 In Phys. III 4, 467.14-16 In Phys. III 7, 512.28-33 In Phys. IV 1, 533.14-19 In Phys. IV 2, 571.21-26 e 27-31 In Phys. IV 1 (corollario sul luogo), 601.14-24 In Phys. IV 1 (coroll.), 618.7-25 In Phys. IV 6, 648.9-22 In Phys. IV 8, 679.12-22 In Phys. IV 9, 683.6-21 In Phys. IV 10, 701.30-31 In Phys. VI 1, 925.10-22 In Phys. VII 2, 1056.1-3 In Phys. VIII 1, 1120.18-22 In Phys. VIII 1, 1121.5-15 In Phys. VIII 1, 1153.18-21, 22-24 In Phys. VIII 7, 1266.33-36 In Phys. VIII 9, 1318.30-1319.5 In Phys. VIII 9, 1320.16-19 Simplicio, In De caelo I 5, 202.11-18 In De caelo I 5, 202.25-31 In De caelo I 7, 242.14-34 In De caelo I 8, 267.17-22, 267.29-268.4 e 269.4-14 In De caelo I 10, 294.23-295.26 In De caelo I 10, 310.4-17 In De caelo II 13, 511.22-25 In De caelo II 13, 520.26-521.1 In De caelo II 13, 526.34-35, 527.1-6 In De caelo III 1, 564.24-565.2 In De caelo III 1, 565.22-28 In De caelo III 1, 569.4-10 In De caelo III 1, 576.10-19 In De caelo III 2, 583.17-23 In De caelo III 2, 585.27-586.2 In De caelo III 2, 588.10-11 In De caelo III 2, 589.6-7
47.5 64.3 11.3 22.2 14.3 37.2 37.3 10.3 12.4 12.5 1.2.1 72.3 71.2 71.3 72.4 73.2 71.4 74.1.1 30.5 38.3 38.4 41.4 53.7 30.6 31.2 30.1 30.2 33.3 36.4 34.3.1 78.7 22.1 89.1.1 79.4.1 79.2 43.2 19.1.1 19.3 19.4 78.5 26.3.1 65.2 66.2 7.1 + 79.4 79.6 83.2 83.6 67.1 47.1 47.1.1 66.3 47.3 64.1.1 64.2 64.1.2 64.1.3 23
In De caelo III 4, 609.15-25 In De caelo III 4, 610.3-11 In De caelo III 5, 617.22-27 In De caelo III 5, 624.29-625.5 In De caelo III 7, 632.2-11, 16-25 In De caelo III 7, 634.17-20, 28-34 In De caelo III 7, 641.1-9 In De caelo III 8, 659.13-28 In De caelo III 8, 661.29-662.1 In De caelo III 8, 664.26-665.3, 5-8 In De caelo IV 1, 679.1-8 In De caelo IV 2, 684.19-26 In De caelo IV 2, 685.4-11 In De caelo IV 2, 690.17-26 In De caelo IV 2, 693.25-32 In De caelo IV 4, 712.26-31 In De caelo IV 6, 730.7-27 Simplicio, In De anima I 2, 25.26-26.4, 11-19 ad I 2, 26.4-11 ad I 2, 26.34-27.13 ad I 3, 39.22-31 ad III 2, 193.27-30
20.2 21.3 48.6.1 48.6.2 18.7 48.7.1 47.2 21.2 69.4 69.5 36.6 68.2.1 68.2.2 68.2.3 68.2.4 68.4.1 69.2 101.4 104.3 105.4 103.4 54.1.2
Sincello, Chronographia, 248B
0.6.12
Sinesio, A Dioscoro: Annotazioni ... 1
0.6.11
Sorano, Gynaecia III 17 Vita Hippocratis secundum Soranum 1.1 e 2, 2.3 e 3.1-2
188.9 0.8.16
Sozione, De ira II, presso Stobeo III, 20, 53
0.3.3
Sozomeno, Historia ecclesiastica II 24, 4
0.3.22.2
Stefano di Bisanzio, Ethnica, I 5, 14-17 Stefano di Bisanzio, Ethnica, 640.4-6
0.2.12 0.9.9
Stobeo, Eclogae I 1, 29b(6-7) Stobeo I 4, 7c(1)(2) Stobeo I 4, 7c(3) Stobeo I 6, 17c(2) Stobeo I 7, 9 Stobeo I 10, 14(5, 6, 2) e 16a(1) Stobeo I 10, 14(7) Stobeo I 11, 3(1)(2) Stobeo I 14, 1f(2-3) Stobeo I 14, 1g Stobeo I 15, 6a(2-3) Stobeo I 15, 6b(2) Stobeo I 16, 1(7), (8) e (10) Stobeo I 17, 1-2 Stobeo I 18, 1a(1-3) Stobeo I 19, 1(2) Stobeo I 20, 1d(1) Stobeo I 20, 1f(4) Stobeo I 20, 1f(7)
113.1 70.2 70.1 73.4.4 73.4.2 5.1 9.1.2 10.4.1 64.6 22.7.1 25.5 78.3 53.6 52.5 33.6.1 64.5.1 49.4 79.9 79.10 24
Stobeo I 21, 3c Stobeo I 22, 1e(1) Stobeo I 22, 3b Stobeo I 24, 1c Stobeo I 24, 1e Stobeo I 24, 3(3) Stobeo I 25, 3a, 3h Stobeo I 25, 3h (contin. del preced.) Stobeo I 26, 1e (2) Stobeo I 26, 4, 4 Stobeo I 27, 5-6 Stobeo I 28, 1a(2) Stobeo I 28, 1b (2) Stobeo I 29, 1 (10) Stobeo I 29, 1(11) Stobeo I 48, 7(2) Stobeo I 49, 1b(4) Stobeo I 49, 1b(6) Stobeo I 50, 4 Stobeo I 50, 8-9 Stobeo I 50, 12 Stobeo I 50, 17 e 21 Stobeo I 50, 22 Stobeo I 50, 24 Stobeo I 50, 26 Stobeo I 50, 35 Stobeo I 51, 4 Stobeo I 52, 1 Stobeo I 52, 10 Stobeo I 52, 15
81.1.1 78.4 78.6 86.1.2 82.1 0.8.21 82.4.1 86.3 82.6.1 82.7 85.3.1 85.8.1 85.10 87.5 87.6 105.5 101.6.1 101.5 106.3 106.5 106.4 53.5 116.3 53.4 56.2 108.2 106.7.1 117.4 117.4.3 117.6.1
Stobeo II 1, 12 Stobeo II 4, 12 Stobeo II 7, 3i Stobeo II 8, 16 Stobeo II 9, 1 Stobeo II 9, 2 Stobeo II 9, 3 Stobeo II 9, 4 Stobeo II 9, 5 Stobeo II 15, 33 Stobeo II 15, 36 Stobeo II 15, 40 Stobeo II 31, 56 Stobeo II 31, 57 Stobeo II 31, 58 Stobeo II 31, 59 Stobeo II 31, 65 Stobeo II 31, 66 Stobeo II 31, 71 Stobeo II 31, 72 Stobeo II 31, 73 Stobeo II 31, 90 Stobeo II 31, 94 Stobeo II 33, 9
170.1 164.2 131 147.1 145.1 145.2 157.8 148.1 147.2 163.5 163.1 163.2 172.2 172.3 171.2 155.3 171.1 169.4 171.4 171.3 164.5 166.5 171.5 179.10
25
Stobeo, Florilegium III 1, 27 Stobeo III 1, 45 Stobeo III 1, 46 Stobeo III 1, 47 Stobeo III 1, 91 Stobeo III 1, 95 Stobeo III 1, 210 Stobeo III 2, 36 Stobeo III 3, 43 Stobeo III 3, 46 Stobeo III 4, 51 (= II 9, 2) Stobeo III 4, 69 Stobeo III 4, 70 Stobeo III 4, 71 Stobeo III 4, 72 Stobeo III 4, 73 Stobeo III 4, 74 Stobeo III 4, 75 Stobeo III 4, 76 Stobeo III 4, 77 Stobeo III 4, 78 Stobeo III 4, 79 Stobeo III 4, 80 Stobeo III 4, 81 Stobeo III 4, 82 Stobeo III 5, 22 Stobeo III 5, 23 Stobeo III 5, 24 Stobeo III 5, 25 Stobeo III 5, 26 Stobeo III 5, 27 Stobeo III 6, 26 (= III 7, 25) Stobeo III 6, 27 Stobeo III 6, 28 Stobeo III 6, 44 Stobeo III 6, 59 (= III 17, 37) Stobeo III 6, 60 (= III 17, 38) Stobeo III 6, 65 (= III 18, 35) Stobeo III 7, 21 Stobeo III 7, 25 Stobeo III 7, 31 Stobeo III 7, 74 Stobeo III 9, 29 Stobeo III 9, 30 Stobeo III 10, 36 Stobeo III 10, 42 Stobeo III 10, 43 Stobeo III 10, 44 Stobeo III 10, 58 Stobeo III 10, 64 Stobeo III 10, 65 Stobeo III 10, 68 Stobeo III 12, 13 Stobeo III 13, 46 Stobeo III 13, 47 Stobeo III 14, 8
134.3 156.3 132.2 139.1 163.3 161.5 137.1 166.6 167.2 142.2 173.6 166.3 138.3 173.3 151.3 151.1 138.4 138.5 151.4 138.6 151.2 151.5 170.2 146.4 139.2 175.2 182.3 143.4 140.2 140.1 188.7 93.2.1 93.2.8
176.1 143.2 157.9 138.1 160.1 148.2 146.8 164.3 146.1 146.9 146.10 168.1 135.5 144.2 165.1 161.4 165.2 163.6 26
Stobeo III 16, 17 Stobeo III 16, 18 Stobeo III 16, 19 Stobeo III 16, 22 Stobeo III 17, 25 Stobeo III 17, 37 Stobeo III 17, 38 Stobeo III 17, 39 (= III 7, 25) Stobeo III 18, 30 Stobeo III 18, 35 Stobeo III 20, 53 Stobeo III 20, 56 Stobeo III 20, 62 Stobeo III 22, 42 Stobeo III 28, 13 Stobeo III 29, 63 Stobeo III 29, 64 Stobeo III 29, 66 Stobeo III 29, 67 Stobeo III 29, 88 Stobeo III 31, 7 Stobeo III 36, 24 Stobeo III 37, 22 Stobeo III 37, 25 Stobeo III 38, 46 Stobeo III 38, 47 Stobeo III 38, 53 Stobeo III 40, 6 Stobeo III 40, 7 Stobeo IV 1, 33 Stobeo IV 1, 34 Stobeo IV 1, 40 Stobeo IV 1, 42 Stobeo IV 1, 43 Stobeo IV 1, 44 Stobeo IV 1, 45 Stobeo IV 1, 46 Stobeo IV 2, 13 Stobeo IV 2, 14 Stobeo IV 2, 15 Stobeo IV 2, 16 Stobeo IV 2, 17 Stobeo IV 2, 18 Stobeo IV 4, 27 Stobeo IV 5, 43 Stobeo IV 5, 44 Stobeo IV 5, 45 Stobeo IV 5, 46 Stobeo IV 5, 47 Stobeo IV 5, 48 Stobeo IV 6, 19 Stobeo IV 7, 13 Stobeo IV 10, 28 Stobeo IV 19, 45 Stobeo IV 20, 33 Stobeo IV 22, 108
168.2 168.3 146.5 149.1 144.6 140.3 141.1 136.2 141.2 0.3.3 138.2 174.1 166.8 166.7 169.1 169.2 169.5 173.4 169.3 159.2 164.4 162.2 149.4 162.3 174.3 155.2 143.3 138.12 155.1 154.3 154.2 154.4 154.1 157.6 154.5 154.7 156.2 157.2 158.1 158.2 158.3 158.4 156.4 157.4 157.5 178.2 159.1 157.7 154.6 156.1 166.4 147.3 162.8 175.1 182.6 27
Stobeo IV 22, 199 Stobeo IV 23, 38 Stobeo IV 23, 39 Stobeo IV 24, 29 Stobeo IV 24, 31 Stobeo IV 24, 32 Stobeo IV 24, 33 Stobeo IV 26, 25 Stobeo IV 26, 26 Stobeo IV 29, 18 Stobeo IV 31, 49 Stobeo IV 31, 50 (= III 10, 36) Stobeo IV 31, 120 Stobeo IV 31, 121 Stobeo IV 33, 23 Stobeo IV 33, 24-25 Stobeo IV 34, 58 Stobeo IV 34, 62 (= IV 52, 40) Stobeo IV 34, 65 Stobeo IV 39, 17 Stobeo IV 39, 25 Stobeo IV 40, 20 Stobeo IV 40, 21 Stobeo IV 41, 59 Stobeo IV 44, 64 Stobeo IV 44, 67 Stobeo IV 44, 68 Stobeo IV 44, 69 Stobeo IV 44, 70 Stobeo IV 46, 18 Stobeo IV 46, 19 Stobeo IV 48, 10 Stobeo IV 50, 20 Stobeo IV 50, 22 Stobeo IV 50, 76 Stobeo IV 52, 40
180.4 180.1 180.3 181.1 181.2 182.1 182.2 182.4 172.1 134.5 146.14
149.2 144.5 152.1 173.2 166.1 184.4 149.3 137.2 176.2 143.1 146.6 138.10 138.11 176.3 183.1 183.2 183.4 151.6
Strabone, Geographica I 1 [1-2.3] Strabone I 3, 21 [61.5-8] Strabone I 4, 7 [65.17-19] Strabone I 4, 7 [65.29-32] Strabone XV 1, 38 [703.19-21] Strabone XVI 2, 24 [757.25-27]
187.1 133.4 187.5 187.6 187.4 0.8.6
Suda, s.v. ¥lfa,1a.20, 1b.3-5 (= Fozio, Lexicon, s.v. ¥lfa) Suda, s.v. ¢nagka‹on ( 1827) [I 164.5-6, 11-13, 15-16] Suda, s.v. ¥toma ( 4373) [I 406.5-10] Suda, s.v. Bîloj ( 481) [I 489.27-28] Suda, s.v. Bîloj ( 482) [I 489.29-490.3] Suda, s.v. DhmÒkritoj ( 447-48) [II 44.5-32] Suda, s.v. DiagÒraj ( 523) [II 53.4, 5-9] Suda, s.v. eƒmarmšnh ( 144) [II 329.14-22] Suda, s.v ./Ep…kouroj ( 2404) [II 362.19, 22, 23-25] Suda, s.v. eÙestè ( 3446) [II 447.9-13]
130.11 70.4 5.2.1 0.8.23.1 0.8.23 0.2.2 0.8.18 73.5 0.8.31 132.5
146.11 146.12 146.2 146.3 173.5
28
Suda, s.v. `Ippokr£thj ( 564) [II 662.6, 11-14] Suda, s.v. Kall…macoj ( 227) [III 19.12, 23, 27-31] Suda, s.v. Kratunt»ria ( 2348) [III 183.8-9] Suda, s.v. pšntaqloj ( 971) [IV 84.17-19] Suda, s.v. PrÒdikoj ( 2365) [IV 201.23-25] Suda, s.v. PÚrrwn ( 3238) [III 278.7-10] Suda, s.v. Tritogšneia ( 1019) [IV 593.29-31]
0.8.16.1 0.9.8 0.6.3 0.2.1.1 0.2.11 0.8.37 0.6.3.1
Taziano, Oratio ad Graecos 17
0.6.10
Teodoreto, Graecarum affectionum curatio, II 11 Gr. aff. cur. IV 1 Gr. aff. cur. IV 8-10 e 11 Gr. aff. cur. IV 13 Gr. aff. cur. IV 14 Gr. aff. cur. IV 15 Gr. aff. cur. IV 17 Gr. aff. cur. IV 21 Gr. aff. cur. IV 23 Gr. aff. cur. V 22 Gr. aff. cur. V 24 Gr. aff. cur. VI 8 e 9 (Enomao) Gr. aff. cur. VI 13 Gr. aff. cur. VI 15-16 Gr. aff. cur. XI 6 Gr. aff. cur. XII 74
5.8 171.1.2 5.2 10.4.2 30.7 78.6.4 82.2 82.4.2 82.6.2 105.9 103.6.1 73.6.1 70.3 73.4.3 132.4 181.3.1
Mallius Theodorus, Liber de metris (VI 589.20-21)
127.3
Teofrasto, Metaph. IX 34 Teofrasto, De causis plantarum I 8, 2 De caus. plant. II 11, 7-8 De caus. plant. VI 1, 2.1-3.2 ; 1, 4.1-4 ; 1, 5.12-6.12 De caus. plant. VI 2, 1-4 De caus. plant. VI 6, 1 De caus. plant. VI 7, 2 De caus. plant. IV 10.1, 10.3 De caus. plant. VI 17, 11 Teofrasto, De sensibus 1-2 De sensibus 49 De sensibus 50-55 De sensibus 55-57 De sensibus 58 De sensibus 59-61 De sensibus 61-64 De sensibus 65-67 De sensibus 67-72 De sensibus 72 De sensibus 73-78 De sensibus 79-82 Teofrasto, De odoribus 64 Teofrasto, De igne 52 Teofrasto, De signis 49 Teofrasto, De piscibus (fr. 171, 12) Teofrasto (?) in Hibeh Papyr. 16 (62-63)
25.4 98.2 98.1 121.3 121.4 121.4.1 121.6 122.2 121.5 116.1 116.2 117.1 119.1 106.2 55.1 55.2 122.1 55.3 121.1 123.1 123.2 121.2 90.7 193.2.2.2 99.2
29
[FHSG I, Appendix 4, pp. 462-65] Teofrasto, Physicorum Opinionum fr. 8 Diels [T 229 FHSG] (da Simpl. Phys. 28.4-30 + 30-31) Physicorum Opinionum fr. 13 Diels [T 238 FHSG] Physicorum Opinionum fr. 2 Diels (parte) [T 226A FHSG] Scripta ethica, T 440A FHSG; L 3 Quellen Scripta ethica, T 440B FHSG; L 3 Quellen
88.6
Tertulliano, Apologeticum 46, 11 Tertulliano, De anima 12, 6 [16.31-17.5] De anima 15, 3 [19.10-13] De anima 15, 5 [19.27-29, 30-31, 33-34] De anima 43, 2 [58.24-25 e 27] De anima 51, 2 [69.4-8] Tertulliano, Ad nationes II 2 [97.9-14]
0.4.9 105.6 105.11 105.10.1 107.2 109.1 113.2
Tolomeo, Apparitiones, 213.19, 215.17, 217.12, 220.13, 223.14, 227.5, 229.9, 230.11, 233.8, 233.14, 234.20, 237.17, 238.7, 240.12-13, 241.5, 243.5-6, 245.1-2, 246.16, 247.18, 252.2, 258.9, 259.8, 262.19, 263.15, 263.17, 267.4, 268.21, 271.22 Apparitiones, 275.1-2, 5-6, 13-15, 19-20 e 276.1
186.2 185.7
Tzetzes, Chiliades II 982-1000, III 1-3 Chiliades IV 528-30 Chiliades X, 576-589 Chiliades XIII 79-83 Tzetzes, Exegesis in Iliadem A 194 [45.3-4] (su Tritogenea)
0.2.4 0.2.4.1 0.5.18.1 0.2.4.2 191.1.5
Valerio Massimo VIII 7, ext. 4 Valerio Massimo VIII 14, ext. 2
0.5.16 0.8.19.1
Varrone, De lingua latina VI 39 Varrone, De re rustica I 1, 8 Varrone, Saturae Menippeae 81
5.9 189.1 0.4.3.1
Vita Aristotelis ex Hesychii onomatologo: titolo del catalogo
0.9.1.1
Vitruvio, De architectura I 2, 2 Vitruvio II 1, 9 e 2, 1-2 Vitruvio VII, prooem. 11 Vitruvio IX prooem. 14 Vitruvio IX 5, 4 Vitruvio IX 6, 3
190.1.1 9.8 190.1 0.6.4 185.3 185.4
3 + 11.2 47.1 0.8.9 135.1 135.2
Zenone, fr. 3 (Lee)
16.3
Fr. 13 (Lee) (= 29 A 24)
32.1
30
SUPPLEMENTI ALL’INTRODUZIONE (I) I limiti della documentazione di Simplicio Qualche studioso ha espresso la convinzione che, fra gli altri autori che si possono prendere in considerazione, almeno il commentatore aristotelico Simplicio avesse a sua disposizione opere di Democrito. In questo caso tuttavia ci sarebbe una sua sorprendente deviazione dalla sua prassi normale di offrire ampie citazioni degli autori di cui si occupa. Com’è noto, quasi tutti i passi più significativi del poema di Parmenide sono stati preservati da lui, e anche per altri dei Presocratici egli offre citazioni di una certa ampiezza, andando oltre (talvolta dichiaratamente) quanto era necessario addurre a chiarimento dei passi aristotelici da lui commentati. Per di più egli riporta per esteso un passo tratto da un’opera perduta di Aristotele su Democrito (cfr. 7.1 + 79.4). Non si può supporre che egli lo abbia fatto perché la sua fiducia nella testimonianza dello Stagirita era tale da ritenere superfluo un ricorso alle opere originali. Almeno in un’occasione infatti egli mostra di avere serie riserve verso il modo di procedere di questi, da lui accusato di qualche travisamento per via della sua superficialità nell’accostare Democrito ai Pitagorici (cfr. 101.4, con n. 776 ad loc.) 1 . D'altra parte, in questo stesso passo come altrove, non può fare a meno di rifarsi ad Aristotele per chiarire la posizione democritea (per esempio non esprime riserve nel caso dell’altrettanto dubbio accostamento fra la posizione di Democrito e quella di Senocrate, sempre a proposito della natura dell’anima). Di fatto quanto di democriteo è da lui citato verbatim (cfr. particolarmente 72.3) è troppo breve per non poter dipendere da fonte indiretta come può essere l’opera di Eudemo cui fa riferimento in quel contesto. Infine è significativo che egli dichiari espressamente di attingere alle opere di Parmenide e di Diogene di Apollonia, ma non faccia mai una dichiarazione del genere nel caso di Democrito. (II) Le testimonianze di Plutarco Plutarco, pur non offrendo citazioni estese significative (a parte il solito detto su ciò che è per convenzione e ciò che è per realtà, che era troppo corrente per dover essere tratto da un originale democriteo), pretende di poter attingere direttamente a ciò che Democrito aveva scritto. Questo avviene nell’Adversus Colotem, dove, oltre ad accusare generalmente Colote di estrapolare dal loro contesto passi delle opere da lui criticate (cfr. 3, 1108D), deplora un suo fraintendimento di una tesi di Democrito dovuto a scarsa familiarità con quanto questi aveva scritto (cfr. 4, 1109A [= 59.1]). Tuttavia proprio in questo caso il confronto con altre testimonianze abbastanza autorevoli fa pensare che il difetto di informazione stia dalla sua parte (cfr. la discussione sintetica in Presentazione dei testi, sez. 16). Analogamente la critica che egli rivolge allo stesso Democrito in Reipublicae gerendae praecepta 28, 821A (=153.2) potrebbe riflettere un’incomprensione, perché, come mostra il passo affine di Filodemo (cfr. 153.2.1), questi condannava solo l’atteggiamento adulatorio nell’uomo politico 2 . In altri casi Plutarco si mostra meglio informato e anche prossimo al linguaggio effettivamente usato da Democrito (questo avviene nelle sue testimonianze sul rapporto anima-corpo, cfr. 135.1, 135.2 e 135.4, sui sogni, cfr. 110.4, e sulla trasmissione dei suoni, cfr. 90.2), ma ciò 1
La rilevanza del passo da questo punto di vista era già stata notata da Guthrie, HGP II, p. 388, n. 1; viene anche sottolineata da Urmson in una nota al passo nella traduzione del commento di Simplicio al De anima di Aristotele. 2 Ciò era stato già sottolineato da Siefert, Plutarchs Schrift P.E., pp. 9-10 e n. 1 di p. 10.
1
potrebbe spiegarsi col suo avere attinto a qualche scritto epicureo. Nel caso del De tranquillitate animi quel tanto di impronta democritea che forse questa sua opera presenta si può spiegare senza assumere che egli avesse di fronte a sé l’opera dallo stesso titolo di Democrito (si veda la discussione infra (VII)). Nel complesso (come ho suggerito nell'Introduzione) c'è da dubitare che egli avesse veramente sotto mano più opere complete dell’Abderita: nessuna di esse viene da lui citata per titolo e, quando si tratta di esporre in sintesi la sua fisica, ne offre un’esposizione di tenore tipicamente dossografico. Forse si basava prevalentemente su note, non sempre precise, che aveva conservato delle sue letture in qualche biblioteca. (III) Esempi di errori nelle raccolte dipendenti da Aezio. In primo luogo, se si guarda alla testimonianza di Stobeo circa la vista in 117.4 3 mettendola a confronto con quelle dello stesso Stobeo in 117.4.3 e di Ps.-Galeno in 117.4.2, si constata che il secondo brano del passo contiene una tesi che è da attribuire non a Democrito e ad Epicuro ma ad ‘alcuni degli Accademici’ – secondo Stobeo – o comunque ad ‘altri’ – secondo Ps.-Galeno –; pertanto deve essere caduto il lemma che era presente in Aezio e anche nell’edizione di Ps.-Plutarco sulla quale si basava Ps.Galeno, la quale evidentemente era leggermente diversa da quella conservata nei MSS che ci sono pervenuti. Un errore molto simile è riscontrabile in 113.1.1-1.4, cioè nel passo di Ps.-Plutarco e in quelli da esso dipendenti di Eusebio, di Galeno e di Cirillo, perché il confronto con 113.1 di Stobeo mostra che la tesi circa l'anima del mondo non va attribuita a Democrito ma ad altri pensatori. Un terzo esempio, un po' diverso, è dato dai passi di Stobeo e di Ps.-Plutarco sulla necessità (cfr. 70.2 e 70.2.1), nei quali Parmenide e Democrito sono accostati: il passo parallelo in Teodoreto (cfr. 70.3) mostra chiaramente che l’affermazione che la necessità è lo stesso che giustizia e provvidenza riguarda il solo Parmenide. 4 (IV) Presentazione delle opere, o parti di opere, di natura dossografica, che dipendono direttamente non da Aezio ma dai Placita di Ps.-Plutarco. In primo luogo ci sono degli estratti dall’opera pseudoplurarchea in due libri della Praeparatio evangelica di Eusebio. Nel libro XIV questi estratti sono limitati al cap. 14 e riguardano il libro I, cap. 3 (“Sui princìpi”) e cap. 7 (“Che cos’è il dio”) dei Placita. L’unico passo su Democrito è XIV 14.5, che, per via di qualche diversità rispetto alla versione di Placita I 3 (= 9.1), ho riportato con una certa ampiezza (cfr. 9.1.1) 5 . Gli altri estratti si trovano nel cap. 15 del libro XV. I §§ 22 fino a 31 riguardano capitoli del libro II dei Placita sul sole, sulla luna e sui corpi celesti [sono inclusi 82.4 e 82.6], cioè enti che sarebbero stati concepiti dai filosofi naturalisti come ‘dei visibili’ (phainomenoi theoi). I §§ successivi riguardano il mondo, e cioè il § 32 su come si è costituito il mondo (= Placita I 4 [= 80.2]), il § 33 sull’unità del tutto (= Placita I 5), e i §§ 34-42 su altri aspetti della cosmologia (corrispondenti a Placita II 3-11 [è incluso 81.1]); poi, dopo un § sui demoni, ce n’è uno sulla materia e un altro sull’idea (= Placita I 9 e 10). Nel seguito, ai §§ 46-54, l’autore ritorna agli astri considerando anche certi fenomeni 3
Insieme a quella, praticamente identica, di Ps.-Plutarco in 117.4.1. Si vedano anche le mie note ai passi e le ulteriori precisazioni nella Presentazione dei testi. 5 La diversità principale, quella di partire dal nome di Democrito anziché da quello di Epicuro, può dipendere, come suggeriscono Mansfeld-Runia in Aëtiana, p. 135, da un intervento di Eusebio che riflette il suo intento di occuparsi degli antichi physikoi, fra i quali ovviamente rientra Democrito e non Epicuro. 4
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celesti (= Placita I 15-18 e 24, 29, 30, 31, 32), poi, ai §§ 56-58, passa alla terra e a certe sue caratteristiche (= Placita III 9-12 [sono inclusi 83.4-5]), per toccare ulteriormente il mare (§ 59 = III 16); infine dedica due §§ (cioè 60-61 = IV 4-5 [sono inclusi 105.7 e 105.10]) all’anima e alle sue parti. Poiché i passi concernenti Democrito non presentano diversità significative rispetto a quelli dei Placita, ho omesso ogni riferimento ad essi nella raccolta dei testi in traduzione, salvo qualche eccezione (cfr. 113.1.2). In secondo luogo, come segnalato nell’Introduzione, nell'Historia philosopha di Ps.Galeno, dal cap. 25 al cap. 133, viene seguito largamente l’ordine non solo dei capitoli ma anche dei lemmi dei Placita pseuplutarchei, tuttavia con sostanziali abbreviazioni, così da ridurre quest’altra opera a circa la metà. Nel compiere queste abbreviazioni l’autore non si limita a delle omissioni, ma talora riformula o parafrasa l’originale. Ci sono così delle difformità rispetto a quanto troviamo in Ps.-Plutarco (per es. in cap. 46 [= 81.1.2], egli presenta Democrito ed Epicuro come coloro che introducono l’automaton, non gli atoma, come indicato non solo da Ps.-Plutarco ma anche da Stobeo [cfr. 81.1 e 81.1.1], forse perché ritiene questa precisazione più appropriata ad un contesto di formazione meccanica del mondo; un suo fraintendimento pare presente in 85.3.2 [cfr. n. 650 ad loc.]; un altro suo intervento pare esserci in 93.6.1, dove l’affermazione “corporea per la forza” sembra applicarsi alla materia di cui si è fatto parola in precedenza, ma, oltre ad omettere il greco pneumatiké, cambia il senso della testimonianza come data in Ps.-Plutarco, cfr. 93.6 6 ). D’altra parte in alcuni casi le discrepanze si spiegano probabilmente col fatto che egli aveva di fronte un’edizione dell’opera pseudoplurarchea un po’ differente da quella risultante dai MSS di cui disponiamo (p. es. la sua testimonianza al cap. 124 conferma quanto troviamo in Stobeo, riportato in n. 635 ad 82.3.1, di contro a Ps.-Plut. 82.3.1 7 ; inoltre al cap. 123 [= 92.1] egli riporta un brano su Democrito che è assente nel passo corrispondente di Ps.-Plutarco, cfr. 92.1.1). La presenza in ogni caso di queste discrepanze rende opportuno citare in modo distinto i passi dell’opera pseudogalenica che riguardano Democrito e Leucippo. Anche Cirillo, vescovo di Alessandria (nel quinto sec. d.C.), nel suo polemico Contra Julianum, si rifà occasionalmente all’opera pseudoplurarchea, e precisamente in I 38.17-39.6 (parafrasi di I 7.2, 4, 7, 8), II 14-15 (citazione di II 1-4), II 22.7-18 e 52.2124 (estratti da I 6). C’è un riferimento a Democrito nel primo passo, teologico (cfr. 113.1.4) e, su questioni di cosmologia, in II 14 (cfr. 78.6.2) e in II 15 (omesso, ricalca Ps.-Plutarco, cfr. 81.1). Alcune citazioni di passi dei Placita pseudoplutarchei si trovano anche nel De mensibus di G. Lorenzo Lidio (del sesto sec. d.C.). In III 12 (pp. 53.6-54.10), riguardante la luna, sono riportati, con qualche abbreviazione, II 25 [include 82.6], 28 e 31. Degli altri passi contenenti citazioni ci interessa IV 135 (p. 162.5-7) il quale offre un excursus sui sogni che riporta V 2.3 e 1 e che contiene un riferimento a Democrito (cfr. 186.3 e n. 1327 ad 110.9 riportato in appendice). (V) L’attribuzione di Stobeo, Eclogae II 7, 3i (= 131) ad Ario Didimo. Che il passo riportato da Stobeo faccia parte di un’esposizione di posizioni filosofiche dovuta ad Ario Didimo non è dichiarato espressamente da chi lo cita, ma lo si può 6
Sulla questione cfr. Mansfeld-Runia, Aëtiana, p. 148. Sulla questione cfr. di nuovo Mansfeld-Runia, Aëtiana, p. 149 (il punto riguarda Platone e Aristotele, non Democrito).
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desumere in modo indiretto. Esso rientra nel primo dei tre pezzi in cui si lascia suddividere quel capitolo (pp. 37.18-57.12 ed. Wachsmuth), cioè quello in cui sono considerati i contributi di filosofi di vario orientamento alle principali questioni di etica, gli altri due pezzi riguardando dichiaratamente il contributo di “Zenone e gli altri Stoici” (pp. 57.13116.18) e quello di “Aristotele e gli altri Peripatetici” (pp. 116.19-152.25). Un brano del terzo pezzo ricorre anche nel libro IV, al cap. 39 “Sulla felicità” (sez. 28, pp. 918.15919.6 ed. Hense), dove viene indicata come fonte “l’Epitome di Didimo”. Se è plausibile ammettere, come più studiosi hanno cercato di mostrare, soprattutto rilevando un’affinità nel modo di procedere, che l’autore degli altri due pezzi è lo stesso del terzo, e che questi coincide con l’Ario Didimo di cui parlano alcune altre fonti (compreso Diogene Laerzio nel libro VII, nella parte andata perduta, come risulta dall’elenco degli Stoici contenuto in alcuni codici, dove però il nome è solo “Ario”), si arriva all’attribuzione in questione 8 . (VI) Sul modo di procedere di Simplicio, di Filopono e di Alessandro d'Afrodisia Simplicio, come risulta dalle indicazioni date nell’Introduzione, è fra i commentatori quello che più si mostra interessato a raccogliere e trasmettere informazioni sui contenuti delle opere dei pensatori ai quali Aristotele fa riferimento. Non solo egli cita, con una frequenza del tutto eccezionale fra gli autori antichi, passi tratti da quelle opere stesse (quando a lui accessibili), ma riporta con ampiezza (qualche volta citando, come nel caso dello scritto aristotelico su Democrito, altre volte sintetizzando) le esposizioni di Aristotele, di Teofrasto e di qualche altro peripatetico come Eudemo e come Alessandro d’Afrodisia. Non sempre tuttavia si mostra molto perspicace, perché ad esempio la critica da lui rivolta ad Alessandro circa la cosmologia democritea (cfr. 79.4 + n. 613 ad loc.) è abbastanza chiaramente erronea. Di Filopono si può dire che si mostra un commentatore più intelligente che bene informato. È intelligente nel presentare le tesi fondamentali del pensiero atomistico, rendendo più chiari certi punti toccati da Aristotele (quanto lo faccia basandosi anche su qualche opera sua andata perduta non è più accertabile). Questo vale soprattutto per i contributi che egli offre nel commentare l'aristotelico De generatione et corruptione (cfr. sotto 15, sotto 24 e anche sotto 49). Non è sempre sufficientemente attendibile, perché certe posizioni da lui attribuite a Democrito sono smentite da altre fonti, incluso lo stesso Aristotele che Filopono viene a commentare (senza dichiarare che questi si è sbagliato o, come fa Simplicio nel passo citato sopra, in (I), che ha peccato di superficialità). Così, riguardo alla costituzione atomica dei quattro elementi, egli sostiene che, come il calore del fuoco dipende dalla sfera, il freddo della terra dipende dal cubo (cfr. 50.1 e 49.2, dove invero non si mostra sicuro della cosa, inoltre 1.2.2, dove parla piuttosto dell’acqua), quando Aristotele aveva detto espressamente che Democrito non trattava gli elementi allo stesso modo, perché, mentre faceva effettivamente dipendere il fuoco dalla sfera, ricorreva ad una mescolanza di figure per gli altri tre (cfr. 48.4 e 8
È una congettura avanzata inizialmente da Meineke, in un art. e nell’introd. alla sua ed. di Stobeo, e ripresa e difesa ampiamente da Diels, Dox., pp. 69-88; un’ampia discussione della questione è stata offerta recentemente da David A. Hahm, ANRW II 36, 4, che sostanzialmente ritiene valida quella congettura, ma ammettendo che il cap. II.7 deriva non dall’Epitome ma dall’opera Sulle sette dello stesso Didimo. Sulla questione dell’identificazione di un personaggio dal nome “Ario Didimo” si veda lo stesso articolo di Hahm, inoltre alcuni degli articoli nella raccolta: W.W. Fortenbaugh, cur., On Stoic and Peripatetic Ethics, New Brunswick (N.J.), 1983.
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51.2). Probabilmente 9 c’è un altro suo errore nell’esporre la posizione di Democrito circa la questione della stabilità della terra, che secondo Aristotele (cfr. 67), seguito da Simplicio (cfr. 83.6), è ritenuta dipendere dalla sua piattezza, mentre per Filopono è ritenuta dipendere dal vortice (cfr. 72.5), così assimilando quella posizione a quella di Empedocle (cfr. 67: 295a14 sgg., Simpl. in 67.1 e in 83.6) oppure anche a quella di Leucippo (cfr. Diog. Laerzio IX 30 [= 4.2], unica testimonianza che attesti questo per lui). 10 L'intelligenza di Alessandro d'Afrodisia è fuori discussione, e la sua autorità è tale da indurre gli altri commentatori a citarlo con una certa frequenza. Nonostante questa sua priorità non solo cronologica come interprete di Aristotele, non si mostra sempre bene informato o del tutto attendibile. È infatti quasi certamente erronea la sua attribuzione a Democrito della tesi epicurea dei minima (cfr. 64.5), come deve essere erronea la sua interpretazione del principio che da molti non si ricava un uno e da un uno non si ricavano molti (cfr. 20.4 con n. 174, ma si tratta invero di un libro del commento alla Metafisica di Aristotele non attribuibile allo stesso Alessandro 11 ). Suscita pure perplessità quanto egli dice del resoconto democriteo della visione (cfr. 117.3.1 e 117.9), perché la sua esposizione presenta qualche difformità rispetto a quella più dettagliata di Teofrasto 12 . Non è esente da confusione neppure il suo trattamento della mescolanza, perché pare strano che solo Epicuro si sia servito degli atomi per spiegarla (cfr. 52.3 e 52.4) 13 . D’altra parte, su di una questione più specifica, il resoconto del funzionamento della calamita, egli pare essersi informato in maniera adeguata (cfr. 89.1), e su gran parte dei punti principali della dottrina dei primi atomisti il suo resoconto è ortodosso. (VII) Sull’ipotesi che il Peri euthumias di Plutarco dipende da un’opera dello stesso titolo dovuta a Panezio. Si tratta di un’ipotesi che venne avanzata inizialmente da Rudolf Hirzel 14 e che venne sviluppata da Georg Siefert 15 . Essa va incontro a più di una difficoltà. La prima diffi-coltà è quell’opera di Panezio è male attestata. È menzionata solo da Diogene Laerzio IX 20 (= fr. 45 Van Straaten = 86 Alesse) nel capitolo dedicato a Senofane, come una delle fonti di un episodio della vita di questi accanto ad un’opera di Demetrio di Falero. Lo stesso Diogene usa con una certa frequenza Panezio come fonte delle sue informa-zioni, ma nell’altro caso in cui si richiama ad una sua opera si tratta dell’opera Sulle scuole filosofiche (Peri haireseōn) (cfr. II 87), per cui c’è da domandarsi se egli 9
Dico “probabilmente” perché sulla questione ci sono dei problemi aperti di interpretazione (si veda la discussione in Presentazione dei testi, sez. 21). 10 L’attendibilità di Filopono su punti come questi (e sulla questione del contatto fra gli atomi, per la quale cfr. Presentazione dei Testi, sez. 7, con n. 19) è messa in dubbio anche da Mansfeld, Out of Touch: Philoponus as Source for Democritus (cfr. bibl.). 11 Gli studiosi hanno riconosciuto da tempo che solo il commento ai prime cinque libri (Α-Δ) della Metafisica risale ad Alessandro; è stata avanzata l’ipotesi che il resto del commento è opera di Michele di Efeso (del XII° sec.) (cfr. Concetta Luna, Trois études sur la tradition des commentaires anciens à la “Metaphysique” d’Aristote, “Philosophia antiqua” LXXXVIII, Leiden: Brill, 2001). 12 Sulla questione cfr. Presentazione dei Testi, sez. 26. 13 Per una discussione si veda Presentazione dei testi, sez. 14, inoltre il commento di Todd al De mixtione, pp. 184-85. 14 Cfr. "Demokrits Schrift perˆ eÙqum…aj", Hermes XIV, 1879, pp. 354-407, specialm. p. 379. 15 Cfr. Plutarchs Schrift perˆ eÙqum…aj, Beilage zum Jahresbericht der Königlichen Landesschule Pforta, Naumburg a.S. 1908, specialm. pp. 26-28.
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non sia stato la vittima di un errore (anche se non è chiara la natura di questo errore). La seconda difficoltà sta nel fatto che Plutarco, nel De cohibenda ira 16, 463D, si richiama in effetti a Panezio come fonte per il detto attribuito ad Anassagora (in relazione alla morte del proprio figlio) dal seguente tenore: “sapevo di avere generato un mortale”, ma si limita alla vaga indicazione che Panezio ne aveva parlato ‘da qualche parte’ (pou). C’è un richiamo allo stesso detto di Anassagora in Perì euthumias 16, 474D, senza menzionare Panezio, ma in un passo che è in qualche modo parallelo a quello dell’altra opera. Tuttavia il fatto che il richiamo compaia in un’opera con questo titolo è evidentemente un indizio piuttosto debole a favore dell’uso del Peri euthumias di Panezio. L’ulteriore accostamento che si può cercare di fare fra questi passi e Diogene Laerzio IX 20, dove a Senofane viene associato Anassagora, ma non direttamente per l’enunciazione di quel detto, non si impone. (Per maggiori dettagli devo rinviare al mio articolo citato in n. 1 dell’Introduzione.) Non è molto probabile, dunque, che Plutarco, nel suo Peri euthumias, avesse preso a modello un’opera di Panezio dallo stesso titolo, sicché non può essere promettente il tentativo di ricostruire l’andamento dell’opera di Panezio a partire da quella di Plutarco 16 ; a maggior ragione questo tentativo non è promettente se esteso all’opera di Democrito. (VIII) C'è qualche rapporto fra l'Anonymus Iamblichi e gli scritti etici di Democrito? La breve opera in questione fu identificata da Friedrich Blass, il quale si rese conto che il Protrettico di Giamblico, che notoriamente è in larga misura un centone risultante da estratti da opere altrimenti pervenuteci (come certi passi di dialoghi platonici) e da opere andate perdute (compreso il Protrettico di Aristotele), includeva anche estratti da uno scritto presumibilmente di origine sofistica. Giamblico non indica le sue fonti, sicché sul nome dell'autore, qualora esso sia affatto identificabile, si può solo speculare. Lo stesso Blass proponeva di fare risalire lo scritto ad Antifonte 17 . La sua proposta fu criticata da altri studiosi, anche sulla base di una migliore conoscenza di Antifonte dovuta alla successiva scoperta di alcuni frammenti papiracei di questo autore, e la sua insostenibilità è ormai generalmente ammessa. Furono avanzate altre ipotesi, proponendo come autori altri sofisti, come Protagora ed Ippia, ma nessuna è parsa così convincente da imporsi fra gli studiosi. Una ulteriore ipotesi che è stata avanzata, inizialmente da Quintino Cataudella, è che l'opera vada fatta risalire a Democrito. In una forma riveduta e corretta l'ipotesi è stata difesa da A.T. Cole in The Anonymus Iamblichi and his Place in Greek Political Theory (cfr. bibl.), il quale pensava, per ragioni soprattutto stilistiche, ad un autore democriteo piuttosto che allo stesso Democrito. Neppure questa è una proposta che è riuscita ad imporsi fra gli studiosi, ma poiché non pare essere stata discussa con sufficiente approfondimento e essere stata criticata in modo decisivo, ritengo sia opportuno rivolgere una certa attenzione ad essa, per esplicitare le ragioni per le quali non mi è parso possibile accoglierla, includendo il testo o qualche sua parte nella presente raccolta. (In quanto segue faccio riferimento solo all'articolo di Cole e non anche a quelli di Cataudella.) Nel primo pezzo del suo articolo Cole prende in considerazione alcuni paralleli (in parte già segnalati da Cataudella) che si possono stabilire fra l'Anonymus Iamblichi e il 16
Tentativo compiuto, seppure a grandi linee, da Christopher Gill in Peace of Mind and Being Yourself: Panaetius to Plutarch, ANRW II, 36.7 (1994), pp. 4599-640. 17 Cfr. il suo De Antiphonte sophista Iamblichi auctore, Progr. Kiel 1889.
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libro secondo del De officiis di Cicerone. A suo avviso questi paralleli sono così estesi, da suggerire l'esistenza di una fonte comune, consistente in un'opera che deve essere stata più ampia di quanto ci è pervenuto tramite Giamblico (nel caso del De officiis si deve postulare s'intende una fonte intermedia che è costituita dall'opera di Panezio alla quale Cicerone si richiama espressamente). Accogliere o meno la sua ricostruzione su questo punto non è decisivo rispetto all'ipotesi principale, sicché non mi esprimo al proposito, salvo rilevare che un motivo di dubbio è dato dal fatto che l'andamento complessivo dell'esposizione nel libro secondo del De officiis non corrisponde all'andamento complessivo dell'esposizione nell'Anonymus Iamblichi 18 . Nel secondo pezzo dell'articolo (ma con qualche anticipazione nel primo) viene sottolineato che ci sono dei punti di contatto fra la posizione esposta nello scritto anonimo e quella che si lascia attribuire a Protagora sulla base di quanto troviamo nel Protagora di Platone. L'esistenza di questi punti di contatto era stata già rilevata anche da altri studiosi, ma la conclusione da trarre è che l'autore dello scritto è influenzato da Protagora, non che si tratta dello stesso Protagora. È una conclusione che mi pare plausibile. Il passo ulteriore che Cole compie (nel terzo pezzo dell'articolo) è di suggerire che la fonte comune all'Anonymus Iamblichi e al libro secondo del De officiis di Cicerone è costituita da un'opera andata perduta di Democrito, possibilmente quella intitolata Sulla virtù dell'uomo. Ci sarebbe stata una dipendenza dello stesso Democrito da un'opera di Protagora, possibilmente quella intitolata Antilogiai. Questo rapporto sarebbe evidenziato da quanto troviamo nell'Anonymus Iamblichi, perché quello che si nota è che questo autore era partito da una posizione protagorea ma l'aveva sottoposta a modifica. Sarebbe in gioco la stessa strategia che risulta essere stata usata da Democrito nel campo dell'epistemologia: ripresa di alcuni aspetti dello scetticismo di Protagora circa la possibilità della conoscenza, ma rifiutandone altri aspetti. È una conclusione che sarebbe confermata dall'esistenza di una serie di punti di contatto che ci sono fra quanto troviamo nello scritto anonimo e quanto troviamo in certi frammenti (etici) di Democrito. Peraltro la soluzione più semplice, di attribuire lo scritto allo stesso Democrito piuttosto che ad un anonimo da lui influenzato, è da escludere perché il suo stile è complessivamente poco democriteo. Cole non approfondisce la questione dei rapporti fra Democrito e Protagora, ma si limita a partire dall'ammissione, per lui incontestabile, che questi rapporti debbono essere stati piuttosto stretti. Tuttavia, se si prescinde dal campo dell'epistemologia, quello che si può sostenere con plausibilità è che entrambi gli autori avevano offerto un resoconto dell'origine della civiltà, con dei punti di contatto, e che entrambi avevano un atteggiamento favorevole alla democrazia. Da qui a sostenere che una qualche opera di Democrito, come il perduto Sulla virtù dell'uomo, che possibilmente non toccava affatto questi argomenti, aveva un'impronta complessivamente protagorea, ce ne vuole. Questa è una difficoltà che si ripropone quando si cerchi di stabilire un rapporto fra l'Anonymus Iamblichi nel suo complesso e quanto ci è rimasto dei frammenti di Democrito: non c'è niente nella prima opera che faccia pensare ad un'impronta generale democritea. Il suo intento complessivo è quello di evidenziare le condizioni che debbono essere soddisfatte per chi voglia riuscire al meglio (sia nel portare a compimento una certa attitudine sia nell'avere successo con gli altri) o nel campo del sapere (nella sophia) o nel campo del coraggio (andreia) o nel campo dell'abilità oratoria 18
Si veda il prospetto offerto da Cole in art. cit., p. 159, n. 32.
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(euglossia) o nel campo della virtù (areté), presa nel suo complesso o in un suo aspetto (si veda l'inizio dell'opera e la riproposizione di questi obbiettivi all'inizio del § 3). Non è pensabile che Democrito in qualche suo scritto fosse disposto a proporre questa varietà di obbiettivi come obbiettivi tutti legittimi e sullo stesso piano, fra i quali ciascuno di noi ha da compiere la scelta per perseguire distintamente quello prescelto (in base presumibilmente alle proprie attitudini). Egli non avrebbe separato la virtù dal sapere, e non avrebbe affatto preso in considerazione l'abilità oratoria come un obbiettivo da perseguire per conto proprio. Non ci sono dunque elementi sufficienti ad attestare una dipendenza complessiva dell'Anonymus Iamblichi da un qualche scritto etico di Democrito. I punti di contatto di dettaglio che Cole stabilisce fra quest'opera e i frammenti etici democritei non sono tali da smentire questa conclusione negativa, perché non suggeriscono un disegno complessivo che possa essere fatto risalire ad uno scritto di Democrito. Ma c'è da aggiungere che essi sono anche meno stretti di come Cole cerca di farli apparire. Egli parla per esempio di un comune apprezzamento per l'operosità (per il ponos), ma deve ammettere in nota (cfr. n. 53, p. 161) che non era limitato a questi due autori, perché è riscontrabile anche in Prodico. Contrariamente a quanto da lui suggerito, le riserve che nell'Anonymus Iamblichi sono espresse circa l'ottenimento di un rapido successo tramite l'abilità oratoria (cfr. 2.7-8) hanno poco a che fare con quanto Democrito dice circa il rapporto fra discorsi e azioni, perché la questione del successo che quell'abilità assicura non è affatto in gioco (euglossia o qualche suo equivalente neppure compare nei frammenti). Un altro punto di contatto starebbe nell'apprezzamento per il 'buon governo basato su buone leggi' (come si può rendere il greco eunomia). Tuttavia questo è un motivo largamente diffuso nella cultura del tempo (spesso viene fatto risalire a Solone), e l'opposizione che troviamo in Anonymus Iamblichi 7.3 sgg. fra il dedicarsi ai pragmata (presumibilmente: agli affari pubblici) e il dedicarsi agli erga (presumibilmente: agli affari privati) non ha alcun riscontro in Democrito. Gli altri, non frequenti, punti di contatto che vengono rilevati da Cole sono analogamente discutibili. Va rilevato, al di là della fondatezza o meno dei singoli paralleli, che un confronto del genere è reso comunque molto dubbio dal fatto che, nel caso dell'Anonymus Iamblichi, ci troviamo di fronte ad un'esposizione abbastanza continua, di cui si può comprendere l'andamento complessivo, mentre nel caso di Democrito abbiamo a che fare con frammenti che appartengono ad un contesto che ci rimane ignoto e che possono risalire ad una pluralità di opere significativamente differenti. Si deve dunque concludere, credo, che il tentativo di Cole (riprendendo Cataudella) di fare risalire lo scritto anonimo riportato da Giamblico, se non a Democrito stesso, ad un democriteo, non è riuscito. (IX) Sull’autenticità della raccolta dei ‘detti di Democrate’, sui suoi rapporti con le altre raccolte e sulla sua organizzazione Il tentativo di mostrare che la raccolta dei ‘detti di Democrate’ non è democritea venne compiuto da Heinrich Laue nella sua dissertazione intitolata De Democriti fragmentis ethicis, Gottinga 1921. Esso richiedeva, come da lui riconosciuto, l'espunzione anche delle sentenze in Stobeo che coincidono con quelle dell'altra raccolta. Egli riteneva di poter mostrare che quelle sentenze in Stobeo non dovevano essere attribuite a Democrito perché il lemma che le accompagna è abbreviato (frequen-
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temente si tratta di 'demos') e può stare per 'Democrate'. Anzi, a suo avviso il lemma abbreviato deve stare per 'Democrate', perché solo questo termina in sigma al genitivo (in greco Dhmokr£touj di contro a Dhmokr…tou). Tuttavia gli è stato obbiettato che niente ci obbliga ad escludere che esso stia per DhmÒkritoj al nominativo. L’ipotesi del Laue è resa improbabile dal fatto che, laddove un certo manoscritto (o gruppo di manoscritti affini) presenta quell'abbreviazione, un altro manoscritto (o gruppo di manoscritti affini) presenta il lemma completo Dhmokr…tou (e non Dhmokr£touj). Per di più in alcuni di questi casi la sentenza in questione è una di quelle che si trova a coincidere con uno dei 'detti di Democrate' (cioè l'abbreviazione è riscontrabile solo in una famiglia di MSS anche nel caso delle sentenze coincidenti). La sostituzione di 'Democrito' con 'Democrate' si verifica nella stessa raccolta di Stobeo, ma si tratta di un errore, come è mostrato dal fatto che l'indice di Fozio conosce esclusivamente il primo nome. Queste obiezioni sono state avanzate da R. Philippson in una sua discussione del lavoro di Laue (Demokrits Sittensprüche, “Hermes” 1924, pp. 374-78). Quest'ultimo partiva dalla considerazione che la sostituzione di 'Democrito' con 'Democrate' è sorprendente, perché si trattava di passare da un nomen notissimum ad uno ignobile (cfr. op. cit., p. 11). Tuttavia Philippson osserva ancora che non è affatto detto che per i copisti quello di Democrito fosse un nome particolarmente noto (cfr. art. cit., p. 372). Si può aggiungere che anche coloro per i quali il nome di Democrito era noto potevano facilmente non rendersi conto che l'autore di quelle sentenze etiche era la stessa persona che il teorizzatore dell'atomismo. Non c'è niente infatti nelle sentenze che richiami la teoria atomistica. C’è un rapporto non solo fra questa raccolta e quella di Stobeo, come è stato indicato da Lortzing, il quale postula una fonte comune (cfr. supra, Introduzione, p. XXXIV), ma anche fra la raccolta DEI e queste altre due raccolte. Ci sono 25 passi della raccolta DEI che possono essere ritenuti democritei per via di coincidenze con le altre due raccolte. Di questi tredici compaiono nella raccolta di Stobeo e sedici nella raccolta dei ‘detti di Democrate’; fra tutti questi ce ne sono cinque che compaiono in entrambe queste altre due raccolte. 19 Una dipendenza della raccolta DEI da quella di Stobeo è da escludere, perché ci sono troppe differenze nei termini o nelle formulazioni usate. D’altra parte ci sono dei punti di contatto fra la raccolta DEI e quella dei ‘detti di Democrate’ nella sequenza in cui compaiono alcuni piccoli gruppi di sentenze (cfr. Gerlach, idem). Lo studioso che se n’è occupato più recentemente, Gerlach, suggerisce che un confronto fra queste varie raccolte permette in alcuni casi di ricostruire una sequenza di passi che è più ampia di quella che compare in ciascuna di queste raccolte, donde la conclusione che la raccolta dei ‘detti di Democrate’ è più breve della raccolta che ne costituisce la fonte. 20 È comunque plausibile ritenere che sia così, anche perché alcuni temi che da altre fonti risultano essere stati importanti per Democrito non sono rappresentati nelle sentenze 19
Cfr. Gerlach, Gnomica Democritea, Wiesbaden 2008, p. 90. Così nel caso di 134.3 (= B 187 e B 36) il passo che compare per esteso nella raccolta di Stobeo compare, limitatamente alla prima sentenza, in DEI (= 25 W.), oltre che in CP, e, limitatamente alla seconda sentenza, nei ‘detti di Democrate’, nr. 2. Ciò fa dunque pensare che l’originale dal quale dipendono queste raccolte fosse più esteso della raccolta dei ‘detti di Democrate’, in quanto questa omette un passo che doveva trovarsi in quell’originale. (Cfr. Gerlach, op. cit., pp. 92-93.) Anche nel caso dei ‘detti di Democrate’ nr. 63 (= DEI 159) e 67 (= DEI 161), riguardanti gli amici, è plausibile ritenere che appartengano ad un gruppo che includeva DEI 160 sullo stesso argomento (cfr. Gerlach, pp. 96-97 e anche infra, XVI per questa illustrazione).
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selezionate (per esempio il tema della fortuna, quello della paura della morte, certi temi aventi a che fare con la politica, e lo stesso motivo del ‘buon animo’). Poiché dunque la raccolta dei ‘detti di Democrate’ deve costituire una selezione rispetto alla raccolta che ne costituiva la fonte, si può concludere che deve essere esistito uno gnomologium Democriti (ovvero un Democratis vetus, come lo chiama Laue) dal quale dipendono in modo diretto la raccolta citata, e, in modo indiretto, la raccolta di Stobeo e la raccolta DEI. (Vedi specchietto in Gerlach, op. cit., p. 91.) C’è infine da domandarsi se le sentenze appartenenti alla raccolta dei ‘detti di Democrate’ siano organizzate secondo un qualche criterio. È abbastanza evidente che non viene seguita in alcun modo una organizzazione tematica, perché i temi che vengono toccati non seguono alcun ordine e perché lo stesso tema può essere toccato da sentenze distanti l’una dall’altra. Gerlach, in op. cit., seguendo un’indicazione di Nietzsche e di altri studiosi, ma non fatta valere specificamente per la nostra raccolta, suggerisce che chi ha messo insieme la raccolta lo ha fatto operando degli accostamenti a livello verbale o linguistico: per esempio nel caso di Democrate 29 (= 170.2) e Democrate 30 (= 170.3) c’è il motivo comune del sapere molte cose (polumathees in 29, polumathie in 30) e dell’avere intelligenza (noun echein in 29, polunoie in 30) oppure nel caso di Democrate 54 (= 174.3), 55 (= 160.2) e 56 (= 182.5) c’è la ricorrenza della parola ‘nemico’ od ‘ostile’ (echthros) ovvero ‘ostilità’ (echthre) (cfr. pp. 39-46). Talvolta questi accostamenti riguardano anche un tema comune, ma spesso sono del tutto estrinseci. Ovviamente una traduzione in altra lingua di questi passi non permette, il più delle volte, di evidenziare accostamenti verbali che sono sufficientemente chiari nell’originale greco, sicché non c’era ragione di allontanarsi dall’ordinamento di tipo contenutistico che è stato seguito nella presente raccolta. E’ però opportuno, quando sarà resa disponibile l’edizione dei testi originali, provvedere anche a presentare i passi nell’ordine che è proprio della raccolta cui appartengono. (X) Le altre raccolte di detti democritei (accanto a quella di Stobeo e ai 'detti di Democrate'). È opportuno dare uno sguardo alle altre raccolte che contengono citazioni di passi attribuiti espressamente a Democrito (la discussione è inevitabilmente piuttosto lunga e complessa). La raccolta di Stobeo è essa stessa una delle fonti di raccolte bizantine risalenti ai secoli IX, X e XI, dunque ad essa successive, le quali hanno interesse per la ricostruzione dell’etica democritea 21 . Come altra raccolta che è essa stessa una fonte di queste altre raccolte vanno menzionati gli Hiera, meglio conosciuti come Sacra parallela, di Giovanni Damasceno. Si tratta di una raccolta che, pur essendo centrata su detti tratti da testi ritenuti sacri, include alcuni detti tratti da testi profani 22 : il totale dei passi attribuiti o attribuibili a Democrito è modesto. Da menzionare accanto ad essa è il cosiddetto Corpus Parisinum profanum (talvolta chiamato anche Florilegium Parisinum, riportato nel Cod. Paris. gr. 1168), cioè una raccolta piuttosto composita che 21
Un quadro complessivo ampio e aggiornato è quello fornito da M. Richard, art. Florilèges spirituels, sez. III: Florilèges grecs, in Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique. Doctrine et histoire, tome V, Paris 1964, pp. 475-512; il quadro più recente è quello offerto da S. Ihm nell’introduzione alla sua edizione di Ps.-Massimo (Ps.-Maximus Confessor. Erste kritische Edition …, cfr. bibl.), pp. III-XVII. 22 Una edizione di Excerpta di detti profani tratti da questi Sacra parallela è fornita (sulla base di un manoscritto fiorentino) da August Meineke come appendice a Joannis Stobaei florilegium, vol. IV, Leipzig 1857, pp. 145-246. L’edizione più completa di quest’opera è inclusa nei voll. 95 e 96, coll. 10701588 e coll. 9-442, della Patrologia Graeca curata da J.P. Migne (Parigi 1860).
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include una sezione di Massime di Democrito (Dhmokr…tou gnîmai), insieme ad altre massime o sentenze di vari autori includenti alcune a lui attribuite espressamente e altre a lui attribuibili per coincidenza con massime presenti in altre raccolte (per un totale di 60 frammenti). 23 Queste Massime di Democrito (42 frammenti nell’ed. Elter, che sono ridotti a 41 da Sternbach), insieme alle altre, sono riportate nell’edizione di Diels e Kranz sotto B 302, come parte dei frammenti trattati come spuri 24 . Una raccolta di sentenze che appaiono espressamente sotto il nome di Democrito è appunto quella ora menzionata. Un’altra raccolta, che è peculiare perché, pur essendo tematica, offre una scelta di passi di tre autori, cioè Democrito, Isocrate ed Epitteto (in greco alla raccolta sono dati titoli come ™k tîn Dhmokr…tou kaˆ 'Isokr£touj kaˆ /Epikt»tou), senza precisare a chi dei tre appartiene ciascun singolo passo, è quella denominata Gnomologium Byzantinum, quando non venga denominata con la sigla DEI 25 . Alcune delle successive raccolte bizantine (citate nel seguito) includono passi che vengono fatti risalire a quei tre autori e che quindi debbono provenire da questa raccolta. Quanto alle altre principali raccolte bizantine, vanno citate due ampie raccolte sacroprofane, che sono simili perché sono a tema e includono passi attribuiti espressamente a Democrito, e cioè quella dei Loci communes attribuita a Massimo il Confessore e la Melissa di Antonio Monaco 26 . Si tratta di raccolte che hanno delle affinità con quella di 23
Uso la denominazione corrente Corpus Parisinum profanum, con la sigla CPP, che pare assumere che la parte ‘profana’ delle sentenze sia da tenersi ben distinta da quella ‘sacra’. Tuttavia Gerlach, in op. cit., preferisce usare la denominazione Corpus Parisinum perché ritiene (come vedremo) che la raccolta sia il risultato di due redazioni distinte e che nella sua prima redazione fosse intesa essere una raccolta sacroprofana. (Rispetto a quanto precisato nella nota seguente va tenuto presente che una nuova edizione delle sentenze attribuite a Democrito, da me non più potuta utilizzare, è inclusa nel libro di Gerlach.) 24 Per i passi del Corpus Parisinum profanum Diels si basa su di un’edizione di A. Elter che non è stata mai pubblicata, presumo perché non portata a compimento, ma in vari casi si limita a registrare le equivalenze con Stobeo e con la raccolta di ‘Democrate’, senza evidenziare le differenze nel testo, sicché la sua edizione è inadeguata per questo motivo e perché non riporta tutti i passi che Wachsmuth e Hense, nell’apparato alla loro edizione di Stobeo, citano come riportanti il lemma “Democrito” (p. es. CPP 812 = Stob. IV 1, 33 = B 248 = 155.1). Va anche segnalato il fatto che l’equivalenza 201 Elter (= 199 Stern.) e B 246 DK è erronea: riguarda invece B 245 (= mio 155.2). Luria a sua volta dichiara (nell’indice delle fonti e delle abbreviazioni) di basarsi sull’edizione di Elter, ma non pare averne avuto cognizione diretta. Per parte mia mi sono basato sull’edizione di L. Sternbach, nei suoi Excerpta parisina apparsi a Krakowia nel 1894, che riporta le Massime di Democrito come sez. VI. Questa tuttavia non include i passi numerati da 329 in poi, sicché per questi mi sono basato sull’edizione del Diels. C’è una discrepanza anche nella numerazione usata - Elter e Diels iniziano con 163, Sternbach con 162 -, e il passo isocrateo 176 [= DEI 87] in Diels non compare in Sternbach.) 25 Questa raccolta non ci è pervenuta nella sua forma originaria ma è stata messa insieme da C. Wachsmuth nei suoi Studien zu den griechischen Florilegien, Berlin 1882, pp. 162-216, sulla base di 5 gnomologi pervenutici, che sono il Florilegio palatino (sempre edito da C. Wachsmuth, cfr. De gnomologio Palatino inedito, in Satura Philologica Hermanno Sauppio obtulit amicorum conlegarum decas, Berlin 1879, pp. 7-42), il cosiddetto Gnomologium Baroccianum (edito da Bywater, cfr. bibl.), il Corpus Parisinum profanum (sul quale più oltre), il Florilegium Leidense e il Florilegium monacense. (Il secondo di questi gnomologi va tenuto distinto dal Florilegium Baroccianum, denominato anche Melissa Augustana, che è una raccolta comparabile a quelle attribuite a Massimo e ad Antonio; è rimasta inedita, sicché non la prendo in considerazione.) Va osservato che l’edizione del Wachsmuth non è esente da difetti, anche a prescindere dalle omissioni (alcune sono registrate da Diels, p. 223) e da una base documentaria inadeguata (ci sono vari altri MSS da considerare). In particolare, essa non evidenzia le differenze che ci sono, per esempio riguardo all’ordine dei passi, nelle varie fonti cui attinge (cfr. Gerlach, Gnomica Democritea, cit., pp. 111-12). 26 Per questa seconda raccolta, successiva a quella di Massimo, non c’è la stessa varietà di codici, sicché ci si può rifare all’edizione del Combefis ristampata in Migne, vol. 136.
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Stobeo, per il carattere di florilegi che esse presentano. La raccolta attribuita (falsamente) a Massimo è quella che ha avuto la maggior diffusione (come è mostrato dal grande numero di manoscritti, circa 100, in cui è preservata) e presenta tre redazioni principali, una meno ampia e includente soprattutto sentenze brevi (MaxI), un’altra più ampia e includente estratti di una certa ampiezza provenienti soprattutto da autori relativamente tardi come Plutarco (MaxII), ed una terza versione che costituisce in effetti una variante della seconda per certi cambiamenti che presenta come un mutato ordine dei capitoli (MaxU) 27 . Affine a queste due raccolte, perché presumibilmente hanno tutte come loro fonte una più ampia raccolta andata perduta 28 , è una raccolta denominata a volte Gnomologium Palatinum e a volte Gnomica Basileensia 29 . Ci sono altre raccolte ancora della stessa famiglia che si potrebbero citare, come il Florilegium Laurentianum e la Melissa Augustana, che tuttavia sono rimaste inedite. Rappresentano un’altra famiglia, anche perché si tratta di florilegi alfabetici (non tematici), quello denominato dallo Schenkl (dalla sua prima ecloga) Florilegium /[Ariston kaˆ prîton m£qhma 30 , quello denominato correntemente Georgidae Gnomologium e lo Gnomologium Parisinum, basato sul Cod. Par. suppl. gr. 134 31 – ma il terzo di questi include solo un numero insignificante di passi attribuiti a Democrito. Infine va menzionata una raccolta, non facilmente collocabile, di massime di più autori, filosofi e non filosofi, che includono Democrito 32 . Al riguardo delle Massime di Democrito incluse nel Corpus Parisinum profanum Diels esprime il giudizio che esse ‘mancano di ogni sicurezza’, estendendolo palesemente ai “Democritea” di Massimo, che sono detti derivare da tale raccolta; lo stesso giudizio poi è applicato anche allo Gnomologium Byzantinum, appunto perché si tratta di una raccolta indiscriminata di massime (o sentenze) che sono dichiarate provenire da Democrito, Epitteto e Isocrate. Il giudizio così limitativo di Diels si è imposto negli studi, anche se Luria, nella sua raccolta, non si attiene ad esso, ma include una selezione di passi derivanti da tali raccolte, senza però che siano chiari i criteri di scelta da lui adottati. Il giudizio del Diels non viene da lui giustificato espressamente ma pare basarsi su di uno più articolato del Natorp in Die Ethika des Demokritos, il quale tiene conto di uno
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In mancanza di un’edizione completa cui rifarsi tengo presenti: l’edizione del Combefis ristampata in Migne, vol. 91, che si basa su più di un codice (compreso qualcuno andato perduto), senza fare discriminazioni e con qualche integrazione da altre fonti; la recente edizione (sotto forma di dissertazione) di M.B. Phillips, che si basa su di un unico codice da ella collazionato riguardante la redazione MaxII; la recentissima edizione di S. Ihm che si basa su tutti i codici di MaxU (cfr. bibl.). (Le abbreviazioni convenzionali per le tre redazioni sono tratte da quest’ultimo lavoro.) 28 E’ quanto viene suggerito da C. Wachsmuth nei suoi Studien zu den Griechischen Florilegien, Berlin 1882, pp. 90 sgg. 29 Questa raccolta è stata edita recentemente da J.F. Kindstrand sotto la seconda denominazione. 30 Si veda la sua edizione in “Wiener Studien” vol. XI (cfr. bibl.). 31 Quest’ultimo è stato edito da L. Sternbach, col titolo Gnomologium Parisinum ineditum, nel vol. che include gli Excerpta Parisina, pp. 135-171 (cfr. più oltre e bibl.); quello di Georgida è stato edito da P. Odorico, Il prato e l’ape (cfr. bibl.). Di un altro gnomologio ancora, il Florilegium Laurentianum, non esiste nessuna edizione, ma esso pare dipendere largamente dalla raccolta di Ps.-Massimo. 32 E’ quella che viene denominata, dal suo curatore ten Brink, Anecdota Epicharmi, Democriti, ceterorum in Sylloge Sententiarum Leidensi (cfr. bibl.).
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studio di H. Schenkl 33 e di comunicazioni epistolari di A. Elter riportanti i risultati delle sue ricerche riguardo ai rapporti fra il Corpus Parisinum profanum e gli gnomologi di Massimo e di Antonio. (Elter conferma questa valutazione nell’introduzione alla sua raccolta di Gnomika homoeomata. La stessa posizione è espressa da Lortzing in Ueber die ethischen Fragmente Demokrits, Berlin 1873.) Da questi lavori risulterebbe che questi altri florilegi dipendono da una raccolta unica, che è rappresentata nel modo più pieno dal citato CPP. Quanto ai passi raccolti in quest’ultimo (da lui chiamato Gnomologium Parisinum), Natorp esprime un giudizio negativo, perché esso, pur includendo dei passi che compaiono anche nella raccolta di Stobeo, presenta assai più affinità (viel näher verwandt) con lo Gnomologium Byzantinum ovvero con DEI (cfr. p. 60). E su quest’ultima raccolta non si può fare affidamento, perché, oltre ad essere una gemischte Sammlung, non si limita a quei tre autori, ma include diversa sapienza pitagorica, fino ad esserne marcata nel suo carattere complessivo (cfr. p. 59). Quanto Natorp dichiara circa i rapporti fra il CPP e gli gnomologi di Massimo e di Antonio ha bisogno di qualche precisazione, che qui avanzo potendomi basare solo sullo studio di Schenkl, il cui principale interesse per queste fonti era in vista della raccolta di frammenti di Epitteto e di Moschione inclusa nella sua edizione di Epitteto 34 . (Si veda ora il contributo, riguardante direttamente la tradizione democritea, del Gerlach in Gnomica Democritea, sul quale mi soffermo infra, supplemento XVII.) Tuttavia la sua conclusione 35 è confermata dal semplice confronto fra i passi democritei inclusi nella raccolta di Massimo – ho controllato la versione più ampia edita dalla Phillips36 – e quelli inclusi nell’altra raccolta: per la maggior parte coincidono, ma la raccolta di Massimo è più ampia. (Si nota anche che, quando un frammento presenta delle varianti testuali, Massimo e Antonio presentano un testo più prossimo alla raccolta parigina che a quella di Stobeo.) Quanto si deve ammettere è che questi gnomologi dipendono, in prevalenza (in quanto dipendono da altre raccolte ancora), da una raccolta che probabilmente era alquanto più comprensiva di quella rappresentata dal CPP 37 , e inoltre tengono conto, in misura più limitata, della raccolta di Stobeo in una versione più completa di quella che ci è pervenuta. Quanto alla raccolta parigina, questa (come risulta in questo caso dalle ricerche di Wachsmuth) 38 dipende in parte da Stobeo, in parte dallo Gnomologium Byzantinum, in parte da altre raccolte ancora di cui non abbiamo conoscenza diretta (con l’eccezione di quella, poco ricca di sentenze profane, di Giovanni Damasceno). Se, dunque, il giudizio negativo di Natorp riguardo al Corpus Parisinum profanum fosse pienamente giustificato, avrebbe applicazione solo parziale per le raccolte successive, dato che queste non dipendono unicamente da questa raccolta. 39 Al 33
Die epiktetischen Fragmente. Eine Untersuchung zur Ueberlieferungsgeschichte der griechischen Florilegien, in “Sitzungsberichte der Wiener Akad. der Wiss.”, Philos.-hist. Kl., Bd. CXV, 1888, pp. 443546. 34 Cfr. la Bibliogr., sez. 5. 35 Che è esposta a pp. 507-509 del suo art. ed è suggerita non solo dalla presenza di numerose coincidenze nei contenuti, ma dalla ricorrenza di certi errori e dal fatto che viene adottata la stessa sequenza nell’ordinare gli autori citati. 36 Cfr. la Bibliogr., sez. 2. 37 Su questo punto si veda anche Ihm, Introd. a op. cit., p. XVIII e n. 19. 38 Per precisazioni, sulla base delle ricerche recenti del Gerlach, si veda infra, supplemento (XVII). 39 La tesi della dipendenza (e in modo diretto) della raccolta attribuita a Massimo dal Corpus Parisinum ha trovato comunque una conferma da parte del Gerlach, che dedica il cap. IV dell’op. cit. alla questione.
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proposito pare significativo che negli gnomologi di Massimo e Antonio sia citato come democriteo un passo che viene citato in modo indipendente, sempre attribuendolo a Democrito, da Plutarco (cfr. 153.1.2-3 e 153.1 con 153.1.1). Pare infatti difficile sostenere (com’è stato fatto da Lortzing, op. cit., p. 16) che è stato proprio Plutarco a costituire la fonte del passo per queste raccolte, perché si tratterebbe di un caso del tutto eccezionale (si veda anche quanto osserva Luria nel suo commento ad 728). Il giudizio negativo di Natorp riguardo quell’altra raccolta non può comunque essere accettato. Non si può squalificare la raccolta parigina per l’affinità che essa presenta con lo Gnomologium Byzantinum, in quanto questa è abbastanza relativa (considerando solo le Massime di Democrito, abbiamo che 22 su 42 coincidono). 40 Va anche osservato che l’autore di questa raccolta dedica una sezione distinta alle sentenze provenienti dallo Gnomologium Byzantinum 41 , tralasciando in questa parte le sentenze da lui già citate nelle sezioni precedenti, sicché è probabile che egli non utilizzi tale gnomologio in quelle sezioni. 42 C’è indubbiamente il motivo di riserva che alcuni passi (in effetti 2) della raccolta sono pitagorici e altri appartengono ad altri autori (CPP 166 ad Eschine, 171 e 175 ad Isocrate, mentre 186 viene attribuito a più di un autore), ma questo non può essere usato, cumulativamente, come un motivo del tutto indipendente di riserva, dato che alcuni di questi passi coincidono con passi dello Gnomologium Byzantinum (esattamente 3 su 5). Natorp aggiunge a questi passi quelli del genere ‘similitudini’ (homoeomata), dei quali se ne possono individuare almeno cinque fra le Massime di Democrito, giudicandoli non autentici per questo fatto stesso, ma non vedo perché si debba farlo (vedremo che la stessa riserva viene fatta valere da Gerlach). Probabilmente li giudica alla stregua di detti popolari, quasi proverbiali, di larga diffusione che possono risalire ad un autore qualsiasi, ma di questo tenore sono anche diversi dei passi che sono riscontrabili sia in Stobeo che in Democrate. Può essere che, alle volte (come suggeriscono certe semplificazioni che si notano in Democrate, ad esempio nel caso di Democrate 45 [= 152.5] rispetto a Stobeo IV 39, 25 [= 152.1], e di Democrate 50 [= 159.3] rispetto a Stobeo IV 5, 46 [= 159.1]), passi democritei più complessi fossero stati ridotti in modo da essere facilmente citabili, ma può anche essere che lo stesso Democrito avesse il gusto di proporre detti di questo tipo. Usare certi passi di Stobeo di notevole complessità come indicativi dello stile democriteo in generale può essere per l’appunto una generalizzazione indebita, di fronte ad una produzione che pare essere stata piuttosto ampia e varia. La banalità di certi detti, come non può portare a dubitare dell’intera documentazione circa l’etica democritea, non può neppure portare a dubitare di una parte al suo interno, che ci è pervenuta per le stesse vie del resto. Come facciamo ad escludere che Democrito amasse la banalità – si dovrebbe dire, più precisamente, la saggezza tradizionale – nel campo della moralità umana? (La questione richiederebbe un approfondimento, comportante anche uno studio del linguaggio che viene usato nelle sentenze, in quanto ciò ha interesse anche dal punto di vista della questione di autenticità. Di nuovo, però, l’uso in certi passi di un linguaggio più tipico di un periodo successivo a Democrito potrebbe solo mostrare che le sentenze sono state manipolate 40
Si veda ora lo specchietto offerto da Gerlach, op. cit., pp. 271-73. Questo rappresenta uno degli gnomologi dei quali Wachsmuth si è servito per costituire la sua edizione. (Le sentenze che sono presentate dichiaratamente come appartenenti alla raccolta DEI sono numerate 768-864 nell’ed. Elter. Gerlach se ne occupa in op. cit., pp. 298 sgg.) 42 Questa mia conclusione, come vedremo in supplemento XVII, viene smentita da Gerlach. 41
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anche nel senso di essere state riscritte in un linguaggio più “attuale” di quello usato dall’autore.) Ci sono altre considerazioni da far valere. In primo luogo, una cosa è ammettere che lo Gnomologium Byzantinum, così come noi lo conosciamo, e col quale questo in parte coincide, non ha attendibilità come fonte indipendente, altra cosa è sostenere che la sua utilizzazione inficia totalmente ogni raccolta che ha delle coincidenze con esso. Non ha attendibilità come fonte indipendente, appunto perché di solito non tiene distinti i passi attribuibili ai tre autori ai quali dichiaratamente attinge e perché include passi che non appartengono a nessuno dei tre. Ma è palese, sia nel caso di Democrito (ci sono varie coincidenze con la raccolta di Stobeo) sia nel caso degli altri due autori, che la raccolta include passi genuini, sicché l’ulteriore affermazione di Natorp, che essa ha un carattere generalmente pitagorico, anche ammesso che abbia un fondamento, non ha rilevanza per la questione della genuinità dei singoli passi. In secondo luogo non è detto che il nostro Gnomologium Byzantinum, che è in qualche modo il risultato di una ricostruzione, sia lo specchio esatto della fonte su cui si basa il CPP, vale a dire che quella raccolta a noi ignota nella sua forma originale presentasse le stesse limitazioni (a cominciare dall’indistinzione dei passi attribuibili ai tre autori) che è presentata da questa. Ad adottare la posizione di Natorp si è costretti ad ammettere che, ad un certo stadio, ci fu qualcuno che volle mettere insieme una nuova raccolta di massime a partire da una raccolta sul tipo del nostro Gnomologium Byzantinum e decise del tutto arbitrariamente di attribuire certune di queste massime a Democrito, altre ad altri autori (per di più raccogliendone la maggior parte in un’unica sezione nella raccolta CPP, mentre questo non avviene nelle raccolte successive). È più plausibile supporre che egli si trovasse di fronte ad una raccolta che conteneva questo tipo di informazione. 43 È strano, altrimenti, che egli non abbia portato a fondo quel suo lavoro di separazione dei passi, perché in queste raccolte (a cominciare dal CPP) alcuni passi continuano ad essere riportati con l’indicazione che essi provengono da una raccolta riguardante Democrito, Isocrate ed Epitteto (ovvero con indicazioni simili). Indubbiamente c’è da domandarsi come mai l’indicazione delle fonte specifica di una certa massima sia andata perduta per una parte o per tutte queste massime (per una parte nelle raccolte ora citate, per tutte nel caso dello Gnomologium Byzantinum), ma, quale che sia la spiegazione che si dia del fatto, è più probabile che un’informazione prima addotta sia stata omessa piuttosto che ci sia stata l’aggiunta di informazioni in modo del tutto arbitrario. Una conferma di quanto sto suggerendo ci sarebbe se si presentassero delle significative coincidenze fra CPP (per i passi non risultanti in Stobeo) e la serie di gnomologi alfabetici che includono il Georgida, perché questi (come viene sostenuto sia da Schenkl sia da Odorico) appartengono ad una tradizione differente da quella costituita dalla famiglia di gnomologi cui appartengono quelli attribuiti a Massimo e ad Antonio, anche se ci sono state delle influenze, ma influenze reciproche. Purtroppo le coincidenze sono scarse e si applicano a massime senza lemma, sicché non c’è una conferma ma, d’altra parte, neppure una smentita. Nel complesso il fatto che noi abbiamo delle informazioni sulla fonte (o sulle fonti) del Corpus Parisinum profanum e invece nessuna sulla fonte della raccolta Massime di 43
Questo è un altro punto sul quale Gerlach, come vedremo, arriva ad una conclusione differente dalla mia.
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Democrate porta gli studiosi ad essere severi con la prima raccolta, come se quelle informazioni ci dessero il quadro completo della situazione, e invece ad essere benevoli con la seconda raccolta, come se la nostra non conoscenza di dati negativi riguardante questa fosse una garanzia di sicurezza. In realtà l’unico dato veramente sicuro circa le due raccolte, cioè le coincidenze con la raccolta di Stobeo, le mettono sostanzialmente sullo stesso piano. Infatti anche il Corpus Parisinum profanum, come già osservato, presenta una parte significativa di passi che coincidono con quelli democritei della raccolta di Stobeo (nel caso delle 42 ‘massime democritee’, 15 presentano tale coincidenza 44 ; quanto alle rimanenti, anche a prescindere dal gruppo da 563 a 595 che risulta coincidere dichiaratamente con Stobeo, 7 su 12 coincidono con Stobeo e, in 4 casi, anche con Democrate, un’altra coincide con Democrate), con una proporzione di oltre 1/3 che agli occhi di Natorp rende del tutto legittimo il ricorso alla raccolta delle ‘massime di Democrate’. È plausibile ritenere che una serie di passi inclusi nella raccolta parigina e risultanti non coincidere con quanto troviamo nell’opera di Stobeo così come ci è rimasta dipendano comunque da Stobeo o da qualche raccolta che potrebbe essere di pari attendibilità di quella di Stobeo. Ovviamente ci saranno in questa raccolta anche dei passi che non sono genuini (oltre a quelli riconosciuti come tali dagli studiosi), perché sarebbe troppo ottimistico ritenere che solo quelli che presentano coincidenze con quanto è incluso nello Gnomologium Byzantinum siano soggetti a dubbio. E lo stesso discorso va esteso alle altre raccolte, che dipendono in larga misura dalla raccolta rappresentata dal Corpus Parisinum profanum. Ma, per converso, ci possono essere dei casi in cui le citazioni o le attribuzioni presenti in queste altre raccolte sono più attendibili di quelle della raccolta di Stobeo così come ci è pervenuta, perché questa può presentare degli errori che non erano tutti presenti nelle altre versioni di Stobeo o nelle altre raccolte cui queste hanno attinto. (Per esempio le massime Stob. III 1, 45 con Democrate 13 [= B 47 = 156.3] sull’ubbidienza a chi è superiore, e Stob. IV 23, 39 con Democrate 78 [= B 111 = 180.3] sul farsi comandare da una donna, che hanno altre attribuzioni nelle raccolte tarde, sono luoghi comuni tali che possono essere state enunciate quasi da qualunque autore antico.) È palese che permangono delle incertezze circa i rapporti che ci sono fra queste raccolte e circa il modo di lavorare dei loro autori e che queste incertezze rendono difficile l’impiego del materiale che forniscono. Solo nuove ricerche riguardanti gli gnomologi che si basino su edizioni più complete e soddisfacenti degli stessi (buona parte di questi lavori risalgono al secolo diciannovesimo, ma l’edizione di Massimo inclusa nella Patrologia graeca curata da Migne va ben più addietro nel tempo) possono portare a maggiore chiarezza in questo campo, e così servire da base per un’edizione abbastanza attendibile dei frammenti etici di Democrito. Nella situazione attuale la via più saggia mi è parsa quella di adottare la seguente soluzione di prudente compromesso: riporto (come in DK e in Luria) tutti i passi appartenenti alla raccolta di Stobeo e a quella delle ‘Massime di Democrate’ (salvo alcuni particolarmente dubbi, registrati nel ragguaglio), ma indicando anche (tuttavia solo nell’edizione dei testi originali) le altre raccolte in cui ricorrono e il lemma che le accompagna (indicazioni più sommarie sono offerte nelle note alla traduzione); riporto inoltre una scelta di passi tratti (con rare
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Si veda di nuovo lo specchietto offerto da Gerlach, op. cit., pp. 271-73.
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eccezioni 45 ) esclusivamente dalla raccolta di Massime di Democrito nel Corpus Parisinum profanum, usando come criteri per accoglierli quello della loro presenza in un numero relativamente ampio di raccolte e quello di una certa frequenza nel presentare il lemma ‘Democrito’ (direttamente o nelle massime immediatamente precedenti), oltre ad una mia personale sensazione che il passo possa essere democriteo. I passi che sono accolti a questo modo sono solo una dozzina e, anche per il loro contenuto, non sono tali da fare molta differenza per l’interpretazione dell’etica democritea, ma è parso opportuno, almeno dal punto di vista del metodo filologico, operare questa correzione rispetto alle edizioni precedenti. (XI) L'elefantiasi malattia non nota al tempo di Democrito. Democrito sicuramente non poteva avere scritto qualcosa sull’elefantiasi anche perché la malattia, come attesta Plutarco, non era nota al suo tempo. Lo scrittore dedica un passo delle sue Quaestiones convivales alla questione ‘se è possibile che si costituiscano nuove malattie e per quali cause’ (cfr. VIII 9, 731A-B) 46 . Egli si richiama alla dichiarazione di uno dei partecipanti alla discussione, cioè il medico Filone, per la quale quella dell’elefantiasi era una malattia conosciuta da non molto tempo, dato che nessuno dei medici antichi ne aveva parlato, nonostante la loro minuziosità in altre questioni. Plutarco stesso cita a conferma il parere di un certo Atenodoro (altrimenti ignoto), autore di un’opera sulle “epidemie”, che nel primo libro di quest’opera aveva riportato che l’elefantiasi e l’idrofobia avevano fatto la loro prima apparizione al tempo di Asclepiade (dunque nel primo secolo avanti Cristo). Questo è in accordo con l’attribuzione, da parte di Celio Aureliano, del primo trattato sull’argomento ad un allievo di Asclepiade, Temisone 47 . Come si può vedere, la novità presentata dall’elefantiasi è estesa all’idrofobia solo da Atenodoro 48 , sicché non c’è sufficiente ragione per escludere che Democrito si fosse occupato di quest’altra malattia, come attesta appunto Celio Aureliano, senza dire che egli l’aveva denominata a questo modo. In effetti questo autore è più esplicito nel suggerire che Democrito si era occupato dell’emprosthotonus e dell’opisthotonus, ma, dato che anche gli idrofobici sono afflitti da spasmi, probabilmente non veniva fatta fin dall’inizio una chiara distinzione fra tutte queste afflizioni.
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Una eccezione sta nei passi di Massimo e di Antonio che sono semplici varianti rispetto a quanto testimoniato da Plutarco (cfr. 153.1.2-3); un’altra sta nel passo del Corpus Parisinum profanum riportato come 174.4: averlo accolto riflette una mia convinzione personale circa la sua democriticità. 46 Il passo di Plutarco è segnalato da Stückelberger in Vestigia Democritea, pp. 153-54, ora anche da Nutton, Ancient Medicine, Abingdon, 2004, p. 29 e n. 100. 47 Cfr. Tardarum passionum IV 1, 4 (= 0.6.14). Nutton, op. cit., n. 101 di p. 325, suppone che Celio citi (ivi, 1, 7) Arcagato come scopritore della malattia, ma questi viene citato per l’uso di un’applicazione che non specifica per la sua cura. Della provenienza della malattia dall’Egitto dice Lucrezio in De rerum natura VI, 1114-15. La malattia, così chiamata per l’ispessimento della pelle e per l’enfiarsi di parti del corpo come il viso, le mani e i piedi, secondo la descrizione che ne dà per esempio Celso in De medicina III 25, pare essere stata una forma di lebbra, cfr. Grmek cit. da P. Moraux, Galien de Pergame. Souvenirs d’un médecin, Paris 1985, p. 179.. 48 Invero anche l’anonimo cosiddetto ‘Parisinus Darembergii sive Fuchsii’, nel cap. 12 dedicato all’idrofobia, afferma genericamente che “gli antichi non avevano fatto menzione dell’affezione”; ma questo non può implicare che al loro tempo non ci si rendesse conto degli effetti del morso del cane rabbioso o, più generalmente, dell’esistenza di patologie comportanti spasmi.
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(XII) Sulla documentazione relativa all’alchimia Riguardo ai due passi sotto il nome di Democrito che ho ripreso (come il Diels nei Vorsokratiker) dal vol. II della Collection des anciens alchimistes grecs curata dal chimico francese M. Berthelot con la collaborazione del filologo C.-É. Ruelle, cioè 0.6.13 e 0.6.13.1, va tenuto presente che il primo di essi, cioè il testo denominato Physica et mystica, fa parte di una raccolta di testi che viene riprodotta, con alcune variazioni, in tre codici: Marcianus graecus 299 (= M), Parisinus graecus 2325 (= B) e Parisinus graecus 2327 (= A). Il secondo, intitolato Libro V di Democrito, compare esclusivamente nel terzo di questi codici (di seguito ad altro materiale), e questo fa pensare che sia un’aggiunta tarda, ovvero un apocrifo dell’apocrifo. Un sommario del contenuto di questi codici viene fornito da Robert Halleux, Indices Chemicorum Greacorum I, Introduction, p. X. Il titolo Physica et mystica compare in tutte e tre i codici, ma in M e A sono citati altri titoli, che tuttavia sembrano essere piuttosto dei sottotitoli per le parti dedicate alla fabbricazione dell’oro e dell’argento. (Per questo e altri dettagli si veda Matteo Martelli, “Eikasmos” XIV, 2003.) Negli stessi codd. compare il commento a nome di Sinesio (cfr. 0.6.11), del quale è dubbio che si tratti di Sinesio di Cirene: esso deve risalire alla metà del IV° sec. d.C., dato che è dedicato ad un certo Dioscoro, sacerdote del tempio di Serapis che fu distrutto dai cristiani nel 389. Quanto alla testimonianza di Sincello (cfr. 0.6.12), essa risale al IX° sec. d.C. (XIII) Sull'utilizzazione dei Geoponica Si potrebbe cercare di sostenere che, dato che è plausibile ritenere che circolasse nell'antichità del materiale, relativo alle previsioni del tempo, effettivamente risalente a Democrito, qualcosa di esso fosse stato accolto anche in una collezione come quella rappresentata dall’opera intitolata Geoponica. 49 Tuttavia, nel suo caso, la difficoltà che si presenta comunque di discriminare il materiale autentico da quello non autentico senza disporre di un qualche criterio per farlo con qualche plausibilità è aggravata dalla circostanza che i lemmi che sono introdotti nell’opera probabilmente non sono attendibili, come era stato rilevato da Oder in un suo studio 50 . L’opera in una sua prima redazione deve essere dovuta a Cassiano Basso, vissuto probabilmente nel sesto sec. d. C., il quale aveva attinto a raccolte analoghe alla sua. L’opera venne rielaborata nella metà del sec. X su ordine del re Costantino Porfirogenito, come mostra la dedica contenuta nel manoscritto principale. I lemmi probabilmente furono introdotti non a questo stadio (come sostiene Oder, su questo punto criticato da Pasquali), ma in uno stadio intermedio fra queste due redazioni. Che essi non fossero presenti al momento della redazione dell’opera da parte di Cassiano Basso è mostrato dal fatto che il nome dello stesso Basso, inoltre quelli di alcuni autori a lui successivi cronologicamente, sono inclusi in quei lemmi, nel primo caso di contro a quella che era la pratica normale nel redigere queste opere. Se questi lemmi dunque non potevano esserci al momento della prima redazione dell’opera, è probabile che anche tutti gli altri non ci fossero. Una conferma di questa conclusione (come rileva Pasquali, in Doxographica aus Basilius49
Questo è stato effettivamente sostenuto da David Sider, Demokritos on the Weather, in A. Laks e C. Louguet, cur., Qu’est-ce que la Philosophie Présocratique? Villeneuve d’Ascq 2002, pp. 287-302, specialm. 290 sgg. 50 Cfr. il citato Beiträge zur Geschichte der Landwirtschaft bei den Griechen, parte III (i suoi risultati sono riassunti e su alcuni punti criticati e corretti da G. Pasquali in Doxographica aus Basiliusscholien, 1910, pp. 212-215).
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scholien) è data dal fatto che la versione armena di una delle opere che debbono avere costituito la fonte di Cassiano Basso, cioè Anatolio, è priva di lemmi. Per tutte queste ragioni dunque ho rinunciato ad includere documentazione tratta dai Geoponica. (XIV) Sui Democritea di Luria La raccolta di Luria segue un ordinamento tematico, ma i testi non sono sempre raggruppati in modo soddisfacente. In effetti la documentazione che viene raccolta sotto ciascun titolo è spesso non molto omogenea, mentre, per converso, c'è documentazione affine che non viene presentata insieme. Per esempio egli associa i passi che introducono il motivo del buon animo (euthumie) ad altri riguardanti ricchezza e povertà, a partire dalla considerazione (suggerita dal titolo di questa sezione) che la dottrina dell’euthumie giova soprattutto ai poveri, ma è abbastanza evidente che la dottrina ha un valore più generale e che l’associazione è artificiosa. Un esempio del secondo difetto in particolare è dato dai testi da me raccolti al numero 47, che evidentemente sono omogenei, perché riguardano tutti la tendenza degli atomisti e anche di Platone o dei Pitagorici di riportare le sostanze (e in particolare i quattro elementi) dotate di proprietà come il caldo e il freddo a sostanze che sono prive di tali proprietà mentre sono dotate di figura (cioè di proprietà in qualche modo geometrizzabili). Alcuni di questi testi sono effettivamente messi insieme anche da Luria, al numero 171, ma altri (compreso un passo di Simplicio, In de caelo III 1, che contiene lo stesso richiamo a Teofrasto che troviamo in alcuni altri di quei passi) sono collocati altrove, senza rilevare la loro connessione con i precedenti. Un altro esempio è quello già fornito nell’Introduzione, del non avere rilevato la connessione fra Teofrasto, De sensibus §§ 60-61, e il suo De causis plantarum VI 1, 2 sgg. Gli esempi del primo difetto ovvero del primo modo di procedere sono relativamente frequenti, e qui mi limito ad alcuni di essi. Nel caso dei testi da lui raccolti sotto G.III sull'origine del linguaggio sono acclusi, al nr. 565, testi che riguardano la trasmissione meccanica dei suoni, anche se si applicano soprattutto alla voce; è anche dubbia l'opportunità di offrire sotto questo titolo una scelta di etimologie (ai numeri 567 e 567a). Nel caso dei testi sotto E.d.IV, riguardanti il senso del tatto, sono inseriti, al nr. 504, dei passi di Teofrasto che in precedenza erano stati inseriti al nr. 496, appartenente alla sezione sul gusto, e che in effetti riguardano il gusto e non il tatto (o riguardano il tatto in maniera generica, dato che tutti i sensi, come osservato da Aristotele, in qualche modo coinvolgono il senso del tatto). A parte difetti come questi, la raccolta ha un’impostazione che non trova il mio consenso perché presenta un Democrito fortemente matematizzante e anche per altri versi lontano dalle interpretazioni da me adottate. La scelta stessa dei passi da lui compiuta è influenzata da questa visione, perché include passi di Aristotele e di altri autori riguardanti (spesso con intento polemico) una forma di atomismo matematico, trascurando la possibilità che possano riferirsi a qualche altro pensatore, come Senocrate, oppure sviluppare una pura ipotesi (cfr. il cenno a pp. 78-79, con i passi 285, 286, 287a-c, oppure anche i passi raccolti sotto 125 a pp. 52-53). Egli ammette troppi passi nel caso dell’etica democritea (oltre a ripetere questi ed altri) e parte dalla convinzione, da me non condivisa, di una completa integrazione fra etica e fisica.
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(XV) Sull'opportunità del riportare le varianti presentate dalle testimonianze dossografiche Riportare le varianti che ci sono fra un autore ed un altro nel caso di testimonianze dossografiche che presumibilmente dipendono da una fonte comune come Aezio è opportuno, perché non tutte sono di ordine solo stilistico. In alcuni casi registrarle ci mette in grado di meglio valutare il significato e il peso della testimonianza stessa. Offro qualche esempio. 1) Delle testimonianze relative all'ammissione del caso come causa occulta, solo quella di Teodoreto menziona espressamente Democrito, cfr. 73.4, 73.4.1, 73.4.2, 73.4.3. In Diels e Kranz, sotto 68 A 70, c'è un richiamo ad "Aezio I 29.7" come riportato sotto 59 A 66, dove compare esclusivamente tale testimonianza. Ivi c'è pure un richiamo a Dox. Graeci p. 326, n., dove tuttavia questo stesso passo viene presentato dal Diels come una semplice variante di un passo (in Ps.-Plutarco e in Stobeo) che viene da lui fatto risalire ad Aezio, senza notare che Teodoreto sta citando il cinico Enomao di Gadara – citato anche da Eusebio (come viene rilevato correttamente in 62 Lu.) –, del quale è per lo meno dubbio che dipendesse da Aezio. 2) Una testimonianza di Teodoreto (= 5.2) e la voce atoma nel Lessico Suda (= 5.2.1), che sono omessi in DK, sono presentati come del tutto identici da Luria al No. 201; anche l'indicazione da lui fornita al No. 22 circa una quasi completa identità fra un altro passo di Teodoreto (= 70.2, omesso in DK) e uno di Aezio (= 70.1) non è corretta. In altri casi registrare le varianti ci permette di determinare l’estensione della testimonianza. A questo proposito, condivido il giudizio del Diels circa l'estensione del riferimento a Democrito in “Aezio IV 13, 1” (= 67 A 29 DK [= 117.4]), ma egli non riporta la documentazione che lo giustifica (cfr. mia nota al passo); invece è troppo esteso, come mostra sempre la documentazione completa (cfr. mia nota al passo), quanto Luria riporta della voce ¢nagka‹on nella Suda come test. No. 103 (= 70.4). In entrambe le raccolte viene riportato, come Aezio IV 13,1 (cfr. 67A29 DK e 469 Lu.), un brano tratto da Stobeo sulla vista, non solo tralasciando il passo parallelo di Ps.-Plutarco (che omette il nome di Leucippo), ma evitando di citare il passo parallelo di Ps-Galeno che rende evidente che la seconda parte del passo espone una teoria distinta, sicché la sua omissione è giustificata (cfr. 117.4-117.4.3, con la mia nota al primo passo). (XVI) Sui Vorsokratiker di Diels e Kranz Va tenuto presente che alcune delle limitazioni che sono presentate dalla raccolta dei testi dei Presocratici di Diels e Kranz dipendono dall’impostazione che inizialmente era stata data all’opera dal Diels e dal modo in cui essa si è evoluta (in successive edizioni, dalla prima del 1903 alla sesta e ultima, del 1952) per mano sua e poi per mano di Kranz (il quale inizialmente aveva curato solo gli indici, redigendo quello dei termini per la seconda edizione). Come risulta con sufficiente chiarezza dalla prefazione del Diels alla prima edizione, egli intendeva fornire uno strumento adeguato allo studio dei Presocratici nelle Università, ma non un’edizione propriamente scientifica dei loro testi, che non sarebbe stata possibile per la mancanza di edizioni critiche soddisfacenti nel caso di alcuni degli autori cui attingere come fonte. (Questa limitazione non è stata ancora del tutto superata, soprattutto riguardo i frammenti dell’etica di Democrito.) Le prime due edizioni in effetti neppure presentavano un apparato critico, che sarà introdotto a partire dalla terza (del 1912), che è l’ultima curata dallo stesso Diels. Di complemento ai tre volumi compare, nel 1922, un volume distinto di Nachträge (=
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aggiunte), che viene anche stampato come parte integrale della quarta edizione (che per ogni altro verso è una ristampa della terza). Questo volume include non solo precisazioni, aggiunte e modifiche, suggerite in parte dalla letteratura apparsa nel frattempo, ma anche osservazioni di altri studiosi suscitate dall’impiego dell’opera (in particolare sono incluse numerose osservazioni, quasi tutte di tipo filologico e migliorative del testo, dovute a Heinrich Gomperz e comunicate al Diels per lettera) e alcune note (riguardanti soprattutto il Democrito spurio) dovute a Max Wellmann. Parte di questo materiale (non tutto, si guardi bene) è integrato nell’opera principale dal Kranz nelle due edizioni successive, con una revisione anche del resto che in parte è opportuna (per esempio nell’aggiungere alcuni nuovi testi e nel recepire correzioni che, come è abbastanza evidente dal vol. dei Nachträge, avevano l’approvazione del Diels) in parte meno (ci sono cambiamenti nelle traduzioni che spesso sono solo verbali e ci sono cambiamenti anche nel testo che riflettono il giudizio personale del Kranz che non sempre il lettore è indotto a condividere o a ritenere preferibili rispetto alle proposte del Diels). Nel complesso gli interventi del Kranz sono tali che l’opera in qualche misura cambia di fisionomia (cosa che non è resa chiara dal modo in cui essa viene presentata dall’editore), sicché uno studio approfondito dei testi non può del tutto prescindere dalla terza (o quarta) edizione dovuta al Diels. (Si può aggiungere che questo studioso, nella sua prefazione alla quarta edizione, osservava che proprio il capitolo su Democrito avrebbe richiesto una revisione che non gli era stato possibile compiere, in modo tale che esso acquisisse anche “eine übersichtlichere Form”.) (XVII) Gli Gnomica Democritea Questo supplemento, non inizialmente previsto, è reso necessario dalla recente comparsa del libro di Gerlach con tale titolo (vedi bibl.). Questa pubblicazione è stata da me notata quando stavo completando la correzione delle bozze del presente volume, sicché ne posso tenere conto solo in questa sede, anche se essa impone qualche intervento nei frammenti etici (ciò riguarderà l’edizione degli stessi). Non posso qui dilungarmi in una presentazione complessiva del volume, nonostante la sua indubbia importanza anche per l’interpretazione complessiva dei frammenti etici. Mi limito ad osservare che Gerlach è incline a ritenere che raccolte di sentenze brevi come ‘i detti di Democrate’ (ovvero le sue ‘sentenze auree’) sono l’opera di autori tardi che le hanno ricavate da passi originali di Democrito che erano assai più lunghi, dunque esclude che l’Abderita fosse lui stesso l’autore di una raccolta di sentenze. (Questo è un punto che discuto nel seguito.) Inoltre egli dà poco credito alla tesi di Stewart circa una trasmissione di materiale etico democriteo nell’ambito della tradizione cinica, rilevando fra l’altro che gli accostamenti più frequenti nelle raccolte che ci sono rimaste sono con la tradizione pitagorica. 51 Riguardo in generale a raccolte come il Corpus Parisinum 52 egli rigetta, come ho fatto io, l’esclusione senza riserve della loro attendibilità che troviamo in Diels e in Natorp, pur ammettendo anche lui che solo in pochi casi si può arrivare ad una attribuzione abbastanza probabile di una certa sentenza a Democrito (vedasi supra, supplemento X). Tuttavia, nei dettagli, le sue conclusioni sono piuttosto differenti dalle mie, ed indubbiamente meglio fondate, perché, come è evidente, io non ho condotto 51 52
Si veda la sua discussione in op. cit., pp. 49-52. Così da lui denominato (vedi supra, n. 23).
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alcuna ricerca approfondita riguardo alla tradizione degli gnomologi. La sua ricerca tiene conto, fra l’altro, delle differenze di tradizione che si possono desumere da un esame di tutti i manoscritti che preservano un dato gnomologio, con la possibilità alle volte di identificare un gruppo originario ed aggiunte successive (questo vale, oltre che per il Corpus Parisinum, anche per la raccolta DEI). Un obbiettivo che viene perseguito è quello di chiarire il modo in cui ha operato l’autore (quando non si tratti di più autori) che ha messo insieme una data raccolta, a partire dall’ammissione che questi persegue qualche fine che può essere estraneo al primo autore dei passi così preservati. Vengono condotti dei confronti assai precisi e dettagliati fra le varie raccolte (anche con l’ausilio di specchietti) in modo da accertare, per quanto è possibile, la fonte di un dato gruppi di passi all’interno di uno gnomologio come il citato Corpus Parisinum. Su questa base, come mediante l’uso di tutta una serie di indizi, quali quelli linguistici, il Gerlach cerca di identificare quelle sentenze in tale raccolta che possono essere fatte risalire a Democrito. L’esposizione dei risultati di queste ricerche è accompagnata da un’edizione critica delle sentenze del Corpus Parisinum che si lasciano associare al nome di Democrito, per un totale di 90 passi. (Si lasciano così associare o perché sono effettivamente a suo nome, come tutto il gruppo delle Massime di Democrito, o perché compaiono sotto il suo nome in altre raccolte, o in base ad altri indizi per i quali qualche studioso è stato indotto ad attribuire una certa sentenza a Democrito. Cfr. op. cit., p. 410.) Le sue conclusioni riguardo alla possibilità di identificare sentenze genuinamente democritee nel Corpus Parisinum differiscono dalle mie perché egli non ritiene che la denominazione “massime di Democrito” fosse molto significativa agli occhi dell’autore della raccolta e lo inducesse ad escludere per quanto possibile sentenze associate al nome di altri autori. Non vale in ogni caso la considerazione che egli avrebbe dovuto evitare di usare il Gnomologium Byzantinum (DEI) così come ci è rimasto, cioè come una raccolta di massime di tre autori non tenuti separati, perché dedica una sezione distinta alle sentenze provenienti da tale raccolta. Gerlach infatti ritiene, sulla base di una serie di indizi (come quello dell’abbandono del criterio iniziale di una raccolta fatta solo per autori e non per temi o secondo altri criteri), che il Corpus Parisinum rispecchi due redazioni distinte, e che le sentenze provenienti dichiarata-mente dalla raccolta DEI appartengano alla seconda redazione, mentre le Massime di Democrito appartengono alla prima redazione. In ogni caso è provabile con sufficiente sicurezza che una parte di tali “massime” proviene effettivamente dalla raccolta DEI, sicché non si può assumere l’intento di escludere sentenze che non appartengono a Democrito. (In questo gruppo compaiono effettivamente sentenze di Isocrate e di altri autori.) Viene però contemplata la possibilità di identificare sentenze genuinamente democritee in altre parti della raccolta, come nella parte delle sentenze attribuite a Plutarco (non come loro autore esclusivo, ma in quanto egli avrebbe messo insieme sentenze almeno in gran parte non sue) oppure nella parte di raccolta di sentenze ordinate alfabeticamente (cioè quelle numerate 881-1107 nell’edizione Elter). Un esame approfondito del gruppo di sentenze che compaiono sotto il titolo Massime di Democrito mostra che, al contrario di quello che ci si può aspettare (e di quello che finora era stato dato per scontato dagli studiosi), non si tratta di una raccolta omogenea. Vanno distinti al suo interno quattro gruppi. Una parte iniziale è costituita da un gruppo di 5 sentenze (da 163 a 167 Elt.) 3 delle quali si trovano anche in Stobeo; una parte di
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mezzo, quella più ampia (da 168 a 190 Elt.), ha dei paralleli (con due eccezioni) nella raccolta DEI; una terza parte, intitolata “Varia” da Gerlach (da 191 a 198 Elt.), ha pochi paralleli; la parte finale (da 199 a 204 Elt.) ha dei paralleli (senza eccezioni) in Stobeo. Questa scarsa omogeneità delle sentenze del gruppo mostra dunque che è richiesta una trattazione differenziata delle stesse. (Per dettagli circa le sentenze da me accolte nella presente raccolta rispetto alla lista di sentenze da accogliere o da escludere che propone Gerlach vedasi sez. VII del Ragguaglio.) Dal momento che non c’è ragione per ritenere che siano intervenute più mani, il modo di procedere di chi ha messo insieme le Massime di Democrito è sconcertante e non facilmente spiegabile. Gerlach (in op. cit., p. 276) avanza la supposizione che costui, non essendo interessato a Democrito come autore, poteva usare un titolo con il suo nome come un’abbreviazione per un titolo del tipo “massime di Democrito, di Epitteto e di Isocrate”. Tuttavia questa ipotesi può servire al massimo come spiegazione della sua disponibilità ad attingere alla raccolta DEI. Il complesso delle Massime di Democrito, come abbiamo visto, non inizia con le sentenze proveniente da questa raccolta e nella sua parte finale attinge a sentenze che in altre raccolte sono espressamente attribuite a Democrito. Come anticipato, Gerlach è incline a ritenere che Democrito non fosse lui stesso un autore gnomico (vedi la questione da lui sollevata e discussa a p. 38 e sgg.: Democritus gnomologus?) perché ritiene probabile che tardi autori di raccolte gnomiche avessero spezzettato passi che combinavano enunciati che stavano insieme e perché ritiene pure probabile che nell’altro caso l’ordinamento adottato dallo stesso Democrito si sarebbe preservato nelle raccolte tarde. La prima tesi dipende dal successo che si ha nel ricostruire le combinazioni originali. Come illustrerò nel seguito, questo successo mi pare modesto. Maggior peso può avere la seconda tesi. Tuttavia non sappiamo quanti passaggi intermedi ci sono stati rispetto all’originale, e quali cambiamenti essi hanno comportato. Non è inconcepibile infatti che da una raccolta di passi di vari autori e ordinati per tema si sia desunta una raccolta di passi di un solo autore non più ordinati per tema. Questo di fatto si è verificato nel caso di quella parte delle Massime di Democrito incluse nel Corpus Parisinum profanum che sono state estrapolate dalla raccolta DEI. Ancora, non sappiamo com’era costituita la fonte originale, cioè l’opera o le opere di Democrito dalle quali derivano i passi. Ammettere che egli fosse in qualche modo un autore gnomico non ci obbliga a ritenere che avesse anche messo insieme una raccolta di massime. Certe massime avrebbero potuto essere incluse in opere contenenti anche parti di esposizione continua. Per fare un esempio moderno, le Pensées di Pascal vanno da sentenze di poche parole 53 a discorsi di una certa lunghezza. Quelle di Pascal erano s’intende delle note personali, e c’è da aspettarsi che Democrito avesse proceduto con più ordine, ma non è detto che il risultato fosse totalmente diverso. Concludo dunque che, se è del tutto manifesto che i tardi gnomologi che ci sono rimasti riflettono gli intenti dei loro autori e non quelli di Democrito come loro fonte ultima (per una parte o per l’intero), non si è obbligati a trarre la conseguenza che l’Abderita non può essere stato in alcun modo l’autore di massime o sentenze di tenore gnomico. Considero ora in dettaglio le proposte di Gerlach di ricostruzione delle combinazioni originali. In primo luogo la sentenza Democrate 63 (= 68 B 97 [= 179.3]) compare, oltre 53
Vedasi le seguenti pensèes, quasi democritee: “Diseur de bons mots, mouvais caractère.” (670); “Voulez-vous qu’on croie du bien de vous, n’en dites pas.” (671)
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che in Massimo e in DEI (come da me segnalato in nota), anche in CPP al nr. 79 Elt. (suo # 2), con la stessa aggiunta che è presente in quelle raccolte. Gerlach ritiene che anche la prima sentenza di questa serie plutarchea (CPP 78 = suo # 1) sia democritea, e la presenta come un nuovo frammento (op. cit., p. 431). Ciò è suggerito dalle corrispondenze che sono rilevate a p. 97 e dal montaggio che viene ivi offerto: (a) “Molti che sono ritenuti essere amici non lo sono {veramente}, e {molti che} non paiono esserlo lo sono.” (Democrate 63 = DEI 159 = CPP 79 [= 179.3]) (b) “Molti scelgono come amici non i migliori ma quelli che sono ricchi.” (DEI 160 = CPP 78) (c) “Molti evitano gli amici, quando {essi} passano (metapesosin) dall’abbondanza (euporie) alla povertà.” (Democrate 67 = DEI 161 = CPP 818 [= 179.2]) 54 Che ci sia un rapporto fra tutte queste sentenze, e che pertanto anche CPP 78 sia da attribuire a Democrito, è plausibile; ma che si tratti di passi appartenenti un unico discorso originale democriteo non mi pare tanto ovvio. Gerlach ritiene pure che a Democrate 67 (c) sia da accostare Democrate 68: (d) “In tutto bello è l'uguale, mentre l'eccesso e il difetto non mi pare {tale}.” Nel passaggio dall’abbondanza alla povertà ci sarebbe un passaggio da eccesso a difetto (cfr. sua discussione a pp. 565-66, inoltre a pp. 42-43, dove viene sottolineato l’uso dello stesso verbo metapiptein in rapporto ad eccesso e difetto all’inizio di B 191 [= 137.1]). Non sono persuaso, perché il greco euporie non suggerisce una condizione di eccesso che sia da evitare e perché il passo DEI 160 (= CPP 78) favorisce proprio quella che è l’interpretazione giudicata banale dal Gerlach di Democrate 67, cioè la non genuinità di un’amicizia dipendente dalla ricchezza. (Dello stesso tenore in effetti è manifestamente Democrate 72 [= 179.1].) Un’altra combinazione che viene proposta da Gerlach (op. cit., pp. 68-71) è la seguente: (a) “Coraggioso non è soltanto chi prevale sui nemici, ma chi prevale sui piaceri.” (b) “Ci sono di quelli che sono padroni delle città, ma schiavi delle donne.” (B 214 [= 143.2]) (c) “{Ma} essere comandato da una donna sarebbe l'offesa estrema per il coraggio virile.” (B 111 [= 180.3, ma adottando una correzione proposta dal Gerlach]) Anche questa combinazione non mi persuade, perché dubito che (a) e (b) vadano insieme, in quanto compaiono anche separatamente in Stobeo (vedasi mia n. 1113 ad 143.2) e in quanto (a) è più generale e non riguarda specificamente il coraggio virile. Una terza combinazione che viene proposta da Gerlach (op. cit., pp. 92-94) è la seguente: (a) “È conveniente per gli uomini tener conto dell'anima piuttosto che del corpo.” (DEI 25 = B 187, pars prior) (b) “In effetti la perfezione dell'anima rettifica la difettosità del corpo, mentre la forza del corpo senza la riflessione non rende l'anima in alcun modo migliore.” (Democrate 2 = B 36 [i due passi insieme in Stobeo III, 1, 27 = 134.3]) (c) “Colui che sceglie i beni dell'anima sceglie le cose più divine, colui che {sceglie} quelli del corpo {sceglie} le cose umane.” (Democrate 3 = DEI 26 = B 37 [= 134.1])
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Gerlach, op. cit., p. 565, n. 4, propone una traduzione differente del passo: “Molti scacciano gli amici, quando {essi, scil. i molti} passano dall’abbondanza alla povertà”.
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Nel complesso questa combinazione mi pare più persuasiva delle altre, ma c’è da riconoscere che, mentre (b) serve bene a giustificare (a), (c) può stare tranquillamente per conto proprio, cioè presenta solo un’affinità tematica con gli altri due passi. Va osservato infine che Gerlach, op. cit., pp. 72-73, si mostra incline ad ammettere che qualche sentenze democritea non presente nelle raccolte più note sia da reperirsi in un manoscritto di Patmos edito da Bertini Malgarini 55 in quanto alcune delle sentenze attribuite a Democrito coincidono con quelle ritenute autentiche perché reperibili in Stobeo o nella raccolta di ‘detti di Democrate’ e in quanto sono conformi allo stile di Democrito. Indubbiamente non si può escludere che qualcuna di queste (poche) sentenze sia autentica, ma, non essendo finora stata fatta chiarezza sul rapporto che questa raccolta ha con le altre, mi è parso più prudente evitare di accoglierle nel presente volume.
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Alessandra Bertini Malgarini, jArca…wn filosÒfwn gnîmai kaˆ ¢pofqšgmata in un manoscritto di Patmos, “Elenchos” 1984, fasc. 1, pp. 153-200 (182-83 per Democrito).
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PRESENTAZIONE DEI TESTI 1. La vita di Democrito (e di Leucippo) (parte biografica, sezioni A, B, C, D, E) Le informazioni biografiche su Leucippo sono estremamente scarse, limitandosi in effetti ai pochi cenni (non esenti da incertezze) in Diogene Laerzio (cfr. 0.1.1), perché è difficile dare credito alla testimonianza di Giamblico che fa di lui un discepolo di Pitagora (cfr. 0.1.3). C'è anche un riferimento di Epicuro a Leucippo, riportato sempre da Diogene Laerzio (cfr. 0.1.2), il cui valore e significato è molto controverso, perché può essere inteso (ed è stato inteso da alcuni studiosi) come l’affermazione che Leucippo non è mai esistito ma più probabilmente è da intendersi nel senso che egli (a giudizio dello stesso Epicuro) non era stato un vero filosofo. Per contro le testimonianze su Democrito sono abbondanti, ma sono spesso da giudicarsi fantasiose, per più ragioni, comprese quelle che alcuni degli aneddoti che lo riguardano sono raccontati con qualche variante anche di altre persone (cfr. 0.4.14 con n. 85 ad loc.) oppure sono poco verisimili (per esempio non è verisimile che un pensatore così interessato nella ricerca delle cause dei fenomeni naturali si fosse accecato, come viene attestato in 0.4.7, 0.4.8, 0.4.9, 0.4.10, 0.4.11 e 133.3). Si può presumere che abbia qualche fondamento storico la tradizione circa i suoi viaggi, anche se si può dubitare che quanto viene detto dei luoghi da lui visitati sia tutto attendibile (certamente non può avere conosciuto i ‘gimnosofisti’ dell’India!). Così il viaggio in Egitto, inteso come occasione per l'acquisizione dell'antica sapienza preservata dai sacerdoti egizi, è attribuito a diversi personaggi greci (come è già evidente nelle testimonianze di Diodoro Siculo riportate come 0.3.20 e 0.3.21), ma la frequenza di questo tipo di testimonianza e la (relativa) attendibilità delle fonti (cfr. Diogene Laerzio IX 35 [= 0.2.1]) fa pensare che esso si sia effettivamente verificato. Quanto agli aneddoti, essi, salvo la tradizione circa i suoi rapporti con Ippocrate (risultante da un epistolario che è una fabbricazione romanzata del periodo ellenistico), sono tipici di quanto viene raccontato a proposito di diverse figure di Presocratici. Sono infatti aneddoti che rientrano in gran parte nelle seguenti categorie: (A) aneddoti che sono raccontati di più persone, come quello (cui si è fatto riferimento, cfr. 0.4.14) della previsione di fatti meteorologici, oppure quello dell'essere stato assolto da un'accusa tramite la lettura di una sua opera (cfr. D.L. IX 39-40, inoltre Ateneo in 0.3.23, e possibile allusione di Filone in 0.3.18) 1 , oppure ancora quelli relativi ai viaggi; (B) aneddoti che si ispirano a qualche sua teoria, come quello dell'avere ritardato la morte aspirando l'odore dei pani, dunque beneficiando di efflussi (cfr. D.L. IX 43; Tzetzes in 0.2.4, Anonimo Londinese in 0.4.1, Ateneo in 0.4.3), o quello di avere fatto ricerche nelle tombe (cfr. D.L. IX 38 e Luciano in 0.5.9), occupandosi dunque sia dei fantasmi (cioè di un tipo di 'idoli' o simulacri) sia dell'eventuale persistenza in vita di coloro che erano stati dichiarati morti, o ancora quello di essersi imposto la condizione di cecità (cfr. 0.4.7-11 e 133.3), traendo dunque questa conseguenza estrema dal suo giudizio negativo circa l'attendibilità dei sensi 2 .
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Il parallelo in questo caso riguarda Sofocle, che evitò di farsi interdire dai figli per rimbambimento leggendo una tragedia appena redatta, cfr. Vita Sophoclis, § 13, e Cicerone, De senectute 7, 22. 2 Che l'aneddoto abbia tratto l'ispirazione da questo giudizio era stato già suggerito da Zeller, PGGE I 2, p. 1050 [846], n.
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Di matrice assai differente è invece la tradizione che fa di Democrito un esperto di arti magiche ovvero di alchimia, per esempio nel saper trarre rimedi miracolosi da certe erbe e nel saper trasformare in oro pietre non preziose. Così Plinio fa di lui il discepolo di celebri maghi come Ostane e riporta esempi di prodigi che sarebbero stati da lui compiuti (cfr. 0.6.8, 0.6.9, inoltre 0.6.6, 0.6.5), dichiarando di basarsi su opere sue autentiche. Altri autori antichi (come Aulo Gellio, in polemica con lo stesso Plinio, cfr. 0.6.7, e Columella in 0.8.24) tuttavia smentiscono che quelle opere fossero di Democrito, come smentiscono che egli si fosse occupato di arti magiche. E c'è una tradizione antica, presente per esempio in Luciano (cfr. 0.5.9 e 0.5.10), che fa di lui un pensatore razionalista che rifiuta ogni ricorso ad arti del genere. Ovviamente tutto quello che noi sappiamo da fonti più prossime a Democrito e, presumibilmente, più attendibili, come Aristotele e Teofrasto, tende ad escludere la fondatezza di quell’immagine, che possibilmente risulta, almeno in parte, dall’aver fatto risalire all’Abderita opere che erano dovute ad un certo Bolo, che si dichiarava filosofo democriteo. L’interesse che Democrito pare avere mostrato per fenomeni piuttosto singolari, come alcuni di quelli menzionati sotto (B) oppure come il malocchio e la divinazione nei sogni, può avere favorito la formazione dell’idea che egli non se ne occupava solo a scopo di studio e di spiegazione scientifica ma pretendeva lui stesso di avere il potere di produrre quei fenomeni, questo essendo un potere che (al tempo in cui si creò quella leggenda) era considerato di tipo magico ed occulto. Ammettere che una tale falsificazione abbia avuto luogo, quale che sia la sua spiegazione, fa s’intende non poca differenza nel decidere quale documentazione di tipo dottrinale può essere accolta come autentica. Un aspetto importante della figura di Democrito che viene messo in risalto in più testimonianze sta nella sua ‘polimatia’, cioè in una grande varietà di interessi e in una grande ampiezza delle conoscenze da lui possedute. Di questo enciclopedismo di Democrito, quale risulta dalle testimonianze circa suoi contributi su argomenti oltremodo vari, si parla espressamente in una fonte (cfr. D.L. IX 37 [= 0.2.1]), come in altre fonti si parla della sua varietà di interessi accanto al suo essere studioso della natura (cfr. Filodemo in 127.2) ovvero, con riferimento alla geografia, alla vastità della sua esperienza (cfr. Agatemero in 187.2). Da alcune attestazioni che abbiamo risulta che è lo stesso Democrito ad avere fatto una dichiarazione che riflette la sua pretesa di universalità, sostenendo di avere parlato di tutto ovvero dell’universo (cfr. 0.5.1, ricavato da Sesto in 2.1, da Cicerone in 61.2, e da Clemente in 0.3.22 [vedi infra]). Che egli fosse uno studioso della natura (‘fisiologo’) risulta ovviamente, in modo esplicito o implicito, da più fonti, fra le quali si può citare una Lettera attribuita ad Ippocrate (cfr. 0.5.2). L’importanza da lui attribuita alla ricerca delle cause, evidentemente con riferimento almeno primariamente ai fenomeni naturali, risulta sia da una dichiarazione che gli viene messa in bocca da una fonte tardo-antica (cfr. Dionisio presso Eusebio in 0.5.5) sia da un racconto probabilmente leggendario ma significativo riportato da Plutarco (cfr. 0.5.6). Il suo razionalismo, nel senso di una disposizione alla ricerca delle cause ad esclusione di spiegazioni di tipo magico o misterioso o soprannaturale, risulta, oltre che dalla documentazione relativa a spiegazioni da lui effettivamente date, da certe attestazioni di Luciano e di Apuleio (cfr. 0.5.9, 0.5.10 e 0.5.11). Anche questo è un punto che ha importanza nella valutazione ed eventuale selezione della documentazione.
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Fatte queste precisazioni, il modo in cui la documentazione è stata raccolta in questa parte dovrebbe essere abbastanza trasparente. Una prima sezione riguarda la vita e la cronologia, e qui il documento indubbiamente più importante è costituito dalla biografia di Diogene Laerzio (cfr. 0.2.1), che si basa dichiaratamente su varie fonti e che mette insieme indiscriminatamente notizie che possono avere un fondamento storico e materiale leggendario. Gli altri passi riguardanti la vita di Democrito (cfr. 0.2.2-0.2.4) sono sostanzialmente variazioni rispetto a quanto troviamo in Diogene. A questi documenti si aggiungono testimonianze di valore incerto riguardo alla sua cronologia (cfr. 0.2.5-0.2.12). Una seconda sezione è intitolata: "la figura di Democrito nella tradizione". Un primo gruppo di testi (cfr. 0.3.1-0.3.9) concerne il motivo, piuttosto diffuso nella letteratura antica, del suo riso (con la frequente contrapposizione di Democrito ridente ad Eraclito piangente). Un secondo gruppo di testi (cfr. 0.3.10-0.3.12) concerne o sempre il motivo del riso in associazione a quello della pazzia (cioè il riso eccessivo preso come segno di follia) oppure il motivo della pazzia da solo. La fonte di questa presentazione della figura di Democrito è costituita probabilmente da alcune delle Lettere che vennero attribuite ad Ippocrate, la cui natura di fabbricazione successiva piuttosto fantasiosa (una sorta di romanzo epistolare) non era avvertita nell’antichità. Peraltro queste Lettere probabilmente non sono una falsificazione pura e semplice, perché, come risulta dai brani da me riportati (cfr. 0.3.10 e 0.3.12), contengono allusioni agli interessi di Democrito o alle indagini da lui condotte, le quali, avendo dei riscontri altrove, possono avere un fondamento storico. Un terzo gruppo di testi riguarda i suoi viaggi, con probabile miscuglio (come già rilevato sopra) fra notizie che possono essere storicamente attendibili e notizie fantasiose. La menzione di questi viaggi, oltre ad essere arricchita da dettagli circa il sapere a questo modo acquisito ecc., è spesso accompagnata dal racconto che Democrito aveva impiegato l'intera sua parte della cospicua eredità paterna per poterli compiere (cfr. 0.3.13-0.3.24.1). All’interno di questo gruppo meritano una certa attenzione i passi di Clemente Alessandrino (cfr. 0.3.22) e di Eusebio (cfr. 0.3.22.1), che manifestamente dipendono da una stessa fonte (quello di Eusebio è una versione abbreviata dell’altro). Nel passo di Clemente viene attestato, in primo luogo, che Democrito avrebbe ‘fatto propri i discorsi morali dei Babilonesi’ giacché egli avrebbe incluso fra i suoi scritti una traduzione della stele di Achicaro (o Ahiqar). In generale si ammette dagli studiosi che questa testimonianza non può essere attendibile, per ragioni come le seguenti: (1) l’improbabilità che tale stele (se è mai esistita) esistesse ancora al tempo di Democrito; (2) la mancanza di ogni conferma in altre fonti di un tale rapporto fra Democrito ed Achicaro; (3) la poca somiglianza fra i contenuti dell’etica di Democrito ed i precetti che ci sono effettivamente rimasti di Achicaro 3 . Clemente tuttavia non si limita a questa attestazione, ma riporta tutto un discorsetto di Democrito circa le esplorazioni e ricerche da lui compiute; 3
Per qualche approfondimento della questione debbo rinviare al mio art. Democritus’ Works: From their Titles to their Contents, incluso in Democritus. Science, The Arts, and the Care of the Soul. Proceedings of the Colloquium held in Paris, 18-21 October 2003. Edited by Aldo Brancacci & Pierre-Marie Morel, Leiden: Brill Leiden: Brill, 2007, [pp. 11-76] pp. 51-53. – Per una verifica del punto (3) si può fare riferimento alle traduzioni dei detti di Achicaro (nelle loro varie versioni) incluse in Il saggio Ahiqar. Fortuna e trasformazioni di uno scritto sapienziale. Il testo più antico e le sue versioni, a cura di R. Contini e C. Grottanelli, Brescia: Paideia, 2005.
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questo viene riportato anche da Eusebio, che omette il riferimento ad Achicaro. Il giudizio di scarsa attendibilità di quell’attestazione viene generalmente esteso anche a questo discorsetto (ciò avviene nella raccolta di Diels e Kranz, i quali di solito sono seguiti dagli altri studiosi), ma non viene osservato che, mentre quanto Clemente attesta circa il ricorso alla stele di Achicaro è accompagnato da un ‘si dice’(legetai), il discorsetto viene presentato come la citazione di uno scritto dello stesso Democrito (“e da qualche parte parla di se stesso vantandosi della propria polimatia”, dove ‘da qualche parte’ deve indicare uno scritto – naturalmente non è detto che Clemente lo avesse sottomano). Non c’è dunque un serio motivo per dubitare della genuinità di quel discorsetto. (Il riferimento agli ‘Arpedonapti’ dell’Egitto deve essere a scribi o funzionari che prendevano le misure dei terreni, cfr. n. 74 ad loc. Esso probabilmente si comprende in base alla supposizione che si stia pensando ad una forma pratica di geometria alle sue origini. 4 ) Il passo di Clemente contiene l’ulteriore singolare precisazione che, riguardo a quanto detto circa la traduzione della stele di Achicaro, ciò “si può riconoscere dal suo scrivere: «queste cose le dice Democrito»”. Non si vede come questa dichiarazione possa servire da conferma. Pare piuttosto che questa formula sia un’abbreviazione della formula seguente (attestata, come si è visto, da Sesto e da Cicerone, cfr. 0.5.1, con n. 87): “queste cose le dice Democrito sull’universo”, la quale deve avere costituito l’inizio di una sua opera. C’è da pensare, allora, che per un qualche fraintendimento suo o della fonte da cui dipende, Clemente non abbia riconosciuto che tale formula è da associare non a quanto egli riferisce circa la traduzione di quella stele ma al discorsetto democriteo da lui riportato, perché esso fornisce la migliore giustificazione per la pretesa di Democrito di parlare dell’universo: è l’uomo che ha viaggiato più di tutti, ha visitato più luoghi, ha ascoltato più uomini dotti, ecc. Una ulteriore sezione è dedicata a testi che riguardano quelli che ho chiamato "eventi più o meno leggendari della sua vita" e che in effetti non paiono offrire informazioni attendibili. Frequente è il racconto, che compare anche nella biografia di Diogene Laerzio, e che si presta a sviluppi curiosi (circa l'utilità del miele ecc.), per il quale Democrito sarebbe riuscito a ritardare la sua morte per venire incontro al desiderio delle donne di casa di partecipare a cerimonie religiose in occasione di una festività (cfr. 0.4.1 sgg.). Questo racconto è talvolta associato al motivo, il quale compare comunque anche in modo indipendente, che Democrito si sarebbe lasciato morire, pur essendo arrivato a tarda età (esso compare anche in Lucrezio, cfr. 0.4.5). Al proposito segnalo che ho omesso, come del tutto priva di attendibilità, la testimonianza di Marc'Aurelio, III 3 (= 68 A 30), per la quale Democrito sarebbe stato ucciso dai pidocchi: come rileva il Diels, essa confonde Democrito con Ferecide 5 . Segnalo ugualmente di non essere rimasto convinto dal tentativo di Luria (nel suo commento ad XXXI) di porre in rapporto al nostro Democrito una moneta di Abdera con lo stemma della città e l’iscrizione “sotto 4
I Greci infatti facevano risalire la geometria all’Egitto, dove era in uso la misurazione esatta dei campi che venivano coperti in parte o totalmente dal Nilo nelle sue inondazioni, allo scopo di restituirli ai loro proprietari nell’estensione originale (cfr. Erodoto, II 109, Diodoro Siculo I 81, Erone di Alessandria, Geometria, cap. 2, e Proclo, Commento ad Euclide, prologo II, cap. 4, p. 64; e cfr. Heath, A History of Greek Mathematics I, pp. 121-122). 5 Cfr. D.L. I 118 (= DK 7 A 1). Del racconto della morte di Ferecide (al quale viene associato il poeta Alcmane) per phtiriasis sa anche Aristotele (cfr. Historia animalium V 31, 557a1-3 [= F 31 Schibli]). Il fatto che questa morte fosse vista come una punizione per empietà (cfr. Eliano, Varia historia IV 28 [= F 37a Schibli]) può spiegare la sua estensione a Democrito.
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Democrito”, perché niente nella nostra documentazione fa pensare che egli avesse rivestito una carica pubblica importante, e anche la cronologia (monete come questa risalgono al periodo fra il 450 e il 430 a.C.) rende ciò poco probabile. Altri passi in questa sezione riguardano il suo preteso accecamento volontario (cfr. 0.4.7-0.4.11). Va osservato che nel passo di Plutarco (cfr. 0.4.11), come anche in uno di Cicerone incluso nella documentazione riguardante l'etica democritea (cfr. 133.3), sono espresse riserve circa l'attendibilità di tale racconto. Quanto viene raccontato da Clemente e da Plinio (cfr. 0.4.12-0.4.14) circa la capacità di Democrito di prevedere certi fenomeni naturali è comune ad altri personaggi antichi come Talete, mentre quanto viene riferito da Filostrato (in 0.4.15, con allusione in 0.4.16) ha piuttosto a che fare con la fama tardo-antica di Democrito come mago. Più significativa, anche se non sempre del tutto attendibile, è la documentazione della sezione successiva riguardo all'atteggiamento scientifico di Democrito, alla quale ho accostato (nella stessa sezione E) documentazione riguardo al suo atteggiamento etico che, almeno nel caso di un aneddoto riportato da Giuliano e da Tzetzes sul modo da lui usato per indurre il re persiano Dario ad accettare la morte della moglie (cfr. 0.5.18 e 0.5.18.1), è sicuramente non attendibile. L’aneddoto infatti, oltre a riprendere il motivo del Democrito ridente, si trova raccontato, con qualche piccolo cambiamento, anche di un altro personaggio (cfr. Luciano, Demonatte 25). In questa sezione compaiono le testimonianze cui si è fatto sopra riferimento circa la ricerca delle cause in modo razionale, come altre testimonianze quasi sempre più generiche (ma è di nuovo non trascurabile per le allusioni che contiene una delle Lettere pseudoippocratiche, cfr. 0.5.4). La testimonianza di Dionisio presso Eusebio (0.5.5) contiene anche una significativa citazione di Democrito sulla fortuna in rapporto alla saggezza. Questa citazione, come spiego nella nota 94 al passo, non deve essere considerata (contrariamente a quanto sostengono più studiosi, inclusi Diels e Kranz) una deformazione del passo, parzialmente coincidente, citato da Stobeo (cfr. 147.1). Gli aneddoti raccontati da Luciano, per quanto divertenti, hanno un intento serio, e sono indicativi della persistenza della tradizione che faceva di Democrito un naturalista e scienziato sdegnoso di ogni credenza superstiziosa, anche se si può dubitare dell’attendibilità di quello che lo concerne direttamente (cfr. 0.5.9 e 0.5.10). 2. Le opere di Democrito (e di Leucippo) (sez. F e G) La sezione successiva contiene le attestazioni relative alle opere di Democrito e di Leucippo. La testimonianza più importante è costituita dall'elenco delle opere di Democrito che Diogene Laerzio associa alla sua biografia e fa risalire a Trasillo (cfr. 0.6.1). Si può dubitare del fatto che questo testo sia stato redatto da un erudito che si era scrupolosamente documentato al meglio con l’intento di informare i suoi lettori nel modo più obbiettivo che possibile. In primo luogo, da alcune delle notazioni che il catalogo include si ricava l’impressione che Trasillo (o la sua fonte) aveva una conoscenza limitata delle opere di cui riporta il titolo. Per esempio la notazione “lo {scritto intitolato} EÙestè non si trova” fa pensare che l’autore non si renda conto che deve trattarsi del titolo alternativo di Perì euthumies (l’equivalenza fra i due termini è affermata in più passi). Similmente la spiegazione del titolo Conferme, cioè che si tratta di uno scritto ‘di critica’ di altri scritti democritei (con qualche problema circa la loro identificazione), fa sospettare un fraintendimento, perché deve trattarsi piuttosto di un
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riferimento al contenuto dell’opera, nella quale veniva proposta una decisione (epikrisis) circa l’attendibilità dei sensi come anche dell’intelligenza. Le ‘conferme’ in questione dovevano appunto concernere quell’attendibilità, che era messa in discussione dalla ragione. (Per questa interpretazione rinvio all’art. cit.) Ci sono poi vari titoli che coincidono con titoli riportati in cataloghi di scritti di altri autori (precisamente nel catalogo di Teofrasto e nel catalogo di Eraclide Pontico, cfr. 0.9.2 e 0.9.3) oppure con quelli assegnati ad opere attribuite ad altri autori del tempo (p. es. Sulla natura dell’uomo e Sulla carne hanno dei riscontri fra le opere ippocratiche). Pertanto la loro adozione non deve riflettere una conoscenza approfondita dei contenuti delle opere corrispondenti. Anche il probabile inserimento per errore di due opere (il Tattico e l’Oplomachico) dovute ad un Damocrito storico (cfr. n. 134 ad 0.6.1) suggerisce un modo di procedere non molto scrupoloso. In secondo luogo, non è improbabile che il catalogo, nella sua organizzazione complessiva e nell’inserimento di certi titoli, rifletta un intento da parte di Trasillo di evidenziare la vicinanza di Democrito alla filosofia pitagorica. Non è neppure improbabile che questo autore abbia pure contribuito alla creazione dell’immagine di Democrito dedito alle pratiche magiche (l’affermazione, contenuta all’inizio della vita di Democrito dovuta a Diogene Laerzio, che “costui fu istruito da alcuni Magi e Caldei, che il re Serse aveva lasciati a suo padre come precettori …”, potrebbe avere Trasillo come fonte). Non si può essere sicuri che i titoli alla fine della lista (ed esclusi dal raggruppamento tetralogico) siano stati aggiunti dallo stesso Trasillo, ma ciò pare probabile. Ed è sufficientemente chiaro che alcuni di questi titoli non solo sono spuri (si veda infra) ma sono anche da associare a quell’immagine di Democrito. In ogni caso il catalogo pone tutta una serie di problemi. Si constata, in primo luogo, che esso è piuttosto composito, perché, accanto ai titoli delle opere ordinate in modo tetralogico (secondo l’indicazione fornita da Diogene Laerzio nell’introdurlo) ci sono, inseriti fra quelli ‘fisici’ e quelli ‘matematici’, nove titoli non ordinati; inoltre, alla fine, c’è un altro gruppo di titoli non ordinati, che sono introdotti dall’indicazione seguente: “Alcuni poi raggruppano per conto proprio, dai suoi Appunti (Hypomnemata), i seguenti”. Si potrebbe pensare che questi ‘appunti’ coincidano con gli appunti o ‘notazioni di etica’ (hypomnemata ethika – o ethikôn?) che è l’ultimo titolo fra quelli etici. Ma essi non rispondono in pieno al requisito di essere scritti etici. Su nessuno di questi scritti sono espresse riserve di autenticità, ma proprio quelli che appartengono all’ultimo gruppo hanno l’aria di essere spuri, per ragioni che vedremo (senza escludere che ce ne siano degli altri che pure sono spuri). Che significato attribuire ad alcuni dei titoli che sono riportati è questione aperta, per la quale rinvio alle note di chiarimento alla mia traduzione. (Una discussione approfondita è offerta nell’art. cit. in n. 3) Un ulteriore problema è dato dal fatto che due delle opere che compaiono in quel catalogo sono da altre fonti attribuite a Leucippo (nel caso del Grande sistema del mondo c'è una testimonianza di Teofrasto riportata dallo stesso Diogene Laerzio nel citare l'opera nel suo elenco, ed una di un papiro ercolanese che però è piuttosto lacunoso, cfr. 0.6.2; mentre, come vedremo ancora, lo scritto Sull'intelletto, che pure compare nel catalogo, è attribuito a Leucippo in un passo di Stobeo, cfr. 70.1). Un terzo problema riguarda l'autenticità delle opere corrispondenti ai titoli riportati da Diogene Laerzio o riportati da altra fonte. Alcuni dei titoli riportati da Diogene Laerzio sono altamente sospetti perché riguardanti un Democrito che si
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dedicava alla magia o per altre ragioni. Quest’ultimo punto è da illustrare un po’ più in dettaglio. (Le osservazioni che seguono presentano delle coincidenze con la parte corrispondente dell’Introduzione, ma concernono più direttamente o esclusivamente le opere e riprendono certe conclusioni tratte in art. cit.) Ad un'opera il cui titolo compare nel catalogo, i Cheirokmeta, fanno riferimento, evidentemente prendendola per genuina, Vitruvio e Plinio (cfr. 0.6.4 e 0.6.5-0.6.5.1), ma Columella attesta espressamente che essa va attribuita non a Democrito ma a Bolo (cfr. 0.8.24). Lo stesso Columella d'altra parte cita come democriteo uno scritto Sulle simpatie ed antipatie (cfr. 189.8), adottando un titolo al quale viene fatto riferimento in almeno una testimonianza (cfr. 0.6.10); inoltre c'è un'opera bizantina con questo titolo che è a nome di Democrito (cfr. 0.6.10.1). Tuttavia due altre fonti (la Suda e uno scolio a Nicandro, cfr. 0.8.23 e 0.8.25) fanno di Bolo l'autore di un'opera con tale titolo (il titolo stesso non compare nel catalogo riportato da Diogene Laerzio). Siccome dalle testimonianze è sufficientemente chiaro che il suo tema sono simpatie ed antipatie di tipo magico, si deve dare credito a queste altre fonti. Plinio assume ugualmente che un'opera Sul carattere e sulla natura del camaleonte (presentata come un volumen a sé, ma forse si intende uno intero dei libri che costituiscono lo scritto, probabilmente in diversi libri, Sulle simpatie ed antipatie) fosse democritea, ma Aulo Gellio, in polemica con Plinio (cfr. 0.6.7), ne dichiara la non autenticità, come dichiara non attendibili altre informazioni che Plinio presentava come democritee, presumibilmente attingendole dai Cheirokmeta e dallo scritto Sulle simpatie ed antipatie. A questo modo si possono escludere come non genuine ulteriori opere del genere, come quella dal titolo Cose fisiche e mistiche di Democrito (cfr. 0.6.13). Altro scritto apocrifo (come dichiara espressamente Oribasio, cfr. 0.6.14.2) è uno scritto sull'elefantiasi cui fa riferimento, ma dubitativamente, Celio Aureliano (cfr. 0.6.14). Per ragioni contenutistiche (come ha mostrato Oder tramite paralleli, cfr. Introduzione) non può essere autentico il cap. 6 del libro II dei Geoponica intitolato "L'idroscopico di Democrito" (cfr. 0.6.16.1), e quindi non può essere attendibile l'attribuzione di un'opera con tale titolo a Democrito (in uno scolio all'Hexahemeros di Basilio, cfr. 0.6.16). Infine non si può dare credito ad una serie di titoli di carattere medico attribuiti a Democrito in un codice vaticano (cfr. 0.6.17). Quanto al titolo Pitagora che è posto all’inizio del catalogo, si può osservare che nessun’altra fonte antica lo menziona, e che Democrito non si trova inserito nella (generosa) lista di Pitagorici proposta da Giamblico alla fine del suo Vita Pythagorica. Se si guarda, poi, ai titoli posti alla fine della lista, si può sospettare (come indicato nel mio art. cit. in n. 3, p. 57, seguendo un suggerimento di Susemihl) che Sugli scritti sacri a Babilonia e il Discorso caldaico siano titoli alternativi per una stessa opera, che Sugli {scritti sacri} a Meroe sia analogamente un titolo alternativo per il Discorso egizio la cui menzione è venuta meno, e che il Discorso frigio sia da mettere in parallelo con i precedenti. A questo modo viene indicato un rapporto di Democrito con i tre principali sapienti dai quali sarebbe stato influenzato: il caldeo Achicaro, l’egizio Apollobeche, e il frigio Dardano. (Invero viene tralasciato Ostane, che era un persiano del quale Plinio racconta, in Naturalis Historia XXX 8 [= 0.6.9], che avrebbe seguito Serse nella sua spedizione contro i Greci. Può essere che egli venisse incluso fra i Magi e Caldei che sono menzionati in Diogene Laerzio; in ogni caso era facile assimilarlo ai Caldei.)
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Va segnalato, prescindendo ormai dalla questione dell’autenticità, che alcuni dei titoli che compaiono nel catalogo di Trasillo sono menzionati anche da altre fonti. Il titolo Sulle cose nell’Ade è menzionato da Ateneo (0.3.23) e, in forma leggermente variata, da Proclo (109.3); un’allusione ad esso pare esserci nell’Epistula pseudoippocratica X (0.3.10). Il titolo Sulla tranquillità dell'animo (o Sul buon animo) è menzionato espressamente da Seneca (133.1), mentre, nonostante l’adozione dello stesso titolo per una sua opera e qualche richiamo a motivi democritei, non viene menzionato da Plutarco. Clemente di Alessandria fa riferimento ad uno scritto di Democrito Sul fine (132.1), e questo potrebbe essere un modo per riferirsi alla stessa opera, dato che il buon animo (euthumia) è presentato in più testimonianze, compresa quella dello stesso Clemente, come il fine dell’uomo riconosciuto da Democrito 6 . Lo scritto Grande sistema del mondo viene citato da Filone di Alessandria nel suo De providentia (cfr. 0.3.18), da Achille in Isagoga I 13 (= 82.3), e da Ateneo nel passo in cui menziona lo scritto Sulle cose nell’Ade. Di fronte alla testimonianza di Teofrasto (o dei soli teofrastei?) riportata nel citare questo titolo nel catalogo di Trasillo, e anche al contenuto di un testo papiraceo che ci è rimasto ma che è di dubbia ricostruzione (cfr. 0.6.2), si pone la questione se l’opera sia di Leucippo piuttosto che di Democrito. Per contro nella Suda, alla voce ‘Democrito’, questa viene citata come una delle due (sole) opere autentiche di Democrito, insieme a Sulla natura del mondo, per il quale manca un riscontro preciso. Il fatto che sia citato quest’altro titolo, e che siano giudicate autentiche anche sue Epistole (che debbono essere quelle, a nome suo, incluse nella raccolta di Epistole attribuita ad Ippocrate), rende la testimonianza non troppo attendibile. (Siccome la Suda dipende da fonti cronologicamente assai anteriori, questo mostra che nella tarda antichità c’erano notevoli incertezze circa le opere da attribuire a Democrito.) Il titolo successivo nel catalogo: Piccolo sistema del mondo, viene citato da Diogene Laerzio, IX 41 (= 0.2.1), e forse anche nel testo papiraceo appena menzionato. Un altro titolo per il quale si pone il problema se sia di Democrito oppure di Leucippo è quello intitolato Sull’intelletto, perché esso è citato (senza riserve) nel catalogo di Trasillo, ma in un passo di Stobeo (70.1) viene trattato come un’opera di Leucippo, per trarne l’unica citazione che ci sia rimasta di questo autore. Il fatto che Stobeo faccia il nome di Democrito a proposito dello stesso motivo della necessità (cfr. 70.2) e che l’associazione di Democrito a Parmenide, in questo stesso passo e in passi paralleli, susciti dei problemi (cfr. n. 543 ad loc.), mostra che non si può essere sicuri dell’attendibilità di questa testimonianza. L’Epistula pseudoippocratica XXIII pretende di essere una citazione dello scritto democriteo Sulla natura dell’uomo, offrendo in effetti un quadro schematico (hypographé) della ‘natura umana’ (cfr. 136.1.1). È tuttavia sufficientemente chiaro che, salvo qualche dettaglio (cfr. 119.2.1), si tratta di uno scritto non autentico. Esso si ispira ad una visione finalistica, gerarchica e provvidenzialistica della realtà che è ben poco democritea e tiene conto di informazioni anatomiche note solo ai medici ellenistici 7 . Nell’Epistula XVIII (cfr. 0.5.4) ci sono riferimenti ad altre opere democritee: ad una opera ‘Sulla disposizione del mondo’, della quale ci si può domandare se coincida con 6
Cfr. Diog. Laerzio IX 45 (= 4.1), ripreso da Suda (= 132.5); Clemente, Stromata II 21 (= 132.1); Epifanio, Adversus haereses III 2, 9 (= 132.3); Teodoreto, Graecarum affectionum curatio XI 6 (= 132.4); Cicerone, De finibus V 8, 23, e V 29, 87-88 (= 133.2 e 133.3). 7 Come è stato sottolineato da W.D. Smith, Hippocrates: Pseudoepigraphic Writings, Leiden 1990, p. 33.
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uno scritto come il Grande sistema del mondo oppure il Piccolo sistema del mondo; alla Polografia (che coincide con il titolo IX.3 nel catalogo); ed ad un’opera ‘Sugli astri celesti’, per la quale non si trova nessuna precisa corrispondenza. Viene fatto riferimento a dei volumina de rerum natura di Democrito (oltre che allo spurio Cheirokmeta) da parte di Vitruvio in De architectura IX, praef. 14 (= 0.6.4). Sesto Empirico, in Adv. math. VII 138 (= 60.1) e in Adv. math. VIII 327 (= 60.4), menziona un’opera democritea intitolata Canoni, che sicuramente coincide con il titolo VI.3: Canone (al singolare, ma in tre libri), nel catalogo. Nel contesto del primo passo, al § 136 (= 60.1), egli cita l’opera intitolata Conferme, che coincide col titolo VI.1; al § 137 (= 60.1) egli cita l’opera intitolata Sulle forme (Perì ideôn), per la quale si pone il problema se corrisponde ad un titolo nel catalogo. Lo stesso problema sembra porsi nel caso di quello che deve essere un riferimento ad un’opera intitolata Sulle forme (Perì tôn eidôn) da parte di Teofrasto in De sensibus § 51 (= 117.1). Diels avanzò la supposizione che il titolo richiamato da Sesto coincidesse con il titolo V.3: Sulle configurazioni differenti (Perì tôn diapherontōn rhusmôn), nel catalogo. Che il titolo “sulle forme” possa riguardare gli atomi è ben possibile, dato che risulta che l’atomo era stato chiamato forma (idea) da Democrito stesso 8 . E in qualche contesto l’atomo viene anche denominato rhusmós (cfr. Arist. De anima I 2, 404A7 [= 101.1]). Tuttavia questo termine è usato anche per la configurazione od organizzazione di più atomi all’interno di un composto. E può essere significativo che, nel catalogo, questo titolo è seguito immediatamente dal titolo Sui cambiamenti di configurazione (Perì ameipsirusmiôn), che palesemente deve concernere la configurazione in tale senso, perché la figura del singolo atomo non può cambiare 9 . In ogni caso è poco probabile che la proposta di Diels possa valere anche per il passo di Teofrasto, perché esso (preso nel suo contesto) non contiene alcun riferimento agli atomi. Infine, un’opera di Democrito Sull’astronomia viene citata da Apollonio Discolo, De pronominibus (130.8) e in uno scolio ad Apollonio Rodio (185.5). Un riferimento all’opera intitolata Georgico si trova in Columella (189.5). Abbiamo visto che di alcune delle opere menzionate da altre fonti (prescindendo da quelle non autentiche) non si può essere sicuri che coincidano con le opere il cui titolo viene riportato nel catalogo di Trasillo. A queste si deve aggiungere l’opera intitolata Consigli (Hypothekai) che viene menzionata nella citazione di Dionisio offerta da Eusebio di Cesarea (0.5.5). Si può ipotizzare che essa coincida con il titolo II.4: Notazioni di etica (Hypomnemata ethiká), ma l’equivalenza fra i due titoli non è ovvia, anche se c’è un’indubbia coincidenza nel tema. È ugualmente possibile che si tratti di una raccolta, messa insieme successivamente, di passi democritei che si prestavano ad essere collocati sotto quel titolo. Non è sicuro infine che la menzione di Democrito fra gli autori di Circuiti della terra e di Peripli (in Agatemero, cfr. 187.2) significhi che era effettivamente stato l’autore di un’opera del genere piuttosto che semplicemente avere contribuito all’argomento (e non è neppure chiaro se certi titoli nel catalogo di Diogene
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Cfr. Plutarco, Adversus Colotem 8, 1110F [= 8.1]; scolio III all’Hexahemeros di Basilio [= 6.6]; Esichio s.v. [= 192.6], ma senza riferimento espresso a Democrito. 9 Per quest’altro termine ha pertinenza la spiegazione del verbo corrispondente in Esichio, cfr. 192.2. Lo stesso verbo compare in Epistula XVIII [= 0.5.4], se si accetta la restituzione del testo dovuta al Littré, sulla quale cfr. n. 90 ad loc.
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come IX.2: Descrizione [o Rappresentazione grafica] della terra sono di opere che contenevano informazioni del genere). Dopo le testimonianze riguardanti le opere di Democrito ci sono alcune testimonianze riguardanti lo stile di Democrito come scrittore (tutte di Cicerone salvo una di Dionisio di Alicarnasso, cfr. 0.7.1-0.7.4). Un altro passo nel quale si fa parola del suo stile è di Plutarco (cfr. 110.5). È difficile dire quanto tali testimonianze, relativamente tarde, si basino su di una conoscenza diretta di scritti di Democrito (esse potrebbero riflettere la conoscenza di estratti da essi oppure potrebbero dipendere dall’opera di Egesianatte segnalata da Stefano di Bisanzio, cfr. 0.9.9). Che egli coltivasse una certa elevatezza di stile è suggerito da più di una di queste testimonianze (soprattutto da quella di Plutarco) e anche, in modo implicito, dall’indicazione in Sesto Empirico, Adv. Math. VII 265 (= 2.1) che egli ‘era stato paragonato alla voce di Zeus’ (vedi n. 5 ad loc.). Una sua attenzione per questioni di stile e anche di lessico è suggerita dall’esistenza di suoi contributi alla ‘critica omerica’ come anche dalle sue osservazioni su parole rare o particolari. Noi possiamo farci un’idea dello stile di Democrito guardando ai frammenti etici che ci sono rimasti. 10 Si può parlare di uno stile piuttosto ricercato, nell’uso di un linguaggio non comune ricco di assonanze, antitesi, e altri artifici stilistici oppure figure retoriche, che presenta dei punti di contatto con quello gorgiano. 3. Rapporti con altri pensatori (sez. H e I) Una ulteriore sezione include testimonianze riguardanti i rapporti di Democrito, e talvolta anche di Leucippo, con altri pensatori. Un primo gruppo, intitolato “successioni di filosofi” (cfr. 0.8.1-0.8.5), indicano la posizione attribuita ad essi (o a Democrito) nelle classificazioni antiche dei principali orientamenti filosofici, che di solito propongono, all’interno di ciascun orientamento, una certa ‘successione’, solitamente di maestro e discepolo, che spesso non è esente da qualche artificialità (come è stato osservato dagli studiosi che se ne sono occupati). Va rilevato che la maggior parte di queste testimonianze pongono gli atomisti in rapporto con gli Eleati. Non si può invece dare credito alla testimonianza di Posidonio – alla quale fanno riferimento Strabone (0.8.6) e Sesto Empirico (6.2) – che il fenicio Moco sarebbe stato l’inventore dell’atomismo. Essa rientra nella tendenza di vari autori antichi a fare dipendere la filosofia greca dall’Oriente. Si parla poi di rapporti con alcuni pitagorici (attestazioni in tal senso sono raccolte da Diogene Laerzio, IX 38 = 0.2.1, inoltre una viene fornita da Porfirio, cfr. 0.8.7), come anche del fatto che egli avrebbe mostrato ammirazione per Pitagora (la fonte, probabilmente non affidabile, è Trasillo, citato da Diogene Laerzio, ivi). – Diogene Laerzio attesta in due passi che ci furono dei rapporti fra Democrito ed Anassagora (cfr. IX 35 [= 0.2.1, con n. 13 ad loc.] e II 14 [= 0.8.8]), ma i passi non concordano circa la natura di questi rapporti. – Più testimonianze attestano l’esisenza di rapporti fra Democrito e Protagora, ma l’aneddoto riferito in una parte di esse (cfr. 0.8.12-0.8.15) è reso sospetto dal fatto che sembra essere esteso a Diagora di Melo, sempre in rapporto a Democrito (cfr. 0.8.18), oltre che dal fatto che il sofista deve essere stato il più anziano dei due. – Infine ci sono testimonianze relative ai rapporti con
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Lo studio migliore in merito rimane, a mio avviso, quello di Th. Birt stampato in appendice a P. Natorp, Die Ethika des Demokritos, Marburg 1893.
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Ippocrate, che probabilmente sono ispirate dalle Lettere attribuite al famoso medico e che in ogni caso riguardano quasi certamente fatti leggendari. Varie altre testimonianze riguardano i successori di Democrito ovvero coloro che avevano ripreso certe sue dottrine (la documentazione non fa pensare che si possa parlare di una vera e propria scuola da lui fondata). Che Metrodoro di Chio fosse stato un discepolo di Democrito o per lo meno ne avesse ripreso la dottrina risulta da più testimonianze 11 . Si fa il nome di altri, dei quali va citato almeno Anassarco (cfr. 0.9.1919.2). Epicuro viene talvolta presentato come il discepolo di un altro democriteo, cioè Nausifane di Teo (cfr. 0.8.29-31, inoltre 0.8.34 con n. 189 ad loc.). Va d’altra parte escluso Ecateo di Abdera per le ragioni che sono esposte più oltre (sez. 27). Fra questi successori un caso particolare è costituito (come abbiamo visto) da Bolo di Mende (cfr. 0.8.23-25). I rapporti di Epicuro con Democrito, per averne riprese certe tesi fondamentali (non solo nel campo della fisica ma, in qualche misura, anche nel campo dell’etica), risultano da testimonianze relativamente numerose. In questa sezione sono riportate quelle che riguardano più direttamente questa dipendenza (cfr. 0.8.26-0.8.35). In più testi, come vedremo ancora, viene proposto un confronto fra le posizioni dei due pensatori. (Un elenco di questi testi è offerto nel Quadro sinottico, A.IV.B.) Infine, da alcune testimonianze risulta che anche gli scettici pirroniani, o certuni di essi, consideravano Democrito come uno dei loro precursori (cfr. 0.8.36-0.8.39, inoltre Diogene Laerzio IX 72 [= 61.1]). Alcune di queste testimonianze parlano anche di un rapporto di discepolanza di Pirrone nei confronti di qualche democriteo, ma non sono molto sicure (cfr. 0.8.37 e 0.8.38). Più plausibile sembra essere la testimonianza di Eusebio secondo la quale Pirrone avrebbe tratto ispirazione dal principale scritto di Metrodoro di Chio (cfr. 61.2.1). Questa tendenza a trattare Democrito come un anticipatore dello scetticismo indusse Sesto Empirico a prendere esplicitamente posizione in proposito in Ipotiposi pirroniane I 213-214 (= 58.1) (su questa testimonianza cfr più oltre, sez. 16). L’ultima sezione è costituita da citazioni o liste di scritti di altri autori riguardanti Democrito oppure includenti titoli in qualche modo coincidenti con titoli nel catalogo di Trasillo (questo vale per Teofrasto, cfr. 0.9.2, e per Eraclide Pontico, cfr. 0.9.3), inoltre dalla testimonianza (non esente da problemi, cfr. n. 206 ad loc.) dalla quale potrebbe risultare che Callimaco aveva fatto una lista delle opere di Democrito prima di Trasillo. Nel caso di Aristotele sappiamo, dalla menzione che ne fa Simplicio (cfr. 79.4 + 7.1), che egli aveva redatto uno scritto Su Democrito, ma la sua identificazione nel catalogo degli scritti aristotelici è problematica (cfr. 0.9.1 e 0.9.1.1, con note 198 e 199 ad loc.). 4. L’approccio di Democrito (parte I dei Testi sulla dottrina) Un primo gruppo di testi è raccolto sotto il titolo “un approccio predialettico”. Si tratta di testimonianze, di Aristotele e dei suoi commentatori, riguardanti l’approccio adottato da Democrito nel suo studio della natura, che lo qualificano a partire dalle asserzioni di Aristotele – invero non esenti da qualche semplificazione – dell'assenza di una filosofia del concetto e della dialettica prima di Socrate e di Platone (cfr. soprattutto 11
Cfr. 0.8.2 di Clemente, 0.8.19 di Diogene Laerzio, 0.8.37 della Suda, 3 e 33.3 di Simplicio, 61.2 di Cicerone, 61.2.1 di Eusebio, 33.6 di Aezio (vedi anche Quadro sinottico, A.IV a)).
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1.3-1.5). Questo “prima” non è strettamente cronologico, ma serve a qualificare (esplicitamente da parte di vari studiosi moderni) come “presocratica” tutta la speculazione filosofica che va fino a Democrito. Aristotele stesso associa questo punto al riconoscimento o meno del ruolo della natura come forma ovvero della causalità formale e finale nel mondo naturale, per ammettere che un riconoscimento della forma (con riferimento alla figura degli atomi, come esplicitano i commentatori, cfr. 1.2.1 e 1.2.2) c’era stato anche da parte di Democrito, ma in un modo limitato (cfr. 1.1, 1.2, 1.3; i passi da 1.4 a 1.6 servono da inquadramento). Aristotele attesta pure (il passo appartiene allo stesso cap. 1 del De partibus animalium dal quale è tratto il passo 1.1) che Democrito riteneva che l’uomo è reso conoscibile, nel modo più evidente, dalla sua figura e dal suo colore (cfr. 2.3), per cui anche al livello del sensibile sembra che la forma fosse ritenuta qualificare la cosa. Sembra opportuno accostare (come era già stato fatto dal Diels) questa testimonianza a quella di Sesto Empirico nella quale pure si parla della conoscibilità dell’uomo, in modo conforme al suggerimento aristotelico che l’uomo era da lui ritenuto ‘evidente ad ognuno’ per quello che è: Democrito si sarebbe limitato alla rozza asserzione: “l’uomo è ciò che tutti sappiamo” (cfr. 2.1; di questa testimonianza, desunta dall’Adv. math., c’è una variante, omessa in Diels e Kranz, in Pyrrh. hypot., che riporto come 2.2). Ho ritenuto opportuno riportare anche la parte della testimonianza di Sesto che riguarda Epicuro, perché (1) il suggerimento che l’uomo viene presentato ‘in modo deittico’ (cioè per indicazione) sembra esplicitare quanto vale di già per Democrito, (2) la formulazione usata da Epicuro (“l’uomo è questa forma qui, congiunta ad animazione”) dà l’impressione di voler riproporre la posizione democritea, come viene intesa da Aristotele, ma cercando di rispondere (con quella precisazione) alla sua obiezione riguardante il fatto che anche il cadavere presenta la figura di uomo. In questa connessione si può toccare una questione riguardante la documentazione. Luria riporta, al nr. 62, un passo assai più ampio di quello da me riportato (cfr. 73.6) da Eusebio, Praeparatio evangelica VI 7, un autore che cita un'opera (andata perduta) del cinico Enomao di Gadara. Il passo, nella parte da me riportata, cioè nei §§ 2 e 18, attesta il rifiuto da parte di questo autore del necessarismo fatalistico da lui attribuito sia a Democrito sia allo Stoico Crisippo (vedi infra, sez. 19). In opposizione alla schiavitù conseguente a tale necessarismo viene affermata la libertà di decisione. Ora questa, nella parte citata da Luria, cioè i §§ 10-17 e 19 (con alcune omissioni), viene fondata sulla conoscenza o consapevolezza che abbiamo di noi stessi, la quale rivelerebbe che noi siamo capaci di scegliere (haireisthai) nel compiere le nostre azioni senza trovarsi ad essere forzati (cfr. § 19, riportato da Luria). Tale conoscenza o consapevolezza che abbiamo di noi stessi viene presentata come un coglimento (antilepsis) immediato di noi stessi, riguardante presumibilmente quello che siamo e non semplicemente la nostra esistenza, e di essa viene affermato che costituisce il criterio o misura (metron) più attendibile che ci sia (cfr. § 15) ovvero anche quello superiore e più originario di tutti (cfr. § 12). Questa dottrina è in se stessa interessante, ma le ragioni addotte da Luria per attribuirla a Democrito non sono convincenti. A quanto pare, esse sono principalmente le due seguenti. (1) Egli ritiene che la tesi avanzata da Enomao sia equivalente all’affermazione, attribuita a Democrito da Sesto Empirico e da Aristotele (cfr. suo 65, miei 2.1-3), che “l’uomo è ciò che tutti sappiamo”. È però abbastanza chiaro, sia dalle critiche che
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sono avanzate da Sesto Empirico (il quale la giudica una tesi rozza, e mette tale conoscenza in parallelo alla conoscenza che abbiamo del cane) sia dalla spiegazione che viene offerta da Aristotele (sappiamo dell'uomo tramite la sua figura e il suo colore), che Democrito, nel fare quell'affermazione, non aveva affatto in mente una conoscenza diretta di noi stessi, la quale ci permetta appunto di cogliere, in modo introspettivo, e come parte della nostra natura umana, la capacità che abbiamo di scegliere liberamente. Inoltre Enomao tende a presentare il criterio e misura da lui proposto come appunto proposto da lui ("del quale io parlo", § 16), senza mai suggerire che Democrito aderisse ad esso. (2) Luria sfrutta nello stesso senso l'affermazione, contenuta nel § 17, che Democrito e Crisippo si indignerebbero se qualcuno li volesse privare del coglimento (antilepsis) di essi stessi, in quanto le loro numerose e celebri opere (biblious) non esisterebbero più – evidentemente perché esse dipendono da tale coglimento. Tuttavia quanto viene prospettato in questo passo è del tutto fittizio, e non deve affatto implicare che Democrito stesso si mostrasse consapevole del fatto che le sue opere avevano quel fondamento, sicché avrebbe dovuto indignarsi se quel fondamento fosse stato tolto. (Anche qualora implicasse questo, non è detto che Enomao sia bene informato al proposito: la critica da lui rivolta a Democrito non implica alcuna conoscenza approfondita della sua posizione.) 5. Generalità sul pensiero dei primi atomisti (parte II) Dopo questo primo gruppi di testi ho raccolto testi che offrono un’esposizione piuttosto generale del pensiero dei primi atomisti, anche se questa esposizione è solitamente svolta in una certa chiave. Questa chiave può essere data dal focalizzare l’esposizione su di un certo tema, per esempio quello della cosmologia e cosmogonia. Può essere data ugualmente dall’adozione di certi schemi, come quello della classificazione dei princìpi ammessi dai vari pensatori a seconda del tipo (corporei o incorporei, simili o dissimili rispetto alle cose di cui sono i princìpi, ecc.) e a seconda del numero (quattro o sei per Empedocle, infiniti per gli atomisti e per Anassagora, ecc.). Schemi come questo sono palesemente adottati da Aristotele (è questione aperta fino a che punto essi siano anche dovuti a lui) e sono ripresi, anche se con modifiche e sviluppi, dagli autori successivi, sicché è importante essere consapevoli del modo in cui essi condizionano la lettura che viene data delle tesi che sono proposte da autori e pensatori come gli atomisti. Certuni di questi sviluppi si sono verificati perché si è tenuto conto delle teorie che sono state elaborate dopo Aristotele. Uno sviluppo manifestamente post-aristotelico è presente in certe testimonianze, come quelle di Galeno o ps.-Galeno (cfr. 8.3, 8.3.2 e 6.4) e quelle di Sesto Empirico (cfr. 6.2, 6.3 e 6.5), nelle quali gli atomi sono messi a confronto con altri impartibili come quelli ammessi da Diodoro Crono, da Eraclide Pontico e da Asclepiade di Bitinia (vedi anche n. 72 ad 8.3). Un altro sviluppo postaristotelico sta palesemente nel mettere a confronto la posizione di Democrito con quella di Epicuro, come avviene per esempio in maniera piuttosto generale nella testimonianza di Cicerone in De finibus I 6 (= 9.3), oppure, su una questione circoscritta ma importante, quella della varietà delle figure atomiche, nella testimonianza di Filopono dipendente da Alessandro (cfr. 40.1).
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Un primo testo, di particolare importanza, è dovuto a Simplicio (cfr. 3), ma basandosi esplicitamente su di un’esposizione di Teofrasto 12 . L’esposizione riguarda (come ho intitolato la sezione A) “i princìpi, le loro operazioni e i loro risultati”, parlando degli atomi e del vuoto come ciò da cui dipendono tutte le altre cose, ma l’insistenza è sulla infinitezza degli atomi come princìpi, a commento del passo aristotelico (inizio di Phys. I 2 [= 11.1]) nel quale la posizione di Democrito è qualificata appunto dalla postulazione di princìpi che sono infiniti. (Il contesto cui appartiene il passo di Simplicio è costituito da 11.2.) L’esposizione stessa non è limitata alla posizione di Democrito, ma la pone in stretto rapporto con quella di Leucippo; inoltre Metrodoro di Chio è detto riprenderla (per questo motivo, come già indicato nella Introduzione, tratto questa come una testimonianza unica). La sezione successiva (B) include esposizioni complessive del pensiero di Democrito e di Leucippo che sono focalizzate sull’aspetto cosmologico e cosmogonico. In primo luogo c’è l’esposizione del pensiero di Democrito che si trova in Diogene Laerzio IX 44-45 (= 4.1), la quale in effetti si estende, con una sintesi sempre molto rapida, alla sua etica. (Questa esposizione è di seguito alla parte biografica, per la quale cfr. 0.2.1.) Diogene Laerzio è pure la fonte di due esposizioni del pensiero di Leucippo, sempre di seguito ad una parte biografica (ma tale parte è ridotta al minimo, cfr. 0.1.1.). Una di queste esposizioni (in IX 30 [= 4.2]) è dichiaratamente “per sommi capi”, mentre la seguente (che inizia in IX 31 [= 4.3]) è dichiaratamente “più in dettaglio”, ed in effetti è costituita quasi tutta dall’esposizione della sua cosmogonia (cfr. 80.1). Ho separato quest’ultimo pezzo dal resto, perché un’esposizione così dettagliata appartiene al capitolo su cosmologia e cosmogonia. Tuttavia va tenuto presente che l’esposizione, assai sintetica, del pensiero di Leucippo offerta da Ippolito (Refutatio I 12, 1-2 [= 4.4]) è parallela a questa, perché include una rapida presentazione della cosmogonia di Leucippo (ma l’esposizione ad un certo punto sembra essere troncata, piuttosto che abbreviata, forse per una lacuna di una certa estensione, cfr. n. 27 ad loc.). Invece l’esposizione dello stesso autore riguardante Democrito (cfr. 4.5), pur essendo centrata sulla cosmologia (ma non sulla cosmogonia), rimane senza paralleli nell’offrire informazioni sulla costituzione dei vari mondi (dei quali viene affermata l’infinitezza di numero) e sul loro ciclo vitale. Un’esposizione di altro genere, prima in forma assai generale sull’universo, poi riguardante la generazione del sole e della luna, si trova in un passo degli Stromata dello Ps.-Plutarco riportato da Eusebio (cfr. 4.6). Si può notare che quanto viene detto in questo passo circa il dominio della necessità su tutte le cose da sempre può essere influenzato da dottrina stoica. I passi raccolti nella sezione successiva (C) sono quasi tutti piuttosto brevi e riguardano i princìpi ammessi da Democrito, oppure da Leucippo e da Democrito, e fanno quasi tutti parte di rassegne dossografiche dei princìpi che erano stati ammessi dai vari pensatori (includendo solitamente alcuni almeno dei Presocratici). Questo vale per il passo di Stobeo (cfr. 5.1), come vale per il passo di Teodoreto (cfr. 5.2), il quale in parte è una semplice variante del precedente, in parte riguarda la denominazione e la natura degli atomi. Il passo di Teodoreto trova un parallelo nella voce atoma della Suda (cfr. 12
Solitamente, accogliendo l’ipotesi del Diels (avanzata in Doxographi greci) che ho considerato nell’Introduzione, si fa risalire il passo alla sua Physicorum opiniones oppure Physicae opiniones – entrambi i titoli sono possibili – come fr. 8, ma esso potrebbe in effetti risalire alla sua Physica, come pure è stato osservato ivi.
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5.2.1) e, parzialmente, in una testimonianza di Filopono (cfr. 11.4); limitatamente all’immagine del pulviscolo atmosferico trova un parallelo anche altrove (p. es. in Lattanzio, De ira dei X 9 [= 9.5], in Aristotele, De anima I 2, 404a3-4 [= 101.1], e di nuovo in Filopono, cfr. 24.11 e 101.2). Altri passi brevi del genere si trovano in Cicerone (cfr. 5.3), in Clemente (cfr. 5.4), in Eusebio (cfr. 5.5), in Ermia (cfr. 5.6 e 5.7) e, di nuovo, in Teodoreto (cfr. 5.8). Il passo di Diogene di Enoanda (cfr. 5.11) è simile a questi, ma contiene degli apprezzamenti (purtroppo il testo è lacunoso). Quello di Varrone (cfr. 5.9) suggerisce solo che atomisti come Democrito ammettono principi elementari che sono infiniti. Quello di Isidoro di Siviglia (cfr. 5.12) prima espone cosa sono gli atomi per i filosofi (ricorrendo pure lui all’immagine del pulviscolo atmosferico), poi parla degli indivisibili in vari contesti, cioè nel caso dei corpi, nel caso del tempo e nel caso dei numeri, con un’elaborazione che ha un interesse soprattutto concettuale. Quello di Plutarco (cfr. 5.10) è volto a contestare il ricorso, da parte di Democrito, a principi che risiedono in corpi inanimati che operano indipendentemente da ogni intelligenza. (Questo motivo dell’assenza di un finalismo provvidenzialistico nel pensiero atomistico compare in varie altre testimonianze, come vedremo.) Riguardo alle testimonianze 5.1 e 5.2 c’è da rilevare che ho incluso la parte sul pitagorico Ecfanto, per via della possibilità che Aristotele si riferisca alla sua posizione in De anima I 2, 404a16-19 (= 101.1), parlando di ‘alcuni Pitagorici’ (senza precisare chi); peraltro non è improbabile che ci sia un’assimilazione, di già da parte dello stesso Aristotele, della posizione del pitagorico a quella degli atomisti. (Vedi più oltre, sez. 24, sulle riserve espresse da Simplicio nel suo commento al passo, cioè in 101.4, circa l’appropriatezza dell’accostamento, anche se quanto egli dice di positivo sulla posizione adottata dai Pitagorici è poco chiaro.) La sezione D è intitolata “classificazioni dei princìpi o elementi”, e include alcuni passi nei quali la postulazione degli atomi come princìpi (o elementi) è inserita in un quadro più complessivo riguardante le posizioni di vari altri pensatori non solo presocratici. È abbastanza chiaro che, nei casi in questione, questo quadro è conforme ad uno schema dossografico che, almeno per quel che riguarda la sua prima formulazione articolata a noi nota, risale ad Aristotele. Pertanto introduco i passi contenenti le classificazioni con un passo aristotelico di inquadramento tratto dal De anima (cfr. 6.1), nel quale si propone una prima distinzione dei princìpi ammessi dai pensatori in corporei ed incorporei, e si allude ad una ulteriore distinzione per numero che in effetti Aristotele stesso propone all’inizio di Phys. I 2 (= 11.1); nel suo commento al primo passo Filopono esplicita come la posizione di Democrito si inserisce nel quadro ivi delineato (cfr. 6.1.1). A partire dalla stessa prima distinzione Sesto Empirico, in Adv. math. IX 359-364, espone più in dettaglio le varie posizioni di coloro che hanno ammesso i principi come corporei e di coloro che li hanno ammessi come incorporei (cfr. 6.2). Ancora in Sesto Empirico, Pyrrh. hypot. III 31-33, c’è una classificazione riguardante dichiaratamente i princìpi materiali (dunque corporei) che li classifica in base a criteri non numerici come la divisibilità e l’indivisibilità e il possedere o meno qualità (cfr. 6.3); una sorta di variante di questa classificazione si trova in Ps.-Galeno, Hist. philos. 18 (= 6.4) e, limitatamente ai princìpi considerati come indivisibili (con riferimento espresso a Democrito e Leucippo), in uno scolio all’Hexahemeros di Basilio (cfr. 6.4.1). Di nuovo in Adv. math. X, 310-318 c’è una classificazione piuttosto articolata dei principi, basata sia sul numero sia su altri criteri come l’essere passibili o
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impassibili (cfr. 6.5); in Ippolito c’è una variante di tale classificazione (cfr. 6.5.1). In forma semplificata questo tipo di classificazione compare anche in un altro scolio all’ Hexahemeros di Basilio, nel quale è introdotta la precisazione che per Democrito i princìpi sono ‘idee’ (cfr. 6.6). Infine Alessandro d’Afrodisia, nel commentare un passo della Metafisica di Aristotele (cfr. 6.7), chiarisce in che modo gli atomi sono degli elementi rispetto agli elementi empedoclei dal punto di vista della loro indivisibilità. La sezione E è intitolata “esposizioni sintetiche riguardanti gli atomi e le loro operazioni (e immagine del pulviscolo atmosferico)” ed include due passi che rispondono a questa descrizione: il passo tratto dall’opera perduta di Aristotele Su Democrito che viene riportato da Simplicio (cfr. 7.1) e un passo simile di Lucrezio, che rende più espliciti certi punti toccati nell’altro passo e anche in altre testimonianze (cfr. 7.2). Il primo passo è assai significativo, e viene citato da Simplicio, nel commentare un passo aristotelico di De caelo I 10 (sulla questione se il mondo è transitorio), a smentita dell’interpretazione che ne era stata data da Alessandro di Afrodisia (cfr. 79.4, con n. 613 ad loc.). Come si è visto, l’immagine del pulviscolo atmosferico per illustrare il movimento disordinato degli atomi che compare nel passo di Lucrezio compare in più testimonianze riguardanti Democrito. Da accostare a queste sono le testimonianze che hanno comunque per oggetto quel movimento (p. es. 73.5 e 73.6). La sezione F è intitolata “atomi, qualità e composti ovvero apparenza e realtà” e include passi nei quali gli atomi sono messi in opposizione ai composti non solo per essere privi di qualità ma per il fatto di costituire, insieme al vuoto, la realtà, sicché le qualità stesse sono trattate come non reali. Il primo di questi passi è tratto dall’Adv. Colotem di Plutarco ed in esso, alla solita formula: “per convenzione è il colore e per convenzione è il dolce”, viene fatta l’aggiunta: “per convenzione è ogni aggregato” (cfr. 8.1, con n. 61 ad loc.). Il passo pare contenere pure l’espressione “forme indivisibili” applicata agli atomi (ma non tutti gli studiosi lo riconoscono, cfr. n. 66 ad loc.). L’intento generale è di polemica nei confronti degli Epicurei, i quali, pur criticando Democrito per avere contestato (con quella formula) l’oggettività delle proprietà sensibili e perfino la consistenza ontologica dei corpi macroscopici, sarebbero anch’essi esposti alle stesse obiezioni. (Per questa critica dell’Abderita da parte degli Epicurei vedi anche il passo di Diogene di Enoanda citato più sotto.) Il secondo passo della serie, che è trascurato sia da Diels e Kranz sia da Luria, pur essendo incluso negli Epicurea di Usener, è tratto dal commento di Simplicio a Categoriae 8, cioè al cap. riguardante la qualità, e fa parte di un excursus sulla questione della sussistenza delle qualità, essendo in effetti più polemico che espositivo (cfr. 8.2). Segue un terzo passo, pure (come il primo) assai significativo, che è dovuto a Galeno: in esso questi offre una presentazione complessiva della concezione che gli atomisti avevano della realtà, aggiungendo qualche informazione rispetto alle altre testimonianze (cfr. 8.3). A questo passo sono accostati alcuni altri di Galeno, che sono complementari ad esso e che servono a meglio inquadrarlo, oltre a contenere, nel caso del secondo e del terzo, espliciti riferimenti all’atomismo di Democrito (cfr. 8.3.1-4). È incluso ulteriormente un passo di Diogene di Enoanda, nel quale questi rigetta la tesi democritea che tutto quanto non coincide con atomi e vuoto è per convenzione (cfr. 8.4); infine c’è un passo, dello stesso tenore ma meno significativo, e piuttosto approssimativo, dello scrittore cristiano Epifanio su Leucippo (cfr. 8.5) (questo è seguito da un passo su Democrito che si estende alla sua etica, cfr. 132.3, inoltre infra, sez. 28).
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Le testimonianze successive (sez. G) propongono un confronto fra la teoria atomistica di Democrito e quella di Epicuro. Un primo gruppo è costituito da testimonianze dossografiche che sono centrate sulla concezione che i due pensatori hanno degli atomi, rilevando per esempio che Epicuro avrebbe attribuito ad essi una nuova proprietà, quella del peso (cfr. 9.1-9.1.2). A queste testimonianze accosto una di Plutarco, Adversus Colotem 16 (= 9.2), il quale implicitamente suggerisce che Epicuro, nel chiamare ‘enti’ anche i composti (con le loro proprietà), si distacca da Democrito per il quale la realtà in senso pieno è costituita dagli atomi e dal vuoto. Cicerone (nel citato passo di De finibus I [= 9.3], al quale è da accostare uno più breve [= 9.3.1]) offre una presentazione complessiva della fisica degli atomisti, rilevando alcuni punti in cui Epicuro si distacca da Democrito (l’intento è palesemente polemico nei confronti del primo). Prossime alle precedenti sono alcune testimonianze (di Dionisio presso Eusebio, e di Lattanzio [= 9.46]) che sono concentrate sul resoconto atomistico della costituzione del mondo (per rigettarlo dal punto di vista dell’adesione al finalismo provvidenzialistico); la prima di queste contiene anche qualche osservazione (probabilmente non esente da fraintendimenti) circa le divergenze fra Democrito ed Epicuro (sulla grandezza degli atomi, ecc.). Le testimonianze successive, di Alessandro d’Afrodisia e di Vitruvio (cfr. 9.7 e 9.8), associano Epicuro ai primi atomisti a proposito della loro concezione dei principi senza rilevare differenze di posizione. Il titolo adottato per il gruppo successivo di testimonianze: “l’atomismo fra monismo e pluralismo” (sez. H), tiene conto del fatto che una posizione come quella degli atomisti non si lascia collocare completamente in una sola delle caselle risultanti da una certa classificazione. Aristotele in più occasioni avanza il suggerimento che per certi aspetti la teoria degli atomisti è una forma di monismo piuttosto che di pluralismo. Tale monismo sta nel fatto che, per quanto riguarda la sua composizione fisica o materiale, un atomo non si differenzia per nulla da un altro atomo, ma è qualcosa di neutrale come l'apeiron di Anassimandro. L'insieme degli atomi è come una materia unica, che è divisa in parti dal vuoto. Il modo poi in cui un gruppo di atomi si aggrega per costituire un composto è tale per cui una variazione anche minima nella disposizione di alcuni di essi ha l'effetto di rendere differente il composto stesso, che pertanto risulta essere una aggregazione del tutto temporanea di essi. Il meccanismo fisico che viene postulato è solo un'elaborazione di quello già ammesso dai monisti (cioè quello di condensazione e di rarefazione), e la conseguenza è la stessa: la riduzione dei composti a stati fluttuanti o transitori di una materia che in qualche modo è unica. Indubbiamente l'accostamento operato da Aristotele dell'atomismo al monismo pecca di unilateralità e può solo valere per una tendenza del pensiero degli atomisti, ma non va trascurato se si vuole arrivare ad una migliore comprensione di esso. Questo approccio di Aristotele è molto evidente in Metaph. I 4 (= 10.1, cui va accostato 10.2), dove ritmo, verso e contatto tendono ad essere trattati come una sorta di differenze degli atomi considerati nel loro complesso alla stregua di una materia unica; con qualche complicazione o variazione compare anche nei passi aristotelici di Phys. I 2 (= 11.1) e I 5 (= 12.1). (L’approccio viene ripreso da Simplicio nella parte riguardante Democrito in 3. Una unicità della materia almeno per via della sua omogeneità o neutralità viene sottolineata anche nei passi aristotelici di Phys. III 4 [= 38.1] e DC I 7 [= 65.1], con i commenti di Simplicio e Filopono al primo, cioè 38.4 e 39.2. Sono pertinenti anche i passi aristotelici riguardanti condensazione e rarefazione, sui quali più
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oltre.) Una complicazione è data dall’introduzione di una distinzione fra materia e forma, con la tendenza a trattare l’insieme degli atomi come una materia unica che può presentare in qualche misura un aspetto formale (dato da caratteristiche come la figura posseduta da ciascun atomo). Questa distinzione è presente sia in una testimonianza di Simplicio (cfr. 10.3), sia in alcune testimonianze dei dossografi (cfr. 10.4-4.2) e in una di Alessandro (cfr. 10.5) 6. La genesi dell’atomismo in rapporto con l’eleatismo (parte III, sezioni A, B, C, D). Riguardo quella che si può chiamare l’ontologia degli atomisti, cioè in primo luogo la postulazione come elementi di tutte le cose di pieno e vuoto intesi come equivalenti ad essere e non-essere, è attestata, da Aristotele e dai suoi commentatori, una dipendenza dalla posizione eleatica. (Per una migliore comprensione di questo punto ho incluso nella mia raccolta passi di Parmenide, Melisso e Zenone che contengono formulazioni di quella posizione). Che una parte delle proposizioni principali adottate dagli atomisti siano recepite dall'eleatismo tenendo conto delle riformulazioni che della posizione di Parmenide sono state date da Melisso e da Zenone è cosa ammessa dalla maggioranza degli studiosi. C’è una minoranza che dissente, fra i quali sono da menzionare Theodor Gomperz nei suoi Griechische Denker, vol. I, libro III, cap. 2 (specialm. pp. 286-89) e A. Brieger in “Hermes” 36, 1901, in quanto sostenevano che le radici dell’atomismo sono da ricercare nella fisica degli Ionici e di Anassagora. Le loro obiezioni all’interpretazione prevalente sono discusse in dettaglio nella parte di commento o interpretativa, concludendo che sono infondate. Qui mi limito ad un’osservazione generale. I due studiosi partono dall’assunto che ci sia una incompatibilità fra l’approccio fisico da attribuire agli atomisti e l’adozione da parte loro di un’ontologia che è da porsi in rapporto all’eleatismo. Ritengo che essi non riconoscano a sufficienza come un’ontologia comportante l’ammissione di una materia discontinua consistente in particelle indivisibili e invisibili che si muovono nel vuoto presenta dei vantaggi anche dal punto di vista della teorizzazione fisica, perché permette di spiegare una notevole varietà di fenomeni in maniera piuttosto economica. Tuttavia, come dovrebbe essere sufficientemente chiaro dalla presente esposizione, io non accolgo gli esiti in qualche modo idealistici che studiosi come Alfieri cercano di trarre dall’istituzione di quel rapporto, e non escludo affatto l’esistenza di una dipendenza dalla fisica ionica e anassagorea. Ai lavori degli studiosi citati si deve aggiungere il recentissimo libro di L. Gemelli Marciano, Democrito e l’Accademia, Berlin 2007 13 . Il suo punto di partenza è abbastanza simile al loro, ma ella ritiene che Aristotele, pur contrapponendo espressamente l’approccio ‘fisico’ degli atomisti a quello ‘dialettico’ o ‘matematico’ adottato da Platone, finisca con l’interpretare tutta la teoria degli atomisti alla luce degli sviluppi verificatisi all’interno dell’Accademia platonica. Ora è vero che lo Stagirita, su alcuni punti, tende a proporre in maniera piuttosto disinvolta degli accostamenti come quello fra Pitagorici e atomisti (cfr. De caelo III 4 [= 20.1]) oppure fra Accademici come Senocrate e Democrito (a proposito della loro concezione dell’anima, cfr. De anima I 4 13
Si tratta di un libro da me notato con ritardo, sicché non ne ho tenuto conto nell’Introduzione. Anche la sua posizione sarà discussa in dettaglio nella parte interpretativa, ma vedasi le osservazioni nelle note 14 e 21 infra. Osservo subito che ella intende dichiaratamente fare Quellenforschung, ma lo fa a partire da un concetto a mio avviso troppo estensivo e insieme troppo rigido di indagine delle fonti.
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[= 103.1]). Ma non credo che si possa generalizzare e arrivare alla conclusione (non tratta espressamente dalla Gemelli ma inevitabile) che egli finisce col perdere totalmente di vista proprio quelle distinzioni di approccio che sono da lui riconosciute in modo così esplicito. La Gemelli sostiene pure che negli scritti di Leucippo e Democrito non fosse presente un argomentare “secondo i canoni della logica aristotelica” perché prevale l’intento “di influenzare e persuadere un pubblico che condivide gli stessi presupposti culturali compresa la concezione di ‘argomento persuasivo’” (op. cit, p. 150). A me pare che questa alternativa sia troppo ristretta e che non si deve dimenticare che Democrito era un contemporaneo di Socrate e di Gorgia, anche se presumibilmente non aveva coltivato l’argomentare al livello di astrattezza da essi raggiunto. L'attestazione principale della dipendenza degli atomisti dalla posizione eleatica sta nell'esposizione che di essa viene data da Aristotele in Gen. et corr. I 8 (= 15.1), ma altre testimonianze (particolarmente di Simplicio, basandosi su Teofrasto, in In Physica I 2 [= 3], inoltre di Diogene Laerzio in IX 42 [= 0.2.1]) convergono con essa in vari modi e così confermano un'attestazione che è intrinsecamente plausibile e che ha l'aria di essere ben fondata. (Anche le “genealogie” ammesse dai dossografi suggeriscono tale dipendenza, cfr. 0.8.1-5.) L’adozione infatti dell’equivalenza di pieno ed essere e vuoto e non-essere, e l’adozione di princìpi come quello che nulla si genera da nulla, sono difficilmente spiegabili altrimenti. 14 La loro adozione di quella equivalenza risulta da alcuni dei passi cui si è già fatto riferimento, cioè da Aristotele, Metaph. I 4, 985b7 (= 10.1) e Phys. I 5, 188a22-23 (= 12.1), cui vanno aggiunti diversi altri passi (per i quali cfr. Quadro sinottico, B.4.1). Essa compare anche nel commento di Alessandro al passo aristotelico in Metaph. IV 5, dove egli solleva la questione della sua compatibilità (nel caso della postulazione del non-essere come conseguenza della postulazione del vuoto) con il principio che nulla si genera da nulla; per questa ragione ho accostato questo passo (come 13.3) ad altri concernenti quel principio invece di accostarlo al passo aristotelico commentato. Filopono, nel commentare il passo aristotelico di Gen. et corr. I 8 suggerisce che il vuoto è inteso dagli atomisti come non-essere non nel senso di non esistente ma nel senso di non-sostanza (cfr. 15.3, 15.4), ma non è chiaro in qual misura essi stessi avessero presente una distinzione del genere. Comunque sia, la loro adesione al principio che nulla si genera da nulla risulta anch’essa da alcuni passi già menzionati, e cioè quelli di Diog. Laerzio IX 44 (= 4.1) e di Plutarco, Adv. Col. 1111A4-5 (= 8.1), oltre che appunto dal passo di Alessandro. Aristotele, in Physica I 4 (= 13.1), presenta questa come una dottrina (“opinione”) comune a tutti i naturalisti. È un passo nel quale egli prende in considerazione in modo esplicito solo la posizione di Anassagora, ma, a parte la sua inclinazione a generalizzare certe tesi (vedi le mie note al passo), è proba14
Gemelli Marciano, op. cit., pp. 140 sgg., e pp. 284 sgg., suppone che di vuoto si parli in tale contesto per un fraintedimento della concezione che del vuoto avrebbero avuto gli atomisti nei contesti fisici nei quali si parla dello horror vacui – cfr. Diog. Laerz. IX 31 (= 80.1) riguardo al ‘grande vuoto’ che precede la formazione del cosmo, inoltre Aless. Quaest. II 23 (= 89.1) sul ruolo del vuoto nell’attrazione esercitata dalla calamita, ecc. – Non mi pare probabile che Aristotele e altri interpreti possano essere stati le vittime di un fraintedimento così grave. C’è piuttosto un fraintedimento da parte della studiosa nel non rendersi conto che il vuoto è postulato non come causa (dinamica) del movimento ma come sua condizione necessaria, cfr. Phys. IV 7 (= 35.7), inoltre infra, sez. 10. Pure la supposizione che Aristotele in Gen. et corr.I 8 riprenda del tutto passivamente materiale elaborato da altri non mi pare molto plausibile (ma risponde al suo concetto di Quellenforschung).
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bile che egli tenda ad accostare la posizione di Democrito a quella anassagorea, come di fatto avviene in Metaph. IV 5, 1009a27-30 (= 57), dove pure viene introdotto il motivo della mescolanza di tutte le cose. Questo motivo compare anche in Phys. III 4 (= 38.1), dove pure Democrito viene accostato ad Anassagora, a quanto pare in base alla convinzione che gli atomi, essendo entità del tutto omogenee (ovvero indistinguibili quanto alla loro materia), costituiscono quella condizione di ‘tutte le cose insieme’ di cui parla espressamente l’altro pensatore. Su questa linea è anche il passo di Metaph. XII 2 riportato in questo gruppo (= 13.2). La tesi introdotta in Phys. I 4, che si evita di violare quel principio postulando particelle invisibili che preesistono al mutamento e che servono a spiegarlo tramite il loro aggregarsi e dissociarsi, deve dunque valere anche per gli atomisti. Il principio in questione riceve la sua prima formulazione chiara presso gli Eleati (anche se Aristotele pare assumere che già i primi naturalisti l’avevano adottato), sicché riporto a complemento passi di Parmenide e di Melisso (cfr. 14.1-3). Aristotele stesso mostra di ritenere che l’adesione a quel principio indusse gli Eleati a negare ogni mutamento (cfr. Phys. I 8 [= 14.4]). Sul passo di Metaph. XII 2 (= 13.2) in particolare c’è da osservare che riportare solo il brano che inizia con la menzione di Democrito, come fanno Diels (68 A 57 DK) e Luria, crea l'impressione che Aristotele voglia attribuire a Democrito l'affermazione che ‘tutte le cose sono insieme in potenza, non in atto’ – anche se Diels si preoccupa di precisare in apparato che si tratta di una interpretazione aristotelica della posizione di Democrito, non di una citazione. 15 Tuttavia la formula ‘tutte le cose insieme’, oltre ad essere sicuramente anassagorea, viene da lui normalmente attribuita ad Anassagora (cfr. Phys. III 4 [= 38.1], da cui è chiaro che si tratta di un'abbreviazione della formula con la parola chremata presente nel fr. 1 di Anassagora 16 ), e così deve avvenire nel contesto del presente passo, il cui senso è (come intende Ross, del quale riprendo la punteggiatura): ‘meglio che dire (come fa Anassagora) “tutte le cose sono insieme” - o parlare di “migma”, come hanno fatto Empedocle e Anassimandro, oppure usare la formulazione di Democrito (quale? forse quella della panspermia) - è dire “tutte le cose sono insieme in potenza, non in atto”’. Peraltro il passo non pare esente da ambiguità, perché la conclusione, che di per sé esprime la posizione dello stesso Aristotele, deve voler suggerire che quanto essi avevano in mente, con le loro formulazioni inadeguate, è proprio la condizione di potenzialità, in cui consiste la materia. Luria (sotto 221) adduce a conferma della sua lettura del passo il commento di Alessandro (cfr. In Metaph. 673.19-22), ma questi (in realtà Ps.-Alessandro per questo libro) non pare essere un testimone di qualche attendibilità; riporta pure un pezzo di Galeno (De elem. I 2, 416.68 [= 8.3]) come passo parallelo, ma la somiglianza fra i due passi è assai estrinseca. Riguardo al rapporto degli atomisti con l’eleatismo, dall’esposizione di Aristotele nel passo di Gen. et corr. I 8 (ma con qualche integrazione suggerita dai testi degli Eleati cui egli fa riferimento, cfr. 16.2, 16.3 e 16.5, come dai commenti di Filopono, cfr. 15.24) risulta la situazione seguente: Parmenide esclude l'esistenza della pluralità e del mutamento perché postularli comporterebbe la postulazione del non-essere, e questo va 15
Su questa linea è la seguente traduzione di Alfieri: “Anche secondo quanto afferma Democrito, c’è ‘tutto in tutto’ in potenza, ma non in atto”. 16 Si vedano inoltre Phys. I 4, 187a29-30 (= 13.1); VIII 1, 250b24-25; Metaph. IV 4, 1007b25-26; X 6, 1056b28-29 (con Bonitz, Index aristotelicus 512b59-62), per passi dove la formula viene associata esplicitamente ad Anassagora.
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escluso perché il non-essere è qualcosa di non intelligibile (non è né pensabile né dicibile). Melisso riformula la stessa tesi (espressamente circa il solo movimento) in termini di pieno e di vuoto, fatti coincidere il primo con l'essere e il secondo col nonessere: se il movimento esistesse, ci vorrebbe il vuoto come sua condizione (cioè come spazio vuoto dove i corpi possano andare), ma la postulazione del vuoto non può essere accolta, data la sua coincidenza col non-essere. Gli atomisti concordano nell’ammettere che il vuoto è condizione del movimento, come nell’ammettere che il vuoto coincide col non-essere, ma affermano pur sempre la sua esistenza. Per essi il vuoto (sempre fatto coincidere col non-essere) è anche la condizione della pluralità, sicché la sua postulazione viene a legittimare pure questa. La pluralità stessa poi va vista come una pluralità di “pieni”, cioè di entità od unità che escludono vuoti, quindi parti discrete, al loro interno, e che pertanto sono indivisibili (“atomi”). La postulazione di tali entità costituisce la giustificazione per porre un limite alla divisione all'infinito dell'essere, di contro all'argomentazione zenoniana che, se l'essere è divisibile, lo è all'infinito, non essendoci ragione per fermarsi ad un certo punto nella divisione. (Sulla questione della divisione all’infinito si veda anche più oltre.) C'è stata, da parte degli atomisti 17 , una sorta di rovesciamento della posizione eleatica, e questo può avere coinvolto anche la confutazione rivolta da Melisso alla pluralità degli enti nel fr. 8 (= 17), perché l'immutabilità da essa richiesta e non realizzata dagli enti sensibili può essere supposta appartenere a enti non sensibili, cioè a particelle invisibili. C’è diversa documentazione che viene a mostrare che gli atomi sono ritenuti soddisfare ai requisiti che discendono dall'adozione del principio che 'nulla si genera dal nulla', e cioè quelli di essere entità che sono eterne ed esenti da ogni mutamento, ad eccezione del cambiamento di luogo. A questa va associata la documentazione (spesso la stessa) riguardante l'illusorietà dei mutamenti (distinti dal cambiamento di luogo) che coinvolgono i corpi macroscopici, che sono quelli che paiono violare quel principio. (Si veda Arist. De caelo III 7, con comm. di Simplicio, cioè 18.6 e 18.7; a questi passi si possono accostare alcuni di Filopono, cfr. 50.1, 50.3 e 50.4.) Si può anzi parlare al proposito di una riduzione di tutti gli altri processi (presentati da Aristotele e dai suoi commentatori mediante distinzioni aristoteliche di tipi di movimento o di mutamento) al cambiamento di luogo, che riguarda gli atomi e che viene ad includere il loro associarsi e dissociarsi (cfr. 19.5-7, passi di Aristotele e di Simplicio ai quali accosto un passo di Sesto, cfr. 19.8). Tale riduzione implica il riconoscimento di una priorità del cambiamento di luogo o movimento locale sugli altri processi, e questo viene attestato per gli atomisti (accanto ad altri pensatori) da Aristotele in Phys. VIII 9 (= 19.2) e da Simplicio nel commentare il passo (cfr. 19.3 e 19.4). A questo passo è probabilmente da accostare un altro di Phys. VIII 7, 260b8-15 (= 19.1), il quale pare riportare un argomento dei pluralisti che potrebbe essere soprattutto democriteo, perché tutte le proprietà sono fatte dipendere da condensazione e
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Aristotele nel corso della sua esposizione menziona solo Leucippo, ma nel contesto aveva menzionato anche Democrito, sicché non è improbabile che egli tenga conto di qualche sviluppo dovuto a quest’ultimo, qualora Leucippo per ragioni cronologiche non fosse stato al corrente di tutti i contributi degli Eleati (ma della sua cronologia non sappiamo nulla di preciso, salvo che deve essere stato più anziano – di poco o di molto? – di Democrito).
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rarefazione e queste da combinazione e dissoluzione 18 . Che Aristotele, fra questi pluralisti, avesse in mente Democrito è suggerito anche da Simplicio nel suo commento al passo (cfr. 19.1.1). Una ragione per affermare la priorità del movimento locale viene addotta in modo generale dallo stesso Aristotele in Phys. VIII 7 (cfr. 19.1). Fra i pluralisti sono solo gli atomisti che sono espressamente messi in rapporto con gli Eleati da Aristotele nei passi ora considerati, a differenza di quanto fanno gli studiosi del nostro tempo, perché egli non associa la ‘scoperta’ del principio che nulla si genera dal nulla specificamente all’eleatismo (nel contesto del passo di Gen. et corr. I 8 la questione principale è data dalla postulazione del vuoto nel rendere conto dell’agire e del patire). Egli però riconosce, come indicato sopra, che c’è una vicinanza fra la posizione di Anassagora e quella di Democrito nel rendere conto dei mutamenti mediante la combinazione e la dissociazione di particelle invisibili. Pertanto cito a complemento i passi di Empedocle e di Anassagora che mostrano la loro adesione a questo tipo di posizione (cfr. 18.1-5). 7. I composti non presentano unità al loro interno (sezioni E ed F) Nel cercare di chiarire qual è il rapporto fra gli atomi e i composti gli atomisti paiono avere insistito sul principio che una pluralità non dà luogo ad una genuina unità e, correlativamente, che un'unità non dà luogo ad una genuina pluralità. Questo è attestato dai testi 20.1-4, inoltre da brani facenti parte dei passi aristotelici 7.1 e 15.1 (cioè 295.12-14 e 325a35-36). Da questi passi, con l’eccezione di 20.4 (passo appartenente alla parte non autentica del commento di Alessandro alla Metaphysica e da ritenere non attendibile), si desume che l'applicazione principale del principio è al rapporto che c'è fra gli atomi e i composti: da una pluralità di atomi (che sono essi stessi delle genuine unità) non si ricava un'unità più comprensiva, quale si avrebbe se il composto fosse considerato come una sostanza (al modo in cui lo considera Aristotele). La conseguenza è che i composti, dunque i corpi macroscopici, sono privi di uno statuto ontologico autonomo ovvero ad essi proprio. Questo è un punto sul quale c'è una significativa discrepanza fra l'atomismo democriteo e quello epicureo, perché quest'ultimo recepisce in qualche modo il principio aristotelico della priorità del tutto sulla parte, donde la mia citazione di un passo di Sesto Empirico che riguarda tale posizione di Epicuro (cfr. 20.5; il passo è tralasciato da Usener nei suoi Epicurea). Connessi ai precedenti sono quei passi nei quali si rileva che, dal punto di vista aristotelico, i composti di atomi non sono essi stessi continui, perché l’unico rapporto che si può stabilire fra gli atomi (che sono paragonabili ai numeri intesi come unità discrete) è quello di contatto, come attesta Simplicio nel commentare passi di De caelo III (cfr. 21.2-3). C’è poi la singolare precisazione, dovuta a Filopono, che al proposito neppure si può parlare di contatto in senso stretto (cfr. 21.5 e 21.7, inoltre 41.3 e 100.1, dove solo cenno) 19 . Altri passi (dello stesso Aristotele e di Ps.-Alessandro a commento) 18
Che Aristotele in questo passo stia riportando un argomento altrui a favore di una tesi alla quale egli stesso aderisce è stato già rilevato da H. Wagner in (Aristoteles) Physikvorlesung, p. 688, commentando il passo,. Luria riporta un passo più ampio (come nr. 330), a partire da 260a26 sgg., ma io ritengo che il grosso dell’argomentazione in questa parte sia aristotelico. 19 La sua attendibilità è discussa dagli studiosi, ma pare difficilmente sostenibile (si veda Mansfeld, Out of touch: Philoponus as Source for Democritus [cfr. bibl.], dove viene fatto riferimento alle prese di posizione in proposito). Come Simplicio, in quei passi di commento e pure altrove, anche Aristotele pare
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attestano semplicemente che Aristotele giudicava errato costituire gli enti, come fa Democrito, da dei minimi, cfr. 21.4-21.4.1 (peraltro in altri testi la postulazione dei minimi è riservata ad Epicuro, ma può essere che non si parli di ‘minimo’ nello stesso senso). Infine c’è un passo, tratto dall’inizio di Arist. Phys. VI 1 (= 21.1), che ho riportato a chiarimento della terminologia (‘continuità’, ‘contatto’ e ‘consecuzione’) che Aristotele e gli aristotelici usano nell’esporre la posizione degli atomisti. A questi passi sono aggiunti due di Filopono (cioè 21.6 e 21.7) che chiariscono perché Aristotele, in Gen. corr. I 8, 325b5-11 (= 15.1), ritenga che Empedocle avrebbe dovuto ammettere degli indivisibili e il vuoto, come Leucippo e Democrito, dunque perché, una volta che si ritenga che l’agire e il patire fra i corpi richiedono dei ‘pori’, cioè dei canali per le particelle, questi altri postulati siano inevitabili, con l’implicazione che non ci può essere continuità nella materia da cui i corpi macroscopici sono costituiti. 8. La questione dell'indivisibilità degli atomi (sezione G) Alcuni testi di un primo gruppo contengono attestazioni pure e semplici del fatto che gli atomisti postularono grandezze minime in quanto non ammettevano una divisione all'infinito (cfr. 22.6-7.1), mentre altri contengono delle ragioni per quella postulazione ovvero per escludere quella divisione (cfr. 22.1, 22.2, 22.4 + 22.3 di Lucrezio sulla posizione epicurea); in uno di questi (cioè 22.1 di Simplicio) si fa anche riferimento agli sviluppi successivi, cioè alle critiche di Aristotele e al modo in cui Epicuro reagì ad esse, per cui è stato citato a complemento anche un passo dell'Ep. ad Hdt. (= 22.1.1). Peraltro la testimonianza di Filopono nel suo commento a De anima II 8 (= 22.4) contiene l’importante distinzione (non fatta in modo esplicito dallo stesso Aristotele nella Fisica o altrove) fra la divisibilità all’infinito che vale potenzialmente per le grandezze in quanto grandezze e la divisibilità limitata che vale per le cose che hanno una certa forma o figura, la quale non si può conservare quando la divisione va oltre un certo limite. Sembra evidente che per gli atomi vale tale indivisibilità limitata, ma non è del tutto chiaro, da questo passo, se Democrito l’avesse fatta valere per essi. Può essere significativo che Aristotele veda un parallelo fra l’atomismo fisico di Democrito e quello geometrico di Platone, perché i triangoli nei quali sono scomponibili le figure geometriche che costituiscono i quattro elementi si lasciano dividere all’infinito in quanto grandezze ma non in quanto triangoli (come rileva anche Filopono nel suo commento a De gen. et corr., inoltre cenno in Simplicio, In De caelo IV 2, 685.5-6 [= 68.2.2]). Questo parallelo in effetti Simplicio lo fa valere espressamente per Democrito proprio da questo punto di vista (cfr. In De caelo 665.1-3 [= 69.5]), mentre Alessandro In Metaph. V 3 (= 6.7) suggerisce che gli atomi per Democrito sono indivisibili per grandezza e non solo per forma. (Sulla questione si veda anche Arist. DC III 7 [= 26.2].) Come 23.1 viene riportato un passo di Aristotele, Physica I 3, quasi alla conclusione della sua trattazione della posizione degli Eleati (contenuta nei capp. 2-3), nel quale si fa riferimento (senza nominarli) ad ‘alcuni’ che avrebbero ‘ceduto’ a due argomenti avanzati da costoro a favore dell'unicità dell'essere. Tale cedimento sarebbe consistito nel fare delle concessioni che lo stesso Aristotele giudica improprie, cioè ammettere l'esistenza del non-essere e postulare grandezze indivisibili. Diversi studiosi in tempi assumere che fra gli atomi può esserci un contatto, e l’attribuzione ad essi di forme come quella uncinata sembra partire dallo stesso assunto.
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recenti hanno supposto che questi ‘alcuni’ siano gli atomisti. Cito a complemento (al nr. 23.2) un passo dal commento di Filopono (tralasciato in tutte le raccolte) nel quale questi, oltre a chiarire il senso del passo aristotelico, attesta che i commentatori antichi (o almeno alcuni di essi, cioè Alessandro e Temistio, approvati dallo stesso Filopono) ritenevano invece che il riferimento fosse alla posizione di Platone nel Sofista, per l’ammissione dell’esistenza del non-essere, e a quella di Senocrate, per la postulazione di linee indivisibili. 20 Gran parte del cap. 2 del libro I del De generatione et corruptione di Aristotele contiene un argomento di tenore zenoniano che viene utilizzato a favore della postulazione di grandezze indivisibili che sono dette essere corporee, accompagnato da alcune osservazioni critiche dello stesso Aristotele. Di nuovo, diversi studiosi in tempi recenti hanno supposto che questo argomento (ovvero il suo uso a quello scopo) sia dovuto a Democrito, anche perché un riferimento espresso a lui viene fatto poco prima (in 316a13 [= 24.3]). In questo caso risulta esserci il conforto di qualcuno dei commentatori antichi, perché almeno Filopono, nel suo commento all'opera (non sono disponibili altri commenti antichi a quest’opera), dichiara espressamente che si tratta di un argomento adottato da Democrito (cfr. 24.5, 24.8, 24.9 [35.10-12], 24.10, inoltre 24.11, dove [in 39.4-10] c'è una chiara allusione a lui). 21 Prima di riportare questa parte del capitolo, riporto alcuni passi del capitolo che servono da introduzione (cioè 24.1 e 24.3, ai quali vanno aggiunti 50.2 e 50.5), e nei quali viene sollevata la questione se la postulazione di grandezze indivisibili sia indispensabile per rendere conto della generazione e della corruzione (riportandole ad aggregazione e disaggregazione di particelle), facendo un confronto fra la posizione di Democrito (al quale è associato Leucippo) e quella di Platone; a complemento, per il chiarimento che offre, riporto anche un passo del commento di Filopono (cioè 24.2). Quanto all'esposizione dell'argomento democriteo, la suddivido in due passi (da 316a14 fino a b16 e da b16 fino a 317a4, cioè 24.4 e 24.7), tenendo conto del fatto che Aristotele nel secondo passo dichiara di ‘riprendere la difficoltà dal principio’ e offre una seconda esposizione dell'argomento. (Che ci sia una seconda esposizione pare poco contestabile, ma diventa più chiaro con la trasposizione di 316b9-14 dopo 316b27, seguendo un suggerimento di David Sedley che pare plausibile anche se non si accoglie la sua interpretazione complessiva, cfr. n. 210 ad 24.4.) 22 In mezzo sono collocati due 20
Si tratta dunque di documentazione ‘negativa’. Dello stesso tenore, e in forma più ampia, è quanto si trova nel commento di Simplicio, 133.30 sgg. (non incluso nella presente raccolta), il quale, oltre a riportare il parere di Alessandro, riporta anche quello di Porfirio in 139.24 sgg. (= fr. 135 Smith, citato anche in trad. it. e discusso da Gemelli Marciano in op. cit., pp. 127-133). 21 Gemelli Marciano, op. cit., pp. 165 sgg., dissente da questa ricostruzione. Non posso qui entrare in una discussione dettagliata, ma non sono convinto dalla sua tesi che tutta l’argomentazione appartiene all’ambito dell’Accademia, perché né la divisione dappertutto né la divisione per metà – che peraltro non si debbono escludere a vicenda, perché uno può dividere per metà dappertutto – corrispondono al metodo accademico della sottrazione per il quale il corpo è divisibile in superfici, queste in linee e queste ancora in punti. Che fra questo testo e quanto troviamo nel Parmenide di Platone ci sia qualche punto di contatto (cfr. ivi, p. 174, con riferimento a 165B e contesto), non è da escludere, anche se mi pare meno stretto di come da lei sostenuto, ma in ogni caso è pure evidente l’intento dell’opera platonica di ricalcare argomenti zenoniani. Quello che, in generale, credo non si lasci escludere è che Aristotele, data la sua disinvoltura nell’accostare posizioni che possono essere simili anche solo superficialmente, rielabori un argomento democriteo alla luce della discussione all’interno dell’Accademia. 22 Gemelli Marciano, op. cit., pp. 169-171, ritiene che le due parti corrispondano alla distinzione aristotelica precedentemente introdotta fra ‘argomentare logico’ e ‘argomentare fisico’, mostrandosi
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passi di Filopono (cioè 24.5 e 24.6) che, oltre ad attestare che l'argomento è democriteo, offrono dei chiarimenti al primo dei passi, che non è esente da oscurità. Il secondo passo aristotelico non solo non è chiarissimo neppure esso, ma solleva un problema di interpretazione che è dato dal fatto che la seconda esposizione dell'argomento differisce dalla prima perché contiene una formulazione della questione che è manifestamente in termini aristotelici (viene usata la distinzione fra potenza ed atto). Ho riportato alcuni passi del commento di Filopono (di questi il più importante è 34.11-35.12 [= 24.9]) che contengono il suggerimento che Aristotele in questo brano anticipa una distinzione di due sensi di 'divisibile dappertutto' che, a suo avviso, viene riproposta alla conclusione dell'esposizione, quando Aristotele denuncia il 'paralogismo' nel quale è caduto chi adotta l'argomento per postulare grandezze indivisibili. Per quanto plausibile ed illuminante sia questo suggerimento, bisogna dire che esso non trova un riscontro esplicito neppure nel brano contenente la critica di Aristotele all'argomento (brano da me in gran parte tralasciato, cfr. 24.7 fine e 51.4, ma che viene sintetizzato da Filopono nel suo commento, 35.6-10 [= 24.9]). Il commentatore palesemente ritiene che la riformulazione ‘aristotelica’ dell'argomento serve da introduzione alla confutazione che Aristotele rivolge ad esso. Un'interpretazione alternativa a questa è stata proposta recentemente da Sedley, il quale ritiene che Aristotele riformuli l'argomento a questo modo per rinforzarlo, anche se alla fine lo rifiuta. La proposta è molto ingegnosa, ma suscita riserve, perché si tratterebbe di un procedimento del tutto insolito in Aristotele e la transizione in 316b16-19 non fa aspettare niente del genere, e perché egli normalmente si serve della nozione di potenzialità per escludere il completamento (anche solo teorico o immaginario) della divisione all'infinito (e a questo punto egli si richiama in GC I 3, 318a20-21, come Sedley stesso deve riconoscere). Infine riporto un ulteriore passo del commento di Filopono (cioè 24.11) che, oltre ad introdurre precisazioni su come Democrito concepisce le grandezze indivisibili da lui postulate (cioè come corpi invisibili per la loro piccolezza), torna alla questione principale del capitolo se tali grandezze siano indispensabili per rendere conto di generazione e corruzione. (Questi passi del commento di Filopono sono tutti tralasciati nella raccolta di Diels e Kranz; Luria invece include anche lui passi del commento, ma evidentemente il suo giudizio su quanto è importante riportare differisce dal mio. Uno di questi passi è a commento di 316b34 sgg., cioè 39.23-25 [di seguito a 24.11], dove Filopono, dopo avere osservato che Aristotele ammetteva come evidente l’affermazione che ‘il punto non è di seguito al punto’, cioè non è immediatamente continuo con esso, aggiunge che in effetti su ciò erano d’accordo anche Democrito e i suoi. Questa aggiunta è trattata come una testimonianza da Luria che la riporta al nr. 236, ma se si tratta, come lo studioso pare assumere, di un’illazione a partire dall’idea, pure attestata da Filopono (cfr. 21.4 e 21.5), che non c’è vero contatto fra gli atomi, si tratterebbe di un’illazione indebita perché gli atomi non sono punti; altrimenti non c’è niente al di fuori del testo aristotelico commentato che mostra la fondatezza di quell’attestazione. Pertanto ho deciso di omettere il passo.)
stupita del fatto che ciò non è stato notato da altri studiosi, ma in realtà non c’è niente che suggerisca una distinzione così netta (fra l’altro ella deve cercare di neutralizzare l’esempio molto fisico della segatura che compare nella prima parte).
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9. L’atomismo e le matematiche (sez. H) Una questione che si pone è se nel caso della teoria di Democrito si può parlare di un atomismo geometrico. Che questo sia da escludere è mostrato dal fatto che Aristotele la contrappone all’“atomismo” proposto da Platone nel Timeo (e consistente nell'ammissione della riducibilità dei quattro elementi fisici a figure geometriche) proprio per la sua non geometricità, cioè perché gli indivisibili che sono ammessi sono dei corpi, e dei corpi con le figure più svariate (cfr. 25.1, con comm. di Filopono in 25.2; inoltre in più testimonianze si parla di un’infinita varietà di figure che è presentata dagli atomi, cfr. p. es. Arist. De caelo III 4, 303a11-12 [= 48.4]; Simplicio, Phys. 28.9-10 e 25-26 [= 3], inoltre 459.27-28 [= 38.3]; Filopono, Gen. et corr. 12.3-4 [= 40.1]). Si implica che queste figure, come risulta anche da altre fonti (p. es. Teofrasto in 25.4), non sono quelle perfettamente regolari che sono le uniche ammesse da una geometria come quella euclidea. Aristotele poi rivolge all’atomismo la critica di andare contro i postulati delle matematiche che richiedono la divisibilità all'infinito dello spazio (cfr. De caelo III [= 26.1 e 26.2]). Peraltro va osservato che nel secondo passo la polemica è più direttamente contro “l’atomismo geometrico” di Platone, e solo per estensione contro quello democriteo. (Luria accosta a questo passo, sempre al nr. 126, un insieme di brani tratti da De caelo III 5, cioè 304a22 e 25 e 304a33-b6, dove si parla del fuoco come dell’elemento primario e composto da piramidi e viene proposta una critica di tenore simile a quella contenuta in 26.2: il fuoco non sarebbe costituito da fuoco perché, qualora – di contro all’assunto dei pensatori criticati – le piramidi fossero ritenute divisibili, non potrebbero essere costituite da piramidi. Quale che sia il valore della critica, in questo caso essa deve riguardare i platonici piuttosto che Democrito, perché questi associava il fuoco alla sfera; peraltro neppure i platonici attribuivano un ruolo privilegiato al fuoco.) La critica nei passi aristotelici citati riflette la prospettiva adottata dallo stesso Stagirita, che ammette che certi princìpi geometrici valgono anche in ambito fisico, e lascia aperta la questione se Democrito facesse ricorso alla teoria atomistica in ambito matematico. È possibile che ciò sia avvenuto, adottando dunque una teoria “granulare” dello spazio geometrico, ma (si può presumere) per avere assimilato la geometria alla fisica, non per avere adottato un atomismo che rispondesse fin dall'inizio alle esigenze della geometria. Questo suo “empirismo” tende ad essere confermato dall'attestazione di Archimede [= 27.2] di un suo ricorso a procedimenti “meccanici”, prescindendo da vere e proprie dimostrazioni 23 . (Forse è questo il motivo per il quale il suo nome non compare nella “storia della geometria” offerta da Proclo nel suo Commento al libro I degli Elementi di Euclide. In tutti i casi non pare avere dato un sua impronta agli sviluppi della geometria a lui successivi, pur avendo possibilmente offerto contributi particolari di un certo rilievo, come mostra anche il numero di titoli di sue opere matematiche nel catalogo in Diogene Laerzio.) L’adozione di quella teoria granulare è probabilmente alla base della ‘difficoltà dilemmatica’ riguardante la sezione del cono 23
C’è da osservare che la testimonianza di Archimede in Methodus è in contrasto con la sua affermazione, in De sphaera et cylindro I 1, che prima di Eudosso nessun esperto in geometria aveva riconosciuto il rapporto che esiste fra il cono e il cilindro e fra la piramide e il prisma. (Sulla questione si veda E.J. Dijksterhuis, Archimedes, Princeton 1987, pp. 141-43, dove il testo è riportato, con n. 1 a p. 143. Luria, nel suo commento ad 125, propone come via di uscita una tarda cronologia di Methodus che viene rifiutata dall’altro studioso.)
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che, come attesta Plutarco, De communibus notitiis 39, 1079E (= 27.1), era stata sollevata da Democrito. Plutarco purtroppo si preoccupa solo di illustrare la posizione che Crisippo aveva adottato al proposito. (Luria accosta a questo, riportandolo sempre al nr. 126 – ma anche al nr. 104 –, un brano ulteriore dell’opera di Plutarco, cioè 1080C, dove questi rigetta la pretesa degli Stoici di censurare coloro che adducono caratteristiche comuni (koinotetas) e certe cose (movimenti?) indivisibili che non sono né in movimento né ferme. A parte che il testo presenta dei guasti che ne rendono difficile la comprensione, Luria ci può leggere un riferimento a Democrito solo perché adotta una correzione di Leonicus (kenÒthtaj invece di koinÒthtaj) e segue la lezione che omette “movimenti” come soggetto di “indivisibili”; ma, anche ad adottare il suo testo, non si vede come l’affermazione che non sono né in movimento né fermi possa applicarsi ad entità che siano state postulate dall’Abderita. Può trattarsi semmai, come viene ammesso da alcuni studiosi (cfr. la nota di Cherniss al passo), di una censura mossa ad Epicuro per la dottrina che egli avrebbe adottato secondo la testimonianza di alcuni commentatori aristotelici riportata da Usener sotto 278. Un ulteriore brano dalla stessa opera (41, 1081C) viene riportato da Luria (al nr. 287a) perché riguarda l’“ora (nun)” inteso come istante indivisibile. Per l’esclusione di questo si veda più oltre, sez. 18, a proposito del movimento ‘per scosse’ introdotto in 64.5.1.) 10. Il materialismo degli atomisti, e l’assimilazione dello spazio al vuoto (parte IV, sezioni A, B, C) Ci sono aspetti dell'"ontologia" degli atomisti che sono meno legati alla matrice eleatica della loro teoria e che sono in parte motivati dall'esigenza di rendere conto della realtà fisica. Uno di questi aspetti è dato dalla coincidenza che essi ammettono dell’essere col corporeo. C’è da precisare in che senso la loro teoria può essere giudicata di tipo "materialistico". Non può trattarsi s’intende di un materialismo del tutto esplicito e consapevole, perché l'alternativa fra materialismo e idealismo trova la sua prima formulazione nel Sofista di Platone (cfr. 28.3). Quest'opera platonica tuttavia deve costituire il punto di partenza di ogni tentativo di affrontare la questione, in quanto c'è da domandarsi perché Platone collochi gli atomisti (sebbene non nominandoli) fra i materialisti, a supporre che non lo faccia in modo arbitrario. Il criterio dell'essere che viene avanzato, quello della capacità dell'agire e del patire, trova dei riscontri nel pensiero ellenistico (cfr. 29.3-7), ma è già noto ad Aristotele (cfr. 29.2). Il criterio deve avere servito per sostenere che soltanto ciò che ha corpo soddisfa ad esso, se si può assumere che i filosofi del periodo ellenistico che fanno appello ad esso (per esempio per affermare la corporeità dell’anima, cfr. 29.6) si rifanno al pensiero precedente. Lo stesso Platone e Aristotele cercano di estenderne il campo di applicazione a ciò che è incorporeo, evidentemente assumendo che il criterio era ormai riconosciuto. La conseguenza che poteva venire tratta, anche se non del tutto esplicitamente (come avviene presso gli Epicurei), è che l’unico incorporeo del quale va ammessa l’esistenza nonostante la sua incapacità di agire e patire è il vuoto. Si può aggiungere che presumibilmente già in ambito presocratico si faceva appello all’agire e al patire, non come ad un criterio generale dell’essere, ma come ad un modo per identificare una certa natura elementare (in un composto ciò che agisce e patisce in un certo modo rispetto ad altre cose presenta una ‘natura’ che lo rende differente da
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altre parti del composto, le quali agiscono e patiscono in modo differente da esso). Platone in più passi delle sue opere mostra di avere in mente questo procedimento (cfr. Repubblica IV, 436A sgg.; Fedro, 270D sgg.; Teeteto, 174A e B) che non pare costituire una sua invenzione, perché differisce dai metodi della dialettica che egli ha normalmente in mente, e perché tracce di questo procedimento si trovano anche negli scritti ippocratici (p. es. Antica medicina, cap. 20). Gli atomisti, però, se avevano fatto ricorso a quel criterio considerandolo anche, tacitamente, come un criterio dell’essere, debbono averne limitato l'applicazione ai corpi macroscopici, perché gli atomi sono da essi considerati "impassibili", come risulta da diverse testimonianze (p. es. da quelle di Sesto in 6.5, di Ippolito in 6.5.1, di Plutarco in 8.1, di Galeno in 8.3, di Simplicio in 19.7, dei dossografi in 10.4-4.2). Inoltre non possono averlo accettato senza riserve, perché c'è il tentativo (non portato fino in fondo) di ridurre le interazioni fra i corpi del primo tipo ai rapporti fra gli atomi. Si può suggerire pertanto che essi, al livello del microscopico, finiscono col sostituire quel criterio con la capacità, per qualcosa, di essere tangibile, nel senso di prestarsi al contatto ma anche nel senso (non distinguibile in greco per l’uso di un unico termine) di prestarsi al tatto come tipo di sensazione (ovviamente posseduta da dei viventi e in particolare dagli uomini). Gli atomi dunque non sono completamente non percettibili: presi ad uno ad uno sfuggono alla nostra percezione per la loro piccolezza, ma è la loro solidità che è direttamente all'origine del senso della durezza tattile, mentre altre loro caratteristiche sono all'origine (ma in modo solo indiretto) di altri tipi di percezione sensibile, come quello visivo. La resistenza al tatto è effettivamente usata dagli Epicurei come criterio per distinguere il corpo dal vuoto (cfr. 28.1, 28.2 e 29.8, 29.9), presumibilmente riprendendo o esplicitando quanto ammesso dai primi atomisti. (In una testimonianza dossografica, 77.1, la resistenza, in greco antitupia, viene associata alla necessità, e questa associazione compare anche in Platone, Cratilo, 420D-E. Essa però ha l’aria di essere un’associazione secondaria, a partire dalla considerazione che la materia è caratterizzata da tale resistenza ed è in qualche modo all’origine della necessità, cfr. più oltre, sez. 15 e n. 35. Rimane possibile s’intende che, pur con questa deformazione, il passo platonico contenga un’allusione alla posizione degli atomisti, ma essa non mi è parsa così sicura e così significativa da imporre la sua inclusione fra i testi.) Si pone la questione dello statuto dello spazio, data l’impossibilità, nel sistema “binario” degli atomisti, di riconoscerlo come un terzo termine. È palese che, nell'asserire che il vuoto è condizione di movimento dei corpi, lo spazio viene assimilato al vuoto, ma questo non vuol dire che gli atomisti non avessero alcun termine (e concetto) per “spazio”. (Dissento su questo punto da altri studiosi, ma va ammesso che le formulazioni usate al proposito in testimonianze come quella aristotelica citata da Simplicio [= 7.1] si prestano sia a questa interpretazione che alla sua contraria.) Debbono invece avere fatto uso del termine topos (“luogo”), che era già stato impiegato da Zenone nei suoi argomenti contro la sua esistenza (cfr. 32.1). Ma l'inadeguatezza di questo termine (come di altri termini greci noti per esempio ad Aristotele) per rendere l'idea di spazio favorì la sua assimilazione al vuoto, che trovava la sua giustificazione nell'assenza di ogni caratteristica positiva dello spazio considerato di per se stesso (cfr. quanto Simplicio dice in 30.1 e 30.2). In ogni caso gli atomisti debbono avere usato l'espressione to apeiron (cioè non semplicemente “infinito” come aggettivo) per correggere l'idea di “posto limitato, capace di essere occupato da un corpo”, che è suggerita da
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topos. L'affermazione dell'infinitezza dello spazio comporta quella della sua neutralità (cioè del non avere luoghi privilegiati, come quelli ammessi da Aristotele per i quattro elementi), e anche questa si accorda con la negatività attribuita allo spazio 24 . L’assenza, nei Presocratici, di una riflessione volta a chiarire che cosa fosse lo spazio o il luogo, è rilevata da Aristotele, il quale afferma (in Phys. IV 1 [= 31.3]) che solo Platone, nel parlare di ricettacolo e di spazio (chora), aveva cercato di dire che cosa esso è (ovviamente il riferimento è alla sua posizione nel Timeo). Aristotele stesso ne offre una discussione piuttosto approfondita, nel prospettare quattro modi possibili di concepire il luogo (in Phys. IV 4 [= 31.1]). Peraltro la tendenza ad assimilare il luogo ad un altro termine, che può essere il corpo oppure il vuoto, è evidente in gran parte dei pensatori di questo periodo, e trova una formulazione chiara nell’approccio scettico di Sesto Empirico, il quale prospetta appunto l’alternativa fra il trattarlo come corpo e il trattarlo come vuoto (cfr. 32.2). Che non possa esistere niente oltre al corpo e al vuoto viene affermato dagli Epicurei (cfr. 29.7). Aristotele, nel trattare il luogo come il limite (o superficie) del contenente rispetto al corpo contenuto, dunque come un’estensione bidimensionale (secondo l’indicazione di Simplicio, cfr. 30.1), in effetti lo assimila in qualche modo al corpo. L’assimilazione contraria, al vuoto, sulla base dell’ammissione che si tratta di un’estensione tridimensionale, è quella compiuta dagli atomisti (cfr. ivi e 30.2). A partire dalle distinzioni da lui prospettate Aristotele afferma che gli atomisti trattavano il luogo alla stregua di un’estensione ovvero di un intervallo, usando il termine greco diastema, che suggerisce entrambe queste idee e pare essere stato usato ambiguamente (cfr. Phys. IV 2 [= 31.1], con il commento di Simplicio al passo [= 31.2]). Prevale l’idea di estensione quando si pensa al luogo occupato da un corpo, quella di intervallo quando si pensa al luogo (o insieme di luoghi) che intercorre fra un corpo e un altro (notare che Epicuro al proposito fa una distinzione fra ‘luogo’ e ‘spazio’, cfr. 28.1). Peraltro l’ammissione che il luogo, in quanto assimilato al vuoto, può essere un’estensione del tutto priva di corpo, porta a delle incertezze nelle testimonianze (che risentono dell’impostazione aristotelica sulla questione) se il luogo sia o no un’estensione che è capace di sussistere in separazione dai corpi. Gli atomisti adottano una posizione radicale nell'ammettere che il vuoto separa ogni corpo da un altro, soprattutto ogni corpo che sia pieno (dunque un atomo) da un altro, dunque nel concepire la materia come discontinua. Alcuni pensatori, fra i quali Empedocle e Aristotele, rifiutano completamente il vuoto, mentre ci sono di quelli (come Platone) che ammettono solo dei vuoti interstiziali e di quelli (come gli Stoici) che ammettono solo un vuoto extracosmico continuo. Siccome il vuoto degli atomisti non consiste solo in una temporanea o perfino solo immaginaria assenza di corpo, Aristotele parla al loro proposito di vuoto separato (cfr. 33.1, 34.3, 35.2, inoltre 15.1 a proposito della posizione eleatica ripresa dagli atomisti). A questo proposito non c’è da pensare (come invece fa Filopono in 33.4) che per i primi atomisti ci fosse una significativa differenza fra il vuoto all’interno dei corpi e quello extracosmico, anche perché neppure quest’ultimo è del tutto continuo. Una certa assenza di chiarezza al proposito, per via della tendenza a fare coincidere il vuoto separato con quello continuo, 24
La tesi della neutralità è attribuita esplicitamente a Democrito da Cicerone, De fin. I 17 (= 9.1) e da Simpl. Cael. IV 1 (= 36.6); Arist. probabilmente allude a lui in Phys. III 5 (= 36.5).
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si nota anche in quanto Simplicio riferisce della posizione di Porfirio (cfr. 33.3, con n. 260). Riguardo, più direttamente, il vuoto, la concezione stessa del vuoto come spazio del tutto privo di corpo deve avere ottenuto sufficiente chiarificazione solo nell'ambito dell'eleatismo e del pluralismo che ne riprende certe tesi, perché, come attesta Aristotele (cfr. 33.1), in precedenza esso non era stato tenuto ben distinto da sostanze tenui come l'aria. Aristotele passa in rassegna le ragioni che erano state avanzate da coloro che ne sostenevano l’esistenza (cfr. Phys. IV 6 [= 34.1]). Alcuni studiosi ritengono che le ragioni addotte sono quattro, ma sembra piuttosto che esse siano tre, e che quella che può sembrare come una quarta ragione è in effetti la conferma di una delle altre due, cioè della seconda o della terza. (L’esposizione non è così chiara come sarebbe desiderabile, si veda n. 268 ad loc., e si veda la ripresa della questione in Phys. IV 7 [= 34.2]). È probabile che i primi atomisti avessero addotto in modo esplicito degli argomenti a favore dell'esistenza del vuoto, e che questi coincidano (nella sostanza) con quelli riportati da Aristotele in Phys. IV 6 (= 34.1). Nei dettagli la sua esposizione non è esente da problemi, e soprattutto sorprende che nel passo non si parli in modo del tutto generale del vuoto come condizione dei processi di rarefazione e condensazione, dal momento che già Melisso ne aveva parlato in tal maniera (cfr. fr. 7 [= 16.5]). Un riferimento a questo processo c'è invece in Phys. IV 9 (= 34.3), ma è difficile dire se le considerazioni un po' curiose che il passo contiene risalgano agli atomisti. (Simplicio, nel suo commento al passo, riportato come 34.3.1, non menziona espressamente Democrito, ma che egli possa averlo in mente è suggerito non solo dal fatto che per lui sono in gioco i sostenitori del vuoto come diffuso fra i corpi, ma anche dal suo uso dell’immagine di coloro che camminano in mezzo alla folla, dato che essa è associata a Democrito in una testimonianza di Seneca, cfr. n. 269 ad 34.3.) Quanto alle ragioni fatte valere per postulare il vuoto, la prima sta nella convinzione che esso sia condizione necessaria del movimento. A questo proposito i negatori del vuoto, in alternativa alla posizione adottata dagli atomisti, propongono la teoria del 'rimpiazzamento reciproco' dei corpi, che potrebbe risalire di già ad Empedocle e che viene adottata dallo stesso Aristotele (cfr. Phys. IV 7, 214a28-32 [= 35.1]). Non si sa se i primi atomisti erano consapevoli dell'esistenza di tale alternativa e se avevano tentato di rigettarla con argomenti appropriati, come avviene successivamente presso gli Epicurei (cfr. Lucrezio I, 370 sgg. [non incluso nella presente raccolta]). In ogni caso è sufficientemente chiaro che questa del vuoto come condizione del movimento costituisce la ragione principale per postularlo da parte degli atomisti. Le attestazioni al proposito sono piuttosto numerose (cfr. Aristotele, De generatione et corruptione I 8, 325a23 sgg. [= 15.1], con commenti [=15.2, 15.4], inoltre, anche se non sempre con esplicito riferimento ai primi atomisti, 9.1, 19.2, 19.3, 34.1, 35.1-3). Postularlo come condizione di movimento significa anche che, ai loro occhi, esso andava postulato come condizione di tutti i processi che dipendono dal movimento (inteso come spostamento di luogo) degli atomi. (La tesi viene ripresa dagli Epicurei, cfr. p. es. Ep. ad Hdt. § 40 [= 28.2], Sesto Adv. math. VIII 329 [= 272 Us.]) Se il vuoto sia condizione necessaria del movimento è questione che viene discussa da Aristotele, il quale cerca di offrire argomenti contro la sua postulazione da parte degli atomisti nei passi dei gruppi 35 e 36.
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Luria riporta alcune righe del seguito del passo di Filopono nel quale egli commenta Phys. IV 8 (cioè 36.1.1, con un seguito fino a 645.9), dove viene affermato che la velocità degli atomi varia col variare della densità del mezzo, dal massimo di velocità nell’aria alla completa stasi nella terra. La tesi generale della variazione di velocità risulta da altri passi come 36.3 (dove Aristotele pare aspettarsi il consenso degli atomisti su questo punto) e 69.1 (dove Aristotele suppone che per gli atomisti le figure dei corpi, presumibilmente inclusi gli atomi, fanno differenza nella velocità con cui si muovono); la tesi tuttavia dell’immobilità degli atomi nella terra non pare conciliabile con quella (attestata da 42.3, implicitamente da 42.1 e 42.2, inoltre da 64.1, sia pure per la condizione precosmica, inoltre da 9.3 [I 6, 17], 3, 4.4, 64.2, 103.4) dell’eterno movimento degli atomi, sicché deve trattarsi di testimonianza non attendibile, pertanto da escludere. 11. L’infinitismo degli atomisti (sezioni D ed E) Prima di riportare le testimonianze riguardanti l’atteggiamento degli atomisti di fronte all’infinito (in primo luogo spaziale e, in correlazione, della materia, in secondo luogo temporale), riporto un passo aristotelico che propone una tipologia di modi dell’infinito che viene assunta dallo stesso Aristotele, come dai suoi commentatori e anche dai dossografi, nel presentare il pensiero altrui. Si tratta di Phys. I 4, 187b7-12 (= 37.1), dove lo Stagirita sta polemizzando con Anassagora. La tipologia viene riproposta da Simplicio nel commentare il passo, con l’indicazione dei tipi di infinito che erano state ammessi dagli atomisti (cfr. 37.2, inoltre 37.3). In effetti nella prospettiva degli atomisti infinito non è solo il vuoto o spazio, ma anche l'insieme dei corpi ovvero la materia, perché viene ammessa espressamente l'infinitezza di numero degli atomi (ciascuno dei quali ovviamente occupa una certa estensione), e probabilmente viene ammessa pure l'infinitezza di numero dei membri di ciascuna classe delle entità macroscopiche (notoriamente si parla di un'infinità dei mondi, ma il loro caso non deve essere stato peculiare). Pertanto l'infinitezza stessa non è ritenuta essere caratterizzata dalla stessa negatività che caratterizza il vuoto o lo spazio. Al contrario, gli atomisti sono fra i pochi pensatori antichi che fanno di essa una condizione positiva delle cose. Ammettono infatti la realizzazione di possibilità infinite e ritengono che l'indifferenza che l'infinitezza come tale comporta sia fonte di equilibrio e uguaglianza fra le cose stesse, come mostra anche quanto essi sostengono circa l’infinitezza del numero dei mondi. Aristotele, nel rifiutare la loro posizione, risulta comunque attestare l’importanza che essi attribuivano all’infinito come condizione ultima (cfr. 38.1 e 41.1, insieme a 42.1). Questa idea dell’infinito porta all'ammissione che anche il tempo è eterno, nel senso di una durata senza limiti, perché l'universo stesso (come l'insieme delle cose, distinto da ogni singolo mondo, che ha una durata limitata) è eterno (cfr. 43.1). Può essere che i primi atomisti, come successivamente gli Epicurei, avessero tenuta distinta questa temporalità “oggettiva” e, c'è da presumere, lineare, dalla nostra esperienza della temporalità, che è legata alla successione dei fenomeni, dunque alla ciclicità (cfr. 43.3 e 43.3.1, con n. 295). C'è da presumere che gli atomisti non si fossero accontentati di affermare l'infinità dei mondi, ma avessero cercato di offrire degli argomenti a favore della loro tesi. Uno di questi argomenti è abbastanza bene attestato, e sta nel ricorso al principio di indifferenza, come negazione del principio di ragion sufficiente. Ci si fonda sul riconoscimento che l'infinitezza comporta una situazione di uguaglianza delle possibilità, sicché,
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se si può constatare – come avviene per il nostro mondo nella sua datità – che una certa possibilità è realizzata, si deve ammettere che anche altre possibilità dello stesso tipo sono realizzate (cfr. il passo aristotelico 41.1, con i commenti di Simplicio, 41.4, e di Filopono, 44.1). Altri argomenti, peraltro forse non tenuti ben distinti da questo (perché si tratta sempre di escludere che il nostro mondo si trovi in una condizione privilegiata), si possono ricostruire solo a partire dall’ammissione che gli argomenti adottati dagli Epicurei vanno fatti risalire ai primi atomisti qualora ci sia qualche riscontro del fatto che essi erano noti in precedenza. Uno di questi, che è presente appunto negli Epicurei (cfr. 44.3, 44.4, 44.5), viene attestato per Metrodoro di Chio (cfr. 44.2), cioè per un autore la cui vicinanza alla posizione di Democrito risulta da più testimonianze (cfr. supra sez. 3). Si tratta dell’argomento che i mondi sono infiniti perché sono infinite le cause (cioè gli atomi in movimento) da cui dipendono. Un altro argomento che si trova proposto da Lucrezio (II, vv. 1052-1089 [= 44.4 e 45.2]) consiste nell'ammettere che il mondo è un individuo, come ogni altro individuo (p. es. un singolo uomo) che ne fa parte, sicché esso è un membro della specie ‘mondo’ che deve trovarsi realizzata in tantissimi altri individui, come avviene per tutti gli altri individui di cui abbiamo esperienza (l’ulteriore prospettazione di una loro infinitezza può essere basata sulla considerazione che, laddove la materia è infinita, non c'è ragione perché la forma specifica sia realizzata solo in un numero limitato di individui). Questo tipo di posizione era già noto ad Aristotele, che in De caelo I 9 (= 45.1) ne offre una formulazione mediante termini (materia, forma, quiddità, ecc.) da lui stesso introdotti, allo scopo di offrirne una confutazione (mediante la prova che tutta la materia è inclusa in un solo mondo). È evidente che questa formulazione è troppo aristotelica perché si possa considerare il passo come una testimonianza vera e propria riguardante la posizione di Democrito (del resto non menzionato), ma è pure evidente che è in questione lo stesso tipo di posizione che compare in Lucrezio, sicché è plausibile ritenere che il passo contenga un’allusione a quella posizione, tanto più che ad un certo punto si prospetta non solo una pluralità ma un’infinità di individui, compresi i mondi, e questa è una posizione che può essere attribuita solo a Democrito. Ciò trova una conferma nel fatto che Aristotele, nel contesto, fa riferimento esplicito o implicito agli atomisti riguardo l’infinitezza della materia in generale (cfr. De caelo I 7, 275b29 sgg. [= 65.1]) e riguardo l’infinità dei mondi (cfr. I 10, 280a23-27 [= 79.5], con comm. di Simpl. in 79.6). Infine Cicerone, in due sue testimonianze (cfr. 46.1, 46.2), attesta uno sviluppo piuttosto peculiare di questa posizione, per la quale ci sarebbero, fra gli individui di numero infinito, compresi non solo i mondi ma anche gli uomini, individui che sono del tutto identici (un’allusione a questa posizione si trova anche nella decima Epistula pseudoippocratica, cfr. 0.3.10). 12. La trattazione dei quattro elementi fisici e degli altri corpi composti (parte V, sezione A) La questione del modo in cui gli atomisti rendono conto delle sostanze o corpi fisici di cui abbiamo esperienza (e che dal loro punto di vista sono dei composti di atomi), per come esse si presentano a noi, cioè in primo luogo nelle proprietà o caratteristiche che esse sembrano avere, in secondo luogo nei processi cui appaiono essere sottoposti, è ovviamente della massima importanza. Una parte significativa delle testimonianze sulla composizione di quelle sostanze riguarda in effetti in modo diretto i quattro elementi
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fisici (quelli empedoclei), a partire evidentemente dalla considerazione che essi erano stati ammessi anche dagli atomisti (una tale ammissione è effettivamente attestata da Simplicio in 47.5, inoltre, in modo implicito, per Democrito da Diogene Laerzio in 4.1, e di nuovo da Simplicio in 47.2). Non ci sono invece testimonianze che riportino, in modo diretto, la composizione atomica di sostanze distinte dai quattro elementi, salvo quelle riguardanti il caso piuttosto particolare dei composti risultanti da mescolanza (queste sono da me riportate sotto 52, cfr. più oltre). Si può tuttavia arguire che, siccome agli occhi degli atomisti, tutte le sostanze debbono essere costituite dai quattro elementi, la loro composizione atomica è molto varia, data la varietà (come vedremo) della composizione atomica di tutti gli elementi salvo il fuoco. Una conferma di questa conclusione è data dal fatto che Teofrasto, come vedremo più oltre (cfr. sez. 26, con n. 77), suggerisce che le variazioni che ci sarebbero da un soggetto ad un altro, oppure anche in uno stesso soggetto in tempi differenti, nel percepire gli oggetti si spiegano, in parte, con il fatto che ogni corpo fisico presenta una composizione atomica molto varia. Insomma, gli atomisti differivano da altri pensatori non nell’escludere un ricorso ai quattro elementi nel rendere conto dei composti, ma nell’ammettere che non ci si può fermare ad essi, perché essi stessi sono dei composti di atomi (questo viene sottolineato da Aristotele, GC I 6 [= 62.1], e da Filopono nel suo commento al passo [= 62.2], inoltre risulta dai passi citati nel seguito immediato). La loro convinzione, che l’approccio da essi adottato nel riportarsi agli atomi per tutte le sostanze, compresi i quattro elementi, sia superiore ad un approccio che, fermandosi ai quattro elementi, rimane almeno in qualche misura a livello fenomenico, risulta da una serie di testimonianze. Quattro di queste consistono in commenti di Simplicio a passi del libro III, cap. 1 e cap. 7, del De caelo di Aristotele, che sono in effetti molto simili, perché, con una eccezione (il passo numerato 47.1.1, che è una semplice ripresa di 47.1), il commentatore si richiama sempre ad una testimonianza di Teofrasto nella sua Fisica riguardante dichiaratamente la posizione di Democrito (cfr. 47.1-3) 25 . Quanto al testo aristotelico che viene commentato, il libro III del De caelo, esso riguarda gli elementi nella loro natura e nelle loro interazioni, e in questa trattazione Aristotele stesso fa più volte riferimento, in modo esplicito od implicito, alla posizione di Democrito (pertanto più passi inclusi nella presente raccolta ad attestare tale posizione sono in effetti desunti da esso). C’è una ulteriore testimonianza dello stesso genere, nella quale viene precisato che le trasformazioni reciproche dei quattro elementi richiedono cause più elementari, in un passo del commento alla Fisica dello stesso Simplicio, di seguito all’esposizione più propriamente dossografica basantesi su Teofrasto 26 , ma possibilmente avendo sempre Teofrasto come fonte (cfr. 47.5); in questa testimonianza c’è pure un accostamento fra Democrito (insieme a Leucippo) e Platone (insieme ai Pitagorici) che ha dei riscontri in alcuni degli altri passi. (Solo una parte del testo è riportata in Diels e Kranz, mentre il passo è scomposto in due testimonianze distinte da Luria, che neppure li accosta ai precedenti.) Infine c’è una testimonianza di Plutarco che, pur contenendo qualche sviluppo assente negli altri passi (il parallelo con l’esperto in arti come la medicina), è palesemente dello stesso loro tenore, anche per l’accostamento fra Democrito e Platone, 25
Di questi passi solo il primo è riportato in Diels e Kranz, mentre Luria li riporta tutti, ma tenendo separato 47.3 dagli altri (cfr. anche n. 306 ad loc.). 26 A commento di Fisica I 2 inizio (= 11.1), cfr. 11.2 e 3.
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per cui è abbastanza probabile che anche lui avesse Teofrasto come fonte. (Cfr. 47.4; il passo è omesso in Diels e Kranz ed è riportato da Luria del tutto indipendentemente dagli altri.) A chiarimento del punto toccato in uno dei passi di Simplicio, che le trasformazioni reciproche dei quattro elementi richiedono cause più elementari, riporto un passo del Timeo di Platone (dunque appartenente ad un’opera cronologicamente relativamente vicina agli atomisti) che illustra l’idea che a quel tempo ci si faceva di quelle trasformazioni (cfr. 48.1). Questa consisteva palesemente in un’estensione ai quattro elementi di quel ciclo di trasformazioni che noi (moderni) riteniamo coinvolgere l’acqua (la quale si trasforma in vapore, allora non tenuto distinto dall’aria, e in ghiaccio, allora non tenuto distinto da solidi come le pietre). Tale ciclo di trasformazioni è ammesso da Lucrezio, che sostiene la superiorità, rispetto ad altre spiegazioni (come quella offerta da Anassagora), della spiegazione che viene offerta nella prospettiva atomistica (cfr. 48.3). Una testimonianza molto rapida, poco più di un cenno, riguardante il fatto che anche Democrito rendeva conto delle differenze fra un elemento e un altro con differenze nell’ordine degli atomi che costituiscono ciascuno di essi si trova nel De Melisso Xenophane Gorgia (cfr. 48.2). Gli altri passi che riporto riguardano più direttamente la questione della composizione atomica dei quattro elementi. In primo luogo ce n’è uno di Aristotele, in De caelo III 4 (= 48.4), nel quale egli attesta che gli atomisti, salvo che nel caso del fuoco, non assegnavano una certa figura ad uno degli elementi, ma ammettevano che atomi di tutte le figure (o almeno di figure molto svariate) sono presenti in ciascuno e che la differenza fra l’uno e l’altro è data dalla grandezza (relativa) degli atomi che li compongono. Questo punto è spiegato con un richiamo al motivo della ‘panspermia’, per il quale cito ad esplicazione un passo di Filopono (cfr. 48.5). La stessa posizione è riproposta da Aristotele in De caelo III 5 (= 48.6), dove viene sottoposta alla critica che a questo modo la differenza fra gli elementi, in quanto dipende dal rapporto (di grandezza) che c’è fra gli atomi che costituiscono ciascuno di essi, risulta essere soltanto relativa. Che la critica riguardi Democrito (da Aristotele non menzionato) è confermato da Simplicio, che aggiunge qualche precisazione (cfr. 48.6.1 e 48.6.2). La critica, anche altrimenti forse discutibile, non tiene conto del fatto che gli atomisti debbono avere ammesso anche una differenza di configurazione negli atomi che costituiscono gli elementi (per di più c’è da presumere che il fuoco non fosse ritenuto essere costituito esclusivamente da atomi sferici). Da un’ulteriore critica che Aristotele rivolge a Democrito, ma associandolo ad Empedocle, in De caelo III 7 (= 48.7) 27 , si può desumere che (1) l’acqua diventa più pesante dall’aria da cui si separa come risultato di una compressione, (2) un corpo come l’aria che si separa da un altro col quale era mescolato occupa sempre più luogo (ovvero spazio) di quando era nella mescolanza (Simplicio nel suo commento al passo, cioè 48.7.1, cerca di chiarire quanto in esso si riferisce a Democrito e quanto ad Empedocle).
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In questo passo le due posizioni non sono facilmente districabili (cfr. n. 324 ad loc.).
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13. La (connessa) trattazione dei vari tipi di processo cui sono sottoposti i composti (sezione B) Quanto ai processi cui sono sottoposti i composti in genere (non specificamente i quattro elementi), è un tema che Aristotele introduce all’inizio del suo De generatione et corruptione prendendo in considerazione le posizioni dei suoi predecessori. Il suggerimento avanzato ivi (cfr. 49.1) è che i monisti sono obbligati a riportare la generazione assoluta (cioè la generazione di una sostanza che prima non c'era) all’alterazione, mentre i pluralisti sono obbligati a tenerla distinta dall’alterazione. Fra i pluralisti Empedocle, che ricorre ai quattro elementi, è tenuto distinto da Anassagora, che li riporta ad entità più elementari. Ad Anassagora vengono espressamente accostati Leucippo e Democrito, che rendono conto delle differenze presentate dai composti (in generale, inclusi presumibilmente i quattro elementi) con le differenze di figura degli atomi che li compongono e insieme con le loro differenze di ordine e di posizione. Nel suo commento al passo (cfr. 49.2) Filopono chiarisce soprattutto quest’ultimo punto, con esempi che in parte debbono essere fittizi (l’associazione della terra al cubo è proposta in maniera dubitativa ed è in effetti in contrasto con l’affermazione di Aristotele che solo il fuoco veniva riportato da Democrito ad atomi caratterizzati da una certa figura, quella sferica). Che la generazione e la corruzione siano riportate ad aggregazione e disaggregazione (o separazione) di atomi è attestato da Filopono in 49.3, ma, come vedremo subito, seguendo Aristotele; lo stesso risulta da testimonianze dossografiche (cfr. 49.4). Una ulteriore testimonianza di Filopono è di particolare interesse (anche se è difficile dire fino a che punto è attendibile nei dettagli), perché viene a suggerire che certi processi, con riferimento a quelli per alterazione (discussi nel passo aristotelico da lui commentato, nel quale Aristotele stesso si occupa solo di Empedocle), si presentano in certo modo ad un certo osservatore e non esistono come tali in modo oggettivo, ovviamente perché risultano dall’interazione fra gli organi di senso dell’osservatore e l’oggetto nella sua composizione atomica (cfr. 50.1). Aristotele stesso ritorna alla posizione di Democrito nel cap. 2 di De generatione et corruptione (cfr. 50.2), suggerendo che questi era stato l’unico (si intende: dei predecessori di Aristotele) a rendere conto dei vari tipi di processo che coinvolgono le sostanze fisiche, riportando la generazione e la corruzione all’aggregazione e alla disaggregazione di atomi, mentre l’alterazione era da lui riportata al loro mutamento di ordine e di posizione (con allusione al paragone fra atomi e lettere dell’alfabeto). Il riferimento all’osservatore emerge nell’attribuirgli anche la tesi che la verità sta nei fenomeni (vedremo che questa tesi ricompare nella presentazione che Aristotele offre dell’epistemologia dell’Abderita). Filopono, in uno dei passi a commento di questo pezzo (cfr. 50.3), insiste (come in 50.1) su questa relatività, con riferimento anche ad illusioni ottiche, mentre in 50.4 tiene distinti questi processi dal mutamento secondo l’accrescimento, del quale Democrito avrebbe dichiarato che non è “apparente al modo dell’alterazione”. La questione della relatività all’osservatore compare, in modo più esplicito, anche in Aristotele, in un passo successivo (cfr. 50.5), dove il carattere apparente dei processi di alterazione è riportato al fatto che affezioni come il colore non sono qualcosa che esiste in modo oggettivo (il passo di Filopono a commento non aggiunge niente su questo punto, ma esplicita il fatto che i termini il cui uso è attribuito a Democrito, cioè ‘ritmo’, ‘verso’ e ‘contatto’, erano ‘voci abderitiche’, cfr. 50.6).
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In De generatione et corruptione I 8 Aristotele ritorna alla posizione di Democrito, a proposito del suo resoconto dei vari processi (a prescindere dal riferimento all’osservatore), affermando la sua superiorità nei confronti della posizione di Empedocle per il fatto di ammettere particelle elementari indivisibili e impassibili (cfr. 51.1, con il commento di Filopono in 51.2). Nel seguito tuttavia rivolge obiezioni anche a questa posizione, rilevando la difficoltà che sta nello spiegare fenomeni come caldo e freddo rifacendosi ad atomi che sono privi di tali proprietà, oltre che nel privilegiare la figura sferica (a base del fuoco) rispetto alle altre (cfr. 51.3). In un passo che si trova alla conclusione del cap. 2 egli rigetta invece il riportare generazione e corruzione ad aggregazione e disaggregazione di atomi, perché questi processi si hanno “quando c’è una trasformazione totale da questo a quello” (cfr. 51.4). Un’ulteriore critica (contenuta nel cap. 9) riguarda, a partire dalla questione dell’agire e del patire, il cambiamento di condizione di un corpo, per esempio da liquido a solido (o viceversa), che per Aristotele stesso è alterazione: questo cambiamento non si può spiegare “con la scissione dei corpi” (cfr. 51.5). 14. I composti risultanti da mescolanza (sezione C) La questione infine che viene discussa in De generatione et corruptione I 10 è quella della mescolanza dei corpi: Aristotele menziona, per rifiutarla, la tesi che essa è riportabile alla giustapposizione di particelle non visibili, a quanto pare distinguendo due modi in cui questa giustapposizione può essere intesa, a seconda del tipo di particelle che si considerino, uno di questi essendo probabilmente da identificare con la posizione degli atomisti (cfr. 52.1). Questa è comunque l’interpretazione che del passo, di difficile comprensione nei dettagli, viene proposta da Filopono nel commentarlo (cfr. 52.2). Un’ulteriore, e più esplicita, testimonianza riguardante la posizione di Democrito si trova nel cap. 2 del De mixtione di Alessandro d’Afrodisia, ma questi propone una distinzione fra la posizione che egli attribuisce a Democrito (cfr. 52.3) e quella che egli attribuisce ad Epicuro (cfr. 52.4) che non è soddisfacente, perché sembrerebbe che solo quest’ultimo avesse fatto ricorso agli atomi per rendere conto della mescolanza dei corpi, come se la posizione del primo fosse accostabile a quella di Anassagora, che è forse una delle due che lo stesso Aristotele ha in mente nel passo citato. (Ho riportato anche il passo riguardante Epicuro perché questo punto diventi chiaro al lettore. 28 ) Completo la raccolta di passi con testimonianze dossografiche (in effetti varianti di una risalente presumibilmente ad Aezio) piuttosto generiche, nelle quali la tesi della giustapposizione di particelle è attribuita sia a Democrito che ad Anassagora (cfr. 52.5). 15. Le questioni della sussistenza e della genesi delle proprietà sensibili (parte VI, sezioni A, B, C, D) Sulla questione della sussistenza delle proprietà sensibili ovvero dell’oggettività della percezione sensibile riporto alcuni passi di Sesto Empirico, due dei quali (Adversus mathematicos VIII 354-355 [= 53.3], e VI 52-53 [= 53.8]) sono stati tralasciati da Diels e Kranz e da Luria 29 , nonostante la menzione espressa di Democrito. Cito ugualmente AM VIII 213 (= 53.2), cioè un passo nel quale Democrito non viene menzionato, perché 28
Cfr. anche n. 371 ad loc. e supplemento VI all’Introduzione. Sulla questione si veda inoltre quanto osserva Todd nel suo commento all’opera (citato in bibl.), pp. 184-85. 29 Mentre sono citati in forma abbreviata da Taylor, Atomists, 182d e 123b.
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i motivi in esso introdotti, (1) che l’oggetto esterno non è né dolce né amaro ecc., e (2) che i sensibili sono vuote affezioni dei sensi, sono altrove attestati per Democrito dallo stesso Sesto (entrambi in 53.1, il primo anche in 58.1 e 2, il secondo anche in 53.3 30 ). Le altre testimonianze di questo gruppo (salvo quella di Simplicio, che cita Democrito solo a conferma di una tesi non democritea) sono di tipo dossografico e rimangono sulla stessa linea. Talvolta si afferma che i sensibili non sussistono così come ci appaiono (sintesi di (1) e (2)) oppure che le sensazioni sono false (coincide con (2)). Nell’attribuirgli questa posizione Democrito talvolta viene accostato a qualche altro pensatore (p. es. a Platone in 53.8) e tenuto distinto per un verso dagli Epicurei per un altro dagli Stoici e dai Peripatetici (cfr. 53.1, 53.3, 53.4, 53.5). Ho riportato un passo del De anima di Aristotele, cioè III 2, 426a15-26 (= 54.1), nel quale lo Stagirita contrappone espressamente la propria posizione alla posizione da lui attribuita genericamente ai ‘fisiologi anteriori’, per i quali i colori e i sapori non esistono indipendentemente dai sensi. Che questi includano Democrito è dichiarato esplicitamente da Simplicio nel suo commento al passo, cioè 54.1.2, ed è suggerito in modo indiretto da Filopono nel suo commento allo stesso passo, cioè 54.1.1. Quest’ultimo parla dei ‘Protagorei’ senza menzionare Democrito, e lo fa avendo in mente (come risulta anche da 475.27) la teoria che nel Teeteto di Platone viene presentata come la dottrina segreta di Protagora, ma il suo richiamo al detto ‘per convenzione è il dolce …’ mostra che ha anche Democrito in mente, come è confermato dal suo accostamento della posizione di Protagora a quella di Democrito nel suo commento a De anima I 2, 71.26-27 (= 105.3). Del resto Protagora non è del tutto classificabile come un ‘fisiologo’. 31 Il passo aristotelico (che è tralasciato in tutte le raccolte) va dunque incluso fra le testimonianze riguardanti Democrito, perché è facile che i commentatori attingessero a qualche fonte di informazione che noi non abbiamo più. È comunque plausibile ritenere che Aristotele in quel passo abbia in mente Democrito, perché in De gen. et corr. I 2, 315a1-2 (= 50.5) gli attribuisce l’asserzione sostanzialmente equivalente che ‘il colore non esiste (sottinteso: oggettivamente)’. Si può allora congetturare (come aveva già fatto il Luria, il quale peraltro trascura anche lui il passo del De anima) che De sensu 6, 446b17-22 (= 54.2), contenente uno sviluppo di una posizione sul tipo di quella esposta in De anima III 2, esponga anch’esso dottrina democritea. (La tesi della relatività, anche se non specificamente quella della privatezza, dei dati percettivi trova dei riscontri nei testi riguardanti espressamente l'epistemologia di Democrito.) Più discutibile può sembrare l’inclusione dei tre passi del Teeteto di Platone (cioè 153D-154B, 156A-157C e 182A-B [= 54.3-5]) i quali espongono la citata ‘dottrina segreta’ di Protagora, consistente in un resoconto piuttosto sofisticato della percezione sensibile. In ogni caso la possibilità che questi passi contengano un riferimento alla posizione degli atomisti non deve essere intesa nel senso che essi offrano senz’altro (ed esclusivamente) un’esposizione del loro resoconto della percezione sensibile. Platone sicuramente non ha un intento puramente dossografico, ma espone una teoria che è da lui ritenuta tipica e che come tale può combinare elementi tratti da più pensatori. Ma egli potrebbe avere ritenuto particolarmente significativo il contributo degli atomisti (perché offrente una versione abbastanza articolata e radicale del resoconto del perce30 31
La stessa tesi è attribuita genericamente ad “alcuni” in HP II, § 49. Cfr. anche n. 382 ad 54.1.1.
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pire che gli interessa), e quindi avere tratto spunti in particolar modo da essi. Suggerisco che c'è una serie di riscontri fra quanto troviamo nell'esposizione platonica e quanto possiamo attribuire agli atomisti a partire da altre fonti che rendono probabile questa conclusione (fra questi riscontri ci sono: il ricorso non a qualsiasi processualità ma alla traslazione, cioè al movimento locale; il parlare di un'infinità di dati sensibili, facendoli dipendere dall’interazione fra soggetto che percepisce ed oggetto che esercita un’azione su di esso, donde l’implicita esclusione della loro oggettività). Riscontri analoghi non si hanno nel caso di altri pensatori che sono stati menzionati al proposito dagli studiosi moderni, in particolare nel caso dei Cirenaici. E certi indizi escludono che la teoria sia una pura invenzione dello stesso Platone. 32 Va anche osservato che fra questa teoria della percezione e quella che Platone stesso propone nel Timeo c’è qualche punto di contatto, ma l’affinità esistente fra quest’ultima e quella di Democrito viene espressamente rilevata da Teofrasto. Una conferma indiretta di questa conclusione è data dal fatto che Platone ha tutta l’aria di fare delle allusioni a Democrito anche in un altro dialogo, il Cratilo, dove pure viene introdotta la teoria del flusso universale delle cose. Alcune di queste allusioni non hanno a che fare con questa teoria, ma paiono costituire dei segnali per il lettore che abbia familiarità con i contributi dell’Abderita. Fra di esse c’è la menzione di uno Spartano che aveva il curioso nome Sous: si tratta di un termine che era stato usato a Democrito per indicare il movimento dei corpi verso l’alto (cfr. 69.1, con n. 537). Questa menzione è preceduta immediatamente da un passo che propone un’etimologia di sophia per la quale essa consisterebbe nell’entrare in contatto col movimento (cfr. Cratilo, 412B1-8). Tenuto conto che, secondo la testimonianza di Aristotele, Democrito avrebbe ridotto l’intelligenza – e dunque la sapienza – alla sensazione (cfr. 57, 101.1, ecc.) e la sensazione stessa al contatto (cfr. 120.1), in questa etimologia può esserci un’allusione alla sua posizione 33 , ma il fatto che possa trattarsi di una interpretazione solo aristotelica rende la cosa assai incerta. Un’altra etimologia, a poca distanza da queste, è quella riguardante la donna (cfr. 191.2 e 191.2.1), la quale era già stata segnalata da Diels nei Vorsokratiker. Un’ulteriore allusione può essere data dall’etimologia che viene data di Atena in Cratilo, 407A-C, non perché l’accostamento della dea all’intelligenza abbia la stessa motivazione dell’etimologia che Democrito aveva offerto di ‘Tritogenea’ (cfr. 191.1.1-1.5), ma perché lo stile dell’etimologizzare in forma allegorica è simile 34 . Anche l’etimologia che in Cratilo, 420D-E, viene offerta di ‘necessità’ (anagke) come di ciò che offre resistenza può avere una base in Democrito (cfr. 77.1 e 77.1.1), anche se è facile che si tratti di una presentazione successiva del suo pensiero 35 . Infine, toccando più direttamente la teoria del flusso universale, può essere significativo che, nel discutere dell’etimologia di dikaion, di seguito alla menzione di 32
La convinzione che egli tenga presente la posizione di Democrito era stata già espressa da Guthrie, History of Greek Philosophy V, pp. 77-79. 33 Questo suggerimento risale a V. Goldschmidt, Essai sur le “Cratyle”, Paris: Vrin, 1940, p. 135. 34 Cfr. discussione in Baxter, The “Cratylus” – Plato’s Critique of Naming, Leiden: Brill, 1992, pp. 12426 e p. 156. 35 Il passo del Cratilo viene segnalato da Sambursky, “Phronesis” IV, 1959. Tuttavia l’associazione fra necessità e resistenza sembra essere secondaria: i materialisti, in quanto credono nella resistenza della materia (cfr. testimonianza di Sesto in 29.9, e l’allusione, nello stesso Platone, Teeteto, 155E-156A [= 54.4], a coloro che sono ‘duri e respingenti’, ovvero ‘resistenti’), credono anche nella necessità. Non è quindi detto che l’associazione risalga allo stesso Democrito.
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Sous, si parli di ciò che attraversa (è ‘attraversante’: diaión) tutte le cose e che le governa, essendo velocissimo e sottilissimo, mentre esse al confronto è come se stessero ferme (412D-E). Questa presentazione ricorda indubbiamente quanto Democrito risulta avere detto dell’anima nei confronti del corpo36 . D’altra parte non si vede che cosa in quelle asserzioni può avere giustificato l’accostamento fra l’anima e il giusto. E la tesi che questo fattore (lasciato non nominato o definito da Platone) sia ciò per cui si genera tutto ciò che si genera (cfr. 412D4) non pare rispondere alla concezione democritea dell’anima. Insomma, è come se Platone lasciasse delle tracce, ma delle tracce che in parte sono false, forse perché ha in mente anche altri pensatori. Considerato, in ogni caso, che non mancano incertezze, che gli accostamenti non sono molto stretti, e che essi non gettano nuova luce sul pensiero di Democrito, ho evitato di riportare tutti questi passi, limitandomi ad una citazione (quella etimologica riguardante la donna) e a richiami in nota. Mi è parso invece opportuno includere i passi del Teeteto perché essi sono più significativi dal punto di vista dottrinale. I passi tratti dal De sensibus di Teofrasto (cioè §§ 59-61 [= 55.1], §§ 61-64 [= 55.2], e §§ 67-72 [= 55.3]) ovviamente non suscitano di questi problemi, perché sono dichiaratamente un’esposizione della posizione di Democrito. Ho inserito i passi nel presente contesto, separandoli dagli altri dell’opera (come quelli contenenti un’esposizione del meccanismo della percezione nel caso della vista e degli altri sensi), perché riguardano la questione dell’oggettività o meno dei sensibili (con una distinzione di tipo fra di essi da questo punto di vista) ovvero anche quella della loro relatività al soggetto percipiente, dunque hanno particolare attinenza con le questioni discusse nei passi più espressamente di ordine epistemologico. È abbastanza evidente dalla testimonianza di Teofrasto che la relatività dei sensibili al soggetto che li percepisce tendeva ad essere illustrata con le reazioni del senso del gusto, rilevando che ad una stessa persona la stessa cosa appare dolce oppure amara ecc. in tempi differenti, oppure che queste differenze si presentano in persone differenti oppure in animali di specie differente. (Infatti i passi 55.2 e 55.3 servono rispettivamente ad introdurre e a concludere la trattazione che viene data dei sapori - il passo che la contiene è 122.1.) Lo stesso atteggiamento si nota presso gli Epicurei. Anche in Lucrezio il tema delle differenze che gli oggetti presentano ad uno stesso soggetto in tempi differenti oppure a differenti soggetti viene introdotto parlando del senso del gusto, nel libro IV del De rerum natura, vv. 615-672. Il resoconto che viene dato delle interazioni fra soggetto percipiente ed oggetto percepito è quello che si può già desumere dall'esposizione di Teofrasto e che si trova ripreso (con qualche sviluppo) nel cap. 5 dell'Adversus Colotem di Plutarco (1109C-E [= 56.1]). Ho omesso il passo di Lucrezio perché reso molto lungo dai numerosi esempi che egli offre. Quanto appunto al passo ora menzionato di Plutarco, esso riguarda dichiaratamente la posizione di Epicuro, non quella di Democrito, ma ho ritenuto opportuno includerlo perché suppongo che su alcuni punti ci sia una continuità fra le due posizioni. Plutarco, nel ritorcere contro Colote le critiche che questi rivolge a Democrito, suggerisce (com’è evidente da un passo precedente, cioè 4, 1108F sgg., da me riportato come 59.1) che la posizione di Epicuro è esposta alle stesse obiezioni cui è esposta quella democritea. Il nostro passo, pur contenendo una sorta di replica da parte degli Epicurei, rientra in 36
Si tratta di una osservazione dovuta a Francesco Ademollo.
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questa discussione, sicché già questo fa pensare che la posizione di Epicuro presenti coincidenze con quella di Democrito. Ma c’è qualche riscontro più preciso: (1) si dice che gli Epicurei sono obbligati ad applicare la formula del “non più”, e questa è chiaramente democritea (come risulta dal richiamo ad essa in 59.1 e da attestazioni come quella di Sesto in 58.1); (2) la teoria dell’adattamento di quanto viene percepito (più esattamente le particelle atomiche) agli organi dei sensi è palesemente adottata da Democrito, anche se risale ad Empedocle (cfr. 116.3, invero generico); (3) la connessa teoria della presenza di una larga varietà di figure atomiche in ogni oggetto percepito e della prevalenza di certe figure (quelle che più frequentemente colpiscono i sensi) su altre 37 , che è una modifica di una teoria anassagorea, è attribuita esplicitamente a Democrito da Teofrasto in De sensibus, § 67 (= 55.3). Queste teorie del resto sono attribuite genericamente agli atomisti in un passo di Stobeo (cfr. 56.2). Ovviamente la tesi che tutte le sensazioni sono vere non è più democritea, ma non deve essere un caso se Aristotele finisce con l’attribuire una posizione di questo tipo (quella che i fenomeni sono tutti veri) allo stesso Democrito in 57. 16. L’epistemologia di Democrito (sez. E) Come 57 ho riportato per esteso (salvo l’omissione di qualche riga) tutta la prima parte di Aristotele, Metaph. IV 5, mentre nella raccolta di Diels e Kranz viene riportato (come 68 A 112) unicamente 1009b7-15, nella evidente convinzione che solo questo brano contenga un’esposizione della posizione di Democrito in campo epistemologico. Così è trascurato il riferimento esplicito a Democrito in 1009a27. Luria non lo trascura e riporta 1009a22-30 (= 8 Lu.), ma separandolo sia da 1009b7-15 (= 52, 73, 80 Lu.) sia da 1009a38-b7 (= 3 e 77 Lu.). Taylor infine si limita ad un riferimento a 1009a27-30, riportando anche lui solo 1009b7-15. Operando così tuttavia non si tiene conto di certi dati: agli occhi dello Stagirita c’è un’equivalenza fra la negazione del principio di noncontraddizione da lui attribuita espressamente all’Abderita in 1009a22-30 e l’affermazione, messa in bocca a Protagora (all’inizio del cap.), che tutti i fenomeni sono veri; quindi egli deve avere ritenuto che anche Democrito aderisse a quest’altra tesi, la quale all’inizio dell’esposizione in 1009a38 sgg. viene riformulata come {la tesi del}"la verità circa i fenomeni". Questa stessa tesi viene da lui attribuita senz’altro a Democrito in De generatione e corruptione I 2, 315b9-10 (= 50.2) e in De anima I 2, 404a28-29 (= 101.1), sicché ciò conferma che la sua posizione è considerata fin dall’inizio di quella esposizione, la quale del resto presenta una continuità che rende molto difficile il tentativo di scindere 1009b7-15 da quanto precede immediatamente. Questo tentativo, ovvero il tentativo di separare la posizione di Democrito da quella di Protagora, trova la sua giustificazione in due testimonianze, di Plutarco e di Sesto (cfr. 59.1 e 59.2), dalle quali risulta che Democrito aveva rigettato come autoconfutantesi (ricorrendo cioè ad una peritropé) la tesi protagorea che ‘ogni rappresentazione è vera’. Per eliminare la discrepanza fra queste testimonianze e quella di Aristotele si è talvolta ritenuto che 1009a38-b7 non sia affatto democriteo oppure, seguendo una proposta di Ernst Kapp (nella sua rec. a Langerbeck in “Gnomon” 1936), che esso contenga una confutazione della posizione di Protagora da parte di Democrito (ma questa confutazione culminerebbe allora nell’asserzione contenuta in 1009b11-12, che 37
Invero il motivo della prevalenza è trascurato nel passo di Plutarco.
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non potrebbe più riflettere la posizione dello stesso Democrito). Non si tratta di una proposta convincente, per le ragioni ora dette e perché (1) il ricorso da parte di Democrito agli argomenti relativistici introdotti in 1009b2-11 è confermato da attestazioni di Teofrasto nel suo De sensibus (cfr. 55.2, §§ 63-64, inoltre 55.3, §§ 69-70, dove Teofrasto rivolge specificamente a Democrito le obiezioni che Aristotele rivolge ai ‘sensisti’ in generale), (2) l’affermazione conclusiva in 1009b11-12, che per Democrito ‘niente è vero oppure il vero è a noi occulto’, palesemente richiama il motivo della ‘verità nel profondo’ che viene a lui attribuito da più testimoni (Diog. Laerzio IX 72 ecc. [= 61.1-6]) senza in alcun modo associarlo alla confutazione di Protagora. (Ovviamente rimane aperto il problema di come mettere d’accordo tutte queste testimonianze, quando neppure quella di Teofrasto è del tutto sulla linea di quella aristotelica.) L’interpretazione sulla quale si basa la mia citazione del passo aristotelico è anche quella che si trova adottata dai commentatori, in primo luogo nei passi di commento a De anima III 2 (= 54.1) cui si è fatto sopra riferimento. Filopono accosta la posizione di Democrito a quella di Protagora anche nel commentare De anima I 2 (= 105.3), e proprio a proposito della coincidenza fra verità e fenomeno, sicché il passo conferma che almeno Filopono riteneva che le due posizioni, come esposte in Metaph. IV 5, sono inseparabili da questo punto di vista. In secondo luogo, Alessandro in particolare attesta, nel commentare passi di Metaph. IV 5, che il riferimento è a Democrito accostato a Protagora (cfr. 57.1-3). Al nr. 58 c’è una serie di testimonianze, tutte di Sesto Empirico, ad eccezione dell’ultima (Diogene Laerzio IX 106 [= 58.6]), che considerano la collocazione di Democrito nella tradizione antica che porta allo scetticismo. Sesto Empirico stesso pare volersi distanziare dalla tendenza di altri autori dell’orientamento pirroniano (risultante anche dal passo di Diogene, che verte su Pirrone) a presentare Democrito come un anticipatore di tale orientamento. Oltre a sottolineare certe differenze fra “l’orientamento scettico” e “la filosofia democritea” (nell’importante passo di Pyrrh. hypot. I, 213-14 [= 58.1], tralasciato in DK), si mostra incline ad accostare la posizione di Democrito a quella di Platone per via della postulazione di oggetti che si colgono solo col pensiero (cfr. 58.4 e 58.5). L’inclusione dei passi di Sesto Empirico, di Plutarco e di Diogene Laerzio ai nr. 5960 non ha bisogno di giustificazioni, perché in tutti Democrito viene menzionato in modo espresso. In essi viene attestato che Democrito aveva criticato Protagora e aveva menzionato Seniade (di quest’ultimo non sappiamo quasi nulla). Bisogna però esprimersi sull’attendibilità della testimonianza di Plutarco in Adv. Col. 4 (= 59.1). Egli suggerisce che Colote, da lui precedentemente criticato (in 1108D) per la sua tendenza a considerare i passi delle opere di Democrito prescindendo dal contesto, avrebbe fatto questo anche nel caso della formula “non più (me mallon)” che era stata usata dallo Abderita in un ambito ontologico (per affermare l’esistenza del non-ente ovvero del vuoto alla pari dell’ente ovvero del pieno) e non in un ambito epistemologico (per dire che ciascuna cosa, come si presenta a noi, non è tale piuttosto che tale). Questa sua testimonianza è però in contrasto con quelle di Sesto Empirico, in Pyrrhoniae hypotyposes I, § 213 (= 58.1), e di Teofrasto in De sensibus §§ 63-64 (= 55.2) insieme a De sensibus §§ 69-70 (= 55.3) (si veda specialmente l’asserzione alla fine del § 69: “nessuno coglie la verità in alcun modo più [methen mallon] di un altro”). Ritengo che
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su questo punto si debba dare più credito a questi altri testimoni (ai quali si può aggiungere lo stesso Colote, che probabilmente si atteneva all’interpretazione che, a partire da Epicuro, gli Epicurei davano della posizione di Democrito), non solo per ovvie ragioni generali (tre testimoni contro uno, e i tre includono un autore, Teofrasto, che doveva essere ben documentato) ma anche per ragioni concernenti l’interpretazione dell’epistemologia di Democrito sulle quali non mi posso soffermare. (Rimane vero che la testimonianza di Plutarco segnala un problema: come mettere d’accordo l’attribuzione a lui di una posizione prossima a quella di Protagora con le critiche che Democrito, come attestato non solo da Plutarco ma anche da Sesto Empirico in Adversus mathematicos VII, § 389 [= 59.2], aveva rivolto a Protagora.) Quanto alla fondamentale testimonianza (fondamentale anche perché includente un numero relativamente alto di citazioni) di Sesto Empirico, Adv. math. VII, 135-140 (= 60.1), ho ritenuto opportuno riportarla come un passo unico, per una migliore comprensione del suo tenore e andamento complessivo. C’è tuttavia una riserva che concerne il § 140 sui tre criteri che sarebbero stati ammessi da Democrito in base alla testimonianza di Diotimo. A questo passo va accostata una testimonianza di Cicerone (= 60.1.1) dalla quale risulta che il brano del Fedro platonico ivi citato aveva trovato l’approvazione di Epicuro (cfr. anche n. 450 ad loc.). Questo fatto, unito ai fatti che Epicuro notoriamente adottava i tre criteri riportati da Diotimo e approvava, almeno tacitamente, il precetto di Anassagora (cfr. Ep. ad Hdt. 39 [= 28.2]) che viene citato ad illustrazione di uno dei criteri, fa sospettare che tutto quanto esposto in quel § riguardi la sua posizione piuttosto che quella di Democrito, come assumono invece gran parte degli studiosi, che spesso danno particolare importanza a questa testimonianza per la ricostruzione dell’epistemologia di Democrito. A questi passi faccio seguire due passi di Galeno, dei quali 60.3 è noto da tempo (e frequentemente citato), ma da me riprodotto più estensivamente che nelle altre raccolte. Il passo appartiene ad un'opera perduta di Galeno ed è tratto dal codice Trivulziano 685 che non ne dà il titolo e che include un'altra opera dello stesso autore. È stato pubblicato (insieme ad un altro frammento) da H. Schöne nei Sitzungsberichte dell'Accademia di Berlino del 1901 con il titolo Eine Streitschrift Galens gegen die empirischen Aerzte (p. 1259.8 sgg.) e ripreso da H. Diels nei Vorsokratiker come fr. 125 con il titolo “de medic. empir. fr.”. Più recentemente R. Walzer, nel curare l'edizione della traduzione araba del De experientia medica (On Medical Experience, Oxford 1944), ha potuto constatare che questa è l'opera perduta cui risale il frammento. (Egli riproduce il testo seguendo Schöne, ma inserendo nell'apparato le varianti suggerite dalla traduzione araba.) In questa versione l’opera di Galeno include un altro passo riproducente un’affermazione attribuita espressamente a Democrito: lo riporto (al nr. 60.2) nella traduzione inglese del Walzer, evitando di offrire un'ulteriore traduzione di un testo doppiamente tradotto. Quanto ai contenuti, 60.3 ha attratto l’attenzione perché sembra illustrare una controversia fra l’intelligenza e i sensi, che probabilmente trova un parallelo nella controversia fra anima e corpo che si trova illustrata in alcuni passi di Plutarco (cfr. 135.1 e 135.2, con n. 1060). Sulla possibilità di istituire un parallelo fra il passo di Galeno e quelli di Plutarco mi soffermo più oltre, in sez. 28. Sulla possibilità che quanto viene esposto da Galeno risalisse all’opera intitolata Conferme e sul senso in cui questa potesse essere ritenuta avere a che fare con una decisione di tipo giudiziario si veda la
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mia discussione nell’art. (cit. in n. 3) Democritus’ Works, sez. 6. Un linguaggio in qualche misura giudiziario è presente anche nel passo di Sesto Empirico (Adv. Math. VII 136 = 60.1, con n. 437) che contiene dei cenni ai contenuti di quell’opera (si può ipotizzare che la ‘condanna’ delle sensazioni quanto alla loro affidabilità ivi attribuita a Democrito fosse da lui non espressa direttamente ma fatta esprimere dall’intelligenza), e anche questo tende a confermare tale conclusione. Di seguito (come 60.4) riproduco, piuttosto estensivamente, un passo di Sesto alla conclusione del quale questi attribuisce a Democrito la negazione della dimostrazione (apodeixis). Solitamente si riproduce solo tale conclusione (Adv. math. VIII 327 = B 10b DK, 102 Lu.), ma a questo modo non è reso chiaro in che senso si parli di dimostrazione, perché solo quanto precede mostra che è in questione il carattere probatorio delle inferenze riguardo ciò che non è evidente a partire da ciò che è evidente. Un esempio offerto da Sesto (al § 319) per ciò che è non evidente mostra che egli ha in mente la teoria atomistica, e, per quanto non si possa escludere che si riferisca anche ad Epicuro, l’introduzione (al § 325) del motivo della verità che si trova celata in una profonda oscurità suggerisce che egli pensa in primo luogo a Democrito, il quale è il solo degli atomisti da lui espressamente menzionato, sicché è abbastanza chiaro che il passo tiene conto della sua posizione non solo nella conclusione. Certamente non è l’unica posizione della quale si tiene conto nell’esposizione e sono adottate distinzioni che vanno oltre quanto Democrito può avere proposto. Infine, ai nr. 61.1-61.6 offro una serie di passi che, in vari modi, attestano per Democrito il motivo (richiamato da Sesto) della ‘verità nel profondo’ e che tendono anch’essi, almeno in parte, ad inserire il suo pensiero nella tradizione scettica. Il motivo citato ricorre in altri testi ancora, che ho omesso, cfr. Lattanzio, Div. Inst. III 30, 6 (che riassume III 28. 13-14 [= 61.6]); Isidoro, Etym. VIII 6, 12 (= 51 Lu.; riferimento in DK sotto B 117), di tenore simile a 61.5, ma facente di Democrito un compagno di setta (sectator) di Arcesilao, in quanto entrambi collocati fra gli Academici; Honorius Augustodunensis, in “Patrologia Latina” 172 (Paris 1895), p. 235 (= 51 Lu.), che ricalca Isidoro. (Il motivo si trova ripreso pure da vari autori che non menzionano Democrito, cfr. per es. Seneca, Quaestiones naturales VII 32, 4, e De beneficiis VII 1, 5; Apuleio, Apologia 83.) La citazione di uno dei passi di Cicerone, cioè Academica priora II 23, 73 (= 61.2), è estesa alla posizione di Metrodoro di Chio, perché è evidente che l’autore latino ritiene che sia accostabile a quella di Democrito; la testimonianza di Eusebio (in 61.2.1) è prossima a questa. 17. Principi della fisica: condizioni dell’agire e del patire (parte VII, sezione A) Il punto di partenza di questa serie di passi concernenti la fisica degli atomisti è dato dall’esposizione di Aristotele nel De generatione et corruptione. Egli, dopo essersi occupato della generazione e della corruzione nella loro generalità e nella loro natura, distinguendole dall’alterazione (da questa parte dell’opera sono estratte le testimonianze ai nr. 49-51), viene ad occuparsi dell’agire e del patire come condizione necessaria non solo della generazione e della corruzione ma anche di altri processi, come sarebbe stato riconosciuto, almeno implicitamente, da coloro che generano gli elementi (con allusione ai 4 elementi) e le cose che da essi derivano, cioè i pluralisti (cfr. 62.1). Aristotele invero parla di due classi di persone, ma esse debbono coincidere nel caso dei pluralisti, e, in ogni caso, questa mancanza di chiarezza giustifica il commento di Filopono, con
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riferimento espresso alla posizione di Democrito (cfr. 62.2). Il contatto viene menzionato da Aristotele come, a sua volta, condizione dell’agire e del patire, come anche della mescolanza (il capitolo 6 dell’opera considera il contatto solo dal punto di vista aristotelico). Il gruppo 62.4-6 è dato da passi che offrono informazioni sulla concezione che gli atomisti avevano del meccanismo dell’agire e patire: esso comporta identità, evidentemente a livello microscopico (cfr. 62.4), ma esclude la possibilità che tale identità di natura fra gli atomi (che sono impassibili) comporti una loro fusione (cfr. 62.5, contenente una critica di Aristotele), e richiede la presenza di vuoto (cfr. 62.6, passo di Filopono che offre dei chiarimenti circa il confronto fra la posizione degli atomisti e quella di Empedocle proposto da Aristotele in De generatione et corruptione I 8). C’è un passo di Sesto Empirico che è citato per conto proprio (cfr. 63), ma che va accostato ad alcuni altri passi nei quali è presente lo stesso motivo (cfr. 3: 28.19-22, 80.1: § 31, 89.1, 90.3): il passo illustra il ricorso di Democrito al principio della ”attrazione dei simili”, insieme al suo ricorso all’immagine del vaglio (un’allusione a questa c’è anche in 80.1, § 31, con una sua ripresa da parte di Platone in Timeo 52D53A [= 80.3]). Il passo di Sesto appartiene ad un contesto epistemologico, ma il principio ivi formulato pare avere valore generale (alcuni degli esempi di sua applicazione sono citati anche nel passo dossografico 90.3). 18. Il movimento degli atomi e la questione del peso (sezioni B, C, D) 64.1 consiste in passi tratti da Aristotele, De caelo III 2, dove il movimento primordiale degli atomi, che viene detto verificarsi per sempre nel vuoto infinito, è presentato, dal punto di vista dello stesso Aristotele, come un movimento forzato; i commenti di Simplicio (in 64.1.1-3) in alcuni casi rendono più espliciti i riferimenti alla posizione degli atomisti; altri suoi commenti (in 64.2-3) introducono alcune precisazioni. Altre precisazioni sono contenute nel passo di Alessandro (cfr. 64.4), la cui attendibilità tuttavia è sospetta perché pare attribuire a Democrito l’introduzione di minima che altre fonti attribuiscono ad Epicuro (cfr. Simplicio in 22.1, dossografi in 9.1 e 9.4). Aristotele tende a suggerire che il movimento primordiale degli atomi è forzato in quanto avviene per impatto, e questo suggerimento si trova adottato espressamente in un passo di Simplicio a commento di Fisica I 2 (cfr. 64.3), nelle testimonianze dossografiche (cfr. 64.5-7) e probabilmente anche in certe dichiarazioni degli Epicurei (cfr. Cicerone in 64.7 e Lucrezio in 64.8). Aristotele considera il movimento forzato come essente contro natura, sicché esso dovrebbe essere secondario rispetto al movimento spontaneo (quello dovuto al peso) secondo natura. (Egli assume, nella sua critica, che il mondo, come realtà ordinata, non può derivare da una condizione originaria di disordine, quale quella che si avrebbe con gli atomi che si muovono per urti reciproci in ogni direzione.) Presumo che, se si può parlare di un movimento ‘per scosse’ in Democrito (come risulta unicamente da 64.5.1, cfr. n. 490 ad 64.5), è solo quando e in quanto esso avviene per urti. Pertanto non ritengo pertinenti i passi aristotelici di Phys. VI 6 e 10, di De sensu 6, di Phys. IV 10 e VIII 8, ecc., insieme a passi di Plutarco e Alessandro, che Luria riporta (ai nr. 283-286 e 287a-c) come offrenti un’esposizione e una critica della tesi che il movimento avviene per scosse in momenti istantanei di tempo. Non c’è niente che attesti altrimenti una tale origine democritea della tesi.
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Nella sua discussione del peso come eventuale causa di movimento Aristotele è condizionato dal suo punto di vista: egli ritiene evidente che, dei corpi elementari, alcuni, cioè il fuoco e l’aria, sono leggeri nel senso di muoversi verso l’alto (che è l’estremo del mondo) e altri, cioè la terra e l’acqua, sono pesanti nel senso di muoversi verso il basso (che è il centro del mondo). A questo proposito egli parla di pesante e leggero ‘in senso assoluto’; il comportamento dei composti dipende ovviamente dalla prevalenza al loro interno dei corpi del primo o del secondo tipo. Con intento polemico, egli rileva, in De caelo I 7, che gli atomisti avrebbero dovuto ammettere che il movimento degli atomi è uno solo, cioè in una sola direzione, in quanto essi hanno tutti la stessa natura od essenza (cfr. 65.1, con il commento di Simplicio, in 65.2, che aggiunge alcune generalità sulla posizione degli atomisti). Sembra tuttavia che gli atomisti stessi lo avessero ammesso, a proposito del movimento degli atomi all’interno del mondo (da tener distinto da quello disordinato primordiale), perché li trattavano tutti come pesanti, cioè come muoventesi verso il centro, e spiegavano il movimento verso l’alto di certi corpi non come dovuto ad una leggerezza ad essi intrinseca (è la posizione aristotelica) ma come consistente in un’“espulsione”, cioè come risultante dalla compressione di altri corpi più pesanti (perché più grandi) di essi. Aristotele stesso si limita ad un’allusione a tale loro posizione in De caelo I 8 (= 66.1), mentre Simplicio, nel commentare il passo (cfr. 66.2), rileva che questa era la posizione adottata dopo Aristotele da Stratone e da Epicuro, ma che essa era nota di già a Platone, il che fa pensare che sia da attribuire a Democrito. Lo stesso Simplicio, nel commentare un altro passo aristotelico (cfr. 66.3), rende esplicita tale attribuzione, suggerendo che gli atomisti (cioè Democrito seguito da Epicuro) avevano riconosciuto che gli atomi possono solo avere un unico movimento. Un’altra allusione a questa posizione si trova in De caelo IV 4 (= 68.4), ed in questo caso Simplicio, nel suo commento, rende esplicito in modo diretto che si tratta della posizione di Democrito (cfr. 68.4.1). L’ammissione che tutti i corpi, all’interno del mondo, sono pesanti, pone il problema di come mai la terra rimanga ferma invece di precipitare verso il basso (lo pone ad assumere che la pesantezza non risieda, come ritiene lo stesso Aristotele, nella tendenza dei corpi a muoversi verso il centro del mondo). La questione viene discussa da Aristotele in De caelo II 13, con un esame critico delle posizioni dei suoi predecessori. Qui c’è una sua testimonianza che associa la posizione di Democrito a quella di Anassimene e di Anassagora, per i quali la terra rimane ferma perché è di figura (ed eventualmente di grandezza) tale da impedire all’aria che sta sotto di essa di muoversi, sicché questa serve da sostegno (cfr. 67). Aristotele suggerisce ugualmente che, secondo i pensatori da lui discussi, la terra si raccoglie al centro del mondo per via del vortice, e Simplicio conferma, nel commentare il passo (cfr. 67.1), che questa spiegazione (riguar-dante evidentemente la fase di formazione del mondo) è tenuta distinta da quella del suo rimanere ferma (evidentemente: una volta che il mondo si è formato e il vortice ha perso di efficacia). Di questi pensatori Aristotele menziona espressamente il solo Empedocle, Simplicio aggiunge “Anassagora e altri ancora”, senza precisare chi siano questi altri, ma l’allusione, alla fine del passo aristotelico, ad un’ammissione dell’infinito non può che riguardare la posizione degli atomisti. Le testimonianze successive di Aristotele, che consistono in passi che sono tratti dai primi due capitoli del libro IV del De caelo, cioè del libro che può essere considerato come un trattatello (relativamente autonomo) riguardante il pesante e il leggero, concer-
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nono quelle che denomino le “operazioni di pesantezza e leggerezza entro il mondo” (non ho trovato una formula migliore). Che quanto risulta da queste testimonianze riguardi il resoconto che gli atomisti davano dei fenomeni o processi che si svolgono entro un certo mondo (rappresentato ovviamente dal nostro) non è detto in modo del tutto esplicito, ma è sufficientemente manifesto da come Aristotele introduce l’argomento nel cap. 1 (cfr. 68.1); del resto il libro tutto fa parte di un’opera concernente il mondo, oltre che il cielo. (È vero che in De caelo III 2 si parla invece del movimento primordiale degli atomi, cioè del loro movimento nel vuoto infinito, ma ciò avviene perché si parla del comportamento degli elementi in vista della formazione del mondo, quando si ammetta, come fanno pensatori come gli atomisti, ma non lo stesso Aristotele, che il mondo si è formato, sicché si pone la questione di come si è formato, ovvero di quali sono le condizioni della sua formazione.) Tutta la discussione che Aristotele conduce delle posizioni altrui (soprattutto nel cap. 2, ripreso in gran parte come 68.2) è condotta dal punto di vista della sua distinzione, introdotta nel cap. 1 (cfr. di nuovo 68.1), fra pesante e leggero in senso assoluto e pesante e leggero in senso relativo. In base alla prima fuoco e aria sono leggeri in senso assoluto, perché tendono costantemente verso l’alto, che coincide con l’estremo del mondo (ritenuto essere di forma sferica), mentre la terra e l’acqua sono pesanti in senso assoluto, perché tendono costantemente verso il basso, che coincide col centro del mondo (a difesa di questa posizione Aristotele è obbligato in quel cap. a respingere ogni tesi della relatività di ‘alto’ e ‘basso’, cosa che fa con riferimento a quanto si trova prospettato nel Timeo di Platone). Questa posizione (come risulta dalle indicazioni sopra date) non è condivisa dagli atomisti, per i quali tutti i corpi sono pesanti (allo interno del mondo) e, quando si muovono verso l’alto, lo fanno per ‘espulsione’. Aristotele, che è troppo convinto della giustezza della propria posizione per avere una comprensione adeguata delle posizioni altrui, è indotto a considerare quest’altra come una delle posizioni che considerano il pesante e il leggero soltanto in senso relativo, quando la posizione degli atomisti corrisponde piuttosto all’ammissione del solo pesante in senso assoluto (dato che gli atomi entro il mondo si muovono regolarmente verso il basso). Per di più egli è indotto ad ipotizzare una loro postulazione del vuoto, in quanto “materia” contraria al pieno, come causa del movimento verso l’alto di fuoco ed aria, dunque a spiegazione della loro leggerezza in senso assoluto, trascurando la tesi dell’espulsione cui fa pur sempre un’allusione (come abbiamo visto) in I 8, oltre che in IV 4 (= 68.4). La sua esposizione in De caelo IV 2 è resa più complessa dal fatto che egli mette al confronto la posizione degli atomisti (cui viene fatto riferimento in modo allusivo, senza mai menzionarli per nome) con quella di Platone nel Timeo e con altre posizioni ancora. Il commento di Simplicio è di aiuto per identificare i passi che riguardano effettivamente gli atomisti (riporto estratti ai numeri 68.2.1-2.4, inoltre 68.4.1 a commento di 68.4) 38 . Nell’ultimo capitolo di De caelo IV Aristotele considera il ruolo della conformazione posseduta dai corpi, cioè la differenza che le figure fanno riguardo al movimento dovuto al peso, rilevando che esse non possono essere cause indipendenti di movimento. In questo contesto discute di un problema che era stato già affrontato da Democrito, e cioè come mai corpi relativamente pesanti ma piatti di conformazione rimangono a galla in 38
Si veda anche n. 527 ad 68.2.
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acqua o sospesi nell’aria mentre altri cadono in basso, rifiutandone la soluzione (cfr. 69.1; il commento di Simplicio in 69.2 è più dettagliato su alcuni punti). Il ruolo della conformazione posseduta dai corpi riguardo al loro movimento è toccato anche in un altro contesto, in De caelo III 8, parlando della particolare mobilità di figure come la sfera che è assegnata all’elemento più mobile che è il fuoco e che ne spiegherebbe la capacità di bruciare e di scaldare (cfr. 69.3, di nuovo con i commenti di Simplicio in 69.4 e 69.5). 19. Necessità, caso e fine (parte VIII) Ai nr. 70.1-5 sono riportate alcune testimonianze che attribuiscono a Leucippo (nel caso della sola test. 70.1 dovuta a Stobeo e includente la citazione di un passo del suo Peri nou) o a Democrito la tesi che tutto avviene per necessità. Queste testimonianze sono di tipo dossografico e presentano dei problemi che non sono del tutto insoliti nel loro caso. La testimonianza di Stobeo su Leucippo è preceduta da una nella quale sono associati Parmenide e Democrito (cfr. 70.2), rispetto alla quale quella di Ps.-Plutarco (cfr. 70.2.1) costituisce un passo parallelo, mentre quella di Ps.-Galeno (cfr. 70.2.2) dipende da quella di Ps.-Plutarco. Della precisazione contenuta in queste testimonianze, che per Parmenide e Democrito la necessità è “il destino (heimarmene) e la giustizia e la provvidenza e quanto produce il mondo”, solo il primo pezzo sul destino ha un riscontro nella testimonianza di Stobeo riguardante Leucippo e nella testimonianza di Teodoreto riguardante ad un tempo Democrito, Crisippo ed Epicuro (cfr. 70.3). Il confronto con quest’ultima testimonianza, nella parte finale che riguarda Parmenide, fa pensare che tutto il resto concerna esclusivamente Parmenide, sostituendo la Demone col destino e aggiungendo “quanto produce il mondo” (un’aggiunta che è assente in Ps.-Galeno) 39 . Quanto alla testimonianza della Suda (cfr. 70.4), è sufficientemente chiaro che, nella sua prima parte, essa consiste in un estratto della testimonianza di Diogene Laerzio (IX 45), mentre per il resto coincide con un passo del commento di Alessandro d’Afrodisia a Topici II 6, 112b1-2, cioè ad un passo aristotelico che contiene, in forma molto sintetica, quella distinzione fra ciò che è necessario e ciò che è possibile che viene proposta, in forma più articolata e con esempi, da Alessandro. Non è facile spiegare come sia emersa questa strana combinazione, ma non pare che si possa condividere la convinzione di Luria (il quale riporta l’intero passo al nr. 103) che, dal momento che quanto Alessandro attesta è anonimo, e non risponde in pieno alle distinzioni proposte da Aristotele nelle sue opere, si può fare risalire anche questa parte del passo senz’altro a Democrito 40 . Questa proposta non ha nessun riscontro positivo, mentre è assai più probabile che Alessandro proponga una distinzione che è peripatetica ma postaristotelica, la quale può risentire in qualche misura di distinzioni proposte da altre scuole. Infine non problematica, ma semplificatrice, è la testimonianza di Cicerone (cfr. 70.5). Il cap. 4 del libro II della Fisica di Aristotele è un testo del quale si riconosce generalmente che è fondamentale per la comprensione della posizione di Democrito, anche se l’atomista non viene menzionato espressamente (Aristotele in quel capitolo fa solo il nome di Empedocle). Il capitolo è riportato, con qualche omissione, sotto tre sezioni 39
Si veda anche n. 543 ad 70.2. Per una presentazione di questa sua interpretazione cfr. C. Baffioni, Lur’e interprete di Democrito, “Elenchos” II, 1981, pp. 161-192, specialm. 168-177, dove ci sono anche delle critiche ad essa. 40
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distinte (B, C, e D, intitolate rispettivamente “il rifiuto del caso come causa”, “il ricorso al caso in cosmogonia”, e “la fortuna (o il destino) come causa occulta”), con l’accompagnamento di passi di commento dovuti a Simplicio e a Filopono e di passi che sono in qualche modo paralleli. I commenti in questione attestano che la parte del capitolo attestante il (generale) rifiuto del caso come causa (cioè 71.1) e quella attestante il ricorso al caso in cosmogonia (cioè 72.1) comportano un riferimento a prese di posizione di Democrito. Parallelo al secondo è il passo aristotelico di De partibus animalium I 1, 641b16-23 (= 72.2), solitamente ignorato (è segnalato, ma limitatamente a b20-24, da Taylor). Esso mostra che, contrariamente a quanto sostengono più studiosi, to automaton non è usato in Phys. II 4, 196a24-35 (= 72.1) in un senso (quello di spontaneità) distinto da quello per cui equivale a tuche, sicché l’apparente discrepanza fra questo passo e quello precedente del capitolo non è superata ammettendo che sono in gioco resoconti differenti ma compatibili degli eventi. Anche le spiegazioni offerte dai commentatori del perché Aristotele attribuisca questo ricorso al caso a Democrito (soprattutto quella particolarmente precisa di Filopono in 72.5) non vanno nel senso di eliminare la dimensione della casualità, dato che questa è ritenuta essere inerente all’incontro degli atomi che da luogo alla formazione del mondo. (Notare che Simplicio attinge, per alcuni e forse per tutti i suoi commenti ai passi aristotelici, alla Fisica di Eudemo, cfr. 71.3, con n. 553, e 72.3, con n. 558.) D’altra parte non è chiaro, da quanto Aristotele dice al proposito e da queste altre testimonianze, fino a che punto ci fosse un esplicito ricorso al caso da parte di Democrito stesso. Quello che si può plausibilmente suggerire è almeno che egli non aveva la pretesa di riportare certi eventi complessi come quell’incontro di atomi ad un’unica (complicatissima) catena causale necessaria. Quanto a Phys. II 4, 196b5-7 (= 73.1), riportato sotto la sezione D, esso introduce una terza posizione, che diversi studiosi hanno attribuito a Democrito, intendendo il passo come una negazione della fortuna (o caso: tuche) in quanto essa sarebbe da noi postulata in date circostanze come causa occulta per mascherare la nostra ignoranza della causa effettiva (o delle cause effettive) di quanto avviene. C'è una piuttosto evidente difficoltà ad intendere il passo a questo modo, nella sua lettera (si veda l’interpretazione data da Filopono nel suo commento al passo, cioè 73.3) e nel suo contesto, perché l'andamento complessivo del capitolo pare richiedere che alla posizione di coloro che negano l'esistenza della fortuna si opponga quella di coloro che ne affermano l'esistenza. E va pure rilevato che l’unica testimonianza che può servire da supporto per fare risalire a Democrito la presentazione della fortuna come ‘causa oscura all’intelligenza umana’ è quella di Teodoreto (cfr. 73.4.3), che su questo punto è discrepante da quelle parallele di Ps.-Plutarco e di Stobeo (cfr. 73.4 e 73.4.2), le quali menzionano solo Anassagora e gli Stoici. Dello stesso tenore di queste due è anche la testimonianza di Simplicio nel suo commento al passo (cfr. 73.2), che parla anche lui degli Stoici, e, riguardo ai loro predecessori, si limita a citare un passo platonico. Le testimonianze dossografiche ora menzionate, se considerate nella loro completezza (ho riportato anche i passi che riguardano Platone e Aristotele), suggeriscono che è in gioco una causa che può essere considerata “oscura e instabile” (come viene detto in 73.4 a proposito della posizione di Aristotele), ma della cui esistenza non si dubita. Teodoreto poi è esplicito nel considerarla non solo a questo modo ma come qualcosa di divino (al modo in cui avviene anche nel passo aristotelico correttamente inteso), sicché è particolarmente strano che Democrito sia nominato in questa sua testimonianza fra i
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sostenitori di una posizione del genere, anche se non è facile spiegare l’origine dell’errore che ha avuto questa conseguenza. Si può aggiungere che in certuni di questi passi (compreso forse quello aristotelico) non viene fatta una chiara distinzione fra fortuna (tuche) e destino (heimarmene). Accostabili ad essi sono dei passi nei quali Democrito (ma nella testimonianza di Alessandro, De fato 2 [= 73.7], si parla piuttosto di Anassagora) è ritenuto ricorrere al destino, per questo associandolo (in un passo che risale al cinico Enomao e che viene riportato sia da Eusebio sia da Teodoreto, cfr. 73.6 e 73.6.1) allo Stoico Crisippo. Il passo della Suda (cioè 73.5) è fra questi, ma non può essere attendibile nell’attribuire a Democrito la tesi che “alcune cose tutti le abbiamo dal dio” (questa è attribuita a Crisippo in 73.6, cfr. n. 566), e deve proporre una libera estrapolazione del pensiero democriteo nel periodo finale nel quale viene attribuita all’Abderita l’affermazione che guerra e pace ecc. dipendono dagli atomi. Il primo dei passi della sez. E, intitolata “necessità e caso combinati a spiegazione degli eventi”, è la parte iniziale di Phys. II 8 (= 74.1), dove Aristotele invero parla espressamente solo di Empedocle, ma segue palesemente Platone in Leggi X e in altre opere (cfr. 74.2, con n. 577) nel considerare la posizione in questione come tipica dei Presocratici naturalisti. È probabile che anche Democrito sia coinvolto, per questa ragione e perché egli deve avere aderito all’idea empedoclea della ‘sopravvivenza del più adatto’ (in quanto questa viene ripresa dagli Epicurei, cfr. Lucrezio V, vv. 837-877 [non incluso nella presente raccolta], e in quanto questa è particolarmente conciliabile con un rifiuto del finalismo). Simplicio pare alludere al necessarismo democriteo nel suo commento al passo aristotelico (cfr. 74.1.1). Una ulteriore indicazione in tale senso è data dal fatto che l’esempio della formazione dei denti (in generale) che viene menzionato in Phys. II 8 è molto prossimo all’esempio della formazione e caduta dei denti da latte di cui Democrito, secondo la testimonianza dello stesso Aristotele, avrebbe offerto una spiegazione meccanica (cfr. 98.3). Infine un frammento del De natura di Epicuro (cfr. 74.3) potrebbe rivelare un intento polemico del suo autore nei confronti di Democrito quando, seguendo Aristotele, questi parla di coloro che, pur avendo dato inizio alla ricerca delle cause nel modo più adeguato, fecero ricorso a necessità e caso messi insieme. (Questo intento polemico di Epicuro è ammesso da più studiosi, e in ogni caso spiega l’inclusione del passo nella raccolta di Diels e Kranz.) Nel citare il passo epicureo mi sono limitato al brano 34, 30.7-15 Arrighetti (= § 13 Sedley), perché ritengo che esso sia una sorta di parentesi rispetto all’esposizione complessiva. Invece Luria, sotto 36a, riporta il seguito del passo di Epicuro, nel quale questi parla della contraddizione fra teoria e pratica in cui cade chi (“l’uomo”) adotta la posizione da lui criticata, perché ritiene che “l’uomo” non sia impersonale ovvero da rapportarsi al “qualcuno” (tis) che nella parte precedente era stato criticato per la sua adesione al determinismo, ma sia riferito a Democrito. (La stessa posizione viene adottata da Long e Sedley, The Hellenistic philosophers, vol. 1, p. 108, e vol. 2, p. 108; il passo nel suo complesso compare in questa raccolta nell’edizione riveduta di Sedley come 20 C.) Ma questo non mi pare probabile, anche perché ci sarebbe un passaggio inaspettato dal plurale (“coloro che”) al singolare e perché l’attribuzione a Democrito di un ricorso al caso non è facilmente conciliabile con un completo determinismo. Anche qualora avessero ragione questi studiosi, si tratta di una critica da parte di Epicuro che non contiene nuove informazioni sulla posizione da attribuire a Democrito.
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Un’ulteriore serie di passi attesta, come risulta dal titolo che ho dato a questa sezione (sez. F), il ricorso al solo caso, eventualmente ad esclusione della provvidenza, oppure attesta almeno l'esclusione della provvidenza. La maggior parte di questi passi riguarda la cosmogonia, e quindi è prossima alla testimonianza aristotelica nell’attribuire tale posizione a Democrito a proposito della formazione del mondo e dei cieli, ma Cicerone (cfr. 75.3) gli attribuisce tale posizione a proposito della formazione dell’anima (la sua testimonianza rimane unica, sicché probabilmente si tratta di una sua inferenza). L'esclusione della provvidenza risulta da un'altra testimonianza di Cicerone (cfr. 75.4) che riporta una polemica di Stratone di Lampsaco contro il ricorso di Democrito agli atomi, ma lasciando intendere che c'è un consenso fra di loro nel fare a meno della divinità. Nello stesso senso va la testimonianza di Nemesio (cfr. 75.5), che è di polemica soprattutto contro Epicuro, ma associando a lui Democrito. Quanto ai passi raccolti sotto il titolo “ricorso alla necessità, ad esclusione del caso”, si tratta in effetti di passi – uno dei quali è di Diogene di Enoanda (cfr. 76.1), mentre gli altri due sono di Cicerone (cfr. 76.2-3) – nei quali la posizione di Democrito è contrapposta, per la sua adesione al necessarismo, a quella di Epicuro, che ricorre al clinamen e pertanto lascia spazio alla casualità perché il suo verificarsi è privo di causa (ciò viene suggerito da Cicerone, ma ammettendo che non risponde ad una dichiarazione esplicita dello stesso Epicuro). A questi passi aggiungo uno di Epicuro, tratto dalla Lettera a Meneceo (cfr. 76.1.1), che, nel condannare l’‘asservirsi al destino dei fisici’, contiene probabilmente (anche se non esclusivamente) un’allusione alla posizione di Democrito, come supponevano anche il von der Mühll nella sua edizione (apparato ad loc.), il Bailey (GAE, p. 318) e il Luria (nr. 37) 41 . Il passo ha interesse anche per la divisione dei tipi di cose o eventi, sicché va posto in relazione alle testimonianze di Ps.-Plutarco e di Stobeo riguardanti Epicuro (cfr. 73.4 e 73.4.4). L’ultimo gruppo di testi include una testimonianza di Ps.-Plutarco, ripresa da Ps.Galeno (cfr. 77.1 e 77.1.1), per la quale Democrito faceva risiedere ‘l’essenza della necessità’ nell’operare meccanico della materia. Questa testimonianza è quasi certamente influenzata dalla presentazione che Aristotele offre della causa materiale come di quella tipicamente riconosciuta da fisici come Democrito. Per questo motivo, e perché ritengo che la menzione del caso (to automaton) fra le cause mostri che Aristotele ha in mente anche la posizione democritea, dato che il termine compare in testi (o dello stesso Aristotele, cioè in 72.1 e 72.2, o dei suoi commentatori, cioè in 72.3, 72.4, 72.5: 262.1920, o ancora di Epicuro, cioè 74.2) dove serve a descrivere la posizione democritea, riporto un passo aristotelico, tratto da De partibus animalium I 1, che riguarda i naturalisti presocratici in generale (cfr. 77.2). 20. Cosmogonia e cosmologia (parte IX, sezioni A, B, C, D) Riporto in primo luogo, come 78.1 e 78.2, due passi che chiariscono la concezione antica di mondo (kosmos), che fa di esso un sistema chiuso che ha una sua autonomia rispetto a quanto (eventualmente) lo circonda, in modo comparabile all'autonomia che è posseduta da un organismo (si fa sentire l'analogia col 'microcosmo' che sappiamo 41
Quest’ultimo offre una citazione più estesa della mia, perché vede un’allusione a Democrito anche nel seguito, particolarmente nello scolio, ma pare più plausibile ritenere che il soggetto del passo, ora al singolare, sia la persona cui si fa riferimento all’inizio del § 133 e che sia necessaria una sua correzione mediante una negativa come propone Usener.
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essere stata adottata da Democrito, cfr. 124.1). Il passo di Epicuro presenta un'evidente affinità terminologica (in particolare compare in entrambi il termine perioché) con quello dossografico nel quale la denominazione stessa di “mondo” viene fatta risalire (con attendibilità per lo meno dubbia) a Pitagora. Una definizione simile di “mondo” non è attestata per Leucippo e per Democrito, ma anche in questo caso, nella descrizione che viene offerta della cosmogonia, c'è una coincidenza terminologica (riguardante l'uso della formula apotomè ek (o apo) tes apeirou [‘sezione a partire dallo infinito’]) col passo epicureo che non può essere casuale (cfr. Diogene Laerzio IX 31 [= 80.1, con n. 617]). Inoltre quanto viene attestato direttamente nei loro riguardi, cioè che il mondo (presumibilmente il nostro) è sferico (cfr. 78.3) e che esso è racchiuso da una sorta di membrana (cfr. 78.4), evidentemente riflette tale concezione. La conseguenza di questa prospettiva è che chi ammetta uno spazio infinito e una materia infinita è indotto ad affermare l'esistenza di un numero infinito di mondi, non di un mondo unico che sia infinito. Nel caso dei due atomisti è effettivamente attestato che essi ammisero un numero infinito di mondi. In questa prima sezione riporto alcune testimonianze che vanno in tale senso: una di Simplicio che associa l'infinitezza di numero dei mondi all'infinitezza del principio (cfr. 78.5), alcune testimonianze dossografiche (cfr. 78.66.4) presumibilmente risalenti ad Aezio, e due ulteriori testimonianze di Simplicio e di Alessandro (cfr. 78.7 e 78.8). A queste testimonianze se ne possono aggiungere altre, che sono piuttosto numerose (si veda Quadro sinottico, H.2.2). Va osservato che documentazione relativa alla cosmologia compare anche in altri contesti: in primo luogo ci sono alcune esposizioni complessive del pensiero di Democrito e di Leucippo che sono focalizzate sull'aspetto cosmologico e cosmogonico (cfr. 4.1-6); in secondo luogo la questione della pluralità dei mondi rientra in quella della pluralità degli individui, e in questa connessione viene anche toccata la questione se vi sono individui identici, compresi appunto i mondi (cfr. 45 e 46). Peraltro la tesi dell'infinità dei mondi è toccata in altri contesti ancora. Da alcune delle testimonianze risulta, con sufficiente chiarezza, che questa infinità dei mondi si presenta non solo sincronicamente ma anche diacronicamente. Al proposito è probabile che 78.6 e 78.6.1 si integrino a vicenda (cfr. n. 601 ad 78.6). Comunque sia, che in tutti i tempi ci sono mondi che si generano e altri che periscono è attestato abbastanza chiaramente da Aristotele (cfr. 79.1) e confermato, nel modo più esplicito, da Simplicio (cfr. 79.2). Che ciascun mondo attraversi una varietà di fasi, alla stregua di un organismo, è suggerito soprattutto da Ippolito (cfr. 4.5). A queste testimonianze è da accostare un'allusione di Aristotele alla posizione degli atomisti, in un passo di De caelo I 10 (= 79.3) dove essa viene distinta da altre per il fatto di rendere ciascun mondo generato e corruttibile alla stregua di ogni altra cosa che si è costituita. È in sé plausibile che Aristotele stia alludendo agli atomisti, perché sarebbe strano se avesse ignorato la loro posizione, ma, delle tre posizioni che egli prende in considerazione, la prima (mondo generato ma eterno) è palesemente quella platonica, la terza (mondo trovantesi in differenti condizioni) è attribuita espressamente ad Empedocle e a Eraclito. Che l'allusione sia alla posizione degli atomisti è confermato da Alessandro di Afrodisia, la cui testimonianza è riportata da Simplicio allo scopo di criticarla, in maniera palesemente poco plausibile (cfr. 79.4, con n. 613 ad loc.). Lo stesso Simplicio corregge la sua posizione nel commentare un ulteriore passo di Aristotele (sempre di De caelo I 10 [= 79.5]), dove questi tiene ben distinta una posizione di tipo empedocleo da quella che sta
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nell'ammissione dell'esistenza di un'infinità di mondi (cfr. 79.6). Si può aggiungere, ad ulteriore conferma, che il passo aristotelico così commentato si richiama a due delle posizioni che erano state considerate nel primo. (Per altre testimonianze attinenti cfr. Quadro sinottico, H.3.1.) In alcuni di questi passi viene comunque riconosciuto, almeno implicitamente, che ciascun mondo (o il nostro mondo in particolare, ma senza distinguerlo da altri da questo punto di vista) è ritenuto formarsi (e corrompersi) alla maniera di ogni altro composto, con la precisazione che l’eternità del movimento degli atomi è condizione dell’eternità del processo di formazione dei mondi (cfr. 79.1, 79.1.1, 79.2, 79.3; queste testimonianze sono in accordo con quella di Alessandro in 79.4). A questo proposito la posizione degli atomisti viene tenuta distinta da altre posizioni sul ciclo cosmico (cfr. 79.5, 79.6, 79.7). Infine, da una testimonianza di Stobeo riguardo il modo in cui il mondo è ritenuto perire dai vari pensatori risulta che Democrito aveva ammesso che esso (apparentemente inteso come 'ogni mondo') perisce ad opera di un altro mondo (cfr. 79.10); questo motivo ricompare (con la precisazione che si tratta di un urto) in Ippolito (cfr. 4.5: § 3) e, con intento polemico, in Epicuro (cfr. 81.2: questi al solito non fa nomi). Quanto alla cosmogonia, ci sono esposizioni che riguardano la formazione dei mondi in generale, ma che manifestamente partono dalla considerazione del nostro mondo (cioè non tengono conto del fatto che si suppone che certi mondi siano molto diversi dal nostro). Le esposizioni più importanti concernono Leucippo, non Democrito, possibilmente perché quest'ultimo riprende la cosmogonia leucippea. Diogene Laerzio, sotto Leucippo, offre due esposizioni, una sintetica (cfr. 4.2) e una più dettagliata (cfr. 80.1, con 4.3). Una versione molto condensata della seconda esposizione si trova in Ippolito (cfr. 4.4.), ma si può supporre che siano entrambe condensazioni di un’esposizione più ampia e completa. Nella versione di Diogene Laerzio ha un ruolo importante l'azione del vortice, che è comparata a quella di un vaglio (per questa analogia cfr. anche 63 e 90.3). Questo motivo compare anche in un passo del Timeo di Platone (80.3) che probabilmente si ispira al resoconto degli atomisti. In qualche altra esposizione, peraltro meno organica, non si fa distinzione fra la posizione dei primi atomisti e quella di Epicuro (questo vale almeno per quella di Dionisio presso Eusebio, cfr. 9.4). Esiste un'ulteriore cosmogonia di tipo atomistico che compare in forma anonima nei Placita dello Ps.-Plutarco e che ho riportato per completezza di documentazione (cfr. 80.2). Molto probabilmente essa è epicurea 42 , data, fra l'altro, l'omissione del vortice e del grande vuoto, sicché non può essere giusto accogliere questa testimonianza come un estratto dal Grande sistema del mondo ["Auszug aus dem Megas diakosmos"] di Leucippo, come avviene nella raccolta di Diels e Kranz (cfr. 67 A 24). Epicuro stesso pare in effetti polemizzare con Democrito e/o con Leucippo non solo su qualche questione di dettaglio nella cosmogonia (cfr. 80.4 sulla formazione dei corpi celesti, da confrontare con 4.6, testimonianza riguardante Democrito) ma sul ricorso stesso al vortice e al 'grande vuoto' come sua condizione (cfr. 81.2). Che Democrito (non dunque solo Leucippo) facesse ricorso al vortice, seppure per spiegare il movimento del mondo (ma questo processo deve dipendere da come il mondo si è formato), risulta da una 42
Come sostenuto di già da H.C. Liepmann, Die Mechanik der Leucipp-Democritischen Atome, pp. 25 sgg.
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testimonianza di Sesto Empirico che pare riportare un rifiuto polemico della posizione democritea da parte degli Stoici (cfr. 81.3). Tutti gli atomisti (Democrito ed Epicuro sono sempre menzionati, una volta anche Leucippo) sono invece associati nel respingere il ricorso ad una provvidenza divina per spiegare l'ordine del mondo (cfr. le testimonianze dossografiche 81.1-81.1.2, inoltre 9.4-6, 71.1-5, 75.1 e 75.5). 21. Il sistema astronomico e la meteorologia (sezioni E e F) Riguardo al sistema astronomico, non tutti i passi che sono riportati riguardano esplicitamente la posizione di Leucippo e/o di Democrito. Sulle questioni relative alla terra servono da inquadramento due passi di Aristotele, De caelo II 13 (cioè 83.1 e 83.3), nei quali di essi non si fa menzione. È però abbastanza chiaro che le loro posizioni sono fra quelle cui egli fa allusione, e nel caso del primo passo ciò è attestato da Simplicio (cfr. 83.2). Su questo argomento, come spesso avviene, la classificazione del materiale adottata dai dossografi è prossima a quella aristotelica. Ancora, è evidente che su vari altri punti c'è un accostamento fra Democrito ed Anassagora che fa pensare che il primo dipenda dal secondo per certe spiegazioni da lui adottate (cfr. le testimonianze 82.4-4.2 sulla costituzione del sole, 82.6-6.2 sulla costituzione della luna, quelle sotto 85 relative alla via lattea e alle comete, la test. 86.1 sul movimento degli astri); per questo motivo ho riportato alcune testimonianze relative ad Anassagora anche laddove l'accostamento non è esplicito (cfr. 82.4.1, 85.3, 86.1.2). Nel complesso, l’ammissione che gli astri si formano allo stesso modo della terra e sono dei corpi inanimati con composizione simile a quella della terra implica una visione omogenea del mondo per la quale non è possibile prospettare quella separazione netta fra ambito dei fenomeni celesti ed ambito dei fenomeni meteorologici che si trova adottata in seguito da Aristotele (sulla composizione fisica dei corpi celesti cfr. i passi sotto 82). L’ammissione, già incontrata, che il movimento del mondo (cioè del cielo) è dovuta al vortice riflette per l’appunto tale prospettiva. Peraltro Democrito non pare mostrare molta originalità su questi punti, come nei punti più specifici del suo sistema celeste, nei confronti di Anassagora o di qualche altro dei ‘fisiologi’. Tornando alle questioni relative alla terra, sono oggetto di discussione sia la sua figura sia la sua stabilità. Riguardo alla figura si può osservare che la testimonianza riguardante Leucippo, per la quale la terra è come un tamburo, esclude che essa possa essere considerata concava nel senso dell’altezza (cfr. test. di Ps.-Galeno, 83.4.1, con n. 642 ad loc.): il greco ko‹loj usato qui può solo voler dire 'cavo', e viene ad indicare che la terra è cava al suo interno. A questo punto però si è indotti a suggerire che lo stesso deve valere per Democrito, dunque che egli non concepisse la terra in modo diverso da Leucippo. Notare che la tesi che la terra, oltre ad essere piatta, è complessivamente dalla forma del tamburo, è considerata l'unica alternativa seria al concepirla come sferica da Aristotele in De caelo II 13 (= 83.3). L'argomento principale ivi citato (senza fare nomi) a favore della sua piattezza dalla parte dove risiedono gli uomini forse risale ad Anassagora ma può essere stato accolto da Democrito. Un’altra delle ragioni ivi addotte per affermarne la piattezza è che solo attribuendo ad essa questa figura si giustifica la sua immobilità. A questo modo, chiaramente, Aristotele associa la tesi della piattezza della terra a quella della sua immobilità perché sostenuta dall'aria che egli espone nel seguito del cap. e che attribuisce espressamente ad Anassimene, Anassagora e Democrito (cfr. 67). Anche Simplicio nel suo commento
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attribuisce tale posizione a questi pensatori (cfr. 83.6), ma forse la sua testimonianza non è indipendente da quella aristotelica. Non è probabile che Anassimene si ponesse il problema di escludere l'ipotesi della sfericità della terra, che manifestamente riflette uno stadio piuttosto avanzato della ricerca astronomica, sicché il passo aristotelico commentato da Simplicio può riferirsi solo ad Anassagora e a Democrito. È ben possibile che anche su questo punto Democrito avesse accolto un contributo di Anassagora, ma, in ogni caso, è probabile che egli conoscesse quelle ragioni per affermare la piattezza della terra e le ritenesse valide, sicché il passo del De caelo deve riguardarlo, anche se probabilmente non in modo esclusivo, e deve essere incluso nella raccolta (come aveva già riconosciuto il Luria). La questione della piattezza ha dunque un rapporto con quella della sua stabilità. Al proposito Aristotele prende in considerazione le cinque posizioni che sono riassunte da Simplicio (in 83.6). Democrito, insieme ad Anassagora, viene associato ad Anassimene per avere sostenuto che la terra è piatta e viene tenuta sospesa dall'aria sottostante perché ricopre questa come un coperchio (cfr. ivi e la testimonianza di Aristotele in 67). Ad ammettere che la terra non è cava solo al suo interno ma nella sua parte inferiore, cioè che è aperta verso il basso 43 , ovvero che ha la forma di una scodella rovesciata – essendo dunque non dissimile dal coperchio di cui parla Aristotele (sempre in 67) –, e che l’aria viene ad occupare tale cavità, si può ammettere pure che la stabilità della terra è spiegata dal fatto che l’aria è, almeno in qualche misura, trattenuta dai margini della terra, e quindi la sostiene da sotto. Gli esempi che Aristotele adduce (sempre in 67), come quello della clessidra che trattiene l'acqua al di sotto, suggeriscono proprio questo. D'altra parte la sua obiezione che la terra dovrebbe essere molto grande, per non cadere, e che questo varrebbe anche se la terra fosse sferica, fa pensare invece che la terra fosse ritenuta non cadere perché non c'è molto spazio ai suoi lati, ma confina con la sfera celeste. Ma è probabile che Anassagora e Democrito supponessero che la terra è così grande rispetto al mondo nel suo complesso? Può darsi che ci sia una incomprensione da parte di Aristotele della loro posizione. È possibile per esempio che egli abbia associato le posizioni di Anassagora e di Democrito a quella di Anassimene perché essi continuano a sostenere la piattezza della terra, ma senza dover condividere la sua ragione per affermare che la terra è ferma al centro del mondo perché tenuta sospesa dall'aria sottostante 44 . Ci sono delle complicazioni. Siccome risulta che la terra, oltre ad essere portata nella posizione attuale dal vortice (come attesta lo stesso Aristotele in 67), è circondata da un mondo che continua a muoversi in modo vorticoso (come attesta Sesto Empirico in 81.3), non sembra ingiustificata l'attribuzione anche a Democrito della posizione che viene espressamente attribuita ad Empedocle dallo stesso Aristotele. Ma questo è quanto risulta da qualche testimonianza di Filopono (specialm. 72.5 e 72.6). In base a questo resoconto la terra stessa non è coinvolta nel movimento vorticoso, o è coinvolta in misura limitata, ma è l'aria che la circonda immediatamente che è coinvolta in tale movimento e tiene ferma la terra. L'aria dunque gioca un ruolo, ma un ruolo diverso da
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Possibilità da me esclusa, ma probabilmente in modo erroneo, nella citata n. 642. È quanto sostiene D. Panchenko, The Shape of the Earth in Archelaus, Democritus and Leucippus, "Hyperboreaus" V, 1999, pp. 22-39. La sua è la discussione recente più approfondita di questi problemi di interpretazione. 44
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quello di sostegno da sotto che impedisce una caduta verso il basso. Questo resoconto però sembrerebbe rendere superflua ogni altra spiegazione della stabilità della terra. Rimane un problema: se la pesantezza dei corpi (come risulta sempre dalla testimonianza di Aristotele in 67) è dovuta al vortice, che li raccoglie al suo centro, per quale causa la terra (rispetto agli altri corpi pesanti) dovrebbe avere la tendenza a cadere verso la parte bassa del mondo, piuttosto che verso il suo centro? Ma è solo nel primo caso che si pone la questione della sua sospensione. In generale, in un universo infinito come viene concepito dagli atomisti non ci sono un alto e un basso assoluti (come ci sono per Aristotele), sicché si ponga la necessità di spiegare perché la terra non cade verso il basso. A questo punto è tentante fare ricorso alla testimonianza nella quale Democrito è associato a Parmenide per avere sostenuto che la terra rimane ferma per via della sua equidistanza dagli estremi del mondo (cfr. 83.8). La tesi dell'equidistanza compare anche in Epicuro, De natura, libro XI (fr. 26.43 Arr.) 45 , dove purtroppo manca l’indicazione di chi fosse il sostenitore di tale posizione. La tesi ivi è combinata con l'ammissione che la terra è premuta da ogni parte dall'aria e che il mondo nel suo complesso è in rotazione (viene usato il termine trochos = 'ruota'). Quanto propone Epicuro è presumibilmente la tesi che Simplicio attribuisce ad Anassimandro (cfr. De caelo 532.13-14, citato da Panchenko ivi, n. 4), 46 il quale potrebbe essere ‘uno di quegli ingegni divini’ cui viene fatta allusione nel passo. Platone, in Fedone, 108E sgg., adotta la tesi dell'equidistanza, ma esclude espressamente che l'aria giochi un ruolo nel tener ferma la terra. Egli potrebbe polemizzare con qualcuno che, come nella posizione esposta da Epicuro, attribuiva quel ruolo all'aria. Se si potesse attribuire questa posizione non solo ad Anassimandro ma anche a Democrito, ciò risolverebbe il problema di partenza circa la non necessità di spiegare la mancata caduta della terra verso il basso. Rimangono tuttavia difficoltà non facilmente superabili: come si spiega la testimonianza di Aristotele? Come si spiega quella di Filopono, che, come rilevato, rende superflua la spiegazione mediante equidistanza? Parlare di equidistanza è soddisfacente se (come suppone Platone) la terra è una sfera al centro di un mondo esso stesso sferico, ma, anche se si parlasse di una terra a forma di tamburo, non si avrebbe propriamente una sfera. Non si può neppure dire che la testimonianza 83.8 sia dotata di grande credibilità per Democrito (forse di più per Parmenide) 47 . Insomma, temo che si debba concludere che la documentazione è troppo confusa perché si riesca ad arrivare ad un quadro soddisfacente. Gli altri aspetti del sistema astronomico e/o meteorologico che sono considerati nei testi che rientrano in questa sezione non suscitano particolari problemi e di solito non rispecchiano una trattazione molto originale dei fenomeni. Uno dei punti sui quali Democrito consente con Anassagora è nel trattare le comete come congiunzioni apparenti di pianeti (presumibilmente due pianeti per ogni cometa). Questo è attestato da Aristotele nei suoi Meteorologica (cfr. 85.6), il quale è seguito da Alessandro d'Afrodisia nel suo commento all'opera (cfr. 85.7) e dai dossografi (cfr. 85.8-10). A 45
Passo segnalato e citato da Panchenko, "Hyperboreaus" I, 1994, pp. 47-55. Vedi inoltre D. Furley, The Greek Cosmologists, I, p. 26. (Il passo non è incluso nei Vorsokratiker di Diels e Kranz.) 47 Che il passo pseudoplutarcheo possa presentare un qualche guasto tende ad essere suggerito anche dal fatto che la sua collocazione non è appropriata (cfr. n. 643 ad loc.). 46
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queste testimonianze è da associare quella di Seneca, che non fa nomi ma chiaramente si riferisce alla stessa posizione nella sua esposizione in Nat. quaest. VII 12.1 e nella citazione anonima al § 6 dello stesso capitolo, sicché entrambi i passi vanno riportati pur nell'incertezza riguardo l'autore del passo citato (sono omessi nelle raccolte di Diels e Kranz e di Luria). Seneca peraltro fa un riferimento espresso a Democrito nell'introdurre l'argomento delle comete, parlando del ‘sospetto’ da questi manifestato ‘che i pianeti fossero più numerosi di quanto non appaia’, evidentemente ritenendo che tale sospetto abbia attinenza con la spiegazione (che viene data nel seguito) della natura delle comete, che è appunto l'argomento principale del libro (non lo sono certo i pianeti come tali). Ciò fa pensare che in tutto questo resoconto Seneca abbia in mente soprattutto Democrito, perché Anassagora non è da lui menzionato. (Questi passi di Seneca sono raccolti sotto 85.11.) Seneca, si può notare, costituisce una nostra fonte anche per la trattazione democritea dei venti (è anzi l'unica nostra fonte, cfr. 87.1) e per la trattazione dei terremoti (cfr. 87.3), in questo secondo caso insieme ad Aristotele (cfr. 87.2) e ai dossografi (cfr. 87.4). Al proposito la sua testimonianza presenta qualche differenza rispetto a quella aristotelica, perché lo Stagirita – seguito dai dossografi – parla solo dell'acqua come causa dei terremoti, mentre Seneca parla anche dell'aria, e dell'eventuale accoppiamento fra i due elementi. L'ammissione di una varietà di cause gli permette poi di associare alla posizione di Democrito quella di Epicuro, che contempla una varietà ancora maggiore. Su fenomeni meteorologici come il tuono e il fulmine Leucippo e Democrito mostrano scarsa originalità rispetto agli altri ‘fisiologi’ (cfr. 87.5-7). Si pone però qualche problema riguardo all’adeguatezza della testimonianza di Stobeo sulla posizione di Democrito (87.6). Il confronto fra questo resoconto, di per sé piuttosto incomprensibile, e i resoconti che troviamo in Epicuro (cfr. 87.6.1) e in Lucrezio (cfr. n. 665 ad loc.) fa pensare che esso risulti dalla fusione di resoconti che inizialmente erano distinti. Non è chiaro se la confusione sia dovuta al tentativo di ricostruire un resoconto unico per Democrito a partire da quelli degli Epicurei o se Democrito stesso aveva offerto più resoconti, possibilmente per manifestazioni alquanto diverse del lampeggiare, oppure ancora se egli aveva offerto un resoconto complesso che comprendeva elementi dei tre resoconti che sono presentati come distinti dagli Epicurei ma che ad un certo punto non venne più compreso. Il sospetto di non completa attendibilità si estende al resoconto del tuono, perché di esso solitamente si riconosce che si tratta di un fenomeno che è da porsi in rapporto al fulmine (questo avviene in Lucrezio e nel passo di Porfirio riportato come 119.2), mentre nel passo di Stobeo se ne offre un resoconto indipendente. L'inondazione del Nilo è un fenomeno che aveva attratto l'attenzione di diversi dei naturalisti antichi, e fra questi c'è Democrito, la cui spiegazione in questo caso comporta una modifica rispetto a quella data da Anassagora. C'è una convergenza fra le tre principali testimonianze che abbiamo circa la sua posizione, compresa una anonima presso Ateneo che è stata segnalata dal Luria (cfr. 88.1-3), sicché è da escludere come non attendibile una quarta testimonianza (quella di uno scolio ad Apollonio Rodio IV 269-70 [= 68 A 99; 412 Lu.]), che è del tutto discrepante rispetto a queste perché fa dipendere la piena del Nilo non da piogge torrenziali ma dall'acqua che il fiume riceverebbe dal mare a sud (pertanto è stata da me omessa).
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Sulla durata del mare abbiamo di nuovo una testimonianza di Aristotele, in Meteorologica II 3 e anche in I 14, accompagnata dal commento di Alessandro d’Afrodisia al primo passo (cfr. 88.4-4.1 con 88.5). È possibile che, come è stato sostenuto da Gemelli Marciano, una delle cause, se non la causa principale, della riduzione dell’acqua marina fosse fatta risiedere da Democrito nel fatto che (come attesta Eustazio in 82.5) il sole ne assorbe una quantità per alimentarsi 48 . Ciò tuttavia non giustifica l’inclusione di Geoponica II 6, 3-4, fra i testi di origine democritea perché quanto ivi asserito, cioè l’esistenza di un’attrazione esercitata dal sole sulle acque, non deve implicare l’affermazione dell’assorbimento delle stesse 49 . Sulla questione della sua salinità – uno dei temi discussi dallo stesso Aristotele, sempre in Meteorologica II 3, ma senza fare riferimento ad una posizione da attribuire a Democrito – c’è purtroppo solo una testimonianza papiracea assai incompleta perché frammentaria che probabilmente va fatta risalire a Teofrasto (cfr. 88.6, con mie note al passo). A partire da essa, se riguarda (com’è assai plausibile) Democrito, non è più possibile ricostruire il suo resoconto, salvo l’ammissione che ‘la salinità terrestre si genera allo stesso modo di quella marina’. Riguardo alla documentazione messa insieme, del capitolo 3 di Meteorologica II ho riportato non solo il passo che compare nelle raccolte di Diels e Kranz e di Luria (cioè 356b4-21) ma anche un passo successivo (cioè 356b30-357a3), che chiaramente contiene una critica alla posizione esposta nel primo passo. La critica si concentra sulla ragione addotta dai suoi proponenti per sostenere che la quantità dell’acqua marina sulla terra si sta riducendo, vale a dire “la constatazione che molti luoghi attualmente sono più secchi che nel passato” (356b31-32). È abbastanza chiaro che quanto Aristotele afferma, sempre con intento polemico, nel cap. 14 di Meteorologica I, 352a17-28 (= 88.4.1), riguarda questa stessa posizione, data la coincidenza della ragione che viene addotta per il crescente disseccamento. Questa coincidenza è stata rilevata da Lee nella nota al passo della sua edizione e traduzione dell’opera aristotelica 50 . Alessandro d’Afrodisia, nel suo commento al passo (cfr. In Meteorologica, 61.34 sgg. [omesso]) suppone invece che Aristotele avesse in mente la posizione di Eraclito, con riferimento espresso alla sua tesi della conflagrazione universale (successivamente ripresa dagli Stoici), a partire dall’ovvia considerazione che ammettere il verificarsi di questo evento implica ammettere una fase di disseccamento della terra. Tuttavia, a prescindere dall’attendibilità dell’attribuzione di questa tesi ad Eraclito (Aristotele stesso pare indubbiamente essere stato incline ad attribuirgliela), non è probabile che il pensatore di Efeso si fosse richiamato a dati empirici, come invece aveva fatto Democrito, secondo l’attestazione di Aristotele, che fa solo il nome del secondo in tale connessione 51 . 48
Viene citata come una delle cause della mancata crescita del mare (non viene detto espressamente che esso decresce) da Lucrezio IV, vv. 608-638. Quella della mancata crescita del mare nonostante l’afflusso dei fiumi era una questione discussa, come mostra Aristofane, Nubes, vv. 1290-95. 49 Notare che Erodoto, nell’esporre una teoria del genere in Storie II 25, non si limita a parlare di attrazione (in § 2), ma aggiunge (in § 3) che esso trattiene una parte dell’acqua così attratta, dunque non dà per scontato che l’attrazione sia accompagnata dall’altro processo. (La tesi da me rigettata viene sostenuta da Gemelli in Le Démocrite technicien; per il resto si veda il suo art. in “Elenchos” 14, 1993.) 50 Cfr. Aristotle, Meteorologica, with an English transl. by H.D.P. L., “Loeb Classical Library”, London e Cambridge, Mass., 1962, pp. 112-13. 51 Anche G.S. Kirk, in Heraclitus: The Cosmic Fragments. A Critical Study, Cambridge 1954, pur rilevando, a pp. 319-322, che Aristotele deve avere attribuito tale tesi ad Eraclito, nel citare il passo di
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Infine c’è un commento di Olimpiodoro al passo aristotelico citato (In Aristotelis meteora commentaria, 143.9 sgg.) che non è stato incluso nella presente raccolta, perché costituisce manifestamente solo una sua interpretazione di esso e presenta un fraintendimento. Quanto Aristotele deve sostenere (come suggerisce Alessandro nel suo commento al passo) è che per Democrito il mare non perisce contemporaneamente al mondo, come sostengono gli altri pensatori cui egli fa riferimento, ma è già in fase di dissolvimento per essicazione, mentre il mondo continua a sussistere (con questo non si vuole escludere che anch’esso finirà col perire). Olimpiodoro invece attribuisce a Democrito la proposizione che il mare perirebbe anche qualora il tutto fosse eterno, con la probabile implicazione che esso di fatto perisce nonostante che il tutto sia eterno, assimilando dunque il singolo mondo (che perisce) all’universo (che è eterno), e supponendo erroneamente che prospettare che il mondo continui ad esistere sia prospettarne l’eternità. Anche il resto della sua discussione si distacca in modo sospetto dal testo aristotelico. (Luria riporta il passo sotto 409; esso è omesso in DK). 22. Resoconti di fenomeni nell’ambito dell’inanimato (parte X, sezione A) Al di là dei fenomeni o processi appartenenti all'ambito meteorologico e/o celeste sono pochi i fenomeni del mondo inanimato dei quali noi conosciamo i resoconti dettagliati dovuti ai primi atomisti. Particolare attenzione pare avere ricevuto l'attrazione che la calamita esercita sul ferro, possibilmente perché si tratta di un fenomeno molto sui generis (del tipo dei thaumastà o paradoxa) ed il resoconto che di esso viene dato era considerato paradigmatico, cioè cruciale per illustrare l'efficacia esplicativa della teoria fisica che si voleva proporre. Che fosse un fenomeno molto discusso risulta da come Galeno introduce il tema nell'esporre la posizione degli Epicurei (cfr. 89.2); il fenomeno del resto è trattato con ampiezza da Lucrezio (ho riportato la parte centrale di questa trattazione come 89.3, in base alla supposizione che ci sia una qualche continuità fra il resoconto democriteo e quello epicureo). Del resoconto di Democrito siamo informati da Alessandro di Afrodisia, che lo espone nel libro II delle sue Quaestiones (cfr. 89.1). È abbastanza chiaro che Alessandro ritiene che ci sia qualche punto di contatto fra questo resoconto e quello di Empedocle da lui riportato immediatamente prima (cfr. 72.28: "Democrito suppone anche egli che …"), sicché è indispensabile estendere la testimonianza a quest'altro. Anche la critica da lui rivolta a questo resoconto è di un certo interesse e viene pertanto citata. Altre due testimonianze, di Simplicio e di Psello, che riporto (come avevano già fatto Diels e Kranz) sono di contorno (cfr. 89.1.1 e 89.1.2): attestano che sia gli atomisti (espressamente Democrito in 89.1.2, forse piuttosto Epicuro in 89.1.1) sia Alessandro si erano occupati del fenomeno. Le altre testimonianze, ad eccezione di quella di Teofrasto riguardante la figura presentata dalla fiamma del fuoco (cfr. 90.7), sono simili, perché riguardano fenomeni di interazione fra i corpi e di trasmissione del calore (nel caso di 90.1) e di trasmissione del suono (nel caso di 90.2-90.6). Sulla questione della diffusione dei suoni c'è un'esposizione piuttosto ampia da parte di Plutarco (cfr. 90.2, già citato da Luria), che dichiaramente all'inizio è detta riguardare la posizione di Epicuro, ma che in effetti deve riguardare quella di Democrito (senza dover escludere l'altro), perché alla conclusione Meteorologica, a pp. 334-35, con n. 1, non lo pone in stretto rapporto con quel pensatore, senza peraltro rilevare la connessione con Democrito.
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dell'esposizione viene fatto invece il nome di Democrito, e perché il vuoto viene presentato come non-essere (una dottrina democritea che sembra essere stata abbandonata dagli Epicurei). Questa trattazione si basa sull'assunto che il suono è un'emissione di atomi dai corpi che si frantuma in particelle di figura simile, e dunque è qualcosa di corporeo, e questa è in effetti una dottrina che viene attribuita a tutti gli atomisti, con l'affermazione esplicita in alcune testimonianze (cfr. 90.4-90.5.1) e in Lucrezio (cfr. 90.6) di tale corporeità del suono. C'è però il riconoscimento di una differenza di posizione fra Epicuro e Democrito che sta nell'ammissione da parte di quest'ultimo che anche l'aria si frantuma. Il punto viene rilevato in una testimonianza di Ps.-Plutarco, e questo rende opportuno citare anche la parte su Epicuro (cfr. 90.3). 52 In effetti il passo pare avere il doppio intento di rilevare sia i punti di coincidenza sia i punti di differenza fra le due posizioni. Infine, non è improbabile che lo stesso Epicuro polemizzi con Democrito in un passo dell'Epistula ad Herodotum, da me riportato come 90.3.1, perché anche in esso emerge la differenza fra la sua posizione e quella democritea che viene rilevata nella testimonianza di Ps.-Plutarco. Affermando infatti che l’aria non riceve un’impronta (esclude più esattamente il ricevere figura, usando il verbo schmat…zesqai, e questo infinito è prossimo alla forma partecipiale Ðmoiosc»mona usata nella testimonianza di Ps.-Plutarco) egli mostra di volersi distanziare da Democrito, come è stato riconosciuto da più studiosi 53 . 23. Resoconti di fenomeni nell’ambito dell’animato (sezione B) Tutto il resto della documentazione raccolta in questa parte concerne i viventi. Un primo gruppo (da me collocato sotto il titolo: “osservazioni anatomiche ecc. sugli animali e sulle piante”) concerne prevalentemente fatti di ordine generale. È difficile dire quanto sia attendibile la testimonianza di Plutarco, Quaestiones naturales I (= 91.1), secondo cui la pianta sarebbe stata considerata come ‘un animale fisso nella terra’, perché si tratta di una tesi attribuita a più pensatori e documentabile con sufficiente sicurezza solo per Aristotele (cfr. n. 697 ad loc.). Quanto viene riferito da Aristotele e da Plinio sulla fabbricazione della tela da parte dei ragni (cfr. 91.5 e 91.5.1) forse ha qualche rapporto con la tesi, attribuita a Democrito da Plutarco (cfr. 127.1), dell’origine delle arti dell’uomo nell’imitazione degli animali, ma forse si limita (come risulta dalla testimonianza aristotelica) all’aspetto fisiologico del processo. Ci sono alcune testimonianze relative all’adozione, da parte di Democrito, delle tesi della iniziale generazione spontanea degli animali di tutti i tipi, ma queste sono corrotte o lacunose (cfr. 92.1, 92.1.1). Il fatto comunque che egli ammettesse (come attestano Censorino e Lattanzio, cfr. 125.2 e 125.3) una iniziale generazione spontanea degli uomini rende assai probabile una sua adesione a questa tesi nella sua forma più generale. La generazione spontanea nel caso di animali molto piccoli (insetti ecc.) era ammessa anche da Aristotele. La convinzione che la terra, nel passato, fosse feconda al punto da produrre non soltanto questi animali piccoli ma animali di ogni sorta e grandezza pare avere avuto larga accoglienza nell’antichità presso i ‘fisiologi’, e viene
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Si può notare che in questo passo la sezione su Democrito inizia con un "anche (kai)" e che la critica alla sua conclusione – "si può tuttavia obbiettare ad essi", cioè sia a Democrito sia ad Epicuro – conferma che le due sezioni sono strettamente connesse. 53 P. es. da Bailey, GAE, p. 405, e da Conche, Epicure, p. 144, n. 1.
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in effetti proposta con ampiezza da Lucrezio in De rerum natura V, vv. 772 sgg. 54 . (Questo punto viene ripreso infra, sez. 27.) Naturalmente si ammette che, nella fase attuale, la riproduzione degli animali (con quella possibile eccezione) è di tipo sessuale, ed è di questa che Democrito risulta essersi occupato di più. Ovviamente si trattava di rendere conto di fatti come la somiglianza che la prole mostra nei confronti dei genitori ed, eventualmente, dei progenitori, e il formarsi di esemplari ora di un sesso ora dell'altro. A questo proposito Aristotele polemizza, espressamente o implicitamente, con il resoconto che ne dava Democrito. Nel complesso risulta che questi sosteneva che il seme o sostanza spermatica proviene da entrambi i genitori e da tutte le parti del corpo di ciascuno. Il formarsi di un piccolo di sesso maschile o femminile dipende dalla prevalenza del seme di uno dei due genitori (cfr. le testimonianze sotto 93, 94 e 95). Una curiosa conferma delle due tesi veniva trovata nell'intensità del piacere sessuale e nel fatto che esso sia provato anche dalla femmina: ciò proverebbe che l'intero corpo è coinvolto in un processo nel quale un intero individuo (cioè una copia in piccolo) si stacca dal genitore, e che questo avviene anche nella femmina. Il motivo dello stacco improvviso di un intero individuo che si verifica in occasione del coito e che fa sì che il coito stesso si presenti come uno sconvolgimento nel genitore, paragonabile ad un colpo apoplettico (secondo Stobeo, 93.2.1, e, implicitamente, secondo Ippolito, 93.2.7) oppure ad un piccolo attacco epilettico (secondo altre fonti, come Clemente, Paedagogus, II 10 [= 93.2.2]), compare in diversi passi di più autori (sotto 93.2); in alcuni di questi passi si trova associata anche ad un giudizio negativo circa l’opportunità di avere rapporti sessuali (cfr. 93.2.5 e 93.2.6). La collocazione della sentenza riportata da Stobeo in III 6, 28 (= 93.2.1) fra le sentenze etiche forse si spiega con questa associazione (essa è riportata fra i frammenti etici in raccolte come quella di Natorp e quella di Diels e Kranz). Per parte mia l’associo ad un passo aristotelico (93.1, considerato più sotto) e faccio seguire ad essa altri passi che paiono riferirsi alla stessa formula (talvolta attribuita a qualche medico come Ippocrate). La connessione che c’è fra questi passi e il resoconto aristotelico55 mi induce in effetti a ritenere che, come confermano i riferimenti in Galeno, la collocazione originale del passo fosse in una trattazione biologica e che il significato morale ad esso data da alcuni autori sia uno sviluppo successivo, possibilmente perché la posizione di Democrito non venne tenuta ben distinta da quella di Epicuro e/o perché l’osservazione di ordine biologico fu accostata al rifiuto del matrimonio che viene attribuita a lui in associazione con Epicuro (cfr. 181.3-4, dove si può notare quanto sia differente la testimonianza dello stesso Clemente negli Stromata). L’attribuzione della stessa tesi a dei medici come Ippocrate (cfr. 93.2.8 e 93.2.9) conferma questa impressione, data anche la loro dipendenza da Democrito per la teoria della riproduzione degli animali . Fra le testimonianze di cui disponiamo va segnalato il passo di Aristotele, Gen. anim. I 17 (= 93.1). In esso lo Stagirita, pur non facendo il nome di Democrito, si occupa della teoria pangenetica che viene a questi attribuita in varie testimonianze (compresa quella aristotelica sotto 95.1) e probabilmente riporta argomenti addotti dall’Abderita a favore 54
Si veda sulla questione W.K.C. Guthrie, In the Beginning. Some Greek views on the origins of life and the early state of man, London: Methuen, 1957, cap. 2, dove viene addotta altra documentazione. 55 Che riguardi anche Democrito è stato messo in luce da E.Lesky, Die Zeugungs- und Vererbungslehren der Antike, p. 72 (1296)
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della teoria stessa (il motivo dell’”intensità del piacere” risulta addotto da Ippocrate nella test. 93.4, ma è facile che gli ippocratici riprendano una tesi democritea, anche perché Democrito risulta avere fatto ricorso al motivo del piacere a giustificazione del ruolo attivo da lui attribuito alla femmina nella riproduzione, cfr. 94.2). Quanto al secondo dei passi aristotelici che sono tratti da Gen. anim. IV 3 (= 95.2), la tesi della “panspermia” in esso esposta sembrerebbe accordarsi con il resto delle testimonianze sulla posizione democritea, ma dall’esposizione che ne dà Aristotele si ricava l’impressione che venga tenuta distinta da essa, donde l’incertezza se il passo si riferisca effettivamente a Democrito. Una sintesi di tutta la teoria si trova offerta da Lucrezio (cfr. 95.3). Per approfondire la questione suscitata dal passo aristotelico 95.2, è indubbiamente vero 56 che la posizione esposta in questo passo è tenuta distinta da quella esposta in 95.1, e che il nome di Democrito viene fatto in connessione con quest’altra posizione. Ma è anche possibile vedere in tale posizione 57 una versione raffinata della teoria pangenetica, cui Democrito potrebbe avere aderito. La tesi per la quale questi viene menzionato in 95.1 non coincide comunque con la teoria esposta in quel passo della prevalenza quantitativa del seme, perché la sua è piuttosto una tesi della prevalenza nel dominio (cfr. 94.1, anche 94.4), anche se ci si può domandare fino a che punto le due tesi fossero tenute distinte. C’è comunque qualche difficoltà a supporre, come fa De Ley 58 , che Aristotele si stia riferendo a quanto Platone dice del seme in Timeo 73B-C, usando effettivamente la parola panspermia, perché (1) egli di solito non include Platone fra i “fisiologi”, (2) il problema della somiglianza fra figli e genitori (o anche progenitori) non è sollevato in quel passo, (3) il resoconto platonico non prospetta l’impiego di quantità differenti dei componenti del miscuglio complessivo, (4) prospetta invece una presenza dell’anima di cui Aristotele non fa parola. 59 Infine c’è da osservare che avevano ricevuto attenzione anche altri fenomeni legati alla riproduzione, come il modo in cui si nutrono gli embrioni (cfr. 96.4-6), il fatto che certe bestie siano multipare (cfr. 96.7) e che altre siano sterili (sui muli cfr. 97.2). Due di questi passi, dovuti a Plutarco, sono da segnalare per il fatto che contengono alcune citazioni di Democrito che, dallo stile, hanno l’aria di essere autentiche (cfr. 96.6 e 96.6.1). C’è da aggiungere qualche osservazione sulla documentazione. Luria riporta i seguenti pezzi del commento di Filopono (= Michele di Efeso) ai passi aristotelici del De generatione animalium: ad 764a6 sgg. (= 94.1), (i) 167.33 sgg., (ii) 167.13 sgg. (entrambi = 530 Lu.), ad 769b30 sgg. (= 97.1), (iii) 185.33 sgg. (= 546; un piccolo brano del terzo è riportato anche dal Diels in DK II, p. 124, nota ad A 146). Li ometto perché, salvo il primo che non aggiunge niente di nuovo, non sono attendibili. La non attendibilità di (ii) è stata sottolineata da Cherniss, Criticism, pp. 277-78, n. 226, e p. 280, n. 232 (se il seme di uno dei due genitori “prevalesse” sull’altro per ogni aspetto, non si giustificherebbe più la somiglianza con l’altro genitore). Il terzo è palesemente solo un’interpretazione di quanto Aristotele afferma (due copule, due semi, il secondo dei quali si combina col primo), con uno sviluppo non plausibile: nascerebbe un mostro 56
Come ha sottolineato H. De Ley, Pangenesis versus Panspermia, “Hermes” 108, 1980, pp. 129-153. Come fa E. Lesky, op cit., pp. 74-75 (1298-99). 58 In art. cit., seguendo Cherniss, ACPPh, pp. 283-84 e n. 243. 59 Sulla questione, ma lasciandola aperta, si esprime anche Morel, Démocrite, pp. 165-67. 57
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a due teste, quattro piedi, ecc. Ancora, Luria riporta (al nr. 518) come riferentesi a Democrito il passo aristotelico di De gener. anim. II 6, 741b37-742a1, dove si parla della funzione che alcuni naturalisti attribuiscono al pneuma nel differenziare le parti degli animali durante lo sviluppo embrionale. Il riferimento a Democrito risulta sempre da una testimonianza di Filopono (= Michele d’Efeso) nel suo commento ad un altro passo dell’opera aristotelica (cioè il brano 249.6-8 del commento, pure citato ivi da Luria), ma niente la conferma, e Aristotele non parla, in quel contesto, come fa il commentatore, di pneuma inspirato. È possibile che il riferimento aristotelico sia piuttosto (come propone Peck nella sua nota al passo) allo scritto ippocratico De natura pueri. A loro volta Diels e Kranz riportano (sotto A 151 [anche 545 Lu.]), come appartenente allo stesso gruppo di testimonianze cui appartengono Eliano, De natura animalium XII 16 (= 96.7) e Ps.-Aristotele, Problemata X 14, 892a38-b3 (= 96.7.1), un passo di questo stesso scritto ippocratico (cap. 31, VII, p. 540 L.), ma questo mi pare poco pertinente (si esclude una pluralità di copulazioni e si parla, a quanto pare, di membrane all'interno di uno stesso utero, non di più uteri) 60 . La trattazione di altri fatti di interesse biologico risulta dalle rimanenti testimonianze. Fra di esse vanno segnalate quella di Teofrasto, in De causis plantarum II 11 (= 98.1) sul perché certe piante vivano più a lungo di altre, e quella di Aristotele, De generatione animalium V 8 (= 98.3) sulla caduta dei denti da latte, perché in esse si attribuisce a Democrito un ricorso alla necessità in antitesi al fine. La spiegazione (abbastanza esplicita nel testo di Teofrasto, appena accennata in quello di Aristotele) ha in effetti un carattere piuttosto meccanicistico, e questo vale anche per le spiegazioni che Eliano (in 98.5-7) riporta di fatti come la ricrescita dei corni nei cervi, come per una ulteriore spiegazione di un fatto botanico pure addotta da Teofrasto (cfr. 98.2). Fra i testi riguardanti “fenomeni svariati” ho riportato una testimonianza di Eliano nella quale la tesi che i pesci si nutrono di acqua dolce che coalesce con quella marina è accompagnata dall'esposizione di un esperimento che prova tale presenza di acqua dolce nel mare (cfr. 99.3). A questo passo sono da associare due passi di Aristotele nei quali si parla sempre di tale esperimento (cfr. 99.3.1 e 99.3.2). Nell’edizione di Diels e Kranz, sotto Democrito, viene riportato solo un breve brano a lui riferentesi direttamente (cfr. 68 A 155a) 61 , mentre l’intero passo di Eliano, inclusa la parte finale riferentesi ad Empedocle, viene riportato sotto Empedocle (cfr. 31 A 66), con un procedimento poco soddisfacente (nonostante il richiamo fatto nell’introdurre il brano democriteo), perché l’agrigentino viene citato per avere aderito alla stessa posizione, senza, pare, associarlo all’esperimento. Eliano invero fa risalire ad Aristotele l’esperimento da lui esposto, ma è abbastanza chiaro che, in uno dei due passi in cui lo Stagirita lo espone a sua volta, quello di Historia animalium, questo viene presentato come un esperimento già compiuto in precedenza da altri (ciò anzi è sicuro ad adottare l’“alcuni” presente in qualche codice) e, siccome l’unico pensatore che risulta essersi occupato della questione prima di Aristotele (a parte Empedocle) è Democrito, in base all’attestazione dello stesso Eliano, è plausibile fare risalire a lui l’esperimento stesso. 62 Dell’esperimento 60
La divergenza fra questi testi viene rilevata anche da J. Jouanna, Hippocrate, p. 615, n. 62, il quale anzi esprime il suo stupore che Diels abbia incluso il passo ippocratico nella dossografia relativa a Democrito. 61 Questo è l’unico che viene riportato da Luria (al nr. 554). 62 Così anche Stückelberger in Vestigia Democritea, cap. II, e Orelli, La pienezza del vuoto, pp. 125 sgg.; già Diels l’aveva suggerito cfr. “Hermes” 40, 1905, pp. 301-16, specialm. 313-316.
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parlano anche Alessandro di Afrodisia e Olimpiodoro nei loro commenti ai Meteorologica di Aristotele, ma la loro è una semplice parafrasi di quanto dice Aristotele; invece Plutarco e Plinio (rispettivamente in Quaestiones naturales 5, 913B-C e Naturalis historia XXXI, 70) parlano del ricorso al recipiente immerso in mare non come di un esperimento ma come di una pratica adottata dai naviganti per ottenere acqua dolce (e senza in alcun modo menzionare Democrito); infine Lucrezio in II, vv. 464-477, ammette la presenza di particelle di acqua dolce nel mare 63 . 24. Costituzione e funzioni dell’anima e suo rapporto col corpo (parte XI, sezioni A, B, C, E) Va premesso che per i pensatori antichi l'anima (la psyché) costituisce un'entità in qualche modo distinta dal corpo, anche quando è ritenuta essere essa stessa corporea, sicché si pongono le alternative che sono formulate da Filopono nel proemio al suo commento al De anima aristotelico (cfr. 100.1). Inoltre essa viene regolarmente intesa come principio di vita, cioé come quel fattore o costituente cui fare risalire tutte le funzioni ed attività che differenziano i viventi dai non viventi (può essere intesa anche in altri modi, ulteriori, per esempio come principio che governa il corpo). Queste attività e funzioni sono esemplificate dalla percezione sensibile, dal pensiero, dalla respirazione, dall'alimentazione, dal provare piacere e dolore e dalle condizioni di veglia e di sonno (con la connessa esperienza del sognare). Alcune di queste attività o funzioni sono limitate all'uomo o agli animali superiori, ma non sempre i Presocratici risultano avere riconosciuto questa limitazione. L’attenzione per esse mostra comunque che, come c'è da aspettarsi, nello studio dell'anima essi partivano dall'uomo (cfr. sulla questione le testimonianze di Aristotele e di Filopono da 100.2 a 100.5). Si tratta in ogni caso di attività o funzioni che, almeno per il modo in cui erano concepite da questi pensatori, pongono il vivente (l'uomo o l'animale o la pianta) in relazione all'ambiente naturale che lo circonda, sicché la psicologia, come studio dell'anima così intesa, risulta fare parte della fisica (come lo stesso Aristotele ammette espressamente, con l'eccezione – riguardante solo la sua posizione – della parte intellettuale, cfr. p. es. De anima I 1 e De partibus animalium I 1, 641a32 sgg.). La concentrazione, se non esclusivamente sull'uomo, sugli animali superiori è favorita dall'avere privilegiato, nello studio dell'anima, due caratteristiche, e cioè il possesso del movimento (probabilmente perché visto come segno di vita oltre che come modo di stabilire un rapporto con l'ambiente) e il possesso di capacità di tipo conoscitivo, a cominciare dalla percezione sensibile (probabilmente perché visto come il modo principale per stabilire un rapporto con l'ambiente). In genere poi è ammessa una terza caratteristica, cioè l'immaterialità (solitamente in senso relativo). Questo in ogni caso è quanto risulta dalla rassegna (accompagnata da critiche) che Aristotele offre del pensiero dei suoi predecessori nel libro I (capp. 2-5) del De anima – una rassegna che serve da base non solo per le ulteriori osservazioni dei suoi commentatori ma anche per le testimonianze di tipo dossografico. Solo in alcuni casi, in questa sua esposizione, egli suggerisce che entrambe quelle caratteristiche erano state attribuite all'anima da un dato pensatore (cfr. I 2, 404b27 sgg. [= 102.1], con riferimento alla posizione di Senocrate,
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Tutti questi testi, da me tralasciati, sono riportati da Stückelberger in op. cit., pp. 163-65.
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inoltre 405a17-19 riguardo Anassagora 64 e 405a21-25 riguardo Diogene di Apollonia), mentre in altri casi un certo pensatore è presentato come rifacentesi ad una delle due caratteristiche. Tuttavia l'impressione (che si ricava da passi come 405b11 sgg. [= 102.4]) è che in realtà tutti ammettevano quelle caratteristiche (insieme alla terza dell'immaterialità), sicché si tratta semmai di una differenza di accento. Nel caso di Democrito non viene detto del tutto espressamente che egli ammetteva quelle due caratteristiche insieme, ma il suo accostamento prima ad Anassagora poi a Senocrate suggerisce indirettamente proprio questo. Per di più egli è citato dopo la menzione di quelle due caratteristiche, in modo tale da far pensare che entrambe fossero state da lui attribuite all'anima (cfr. 403b24 sgg. [= 101.1]). La sua posizione riflette la convinzione di coloro per i quali solo ciò che è in movimento può muovere qualcos’ altro, ritenendo che l'anima sia costituita da atomi sferici, sul tipo di quelli del fuoco, che sono particolarmente mobili e che, col loro movimento, sono all'origine del movimento del corpo, oltre ad essere fonte di calore. Inoltre la sua posizione sarebbe da accostare a quella di Anassagora per avere ritenuto che l'intelletto, con cui l'anima è ritenuta coincidere, è all'origine del movimento, ma l'intelletto manifestamente ha funzioni conoscitive. (Il passo aristotelico di 403b31-404a8 suscita dei problemi, perché l’immagine del pulviscolo atmosferico ivi introdotta non concerne specificamente gli atomi dell’anima. Si vedano le mie note al passo. Aristotele, nell’introdurre quell’immagine, fa il tentativo di accostare la posizione di Democrito a quella dei Pitagorici, presentata in 404a16-20, ma perfino Simplicio trova l’accostamento poco plausibile, cfr. In De anima 26.11-19 [= 101.4]. Rimane la possibilità che lo Stagirita avesse in mente una posizione come quella attribuita al Pitagorico Ecfanto in alcune testimonianze, cfr. 5.1 e 5.2.) Il greco psyché non solo può avere senz'altro il senso di 'vita', ma comporta un'associazione con l'idea del soffio o dell'alitare, e questo favorisce l'adozione di una concezione dell'anima come una specie di soffio. La nostra documentazione suggerisce che in effetti alcuni dei Presocratici (p. es. Diogene di Apollonia) avevano sostenuto che l'anima è costituita dall'elemento aria. Nel caso di Democrito invece le attestazioni sono che egli aveva riportato l'anima, se non direttamente al fuoco, ad atomi dello stesso tipo di quelli del fuoco, cioè sferici e piccoli (cfr. Aristotele in 101.1 e in 102.1, con commenti di Filopono in 101.2-3 e 102.2-3, e di Simplicio in 101.4; inoltre dossografi in 101.5-7, Cicerone in 75.3, infine anche D.L. IX 44 [= 4.1]). Peraltro Macrobio, in Commentarii in Somnium Scipionis I 14 (= 101.9), nel presentare la sua posizione parla piuttosto di soffio (spiritus). È probabile che la differenza fra le due posizioni non sia forte, perché c'è una costante associazione fra vita e calore (sicché anche coloro che parlavano di aria o di soffio davano per scontato che è un soffio caldo), come c'è una costante associazione fra vita e respirazione (e proprio Democrito, come vedremo, pare averla sottolineata in modo particolare). Il privilegiamento, per quel che riguarda la composizione dell'anima, di atomi dello stesso tipo di quelli ignei risulta essere dovuto alla particolare mobilità che veniva attribuita ad essi, perché questa, oltre ad essere fonte di calore, li metteva in grado di trascinare gli atomi del corpo (cfr. particolarmente i passi aristotelici del De anima 64
Peraltro nel caso di Anassagora si pone la questione (toccata sia in 405a13 sgg., sia in 405b11-21 (= 101.1) se anima e intelletto per lui coincidono.
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101.1, 102.1, con commenti di Filopono, insieme al commento di Simplicio in 103.4). Il modo in cui l'anima è fonte di movimento per il corpo nella prospettiva democritea viene criticato come troppo 'meccanico' da parte di Aristotele (cfr. 103.3). Il corpo stesso pare essere stato concepito più che altro come un involucro o rivestimento esteriore dell'anima, in tutti i casi come ciò che la contiene e la protegge, con la sua compattezza, da quanto circonda l'organismo. (L'idea dell'involucro è suggerita, in certa misura, dal ricorso al termine skenos, che compare con una certa frequenza nei frammenti etici, ma che compare anche in una testimonianza di Eliano relativa alla riproduzione animale [= 97.3], e deve in effetti avere avuto il suo uso primario in fisica. L'idea di un contenente che preserva l'anima, oltre ad essere riscontrabile in Lucrezio 65 , è almeno implicita nella trattazione democritea della respirazione.) L’ammissione di una costituzione atomica dell’anima, che la rende differente dal corpo solo per il tipo di atomi che prevalgono in essa, ha la ovvia conseguenza che l’anima perisce insieme al corpo. Questa conseguenza è affermata espressamente nelle testimonianze sotto 103, ma ad essa allude lo stesso Democrito in un passo di tenore etico riportato da Stobeo (cfr. 151.6). Circa la documentazione ci sono le seguenti osservazioni da fare. (1) Luria riporta, al nr. 445, come riferentesi a Democrito, De partibus animalium II 7, 652b7-8, in questo seguendo un curatore dell’opera aristotelica (A.L. Peck in n. ad loc.). Tuttavia la tesi (da Aristotele presentata come ‘grossolana’) che l’anima sia senz’altro fuoco piuttosto che costituita dalle stesse particelle del fuoco deve applicarsi ad Eraclito o a qualche altro pensatore, non a Democrito. (Questi non viene comunque presentato dallo Stagirita come uno che avanza tesi grossolane.) (2) Il passo di Ermias, Irrisio, 2, riportato da Luria al nr. 451, sul fatto che l’anima è fuoco, contiene la menzione di Democrito solo in margine ad alcuni MSS, ed è comunque poco significativo perché costituirebbe una semplificazione (anch’essa grossolana) della posizione democritea. (3) Le testimonianze di Lattanzio in Divinae Institutiones riguardo alla corruttibilità dell’anima insieme al corpo (cfr. 103.7-7.2) hanno come loro fonte, almeno in parte, il libro I delle Tusculanae disputationes di Cicerone, perché questa dipendenza è da lui ammessa alla fine di VII 8 (ivi c’è un riferimento all’esposizione delle posizioni di Ferecide e di Pitagora che era stata offerta dall’Arpinate al § 38). Peraltro l’accostamento fra Democrito e Dicearco pare essere un’innovazione di Lattanzio (o della sua fonte), perché Cicerone, come si vede da 75.3, attribuisce a Democrito la tesi che l’anima è corporea – con l’implicazione che essa si dissolve insieme al corpo –, mentre a Dicearco attribuisce la tesi che essa non esiste per nulla (cfr. Tusc. I 10, 21; 11, 24 e 18, 41), anche se fa questo (nel primo passo) mettendo la tesi in bocca ad un personaggio di un dialogo di questo autore. (C’è invero la complicazione che in I 31, 77 Dicearco viene accostato, dal parlante che è Cicerone stesso, agli Epicurei per avere affermato che l’anima è mortale.) Torno ai contenuti. Quanto alle funzioni conoscitive, non è chiarito in che modo esse siano assicurate da atomi sferici e piccoli, oltre che particolarmente mobili. Quello che le testimonianze, in primo luogo aristoteliche, attestano è che Democrito tendeva a trattare il pensiero alla stregua della percezione sensibile (l’assimilazione del pensare alla percezione sensibile è attribuita da Aristotele ai naturalisti in generale in De anima III 3 [= 106.1], ed è una tesi che egli ritiene essere illustrata da certe loro affermazioni 65
Cfr. De rerum natura IV, vv. 932 sgg., anche III, v. 440 e v. 793, usando il latino vas.
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nell’esposizione delle loro posizioni da lui offerta in Metaph. IV 5 [= 57]). Data la sua ammissione che tutta l’anima percepisce (e che non c’è una localizzazione delle funzioni percettive in una data parte del corpo, come attesta Teofrasto in De sensibus, § 54 [= 117.1]; §§ 55-57 [= 119.1], passi sui quali si veda anche più oltre, sez. 26) l’Abderita sarebbe arrivato all'ammissione di una coincidenza di anima e di intelletto (cfr. 101.1 fine). Una tesi del genere sembrerebbe escludere ogni divisione dell'anima in più parti o facoltà, e trova delle conferme in alcune testimonianze, dei commentatori e dossografi, che però paiono dipendere dallo stesso Aristotele (cfr. 105.1-6). Essa viene smentita da qualche altra fonte (cfr. 105.7, implicitamente 105.9-10, per la distinzione ivi adottata, usando ovviamente linguaggio postdemocriteo, fra la ‘parte direttiva dell’anima’ e il resto) ed è difforme dalla posizione successivamente adottata dagli Epicurei (cfr. 105.8). (Fra le testimonianze circa quella coincidenza ce n’è una di Tertulliano, De anima 12, 6 [= 105.6]. Secondo una ulteriore sua testimonianza, in De anima 15, 3 [= 105.11], che deve dipendere da un’altra fonte 66 , perché è poco compatibile con la presente, Democrito sarebbe fra coloro che avevano adottato una posizione contraria a quella di Dicearco di Messene e del medico Asclepiade, che escludevano l’esistenza nell’anima del cosiddetto “egemonico”, cioè della parte principale o direttiva.) Che la tesi della coincidenza di anima e di intelletto sia un'illazione di Aristotele è reso probabile da quanto Filopono dice al proposito, pur difendendola (cfr. 105.3), e anche dal fatto che la formulazione è in terminologia aristotelica e non senza delle oscillazioni nel modo in cui viene giustificata. Siccome pare comunque difficile credere che Democrito avesse adottato una posizione così riduttiva o così semplificatrice, in quanto egli parla per esempio di una facoltà intellettuale distinta che può opporsi ai sensi (così in 60.1 e 60.3), si può ipotizzare che Aristotele abbia frainteso una sua tesi, che potrebbe essere stata prossima alla posizione riscontrabile negli Epicurei. Questa risiede nel riconoscimento che l'intelletto o mente (l'animus di cui parla Lucrezio) racchiude in sé le principali funzioni dell'anima, cioè è come il nucleo dell'anima ovvero l'"anima dell'anima" (al modo in cui la pupilla concentra in sé la funzione principale dell'occhio, che è il vedere). Anche l’assenza di ogni localizzazione delle funzioni percettive e conoscitive dell’anima può avere portato all’idea che esse siano inscindibili e pertanto fondamentalmente una sola (al proposito è significativa la testimonianza di Alessandro nel suo De anima, cfr. 105.2). Quanto alla tesi dell'assimilazione del pensiero alla percezione sensibile, anche questa deve essere un'illazione di Aristotele che è motivata dal fatto che l'esercizio del pensiero viene fatto dipendere da condizioni materiali (cfr. particolarmente Teofrasto in 106.2), soprattutto mediante l’ammissione che anch'esso, come la sensazione visiva, si verifica per la presenza di simulacri che vengono dall'esterno (cfr. Stobeo in 106.4 e Cicerone, De fin. I 6, 21 [= 9.3]). La dipendenza dall'ambiente che così viene ammessa pare essersi estesa agli atomi di anima e di intelligenza che sarebbero diffusi nell'aria (cfr. Aristotele, De respiratione 4, 472a6-7 [= 104.1], e cfr. Cicerone, in 114.2, per un cenno analogo). Nel ritenere che le funzioni o attività vitali sono assicurate, oltre che da certi organi (p. es. quelli dei sensi), dalla presenza di una sostanza corporea appropriata, che è almeno suscettibile di acqui66
Anche se la fonte fosse sempre Sorano, come suggerisce Waszink nel suo commento al passo (p. 224), non ha la stessa origine dossografica (dipendente da Aristotele) che ha il passo di De anima 12, 6 (lo stesso Waszink, nell’Introduction, p. 33, lo tratta come uno di quelli che offrono doxographical notes).
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sire animazione e che si trova anche diffusa nell'ambiente, Democrito pare adottare un approccio che è condiviso da altri dei Presocratici e da alcuni almeno degli Ippocratici (in particolare dall’autore di De morbo sacro). La conseguenza di tale approccio è che non c'è ancora un'antropologia che sia sostanzialmente distinta dalla cosmologia e dalla fisica. 25. I fenomeni vitali dipendenti dall’anima e l’origine delle credenze religiose (sezioni D, F, G, H, I, L) La trattazione di fenomeni come la respirazione, il sonno e la morte, va vista in questa luce. La respirazione era considerata dagli atomisti, secondo l'attestazione di Aristotele, De anima I 2, 404a9-10 (= 101.1), come "il limite (horos) della vita", cioè (presumibilmente) come ciò che distingue la condizione vitale dalla morte, sicché la sua presenza deve essere stata ritenuta indispensabile alla vita. Il processo respiratorio stesso (sul quale cfr. 104.1-2) era fatto consistere in un ricambio di atomi con l'ambiente – contenente dunque atomi di anima – che avviene mantenendo un certo equilibrio, di modo che gli atomi inspirati sostituiscono quelli che vengono perduti (per la pressione esercitata sul corpo dall'aria circostante), oltre che frenarne l'uscita. (Che queste siano le due funzioni principali della respirazione è esplicitato, in modo riassuntivo, da Simplicio in 104.3.) Con la morte tale equilibrio viene meno, con un'emissione molto forte di particelle di anima, tale da rendere impossibili le normali funzioni dell’anima. Il sonno, tradizionalmente visto come simile alla morte, deve essere stato ritenuto consistere in una condizione di scambio ridotto di atomi di anima fra l’anima stessa e l’ambiente. (I due fenomeni sono associati nella testimonianza dossografica 107.1 e in un passo di Lucrezio, cioè 107.3, mentre la testimonianza di Tertulliano 107.2 concerne solo il sonno.) Democrito pare avere ritenuto non completa l’emissione di atomi che si verifica con la morte, perché ammetteva che tracce di vita sussistono anche dopo la morte, cioè sussisterebbe un qualche percepire (cfr. 108.1-3) e qualche altro processo (secondo Tertulliano, De anima 51.2 [= 109.1]) 67 , per cui non ci sono segni sicuri di vita finita, come attesta Celso, De medicina II 6 (= 109.2). (La testimonianza di Cicerone in 108.3 è difforme dalle altre nel presentare quella della percezione dopo morti come una tesi imputata falsamente dagli Epicurei a Democrito, ma forse egli non tiene distinta la percezione dalla consapevolezza che se ne ha e che non può esserci dopo la morte.) Inoltre, a quanto pare, prendeva sul serio il fenomeno della catalessi, per cui prospettava un ritorno in vita di persone date per morte. Al proposito però la testimonianza di Proclo, in 109.3, non pare tener ben distinto questo caso da quello di genuina resurrezione, come nel racconto platonico di Er. (H.B. Gottschalk, in "Phronesis" 1986, pp. 90-91, sostiene che il passo procliano, da riga 13 a riga 19, non può costituire un’esposizione della posizione democritea, perché Proclo offre una spiegazione che viene ripresa in 117.7-12 senza richiamarsi a Democrito, che si applica al caso di Er e che si ispira palesemente a Timeo 73B [= 109.3.1]. Due di questi motivi di riserva, cioè che la spiegazione si applica al caso di Er e che essa si ispira al passo del Timeo, erano stati già avanzati da Waszink nel commentare 67
Il motivo della crescita delle unghie e dei capelli pare essere stato piuttosto diffuso, come mostra la sua comparsa in Plotino, Enneadi IV, 4, 29 (passo segnalato da Waszink nel commentare Tertulliano, op. cit., p. 528), anche se non è escluso che risalga indirettamente a Democrito (come pure suggerito ivi da Waszink).
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Tertulliano, De anima 51.2 [cfr. op. cit., pp. 528-29]. Non è tuttavia escluso che Platone stesso dipenda da Democrito – potrebbe avere ripreso da lui il motivo della panspermia – e la spiegazione, come viene ripresa in 117.7-12, ha valore del tutto generale, per cui l'applicazione al caso di Er nel nostro passo può essere secondaria. È invero possibile che il ruolo attribuito al midollo non sia democriteo, ma questo potrebbe tradire una fusione di motivi di origine differente. Certamente non si può escludere che il passo da riga 13 a riga 19 non sia affatto democriteo. L’attendibilità dell’attestazione per Democrito, ma con estensione a tutta la testimonianza di Proclo e presumendo che ci sia stata una confusione con Bolo, era stata contestata anche da Wellmann, Georgika, p. 13, con motivi, riguardanti in parte le formulazioni usate in parte la dottrina 68 , che non mi paiono decisivi.) Il sognare – inteso come un vedere immagini nel sonno – è reso possibile dal fatto che (come suggerisce Lucrezio, IV, vv. 757-776) la mente, come parte dell'anima, rimane attiva ed è sollecitata da ‘idoli’ o simulacri che vengono dal di fuori, penetrando per ogni parte del nostro corpo (questo è attestato per Democrito in 110.1-4 e 111.2). Il pensare pare essere stato considerato come un processo non molto diverso dal sognare, perché anch'esso (come già indicato) dipende dagli ‘idoli’ o simulacri che vengono recepiti dal di fuori. Peraltro gli ‘idoli’ che rendono possibili i sogni (non è detto lo stesso di quelli che rendono possibile il pensiero), quando alla loro origine c’è un essere animato, sono dotati essi stessi di animazione (cfr. 110.4-7). A questo proposito c’è un dissenso esplicito da parte degli Epicurei, come risulta dalla testimonianza di Plutarco in Quaestiones convivales VIII 10.2, 735A (= 110.4) e da quella di Diogene di Enoanda (cfr. 110.6-7). Quest’ultimo critica Democrito dal punto di vista epicureo, opponendo la sua posizione a quella degli Stoici, che sarebbe estrema nella direzione opposta. (Gli studiosi di solito ritengono che Diogene di Enoanda polemizzi con Democrito anche in un terzo passo, appartenente al fr. 9, da me invece collocato in appendice come non attinente, cfr. 110.9, con note ad loc., e cfr. più oltre.) Quanto al pensare, si può osservare che il resoconto citato ha la conseguenza di ridurre il pensare ad un processo in qualche modo visivo e fisico e che ciò spiega la critica che, come abbiamo visto, Aristotele rivolge a Democrito (insieme ad altri naturalisti) di assimilare il pensare alla percezione sensibile. In ogni caso anche Teofrasto, in De sensibus § 58 (= 106.2), attesta che, nella prospettiva di Democrito, il pensare veniva fatto dipendere dalla condizione corporea, posizione questa che viene sintetizzata, in maniera riduttiva, in Stobeo (cfr. 106.3), con l’affermazione che le intellezioni, come le sensazioni, sono ‘alterazioni del corpo’. Riguardo al fenomeno stesso della percezione sensibile ci sono alcune testimonianze nelle quali questa viene fatta dipendere, allo stesso modo del pensiero, dal penetrare dei simulacri nella nostra anima (cfr. 106.4-4.2). Ad esse è da accostare una testimonianza piuttosto problematica di Stobeo (cfr. 106.5, con n. 832 ad loc.) che presumibilmente suggerisce quanto viene detto espressamente da Lucrezio (cfr. 106.6), e cioè che alla penetrazione dei simulacri corrisponde una percezione solo quando la mente rivolge ad essi la sua attenzione. In ogni caso tale testimonianza di Stobeo va tenuta distinta dalle testimonianze (di Ps.Plutarco e dello stesso Stobeo, cfr. 106.7 e 106.7.1) che concernono il numero dei sensi, 68
Si parlerebbe del midollo come sede dell’anima (ma in effetti, mi pare, è solo ammessa una stretta connessione fra i due, e la riserva riguarda in ogni caso solo questo punto).
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a differenza di quanto faceva Diels (cfr. n. 831 ad 106.5). Infine: non è chiara la ragione per la quale Democrito avrebbe ammesso più di cinque sensi nel caso di certi esseri, e se questo abbia qualcosa a che fare con il motivo dell’ispirazione. Come si può vedere, l’approccio di Democrito è marcatamente naturalistico. Questo si nota anche nelle spiegazioni da lui date di altri fenomeni che concernono l’anima, compresi quelli apparentemente irrazionali come la divinazione (cfr. 111.1-4). L’atteggiamento espresso da Plutarco (in Quaestiones convivales V 7.1, passo che appartiene al contesto della testimonianza riportata come 110.5) circa un fenomeno come il malocchio è del seguente tenore: non si deve negare la sua esistenza per il fatto che è difficile trovarne una spiegazione naturalistica razionale, ma appunto impegnarsi a cercare tale spiegazione. È un atteggiamento che pare essere stato anche quello di Democrito, il quale ne offre appunto una spiegazione fisica mediante il ricorso agli ‘idoli’ (è quella riferita da Plutarco nella sua testimonianza) 69 . Invero le indicazioni in tale senso che troviamo nelle nostre fonti non sono del tutto chiare od univoche, perché da alcune testimonianze di Cicerone (cfr. 111.1 e 111.3-4) si potrebbe ricavare l'impressione che Democrito avesse dato credito alla divinazione (in generale), e ciò potrebbe estendersi alla divinazione nel sonno. Aristotele d’altra parte, in De divinatione per somnum 2 (= 111.2), lascia intendere che l’Abderita ne aveva offerto una spiegazione fisica alla quale contrapporre quella, altrettanto fisica, da lui adottata. Le testimonianze di Sesto (specialmente 112.1) e una dello stesso Cicerone (in 99.1) sono di tenore tale da offrire una conferma a questa impressione. Circa l’estensione della citazione della testimonianza aristotelica (dall’opera ora menzionata), riporto il passo fino a 464a21, perché ritengo che Aristotele proponga un resoconto naturalistico della formazione dei sogni ritenuti essere di tipo divinatorio che è in alternativa a quello proposto da Democrito ma che perviene allo stesso suo risultato: invece di ricorrere alla trasmissione di ‘idoli’ ed efflussi, cioè di immagini che hanno una fonte esterna a chi dorme, ammette che ci siano dei movimenti dell’aria che provocano la formazione di immagini aventi esse stesse la fonte interna a chi dorme 70 . Viene pertanto escluso (con un argomento che forse risale a Democrito) che le immagini che permettono le previsioni del futuro siano inviate dalla divinità. Luria al nr. 472 riporta un passo assai più ampio (fino a 464b16) riguardante le reazioni delle persone che si trovano in stato di ‘estasi’ e quelle che sono ‘melanconiche’, ma non riesco a vedere alcun serio motivo per fare questo. È abbastanza chiaro che quando Aristotele, in tale connessione, parla di ‘immagini’ (eidola), lo fa per proporre un resoconto che è accettato da lui stesso e non ha niente di propriamente democriteo. Il commento di Michele di Efeso al passo, cioè 84.16 sgg., pure riportato da Luria al nr. 472, riprende questo linguaggio parlando non solo di immagini ma anche di ‘impronte’ (typoi) che penetrano nell’intelligenza degli “estatici”. Tuttavia è chiaro che queste immagini e queste impronte sono ritenute risiedere ‘in loro stessi’, sicché non può trattarsi della posizione democritea.
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Un’interpretazione su questa stessa linea viene proposta anche da M. W. Dickie, Heliodorus and Plutarch on the evil eye, CP 86, 1991, pp. 17-29. 70 La distinzione fra sogni (normali) che hanno un’origine puramente interna a chi sogna e sogni (non normali) che hanno un’origine ultima esterna deve essere dovuta allo stesso Aristotele, per il quale i sogni di cui parla Democrito possono corrispondere solo a quelli del secondo tipo.
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Quello addotto sopra costituisce anche un motivo per cui non mi sembra che sia accettabile la ricostruzione corrente dei contenuti del fr. 9 di Diogene di Enoanda per la quale Democrito avrebbe detto che ‘la natura dei sogni è inviata dal dio’ (cfr. 110.9, riportato in appendice, con le mie note al passo). Il nome stesso “Democrito” viene inserito nel testo in maniera del tutto congetturale (non ne è rimasta la minima traccia), sulla base di considerazioni dottrinali e non filologiche. Queste ragioni dottrinali (fatte valere per esempio da Smith) sono date da un generico richiamo al motivo, riscontrabile in alcune testimonianze dei gruppi 110-112, del carattere divino degli ‘idoli’ che si presentano a noi, specialmente nei sogni. Questo motivo tuttavia non è affatto equivalente a quello che i sogni sono ‘inviati dal dio’, secondo una formula che risale sostanzialmente ad Omero e che viene intesa anche da Aristotele in quell’opera come applicantesi ad un effettivo intervento della divinità nei nostri sogni 71 . La questione dell’origine delle credenze religiose, riguardo soprattutto all’esistenza di entità dotate di caratteristiche come l’immortalità, è da porsi in rapporto a questi fenomeni che concernono l’anima, perché una delle fonti di queste credenze è ritenuta risiedere appunto nelle visioni che abbiamo in sogno. Ciò è attestato da Sesto Empirico in modo piuttosto esplicito nel caso di Epicuro (cfr. Adv. math. IX 43 [= 112.2]), ma è abbastanza chiaro che questi riprende un resoconto già offerto da Democrito (c’è infatti una continuità fra quel passo e Adv. math. IX 19 [= 112.1] riguardante l’Abderita, dove si parla delle stesse immagini che sono ammesse da Epicuro senza precisare, come viene fatto nel riferirsi alla posizione di quest’ultimo, se ci appaiono o no nel sonno, ma chiaramente ciò deve valere almeno in alcuni casi). Accanto a queste visioni nel sonno certo ne erano ammesse altre, in parte simili, che si verificano nella veglia (di queste si dirà qualcosa fra poco). L’esposizione di Sesto Empirico concerne espressamente la questione dell’origine delle credenze religiose e tiene conto di una distinzione fra due fonti principali di tali credenze, che (come pure risulta dalla sua esposizione) era stata introdotta nel modo più esplicito da Aristotele (in un passo del perduto Perì philosophias da lui citato in Adv. math. IX 20-23 [= fr. 10 Rose, 12a Ross]) ma che manifestamente serve da base all’esposizione delle posizioni di altri pensatori, compreso appunto Democrito (cfr. anche n. 870 al passo sestiano 112.1). La seconda fonte principale, accanto ai fenomeni che concernono l’anima, sta nell’osservazione dei fenomeni celesti ovvero celesti e meteorologici insieme. Aristotele ammette una distinzione netta fra l’ambito del celeste e l’ambito del meteorologico, e ritiene che le credenze religiose siano suggerite da osservazioni che concernono esclusivamente il primo ambito e che stanno nel rilevare l’ordine e la regolarità che prevale in esso e che richiederebbe appunto un principio di spiegazione. Democrito (come già rilevato sopra, sez. 21) non ammette tale distinzione e pertanto non pone l’accento in modo esclusivo sulla regolarità dei fenomeni. Anzi, in base ad una testimonianza di Sesto (in Adv. math. IX 24-26 [= 128.1]), egli poneva l’accento sul loro essere sorprendenti, imprevisti e anche minacciosi, ritenendo che è questo che ci induce a cercare la loro causa nella divinità – certo concepita assai diversamente da come la concepisce Aristotele, per il quale la divinità può solo essere fonte di ordine. (Per come questa posizione viene ripresa dagli Epicurei, si veda Lucrezio V, 1169-93 [= 128.4]. Va osservato che nella mia raccolta ho adottato una 71
Cfr. De divinatione per somnum 1, 462b20 sgg.; II, 463b12 sgg.
70
separazione fra le testimonianze relative ai fenomeni che concernono l’anima da queste altre, sicché la questione dell’origine delle credenze religiose viene toccata in testi raggruppati distintamente.) In alcune delle testimonianze, cioè in quella citata di Sesto (cfr. 112.2) e in due appartenenti al De natura deorum di Cicerone (cfr. 112.3 e 112.4), c’è un accostamento fra la posizione di Democrito e quella di Epicuro, che evidentemente è ritenuto essere un suo continuatore anche sulla questione dell’origine delle credenze religiose. Tuttavia, in base alle stesse attestazioni di Cicerone, gli dei di Epicuro hanno una realtà che non è presentata dalle immagini divine di cui parla Democrito, perché sono incorruttibili o eterni (cfr. Nat. deorum I 17, 45; 24, 68), beati, dotati di figura umana (cfr. ivi, I 18) e aventi sede negli intermundia (cfr. De divinatione II 17, 40) 72 , e perché la loro esistenza è richiesta da un principio di equilibrio (l’isonomia di cui si parla in Nat. deorum I 19, 50). D’altra parte essi sono pure ritenuti essere privi di solidità e di individualità e, a quanto pare, essere sottoposti ad un fluire continuo di atomi (cfr. Nat. deorum I 18, 49 e Div. II 17, 40), e questo pare avere portato alla critica, contenuta nel passo di Cicerone 112.4 (ma presente anche in Sesto, cfr. 112.2), che non si può distinguerli dalle immagini di Democrito. Qualche interprete 73 ritiene che le posizioni dei due pensatori siano effettivamente prossime, ma, a parte la difficoltà costituita dalle attestazioni sopra menzionate, le immagini di Epicuro sono ritenute differire da quelle di Democrito perché prive di vita. Comunque sia, il passo di Cicerone getta qualche luce sulla concezione degli dei come immagini proposta da Democrito. In conclusione, pare che Democrito volesse cercare una spiegazione della formazione delle nostre credenze religiose in certi fatti naturali, pur essendo in parte fatti che coinvolgono la nostra psiche. Non è chiaro se egli la cercasse anche in certi fatti sociali (come faceva Crizia), almeno complementarmente ai primi. Questo dipende dal significato che si deve dare alla testimonianza di Clemente di Alessandria in Protrepticus 68.5 (= 128.2), la quale è troppo incompleta ed allusiva per essere molto informativa. Del resto, doveva essere abbastanza ovvio che la sua trattazione finiva col privare la religione tradizionale del suo fondamento, cosa che trova un riconoscimento in alcuni dei discorsi introdotti nel De natura deorum di Cicerone (cfr. 114.1-2) 74 . Tuttavia nelle nostre fonti (soprattutto di nuovo Cicerone in 114.1-2) c’è il rilievo che Democrito non avrebbe dato un resoconto univoco e coerente del fondamento oggettivo da attribuire alle credenze religiose, ma questa accusa potrebbe essere dovuta all'aver messo insieme cose che l'Abderita teneva distinte. Ci deve essere qualche confusione alla base della menzione, come di divinità, dei ‘principi della mente’ (Cicerone, in 114.2, dichiara che essi “si trovano nello stesso universo”, mentre in 114.1 presenta come divino “il nostro stesso pensiero ed intelligenza”, ma questo a sua volta può essere fatto dipendere da qualcosa di esterno). Pare esserci una corrispondenza fra quanto attestato da Cicerone su questo punto e i riferimenti ad un intelletto avente sede 72
Di intermundia si parla più esplicitamente in altre testimonianze relativamente tarde, per le quali cfr. il comm. di Pease al passo. 73 P. es. David Sedley, in Long and Sedley, cur., The Hellenistic Philosophers, vol. I, Cambridge 1987, pp. 145-149. 74 Notare che Nat. deorum I 12, 29 (= 114.1), appartiene al discorso di Velleio, che è un Epicureo; invece I 37, 105 / 38, 107 (= 112.4), appartiene al discorso di Cotta, che rigetta la posizione epicurea; idem per I 43, 120 (= 114.2). Cicerone stesso deve simpatizzare per Cotta.
71
nel fuoco ecc. che troviamo nelle testimonianze dossografiche sotto 113. Ma è abbastanza evidente che in tali testimonianze la posizione di Democrito non viene tenuta distinta da quella di altri pensatori come alcuni Stoici (cfr. note 881 e 883). Le nostre fonti purtroppo non ci permettono di pervenire ad una ricostruzione soddisfacente della sua posizione. Le attestazioni più chiare sono quelle di Plutarco (in 110.4-5), con le quali si accordano quelle di Diogene di Enoanda (in 110.6-7), e riguardano apparizioni derivanti da altri viventi, soprattutto da altri uomini, le quali hanno la peculiarità di conservare tratti di vitalità dei soggetti da cui derivano. In questo modo sarebbe realizzata una forma di accesso in quanto avviene nelle menti altrui, e questo fatto potrebbe giustificare certi tipi di divinazione (gli intenti altrui, colti in tal maniera, spesso si traducono in azioni conformi ad essi, le quali a questo modo diventano prevedibili), oltre che fenomeni di telepatia. Siccome poi quelle apparizioni possono arrecare danno o beneficio, sarebbero pure spiegati fenomeni apparentemente di ordine magico come il malocchio. Ma i riferimenti a queste apparizioni non sono sempre tenuti distinti da quelli ad apparizioni di un altro tipo, che consistono in immagini molto grandi che sussistono nel mondo (dunque non sono semplici proiezioni delle menti altrui). Possibilmente c'è stata una confusione fra questi ‘idoli’ e gli ‘idoli’, da noi recepiti, che possono derivare da essi stessi, oltre che dalle menti altrui. (Nella mia traduzione ho reso eidola con ‘idoli’ piuttosto che con ‘simulacri’ in questi casi in cui le immagini non coincidono necessariamente con i simulacri che provengono dagli oggetti e che rendono possibile per esempio il vedere.) Se anche a queste grandi immagini fosse attribuito qualche tratto di vitalità non è chiaro, ma si dovrebbe trattare comunque di una vitalità non autonoma ma derivata, come nell'altro caso. Pur con queste incertezze niente smentisce che l'intento di Democrito, nel proporre una teoria che può sembrarci piuttosto bizzarra, fosse razionalistico. Non abbiamo informazioni su certi altri contributi che Democrito può avere offerto in ambito psicologico, per esempio nel rendere conto delle 'passioni dell'anima'. C'è invece un'ulteriore attestazione del suo interesse per fenomeni piuttosto eccezionali, che sta nella sua ammissione che i poeti creano le loro opere sotto l'effetto di un'ispirazione, dunque in una condizione mentale particolare, simile a quella della follia (cfr. le testimonianze sotto 115). L'accostamento con quanto Platone dice al proposito è ovvio ed è presente in quelle testimonianze, ma non si può escludere che l’idea che sia in gioco una sorta di follia, ad esclusione della disciplina dell’arte, sia platonica piuttosto che democritea, perché l’Abderita (se si guarda ai suoi contributi alla ‘critica omerica’ riportati in 130.1-3) ha un interesse per l’interpretazione delle opere poetiche che l’altro tende a delegittimare. Democrito forse si rifaceva all’idea più tradizionale del poeta che è di ‘natura divina’ (come viene attestato da Dione in 115.5) e che è ispirato (come viene attestato da Clemente, la cui citazione probabilmente è solo in parte attendibile, cfr. n. 889 ad loc.) 75 . È possibile che questi passi, come supponeva Diels, seguito da diversi studiosi, risalgano all’opera di Democrito Sulla poesia (X.2 nel catalogo).
75
Mansfeld, “Mnemosyne” LVII, 2004, sostiene che il passo di Clemente è solo una parafrasi della citazione di Dione Crisostomo, ma il parallelo con la citazione di Platone non suggerisce uno scostamento così forte dall’originale. (Si veda anche la difesa dell’attendibilità complessiva di Clemente in Brancacci, Democritus’ MOUSIKA, p. 197.)
72
26. La percezione mediante i sensi e i sensibili (parte XII) La trattazione democritea della percezione mediante i sensi va considerata non solo da un punto di vista epistemologico od ontologico ma anche da un punto di vista propriamente fisico, rivolgendo cioè l'attenzione al resoconto che viene dato del suo funzionamento. Per questa trattazione, come per quella dei sensibili (cioè delle proprietà o affezioni che sono gli oggetti immediati per ciascun senso), ci dobbiamo basare soprattutto sull'esposizione di Teofrasto nel suo De sensibus. L'opera è divisa in due parti, in relazione appunto a questi due temi, ma, mentre la prima parte offre una rassegna di tutta una serie di posizioni, la seconda prende in esame quasi esclusivamente le posizioni adottate da Democrito e da Platone (rilevando alcuni punti di contatto fra di esse), i quali sarebbero stati gli unici ad occuparsene in modo approfondito. Le informazioni ricavabili da quest'opera vanno integrate con quelle ricavabili dal suo De causis plantarum, dal De sensu di Aristotele, dal commento di Alessandro ad esso, ecc. Va premesso che la percezione sensibile è considerata come un tipo di interazione, cioè come una forma di agire e patire (agire per l’oggetto che è causa di una certa rappresentazione, patire per l’organismo vivente e, in particolare, per un certo organo di senso). Pertanto, come ogni altro agire e patire, essa può avere luogo o fra simili o fra contrari. Questa alternativa è in effetti prospettata da Teofrasto all’inizio della sua opera (cfr. 116.1), rilevando che Democrito, pur non prendendo posizione sulla questione, ammetteva che ogni interazione richiede qualcosa di identico fra gli oggetti che interagiscono e pertanto privilegiava il rapporto fra simili (cfr. 116.2). (C’è un evidente richiamo alla presentazione generale della posizione di Democrito su agire e patire da parte di Aristotele, in Gen. et corr. I 7 [= 62.4].) Per quel che riguarda il meccanismo della percezione mediante i sensi, è abbastanza chiaro, in primo luogo, che in Democrito c'è una ripresa della teoria empedoclea degli efflussi. Viene cioè sostenuto che i corpi emettono in continuazione delle particelle, le quali penetrano nel corpo umano attraverso minuscoli accessi o interstizi, cioè i cosiddetti pori. (Teofrasto, in De sensibus § 50 [= 117.1], afferma senza restrizioni che “da ogni cosa si genera sempre qualche efflusso”, e qualcosa del genere viene suggerito anche da Lucrezio, IV, vv. 225-29 [= 117.5.1]; lo stesso viene detto, ma con riferimento agli ‘idoli’, in due testimonianze di Cicerone e di Plutarco, cfr. 110.3 e 110.4; Aristotele infine, in 111.2, fa solo menzione di certi oggetti da cui provengono gli ‘idoli’.) Si ammette pure che questa penetrazione avviene in ogni parte del corpo umano (o animale), e che in ogni parte è presente la capacità percettiva, ma che questa si realizza solo negli organi di senso (anch'essi ovviamente provvisti di pori). Peraltro la tesi che anche la capacità percettiva è presente in ogni parte potrebbe essere solo democritea. (Si veda il rilievo polemico di Teofrasto riguardo la vista in De sensibus § 54 [= 117.1]; indicazioni analoghe sono offerte riguardo l’udito ivi, §§ 55 e 57 [= 119.1].) Fra efflussi e pori ci deve essere un adattamento reciproco, con differenze fra un senso ed un altro (la tesi dell'adattamento è bene attestata per Empedocle, ma viene estesa a Democrito da Stobeo, cfr. 116.3, e risulta essere stata ripresa dagli Epicurei, cfr. Plutarco in 56.1, inoltre cfr. Lucrezio IV, 663 sgg., specialm. 668 [non incluso nella presente raccolta]). L'assorbimento di particelle deve essere stato visto come una assimilazione della parte dell'oggetto in cui esse consistono. Un aspetto di questa assimilazione sta nello stabilire un contatto con quell'oggetto, per cui (secondo l'osservazione critica di Aristotele in De sensu 4 [= 120.1]) la sensazione viene ridotta ad una sorta di tatto.
73
Gli efflussi non sono tutti dello stesso tipo. Così in Lucrezio (IV, vv. 687 sgg.) c’è il riconoscimento che quelli odorosi sono da tenere distinti dai suoni (consistenti anch’essi in efflussi, cfr. i passi 90.2-6) perché essi provengono dall’interno dei corpi. Un tipo speciale di efflussi è costituito dai simulacri o 'idoli' (e‡dwla), dei quali gli atomisti sono probabilmente i primi ad aver parlato. (O piuttosto fu Democrito il primo a farlo, perché in una testimonianza di Clemente egli è detto avere aggiunto gli ‘idoli’ a quanto era stato postulato da Leucippo [cfr. 5.4] e perché il ricorso ad essi è solitamente associato al suo nome.) Essi si distinguono dagli altri efflussi per il fatto di essere conformati in modo tale da riprodurre la forma o figura esteriore dell'oggetto da cui derivano, nello staccarsi da esso alla stregua di pellicole, e per il fatto di trasmettersi solo in linea retta. (Questa loro peculiarità è riconosciuta da Lucrezio in IV, vv. 145 sgg., inoltre vv. 595 sgg. 76 ; è segnalata anche da Plutarco, Quaest. conv. VIII 10, 2, 735A7-8 [= 110.4], nell’affermare che gli ‘idoli’ hanno impresse somiglianze delle forme del corpo da cui provengono. Che essi, per questa ragione, costituiscano un tipo speciale di efflussi è suggerito anche da Teofrasto, De sensibus § 51 [= 117.1], e da Alessandro, De sensu 2, 24.18-20 [= 117.2.2].) È la loro trasmissione a partire dagli oggetti che rende possibile l’esercizio del senso della vista, oltre a quello di altre funzioni, come quella del sognare e anche, come si è accennato, quella del pensare. Fra i sensi la vista è piuttosto peculiare per questo suo rapporto con i simulacri, come lascia intendere Lucrezio, IV, vv. 237-243 (= 117.5.1). Nel complesso è proprio al senso della vista che viene dedicata maggiore attenzione. La postulazione dei simulacri non basta a spiegarne il meccanismo, perché si deve rendere conto della percezione dei colori e del ruolo della luce, come si deve rendere conto del senso della distanza. C'è una connessione fra colore e luce, perché si tendeva a vedere nel colore una luminosità che viene emessa dall'oggetto e che è forte nel caso del bianco, tenue (fino ad annullarsi) nel caso del nero. Empedocle (la cui teoria viene ripresa, con modifiche, da Platone) cercava di renderne conto ammettendo che nell'occhio è presente una fiamma, la quale è proiettata verso gli oggetti i quali a loro volta emettono luminosità; a questo modo faceva dipendere la percezione visiva da un rapporto fra simili. Democrito non può avere adottato una teoria del genere, perché (come attestano Aristotele e Alessandro al suo seguito, cfr. 117.2 e 117.2.1-2) riteneva che l'occhio è costituito da acqua, cioè da un mezzo che è ad un tempo trasparente e capace di riflettere al modo di uno specchio. Questa tesi va posta in relazione all'ammissione che un ruolo importante nella visione è giocato dal 'riflesso' (emphasis), cioè dall'immagine dell'oggetto che si riflette sulla pupilla. È un'ammissione che ovviamente si basa su di un dato di osservazione empirica, oltre che sull'idea (largamente diffusa a quel tempo) che la funzione del vedere è esercitata particolarmente dalla pupilla. L'interesse che egli risulta avere mostrato per il funzionamento degli specchi va posto in relazione a questa sua teoria del ‘riflesso’ (cfr. 117.6-117.7). Fin qui si tratta di uno sviluppo della teoria dei simulacri (non è un simulacro qualsiasi che rende possibile la vista, ma quello che si riflette sulla pupilla), che non tiene particolarmente conto del ruolo dei colori e della luce. Da alcuni cenni in Teofrasto (in op. cit., §§ 50 e 54 [= 117.1]) si ricava l'impressione che Democrito 76
Ho rinunciato a riportare i passi di Lucrezio cui faccio riferimento qui e sopra, perché avrebbero richiesto lunghe citazioni.
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supponesse che è l’acquisizione da parte dell’aria di un certo colore, trasmesso ad essa dagli oggetti, e di una certa luminosità (dovuta per esempio al sole), che permette di cogliere colori e luce. (Quanto egli asserisce in proposito non è chiaro, ma pare non coincidere con la tesi anassagorea dell'esistenza di una discrepanza di colore, dunque di una forma di opposizione, fra l’oggetto – con l’efflusso che da esso proviene – e la pupilla, che rende possibile la percezione sia dei colori che della luce. La discrepanza è quella che sussiste, all'estremo, fra la bianchezza della luce e la nerezza della pupilla. La mia supposizione è invece che nel passo si parli di un cambiamento di colore dell’aria che riceve l’impronta. Cfr. n. 896 ad loc.) Aristotele stesso non offre dettagli, ma si limita a criticare coloro che fanno risiedere la percezione del colore nella recezione di efflussi (cfr. De sensu 3, 440a15-20, con commento al passo di Alessandro d’Afrodisia, cioè 117.3 e 117.3.1). Luria riporta (ai nr. 282 e 483) anche il seguito immediato del passo aristotelico, cioè 440a20-23 e a30b2, che è ritenuto riguardare Democrito anche da J. Salem, Démocrite, pp. 138-39. Tuttavia la teoria ivi discussa non è quella della ‘giustapposizione’ degli atomi, ma dell’accostamento reciproco di colori, possibilmente di nero e bianco, in piccole quantità, in modo da ricavare un colore misto (era stata introdotta in 439a19 sgg.). Che essa richieda la postulazione di un tempo indivisibile pare essere una conseguenza tratta dallo stesso Aristotele. Il passo numerato 117.3 introduce, in modo quasi parentetico, una terza posizione rispetto alle due principali discusse nel contesto (cfr. commento di D. Ross al passo). Luria riporta (al nr. 431) anche De sensu, 6, 446a20-b17, circa il processo di trasmissione del colore e della luce dall’oggetto al percipiente, ma in esso viene sollevata una questione che interessa allo stesso Aristotele e che viene discussa con un riferimento alla posizione di Empedocle. Niente fa pensare che sia in gioco anche la posizione di Democrito. Infine lo studioso riporta (ai nr. 429 e 430) alcuni altri passi di De sensu, 6, cioè cioè 445b3-20 e b31-446a4, insieme a qualche passo del commento di Alessandro all’opera. In questi passi tuttavia Aristotele prospetta una divisione all’infinito dei corpi così come si presentano ai sensi o, in alternativa, considera la possibilità che essi siano costituiti da parti non percettibili che consistono in enti matematici. Questa posizione che viene prospettata in alternativa riflette (come suggerisce Ross nel suo comm.) la teorizzazione accademica, non quella degli atomisti, a differenza di quanto pare voler suggerire Alessandro in quel suo commento. Sempre riguardo alla documentazione va tenuto presente che, in conformità al procedimento illustrato nell’Introduzione di tenere conto del contesto anche quando ha valore documentario negativo (cfr. supra, volume, pp. VII e LI), io riporto per esteso Stobeo, Eclogae I 52, 1 (= 117.4), insieme a certi passi paralleli (cfr. 117.4.2 e 4.3), invece di riportare (come avviene in DK e in Luria) solo il brano che riguarda Democrito ed Epicuro, per evidenziare la ragione per cui solo quel brano può riguardare la posizione democritea (cfr. n. 915 ad loc.). Tornando ai contenuti, dall'esposizione (e dalle critiche) di Teofrasto si ricava che Democrito sosteneva che, prima del formarsi del riflesso nella pupilla, si forma una impronta o stampo nell'aria, fra l'occhio del vedente e l'oggetto visto, la quale ricalca la forma dell'oggetto (cfr. De sensibus, § 50 [= 117.1]). (Questa pare essere una delle teorie democritee che Epicuro rigetta, cfr. Ep. ad Hdt. § 49 [= 117.1.1 + n. 908 ad loc.].) Quale sia la funzione dell'impronta non viene chiarito da Teofrasto stesso, perché egli giudica superflua la sua postulazione e si preoccupa solo di liquidarla (cfr. De sensibus,
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§§ 51-53 [= 117.1]). Essendo questa la nostra unica fonte in proposito, si possono solo fare ipotesi. Sulla base di qualche tenue indizio si può supporre (col Burkert, “Illinois Classical Studies” 1977) che la contrazione dell'immagine che si verifica con la formazione dell'impronta ne assicura la penetrazione nell'occhio, la quale altrimenti (poiché l'immagine o simulacro dovrebbe conservare la grandezza dell'oggetto di partenza) non sarebbe possibile. Questa ipotesi peraltro è in conflitto con una testimonianza di Alessandro (cfr. 117.9, inoltre De animi mantissa 135.6 sgg.), che è confermata da Plotino (cfr. 117.8, dove però non sono fatti nomi), dalla quale risulta che la penetrazione dei simulacri è resa possibile da una loro ‘frantumazione’ che è seguita da una loro ricomposizione all'interno dell'occhio. Non si sa quanto credito dare a quest'altra attestazione, che non contiene alcun riferimento alle impronte, possibilmente perché risente del loro abbandono da parte degli Epicurei. Sempre Alessandro fa risalire a Democrito il resoconto del senso della distanza che è riscontrabile presso gli Epicurei (cfr. 118.1 e 118.2): esso è la conseguenza dell'impatto che ha sull'occhio l'aria spinta in avanti dai simulacri nel loro tragitto, dato che la sua quantità cresce con la distanza. Quale che sia il resoconto giusto, l'aria è ritenuta giocare un ruolo sotto questo rispetto e nel permettere la formazione di impronte. D’altra parte essa (ovvero il mezzo) è anche di ostacolo ad una visione completa e precisa dell'oggetto, specie se lontano, come risulta da un'attestazione aristotelica (cfr. 118.3, introducente l'immagine della formica, dunque di un oggetto molto piccolo, visibile nel cielo). Nel rendere conto del funzionamento dell'udito Democrito adotta la teoria del ‘riecheggiamento’ che risale ad Alcmeone (cfr. De sensibus, §§ 55-57 [= 119.1], e § 25 su Alcmeone). Secondo quanto Teofrasto stesso attesta (ivi, § 57) Democrito non introduce innovazioni rispetto ai suoi predecessori nel rendere conto del funzionamento degli altri sensi (peraltro le sue informazioni sono assai sommarie anche circa gli altri Presocratici che menziona al proposito). Quanto al resoconto che Democrito offre delle affezioni sensibili, c'è il tentativo di riportarle in modo abbastanza sistematico alla composizione o struttura atomica dell’oggetto che pare possedere quelle proprietà che si lasciano recepire mediante i sensi. Tuttavia questo tipo di operazione richiede che venga fatta astrazione, almeno in larga misura, da quel variare delle condizioni del soggetto che è ritenuto avere come conseguenza un analogo variare in quanto viene percepito sensibilmente e che pertanto è visto come una prova della soggettività di quelle proprietà. Teofrasto, in De causis plantarum VI 1 (= 121.3), rileva espressamente che, nel caso dei sapori, questo è l’approccio adottato da Democrito, tenendolo distinto dall’approccio che rende conto di essi “con le affezioni sensibili”. Questo secondo approccio in De sensibus, §§ 60-61 (= 55.1) viene attribuito espressamente a Platone, sicché sembrerebbe che in questo passo sia ripresa l’opposizione fra l’approccio di Democrito e quella di Platone che viene prospettata nell’altra opera. Tuttavia, nonostante che gli esempi del secondo approccio che sono offerti in VI 1, 3 (ne riporto solo un brano sotto 121.3) si ispirino a quanto troviamo nel Timeo, a Platone viene attribuito in modo esplicito l’approccio che consiste nel rendere conto dei sapori differenziandoli “mediante i loro poteri” (cfr. VI 1, 4-5, di cui riporto dei brani), considerando dunque gli effetti (dilatazione e contrazione, ecc.) che essi esercitano sull’organo di senso (in questo caso la lingua). E, aggiunge Teofrasto in VI 2, 1 (= 121.4 [ma con un’anticipazione in VI 1, 2, cfr. n. 946]), da questo punto di vista potrebbe non esserci una significativa differenza fra l’approccio di
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Platone e quello di Democrito perché il ricorso alle figure serve a spiegare i poteri esercitati dai sapori. In questo modo viene meno l’opposizione netta che era stata affermata nell’altra opera fra l’approccio di Democrito e quello di Platone, ma lasciando non chiarito se l’approccio che sta nel rendere conto dei sapori “con le affezioni sensibili” sia compatibile con l’altro e sia anch’esso da attribuire a Platone. Sembrerebbe che quanto troviamo effettivamente nel Timeo (cfr. 61C-62C e 64A-68D) renda indispensabile l’adozione di quest’altra linea. E potrebbe permanere un punto di differenza fra Platone e Democrito che sta nel fatto che quest’ultimo non si sarebbe occupato affatto delle reazioni di un organo sensibile come la lingua. Teofrasto certo pare avere in mente anche il fatto che non sarebbe stato offerto un resoconto delle differenze di reazione fra soggetti differenti, cioè individui umani differenti, oppure animali di specie differenti (cfr. VI 2, 1 [= 121.4] e De sensibus, §§ 69-70 [= 55.3]). (Si è visto supra, sez. 15 e 16, che Democrito ha ben presente questa ‘relatività’ al soggetto che percepisce.) Su questo versante non pare esserci differenza di approccio fra Platone e Democrito. Nelle esposizioni di Teofrasto dunque sono messi in gioco criteri o punti di vista differenti, senza tenerli ben distinti, e questo può spiegare le oscillazioni che troviamo in esse. (Comunque sia, c’è un evidente rapporto fra i passi ora considerati delle due opere teofrastee di cui si deve tener conto nel raccogliere la documentazione. In edizioni come quella di Diels-Kranz e di Luria da De causis plantarum VI 1 sono estratti solo brevi brani, che non permettono di riconoscere l’affinità fra questo testo e l’altro testo teofrasteo; a questo modo inoltre si perde di vista la connessione che c’è fra i due riferimenti a Democrito in quel passo stesso. Similmente De causis plantarum VI 2, 1-4 [= 121.4] è un passo che contiene una serie continua di osservazioni alla posizione democritea presentata in VI 1; riportarne due pezzi distinti, come fanno Diels (in DK) e Luria, è arbitrario.) Peraltro risulta dalla testimonianza dello stesso Teofrasto che delle variazioni che si riscontrano in soggetti differenti (o anche nello stesso soggetto in tempi e condizioni differenti) si rendeva conto, seppure in modo molto generale, ammettendo che ciascun corpo fisico ha una composizione atomica molto varia, fino forse ad includere atomi di ogni figura possibile 77 , sicché due soggetti che hanno percezioni differenti colgono di esso qualcosa di differente in questa loro composizione atomica (cfr. De sensibus, § 67 [= 55.3], da porsi in rapporto con §§ 63-64 [= 55.2]). Questo resoconto riguarda soprattutto i sapori (come mostra il contesto dei passi ora citati) e prescinde da una considerazione dell’effettivo funzionamento dell’organo di senso (nella fattispecie della lingua come organo del senso del gusto). Tale unilateralità, agli occhi di Teofrasto, è la prova che c’è una incoerenza di Democrito nell’approccio adottato (cfr. ivi, §§ 60-61 [= 55.1], inoltre § 64 [= 55.2]). Si tratta di un approccio che comporta pure che le affezioni siano trattate alla stregua di dati “puntuali”, comunque in qualche modo isolabili, e non come parti integrali della percezione complessiva che si ha dell'oggetto. (Per questo soggetti differenti possono avere percezioni differenti di uno stesso oggetto, che sono in effetti percezioni di un suo aspetto.) Si parla di singoli colori, di singoli sapori, di singoli suoni, ecc., e si pretende 77
Questa testimonianza trova una conferma in Stobeo I 50, 26 (= 56.2) e in altri passi ancora (cfr. Quadro sinottico, E.2.3).
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di identificare certi atomi (in genere a gruppi) che corrispondono in modo preciso ai dati percettivi cui danno luogo. E ad essi danno luogo, come sottolinea Aristotele (cfr. 120.1), in maniera che è essenzialmente tattile, anche se tale azione tattile (dovuta al grado di compattezza o di densità di un certo gruppo di atomi e ai tipi di figure che essi hanno) viene modificata dai modi di trasmissione degli efflussi dall'oggetto che li emette all'organo percettivo. Nel rendere conto dei singoli tipi di affezioni sensibili (cioè quelle relative a ciascun senso) Democrito, a quanto attesta Teofrasto, aveva rivolto la sua attenzione soprattutto ai sapori e ai colori. L'interesse per i sapori pare essere stato motivato dal fatto che è soprattutto la diversità di reazioni ai sapori degli stessi cibi (o altre sostanze) in soggetti differenti (o nello stesso soggetto in tempi differenti) che suggerisce la tesi della relatività delle proprietà possedute da uno stesso oggetto. L'interesse per i colori si spiega con l'importanza annessa alla vista dai filosofi greci in genere, e con il fatto che nel loro caso è più facile che in altri casi pervenire ad una classificazione abbastanza articolata. Nel caso invece degli odori, come era stato sottolineato da Platone (in Timeo, 67A), è difficile pervenire ad una classificazione articolata, e questo può spiegare lo scarso interesse per essi. Su alcune delle affezioni tattili (come risulta anche da ciò che è stato detto precedentemente) Democrito si era indubbiamente soffermato, ma ci si potrebbe aspettare una trattazione più estesa di esse tutte, data l'importanza già rilevata che ha il senso del tatto per il coglimento degli oggetti in quella che è ritenuta essere la loro natura corporea o materiale. In questo caso tuttavia un ostacolo può essere stata la scarsa omogeneità che è presentata da tali affezioni. Non solo alcune di esse sono ritenute meno soggettive di altre dallo stesso Democrito, ma in generale è difficile inserire tutte le qualità tattili in un'unica gamma, come avviene nel modo più pieno solo nel caso dei colori. I suoni risultano avere ricevuto scarsa attenzione non solo da parte di Democrito ma anche degli altri Presocratici naturalisti. (Diverso è l'atteggiamento dei Pitagorici, ma questo è un motivo per ritenere infondate le attestazioni antiche circa rapporti piuttosto stretti che Democrito avrebbe avuto con pensatori di quella scuola.) Nel caso degli odori l’unica testimonianza dettagliata è di Teofrasto, De causis plantarum VI 17, 11 (= 121.5), e concerne non il resoconto degli odori nella loro generalità ma la questione della ragione per cui certe cose sono beneodoranti e altre no. Luria adduce (al nr. 501), come testimonianze generali sul costituirsi dell’odore, Aristotele, De sensu 5, 443a24 sgg., cioè un passo che contiene un riferimento esplicito solo ad Eraclito, insieme ad un brano del commento di Alessandro al passo (cioè 93.1113,15-17, senza alcuna menzione di Democrito). Lo fa’ per via dell’accostamento che Aristotele stesso opera fra la postulazione di un’esalazione fumosa e il ricorso alle emanazioni 78 , ma questo non è in alcun modo un motivo sufficiente per attribuire la prima a Democrito. La trattazione democritea dei sapori è piuttosto lineare. (Si veda, oltre all'esposizione piuttosto dettagliata in De sensibus §§ 65-67 [= 122.1], la sintesi e le critiche in De causis plantarum [= 121.1-4] e gli ulteriori cenni nei testi sotto 120.) L'indicazione, un po' semplificatrice, di Teofrasto è che essi sono riportati alle figure degli atomi (in effetti dai resoconti dettagliati risulta che giocano un ruolo anche le differenze di 78
Aristotele dichiara in effetti che tutti considerano l’odore o come un’esalazione o come un vapore o come entrambe le cose, ma questa sembra essere una generalizzazione (non atipica per lui) che trascura la peculiarità della posizione degli atomisti.
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grandezza e possibilmente le differenze di coesione che ci sono fra un gruppo e un altro di atomi). Essa si fonda sull'idea che la percezione gustativa è tutto sommato di natura tattile, perché viene fatta consistere in esperienze come l’essere a contatto con ruvidezza o morbidezza, l'essere sottoposti ad un effetto contraente e restringente o all'effetto contrario, e il subire o meno degli urti dagli atomi in movimento. Buona parte di queste sensazioni (come pure per esempio quella dell'acidità, che è riportata all'acutezza di particelle spigolose) risultano da una specie di contatto dell'organo di senso con atomi di una certa figura. Quanto alla documentazione, c’è da fare un’osservazione riguardo al passo aristotelico di De sensu 4, nel quale viene discusso il problema del perché l’acqua è priva di sapore. Sono esposti tre resoconti, il primo dei quali sta nell’ammissione che “i generi dei sapori sono non percettibili per la piccolezza” (cioè, presumibilmente, per la piccola quantità in cui ciascuno è presente), mentre il secondo sta nell’ammissione che l’acqua costituisce una materia la quale è una sorta di panspermia di sapori (dunque li include tutti), sicché tutti i sapori provengono da essa (cfr. 441a3 sgg.). Il primo resoconto è espressamente attribuito ad Empedocle, mentre il secondo e il terzo (che qui trascuro) rimangono anonimi. Il motivo della panspermia è attribuito con una certa frequenza da Aristotele a Democrito, come abbiamo già visto (supra, sez. 12). Per questa ragione Alessandro d’Afrodisia, nel suo commento al passo (specialm. 68.24-25), ritiene che il secondo resoconto sia democriteo, e viene seguito in questo da qualche studioso moderno (per esempio da Ross nel suo commento). Anche Luria accoglie il passo, insieme a quello di commento da parte di Alessandro, nella sua raccolta (al nr. 277, con citazione più estesa di Alessandro al nr. 494; i passi sono omessi in DK). Tuttavia, quanto viene attribuito a Democrito dallo stesso Aristotele (particolarmente in 48.4) è la tesi che sostanze come l’acqua sono come una sorta di panspermia delle figure atomiche, non di sapori, che gli atomi non possono possedere; degli atomi stessi non si fa parola nel passo. Come è rilevato non solo in dettaglio da Teofrasto ma anche sommariamente dallo stesso Aristotele in quel capitolo del De sensu (cfr. 120.1), Democrito riportava i sapori alle figure, e anche questo è ignorato dal resoconto in questione. Per questi motivi non accolgo i due passi in questione. Accolgo invece due passi che non compaiono in altre raccolte: De causis plantarum VI 10, 1 e 10, 3 (sono associati come 122.2). Teofrasto non dice di chi sia il resoconto dal lui riportato, in 10, 3, dello stare alla superficie del salato, ma le coincidenze con quanto egli attribuisce altrove (cfr. CP VI 1, 6; De Sensibus 66) a Democrito circa la natura delle particelle del salato fanno pensare che si tratti della sua posizione, secondo un sospetto già avanzato da Gaza nella sua traduzione (dove l’affermazione che le particelle non si intrecciano riceve l’integrazione “democrito placet”). La trattazione dei colori, infine, è più complessa, anzi essa risulta poco comprensibile nell'esposizione che ne offre Teofrasto in De sensibus §§ 73-78 (= 123.1), accompagnandola con sue critiche (ai §§ 79-82 [= 123.2]). Si può sospettare che questi non si fosse reso conto della necessità di tener distinte le condizioni di trasmissione della luce a partire dall'oggetto che la emette dalla causa ultima del colore, che coincide con la causa di tale emissione stessa. Questa presumibilmente sta in una condizione di forte mobilità degli atomi all'interno del corpo che è la fonte dell'emissione – una condizione che è del tutto simile a quella che è all'origine del calore. (Il fatto che Democrito pare non aver chiarito il ruolo della luce esterna all'oggetto, in particolare di quella che viene
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dal sole, può essere una delle ragioni per tale confusione.) Si può presumere, insomma, che l'affezione sensibile che viene chiamata colore fosse fatta risiedere nell'impatto o "irritazione" che è esercitata sull'organo della vista dagli atomi di fuoco che sono emessi dall'oggetto che è all'origine di quel dato colore. Questo tipo di azione varia sia a seconda dell'intensità della luce che è emessa dall'oggetto (cioè dalla maggiore o minore presenza di atomi di fuoco in tale emissione) sia a seconda della maggiore o minore attraversabilità del mezzo e anche della superficie dell'oggetto, cioè di quello che noi chiameremmo il loro grado di trasparenza. (Una scarsa trasparenza, cioè il fatto che gli atomi vengano deviati, perché non possono attraversare ‘pori’ dritti e in successione ordinata, è all'origine del color nero, mentre il bianco dipende ovviamente dalla condizione opposta.) Il riportare i colori alla luce non è peculiare di Democrito, ma è anzi il resoconto più corrente a quel tempo. Lo stesso vale per i principi generali della sua classificazione dei colori, con l'ammissione di alcuni colori semplici o basici e altri colori derivanti da questi, direttamente o indirettamente. Questa classificazione stessa, come il modo complicato di render conto di ciascun colore, mostra che, nonostante il punto di contatto che sta nel riportare i colori alla luce, l'approccio complessivo rimane lontano dall'analisi di essi che è tipica dell'ottica moderna, così come è stata proposta in particolare da Newton. 27. L’uomo e la civiltà (parte XIII) È plausibile ritenere che in Democrito, come successivamente in Diodoro (in 125.1 e 126.1) e in Lucrezio (cfr. V, 925 sgg., in parte come 126.2), la cosmogonia e la zoogonia fossero seguite da una descrizione della formazione della civiltà umana. Un interesse per il tema è corrente al suo tempo (basti pensare al ‘mito’ messo in bocca a Protagora da Platone), e indicazioni della sua presenza in Democrito in particolare risultano, come vedremo, dalle attestazioni relative all'origine e sviluppo delle arti (cfr. 127.1-3) e anche da quelle relative all'origine delle credenze religiose (cfr. 112.1 e 128.1-4). Da più studiosi è stata avanzata l'ipotesi che Diodoro, nella sua esposizione, dipenda largamente da Democrito, ma in realtà essa pare avere un carattere piuttosto eclettico (d'altra parte l'obiezione di altri studiosi che non ci sono tracce della teoria atomistica non è decisiva, perché si può constatare la sua assenza anche in altri campi, esemplificati non solo dall’etica ma anche da certe spiegazioni fisiche). Su alcuni punti, tuttavia, come il presupporre, a quanto pare, la convenzionalità del linguaggio, e il fare dipendere l'origine della civiltà dal bisogno, dunque da una specie di necessità, quella dipendenza rimane plausibile. Quanto alla scelta dei testi, l'inclusione di Diodoro I 7 e I 8 nella presente raccolta ha comunque bisogno di qualche giustificazione. Essi erano stati inclusi dal Diels nella sua raccolta perché egli aveva accolto, dichiaratamente, l'ipotesi di Reinhardt (in “Hermes” 47, 1912) che essi risalgono ad Ecateo di Abdera il quale sarebbe da considerarsi uno dei continuatori di Democrito (la documentazione che lo riguarda è in effetti inclusa dal Diels nei Vorsokratiker) e pertanto deve avere esposto dottrina democritea. (Sono inclusi per la stessa ragione anche da Luria nella sua raccolta, ma con la riserva che “non si può fare risalire a Democrito ogni dettaglio preso isolatamente”.) Quest'ipotesi è stata criticata da più studiosi (soprattutto da Spoerri in Späthellenistische Berichte über Welt, Kultur und Götter) e, nonostante la sua difesa da parte di Cole (Democritus and
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the Sources …), non gode più di molto credito. Si può essere indotti ad omettere questi testi, ed è quanto fa Taylor nella sua raccolta (senza peraltro offrire spiegazioni). Va detto subito che l'ipotesi di Reinhardt sembra poco sostenibile anche a me. Essa si basa, in primo luogo, sull'ammissione che il grosso della trattazione della civiltà egizia nel libro I di Diodoro (a partire dal cap. 10) abbia Ecateo di Abdera come fonte principale. È una possibilità che non si può escludere, ma che è inverificabile, perché mancano indicazioni sufficientemente chiare in tal senso (solo il passo I 47.1-49.5 è espressamente fatto risalire a lui da Diodoro, su tutto il resto si procede per illazioni prive di ogni sicurezza). Essa si basa, in secondo luogo, sull'ammissione che le connessioni fra quei due capitoli e quanto segue sono così strette da fare pensare che risalgono ad uno stesso autore. Non posso qui sottoporre ad un esame dettagliato (per il quale rinvio alla seconda parte del presente lavoro) le connessioni che sono state individuate dagli studiosi che sono a favore di tale ipotesi (soprattutto dallo stesso Reinhardt e, al suo seguito, da Cole). La mia impressione è che non siano così strette da obbligarci ad accogliere tale identità di autore. Essa si basa, in terzo luogo, sull'ammissione che l'autore in questione, Ecateo di Abdera, era un democriteo. Tuttavia nelle ‘successioni’ dei filosofi e in altre testimonianze simili questi non viene mai posto in relazione a Democrito, ed è solo una testimonianza di Clemente Alessandrino che stabilisce un rapporto, ma piuttosto tenue, fra i due (cfr. Strom. II 21, 130 [= 132.1]). Niente di quello che sappiamo dei contenuti delle opere di Ecateo, che indubbiamente è molto poco, suggerisce una dipendenza di questo autore (che è da collocare fra gli storici piuttosto che fra i filosofi) da Democrito. Rigettare l'ipotesi di Reinhardt non deve avere l'effetto di privare i due capitoli diodorei di ogni valore documentario riguardo alla posizione di Democrito, anche se gli eventuali rapporti risultano essere inevitabilmente meno stretti di quanto essi sarebbero stati in base a quell'ipotesi. Va osservato, preliminarmente, che i due capitoli sono relativamente isolati rispetto al resto del libro I dell'opera di Diodoro, ma (al contrario di quello che si assume di solito) non debbono costituire un'unità. I temi che sono toccati nel cap. 7 (cosmogonia e iniziale generazione spontanea dei viventi dalla terra) possono essere considerati indipendentemente dal tema della formazione della civiltà che è trattato nel cap. 8. (Per esempio Censorino si occupa della generazione spontanea senza occuparsi dell'altro tema. L'esposizione in parte parallela a quella diodorea in Diogene Laerzio I 10-11, dove pure si pretende di esporre il pensiero degli Egizi, non comporta estensioni all'origine della civiltà umana.) Nonostante l'introduzione del tema in I 6, 3, la generazione degli uomini in particolare è appena menzionata, e solo nel citare i versi di Euripide (in I 7, 7). Nel sommario offerto nel cap. 42 il contenuto del cap. 7, ma non quello del cap. 8, è presentato come un resoconto offerto dagli Egizi, e sul tema della generazione spontanea c'è anche qualche connessione fra I 7 e I 10. Se si guarda ora ai contenuti del cap. 7, la cosmogonia ivi esposta non ha niente di atomistico (si parla di una mescolanza iniziale e non di un vortice che coinvolga gli atomi, la descrizione della formazione degli astri è diversa, non si parla di una pluralità di mondi, ecc.), come è stato riconosciuto da più studiosi. Quanto all'adesione alla teoria dell'iniziale generale generazione spontanea, essa è bene attestata per gli Epicurei, anche perché Lucrezio ne parla piuttosto diffusamente, ma un nostro testimone, Censorino, suggerisce che Epicuro si rifaceva a Democrito nel caso della generazione spontanea degli uomini (cfr. De die natali 4.9 [= 125.2]). Un accostamento fra i due pensatori, in
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forma un po’ vaga, si trova anche in Ps.-Galeno (cfr. Hist. philos. 123 [= 92.1]). (Quanto al resto della documentazione riguardo Democrito su questo punto si veda supra, sez. 23.) Questa teoria non è adottata dai soli atomisti, ma deve avere avuto larga diffusione, in ogni caso è attestata sia per Empedocle sia per Archelao (cfr. i versi empedoclei con contesto in 31 B 62 [= CTXT-53 e 67 Inwood] e cfr. Diogene Laerzio II 17 [= 60 A 1] e Ippolito Ref. I 9.5 [= 60 A 4]). La versione della teoria in Diodoro I 7 differisce per qualche dettaglio da quella epicurea (non si parla di uteri e di latte dalla terra), ma non è detto che quest'ultima sia fedele a Democrito su tali punti (almeno l'idea del latte pare trarre la sua ispirazione in un'indicazione di Archelao). Forse quella democritea differiva da entrambe, ma in ogni caso la documentazione serve da illustrazione della teoria nella sua forma generale. La teoria esposta al § 5 della differenziazione degli animali per ambiente a seconda dell’elemento o costituente che prevale nella loro composizione pare risalire ad Empedocle (cfr. 31 A 72 DK e Inwood), e non c’è nessuna testimonianza che l’associ a Democrito. È con tutte queste limitazioni circa il suo valore di testimonianza che Diodoro I 7 viene da me accolto. Il cap. 8 pone altri problemi. In primo luogo ci si deve domandare se Democrito si era occupato affatto del tema della formazione della civiltà. Nel complesso sembra plausibile una risposta positiva a questa domanda. Del tema si erano occupati, seppure con significative differenze, vari autori del V° e del IV° sec., e cioè Protagora (come attesta Platone nel Protagora), Archelao (cfr. Ippolito Ref. I 9, 6 [= 60 A 4 DK]), l'autore dello scritto ippocratico Antica medicina, Crizia (nel suo Sisifo), e anche Platone (nel libro III delle Leggi). Data la vastità enciclopedica degli interessi di Democrito, e data anche una certa sua vicinanza a Protagora e agli ippocratici, sarebbe strano se egli non se ne fosse occupato. Anche l'ammissione di un'analogia fra macrocosmo e microcosmo (per la quale cfr. 124.1-3) deve averlo incoraggiato in tale senso. Sesto Empirico poi attesta più precisamente un interesse di Democrito per la questione dell'origine della concezione corrente della divinità (o degli dei), attribuendogli espressamente l'affermazione che a questa concezione erano pervenuti ‘gli uomini di una volta’ (hoi palaioi) (cfr. Adv. math. IX, § 19 [= 112.1] e § 24 [=128.1]). Il contesto di questa discussione di Sesto, che contiene un'esposizione del contributo di Crizia al tema della formazione della civiltà, e il fatto che anche gli Epicurei (come mostrano Lucrezio V, vv. 1161 sgg. [= 128.4] e Diogene di Enoanda, fr. 12 [= 126.3]) si erano occupati di questo punto come parte di quel tema, fanno pensare che il contributo di Democrito ha questa stessa collocazione. Quanto secondo Clemente di Alessandria (cfr. 128.2) Democrito aveva attribuito ad ‘alcuni uomini dotti’ deve fare parte di una trattazione del genere perché pare riguardare sempre l’origine delle credenze circa il divino. C’è una testimonianza di Filodemo che è accostabile a questa (cfr. 128.3), ma, come vedremo fra poco, è questione aperta se essa tutta riguardi la posizione di Democrito. Ci sono poi altri passi che riflettono un interesse per la stessa tematica, da altri punti di vista, e cioè in particolare quello di Filodemo riguardo l'origine tarda di arti non necessarie alla vita come la musica (cfr. 127.2), quello di Plutarco circa l'imitazione degli animali da parte dell'uomo nella scoperta delle arti (cfr. 127.1), possibilmente anche uno di Mallio Teodoro sulla scoperta dell'esametro dattilico (cfr. 127.3) ed uno di Galeno circa l'acquisizione di conoscenza tramite l'esperienza prolungata nel tempo (De medica experientia IX 5 [= 60.2]). La presenza dello stesso interesse presso gli Epicurei tende a confermare questa conclusione.
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Rimane aperta la questione del modo in cui Democrito si era occupato di questo tema. Nel complesso pare probabile che l'esposizione in Diodoro I 8 non sia da associare a qualche orientamento particolare, ma abbia un carattere piuttosto eclettico, perché i punti di contatto che presenta con altre versioni si spiegano meglio a questo modo piuttosto che assumendo una dipendenza di tutte da un'unica fonte. Così la descrizione che viene data nel passo di Diodoro Siculo della selvaggia condizione originaria degli uomini presenta dei punti di contatto (come è stato rilevato da Norden, Agnostos theos, p. 399 e pp. 370-71) con quanto troviamo detto dell’origine della civiltà in Crizia, Sisifo, e in Protagora (come esposto da Platone, Protagora, 321C e 322B), dunque ha poco di originale. Volendo prendere in considerazione qualche fonte abbastanza ben definita, non si può escludere per esempio che Archelao abbia servito da ispirazione su certi punti. Il parallelo, peraltro non completo, con la versione presente in Lucrezio (evidenziato nella mia traduzione, cfr. 126.1 e 126.2), fa pensare a Democrito come fonte comune, ma in effetti gli stessi Epicurei (come mostra l'esempio sopra citato del latte) potevano tenere presenti apporti di autori come Archelao. (La diversità di atteggiamento circa l'origine del linguaggio esclude che gli Epicurei siano la fonte diretta del passo diodoreo.) Complessivamente nell'esposizione di Diodoro è evidente non solo l'assenza di ogni ricorso a dei e ad eroi che aiutino gli uomini ma anche di ogni dimensione teleologica o provvidenzialistica: gli uomini sono mossi dalla convenienza unita alla paura (§ 2), dall'esperienza (§ 7) e dal bisogno (chreia, che forse è ambiguo e indica anche l'uso) (§ 8), inoltre sono condizionati dalle circostanze (questo vale per la molteplicità delle lingue e, presumibilmente, dei popoli). Questo rigore ‘materialistico’, riscontrabile anche presso gli Epicurei, ben si addice a chi fa dipendere la formazione del mondo dalla necessità unita al caso (chreia, che significa anche necessità, seppure nel senso del bisogno, pare corrispondere alla necessità, anagke, in cosmologia). Passando ora ai passi riguardanti l’origine delle credenze religiose (128.1-4), essi sono da accostare ai passi che parlano degli ‘idoli’ come una delle fonti della nostra concezione della divinità (cfr. 112.1-112.6 e supra, sez. 25). Si può presumere (come già faceva Norden, Agnostos theos, p. 398) che Democrito non si fosse limitato a proporre l’osservazione dei fenomeni meteorologici o celesti temibili come una delle fonti della concezione degli dèi (secondo quanto attesta Sesto Empirico in 128.1) ma avesse proposto anche l’osservazione di quelli regolari con lo stesso intento, perché a questi viene fatto riferimento nella testimonianza di Filodemo (cfr. 128.3) e possibilmente anche in quella di Clemente di Alessandria (cfr. 128.2). Si pone invero la questione dell’estensione della testimonianza di Filodemo. Henrichs (“Harvard Studies” 1975, pp. 96 sgg.) offre una serie di considerazioni provanti che non solo il brano finale (interrotto) ma anche quanto precede va attribuito a Democrito. Uno di questi argomenti sta nell’ammissione di un parallelo fra la parte dossografica del De pietate e la rassegna di Cicerone, De natura deorum I 10, 25-15, 41 (la rassegna è messa in bocca all’epicureo Velleio). Il parallelo era già stato rilevato da Diels (il quale in Dox., pp. 529-550, stampa i frammenti filodemei accanto a passi affini dell’opera ciceroniana); tuttavia deve essere ammesso che non è riscontrabile (nei contenuti) fra il nostro passo e il passo su Democrito nell’esposizione epicurea di De natura deorum I 12, 29 (= 114.1). Più significativo è il rapporto (pure da lui sottolineato) con Lucrezio V, vv. 1183 sgg. (= 128.4).
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Quanto ai contributi, più specifici, alle arti e alla letteratura, ci è rimasta tutta una serie di testimonianze sui contributi di Democrito a singole arti come l'agricoltura o la medicina oppure sui contributi che riflettono interessi letterari. Le testimonianze del primo tipo sono riportate nella parte XV (sull’agricoltura cfr. passi sotto 189, sulla medicina cfr. passi sotto 188, inoltre sulla geografia cfr. passi sotto 187; per il materiale appartenente al campo dell’astronomia descrittiva e di previsione, ad inclusione di certi calendari: parapegmata, cfr. passi sotto 186). Le testimonianze del secondo tipo riguardano contributi che vanno dalla proposizione di etimologie (cfr. sotto 191) a commenti a passi omerici (cfr. 130.1-3) e alla discussione di questioni grammaticali (cfr. 130.4-1). La sezione “questioni omeriche” rispecchia solo in parte l'interesse che Democrito risulta avere mostrato per Omero. (Alcuni di questi passi presumibilmente risalgono allo scritto democriteo Su Omero [XI.1 nel catalogo].) Un suo giudizio sulla qualità, particolarmente ispirata, dell'invenzione poetica di Omero viene citato da Dione di Prusa (cfr. 115.5), e ad esso pare lasciarsi accostare la tesi più generale (attestata da Clemente, cfr. 115.4) che il poeta genuino scrive sotto ispirazione. È probabile che egli si fosse richiamato ad Omero per il motivo degli ‘idoli’ ovvero delle immagini che ci appaiono nel sonno (vedi Quadro sinottico, A.I). Contengono riferimenti ad Omero, ma probabilmente non dovuti allo stesso Democrito, perché vi si riportano suoi contributi che presumibilmente appartengono ad un contesto esclusivamente astronomico o biologico, i passi seguenti: 82.5 (cfr. n. 637 ad loc.), 99.4.1 e 99.4.2. Sul motivo (tratto da Omero) dell’“altro-pensare”, applicato erroneamente ad Ettore per illustrare la relatività di ciò che pare vero a ciascuno di noi, cfr. Aristotele, Metaph. 5, 1009b28-31 (= 57), con n. 419 ad loc. È in sé plausibile che un pensatore così interessato ad Omero come Democrito fosse indotto a citarlo anche in contesti nei quali non se ne occupava espressamente. Che questo sia avvenuto non è ammesso da tutti gli studiosi (p. es. Mansfeld ha fatto il nome di Ippia). Simplicio lo attribuisce espressamente a Democrito nel suo commento a De anima I 2 (= 105.4), ma non si può escludere una sua illazione (anche se potrebbe avere trovato una conferma nell’aristotelico Su Democrito). Il modo però in cui Teofrasto lo introduce in De sensibus, § 58 (= 106.2), rende chiaro che egli è convinto che Democrito aveva fatto ricorso a quel motivo (la sua affermazione “ed è per qualche ragione del genere che anche gli antichi [cioè in primo luogo Omero] hanno ritenuto correttamente che c’è un ‘altro-pensare’” è palesemente intesa riportare la posizione democritea). Dei passi riportati nella sezione intitolata "questioni omeriche" merita attenzione quello dello scolio ad Iliade VII, v. 390 (= 130.1), perché Democrito risulta avere interpretato il passo omerico contenente un intercalare piuttosto inaspettato di un araldo come qualcosa che era stato detto a bassa voce e rivolto a se stesso. Siccome questo, del 'parlare fra sé e sé’, è un procedimento tipicamente teatrale, si ha l'impressione che, nel proporre quell'interpretazione (che pare piuttosto forzata), egli condividesse la tendenza, che è evidente sia in Platone che in Aristotele, a considerare le opere di Omero come una sorta di drammi (cfr. sulla questione la discussione di Fronmüller, Demokrit, pp. 2528). Le osservazioni grammaticali (in parte osservazioni dello stesso Democrito, in parte osservazioni altrui sugli usi linguistici democritei) non richiedono particolari commenti. Va solo notato che è possibile, come supponeva Diels, che alcuni di questi passi
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(particolarmente 130.4 e 130.5) risalgano allo scritto democriteo Sulle lettere eufoniche e cacofoniche (X.4 nel catalogo). Quanto, infine, alla teoria del linguaggio, l'attestazione più importante è quella che si trova in un passo di Proclo a commento del Cratilo platonico (cfr. 129.1). In esso Democrito è messo dalla parte dei sostenitori del convenzionalismo (che nel dialogo sono rappresentati da Ermogene), di contro a Pitagora ed altri che avrebbero sostenuto la tesi della giustezza naturale dei nomi (perché sono immagini [agalmata o eikones] delle cose). C'è un'apparente contraddizione fra questo passo ed un passo di Damascio nel quale, parlando dei nomi degli dei in particolare, si afferma che "anche questi sono immagini (agalmata) parlanti degli dei, come {sostiene} Democrito" (cfr. 129.2). Andando oltre, nel passo di Proclo sono riportati quattro ragioni per adottare la posizione convenzionalista e, per quanto la formulazione adottata sia influenzata da Aristotele e gli esempi addotti siano post-democritei, si può ritenere che l'esposizione sia abbastanza fedele, se non nei dettagli, alle volte oscuri, sulla questione di fondo, perché i termini da Proclo riportati come democritei hanno l'aria di essere autentici e perché i confronti con il Cratilo platonico permettono la conclusione che la teoria apparteneva ad un periodo precedente alla redazione dell'opera. (È probabile che il dialogo contenga delle allusioni ad aspetti della teoria atomistica, cfr. supra, sez. 15.) La questione di fondo è data dal riconoscimento che c’è una discrepanza fra linguaggio e cose (più esattamente tipi di cose), per la quale ci sono sia più nomi per una stessa cosa sia più cose per uno stesso nome. Va infine notato che la seconda ragione, data dal riconoscimento dell'esistenza di più nomi per una stessa cosa, nel passo di Proclo non è espressamente connessa all'esistenza di una pluralità di lingue, ma che essa è compatibile con tale constatazione, che viene fatta nel testo di Diodoro. Tornando a 129.2, c’è da osservare preliminarmente che il testo è tratto da un commento di Damascio, non di Olimpiodoro, come viene riportato in Diels e Kranz 79 . Quanto al suo contenuto, esso può essere giudicato attendibile solo qualora si intenda la menzione delle "immagini (agalmata) parlanti degli dei" come un riferimento agli 'idoli' che sono visti da Democrito come fonte delle nostre credenze religiose, supponendo dunque che l’Abderita venga richiamato esclusivamente per avere usato l’espressione ‘immagini parlanti’ o qualche espressione simile a questa. (Si ricorderà che alcuni di quegli ‘idoli’ erano presentati come figure dotate di tratti vitali come il parlare.) Riguardo alla teoria dei nomi, Damascio parlerebbe della posizione di coloro che (come risulta anche dall’esposizione di Proclo) trattavano i nomi come una sorta di ‘immagini (agalmata)’, proponendo un accostamento piuttosto improprio con gli ‘idoli’ democritei. In base a questa interpretazione, allora, il passo si limiterebbe alla citazione di un’espressione democritea, la quale andrebbe associata ai passi del gruppo 112 concernenti gli ‘idoli’ coincidenti con entità ritenute divine o provenienti da esse. Se invece si suppone (come evidentemente aveva fatto il Diels nell’includere il passo nella sua raccolta accompagnandolo con una citazione di Ierocle ed un riferimento alla testimonianza di Proclo, e come pare avere fatto la maggioranza degli studiosi) che il passo di Damascio esponga la posizione di Democrito circa il rapporto dei nomi con gli oggetti designati (in generale o con limitazione ad una classe di nomi), quasi certamente 79
Cfr. L.G. Westerink, Damascius: Lectures on the Philebus wrongly attributed to Olympiodorus, Amsterdam 1959.
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deve trattarsi di un serio travisamento di questo autore, data l’incompatibilità (sopra rilevata) con la testimonianza di Proclo. All’Abderita verrebbe infatti attribuita una tesi che è propria dei Neoplatonici 80 , a meno che non si tratti di un altro Democrito, aderente al platonismo (cfr. Westerink, op. cit., p. 15, nota ad loc.). Ho omesso il brano di Ierocle, In aureum Pythagoreorum carmen 25, che viene riportato anch'esso da Diels e Kranz sotto B 142, evidentemente ad illustrazione dell'altro passo (anche se manca un "vgl."), perché il testo 81 è esplicitamente e totalmente neoplatonico. 28. Etica e politica (parte XIV) Un primo gruppo di passi è prevalentemente di carattere dossografico ed è centrato sulla questione del fine ultimo in etica. In testa al gruppo è collocata una testimonianza di Stobeo che risale ad Ario Didimo (per dettagli cfr. Introduzione). Il tema è costituito esplicitamente dalla definizione del fine ultimo in etica. Viene proposto un parallelo fra Democrito e Platone perché, in generale, essi pongono la felicità nell’anima e, più specificatamente, la fanno consistere in un atteggiamento appropriato verso i piaceri che dipende dalla capacità di definirli e discriminarli. Viene però ammesso che il parallelo non è completo, perché per Platone risiede proprio nella buona condizione di questa facoltà calcolatrice. Quest’ultima ammissione risulta da un’integrazione del passo, dovuta a Meineke, che, anche se non del tutto adeguata, rimane la più plausibile perché pare andare nella direzione giusta. (Vedi n. 1047 ad loc., dove escludo la traduzione ed interpretazione della Annas, la quale ritiene che Ario Didimo proponga un parallelo completo fra Democrito e Platone.) Sullo stesso tema c’è un passo di Clemente (132.1) che offre una rassegna delle posizioni degli Abderiti, a partire da Democrito, con una citazione che è affine ad una dovuta a Stobeo (132.2), salvo che il testo citato presenta un guasto (vedi n. 1048 ad loc.). Il successivo passo di Epifanio (132.3) non è limitato all’etica, ma contiene una presentazione rapida e generale di questo aspetto del suo pensiero che pare dipendere da un’estensione indebita a questo campo delle riserve che Democrito ha circa l’oggettività della conoscenza. Teodoreto, nella sua testimonianza (132.4), accosta la posizione di Democrito a quella di Epicuro, supponendo che la tranquillità d’animo sia solo un altro nome per il piacere; la testimonianza è in contrasto con quella di Diogene Laerzio IX 45 (= 4.1) (passo ripreso in Suda [= 132.5]), il quale rifiuta espressamente quell’equivalenza come dovuta al fraintendimento di ‘alcuni’. I successivi passi di Seneca (133.1) e di Cicerone (133.2 e 133.3) concernono tutti il motivo del buon animo (euthumia). Il passo del primo autore contiene dei chiarimenti non solo circa la condizione del buon animo ma anche circa lo stadio della propria vita in cui perseguirla, ma si può dubitare che questi altri chiarimenti abbiano qualche base in Democrito. Il passo è però significativo anche perché (come è già stato segnalato nell’Introduzione) esso contiene un riferimento esplicito ad un libro di Democrito sullo stesso tema del quale Seneca si occupa nel suo De tranquillitate animi. (L’omissione di questo passo nelle raccolte di Diels e Kranz e di Luria costituisce una notevole lacuna.) A sua volta Cicerone, oltre a toccare lo stesso motivo (in 133.2 e in 113.3), offre (nel 80
Si veda sulla questione M. Hirschle, Sprachphilosophie und Namenmagie im Neuplatonismus, Meisenheim am Glan 1979. 81 Che viene riportato per esteso da Hirschle, op. cit., p. 52, n. 55.
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secondo passo) alcune indicazioni circa l’approccio perseguito da Democrito in etica. Strabone (133.4) conferma la testimonianza di Cicerone (in 133.3) e di altri (cfr. 132.1) che Democrito aveva chiamato quella condizione anche athambia. Un terzo gruppo di passi è costituito da citazioni concernenti la superiorità della anima sul corpo, in quanto è la sede dei beni più grandi, per cui ci si deve occupare soprattutto di essa (cfr. 134.1-5). Sempre sul rapporto fra anima e corpo sono le testimonianze sulla responsabilità dell’una e dell’altro riguardo a quanto di male si fa o si subisce (e, presumibilmente, anche a quanto di bene si fa o si subisce). Le prime due testimonianze sono di Plutarco (135.1 e 135.2), e in queste la posizione di Democrito, il quale (usando la metafora giudiziaria) afferma la prevalente responsabilità dell’anima, viene opposta alla posizione (apparentemente di tipo platonizzante) di Teofrasto che afferma invece la prevalente responsabilità del corpo. Un richiamo palese a questo motivo si trova anche in Diogene di Enoanda (135.2.1), adattandolo (nel contesto, peraltro lacunoso) alla prospettiva epicurea (senza fare il nome di Democrito nel passo che ci è rimasto). Se è accettabile intendere il greco diadikas…a adottato in 135.1 nel senso non tecnico di controversia o disputa giudiziaria (come suggerisco in n. 1060 ad loc.), c’è da presumere che esso sia stato usato nel passo, forse seguendo Democrito, in ogni caso per indicare che egli voleva suggerire che fra l’anima e il corpo si era svolta una disputa alla pari (anche se viene suggerito che l’azione giudiziaria era stata promossa dal corpo) perché ciascuna delle due parti aveva rivolto delle accuse all’altra. Una disputa dello stesso tipo è illustrata anche nella testimonianza di Galeno, De medica experientia XV (= 60.3), a meno che non si tratti di due momenti di una stessa disputa (l’intelligenza potrebbe essere stata associata all’anima e i sensi al corpo), perché deve essere tramite l’intelligenza che Democrito era supposto ‘screditare i fenomeni’ (altrimenti una replica dei sensi all’intelligenza che tenterebbe di abbatterli non avrebbe giustificazione), sicché deve essere stato in gioco uno scambio (con accuse e repliche da entrambe le parti) fra intelligenza e sensi. Nella testimonianza di Plutarco non viene illustrato lo scambio fra anima e corpo nel corso della controversia, ma quello che deve essere stato il commento che Democrito faceva in prima persona, prendendo le parti del corpo nel caso (ovviamente anch’esso immaginario) che egli avesse potuto fungere da giudice nella controversia. Viene aggiunto che Teofrasto invece, nella stessa posizione, avrebbe dato ragione all’anima. Questa aggiunta è ovviamente un anacronismo rispetto a quanto poteva avere scritto Democrito, ma è significativa non solo perché tende a confermare che la disputa era alla pari, sicché il giudice era in grado di dare ragione all’una o all’altra parte (e non semplicemente assolvere o condannare una delle due parti), ma anche perché potrebbe indicare che è appunto Teofrasto a costituire la fonte di Plutarco, in quanto è proprio lui che potrebbe essersi richiamato a Democrito per esprimere il suo dissenso dall’atteggiamento assunto dall’Abderita. Dello stesso gruppo fa parte il passo plutarcheo appartenente allo scritto Animine an corporis affectiones sint peiores (cfr. 135.3): ritengo che esso contenga dei motivi democritei non soltanto nel pezzo in cui Democrito viene menzionato espressamente. Può in effetti essere democriteo il richiamo ad Omero all’inizio del passo, ed è quasi certamente democritea (come suggerisce il parallelo con gli altri passi plutarchei) l’idea di un ‘agone’ (che pare essere giudiziario, com’è suggerito dalla parabola di Esopo menzionata subito dopo) fra anima e corpo. Una ovvia conferma è data dal richiamo al
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motivo del buon animo (euthumia). Quanto al motivo dell’anima come scrigno o tesoro (sia del bene che del male) che compare alla fine del passo plutarcheo, esso compare anche, possibilmente come riecheggiamento del passo democriteo cui fa riferimento Plutarco, in alcuni florilegi (riporto la testimonianza come 135.3.1). Lo stesso motivo compare ugualmente, con qualche variazione, all’inizio del cap. 14 del De tranquillitate animi di Plutarco, con l’inclusione (secondo uno stile che può essere democriteo) di una citazione di Omero. Anche il resto di quest’altro passo è di tenore democriteo, sebbene il nome di Democrito non venga fatto. Per queste ragioni, e per l’appartenenza del passo ad un’opera il cui tema si ispira a quello dell’opera democritea, mi è parso opportuno riportare il passo come 135.4. Seguono, sul tema principale del rapporto fra anima e corpo, un passo democriteo citato da Stobeo (135.5) ed un passo epicureo che pare ispirarsi a Democrito (135.6): entrambi suggeriscono che non è il corpo ad essere la principale fonte del male. Il parallelo, corrente nella filosofia ellenistica, ma ben presente anche in Platone, fra filosofia come cura dell’anima e medicina come cura del corpo, pare essere già stato proposto da Democrito, parlando invero di sapienza (sophia), come risulta da Clemente (136.1), che fa il nome dell’Abderita, e dall’inizio della lettera 23 appartenente all’epistolario pseudoippocratico, della quale egli sarebbe stato l’autore (136.1.1). Quanto al seguito della lettera, essa pretende di offrire tutta una sintesi dello scritto Sulla natura dell’uomo, ma, come ho già indicato sopra (sez. 2 e n. 7), riporta nel suo complesso materiale successivo. La tesi che la ‘sapienza libera l’anima dalle affezioni (pathe)’ non deve essere di tenore stoico, perché le affezioni o passioni possono essere intese come emozioni estreme, le quali sono certamente da superare per Democrito. (Peraltro Kahn, in “American Journal of Philology” 106, 1985, p. 14, n. 32, esclude che la formulazione possa essere di Democrito, perché questi non era ancora pervenuto ad una categorizzazione delle passioni od emozioni in generale.) Cito anche un passo epicureo che mostra una ripresa del motivo (136.1.2). Infine cito un passo democriteo in qualche modo connesso, perché fa dipendere la salute, in primo luogo dell’anima, da noi stessi (è riportato da Stobeo, cfr. 136.2). Il primo passo del gruppo successivo è costituito da quella che è la citazione più estesa, e per vari aspetti più significativa, che ci è rimasta di quanto Democrito ha scritto nel campo dell’etica, e che presumibilmente (data la centralità assegnata in questo passo all’obbiettivo del ‘buon animo’) risale al Perì euthumies. In esso compare il motivo, presente anche nella dossografia (cfr. 131), dell’equilibrio (summetrie) ovvero dell’evitare eccessi, inoltre compaiono i motivi, presenti anche in altri passi, del sapersi contentare di ciò di cui si dispone e del guardare a chi sta peggio di noi. Hanno affinità con questo passo uno di Lucrezio (137.1.1), uno dello stesso Democrito che compare nella raccolta di Stobeo (137.2), ed uno di Plutarco, De tranquillitate animi, cap. 12 (137.3), che potrebbe contenere una libera riformulazione di qualcosa che era stato detto da Democrito. I passi dei gruppi seguenti sono citazioni e vertono sui temi suggeriti dai titoli da me adottati, e cioè saggezza e stoltezza per il gruppo 138, l’atteggiamento da tenere verso il piacere per i gruppi 139-141 (si è visto che l’importanza riconosciuta al tema risulta anche dalla dossografia). Va osservato che 138.2 riecheggia un detto eracliteo, da me riportato in nota 1092 (caso parallelo: 170.2 rispetto al fr. 40 [citato in n. 1217]; forse anche 163.4 è di ispirazione eraclitea, cfr. n. 1199 ad loc.). 138.12 introduce un’antici-
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pazione del motivo del cosmopolitismo, che diventerà corrente solo in un periodo successivo, e questa è una ragione, accanto alla forma ritmica che presenta (cfr. n. 1098 per discussione), per la quale si è dubitato della sua autenticità. Tuttavia nel passo non si parla ancora di una ‘cittadinanza del mondo’ ad esclusione di ogni cittadinanza relativa ad una data polis, e, in generale, il suo tenore non è tale da renderlo anacronistico 82 . Il passo tratto dal plutarcheo De profectibus in virtute, cap. 10 (142.1), contiene una espressione, dichiarata essere di Democrito, che viene fatta valere per chi coltiva veramente la virtù anziché curarsi dell’apparenza. Per rendere evidente che il soggetto del discorso fatto da Plutarco è questo, ho citato anche l’inizio del capitolo, anche se è poco probabile che la descrizione che qui viene data di questa persona dipenda in qualche modo da Democrito. D’altra parte è facile che tutto il brano che costituisce il contesto della citazione sia di tenore democriteo (non solo il brano “mostra la ragione ecc.”, come assume Diels, seguito da quasi tutti gli interpreti e traduttori), perché il motivo in esso contenuto del contemplare le azioni belle è attestato anche dai passi democritei che cito di seguito a questo (cfr. 142.2-4). I passi dei due gruppi successivi (143-144) introducono temi come quello della moderazione che risultano essere stati toccati da Democrito anche in altri testi. Nel caso del passo 143.2 si pone il problema se si tratta di una sentenza unica o, come pare più probabile, di una combinazione di sentenze inizialmente distinte (ciò è suggerito dalla loro comparsa come sentenze distinte altrove nella raccolta di Stobeo, cfr. n. 1113 al passo). Va osservato che lo stesso problema si pone nel caso di 134.3, 145.2, 146.3, 163.4 + 163.5 (successione della raccolta di ‘Democrate’), e forse anche nel caso di 138.12, 143.3, 146.1, 146.2, 159.2, 171.3, 183.2. Questo fatto mostra che (come ho rilevato nell’Introduzione) la convinzione espressa da più studiosi, che le sentenze brevi sono il risultato di un’abbreviazione di sentenze più lunghe, è forse solo un pregiudizio. I due passi del gruppo 145 sono assai significativi, perché contengono il suggerimento che bene e male dipendono dall'uso di quanto disponiamo e dal dominio che abbiamo sulle circostanze esteriori; quelli del gruppo 146 sono concentrati sulla questione dell’atteggiamento da tenere nei confronti delle ricchezze e trovano qualche eco in Epicuro (cfr. 146.3.1 e 146.3.2); quelli del gruppo 147 concernono il ruolo della fortuna nella vita umana; quelli del gruppo 148 concernono il rapporto che gli dei hanno con gli uomini, a partire evidentemente da una concezione tradizionale della divinità (a prescindere cioè da quanto viene detto altrove circa l’origine delle credenze religiose). La sentenza 147.1 è una citazione che probabilmente va vista come una variante della citazione contenuta in 0.5.5, ma senza che una delle due formulazioni renda superflua l’altra (cfr. supra, sez. 1, con n. 94 a quel passo e n. 1131 ad 147.1). I passi del gruppo 149 (tutte citazioni salvo una testimonianza di Porfirio) concernono l’atteggiamento che si deve avere verso la vita, quelli del gruppo 150, tutti consistenti in testimonianze di Plutarco contenenti una citazione democritea, forse suggeriscono l’idea che bisogna rinnovarsi ogni giorno (“avendo pensieri nuovi col giorno”), quelli del gruppo 151 concernono l’atteggiamento che si deve avere di fronte alla morte, infine quelli del gruppo 152 introducono il motivo del ‘fare tante cose’. Di questi 151.6 è significativo perché, all’assenza di consapevolezza che certi uomini hanno del fatto che la nostra natura mortale è destinata a dissoluzione, associa 82
Così anche H.C. Baldry, The Unity of Mankind in Greek Thought, Cambridge 1965, pp. 58-59.
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l’inventare racconti (“miti”) riguardanti l’al di là, introducendo dunque motivi che sono sviluppati dagli Epicurei. Le due testimonianze appartenenti al De morte di Filodemo (151.7 e 151.8) sono di difficile interpretazione per i guasti presentati dal testo e la lacunosità del contesto (vedi note ai passi), ma paiono riguardare l’incapacità della maggior parte degli uomini ad accettare l’idea della morte. (Un terzo passo, che segue da vicino il primo, e che da alcuni studiosi è ritenuto riguardare Democrito anche se il suo nome non viene fatto, è citato con commento in n. 1148 ad loc.) Riguardo al gruppo 152, il motivo in essi introdotto dell’evitare di ‘fare tante cose’ è bene attestato per Democrito, sia nei frammenti che nelle testimonianze, e trova vari riecheggiamenti nell’antichità, anche fra gli Epicurei (come mostra il passo 152.5.2 di Diogene di Enoanda). Quanto al suo significato, c’è da supporre che il ‘fare tante cose’ abbia il senso negativo che è suggerito dalle testimonianze di Seneca nel suo De tranquillitate animi (cfr. 152.3 e 152.4, con n. 1150 ad 152.1) 83 . Tuttavia un problema è suscitato dalla testimonianza di Plutarco nella sua opera dallo stesso titolo (cfr. 152.2), perché essa, nel prenderlo come un invito all’inattività, è in contrasto sia con le altre testimonianze sia con il tenore generale dell’etica democritea, la quale comprende fra l’altro un elogio del faticare (cfr. 169). Il contrasto è perfino con un’altra testimonianza dello stesso Plutarco (cfr. n. 1154 ad loc.). È però probabile che questo autore, il quale non fa espressamente il nome di Democrito, intenda polemizzare con l’impiego che del motivo era stato fatto, a suo avviso, dagli Epicurei, piuttosto che voler criticare direttamente l’Abderita 84 . Nel caso dell’altra testimonianza di Seneca sul tema, quella del suo De ira (cfr. 152.4), ho riportato piuttosto estesamente il contesto del passo perché mi pare che riecheggi motivi democritei, anche se probabilmente adattati dall’autore al punto di vista che lo interessa di più: quello dell’evitare l’ira. Un’altra questione che si pone è se il motivo dell’evitare di ‘fare tante cose’ compariva all’inizio dell’opera Perì euthumies, come pare voler suggerire Seneca nella sua testimonianza in De tranquillitate animi (152.3) (il testo purtroppo non è sicuro, cfr. n. 1155 ad loc.). Se il passo è inteso giustamente e la testimonianza di Seneca è attendibile, si può ipotizzare che nell’originale seguisse subito (per dare sostanza al precetto) una descrizione della condizione di chi è preso dal fare molte cose (qual è quella offerta in 152.4), alla quale opporre la condizione della tranquillità dell’animo della quale si parla in passi come 137. Con i passi del gruppo 153 si passa alla questione dell’atteggiamento che si deve tenere di fronte alla cosa pubblica. Che Democrito fosse favorevole all’impegno politico – di contro alla posizione adottata dagli Epicurei – è attestato da Plutarco in due passi (153.1 e 153.1.1), nei quali è presente anche una citazione democritea (questa compare anche in alcuni florilegi bizantini, cfr. 153.1.2-3). Il motivo dell’evitare il ‘piacere ai
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Sulla questione si vedano anche Philippson, Demokrits Sittensprüche, pp. 386-389, e il commento di Luria, Democritea, ad 737. 84 Anche se nei dettagli il tentativo di Siefert, in Plutarchs Schrift perˆ eÙqum…aj, pp. 9-10, di eliminare la contraddizione può essere discusso, credo che egli abbia ragione nel sostenere che il vero obbiettivo polemico di Plutarco (come mostra non solo il passo parallelo, da lui citato, di Non posse suaviter vivi secundum Epicurum, cap. 17, ma anche quello di De tuenda sanitate praecepta, cap. 23, 135B-E) sia qualcuno degli Epicurei, anche se non è chiaro se il detto democriteo venga associato alla posizione epicurea per una svista o per il fatto che era stato usato, contro le intenzioni dello stesso Democrito, a difesa del precetto epicureo del 'vivere nascostamente'.
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vicini’ (attribuito a Democrito anche da Filodemo, cfr. 153.2.1 85 ) è per contro inteso da Plutarco come un rifiuto della reputazione che viene dalla partecipazione agli affari pubblici, ma non è chiaro se il suo senso era veramente questo. I passi del gruppo 154 sono indubbiamente significativi per il modo in cui sono toccati temi come quello della concordia nei rapporti fra concittadini, della giustizia nei rapporti fra cittadini e governanti, e per la valutazione positiva della democrazia come regime politico che traspare in uno di essi (154.4). Nei passi del gruppo 155 Democrito pare per un verso mettere in rilievo la necessità della legge (nomos) e la sua utilità, per un altro verso anche la limitazione della sua efficacia. Non c’è niente che faccia pensare che questa riflessione sul nomos abbia qualche connessione con l’uso di questo termine in campo epistemologico e/o rifletta l’adesione ad una forma di contrattualismo. I passi del gruppo 156 sul tema del comandare e dell’ubbidire in un contesto politico contengono indicazioni piuttosto ovvie. I passi dei gruppi 157 e 158 su questioni di giustizia ed ingiustizia sono di tenore piuttosto rigorista; quelli del gruppo 158 sono singolari per l’attenzione rivolta agli animali, attribuendo a certi di essi la capacità di essere ingiusti, e per la disponibilità ad estendere agli uomini quanto viene fatto valere per gli animali. In alcuni di questi passi, come è stato rilevato da più studiosi 86 , viene fatto uso di un linguaggio prossimo a quello giuridico. Il tema del dover provare più vergogna di fronte a se stesso che di fronte ad altri è bene attestato (cfr. 159.1-3) e costituisce una assai significativa novità, anche se è da porsi in relazione alla preoccupazione, presente sia nello stesso Democrito (cfr. 155.3, 148.3) sia in altri autori del tempo (Antifonte, Crizia, Platone [specialm. Resp. II], ecc.), del poter fare il male nascostamente dagli altri. Sulla stessa linea è l’importanza attribuita all’intenzione nel valutare il comportamento degli uomini (cfr. 160.1-3). I passi del gruppo 161 concernono l’errore e il pentimento, quelli del gruppo 162 hanno il carattere di prescrizioni (queste sono piuttosto varie, sicché non si può assumere che vengano da un’unica opera). I passi del gruppo 163 si fondano su di una disgiunzione fra discorsi (logoi) e azioni (erga, praxeis) che è del tutto corrente nella cultura del tempo; quelli dei due gruppi successivi sviluppano il tema dell’atteggiamento che si deve avere nei confronti dei discorsi. Sono incluse due testimonianze (164.6 di Plutarco e 164.6.1 di Clemente Alessandrino) circa l’uso da parte di Democrito dell’espressione ‘attaccabrighe e tortuosi’, ma purtroppo non è chiaro a chi egli l’applicasse. (Sull’improbabilità che la testimonianza di Strabone in Geographica I 4, 7 [= 187.5] introduca lo stesso motivo si veda infra, sez. 29, nel commentare il passo.) I passi dei gruppi 166 e 167 sono sul tema del male (come si genera, come va evitato, ecc.) e sono tutti sentenze democritee, salvo quello di Filodemo (166.2) che contiene una citazione il cui contesto non è più accertabile (non è detto che la precedente citazione di Omero abbia anch’essa a che fare con Democrito, nonostante il suo interesse per quell’autore). Quelli del gruppo 168 sono sul tema dell’avarizia, e sono significativi non tanto per il contenuto quanto per lo stile immaginoso con cui viene presentata la condizione degli avari. 85
Ma il testo non è esente da incertezze (cfr. n. 1165 ad loc.). Cfr. Natorp, Ethika, p. 63; Friedländer, “Hermes” 48, 1913, pp. 612 sgg.; Luria, Democritea, commento ad 623. 86
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I passi dei gruppi successivi (da me raccolti sotto l’etichetta “principi e osservazioni di vita”) sono piuttosto svariati. Quelli del gruppo 169 sono significativi per l’apprezzamento che Democrito mostra per la fatica (ponos), anche se non è chiaro se questo apprezzamento si estenda al lavoro manuale. Quelli del gruppo 170 sono centrati sul motivo (già presente in Eraclito, cfr. n. 1217) che sapere tante cose non implica intelligenza. Quelli del gruppi 171 sono sul tema dell’insegnamento e dell’educazione ovvero della cultura. Il motivo (suggerito da 171.1) che l’insegnamento produce nell’uomo qualcosa come una seconda natura evidentemente era ben noto, perché è introdotto anche nelle testimonianze di Clemente e di Teodoreto (171.1.1 e 171.1.2). Affini a questi sono quelli del gruppo 172. Riguardo a 172.1, sull’attenzione da rivolgere ai fanciulli, la sua autenticità è contestata da Burchard, Fragmente der Moral, p. 55, seguito da Mullach, perché il passo sarebbe poco conciliabile con quanto detto circa l’acquisizione e l’allevamento dei figli sotto 181 (vedi oltre), ma (a) la posizione di Democrito non è così rigida: prospetta anche la loro adozione, e (b) in quegli altri passi potrebbe rivolgersi soprattutto ai sapienti, come suggerisce Luria nel suo commento, comunque non sempre agli stessi destinatari. I passi del gruppo 173 contengono osservazioni varie e non presentano molta unità. Quelli dei gruppi da 174 a 178 toccano i rapporti fra le persone considerati soprattutto alla luce del tipo di azione che è in gioco ovvero delle loro motivazioni (l’invidia, l’amore, ecc.), mentre quelli dei gruppi da 179 a 183 toccano i rapporti fra le persone considerati a seconda delle categorie delle persone coinvolte (gli amici, le donne, i figli e la famiglia, giovani e vecchi). Questi includono due testimonianze (di Clemente e di Teodoreto: 181.3 e 181.3.1, ma la seconda è solo una variante della prima) dalle quali risulta che Democrito sconsigliava il matrimonio e il fare figli, probabilmente però rivolgendosi ad una minoranza di persone; allo stesso tempo (come risulta da un passo suo: 182.1) consigliava di adottare figli altrui qualora non si volesse rinunciare ad essi. Il gruppo 184 raccoglie passi di almeno dubbia autenticità: 184.1 riporta l’introduzione alla raccolta che circola sotto il nome di “Democrate”, che potrebbe essere stata redatta ad hoc da colui che l’aveva messa insieme; gli altri sono dubbi per le ragioni che sono addotte nelle note. Tuttavia Langerbeck, DOXIS EPIRHYSMIE, pp. 11-12, riprendendo uno spunto di Natorp, Die Ethika des Demokritos, p. 57, n. 5, suppone che quella introduzione fosse tratta, con qualche rimaneggiamento, dall’inizio dell’opera intitolata Sul valore di un uomo (Peri andragathias), perché in essa si parla di come si deve comportare l’uomo buono (aner agathos). Natorp in quel passo esprimeva una riserva, che però riguardava il titolo alternativo Sulla virtù che viene proposto per quell’opera nel catalogo di Diogene Laerzio (cfr. 0.6.1, titolo II.1). (Sulla questione si veda ora anche Gerlach, Gnomica Democritea, pp. 52-54.) 29. Testi vari (Parte XV) I gruppi dei testi 185 e 186 riportano i contributi all’astronomia descrittiva e di previsione. Riguardo alla testimonianza di Censorino (185.1) è sufficientemente chiaro, dal contesto del passo, che il ‘grande anno’ di cui si parla, oltre ad essere distinto dall’anno solare, è distinto anche dal ‘grande anno’ cosmico quale veniva riconosciuto per es. dagli Stoici, cioè il ciclo che intercorre fra un rivolgimento cosmico (come l’ekpyrosis) e un altro, e risulta da certi calcoli astronomici circa la coincidenza fra una
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successione di cicli solari ed una successione di cicli lunari, cioè è sul tipo di quello proposto dall’astronomo Eudosso oppure da Metone. Nel caso della testimonianza di Vitruvio sulle origini dello studio dei cieli (cfr. 185.4) c’è da osservare che, in questo capitolo, egli tiene distinta l’astronomia (astrologia) messa in atto dai Caldei da quella (sempre chiamata astrologia) messa in atto dagli astronomi (dei quali sono citati alcuni nomi) sulla base dei principi determinati da coloro che avevano indagato circa la natura: la prima concerne ‘la vita umana’, cioè i destini individuali degli uomini, e comporta l’elaborazione di oroscopi (si parla di genethialogiae ratio, formula tratta dal greco); la seconda comporta l’elaborazione di calendari astro-meteorologici (parapegmata, parola greca da lui usata espressamente in traslitterazione). Per questa distinzione si può vedere per esempio l’inizio dell’Adversus astrologos (Adv. math. V) di Sesto Empirico. C’è da osservare che Democrito in quella testimonianza è inserito fra i naturalisti i cui contributi hanno aperto la strada all’astronomia dei ‘parapegmata’, dunque è implicitamente escluso un suo rapporto con l’astronomia di tipo divinatorio (ovvero con quella che finirà con l’essere chiamata astrologia) 87 , ma non è collocato fra coloro che effettivamente avevano contributo alle previsioni che erano associate a quei calendari. Invece sia Giovanni Lorenzo Lidio (il cui scritto risale a circa il 540 d. C.) alla conclusione del calendario di Clodio sia Tolomeo alla conclusione della sua raccolta di effimeridi menzionano espressamente Democrito fra coloro che avevano contribuito a quelle previsioni (cfr. 185.6-7). In uno scolio ad Apollonio Rodio (cfr. 185.5) un suo contributo specifico è associato ad una sua opera intitolata Astronomia, ma naturalmente non è molto probabile che il suo autore avesse informazioni precise al proposito. I contributi dettagliati all’astronomia dei ‘parapegmata’ che sono fatti risalire a Democrito risultano dai passi del gruppo successivo. Buona parte delle previsioni a lui attribuite sono incluse in raccolte complessive piuttosto tarde (una di queste è dovuta a Tolomeo) insieme a previsioni attribuite ad altri autori come Eudosso, Ipparco e Callippo, basandosi su calendari come quello egizio e quello romano che ovviamente erano ignoti allo stesso Democrito. C’è da dubitare dell’attendibilità di queste informazioni di già per questo motivo, oltre che per il fatto che una opera sull’argomento è dovuta a Bolo, mentre resta la probabilità generale che Democrito avesse contribuito a questo campo. (Si veda anche quanto osservo al proposito nell’introduzione.) È vero peraltro che fra i calendari di Gemino e quello di Tolomeo ci sono delle corrispondenze nelle informazioni che sono attribuite a Democrito, come segue: c’è corrispondenza fra Gemino (la cui testimonianza su Democrito inizia con questa data) e Tolomeo per il 29 ottobre (salvo una piccola divergenza). Le altre coincidenze fra i due concernono le date del 10 dicembre, 4 gennaio, del 24 gennaio (in Tolomeo 20 e 24 gennaio paiono corrispondere in qualche modo a quest’unica data in Gemino), del 6 febbraio, del 24 febbraio, del 6 marzo (in Tolomeo 7 marzo), del 3 giugno e del 22 giugno. D’altra parte quanto troviamo in Lorenzo Lidio non ha alcun corrispettivo nelle altre due raccolte, ed entrambe contengono delle informazioni che non trovano corrispondenza nell’altra raccolta (in particolare Tolomeo inizia con le date 14 settembre, 26 settembre, e 5 87
Va ricordato che il termine greco ¢strolog…a inizialmente ha il senso di ‘astronomia’, e solo nel periodo ellenistico comincia ad assumere il senso del nostro ‘astrologia’, senza che il primo senso sia del tutto soppiantato. (Cfr. anche n. 68 ad 0.3.21.)
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ottobre, che non hanno un corrispettivo in Gemino). Quanto alle due testimonianze di Plinio (186.4 e 186.5) su previsioni fatte da Democrito, esse appartengono allo stesso contesto cui appartengono i due racconti, sicuramente falsi, che sono da lui fatti circa altre previsioni di Democrito (cfr. 0.4.13 e 0.4.14). La documentazione del gruppo successivo riguarda la geografia. Che Democrito si fosse occupato dell’argomento è sufficientemente ben attestato, come risulta dalla menzione di una sua opera con questo titolo nel catalogo di Trasillo e dalle testimonianze da me raccolte (e in parte trascurate da Diels e da Luria). L’informazione più sicura che abbiamo è quella che riguarda la forma della terra abitata (dell’”ecumene”) (cfr. 187.2 e 187.3). Due ulteriori testimonianze di Strabone concernono le discussioni che erano state condotte in geografia circa la suddivisione della terra abitata in continenti e altre parti. È abbastanza chiaro che Strabone, nel primo passo, ritiene che Democrito fosse stato criticato da Eratostene per non essersi attenuto ai dati di fatto, e che nel secondo passo rivolge lui la stessa critica ad Eratostene. Al di là di questo non pare possibile andare, perché non viene detto nulla della posizione che aveva adottato Democrito e anzi della disputa stessa sulla quale aveva preso posizione. Il primo passo è accostato da Natorp (fr. 109), da Diels (che si limita ad un riferimento) e da Luria ai passi di Plutarco e di Clemente nei quali Democrito aveva alluso ai discorsi di coloro che sono ‘attaccabrighe e tortuosi’ (cfr. 146.6, 146.6.1). L’accostamento però è possibile solo correggendo il testo di Strabone e trascurando il contesto complessivo (il secondo passo da me riportato è ignorato nelle altre raccolte). Non ha neppure il vantaggio di apportare chiarezza, perché non è detto in quale contesto egli avesse fatto quell’allusione. Le testimonianze successive concernono i contributi di Democrito alla medicina. Celso si limita ad attestare che egli era noto per essersene occupato, mentre le altre testimonianze (di Celio Aureliano, di Oribasio, e di Aulo Gellio) concernono suoi contributi specifici. Ho già osservato nell’Introduzione che, sebbene non si possa essere sicuri dell’attendibilità di queste testimonianze, trattarle tutte senz’altro come spurie (come fa Diels nella sua edizione) non è giustificato. Nel caso particolare del passo di Gellio (188.6) la supposizione del Diels (in DK) e di Wellmann (Georgika, p. 11) che il passo non sia autentico ed esprima la fiducia in effetti magici basati su simpatie e antipatie (donde la proposta del Diels di integrare il titolo mancante dell’opera democritea con Perˆ sumpaqeiîn [un’altra proposta è riportata in n. 1293 ad loc.]) si fonda sulla convinzione che nel testo, al § 3, si stia parlando non del lenimento al dolore degli spasmi che provoca il morso di vipera ma di una cura che renda il veleno innocuo. Sebbene le formulazioni usate da Gellio si prestino a questa seconda interpretazione, il tenore complessivo del passo suggerisce la prima, e non c’è ragione per ritenere che non possa risalire a Democrito un’osservazione giudicata credibile in modo generale da Teofrasto (come riportato nello stesso passo). Osservo infine che un passo di Stobeo (cioè 188.7) appartenente ai testi etici raccolti nel Florilegium è da me inserito in questa parte piuttosto che fra i testi di etica perché tocca una questione fisiologica. Quanto ai passi riguardanti i contributi all’agricoltura, il nome di Democrito è fatto in alcune rapide rassegne degli autori che se ne sono occupati dovute a Varrone (189.1), a Columella (189.3) e ad Isidoro (189.4); inoltre Columella allude a Democrito anche per il suo studio circa la natura universale delle cose, ritenuto avere conseguenze per l’agricoltura (189.2). È possibile (come suggerisce Diels a proposito di Columella, De
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re rustica I 1, 7 [= 189.3], cfr. 47B8) che gli autori successivi dipendano tutti da Varrone, il quale per parte sua deve dipendere da qualche fonte greca, ma essi potrebbero anche dipendere tutti direttamente da quest’altra fonte. Le testimonianze su specifici contributi di Democrito sono dovute allo stesso Columella e a Plinio. Con ogni probabilità la maggior parte di esse sono non attendibili, perché, come si è osservato (supra, sez. 2, e Introduzione), Plinio prende per genuine opere non democritee, e anche Columella, pur essendo più avvertito, è disposto a prendere per democriteo uno scritto Sulle simpatie e antipatie (cfr. 189.8), usandolo dichiaratamente come sua fonte. Sicuramente a tale scritto risale la pratica di tipo magico descritta in De re rustica IX 14, 6 (= 189.7) (cfr. n. 1298 ad loc.). In un altro caso, quello della pratica descritta in De re rustica VI 28 (= 189.9), si può essere sicuri che non risale a Democrito, perché Aristotele, in De generatione animalium IV 1, 765a3-11, 765a21-25 (passo da me incluso per riscontro, cfr. 189.9.1), attesta che si basa su di una posizione che era stata adottata da un certo Leofane, da tenere distinta dalla posizione adottata da Democrito. Rispetto a Columella, De re rustica XI 3, 2 (= 189.5), c’è un seguito immediato (cioè XI 3, 3), che ha come soggetto “vetustisimi auctores”, e che viene riportato da Luria, al nr. 809, come un’altra attestazione del genere. Ma dal fatto che Democrito, in XI 3, 61 (= 189.10), sia inserito fra i “veteres auctores”, non consegue che ci sia un riferimento a lui anche in quest’altro passo, perché nel passo da me accolto egli era stato menzionato per nome, sicché la qualifica vetustisimi nel seguito fa pensare ad un riferimento ad autori più antichi dello stesso Abderita. Fra i due passi non c’è in ogni caso la continuità che ci si aspetterebbe esserci se riguardassero lo stesso autore. 88 Infine, di particolare interesse è la testimonianza di Vitruvio (nel proemio al libro VII del suo De architectura [= 190.1]) che fa di Democrito uno di coloro che si erano occupati di prospettiva, in relazione alla scenografia teatrale. Il passo non è di facile interpretazione. Come aiuto alla sua comprensione ho citato alcuni altri testi che toccano il tema della prospettiva e della scenografia teatrale, uno dello stesso Vitruvio, uno di un anonimo e uno di Lucrezio (cfr. 190.1.1-1.3). Una questione controversa è che cosa Vitruvio avesse in mente, nel primo passo, nel dire: “una volta definito un punto determinato come centro”. E. Panofsky, Die Perspektive als symbolische Form, Leipzig 1927 89 , al quale si deve la prima discussione approfon-dita della questione, supponeva che il cerchio immaginario da tracciare avesse l’occhio dell’osservatore come suo centro (che si tratti del centro di un cerchio è reso chiaro da De architectura I 2, 2 [= 190.1.1]). Sono state però fatte altre supposizioni, apparente-mente più plausibili. Per un’ampia e buona discussione posso solo rinviare al libro di A. Rouveret, Histoire et imaginaire de la peinture ancienne, Roma 1989, cap. II. Su altri pretesi contributi di Democrito alle arti c’è una presa di posizione negativa di Seneca nei confronti di Posidonio, che gli avrebbe attribuito un’invenzione nel campo dell’architettura; tuttavia lo stesso Seneca sembra attribuire all’Abderita pratiche
88
La pertinenza del passo di Columella, insieme a quella di Geoponica V 44, 6, che da esso dipende, era già stata contestata da W. Gemoll, Untersuchungen über die Quellen … der Geoponica, pp. 126-27. Entrambi i passi sono inclusi da Wellmann nella sua raccolta (in appendice ai Georgika des Demokritos) come fr. 8. 89 In trad. it.: La prospettiva come „forma simbolica“ e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1966 [1961], specialm. pp. 43-45.
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prossime a quelle magiche, a meno che la sua affermazione non sia da prendere sul serio (cfr. 190.2). Il gruppo successivo di testimonianze (gruppo D, 191) contiene etimologie ed delucidazioni di parole dovute a Democrito. C’è solo da segnalare che le prime cinque riguardano l’aggettivo ‘tritogenea’ attribuito ad Atena, ed hanno un evidente rapporto col titolo I.4 nel catalogo di Trasillo. Quanto all’ultima testimonianza del gruppo, quella di Damascio (cfr. 191.16), essa comporta palesemente qualche fraintendimento (cfr. n. 1320 ad loc.). Uno scolio ad Apollonio Rodio III, v. 533, attestante l'uso linguistico, “fino ai tempi di Democrito”, di chiamare “tiri all'in giù” (kaqairšseij) le eclissi di luna e di sole (per via dell'attribuzione ai maghi e alle streghe del potere di tirare all'in giù tali astri 90 ), viene riportato da Diels come fr. 161 (e da Luria come fr. 577), ma esso non deve riguardare Democrito stesso. Il gruppo successivo di testimonianze (gruppo E, 192) contiene delucidazioni altrui (tutte tratte da Esichio) di parole usate da Democrito e non presenta problemi. Infine ci sono alcune citazioni fuori contesto, che presentano qualche problema segnalato in nota. Alla testimonianza del passo di Plutarco (cfr. 193.2.2) viene accostata, nell’edizione di Diels e Kranz (con l’indicazione vgl.) l'attestazione di Teofrasto (o pseudo-T.), De signis 49 (= 193.2.2.2), che il litigare dei maiali e il loro avvoltolarsi nel fango era visto popolarmente dappertutto come un segno di tempesta. Ma questa attestazione stessa, se valida (viene adottata una correzione del testo, cfr. n. 1324 ad loc.), conferma quello che è comunque probabile, cioè che Plutarco si richiami a Democrito esclusivamente per quella espressione, non per avere attribuito un valore di previsione a quel comportamento dei maiali. Includo infine l’unico passo di un’opera di Epicuro (tratto dal suo De natura) che, per quanto ci è noto, contenga la menzione espressa del nome di Democrito, ma purtroppo esso è troppo frammentario per trarre indicazioni circa l’atteggiamento del filosofo ateniese nei confronti del suo predecessore (cfr. 193.3). In appendice riporto tre testi di scarsa o nulla attendibilità. Il primo di questi (7.3) è il testo di un autore arabo (segnalato e tradotto in tedesco da Strohmaier in “Philologus” 112) che riprende il noto motivo del pulviscolo atmosferico, ma con qualche sviluppo (tale pulviscolo si forma a grattarsi la pelle!) che ha l’aria di essere un’invenzione tarda, seppure influenzata dall’altro noto motivo delle pellicole che si staccano dai corpi. Il secondo di questi (110.9) è un frammento di Diogene di Enoanda sul tema dei sogni che è da porsi in relazione alle altre sue testimonianze sul tema (cfr. 110.6 e 110.7). Per questo fatto come per ragioni di contenuto diversi studiosi hanno ritenuto che sia un passo che espone la posizione di Democrito. Tuttavia, mentre in quegli altri passi il nome di Democrito risulta con tutta evidenza (nel caso di 110.6) o con una restituzione minima (nel caso di 110.7), in questo caso esso deve essere introdotto completamente, perché non c’è la minima traccia che lo conservi. Quanto alla ragioni di contenuto, c’è stato a mio avviso un fraintendimento della dottrina democritea circa gli ‘idoli’: la tesi che i sogni siano ‘inviati dal dio’ è del tutto tradizionale e non ha a che fare con gli ‘idoli’ nel senso propriamente democriteo. (Per più dettagli si vedano le mie note al passo e supra, sez. 25.) Il terzo passo (112.7) è una testimonianza tarda che ha tutta l’aria di essere poco attendibile, perché propone un’assimilazione degli ‘idoli’ demo90
Cfr. comm. di E.Dodds al Gorgia, 513a5-6, p. 350.
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critei ai demoni. Di questi passi solo il terzo era noto al Diels e viene da lui incluso nella sua raccolta (seguito da Luria) senza apparentemente esprimere riserve circa la sua attendibilità.
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QUADRO SINOTTICO DEI PRINCIPALI TERMINI E CONCETTI O ARGOMENTI DEL PRIMO ATOMISMO * A. Su metodo ecc. dei primi atomisti I. Sul metodo di Democrito (e di Leucippo) cfr. I.1-2 su ’un approccio predialettico’ L’attenzione di Leucippo per i fenomeni sensibili lo distanzia dall’eleatismo (implicitamente ciò vale anche per Democrito): Arist. GC I 8, 325a23 sgg. (= 15.1) L’approccio di Democrito in fisica, rispetto all’indagare ‘in modo logico’ di Platone: Arist. GC I 2, 316a10-14 (= 24.3); rispetto a quello degli altri ’fisici’ (ma anche di Platone): Arist. GC I 2, 315a32 sgg. (= 50.2); accostato a quello dei Pitagorici o di Platone per la riconduzione al semplice o elementare: Simplicio, Cael. 564.24-565.2, 565.22-28, 641.1-9, 576.10-19 (= 47.1, 47.1.1, 47.2, 47.3); Plut. De primo frigido 948A-B e C (= 47.4). Rifiuto della ‘dimostrazione’: Sesto AM VIII 327 (= 60.4). L’approccio di Democrito in matematica: Archimede, Methodus 429.21-430.9 (= 27.2) Sulle pretese di universalità da parte di Democrito: ‘Io parlo di tutto’: Sesto AM VII 265 (= 2.1); Cicer. Ac. pr. II 73 (= 61.2); allusione in Clem. Strom. I xv, 69, 4 (= 0.3.22); donde ricostruzione in 0.5.1. Dem. ‘che di tutto ebbe conoscenza’: epigramma di D.L. in IX 43 (= 0.2.1), ‘uomo di molta esperienza’: Agatemero, Geogr. I 1, 2 (= 187.2). Il suo enciclopedismo ovvero l’essere ‘pentatleta’: D.L. IX 37 (= 0.2.1); Suda s.v. (= 0.2.1.1). Democrito fisiologo ‘Interprete della natura e del mondo’: Lettera pseudoippocratica XX (= 0.5.2). Esperto dello studio del cielo e della natura umana: Ps.-Galeno, An animal sit (= 93.2.3). Il più grande fisiologo, superiore a tutti per varietà di interessi: Filodemo, Mus. IV 23 (= 127.2). Subtilissimus antiquorum omnium: Seneca, Nat. quaest. VII 3, 2 (= 85.11). Importanza attribuita alla ricerca delle cause: Euseb. PE XIV 27, 4 (= 0.5.5) Pretesa di addurre le cause di tutti i fenomeni: Plut. QC I 10, 2 (= 0.5.6); Eliano, Nat. anim. VI 60 (= 96.8) Razionalismo (rifiuto di spiegazioni magiche ecc.): Luciano, Philops. 32 e Alexander 17 e 50 (= 0.5.9 e 0.5.10); Apuleio, Apol. 27 (= 0.5.11) Tradizionalismo Contributi a questioni omeriche, cfr. 130.1-3 Suoi richiami ad Omero a proposito degli ‘idoli’: Ps.-Plutarco, Vita Homeri, 150 (= 110.1.2); Eustazio, In Odisseam IV, vv. 795 sgg. (= 110.1.3); Eustazio, In Iliadem XXIII, v. 72 (= 110.1.4). *
Questo quadro sinottico è complementare all’indice generale, non sostitutivo di esso. In certi casi faccio comunque dei riferimenti a testi identificabili mediante l’indice generale; questi riferimenti, salvo espressa indicazione diversa, riguardano sempre i testi relativi alla dottrina. Non considero i frammenti etici per i quali si veda sempre l’indice generale.
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A proposito del motivo dell’”altro-pensare”: Arist. Metaph. IV 5, 1009b28-33 (= 57); De an. I 2, 404a27-31 (= 101.1); Teofr. Sens. § 58 (=106.2); Simpl. Anima I 2, 27.6-13 (=105.4); evidente allusione in Eustazio, In Iliadem XXIII, v. 698 (=106.2.1); altra allusione in Teofr. Sens. § 72 (= 55.3). Sullo stile, cfr., oltre alle testimonianze di Cicerone e di Dionisio di Alicarnasso, in 0.7.1-4, anche testimonianza di Plutarco in 110.5. II. Rapporti fra Democrito e Leucippo Democrito seguace di Leucippo Aristotele, Metaph. I 4 (= 10.1); D.L. IX 34 (= 0.2.1); Suda s.v. “Democrito” 447 (= 0.2.2); Ippol. Ref. I 13, 1 (= 0.2.3); Tzetzes, Chil. II 982-83 e XIII 79-80 (= 0.2.4 e 0.2.4.2); D.L. I 15 (= 0.8.1); Clem. Strom. I xiv, 64.3 (= 0.8.2); Euseb. PE XIV 17, 10 (= 0.8.3) e PE X 14, 16 (= 0.8.3.1); Ps.-Galeno HP 3 (= 0.8.4); Simpl. Phys. 28.15 (= 3); Latt. ID X 1, 33 (= 9.5) e DI III 17, 23 (= 9.6). Accostamenti fra i due pensatori per identità di posizione: In modo generale e implicitamente: Galeno, Elem. 419 (= 8.3); Arist. GC I 8 (= 15.1); Filopono GC I 8 (= 15.4); sugli elementi (pieno e vuoto): Arist. Metaph. I 4 (= 10.1); Ippol. Ref. I 13, 2 (= 4.5); Simpl. Phys. I 2 (= 3); sugli atomi come indivisibili: Arist. GC I 2, 315b15-30 (= 24.1); sulla ‘panspermia’ delle figure: Arist. De an. I 2, 404a1-5 (= 101.1); Filopono ad loc. (= 48.5); su atomi e vuoto come infiniti: Ps.-Plut. Plac. I 18, 3 (= 33.6); sul vuoto (e sul luogo): Arist. Phys. IV 6, 213a31-b2 (= 33.1); Filop. Phys. IV 1, 498.815 e IV 6, 613.19-27 (= 30.3 e 33.4); Simpl. Phys. IV 6, 648.9-22 (= 33.3); sul vuoto come condizione di agire e patire: Filop. GC I 8, 154.2 sgg. (= 62.6) sull’infinito: Simpl. Phys. I 2 (= 3); Simpl. Phys. I 4 (= 37.2); Filop. GC I 1 (= 40.1) sull’origine del movimento: Aless. Metaph. I 4, 36.21-27 (= 64.4). Innovazioni di Democrito: ‘più ricco’: Cicer. Ac. pr. II 37, 18 (= 5.3); aggiunge gli ‘idoli’: Clem. Protr. 5, 66, 2 (= 5.4). III. Rapporti con altri pensatori a) dipendenza dagli Eleati Dipendenza dagli Eleati in generale, parlando di Leucippo: Arist. GC I 8, 324b35325b11 (= 15.1) + commenti di Filopono (= 15.2-4); dipendenza di Democrito da Melisso (ma con menzione di Parmenide al posto di Melisso): Filop. GC 154.21 sgg. (= 15.2). La dipendenza generale risulta anche dalle testimonianze che pongono i primi atomisti in successione agli Eleati (cfr. 0.8.1-5). Sulla dipendenza di Leucippo da Parmenide cfr. anche la testimonianza di Simplicio basata su Teofrasto (= 3), e quella di Ippolito, Ref. I 12 (= 4.4); inoltre egli viene presentato come un discepolo di Zenone (cfr. di nuovo Ippolito e Diogene Laerzio in 0.1.1) oppure di Melisso (cfr. Tzetzes in 0.2.4 e 0.2.4.2). Sul richiamarsi di Democrito a Parmenide e a Zenone cfr. D.L. IX 42 (= 0.2.1). b) dipendenza da Empedocle Accostamenti riguardo alla teoria degli efflussi e dei pori, cfr. (per Leucippo) Arist. GC I 8, 325b1 sgg. (= 15.1); Filop. GC 153.20 sgg. (= 62.6); ma anche divergenza per via del ricorso a particelle indivisibili, cfr. Arist. ibidem. + Filopono ad loc. (= 21.6 e 21.7).
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Dipendenza riguardo la trattazione della percezione sensibile: Stobeo I 50, 22 (= 116.3) e Aless. De sensu 3 (= 117.3.1). Accostamento nel resoconto dell’operare della calamita: Aless. Quaest. II 23 (= 89.1). c) rapporti di Democrito con Anassagora Rapporti personali fra i due? cfr. D.L. IX 34-35 (= 0.2.1) e II 14 (= 0.8.8). Dem. discepolo suo in una tradizione presente in Suda s.v. “Democrito”, 447 (= 0.2.2). Dem. successivo nel tempo; e si sono occupati entrambi dei terremoti, cfr. Arist. Meteor., 365a16 sgg. (= 87.2). Cronologia relativa fra i due secondo lo stesso Dem., cfr. D.L. IX 41 (= 0.2.1). Democrito critica Anassagora su aspetti della sua fisica: D.L. IX 34-35 (= 0.2.1). Avrebbe mostrato apprezzamento per il detto sull’apprensione delle cose occulte mediante i fenomeni, cfr. Sesto AM VII 140 (= 60.1), ma probabile confusione con Epicuro, cfr. Cicer. Fin. II 2, 4 (= 60.1.1) + n. 450 ad loc. Identità di posizione su date questioni: su infinitezza degli elementi: Sesto AM X 318 (= 6.5); Arist. Phys. III 4 (= 38.1); Simpl. ad loc. e Phys. I 4 (= 38.3 e 37.2); Filop. ad loc. e GC I 1 (= 38.2, 39.1, 40.1); sul ricorso al vortice: Teodor. IV 17 (= 82.2); nel resoconto della via lattea: Arist. Meteor. I 8 (= 85.1); Aless. ad loc. (= 85.2); Ps.Plut. Plac. III 1, 5-6 (= 85.3); nel resoconto delle comete: Arist. Meteor. I 6 (= 85.6); Aless. ad loc. (= 85.7); Ps.-Plut. Plac. III 2, 2 (= 85.8); Scolio in Arato (= 85.9); sulla stabilità della terra: Arist. Cael. II 13 (= 67) e Simpl. ad loc. (= 83.6). Divergenze: sulla natura delle particelle: Sesto AM X 318 (= 6.5); sulla loro generazione (o meno): Arist. Phys. III 4, 203a33-34 (= 38.1); Filop. Phys. III 4 (= 39.1). d) rapporti di Democrito con Protagora (inoltre con Seniade e con Diagora) Alcune testimonianze li pongono in rapporto personale: D.L. IX 50 (= 0.8.10); Filostr. Vitae soph. I 10 (= 0.8.11); D.L. IX 53 (= 0.8.12); Ateneo, Deipn. VIII 354C (= 0.8.13); Scolio In Remp. 600C (= 0.8.14); Suda s.v. “Protagora” (n. 174 ad 0.8.14); Gellio NA V 3 (= 0.8.15); Protag. discepolo di Dem. anche secondo Euseb. PE XIV 3, 7 (= 5.5). Sui richiami a Protagora secondo D.L. IX 42 (= 0.2.1). Democrito critica Protagora riguardo al suo ‘relativismo’: Plut. AC 4, 1109 (= 59.1) e Sesto AM VII 388-390 (= 59.2). Ma affinità di posizione fra i due nel ritenere che ogni rappresentazione è vera: suggerita implicitamente da Arist. Metaph. IV 5, 1009a6 sgg. (= 57), confermata da Alessandro ad loc. (= 57.2) e da Filop. Anima 71.21 sgg. (= 105.3), 471.29 sgg. (= 54.1.1). Menzione di Seniade da parte di Dem.: Sesto AM VII 52-53 (= 59.4). Diagora allievo di Democrito secondo Suda, s.v. (= 0.8.18). e) rapporti (inventati?) con Ippocrate D. L. IX 42 (= 0.2.1); Suda, s.v. “Democrito”, 448 (= 0.2.2); Vita Hippocratis secundum Soranum 1.1 e 2, 2.3 (= 0.8.16); Suda, s.v. “Hippokrates” (= 0.8.16.1); Celso (= 188.1), inoltre le Lettere pseudoippocratiche (cfr. 0.3.10, 0.3.12, 0.5.2, 0.5.4, 0.6.15, 136.1.1).
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IV. Continuatori di Democrito a) continuatori non epicurei Metrodoro di Chio, discepolo di Dem: Clem. Strom. I xiv, 64, 3-4 (= 0.8.2); Suda, s.v. “Democrito” (= 0.2.2), e s.v. “Pirrone” (= 0.8.37 + n. 193); Euseb. PE XIV 19, 9 (= 61.2.1); sua posizione accostata a quella di Dem.: Stobeo I 10, 14 (= 5.1); Teodor. IV 9 (= 5.2); Filop. Phys. IV 1, 498.8-15 (= 30.3); Ps.-Plut. Plac. I 18, 3 + Stobeo I 18, 1a(3) (= 33.6); indirettamente, per accostamento alla posizione di Leucippo: Clemente, Protrepticus 5, 66.1 (= 5.4); ammette gli stessi principi di Democrito: Simpl. Phys. 28.27-31 (= 3); riprende la sua epistemologia: Cicer. Ac. pr. II 73 (= 61.2); presumibilmente riprende la posizione di Dem. sull’infinità dei mondi, cfr. test. 6 di Aezio I 5, 4 (= 44.2). Anassarco di Abdera: discepolo di Metrodoro o di qualche altro democriteo: Suda, s.v. “Democrito” (= 0.2.2) e s.v. “Pirrone” (= 0.8.37); Clem. Strom. I xiv, 64, 3-4 (= 0.8.2); Euseb. PE XIV 17, 10 (= 0.8.3); D.L. IX 58 (= 0.8.19). Nausifane di Teo, considerato un democriteo e il maestro di Epicuro: Cicer. ND I 73 e 93 (= 0.8.29 e 0.8.30); Suda s.v. “Epicuro” (= 0.8.31); probabile riferimento a lui in una Lettera di Epicuro, cfr. Filodemo, Adversus … (= 0.8.34 + n. 189). b) Epicuro e gli Epicurei 1) dipendenza di Epicuro dai primi atomisti Conoscenza delle opere di Dem. da parte di Epicuro, cfr. D.L. X 2 (= 0.8.26) e Lettera a … (= 0.8.35) Epicuro sarebbe stato discepolo del democriteo Nausifane, vedi supra, IV a). Dipendenza dottrinale in generale: Plut. Non posse 18, 1100A (= 0.8.28). Dipendenza riguardo la fisica: Cicer. Fin. II 31, 102 (= 0.3.13); ND I 33, 93 (= 0.8.30); ND I 43, 120 (= 114.2); Plut. AC 3 (= 0.8.27); Proclo, In Remp. II 113.10-12 (= 109.3). In generale, ma con riferimento all’atomismo: Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 ed Euseb. PE XIV 14, 5 (= 9.1 e 9.1.1); Euseb. PE XIV 23-25 (= 9.4); Latt. ID X 33 e DI III 17, 23 (= 9.5 e 9.6); Aless. Mixt. 1 (= 9.7); Vitruvio II 2 (= 9.8). In generale (fisica, cosmologia), ma con qualche dettaglio: Cicer. Fin. I 6, 17-21 (= 9.3); ND I 26, 73 (= 0.8.29). Per l’atomismo: D.L. X 4 (= 0.8.32); Sesto AM X, 318 (= 6.5); AM IX, 363 (= 6.2); scolio II a Basilio, Hexaemeron (= 6.4.1). Sui corpi primi: Simpl. Phys. 925.19-20 (= 22.1). Sulla visione come su altri punti: Macrobio, Saturnales VII 14, 3 (= 117.5). Sulla generazione degli uomini: Censorino 4, 9 (= 125.2). In cosmogonia: Latt. DI VII 1, 10 (= 79.8). Per il ricorso al caso: Latt. DI I 2, 1-2 (= 75.1). Sul concetto di spazio o di vuoto: Simpl. Phys. IV 4, 571 e IV 6, 648 (= 31.2 e 33.3). Sull’infinito (implicitamente, e citando Porfirio): Simpl. Phys. I 4, 165 (= 37.2). Accostamenti riguardo la postulazione del vuoto (infinito): Ps.-Plut. Plac. I 18, 3 (= 33.6) e Aless. presso Simpl. Phys. IV 8, 679 (= 36.4). Dipendenza in generale, ma con riferimento all’etica: Teodor. XI 6 (= 132.4). 2) innovazioni di Epicuro e sue critiche a Democrito Sull’indivisibilità degli atomi: Simpl. Phys. 925.20-22 (= 22.1).
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Divergenza circa ’ciò che è essere’ suggerita implicitamente da Plut. AC 1116D (= 9.2). Divergenza sull’oggettività delle proprietà cfr. più oltre, C 1.5.3. Divergenza sull’attendibilità dei sensi cfr. più oltre, C 2.5.1. Distinzione fra atomo e minimo cfr. più oltre, D 2.4. Restrizione nella varietà delle figure degli atomi cfr. più oltre, D 10.3. Sul peso e sul clinamen cfr. più oltre, D 9.3 e F 2.5-6, inoltre cfr. testi VIII G (= 76.1-3). Divergenza circa l’animazione degli ‘idoli’ nei sogni, cfr. più oltre, E 7.9. Divergenza nel resoconto (attribuito a Leucippo) della formazione del mondo, cfr. più oltre, H 4.2. c) richiami a Democrito nello scetticismo pirroniano In generale da parte di Pirrone cfr. D.L. IX 67 (= 0.8.36) ed Euseb. PE XIV 18 e 6 (= 0.8.38 e 0.8.39). Da parte degli scettici sulla questione del “non più”, cfr. Sesto PH I 213-214 (= 58.1); sulla conoscenza della realtà, cfr. D.L. IX 72 (= 61.1). Notare che nelle ‘successioni’ Pirrone, quando è menzionato, è posto in rapporto con Democrito, più volte tramite Anassarco, cfr. 0.8.2-0.8.4; lo stesso avviene nella Suda, s.v. “Pirrone” (= 0.8.37). B. Il tutto o la realtà I. Il tutto e la sua costituzione 1.1. Il tutto (l’universo) come discontinuo ‘Il tutto non è continuo’: Arist. Cael. I 7, 275b29-31 (= 65.1); il tutto costituito da molti e infiniti versus unificato: Euseb. PE XIV 23, 1 (= 9.4). La sostanza cosmica è divisa: Galeno, Animi mores 5 (= 8.3.1). La sostanza tutta è immutabile e suddivisa in particelle (versus sostanza tutta mutevole e unificata): Galeno, Nat. fac. I 12 (= 8.3.4). La materia come discontinua, cfr. più oltre, B 7.2. 1.2. Il tutto costituito da pieno e da vuoto Il tutto è il pieno e il vuoto: D.L. IX 30 (= 4.2); D.L. IX 31 (= 4.3). Dall’intreccio di pieno e vuoto risultano tutte le cose: Filop. Phys. 116.23 (= 12.3). 1.3. Il tutto costituito da atomi e da vuoto Tutte le cose: Galeno, Ther. 11, p. 250 (= 8.3.2). 1.4. Il tutto come ingenerato Sostanza ingenerata, infinita, ecc.: Euseb. PE XIV 23, 1 (= 9.4). II. Pieno (o solido o corporeo) e vuoto ovvero atomi e vuoto 2.1. Pieno e vuoto come principi o elementi del tutto Gli elementi sono il pieno e il vuoto: Arist. Metaph. I 4, 985b4 sgg. (= 10.1); Phys. I 5 (= 12.1). I principi sono il pieno e il vuoto: Simpl. Phys. 28.16 (= 3); similmente D.L. IX, 31 (= 4.3); Ippol. Ref. I 12, 1 (= 4.4) e I 13, 2 (= 4.5); Stobeo I 10, 14 (= 5.1); Cicer. Ac. pr. II 37, 118 (= 5.3); Clem. Protr. 5, 66, 1 (= 5.4); Euseb. PE XIV 3, 7 (= 5.5); Filop. Phys. 110.9 e 116.21-23 (= 12.2 e 12.3); Simpl. Phys. 180.16-17 (= 12.4). 2.1.1. Una dualità di principi Una coppia di principi, cioè il pieno e il vuoto: Clem. Protr. 5, 66.1 (= 5.4).
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2.2. Gli atomi e il vuoto come principi del tutto (ovvero degli enti o dei corpi) Come principi: D.L. IX 44 (= 4.1); Arist. Phys. I 5 (= 12.1); Stobeo I 50, 24 (= 53.4); Filop. Phys. 25.5-6 (= 11.4); Anima 82.23-24 (= 6.1.1); Anima 9.16-17 (= 100.1); Anima 67.5-6 (=101.2) e GC 154.18-20 (= 62.6); Simpl. Phys. 461.34-462.1 (= 38.4). Atomi e vuoto ‘cose prime’: Ps.-Plut. Plac. I 9, 3 (= 10.4). 2.2.1. Una dualità di principi (coincidente con atomi e vuoto) Una dualità di principi (uno corporeo, l’altro incorporeo): Filop. Anima I 2, 82.23-24 (= 6.1.1.). 2.2.2. Gli atomi e il vuoto come postulati fondamentali degli atomisti Postulano o introducono gli atomi e il vuoto: Filop. Phys. 110.8 (= 12.2); Phys. 25.5-6 (= 11.4); Anima 82.23-24 (= 6.1.1); (per essi) esistono gli atomi e il vuoto: Filop. GC 158.19 (= 15.4). Gli atomi e il vuoto come i soli esistenti: Sesto, HP II 24 (= 2.2); Aless. Metaph. 303.32 (= 13.3). Cfr. più oltre, C.1.2. 2.3. Il pieno è dato dagli atomi Supponendo (sogg. Leucippo) che la sostanza degli atomi sia compatta e piena: Simpl. Phys. 28.13 (= 3). Posti (da parte di Dem.) gli atomi come appartenenti all’unico genere del pieno: Simpl. Phys. 44.4 (= 11.3). Chiamò (sogg. Dem.) gli atomi “il pieno”: Filop. Phys. 110.8-9 (= 12.2) e 116.22 (= 12.3); sono il pieno, separati dal vuoto: idem. 2.4. Il compatto (o i compatti) e il vuoto Postula (sogg. Dem.) i compatti e il vuoto: Stob. I 10, 14(6) (= 5.1); Teodor. IV 9 (= 5.2). I compatti e il vuoto (elementi privi di qualità): Stob. I 16, 1(7) (= 53.6). 2.5. Il compatto è dato dagli atomi Supponendo {sogg. Leucippo} che la sostanza degli atomi sia compatta e piena: Simpl. Phys. 28.13 (= 3); chiama (sogg. Dem.) ciascuna delle sostanze con la denominazione “compatto”: Simpl. Cael. 295.5 (= 7.1). I corpi primi di Dem. sono ’i compatti’: Stob. I 14, 1f(3) (= 64.6). Gli atomi indivisibili, oppure pesanti, in quanto sono compatti ... : Simpl. Cael. 242.19 e 269.12 (= 65.2 e 66.2). Terminologica: il compatto (nastÒj) Probabilmente il greco per “compatto” (nastÒj) è aggettivo democriteo (cfr. p. es. Stobeo I 10, 14(6) [= 5.1], Teodor. IV 10 [= 5.2], Simpl. Cael. 295.5 [= 7.1]), se non già di Leucippo (cfr. Simpl. Phys. 28.13 [= 3]), e al suo posto viene usato “solido” (stereÒj) da Arist. Metaph. I 4, 985b7 (= 10.1) e da Euseb. PE XIV 3, 7 (= 5.5). 2.6. Gli atomi come entità corporee La corporeità degli atomi è suggerita di frequente, sia in modo diretto (si veda infra, D.II, D.5.3, D.6.4) sia in modo indiretto (per esempio nell’opporli, come ciò che è corporeo, al vuoto come incorporeo, oppure nell’attribuire ad essi caratteristiche come l’impassibilità che sono tipiche dei corpi). Così gli atomi sono trattati come principi
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corporei degli enti in Filop. Anima 82.18 e 23-24 (= 6.1.1) e (associando Epicuro a Dem.) in Plutarco, De Iside et Osiride 45 (= 5.10) e in Sesto AM IX 359 e 363 (= 6.2). Sono detti “corpi piccoli” da Galeno, De elementis I 2, 4.10 (= 8.3) e da Dionisio presso Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4), sono detti “corpi contemplabili con la ragione” da Ps.Plut. Plac. I 3, 9 (= 9.1), sono detti “corpi indivisibili” da Vitruvio II 2, 1 (= 9.8) e da Arist. GC I 2, 315b32 (= 50.5); sono opposti, in quanto corpi, alle figure geometriche ammesse da Platone in Arist. GC I 2, 315b28-30 (= 24.1). Ancora gli atomi, presi collettivamente, sono considerati come un corpo che è suddiviso al suo interno dal vuoto da Arist. Phys. IV 6, 213a32-b2 (= 33.1), idem III 4, 203a33-b2 (= 38.1). Infine la corporeità è presentata come una delle proprietà degli atomi da Simplicio, Categorias 216.33 (= 8.2). Nella presentazione degli atomi, presi collettivamente, come l’essere che si oppone al nonessere, è possibile che sia operante quello che Aristotele presenta, in Physica IV 6, 213a29 (= 33.1), come l’assunto del senso comune, cioè che ciò che è è corpo; questo assunto pare essere operante nei passi raccolti ai numeri 28 e 29.
III. Essere e non-essere 3.1. Essere e non-essere come principi o cause Aless. Metaph. 45.5-8 (= 12.7); Simpl. Phys. 28.12-13 (= 3); Ermia, Irrisio 654.15-16 (= 5.7). 3.2. L’esistenza del non-essere (alla pari dell'essere) L’essere non è per nulla di più del non-essere: Arist. Metaph. I 4, 985b8 (= 10.1); Euseb. PE XIV 3, 7 (= 5.5); il vuoto, come non-essere, non esiste meno dell’essere: Simpl. Phys. 28.14-15 (= 3); il pieno, come essere, non esiste di più del vuoto: Aless. Metaph. 36.2-3 (= 12.6); l’ente non è più del non-ente: Plut. AC 4, 1109A6-7 (= 59.1). 3.3. Nihil ex nihilo Niente si genera dal non-essere e si corrompe nel non-essere (secondo Democrito): D.L. IX 44 (= 4.1); Plut. AC 1111A4-5 (= 8.1); come dottrina comune ai naturalisti: Arist. Phys. I 4, 187a27-29 (= 13.1); Aless. Metaph., 303.26-27 (= 13.3). La sua formulazione in Parmenide, fr. 8, vv. 6-9 e 12-15 (= 14.1); in Melisso, fr. 1 (= 14.2), con parafrasi di Simpl. Phys. 103.21-22 (= 14.3), in Empedocle, fr. 12 (= 18.4). Sulla negazione della generazione e sulla riduzione dei processi coinvolgenti i composti al movimento degli atomi cfr. Testi III C e D, inoltre cfr. più oltre, C IV, E V. Terminologica: il conio dšn: Cfr. Simpl. Cael. 295.5 (= 7.1 + n. 57); Galeno, Elem. I, 418.5-6 (= 8.3 + n. 76); Filop. Phys. 110.10-11 (= 12.2 + n. 116); Plut. AC 4, 1109A6-7 (= 59.1). IV. Pieno e vuoto, essere e non-essere 4.1. L’equivalenza di pieno ed essere e di vuoto e non-essere Il pieno è l’essere, il vuoto è il non-essere: Arist. Metaph. I 4, 985b7 (= 10.1); Phys. I 5, 188a22-23 (= 12.1); Metaph. IV 5, 1009a28-30 (= 57); similmente Simpl. Phys. 28. 1314 e 16-17 (= 3); idem, 180.17-18 (= 12.4); Ippol. Ref. I 13, 2 (= 4.5); Euseb. PE XIV 3, 7 (= 5.5); Filop. Phys. 110.10 (= 12.2); Aless. Metaph. 303.34-35 e 304.3 (= 13.3); limitatamente ai secondi termini: Arist. GC I 8, 325a28 e a31 (= 15.1); allusione in Plut. QC VIII 3, 2, 720F (= 90.2).
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4.2. Il vuoto è non-essere non nel senso di non esistente ma nel senso di nonsostanza Filop. GC 156.23-157.1 (= 15.3); GC 158.17-18 (= 15.4). 4.3. Pieno e vuoto, essere e non-essere come (principi) contrari Il pieno e il vuoto (che sono essere e non-essere) sono principi contrari: Arist. Phys. I 5, 188a19 e 22-23 (= 12.1); Filop. Phys. I 5, 110.9 e 116.21-23 (= 12.2 e 12.3); Simpl. Phys. I 5, 180.16-17 (= 12.4). V. Gli atomi come principi degli enti sensibili 5.1. Gli atomi come principi di tutte le cose Gli atomi sono principi di tutte le cose, Ps.-Galeno HP 18 (= 6.4); Simpl. Cat. (= 19.6). I corpi atomici principi di tutte le cose naturali: Filop. Anima 67.5-6 e 27 (= 101.2). Gli infiniti atomi come principi: Simpl. Cael. 617.22-23 (= 48.6.1). Gli atomi come principi degli enti: Scolio II in Basilio (= 6.4.1). Gli atomi come principi (o elementi) corporei: Filop. Anima 82.18 e 23-24 (= 6.1.1); Sesto AM IX 359 e 363 (= 6.2). Come principi materiali: Sesto PH III 33 (= 6.3). Corpi primi e indivisibili: Arist. Anima I 2, 405a10 (= 102.1). Gli atomi come principi insieme al vuoto, cfr. supra, 2.2. 5.2. Gli atomi come principi (o elementi) che sono molti e di numero infinito Sesto AM X 318 (= 6.5); Ippol. Ref. X 7, 5 (= 6.5.1); Simpl. Cael. 295.2 (= 7.1); Plut. AC 8, 1110F5-6 (= 8.1); D.L. IX 44, 459.12 (= 4.1); Ermia, Irrisio 12, 654.11-12 (= 5.6); Simpl. Cael. 609.18-19 (= 20.2); Arist. Phys. III 4, 203a20-22 (= 38.1); Filop. ad loc. 396.3 sgg. (= 38.2); Simpl. ad loc. 458.26-27, 459.16 sgg. e 461.34 (= 38.3 e 38.4); Simpl. Phys. 166.7 (= 37.2); idem,178.23-24 (= 37.3); Simpl. Cael. 617.22-23 (= 48.6.1). Principi di numero infinito: Simpl. Phys. 166.7 (= 37.2); Simpl. Cael. 242.18-19 (= 65.2); Filop. Anima 83.24-25 (= 102.2). Elementi di numero infinito: Simpl. Phys. 178.24 (= 37.3); Arist. Phys. III 4, 203a20 sgg. (= 38.1). Infiniti principi (senza menzionare gli atomi): Arist. Phys. I 2, 184b20-21 (= 11.1); Simpl. Phys. 26.31-27.1 (= 11.2). 5.3. Gli atomi come principi dissimili dagli enti sensibili perché impassibili, immutabili e privi di qualità (cfr. anche caratteristiche degli atomi, più oltre, D VIII) Sesto AM X 318 (= 6.5); Ippol. Ref. X 7, 6 (= 6.5.1); Sesto PH III 33 (= 6.3); Plut. AC 8, 1111A7-9 (= 8.1); Galeno, Elem. I 2 (= 8.3); Cicer. Ac. pr. II 40, 125 [90.13-14] (= 46.2). VI. Uno e molti, semplice e complesso 6.1. Uno e molti Né da un uno si generano molti né da molti si genera un uno: Arist. Cael. III 4, 303a6-7 (= 20.1); Simpl. ad loc., 609.22-24 (= 20.2); Cael. 295.12-14 (= 7.1); Arist. Metaph. VII 13 (= 20.3); Aless. ad loc. (= 20.4); Arist. GC I 8, 325a34-36 (= 15.1). 6.2. Semplicità dell’atomo Semplicità dei principi infiniti (= gli atomi): Simpl. Phys. 26.31 (= 11.2).
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Solo gli atomi sono dotati di continuità: Simpl. Cael. 609.19-20 (= 20.2). Gli atomi sono unità indivisibili: Simpl. Cael. 610.3-5 (= 21.3). Sull’indivisibilità dell’atomo per assenza di parti e di vuoto al suo interno cfr. più oltre, D 7.1, 7.3 e 7.4. 6.3. Un atomo non costituisce un’unità con quello ad esso prossimo Gli atomi non sono in contatto diretto o completo l’uno con l’altro: Filop. GC 158.27159.3 e 160.8-11 (= 21.5 e 21.7); Anima 9.5 e 16 (= 100.1). Peraltro si parla di una loro (immaginaria?) continuità per contatto in Arist. Phys. III 4, 203a20-23 (= 38.1), inoltre in Filop. ad loc., 396.3-8 (= 38.2), in Simpl. ad loc., 458.2629 e 459.16-28 (= 38.3) e 461.32-462.5 (= 38.4). 6.4. La mancanza di unità dei composti La discontinuità presentata dal composto al suo interno: Simpl. Cael. III 4, 609.20-25, III 8, 659.20-28, III 4, 610.5-6 (= 20.2, 21.2, 21.3). L’apparenza di continuità è data dal contatto fra le particelle costituenti: Simpl. Cael. III 4, 609.20-21, e III 8, 659.20-23 (= 20.2, 21.2). Pertanto anche la divisione del composto è solo apparente: Simpl. Cael. III 4, 609.20-25 (= 20.2). 6.4.1. La posizione discrepante di Epicuro Per Epicuro il composto è un tutto oltre le parti che lo costituiscono: Sesto AM IX 335 e 338 (= 20.5). 6.5. Non unicità degli individui, atomi e composti che siano, affermata da Dem. Esistenza di individui identici (composti, esemplificati dagli uomini): Cicer. Ac. Pr. II 17, 55 e 40, 125 (= 46.1 e 46.2). Un'allusione a questa tesi anche in Lettera pseudoippocratica X (= 0.3.10). Esistenza di mondi identici: Cicer. Ac. Pr. II 17, 55 e 40, 125 (= 46.1 e 46.2). Il riconoscimento della non unicità degli individui che sono atomi deve essere connessa al riconoscimento di quella dei composti. 6.5.1. Non unicità degli individui dotati di una stessa forma o figura ‘Ciascuna delle figure la pongono in una pluralità di atomi’: Filop. GC 12.5-6 (= 40.1); elementi (= atomi) che sono una pluralità di numero e che sono di figura identica: Simpl. Cael. 625.1-3 (= 48.6.2 [cit. infra, E.3.4]); Ps.-Plutarco, Placita IV 19, 2-3 (= 90.3); composti dotati di una stessa forma come i mondi sono una pluralità e possibilmente un’infinità: Arist. Cael. I 9 (= 45.1); Lucrezio II, 1077-89 (= 45.2). VII. Materia e forma 7.1. Gli atomi come materia (o come causa materiale) Simpl. Phys. I 2, 28.17 (= 3). indirettamente (pieno = materia, assumendo atomi = pieno) in Arist. Metaph. I 4, 985b9-10 (= 10.1). 7.2. La materia (costituita dagli atomi) come discontinua “Coloro che producono la materia a partire da corpi che sono discreti e separati” di contro a coloro che ammettono una materia unica: Aless. Mixt. 213.17-18 (= 9.7); il tutto non è continuo ma le cose sono separate dal vuoto: Arist. Cael. I 7, 275b29-31 (=
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65.1); Simpl. ad loc., 242.14 sgg. (= 65.2); inoltre cfr. Galeno, Animi mores 5, Nat. fac. II 6 e I 12 (= 8.3.1, 8.3.3 e 8.3.4), Euseb. PE XIV 23, 1-2 (= 9.4). 7.3. La materia come omogenea e quasi unica Il corpo comune delle cose primarie pur unico si differenzia nelle sue parti per grandezza e per figura: Arist. Phys. III 4, 203b1-2 (= 38.1); Filop. ad loc. 398.14-16 (= 39.2); Simpl. ad loc. 462.11-13 (= 38.4). La materia è una e la stessa e si differenzia per figura ecc.: Arist. Metaph. VIII 2, 1042b12-13 (= 10.2). L’essere (= il pieno, che è causa degli enti in quanto materia) si differenzia soltanto per figura ecc.: Arist. Metaph. I 4, 985b15-16 (= 10.1). 7.3.1. Gli atomi costituiscono un’unica sostanza ovvero un unico genere Tutti gli atomi sono di un’unica sostanza: Filop. Phys. 25.15 (= 11.5); Simpl. Phys. 43.26-27 e 44.3 (= 11.3), Anima 26.1 (= 101.4) I principi sono un’unica cosa quanto al genere, ma differenti nella figura: Arist. Phys. I 2, 184b21-22 (= 11.1); Simpl. ad loc. 44.3-5 (= 11.3); Filop. Phys. 25.14-16 (= 11.5) 7.3.2. La loro natura è una ed identica La natura delle cose (= degli atomi) è unica, differenziandosi solo per figura: Arist. Cael. I 7, 275b31-276a1 (= 65.1); Simpl. ad loc. 242.28-30 (= 65.2); Cael. 569.6 (= 66.3). C’è un’unica ed identica natura per tutti gli atomi: Latt. ID X 1, 5 (= 9.5). 7.3.3. Gli atomi sono un uno per forma Gli atomi sono un uno per forma e potere: Galeno, Elem. 3.2-4 (= 8.3). Gli atomi come principi che sono un uno per forma ed essenza: Simpl. Phys. 166.7-8 (= 37.2). VIII. L’esistenza del vuoto 8.1. Affermazione generale dell’esistenza del vuoto Il vuoto esiste: Arist. GC I 8, 325a31 (= 15.1); Filop. ad loc. 155.11-13, 18 e 156.24157.1 (= 15.2 e 15.3); Simpl. DC 659.26-27 (= 21.2). Il vuoto esiste ma non come sostanza e costituzione: Filop. GC 158.17-19 (= 15.4). Allusione in Cicer. Ac. pr. II 40, 125 (= 46.2). L’affermazione della sua esistenza è implicita nell’affermare l’esistenza del non-essere, cfr. supra, 3.2. 8.2. Affermazione dell’esistenza del vuoto fuori dal mondo (cfr. IX) Simpl. Phys. 648.13-14 (= 33.3) e 467.14-16 (= 41.4); implicitamente Arist. Phys. III 4, 203b22-30 (= 41.1). 8.3. Il vuoto postulato come condizione di movimento e di pluralità Arist. GC I 8, 325a26 sgg. (= 15.1); Filop. GC 155.10 sgg. (= 15.2); GC 158.12 sgg. (= 15.4). 8.4. ... come condizione di movimento Filop. GC 156.22-23 (= 15.3); Simpl. Phys. 1318.32-19.1 (= 19.3); Filop. Phys. 630.1516 (= 35.3).
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Come luogo in cui e per cui c’è movimento: Arist. Phys. VIII 9, 265b24 (= 19.2), Phys. IV 6, 213b4-14 (= 34.1); IV 7, 214a22-25 (= 35.1); gli atomi si muovono mediante (di¦) il vuoto: Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 (E2) (= 9.1), cfr. infra 9.4. 8.5. ... come condizione di divisione o divisibilità Simpl. Cael. 242.20-21 (= 65.2); ... condizione quindi anche della pluralità: Filop. GC 155.12-13 e 158.19-21 (=15.2 e 15.4). Il vuoto come separatore: Arist. Cael. I 7, 275b29-31 (= 65.1); Filop. GC 154.3 (= 62.6). 8.6. ... come condizione di crescita e diminuzione Arist. GC I 8, 325b4 (= 15.1); Phys. IV 6, 213b18-22 (= 34.1). 8.7. ... come condizione di rarefazione e condensazione Arist. Phys. IV 9, 216b22 sgg. (= 34.3); Simpl. ad loc. (= 34.3.1). 8.8 ... come condizione dell’agire e del patire Arist. GC I 8, 325b1-3 (= 15.1); Filop. GC 154.2-3 e 160.9 (= 62.6 e 21.7). 8.9 .... come condizione della generazione e della disgregazione dei corpi Arist. GC I 8, 325b3-4 e 30-31 (= 15.1 e 51.3). 8.10. Rifiuto del vuoto (come condizione di movimento) Rifiuto da parte degli altri naturalisti: Ps.-Plut. Plac. I 18, 1-2; Stobeo I 18, 1a(1-2) (= 33.6, 33.6.1); Teodoreto GAC IV 14 (= 30.7); da parte di Arist.: Phys. IV 7, 214a26-32 (= 35.1). IX. La natura del vuoto 9.1. Il vuoto come incorporeo Filop. Anima 82.22-24 (= 6.1.1); Ps.-Plut. Plac. I 9, 3 (= 10.4). Il vuoto tenuto distinto dall’aria (che è un corpo non percettibile): Arist. Phys. IV 6, 213a22-b2 (= 33.1). 9.2. Il vuoto come privo di una propria natura o di un proprio potere Come privo di una propria natura: Simpl. Phys. 618.11-13 (= 30.2). Come privo di un proprio potere: Simpl. Phys. 533.18-19 (= 30.6). 9.3. Il vuoto come cedevole o ricettivo Simpl. Phys. 1318.35-19.1 (= 19.3); ivi, 618.11-12 e 18 (= 30.2); Arist. Phys. IV 6, 213b4-7 (= 34.1); implicitamente: Arist. Phys. IV 8, 215a22-24 (= 36.1). 9.4. Il vuoto come il ’mediante cui’ (di/oá) o l’in cui’ (™n ú) Le cose si muovono ’mediante’ (di¦) il vuoto, Arist. Phys. VIII 9, 265b24-26 (= 19.2); il vuoto come ciò in cui... ivi, IV 7, 214a24-25 (= 35.1); il vuoto come ciò in cui o mediante cui …, Filop. ad 214b12, 630.18 (= 35.3); l’accrescimento si verifica mediante il vuoto: Arist. Phys. IV 6, 213b18-19 (= 34.1), ibid. 7, 214b8-9 (= 34.2). 9.5. Il vuoto come intervallo (o estensione) separante i corpi Come intervallo separato ed esistente in atto: Arist. Phys. IV 6, 213a32-b1 (= 33.1); Simpl. ad loc. 648.11-13 (= 33.3); Filop. ad loc. 613.21-23 (= 33.4).
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9.6. Così inteso il vuoto è tenuto distinto dal vuoto continuo fuori del mondo Arist. Phys. IV 6, 213a32-b2 (= 33.1); Filop. ad loc. 608.7-10 e 613.21-27 (= 33.2 e 33.4). 9.7. Il vuoto o separato o diffuso nei corpi Per Democrito non separato ma diffuso nei corpi: Filop. Phys. 613.19-27 (= 33.4), 630.10-14 (= 35.3), 644.25-26 (36.1.1); anche Porfirio presso Simpl. Phys. 648.18-20 (= 33.3). 9.8. Il vuoto come impassibile o come privo di qualità (insieme agli atomi) Ps.-Plut. Plac. I 9, 3; Stobeo I 11.3(2); Teodor. IV 13 (= 10.4-4.2); Stobeo I 16, 1(7) (= 53.6). 9.9. Il vuoto come indifferenziato Il vuoto come tale non comporta differenze (perché è un non-essere): Arist. Phys. IV 8, 214b33 sgg. (= 36.1 e 36.2). Il vuoto non comporta differenze in quanto infinito: Cicer. Fin. I 6, 17 (= 9.3); implicitamente Filop. Phys. III 4 (= 44.1). . 9.10. Il vuoto come infinito Vuoto infinito (come i corpi): Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 (E3) (= 9.1). Vuoto infinito in grandezza: Eus. PE XIV 23, 2 (= 9.4); Simpl. Phys. IV 1, 618.16-20; implicitamente Arist. Phys. III 4, 203b22-30 (= 41.1). Vuoto infinito in grandezza (come gli atomi infiniti per numero): Ps.-Plut. Plac. I 18, 3 + Stobeo I 18,1a(3) + Ps.-Galeno HP 30 (= 33.6, 33.6.1 e 33.6.2); Simpl. 165.11-13 (= 37.2); in quanto luogo: Simpl. DC 295.2-4 (= 7.1). 9.11. Il vuoto come ’natura intangibile’ (Epicuro) Sesto AM X 2 (= 28.1); Epicuro, Ep. ad Hdt. 40 (= 28.2). X. Il vuoto e il luogo 10.1. Il vuoto come luogo Dem. chiama il luogo ‘vuoto’: Teodor. IV 14 (= 30.7); Simpl. DC 295.3-4 (= 7.1). Dem. disse che il vuoto è luogo: Simpl. Phys. 533.17-18 (= 30.6). Il vuoto come luogo (senza menzionare gli atomisti): Arist. Phys. IV 7, 214a20-22 (= 35.1). Il vuoto come luogo privo di corpo (senza menzionare gli atomisti): Arist. Phys. IV 6, 213a15-19 (= 33.1) e IV 7, 213b30-31 (= 33.5); per Democrito: Simpl. Phys. III 1, 397.3-5 (= 30.5). Il vuoto come luogo alternativamente occupato da corpo e privo di esso: Simpl. Phys. 601.21 e 571.27-29 (= 30.1 e 31.2); Arist. IV 6, 213a15-19 (= 33.1). 10.1.1. Il vuoto come un certo spazio (cèra tij) Galeno, Elem. 4.10-11 (= 8.3). Postulazione di un certo spazio vuoto: Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4). 10.2. Il luogo come coincidente col vuoto Simpl. Phys. 618.16 sgg. (= 30.2); Filop. Phys. 498.11-15 (= 30.3); 630.12-13 (= 35.3).
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10.3. Il luogo come incorporeo esteso È a tre dimensioni: Simpl. Phys. 601.19-22 (= 30.1); indifferenziato, ivi, 601.21; infinito: Simpl. Phys. 618.16-20 (= 30.2). 10.4. Il luogo come intervallo o estensione (di£sthma) Fra le possibili concezioni di esso secondo Arist. Phys. IV 4, 211b6 sgg. (= 31.1). Concezione attribuita agli atomisti: Simpl. Phys. 571.22-25 (= 31.2); 648.11-14 (= 33.3). Luogo come intervallo che divide il corpo: Arist. Phys. IV 6, 213a32-b1 (= 33.1). Il vuoto come estensione, dunque coincidente col luogo (senza menzionare gli atomisti): Arist. Phys. 7, 214a20-22 (= 35.1). 10.5. Il luogo come vuoto diffuso nei corpi Filop. Phys. 613.21-22 (= 33.4 + n. 262), 630.12-13 (= 35.3). XI. Il tempo 11.1. Natura del tempo Il tempo è “una rappresentazione tipo giorno e notte”: Sesto AM X, 181 (= 43.3). Distinzione fra tempo cosmico e tempo infinito in Epicuro: Cicer. ND I 9, 21 (= 43.3.1). 11.2. Il tempo è ingenerato Arist. Phys. VIII 1, 251b14-18 (= 43.1); Simpl. Phys. 1153.21-24 (= 43.2). XII. L’infinitezza 12.1. Tipologia aristotelico-peripatetica dell’infinito Arist. Phys. I 4, 187b7-12 (= 37.1); Simpl. Phys. 165.10-14 (= 37.2). 12.2. L’infinitezza dello spazio ovvero dello spazio come vuoto Allusione all’infinitezza spaziale in Cicer. Fin. II 31, 102 (= 0.3.13); Tusc. V 39, 114 (= 0.4.7). Sull’infinitezza del vuoto cfr. supra, 9.10. 12.3. L’infinito spaziale come indifferenziato L’universo in quanto infinito è senza estremi (e senza un centro): tesi attribuita agli atomisti: Simpl. Cael. 679.1 sgg. (= 36.6). Affermazioni degli Epicurei: Epicuro, Ep. ad Hdt. 60 (= 36.7); Lucrezio I, 1070-71 (= 36.8). Tesi attribuita agli atomisti senza menzionarli: Arist. Phys. IV 8, 215a8-9 (= 36.2); idem III 5, 205b31 sgg. (= 36.5); Cael. I 7, 276a6-8 (= 65.1); Cael. II 13, 295b6-9 (= 67). 12.4. L’infinitezza della materia Per grandezza, come conseguenza dell’essere costituita da grandezze di numero infinito: Arist. Phys. III 4 (= 38.1); Filop. ad loc., 396.3-12 (= 38.2); Simpl. ad loc., 458.26-29, 459.16-28 (= 38.3). 12.5. L’infinità di numero dei mondi e il principio d’indifferenza Arist. Phys. III 4, 203b25-28 (= 41.1); Filop. ad loc. 405.23-27 (= 44.1); forse allusione in Latt. ID X 10 (= 9.5). 12.6. L’infinità delle cause (cfr. Testi IV D 9)
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12.7. L’infinitezza temporale o eternità e l’eternità del movimento Eternità del tempo per il fatto di non essere stato generato, cfr. supra, 11.2. Il movimento è eterno perché privo di un principio: Cicer. Fin. I 6, 17 (= 9.3). Il movimento è eterno perché è una sorta di attualità: Arist. Metaph. XII 6, 1071b31-34 (= 42.3); allusione (con accostamento al Timeo) in Cael. III 2, 300b5 sgg. (= 64.1). Cfr. F I.1 sull’eternità del movimento degli atomi. C. Realtà e apparenza (con riferimenti all’epistemologia di Democrito) I. La realtà sta negli atomi e nel vuoto, il resto non ha esistenza oggettiva 1.1. “Per convenzione ... in realtà ...” “Per convenzione (nÒmJ) è il colore, per convenzione è il dolce e l’amaro ..., in realtà (™teÍ) sono gli atomi e il vuoto”: Sesto AM VII 135 (= 60.1); Galeno, Elem. I 2, 417.910 [3.20-21] (= 8.3); Med. exp. XV 7 (= 60.3); D.L. IX 72 (= 61.1); Plut. AC 8, 1110E (= 8.1), cfr. infra, 1.3. Citazione della seconda parte della formula in Sesto, PH I 214 (= 58.1) 1.1.1. Richiami alla stessa formula D.L. IX 45 [60.4-5] (= 4.1 + n. 21); Simpl. Cat. 217.4-5 (= 8.2); Phys. 512.28-30 (= 53.7); Sesto AM VIII 184 (= 53.1); Galeno, Elem. I 2, 417.11 sgg. [3.22 sgg.] (= 8.3); Diog. En. fr. 7 (= 8.4); Marc’Aurelio, VII 31 (= n. 79 ad 8.4); Epifanio, Adv. haereses III 2, 9, riguardante Leucippo (= 8.5); Stobeo I 50, 24 (= 53.4); Filop. Anima 472.1 (= 54.1.1); Eust. In Iliadem 813.17-814.1 (= 106.2.1). 1.2. Gli atomi e il vuoto come unica realtà In verità sussistono solo gli atomi e il vuoto: Sesto HP II 24 (= 2.2), cfr. HP I 214 (= 58.1) e AM VII, 135 (= 60.1); esistono solo il pieno e il vuoto: Aless. Metaph. 303.31 (= 13.3); non c’è niente di vero al di fuori degli elementi primi, cioè degli atomi e del vuoto: Stobeo I 50, 24 (= 53.4). 1.3. Inconsistenza dei composti Plut. AC 8, 1110E (= 8.1), dove nÒmJ sÚgkrisin. 1.3. 1. La posizione discrepante di Epicuro sull’essere ovvero sulla realtà Anche i composti sono “enti”: Plut. AC 16, 1116D (= 9.2). 1.4. Le proprietà (colori ecc.) non hanno esistenza oggettiva ovvero non sussistono per natura Il colore per Dem. non esiste: Arist. GC I 2, 316a1-2 (= 50.5); "non c'è nessuna natura dei colori e delle altre affezioni": Filop. GC 26.14 (= 50.6); “per natura non c’è nessun colore”: Stobeo I 16, 1(7) (= 53.6). "I colori non sussistono per natura insieme ai corpi", ma sono per convenzione (e relativi a noi): Simpl. Phys. 512.28-29 (= 53.7); i colori e le altre affezioni non ineriscono agli atomi ma sono relativi a noi: Filop. Phys. 25.22-25 (= 11.5); GC 17.16 sgg. (= 50.1). 1.5. Tali proprietà sono invece affezioni dei nostri sensi Sesto AM VIII 184, 213 e 354-55 (= 53.1, 53.2 e 53.3); Stobeo I 50, 24 (= 53.4); Teofr. Sens. 60, 63-64 e 69 (= 55.1, 55.2 e 55.3); implicitamente: CP VI 2, 1-2 (= 121.4).
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1.5.1. Esse non sussistono indipendentemente dai sensi Tesi attribuita ai fisiologi in generale: Arist. De an. III 2, 426a15-26 (= 54.1); attribuita ai ‘Protagorei’: Filop. ad loc., 471.34-37 (= 54.1.1); attribuita a Democrito: Simpl. Anima 193.27-30 (= 54.1.2). Teoria della percezione sensibile mediante interazione esposta da Platone nel Teeteto, cfr. 54.3 e 54.4. 1.5.2. Prove che le proprietà non sussistono per natura Prove, riguardanti ‘i sensibili’, che consistono nel rilevare una relatività al soggetto senziente: Teofr. Sens. 63-64 e 69-70 (= 55.2 e 55.3); più allusivamente: Teofr. CP VI 2, 1 (= 121.4). 1.5.3. Per Epicuro invece le proprietà sensibili sono oggettive Sesto Adv. math. VIII 185 (= 53.1); VIII 355 (= 53.3); VIII 9 (= 58.4); Stobeo I 50, 21 (= 53.5). II. La verità e l’apparenza sensibile 2.1. La verità sta nei fenomeni Arist. GC I 2, 315b9-10 (= 50.2); Metaph. IV 5, 1009b1 e b14-15 (= 57); De an. I 2, 404a28-29 (= 101.1). Ciascuna cosa, come appare, così è: Filop. GC 23.2-3 (= 50.3). La coincidenza di verità e apparenza sensibile: Filop. Anima 71.23 sgg. (= 105.3); stessa posizione attribuita a Protagora, ivi. Per certuni dei naturalisti tutti i fenomeni sono veri: Arist. De an. III 3, 427b2-3 (= 106.1). 2.1.1. Prove che la verità sta nei fenomeni Argomenti “relativistici” a favore della tesi che tutti i fenomeni sono veri: Arist. Metaph. IV 5, 1009a38-b9 (= 57); questi argomenti coincidono con quelli riportati da Teofrasto, cfr. supra, 1.5.2. 2.2. La discordanza fra i fenomeni rende inaccessibile la verità Arist. Metaph. IV 5, 1009b9-12 (= 57); Aless. Metaph. 305.26-34 (= 57.1); Teofr. Sens. 69 (= 55.3); Sesto, PH I 213-214 (= 58.1). 2.3. Il motivo del “non più” Sesto, PH I 213-214 (= 58.1); Arist. Metaph. IV 5, 1009b10-11 (= 57); Teofr. Sens. 69 (= 55.3); con riferimento agli Epicurei: Plut. AC 4, 1109A9 (= 59.1). Sull’uso del motivo in senso ontologico cfr. sopra, B 3.2. 2.4. Eliminazione degli stessi fenomeni ovvero dei sensibili Sesto, AM VII 369 (= 58.3); VII 135 (= 60.1); VIII 184 (= 53.1); VIII 354-55 (= 53.3); D.L. IX 106 (= 58.6). 2.5. Le sensazioni sono false Stobeo I 50, 17 (= 53.5). 2.5.1. La fiducia di Epicuro nell’attendibilità dei sensi Le sensazioni sono (tutte) vere o attendibili: Sesto, AM VIII 185 (= 53.1); Stobeo I 50, 21 (= 53.5).
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I fenomeni sono tutti ammessi: Sesto, AM VII 369 (= 58.3). III. La verità sta in ciò che si coglie con l’intelligenza oppure è del tutto inaccessibile 3.1. Solo gli intelligibili sono veri Sesto, AM VIII 6 e 56 (= 58.4 e 58.5). 3.2. Solo l’intelligenza (distinta dalla sensazione) può cogliere il vero Sesto, AM VII 138-139 (= 60.1). 3.3. Ma l’intelligenza dipende dai sensi Galeno, Med. exp. XV 7-8 (= 60.3). 3.4. Non accessibilità della verità ‘La verità nel profondo’: allusione in Sesto, AM VIII 325 (= 60.4), cfr. Testi VI.E.6. Su non accessibilità della verità cfr. anche supra, 2.2. IV. Carattere apparente dei processi come si presentano a noi Filop. GC I 1, 17.14 sgg., specialm. 27 (= 50.1); 23.2 sgg. e 23.21 sgg.(= 50.3 e 50.4). Detto delle trasformazioni dei 4 elementi: Arist. Cael. III 7, 305b1-3 (= 18.6). D. L’atomo I. L’introduzione dell’atomo Leucippo il primo a postulare gli atomi come princìpi: D.L. IX 30 (= 4.2); Ps.-Galeno HP 3 (= 0.8.4). Dem. il primo ad introdurre la teoria dei compatti e del vuoto: Teodor. IV 9 (= 5.2). Dem. l’inventore degli atomi: Cicer. De fato 10, 23 (= 76.2). Gli atomi (secondo Posidonio) invenzione del fenicio Moco, cfr. Strabone XVI 2 (= 0.8.6) e Sesto AM IX 363 (= 6.2). II. Il concetto di ‘atomo’ 2.1. Descrizioni generali: Gli atomi sono certi corpi non manifesti per piccolezza e indivisibili ...: Filop. Phys. I 2, 25.6-7 (= 11.4) Corporum partes ut nec visui pateant nec ...sectionem recipiant: Isidoro, Etym. XIII 2, 1 (= 5.12) Corpi impartibili, piccolissimi e sottilissimi, simili al pulviscolo atmosferico: Teodor. IV 10 e Suda, s.v. ¥toma (= 5.2 e 5.2.1). 2.2. L’atomo come indivisibile (cfr. anche sez. precedente e più oltre, sez. VII su indivisibilità dell’atomo) Sono chiamati “atomi” quei corpi che non si lasciano secare: Suda s.v. (= 5.2.1) e Teodor. IV 10 (= 5.2); Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 (= 9.1) e Euseb. PE XIV 14, 5, 12-13 (= 9.1.1), inoltre Euseb. ivi 23, 3 (= 9.4). Corpi elementari che sono indivisibili: Simpl. Cael. 242.18 (= 65.2); Arist. GC I 1, 314a21 e I 8, 325b17-18 (= 49.1 e 51.1). Atomos, quas appellat (sc. Dem.), id est corpora individua propter soliditatem: Cicer. Fin. I 6, 17 (= 9.3). Democritus atomos, quas nostri insecabilia corpora, nonnulli individua vocitaverunt: Vitruvio II 2, 1 (= 9.8).
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... ex illis individuis ... , Cicer. Ac. pr. II 17, 55 (54.7) (= 46.1). Inscindibili: Aless. Metaph. 526.14-15 (= 20.4). 2.3. L’atomo come minimo Ermia, Irrisio 12 (= 5.6). grandezza minima: Scolio in Euclide X 1 (= 22.6) minimi corpi primi: Simpl. Phys. 36.1-2 (= 47.5) minimi alla maniera di semi (?): Plut. Primo frig. 8, 948C8 (= 47.4) Secondo Epicuro, ma con distinzione dall’atomo democriteo (cfr. infra, 2.4): Dionisio apud Euseb. PE XIV 23, 3 (= 9.4). 2.4. L’atomo distinto dal minimo (epicureo) Ps.-Plut. Plac. I 3, 9, 877F4-7, Euseb. PE XIV 14, 5 e Stobeo I 10, 14(7) (= 9.1, 9.1.1 e 9.1.2); Simpl. Phys. VI 1, 925.10-22 (= 22.1). Epicuro sui minimi: Ep. ad Hdt. 58-59 (= 22.1.1). Minimi in Leucippo e Democrito secondo Alessandro, Metaph. 36.26-27 (= 64.4). III. Accessibilità all’apprensione o conoscenza 3.1. Gli atomi invisibili (o non percettibili) per via della loro piccolezza Arist. GC I 8, 325a30 (= 15.1); Simpl. DC 295.6 (= 7.1); Filop. Phys. 25.7 (= 11.4); Arist. GC I 2, 316b32-33 (= 24.7); Filop. ad loc., 39.4-5 (= 24.11); Filop. Anima 67.26 (= 101.2). Senza chiamarli atomi: Aless. Sensu 56.14-15 (= 117.3.1). 3.2. Accessibili alla sola ragione (cfr. anche sopra, C 3.1) Ps.-Plut. Plac. IV 3, 4 (= 101.6); Stobeo I 16, 1(10) (= 53.6); con riferimento anche ad Epicuro: Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 [877F7-8] + Euseb. PE XIV 14, 5 + Stobeo I 10, 14(7) (= 9.1, 9.1.1 e 9.1.2). IV. Paragoni illustrativi della natura degli atomi 4.1. Paragone degli atomi (raggruppati e in movimento) col pulviscolo atmosferico Teodor. IV 10 (= 5.2), Suda s.v. atoma (= 5.2.1), Isidoro, Etym. XIII 2, 1 (= 5.12), Lucrezio II, 112 sgg. (= 7.2), Ibn al-Matran (= appendice, 7.3); Latt. ID X 9 (= 9.5); Filop. Phys. I 2, 25.8-10 (= 11.4); GC 39.6-10 (= 24.11); Arist. De an. I 2, 404a3-4 (= 101.1); Filop. Anima 67.20-26 (= 101.2); Simpl. Anima 25.32-33 (= 101.4). 4.2. Paragone degli atomi con le lettere dell’alfabeto Arist. GC I 2, 315b14-15 (= 50.2); Latt. DI III 17, 25 (= 9.6). Suggerito in modo implicito: Arist. Metaph. I 4, 985b17-19 (= 10.1); Varrone, Lingua lat. VI 39 (= 5.9); Filop. GC 13.8-9 e 11-12 + 23.15-16 (= 49.2 e 50.3). Adottato dagli Epicurei: Lucrezio I, 823-29 e 907-14 (= 48.3). 4.3. Paragone con i numeri Arist. Cael. III 4, 303a8-10 (= 20.1); Simpl. ad loc. 610.3-11 (= 21.3). 4.4. Paragone con i semi (cfr. anche infra, 6.4, su panspermia) Plut. Primo frig. 8, 948C8 (= 47.4); Simpl. Anima 26.2-4 (= 101.4).
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V. Gli atomi e i principi o elementi riconosciuti da altri pensatori 5.1. Accostamento fra gli atomi e altri principi o elementi corporei Accostamento fra gli atomi e le omeomerie, le molecole inarticolate ecc.: Sesto AM IX 363 e PH III 33 (= 6.2 e 6.3); Sesto AM X, 318 + Ippol. Ref. X 7, 5-6 (= 6.5 e 6.5.1); Ps-Galeno HP 18, 610.21 sgg. (= 6.4); Galeno, Elem. I 2, 416 + Ther. (= 8.3 e 8.3.2); Euseb. PE XIV 23, 4 (= 9.4). 5.2. Gli atomi distinti da altri elementi corporei come le omeomerie Le omeomerie distinte dagli atomi perché parte e tutto (cioè composto) omogenei: Arist. CG I 1, 314a18-21 (= 49.1); perché simili alle cose generate: Sesto AM X, 318 + Ippol. Ref. X 7, 5-6 (= 6.5 e 6.5.1); perché dotate di qualità: Sesto PH III 33 (= 6.3); Stobeo I 16, 1 (10) (= 53.6); perché si generano l’una dall’altra: Filop. Phys. III 4, 396.19-21 (= 39.1); implicitamente: Arist. Phys. III 4, 203a33-34 (= 38.1). 5.3. Gli atomi distinti dagli indivisibili geometrici ammessi da Platone Atomi come corpi indivisibili versus solidi divisibili in superfici: Arist. GC I 2, 315b2830 (= 24.1), inoltre b32 sgg. (= 50.5); atomi come indivisibili che sono solidi versus indivisibili che sono superfici: Arist. GC I 8, 325b25 sgg. (= 25.1); Filop. ad loc. 162.12 sgg. (= 25.2); Arist. Cael. IV 2, 308b35-309a2 (= 68.2); Simpl. ad loc. 685.8-11 (= 68.2.2); atomi come solidi delimitati da figure infinite versus superfici costituenti solidi di numero finito: Arist. GC I 8, 325b25 sgg. (= 25.1); Filop. ad loc. 162.12 sgg. (= 25.2). 5.3.1. Ma anch’essi permettono una riduzione dei composti a figure Simpl. Cael. 564.24 sgg., 565.22 sgg., 641.1 sgg, 576.10 sgg. (= 47.1, 47.1.1, 47.2, 47.3); Phys. 35.22 sgg. (= 47.5); Plut. Primo frig. 948A-C (= 47.4) Cfr. anche più oltre, E 3.2. 5.4. Gli atomi e gli elementi ammessi da Senocrate Analogia fra gli atomi e le unità postulate da Sen.: Arist. De an. I 4, 409a10-16 e 5, 409a31-b11 (= 103.1); Filop. ad loc. 167.23-30 e 168.10-14 (= 103.2). VI. La terminologia relativa all’"atomo" 6.1. Denominazioni degli stessi atomisti “… in realtà sono gli atomi (¥toma) e il vuoto”: Sesto AM VII 135 (= 60.1); PH I, 214 (= 58.1); ecc. (stessi testi che sotto C 1.1) Le “forme indivisibili” (¥tomoi „dšai) [oppure "forme" da solo (cfr. n. 66 ad loc.)?], come sono da lui (scil. Dem.) chiamate: Plut. AC 8, 1111A (= 8.1). “Forme” o “idee”, cfr. Esichio, s.v. „dša (= 192.6); scolio III a Basilio (= 6.6); anche Simpl. Phys. II 4, 327.25 (= 72.3). 6.1.1. Tuttavia: “Epicuro … quelli da loro [scil. rispettivamente Dem. e Metrodoro] denominati solidi (nast£) ed indivisibili (¢dia…reta) li chiamò atomi (¥toma)”: Teodor. IV 9 (= 5.2); apparentemente anche Stobeo I 10, 14 (= 5.1 + 9.1.2); forse anche Vitruvio II 2, 1 (= 9.8). 6.2. Denominazioni altrui Corpi indivisibili (“atomici”): Arist. Phys. VIII 9, 265b29 (= 19.2); Simpl. Phys. 1318.34 (= 19.3); Ps.-Plut. Plac. I 4, 1 (= 80.2).
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Grandezze indivisibili (“atomiche”): Arist. GC I 2, 316a11 (= 24.3); Metaph. VII 13, 1039a10 (= 20.3); anche grandezze prime (t¦ prîta megšqh): Arist. Cael. III 4, 303a5 (= 20.1). aƒ ¥tomoi (semplicemente, e al femm., anche al sing. in 22.2), p. es. Simpl. Phys. 28.9 e 82.4 (= 3 e 22.2); Cael. 242.19, 21 e 29 (= 65.2); Filop. Phys. 396.5 e 11 (= 38.2); idem, 398.11 (= 39.2); Sesto AM IX 363 (= 6.2); PH III 32 (= 6.3); Ps.-Galeno HP 18 (= 6.4); Isidoro, Etym. XIII 2, 1 (= 5.12). Nature ‘atomiche’ in Diog. En. fr. 6 (= 5.11). 6.4. Termini equivalenti: a) corpi primi ecc. Corpi semplici: Arist. Cael. 303a12 (= 48.4). Corpi primi che sono indivisibili: Arist. GC I 8, 325b17-18 (= 51.1); De an. 405a10 (= 102.1). Corpi indivisibili (¢dia…reta): Arist. GC I 1, 314a21 (= 49.1). Corpi indivisibili (¥toma): Filop. Anima 82.23-24 (= 6.1.1). Corpi primi: Simpl. Phys. 1318.34 e 1319.5 (= 19.3); Filop. Phys. 398.11 (= 39.2). Solidi indivisibili: Arist. GC I 8, 325b35 (= 51.3). atomos.... id est corpora individua: Cic. Fin. I 6, 17 (= 9.3). corpora prima, p. es. Lucrezio I, 538 (= 22.3), II, 96 e 486 (= 7.2 e 40.4). corpora genitalia, p. es. Lucrezio II, 62 sg. (om.). corpuscola: Lucrezio II, v. 153 (om.). b) principi (cfr. sopra B V e B 2.2) Principi infiniti per moltitudine: Simpl. Cael. 242.18 (= 65.2). primordia rerum: Lucrezio I, 815 e 828 (= 48.3); II, 419 e 422 (= 44.5); II, 479 (= 40.4). exordia rerum: Lucrezio II, 1062 (= 44.4); V, 430 (= 44.5). c) figure („dšai, sc»mata, rusmo‹) (presumibilmente „dšai in Democrito, cfr. supra, 6.1) Leuc. e Dem. postulano le figure ...: Arist. GC 315b6 (= 50.2); pare anche De an. I 2, 404a1-2 e 11 (= 101.1), Teofr. CP VI 2, 3 (= 121.4); forse anche Filop. Phys. 398.13-14 (= 39.2); inoltre (usando il terzo termine): Arist. De an. I 2, 404a7 (= 101.1). figurae anche in Lucrezio, III, 246 (om.). d) elementi (stoice‹a) Gli elementi sono gli atomi: Simpl. Phys. 28.9 (= 3); Cael. 659.18-19 (= 21.2); implicitamente: Arist. Phys. III 4, 203a19-21 (= 38.1). Corpi elementari (stoiceièdh sèmata): Simpl. Cael. 242.16 (= 65.2). e) sostanze Sostanze: Arist. Metaph. VII 13 (= 20.3); Plut. AC 1110F (= 8.1). Piccole sostanze: Simpl. Cael. 295.2, 5 e 6 (= 7.1). f) semi Simpl. Cael. 730.10-11 (= 69.2). semina = primordia rerum: Lucrezio I, 501 (om.). semina rerum: Lucrezio II, 481 e 497 (= 40.4); II, 1054, 1059, 1070, 1072 (= 44.4). ad f: Il motivo della ’panspermia’ ‘Come se (il composto) fosse una ‘panspermia’ (pansperm…a) di tutti gli elementi’: Arist. Cael. III 4, 303a16 (= 48.4); Filop. Anima 67.30-33 (= 48.5); Arist. De an. I 2, 404a4-5 (= 101.1); Phys. III 4, 203a21-22 (= 38.1); Simpl. Anima 26.2-4 (= 101.4); Filop. Phys. III 4, 396.10-12 (= 38.2); Simpl. Phys. III 4, 459.26-28 (= 38.3); cfr. inoltre Arist. GA IV 3, 769b1-2 (= 95.2). Con riferimento alla posizione di Anassagora: Arist. GC I 1, 314a28-b1 (= 49.1).
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VII. L’indivisibilità degli atomi 7.1. Indivisibilità per assenza di vuoto interno agli atomi Simpl. Cael. 242.19-21 (= 65.2); Filop. CG 155.4 sgg. (= 15.2); 158.21 sgg. (= 15.4); Secondo Epicuro: Ps-Plut. Plac. I 3, 9, 877F6-7 + Euseb. PE XIV 14, 5 (= 9.1 + 9.1.1); Lucrezio I, 526 sgg. (= 22.3). 7.2. Indivisibilità per solidità Simpl. Phys. 82.1-3 (= 22.2); Cicer. Fin. I 6, 17 (= 9.3 [cit. supra, 2.2]); Euseb. PE XIV 23, 3 (= 9.4). 7.2.1. Indivisibilità per compattezza Simpl. Phys. 82.1-3 (= 22.2); Cael. 609.18 (= 20.2); Cael. 242.19 (= 65.2). 7.2.2. Indivisibilità per via della durezza Filop. Phys. 25.7 (= 11.4); implicitamente: Arist. GC I 9 (= 51.5) Secondo Epicuro: Galeno Elem. I 2, 4.17-19 (= 8.3). 7.3. Indivisibilità per mancanza di parti Simpl. Phys. 925.14-15, 16 e 21 (= 22.1). 7.4. Indivisibilità per via della impassibilità Simplicio Phys. 925.14-15 (= 22.1); ivi, 82.1-3 (= 22.2). Ma l'impassibilità è fatta dipendere dall'assenza di vuoto in Simpl. Cael. 242.19-20 (= 65.2), dalla solidità in Simpl. Phys. 82.1-3 (cit.). Secondo Epicuro: Ps-Plut. Plac. I 3, 9, 877F6-7 + Euseb. PE XIV 14, 5 (= 9.1 + 9.1.1). 7.5. Indivisibilità per via della piccolezza Teodor. IV 10, 102.23-26 (= 5.2 + n. 33); Suda s.v. atoma [I 406.6-8] (= 5.2.1); Simpl. Phys. 925.14-15 (= 22.1); Simpl. Cael. 609.18 (= 20.2); Galeno Elem. I 2, p. 419 (= 8.3), Latt. ID X 5 (= 9.5); DI III 22 (= 9.6); implicitamente Arist. GC I 8, 326a24-29 (= 22.5). 7.6. Il corpo dotato di una certa figura non è divisibile in corpi identici per figura (o per forma) Questo principio è applicato agli atomi in Simpl. Cael. 664.30-665.3 (= 69.5) e in Filop. Anima II 8, 371.14-31 (= 22.4), cfr. Arist. Cael. III 7, 306a30-b2 (= 26.2). Gli atomi indivisibili per forma oltre che per grandezza: Aless. Metaph. V 3 (= 6.7). VIII. Quanto è identico per tutti gli atomi Per l’identità di natura degli atomi cfr. supra B.7.3, 7.3.1, 7.3.2. 8.1. Solidità (compattezza) “Ci sono certe cose solide (stere£) ed indivisibili”: Arist. GC I 8, 325b6 (= 15.1). “Supponendo [sogg. Leuc.] che la sostanza degli atomi sia compatta (nast¾n) e piena”: Simpl. Phys. 28.13 (= 3). Gli atomi sono ‘i compatti’: Stobeo I 10, 14(6) e I 14, 1f(3) (= 5.1 e 64.6). Associazione fra compattezza e assenza di vuoto in Simpl. Cael. 242.19-20 (= 65.2). 8.2. Impassibilità
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“Le cose prime, cioè l’atomo e il vuoto, sono impassibili”: Ps.-Plut. Plac. I 9, 3 + Stobeo I 11.3(2) + Teodor. IV 13 (= 10.4, 10.4.1 e 10.4.2). Gli atomi sono impassibili: Sesto AM X, 318 (= 6.5); Ippol. Ref. X 7, 6 (= 6.5.1); Plut. AC 8, 1110F6, 1111A6 e A8 (= 8.1); Galeno, Elem. I 2, 418.17 sgg (= 8.3); Aless. Metaph. 526.14 (= 20.4); Simpl. Categorias 431.24-26 (= 19.7), Phys. 925.14 e 20 (= 22.1); Filop. GC 24.23 (= 24.2). Gli atomi sono impassibili (e immutabili) per solidità: D.L. IX 44 (= 4.1); Plut. AC 1111A (= 8.1); Simpl. Cael. 242.19 (= 65.2). Solidi indivisibili impassibili: Arist. GC I 8, 325b35-326a3 (= 51.3). 8.3. Eternità (su ingenerabilità, indistruttibilità e immutabilità più oltre, XIII) La natura delle cose eterne è sostanze piccolissime: Simpl. Cael. 295.2 (= 7.1). .... sed sempiterno aevo perpetuo infinitam retinent in se soliditatem: Vitruvio II 2, 1 (= 9.8). 8.4. Assenza di qualità L’elemento primo è privo di qualità: Galeno, Elem. I 2, 3.17 (= 8.3); atomi separati dalle qualità, ivi 4.10 (= 8.3). Elementi privi di qualità: Stob. I, 16, 1(7) e (10) (= 53.6); Sesto PH III 33 (= 6.3); Plut. AC 8, 1110F6 (= 8.1). Gli atomi privi di qualità: Simpl. Cael. 665.6 (= 69.5); Categorias 431.24-26 (= 19.7); sono privi di ogni qualità sensibile: Sesto AM VIII 6 (= 58.4). 8.4.1. Assenza di qualità come il colore .... Simpl. Categorias 216.34 (= 8.2); Plut. AC 8, 1111A7 (= 8.1); Galeno, Elem. I, 417.5 sgg. (= 8.3); Stobeo I 16, 1(10) (= 53.6). Per la conseguente dissomiglianza dai composti cfr. supra, B.5.3. IX. Quanto, pur essendo comune a tutti gli atomi, varia da un atomo ad un altro 9.1. La figura e la grandezza come caratteristiche intrinseche (che differenziano un atomo da un altro) Grandezza e figura come le due sole proprietà ammesse da Dem.: Ps.-Plut. Plac. I 3, 9, 877E (= 9.1), anche Euseb. PE XIV 14, 5 (= 9.1.1). Gli atomi differiscono fra di loro per figura e grandezza: Simpl. Phys. 462.5-7 (= 38.4); Filop. Phys. 398.14-16 (= 39.2); differiscono soltanto per figura e grandezza: Aless. Mixt. 1, 213.19-20 (= 9.7); presentano svariate figure e differenze di grandezza: Simpl. Cael. 295.7-8 (= 7.1); gli atomi differenti per figura e grandezza (e posizione e ordine): Simpl. Cael. 242.22-23 (= 65.2); differenti per figura, per grandezza e per simili: ivi 242.28-29. Per la tesi che essi sono come un unico corpo o sostanza differenziato da grandezza e figura ovvero che presentano un’identica natura differenziata a quel modo cfr. supra, B 7.3, 7.3.1 e 7.3.2. 9.2. La figura come caratteristica differenziante principale Gli atomi differiscono soltanto per figura: Arist. GC I 8, 325b17-19 (= 51.1); implicitamente: Arist. Cael. I 7, 275b31-32 (= 65.1). La figura come loro caratteristica in qualche modo definitoria o essenziale: Filop. Phys. 25.15-19 (= 11.5); Arist. Cael. III 7, 306a30-31 (= 26.2).
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Gli atomi come corpi indivisibili che si differenziano per infinite figure: Filop. Anima 67.6-7 (= 101.2); come principi omogenei che differiscono per figura: Simpl. Phys. 43.26-28 e 44.3-5 (= 11.3). 9.3. Il peso come terza caratteristica aggiunta da Epicuro Plut. Plac. I 3, 9, 877E (= 9.1) e Euseb. PE XIV 14, 5 (= 9.1.1). X. Le variazioni fra gli atomi in relazione a grandezza e figura 10.1. Le variazioni in grandezza (atomi molto grandi?) Ci sono atomi assai grandi: Euseb. PE XIV 23, 3 (= 9.4). Ci può essere un atomo grande come un mondo (?): Stobeo I 14, 1f(3) (= 64.6 + n. 495 ad loc.) 10.2. Le variazioni di figura (fino all’infinito?) Figure di numero infinito ineriscono agli atomi: Simpl. Phys. 28.9-10 e 25-26 (= 3); le figure dei corpi semplici (o degli elementi) sono infinite: Arist. Cael. III 4, 303a11-12 (= 48.4); Filop. CG 23.5-6 (= 50.3). Gli atomi sono infiniti corpi indivisibili dotati di figure infinite: Filop. Anima 67.6-7 (= 101.2); sono infiniti per le figure: Simpl. Cael. 609.18-19 (= 20.2); sono infiniti per figura (oltre che per numero): Filop. Phys. 396.11-12 (= 38.2); Simpl. Phys. 166.7-10 (= 37.2); sono infiniti per differenze di figura: Simpl. Phys. 459.27-28 (= 38.3); Filop. GC 12.3-4 (= 40.1). Gli indivisibili sono definiti da figure infinite: Arist. GC I 8, 325b25 sgg. (= 25.1); Filop. ad loc. (= 25.2). Gli atomi sono corpi indivisibili infiniti nelle forme (oltre che per moltitudine): Arist. GC I 1, 314a21-23 (= 49.1). 10.3. Differenza di posizione che ci sarebbe rispetto all’atomismo epicureo Epicuro: figure non infinite ma inconcepibili, cfr. Ps-Plut. Plac. I 3, 9, 877F1 + Euseb. PE XIV 14, 5, 295.17-18 (= 9.1 e 9.1.1); Filop. GC 12.2-9 (= 40.1); Epicuro, Ep. ad Hdt. 42-43 (= 40.2); Lucrezio II, 478 sgg. (= 40.4). Cfr. Testi IV D 4. 10.3.1. Una restrizione epicurea nella variazione delle figure per evitare la divisibilità (fisica) dell’atomo La figura uncinata, quella a tridente e quella ad anello, cioè le figure con sporgenze, sono escluse perché particolarmente frangibili: Ps-Plut. Plac. I 3, 9, 877F1-4 + Euseb. PE XIV 14, 5, 295.18-20 (= 9.1 e 9.1.1). XI. Le figure degli atomi 11.1. Svariatezza o irregolarità delle figure degli atomi Gli atomi dotati di figure assai svariate (e irregolari): Teofr. Metaph. IX 34 (= 25.4); Stobeo I 15, 6a(3) (= 25.5). 11.2. Le figure possedute dagli atomi (esempi) Atomi diseguali, uncinati, concavi, convessi: Simpl. Cael. 295.16-18 (= 7.1); lisci, scabri, rotondi, angolati, uncinati: Latt. ID X 5 (= 9.5); DI III 17, 25 (= 9.6); lisci, scabri, rotondi, aguzzi: Teofr. Sens. 67 (= 55.3); lisci, scabri, rotondi, angolati o uncinati: Cicer. ND I 24, 66 (= 75.2); Ac. Pr. II 37, 121 (= 75.4);
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curvi e quasi adunchi: Cicer. ND I 24, 66 (= 75.2); atomi a forma uncinata: Stobeo I 22, 1e(1) (= 78.4); atomi con figure rotonde e a punta come frecce: Teofr. Sens. 77 (= 123.1); atomi con figure diseguali: Teofr. Sens. 66 (= 122.1); a sinuosità: Teofr. CP VI 1.6, Sens. 65 e CP VI 10.3 (121.3, 122.1 e 122.2); tondeggianti: Teofr. CP VI 1.6 e Sens. 65 (121.3 e 122.1); angolosi: Teofr. Sens. 65 e 67, CP VI 10.3 (122.1, 122.2). Cfr. particolarmente i seguenti testi:121.3 (sez. 1.6), 122.1, 123.1, 123.2. 11.3. Ruolo della figura nel movimento Le variazioni di figura implicano variazioni di velocità: Arist. Cael. IV 6, 313a14 sgg. (= 69.1). Mobilità della sfera: Arist. Cael. III 8, 306b29 sgg. (= 69.3); Simpl. ad loc. (= 69.4). Sugli atomi sferici cfr. anche più oltre (E 3.5). 11.4. Ruolo della figura nella spiegazione dei fenomeni o delle proprietà sensibili Le affezioni dei sensi o rappresentazioni si spiegano mediante le figure accanto ad altri fattori: Stobeo I 50, 24 (= 53.4); Stobeo I 16, 1(7) (= 53.6); Teofr. Sens. 60 e 64 (= 55.1 e 55.2); Filop. GC I 2, 23.2-15 (= 50.3); Arist. De sensu 4 (= 120.1); Aless. ad loc. 83.9 (= 120.2). I sapori si spiegano particolarmente con le figure: Teofr. Sens. 67 e 72 (= 55.3 e 121.1); Odor. 64 (= 121.2); CP VI 1, 2 e 6 (= 121.3). XII. Quanto mette un atomo in rapporto con altri atomi 12.1. Ritmo o configurazione, verso e contatto (·usmÒj, trop», diaqig») “L’essere si differenzia soltanto per ‘ritmo’, ‘verso’ e ‘contatto’, e di questi il ritmo è la figura, il contatto è l’ordine, il verso è la posizione: Arist. Metaph. I 4, 985b15-17 (= 10.1). La materia si differenzia per ‘ritmo’, ‘verso’ e ‘contatto’: Arist. Metaph. VIII 2 (= 10.2). Gli atomi differiscono fra di loro per ‘ritmo’, ‘verso’ e ‘contatto’: Simpl. Phys. 28.18-19 (= 3); Phys. 180.19-21 (= 12.4); per figura, ordine e posizione: Simpl. Phys. 44.4-5 (= 11.3). Le cose differiscono fra di loro per ‘ritmo’, ‘verso’ e ‘contatto’: Arist. GC 314a23-24 (= 49.1), con Filop. ad loc. (= 49.2). Figura, ordine e posizione come generi dei contrari: Arist. Phys. I 5 (= 12.1); Filop. Phys. 117.11-13 (= 12.3). Cfr. più oltre, E II (2.1 e 2.2) e E V (5.4). 12.2. Ritmo, verso e contatto come termini ’abderitici’ Usati da Democrito: Filop. Phys. 117.11-13 (= 12.3); GC 26.8 (= 50.6); detto espressamente solo di ‘ritmo’: Anima 68.1-3, 10-13 (= 101.3) , ma aggiungendo che tutt’e tre sono ‘voci del suo paese’. XIII. Gli atomi e la processualità 13.1. Sono ingenerati e imperituri “Corpi … ingenerati, eterni, incorruttibili”: Ps.-Plut. Plac. I 3, 9 (= 9.1); indistruttibili: Plut. AC 8, 1110F6 (= 8.1). nec laedentur nec interitionem recipiunt nec sectionibus dividuntur, sed sempiterno aevo perpetuo infinitam retinent in se soliditatem: Vitruvio II 2, 1 (= 9.8).
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13.2. Ingenerabilità di un atomo da un altro Arist. Phys. III 4, 203a33-34 (= 38.1); Filop. Phys. III 4,396.19-21 e 398.11-13 (= 39.1 e 39.2); Ps.-Aless. Metaph. 526.13-14 (= 20.4). 13.3. Loro immutabilità o inalterabilità cfr. D.L. IX 44 (= 4.1) Atomi inalterabili: Galeno, Elem. I 2, 419.2 (= 8.3); immutabili: Plut. AC 8, 1111A6 (= 8.1); gli atomi permangono gli stessi in quanto impassibili: Simpl. Cael. 294.31 (= 79.4). 13.3.1. Immutabilità quanto alla figura Teofr. CP VI 7, 2 (= 121.6); Filop. Phys. III 4, 396.11-13 (= 39.2). 13.4. Sono soggetti (solo) a movimento locale Arist. Phys. VIII 9, 265b23-30 (= 19.2); Simpl. ad loc. (= 19.3 e 19.4); Cat. 428.14-20 e 431.24-32 (= 19.6 e 19.7). Sul loro essere sempre in movimento cfr. più oltre, F 1.1. E. I composti, loro composizione e processi che li coinvolgono e il resoconto che ne viene dato a partire dagli atomi I. La ’carriera’ dei composti 1.1. Il costituirsi dei composti Per intreccio ecc. degli atomi: Arist. GC I 8, 325a34 (= 15.1); Cael. III 4, 303a7-9 (= 20.1); Simpl. Cael. 295.8-9 e 12-13 (= 7.1); 242.23-26 (= 65.2); Plut. AC 1111A (= 8.1); Galeno Elem. 4.13-16 (= 8.3); Cicer. Fin. I 6, 17 (= 9.3); Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4). 1.2. Permanenza dei composti Per la coesione e la presa reciproca (oppure l’intreccio) dei corpi: Simpl. Cael. 295.1416 (= 7.1), 242.24-26 (= 65.2) 1.3. Dissoluzione dei composti (in atomi separati) Dovuta ad una necessità più forte derivante dall’ambiente: Simpl. Cael. 295.19-20 (= 7.1). Sulla mancanza di unità (organica, ecc.) dei composti cfr. supra, B 6.4. II. I composti in genere 2.1. I composti differiscono fra di loro per differenze nella configurazione degli atomi Le cose (= composti) differiscono fra di loro per la forma, la posizione e l’ordine degli atomi: Arist. GC I, 314a23-24 (= 49.1); i composti differiscono fra di loro in tre modi: per la figura, per la posizione e per l’ordine degli atomi: Filop. ad loc., 12.30 sgg. e 13.3 sgg. (= 49.2); Phys. 116.27 sgg. (= 12.3); Stobeo I 50, 24 e I 16, 1 (7) (= 53.4 e 53.6); le differenze intercorrenti fra i corpi fisici risultano dalle figure, dalla posizione e dall’ordine degli atomi che li costituiscono: Filop. Anima 67.8-10 (= 101.2); similmente (ma poco preciso) Ermia, Irrisio 13 (= 5.7) e, con menzione del solo ‘ritmo’: Ps.-Arist. MXG 2, 11 (= 48.2).
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2.2. I composti si generano con proprietà differenti per via delle differenze nella configurazione degli atomi A seconda delle differenze di figura, di posizione e di ordine si generano corpi caldi o freddi ecc.: Simpl. Phys. 36.1 sgg. (= 47.5); si generano corpi con proprietà differenti: Filop. Phys. 262.15-20 (= 72.5); Dem. adduce figura, posizione e ordine nelle sue spiegazioni causali: Simpl. Phys. 300.16-18 (= 1.2.1). 2.3. I composti includono tutte le figure Ci sono ’semi’ di tutte le cose in tutte: Simpl. Cael. 730.10-11 (= 69.2); in ogni composto mescolanza di tutte le figure: Teofr. Sens. 67 (= 55.3); stessa tesi in Epicuro: Plut. AC 4, 1109C-E (= 56.1); negli ’atomisti’ in genere: Stobeo I 50, 26 (= 56.2). 2.4. Dei composti si percepisce ciò che ’prevale’ nella mescolanza Resoconto democriteo dei sapori: Teofr. Sens. 67 (= 55.3). Allusioni in alcuni altri dei passi sotto 2.3. III. I quattro elementi (empedoclei) 3.1. I quattro elementi sono ammessi come principi dei corpi composti Simpl. Phys. 35.22-24 (= 47.5); implicitamente: D.L. IX 44, 459.13-14 (= 4.1). 3.2. ... ma sono riportati agli atomi Le caratteristiche e trasformazioni dei quattro elementi sono spiegate causalmente riconducendole agli atomi: Simpl. Cael. 564.24 sgg., 641.1-9, 576.10 sgg. (= 47.1, 47.2, 47.3); Simpl. Phys. 35.22 sgg. (= 47.5); Plut. Primo frig. 8, 984C (= 47.4). Cfr. anche supra, D 5.3.1. 3.3. ... ovvero si generano dagli atomi Ermia, Irrisio 12 (= 5.6); D.L. IX 44 (= 4.1). 3.4. Composizione dei “quattro elementi” Salvo il fuoco, sono costituiti da atomi distinti solo per grandezza e piccolezza: Arist. Cael. III 4, 303a11-16, con allusione in 5, 303b29-304a7 (= 48.4 e 48.6); differiscono per la grandezza (o piccolezza) di atomi che sono gli stessi: Simpl. Cael. 617.25-26 (= 48.6.1); “differiscono per la piccolezza di elementi che sono di figura identica”: Simpl. Cael. 625.1-3 (= 48.6.2). 3.5. Composizione del fuoco e mobilità della sfera Il fuoco, come l’anima, è costituito da atomi sferici, che sono particolarmente mobili: Arist. De an. I 2, 403b31-404a9 (= 101.1); Filop. ad loc. 67.11-13 e 69.1-3 (= 101.2 e 104.2); Simpl. ad loc. 25.27-30 (= 101.4); Arist. De an. I 2, 405a5-7 (= 102.1); Filop. ad loc. 83.15 sgg. e 84.9 sgg. (= 102.2 e 102.3); Arist. Cael. III 4, 303a11-14 (= 48.4). IV. I composti per mescolanza o temperamento (cfr. Testi, V C) 4.1. La mescolanza è tale solo alla nostra percezione sensibile Arist. GC I 10, 327b32 sgg. (= 52.1); Filop. ad loc. 192.29 sgg. (= 52.2); Aless. Mixt. 2, 214.21-25 (= 52.3). 4.2. La mescolanza è dovuta alla giustapposizione delle particelle
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Arist. GC I 10, 327b32 sgg. (= 52.1); Filop. ad loc., 192.29 sgg. (= 52.2); Aless. Mixt. 2, 214.18 sgg. (= 52.3); Stobeo I 17, 2 + Ps.-Plut. Plac. I 17, 2 + Ps.-Galeno HP 29 (= 52.5, 52.5.1 e 52.5.2). V. I processi che coinvolgono i composti 5.1. Tutti i processi sono riportati al movimento locale degli atomi Arist. Phys. VIII 9, 265b23-30 (= 19.2); Simpl. ad loc. (= 19.3 e 19.4); Cat. 428.14-20 e 431.6 sgg. (= 19.6 e 19.7). 5.2. Distinzione fra generazione e alterazione Riconosciuta dai pluralisti (incluso Leucippo): Arist. GC I 1, 314a6 sgg. (= 49.1). Riconosciuta da Democrito: Arist. GC I 2, 315a34 sgg. e 315b32 sgg. (= 50.2 e 50.5); implicitamente Arist. GC I 2, 315b15 sgg. (= 24.1). 5.3. La generazione e la corruzione sono riportati ad aggregazione e disaggregazione degli atomi Arist. GC I 2, 315b6-8 (= 50.2), 316b33-34 (= 24.7), I 8, 325a31-32 (= 15.1); Filop. GC 24.21 sgg. (= 24.2), 26.11-15 (= 50.6); Phys. 110.11-12 (= 12.2), 95.10-15 (= 49.3); De an. 67.6-8 (= 101.2); Stob. I 10, 1d(1) (= 49.4); Simpl. Cael. 295.22-24 (= 79.4); “come sostengono certuni”: Arist. GC I 2, 317a17-18 (= 51.4). 5.4. Invece l’alterazione è riportata al loro mutamento di ordine e di posizione Arist. GC I 2, 315b6-9 e I 9, 327a15 sgg. (= 50.2 e 51.5); Filop. GC 154.4-5 (= 62.6). 5.5. La crescita e la diminuzione si hanno per immissione ed emissione di atomi Arist. GC I 8, 325b4-5 (= 15.1); I 9, 327a22-25 (= 51.5); Filop. GC 154.5 (= 62.6). Allusione in Arist. GC I 2, 315b13-14 (= 50.2), più esplicito Filop. ad loc., 23.25-27 (= 50.4). VI. Le interazioni fra i composti 6.1. L’agire e il patire richiedono identità Arist. GC I 7, 323b10-15 (= 62.4). 6.2. L’agire e il patire presuppongono il vuoto Arist. GC I 8, 325a32 sgg. (= 15.1); Filop. GC 154.2 sgg. (= 62.6). 6.3. Le interazioni possono avvenire mediante efflussi Aless. Quaest. 72.28-73.11 (= 89.1). Da ogni cosa si genera sempre qualche efflusso: Teofr. Sens. 50 (= 117.1). 6.3.1. Il percepire come un patire che avviene mediante efflussi Arist. De sensu 3 (= 117.3); Aless. ad loc. (= 117.3.1); Aless. De sensu 4 (= 120.2). Detto dei naturalisti che producono la sensazione mediante il simile, Teofr. Sens. 1 (= 116.1). VII. Fra quei composti che sono gli efflussi un tipo è costituito dagli “idoli” o simulacri o immagini 7.1. Gli “idoli” come un tipo di efflussi L’idolo è un efflusso della forma (del corpo): Teofr. Sens. 51 (= 117.1); Aless. De sensu 2, 24.18-20 (= 117.2.2).
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7.2. La loro introduzione Gli “idoli” detti espressamente essere stati introdotti da Democrito: Clem. Protr. 5, 66, 2 (= 5.4); Ps.-Plut. Vita Homeri 150 (= 110.1.2); loro ammissione da parte di Dem.: Cicer. Fin. 21 (= 9.3). 7.3. Ce ne sono dappertutto plena sunt imaginum omnia: Cicer. Divin. II 67, 137 (= 110.3). 7.4. Provengono dai corpi ovvero da ogni dove a corporibus solidis ... vult (sc. Dem.) fluere imagines: Cicer. Divin. II 67, 137 (= 110.3); ci sono oggetti (non precisati) dai quali essi provengono: Arist. Divin. 2, 464a10-11 (= 111.2); provengono da ogni dove, ma soprattutto dagli animali: Plut. QC VIII 10, 2 (= 110.4). 7.5. Penetrano in noi Penetrano dal di fuori nelle nostre menti (o anime): Cicer. Epist. ad fam. XV 16, 1-2 (= 110.8); Agostino, Ad Dioscorum epist. CXVIII, 27 (= 112.5); ... imagines obrepunt in animos dormientium extrinsecus: Cicer. Divin. II 67, 139 (= 110.3). 7.6. Rendono conto della visione oculare Gli “idoli” o simulacri impiegati da Dem. per rendere conto del vedere: D.L. IX 44 (= 4.1); Cicer. Fin. I 6, 21 (= 9.3); Stobeo I 52, 1 + Ps.-Plut. Plac. IV 13, 1 + Ps.-Galeno HP 94 (= 117.4, 117.4.1, 117.4.2); da Dem., da Leucippo e da Epic.: Aless. De sensu 2, 24.18-22 (= 117.2.2); inoltre cfr. Lucrezio IV, 237-38 (= 117.5.1) Suggerito implicitamente: Filop. GC 23.21 sgg. (= 50.4). nulla species ... nisi pulsu imaginum: Cicer. Divin. II 67, 137 (= 110.3). Detto genericamente della sensazione: Stobeo I 50, 12 + Ps.-Plut. Plac. IV 8, 4 + Ps.Galeno HP 90 (= 106.4 + 106.4.1 + 106.4.2). 7.7. Rendono conto di visioni come quelle in sogno Impiegati da Dem. per rendere conto di visioni come quelle in sogno: Cicer. Ac. pr. II 40, 125 [90.23-24] (= 46.2); Ps.-Plut. Plac. V 2, 1 + Ps.-Galeno HP 106 (= 110.1 e 110.1.1); Eustazio, In Odisseam IV, v. 795 sgg. (=110.1.3); Plut. QC VIII 10, 2 [734F735A] (=110.4); implicitamente Diog. En. fr. 10 (= 110.6); fr. 43 (=110.7); anche Cicer. Divin. II 58, 120 e 67, 137 e 139 (= 110.2 e 110.3); Arist. Divin. 2, 464a5-6 (= 111.2); Giov. Lidio iv 135 (= 186.3). 7.8. Loro ruolo nella formazione delle credenze religiose, cfr. Testi XI I.1 Grandi immagini incontrate dagli uomini che suggeriscono loro una concezione della divinità: Sesto, AM IX 19 e 42-43 (= 112.1 e 112.2), inoltre AM IX 25 (= 128.1); immagini favorevoli e sfavorevoli: Plut. Defectu 17 + Aemilius Paullus 1.4 + QC V 7, 6 (= 112.1.1, 112.1.2 e 110.5), inoltre Sesto AM IX 19 (= 112.1). 7.9. Rendono conto di quanto è oggetto di pensiero Impiegati da Dem. per rendere conto di quanto pensiamo: Cicer. Fin. I 6, 21 (= 9.3); Stobeo I 50, 12 + Ps.-Plut. Plac. IV 8, 4 + Ps.-Galeno HP 90 (= 106.4 + 106.4.1 + 106.4.2); Agostino, Ad Dioscorum epist. CXVIII, 27 (= 112.5). 7.10. Alcuni di questi idoli sono (o sembrano essere) animati
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L’animazione degli idoli, specialmente nel manifestarsi nei sogni, ammessa da Dem., ma poi rifiutata dagli Epicurei: Plut. QC VIII 10, 2 [735A-B] + QC V 7, 6 (= 110.4 e 110.5); Diog. En. fr. 10 (= 110.6), fr. 43 (= 110.7); Agostino Ad Dioscorum epist. CXVIII, 28 (= 112.5). F. Il movimento degli atomi e il ruolo del peso I. Il movimento continuo degli atomi 1.1. Gli atomi sempre (eternamente) in movimento Arist. Metaph. XII 6, 1071a32-33 (= 42.3); Simpl. Phys. 28.8-9 e 11 (= 3), Cael. 586.1 (= 64.2), Anima 39.29 (= 103.4); Ippol. Ref. I 12, 1 (= 4.4 + n. 25); Galeno, Elem. 4.10 sgg. (= 8.3); Cicer. Fin. I 6, 17 (= 9.3); Ermia, Irrisio 12 (= 5.6). 1.1.1. ... sempre in movimento nel vuoto Ippol. Ref. I 13, 2 (= 4.5); Euseb. PE XIV 3, 6 (= 5.5); Arist. Cael. III 2, 300b8-10 (= 64.1); Simpl. Cael. 583.20-22 (= 64.1.1). 1.1.2 ... in movimento nel vuoto Simpl. Cael. 242.21-23 e 585.29-30 (= 65.2 e 64.2). 1.1.3. Si muovono dispersi nel vuoto Plutarco, AC 8, 1110F (= 8.1). 1.2.1. In movimento disordinato (vorticoso o volteggiante) nel vuoto Isidoro, Etym. XIII 2, 1 (= 5.12); Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4); Latt. ID X 1, 9 (= 9.5); D.L. IX 44 (ma: nel tutto) (= 4.1). turbulenta concursio: Cicer. Fin. I 6, 20 (= 9.3). 1.2.2. In movimento incessante e in varie direzioni (risultante in incontri ecc.) Galeno, Elem. 4.10 sgg. (= 8.3), Suda, s.v. heimarmene (= 73.5), Enomao presso Euseb. PE VI 7, 18 (= 73.6) e Teodoreto VI 8 e 9(= 73.6.1), anche Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4). La stessa visione è suggerita dall’immagine del pulviscolo atmosferico, si veda supra, D. 4.1. II. Modalità e origine del loro movimento 2.1. Gli atomi si muovono per impatto ovvero urtandosi Aless. Metaph. I 4, 36.21-22 e 24 (= 64.4); Ps.-Plut. Plac. I 23, 3 + Stobeo I 19, 1(2) (= 64.5 e 64.5.1); Stobeo I 14, 1f(3) (= 64.6); Cicer. De fato 20, 46 (= 64.7); Filop. Anima 167.25-26 (= 103.2); Diog. En. fr. 54 (= 76.1); implicitamente: Ps.-Plut. I 26, 3 (= 77.1). Con la precisazione che sono privi di movimento per natura: Simpl. Phys. 42.10-11 (= 64.3); peraltro degli atomi sferici viene detto che per loro natura non stanno mai fermi: Arist. Anima I 3, 406b20-21 (= 103.3). 2.2. Del loro movimento eterno non è precisato (per Arist.) se è naturale o meno Arist. Metaph. Cael. III 2, 300b10-11 (= 64.1); implicitamente:.XII 6, 1071b33-34 (= 42.3). 2.3.... tale loro movimento (nel vuoto) è (in termini aristotelici) forzato
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Il movimento originario che, perché disordinato, è contro natura, è ritenuto avere la precedenza su quello naturale: Arist. Cael. III 2, 300b8-16 (= 64.1); tale movimento è detto senz’altro “per costrizione” o “forzato” in Simpl. Cael. 583.20-22 e 586.1 (= 64.1.1 e 64.2), e in Aless. Metaph. 36.21-22 e 24 (= 64.4). 2.4. Del movimento atomico non c’è una causa efficiente Arist. Metaph. I 4, 985b19-20 e XII 6, 1071b32-34 (=10.1 e 42.3); Phys. VIII 9, 265b23-24 (= 19.2); Simpl. ad loc. 1318.30-33 (= 19.3); Cicer. Fin. I 6, 18 (= 9.3). Probabilmente attinenti anche Arist. GA II 6, 742b17-29, Phys. VIII 1, 252a23-b4 (= 42.1, 42.2). 2.5. Il peso (la gravità) come causa del movimento degli atomi secondo Epicuro Ps.-Plut. Plac. I, 3, 9 [877E] (= 9.1); Stob. I 14, 1f(2) (= 64.6 + n. 494); Cicer. De fato 20, 46 (= 64.7); ibid. 10, 23 (= 76.2); ND I 25, 69 (= 76.3). Gli atomi democritei non hanno peso: Stobeo I 14, 1f(3) (= 64.6). 2.6. La declinazione (clinamen) innovazione di Epicuro Cicer. Fin. I 6, 18-19 (= 9.3); De fato 10, 22 e 23 (= 76.2); ibid. 20, 46 (= 64.7); ND I 25, 69 (= 76.3); Ps.-Plut. Plac. I 23, 4 + Stobeo I 19, 1(2) (= 64.5 e 64.5.1); Diog. En., fr. 54 (= 76.1). III. Il movimento e il peso 3.1. Gli atomi, essendo tutti della stessa natura, possono solo avere lo stesso movimento Arist. DC I 7, 275b29 sgg. (= 65.1); Simpl. ad loc. 242.17-34 (= 65.2) 3.2. Tutti i corpi (presumibilmente: nel mondo) sono pesanti, dunque si portano in basso Simpl. Cael. IV 4, 712.27-28 (= 68.4.1); Cael. III 1, 569.5-6 (= 66.3); allusione in Arist. Cael. IV 4, 311b16-18 (= 68.4). 3.3. I corpi apparentemente leggeri ovvero che si portano in alto sono “espulsi” Simpl. Cael. 569.5-9, 712.27-29 (= 66.3, 68.4.1); allusione in Arist. Cael. I 8, 277b1-2 (= 66.1), con Simpl. ad loc. 269.4 sgg. (= 66.2), e Arist. Cael. IV 2, 310a3-11 (= 68.2). Cfr. anche testo epicureo di Ps.-Plut. I 4, 2 (= 80.2) 3.4. L’apparenza di leggerezza di certi corpi può dipendere anche dal “rimanere indietro” Arist. Cael. IV 2, 310a10 (= 68.2). 3.5. La differenza di peso fra gli atomi dipende dalla differenza di grandezza Arist. GC I 8, 326a9-10 (= 51.3); Teofr. Sens. 61 [516.25] e 71 [520.10-11] (= 55.2 e 55.3); Simpl. Cael. 690.22-26, 693.25-32 (= 68.2.3, 68.2.4); allusione in Arist. Cael. IV 2, 309a1-2 e 310a3 sgg. (= 68.2), con Simpl. ad loc. 685.8-11 (= 68.2.2). 3.6. Nei composti maggior leggerezza dipende da minor presenza di atomi Arist. Cael. IV 2, 309a11 sgg. e 4, 311a29-b1 (= 68.2 e 68.3). 3.7. Nei composti maggior leggerezza dipende da maggior presenza di vuoto
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Teofr. Sens. 61 [516.27-28] e 62 (= 55.2); allusione in Arist. Cael. IV 2, 309a5-8 e 1011 (= 68.2), con Simpl. ad loc. 684.19-26 (= 68.2.1). 3.7.1. Confronto col resoconto platonico del peso Arist. Cael. IV 2, 308b29 sgg. (= 68.2); Simpl. ad loc. 684.19-26 (= 68.2.1). 3.8. Associazione causale (introdotta da Aristotele?) di pesante al pieno e di leggero al vuoto Arist. Cael. IV 2, 309b17-28 e b34-310a1 (= 68.2); IV 4, 311a34-b1 (= 68.3). 3.9. La distinzione fra pesante e leggero (nel mondo) dovuta al vortice Allusione in Arist. Cael. II 13, 295b1 sgg. (= 67). IV. “Leggi” del movimento 4.1. Similia similibus Sesto AM VII 116-118 (= 63); Ps.-Plut. Plac. IV 19, 3 (= 90.3); Simpl. Phys. 28.19-20 (= 3); Aless. Quaest. 72.28-29 e 73.1 (= 89.1); Teofr. De aquis (= 88.6). In cosmogonia: D.L. IX 31 (= 80.1); cenno in Ippolito parlando di atomi uniformi: Ref. I 12, 2 (= 4.4). 4.2. Horror vacui Aless. Quaest. 72.28-29 (= 89.1), Teofr. Sens. 55 (= 119.1), probabilm. D.L. IX 31 (= 80.1). V. Meccanismi del movimento 5.1. Il vortice Formazione del mondo mediante il vortice secondo Leucippo: D.L. IX 31 (= 80.1). Formazione di tutte le cose mediante il vortice secondo Dem.: D.L. IX 45 (= 4.1); secondo Democrito (seguendo Anassagora): Teodor. IV 17 (= 82.2); allusione in Arist. Cael. II 13, 295a31 sgg. (= 67), e in Epicuro, Ep. Pyth. 90 (= 81.2). 5.2. L’azione sul tipo del vaglio In processi svariati (secondo Dem.): Sesto AM VII 117 (= 63). Nella formazione del mondo (secondo Leucippo): D.L. IX 31 (= 80.1). Ripresa della teoria in Platone, Timeo 52D-53A (= 80.3). G. Causalità, necessità, caso, fine, cfr. Testi VIII I. Necessità 1.1. Tutto avviene per necessità Oltre ai testi sotto 70 cfr. D.L. IX 45 (= 4.1) e, coincidente con esso, Suda s.v. ¢nagka‹on (= 70.4); Euseb. PE I 8, 7 (= 4.6). 1.2. Ricorso alla necessità da parte di Leucippo in cosmologia e cosmogonia Ippol. Ref. I 12, 2 (= 4.4); D.L. IX 33 (= 80.1). II. Necessità e caso 2.1. Ricorso al caso da parte di Democrito in generale o in cosmogonia In generale: Euseb. PE XIV 27, 4-5 (= 0.5.5); Latt. DI I 2, 1-2 (= 75.1); Nemesio, Nat. homin. 43 (= 75.5).
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In cosmog.: Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4); Latt. ID X 1 e 3 (= 9.5); allusione in Arist. Phys. II 4, 196a24 sgg. (= 72.1) + PA I 1 (= 72.2), con Simpl. Phys. 331.20-21 (= 72.4); Filop. Phys. 261.31 sgg. (= 72.5). 2.1.1. La casualità della formazione del vortice cosmico Arist. Phys. II 4 (= 72.1); Simpl. Phys. II 4, 327.23-26 e 331.20-21 (= 72.3 e 72.4). 2.1.2. Antitesi che ci sarebbe con la regolarità della generazione dei viventi Arist. Phys. II 4, 196a24 sgg. (= 72.1); PA I 1, 641b15-23 (= 72.2); Simpl. Phys. 331.16 sgg. (= 72.4); Filop. Phys. 261.31 sgg. (= 72.5). 2.1.3. La casualità che ci sarebbe nella formazione dell’anima Cicer. Tusc. I 11, 22 e 18.42 (= 75.3). 2.2. Associazione in Democrito di necessità e vortice D.L. IX 45 (= 4.1); Sesto AM IX 113 (= 81.3); probabile allusione in Epic. Ep. Pyth. 90 (= 81.2). III. Ricorso alla necessità ad esclusione (almeno implicitamente) della finalità 3.1. Nella spiegazione di certi fenomeni riguardanti i viventi Democrito ricorre esclusivamente alla necessità Teofr. CP II 11, 7 (= 98.1); Arist. GA V 8, 789b2 sgg. (= 98.3). 3.2. Democrito non si cura della causa finale Arist. GA V 8, 789b2 sgg. (= 98.3); De resp. 4, 471b30-472a3 e sgg. (= 104.1); Ps.Arist. De spiritu 482a28-31 (= 104.1.1). Insieme agli altri naturalisti: Arist. De resp. 1, 470b6-7 e 4, 472a1-3 (= 104.4 e 104.1). 3.3. Rifiuto della provvidenza ovvero di una causa provvidenziale Euseb. PE XIV 23, 1 (= 9.4) e (implicitamente) I 8, 7 (= 4.6); Latt. ID X 1 (= 9.5); DI I 2, 1-2 (= 75.1); Nemesio, Nat. homin. 43 (= 75.5); Ps.-Plut. Plac. II 3, 2 (= 81.1). 3.4. Ricerca delle cause da parte di Democrito, cfr. sopra, A.1 H. Cosmologia e cosmogonia, cfr. Testi IX 1. 1. Definizione di mondo Attribuita a Pitagora: Ps.-Plut. Plac. II 1, 1 e Ps.-Galeno, HP 44 (= 78.1 e 78.6.3). Proposta da Epicuro: Ep. Pyth. 88 (= 78.2). 1.2. Conformazione del (nostro) mondo Stobeo I 15, 6b(2) (= 78.3); Stobeo I 22, 1e(1) (= 78.4). 2.1. I mondi sono molti Simpl. Phys. 701.30-31 (= 78.7), Filone, Aetern. 3 (= 79.7). Sono molti e infiniti: Simpl. Phys. 331.18 (= 72.4); Teodor. IV 15 (= 78.6.4). Ci sono altri mondi oltre al nostro: Aless. Metaph. 534.7-11 (= 78.8), implicitamente Plut. QC VIII 9, 733D (= 99.7). Non singolarità del nostro mondo : Arist. Cael. I 9 (= 45.1), Lucrezio II 1077-1089 (= 45.2).
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2.2. I mondi sono di numero infinito D.L. IX 44 [459.9-10] (= 4.1); IX 31 (= 4.3); Ippol. Ref. I 13, 2 (= 4.5); Dionisio apud Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4); Simpl. Phys. 178.23 (= 37.3) e 1121.5-7 (= 79.2); Filop. Phys. 405.23-27 (= 44.1) e 262.2-3 (= 72.5); Aless. apud Simpl. De Caelo 294.27-29 (= 79.4) e Phys. 310.6-7 (= 79.6); Elia, In Categorias Prooemium, 112.26-28 (= 0.8.19.2), Valerio Massimo VIII 14, ext. 2 (= 0.8.19.1). Allusioni in Arist. Phys. VIII 1, 250b18-19 (= 79.1); Cicer. Fin. II 31, 102 (= 0.3.13). Sono innumerabili: Cicer. Fin. I 6, 21 (= 9.3); Ac. pr. II 17, 55 e II 40, 125 (= 46.1 e 46.2); Lattanzio, De ira dei X 1, 10 (= 9.5). Sono infiniti nel vuoto infinito: Simpl. Cael. 202.16-18 (= 78.5); Ps.-Galeno, HP 44 (= 78.6.3). Sono infiniti nell’infinito: Stobeo I 22, 3b(2) + Ps.-Plut. Plac. II 1, 3 (= 78.6 e 78.6.1). 2.3. Alcuni mondi simili al nostro, altri dissimili Ippol. Ref. I 13, 2-3 (= 4.5); Cicer. Ac. pr. II 40, 125 (= 46.2). 2.4. Alcuni mondi sono perfettamente uguali Cicer. Ac. pr. II 17, 55 (= 46.1). Sull’ammissione di individui identici oltre ai mondi cfr. supra, B.6.5. 3.1. In ogni dato tempo alcuni mondi si stanno generando e altri stanno perendo Allusione in Arist. Phys. VIII 1, 250b18-20 (= 79.1), con Simpl. ad loc. 1121.5-9 (= 79.2). I mondi si generano e si corrompono: D.L. IX 31 (= 4.3); Ippol. Ref. I 12.2 e I 13.3 (= 4.4 e 4.5); Cicer. Fin. I 6, 21 (= 9.3); Filone, Aetern. (3) 8 (= 79.7). Il (nostro) mondo è corruttibile: Stobeo I 20, 1f(4) (= 79.9). I mondi attraversano le fasi di crescita, culmine e declino: Ippol. Ref. I 13.3 (= 4.5); D. L. IX 33 (= 80.1). Per Dem. un mondo è distrutto da un altro: Stobeo, I 20, 1f(7) (= 79.10); Ippol. Ref. I 13, 3 (= 4.5); allusione in Epicuro, Ep. Pyth. 90 (= 81.2). 3.2. Ciascun mondo si genera e si corrompe come ogni altro composto Allusione in Arist. Cael. I 10, 279b13-14 (= 79.3); Aless. apud Simp. ad loc. 294.23-30 (= 79.4). IV. Formazione dei mondi in generale e del nostro mondo in particolare 4.1. Formazione dei mondi D.L. IX 30, 452.17-18 e 31-33 (= 4.2 e 80.1); Euseb. PE XIV 23, 2 (= 9.4). Sulla casualità dell’origine di un mondo e sulla necessità che opera nel suo formarsi cfr. supra, G.2.1 e 2.1.1, e 1.2. 4.2. Formazione mediante un vortice Secondo Leucippo: D.L. IX 31 (= 80.1); senza menzione esplicita del vortice: Ippol. Ref. I 12, 2 (= 4.4). Secondo Dem.: D.L. IX 45 [459.19-20] (= 4.1); (seguendo Anassagora): Teodor. IV 17 (= 82.2).
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Allusione in Arist. Cael. II 13, 295a31 sgg. (= 67); allusione con critica in Epicuro, Ep. Pyth. 89-90 (= 81.2); allusione in Arist. Phys. II 4 (= 72.1), esplicitata tramite citazione di Dem. in Simpl. Phys. 327.23-26 (= 72.3). Sull’azione del vaglio nella formazione del mondo cfr. supra, F.5.2. 4.3. La formazione dei corpi celesti In Leucippo: D.L. IX 32-33 (= 80.1). In Dem.: D.L. IX 44, 459.15-17 (= 4.1); Ippol. Ref. I 13, 4 (= 4.5); Euseb. PE I 8, 7 (= 4.6). Il resoconto di Epicuro, in Ep. Pyth. 90 (= 80.4), cfr. Ps.-Plut. Plac. I 4, 3 (= 80.2). 4.4. Formazione della terra mediante un vortice Allusione in Arist. Cael. II 13, 295a9-14 (= 67). D.L. IX 32 (= 80.1); Filop. Phys. 262.8-14 (= 72.5). 4.5. L’immobilità della terra Il vortice causa della sua immobilità secondo Leucippo: D.L. IX 30 (= 4.2). La sua piattezza causa della sua immobilità secondo Dem.: Arist. Cael. II 13, 294b13 sgg. e 295a14-16 (= 67); Simpl. ad loc. 526.34-527.6 (= 67.1). Il vortice causa della sua immobilità secondo Dem. (confusione con Empedocle? O con Leucippo?): Filop. Phys. 262.8-14 e 265.5-9 (= 72.5 e 72.6). Sulla questione della stabilità della terra, oltre che sulla sua posizione e sulla sua figura, cfr. anche Testi IX.E.2. I. Antropologia e contributi allo studio della cultura I. Sul parallelo fra uomo e mondo e sull’origine della civiltà cfr. Testi XIII A-C Punti specifici: 1. Iniziale generazione spontanea sia degli animali sia degli uomini Diodoro Sic. I 7, 4-6 (= 125.1); Censorino 4, 9 (= 125.2); Latt. DI VII 7, 9 (= 125.3); Ps.-Galeno, HP 123 (= 92.1). 2. Origine delle credenze religiose, cfr. Testi XIII C 3 Ruolo degli ‘idoli’, cfr. supra, E 7.7 e cfr. Sesto AM IX 24-25 (= 128.1) 3. Contributi ad arti come la medicina e l’agricoltura (in relazione a Testi XIII C 2 sull’origine e sviluppo delle arti) cfr. Testi XV C 4. Contributi a questioni filologiche (etimologie, ecc.) (in relazione a Testi XIII E su questioni omeriche e grammaticali) cfr. Testi XV D L. Antropologia e psicologia I. La restrizione dello studio all’anima umana Democrito è fra i naturalisti che si sarebbero occupati solo dell’anima umana: allusione in Arist. De an. I 1, 402b3-5 (= 100.2); detto esplicitamente in Filop. Anima 36.16-19 (= 100.3). Questa sua restrizione risulta dall’avere qualificato l’anima mediante l’intelligenza, la sensazione e il movimento: Arist. De an. I 5, 410b16-18 e 22-24 (= 100.4).
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Questa sua restrizione risulta dall’avere qualificato l’anima mediante l’intelligenza e la sensazione: Filop. Anima 185.15 sgg. (= 100.5). II. Priorità dell’anima sul corpo e costituzione di entrambi 2.1. Priorità dell’anima sul corpo come fonte del suo movimento Cfr. più oltre, sotto 3.1. 2.2. Priorità dell’anima sul corpo come fonte di bene e di male ovvero perché lo impiega come suo strumento Plutarco, Fragm. mor. I 2; De tuenda sanitate praecepta 24, 135D-E; Animine an corporis affectiones sint peiores 1, 500C e 2, 500D (= 135.1, 135.2, 135.3). 2.3. Il corpo come ’involucro’ (skÁnoj) Eliano, NA XII 17 (= 97.3), cfr. i seguenti framm. etici: Democrate 3 (= 134.1); Stobeo III 1, 27 + Democr. 2 (= 134.3); Stobeo IV 29, 18 + Democrate 23 (= 134.5); Stobeo III 10, 65 (= 135.5); Stobeo IV 19, 45 (= 162.8); Stobeo IV 40, 21 (166.1). In Lucrezio vas, cfr. IV, vv. 932 sgg., anche III, v. 440 e v. 793. 2.4. L’anima è corporea L’anima è un corpo: Nemesio, Nat. homin. 2 (= 101.7). L’anima è un corpo composito, costituito da corpuscoli non a contatto: Filop. Anima 9.3-6 e 16 sgg. (= 100.1). Critica rivolta a Dem. di avere fatto dell’anima un corpo: Arist. De an. I 5, 409b2-4 (= 103.1). Conseguenza: corruttibilità dell’anima, cfr. Testi XI C 3. Non sopravvive al corpo, cfr. anche Luciano Philops. 32 (= 0.5.9). Non è immortale: Latt. DI 18, 5-6 (= 0.4.6.1). Tesi implicita nel seguente framm. etico circa la ‘nostra natura mortale’: Stobeo IV 52, 40 (= 151.6). 2.5. L’anima è costituita da atomi sferici È costituita da atomi sferici per via della loro mobilità: Filop. Anima 9.18-19 (= 100.1); idem 68.13-18 (= 101.3); idem 168.13-14 (= 103.2); è costituita da atomi sferici, come lo è il fuoco, per via della loro mobilità: Arist. De an. I 2, 403b31-404a3 e 5-8 (= 101.1), 405a8-13 (= 102.1); Filop. Anima 67.10-16 e 28 (= 101.2), 83.21-28 (= 102.2), 84.9 sgg. (= 102.3), Simpl. Anima 25.26-30 (= 101.4); allusione anche in Filop. Anima 68.19 sgg. (= 104.2). È costituita da atomi sferici come lo è il fuoco: Ps.-Plut. Plac. IV 3, 4 + Stobeo I 49, 1b(4) (= 101.6 + 101.6.1); Cicer. Tusc. I 22 e 42 (= 75.3). È costituita da atomi lisci e rotondi (senza allusione al fuoco): D.L. IX 44 (= 4.1). 2.6. L’anima è della stessa costituzione del fuoco (cfr. 2.5) Nemesio NH 2 (= 101.7). L’anima è un aggregato igneo: Ps.-Plut. Plac. IV 3, 4 + Stobeo I 49, 1b(4) (= 101.6 + 101.6.1). L’anima e il calore si risolvono negli atomi sferici: Arist. De resp. 472a4-5 (= 104.1). III. Ciò che qualifica l’anima 3.1. L’anima è qualificata dall’essere fonte di movimento (per il corpo)
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Arist. De an. I 2, 403b28 sgg. (= 101.1); I 5, 409a31-b11 (= 103.1); Filop. Anima 84.9 sgg. (= 102.3). Critica del modo in cui Dem. ritiene che l’anima muova il corpo: Arist. De an. I 3, 406b15-25 (= 103.3); Simpl. ad loc. 39.22-31 (= 103.4). 3.2. L’anima è qualificata dalla capacità di percezione oppure di conoscenza L’anima definita in base al conoscere e coincidente con l’intelletto e la facoltà percettiva: Filop. Anima 185.14-23 (= 100.5). Proposizione implicita nell’attribuzione a Dem. della tesi della coincidenza di anima e intelletto: Arist. De an. I 2, 404a25-31 (= 101.1); I 2, 405a3-13 (= 102.1). Cfr. inoltre il primo passo indicato infra, sotto 3.4. 3.3. L’anima è qualificata dalla sua (relativa) incorporeità Per la sua costituzione identica a quella del fuoco l’anima è la sostanza più incorporea: Arist. De an. I 2, 405a3-13 (= 102.1); Filop. Anima 83.21-28 (= 102.2). 3.4. L’anima è qualificata da tutte (o alcune di) queste proprietà Tutti (i naturalisti) definiscono l’anima mediante il movimento, la percezione e l’incorporeità: Arist. De an. I 2, 405b11 sgg. (= 102.4). Implicazione che Dem. la definisce così nell’ammettere la coincidenza dell’anima con l’intelletto e col fuoco: Arist. De an. I 2, 405a3-13 (= 102.1). IV. L’anima e la vita, l’anima e l’intelligenza o la percezione 4.1. Funzione della respirazione come condizione di vita e suo funzionamento, cfr. Testi XI D.1 e cfr. Arist. Anima I 2, 404a9-16 (= 101.1). 4.2. Persistenza di funzioni vitali dopo la morte, cfr. Testi XI G.2 e cfr. Varrone, Saturae 81 (= 0.4.3.1) e Plinio, Naturalis historia VII 189 (= 0.4.3.2). 4.3. La coincidenza di anima e intelletto D.L. IX 44 [459.17] (= 4.1); Arist. De an. I 2, 404a28 e 31 (= 101.1); De an. I 2, 405a9 (= 102.1); Filop. Anima 84.14-15 (= 102.3); 71.20-21 e sgg. (= 105.3); Stobeo I 48, 7(2) (= 105.5); Tertulliano, Anima 12.6 (= 105.6); coinvolgendo anche la sensazione: Filop. Anima 185.16-17 (= 100.5). Coincidenza suggerita in modo implicito: Arist. De resp. 472a8 (= 104.1). implicazione: l’anima è priva di parti: Filop. Anima 35.12-14 (= 105.1); tesi ritenuta essere democritea e criticata da Aless. Anima 27.4-8 (= 105.2). 4.4. Semplicità o composizione dell’anima, cfr. Testi XI E, 1-2 V. La base fisica del pensiero e della sensazione (cfr. Testi XI F 1), e di altri processi psichici (cfr. Testi XI G) 5.1. Il pensiero e la sensazione come condizioni corporee Il pensare come alterazione (del corpo): Arist. Metaph. IV 5, 1009b12 sgg. (= 57); Teofr. Sens. 72 (= 55.3); dipende dal temperamento del corpo: Teofr. Sens. 58 (= 106.2). Sensazioni e intellezioni sono alterazioni del corpo: Stobeo I 50, 4 (= 106.3). Il pensare, come il percepire, è corporeo: Arist. De an. III 3, 427a26-27 (= 106.1).
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5.2. La coincidenza fra pensiero e aver sensazione Arist. Metaph. IV 5, 1009b12 sgg. (= 57); Filop. Anima 35.13-14 (= 105.1); parlando degli “antichi”: Arist. De an. III 3, 427a21-29 (= 106.1). Il motivo omerico dell’”altro-pensare”: Arist. Metaph. IV 5, 1009b28-31 (= 57); De an. I 2, 404a25 sgg. (= 101.1); Simpl. Anima 27.6 sgg. (= 105.4); Teofr. Sens. 58 (= 106.2); Eustazio, In Iliadem XXIII, v. 698 (= 106.2.1); riferimento simile ad Omero in Arist. De an. III 3, 427a25-26 (= 106.1 + n. 826). 5.3. Il pensiero, come la percezione sensibile, dipende dalla penetrazione di atomi ovvero di ‘idoli’ cfr. supra, E 7.6 ed E 7.9. 5.4. I sogni dipendono dalla penetrazione di ’idoli’ cfr. supra, E 7.7. VI. Resoconto della percezione sensibile (generalità), cfr. Testi XII. 6.1. La divergenza di approccio fra Democrito e Platone Teofr. Sens. 60-61 (= 55.1); CP VI 1, 2-6 (= 121.3). 6.2. La natura (corpuscolare) del suono e il funzionamento dell’udito Plut. QC VIII 3, 1 e 2 (= 90.2); Ps.-Plut. Plac. IV 19 (= 90.3); Aulo Gellio V 15, 8 ecc. (= 90.4, 90.4.1, 90.5, 90.5.1); Teofr. Sens. 55-57 (= 119.1); Porfirio, Harm. 32 (= 119.2). M. Etica (limitatamente alla dossografia) 1.1. Il buon animo o il ben-essere (eÙqum…a, eÙestè) come fine supremo dell’uomo D.L. IX 45 (= 4.1) + Suda s.v. eÙestè (= 132.5); Stobeo II 7, 3i (= 131); Clem. Strom. II xxi, 130, 4-6 (= 132.1), Epifanio, Adv. haereses III 2, 9 (= 132.3), Teodor. XI 6 (= 132.4); Cicer. Fin. V 87-88 (= 133.3). 1.2. Presentazione del buon animo o ben-essere Stobeo II 7, 3i (= 131); Seneca, De tranquillitate animi 2, 3 e 4 (= 133.1); cfr. framm.: Stobeo III 1 (= 137.1). 1.3. L’assenza di timore (¢qamb…a) come costituente del ben-essere Cicer. Fin. V 87 (= 133.3); Strabone I 3, 21 (= 133.4); cfr. framm.: Stobeo III 7 (= 138.1). 2. L’atteggiamento nei confronti del piacere D.L. IX 45 (= 4.1) + Suda s.v. eÙestè (= 132.5); Stobeo II 7, 3i (= 131); Teodor. XI 6 (= 132.4); cfr. framm.: Stobeo III 5, 22 (= 139.2) e Democr. 39 (= 139.3).
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RAGGUAGLIO SUI TESTI INCLUSI NELLA PRESENTE RACCOLTA SUI PRIMI ATOMISTI E SUI TESTI DA ESSA ESCLUSI I. Elenco di passi (testimonianze su Leucippo e Democrito) reperibili solo nella presente raccolta ovvero non riportati nelle raccolte di Diels e Kranz e di Luria, pur essendo tratti da opere di non recente pubblicazione: 0.2.4. Tzetzes, Chiliades II 982-1000, III 1-3 (con IV 528-30 e XIII 79-83) [tutti questi sono ignorati salvo un singolo verso, cfr. 67 A 5 e 153 Lu.] 0.3.16.1. Eusebio, Demonstratio evangelica III 6, 22 0.3.17. Seneca, De providentia 6, 2 0.4.6. Lattanzio, Epitome div. inst. 34, 8-9 0.5.18.1. Tzetzes, Chiliades X, 576-589 0.5.10. Luciano, Alexander seu Pseudomantis, 17 e 50 0.8.4.1. Ps.-Galeno, Historia philosopha 7 0.8.5. Ippolito, Ref. I, Philosophumenon prooemium 5.8. Teodoreto, Graec. affect. cur. II 11 6.4. Ps.-Galeno, Historia philosopha 18 8.3.3. Galeno, De naturalibus facultatibus II 6 10.3. Simplicio, In Physica I (4, 188a17), 179.12-19 10.5. Alessandro, In Metaph. V (4, 1014b32-33), 359.6-10 11.5. Filopono, In Phys. I (2, 184b20), 25.14-26.11 12.4. Simplicio, In Phys. I (5, 188a19), 180.16-25 12.5. Simplicio, In Phys. I (6, 189a17 sgg.), 196.35-197.3 15.2. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 324b25), 154.21-155.2 e 155.4-22 15.3. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325a3), 156.20-157.1 15.4. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325a17 e 25), 158.12-25 19.6. Simplicio, In Categ. 14 (15a13), 428.14-20 21.6. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b5), 159.16-26 22.4. Filopono, In De anima II (8, 420a23 sgg.), 371.10-33 22.5. Aristotele, De gen. et corr. I 8, 326a24-29 24.5. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 316a14), 27.29-28.15 25.2. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b24 e b27), 162.12-27 25.3. Scolio ad Arist. De caelo (inizio dell'opera), p. 469b14-17 e 23-26 Brandis 30.3. Filopono, In Phys. IV (1, 208a27), 498.8-15 33.2. Filopono, In Phys. IV (6, 213a12 sgg.), 608.7-10 37.3. Simplicio, In Phys. I (4, 188a17), 178.23-25 39.1. Filopono, In Phys. III (4, 203a23), 396.15-21 48.6. Aristotele, De caelo III 5, 303b22-304a7 48.6.1. Simplicio, In De caelo III (5, 303b22 sgg.), 617.22-27 50.4. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b13), 23.21-30 51.1. Aristotele, De gen. et corr. I 8, 325b12-25 51.2. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 325b12), 160.14-31 53.2. Sesto, Adv. math. VIII 213 53.3. Sesto, Adv. math. VIII 354-56 53.8. Sesto, Adv. math. VI 52-53 54.1. Aristotele, De anima III 2, 426a15-26 54.1.1. Filopono, In De anima III (2, 425b25), 471.29-472.3 56.2. Stobeo I 50, 26 (476.12-16) [= Aezio IV 9, 9] 57.2. Alessandro d’Afrodisia, In Metaph. IV (5, 1009b12), 307.30-308.1 57.3. Alessandro, In Metaph. IV (4, 1005b35 sgg.), 271.38-272.4
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58.6. Diogene Laerzio IX 106 60.1.1. Cicerone, De finibus bonorum et malorum II, 1-3,2.4 62.2. Filopono, In De gen. et corr. I (6, 322b6 sgg.), 126.21-127.11 62.6. Filopono, In De gen. et corr. I (8, 324b25), 153.20-25 e 154.2-20 64.2. Simplicio, In De caelo III (2, 300b16), 585.27-586.2 68.2.2. Simplicio, In De caelo IV (2, 308b35 sgg.), 685.4-11 68.2.3. Simplicio, In De caelo IV (2, 309b29), 690.17-26 68.4. Aristotele, De caelo IV 4, 311b13-25 71.4. Simplicio, In Phys. II (5, 196b10 sgg.), 338.4-10 72.2. Aristotele, De partibus animalium I 1, 641b16-23 73.2. Simplicio, In Phys. II (4, 196b5-7), 332.35-333.11 73.3. Filopono, In Phys. II (4, 196b5-7), 266.8-12 85.4. Microbio, Commentarii in Somnium Scipionis I 15, 3-4 e 6 85.10. Stobeo I 28, 1b (2) (229.5-9) 85.11. Seneca, Naturales quaestiones VII 12, 1 e 6 87.4. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum III 15, 1 88.4.1. Aristotele, Meteorologica I 14, 352a17-28 90.1. Seneca, Naturales quaestiones IVb 9 93.1. Aristotele, De generatione animalium I 17, 721b6-722a1 94.2.2. Aristotele, De generatione animalium I 20, 727b33-36: 100.1. Filopono, In De anima I, prooemium, 9.3-6, 7-8 e 16-19 100.3. Filopono, In De anima I (1, 402b1-5), 36.13-19 100.5. Filopono, In De anima I (5, 410b21), 185.14-23 104.3. Simplicio, In De anima I (2, 404a9), 26.4-11 105.4. Simplicio, In De anima I (2, 404a24 sgg.), 26.34-27.13 106.2.1. Eustazio, Commentarii ad Iliadem XXIII, v. 698 110.1.4. Eustazio, Commentarii ad Iliadem XXIII, v. 72 117.2.1. Alessandro, In De sensu 2 (437a17 sgg.), 15.5-7 121.4.1. Teofrasto, De causis plantarum VI 6, 1 (anche intere sezioni dei primi due capp., riportate sotto 121.3 e 121.4, sono omesse da DK e Lu.) 122.2. Teofrasto, De causis plantarum IV 10.1, 10.3 124.1.1. Ps.-Elias, Comm. all’Isagoge di Porfirio 14.18-19 130.6. Epitome degli Epimerismi Homerici presso Etym. Magnum 500.9 133.1. Seneca, De tranquillitate animi 1, 18; 2, 2-4 135.4. Plutarco, De tranquillitate animi 14, 473B 137.3. Plutarco, De tranquillitate animi 12, 471D 187.1. Strabone, Geographica I 1 [1-2.3] 187.1.1. Eustazio, Commentarii (Epistola de commentariis in Dionysium Periegeten), GGM 208.14-17 187.2.1. Scolio in Dionigi di Alessandria periegeta, GGM 428.7-11 187.6. Strabone, Geographica I 4, 7 [65.29-32] 192.4. Esichio, Lexicon (Ε 5141) II. Testi di pubblicazione recente: Diogene di Enoanda, ed. Smith, fr. 9, col. VI (= 110.9, append.), fr. 10 (= 110.6), fr. 43 (= 110.7). Pseudo-Elias, Lectures on Porphyry’s Isagoge, ed. Westerink, 14.18-19 (= 124.1.1) Epicuro, Perˆ fÚsewj, libro XIV, PHerc 1148, col. xxx (= 193.3) Galeno (?), In Hippocratis De alimento (PFlor 115, B 7-13) (= 96.5.2)
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Ibn-al-Matran Giardino dei medici e prato dei sapienti, trad. G. Strohmaier (= 7.3, appendice). Papyrus genevensis, inv. 203, B 27-29 (= 101.8) Fr. 3 da papiri anonimi viennesi (PVindob G 29329 + 26008b) (= 0.9.6.1) III. Passi non inclusi nelle raccolte di Diels e Kranz e di Luria, ma presenti negli Epicurea di Usener (questa raccolta d’altra parte tralascia i passi 20.5 e 29.9, cioè due testimonianze di Sesto Empirico concernenti la posizione di Epicuro): 8.2. Simplicio, In Categ. 216.31-217.7 (288 Us.) 19.7. Simplicio, In Categ. 14 (15a13), 431.6-19 e 24-32 (288 Us.) 19.8. Sesto, Adv. Math. X 42-44 (291 Us.) 79.8. Lattanzio, Divinae institutiones VII 1, 10 (304 Us.) 103.6.1. Lattanzio, Divinae institutiones VII 13, 7 (336 Us.): IV. Passi non inclusi nelle raccolte di Diels e Kranz e di Luria, ma presenti nella raccolta Antike Atomistik curata da Stückelberger oppure nei suoi Vestigia Democritea (abbrev. VD): 5.12. Isidoro di Siviglia, Etimologie 13.2, 1-2, 4 (Stückelberger nr. 52): 9.8. Vitruvio II 1,9 e 2,1-2 (Stückelberger nr. 47) 8.3.2. Galeno, Ad Pisonem de theriaca liber 11 [XIV, 250.4-12 K.] (Stückelberger VD nr. 59). V. Passi della presente raccolta inclusi in quella di Luria ma non in quella di Diels e Kranz 0.3.1. Seneca, De ira II 10, 5 (LXII Lu.) 0.3.2. Seneca, De tranquillitate animi 15, 2 (LXII Lu.) 0.3.4. Luciano, Vitarum actio 13 (LXVI Lu.) 0.3.8. Eliano, Varia Historia IV 29, 72 (LXV Lu.) 0.3.9. Filostrato, Vita Apollonii VIII 7, 14 (LXVI Lu.) 0.3.11. Eliano, Varia Historia IV 20, 21-31 (LXV Lu.) 0.3.13. Cicerone, De finibus II 31, 102 (XCVI Lu.) 0.4.3.2. Plinio, Naturalis historia VII (55) 189 (588a Lu.) 0.5.9. Luciano, Philopseudes 32 (579a Lu.) 0.5.13. Sesto Empirico, Adv. math. VII 321 (84 Lu.) 0.8.15. Gellio, Noct. Att. V 3, 1 e 4-6 (LXX Lu.) 0.8.16. Vita Hippocratis secundum Soranum 1.1 e 2, 2.3 e 3.1-2 (= IV Lu.) 1.2. Aristotele, Physica II 2, 194a15-21 (99 Lu.) 1.2.1. Simplicio, In Phys. II (2, 194a18-21), 300.13-18 (99 Lu.) 1.2.2. Filopono, In Phys. II (2, 194a12 sgg.), 228.24-229.2 (99 e 279 Lu.) 5.9. Varrone, De lingua latina VI 39 (15a Lu.) 6.5. Sesto Empirico, Adv. Math. X, 318 (183 Lu.) 6.7. Alessandro, In Metaph. V 3, 355.9-11 e 13-15 (114 Lu.) 8.4. Diogene di Enoanda fr. 7 [6 Ch.] (61 Lu.) 10.2. Alessandro, In Metaph. I (4, 895b4 sgg.), 35.24-36.3 (35.24-27 = 214 Lu.) 10.4. Ps.-Plutarco, Placita philosophorum I 9, 2-3 (193 Lu.) 11.1. Aristotele, Phys. I 2, 184b15-22 (223 Lu.) 11.3. Simplicio, In Phys. I 2, 43.26-44.20 (228 Lu.) 11.4. Filopono, In Phys. I 2, 24.23-25 e 25.5-10 (200 Lu.) 12.2. Filopono, In Phys. I 5, 110.8-13 (188 e 328 Lu.) 12.3. Filopono, In Phys. I 5, 116.21-117.13 (246 e 233 Lu.)
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12.6. Alessandro, In Metaph. I (4, 985b4 sgg.), 35.24-36.3 (35.24-27 = 214 Lu.) 12.7. Alessandro, In Metaph. I 5, 45.5-8 (148 Lu.) 13.3. Alessandro, In Metaph. IV 5, 303.23-304.5 (8, 42, 178, 262 Lu.) 18.7. Simplicio, In De caelo III 7, 632.6-11 e 16-22 (335 e 276 Lu.) 19.1. Aristotele, Physica VIII 7, 260b7-15 (260b5-15 = 330 Lu.): 19.1.1. Simplicio, In Physica VIII (7, 260b7-15), 1266.33-36 (330 Lu.): 19.4. Simplicio, In Phys. VIII 9, 1320.16-19 (333 Lu.) 20.2. Simplicio, In De caelo III 4, 609.15-25 (237 e 292 Lu.) 20.4. Ps.-Alessandro, In Metaph. VII (13, 1038b1 sgg.), 526.13-16 (211 Lu.) 21.4. Aristotele, Metaphysica XIII 8, 1084b23-28 (120 Lu.) 21.4.1. Ps.-Alessandro, In Metaph. XIII (8, 1084b23 sgg.), 775.28-31 (120 Lu.) 22.2. Simplicio, In Phys. I (2, 185b5 sgg.), 81.34-82.6 (212 Lu.) 24.1. Aristotele, Gen. et corr. I 2, 315b15-32 (b15-28 e b28 sgg. = 337 e 101 Lu.) 24.7. Aristotele, Gen. et corr. I 2, 316b16-317a4 (105 Lu.) 24.8. Filopono, In De gen. et corr. I 2, 33.24-34.9 (34.8-9 = 105 Lu.) 24.9. Filopono, In De gen. et corr. I 2, 34.11-35.12 (35.10-12 = 105 Lu.) 24.10. Filopono, In De gen. et corr. I 2, 37.31-38.9 (105 Lu.) 24.11. Filopono, In De gen. et corr. I 2, 38.22-39.10 (105 e 206 Lu.) 25.4. Teofrasto, Metaphysica IX, 34 (175 Lu.) 25.5. Stobeo I 15, 6a(2-3) (3 = 229 Lu.) 30.1. Simplicio, In Phys. IV 1, 601.14-24 (19-24 = 266 Lu.) 30.2. Simplicio, In Phys. IV 1, 618.7-25 (16-20 = 267 Lu.) 30.5. Simplicio, In Phys. III (1, 200b20-21) 396.34, 397.1-5 (250 Lu.) 30.6. Simplicio, In Phys. IV (1, 209a18-22), 533.14-19 (251 Lu.) 30.7. Teodoreto, Graec. Affect. Cur. IV 14 (233 Lu.) 31.2. Simplicio, In Phys. IV (2, 211b5 sgg.), 571.21-26 e 27-31 (22-25 e 27-29 = 254 Lu.) 33.4. Filopono, In Phys. IV (6, 213a31), 613.19-27 (21-24 = 270 Lu.) 34.3. Aristotele, Phys. IV 9, 216b22-34 (256 Lu.) 34.3.1. Simplicio, In Phys. IV (9, 216b22 sgg.), 683.6-21 (256 Lu.) 35.1. Aristotele, Phys. IV 7, 214a19-32 (214a22-25 = 260 Lu.) 35.3. Filopono, In Phys. IV (8, 214b12), 630.8-18 (630.13 e 15-16 = 260 Lu.) 36.1. Aristotele, Phys. IV 8, 214b28-215a1 e 19-24 (5 Lu.) 36.1.1. Filopono, In Phys. IV (8, 215a22-24), 644.25-26 (377 Lu.) 36.2. Aristotele, Phys. IV 8, 215a1-14 (215a11 = 249 Lu.) 36.3. Aristotele, Phys. IV 8, 216a13-23 (brani in 314 Lu.) 36.4. Simplicio, In Phys. IV (8, 216a12 sgg.), 679.12-22 (314 Lu.; 279 Us.) 36.6. Simplicio, In De caelo IV 1, 679.1-8 (361 Lu.) 37.2. Simplicio, In Phys. I 4, 165.8-18 e 166.3-12 (166.6-10 = 224 Lu.) 38.2. Filopono, In Phys. III 4, 369.3-12 (10-12 = 145 Lu.) 38.3. Simplicio, In Phys. III 4, 458.23-29 e 459.16-28 (459.22-25 e 26-28 = 237 e 145 Lu.) 38.4. Simplicio, In Phys. III 4, 461.30-462.19 (145 Lu.) 39.2. Filopono, In Phys. III 4, 398.11-16 (230 Lu.) 40.1. Filopono, In De gen. et corr. I 1, 11.23-24 e 12.2-10 (141 Lu.) 41.4. Simplicio, In Phys. III (4, 203b22 sgg.), 467.14-16 (1 Lu.) 42.1. Aristotele, De gener. animalium II 6, 742b18-29 (13 Lu.) 44.1. Filopono, In Phys. III (4, 203b4), 405.23-27 (1 Lu.) 46.2. Cicerone, Academica priora II 40, 125 (6, 181 e 470 Lu.) 47.1.1. Simplicio, In De caelo III 1, 565.22-28 (171 Lu.)
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47.2. Simplicio, In De caelo III 7, 641.1-9 (171 Lu.) 47.3. Simplicio, In De caelo III 1, 576.10-19 (122 Lu.) 47.4. Plutarco, De primo frigido 8, 948B-C (506 Lu.) 48.5. Filopono, In De anima I (2, 404a4), 67.30-33 (142 Lu.) 48.6.2. Simplicio, In De caelo III (5, 304b6-11), 624.29-625.5 (625.1-3 = 275 Lu.) 48.7.1. Simplicio, In De caelo III (7, 305b18), 634.17-20, 28-34 (di più in 259 Lu.) 49.2. Filopono, In De gen. et corr. I (1, 314a23), 12.27-13.15 49.3. Filopono, In Phys. I (4, 187a29), 95.10-15 (328 Lu.) 50.1. Filopono, In De gen. et corr. I (1, 314b15), 17.14-18.3 (17.16-18.3 = 433 Lu.) 50.3. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b9), 23.1-16 (434 Lu.) 50.6. Filopono, In De gen. et corr. I (2, 315b35), 26.8-15 (246 Lu.) 52.1. Aristotele, Gen. et corr. I 10, 327b32-328a16 (327b33-328a3 = 340 Lu.) 52.2. Filopono, In De gen. et corr. I (10, 327b32 sgg.), 192.29-193.9 e 193.20-24 (192.29-193.4 = 340 Lu.) 52.4. Alessandro, De mixtione 2, 214.28-215.8 (= 342 Lu.; 290 Us.) 53.1. Sesto Emp., Adv. math. VIII 183-185 (184 = 57 Lu.) 53.7. Simplicio, In Phys. III (7, 207b27), 512.28-33 (59 Lu.) 54.1.2. Simplicio, In De anima III (2, 426a11 sgg.), 193.27-30 (60 Lu.) 54.2. Aristotele, De sensu 6, 446b17-22 (432 Lu.) 57. Aristotele, Metaph. IV 5, 1009a22-30 e 1009b1-7 (8 e 77 Lu.) 57.1. Alessandro, In Metaph. IV 5, 305.26-34 (52 Lu.) 58.1. Sesto Emp., Pyrrh. hypotyposes I 213-14 (3 e 85 Lu.) 58.5. Sesto Empirico, Adv. math. VIII 56, 60-62 (56 brano = 61 Lu.) 61.5. Lattanzio, Epitome div. inst. 35, 3-4 (51 Lu.) 61.6. Lattanzio, Div. Inst. III 28, 13-14 (51 Lu.) 64.1.2. Simplicio, In De caelo III 2, 588.10-11 (305 Lu.) 64.1.3. Simplicio, In De caelo III 2, 589.6-7 (305 Lu.) 66.1. Aristotele, De caelo I 8, 277a33-b8 (367 Lu.) 66.2. Simplicio, In De caelo I (8, 277b1), 267.17-22, 267.29-268.4 e 269.4-14 (367 Lu., 276 Us.) 67.1. Simplicio, In De caelo II (13, 295a9-11), 526.34-527.6 (526.34-527.4 = 370 Lu.) 68.1. Aristotele, De caelo IV 1, 308a1-4, 7-24, 29-33 (308a17-19 = 361 Lu.) 68.2.1. Simplicio, In De caelo IV (2, 308b30), 684.19-26 (20-22 = 368 Lu.) 68.2.4. Simplicio, In De caelo IV (2, 310a11-13), 693.25-32 (25-26 = 368 Lu.) 69.2. Simplicio, In De caelo IV (6, 313a21), 730.7-27 (9-14 e 18-25 = 375 Lu.) 69.4a. Simplicio, In De caelo III (8, 306b29 sgg.), 661.29-662.1 (131 Lu.) 69.5. Simplicio, In De caelo III (8, 307a19), 664.26-665.3, 5-8 (in parte 131 Lu.) 70.3. Teodoreto VI 13 (solo riferimento non preciso in 22 Lu.) 70.4. Suda, s.v. ¢nagka‹on, 164.5-6, 11-13, 15-16 (103 Lu.) 71.2. Simplicio, In Phys. II (4, 196b31 sgg.), 328.1-5 (24 Lu.) 72.4. Simplicio, In Phys. II (4, 196a24-35), 331.16-332.1 (16-22 = 18 Lu.) 72.5. Filopono, In Phys. II (4, 196a24 sgg.), 261.31-262.20 (18 e 346 Lu.) 72.6. Filopono, In Phys. II (4, 196a24 sgg.), 264.27-265.1 e 265.5-9 (288 e 370 Lu.) 73.5. Suda, s.v. eƒmarmšnh (312 Lu.) 73.6. Enomao di Gadara, presso Eusebio, Praep. evang. VI 7, 2 e 18 (62 Lu.) 74.1. Aristotele, Phys. II 8, 198b10-32 (31 e 516 Lu.) 74.1.1. Simplicio, In Phys. II (8, 198b16-34), 372.9-11 (516 Lu.) 75.3. Cicerone, Tusc. I 11, 22 e 18, 42 (449 Lu.) 75.5. Nemesio, De natura hominis 43 (592 Lu.) 76.1.1. Epicuro, Epistula ad Menoeceum 133-134 (37 Lu.)
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76.2. Cicerone, De fato 10, 22-23 (38 e 301 Lu.; 281 Us.) 76.3. Cicerone, De natura deorum I 25, 69 (38 Lu.; 281 Us.) 77.2. Aristotele, De partibus animalium I 1, 640b4-17 (b4-11 = 171 Lu.) 78.7. Simplicio, In Physica IV (10, 218b4), 701.30-31 (346 Lu.) 78.8. Ps.-Alessandro, In Metaph. VII (15, 1040a27 sgg.), 534.7-11 (349 Lu.) 79.1. Aristotele, Phys. VIII 1, 250b15-23 (300 Lu.) 79.1.1. Simplicio, In Phys. VIII (1, 250b15), 1120.18-24 (300 Lu.) 79.3. Aristotele, De caelo I 10, 279b12-17 (343 Lu.) 79.4. Simplicio, In De caelo I (10, 279b12), 294.23-295.1 (om. DK, salvo 294.33295.1) e 20-26 (343 e 339 Lu.) 79.5. Aristotele, De caelo I 10, 280a23-27 (344 Lu.) 79.7. Filone, De aeternitate mundi (3) 8 (351 Lu.) 80.4. Epicuro, Ep. ad Pyth. § 90. 6-11 (395 Lu.) 82.2. Teodoreto, Graec. affect. cur. IV 17 (393 Lu.) 82.3.1. Ps.-Plutarco, Placita V 20, 1-2 (= Aetius V 20, 1-2 (Dox. 432)) (547 Lu.) 83.3. Aristotele, De caelo II 13, 293b33-294a5 e 8-10 (401 Lu.) 88.2. Diodoro I 39, 1-4 (om. DK, salvo riferimento in 68 A 99) (441 Lu.) 88.3. Anonimo presso Ateneo, Deipnosophistae II 87 (411 Lu.) 88.5. Alessandro, In Meteor. II 3, 78.12-16 (409 Lu.) 90.2. Plutarco, Quaestiones convivales VIII 3,1,720D9-E9; 2,720E10-721D7; 3, 721D8E4 e 721F2-6; 4, 722 B3-6 (490 Lu.; 323 Us.) 90.4. Aulo Gellio, Notti attiche V 15, 1 e 6-8 (492 Lu.; 353 Us.) 90.5.1. Grammatico bizantino (Teodosio o Teodoro Prodromo), cod. Paris. 2555, in Anecdota Graeca, 1168.1-3 (493 Lu.) 91.3. Porfirio, De abstinentia III 6 (7), 195.2-5 (448 Lu.) 91.5.1. Plinio, Hist. nat. IX 80 (salvo rifer. in 68 A 150) (544 Lu.) 93.2.10. Plutarco, Quaestiones convivales III 6.2, 653F (527 Lu.; 61 Us.) 95.1. Aristotele, De generatione animalium IV 3, 769a6-21 (533 Lu.) 95.2. Aristotele, De generatione animalium IV 3, 769a26-b3 (533 Lu.) 98.4. Filopono (Michele di Efeso), In De gen. anim. V (8, 788b9 sgg), 247.11-12 e 1922 (517 Lu.) 99.7. Plutarco, Quest. conv. VIII 9, 733D (354 Lu.) 101.2. Filopono, In De anima I (2, 403b31 sgg.), 67.3-28 (4-8 = 189 Lu.; 10-19 = 443a Lu.; 19 = 269 Lu.; 21-28 = 200 Lu.) 101.4. Simplicio, In De anima I (2, 403b31), 25.26-26-4, 11-19 (443a e 200 lu.) 101.7. Nemesio, De natura hominis 2 (16.11-18) (451 Lu.) 102.3. Filopono, In De anima I (2, 405a8), 84.9-25 (132 Lu.) 103.1a. Aristotele, De anima, I 4, 409a10-16 (117 Lu.) 103.2. Filopono, In De anima I (4, 409a10), 167.20-30 e 168.10-14 (117 Lu.) 103.4. Simplicio, In De anima I (3, 406b15-25), 39.22-31 (306 Lu.) 103.7. Lattanzio, Divinae institutiones III 17, 33-34 (466 Lu. [22 suo errore]; 336 Us.) 103.7.1. Lattanzio, Divinae institutiones VII 7, 12 (466 Lu.) 103.7.2. Lattanzio, Divinae institutiones VII 13, 7 (466 Lu.; 336 Us.): 104.1.1. Ps.-Aristotele, De spiritu 3, 482a28-32 (463 Lu.) 104.2. Filopono, In de anima I (2, 404a9), 68.19-69.20 (462 Lu.) 104.4. Aristotele, De respiratione 1, 470b6-12 e 2, 470b28-30 (464 e 553 Lu.) 105.2. Alessandro, De anima 27.4-8 (459 Lu., ma indicazione erronea: De sensu) 105.6. Tertulliano, De anima 12, 6 (68 Lu.) 105.8. Ps.-Plutarco, Placita IV 5, 1-2 e 5 (455 Lu.) 105.11. Tertulliano, De anima 15, 3 (458 Lu.)
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108.2. Stobeo I 50, 35 (448 Lu.) 110.1.2. Ps.-Plutarco, De vita et poese Homeri 150 (170 Lu.) 110.1.3. Eustazio, Commentarii ad Odisseam IV, vv. 795 sgg. (170 Lu.) 110.3. Cicerone, De divinatione II 67, 137-139 (474 Lu.) 111.2. Aristotele, De divinatione per somnum 2, 463b31-464a21 (om.DK, salvo riferimento nel Nachtrag al vol. II, p. 422) (464a5-21 = 472 Lu.) 111.4. Cicerone, De divinatione II 13, 30 (om. DK, salvo rifer. in 68 A 138) (578 Lu.) 112.1.1. Plutarco, De defectu orac. 17, 419A (472a Lu.) 112.1.2. Plutarco, Emilio Paolo 1.4.1-5.1 (472a Lu.) 112.2. Sesto, Adv. math. IX 42-43 (42 = 472a Lu.) 112.3. Cicerone, De natura deorum II 30, 76 (472a Lu.) 112.4. Cicerone, De natura deorum I 37, 105/ 38, 107 (470 Lu.) 112.5. Agostino, Ad Dioscorum epist. CXVIII, 27-28 (472a Lu.; 352 Us.) 113.1.4. Cirillo, Contra Iulian. I 38, 545A (Lu. p. 572) 117.1.1. Epicuro, Epistula ad Herodotum, 49 (478 Lu.) 117.3. Aristotele, De sensu 3, 440a15-20 (483 Lu.) 117.5. Macrobio, Saturnales VII 14, 3-4 (471 Lu.; 319 Us.) 120.2. Alessandro, In De sensu 4 (442a29), 82.23-83.12 (83.3-12 = 428 Lu.) 126.3. Diogene di Enoanda, fr. 12 [10 Ch.), coll. II 4-11 (558 Lu.) 132.4. Teodoreto, Graecarum affectionum curatio XI 6 (747 Lu.) 135.2.1. Diog. Oen. fr. 2 [1 Ch.], coll. I, II 1-4 (776a Lu.) 189.4. Isidoro, Etymologiae XVII 1, 1, p. 308 (806 Lu.) 189.9. Columella, De re rustica VI 28 (531a Lu.) 189.11. Columella, De re rustica VIII 8, 7 (811 Lu.) VI. Elenco di passi esclusi dalla presente raccolta (viene fatto riferimento a quelli inclusi nella raccolta di Luria, compresi alcuni non pertinenti) Agostino, Contra Academicos III 10, 23 (359 Lu.) Alessandro d’Afrodisia, In Metaph. I (5, 987a2 sgg.), 45.20-23: niente di significativo (Leuc. e Dem. ammettono più principi materiali). In Metaph. I (6, 988a11 sgg.), 60.5-7 (263 Lu.) e ad 988a28, 61.19-20: registra mancata menzione di Leuc. e Dem. da parte di Arist. su causa materiale. In Metaph. IV (5, 1009b12 sgg.), 306.14-17: parafrasi. In Metaph. IV (5, 1010b14 sgg.), 314.4 sgg.: non aggiunge niente. [Alessandro] In Metaph. VIII (2, 1042b11 [= 10.2]), 548.3 sgg.: solo parafrasi (cfr. anche 242 Luria) In Metaph. XII (2, 1069b22-23 [= 13.2]), 673.19-21 (221 Lu.): non attendibile, perché attribuisce a Democrito la formula aristotelica “tutte le cose erano insieme potenzialmente” che compare nel passo aristotelico commentato (cfr. mia trad., che si fonda sul testo del Ross, e cfr. PT, sez. 6). In Metaph. XIII (4, 1078b9 sgg. [= 1.3]), 741.1-5: parafrasi. Alessandro, In De sensu 4 (441a3 sgg.), 68.13-28 (= 277, più ampiamente 494 Lu.): cfr. PT, sez. 26. In De sensu 4 (442b4 sgg. [= 120.1]), 84.25-85.10 (= 495 Lu.): solo sintesi del resoconto democriteo dei colori e dei sapori che viene fornito da Aristotele e da Teofrasto.
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In De sensu 5 (443b1), 93.11-13,15-17 (= 501 Lu.): sul costituirsi dell’odore cfr. PT, sez. 26. In De sensu 6 (446a20 sgg.), 124.3-7: accostamento generico ed impreciso di Dem. ad Empedocle circa il funzionamento della visione Alessandro, In meteor. I (6, 343a20), 29.1-9: parafrasi della critica aristotelica; ad 343b9 (= 85.6), 32.3 sgg.: ripresa della teoria e parafrasi della critica aristotelica. In Meteor. II (3, 356b4 [= 88.4]), 79.28-34 (con cit. 357a3-4: la teoria non merita tanta attenzione): riguarda critica aristotelica. In Meteor. II (7, 365a14 [= 87.2]), 115.13-20: parafrasi (sulla formazione dei terremoti); ad idem, 116.10-11: osservazione (la posizione di Democrito non è criticata da Arist. forse perché ritenuta superficiale). Apuleio, Florida 18, 19 (36.3 Helm) (LXXII Lu.) Informazione non precisa e non indipendente: Protagora contemporaneo di Democrito, dal quale avrebbe tratto la sua dottrina. (Nel seguito ben noto aneddoto circa Protagora.) Aristotele, Phys. VI 6 e 10 + IV 10 e VIII 8, ecc. (283-286 e 287a-c Lu.): non attinenti, cfr. PT, sez. 18. De caelo III 5, 304a22 e 25 e 304a33-b6 (126 Lu.): non attinente: riguarda i platonici, cfr. PT, sez. 9. De sensu 3, 440a20-23 + 30 sgg. (282 e 483 Lu.): non attinente, cfr. PT, sez. 26. De sensu 4, 441a4 sgg. (277 e 494): non attinente, cfr. PT, sez. 26. De sensu 5, 443a24 sgg. (501): non attinente, cfr. PT, sez. 26. De sensu 6, 445b3-20 (429): non attinente, cfr. PT, sez. 26. De sensu 6, 445b31-446a4 (430): non attinente, cfr. PT, sez. 26. De sensu 6, 446a20-b17 (431): non attinente, cfr. PT, sez. 26. De partibus animalium II 7, 625b7-8 (445 Lu.): tesi dell’identità di anima e fuoco menzionata (senza nominare Dem.) e rifiutata (cfr. anche PT, sez. 24). De generatione animalium II 6, 741b37-742a1 (518 Lu.), non attendibile, cfr. PT, sez. 23. Asclepio, In Metaph. I (4, 985b4 sgg. [= 10.1]), 33.8 sgg.: parafrasi (sintesi dell’atomismo) In Metaph. I (7, 988a18 sgg.), 53.30-31 (= 263 Lu.): registra mancata menzione di Leuc. e Dem. (come Alessandro in 60.5-7) In Metaph. IV (5, 1009a22 [= 51.2]), 275.18 sgg. (= 178 Lu.): niente di significativo (essere e non essere, pieno e vuoto); ad 1009b9 sgg., 276.28 sgg.: parafrasi (epistem. di Dem.) In Metaph. V (3, 1014a26 sgg.), 307.17-18 (= 114 Lu.): niente di nuovo (gli elementi per Dem., come Aless. in 355.9-15 [= 6.6]). In Metaph. VII (1, 1028b2), 377.26-29: niente di nuovo (elementi infiniti) In Metaph. VII (13, 1039a3 sgg. [= 20.3]), 432.15-20: parafrasi (non da uno molti ecc.) Giordano Bruno, De rerum principiis (Opera I 3, 515.16 sgg.) (342a Lu.) Esclusione ovvia, perché testimonianza troppo tarda (cfr. introd.) Cicerone, De Oratore III 15, 56 (729 Lu.): Inclusione di Dem. fra coloro che si sono dedicati alla speculazione anziché alla vita attiva. Di tenore simile ad altre testimonianze dello stesso Cicerone (cfr. 0.3.13, 0.3.14 e 0.4.7) e di altri autori.
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Cirillo, Contra Julianum II 15 (om., riprende Ps.-Plut., cfr. introd.) Columella, De re rustica XI 3, 3 (809 Lu.): Dem. menzionato solo nel contesto, cfr. PT, sez. 29. Eliano, Varia historia XII 25: generico (che i seguaci di Dem. trassero vantaggio dal frequentarlo, come quelli di Pitagora, ecc.) Ermia (Hermias) 2 (451 Lu.): dubbio e non significativo, cfr. PT, sez. 24. Eusebio, Praep. ev. VII 12 (194 Lu.): dossografia molto schematica e poco significativa. Filopono, In Phys. I prooemium, 2.22-25: rapido cenno alla teoria atomistica. In Phys. II (6, 198a5 sgg.), 293.21-25: solo riferimento alla causazione degli atomisti. In Phys. II (8, 198b12-13), 312.4-7 (31 Lu.): solo menzione degli atomi In Phys. III (4, 204a1), 409.6-7 (158 Lu.): solo riferimento In Phys. IV (6, 213a12 sgg.), 608.7-10, parafrasi esplicativa. Filopono, In De gen. et corr. I (1, 314a8-10 [= 49.1]), 10.14-24, parafrasi esplicativa, niente su Dem. e Leuc. che non sia esposto più dettagliatamente altrove. In De gen. et corr. I (1, 314b10), 15.15-18 (155 Lu.): parafrasi (con cit. di 314a23). In De gen. et corr. I (2, 315b28 [= 24.1]), 25.8-28 (101 Lu.): parafrasi esplicativa (con spunti tratti da altre testimonianze aristoteliche) In De gen. et corr. I (2, 316b34 sgg.), 29.23-25 (236 Lu.): illazione, cfr. PT, sez. 8 fine. In De gen. et corr. I (6, 322b6), 127.20-22: libera interpr. In De gen. et corr. I (7, 323b1), 140.10 sgg.: parafrasi. Filopono, In De anima I (2, 404a29 [= 101.1]), 72.3-27: dopo una spiegazione del passo omerico la posizione di Dem. è considerata in rapporto a quella di Anassagora, senza aggiungere niente di significativo a quanto troviamo negli altri commenti dello stesso Filop. e in quelli di Simplicio al passo aristotelico. In De anima I (2, 405a18), 86.18-22: parafrasi semplificatrice (relativa a 102.1) In De anima I (3, 406a27), 105.17-20: niente di significativo (l’anima non è fuoco ma da atomi del fuoco) In De anima I (3, 406b3), 108.36-109.6: ripetizione (come l’anima muove il corpo) In De anima I (3, 406b11 sgg. [= 103.3]), 114.33-115.5: parafrasi In De anima I (3, 406b25), 115.21-31: spiegazioni riguardo l’accostamento della posizione di Platone, nel Timeo, a quella di Democrito ivi proposto da Aristotele, libera interpretazione del commentatore. In De anima I (4, 408a30), 154.3 sgg.: ricapitolazione In De anima I (4, 408a31 [= 103.1]), p. 173.3-16: espansione dell’accostamento fra Senocrate e Dem. In De anima I (4, 409b7 [= 103.1]), 173.30-174.13: sempre espansione dell’accostamento fra Senocrate e Dem. In De anima II (7, 419a11 sgg. [= 118.3]), 350.6-11: parafrasi (formica nel cielo) Filopono, In Meteor. I (6, 342b25 [= 85.6]), 75.21 sgg. (416 Lu.): niente di significativo (teoria delle comete con critica di Ar.); ad 343b25 (= 85.6), 88.18-32: ampliamento della critica di Arist.
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Filopono (Michele di Efeso), In De generatione animalium II 4, 739b33 sgg. (= 96.2), 100.27 sgg. (457 Lu.): parafrasi con sviluppi (disconoscimento del ruolo del cuore nella formazione dell’embrione) In De gen. anim. II 4, 740a24 sgg. (= 96.1), 102.18-23 (535 Lu.): parafrasi con sviluppi (l’embrione si modella sulla madre che lo contiene) In De gen. anim. II 8, 747a28 sgg. (= 97.2), 122.29-123.10 (519 Lu.): parafrasi con sviluppi (spiegazione della sterilità dei muli con critica di Arist.) In De gen. anim. II 8, 747b27 sgg., 126.6-8: solo riferimento In De gen. anim. IV, 165.10-12 (di introd. al libro): che nel seguito sono esposte e discusse le tesi di Dem. e di Empedocle circa la formazione del maschio e della femmina In De gen. anim. IV, 167.13 sgg. (di introd. al libro) (530 Lu.): sintesi della teoria democritea, non attendibile, cfr. PT, sez. 23. In De gen. anim. IV (1, 764a10 sgg. [= 94.1]), 167.35-168.3 (530 Lu.): riferimento alla posizione di Dem. In De gen. anim. IV (1, 764b3 sgg.), 169.34-36: rapido riferimento alla posizione di Dem. In De gen. anim. IV (1, 764b20 sgg. [= 94.1]), 170.9-20: citazioni da Arist. e rapida sintesi della dottrina democritea In De gen. anim. IV (1, 764b27 sgg.), 171.2-21 (2 = 530 Lu.): parafrasi della critica aristotelica In De gen. anim. IV (4, 769b30 sgg. [= 97.1], 185.33 sgg. (546 Lu., e brano in DK II p. 124, nota ad A 146), non attendibile, cfr. PT, sez. 23. In De gen. anim. V (8, 788b20 sgg. [= 98.3]), 247.29-248.15: parafrasi In De gen. anim. V (8, 789b2 sgg. [= 98.3]), 249.2-8 (6-8 = 518 Lu.): parafrasi con richiamo (probabilmente non giustificato, cfr. PT, sez. 23) a De gen. anim. II 6. Galeno, De procatarticis causis cap. 15, 193, generico: Democrito menzionato, insieme ad Empedocle, a Platone, ad Aristotele e a Teofrasto, fra i numerosi studiosi della natura che invitavano a guardarsi dagli eccessi. Giamblico, De mysteriis I 1, 2-3: Democrito menzionato, insieme a Pitagora, Platone e Eudosso, fra i molti Greci antichi che avrebbero attinto per le loro dottrine alle iscrizioni sacre degli Egizi (l’autore può dipendere da fonti come Diodoro Siculo, cfr. 0.3.20-21, e come Clemente Alessandrino, cfr. 0.3.22). Ippocrate, De natura pueri 31 (68 a 151 DK, 545 Lu.), poco pertinente, cfr. PT, sez. 23. Ps.-Ippocrate, Epistula XVII, passi (= LXIII Lu.), poco democriteo, cfr. Introd. Lattanzio, Epitome divinarum institutionum 65, 6: Democrito, Epicuro e Dicearco avrebbero delirato nel negare l’eternità dell’anima (ricapitolazione di quanto troviamo in Divinae Institutiones VII 7 e 13, cfr. 103.7, 103.7.1 e 103.7.2). Lucrezio, De rerum natura II, 799-805 (434 Lu.): omesso, salvo riferimento in n. 41 ad 50.3. Marc'Aurelio III 2 (68 A 30), notizia biograf. non attendibile, cfr. PT, sez. 1, con n. 5. [Massimo], Loci communes 36, 37 (Dem.) (LII Lu.) = Antonio I 58 957D (Dem.) = CPP 595 (Dem.) = Stob. III 7, 55 (Clitomaco): il passo differisce dalle sentenze democritee
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presenti in Stobeo e in queste altre raccolte perché sembra riferire un fatto biografico: il darsi volontariamente la morte di una persona che si è ammalata (il soggetto ‘questi’ è sostituito da ‘Clitomaco’ in Stobeo); il fatto che qualcosa del genere sia attribuito nella tradizione anche a Democrito può avere favorito l’associazione al suo nome, ma l’uso del lemma al genitivo (“Di Democrito”) suggerirebbe invece che sia lui a raccontare l’episodio riguardo ad un’altra persona, che naturalmente non può essere il filosofo Clitomaco. (Sulla questione si veda anche J. Freudenthal, “Rhein. Mus.” 1880, p. 429.) Queste peculiarità o questi elementi di incertezza escludono che il passo (accolto solo da Luria) possa essere ritenuto attendibile. – Per un quadro completo delle sentenze attribuite a Democrito nella raccolta di Ps.-Massimo si veda più oltre, sez. VII. Michele di Efeso, In De partibus animalium I 1, 640b29 sgg., 5.35-6.17 (65 Lu.): interpretazione: Democrito si concentra sulla causa materiale; ad I (1, 642a3 sgg. [= 1.1]), 8.22-26: coglie in parte quella formale Michele di Efeso, In De divinatione per somn. 2, 464a3, 83.18-22 (472a Lu.): cita Sesto, AM IX 19 (= 112.1); ad 2, 464a22, 84.3 sgg. (comm. 472 Lu.): nessun riferimento a Dem.; ad 2, 464a24, 84.16 sgg. (472 Lu.): nessun riferimento a Dem. (cfr. anche PT, sez. 25). Michele di Efeso, In De respiratione, 99.11-12 (premessa): allusione al fatto che Dem. si è occupato della respirazione; ad 4, 471b30 sgg. (= 104.1), 116.3-29: parafrasi (resoconto della respirazione) Olimpiodoro, In Aristotelis meteora commentaria I 5, 342a34 sgg., 45.20-24: introd. alla trattazione delle comete da parte di Anassagora e Dem. ad I (6, 343a20 sgg.), 52.27-30: ricapitolazione dello stesso punto. ad I (6, 343b25 sgg. [= 85.6]), 58.16-21: parafrasi ad I (8, 345a11 sgg. [= 85.1], 67.33-35 (417 Lu.): parafrasi (sulla via lattea; il seguito sulla luce riflessa della luna, riportato da Luria come 399, non pare proprio voler riportare dottrina democritea) In Meteor. II 2, 355b20 sgg. (= 88.3), 143.9 sgg. (409 Lu.): sulla durata del mare, non attendibile, cfr. PT, sez. 21, fine. ad II 3, 356b4, 149.22-23: allusione a Dem. in Arist. ad II 3, 356b9, 149.25-26 (= 409 Lu.): parafrasi (l’errore di Dem. secondo Arist.) Origene, Contra Celsum II 41, 11 sgg. (Borret) (XXVII Lu.): testimonianza non indipendente: solito racconto di Democrito che lascia i suoi beni alla pastura. Contra Celsum VII, 66, 1-6 (594 Lu.; 390 Us.): sulla conformità religiosa esteriore dei peripatetici e dei seguaci di Democrito e di Epicuro (la polemica pare riguardare soprattutto quest’ultimo e gli Epicurei). Platone, Cratilo, 420D-E: possibile allusione, ma cfr. PT, sez. 10. Plinio, Naturalis historia libri VIII-XI sugli animali. VIII (22) 61: racconto da parte di Dem. di un giovane che fu salvato da un serpente X (70) 137: comprensione del linguaggio degli uccelli acquisito mangiando un serpente, ecc. (cfr. 0.6.7, con n. 141 ad loc.) (libri XII-XVII sugli alberi) XIII (47) 131 (presenza di api nei pressi dei campi di citiso) (da XX a XXVII: esame degli usi medicinali delle piante, con suddivisioni a seconda del tipo di pianta considerato, p. es. XX riguarda la medicina tratta dagli ortaggi)
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XX (9) 19-20 (sulla rapa); XX (13) 28 (sul rafano); XX (53) 149 (riguardo menta ecc.); XXI (36) 62 (su nittegreto ovvero nittalope: usato dai Magi per compiere riti votivi) XXVI (9) 19 (erba magica per la nascita di figli belli ecc., in un contesto, a partire da 18, di illustrazione delle pratiche magiche in medicina); XXVII (114) 141 (effetto straordinario di un’erba portata come amuleto) (da XXVIII e XXXII rassegna di rimedi tratti dagli animali) XXVIII (42) 153 (rimedi contro il morso dei serpenti: uso dello sterco di capro!); XXIX (22) 72 (uccelli e serpenti, cfr. X 137) XXXII (18) 49 (donna addormentata che dice la verità per via di una rana sottoposta ad un curioso trattamento – nel contesto c’è un riferimento ai Magi) XXXVII 69, 146, 149, 160, 185 (pietre, collegate alla divinazione, cfr. libri di tintura) Tutti non attendibili! (Cfr. Introduzione.) Plutarco, De communibus notitiis 39, 1080C (126 Lu.) : non può riguardare Democrito (cfr. PT, sez. 9, fine). Plutarco, De communibus notitiis 41, 1081C (287a Lu.): tesi non democritea (cfr. PT, sez. 9, fine + sez. 18). Ioannes Saresberiensis, Polycraticus VIII (360 Lu.) Testimonianza assai tarda e non indipendente, cfr. Elia, In Categ. 112.26-28 (= 0.8.19.2). Scolio in Aristotele, Metaph. I 4, 984b1 (148 Lu.): dello stesso tenore di Alessandro, Metaph. I 5, 986b27-987a2, 45.5-8 (= 12.7). Scolio ad Apollonio Rodio III, v. 533 (68 B 161; 577 Lu.): non riguarda Democrito, cfr. PT, sez. 29. Scolio ad Apollonio Rodio IV, vv. 269-70 (68 A 99; 412 Lu.): non attendibile, cfr. PT, sez. 21. Simplicio, In Phys. I (2, 184b15 [= 11.1]), 22.7-8: semplice registrazione del fatto che Dem. è incluso nella classificazione aristotelica ad 184b16, 41.1: Dem. collocato fra i fisici. In Phys. I (4, 187a21 sgg.), 154.23-27: su Anassagora, solo riferimento a Dem. In Phys. I (4, 187a26 sgg.), 163.17-18: la generazione riportata ad aggregazione e disaggr. In Phys. I (6, 189a21 sgg.), 199.24-28: ricalca Arist. in 12.1 In Phys. I (6, 191a23 sgg.), 235.20-22: la generazione riportata ad aggregazione e disaggr. In Phys. III (1, prooemium), 394.25-395.2: il luogo inteso come vuoto (ripetitivo, cfr. n. 249 ad 30.5) In Phys. III (4, 202b36 sgg.), 453.1-3: principi infiniti (atomi) In Phys. III (4, 203a19 sgg. [= 38.1]), 459.26-28: ripet. (“panspermia”). ad 203a23, 459.31-460.6: parafrasi con osservazioni come in 461.30 sgg. In Phys. IV (1, 208a29 sgg.), 522.15-19 (334 Lu.): eliminazione dell’alterazione In Phys. IV (1, 209a13 sgg.), 532.10-12: gli atomi come elementi In Phys. IV (1, 209a18-22), 534.1-3: intento di Arist. In Phys. VI (1, 231b6 sgg.), 929.10 sgg.: “secondo essi” rifer. ai primi atomisti a giudizio di Konstan (nella sua traduzione dell’opera), per via del contesto, ma pare riguardare genericamente chi ammette punti ed istanti indivisibili, perché era stato solo ammesso (in 22.1) che essi postulano corpi indivisibili.
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In Phys. VII (1, 242b24 sgg.), 1046.18-20: solo riferimento agli atomi di Dem. In Phys. VII (2, 243a11 sgg.), 1050.22-24: ripet. (la generazione riportata ad aggregazione e disaggr.) In Phys. VII (3, 246b3 sgg.), 1069.24: solo riferimento agli atomi di Dem. In Phys. VIII (1, 252a19 sgg. [= 42.2]), 1168.19-30: parafrasi con qualche sviluppo della critica aristotelica. In Phys. VIII (3, 253b6 sgg.), 1196.8-13 (304 Lu.): di commento ad un passo aristotelico nel quale c’è un riferimento ad ‘alcuni’ che tutte le cose sono sempre in movimento, ma che ciò sfugge alla nostra percezione. Simplicio stesso attribuisce questa posizione agli Eraclitei, ma cita Alessandro per avere sostenuto che anche coloro che ammettono gli atomi sono su questa linea. Cfr. 19.2 per la presentazione aristotelica della posizione democritea. In Phys. VIII (6, 259a8 sgg.), 1254.21: solo riferimento agli atomi di Dem. In Phys. VIII (7, 260b11-12), 1266.33-36 (330 Lu.): la generazione riportata ad aggregazione e disaggr. Simplicio, In De caelo I (3, 270b16 sgg.), 129.29 sgg.: citazione di Phys. I 5, 188a22-26 (= 12.1) sulla questione se per Aristotele le figure presentano opposizioni. In De caelo I (7, 275b29 sgg. [= 65.1]), 244.34 sgg.: esposizione della critica aristotelica In De caelo I (7, 275b29 sgg. [= 65.1]), 245.31-246.4: chiarimenti al passo aristotelico In De caelo I (10, 280a23 sgg. [= 79.5]), 310.24 sgg.: ripresa della critica ad Aless. In De caelo II (1, 284a24-26), 375.25-34 (378 Lu.): Simpl. suppone che l’esclusione da parte di Aristotele di un ricorso alla necessità costrittiva che terrebbe il mondo in movimento implichi un’allusione alla postulazione, da parte di Empedocle, di Anassagora e di Democrito, del vortice come causa di tale movimento. Si tratta di una supposizione dubbia, che in ogni caso non aggiunge niente alle informazioni che Aristotele offre altrove riguardo alle loro posizioni. In De caelo III (2, 301a11 sgg. [cfr. 64.1]), 591.12-16: ripetizione di quanto troviamo in passi precedenti del suo commento (cfr. 64.2, n. 488 ad loc.). In De caelo III (4, 302b13 sgg.), 604.30-31: solo riferimento all’atomismo. In De caelo III (4, 303a12 [= 48.4]), 610.18-22 e 25-28 (275 Lu.): ripetizione (costituzione atomica dei quattro elementi) In De caelo III (4, 303a29), 612.20-21 (341 Lu.): ripetizione (sulla mescolanza) In De caelo III (5, 303b4 sgg.), 614.26-28: solo riferimento all’atomismo In De caelo III (5, 303b22 sgg. [= 48.6]), 617.27-618.9 (seguito di 48.7): parafrasi. In De caelo III (6, 305a1 sgg.), 628.3-14: la posizione di Empedocle sugli elementi è contrapposta a quella di Democrito In De caelo III (7, 306a1), 648.28, om.: solo allusione all’atomismo di Dem. In De caelo III (7, 306a26 [= 26.2]), 649.9-10 (231 Lu.): semplice parafrasi del passo aristotelico commentato. In De caelo III (8, 306b29 sgg.), 661.30-31: dipendenza del fuoco dalla sfera In De caelo III (8, 307a19 sgg.), 665.6: solo allusione all’atomismo di Dem. In De caelo III (8, 307b19 sgg.), 673.5 e 12-13: solo riferimenti all’interno di una ricapitolazione degli argomenti del libro. In De caelo IV (5, 312b19 sgg.), 726.7-9: il vuoto come causa di leggerezza In De caelo IV (6, 313a14 [= 69.1]), 729.22-25 (375 Lu.): nessuna informazione nuova o indipendente (allusione al ruolo delle figure nel movimento) Simplicio, In De anima I (4, 409a10 sgg. [= 103.1]), 63.36-64.10 (117 Lu.): sviluppo dell’accostamento fra Democrito e Senocrate
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In De anima I (5, 409b7 [= 103.1]), 64.12-13 (446 Lu.): nessuna informazione nuova o indipendente In De anima II (7, 419a13 sgg. [= 118.3]), 136.37-137.2: parafrasi Siriano, In Metaph. IV (5, 1009a36 sgg. [= 57]), 75.22 sgg. (77 Lu.): sunto del passo aristotelico In Metaph. XIII (8, 1083b13 sgg.), 143.16 sgg. (127 Lu.): allusione alla teoria atomistica Ad 1084b23, 152.20-23 (120 Lu.): idem (cfr. Alex. ad loc.) Sophonia, In De anima I (2, 404a4 sgg. [= 101.1]), 10.32-11.18 (200 e 272 Lu.): parafrasi (anima come fonte di movimento ecc.); 11.29-12.1: parafrasi (anima = intelletto); ad I (2, 404b27 sgg. [= 102.1]), 14.15-18 (444 Lu.): parafrasi (costituzione dell’anima); ad I (3, 406a26 sgg. [= 103.3], 18.25-30 (445 Lu.): parafrasi (come l’anima muove il corpo); ad I (3, 406b14 sgg.), 19.16-19: parafrasi (Platone come Democrito); ad I (4, 409a9 sgg. [= 103.1]), 30.4-10 (117 Lu.): parafrasi (Dem. e Senocrate); ad I (5, 408a30 sgg. [= 103.1]), 31.4 sgg.: parafrasi (idem); ad II (7, 419a7 sgg. [= 118.3]), 83.29-33: parafrasi (formica nel cielo); ad III (3, 427b1 [= 106.1], 116.8-9 (321 Lu.): riferimento a coloro come Protagora per i quali tutti i fenomeni sono veri. Stobeo, Flor. IV 50, 80-81: ‘Democrito’ evidente errore per ‘Democede’, che è il personaggio che ispira il discorso che, secondo Erodoto, Atossa rivolge a Dario (81 = Erodoto III 134.3). Si veda Hense ad loc. Temistio, In Phys. I 2, 184b15 sgg. (= 11.1), 2.30-3.1: parafrasi (cfr. Simpl. e Filop.) In Phys. I 5, 188a19 sgg. (= 12.1), 18.1-5: parafrasi del passo aristotelico. In Phys. II 2, 194a12 sgg. (= 1.2), 42.11-13 (99 Lu.): niente di significativo (la figura come causa formale). In Phys. II 4, 196a11 sgg. (= 71.1), 49.10 sgg. (18 Lu.): parafrasi del passo aristotelico (sul caso) senza aggiungere niente che non si trovi in altre fonti In Phys. III 4, 203a19 sgg. (sull’infinito), 81.1-11: niente che non si trovi in altri (cfr. commenti di Simplicio e di Filopono al passo aristotelico). In Phys. IV (6, 213a32 (= 33.1)), 123.15-22 (268 Lu.): vuoto separato e non, niente che non compaia in altre testimonianze In Phys. III 7, 207b13 sgg. (sull’astrazione matematica), 98.13-18 (59 Lu.): coincide quasi del tutto, anche verbalmente, con Simplicio In Phys. 512.28-33 (= 53.7), ma quest’ultimo leggermente più completo In Phys. IV (8, 215a11 (= 36.3)), 129.8-9 (249 Lu.) qualifica il vuoto in modo non democriteo come privazione In Phys. IV (9, 216b22), 135.10 sgg. (256 Lu.): commento, non molto informativo e senza nominare Democrito o Leucippo, ad un passo aristotelico del quale è dubbio se riguardi loro (ma cfr. Simplicio ad loc.) In Phys. IV 10, 218a25 sgg., 142.30-143.1: se i mondi sono molti, anche i tempi …(cfr. Simpl. 78.7) In Phys. VIII 1, 251a21 sgg. (= 43.1), 211.30-32: tempo infinito In Phys. VIII 7, 260b13 sgg., 226.1 sgg.: riduzione dei processi al movimento Temistio, In De anima I (2, 403b20 sgg. [= 101.1]), 9.3 sgg. (200 e 462 Lu.) + 9.35 sgg.: parafrasi del passo aristotelico In De anima I (2, 405a2 sgg. [= 102.1]), 13.8 sgg. (444 Lu.): parafrasi In De anima I (3, 406b5 sgg.), 17.7-8: niente di significativo
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In De anima I (3, 406b15 sgg.), 19.5 sgg.: niente di significativo In De anima I (4, 408b32 sgg. [= 103.1]), 31.20 sgg.: parafrasi (accostamento a Senocrate) In De anima I (5, 409a28 sgg. [= 103.1]), 32.3 sgg.: parafrasi (accostamento a Senocrate) In De anima I (5, 410b21 sgg.), 35.6 sgg.: niente di significativo (identità di sensazione e intell.) In De anima II (7, 419a11 sgg. [= 118.3]), 62.12 sgg.: parafrasi con sviluppi (formica nel cielo) Temistio, In De caelo II (13, 294a28 sgg. [= 67]), 127.33-36 (401 Lu.): la latitudo come causa della stabilità della terra In De caelo III (2, 300b8 sgg. [= 64.1]), 161.6 sgg. (296 Lu.): sul movimento precosmico degli atomi; ad 300b8 sgg., 162.24 sgg. (381 Lu.): parafrasi con sviluppi (stesso tema) In De caelo III (4, 302b30 sgg.), 177.29-178.7 (341 Lu.) + 10-11 + 23-27: elementi indivisibili infiniti ecc., corporei, dotati di figure infinite; ad 303a12, 178.28-179.3 (= 275 Lu.): una figura determinata è assegnata solo al fuoco come elemento cosmico; 179.4 sgg. critica alla posizione loro e di Anassagora In De caelo III (8, 306b22-33), 201.24-25 (131 Lu.): suggerimento di Alessandro che l’argomento aristotelico riguarda Dem., cfr. Simplicio ad loc. (= 21.2) In De caelo IV (2, 308b29 sgg. [= 68.2]), 214.9 sgg.: sul peso dei corpi In De caelo IV (6, 313a5 sgg. [= 69.1]), 246.38 sgg. (375 Lu.): ruolo della figura nel movimento Teofilatta (Theophylactus Simocatta), Quaestiones physicae, p. 20 (Boissonade) (= 545 Lu.): sulla riproduzione, non attendibile, cfr. 68B300.7a.
VII. Massime di Democrito (Viene fatto riferimento alla recente trattazione ed edizione di Gnomica democritea del Corpus Parisinum profanum dovuta a J. Gerlach) Le sentenze che compaiono in CPP col titolo Massime di Democrito vanno divise in quattro gruppi principali a seconda della loro provenienza, come suggerito da Gerlach (cfr. Supplementi all’introduzione, suppl. XVII): (1) gruppo iniziale di 5 sentenze (da 163 a 167 Elt.) 3 delle quali si trovano anche in Stobeo; (2) gruppo di sentenze che dipendono dalla raccolta DEI (da 168 a 190 Elt.); (3) gruppo di sentenze intitolata “Varia” da Gerlach (da 191 a 198 Elt.), con pochi paralleli; (4) gruppo finale (da 199 a 204 Elt.) che ha dei paralleli (senza eccezioni) in Stobeo. Nel caso dell’ultimo gruppo si tratta di sentenze che compaiono in Stobeo con l’attribuzione a Democrito (3 di esse compaiono anche nella raccolta di Democrate). Nel caso del gruppo intitolato “Varia” ci sono due sentenze che compaiono (a nome di Democrito) nella raccolta di Stobeo, inoltre una di esse compare anche nella raccolta di Democrate (cfr. 68 B 218 [= 146.8], e 68 B 60 [= 161.4]). Una di esse (la 193 Elt.) è attribuita ad Aristotele nella stessa raccolta CPP (ad 106 Elt.) e in Massimo (cfr. Rose, Aristoteles Pseudoepigraphus, Leipzig 1863, XI.A. Sententiae ex florilegiis collectae, nr. 4, p. 608; Gnom. Aristot. 106 Searby); un’altra (la 191 Elt.) viene attribuita ad Anacarsi a partire da Gnom. Bas. 47 (cfr. A 17 Kindstrand: Anacharsis, p. 111); una terza infine (la 197) viene attribuita a Musonio perché viene messa in bocca a Lucio (cioè presumibilmente al Lucio che ha pubblicato le sue diatribe) in un passo della
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“Appendix Vaticana” che è stata curata da Sternbach sulla base del Codice Vaticano greco n. 1144 (vedasi la voce Musonius Rufus curata da Goulet-Cazé per il Dictionnaire des Philosophes Antiques, vol. IV, p. 568). Per nessuna di queste sentenze sembra del tutto evidente che non possa essere democritea, e ciò vale a maggior ragione per le rimanenti 3. Di queste io ho recepito la sentenza 192 (= 162.6), che anche Gerlach ritiene possa essere democritea (cfr. suo # 33, p. 476), la sentenza 196 (= 162.7), nonostante che Lortzing, Ueber die ethischen Fragmente Demokrits, Berlin 1873, p. 15 (seguito da Gerlach, cfr. apparato a suo # 37, p. 480) favorisca l’attribuzione ad Epitteto, e la sentenza 197 (= 173.8) che Gerlach è incline ad attribuire a Musonio (cfr. suo # 38, p. 481). Del gruppo iniziale di massime, a parte quelle che coincidono con Stobeo (cioè B 209 e B 234), ho riportato la massima 4 (166 Elt., suo # 7) (= 147.4), ma questa coincide (come rilevato da Gerlach a p. 442) con la ‘morale’ alla conclusione di una della favole di Esopo (cioè la favola sul leone e il topo, 155 Hausrath, 256 Halm). 1 Tuttavia questo, a mio avviso, non esclude la possibilità che Democrito l’avesse fatta propria, perché egli pare avere mostrato considerazione per le favole di Esopo come espressione di saggezza morale popolare (cfr. 144.2, inoltre 135.3, dove Plutarco potrebbe riecheggiare Democrito). Naturalmente ciò esclude una originalità della sentenza. Quanto al gruppo centrale di massime, la dipendenza dalla raccolta DEI non esclude ovviamente la possibilità che alcune di esse siano autentiche, ma ovviamente è difficile dire quali lo sono (salvo nei casi di coincidenze con la raccolta di Stobeo e/o con quella di Democrate). In alcuni casi si può procedere per esclusione, perché l’attribuzione a qualche altro autore è sicura. Ciò vale per 172 e 176, che sono sentenze tratte da discorsi di Isocrate, per 177, che è tratta da Ps.-Plutarco (Apophth. Lacon., p. 213C, nr. 66), per 185, che ha dei riscontri nella tradizione pitagorica, similmente per 186, infine per 188, che ha più attribuzioni (Socrate, fr. I.C.271 Giannantoni; Cleante, SVF I, fr. 617; ecc.). Delle sentenze da me accolte Gerlach ammette che possano essere democritee solo la 170 (= 179.13) e la 184 (= 146.13). Le sentenze 169 (= 179.11) e 171 (= 179.12) sono escluse per motivi che non sono esplicitati. La sentenza 174 (= 162.5) viene esclusa perché l’opposizione ivi istituita fra ‘amabile’ e ‘temibile’ sarebbe tipica degli autori cristiani, ma non vedo perché non possa risalire a Democrito. Le sentenze 181 (= 173.7) e 189 (= 179.14) sono da lui ritenute non democritee perché propongono delle similitudini. Personalmente non vedo perché il ricorso a similitudini ecc. non potrebbe essere democriteo. Infine, delle sentenze al di fuori della raccolta delle Massime di Democrito io ho accolto solo CPP 710 (= 174.4), a parte quelle che sono riportate anche da Stobeo e/o in Democrate. Gerlach ritiene che sia da assegnare piuttosto a Socrate (cfr. fr. I. C. 284 Giannantoni da Stobeo III, 38, 48, dove però il lemma ‘Socrate’ compare solo in alcuni MSS e la sentenza segue due sentenze attribuite a Democrito, cfr. 162.3 e 174.3). Notare che la successiva CPP 711 è probabilmente democritea (= 68 B 89 = 160.2). C’è pure da rilevare che la sentenza attribuita a Socrate presenta una variante (“piaga dell’anima” invece che “della veracità”) che l’accosta a CPP 708 (suo # 57), dove compare l’espressione “trapano dell’anima”. Delle sentenze che rimangono, a parte quelle fatte risalire alla raccolta plutarchea, Gerlach ammette che possano essere democritee (ma in modo spesso assai dubitativo) le seguenti: CPP 745 (suo # 60), CPP 1
Questa coincidenza era sfuggita non solo a me ma, a quanto pare, agli altri studiosi che se ne sono occupati. Diels nel citare la sentenza rinvia ad Eschine, Oratio III (Contro Ctesifonte), 170, ma l’affinità è piuttosto tenue. (Rinvia invero anche a Stobeo, III, 43,35, ma c’è un errore evidente: il vol. III si conclude col cap. 42! Gerlach esclude la presenza della sentenza nella raccolta di Stobeo.) Luria cita il passo senza commenti.
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746 (suo # 61), CPP 747 (suo # 62), CPP 750 (suo # 65), CPP 751 (suo # 66), CPP 752 (suo # 67), CPP 1069 (suo # 88). Nel caso di CPP 1069 egli si mostra assai favorevole alla sua assegnazione a Democrito (cfr. p. 560).
17 Versione digitale - Digital PDF - ISBN 978 88 222 7488 5