I demoni guerrieri


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CAPOLAVORI DELLA LETTERATURA GIAPPONESE

Ishikawa

Jun

I DEMONI GUERRIERI

la Repubblica

GEDI PASSIONI Pubblicazione periodica settimanale Anno VI Numero16 Direttore Responsabile: Stefano Mignanego Registrazione n. 133 del9 /8/2018, Tribunale di Roma -

CAPOLAVORI DELLA LETTERATURA GIAPPONESE 16 ISHIKAWAJUN

l DEMONI GUERRIERI A cura di Maria Teresa Orsi Titolo originale: Shura

••

di Ishikawa )un

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© 1958 The Heirs ofJun Ishikawa, ali rights reserved, originally published in )apan Italian translation rights arranged with The Heirs of )un Ishikawa through The Sakai Agency © 1997 by Marsilio Editori" s.p.a. in Venezia © 2023 Edizione speciale per GEDI News Nerwork S.p.A Pubblicato su licenza di Marsilio Editori GEDI News Nerwork SpA Via Ernesto Lugaro15 IO126 Torino Società sottoposta ad attività di direzione e coordinamento di GEDI Gruppo Editoriale SpA -

Progetto grafico di copertina e impaginazione: Marco Pennisi & C. Srl In copertina: Katsushika Hokusai, Guerriero Kmgoro © Fine Art Images l Bridgeman Images Tutti i diritti di copyright sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge.



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La nostra carta proviene da foreste gestite in maniera sostenibile, da materiale ricidato e da fonti controllate

Stampa: Rotolito S.p.A. -Via Sondrio3 Pioltello (MI) -2023

INDICE

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L'ultimo dei «letterati» di Maria Teresa Orsi Ishikawa}un: la vita, le opere

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I DEMONI GUE�Em

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Note Glossario

AVVERTENZE

ll sistema di trascrizione seguito è lo Hepbum, che si basa sul principio generale che le vocali siano pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese. In particolare, si tengano presenti i .se­ guenti casi: eh

i

j s sh u w

y

z

è un'affricata come l'italiano «C» in cena è sempre velare come l'italiano «�> in gara è sempre aspirata è un'affricata

è sorda come nell'italiano sasso è una fricativa come l'italiano «SO> di scena

in su e in tsu è quasi muta e assordita va pronunciata come una «U» molto rapida è consonantico e si pronuncia come l'italiano di ieri è dolce come nell'italiano rosa o smetto; o come in zona se iniziale o dopo «n»

La lunga sulle vocali indica l'allungamento delle stesse, non il rad­ doppio. Tutti i termini giapponesi sono resi al maschile in italiano. La traduzione di Shura (1958) è stata condotta sul testo Ishikawa Jun, Shion monogatan·, Tokyo, Kodansha, Bungei bunko, 1989, pp. 158-261.

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PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA GIAPPONESE

tardo VI secolo-710 710-794 794-1185 1185-1333 1333-1568 1568-1600 1600-1867

periodo Asuka periodo Nara periodo Heian periodo Kamakura periodo Muromachi (o Ashikaga) [1336-1392 nanbokuchOJ [1467-1568 sengoku jidat1 periodo Azuchi-Momoyama periodo Tokugawa (o Edo)

epoca moderna: 1868-1912 1912-1926 1926-1988 1989-

Meiji Taisho Showa Heisei

lO

L'ULTIMO DEI «LETTERATI»

Quando Ishikawa Jun morì a ottantotto anni, nel 1987, aveva al suo attivo una carriera di più di cin­ quant'anni come scrittore, una ventina di romanzi, un centinaio di racconti brevi o di media lunghezza, e inol­ tre traduzioni, saggi critici, drammi per il teatro, studi sulla letteratura cinese e giapponese, versioni in giappo­ nese moderno di opere classiche. Uomo di lettere nel senso più completo della parola, Ishikawa usa il proprio patrimonio di erudizione per presentarsi come scrittore sofisticato, complesso, pronto ad ampliare il testo dei suoi romanzi attraverso una rete fittissima di citazioni, allusioni e metafore, dove un sospetto di pedanteria vie­ ne vanificato solo dalla leggerezza dell'ironia e dalla for­ za dirompente dell'immaginazione. In questa sua scelta di certo elitaria Ishikawa si pone, consapevolmente, sul­ la scia di una lunga tradizione di «letterati» (bunjin) poliedrici ed eclettici, che aveva già segnato una frut­ tuosa pagina durante l'epoca Tokugawa (1600-1867), e che ancora all'inizio del nostro secolo manteneva una salda presa fra gli scrittori di primo piano della moder­ na letteratura giapponese, quali Mori Ogai e Natsume Soseki, che non a caso Ishikawa avrebbe molto amato

Il

e ai quali avrebbe dedicato studi e saggi critici. Nonostante la comune impostazione culturale, tutta­ via, molti aspetti differenziano Ishikawa dai due illustri predecessori, al di là del più immediato stacco genera­ zionale, che permette allo scrittore di inserirsi in pieno nel clima del Novecento, di confrontarsi con le avan­ guardie europee di inizio secolo, di vivere il periodo fra le due guerre segnato da fermenti rivoluzionari e spinte nazionalistiche e infine, superata la buia parentesi della guerra, di ripresentarsi come una delle voci più originali degJi ultimi cinquant'anni. Ma soprattutto, a differenza di Ogai e Soseki, intenti a esplorare la realtà di un Giap­ pone in continuo movimento e trasformazione e a chie­ dersi fino a che punto i valori del passato possano e deb­ bano coesistere con le nuove istanze culturali e sociali, Ishikawa elabora un messaggio assai più radicale, atte­ standosi su posizioni anarchiche, iconoclaste, creando personaggi tesi a sovvertire il sistema e a combattere l'autorità e la tradizione. Lo scrittore è rimasto nel corso della sùa lunga carrie­ ra un personaggio in sostanza isolato, difficilmente in­ quadrabile in una scuola o in una corrente, posizione a cui lo conducevano sia le sue scelte letterarie in ampia misura eterodosse, sia il suo più generale atteggiamento di distacco dai gruppi dominanti. Nonostante ciò, il suo messaggio anticonformista e provocatorio, insofferente di ogni forma di istituzione o gerarchia, ha permesso alla critica di ritenerlo, negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, uno dei princi­ pali rappresentanti dei cosiddetti buraiha, un termine dai confini semantici imprecisi, che spazia da libertino a decadente e che designa un gruppo di scrittori ribelli e anticonformisti, disperati portavoce del vuoto spirituale creatosi alla fme della guerra 1• I principali rappresentan-

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ti - Dazai Osamu (1909-48), Sakaguchi Ango (1906-55), Oda Sakunosuke (1913-47) - pur non costituendosi mai in un vero e proprio sodalizio letterario, sono accomu­ nati da una carriera breve ma intensa, da un'enorme presa sul pubblico specialmente più giovane, da racconti dove agiscono protagonisti emarginati e viene negato ogni ideale; ma soprattutto hanno condiviso una vita di­ sordinata, spesa fra alcol e droga e conclusa con il suici­ dio, come nel caso di Dazai, oppure col deterioramento fisico e una: morte prematura, come nel caso degli altri due. Da questo punto di vista, almeno, la posizione di Ishik.awa appare diversa perché, anche se l'autore in al­ cuni momenti della sua vita fu portato a indulgere in comportamenti ispirati a un certo dandismo, a predilige­ re abbigliamenti stravaganti (informi maglioni di lana abbinati a berretti a visiera di marca italiana o inglese e ai tradizionali geta giapponesi) e accessori ancora incon­ sueti come la pipa o le sigarette con il bocchino, a tra­ scorrere buona parte del tempo in vagabondaggi nei quartieri di divertimento, fra sake di infima qualità, carte e donne, resta il fatto che questa sua condotta fu conte­ nuta nei limiti di un cauto simpatizzare con atteggia­ menti romantico -decadenti di nostalgie de la boue e non giunse a un coinvolgimento totale e irreversibile. L'anticonformismo per Ishik.awa si esplicò invece in modo determinante nelle scelte letterarie, nel porre so­ pra ogni considerazione di ordine esistenziale o politico la ricerca continua di formule nuove, attribuendo alla parola il ruolo privilegiato di strumento magico capace di agire sulla realtà. Allo stesso modo, il suo indubbio interesse per l'anarchia e il marxismo, che lo portò a un certo punto a schierarsi con gli studenti in sciopero, non divenne il motore principale di una prosa di chiaro enga-

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gement politico, ma si affiancò, senza mai soverchiarla, alla ricerca di un percorso essenzialmente letterario. Nell'evoluzione di questo percorso, che investe sia il linguaggio sperimentato volta per volta, sia l'argomento dei racconti e l'approccio al materiale narrativo, è possi­ bile individuare come linea costante un'esplicita prefe­ renza per l'uso di analogie e riferimenti; e non c'è dub­ bio che l'erudizione e la profonda conoscenza dei proce­ dimenti narrativi della letteratura premodema abbiano permesso all'autore di utilizzare tali strumenti con il massimo rendimento. L'uso della «citazione», ossia il consapevole inseri­ mento all'interno di un'opera letteraria di elementi poe­ tici appartenenti a una produzione precedente, ha in Giappone una storia lunga e consolidata. Nell'ambito della poesia classica, il cosiddetto honkadori ( «ripresa di una poesia originaria») ha costituito uno dei cardini del­ l'arte poetica2• Non si trattava beninteso di un puro esercizio intellettuale o di una semplice pratica di imita­ zione. Attraverso la ripresa di frammenti di liriche del passato non solo si stabiliva un rapporto di continuità e affinità con una tradizione di grande prestigio, ma si creava una rete di associazioni che permettevano alla poesia di strutturarsi su diversi piani di lettura, acqui­ stando una straordinaria intensità evocativa. D'altro canto anche una produzione molto più popo­ lare come il romanzo di epoca Tokugawa conobbe assai bene l'arte del bricolage letterario3• n gesaku ( «opera per intrattenimento»), nato a Edo (T oky o) verso la metà del XVIII secolo come racconto senza troppe pretese cultura­ li, ma ben presto terreno di sperimentazione anche da parte di intellettuali e studiosi, aveva sfruttato con suc­ cesso citazioni e riferimenti più o meno espliciti a opere della classicità, ora mettendoli al servizio della parodia,

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del travestimento, del pastiche, ora utilizzandoli con in­ tenti assai meno ludici, per proporre trasposizioni e d ­ letture. Era così possibile ottenere un duplice risultato: da una parte stabilire una specie di dialogo fra intellet­ tuali che attraverso questa letteratura «au second degré» si confermavano nella loro posizione di elitarismo cultu­ rale, in grado di cogliere e apprezzare i riferimenti ( ov­ vero, se era il caso, di disapprovare la scelta e l'imperizia della trasposizione); dall'altra offrire la possibilità di as­ saporare un testo avvincente che manteneva, anche per il pubblico meno in grado di cogliere le allusioni, un percettibile legame con la grande pagina della letteratu­ ra colta. E in questo gioco di rivisitazioni, che prevedeva espansioni testuali, moltiplicazione di episodi e ridefini­ zioni del ruolo dei personaggi, i punti di riferimento non erano costituiti solo dall a letteratura classica. Un ruolo di primo piano era svolto anche dal coevo teatro kabuki, che conosceva a sua volta uno sviluppo dirompente, o ancora, dalla letteratura cinese, da secoli interlocutrice favorita di quella giapponese, che dava nuove possibilità di «incursioni» sia con i lunghi' romanz i scritti in verna­ colo sia con i racconti fantastici che ispirarono più di una rielaborazione in terra giapponese. Non fa meraviglia quindi se I shikawa, profondo cono­ scitore della letteratura di epoca Tokugawa, epigono dei letterati che si dedicavano al romanzo per passatempo, non alieno al gusto per l'erudizione e a un certo elitari­ smo culturale, trovasse nel gesaku e nel suo modo di esprimersi il modello di molti suoi racconti. Ma non era solo una scelta letteraria che lo avvicinava agli scrittori­ letterati dell'epoca Edo; con essi condivideva una certa ostilità nei confronti della morale ufficiale, l'insofferenza per il sistema e la sua burocrazia, la spinta iconoclasta mascherata da un umorismo spesso velenoso, la circo-

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spezione nell'affrontare temi troppo scopertamente pro­ vocatori e la scelta di velarli sotto la parodia. N é sarebbe stato il solo a percorrere questa strada, visto che la «scuola del nuovo gesaku» (shingesakuha) avrebbe in­ cluso altri scrittori. N ell'immediato dopoguerra la loro identificazione con il gruppo dei buraiha fu quasi inevi­ tabile, ma lo shingesakuha allargò i suoi confini fino ad accogliere anche scrittori più giovani, come N osaka Akiy uki ( n. 1930) o lnoue Hisashi ( n. 1935), i cui rac­ conti sono caratterizzati da una irriverente anarchia di linguaggio oltre che dal gusto per l'ironia, il paradosso, il grottesco. La

storia

Shura (1958, I demoni gue"ieri) si svolge in uno dei periodi più turbolenti della storia giappones_e, all'epoca cioè del conflitto che prende nome dall'era Onin (14671469) e che aprì la via a quasi un secolo di anarchia e combattimenti intermittenti in tutto il paese. I disordini di Onin (1467-1477) partivano da una contesa riguar­ dante l'erede scelto dall'ottavo shogun, Ashikaga Yoshi­ masa (1435-1490), ma erano in realtà una lotta senza quartiere per stabilire un nuovo ordine di potere fra le maggiori famiglie dell'aristocrazia militare. n periodo di relativa stabilità instaurato dagli shogun della famiglia Ashikaga era dipeso soprattutto dalla loro capacità di mantenere un seppur precario equilibrio fra i principali clan militari, equil ibrio che fu disintegrato quando la di­ sputa per la successione entro la famiglia dello shiigun offrì il pretesto a due potenti daimyii, Hosokawa Katsu­ moto (1430-1473) e Yamana Mochitoy o ( meglio cono­ sciuto con il nome buddhista Sozen, 1404-1473), di

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fronteggiarsi l'uno contro l'altro in una aspra guerra. Al loro fianco si schierarono le altre grandi casate militari e i signori della provincia, in cerca a loro volta di persona­ li vantaggi. Le battaglie furono combattute per la mag­ gior parte nella capitale, Kyoto, o nelle immediate vici­ nanze, nei quartieri stessi dove erano le residenze dello shogun e i grandi monasteri zen. Gli scontri più feroci e distruttivi si svolsero durante i primi anni e le perdite fu­ rono enormi poiché a ognuno di essi si accompagnavano incendi disastrosi che riducevano in cenere interi quar­ tieri; ben presto le principali aree di conflitto divennero poco più che terra bruciata. Dopo anni di combattimen­ ti, la morte quasi simultanea dei due capi nel1473 por­ tò alla fine del conflitto, che si concluse nel 1477 senza vincitori né vinti. Ma la capitale era ormai distrutta e lo shogunato degli Ashik aga annientato come forza politica. In questo periodo burrascoso, forze nuove emergeva­ no accanto a quelle costituite e molto spesso ne usurpa­ vano il ruolo, al punto che la storiografia tradizionale ha individuato nella formula gekokujo ( l'inferiore che sop­ pianta il superiore) il parametro più distintivo dell'epo­ ca. Allo stesso tempo altre energie erano in movimento contribuendo all'instabilità e alla crisi che il paese attra­ versava: prima di tutti, gli ashigaru, soldati mercenari as­ soldati dalle due fazioni, responsabili a loro volta di sac­ cheggi e incendi. E inoltre gli strati più umili, i contadi­ ni, che sporadicamente si sollevavano in sanguinose ri­ volte (t'kkt) per esigere sia l'abolizione di tasse troppo esose e frequenti, sia «atti di grazia» che concedessero il condono dei debiti. Non fa meraviglia che questo momento storico, agita­ to e confuso, dove la decadenza di alcune forze politiche si contrappone al dinamismo di altre, segnato da assedi

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e saccheggi, distruzioni e sommosse, intrighi e alleanze, divenisse assai presto argomento di ispirazione letteraria oltre che di speculazione storica e attirasse più di uno scrittore anche nel corso del nostro secolo: fra di essi, Ishikawa Jun, che già agli inizi della sua carriera, in un breve saggio intitolato Rekishi to bungaku (1941, Storia e letteratura) , aveva sottolineato come assai più dei sin­ goli personaggi di cui le cronache tramandano nomi e gesta, «ciò che dà forma alla storia sono i movimenti di massa degli esseri umani. E ancora, i fenomeni che da essi derivano, che a essi sono collegati» 4• In Shura l'energia che mette in moto la storia parte certo dalla nobiltà feudale che come vedremo più avanti occupa un ampio spazio nella vicenda, ma accanto a questa emergono, prepotenti e aggressivi, i gruppi ano­ nimi degli ashigaru e più ancora quelli del villaggio di Furuichi, posti su un gradino più basso degli stessi sol­ dati, conciatori di pelli e come tali disprezzati e conside­ rati meno che uomini. Nell'elaborare le fasi dello scon­ tro che vede da una parte l'aristocrazia in declino e dal­ l'altra le forze emergenti mosse da spinte rivoltose e di­ struttive, Ishikawa tiene d'occhio entro certi limiti la sto­ ria ufficiale, ma fedele al principio, più volte ribadito, della necessità che il romanzo nasca soprattutto dalla li­ bera invenzione, non esita a cambiare particolari, episo­ di, situazioni. Del resto la sua difesa dell'autonomia immaginativa si era accompagnata a una cronica sfiducia in qualunque forma di verità assoluta, fosse pure quella affidata alla garanzia dei documenti storici. Nulla di più falso, agli occhi di Ishikawa, della verità ricostruita sulla carta da­ gli studiosi, piegata a esigenze politiche o anche alla semplice presunzione scientifica. Seppure in modo me­ no iconoclastico rispetto alla furia di Koma, protagoni-

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sta di Shura, nondimeno egli esprime tutto il suo scetti­ cismo sulla validità dei documenti storici. Lo storico credendo nella propria visione storica, nei mate­ riali che ha raccolto e selezionato, si convince che in ciò che ha scritto vi sia un carattere di verità. E buon per lui, la sua epoca lo sostiene. Ma quando si mettono insieme frammenti considerati veri, non è detto che l'opera completa mantenga lo stesso carattere di verità. Anche se un frammento è vero, l'insieme che si forma è un'altra cosa. La società umana del passato ha senza alcun dubbio un'esistenza reale, ma lo stori­ co, quando si convince di poter ricreare quell'immagine attra­ verso le parole, probabilmente si limita a inserire in una corni­ ce vuota uno schema di sua fabbricazione. I movimenti di massa dell'umanità del passato non accettano di essere immo­ bilizzati'.

Nell'ottica dello scrittore viceversa il romanzo, «na­ scendo dalla flessibilità dello spirito», può permettersi il lusso di partire da una dichiarata finzione, salvo poi pre­ sentare, per quel magico potere che le parole posseggo­ no, una realtà più convincente della «verità>> stessa. Non è stato difficile quindi, alla critica più puntigliosa racco­ gliere esempi di quell' «allontanamento dalla storia» che Ishikawa sembra voler far proprio6• Un articolo scritto da uno studioso, Aoyanagi Tatsuo, ci informa infatti che la faìnosa biblioteca del Tokabo ( Residenza dei Fiori di Pesco) appartenente al kanpaku Ichijo Kanera (14 02-1481) fu davvero saccheggiata e in­ cendiata, così come viene raccontato all'interno di Shu­ ra, e i preziosi manoscritti in essa contenuti andarono perduti; tuttavia, secondo le fonti storiche l'incendio eb­ be luogo nel diciottesimo giorno del nono mese dell'an­ no 1 4677• Nel suo racconto Ishikawa sposta l'episodio all'inizio della primavera di due anni più tardi (1469), offrendo al lettore indizi precisi, nel primo e nel quinto

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capitolo, che gli permettono di individuare sia la stagio­ ne, sia l'anno. Allo stesso modo, non c'è alcun dubbio sull 'esistenza storica di Ninagawa Shinzaemon, noto co­ me poeta con il nome di Chiun, ministro del sesto sho­ gun Ashik.aga Yoshinori, e inoltre, discepolo del monaco zen Ikkyii, secondo una versione che Ishikawa sembra accettare nel presentarci i due personaggi intenti a com­ porre «poesie a catena>> o a disquisire sulla decadenza inarrestabile dei tempi. Senonché il , in lshikawa ]un zenshii (Raccolta completa delle opere di IshikawaJun), Tokyo, Chikuma shobo, 1969, vol. 9, p.286. 5 Ibidem, pp. 289-290. 6 «Allontanamento dalla storia» (rekishibanare) è un termine usato dallo scrittore Mori Ogai (1862-1922) in un articolo rimasto famoso, Rekishi sono­ mama to rekishibanare (1915, La storia cosi com'è e l'allontanamento dalla storia), nel quale discuteva la posizione di maggiore o minore aderenza alla

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realtà richiesta a uno scrittore di romanzi storici. Cfr. M. Mastrangelo, La pro­ XXVIII, 1988, pp. 123134. 7 Aoyanagi Tatsuo, Ishikawa ]un «Shura» no kozo (La struttura di Shura di Ishikawa Jun), in Nihon bungaku kenkyii shiryo sosho, Ishikawa ]un-Saka­ guchi Ango, Tokyo, Yiiseido, 1978, pp. 137-148. 8 Per una traduzione dell'Oninki vedasi H.P. Varley, The Onin war, His­ tory o/ its Origins and Background- With a Selective Translation o/The Chron­ icle of Onin, New York & London, Columbia University Press, 1967. 9 Cfr. S. Arntzen, Ikkyii and the Crazy Cloud Anthology, Tokyo, University ofTokyo Press, 1986, p. 95 e pp. 167-168. 1 ° Cfr. D. Keene, Seeds in the Heart, ]apanese Literature /rom Earliest Times to the Late Sixteenth Century, New York, Henry Holt, 1993, p. 1087, n. 65. 1 1 Cfr. D. Keene, Some ]apanese Portraits, Tokyo, Kodansha International, 1983, p. 20. 12 Cfr. S. Arntzen, Ikkyii, cit., p. 152.Gli shura (o ashura, dal sanscrito asu­ ra) nel buddhismo costituiscono uno dei sei possibili livelli di esistenza, deter­ minati dalle azioni compiute nelle vite precedenti secondo il principio del karma. Sono demoni o titani dotati di una natura battagliera e costantemente assetata di guerra. 13 G. Genette, Palimpsestes, cit., p. 556. 14 ll racconto è riportato in numerosi testi cinesi fra i quali la raccolta di racconti fantastici Suoshenji (Ricordi di ricerche sugli spiriti) di Gan Bao (VI secolo d.C.). A questo proposito cfr. Ito Seiji, Nihon shinwa to Chiigoku shinwa (Mitologia giapponese e cinese),Tokyo, Gakuseisha, 1979, p. 101. 15 Si veda per esempio Kaiko no hajimari (Le origini del baco da seta) in Seki Keigo (a cura di), Nihon no mukashibanashi (Fiabe del Giappone), vol. m, Tokyo, Iwanami shoten, 1996, p. 102. 16 Cfr. AoyanagiTatsuo, Ishikawa ]un «Shura» no kozo, cit., pp. 141-142. 1 7 Trad. it. in Narratori giapponesi moderni (a cura di A. Ricca Suga), Mila­ no, Bompiani, 19862, pp. 647-697. 18 Trad. it. di M.T. Orsi, Racconti di pioggia e di luna, Venezia, Marsilio, 19953• 19 Sul rapporto simbolico che viene a crearsi fra la locanda, alloggio tem· poraneo, e il concetto di impermanenza, vedasi W.R. LaFieur, The Karma o/ Words, Berkeley, University of California Press, 1986, pp. 60-79.

duzione storica di Mori Ogai, 1 parte, in «ll Giappone»,

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ISHIKAWA JUN: LA VITA, LE OPERE

Ishikawa nasce nel 1899 a Tokyo e viene allevato nella fami­ glia del nonno paterno, Ishikawa Tasuku, che è studioso di classici cinesi e ha insegnato al Shoheiko, accademia di studi confuciani dell'a n cien régime. La presenza dell'anziano stu­ dioso viene considerata dai biografi come uno dei principali stimoli che indirizzano il giovane ]un verso la lettura dei clas­ sici confuciani e l'approfondimento della letteratura cinese. Un'altra importante spinta culturale gli deriva dall'aver tra­ scorso infanzia e adolescenza nel quartiere di Asakusa, che aveva rappresentato in passato uno dei centri di quella cultura popolare, brill ante e anticonvenzionale affermatasi a Edo (T6ky6) fin dal XVIII secolo e che aveva tratto buona parte della sua inesauribile vitalità dalla stretta connessione con il vicino Yoshiwara, sede delle case di piacere «autorizzate», e con il teatro kabuki che in Asakusa aveva trasferito i propri locali in­ tomo al 1842. n quartiere lasciava inoltre ampio spazio all'at­ tività di giocolieri, acrobati, declamatori, negozi e case da tè di ogni tipo. Più tardi l'apertura del Giappone al mondo esterno e la sua trasformazione in nazione moderna avrebbero dato ad Asakusa la fisionomia di quartiere alla moda, rinomato per il suo parco, per il Jiinikai (Dodici piani), primo grattacielo di Tokyo oltre che centro di divertimento, per le sale cinemato­ grafiche e i teatri d'opera e di varietà, e poi per i suoi innume­ revoli ristoranti e locali notturni. Era lo stesso quartiere pieno

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di animazione, di folla, di divertimento, di stravaganza, che, mescolandosi al ricordo di un passato altrettanto vivace, avrebbe affascinato scrittori di inizio secolo come T anizaki Jun'ichiro o Nagai Kafu. A differenza di questi due autori, Ishikawa non ha legato il suo nome in particolare alla descrizione di strade e quartieri che il tempo e gli avvenimenti (terremoti, incendi, interventi urbanistici indiscriminati) avrebbero mutato fino a stravolger­ ne del tutto la fisionomia. La dimestichezza con la lunga pagi­ na culturale della «città bassa» sembra manifestarsi nelle sue opere da una parte come gusto per la citazione più o meno esplicita di poeti-letterati che di questa cultura hanno fatto parte, dall'altra come un ulteriore invito all'insubordinazione, all'esuberante sfida all'ordine e alle convenzioni. Nel 1917, l'iscrizione all'Università di lingue straniere di Tokyo segna l'inizio di un periodo di avvicinamento alla lette­ ratura occidentale e in particolare a quella francese, scelta co­ me materia di specializzazione. Le sue letture spaziano da Mo­ lière a Baudelaire, da Rimbaud ad Anatole France, a Paul Va­ léry, a Paul Claudel, quest'ultimo forse incontrato a Tokyo nel 1922 e apprezzato per il suo convinto messaggio cattolico. L'incontro con la poetica di Claudel e la sua intransigenza re­ ligiosa si poneva in netto contrasto con altre esigenze dello scrittore giapponese, che fin da allora si indirizzava verso po­ sizioni di rifiuto di ogni valore assoluto ed era mosso da un in­ teresse sempre maggiore per l'anarchismo che proprio intorno agli anni venti trovava in Osugi Sakae ( 1 885-1 923 ) il più con­ vinto sostenitore. Se sul piano ideologico il dilemma fra fede e nichilismo fu ben presto risolto a favore del secondo, sul pia­ no letterario l'incontro con André Gide segna per Ishikawa una tappa fondamentale, quella che lascia in lui l'impronta più profonda e duratura. Nel 1 924 traduce L'immoralista e nel 1928 I sotterranei del Vaticano. Del primo romanzo avrebbe apprezzato soprattutto l'edonismo del protagonista, la sua esigenza di autorealizzazione a tutti i costi, la sua sete di libertà, e ne avrebbe fatto in qualche modo il lontano modello degli eroi ribelli dei suoi racconti. Ma è soprattutto la struttu-

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ra di I falsari e il procedimento di mise en abyme, ossia del racconto che si rispecchia al proprio interno, messo in atto da Gide nel suo romanzo, che offre a Ishikawa spunti preziosi per sviluppare a sua volta, in più di un'occasione, un genere di racconto «speculare» che riflette su se stesso e sugli ele­ menti da cui è costituito 1 Nel frattempo si laurea e dopo qualche tentativo di inserirsi nel mondo del lavoro come impiegato presso una banca o una casa editrice, inizia a collaborare ad alcune riviste come criti­ co, traduttore e scrittore. Nel 1924 ottiene un posto di inse­ gnante presso una scuola superiore di Fukuoka, un'esperienza che dura poco più di un anno e viene interrotta quando lo scrittore è costretto a dare le dimissioni per via del sostegno offerto agli studenti in sciopero, dopo lo scioglimento forzato della sezione socialista all'interno della scuola. ll periodo successivo al suo rientro a Tokyo è segnato da un lungo vagabondaggio spirituale, da una vita bohémienne tra­ scorsa per lo più nei quartieri di divertimento fra grandi bevu­ te e nottate passate a giocare a carte, mentre si afferma con sempre maggior chiarezza la decisione di dedicarsi alla lettera­ tura, come autore questa volta e non solo come critico o tra­ duttore. Negli anni 1935-37 nascono le prime opere che lo fanno conoscere negli ambienti letterari: Kajin ( 1 935, La bella donna), Yamazakura ( 1 936, I ciliegi) e Fugen ( 1 936, Fugen), che ottiene l'anno successivo il premio Akutagawa riservato a scrittori esordienti. Se il primo racconto già presenta un pro­ tagonista scrittore, impegnato nella stesura di un romanzo da cui la realtà quotidiana sembra volerlo distogliere con la sua mediocrità, in Yamazakura troviamo invece la presenza di im­ magini fantasmagoriche e surrealistiche, simili a quelle che co­ stituiranno in seguito uno degli elementi più affascinanti di molti suoi racconti. Ma è soprattutto il terzo romanzo, Fugen, quello che, nella sua complessità di struttura e di linguaggio, offre la prima, decisiva conferma delle doti di scrittore di Ishikawa. Opera sperimentale, strutturata su molteplici piani di nar­ razione, Fugen oltre a proporsi come una personale versione •

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del romanzo «speculare», si avvale della lezione ben assimilata del simbolismo, ma allo stesso tempo mette a frutto la lunga tradizione di analogie e parallelismi che avevano costituito uno dei punti fermi di molta parte della poesia classica giap­ ponese. Le battute iniziali danno il tono dell'opera e allo stesso tem­ po offrono un esempio dell'elaborato linguaggio che contrad­ distingue i primi lavori dello scrittore: Come quando si tenta di afferrare una goccia d'acqua caduta su un vassoio, che, luccicante come una gemma, appena sfiorata subito si dissolve, allo stesso modo qualora si giunga a considerare Tarui Moi­ chi possibile soggetto di un racconto, ci si sente quasi ingannati ren­ dendosi conto che non c'è in lui nulla di particolare e chissà per qua­ le motivo ha attirato la nostra attenzione, e ciò non avviene forse per­ ché il vento che spira nelle pagine di un romanzo è ben diverso da quello del nostro mondo volgare e la forza che ci spinge a sollevarci in volo fino alle altezze del settimo cielo liberandoci dalla terra, spaz­ za via le scorie dei sentimenti umani e la polvere del mondo fluttuan­ te, e con tutto ciò Tarui è individuo troppo privo di sostanza, tale che basta sfiorargli la punta del naso perché resti senza respiro e sen­ za vita?2

È il sollioquio del protagonista, l'Io narrante, che non di­ versamente da quanto avviene in Kajin è impegnato nell'ela­ borazione di un'opera di letteratura. In realtà il suo progetto letterario è ben più ambizioso che non quello di descrivere la storia di amici e conoscenti che en­ trano a far parte della sua vita, come il sopraccitato Tarui Moichi, attore fallito, privo di personalità e «sostanza», sia co­ me essere umano sia come personaggio di un racconto. L'ope­ ra su cui l'Io narrante tenta di concentrarsi, continuamente in­ terrotto dall'intrusione di personaggi volgari e terreni, con i loro drammi e le loro preoccupazioni, è la biografia di una poetessa francese del xv secolo, pressoché sconosciuta, Chri­ stine de Pisan, autrice di un poema dedicato a Giovanna d'Arco, di cui fu più o meno contemporanea. Le due donne - l'una splendente di giovinezza e di «spirito divino», l'altra ormai anziana e in pieno declino fisico - offro-

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no all 'aspirante scrittore la possibilità di creare un'immagine che pur nella sua parzialità potrebbe estendersi a una visione multiforme e globale della «femminilità». Ma allo stesso tem­ po gli si presenta la possibilità di ricollegarsi alla tradizione orientale, stabilendo un rapporto di analogia, ricco di sugge­ stioni anche se un po' «zoppicante» per sua stessa ammissio­ ne, fra le due donne e una famosa coppia, Kanzan e Jittoku, maestri del buddhismo zen - l'uno eccentrico poeta e l'altro monaco di basso rango addetto a spazzare gli avanzi delle cu­ cine ma insostituibile e fedele compagno del primo 3 • A sua volta, nella tradizione buddhista, la coppia rappresenta l'in­ carnazione di Manjusri e Samantabhadra, rispettivamente il bodhisattva della saggezza e quello della saggezza tradotta in azione. Si giustifica qui il titolo del racconto essendo Fugen il nome giapponese del bodhisattva Samantabhadra. Non con­ tento, lo scrittore protagonista, ricollegandosi questa volta al­ l'immediata realtà che lo circonda, traccia un ulteriore paralle­ lo fra se stesso - scrittore come Christine de Pisan e umile ser­ vitore come Jittoku - e Yukari, la donna ideale che riempie i suoi sogni e alimenta le sue speranze, lontana e inafferrabile, l'eroina coraggiosa ricercata dalla polizia perché militante nel partito comunista clandestino. Se Yukari assume a lungo an­ dare la dimensione di una divinità irraggiungibile (salvo poi mostrare verso la fine del racconto un volto devastato dal­ l'odio e assai più simile a un demone che a un essere divino) , le fa da controparte la prostituta Otsuna, che lega il protagoni­ sta indissolubilmente alla terra e alle sue passioni. Su questa esile trama, Ishikawa sovrappone le divagazioni del protagonista sul significato e sui procedimenti della crea­ zione letteraria facendone il proprio portavoce per una con­ vinta difesa di un romanzo che sia prodotto originale dell'im­ maginazione e non pretenda di porsi come «fedele» riprodu­ zione del vero, rispecchiando il microcosmo che circonda le esperienze dell'autore. Se, laddove si muove la penna, restano attaccate le impronte grasse della mano che la regge, le vene azzurrine sull a fronte dello scrittore, il sudore sulla punta del suo naso, l'irritazione contenuta nelle sue

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spalle, insomma tutte queste cose impregnate

dell'odore dd suo cor­ po, come potrà mai sbocciare in tale luogo il fiore della sincerità? Che farsa umiliante, quando ciò che si può decifrare è solo la forma dd corpo di chi scrive! •

n passaggio è tanto più significativo in quanto si presenta come una chiara polemica contro i procedimenti del wataku­ shi shosetsu, il cosiddetto «romanzo dell'Io», ossia un genere di racconto intimistico, minimalista e autobiografico che ten­ de volutamente ad annullare ogni distanza fra autore e perso­ naggi e che, affermatosi in Giappone agli inizi del Novecento, ancora manteneva ben salda negli ambienti letterari degli anni trenta la sua posizione di letteratura d'arte per eccellenza. Uno stesso pervicace rifiuto delle convenzioni in auge coin­ volge anche il piano espressivo del racconto. Ishikawa speri­ menta una fitta rete di associazioni e similitudini: Tarui Moi­ chi, paragonato all'inizio di Fugen a una goccia d'acqua che perde ogni consistenza se solo ci si prova a sfiorarla, nel terzo capitolo viene avvicinato per la sua mediocrità a un banale va­ so di terracotta che riesce a mala pena ad attirare l'attenzione solo quando fa il paio con un vaso altrettanto ordinario. E na­ turalmente per il secondo «vaso» è subito pronto un nome e cognome, Tabe Hikosuke, altro personaggio di scarsa perso­ nalità, alle prese con problemi economici e familiari. Nulla a che fare, sospira l'autore, con lo stupendo contrasto offerto da Don Giovanni e Sganarello , da don Chisciotte e Sancho Pan­ za ... Giovanna d'Arco è invece assimilata a una ghirlanda di fiori che danza nel sole e Christine de Pisan a polvere frantu­ mata di vecchie ossa coperta dalla polvere del suolo. E l'insi­ stenza che troviamo sull'elemento «polvere» e sull'importanza di spazzarla via non sembra del tutto casuale quando si pensa che la ramazza è l'oggetto che accompagna costantemente Jit­ toku nell'abbondante iconografia che lo ritrae assieme al suo compagno poeta. Ma è soprattutto Yukari che ci mostra un volto proteiforme, da benevola divinità a demone perverso, a incantatrice e strega lasciva dal corpo umido e luminoso. Su questa maglia di immagini l'autore costruisce una prosa dal registro incostante, ora erudita e cesellata dai preziosismi

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di una consumata retorica, ora banale e quotidiana, caleido­ scopica e capricciosa, indifferente alle costrizioni del «bello scrivere»; in definitiva, un esempio di quella «brutta scrittura» che egli avrebbe difeso in un suo piccolo saggio intitolato ap­ punto Akubun no miryoku (ll fascino della brutta prosa) . Se­ condo le sue parole, la cosiddetta scrittura elegante, cristalliz­ zata nelle sue forme, tranquillizza il lettore senza offrirgli però nuovi stimoli. Ben diverso è il caso di una prosa trasgressiva, assurda, insubordinata, perversa che nella sua difficoltà, nella sua continua sfida alla comprensione del lettore offre la vera misura delle doti dell'autore. A patto che, conclude Ishikawa con una buona dose di ironia, essa nasca da una volontà con­ sapevole, e non sia solo un errore di percorso di un mediocre scrittore . . . ' Nel 1938, poco dopo lo scoppio della guerra con la Cina, sulla rivista Bungakukai (Mondo letterario) appare Marusu no uta (La canzone di Marte) , subito censurato dalle autorità che ravvisano nelle sue pagine una critica al militarismo. In effetti il breve racconto può essere letto come una condanna del fa­ natismo collettivo che spinge una nazione alla guerra, ovvero come un esempio, peraltro abbastanza raro in Giappone, di letteratura della resistenza. La protesta del protagonista, il suo rifiuto di lasciarsi coinvolgere emotivamente da una canzone dai chiari toni militaristici (Svegliati Marte, intrepido . . . ), che sembra seguirlo ovunque assieme a immagini di giovani in di­ visa kaki, di una folla che sventola bandierine, di una nave da guerra proiettata sullo schermo del cinema, costituivano ele­ menti più che sufficienti per insospettire qualunque censore. Ma il racconto può essere anche letto come una ricerca di li­ bertà, di evasione dalle strettoie della vita quotidiana, di godi­ mento dell'attimo fuggente, tanto più prezioso in quanto già segnato dall'ombra della guerra. Lo scontro con la censura, che del resto non avrebbe ri­ sparmiato altri illustri scrittori, convinse Ishikawa della neces­ sità di un periodo di silenzio e distacco dai suoi temi favoriti. L'impossibilità di fuggire all'estero lo spinse a tentare un'altra fuga, che lo portava a rifugiarsi nello studio dei classici, nella

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rilettura dei capolavori di epoca Tokugawa, nella elaborazione di saggi e teorie letterarie. Fra gli autori preferiti, Ota Nanpo ( 1749- 1823 ) , funzionario del governo shogunale ma anche versatile scrittore, autore di versi comici (i cosiddetti kyoka o poesie folli) , che costituiscono una pagina vivacissima, ancor­ ché misconosciuta della letteratura Tokugawa, ricchi di giochi di parole e riferimenti più o meno irriverenti, che certo dove­ vano trovare un'eco profonda nelle scdte stilistiche di Ishikawa. Oppure Watanabe Kazan ( 1793 - 1 84 1 ) , pittore e uo­ mo di pensiero, condannato dal baku/u per averne criticato la politica. O ancora, Ueda Akinari ( 1734- 1809), un altro scritto­ re anticonvenzionale, un po' misantropo e un po' stravagante, autore di racconti fantastici di straordinaria efficacia. Del ca­ polavoro di Akinari, Ugetsu monogatari ( 17 68, Racconti di pioggia e di luna) 6 , Ishikawa avrebbe offerto nel 1953 una sua personale traduzione in giapponese moderno. Non si trattava soltanto di approfondire gli studi seguendo le proprie inclina­ zioni: queste scelte, durante gli anni di guerra e di assillante propaganda, gli permettevano di continuare a scrivere senza timore di ulteriori censure, anzi lo inserivano sia pure in mo­ do assai misurato nella campagna di diffusione della cultura nazionale, che certo il governo era più che propenso a inco­ raggiare. Negli anni 194 1 -42 prendevano inoltre forma Mori Ogai, uno studio critico sul famoso intellettuale «illuminista» vissuto a cavallo fra l'Otto e il Novecento, e la raccolta di sag­ gi Bungaku taigai (Cenni di letteratura) . La fine della guerra portò a Ishikawa un improvviso, inspe­ rato successo. All 'indomani della disfatta, il suo manifesto di anarchismo filosofico e letterario, la sua prosa anticonvenzio­ nale si inserivano agevolmente nell'atmosfera confusa e disor­ dinata, ma anche aperta a nuove possibilità e speranze, del­ l'immediato dopoguerra. Non solo, ma trovavano risposte e analogie nell'attività di altri scrittori, in seguito raggruppati come abbiamo visto nell'introduzione - sotto l'unica defini­ zione di buraiha, che facevano della «degenerazione» la pro­ pria bandiera, individualisti, iconoclasti, in cerca di proposte che segnassero una svolta decisiva rispetto al passato. Daraku-

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ron (Saggio sulla decadenza) di Sakaguchi Ango, pubblicato nell'aprile del 1 946, scatenò un'ondata di entusiasmo portan­ do il suo autore a un successo improvviso e travolgente. In quelle poche pagine, dove «decadenza>> assume anche il signi­ ficato di mediocrità, negazione di grandi ideali, Sakaguchi so­ steneva che solo dopo il crollo dei valori esaltati dalla retorica di regime - il coraggio, l'abnegazione, l' autosacrificio, la vene­ razione per la causa imperiale - era possibile scoprire la più autentica natura dell'uomo e che nella decadenza, nella corru­ zione, fra le macerie, negli ambienti del mercato nero e della prostituzione l'umanità poteva sperare di trovare una via di ri­ generazione e salvezza. Non molto lontani da queste premesse, ma arricchiti dalla spinta immaginativa e dal gusto per il paradosso che caratte­ rizzano il loro autore, sono invece alcuni racconti che Ishikawa Jun pubblica subito dopo la guerra. Il primo in asso­ luto, Ogon densetsu (La Legenda aurea), propone un'esile as­ sociazione con l'omonimo, famoso testo medievale, ma so­ prattutto coglie, sia pure con toni smorzati da un certo umori­ smo e da un'impostazione di frivolo distacco, la realtà del Giappone appena uscito dalla guerra. Per una curiosa ironia anche questo testo incontrò subito i rigori della censura, non quella giapponese questa volta, ma quella delle forze di occu­ pazione che verosimilmente non apprezzarono la descrizione della protagonista, vedova di guerra, che si prostituisce a un soldato americano di colore. Nell'ottobre del l946 esce Yakeato no Iesu (Gesù fra le ma­ cerie), che resta forse il suo racconto più famoso, certo il più discusso. Si apre con una descrizione del mercato clandestino, memorabile per l'immediatezza con cui riesce a coglierne l'at­ mosfera, la vitalità e la sotterranea violenza, registrando il cal­ do soffocante, le mosche, le bancarelle «ammassate come una macchia di gramigna», l'odore di sudore che si mescola con quello di grasso fritto, di pesce, di polvere e sporcizia, e poi la presenza quasi minacciosa di una folla misera e vociante, dove spiccano i tatuaggi dei boss del mercato nero e gli ultimi stiva­ li militari, ricordo di una guerra da poco terminata. Ma su tut-

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to domina l'immagine della ragazza che vende gli omusubi, con la sua insolente vitalità e la sua sensuale bellezza che è un aperto invito ai passanti oltre che una sfida alla morale. È sta­ to scritto che nella letteratura giapponese non c'era mai stata prima di allora una descrizione così brillante del corpo fem­ minile, così sano, pieno di vitalità e di un erotismo tanto natu­ rale 7 . Forse è un'esagerazione, ma certo era un segno dei nuo­ vi tempi l'emergere di una letteratura sempre meno inibita nei confronti dell'eros e del sesso. Ancora più irriverente e provo­ catoria è nel racconto l'improvvisa apparizione di un ragazzi­ no, forse un orfano di guerra, uno dei tanti che popolavano le città del Giappone in quel periodo, sporco, lacero e coperto di pustole. Eppure, agli occhi del protagonista-narratore, l'im­ magine del ragazzo che tutti cercano di evitare con disgusto, quasi riconoscendo in lui i segni della propria abiezione, ma­ nifesta poco per volta un'insospettata dignità, una sicurezza quasi sfrontata che si impone agli altri senza una parola, ma solo con un istintivo potere di comando. E la mente del prota­ gonista, in un'improvvisa illuminazione, ritrova in lui la figura dolente di Gesù di Nazareth, non colto tanto nel suo aspetto divino quanto in quello umano, del «figlio dell'uomo» sceso fra i paria, fra gli strati più poveri, derelitti e abbrutiti del­ l'umanità. Unico nel suo genere per la capacità di riflettere gli stati emotivi del protagonista in tutta la loro contraddittorietà, di evocare un'atmosfera dando a colori odori e suoni una consi­ stenza quasi materiale, Yakeato no Iesu ha stimolato le ipotesi interpretative dei critici, che se in genere concordano nel ne­ gare al racconto implicazioni religiose, tendono a elogiarne so­ prattutto la valenza simbolica che elude ogni interpretazione razionale; le immagini tratte dalla Bibbia, che si ritrovano sep­ pure con minore incidenza suggestiva in altri racconti dello stesso periodo, come Moeru shiba ( 1 946, li roveto ardente) o Shojo kaitai ( 1 947, L'immacolata concezione), restano in so­ stanza strumenti privilegiati dallo scrittore per allargare i con­ fini delle sue storie nel tempo e nello spazio e trasportarle in una dimensione metafisica 8 •

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Negli anni successivi, Ishikawa consolida la sua posizione di scrittore di successo: si moltiplicano i saggi su di lui, si pro­ gramma la pubblicazione di raccolte complete delle sue opere. Contemporaneamente, i temi delle sue storie si spostano verso nuove direzioni. Del resto, i tempi sono cambiati. La pagina dell'immediato dopoguerra si sta per concludere dopo la fine dell'occupazione ( 1952) , la ripresa economica trasforma il paese e lo indirizza verso un inaspettato benessere. In lettera­ tura, si affaccia una nuova generazione di scrittori, agguerriti, irriverenti, che fanno convergere la propria attenzione non più sulla rovina o la rigenerazione del paese dopo la sconfitta, ma su altri pressanti problemi: la ratifica del trattato di sicu­ rezza fra Giappone e Stati Uniti, il malessere nascosto sotto la prosperità che sembra ormai a portata di tutti, la persistenza e il rifiorire di ideologie d'anteguerra che la «democratizzazione» della figura imperiale sembrava avere cancellato. All'interno di questa nouvelle vague intellettuale, Abe Kobo e Oe Kenzaburo non nascondono la loro ammirazione per la prosa di Ishikawa, traendone spunto per i propri esperimenti narrativi. Taka (li falco) del 1953 è una delle opere più scopertamente «politiche» di Ishikawa. li racconto parte da un esordio quasi banale - potrebbe trattarsi di una storia di contrabbandieri di sigarette nella Tokyo dell'immediato dopoguerra - ma procede a ritmo serrato, senza respiro, accompagnando come in una fu­ ga musicale l'affannosa corsa del protagonista per le strade del­ la città, il suo coinvolgimento con il gruppo clandestino che opera per costruire la «società del domani», animato da un'energia dirompente e incontrollabile, la stessa che permet­ terà ai cospiratori - il cui numero è imprecisabile - e con essi al protagonista di spezzare le sbarre della prigione dove sono stati rinchiusi dalla polizia. Ma se queste sono solo le linee generali della storia, nel corso del racconto il rifiuto dell'ordine costitui­ to, l'urgenza di creare una società nuova e diversa, sono calati in un contesto quasi da fantascienza, arricchiti di immagini di sapore surrealistico, fondate, per dirla con André Breton, «sul­ l' onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensie­ ro» 9 .

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L'elemento fantastico è ancora dominante in tre racconti scritti a poca distanza l'uno dall'altro, ai quali dà una parvenza di somiglianza il fatto di essere tutti ambientati non più nel Giappone attuale (o in un ipotetico futuro) , ma nel passato, in un periodo che attraversa la mitologia e la storia del paese. Shion monogatari ( 1 956, La storia delle settembrine) 10 , Hachi­ man engi ( 1 958, La genesi di Hachiman) e infine Shura ( 1 958, I demoni gue"ierz), non sono legati da un esplicito rapporto di continuità, ma condividono una serie di riferimenti e di con­ nessioni intertestuali, una visione del mondo fondata sulla con­ vinzione che la mitologia, la tradizione, la storia hanno come primo motore l'energia umana che scorre come un fiume attra­ verso il tempo e lo spazio. I tre personaggi principali - il nobile Muneyori di Shion monogatari, la divinità della roccia Ishiwake di Hachiman engi, e la donna demone di Shura hanno in co­ mune il loro essere mudojin, persone cioè al di fuori della mora­ le convenzionale, in cerca di una libertà assoluta che nessuna legge umana può limitare, tesi a dominare il mondo, sovvertire il potere esistente, rifiutare la tradizione, conseguire il potere di un dio (o di un demone) . Verso questo intento li muove non so­ lo l'energia spirituale che li pervade, ma anche la scoperta di possedere doti straordinarie che si manifestano soprattutto in un'attività materiale e che li pongono al di fuori della comunità umana: l'arma invincibile di Muneyori è l'arco, quelle di Ishiwake sono il tornio e l'ascia, quelle di Koma sono la sua bel­ lezza e le sue stesse gambe che le permettono di correre veloce come un destriero. I tre racconti condividono inoltre una co­ mune ispirazione ricavata da opere della letteratura classica. Nel caso di Shion monogatari l'immediato referente è il Konjaku monogatari (Racconti del tempo che fu) , raccolta di leggende del XII secolo, alla quale rimanda il titolo stesso 11 Ha­ chiman engi fu scritto solo un anno dopo che l'autore aveva proposto una propria versione in lingua moderna del Kojiki (Cronaca di antichi avvenimenti}, il testo storico-mitologico compilato nel 7 12 che narra le origini del paese e delle sue divi­ nità, e il racconto di Ishikawa, partendo sia pure a modo suo dalle stesse premesse, si riporta al Kojiki con trasparenti allu-



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sioni o aperti richiami. Più incerti sono invece gli ipotesti di Shura, dove coesistono riferimenti e citazioni di numerose ope­ re classiche senza che nessuna sembri avere un ruolo quantitati­ vamente preponderante. Shion monogatari si svolge in un impreciso momento dell'XI secolo, e la sua struttura è stata definita di «opposizioni bina­ rie» 12 • In effetti il protagonista, l'aristocratico Muneyori, viene a trovarsi volta per volta in un rapporto di confronto/scontro con gli altri personaggi: il padre, lo zio, l'intendente Tonai, la principessa destinatagli in moglie, la donna volpe, Chigusa, da cui viene ammaliato. Ma l'opposizione non riguarda solo gli es­ seri umani. Si crea fra le settembrine, «fiori della memoria», e i «fiori dell'oblio» che fioriscono nel paese al di là della monta­ gna; fra la capitale dove Muneyori è nato e la provincia dove viene esiliato; fra il paese dove sorge la sua residenza e quello al di là del monte, sconosciuto e inospitale; fra il cielo luminoso e la vallata profonda e oscura. E a ben guardare, anche i perso­ naggi che circondano Muneyori si pongono a due a due in un conflitto reciproco: il padre contro lo zio, lo zio contro l'inten­ dente, l'intendente contro Chigusa e così via. L'energia che percorre la storia procede da queste opposizioni, che Muneyori supera senza esitazioni, senza rimorsi, come spinto a percorrere una serie di gradini che lo portano ogni volta un poco più in al­ to fino allo scontro finale. Questo cammino, che è allo stesso tempo un viaggio verso l'autoconsapevolezza, è disseminato di odio e di morti e fa di lui la personificazione di un demone. L'ultima tappa che lo attende è in termini geografici la cima del monte, inviolabile e proibita agli estranei, in termini ideologici il mondo del buddha contrapposto a quello demoniaco, e in termini umani il personaggio di Heita, lo scultore che vive sulla montagna e scolpisce immagini sacre, ultimo rivale ma allo stes­ so tempo alter ego di Muneyori, del quale possiede le sembian­ ze e condivide la rovina finale. li percorso di Muneyori può es­ sere anche letto come la strada che porta alla definitiva cono­ scenza di se stesso, una specie di crescita interiore, ma il rac­ conto di Ishikawa, che lascia peraltro ampio spazio a interpre­ tazioni psicologiche e allegoriche, si sviluppa con la cadenza e

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la struttura della leggenda: di ciò si trova conferma nella pre­ senza fra le sue pagine degli esseri che popolano il folclore giap­ ponese, prima fra tutti la volpe, capace di assumere sembianze diverse e di trasformarsi in donna bellissima per ingannare e se­ durre gli uomini. Della leggenda, Shion monogatari ha anche il ritmo e il linguaggio magico, avvincente, musicale. Le righe che chiudono il racconto sono considerate fra le più suggestive: Nelle notti di luna chiara, quando il cielo era pieno della sua luce e la valle chiusa fra le tenebre, dal bordo della rupe che ne segnava il confine si udiva una voce. Incomprensibile ciò che diceva; dapprima era un mormorio fioco ma, mano a mano che l'eco lo propagava in uno scambio di richiami e risposte, diventava più forte, si allargava all'infinito, risuonava nella valle, sulle rocce, echeggiava sulla vetta, riempiva lo spazio col fragore di un tuono e superata la montagna si riversava fino al villaggio. n suo fragore raggiungeva anche la mac­ chia di settembrine. Quarido sulla montagna era notte di luna chiara, qui c'era la tempesta. Sotto la sferza della pioggia, nell'infuriare del vento il suono, terribile e dolente a un tempo, componeva una melo­ dia ora lenta ora veloce, si faceva canto e poesia. Impossibile sapere cosa cantasse, ma la sua profonda risonanza s'impadroniva del cuore umano. La gente diceva che si udiva il canto di un demone " .

Demoni e divinità sono ancora al centro di Hachiman en­ gi, una personale ricostruzione della storia che ha portato al­ la nascita del dio Hachiman, considerato divinità dell'arco e della guerra, capostipite nonché protettore della potente fa­ miglia Minamoto che conquistò il potere politico attorno alla fine del XII secolo dopo una terribile e sanguinosa guerra ci­ vile. n racconto, che prende le mosse da un passato leggenda­ rio e nebuloso, segue la genesi di Hachiman, dapprima figu­ ra umana emarginata nel corso di invasioni e battaglie fra vil­ laggi, poi divinità senza nome e poi, di pari passo con il pro­ cedere delle ambizioni degli uomini, delle rivalità per il pote­ re, della necessità di un'investitura di carattere ideologico che facesse da sostegno alle loro mire politiche, trasformato in divinità bellicosa e guerriera, destinata peraltro a perdere il suo potere con il tramonto del clan di cui era stato consi­ derato l'antenato.

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A differenza dei precedenti racconti, Shura si situa in un passato storico identificato con precisione, trattandosi del pe­ riodo conosciuto come era Onin ( 1467- 1469) e contraddistin­ to da una guerra civile che segnava l'inizio di un lungo perio­ do di anarchia e combattimenti. I personaggi principali sono lkkyii (1394-1481 ) , figura storica di straordinario interesse, monaco zen e poeta, uno dei grandi «eccentrici» della cultura giapponese, e accanto a lui, come sua antagonista, Koma, la donna demone nata dalla fantasia dello scrittore. Ma protago­ niste assolute sono in realtà le masse dei soldati di fanteria (ashigaru) e dei fuoricasta del vill aggio Furuichi. E la storia ruota attorno alla loro insubordinazione e al tentativo di con­ trastare in un momento di grande instabilità politica il potere dell'aristocrazia. Quando Ishikawa compie sessant'anni, nel 1959, la sua fa­ ma ha ormai radici profonde, sancita non tanto da un fragoro­ so successo di pubblico quanto dall'ammirazione e dalla stima di molti intellettuali giapponesi ai quali si affiancano i primi studiosi stranieri. Le tappe successive della sua carriera non faranno che confermare la sua posizione. Scrive drammi per il teatro - il primo, Omae no teki wa omae da (Sei tu il tuo nemi­ co) , viene messo in scena nel 1961 - e varie raccolte di annota­ zioni personali e riflessioni. Per questo tipo di opere, che si si­ tuano a metà strada fra il diario e il saggio ricollegandosi for­ malmente alla tradizione degli zuihitsu di epoca classica, ama scegliersi uno pseudonimo, lsai, così come avevano fatto a lo­ ro tempo i letterati di epoca Tokugawa, quando si allontana­ vano per qualche tempo dalla loro attività ufficiale per com­ porre «poesie folli» o romanzi «frivoli». La prima raccolta, Isai hitsudan (Colloqui con lsai) è del 1952, l'ultima, Isaifiiga (La quintessenza di lsai) è stata pubblicata nel 1 988. Dal 1 965 al 1 967 pubblica un lungo e ambizioso romanzo, Shifuku sen­ nen (ll millennio). Nel 1 97 1 inizia la stesura di Kyo/iiki (Cro­ naca di un vento folle) che terminerà solo nel 1980, nove anni dopo. Per molti versi esse rappresentano due pietre miliari nella carriera dello scrittore, il compendio dei suoi temi favo­ riti.

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Shi/uku sennen si pone idealmente come continuazione di Shura, nella sua scelta di eleggere a protagonisti gli strati più umili della società giapponese. Non siamo più nel xv secolo, bensì in un altro turbinoso periodo, subito dopo l'arrivo delle «navi nere» del commodoro Perry ( 1 854), negli anni che ve­ dono la fme dello shogunato Tokugawa e l'avvento del Giap­ pone moderno. Le tappe sono quelle che conosciamo: l' aper­ tura del porto di Kanagawa (1858), l'assassinio del primo mi­ nistro Ii Naosuke ( 1 860), il tentativo di sancire un'alleanza politica attraverso il matrimonio dello shogun Tokugawa Ie­ mochi con la sorella dell'imperatore, principessa Kazunomiya ( 1 860), gli scontri a colpi di cannone con la squadra navale britannica nella baia di Kagoshima ( 1863 ) . E sullo sfondo, il tormentato conflitto sulla necessità di restaurare il potere im­ periale, sulla opportunità o meno di aprire il paese agli stra­ nieri e sulle riforme da intraprendere per garantirne la ripresa politica ed economica di fronte alla minaccia che veniva dal­ l'Occidente. La realtà storica ci dice che il periodo si conclude con la Restaurazione Meiji ( 1 868) , ma Shi/uku sennen lascia intrave­ dere un'altra soluzione, presentando la possibilità che il pote­ re venga preso dai gruppi emarginati e messi al bando, mendi­ canti e >. Hikoroku aveva un'aria trionfante: «No, qualcosa di molto più grosso. Ho bisogno del tuo aiuto. Che ne di­ resti di chiamare anche gli altri e rimediare un bel po' di soldi?» «Ti ascolto». «Allora ... ?» Mentre stava per iniziare a parlare spruz­ zando gocce di saliva, da lontano si avvertì un'ondata rumorosa di passi disordinati e poco dopo risuonarono sul greto voci irose di una folla che si avvicinava e li su­ perava correndo. «La giovane signora è scappata». «Cercatela, fate passare ogni ffio d'erba». «Hanno detto che ci sarà una ricompensa».

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«Passate in rassegna ogni angolo, ogni albero». «Accendete le torce». Un primo fuoco si accese fra la folla, a cui fece seguito un altro e poi cinque, sette fiaccole in fila che lasciavano una scia di fumo e correvano in disordine senza una di­ rezione precisa. Dopo il loro passaggio il greto del fiume fu riavvolto dalle tenebre e rimase solo il lucore bianco della neve. Daikuro seguì con gli occhi l'affievolirsi delle luci in lontananza. «Di chi si tratta? Chi è la giovane signora che è fuggita? Lo sai Hikoroku?» L'altro annuì: «Sono informato dei segreti dell'accam­ pamento. È una fanciulla degli Yamana, ma cosa te ne importa? Meglio pensare al bottino di cui ti parlavo». Prima ancora che potesse finire, il compagno lo aveva afferrato bruscamente per le spalle. «Ma che ti prende? Mi fai male». «Hai detto una fanciulla degli Yamana? Parla. Cosa le è successo?» «Prima !asciami andare. All'inizio della guerra, una giovane signora del clan Yamana parente del nyiido ros­ so, non è riuscita a scappare in tempo dal palazzo ed è stata rinchiusa nel nostro accampamento. Anche tu l'hai intravista qualche volta». « ... » «Pare che sia fuggita poco fa. Non so altri particolari. Tutto qui». Daikuro lo respinse con tanta forza da farlo cadere al suolo. «Ma sei impazzito?» «No, non sono pazzo. O forse sì, può darsi. Hikoro­ ku, rimanda la tua scommessa. La posta più alta è pro­ prio qui. lo vado in cerca della giovane signora». «Per la ricompensa?»

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«Stupido. Quattro soldi sono più effimeri della neve. Di oro e argento ne posso arraffare quanto ne voglio con le mie mani, non aspetto certo che siano gli altri a dar­ melo. Ma per la giovane signora ci vuole ben altro che la forza. Eppure vedrai che riuscirò a prenderla. lo vado». Quando Hikoroku si alzò, Daikuro stava già allonta­ nandosi di corsa fra le tenebre. «Aspettami Daikuro. Non !asciarmi qui. Vengo an­ ch'io». Le due ombre, una che correva avanti, l'altra che la inseguiva, si dissolsero come pietre scagliate nel vuoto e sulla riva del fiume scomparve ogni traccia di esseri vi­ venti. L'aria della notte che si faceva gelida incombeva con il suo peso sulla neve e la massa dei cadaveri sepolti era come schiacciata da una sottile lastra di mica. Ben presto il vento che soffiava sull'acqua si calmò. E allora dal greto del fiume provenne un debole scricchiolio. Era la lastra ghiacciata che si sfaldava. La massa di cadaveri sembrò incrinarsi e dalla fenditura emerse un corpo che si muoveva fluttuando in un debole riflesso biancastro ... no, ciò che pareva un'ombra bianca e ondeggiante prese forma e la figura che si alzò in piedi agilmente non era certo un cadavere. Sotto le gocce luminose della luna che proprio in quel momento stillavano dalle nuvole, ap­ parve chiaro e distinto il volto di una giovane donna. Le sue vesti erano insanguinate, ma non vi era segno di fe­ rita; il gesto risoluto con cui si accomodò l'orlo dell'abi­ to e il modo con cui alzandosi in piedi strinse tra le ma­ ni il pugnale nascosto nelle pieghe della scollatura ne rivelavano senza dubbio l'appartenenza all'aristocrazia militare. Dalle parti del Toji le fiamme illuminarono il cielo. Poteva essere un attacco a sorpresa oppure l'agguato di un ladro. L'incendio si allargò squarciando le tenebre e

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alla sua luce la donna cominciò a correre lungo la strada. Avanzava vdoce, i capdli al vento, il corpo proteso quasi danzasse nd vuoto e il suo passo non ricordava affatto quello di una donna; ma piuttosto la corsa di un giovane puledro in fuga.

2.

All'alba il cido era sereno, l'aria ancora più gelida; il cimitero di Toribeno, ora che quasi nessuno se ne occu­ pava, era più desolato che mai, vera immagine della pre­ carietà della vita umana. Eppure proprio in questo luo­ go, nutrito dalle ossa di generazioni e generazioni di morti, non raggiunto dal suono delle frecce e lontano anche dalle fiamme che divampavano per le vie della cit­ tà, il ritorno della primavera era una salda promessa e sotto le sottili lastre di ghiaccio nascondeva il respiro dell'erba prossima a germogliare. In lontananza, ai piedi della collina che dominava lo stupa di tredici piani, un vecchio monaco - aveva forse superato la settantina, ma le bianche sopracciglia erano folte e serene - avanzò a passo spedito e giunto davanti alla piccola aula in rovina si fermò appoggiato al basto­ ne e si guardò intorno borbottando qualcosa. «Nel Go­ shuishu una poesia del reverendo ChW:nyo dice: A Toribeyama dove le fascine si consumano è caduta e si avverte la presenza della foresta delle gru 1 •

la neve

Ormai sembra che le gru non passino più da queste parti. Le strade della capitale sono invase dalle erbacce, trasformate in campi dove si annidano volpi e tanuki, la

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gente non sa neppure cosa voglia dire vedere l'allodola della sera che si alza in volo. In simili circostanze, poeti lamentosi scriverebbero poesie da quattro soldi, usando le solite frasi su quanto era bello il passato, spargendo inutili rimpianti. Ridicolo ! » Avvertendo una qualche presenza, scrutò verso il fon­ do dell'aula immersa nel silenzio: «Chi si nasconde lag­ giù? Non credo che un fantasma possa aggirarsi di na­ scosto quando splende la luce del mattino. E anche se un fiore è celato dalle foglie se ne avverte il profumo. Ho ben visto che sei una donna. Chi sei?» Uscì dall'ombra di un pilastro, le maniche tinte di sangue e avanzò senza timore fino al limite esterno della veranda. «Che motivo avrei di nascondermi ora che mi avete visto? Ho smarrito la via e ho trascorso qui la not­ te». «Sembri allevata in una casa di guerrieri. C'è qualcuno con te?» «Nessuno». «Una donna sola da dove può mai venire?» «Sono nata dai resti mortali dei soldati sul greto del Kamo, ieri sera>>. «Oh. E dove hai deciso di andare?» «Non lo so». li vecchio monaco l'ascoltava senza mostrare meravi­ glia. «Così hai smarrito la via e sei arrivata in questo ci­ mitero. Del resto, anche io sono un monaco che non sa fermarsi a lungo in uno stesso tempio e non ha meta, proprio come le nuvole vaganti e l'acqua che scorre. Og­ gi la capitale è immersa nel fragore della battaglia e non offre un posto tranquillo dove sia possibile bere una cio­ tola di sake e scambiare due parole con gli amici che hanno abbandonato il mondo come me. Stamani mi so­ no messo in cammino senza motivo, senza chiedermi do-

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ve cominciasse e finisse la strada e mi sono trovato in questo campo desolato. Proprio qui si stende il confine fra questo mondo e l'altro. È comprensibile che ci si possa perdere. Del resto gli esseri umani sono per loro natura portati a smarrirsi. Pensavo che mi sarei trovato davanti solo le ossa dei morti e invece ho incontrato il fiore di un giovane albero». Senza chiedere altro, si sedette sulla veranda e indiffe­ rente al sangue che le macchiava le vesti, fissò attento la donna. Questa senza timore alzò il volto. «Voi che siete un saggio, potete leggere nel cuore di chi come me ha perduto la strada?» «Gli occhi di un inutile monaco non sono in grado di valutare un fiore. Chissà verso quale cielo stai andando portato dal vento. Questa zona è legata al monaco Shin­ ran, ma tu nascondi un pugnale e non stringi il rosario fra le dita. Molte donne seguono gli insegnamenti di quel sant'uomo, ma tu forse non reciti neppure il nenbu­ tsu». «Questa ignorante persona non ha nulla a che fare con il buddhismo». «Ah, ah, questo vuoi dire che non sopporti il nenbu­ tsu e detesti i monaci, allora ... Eppure faresti bene a ser­ virti di quel pugnale per recidere ogni legame con il pas­ sato». «Voi predicate gli insegnamenti di Shinran?» «No, io appartengo a un'altra scuola. Ma questo mo­ naco, questo Shinran mi piace. Una volta, non ricordo bene quando, alla cerimonia per la commemorazione dei duecento anni dalla morte del maestro, ordinata da Ren'yò dello Honganji, ho ricevuto un ritratto di Shin­ ran. E io stesso con il mio pennello ho scritto qualche inutile verso. "La dottrina di questo monaco tutto nero e avvoltolato nel tepore della sua stola dominerà la ter-

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ra" . Ma che senso possono avere questi discorsi se dete­ sti i monaci? Bene, andiamo». Era sul punto di allontanarsi quando la donna all'im­ provviso si raddrizzò sulla schiena. «La poesia che ho ora ascoltato mi ha riportato alla mente senza alcun dubbio il nome di vostra eminenza. Siete il più grande monaco zen che esista al mondo». «Allora mi conosci. Comunque sia, eminenza o mona­ co di merda o, come tu stessa puoi vedere, monaco pelle; e ossa, fa lo stesso, sono proprio Ikkyii Sojun». «lo . . . » «No, non occorre che tu mi dica il tuo nome. A che ti servirebbe fidarti di me?» n monaco si era alzato, ma la donna lo rincorse. «Gli occhi penetranti di vostra eminenza possono ve­ dere chiaro come in uno specchio il destino di una per­ sona come me, sola e priva di ogni guida. Fin da quan­ do sono nata non ho mai pensato di pregare una divi­ nità o un Buddha. Eppure proprio perché siete un mo­ naco zen non avete il diritto, con il pretesto che non sono nulla per voi, di rifiutare la preghiera che intendo rivolgervi». Ikkyii la fissò: «In te c'è qualcosa di malefico. Potrò salvarti con le mie mani?» «Non vi sto chiedendo aiuto per l'altro mondo. Mo­ stratemi solo la via da seguire in questo». «Allora dimmi , ti ascolto». La donna cominciò a raccontare in tono grave: «Mi chiamo Koma, figlia di Ujitoyo, e appartengo al clan de­ gli Yamana, dell'armata occidentale. Mio padre, che ora è morto, aveva un tempo un pomellato grigio al quale aveva dato il nome di Tsukishiro. Ho sentito dire che proprio quando mio padre venne in possesso del caval­ lo, mia madre che fino ad allora non aveva messo al

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mondo figli, si accorse di portarmi in grembo. La gioia di mio padre fu senza limiti, ora che poteva contare su due grandi fortune, il destriero di razza e un erede, e tutti oggi conoscono bene la fama che si è acquistato ca­ valcando sui campi di battaglia in sella a Tsukishiro. Ep­ pure accadde qualcosa di inspiegabile. Per quanto Tsukishiro fosse un destriero fuori del comune, come era possibile una cosa del genere? pure, si può dire che si invaghisse di mia madre. Di fronte a questa incredibile situazione, mio padre, sospettoso e diffidente, in un ac­ cesso d'ira, scagliò una freccia e uccise con le sue mani il prezioso animale. Poi lo scuoiò e ne stese la pelle ad asciugare al sole, sui rami del giardino. Forse fu una leg­ gerezza da parte di mio padre, ma non si provvide ad al­ cun servizio funebre per placare lo spirito del cavallo morto. n suo mantello fu all'improvviso afferrato da un turbine di vento, volteggiò nell'aria, precipitò su mia madre che era seduta sulla veranda e si avvolse attorno al suo corpo; subito dopo iniziarono le doglie e nello stesso momento in cui mi metteva al mondo, mia madre cessò di vivere. In seguito, mio padre perse ogni vigore, fu assalito da dolori alle gambe e proprio lui che era sta­ to così valoroso si ridusse a uno storpio. Dopo infinite sofferenze lasciò questo mondo. Sono stata allevata da una nutrice, ma dopo che anche lei è morta sono vissuta fino allo scoppio della guerra chiusa nella casa della mia famiglia e sopportata a fatica. Poi sono stata fatta prigio­ niera dall'armata orientale e ho visto arrivare come in un soffio la primavera dei miei diciotto anni. Se porto il no­ me di Koma è forse per via di una maledizione di mio padre. E a pensarci è ben triste che il mio passo sia velo­ ce, forse perché ho ricevuto nel corpo lo spirito di Tsukishiro, e nella corsa non sia seconda neppure a un vero destriero».

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Con un profondo sospiro, la donna tacque per un po' poi riprese: «La famiglia degli Yamana presso la quale mi ero rifugiata era malvagia. Non solo si è impadronita dei terreni che appartenevano a mio padre, ma prospet­ tava di fare di me la concubina dello shiigun Yoshimasa. A questo scopo, pur di darmi uno stato sociale più ele­ vato, aveva cercato di ingraziarsi una nobile famiglia e aveva anche deciso chi sarebbe divenuta la mia madre adottiva. E poiché io non avevo neppure voluto prende­ re in considerazione una simile impudente proposta, si sono offesi e il loro comportamento è stato un chiaro in­ vito affinché me ne andassi. Allo scoppio della guerra tutti i membri della famiglia si sono preparati al peggio e senza dirmi nulla hanno deciso di dare fuoco alla resi­ denza e di entrare nel quartiere generale di Sozen, cosic­ ché quando i generali dell'armata orientale ci hanno at­ taccato, io sola non ho fatto in tempo a fuggire; non po­ tevo neppure pensare di correre via, circondata com'ero dalle fiamme. Mi hanno fatto prigioniera e condotta da Hatakeyama Masanaga. Masanaga si è invaghito di me. Sono riuscita a sfuggirgli a stento, ho atteso il momento opportuno e finalmente ieri sera mi sono rifugiata sulle rive del Kamo; protetta dall'oscurità ho evitato gli inse­ guitori e senza quasi rendermene conto mi sono trovata qui, a Toribeno. Tutto ciò che posseggo è questo pugna­ le, un ricordo di mia madre». n racconto era terminato, ma neppure una lacrima scorreva sul suo volto e gli occhi erano illuminati da una luce gelida e limpida. Ikkyii chiese dopo un attimo di riflessione: «Hai detto che non ti importa dell'aldilà?» «Sì». «Pensi che questo sia l'unico mondo?» «Sì».

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«Vorresti allora trovare rifugio da qualche parte in questo mondo?» «Mi state chiedendo cosa davvero io voglia? lo stessa non lo so. Non sopporto i guerrieri né gli aristocratici né i templi buddhisti. Ma soprattutto detesto l'idea di mo­ rire. Non so ancora nulla del mondo, non so distinguere la direzione delle strade che portano verso la città o ver­ so la montagna. So soltanto che in qualunque posto mi fermi, desidero vivere con tutte le energie che mi resta­ no». lkkyii si sedette e afferrando per un braccio Koma la trasse a sé con forza. D corpo della donna cadde sulle sue ginocchia come neve leggera. «Conosci l'amore?» «Non lo conosco». Koma non tentò neppure di re­ spingere la mano che si insinuava nella scollatura, ma la­ sciò fare. «La tua pelle è fredda, eppure nel tuo seno si annida la primavera. Che cosa meravigliosa il seno di una fan­ ciulla . È ciò che più amo. Finché sei in vita, getta nelle fiamme del mondo questo seno, questo corpo pieno di giovinezza. La festa della primavera. In questa festa che divampa muoiono le speranze e i desideri. E quando la speranza è scomparsa, comincia pure a vivere. Anzi, non pensare alla vita o alla morte. Sforzati solo di vivere. Po­ co fa, hai affermato che sei nata dalle spoglie mortali dei soldati. Hai avuto fortuna. Eppure, coloro che hanno la ventura di vivere in questo mondo, finché vivono, non sono certo spoglie vuote. Cadrai sotto i piedi di costoro, ne sarai calpestata e se avrai la possibilità di rialzarti, al­ lora alzati. Una poesia dello Shuishu di autore scono­ sciuto dice: A Toribeno quando nella valle si alza il fumo, vorrei tu sapessi che era la mia fragile vita.

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Facendoti strada fra la cenere dei morti vivi in questo mondo». Ikkyii respinse il corpo di Koma e aggiunse con voce severa: «Alzati». Levandosi a sua volta, afferrò il bastone e indicò la cima di un monte. «Corri al di là di quella vetta». «Di quale villaggio si tratta?» «Non far domande, non ti voltare. Va' e non chiedere altro. Sappi che non ci incontreremo una seconda volta. Hai detto che le tue gambe sono veloci come il vento. Fidati solo di quella velocità>>. Nell'atto di partire, Koma istintivamente strinse il pu­ gnale. Alle sue spalle si udì la voce di Ikkyii . «E quello cos'è?» «li ricordo di mia madre». «Ancora non ti sei liberata dei ricordi di un mondo passato? Ciò che devi recidere prima di ogni altra cosa sono i legami con il tuo pugnale». Subito Koma afferrò il pugnale e lo gettò via assieme al fodero. Un lampo attraversò il cielo simile a una ron­ dine e cadde lontano, ai piedi degli arbusti disseccati. Senza un attimo di esitazione, Koma cominciò a correre e in un istante la sua figura tagliò obliquamente il campo perdendosi fra la neve dei monti.



n territorio che si stendeva al di là della montagna aveva un aspetto ben diverso da quello della capitale, negli angoli dove la neve si stava sciogliendo alla luce dell'alba fin dove l'acqua si intiepidiva e gli alberi sten­ devano i rami con nuova energia nascondendo ancora il

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penetrante profumo dei germogli, si vedeva un gruppo di piccole case che sembravano a prima vista disabitate, ma il fumo che si alzava dalle porte di frasche era quello dei focolari, poiché qui non era ancora arrivato il fuoco delle battaglie. Eppure anche se all'apparenza era un vil­ laggio di contadini, ogni casa odorava di sangue, si ucci­ devano e scuoiavano buoi e cavalli, il mestiere delle pelli equivale di per sé a morte, e riforniti come erano di spa­ de e bastoni neppure le donne e i bambini conoscevano la paura; e gli uomini erano ancora più temerari, se sede­ vano a gambe incrociate era per giocare a dadi, se si spalleggiavano era per creare un proprio esercito - qui dominano le nostre leggi, gli estranei non devono mette­ re piede, chi sono per noi lo shogun e i grandi proprieta­ ri terrieri? che vadano all'inferno - il loro spirito ribelle che non conosceva freni e la loro audacia li faceva rico­ noscere a prima vista come gente di Furuichi e perfino nella capitale essi erano temuti. All'entrata del villaggio, dove un grande albero di sali­ ce lasciava cadere i suoi rami, erano fermi una decina di uomini, quella mattina pronti a dirigersi chissà dove, in­ differenti alle intemperie. «Da un po' di tempo nella capitale in primavera è as­ sai meglio combattere che guardare i ciliegi fioriti. Assie­ me a cavalli e buoi rotolano al suolo anche esseri umani di gran lunga più appetitosi. A tempo perso si possono raccattare senza fatica pugnali e vesti imbottite». «Però con la pelle di un soldato morto non guada­ gniamo un soldo». «Ma no, se ti capita davanti un tipo tutto ben vestito, che ti importa se è vivo e a cavallo? Lo si può ammazza­ re insieme al suo animale». A questo punto un uomo robusto dai capelli striati di grigio che aveva l'apparenza di un capo, almeno a giudi-

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care dalla sciabola che portava al fianco, si rivolse ai gio­ vani seccamente. «Non accontentatevi di così poco. Sono gli altri che contano, quelli che ci guardano dall'alto al basso e ci mettono su un gradino ancora più umile di quello dei soldati. Scuoiate le facce di costoro, che sono convinti di essere i padroni dél mondo. Fategli conoscere la soffe­ renza dei loro corpi. E fategli sapere che nella sofferenza non c'è diversità fra alto e basso, che gli esseri umani so­ no tutti ugualmente soli. Questa gente, guardando il fuoco della guerra continua a lamentarsi della precarietà della vita. E allora, sbatterli ancora vivi nel calderone dell'inferno, chiarirgli una volta per tutte le idee non sa­ rebbe una gran cosa? O meglio, sarebbe l'inizio di un capovolgimento del mondo a nostro favore». Mentre ancora stava parlando, il suo sguardo diretto verso la strada ebbe un lampo. «Sta arrivando qualcuno. Una donna. Sembra una donna della capitale, come non se ne vedono da queste parti». Mentre la donna senza timore si avvicinava di corsa, le si parò davanti, le braccia spalancate. «Fermati. Chi sei, da dove vieni? Neppure un uomo osa avventurarsi da queste parti. Lo sapevi? Cosa vuoi?» La donna non sembrò turbata. «Tu piuttosto chi dia­ volo sei? Qui non vedo barriere. Cosa ti salta in mente di fermare chi passa senza una ragione?» ll linguaggio era volgare come quello di un rozzo con­ tadino, ma il volto era senza dubbio quello di Koma. «Per essere una ragazzina sei impertinente. Si dice che perfino la consorte dello shogun, Hino Tomiko, abbia fatto erigere barriere nelle sette vie di accesso alla capi­ tale e con i balzelli che riscuote si compri i suoi belletti. Ma le ingiunzioni del baku/u non valgono nel nostro vil­ laggio. Le leggi del villaggio le faccio io, Danjo di Furui-

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chi. E anche se non ci sono barriere, nessun forestiero può passare sotto questo salice. Coloro che trasgredisco­ no vengono spogliati di ogni avere. Un uomo, lo si am­ mazza, una donna, la si vende. Non penserai di cavartela passando davanti a Danjo». Koma, prima ancora che l'uomo finisse di parlare già stava ridendo. «Sei un bd tipo. Sai che sono uscita dal paese dei morti?» «Cosa dici?» «Ho lasciato Toribeno, laggiù, ho valicato la vetta e quando ho messo piede in questa zona alle falde del monte ho fatto un giuramento». «Un giuramento?» «Sì, ho giurato che nel primo vill aggio in cui mi fossi trovata, se avessi incontrato il più valoroso fra gli uomini del posto, mi sarei legata a lui e ne sarei diventata la mo­ glie». «Oh, si tratta di questo». «L'ho giurato su questi capelli neri». >. Non era chiaro se il giovane fosse veramente un per­ sonaggio di alto rango e la luce dei suoi occhi aveva qualcosa di sinistro, ma se ci si fermava a osservare la sua carnagione fin troppo pallida e i tratti delicati del suo viso, non vi erano dubbi che fosse cresciuto in una famiglia della nobiltà. Diceva di chiamarsi Toyohara no Sueaki. Nato in una casa di maestri di flauto, aveva di­ sdegnato l'arte della famiglia e, detestando il servizio a Corte, interessato alle donne ancor più che al sake, dopo una serie di misfatti che avevano gettato lo scompiglio fra i parenti, era stato infine diseredato e, come se non bastasse, per un certo periodo si era mescolato ai fuori­ legge della città. Tuttavia, il dono dell'eloquenza che possedeva per nascita gli permetteva di ottenere subito il favore della gente e in breve era riuscito ad avvicinarsi alla casa di Kanera, dove, fingendo un comportamento irreprensibi­ le e rendendosi prezioso con la sua solerzia, si era di­ chiarato dipendente della famiglia Ichijo e benché non sapesse suonare il flauto era riuscito a infiltrarsi nell'or­ chestra del kanpaku, poi durante i recenti disordini non aveva voluto seguire nella fuga il proprio signore, ma non avendo motivo di rifiutare l'incarico di responsabile della casa, che si era guadagnato con le sue pretese di fe­ deltà, era rimasto ad avvoltolare le sue spire come un serpente nella dimora deserta, tramando chissà quali in­ trighi. Dopo che aveva per caso incontrato Hikoroku, compagno di malefatte di un tempo e amico fidato, lo

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invitava talvolta alla residenza, certo per qualche oscuro progetto, ma questo furtivo scambio di ciotole di sake, fatto con il favore della notte, per Hikoroku che nono­ stante le apparenze non era molto scaltro, rappresentava un'occasione più unica che rara, che accettava leccando­ si le labbra. «Non avrei mai pensato di poter entrare in questa ca­ sa e di partecipare a un festino con Sua Signoria. Anche questo è merito della guerra?» «Forse. Di questi tempi è persino possibile che un nuovo arrivato come il nyiido rosso degli Yamana sieda faccia faccia con il kanpaku dopo essersi rasato la sua barba da tigre. Ma non è il caso di badare a queste cose, visto che la nostra vita è legata a un filo. Prendiamocela con calma». Il suo modo di parlare aveva un che di pretenzioso, ma non appena la donna si ritirò nelle stanze interne, l'uomo incrociò le gambe e il suo atteggiamento mutò di colpo. «Come procedono le cose?» E Hikoroku di rimando con aria trionfante: «Tutto a posto. Ieri notte ho infor­ mato un amico dei vostri progetti e ha subito accettato». «Ci si può fidare?» «Tutti sanno che Daikuro di Yodo ha fegato. Non c'è pericolo che fallisca in un assalto notturno». «C'è modo di sapere più o meno il numero degli uo­ mini?» «Ho provveduto anche a questo. Scegliendo i più ro­ busti, saranno circa dodici o tredici>>. «Oltre alle spade e ai bastoni non dimenticare gli at­ trezzi per sfondare il magazzino. Non è un edificio come gli altri». «Provvederò. E se qualcuno fra le guardie tentasse di resistere?»

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«Decidilo. Quasi tutti gli uomini del palazzo sono passati dalla mia parte, ma pure è rimasto qualche idiota che non si è reso conto dell'aria che tira. E poi bisogna per forza che ci siano quattro o cinque morti e feriti. Al­ trimenti la scusa dell'assalto non regge». «Meglio appiccare il fuoco?» «Non è necessario. Non provocate incendi senza motivo. E poi il fuoco si nota da lontano». «L'ingresso principale?» «La sentinella è dei nostri». «C'era un vecchio brontolone che amministrava la ca­ sa, cosa gli è successo?» «Oh, quello. Qualche sera fa è morto per un improv­ viso malore. È stata una fine serena, come se si addor­ mentasse a conclusione di una lunga vita». «Un malore improvviso?» «Cosa vorresti insinuare?» «Oh, insomma . . . » «Tieni il becco chiuso». Reso audace dall'ubriachezza, Hikoroku vuotò senza esitare un'altra grossa ciotola di sake. «Certo però che il kanpaku, così elogiato per la sua saggezza, ha fatto un enorme errore di calcolo lasciando qui un sorvegliante deciso ad assaltare il magazzino». «Anzi, direi che proprio perché è saggio ha saputo ri­ conoscere i miei meriti e mi ha assunto al suo servizio. li vecchio potrebbe accontentarsi delle elucubrazioni sul Nthonshoki e invece è pronto a indirizzare le sue brame alla Corte dello shogun, a complottare dietro le cortine con la cricca di Hino Tomiko. Come inviato segreto, pro­ prio io, Sueaki, gli sono stato parecchio utile». «È evidente, trattandosi di Sua Signoria». «Ancora non ho ottenuto la ricompensa che mi spet­ ta. Questa casa, lasciata al suo destino, finirebbe per es-

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sere distrutta dal fuoco o ripulita dai ladri e andrebbe comunque in rovina. Non è tollerabile che i tesori am­ massati nel magazzino debbano svanire nel nulla. Se de­ vono cadere nella mani di qualcuno, tanto vale che va­ dano nelle mie». «Anche il più imperturbabile dei saggi, se venisse a sapere queste cose, resterebbe senza parole». «li kanpaku odia sopra ogni cosa i fedeli della scuola shin é gli ashigaru. Già da tempo soleva ripetere che gli ashigaru sono banditi, delinquenti e rapinatori da elimi­ nare. Se ora la sua preziosa biblioteca viene saccheggiata proprio dagli ashigaru, le sue previsioni si riveleranno esatte, ve l'avevo detto, l'avevo previsto, sarà l'occasione per un lungo sermone. Le lacrime e le recriminazioni non sono sgradite agli aristocratici di Corte. I saggi desi­ derano sempre lamentarsi». «Gli ashigaru saranno canaglie, ma anche voi non scherzate». «Come ti permetti? Controlla le parole. Toyohara no Sueaki è un nobile che sta al di sopra delle nuvole». «Certo signore. È proprio perché Sua Signoria è un uomo straordinario che anche noi possiamo afferrare la nostra parte di fortuna. Non lo dimentico». «D'ora in avanti considerami il tuo capo». La notte avanzava su questi progetti di assalti nottur­ ni, i due uomini a proprio agio senza alcun timore. «E Sua Signoria quando pensa di mettere in atto il progetto?» «L'ultima notte del mese, con il favore delle tenebre, all'ora del topo, cosa ne diresti?» «L'ultima notte all'ora del topo? Non vorrei sembrare inopportuno, ma la ricompensa sarà adeguata?» «Senza dubbio. Prendi quello che puoi a piene mani». Conclusi gli accordi, richiamarono la donna e versaro-

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no altro sake. Sueaki disse con l'arroganza provocata dal troppo vino bevuto, che pure non gli dava colore al viso: «Si parla di disordini, ma non si combatte tutti i giorni, solo ogni tanto c'è qualche scaramuccia e una volta che ci si abitua al suono delle frecce e a vivere in mezzo alla battaglia, la capitale ha sempre i suoi vantaggi. Non è come in tempo di pace, ora puoi avere sake a volontà senza spendere un soldo, le strade sono piene di donne a tua disposizione, puoi prendere ciò che più ti aggrada e la sera mangiare le cose migliori, non è grandioso? Se solo hai un po' di forza non devi restare in provincia a lamentarti della tua vita noiosa. Nessun funzionario può permettersi il lusso di dormire tranquillo pensando che il suo magazzino sia al sicuro solo perché ne possiede le chiavi. Non è buffo? Fintanto che il mondo è in subbu­ glio . . . » E Hikoroku infervorato fu pronto a snocciolare il di­ scorso che aveva appena udito da Daikuro: «Non sono gli Hosokawa o gli Yamana che hanno creato questo di­ sordine provvidenziale. È stata solo la forza di noi ashi­ garu». «Te ne sei reso conto, Hikoroku? Eppure non mi sembra che tu possa ancora attribuirti questo merito». «Se avanziamo così numerosi che puoi ammazzarne quanti ne vuoi ma siamo sempre in vita, allora le struttu­ re del mondo non possono reggere. Certo che il merito è anche mio». «Al diavolo, stai ripetendo una lezione imparata da qualcun altro. Sono proprio queste parole che non ti si addicono. Come pensi di poteme sostenere il peso, an­ che se le hai prese in prestito? Quando si assume un im­ pegno bisogna che lo si mantenga». «Se non si può assolvere a un impegno esiste l'Atto di grazia3 • Una volta estorto quello, il debito è saldato».

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. «Cosa stai dicendo?» «Quando ciò che appartiene al passato viene bruciato e distrutto, proprio allora il profumo dei fiori è più in­ tenso». «Lo pensi davvero?» «Senza dubbio». «Allora questa sera sei uscita per niente. La guerra langue, il rumore delle spade tace e non vi sono incen­ di». «Gli incendi, i colpi di spada, chi può dire che non ci

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siano? Se solo si ha la forza di provocarli . . . » Sul viso della donna aleggiò l'ombra di un sorriso e l'uomo fu subito sulla difensiva. «Vorresti dire che hai questa forza?» «lo o un altro, che importa? Fintanto che al mondo rimane qualcosa di vecchio». «Che intendi con qualcosa di vecchio? Per esempio, qui intorno, a cosa possono riferirsi le tue parole?» «Voi più di ogni altro dovreste saperlo». «Ora capisco. Si tratta del magazzino della Residenza dei Fiori di Pesco. Se è una sfi�a che i tuoi complici banditi vogliono lanciare, sono pronto ad accettarla. Ma ti avverto. I tesori sepolti nel magazzino sono soltanto documenti, cronache di generazioni e generazioni passa­ te, che non possono essere d'interesse per nessun la­ dro». «Invece proprio quei documenti trasmessi da genera­ zioni ospitano i demoni perversi del vecchio mondo. So­ no quei demoni che bisogna distruggere». «Cosa intendi con demoni del vecchio mondo?» La donna senza esitare ebbe una risata di scherno. «È ridicolo non capire una cosa tanto semplice. Tanto più quando si porta il nome di Sua Signoria Ninagawa». TI guerriero pose mano al fodero della sciabola. «Co­ me sai che sono Ninagawa Shinzaemon? Dichiara il tuo nome». «Ti basti sapere che sono un demone all'ombra dei fiori». L'uomo che accompagnava il guerriero approfittò dell'occasione per slanciarsi in avanti, ma la donna lo evitò con un agile balzo, si spostò dai piedi dell'albero al viottolo per poi subito scomparire lontana, lasciandosi alle spalle la voce portata dal vento: «Sua Signoria Nina­ gawa, se è destino, chissà che tu non sia di nuovo mio

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compagno per comporre un renga . » Shinzaemon dopo averla seguita con lo sguardo, mor­ morò fra sé, incrociando le braccia: «Sembrava di stirpe aristocratica, ma a quale famiglia potrà mai appartene­ re? Forse mi ha visto un giorno nascosta dietro le corti­ ne, ma io non ho accesso alle stanze interne. Di quale casata può essere? Via, pensarci non serve a nulla. Era un demone, senza dubbio. In un mondo sconvolto dalla guerra può ben accadere che creature ambigue, del tutto degne di questo mondo, vadano ad ammirare la fioritura dei ciliegi». .

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La voce che Ninagawa Shinzaemon aveva incontrato una donna demone sotto i rami di un ciliegio non lonta­ no dalla Residenza, benché lo stesso Ninagawa non ne facesse parola, ma forse perché era sfuggita dalla bocca del servitore, si diffuse chissà come per tutta la città al punto che altre voci si fecero sentire, una donna demone l'ho vista anch'io, è stato due notti fa, no, è stato nella serata di ieri. Qualche volta la donna correva nelle tene­ bre facendo svolazzare l'orlo della veste bianca, altre volte passava di corsa scortata da esseri mostruosi e sol­ levando un turbine nero, e che non si trattasse di fanta­ sie lo testimoniava il fatto che gli assalti notturni nelle case, nei templi e nei santuari più illustri della zona si erano fatti più numerosi e se dapprima sembravano in­ cursioni di ashigaru, ora si era giunti a credere che non si trattava di loro imprese bensì dell'opera di qualche nuova, misteriosa forza. Lo scopo degli ashigaru, anche quando appiccavano il fuoco, era pur sempre quello di

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impadronirsi degli oggetti preziosi. Viceversa i nuovi banditi, a giudicare da ciò che restava dopo il loro pas­ saggio, non sempre prendevano di mira l'oro e i brocca­ ti, né tanto meno facevano violenza alle donne. Vi era una logica precisa nei movimenti, una compattezza nella formazione, l'attacco arrivava rapido come il vento e re­ pentino come il fulmine e dovunque essi passavano di­ struggevano le statue di divinità e buddha, stracciavano le vecchie cronache, riducevano in cenere aule, pagode e ville. Persino nelle ceneri era possibile vedere ancora di­ vampare la smania di calpestare senza pietà ogni traccia di fede nei templi e di autorità nelle residenze civili. Era una guerra all'interno della guerra. La forza dei nuovi venuti, sgorgati dal fondo delle radici che avevano dato vita ai disordini di quegli anni, dava nuovo vigore alla follia della gente già abituata alle battaglie. Nessuno sa­ peva quale fosse la loro vera natura, ma questi che sem­ bravano cento, mille uomini intenti a moltiplicare le loro razzie nella capitale e nei dintorni, di colpo si dileguava­ no e ne restava uno solo, che aveva le sembianze di un fiore nel vento, ma veniva temuto come un demone nelle notti di luna velata. Passò la breve era chiamata Onin e la successiva solo di nome fu Bunmei, ossia Civiltà, e forse perche anche la primavera era incapace di adattarsi a un mondo in sub­ buglio, i fiori di ciliegio sbocciarono tardi e caddero su­ bito e mentre ancora ne permaneva il ricordo la guerra sembrò conoscere una breve tregua e, seppure in ritar­ do, vecchi e giovani si radunarono al tempio Mibu per la celebrazione del nenbutsu. Era una consuetudine sorta nell'ultimo periodo che i bambini del villaggio salissero nell'aula principale del tempio ed eseguissero la danza della scimmia che chissà quando avevano imparato imi­ tando il dengaku. Un ragazzino col volto coperto da una

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maschera che riproduceva il muso di una scimmia, av­ volto in una veste di broccato d'oro su fondo rosso, reg­ gendo alto il gohei shintoista, eseguiva vari giochi acro­ batici, camminando sulle corde, arrampicandosi agile sui pali o volteggiando sulle ringhiere, saltando con i basto­ ni, sembra proprio la manifestazione terrena della divi­ nità del santuario di Hie, i benefici saranno innumerevo­ li, non possiamo perderei lo spettacolo, e a questa voce la gente accorreva da ogni parte tanto che ben presto si formò una piccola folla e almeno in quell 'angolo, in una primavera di breve durata sotto il tepore del sole, la pa­ ce che nasce dalla fede sembrava resistere intatta. Nella folla composta da uomini e donne, dove si con­ fondeva ogni differenza di rango, Daikuro di Yodo con l'inseparabile Hikoroku, interessati assai più al sake che al nenbutsu, tanto che ormai il loro viso era rosso come quello della scimmia sul palcoscenico, stavano schiamaz­ zando facendo eco alle voci dei ragazzini, cho ha sai sai, quando gli occhi attenti di Daikuro colsero qualcosa sul lato opposto. «Bell'esemplare». Sul prato che si trovava un po' di­ scosto dal grosso della folla era steso un tappeto scar­ latto sul quale sedeva una donna che aveva tutta l'aria di essere una dama di Corte e, anche se il volto era na­ scosto dal manto di seta bianca, appariva di straordina­ ria bellezza nel suo kimono decorato con paesaggi di montagna sfumati in lontananza. Accanto a lei, un uo­ mo che sembrava un guerriero, anch'egli con il volto nascosto da un ampio copricapo di paglia e poi sette o otto servitori, senza alcun dubbio si trattava di persone che per qualche loro motivo erano venute fin lì in inco­ gnito. «Hai ragione», annuì Hikoroku, e poi: «Proviamo a tirare via quel manto e a dare un'occhiata al viso?»

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«Aspetta, sta' calmo. La donna ha parecchi accompa­ gnatori». «Che ci importa, non è certo un problema. Guarda quanti ashigaru ci sono qui intorno. Nel caso di una rissa non ce la caveremo male». Mentre stava ancora parlando, la cerimonia finì, la gente cominciò a disperdersi e la donna si alzò per allon­ tanarsi scortata dai suoi compagni. Daik.uro fingendosi ubriaco avanzò incerto sulle gambe e mentre stava per incrociarla si protese barcollando verso di lei, ma subito qualcuno lo afferrò per le spalle: «Villano». D guerriero che gli aveva sbarrato la strada era incredibilmente forte e per un attimo Daik.uro vacillò sotto la stretta, ma subi­ to si riprese. «Samurai da quattro soldi, è la lite che cerchi? Non mi tiro indietro». Volutamente la voce era alta forse per richiamare l'at­ tenzione degli ashigaru che stazionavano lì intorno, in at­ tesa di una buona occasione, e che subito si fecero avan­ ti, mentre la parte opposta, servitori compresi, si mette­ va sulla difensiva, certo avversari da non sottovalutare, ma la giovane donna li trattenne e di colpo cominciò a correre. I suoi compagni la seguirono e abbandonando la sfida si allontanarono di corsa a loro volta, confon­ dendosi con la folla che si disperdeva all'intorno. «Scappate? Bastardi» cominciò a gridare Daik.uro che peraltro, ben consapevole della pericolosità del nemico, non pensò neppure di inseguirlo. Hik.oroku si avvicinò. «Ehi, sai chi è quella signora? Nella confusione il manto si è scostato e ho visto per un attimo il suo profi­ lo. Si tratta di. . .» Daik.uro non sembrò stupito: «È la giovane signora degli Yamana?» «L'hai vista anche tu?»

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«No, non ce l'ho fatta, ma poco fa osservandola da lontano mi era venuto il dubbio che fosse lei. Per questo ho scatenato la rissa. È lei di sicuro, vero?» «Sì. Sua Signoria Hatakeyama per sapere che fine ha fatto ha distribuito ovunque il suo ritratto. Ne ho uno anch'io, qui con me. Non c'è neppure bisogno di con­ frontarlo, è proprio quello della giovane signora>>. Daikuro riprese: «Hikoroku, non vorresti seguirne le tracce e scoprire dove si nasconde? Non posso farlo io perché mi conosce. Fammi questo favore. Ma sta' atten­ to, sono nemici troppo pericolosi per te. Bada a non far­ ti scoprire». «Bene». «Negli ultimi tempi l'ho cercata a lungo, nella capitale e nei dintorni, ma non ne ho trovato traccia. Solo al ci­ mitero di Toribeno sotto un vecchio albero ho scoperto un pugnale che qualcuno aveva lasciato cadere. Ho pre­ so qualche informazione in segreto e sembra che sia pro­ prio il suo. Ora lo porto sempre con me, ma non dirlo a nessuno». «Daikuro». «Dimmi». «Non è certo la ricompensa che ti interessa e neppure lo fai per fedeltà verso Sua Signoria Hatakeyama. Ti sei incapricciato della giovane signora?» «E se fosse così?» «Ah, perfetto. So bene cosa siano il furto e l'omicidio, ma non ho esperienza d'amore. Pure, visto che siamo della stessa razza e che l'amicizia impone dei doveri, cer­ cherò di esserti utile in questa tua folle scommessa d'amore e di far restare Sua Signoria con un palmo di naso». «Obbligato». «Sta' tranquillo». Allontanandosi in fretta, Hikoroku

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andò a urtare contro un ragazzino che stava avanzando sul lato della strada, ma senza badargli proseguì il suo c ammino. Passando accanto all'aula principale nel recinto del tempio Mibu il ragazzino si diresse verso la parte interna dove la luce della primavera scorreva invano ora che tut­ ta la gente se ne era andata, ma una voce alle sue spalle lo fermò. «Aspetta». Chissà quando era arrivato e da quale angolo nascosto aveva assistito alla scena, ma il guerriero appena appar­ so, non altri che Ninagawa Shinzaemon sotto false spo­ glie, aggiunse addolcendo la voce e l'atteggiamento: «Ragazzino, mi fai vedere ciò che hai nascosto nella scol­ latura del kimono?» «Nella scollatura?» «Poco fa, quando sei andato a sbattere contro quel ta­ le che sembrava un ashigaru, non gli hai rubato qualco­ sa?» n ragazzo non si scompose. «Ah, quello? Va bene che è un semplice ashigaru, ma speravo che avesse qualcosa addosso, invece guarda un po', aveva solo un ritratto». Shinzaemon osservò a lungo il disegno che gli era sta­ to consegnato e poi annuì. «Senti ragazzino, potresti la­ sciarmelo? Per qualche moneta». «Non è necessario. Se lo vuoi te lo lascio per niente». «Se non hai bisogno di soldi, perché hai commesso un furto?» n ragazzino sghignazzò: «Furto? Neanche per idea. Quella è arte». >. All'aprirsi della porta si precipitò dentro di corsa e per prima cosa buttò giù una ciotola di sake. «All'accampamento si stanno preparando per una sorti­ ta». «Lasciali fare». «Ma sono venuto a chiamarti». «Una volta tanto lasciamo che della battaglia si occu­ pino solo i generali. Vedrai che moriranno tutti e solo al­ lora capiranno sulla propria pelle quanto sia importante il ruolo degli ashigaru. Forza, bevi». Hikoroku incontrò lo sguardo di Sode che gli stava versando da bere e sul volto di entrambi si dipinse la sorpresa che tuttavia non si trasformò in parole. Daiku­ ro, senza accorgersene, diede uno strattone alle gambe che l'altro teneva incrociate. «Ma invece della battaglia, parliamo di quell'altra faccenda. Cosa è successo?» . «Che diavolo dici?» «Che la tua giovane signora è scomparsa nel villaggio di Furuichi>>. Daikuro poggiò di colpo la ciotola e incrociò le brac­ cia sul petto. «Ma certo, certo che deve essere così. Sfido io che non riuscivo a trovarla per quanto la cercassi. Non avrei mai immaginato tanto. E allora, quelli che erano con lei al tempio erano uomini di Furuichi, travestiti da guerrie­ ri». E al suo fianco Hikoroku come per incoraggiarlo: «Allora, rinuncerai alla giovane signora a questo punto». «Non dire idiozie. Mi interessa ancora di più ora che so che è fuggita a Furuichi. È la prima volta che percepi­ sco con tutto me stesso cosa sia un sentimento profon­ do. Salverò la giovane signora. Non la lascerò ad altri, siano essi gli Hatakeyama o gli uomini di Furuichi. Ma se gli avversari sono quelli di Furuichi allora è una cosa seria, ben diversa da un lavoretto di tutto riposo come l'incursione nel magazzino di un aristocratico. Possono far paura a un ashigaru questi nemici segreti? No, sono avversari degni di considerazione, una volta che li hai di fronte come nemici. È il momento di giocarci tutto. An­ diamo». «E dove?» «Non hai detto che sei venuto a chiamarmi per una sortita all'alba?» «Sì, parteciperai alla battaglia allora?»

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. «ll prossimo incontro?» «Incontro o scontro che sia, non metterò più piede in questa casa». , e si allontanò di corsa senza nep­ pure voltarsi indietro. Alle sue spalle, Sode gridò minac­ ciosa: «Maledetto ladro, non la passerai liscia, sta' sicu­ ro». Daikuro e Hikoroku si affrettarono lungo la via avvol­ ti dal vento notturno che soffiava dalla riva del fiume. «Daikuro, quella donna è stata la tua amante?»

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«Un tempo. Oggi niente ci lega». «Ma io quella l'ho incontrata alla residenza del kanpakU>>. «Cosa dici?» «Credo che in questo periodo Sua Signoria Toyohara la frequenti parecchio. Anche l'altro giorno, quando si è parlato dell'assalto al magazzino era là con lui». «Capisco». «Non basta dire capisco. Quella ha gridato che non te la farà passare liscia. Se ci tradisce e parla di noi con Sua Signoria ... » «E anche se fosse che ci importa? Un nobile da quat­ tro soldi e una puttana, ecco chi sono. Le loro ruffianate valgono solo per i loro pari». Anche se le parole erano grosse era evidente che Daikuro pensava ad altro, mentre senza rendersene con­ to alzava gli occhi verso il cielo dove la luna era circon­ data da un pallido alone.

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Venire fra gli animali per insegnare, è ciò che ho fatto. Ciò che si può fare dipende da dove si è, dove si è dipende da ciò che si può fare. Venuti al mondo noi dimentichiamo la via che abbiamo percorso. Nessuno sa quale fosse il mio nome da monaco.

Ikkyii mostrò il suo poema e disse ridendo: «Ieri a ca­ sa di un tale ho visto nella stalla un bel bue. Allora ho scritto su un pezzo di carta questo poema e l'ho attacca­ to alle coma dell'animale. Questa mattina sono venuto a sapere che durante la notte il bue è morto».

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Dopo essere stato a lungo lontano dalla capitale, IkkyU simile al vento era tornato e ora in una stanza del­ lo Shiion'an, dove risiedeva temporaneamente, il suo ospite Ninagawa Shinzaemon trattenne un sorriso. «In­ somma il maestro vuole dire che il bue morto era un monaco zen?» «Ciò che intendo dire è che tutti gli esseri, senza diffe­ renza alcuna, si identificano in me. Potresti pensare che questo stesso io che ieri notte è morto all'improvviso, stamane ha riacquistato una qualche parvenza di giovi­ nezza ed è ritornato vivo e vegeto in questo mondo». «Se il bue in un'esistenza precedente era un monaco allora il maestro senza dubbio sarà stato un bodhisattva. A quanto pare nel corso della sua esistenza può passare da questo mondo all'altro». «Oh no, questo discorso meraviglioso riservalo alle fa­ miglie benefattrici del tempio per spillare qualche magra donazione. Non sono affatto andato nell ' aldilà. Ho solo fatto il giro dei santuari della regione di Ise, qui su que­ sta terra>>. «In questo mondo in subbuglio, la provincia e la capi­ tale non saranno poi tanto diverse». «In un mondo di disordini ogni posto può essere la capitale, se solo ti ci abitui. Nella regione che ho attra­ versato è arrivato il fuoco della battaglia, ma la gente stava abbastanza bene se solo riusciva a sopravvivere. A questo proposito, ora che sono tornato alla capitale ho scoperto qualcosa di strano». «Qualcosa di strano?» «Guarda>>. Prese due fascicoli che aveva accanto a sé e li mostrò all'altro. >. «ll fatto stesso che te ne sia accorto, ti dà almeno qualche vantaggio». «Chiedo scusa». «Se ci pensi bene, fra i condottieri della famiglia Mi­ namoto, l'ultimo degno di tale rango è stato Sua Signo­ ria Tojiin Takauji4 . Lo si può ritenere un grande con-

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dottiero proprio perché è stato in grado di riunire tutti i Minamoto sotto una sola bandiera. n tuo rango è la tua forza. E il rango veniva determinato dall'albero genealo­ gico. In altre parole, Nitta Y oshisada che era un ramo collaterale della famiglia Minamoto non avrebbe mai po­ tuto competere con Takauji che era del ramo principale. Stando così le cose, anche l'imperatore Godaigo non te­ neva in gran conto Yoshisada, che pure era suo alleato, e rispettava invece T akauji, che pure era il nemico. Certo l'imperatore non era uno stolto ma, per via delle circo­ stanze, coloro che seguirono il suo carro erano solo bi­ folchi di montagna, come Nawa e Kusunoki, e chissà quanto avrà turbato l'augusta mente il pensiero che si era giunti a considerare nemici proprio i discendenti dei Minamoto. L'imperatore e Takauji, che all'apparenza sembravano ostili l'uno all'altro, in realtà erano grandi amici come pochi ne esistono, renditene conto. n pas­ saggio dall'era Kenmu all'era Engen quante inutili batta­ glie ha portato ! Eppure tutte le fàmiglie legate al clan dei Minamoto sono accorse alla guerra proprio perché a quell'epoca la loro forza era al culmine. Tuttavia, dopo la scomparsa di Sua Signoria Tojiin, la decadenza dei Minamoto fu immediata. Si impose la raffinata cultura del Signore di Kitayama Yoshimitsu\ ispirata ai genti­ luomini di Corte. Lo shogun è discendente diretto dei Minamoto, ma solo di nome e non sembra in grado di rivestire il rango di condottiero dell'aristocrazia guerrie­ ra. Senza dubbio la capitale è bellissima in primavera. Lo shogun ne è stato ammaliato. A loro volta i guerrieri delle province che vantano un lignaggio solo di nome non assomigliano più a quelli di un tempo, almeno per ciò che riguarda la loro forza. Nei disordini di questo periodo poche sono le famiglie che emergono, assai più numerose quelle che vanno in rovina. È un'ottima occa1 05

sione. D meccanismo messo in moto dalle grandi fami­ glie si è distrutto con le proprie mani spremendo la for­ za dei clan della provincia>>. «Concordo con la vostra opinione». «Nel mondo di oggi, chi detiene la forza è la folla de­ gli ashigaru che stanno a un livello più basso dei guerrie­ ri. Ma tutta questa energia è ancora informe e non cono­ sce la via per consolidarsi e unificarsi. Eppure, se valu­ tiamo il potere dei singoli, quanti fra i guerrieri di oggi sono in grado di contrastare gli ashigaru? La capitale non può resistere alla provincia. Cosa ne dici, Shinza? Ti sembra davvero impensabile che tu possa essere sconfit­ to in un duello con gli ashigaru?» «Oh, insomma, è pur vero che sono una semplice guardia di palazzo e non amo i combattimenti inutili, ma uno o due ashigaru .. » «Sciocco, ecco che diventi arrogante. È il difetto dei guerrieri questo. Certo, se si trattasse di uno o due ashi­ garu avresti ragione. Ma un ashigaru non è mai solo. Se ti circondano cosa credi di poter fare? È una scelta co­ moda per te quella di non fare affidamento sul valore militare per trascorrere pigramente le lunghe giornate di primavera dedicandoti alla poesia giapponese, nelle vesti del maestro di renga Chiun». «Le vostre parole mi fanno vergognare». «Non mi diverto affatto a rimproverarti. Oggi è pro­ prio l'ultimo giorno del mese. Per ricordare la primavera che se ne sta andando cosa c'è di più adatto che una cio­ tola di sake, non come lo si beve nelle notti d'autunno, bensì ora, in pieno giorno?» Batté le mani e un giovane monaco servì il sake. Mentre si scambiavano le ciotole in tutta tranquillità, il tempo passava lento e il sole ancora splendeva alto all'orizzonte. «L'arte della poesia la possono coltivare anche i sol.

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datacci dell'est, ma gli aristocratici impoveriti capostipiti delle più illustri scuole non ricavano alcun profitto dal comporre poesie. Allora hanno pensato di dare nuovo lustro alla propria posizione di detentori della tradizione daborando improbabili segreti trasmessi dagli antenati per generazioni, laddove la pretesa di una conoscenza iniziatica del Kokinshii suona del tutto credibile. Oggi tale tendenza sembra ancor più vigorosa e le formalità sempre più rigide. Anche questo elemento è forse dovu­ to alla miseria di coloro che compongono poesie. Guar­ da per esempio quello che succede negli ultimi tempi: pensi che qud pazzo di nome Sogi riuscirà a farsi dare da To no Tsuneyori il pezzo di carta che attesta il fatto di aver ricevuto gli insegnamenti segreti 6 ? n certificato della trasmissione segreta trasformato in un affare, per ogni singola arte, non sarebbe una buona idea? Che ne dici, Shinza? Visto che fai parte della categoria dei mae­ stri di renga, pensi di avere l'abilità necessaria per mette­ re in vendita un compendio della tua arte segreta?» «Temo di non possedere un simile talento». «Ti mostri così modesto solo perché ti occupi di lette­ ratura? Anche in un mondo in subbuglio come il nostro, un'arte che si può vendere si vende. Per esempio, il saru­ gaku no no di Konparu Zenchiku 7 , che è passato a mi­ glior vita lo scorso anno, oppure l'arte dd tè di Juko8 , che è stato mio discepolo, sono diventati il cibo preferi­ to dello shogun, il passatempo dei guerrieri, la grande moda dei nostri giorni. Lo shogun, per quanto sia un mi­ litare che si traveste da gentiluomo di Corte, non è da sottovalutare. Non c'è dubbio che proprio in quella di­ rezione si trovi il mercato ideale per la vendita della pro­ pria arte». Shinzaemon, sotto la spinta del sake, non ebbe riser­ ve: «Eppure, i monaci cosa possono vendere? Non c'è

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gran profitto nello spiegare la legge agli angoli delle stra­ de. Più che la via del Buddha conta la via del mondo. n vero motivo per cui lo zen è tanto in voga non sta forse nel fatto che le Cinque Montagne9 puntano tutto su una cultura e una filosofia indirizzata verso il nostro mondo? Ma questa partita la giocano i pesci grossi, quelli che di­ vorano le navi, non i pesciolini piccoli, come quelli degli almanacchi di Ise di cui si parlava poco fa. Mi riferisco per esempio alla presenza di Muso Soseki al Tojiin, op­ pure a quella di Shun' oku Myoha a Kitayama» 10 • «E avresti la pretesa di spiegare a me come si fanno gli affari? lo Ikkyii amo cibarmi di donne e di sake, ma mi turo il naso davanti alle scommesse del mondo. Se i tempi sono corrotti, lasciamo che lo siano. n riso delle elemosine è sufficiente a sfamarci. L'attuale shogun Sua Signoria Yoshimasa è un uomo di tale virtù che non ha bisogno dei miei consigli. Benché sia lo shiigun è in pra­ tica un ostaggio nelle mani dell'armata orientale e affida gli affari del mondo alla sua alcova, senza peraltro darsi pensiero delle sue donne. Del tutto indifferente alla guerra passa il suo tempo immerso nelle arti più raffina­ te. Temerario o imbecille che sia, questo pazzo mi piace. Come se non bastasse, corre voce che Sua Signoria Yo­ shimasa, insoddisfatto della sua residenza nel quartiere di Muromachi, abbia interpellato gli astrologi sul terre­ no di Higashiyama e sembra che abbia intenzione di da­ re il via a grandi lavori. Anche tu ne hai avuto notizia?» «Stando così le cose, si direbbe che la famiglia dell'at­ tuale shogun, ispirandosi a Sua Signoria Yoshimitsu, in­ tenda costruire una residenza in collina che non abbia nulla da invidiare al suo Padiglione d'oro». «Uhm. n Padiglione d'oro ha messo insieme lo stile giapponese e quello cinese, sembra un padiglione bud­ dhista ma è anche una villa privata e il secondo dei suoi

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tre piani è stato creato come punto di intrattenimento. Se Sua Signoria Yoshimasa vuole a sua volta lasciare spazio ai passatempi di moda oggi, per fortuna non mancano artisti attorno a lui: oltre che sulla cerimonia del tè di Juko, può contare sull'incenso e le ceramiche di Shino Munenobu, sui giardini di Soami 1 1 che eccelle in molte arti e se raduna la quintessenza del buon gusto e la sfrutta al massimo, potrà certo venire fuori qualcosa di eccezionale. Mentre la città e i suoi dintorni sono ri­ dotti in cenere, erigere un monumento che lasci alle ge­ nerazioni future il ricordo dei passatempi della nostra capitale non è forse una notizia che fa clamore? La pro­ vincia non riuscirà mai a battere la capitale». In quel momento il cielo fino ad allora sereno si annu­ volò all 'improvviso e un forte vento cominciò a soffiare. «Oh, avevo dimenticato che siamo in un'epoca di disor­ dini. Anche il cielo è impazzito?» Dalla veranda Ikkyii si sporse a scrutare con lo sguardo l'aspetto delle nuvole. «Cosa può significare questa oscurità in pieno giorno? Di colpo l'aria si è fatta gelida. In questo ultimo giorno del mese il buio non ha voluto aspettare la notte. C'è qualcosa di insolito. Ma certo, che i buoi muoiano e che i demoni escano allo scoperto». Voltandosi di colpo ver­ so Shinzaemon: «A proposito, Shinza, mi dicono che hai incontrato un demone?» «Vi hanno riferito sciocchezze». >. «L'ho detto». «Così potrò far capire a quell'essere senza cuore di Daikuro quanto sia forte il mio rancore». «Cosa stai dicendo?» «Nulla, un libertino come Sua Signoria potrà mai ca­ pire i sentimenti di una donna?» «Sode. Da quando si è deciso che anche tu parteci­ passi alla congiura per assalire il magazzino, i tuoi senti­ menti sembrano più intensi». E mentre i presenti in piena baldoria facevano girare le ciotole di sake: «Sode, non ci canteresti qualcosa?» e la donna cominciò a cantare: «Questo mondo è simile a un fiore che galleggia sull'acqua ... Da quando ci incon­ triamo, la fama di noi amanti scorre sulle onde delle chiacchiere, ma quale felicità giacere assieme, senza ba­ dare a quel fiume di parole. Quando arriva l'alba, nella primavera che passa, in ricordo della primavera faccia­ mo un grande falò di questo amore che arde ... »

Trascorsa la notte, la mattina dell'ultimo giorno del mese passò tranquilla . Verso mezzogiorno, sotto il cielo che splendeva sereno, sebbene dall'interno della resi­ denza del kanpaku Ichijo non provenisse nessun rumo­ re, segnali inquietanti furono portati dal vento e filtraro­ no attraverso il fruscio delle foglie degli alberi, mentre indicazioni misteriose su qualcosa di grave che stava succedendo alla biblioteca dei Fiori di Pesco si materia­ lizzarono simili a una fila di lombrichi che si disperde in

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tutte le direzioni. In quel momento un gruppo di perso­ ne - più di cento - si mosse correndo in disordine verso l'ingresso della residenza, ognuno armato di tutto punto, sciabole e alabarde rilucenti, e Daikuro di Yodo, che avanzava alla testa del suo manipolo di ashigaru pronti a tutto, più minaccioso che mai urlò a pieni polmoni: «Quell'idiota del kanpaku padrone di questa casa ha sempre insultato gli ashigaru, definendoli banditi che agiscono in pieno giorno. In effetti, non c'è bisogno di aspettare la notte dell'ultimo del mese e approfittare del buio. Non alla luce della luna, ma in pieno giorno senza alcun timore siamo venuti a farvi visita, passando dall 'in­ gresso principale. Faremo nostro tutto l'oro che si trova nel magazzino. I beni degli aristocratici non appartengo­ no agli aristocratici. In origine era tutta roba nostra. Sia­ mo venuti a riprenderei ciò che i kanpaku generazione dopo generazione ci hanno rubato. Tutti coloro che ci daranno fastidio, comprese le ultime ruote del carro, i nobili di quinto o sesto rango, verranno passati a fil di spada. Non tentate di nascondere neanche un granello di polvere. n nostro saluto, briganti quali siamo, sarà un grande falò nel cielo della capitale». In risposta alla sua voce, le prime linee avanzarono verso l'ingresso sprangato. «Sfondate la porta>>. All'interno della residenza, nel bel mezzo dell'assalto, mentre tutti colti di sorpresa incerti se fuggire o meno si agitavano gridando, Toyohara no Sueaki, i lineamenti contratti dalla disperazione, correva all'intorno impar­ tendo ordini. «Non abbiate timore dei banditi. Arrampi­ catevi sugli alberi, salite sui tetti, atterriteli con le frecce. Bloccate le mura, proteggete le porte. Io stesso con le mie mani difenderò il tesoro». Proprio in quel momento la porta cedette e gli assali-

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tori si precipitarono all'interno. Sueaki, vedendo l'impos­ sibilità di resistere, pur riluttante ad abbandonare il ma­ gazzino ormai fuori dalla sua portata, raccolse in fretta al­ cuni oggetti, li buttò in un sacco che si caricò sulle spalle e, deciso a salvare almeno la propria vita, spinse via con un calcio Sode che si aggrappava a lui e prese a correre verso l'ingresso posteriore, quando all 'improvviso un fra­ gore che si avvicinava facendo vibrare il suolo come il rimbombo di un tuono lontano lo avvertì che altri nemici - non capiva di chi si trattasse - si stavano avvicinando anche da quella parte e perdendosi d'animo, lui che per nascita era in fondo solo un nobile di basso rango, lasciò cadere il sacco e si immobilizzò incerto sulle gambe. Quella stessa mattina nei dintorni della residenza pic­ coli gruppi di tre, cinque, dieci persone di diverso aspet­ to, guerrieri e mercanti, senza mostrare di essere assieme ma senza neppure tenersi a distanza, alcuni con passo spedito, altri più lenti, si aggiravano qua e là, dando l'impressione di non avere uno scopo particolare, ma dopo poco, quando i raggi del sole si diressero verso il mezzogiorno, quella folla sembrò percorsa da un'im­ provvisa agitazione e per chissà quale segnale convenuto i più vicini si scambiarono un cenno di intesa, quelli lon­ tani agitarono la mano e tutti, spinti da un unico slancio e con il respiro serrato, si mossero in una stessa direzio­ ne. Uno di essi si affrettò verso il grande albero di cilie­ gio che sorgeva accanto alla via, proprio il posto dove Ninagawa Shinzaemon aveva avuto la ventura di incon­ trare un demone. «Capo». Al riparo dell'albero, Koma era in attesa, scortata da Danjo di Furuichi che aveva al fianco la grande sciabola minacciosa.

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«A che punto siamo?» «Gli ashigaru dell'armata orientale alle prime luci del­ l' alba, mentre i corvi gracchiavano, hanno cominciato a fare baccano, ma ora forse perché hanno sistemato ogni cosa si sono mossi e sembra si stiano dirigendo verso la Residenza dei Fiori di Pesco per dare l'assalto alla porta principale. Fra poco comincerà lo scontro». «Uhm. Le nostre spie mi hanno informato di tutti i movimenti, all'interno e all'esterno della residenza, fin dalla notte scorsa. È il momento. Chiama a raccolta gli uomini di Furuichi che sono lungo la via». Senza bisogno di attendere il suo ordine, più di cin­ quecento uomini arrivarono di corsa da tutte le direzioni pronti alla battaglia, ognuno impugnando un'arma spade, pugnali, bastoni - e come una sola forza si dispo­ sero per l'attacco. Koma facendosi avanti ordinò: «Co­ me vi ho detto poco fa, con l'assalto alla Residenza dei Fiori di Pesco la gente di Furuichi mette in gioco l'onore degli antenati. Questo magazzino è qualcosa di speciale. Se fosse come gli altri basterebbe prendere di mira l'oro. Ma non è il caso di cercarlo qui. Si racconta che le anti­ che cronache di cui il magazzino è pieno siano servite a tessere la storia del nostro paese. Ma in fondo cosa so­ no? Un mucchio di carta straccia che generazioni e ge­ nerazioni di nobili hanno scribacchiato. Chissà quanti sono coloro che o per stupidità, senza rendersene conto, o per calcolo, in malafede, hanno detto che era vero ciò che era falso e hanno sostituito la verità con l'errore. Ri­ percorrendo i segni che pennelli compiacenti hanno tracciato si cercano a caso le fonti del paese, si decide la genealogia delle casate, si piantano i puntelli della sto­ ria. È qui che ha inizio l'inganno. Laddove scorre il vele­ no delle bugie lì si fa offesa agli antenati della gente di Furuichi, e si insudicia il sangue che scorre nelle loro ve-

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ne. Guardate quanto è profondo il fossato che separa la capitale da Fm;uichi. In quel mucchio di cartacce risiede un demone malvagio. Decidetelo. I testi segreti delle an­ tiche cronache devono essere distrutti. Gettate via i libri di storia. Se occorre scrivere la storia, lo si faccia da que­ sto momento. Non lasciate il magazzino nelle mani degli aristocratici, non !asciatelo neppure in quelle degli ashi­ garu. A ragion veduta, nessun altro al di fuori di noi ha il diritto di distruggerlo. Questa è l'occasione buona. Non !asciamocela sfuggire». Danjo continuò: