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Italian Pages 497 [520] Year 1997
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MASSIMO MILA
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Piccola Biblioteca Einaudi
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A d attrarr e Massimo Mila ver,s o Gui,l laume Dufay ·( 1400 C'a. 1-4 74), il musici,s,t·a franco -borgo gn one la cui arte fio rf in epoca tardo -,g otic,a, non è un inter e',S,se :a ntiquari.0 La curiosita per Dufay dello studioso di Mo zart,, Br,ahms,, Verdi,, Strawinsky e Ma- · dern:a o.a sce da ·u na sens,i bilìtà :a f fin,e a qu ella c on c·u i pr,0 p rio Strawins,k y si imp ossessava dell:a musica d e,i secoli lontani. A Mila interessa la capacìtà di un compo sit or e, del Quattt'OC ento di entr,a r1e nel 1c ircuit10 della vita. 1c ivile, e cultur:al,e 1e, le ragioni della ,sua attual,i tà dopo la lung·h is,s ima e clis,s,i durata fino ,al1' 0ttocçnto. Artista di trans,i zi one ? artista modern 0? Alla luc e, di questi int1e,r r101g ativi Mila delin1e a la b1io1,g r,a fia di Duf ay, ne analiz:z a la produz.i1o ne, pro1fana, riflesso di una mondana vita di corte,, e la p roduz.i one, ,s:a cra, es,p ression e, di un:a religiosl.i tà non s0l.e nn e·m e,n t e · pontificale ma serenamente ispirata dalla bellezza, dalla compas., , s,1•0 ne e, d__' an•I_" a c,a r1ta . La pub,b licazione di questo inedito dà un contrìb u.t o f'o ndamentale alla saggistica europea che in divi,d ua nel Duf ay uno dei piu 1
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, . . . . d'' . ,g rancl1 mus1 c1st1 -_. _o,g m t e·m po. 1
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Di Massimo Mila (1910-1988), un 0 dei mas,simi m.u sicolo,g i del no stro tempo, Einaudi ha s,i n qui pu'b blicat,o: L} esperien.za mu,siicale e l'estetica,, Cronache musicali .I 955-I959, B,reve s·to1ia· della m ,u sica,, Maderna muiicista europeo, Le,t tu-ra della _· ona Sinfonia, Lettu,~a delle . - - ozze, Id i Figa,~o,, L arte d'i Verdi, C ompagno S,t rawinsky,, Lettura del Don Giovanni idi Mozart, LettUJ"a del Ffa,u to magico, Sc1,;tti di montagn,a ,1 Brahms e Wagn'er, Scritti civili, L )a1·te di Béla Bartok ~ . 1
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l·S BNI 88-06- '1 4672-6, 1
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19 . 7888 06 1 4672 6 1
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© 1997 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
Traduzione di Carlo Carena per il Tesl4mento e di Luigina Jl4orini per le Canzoni di Guillaume Dufay ISBN 88-06-14672-6
MASSIMO MILA
A cura di Simone Monge
Piccola Biblioteca Einaudi
Indice
p.
IX
xvm
Prefazione di Simone Monge Avvertenza
Guillaume Dufay 3
Introduzione Parte prima Vita, fortuna ed evoluzione stilistica
II
34 44
Vita n. Fortuna m. Produzione ed evoluzione stilistica
1.
Nota sulfaux-bourdon
,1
Parte seconda Canzoni e Mottetti 63
IV.
Canzoni
68 78 82
3.
84
4
86 89 92 97 99
'---'. 7. 8. 9.
1. 2.
102
10.
10::;
11.
Vergene bella, che di sol vestita, canzone Resvel/iés vous et /aites chie,e lye, ballata Adieu ces bons vins de Lannoys., rondeau Bon ;our, bon mois, bon an et bonne estraine, rondeau Ce ;our le doibt, aussi fait la saison, ballata La belle se siet au piet de la tour, ballata Se la /ace ay pale, ballata Donnés I' assault a la /vrt,esse, rondeau Mon chier amy, qu 'avés vous empensé, ballata ]e languis en piteux martire, ballata Resvelons nous, rondeau
VI
INDICE
Vostre bruit et vostre grant fame, rondeau 13. ]e donne a tous /es amoureux, rondeau 14. Par droit ;e puis bien complaindre et gemir, rondeau 15. Pour I' amour de ma doulce amye, rondeau 1 6. Frane cuer gentil, rondeau 1 7. J'atendray tant qu 'il vous playra, rondeau 18. Mon cuer me fait tous dis penser, rondeau ~ Lamentatio sanctae matris ecclesiae constantinopoli- tanae
p. 106 110 112 116 119 122 124 128
134
1 2.
V.
Mottetti
141 144 147 152 159 166
3 4. 5. 6.
170
7.
I.
2.
Apostolo glorioso Flosflorum Supremum est mortalibus bonum Nuper rosarum flores Fulgens iubar ecclesiae dei/ Puerpera, pura parens Magnanimae gentis laudes patiare, mi Berna/ Nexus amicitiae musa modulante Camena Ave regina coelorum (ms S. Pietro B. 80, ff. 25v-27)
Parte terza Messe e altre composizioni liturgiche 187
VI.
189 194 198 201 204 208
I.
2. 3. 4. 5. VII.
225 229 232
Antifone I.
v 111 . Magnificat Magnificat sexti toni 2. Magnificat octavi toni
215 218 224
Veni c,-eator spiritus Conditor alme side,um Vcxii/a regis prodeunt Audi, benigne conditor Ave maris stella
Alma redemptoris mater II 2. Ave regina coelorum (I e II)
209 212 214
Inni
I.
IX.
Frammenti di messe Gloria ad modum tubae 2. Alleluia «Veni sancte spiritus» 3- Kyrie «Lux et origo» l.
vn
INDICE
4. Kyrie di Cambrai 5. Sanctus papale « Ave verum corpus»
p. 236 238 244 251 262 282 300 322 335
X.
Messe I.
2. 3. 45.
Missa sine nomine Missa Caput Missa Se la /ace ay pale Missa L 'homme a,mé Missa Ave regina coelorum
Guillaume Dufay, musicista franco-borgognone Appendici
355 363
Testamento di Guglielmo Du Fay, 8 luglio 1474 Camoni
Indicazioni bibliografiche e discografiche
458 466 473
Manoscritti musicali Bibliografia Nota bibliografica 1997 Discografia Nota discografica 1997
487
Indice dei nomi e delle ope,-e
449
45 1
Prefazione
Vi sono tanti buoni motivi per leggere questo libro. Il primo è elementare: non esiste in lingua italiana altra monografia critica sullo stesso argomento. Il secondo, altrettanto elementare, è che il volume è opera di Massimo Mila, ovvero di uno - è d'obbligo ribadirlo all'imminente scadenza del centennio - fra i piu eminenti musicologi italiani del nostro secolo. Il terzo è che a scriverlo è stato non uno specialista di musica antiqua, denominazione che si porta appresso una certa aura di sacralità, ma un critico e storico della musica a tutto campo, desideroso di restit11ire l'opera di un compositore ''antico'' al grande fiume della musica viva, portatrice di valori perenni, non importa quando e come si siano espressi. Non v'è dubbio Mila fosse un uomo coraggioso. E la conferma di come questo coraggio si riversasse nella professione, lo specialista di Mozart, di Verdi, di Brahms, ce la dà affrontando l'insidioso terreno della polifonia quattrocentesca, affascinato dalla voce del suo artista piu insigne, Guillaume Dufay. L'interesse di Mila per la musica antica e in specie per quella medievale-rinascimentale è un capitolo finora incognito, incognito al punto da aver generato nel tempo il sospetto di un atteggiamento sottovalutativo. Nel complesso della sua vasta produzione, ce ne dànno testimonianza i primi capitoli della Breve storia della musica - ma li si tratta pur sempre di ineludibile dovere di trattazione - o sporadiche recensioni di libri - vengono subito alla mente quelle ai volumi, stimatissimi, di Nino Pirrotta, cui si collega anche un bell'articolo di terza pagina (Ipotesi sulla poli/o-
PREFAZIONE
X
nia del Trecento. La Musica di Dante)', dove si ragiona di una nozione di umanesimo musicalmente ''regressivo'' che per Mila ha del sorprendente. C'è poi l'attività di critico musicale su quotidiani e periodici. Anch'essa documenta un rapporto episodico, là dove però l'episodicità corrispondeva all'esigua presenza di polifonia antica nelle principali stagioni concertistiche che un recensore era tenuto normalmente a seguire. (Rilievo questo che si può declinare senza problemi al presente, non essendo la situazione sostanzialmente mutata, a dispetto di una crescente attenzione del pubblico verso questo repertorio, come sembra almeno indicare una cospicua produzione discografica di settore). Tuttavia non è certo la forzata discontinuità delle occasioni a indebolire l'interesse, che anzi, se ha modo di manifestarsi, può assumere il tono di una affermazione definitiva: > (, 20 settembre 1980). Questo libro resta comunque la piu compiuta testimonianza di una passione sotterranea, coltivata gelosamente, nell'intima consapevolezza questa musica continui a dialogare con il presente ed anzi lo illumini e lo alimenti in segreto. Il pensiero corre subito a Bruno Maderna. Il musicista veneziano, che come pochi sapeva passare con eleganza e agilità da un albero musicale all'altro, coltivava un sogno: riannodare le esperienze musicali dei contrappuntisti franco-fiamminghi a quelle dei Fe,ienkurse di Darmstadt (cosa che in quel contesto poi voleva dire anche ritrovare il senso della storia in un clima di radicalismo unidirezionale). Lo stesso ideale maderniano di continuità fra passato ed esperienze contemporanee animava la curiosità di Massimo Mila. L'idea, per alcuni balzana, di una monografia sul compositore franco-borgognone risale alla fine - non meno balzana - degli anni Sessanta ed è strettamente connessa all'attività di docente universitario, da Mila intrapresa nel novembre 1960. Il musicologo torinese sparti il pri1
Te1:tu pagina. 36 articoli di Massimo Mila, in ,,La Stampa>>, Torino 1985, pp. 159-63. M. MILA,
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XI
mo decennio di insegnamento fra i compositori già divenuti gli astri della sua personale costellazione: Mozart, Verdi, Beethoven, Brahms, con una sola puntata fra i moderni (Bart6k), cui era del resto rivolto in primis il lavoro quotidiano di critico musicale - a questo proposito si potrebbe rilevare una perfetta complementarità fra attività giornalistica, intesa come momento affidato all'analisi del presente e alla sensazione immediata, e attività universitaria, intesa invece come momento di riflessione sulla storia. Al teatro di Mozart Mila approdò dopo aver affrontato in piu corsi i principali lavori strumentali. Nel 1969-70 è la volta de Le nozze di Figaro, cui succede l'anno seguente il Don Giovanni, facendo supporre, per il corso a venire, il compimento di un'ampia riflessione sulla trilogia dapontiana. V'è da credere Mila ritenesse la prevedibilità un temibile nemico, se in quel 1971-72, glissando sul Cosi fan tutte, opera che gli avrebbe offerto il destro, fra l'altro, per confutare una diffusa sottovalutazione critica, tirò fuori dal cappello nientemenoché il nome di un celebrato quanto remoto contrappuntista del secolo xv. Nacquero cosi due corsi, incentrati grosso modo su produzione profana e produzione sacra. Entrambi si materializzarono poi con tempestività in succosissime dispense proprio alle soglie di una ricorrenza - il cinquecentesimo anniversario della morte - che accelerò a livello internazionale un processo di rinnovato interesse per l'opera di Guillaume Dufay. Da dette dispense deriva, con lievi aggiustamenti resi indispensabili dall'edizione congiunta dei due volumi, il testo che qui presentiamo. E il cerchio sembra chiudersi: trascorso ormai quasi un quarto di secolo, il Du/ay di Mila si riaffaccia al panorama editoriale italiano ancora in pressoché totale solitudine, proprio in questo 1997, che recenti ricerche hanno promosso a probabile seicentesimo anniversario della nascita. Il presupposto fondamentale del lavoro di Mila, e ciò che quasi sicuramente lo convinse a dar forma ad un'idea germinale, fu la conclusione di un'operazione editoriale di importanza storica. Dufay fu il primo compositore di polifonia mensurata di cui siano stati pubblicati gli opera omnia in edizione critica. L'immane impresa, avviata nel-
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l'immediato secondo dopoguerra, fu portata a termine da Heinrich Besseler nel 1966 in seno alla collana dell' American Institute of Musicology, prodiga in seguito di altri decisivi contributi dello stesso genere. Si può dire essa apri la strada alla rinascita tout court della musica medievale e rinascimentale, segnando non solo una ripresa vigorosa degli studi musicologici, ma anche la restituzione, a musiche in letargo da secoli, di una esistenza materiale nel suono, sia pure in contesti ad esse in precedenza estranei, quali le sale da concerto e gli studi di registrazione. Il compimento di questa edizione costitui dunque la condizione necessaria per una Gesamtansicht senza la quale il musicologo torinese - si può esser certi - mai si sarebbe imbarcato in un viaggio si periglioso. Altro riferimento imprescindibile nel lavoro di Mila fu l'opera dello studioso belga Charles van den Borren, il cui Gui/laume Dufay, apparso a Bruxelles nel 1925, divenne subito un classico della storiografia musicale. In precedenza la bibliografia dufayana poteva contare soltanto sull'antesignano fra gli studi monografici, il Wi/he/m du Fay (1885) di Franz Xaver Haberl, anch'egli musicologo illustre, solerte animatore del movimento ceciliano in Germania e promotore della famosa BJ.itio ratisbonensis. Se il compositore franco-borgognone, ad onta di una lunga e significativa permanenza in terra italica, mai ebbe prima d'allora l'onore di una monografia nella nostra lingua, qualche ragione ci dovrà pur essere. La pregiudiziale rinuncia a rico·noscere in un compositore di quel tempo una precisa identità artistica deve aver giocato un qualche ruolo. Come qualcosa devono aver contato i vari problemi che affliggono, e in qualche modo stimolano, la ricerca intorno a Dufay e ai maggiori suoi contemporanei. Il primo grande scoglio di un lavoro monografico su un autore di siffatta epoca è quello della ricostruzione biografica. Guillaume de Machaut e Guillaume Duf ay sono forse i primi importanti compositori di cui si abbia sufficiente informazione per delineare una biografia. Nondimeno, per quanta buona volontà si metta nell'ordinare i tasselli disponibili, le lacune che riguardano le loro rispettive esistenze sono spesso baratri profondi. Di fronte a tanta esiguità di notizie,
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non si poteva trascurare il documento piu eloquente che ci sia giunto sull'uomo Dufay, quel testamento redatto a pochi mesi dalla sua morte, in perfetta serenità d'animo, rara testimonianza nel panorama musicale quattrocentesco, che qui proponiamo in appendice nella sua prima traduzione integrale italiana. Il capitolo che Mila dedica in esordio alla vita del compositore è una paziente disamina indiziaria e un accurato raffronto fra le tesi piu autorevoli, ma senza la furia di trovare risposta a tutto e subito: l'importante è chi voglia proseguire la ricerca, sappia esattamente da dove cominciare. Il lettore esperto dei progressi della storiografia musicale noterà forse che su alcuni punti la comunità degli studiosi aveva già mutato indirizzo. Si dovrà dire allora senza indugio che nel ''fare storia'' di Mila ciò che conta è piu l'organicità della visione, che non la completezza dell'informazione. Altro problema è costituito dal corpus delle opere. Infinito è il balletto intorno ad alcune di esse, sospese fra ''disattribuzione'' probabile e attribuzione dubbia, con grave imbarazzo di chi voglia delineare una coerente evoluzione stilistica. Laddove manca la prova documentaria, definitiva, s'accanisce lo scandaglio dello stile, limitato peraltro nei suoi esiti dall'appartenenza di molti compositori ad una medesima koiné. E poi: le opere che conosciamo di questi autori sono davvero quanto essi desideravano fare conoscere di se stessi? A decidere quello che per noi è il corpus di opere di Dufay non furono forse piu i copisti, il gusto del tempo, la buona sorte, l'incuria degli uomini? C'è poi la necessità, etica oltreché pratica, accostando musiche non di rado inclini al cerebralismo e di sofisticata concezione intellettuale, di trovare una sufficiente chiarezza espositiva senza tradire la complessità delle cose. E qui Mila non ha davvero rivali, tale è la sua attitudine a spiegare agli altri ciò che prima passo passo si è chiarito in se stessi. Ogni termine tecnico, ogni procedimento compositivo, ogni piccolo dettaglio del gioco contrappuntistico viene illustrato nella sua potenziale ricchezza semantica, illuminato nel suo significato storico. L'ultimo tomo dell'edizione Besseler, quello dedicato alle Chansons, solleticò a tal punto la curiosità di Mila, da
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PREFAZIONE
suggerirgli una rotta avventurosa: negare l'inferiorità della produzione profana di Dufay rispetto a quella sacra, ribaltando cosi l'opinione, dominante fra i maggiori autori, che Mila stesso aveva dovuto accogliere, senza possibilità di verifica sul campo, nella sua Breve storia della musica. Il libro, assolti gli impegni, doverosi, di inquadramento sto. ,. . . . rico, s incamm1na cocciutamente per questa via, attraverso una scelta ''ragionata'' di composizioni profane, che meglio non potrebbe illustrare l'estrema varietà di intonazioni e di contenuti, pur nell'adesione sostanziale a schemi formali ricorrenti nella musica del tempo: dall'epitalamio Resvelliés vous, alla tipica lagna d'amante infelice di ]e languis en piteux martire, dal tono filosofeggiante di Mon chier amy, alla metafora bellicosa d'argomento erotico di Donnés l' assault, dal racconto coinvolgente di La belle se siet au piet de la tour, tragedia senza dramma, calata nell'apparente impassibilità delle forme, alla serena compostezza di Vostre bruit, aliena ormai a qualsiasi suggestione trobadorica; dalla malinconia dei risvolti autobiografici di Adieu ces bons vins de Lannoys, al garbo manierato di un rondeau di capodanno quale Bon ;our, bon mais. E lo spettro tematico potrà ampliarsi ulteriormente scorrendo i testi delle Cantiones /rancae, di cui si dà in appendice la prima traduzione integrale in lingua italiana. Su tutti Mila fa svettare due lavori: Mon cuer me fait tous dis penser, ''aereo edificio contrappuntistico'', di cui loda la straordinaria continuità di discorso, preannunciante durchkomponiertes Lied e unendliche Melodie wagneriana, e Vergene bella, la stanza del Petrarca, oggetto di una lettura-capolavoro ''verso su verso'', ''frase su frase'', esempio paradigmatico di come Mila sappia indagare il minimo dettaglio poetico e musicale - > - senza mai perdere di vista il senso complessivo e profondo dell'opera. Una disamina tanto appassionata del repertorio profano non basta tuttavia a mutare i valori in campo. Mila dunque sente di dover puntualizzare, in una nota introduttiva al secondo corso, quanto segue: >'. Alla luce di questo principio Dufay diventa figura emblematica del2
J. HUIZJNGA, L'autunno de/Medioevo, Sansoni, Firenze 1953, p. 391. 'M. MILA, Teriu pagina cit., p. 166.
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l'impossibilità di demarcare nettamente il confine fra Medioevo e Rinascimento. In questo contesto la mistura di arcaismo e modernità, di dorati fondali e di ardite prospettive, è indagata da Mila minuziosamente con inflessibile rigore analitico. Non altrimenti essa potrebbe palesarsi, tanto è calata nelle pieghe piu riposte della scrittura musicale. Sono del resto gli stessi procedimenti compositivi del tempo a mostrare questa ambiguità. Valga per tutti la tanto discussa tecnica del faux-bourdon, in apparenza tipico elemento medievale per il suo carattere ''additivo'' di linea artatamente aggrappata ad una voce superiore, dall'altro, se soltanto si ragiona in termini armonici anziché contrappuntistici, procedimento che risponde al tentativo di creare una sonorità piu ricca e piu piena. Curiosità antiquaria o erudita, infatuazione passeggera, fuga nel passato remoto della musica, provocatorio sconfinamento in territori che il naturale crescere delle discipline musicologiche ha reso appannaggio esclusivo di studiosi super-specializzati? Niente di tutto ciò. Per Mila Dufay è, al di là di periodizzazioni talora anguste e imbarazzanti, uno dei piu grandi compositori (forse il primo grande compositore) che la storia della musica abbia conosciuto: continuare a tacere una simile irrefutabile certezza non era cosa che si confacesse ad un uomo della sua onestà intellettuale. SIMONE MONGE
Vigone, agosto 1997.
Avvertenza
Le traduzioni dagli originali nelle lingue francese, inglese e tedesco, quando poste fuori parentesi quadra, sono sempre dell'Autore. Le traduzioni dei passi di Martin Le Frane (cap. 1, pp. 2627, nota 12), Guillaume Crétin (cap. II, pp. 35-36, nota 2), Eloy d'Amerval (cap. II, pp. 36-37, nota 3) e della canzone L'homme a,mé (cap. x, p. 302, note 23 e 24) sono di Luigina Morini. Tutte le restanti traduzioni sono del curatore. Per le parti del testamento citate in lingua latina si rinvia implicitamente alla traduzione integrale di Carlo Carena. Di ogni brano è stato inciuso, anche là dove non figurasse nel lavoro originale di Mila, il testo poetico o liturgico. Per tutti i brani - Canzoni comprese - l'edizione di riferimento è quella del Besseler (si veda la Bibliografia). Lezioni congetturali o correzioni suggerite e discusse da Mila sono poste nel testo poetico o liturgico fra parentesi quadre. I titoli di paragrafo del capitolo IV sono provvisti di un numero fra parentesi quadre, corrispondente alla numerazione progressiva dell'edizione Besseler, onde permettere un piu comodo reperimento della traduzione in appendice. Fa eccezione la Lamentatio sanctae matris ecclesiae constantinopolitanae, la cui traduzione è in nota. Nei capitoli che vanno dal v al VII le traduzioni sono poste sempre in nota. Per la traduzione del Magnificat nel capitolo vm si veda il passo di Luca, 1, 46-55. Per il testo e la traduzione del Gloria ad modum tubae al capitolo IX si veda p. 255, nota 5. Originale latino e traduzione dell'ordinarium missae al capitolo x si trovano senza soluzione di continuità in nota. Le fonti manoscritte disponibili in Italia sono state corrette e integrate sulla base delle norme contenute in N. Bridgman, Ma-
nuscripts de Musique Polyphonique xV' et XVI' siècles: Italie. Catalogue, Henle, Mi.inchen 1991. Per i restanti manoscritti si sono mantenuti i riferimenti proposti dall'edizione Besseler. Un elenco completo dei manoscritti citati figura alle pp. 449-50.
AVVERTENZA
XIX
Tutte le indicazioni di battute musicali, ove non diversamente indicato, si rifanno all'edizione Besseler. Le note del curatore sono tra parentesi quadre.
Il curatore è grato alle numerose persone che, offrendo il loro bagaglio di conoscenze e le loro specifiche competenze, lo hanno aiutato nello svolgimento del suo lavoro. Fra esse desidera ringraziare: Ferruccio Civra, David Fallows, Mario Mordiglia, Kees Otten, Ferruccio Tammaro, Mauro Uberti. Particolare gratitudine va a Giorgio Pestelli, per i preziosi suggerimenti, e ad Anna Mila Giubertoru, che ha voluto questo volume.
GUILLAUME DUFAY
Introduzione
L'arte di Guillaume Dufay si colloca in un momento decisivo per lo sviluppo della polifonia. Questa pratica del canto a piu voci, con diverso contenuto musicale l'una dal1' altra, era nata sulla fine del primo millennio cristiano: piu esattamente risale all'anno 870 il primo esempio conosciuto di organum, cioè di rozzo canto a due voci parallele, mantenute entro l'ambito di una quinta giusta, tramandatoci nel trattato Musica disciplina, un tempo attribuito al monaco Hucbald di Saint-Amand. Può darsi che tale pratica fosse nata casualmente da un errore di esecuzione corale all'unisono del canto gregoriano, errore poi consapevolmente ripetuto e coltivato e sviluppato ad arte (è noto come possa accadere facilmente, entro un coro, che qualcuno, per la differenza naturale di registro delle voci, canti alla quinta credendo di cantare all'unisono o all'ottava). Organum, diafonia, discanto e conductus sono le forme entro cui, per due secoli, si svolgono i primi rozzi tentativi di fare marciare insieme due o tre voci melodiche distinte: nel discanto la massima distanza consentita tra le due giunge fino all'ottava e, particolare di somma importanza per gli sviluppi futuri di quest'arte, le voci possono muovere anc!ie in senso contrario, anziché esclusivamente parallele. E facile comprendere quali possibilità artistiche siano racchiuse in simile concessione: essa significa il passaggio da una pratica puramente esecutiva di raddoppio meccanico d'una melodia alla quinta (o alla quarta), all'invenzione artisticamente calcolata d'una seconda voce che gode d'una certa libertà di movimenti. Un ulteriore e
4
INTRODUZIONE
decisivo passo in questo senso viene fatto con la pratica dell'organo melismatico, cioè di una composizione a due o tre voci, una delle quali inserisce ampi melismi (vocalizzi) sopra la melodia gregoriana del cantusfi1mus, eseguita (ossia, tenuta) in valori lunghi da un'altra voce (che per questo venne chiamata tenor). Si raggiungeva cosf un alto grado di indipendenza delle voci, svincolandole dalla pratica pedissequa e mortificante del canto nota contro nota (punctum contra punctum). Si tenga presente che il progresso della polifonia non consiste tanto nell'aumento del numero delle voci (anche se i fiamminghi giungeranno in questo campo ad eccessi sbalorditivi), ma nella armoniosa indipendenza, o piuttosto interdipendenza delle voci tra loro, siano esse soltanto due, o tre, o quattro o piu. Il progresso della polifonia sta nella scioltezza, nella disinvoltura e naturalezza di condotta delle parti, nella elasticità della loro articolazione, che consenta loro di svincolarsi dal magma compatto della marcia per voci parallele ed omoritmiche (nota contro nota). La meta da raggiungere, insomma, è quella di una polifonia dove ogni voce sia individuata, abbia una sua autonomia e funzione, e tuttavia l'insieme risulti unitario e gradevole all'orecchio. Altro punto da tenere ben fermo è questo: che la polifonia non nasce ''contro'' la vecchia pratica monodica del canto gregoriano, come potrebbe parere dalle esposizioni che spesso si fanno nelle storie della musica. La polifonia nasce come un perfezionamento, come un ingenuo tentativo di ornare, di rendere piu ricco il canto gregoriano, che viene sempre preso a base d'ogni organum o discanto o mottetto. Né la polifonia si propose mai di soppiantare il canto gregoriano (monodico, all'unisono), anche quando i due grandi maestri della scuola di Notre Dame, Léonin e Pérotin, a cavallo tra i secoli XII e x 111, procurarono col Magnus liber organi il ciclo completo della liturgia in stile polifonico a tre voci (Pérotin anche a quattro). Si può ritenere con certezza che il canto a piu voci era riservato alle grandi feste di Natale e Pasqua, o a solennità particolari d'una chiesa, come l'insediamento d'un vescovo, mentre il canto monodico del gregoriano restava in uso nel resto dell'anno. Ciò nonostante la Chiesa vide sempre con sospetto le in-
INTRODUZIONE
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novazioni musicali e combatté i primi passi del contrappuntocon frequenti disposizioni ed interventi, che culminarono nell'enciclica di Giovanni XXII, papa dal 1316 al 1334. Può darsi sia questo uno dei motivi per cui l'Italia, piu facilmente soggetta al controllo pontificio, rimase estranea alla elaborazione delle prime forme polifoniche, che ebbe invece in Francia, e precisamente nella diocesi di Parigi, il suo focolare principale. L'esilio della cattedra pontificia ad Avignone, in seguito all'episodio dello schiaffo di Anagni (1303), pose fine alla opposizione preconcetta del papato alle innovazioni musicali (anche se Giovanni XXII appartiene già ai papi avignonesi, anzi, era vescovo di Avignone), e nel 13 77 il ritorno della corte papale a Roma sarà un avvenimento d'importanza incalcolabile per la storia della musica: col papa ritornava infatti anche la cappella pontificia, ormai tutta imbottita di cantori transalpini, francesi e fiamminghi, ed avveniva pertanto in grande, e ad alto livello, quell'incontro tra le due civiltà musicali, quella italiana e quella franco-fiamminga, che fino allora aveva avuto luogo soltanto occasionalmente, per casi individuali. Simbolo di questa, non già unificazione, ma confluenza della musica franco-fiamminga in quella italiana sarà ben presto l'importante musicista Johannes Ciconia, nato a Liegi nella prima metà del Trecento e morto a Padova nel 1411. Contrariamente a quanto avverrà nel Settecento tra la musica italiana e quella francese, e nell'Ottocento t~_la musica italiana e la tedesca, la differenza non generava ostilità, ma al contrario una vivissima curiosità reciproca. Gli stranieri gustavano l'innato senso melodico degli italiani, e questi (che nel Trecento avevano finalmente cominciato a sviluppare una loro timida polifonia, esclusivamente profana, nell'ars nova fiorentina) guardavano con ammirazione alla sapienza polifonica degli oltremontani. Da una simile confluenza nascerà, nel corso del Quattrocento, e culminerà nel Cinquecento, la perfezione della polifonia, e il nostro Dufay, che visse a lungo in Italia, può essere considerato uno degli artefici di questo processo storico. Ma alla solidarietà artistica franco-italiana (o fiammingo-italiana) va aggiunto un altro elemento di non
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INTRODUZIONE
minore importanza, che pur esso confluisce nell'arte di Dufay, sf ch'essa risulta alla fine una sintesi decisiva, un nodo storico nel quale passano tutte le correnti vitali della musica di quel tempo e se ne genera una nuova concezione dell'arte, tanto che di Dufay si potrebbe parlare, in un certo senso, senza esagerazione, come del primo musicista moderno. Quest'altro elemento che Dufay raccoglie ed elabora è l'influenza inglese, straripata sul continente, e precisamente in Francia, attraverso le interminabili guerre franco-inglesi, che portarono piu volte, durante il Trecento, ad occupazioni inglesi di territori della Francia settentrionale. Gli Inglesi avevano sviluppato anch'essi un11 loro polifonia, che, stranamente, fin dai piu antichi saggi conosciuti (come il canone Sumer is icumen in, risalente al secolo xm), si appoggiava largamente sugli intervalli di terza e lesta, evitati invece sul continente come dissonanze, E facile comprendere quale singolare carattere di modernità conferisca al cosiddetto >. Il clima storico dell'arte di Dufay è proprio questo, di transizione dal Medioevo all'Umanesimo, nella compresenza di elementi dell'uno e del1' altro gusto. Si potrebbe forse paragonare l'arte di Dufay a quella di certi pittori del primo Quattrocento, come Lorenzo Monaco, o Gentile da Fabriano, che già conoscevano i segreti della prospettiva e del volume, ma d'altra parte indulgevano ancora allo sfarzo fanciullesco del fondo d'oro, sul quale le figure si stampavano con una grazia li• neare ancora gotica. Il passaggio dal gotico all'umanesimo è il clima entro cui si sviluppa l'arte di Dufay, ma occorre tener presente che, per la musica almeno, la pesante rozzezza dello stile romanico non era ancora lontana (la Messa di Machaut con le sue rigide architetture di quarte e quinte vuote), e la gentilezza del gotico veniva ancora degustata con intera par• • tec1paz1one. L'adozione dell'armonia di terze e seste, che sul continente venne divulgata dall'arte del grande compositore inglese John Dunstable, vissuto tra il 13 70 circa e il 1453, e quindi di poco piu an~iano di Dufay, segna la svolta verso l'umanesimo, verso un mondo nuovo nel quale si estinguono dolcemente gli ultimi residui della mentalità medievale. Ma bisogna por mente a un fatto: l'armonia per terze e seste, quale praticata nel discanto inglese, costituiva un enorme progresso da un punto di vista, per cosi dire, unicamente fonico. L'orecchio era lusingato da questa nuova armonia, cosi eufonica e soddisfacente (gli studiosi tedeschi usano il termine Vollklang, suono pieno, in contrasto con le armonie ''vuote'' di quarta e quinta, per designare appunto la nuova pratic-a). Ma dal punto di vista tecnico e intellettuale della condotta delle voci il discanto inglese costituiva un regresso verso la pigrizia e la monotonia del moto parallelo, riportava ai tempi di Léonin, e non poteva esser visto senza disprezzo da musicisti come Dufay o il suo coetaneo e compatriota Gilles Binchois, che ormai sapevano con tanta ingegnosità far andare tre o quattro voci in direzioni diverse. Fu opera loro, e principalmente del nostro Dufay, l'aver mescolato l'uso delle ar-
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INTRODUZIONE
monie di terza e sesta con l'ormai evoluta tecnica contrappuntistica in uso sul continente. Consiste essenzialmente in questo, cioè nell'impiego scaltrito di moto contrario e nell'autonomia delle voci interdipendenti, la differenza tra quello che ora si è convenuto di chiamare •, o > a Cambrai per il 1440 si fa riferimento a trentasei lotti di vi11
[Il nome va corretto in «Gile Crepin», cantore alla corte sabauda fra il 1461 e il 1464. Cfr. D. FAJ.If}WS, Dufay, Dent, London-TorontoMelbourne 1982, p. 247].
CAPITOLO PRIMO
no forniti a > [apprese l'arte della musica in modo si perfetto, da poter musicare le sue canzoni e i suoi mottetti con perfetta padronanza]. Il Van den Borren avanza l'ipotesi. Ma anche Binchois, stabile a servizio dei duchi di Borgogna dal 1425 al 1460, potrebbe essere stato maestro al conte, il quale del resto piu tardi divenne fautore della nuova scuola, che trae inizio dal grande fiammingo Ockeghem e si afferma in Borgogna con Antoine Busnois, in servizio presso quella corte dal 1467, anno dell'avvento di Carlo. Ma risulta dall'inventario stabilito alla morte di Dufay, che egli aveva promesso al conte di Charolais , riservandosene però l'uso vita natural durante. Poche altre notizie isolate punteggiano il vuoto biografico degli anni tra il 1437 (uscita dalla cappella pontificia) e il 1450 (definitivo insediamento a Cambrai). Nel 1444, come s'è detto, gli mori la madre. Il mottetto Magnanimae gentis laudes, sconosciuto a Van den Borren, celebra il trat14
Citato da Van der Straeten 1867-88, IV, p. 117.
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CAPITOLO PRIMO
tato tra Berna e Friburgo (maggio 1438) su mediazione dei Savoia, dei quali si magnifica la saggia legislazione. Il mottetto Moribus et genere contiene allusioni alla città di Digione e risale forse a un soggiorno del 1446. Durante il 1 ' , indetto a Lille nel febbraio 1454 da Filippo il Buono, che voleva bandire una nuova crociata, vennero cantati la canzone ]e ne vis onques la parei/le e il mottetto O tres piteulx de tout espoir fontaine (Lamentatio sanctae matris ecclesiae constantinopolitanae), lamentazione della Chiesa sulla caduta di Costantinopoli e dell'Impero Romano d'Oriente. Ma con questi ultimi lavori andiamo già oltre quell'anno 1450 che segna l'approdo di Dufay all'ultima e piu tranquilla fase della sua vtta, col ritiro nella quiete del suo canonicato a Cambrai. E un tratto tipico delle esistenze degli umanisti di questo periodo, il ritiro in una pacifica esistenza sedentaria nell'età matura, dopo aver trascorso una vita brillante e movimentata negli anni giovanili. Tipico in questo senso il caso di Guillaume de Machaut, il grande maestro dell'ar.s- nova francese, vissuto un secolo prima di Dufay: in giovinezza partecipò a viaggi e perfino a guerre al seguito del suo signore, l'avventuroso re di Boemia, Giovanni, duca di Lussemburgo. Poi si ritirò a Reims, a godere i benefizi dei suoi canonicati, in una operosa e un tantino epicurea tranquillità, a scrivere, produrre, lavorare, e magari godere saggiamente dei fondi di ben nutrite cantine. Un umanesimo alimentato di buoni pasti e di estese letture è pure lo sfondo degli ultimi ventiquattro anni della vita di Dufay. Componeva musica, ormai quasi esclusivamente per la chiesa di Cambrai, essendone remunerato con frequenti donativi straordinari, di cui resta traccia in documenti. Non risulta invece che sia mai stato maestro di cappella o direttore della scuola di canto nella cattedrale di Cambrai (se ne conoscono i nomi dal 1458 al 1483). Partecipava alle assemblee del capitolo dei canonici, perciò Haberl suppone che tra il 1440 e il 1450 egli fosse stato ordinato sud-
'' [Si veda infra, pp.
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sgg.].
VITA
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diacono, altrimenti non avrebbe potuto avervi voto deliberativo né consultivo. Ma che appartenesse da tempo allo stato ecclesiastico, ci è noto, contrariamente a quanto ritenevano i suoi primi biografi. Pur conducendo una vita ritirata, certamente non interruppe del tutto i suoi viaggi. Risulta che nel 1458 fu a Besançon, arbitro d'una discussione musicale, il 14 settembre, in occasione della festa dell'esaltazione della Croce. Si trattava di stabilire quale fosse il tono dell'antifona O quanta exultatio angelicis tu,mis. Venne stabilito che l' antifona in questione appartiene al secondo tono, e non al quarto; e che, se lafinalis (cioè la nota conclusiva) è di quarto, ciò è dovuto ad errore di scrittura. Forse Dufay sarà tornato talvolta alla corte di Borgogna, sebbene il Van den Borren avanzi l'ipotesi, come abbiamo visto, ch'egli fosse stato eclissato nello spirito di Carlo il Temerario dagli esponenti della nuova scuola che trae origine dal fiammingo Ockeghem (1428 ca. - 1495) e che si afferma con Antoine Busnois, in servizio alla corte borgognona dal 1467, anno, per l'appunto, dell'avvento di Carlo. Ma la fama di Dufay restò sempre altissima come prova una lettera latina di Antonio Squarcialupi, l'organista fiorentino al quale dobbiamo il prezioso codice contenente la massima parte di madrigali, cacce e ballate dell'an nova italiana. Questa lettera, pubblicata dal Gaye nel suo Carteggio inedito d'artisti (Firenze 1840) e citata dallo Haberl 1 [1885, p. 40] ' , reca la data del 1° maggio 1467. Ne risulta che Dufay era in attivo scambio epistolare con la corte dei Medici a Firenze ( - dice Squarcialupi - vidi e spesso lessi le vostre umanissime lettere). Sostanza della lettera è il ringraziamento per aver mandato a Firenze un gruppo di cantori della chiesa di Cambrai, su richiesta di Piero de' Medici. Squarcialupi ne loda le voci, la scienza e l'arte: > [1925, p. 74]. (Il Van den Borren ha la curiosa abitudine di calcolare sempre le epoche e i rivolgimenti stilistici per ''quarti di secolo''). Gli altri nominati sono, alla rinfusa: Dusart, Antoine Busnois, Caron,
Naturalmente interessa il rilievo dato in questo passo al fenomeno della graduale costituzione di cappelle musicali principesche, fenomeno, in verità, ormai in corso da molto tempo, all'epoca in cui l'autore scriveva. Quelle fin qui citate sono testimonianze letterarie rispecchianti l'eco che l'arte di Dufay aveva destato in ambienti, diciamo cosf, mondani, o anche musicali, ma non dotti né scolastici. Ad esse il Van den Borren fa seguire alcune altre citazioni tratte invece da opere di veri e propri teorici musicali. Per esempio, nel Dialogus Johannis Hothbi Ang/ici in arte musica, anteriore al 1487, conservato in unico esemplare a Firenze, si dice: « Sic [ ... ] in quamplurimis [... ] aliis cantilenis recentissimis, quarum conditores plerique adhuc vivunt, Dunstable anglicus ille, Dufay, Leone!, Plumeret, I in folla compatta, comodamente seduti I e tanto piacevoli, senza alcun dubbio, I che chi ne canta le opere o le sente cantare I ne ha il cuore tutto rallegrato, I come Dunstable o du Fay I che tanto soavemente al loro tempo I per passatempo bello e devoto I hanno composto (io lo so bene) I e molte altre persone per bene Il Che suonano cosf bene da destare meraviglia I gli organi in tanti bei luoghi, I una delle cose sotto i cieli I che è piu piacevole da udire I per rallegrare ogni cuore umano. I E dcvi sapere che è II dentro I che i grandi principi della terra I si riforniscono per le loro cappelle I di buoni cantori e di belle voci I e ugualmente di organisti I che suonano meravigliosamente bene». Citato ibid., pp. 76-77. A sua volta il Van den Borren fa riferi> [«A tre, a quattro, a cinque, a sci,
mento all'edizione moderna a cura di C. F. Ward, in« University of Iowa Studies, Humanistic Studies», II (1923), n. 2, p. 226].
CAPITOLO SECONDO
Frier, Busnoys, Morton, Octinghem ... >> 4 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms Magi. XIX. D. 36). Questo passo fu citato da Stephen Morelot nel suo libro De la musique au xv sièc/e', ma non se ne conosce il contesto, essendo il trattato inedito. Accoppiato come il solito a Dunstable (come noi potremmo accoppiare Haydn e Mozart descrivendo il cambiamento avvenuto nella musica strumentale dopo la metà del Settecento), Dufay viene annoverato tra i , cioè i fondatori delle : un moderno, cioè. Riprendendo il nostro paragone settecentesco Duf ay starebbe dalla parte di Haydn e Mozart, non dalla parte di Vivaldi e Bach. Il grande teorico fiammingo Tinctoris, morto nel 1511 circa, nomina invece Dufay in una sua curiosa difesa del1' arte del passato, nel prologo del Liber de arte contrapuncti, scritto a Napoli nel 1477. Tinctoris si stupisce che > (XXIV, 52-57). E cosi: Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sf che la fama di colui è scura. Cosf ha tolto l'uno a l'altro Guido la gloria de la lingua; e forse è nato chi l'uno e l'altro caccerà del nido. (Purgatorio, Xl, 94-99).
Non andremo lontani dal vero se vedremo in Dufay (e in Dunstable e Binchois) uno dei creatori di quello che veramente, in confronto alla severa rigidezza arcaica della Messa di Guillaume de Machaut, può ben definirsi un , e che naturalmente non si fermò a loro, ma s'ingrandf nei Fiamminghi, per sfociare, col grandeJosquin Desprès, nella gloria del Cinquecento. Anche Tinctoris, nel Prohemium del suo Proportionale musices accenna al fenomeno dell'istituzione di costose cappelle musicali da parte dei principi cristiani, e conclude: Grazie a ciò, la musica del nostro tempo ha fatto tali progressi che vi si può vedere un'arte nuova, di cui la fonte e l'origine si devono cercare presso i musicisti inglesi, che aveva• no per capo Dunstable. Questi ebbe per contemporanei in Francia Dufay e Binchois, ai quali sono succeduti i moderni, Ockeghem, Busnois, Regis e Caron [... ]. Gli Inglesi si sono a poco a poco spogliati della loro arte a vantaggio dei Francesi
CAPITOLO SECONDO
[... ]. Infatti attualmente, questi inventano ogni giorno dei canti nuovi, mentre quelli non fanno piu che ripetere senza posa le stesse formule (il che è segno di ben povero genio!) 7 •
In questo passo Tinctoris coglie con una certa esattezza critica il fenomeno storico attraverso cui era passata la musica del suo tempo, e cioè la penetrazione del discanto inglese sul continente e la sua adozione da parte dei musicisti borgognoni e franco-fiamminghi, che appropriandosene ne sollevarono tosto la pratica a un piu alto livello di capacità contrappuntistica, quale s'era elaborato in Francia attraverso i progressi dell' ars nova. Adam von Fu.Ida nel Tractatus musices8, scritto nel 1490, enumera> tra i moderni maestri di musica succeduti a Boezio (con un intervallo di mille anni!) Li dice e afferma: > (parte I, cap. vn). In altri due passi del trattato von Fu.Ida attribuisce a Dufay il merito di avere esteso la gamma guidoniana di tre note all'acuto e tre al grave. Il testo è un po' incerto: manca il davanti a >. Se da un giornale di mode. non ci si poteva aspettare di meglio, alla critica romantica si deve la prima intuizione della grandezza di Dufay. Il capitolo ad esso dedicato da August Wilhelm Ambros [1864] nel secondo volume della sua geniale Gerchichte der Murik, superato, lacunoso ed inesatto finché si vuole, resta una delle piu nutrienti letture che si possano fare sul nostro musicista 11 • 11
L'Autore fa qui riferimento in particolare alla 3' edizione rivista da H. Riemann, Leuckart, Leipzig 1891, pp. 339-95 e 437-539.
Capitolo terzo Produzione ed evoluzione stilistica
La produzione di Dufay consta di nove Messe, di cui una di dubbia attribuzione, trentanove sezioni staccate di Messe, talvolta riunite a due a due; cinquanta composizioni liturgiche (per lo piu inni, antifone, qualche sequenza, un responsorio, un alleluia); trentadue mottetti latini, di cui otto profani; ottanta canzoni profane su testi francesi e sette su testi italiani. Tale il catalogo apprestato dalla studiosa Nanie Bridgman [1966, pp. 290-93]. Al Van den Borren, che scriveva nel 1925, risultavano: sette Messe, trentacinque parti di Messe, piu due Magnificat; ottantasette mottetti (includendovi quelle che la Bridgman chiama . Va però riconosciuto che nella canzone profana Dufay si attiene spesso a un tipo melodico in uso fin dall'ars nova, e largamente diffuso anche tra i minori suoi contemporanei, come Solage,Jean Vaillant, Haucourt. Al rinnovamento melodico si accompagna una riforma dell'armonia. 11 mottetto di Dufay si è lasciato molto lontano il vecchio mottetto gotico dell'ars antiqua, che consisteva in una composizione a due, tre o quattro voci, ma piu spesso tre, fondata su una melodia preesistente, profana o religiosa, detta tenor e collocata, nella stragrande maggioranza dei casi, nella posizione piu grave. L'esecuzione ne era per lo piu affidata a uno o piu strumenti, mentre le altre due voci comportavano un testo destinato a essere cantato. Spesso si aveva pluralità di testi, e perfino di lingua. Il vecchio mottetto del x111 secolo era un prodotto chimerico di quella mentalità combinatoria tipica del Medioevo, quale si manifesta nelle sculture d'animali fantastici, di gronde e grotteschi dell'architettura gotica. Esso raggiunge presto un massimo di complessità e di sviluppo. Non si potrebbe continuare a lungo in quel senso. 11 Trecento, e piu il Quattrocento, ne spezza gli schemi. La pluralità dei testi e, a fortiori, delle lingue, sparisce o rimane come eccezione. In Dufay rimangono pochi casi di politestualità, uno dei quali bilingue. Nella composizione a tre voci]enepuispluscequey'aipeu (Oxford, ms 213, f. 34b) il basso ripete tre volte, sulla stessa melodia, la frase biblica, >. E in Resvelons nous• un motivo popolare, , subisce nelle voci inferiori una ripetizione analoga, in forma di canone alla quinta grave. Sono le ultime tracce di gusto gotico, complicato, combinatorio, che si prolungano nella concezione umanistica qell'arte come invenzione totale, come creazione armoniosa, che è ormai propria di Dufay. Anche quando esiste ancora, in lui, la pluralità di testi, essa perde quell'aspetto sistematico e quasi meccanico che presenta nei vecchi mottetti dell' ars antiqua. L'eliminazione pro> [Si veda infra, p. 66).
• [Si veda infra, pp. 105-6).
CAPITOLO TERZO
gressiva del francese promuove la specializzazione religiosa del genere, che sarà completa coi fiamminghi della generazione successiva a quella di Dufay, cioè con Obrecht, Ockeghem e poi Josquin Desprès. Per il momento il contenuto sacro costituisce la grande maggioranza, ma non la regola esclusiva, dei mottetti di Dufay. Verso il 1474 il grande teorico Tinctoris offre ancora questa definizione: > [ è un canto di media estensione al quale è sottoposto un testo di vario argomento, ma piu spesso religioso]. In altri due casi, ricorda Van den Borren, Dufay ricorre alla politestualità. Nel mottetto O sydus Hispaniae essa implica , mentre nel grande mottetto dell'età matura Ave regina coe/orum > (ibid.). Prima di tutto non c'è niente di male nel fatto in sé, del rispetto portato dalla musica alla parola, anzi, e quanto alla sopravvivenza del gusto trovadorico - ipotesi in certa misura accettabile - si potrebbe benissimo rovesciare il punto di vista cronologico scorgendo in Dufay e nella sua fedeltà al testo (che si riduce poi semplicemente alla tanto notata mancanza di oziose ripetizioni di parole) una favolosa anticipazione della madrigalistica auspicata e preconizzata da Monteverdi al principio del Seicento, dove l' >, cioè la musica, fosse serva dell' , cioè delle parole. Secondo il Van den Borren, nell'arte di Dufay rimangono tracce numerose della concezione in uso al tempo di Guillaume de Machaut (1300 ca. - 1377), quando poeta e musico erano uniti in una sola persona, secondo l'uso di trovatori e trovieri. Nel caso di Dufay non esistono prove sicure, ma sembra verosimile che spesso i testi delle canzoni siano opera sua. Né, del resto, si conosce quasi mai il nome degli eventuali autori: uno è il poeta Antoine de Cuise per il rondeau, Les douleun, dont me sens te! somme. Ciò spiega, dice il Van den Borren, la predilezione del maestro per la forma del rondeau, a cui appartiene la maggior parte delle sue composizioni francesi, mentre la ballade ricorre in misura molto minore. Nel rondeau si ha [1925, p. 102). In altri termini, si tratta di forme musica-
CANZONI
li marcatamente strofiche, con abbondanza di ritornelli, ri• • • • petiz1oru e riprese. Secondo il Van den Borren, tutte presentano queste caratteristiche: 1) isolamento d'ogni verso in un piccolo scompartimen-
to musicale nettamente separato dagli scompartimenti vicini; 2) adattamento sistematico d'una sola frase musicale a piu • versi; 3) assenza totale di ripetizione di parole o gruppi di parole e, di conseguenza, ass·enza d'ogni «sviluppo •> musicale (ibid.).
Non si può tacere l'impressione che qui il Van den Borren si lasci influenzare dagli ideali brahmsiani della sua generazione e li sovrapponga indebitamente allo studio d'un musicista del Quattrocento. Incidentalmente, se una delle caratteristiche costanti dell'operare di Dufay è }'>. Certamente v'erano tracce delle regole (forse si dovrebbe dir meglio: abitudini) italiane per l'armonia, e Dufay, vissuto a lungo in Italia, seguiva una strada già aperta anche da piu di un musicista nordico. Le sue innovazioni hanno luogo sul terreno melodicoritmico. >. Cosi, per esempio, la giovanile canzone Resvelliésvous, scritta nel 1423 a Rimini per il matrimonio di Carlo Malatesta con Vittoria Colonna, è il capostipite d'un tipo di ballata cui appartengono pure Mon
chier amy, qu 'avés vous empensé, C' est bien raison de devoir essaucier, ]e languis en piteux martire e Bien doy se1vir devolenté entiere. Vi si manifesta il senso tonale: il modo dorico è spesso un Re minore; si presentano (cioè dall'accordo perfetto) . Nel ribadire la persuasione che Dufay si dedicò alla produzione profana anche in tarda età, il Besseler cita a sostegno, tra l'altro, la lettera dell'organista fiorentino Squarcialupi, che il 1° maggio 1467 lo invitava a porre in musi2 ca una canzone di Lorenzo de' Medici •
1.
« Ve,;gene bella, che di sol vestita», canzone.
Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti si, che 'n te Sua luce ascose, ' [Si veda supra, cap. 1, p. 3 2].
CANZONI
amor mi spinge a dir di te parole: , . . , . ma non so ncommc1ar senza tu aita, et di Colui ch'amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamò con fede: Vergine, s'a mercede miseria extrema de l'humane cose già mai ti volse, al mio prego t'inchina, soccorri a la mia guerra, bench'i' sia terra, et tu del ciel regina'. (Canzoniere, CCCLXVI, 1-13).
Prima stanza della Canzone alla Vergine del Petrarca; mottetto polifonico ( - sostiene il Besseler - non ). Secondo Besseler prova come generalmente non vi sia differenza tra la musica mondana e quella spirituale: questo Liedmotette presenta tratti affatto siinili a quelli delle ballate a tre voci ]e languis en piteux martire e Se la /ace ay pale. In tutti questi pezzi serve come fondamento un , dato dai suoni di volta in volta piu bassi del tenor e del contratenor. Si conservano tre manoscritti con differenze abbastanza rilevanti, soprattutto nella distribuzione di diesis e bemolli: due a Bologna, e uno a Oxford•. Uno dei manoscritti bolognesi fu pubblicato in facsimile da Giuseppe Lisio [1893]. Una prima trascrizione in notazione moderna fu procurata dallo Haberl. Un'altra fu avanzata dal Van den Borren, ed ancora diversa è quella accolta dal Besseler nel volume VI (Cantiones) degli opera omnia'. Van den Borren e Besseler non hanno dubbi che tenor e contratenor siano strumentali; Haberl invece li riteneva vo'[Il testo qui riportato è tratto da F. PETRARCA, Canzo,i;e,e, testo critico e introduzione di G. Contini, annotazioni di D. Ponchiroli, Einaudi, Torino 1992 (1• ed. 1964), p. 455. Si noti che il testo musicato da Dufay presenta la variante fonetica «vergene» e altri piccoli mutamenti, mantenuti nel corso dell'intera trattazione]. • Bologna, ms Q 15, ff. 208v-209; Bologna, ms 2216, pp. 70-71; Oxford, ms 213, fase. 9, 312. '[I riferimenti per le trascrizioni citate sono: Haberl e Lisio 1894, pp. 257-66; Van den Bo11en 1925, pp. 305-13; Besseler 1964, pp. 7-9].
CAPITOLO QUARTO
cali. Nell'originale, la stanza del Petrarca non figura nella sua interezza che al cantus. [1925, p. 304]. E probabile che le cose stiano proprio cosi: il cantus presenta una continuità di discorso melodico assolutamente predominante rispetto alle altre due voci. In qualche caso, specialmente dove il cantus si abbandona a vocalizzi, esse si assottigliano ad un sostegno di accompagnamento passivo. In altri momenti, però, come all'inizio, e alle parole , le tre parti s'inseguono in un gioco reale d'imitazioni a canone, la cui efficacia è danneggiata dalla subordinazione timbrica dei due strumenti. Tre voci reali qui sarebbero di ottimo effetto. In alcuni punti tace anche la voce del cantus, ed un terzo strumento l'assume in alcuni intermezzi strumentali. A questo proposito sarebbe opportuno un controllo sui manoscritti (probabilmente non saranno concordi) per dirimere le differenze tra la versione Van den Borren e la versione Besseler: quest'ultima incline a ridurre la presenza di intermezzi strumentali, attribuendo al cantus alcuni estesi vocalizzi in fin di frase, che per il Van den Borren sono invece da affidare all'esecuzione strumentale. Il Van den Borren elogia in questa canzone la > [sic!]. A parte che le parole preesistono, e ciò che viene ''applicato'' sono appunto le note, vedremo che non è sempre cosi, e in qualche punto la prosodia e la stessa interpunzione del testo non sono perfettamente rispettate dall'andamento della melodia principale. «Rien de choquant ou à peine dans la prosodie>>, scrive il Van den Borren [1925, p. 314]. Accettiamo l' , non il . Non c'è nessuna notizia certa sulla data di composizione di quest'opera, ma tutto fa pensare ch'essa si debba collocare negli anni del soggiorno italiano, anteriori all'entrata nella cappella papale: Dufay doveva conoscere bene la nostra lingua, ma tuttavia non al punto da essere assolutamente al riparo da piccoli equivoci d'interpretazione. Giustamente il Van den Borren loda le > [ibid.]. E vero, specialmente se si accetta la sua versione. In quella del Besseler alcuni dei moduli strumentali vengono sostituiti da vocalizzi alquanto avventurosi. L'elogio della è giustissimo, anche se alquanto generico. Si alternano (come sulla parola ) con altri soggetti (; , cui si salda ancora la prima della parola . Già mai ti volse, al mio prego t'inchina, 3/4, Re minore. Contrappunto libero di tre voci di pari importanza, come se continuasse l'intermezzo strumentale precedente. Soccorri alla mia gue11"1J, 3/4, Re minore, con sospensione sulla sensibile (Do diesis del tenor). Ecco uno dei punti dove la versione mista, di voce con strumenti, fa rimpiangere l'esecuzione interamente vocale. La parola >, , e soprattutto quel punto culminante all'invaso che è > [1925, p. 249]. Tali casi di dissonanze o di ritardi sono particolarmente frequenti nell'interludio e nel postludio senza parole (che i due cantus devono probabilmente eseg11irP vocalizzando, poiché è difficile pensare che altri due strumenti saltino fuori provvisoriamente, in aggiunta ai due che già sostengono le parti di contratenor). La melodia del cantus (unica per le due voci) presenta la singolarità di un inserto vocalizzato che funge da vero e proprio controsoggetto là dove una delle due voci deve lasciar tempo all'altra di terminare la sua frase. Il tutto si compone di due episodi, collegati da frequenti analogie e tuttavia distinti. Caratteristica del primo episodio, al secondo verso, l'indugio su una nota grave, quattro volte ripetuta. L'inizio del secondo episodio ha luogo in seno all'interludio, e presenta una grande affinità con l'inizio del rondeau, grazie alla solita tecnica della ripetizione variata.
116
CAPITOLO QUARTO
15. «Pour l'amourde ma doulce amye», rondeau [48).
Rondeau a tre voci, modo lidio o ipolidio, scala di Fa maggiore, con oscillazioni alla dominante (Do). A quanto pare il contratenor e il tenor recano due bemolli in chiave, Si e Mi, il secondo dei quali è difficilmente spiegabile e, soprattutto nel contratenor, sempre inaccettabile. Due i manoscritti: a Oxford (fonte principale) e a Monaco". Il manoscritto di Oxford reca le parole sotto tutte tre le parti. Il manoscritto di Monaco non reca le parole nel tenor e contratenor, e nel cantus reca parole latine: O virgo pia, candens lilium Super lilia apud tuum filium, Regem omnium: Sis propitia Ut deleat vitia Peccatorum omnium, Et sanctorum cum gloria 2 Nos tollatque in patria >.
Ciò è un'altra prova, come nel precedente ]e donne a tous /es amoureux, della persistenza tardiva di abitudini mottettistiche medievali, generate da una mentalità combina• tor1a. Ulteriore interesse del manoscritto di Monaco è che in cima alle tre voci normali - tenor, contratenor e cantus - ne reca una quarta, contrassegnata come triplum (cioè terza voce aggiunta al tenor), cui sono sottoposte le stesse parole latine. Secondo il Besseler che questo triplum sia autentico di Dufay. Si potrebbe quasi esser certi di no, tanta è la sua estraneità al tessuto musicale, come sempre omogeneo, e pieno di richiami interni, delle altre tre voci. Il triplum sembra posato sopra di esse ed imposto, con mano alquanto maldestra, senza partecipare alle sottili trame contrappuntistiche delle tre voci ahi22
Oxford, ms 213, fase. 10,318; Miinchen, ms 3232a, 253. 2 > [«O vergine pia, giglio candido I piu dei gigli, presso il tuo figlio, I re del mondo: I intercedi I affinché egli cancelli le colpe I di tutti i peccatori, I e nella gloria dei santi I ci innalzi alla casa del Padre»].
CANZONI
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tuali; sicché noi non ne terremo conto e considereremo soltanto tenor, contratenor e cantus. La poesia presenta la consueta struttura di rondeau, in quattro strofe, la prima ripetuta per intero alla fine, e parzialmente nella seconda strofa. Pour l'amour de ma doulce amye Ce rondelet voudray chanter Et de bon cuer lui presenter Affin qu 'elle en soit plus jolye. Car je !'ai sur toutes choysie A mon plaisir sans mal penser: Pour l'amour de ma doulce amye Ce rondelet voudray chanter. Elle est belle, plaisante et lye, Saige en maintieng et en parler: Je la veul servir et amer A mon povoir toute ma vie. Pour l'amour de ma doulce amye [... ] [ ... ] [... ]
Le tre voci cominciano contemporaneamente sul medesimo ritmo, col tradizionale inizio di canzone. Inizio compatto, perciò, sia che si debbano pensare tutte tre le parti affidate a voci, sia che tenor e contratenor abbiano ad essere eseguiti su strumenti. Il cantus predomina sensibilmente, grazie a un estroso vocalizzo alla fine del primo verso, non molto dissimile da quelli che abbiamo conosciuti nella ballata LA belle se siet. Anche qui il vocalizzo viene ripreso, sempre nel cantus, durante il primo breve intermezzo strumentale, e piu estesamente nel secondo passo strumentale che conclude la composizione. Del presente rondeau il Van den Borren rileva «due serie di imitazioni, di cui la prima [... ] offre uno sviluppo quasi a canone>> [1925, p. 236]. Si tratta di questo: all'inizio del secondo verso, mentre il contratenor riprende l'incipit iniziale cioè la medesima nota tre volte ribattuta qual è l'uso della canzone, il tenor, entrando subito dopo, dispone sulle medesime parole () una
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CAPITOLO QUARTO
figura melodica che sale dal Do al Si bemolle - praticamente una scala di settima diminuita - e poi comincia a scendere, parabolicamente. Subito dopo, a sua volta, parte il cantus, accettando dal tenor questa medesima figura. All'inizio del terzo verso, invece, sono il contratenor e il tenor che si imitano alla quinta, ed anche il cantus, subito dopo, si lascia coinvolgere in un brevissimo giro di imitazioni (per non piu di quattro note), prima col tenor, poi col contratenor. Tutto ciò con estrema discrezione: si tratta di spunti imitativi appena accennati che si vedono sulla pagina scritta, ma si percepiscono fuggevolmente, data anche la forte preponderanza del cantus. Del pari tenuissima è la traccia di quello [Van den Borren 1925, p. 237]. Si tratta d'occasionali casi di marcia parallela per terze e seste: quattro in tutto, due volte della durata di tre note, e due volte per la durata di sole due note. D'altra parte sono controbilanciati dalla frequenza di passi per moto contrario, con le voci studiosamente divergenti. Giustamente il Van den Borren rileva come in questo rondeau tali aspetti dell'epoca (lo stile imitativo) o lievemente arcaici (il/aux-bourdon) si accompagnino felicemente a uno spiccato senso armonico, modernamente pronunciato nel senso della tonalità: in questo caso di modo mag• g1ore. Vero è che di questa canzone meno del solito importano i particolari formali di struttura: questa è scioltissima, magistrale, ma senza ostentazione. Vale la pena di soffermarsi una volta tanto sui valori espressivi. Secondo il Van den Borren di un testo che è > [1925, p. 226]. Ciò corrisponderebbe, del resto, sempre secondo il Van den Borren, a che si riscontrerebbe anche nel testo: >. Francamente, non si capisce se si tratti di cosa seria, con la sua stesura causidica in , seguito dalla e , assume l'ascesa melodica che caratterizza l'inizio del tenor (il quale, invece, a questo punto, è già da tempo impegnato con la declamazione orizzontale del secondo "Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms 2794, ff. 34v-36; Montecassino, Badia, ms 871, ff. 15ov-151, pp. 378-79.
CANZONI
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versetto). Nel verso precedente del cantus () tale intervallo di quarta minore era invece coperto d'un balzo solo, dopo, un incipit di canzone, su triplice ripetizione d'una nota. E tutto un continuo gioco di piccole variazioni entro l'unità fondamentale della comune matrice gregoriana, che ancora una volta ci fa apparentare l'arte di Dufay alla pratica della libera variazione intorno a temi fissi (le ragas in India, i maqam nei paesi arabi), in uso nella musica orientale. Come scrive il Van den Borren, Dufay usa la tecnica, adottata in particolar modo da Dunstable e dai contemporanei inglesi, di arricchire il canto gregoriano, solitamente riservato alla voce soprana, con ricami e fioriture che l'abbelliscono senza distruggerne le qualità melodiche essenziali [... ] la melodia è soggetta a ripetizioni, ma con que,lle modifiche richieste dal principio della libera variazione. E facile immaginare l'importanza di questa caratteristica quando si pensi che tutta l'evoluzione musicale del Quattrocento si sostenne sul procedimento della ripetizione variata [1964, pp. 245-46].
Composizione anfibia, la Lamentatio tiene del mottetto, per la presenza del tenor liturgico e per la solenne gravità dell'argomento; d'altra parte è formalmente annessa al genere della canzone per la presenza del testo in volgare, due strofe di ballata. Perciò è quanto mai indicata a segnare il passaggio dalla produzione profana alla produzione sacra di Dufay, in particolare ai Mottetti.
Capitolo quinto Mottetti
Secondo la Bridgman e il Van den Borren Dufay si trova meglio nell'espressione di sentimenti religiosi o nell'evocazione di avvenimenti storici, che nella traduzione musicale di un amor cortese divenuto ormai convenzionale. Ma abbiamo visto quale varietà di contenuti entrasse nelle Canzoni. Ugualmente bisogna dire che i Mottetti di Dufay non sono esclusivamente religiosi, come avverrà ben presto dopo di lui, presso i Fiamminghi. Ce ne sono che trattano argomenti storici: per esempio Supremum est mortalibus celebra la conclusione della pace tra Eugenio IV e il re Sigismondo, piu tardi eletto imperatore, e canta le lodi della pace; Ecclesiae militantis celebra l'elezione di papa Eugenio IV; Vasi/issa, ergo gaude è scritto, come sappiamo, per Cleofe Malatesta; Magnanimae gentis fu scritto in occasione di un trattato d'alleanza tra Berna e Friburgo; Salve flos Tuscae gentis è un omaggio allo stato fiorentino, e Mirandas parit haec urbs fiorentina puellas è addirittura un inno alla bellezza delle ragazze di Firenze. Sicché non è il caso di riconoscere senz'altro ai Mottetti una superiorità in ragione di motivi contenutistici. Certo è che verso la metà del 1400 la nozione di mottetto è ancora vaga (secondo il Van den Borren, piu vaga che in passato). Mottetto è ogni composizione, sacra o profana, su testo latino, di dimensioni relativamente brevi, basata o no su un tenor preesistente. Questo è piazzato ad una delle estremità, oppure, sempre piu di frequente, in una delle voci interne. Validissima è ancora la definizione che ne darà, verso il 1474, il grande teorico Tinctoris: .
Come si vede, il testo - un componirnentino abbastanza garbato sulle circostanze della soleruùtà - è diviso in quattro strofe: due si riferiscono alla consacrv.inne dell'edificio -. costruito dal Brunelleschi, e due espongono una preghiera del popolo fiorentino alla Vergine, perché implori la rruserìcordia del Figlio su chi lo invoca con purità di cuore. Ora è singolare, ed è già un indice significativo della complessa concezione musicale di questo mottetto isoritmico che, J.:?UI essendo anche la musica chiaramente ripartita in quattro episodi, essi non coincidano affatto con le quattro strofe del testo. --- Il mottetto è a quattro voci: un triplum (o cantus), un •
'' [«Da poco ghirlande cli rose, I per dono del pontefice, I a dispetto del rigido inverno, I hanno adornato in perpetuo, I il tempio cli grande architettura, I dedicato piamente e santamente I a te, Vergine celeste. Il Oggi Eugenio, vicario cli Gesu Cristo, I successore cli Pietro, I questo stesso vastissimo tempio I volle con.•acr.. re I con le sue sacre mani I e con i santi olii. Il Dunque, alma genitrice I del tuo Figlio e figlia, I Vergine, gloria delle vergini, I il tuo popolo cli Firenze ti prega devoto I affinché chi ti implora, I puro cli mente e cli corpo, Il per tua intercessione, I e per i benefici della Crocefissione I del tuo Figlio secondo la carne, I meriti cli ricevere I i graditi doni I del Padre suo I e il perdono dei peccati. I Amen. 111 Tenor. Questo è luogo da venerare; I qui è la casa cli Dio I e la porta del cielo; I e sarà detta reggia cli Dio. I Alleluja,.].
MO'l"l"E'l"fl
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motetus (o contra), di destinazione vocale, e un tenor I e teno±_ II_, evidentemente strumentali. Di piu, a_ccade che spesso la seconda voce, il motetus, applichi la pratica delle voci divise, cioè si sdoppi in bicordi consonanti, con chiaro significato armonico. Perciò le voci diventano di fatto cinque, anche se l'uso delle notae divisae nel motetus avvenga _per lo piu (ma non sempre) là dove tacciono i due tenores. Il Van den Borren ha osservato che la duplicazione del mo7efus ·avviene di solito in corrispondenza di parole importanti del testo, come il nome del papa Eugenio, il nome di Firenze, ~ riferimento alla del nuovo tempio, ecc. Tuttavia non ci si può nascondere che talvolta la duplicazione del motetus avviene anche su parole abqastanza insignificanti come , , , e soprattutto avviene, con particolare efficacia àrmonica, in un passo dove di parole non ce ne sono né punte né poche, prima della IV talea, e dove si suppone che le due voci del triplum e del motetus vengano momentaneamente sostituite da un piccolo interludio di due strumenti. Perciò, senza negare del tutto che questo espediente serva al compositore per sottolineare, con un maggior peso fonico, alcuni dei concetti piu importanti nel testo, occorre però riconoscere eh~ le ragioni musicali godono, in ultima analisi, della massima autonomia. · ·· - Il.doppio tenor è costituito da un canone libero alla quini~ sulla melodia gregoriana del Te11ibilis est focus iste, introito , perciò scelto con le consuete competenza e proprietà liturgiche di cui Dufay dà sempre prova. Questo doppio tenor è ripetuto quattro volte, perfettamente· uguale nella melodia, a differenza di quanto abbiamo visto in Supremum est mortalibus, dove il tenor si esplicava in tre distinti episodi melodici, poi ripetuti alla lettera. Qui invece la melodia del tenor si ripete quattro volte uguale, I!J.a ogni volta in diversi valori ritmici. E precisamente: la prima volta in moduspeifec4 tus, tempus per/ectum, prolatio minor ; la seconda volta in ~---·
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Certamente v'è un errore di stampa nelle note critiche del Besseler [1966, p. XXI], là dove egli attribuisce la medesima impostazione ritmica alla prima e seconda talea («modus imperfectus, tempus imperfectum, prolatio minor»).
CAPITOLO QUINTO
modus impe,fectus, tempus impe,fectum, prolatio minor; la terza volta in tempus impe,fectum, prolatio minor; la quarta _yolta in tempus impe,fectum, prolatio maior. O, come dice piu semplicemente il Van den Borren: I, misura ternaria semplice, valori normali; II, misura binaria, valori normali; III, misura binaria, valori diminuiti; IV, misura ternaria composta, valori diminuiti. Ciò vuol dire, in parole ancor piu povere, che la melodia sempre uguale del doppio tenor scorre ora piu lenta ora piu rapida. Piu lenta di tutte la prima enunciazione, in una misura di 3 x 3/2. Un po' meno lenta la seconda volta, in misura di 2 x 4/4 (misura bi_naria, cioè modus impe,fectus). Rapidissima scorre la melodia del doppio tenor la terza volta, in misura binaria di 4/ 4 (e infatti si g11ardi quante poche parole sono coperte dalla III talea: neanche tre versi completi). Un po' meno rapida, ma sempre svelta, la formulazione della IV talea, in tempo di 6/4 (copre tre versi esatti del testo). Queste diverse misure ritmiche stanno tra loro nella proporzione numerica 6 4 2 3. Ora si dà il caso stupefacente che il rapporto tra la curvatura della cupola di Brunelleschi e le navate e il presbiterio di Santa Maria del Fiore sarebbe, a quanto 1 pare, espresso anch'esso nella medesima formula ' . Se tanto è vero, non si può che rimanere quasi sgomenti di fronte alla leonardesca acutezza intellettuale di queste costruzioni musicali, dove la gotica complicazione delle formule non compromette la resa poetica ed espressiva della composizione né il senso festivo e gratulatorio della lieta solennità religiosa, e tuttavia la fa quasi passare in sottordine, perché, in fondo, che cosa conta un bel mottetto in piu o in meno, di fronte ad una cosi sbalorditiva esibizione di intelligenza costruttiva? In verità, il Dufay di Nuper rosarum flores non ha nulla da invidiare alla sapienza costruttiva degli ingegneri musicali fiamminghi, come Obrecht e Ockeghem, e lo >.
T_Jnico manoscritto: Modena, ms a.X.1.11, ff. 121v-123. E un mottetto isoritmico per la festa della purificazione della Vergine (2 febbraio). Ciò è indicato dall'incipit dei due tenores, manifestamente strumentali perché in seguito non recano piu parole per tutto il resto della composizione: >. Sono la fine del responsorio Adorna talamum tuum, per il Mattutino nella festa della Beata Vergine Maria. Non si conosce l'occasione specifica, né la data della composizione di questo mottetto, ma poiché esso presenta analogie abbastanza evidenti col mottetto Moribus et genere, nel quale è menzionata alla fine la città di Digione (), e che si suppone perciò scritto durante la visita alla corte di Borgogna nell'ottobre 1446, si ritiene che anche Fulgens ;ubar vada ascritto press 'a poco alla medesima
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CAPITOLO QUINTO
data. Si tratta perciò degli ultimi mottetti isoritmici scritti da Dufay, che in seguito abbandonò questa pratica di medievale costrizione compositiva, per un piu libero corso all'invenzione musicale, secondo lo spirito dell'umane•
Sl.lDO.
Come macchina di alta ingegneria musicale non è meno grandioso che il precedente Nuper rosarum /lores, anzi: la complicazione gotica è accresciuta dal fatto che, mentre nel mottetto fiorentino le due voci superiori (triplum e motetus) cantavano almeno lo stesso testo, qui esse ne cantano due ben distinti, entrambi in latino. Ognuno dei due testi è di quattro strofe, e all'interno d'ogni testo ogni strofa finisce col medesimo verso (.
Triplum: Magnanimae gentis laudes patiare, mi Berna, Augeat usque su11m nuntia fama decus! Vox Pegasea locum mundi procurrat ad omnem: Cognoscant Daci, Teucria, Parthus, Arabs, Quam fortes animos, quam ferrea pectora q11amque Egregios sensus, optima Berna, paris ! Juribus annorum cuius res publica florens Consilio veterum multiplicata manet. Cultrix iustitiae, communis pacis arnatrix, Quae tua gloria sit, maxima gesta docent! Alleluia, alleluia.
I talea
II t. III t. IV t.
Motetus: Nexus amicitiae Musa modulante Camena Magnificetur, enim nil sine pace valet. O quando iungi potuisti, Berna, Friburgo, Quanta mali rabies impetuosa ruit! Optima cum vobis communia vota fuere, O quibus, o quantis utraque functa fuit! Vivite felices ! praeclara Sabaudia pacis Auctrix, servatrix foedera vestra probat. Praegenit11m Ludovicum comitemque Philipp11m Cernitis: en magnum pondus amicitiae. Alleluia, alleluia.
I t.
II t. III t. IV t.
Tenor. Haec est vera fraternitas, quae numquam potuit violari certamine1'. O mia Berna, accetta le lodi cli un popolo generoso; I la Fama innalzi i suoi messaggi fino alla sua gloria! I La voce cli Pegaso corra in ogni parte del mondo: I che Daci, Teucri, Parti e Arabi sappiano I che animi forti, che coraggio inflessibile, e che I intelligenza suprema tu, gloriosa Berna, sai generare! I Il tuo governo, già fiorente I grazie ad antiche leggi, I si rafforza con la saggezza degli anziani. I Cultrice cli giustizia, amante della pace comune, I gesta esemplari illustrano quale sia la tua '' [« Trip/um:
L'isoritmia del presente mottetto si limita al tenor, melodia di diciassette battute, sempre uguale, ma presentata in quattro diverse misure ritmiche. Le due voci superiori non sottostanno a criteri di ripetizione periodica, pur presentando abbondanti analogie tra una sezione e l'altra, per il consueto sistema di variazione libera. I soliti vocaboli simili a brandelli di melodia circolare e sinuosa, che già ci sono noti attraverso Supremum est morta/ibus, attraverso Nuper rosarum f/ores, e anche attraverso qualche canzone, come la ballata nuziale Resve//iés vous per le nozze di Carlo Malatesta, vengono ancora una volta fatti rotolare e ravvoltolati, come sassi nella corrente d'un fiume, e ne sono ormai levigati e puliti. Riconosciamo molte figure melodiche che ci sono perfettamente note, in particolare la nota cadenza con appoggio su un intervallo ascendente di terza. La scrittura a tre voci porta ad una certa semplificazione, nello stile della chanson. La voce superiore (trip/um) è talvolta preminente, e la seconda (motetus) qualche volta si dirada in note lunghe, limitandosi a funzione di sostegno. Di norma, però, trip/um e motetus stanno tra di loro in un rapporto di libera imitazione contrappuntistica, limitata a brevi cellule. Se ne vedano esempi nei seguenti passi. Battute 1 1 e 1 2, al principio dell'intermezzo che segue le parole (trip/um) e (motetus). Un caso di imitazione per diminuzione ritmica, limitato a tre note si trova, alle battute 48-50, sulle parole (trip/um) e (motetus). Poco oltre, alle parole (motetus) e (trip/um) è tutto un nodo d'imitazioni (e anche di ripetizioni all'interno d'una sola voce, il motetus) di figure melodiche gloria! I Alleluia, alleluja. lii Motetus: La musa Camena nel canto il legame di amicizia I magnifichi, poiché niente ha forza senza pace. I O quando tu, Berna, potesti congiungerti a Friburgo, I come rovinò la rabbia impetuosa del male! I Le migliori promesse furono a voi comuni; I a quali, e a quante ciascuna delle due adempi! I Vivete felici! La nobile Savoia, autrice della pace I vigila e approva i vostri patti. I Osservate Lodovico, il piu anziano, e il conte Filippo: I ecco un'amicizia di gran valore. I Alleluia, Alleluja. lii Tenor: Questa è la vera amicizia, che guerra mai poté violare»].
CAPITOLO QUINTO
ben definite e lievemente variate. Una cellula di tre note (la stessa del secondo caso che abbiamo citato) si ripete nel motetus e nel triplum, quasi come un'eco, alla fine del primo episodio. Il secondo episodio comincia subito con un caso di imitazione, sottoposta a lieve variazione ritmica: nel motetus, come Debussy, del quale è tanto difficile stabilire se sia l'ultimo grande dell'Ottocento, o il primo musicista moderno. 22 21
[Si veda infra, pp. 212-13]. Ciò è stato stabilito da Houdoy [1880].
CAPITOLO QUINTO
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Testo liturgico:
Tropo:
Ave regina coelorum, Ave domina angelorum,
Mise,-e,-e tui labentis Du/ay, Ne peccatorum ruat in ignem Jeroorum [seivurum]. Salve radix sancta, Ex qua mundo lux est orta,
Miserere, miserere, genitrix domini, Ut pateat porta coeli debiti. Gaude gloriosa, Super omnes speciosa,
Mise,-ere, miserere supplicanti Dufay Sitque in conspectu tuo mors eius speciosa. Vale, valde decora, Et pro nobis semper Christum exora.
In excelsis ne damnemur, mise,-ere nobis Et ;uva, ut in mortis bora 4 Nostra sint corda decora1 •
La composizione è in due parti e a quattro voci delle quali soltanto le tre inferiori recano il nome di contratenor, tenor e contratenor II o bassus. La voce superiore non ha designazione, e noi la chiameremo superius o cantus. Delle due parti in cui la composizione è distinta la prima è in ritmo ternario (modus perfectus), la seconda, molto piu lunga (bb. 77-170) è in ritmo binario (tempus imperfectum diminutum e tempus imperfectum), salvo una breve parentesi di ritmo ternario, che stranamente il Van den Borren dice di undici battute, mentre nella trascrizione offerta dal Besseler sono cinque (bb. 150-54). Il Van den Borren è autore di un bellissimo commento su questo mottetto, del quale ci serviremo abbondante'' [« Testo liturgico: Ave, regina dei cieli, I ave, signora degli angeli, I
ave, sacro germoglio, I da cui sorse la luce del mondo, I gioisci, gloriosa, I bellissima fra tutte, I salve, splendida, I e prega sempre per noi Cristo. Il Tropo: Abbi pietà del tuo fragile Dufay, I affinché non rovini nel fuoco degli schiavi del peccato. I Abbi pietà, abbi pietà, genitrice del Signore, I affinché sia aperta al debole la porta del cielo. I Abbi pietà, abbi pietà del supplicante Dufay, I e che sia bella al tuo cospetto la sua morte. I Nel]' alto dei cieli, abbi pietà cli noi, affinché non ci colpisca la condanna I e fa che nell'ora della morte I i nostri cuori siano degni»].
MO'l"fE'l"l'I
1 75
mente. Ma non riusciamo a seg11irlo quando afferma che > [1925, p. 202]. Si veda per esempio l'inizio: il tenor tace per venti battute, e l'introduzione è fatta da un duo di cantus e contratenor I (primo episodio, bb. 1-10) e poi dal duo dei contratenores (secondo episodio, bb. 11-21). Nel primo episodio il cantus parafrasa liberamente la frase iniziale del corale gregoriano Ave regina coelorum; nel secondo episodio il contratenor I fa lo stesso riguardo alla seconda frase (), che del resto è, nella versione monodica gregoriana, una semplice ripetizione della prima. Qui invece le due frasi risultano differenziate, pur comprendendosi che si tratta di due versioni d'una medesima idea musicale. Il >'. Ma non si tratta d'un vero e proprio inno che i due poeti sentono cantare, come avverrà invece spesso nel Purgatorio. Questa è una battuta di Virgilio, una parodia dell'inno di Venerdf Santo, quasi, si potrebbe dire, una freddura.
'I,,Je1no, XXXIV,
1 e 18.
200
CAPITOLO SESTO
Testo nella versione del manoscritto di Modena: Vexilla regis prodeunt, Fulget crucis mysteri11m, Quo carne carnis conditor Suspensus est patibulo. Quo vulneratus insuper Mucrone diro lanceae: Ut nos lavaret crimine, Manavit unda et sanguine. lmpleta sunt quae concinit David fideli carmine, Dicens: in nationibus Regnavit a ligno deus. Arbor decora et fulgida, Ornata regis purpura, Electa digno stipite Tam sancta membra tangere. Beata, cujus brachiis Saecli pependit pretium, Statera facta corporis, Praedamque tulit tartari. O crux, ave, spes unica, Hoc passionis tempore, Auge piis justitiam, Reisque dona veniam. Te summa, deus, trinitas, Collaudet oronis spiritus: Quos per crucis mysterium Salvas, rege per saecula. 10 Amen • 0
[«Avanzano le insegne regali, I risplende della Croce il mistero: I chi creò la carne, con la carne I è appeso al patibolo. Il Colpito, per di piu, I dalla punta acuminata della lancia, I sgorgarono acqua e sangue, I onde lavarci della colpa. Il Compiuto è dunque ciò che Davide I preannunciò con canto fedele, I quando disse: sui popoli I Dio regnò da un legno. Il Albero bello e splendente, I ornato di porpora regale, I scelto per il tronco degno I di toccare membra sf sante. Il Beato, dalle cui braccia I pendette il prc:zw del mondo; I [albero che,] reso bilancia di un corpo, I strappò la preda al Tartaro. Il Salve, o Croce, unica speranza: I in questo tempo di Passione I nei giusti accresci la giustizia I e ai rei dona il perdono. Il Som'
INNI
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4. «Audi, benigne conditor». Inno per il proprium de tempore (prima e dopo Pasqua), e precisamente . Manoscritti a Mode11 na, Montecassino, Cappella Sistina e Cambrai • Soltanto quest'ultimo reca una lezione leggermente modificata e migliorata delle prime due battute, che il Besseler adotta, supponendo che scritto l'inno in Italia, presso la cappella pontificia, Dufay ci sia poi ritornato su tranquillamente in patria, apportando all'inizio un lievissimo ritocco, secondo quella sua arte della variazione melodica che sa trarre partito anche di una o due note in piu o in meno per perfezionare il decorso d'una melodia. Questo inno, assai eufonico e gradevole, presenta alcune particolarità. Primissima, che il cantus fi,mus non è, come abbiamo visto finora, alla voce superiore, bensi alla voce intermedia (contratenor). Tipico esempio della mala sorte riservata a questo pegno di fedeltà all'antico che era il ricorso alle melodie gregoriane. Dufay vi era fedelissimo: il costante riferimento alle fonti gregoriane stabilisce nella sua musica l'aspetto tardo-gotico, il lato «autunno del Medioevo>>, come la persistenza del fondo d'oro in certi pittori quattrocenteschi che maneggiano già perfettamente la prospettiva. Ma anche Duf ay, pur cosi ligio al repertorio gregoriano, si direbbe che qualche volta ne senta un po' fastidio. Non vuole assolutamente saperne del cantus fi,mus alla voce piu bassa, della quale intende disporre liberamente per fondarvi le armonie. Negli inni che avevamo visto finora, il cantus fi,mus stava nella voce superiore, secondo l'uso italiano, e fungeva da melodia principale. In Audi, benigne conditor, invece, nemmeno piu quella posizione onorifica gli è concessa, e il povero cantus fi,mus viene relegato dove si suppone dia il minor fastidio possibile, nella voce intermedia, il contratenor. ma Trinità divina, I ti lodi ogni spirito: I coloro che salvi grazie al mistero della Croce, I guidali nei secoli. I Amen ..]. 11 Modena, ms a.X.1.11, f. 5v; Montecassino, ms 871, f. 26v; Città del Vaticano, ms 15, ff. 14v-16; Cambrai, cod. 29, f. 157.
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CAPITOLO SESTO
Abbiamo già imparato a conoscere negli Inni di Dufay l'esistenza di due categorie: gli inni che potremmo chiamare maiores, a tre voci reali ed autonome, e gli inni che potremmo chiamare minores, dove la presenza del fauxbourdon, pedissequamente esemplato sul cantus, riduce di fatto le parti a due, di cui una sdoppiata in un intervallo di quarta. L'inno Audi, benigne conditor appartiene alla categoria degli inni maiores: le tre voci sono autentiche e reali. E tuttavia, senza che l'impiego del faux-bourdon sia dichiarato in modo esplicito, il compositore vi fa ricorso saltuariamente, tenendo i piedi in due staffe e passando alternamente, con civetteria, da un'armonia arcaica per quarte e quinte all'uso, prevalente, della , cioè dell'armonia di terze e seste. Il contratenor, dunque, accoglie la melodia gregoriana, apportandovi solo poche e lievissime modificazioni: addirittura nessuna nel secondo e quarto versetto; nel primo e terzo sono aggiunte rispettivamente quattro e tre note, allo scopo di introdurre qua e là, nel tessuto uniforme del cantus p/anus, certe figure roteanti di quartine, che divengono un poco il perno e il germe della composizione. Non si può negare che il puro profilo melodico del gregoriano subisca qualche deturpazione da simili aggiunte, ma in realtà la melodia gregoriana del contratenor perde la propria autonomia, soppiantata com'è dalla nuova melodia del cantus, ed entra a far parte integrante d'un tessuto di armonie. Si guardi all'inizio della composizione: che bella progressione compatta di tre accordi! Un fenomeno simile non avviene per caso: chi inizia cosf un pezzo, ha chiaramente in testa l'idea di un modo di comporre armonico, ed alternativo rispetto alla scrittura a per accordi, diverso ., . plU VOCl.
Il tenor, al grave, è la struttura portante della generale concezione armonica del pezzo, che tira l'originario modo dorico dell'inno gregoriano verso un larvato Re minore. Singolari legami congiungono a tratti le altre due voci, cantus e contratenor, con parvenze occasionali difauxbourdon. Si veda l'inizio: per le prime quattro note, le due voci procedono per arcaici intervalli di quarta, soltanto che qui è il cantus fi,mus a fare il /aux-bourdon della voce
INNI
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superiore. Lo stesso fenomeno si ripete, per altre quattro note, nel terzo versetto (sulla parola e la prima sillaba della parola seguente). Il tenor non partecipa mai a queste tentazioni arcaiche dell'armonia per quarte. Il tenor fa la sua strada melodica, destinata a portare sulle spalle il senso armonico della composizione, e funge, si potrebbe dire, da grande suggeritore. Fin dall'inizio, quando il contratenor presenta la melodia gregoriana tale e quale, il tenor s'impossessa della seconda, terza e quarta nota una salita uniforme dal Re al Fa - e ne fa tesoro. Nel terzo versetto, quando queste stesse note, Re-Mi-Fa, sono passate al cantus, il tenor ci costruisce su una specie di galoppatina per terze ascendenti; questa galoppatina, ripresa nell'ultimo versetto dal cantus, diventa un Merkmal, un contrassegno specifico e quasi il punto culminante della composizione. Piccole cellule di tre note, o discendenti in forma di climacus, o ritorte in forma di torculus, allacciano i membri della composizione con le sottili maglie della variazione melodica. Il manoscritto di Cambrai presenta un bell' , molto vocalizzato, a tre voci libere, tutte d'invenzione. Audi, benigne conditor, Nostras preces cum fletibus In hoc sacro jejunio Fusas quadragenario. Scrutator alme cordium Infirma tu scis viriwn, Ad te reversis exhibe Remissionis gratiam. Multum quidem peccavimus Sed parce confidentibus: Ad laudem tui nominis Confer medelam languidis. Sic corpus extra conterit Dona per abstinentiam, Jejunet ut mens sobria A labe prorsus criminum. Praesta, beata trinitas Concede, simplex unitas,
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CAPITOLO SESTO
Ut fructuosa sint tuis Jejuniorum munera. Amen''.
5. «Ave maris stella». Inno ). Non è a dire quanto rilievo assuma l'esecuzione a tre voci nel momento centrale della composizione, ancorché possa sembrare un po' irrazionale, ed antieconomica, tale estensione dei mezzi vocali per un breve momento. In confronto agli Inni che già conosciamo, Alma redemptoris mater è composizione di superiore dignità e complessità polifonica. Ma, come bene osserva il Van den Borren, senza sfoggio di imitazione a canone, alla maniera che sarà poi dei fiamminghi, bensi'. nel senso di un libero gioco polifonico, interamente subordinato alle esigenze del1' armonia. Stupefacente è, per l'epoca, la coerenza tonale entro un chiarissimo Do maggiore. Se si va a vedere da vicino come è fatta la composizione, ci si accorge che, oltre al deciso predominio melodico della voce superiore, lanciata arditamente in aerei vocalizzi che di molto superano
AN'l'IF'UNE
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l'originaria cantilena gregoriana con aggiunta di note spesso numerose, il contratenor svolge un ruolo prevalentemente di basso armonico, quasi scampanando sui gradi della tonica (Do), della dominante (Sol) e della sottodominante (Fa), con brevi formule di raccordo tra un grado e l'altro. La parte dove il compositore spende il meglio della sua originalità (oltre che nei mirabili vocalizzi coi quali è ampliato il cantus /irmus nel superius) è il tenor. Qui la consueta arte della variazione melodica, tipica di Dufay, celebra i suoi trionfi. Si osservi, per esempio, il ritorno melodico che avviene nelle battute 9-11 e nelle battute 20-22; oppure, per una breve figura di tre note, nelle battute 25 e 27-28. Analoga arte di variazione melodica si ammira invece nella voce del superius, alle battute 35-41 e 49-52. Qui, con le variazioni ritmiche del caso (il tempo passa da 3/4 a 9/4 e 6/4), la battuta 49 è nient'altro che un'amplificazione melodica della battuta 35; la battuta 50 un riassunto melodico delle battute 36-40; le battute 51-52 corrispondono alle battute 41-42. La complicata notazione mensurale dell'epoca consente, ed anzi suggerisce al compositore sottigliezze che la nostra notazione more arithmetico mal si adatta a rendere: si guardi, per esempio, nelle battute 42-43, lo scavalcamento di battuta che avviene nella parte del tenor. La chiusa trionfalistica, per omoritmia compatta delle tre voci (cui se ne aggiunge una quarta supplementare) era un'abitudine cara a Dufay, di cui abbiamo già incontrato frequenti esempi nelle canzoni, per esempio nella giovanile Resvelliés vous, dove il nome dello sposo, Charle Malatesta, viene proclamato in questo modo dalle voci unite,. Un senso di devozione profonda e di raccoglimento si sprigiona dalle caste armonie di Alma redemptoris mater, mentre la voce superiore si slancia arditamente in mirabili vocalizzi, dove le note dell'originale cantilena gregoriana servono soltanto come puntelli, dai quali il cantus spicca il suo nuovo volo melodico. La dolcezza tutta moderna degli intervalli di terza si fa valere soprattutto nell'episodio cen' [Si veda supra, p. 81, e infra, p. 256].
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trale, a tre voci reali, e in quello che immediatamente gli fa seguito, sulle parole>. Alma redemptoris mater quae pervia coeli Porta manes et stella maris, succurre cadenti Surgere qui curat populo: tu quae genuisti Natura mirante tuum sanctum genitorem, Virga prius ac posterius, Gabrielis ab ore Sumens illud ave, peccatorum miserere•. (Hermannus Contractus,
2.
> [1925, pp. 143-44]. La linea melodica, per piccoli frammenti, soggetta a rapida declamazione (per la verbosità del 'Trento, ms 90, ff. 131v-132; ms 93, ff. 161v-162; Bologna, ms Q 15, ff. 157v-158; Aosta, Seminario Maggiore, ms 15, ff. 95v-96. Per il testo del Gloria si veda infra, p. 255, nota 5.
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testo del Gloria) ha un piglio quasi popolare, secondo il Van den Borren, ed è fortemente soggetta alla tonalità. Tali caratteri si accentuano ancora nel disegno rudimentale del basso, che alterna continuamente tra la tonica (Do) e la dominante (Sol). Pes si chiamava allora un modulo fisso di questo genere, antenato preistorico del basso ostinato in uso, assai piu tardi, nelle ciaccone e nelle passacaglie. L'effetto è di salubre, scampanante vigoria. Naturalmente la scrittura a quattro voci è puramente fittizia, ché le due tube si alternano di continuo mai suonando insieme, ma invece riducendo a poco a poco la durata dei loro rispettivi interventi, per cui alternandosi dapprima ogni quattro battute, nella trascrizione in 2/4 del Besseler (ogni due battute, nella trascrizione in 4/4 dei > [1960, p. II]. Strana conclusione, che porta queste due paginette isolate a disperdersi in mezzo alla raccolta delle ponderose Messe complete di Duf ay. Sembra che il volume dei Fragmenta missarum sarebbe stato la sua sede ideale, oppure quello delle Compositiones liturgicae minores, dato che anche ammettendo si tratti d'un frammento di messa (in questo caso nel senso letterale della parola, in quanto ci mancano gli altri due pezzi coi quali avrebbe dovuto far corpo), si tratta pur sempre d'un proprium missae e non di un ordinarium. L'aspetto di frammento il pezzo ce l'ha realmente: sembra proprio strano che un pezzo cosi breve e lieve godesse di autonomia e non fosse inserito in un contesto piu vasto. A parte ciò, è cosa di squisita delicatezza, soprattutto nella seconda parte, a due voci. Il testo, brevissimo, non ha nulla a che vedere con quello dell'inno Veni creator spiritus, da noi già esaminato', né con quello della sequenza Veni sancte spiritus (anch'essa facente parte della liturgia della Pentecoste), di cui si conosce una versione polifonica, d'autore sconosciuto, conservata nel celebre Glogauer Liederbuch della Deutsche 6 Staatsbibliothek di Berlino (ms 40098) • Sembra, questa, ' Si veda supra, pp. 189-94. 6
Nel LP «Voices of the middle ages» [si veda la Discografia], l'ensemble Cape/la antiqua Munchen (direttore Konrad Ruhland), fa seguire, senza soluzione di continuità, all'esecuzione dell'Alleluia« Veni sancte Spiritus» di Dufay, questo Veni sanete spiritus anonimo.
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composizione piuttosto rozza e ripetitiva, com'è del resto implicito nella struttura strofica della sequenza. La composizione di Dufay comincia con l'enunciazione all'unisono del!' Alleluia gregoriano per la domenica di Pentecoste, o, se si preferisce, comincia con l'incipit della suddetta sequenza, pressoché identico - con la differenza d'una sola nota in meno - all'Alleluia gregoriano. Le parole sono quelle, in prosa latina, di questo Alleluia: Alleluja. Veni, sancte spiritus, reple tuorum corda fidelium et tui amoris in eis ignem accende. Alleluja'
Dufay divide la breve composizione in due parti. La prima, a tre voci, sulla parola , che accoglie dalla melodia gregoriana la prima frase, fornendola di una tipica cadenza che è propria di Dufay e che consiste nel ribadire la finalis, già raggiunta (in questo caso, Re), con una breve perifrasi melodica, ravvivata ritmicamente da una nota puntata e, di conseguenza, da una nota diminuita. Poi l'Alleluia si sviluppa melodicamente per proprio conto, affidando la supremazia melodica alla voce superiore. Tenor e contratenor sono assolutamente subordinati, nonostante l'apparenza di alcuni arabeschi melodici che sembrano in principio animare la parte del contratenor. In realtà sono parti che, eseguite da sole, non presenterebbero alcun soddisfacente contenuto melodico, e traggono la loro giustificazione soltanto quali Ha,monietrager - portatrici d'armonia - del cantus o superius. Tutt'altro regime si instaura invece, appena la formazione vocale si riduce a due voci, sulle parole latine del versetto. Del!' Alleluia gregoriano viene soltanto salvata la formula iniziale, di modo dorico, poi la breve pagina si sviluppa in un contrappunto delicatissimo delle due voci, cantus e contratenor, a nessuna delle quali sarebbe possibile attribuire una prevalenza. Sono di pari grado, si muo7
Alleluja. I Vieni Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli: e accendi in loro il fuoco del tuo amore. I Alleluja»]. [ >, da cui si alimenta l'invenzione melodica di Dufay, ha buon gioco per affermarsi nelle volute sinuose e vocalizzanti del Sanctus, particolarmente negli inizi d'ogni episodio, dove le due voci superiori da sole si librano in piena libertà. Ma il sopraggiungere del tenor obbligato non è un impaccio anzi, talvolta stimola la ricchezza della melodia e la fa divampare piu alta, come l'aggiunta di legna secca in un fuoco. Cosf avviene, per esempio, nel . Non manca nemmeno qui la presenza frequente, nel superius e altrove, di quell'intervallo germinale di terza minore ascendente, Si-Re, col quale comincia il tenor Caput e che sembra quasi la matrice melodica di tutta la Messa (a partire dal Gloria). In genere l'intervallo di terza ascendente è un tratto caratteristico del melodizzare di Dufay, e specialmente nella Missa Caput. Si ricordi che un intervallo di terza minore ascendente è frequentissimo, per non dire onnipresente, come cadenza finale, quasi fosse una reminiscenza della trecentesca cadenza di Landino: lafinalis Sol viene generalmente ribadita attraverso un giro cadenzale come: Sol - La - Fa diesis - Mi - Sol. Ossia si perviene definitivamente alla finalis Sol direttamente dal Mi sottostante. Ora questo salto ascendente di terza minore, sulle piu diverse posizioni, è disseminato con larghezza lungo tutto il Sanctus. L'andamento generale del discorso si presenta quasi sempre come un melodizzare discendente, contraddetto spesso e rialzato da questi momentanei saltini ascendenti di terza minore. Ciò conferisce alla melodia quel suo decorso quasi planante, come di un aliante sottoposto ai giochi delle correnti d'aria. Ribadita la qualità impalpabile, quasi immateriale del1' aereo canto di Dufay, due piccoli particolari sono da rilevare nel Sanctus. Uno è la presenza ripetuta della triade perfetta, di cui un caso ci aveva già colpiti nel Credo. Qui que-
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sto misterioso stilema ricorre sei volte, su varie posizioni e in diverse voci (triade perfetta di Fa maggiore nel supe,ius alla battuta 40; triade perfetta di Sol maggiore nel superius alla battuta 55; triade perfetta di La minore nel superius alle battute 78-79; triade perfetta di Re minore nel tenor secundus alla battuta 81; triade perfetta di Sol maggiore nel superius alle battute 84-85; triade perfetta di La minore nel superius alla battuta 141). Per i primi cinque di questi casi si potrebbe supporre, con un po' di buona volontà, che ricorrano in corrispondenza di parole molto importanti e solenni del testo, come , , , . Nel Credo la triade ricorreva nei pressi della parola . Ma ahimè! Qui nella seconda parte del Sanctus, e precisamente nell' del l'ultima triade perfetta di La minore ricorre sulla preposizione , dal che tutte le nostre supposizioni risultano polverizzate. Altro particolare è la presenza di alcune dissonanze di seconda maggiore, sempre tra note Sol e La. Ciò parrebbe 11 contraddire quanto si diceva poc' anzi a proposito del condizionamento che la presenza del tenor, con le sue note obbligate, esercita sull'invenzione melodica delle altre parti, Ma si noti che qui nel Sanctus le cinque dissonanze Sol-La, del resto impercettibili nell'esecuzione corale, ricorrono sempre tra superius e contratenor, cioè tra voci d'invenzione libera: perciò sono deliberatamente prodotte, non sono dowte a una costrizione esterna. Come in ogni altro pezzo della Messa, anche il Sanctus alleggerisce spesso il pieno regime a quattro voci in aerei e flessuosi bicinii, per lo piu delle due voci superiori all'inizio di ogni sezione importante del testo. Ma non manca qualche altra combinazione, come quella, già vista nel Credo, di contratenor e tenor secundus: queste due voci sempre un po' in ombra qui vengono chiamate ad esibirsi da sole quando inizia l' del . Un caso insolito si ha nel corso del , che inizia, come di norma, col duo di superius e contratenor. Ma tosto il contratenor tace e lascia il posto al tenor, naturalmente, strumentale, cui tocca in questo momento di pro17
Cfr. supra, p. 277.
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nunciare il suo frammento C. Esso viene cosi enunciato con grande rilievo, sotto l'agile filigrana del superius, e ha modo di far valere pienamente la qualità struggente, si potrebbe dire, lo Streben (aspirazione, tendere a qualche cosa) di quei tre Sol, faticosamente raggiunti.
2.5. . Anche questa parte della messa è lirica: invocazioni, non concetti. Nella rarefazione delle parole l'invenzione melodica di Dufay si libra come un uccello nell'aria, nel suo continuo stile di variazione impercettibile. Anche qui s'inizia col solito > costituisce la seconda parte, in tempus imper/ectum, 4/4, e qui - caso unico - il lungo frammento C del tenor Caput non viene ripetuto. Si ha perciò il seguente ordinamento dei frammenti del tenor: A-B-AB-A-C-D-E-F. In questa seconda parte il tenor secundus s'impadronisce d'una figura melodica dagli ampi intervalli scampananti (Re-La-Sol), e lo ripete piu volte, ora con una nota aggiuntiva al principio, ora alla fine, una volta anche intercalata. Ma non si percepisce molto, soverchiato com'è nel plenum delle quattro voci.
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Scompare, da tutte le voci, la figura della triade perfetta, maggiore o minore, la cui presenza ci aveva intrigato nel Credo e nel Sanctus. Non manca la consueta disseminazione melodica dell'intervallo di terza minore Si-Re, ma con minore insistenza che nel Gloria. Permangono due casi di dissonanza tra superius e contratenor, uno talmente atroce (sull'ultima apparizione della parola nel terzo ) da far pensare a un errore di lettura o di scrittura. I consueti alleggerimenti del regime polifonico dànno luogo, per lo piu, ai soliti duo di superius e contratenor al principio di ogni episodio importante; ma, come s'è detto, anche a una momentanea emergenza di supe,ius e tenor soli, nel secondo , tosto seguita da un breve duo delle ''voci in ombra'', cioè contratenor () e te-
nor secundus. Di questo Agnus dei si conservano le parti a due voci in un frammento manoscritto di Coventry (The Coventry Corporation, ms A. 3, ff. I-Iv): documento che, per quanto cosi mutilo e incompleto, prova tuttavia la diffusione di questa Missa Caput, di stile inglese, nelle isole britanniche. 3. «Missa Se la /ace ay pale».
In un certo senso è la piu famosa tra le Messe di Dufay, in quanto è la prima che sia stata pubblicata per intero in edizione l:!loderna, nel 1900, per i [Adler e Koller 1900]. Fin dal 1834 il Kiesewetter ne aveva pubblicato il primo Kyrie come esempio nella sua Geschichte''. Già prima di curarne la pubblicazione negli opera omnia, il Besseler l'aveva pubblicata per intero in altra edizione [I951a]. Ci giunge attraverso due manoscritti, uno della Cappella Sistina, che è il testo prevalentemente seguito dal Bes1 seler, e l'altro dei codici di Trento ' , che fu seguito invece 18
Kiesewetter [1834, app. n. 5]. Nella stessa appendice è incluso anche il Kyrie della Missa L 'homme a,mé. [Si veda infra, p. 300]. '' Città del Vaticano, Biblioteca Vaticana, Cappella Sistina, ms 14, ff. 27v-38; Trento, ms 88, ff. 97v-105.
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nell'edizione del 1900. Il manoscritto di Roma reca le parole della messa dappertutto, ma - dice il Besseler' - . Nel codice di Trento il testo è applicato soltanto nella voce superiore. Sembra evidente, dal tipo di scrittura, che tutte e quattro le voci debbano essere realmente cantate. Siamo perciò sulla via che conduce al definitivo insediamento dello stile > (ibid.), e riesce in questo intento in maniera piu appariscente che il tenor. Anche quest'ultimo contribuisce senza dubbio non poco all'unità totale, ma in una forma che soltanto all'analisi può rivelarsi effettivamente. Cosi afferma il Van den Borren, ed aggiunge poeticamente: . Invece il ''motivo di testa'', all'inizio d'ogni pezzo, (ibid.). 3. 1. >.
Il Kyrie di questa Messa è, naturalmente, tripartito, non essendoci piu da osservare l'usanza inglese di cantarlo in stile monodico. Perciò Dufay non l'ha piu tropato, come aveva fatto nella Missa Caput, ed il pezzo ne risulta per-
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tanto sensibilmente piu corto che gli altri, specialmente piu corto che il Gloria e il Credo. La distinzione delle tre invocazioni tre volte ripetute (tre , tre , tre ) è ben marcata, sia dalla mutazione di tempo - ternario semplice nelle due parti esterne, e il modus minor perfectus, cioè 3 x 2/4, nella sezione centrale), ma soprattutto per il fatto che mentre i due esterni sono a quattro voci, con tenor, il centrale è a tre voci, e il tenor tace. Perciò v'è proprio una specie di infossatura, di avvallamento fonico e dinamico nella parte centrale del pezzo. Il tenor viene consumato tutto intero una volta sola, metà nel corso dei primi tre , l'altra metà nel corso dei secondi tre «Kyrie>>. Il ''motivo di testa'' si presenta all'inizio del pezzo, e all'inizio del «Christe>>; non all'inizio del secondo . Come s'è detto or ora, la citazione iniziale del ''motivo di testa'' non è esattamente quale esso apparirà in seguito, all'inizio di Gloria, Credo, Sanctus e Agnus dei. C'è appena il tetracordo discendente Do-Sol, ma poi, invece di ritorcersi sul Do iniziale, come in tutti i casi futuri, il motivo se ne va avanti per conto suo, in ulteriore discesa, terminando però sul Re, come avviene anche negli altri pezzi. Altra differenza notevole, la seconda voce, il contratenor, non lo echeggia immediatamente in contrappunto, come avverrà negli altri pezzi, ma piazza una triade perfetta di Do maggiore, che sottolinea ulteriormente questa tonalità, implicita nel ''motivo di testa''. Ogni volta questo motivo impone o suggerisce la tonalità di Do maggiore, e quindi stabilisce, per cosf dire, la trama armonica del pezzo, che consiste nel giungere alla fine, dal tono di Do maggiore, affermato per gran parte d'ogni pezzo, a una conclusione in modo lidio, cioè modo di Fa. La seconda volta che il ''motivo di testa'' appare, nel , è un tantino piu ortodosso, cioè dopo il tetracordo discendente Do-Sol segue la ritorsione sul Do di partenza, ma poi la melodia se ne va per conto suo, e non raggiunge piu il previsto Re grave, bensi indugia nel tono di Do maggiore. Neanche qui il motivo viene echeggiato nel
contratenor. I singoli pezzi sono abbastanza sviluppati, pur non es-
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sendo lunghi, e affermano una sonorità piena a quattro voci, salvo il , dove non solo manca del tutto il tenor, ma anche le altre tre voci non cantano sempre insieme, avendosi prima un duo di superius e contratenor, poi di contratenor e tenor bassus, poi di supe,ius e tenor bassus, e solo nella chiusa le tre voci insieme. Quindi è evidente il proposito di dare al il carattere d'un lavoretto di fino, in contrasto con la pienezza fonica dei due . Le voci procedono con quel movimento di variazione libera che conosciamo bene, che ne rende quasi impalpabile il decorso. Ll per li sembra giusta l'osservazione del Van den Borren, che nella Missa Se la /ace ay pale c'è poco contrappunto (e tuttavia, osserviamo, piu che nelle precedenti messe da noi studiate), e niente omofonia. Però a guardar bene l'omofonia non è totalmente assente, come a tutta prima parrebbe davvero di potere affermare, considerando il libero movimento delle voci, che vanno, vengono, s'incrociano, si sfiorano, ma sembrano sempre dotate di piena autonomia. In realtà, occasionali procedimenti omofoni talvolta si nascondono, quasi clandestini, nell'intreccio delle voci. Non certo estesi a tutte quattro le voci, in quello stile di proclamazione che piaceva tanto al Dufay giovane, e che gli serviva per annunciare solennemente il nome di Gesu Cristo nella Missa sine nomine, o quello di Carlo Malatesta nella canzone Resvelliés vous. No, si tratta per lo piu di occasionali e brevi andamenti omofoni tra due voci, una delle quali è spesso il tenor bassus, assai servizievole nei riguardi delle altre voci, e sempre pronto a porgere il braccio a questa o quella. Si guardi, nel primo , che buona compagnia fa il tenor bassus, al tenor vero e proprio, e nel terzo il tenor bassus se la intende abbastanza bene col contratenor. Questo tenor bassus, pur essendo ben cantabile, e anzi, non privo d'inflessioni popolaresche, è ormai un palese sostegno armonico della composizione. Durante il quinto si produce quello che vorrei chiamare l'esplosione del tenor, e che ritroveremo anche negli altri pezzi. Cioè quel motivetto di fanfara, quella girandola sulle note dell'accordo perfetto di Do maggiore che avviene nella chiusa della canzone Se la /.ace ay pale, si
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comunica anche alle altre voci, e il tenor diventa, come s'è detto, tematico. Nel sesto ed ultimo avviene la difficile riconduzione del decorso melodico e armonico della composizione dal tono di Do maggiore, cosi trionfalmente affermato, al modo lidio, cioè allafinalis Fa. In questa vicenda tonale presente in ognuno dei cinque pezzi della Missa Se la /ace ay pale, in questa altalena tra Do e Fa, tra la modernità profana del tono di Do maggiore e l'arcaismo gregoriano del modo lidio, sembra quasi concretarsi e ripetersi, come in una cerimonia, quella vicenda che il Carducci [1893] descrisse in una bellissima pagina sull' ars nova toscana del Trecento: Tutto nel medio evo sapeva d'incenso, né v'era cantuccio ove non strisciasse un lembo di tonaca: cosi il suono dell'organo doveva naturalmente ricoprire ogni altro suono. La musica, come tutte le arti, usciva di chiesa per farsi profana; s'inebriava un cotal poco dell'aria aperta, tastava le belle villane e dicea fioretti alle gentil donne, ballonzolava per le piazze, per le sale e per le corti, ma studiavasi poi di essere a tempo per ritornare la sera devotamente in chiesa a dir compieta.
3.2. .
Uno dei movimenti lunghi della messa, con molte parole da smaltire. Perciò il tenor, Se la /ace ay pale, che nel Kyrie aveva perfino potuto tacersi durante un settore, qui non solo ha poco agio di tacere, ma dovrà essere usato tre volte, come prescrive il canon premesso nel manoscritto: la prima volta in tripla aumentazione, la seconda in doppia aumentazione, e la terza ut;acet, cioè come sta, coi suoi valori normali, non prolungati. La prima formulazione del tenor, dopo un inizio a due voci di supe,ius e contratenor, ha inizio alle parole , e dura fino a , con poche e brevi interruzioni. Il viene di nuovo iniziato dal duo delle voci superiori, e il tenor entra per la seconda volta sulle parole , durando con qualche breve pausa fino a (una delle pause è al , iniziato da un duo delle ''voci in ombra'', cioè contratenor e tenor bassus). Infine la terza apparizione del tenor va dal alla
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fine, ed è naturalmente rapida, essendo brevi i valori delle note. Come già sappiamo l'altro elemento fondamentale nella struttura del pezzo è il ''motivo di testa'', cioè quella figura tematica che si presenta all'inizio d'ogni pezzo della Messa, ed anche all'inizio di suddivisioni interne di qualche importanza. Nel Gloria il Van den Borren ne ha riscontrato sei apparizioni, precisamente: al principio; alle parole > che s'imponeva ai musicisti quando cominciò a diffondersi l'uso di musicare interamente l'ordinarium missae, anziché accozzare insieme singole parti di messa. > [1925, p. 126]. Ciò che viene alla luce è un >. Eppure, conclude il Van den Borren, > [1966, p. 290].
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Ben poco si sa sul celeberrimo tenor, L 'homme a,mé, che tanta fortuna incontrò da essere usato in oltre trenta messe, nel Quattro e Cinquecento, e perfino ancora in qualche caso nel Seicento, dopo cioè che il Concilio di Trento aveva proibito l'uso di tenores profani. Oltre a Ockeghem e Duf ay si ricordano Josquin Desprès e Palestrina tra quelli che ne fecero uso, e nel Seicento, Carissimi. Il Van den Borren si riferisce interamente alle ricerche di Miche} Brenet, il quale d'altra parte non era ancora in grado di conoscere interamente né il testo né la melodia della canzone, e parlava della > [1925, p. 142]. E piu tardi lo studioso belga ritornava sul1' argomento: > [1964, p. 248]. Secondo il Besseler il tenor, L 'homme a1mé potrebbe essere anteriore al 1430, poiché nella messa di Ockeghem lo si trova scritto in una notazione (con prolatio) andata in disuso dopo quella data. Dufay scarta la vecchia notazione con prolatio e usa il tempus perfectum. Questa forte retrodatazione del tenor proposta dal Besseler renderebbe improbabile, ma non assolutamente impossibile l'ipotesi avanzata da altri studiosi che la melodia de L 'homme a,mé si debba ad Antoine Busnois, il terzo grande della fioritura musicale borgognona, compositore di cui non si conosce la data di nascita, bensi quella di morte: 1492. Secondo il citato Miche! Brenet, . Occorre in ogni caso asserire che, d'autore o no, la melodia L 'homme a,mé coi suoi tratti tonali ben marcati, la sua primitiva regolarità ritmica, la sua disadorna semplicità, ha carattere spiccatamente popolare o popolaresco che dir si voglia. (Da notare, però, che anche il Busnois è uno degli autori che sul tenor L'homme a1mé scrissero una messa). L'impiego di questo cantusfi1mus è, come avremo occasione di constatare, diverso da quello che Dufay aveva fatto del tenor Caput e di Se la /ace ay pale. In queste due messe l'impiego del cantusfi,mus era rigido e confinato alla voce del tenor. (Cosi almeno affermano gli studiosi. Noi ci
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siamo compiaciuti a rilevare qualche sconfinamento del cantus fi,mus nelle altre voci, raro per la verità, in alcuni passi della Missa Se la/ace ay pale). Nella Missa L'homme a,mé Dufay permette saltuariamente al cantus fi,mus di comunicarsi dal tenor anche ad altre voci, secondo un uso che diverrà frequente nel Cinquecento. Inoltre lo sottopose a vari tipi di modificazioni, che rileveremo nel corso dell'analisi, mentre invece nella Missa Caput e nella Missa Se la /ace ay pale il tenor era bloccato rigidamente sopra un'unica formulazione, che si ripeteva senza varianti. La Messa di Dufay ci è conservata dal ms 49 della Sistina e anche dal ms 14, che però contiene solo Kyrie e Gloria. Un terzo manoscritto fu scoperto piu tardi a Edi.mburgo2'. Nei manoscritti romani la notazione reca Si bemolle in chiave nelle tre voci inferiori (contratenor, tenor e bassus) e non nel superius (pare che il ms 14 rechi il Si bemolle nel superius, ma cancellato). Ciò pone qualche difficoltà nell'interpretazione armonica e modale della Messa. I primi studiosi e trascrittori (Ambros, Kiesewetter e Rochlitz) la intesero come una composizione in schietto Sol minore, quale è il tenor. Invece gli studiosi piu recenti s'accordano a vedere nella Missa L 'homme a,mé un modo dorico (cioè modo di Re) trasposto alla quarta superiore mediante l'introduzione di un bemolle. Certo è che, grazie a quel Si bemolle presente in tre voci e mancante nella prima, .
Anche in questa Messa il Gloria è una grande riuscita, nello stile maestoso d'una ricca polifonia, già pre-cinquecentesca. Inizia subito a pieno regime, ché in quest'ultima sua Messa Dufay ha abbandonato l'abitudine di iniziare ogni pezzo della messa con un prologhetto a due voci, come avevamo visto nella Missa L 'homme a,mé. Il cantus firmus, spesso sottoposto a varianti, conduce lungo il pezzo il filo della sua piana melodia, caratterizzata specialmente dal modo sempliciotto di scendere dolcemente sullafinalis (Do) dal grado superiore (Re), entro il disegno d'una clausola conclusiva gregoriana di quasi infantile innocenza. Ali' interno della frase il tenor si caratterizza specialmente per l'ascesa lenta, quasi lo sforzo con cui raggiunge la nota piu alta (Sol), generalmente partendo dal tetracordo ascen-
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dente Do-Fa; in queste note piu acute, martellate per valori lunghi, il tenor si comporta come un corale bachiano. Generalmente il tenor non assurge a funzione tematica, ma resta piuttosto in una funzione di citazione. Nelle altre voci predomina piuttosto il tetracordo discendente del ''motivo di testa'', almeno come punto di partenza, che poi viene prolungato in derivazioni incessanti di libera polifonia, avviluppantesi intorno al tenor. La scrittura contrappuntistica, di cui nelle messe precedenti cercavamo gli esempi come casi eccezionali, qui diventa una norma quasi costante: un contrappunto per lo piu assai libero, che ha ormai la naturalezza e la disinvoltura d'un linguaggio abituale. Dopo la prima frase del Gloria ne troviamo subito un bellissimo esempio in quelle quattro proclamazioni: • quando le altre due sono ancora impegnate col . Il tenor, che procede per valori molto lunghi, salta il ; poi, essendosi indugiato a vocalizzare lungamente sull' e del «Christe •>, di stroficità simmetrica che comincia a stabilirsi nelle forme, finora sempre fluide e sfuggenti, della polifonia quattrocentesca). Le quattro voci si riuniscono poi compatte, in tre accordi omoritmici, sulle due sillabe dell' . Con un vero e proprio duo, ben pronunciato, comincia invece il , e subito questo discorsetto di superius e contratenor in imitazione a canone ci ricorda qualche cosa: ci ricorda il del Credo collocato nella medesima posizione, all'inizio del secondo episodio. Anche la condotta delle voci è assolutamente simile, ma diverso, pur nell'analogia, il contenuto melodico e perfino il taglio delle frasi. Si noti un particolare che conferma per l'ennesima volta la finezza sempre variata delle strutture analoghe, ma non ripetitive, di Dufay. Tanto questo episodio a due voci del Sanctus quanto il del Credo constano praticamente di due frasi; orbene, la seconda frase del > comincia con il tetracordo discendente del ''motivo di testa'' (Do-Sol); la seconda frase del comincia col tetracordo ascendente (Do-Fa), derivante dal cantusfi1mus.
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Somigliantissima è, nel Credo e nel Sanctus, la conclusione dell'episodio a due voci, o meglio il suo trapasso nella continuazione a tre, poi a quattro voci, trapasso appoggiato a un robusto Do grave del bassus. Anche nel primo , nonostante la sua pienezza gloriosa di suono, si annida una breve parentesi a_due • • • • • • voci, con supenus e contratenor 1n 1m1taz1one a canone. Quando si ristabilisce il regime a quattro voci c'è da notare che, per effetto dell'imitazione a canone, ora tra superius e tenor, la melodia del cantus fi1mus, giunta all'ultima delle frasette di cui è composta (cinque o sei, secondo come la si vuol suddividere) si comunica anche alla voce superiore: tetracordo ascendente Do-Fa e terminazione sulla /inalis Do con una tipica cadenza gregoriana. Il «Benedictus>> è un vero e proprio duo, indicato come tale, simmetrico a quello contenuto nel Gloria, ma diverso (nel Credo non ce ne sono; ci sono solo episodi a due voci inseriti nel contesto della composizione). A metà (inizio della parola ) si nota un richiamo al tetracordo discendente Do-Sol del ''motivo di testa'' Sempre ''motivo di testa'' e cantus /i1mus (cioè l'Ave regina coelorum) si comportano come i due poli della composizione: ci sono pezzi che stanno sotto l'egida dell'uno, e pezzi che si riferiscono all'altro motivo, e insieme dai due elementi si genera una specie di tensione assai favorevole allo svolgimento del discorso musicale. Beninteso, sarebbe assurdo, e anacronistico parlare di due temi in senso sonatistico. E piuttosto come un'alternanza di due climi: quello musicale del tetracordo discendente iniziale, e quello suggerito dal cantus fi1mus col suo tetracordo ascendente, in cui è racchiusa la matrice del motivo parsifaliano. Col si è instaurato il tempo imperfetto, che continua anche nel secondo «Osanna>>, naturalmente a quattro voci. Il tenor riprende il cantus /i1mus nella formulazione del suo secondo versetto, che è forse il piu significativo, o per lo meno il piu caratterizzato con tetracordo ascendente iniziale e la culminazione sul Sol acuto. La chiusa è pressoché uguale, salvo una lieve amplificazione melodica nel superius, a quella del precedente .
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5.5. d'un Pisanello. La mistica innocenza del Beato Angelico, e chete, silenziose armonie cli borghesi interni fiamminghi: Van Eyck, Memling che dipinse il ritratto cli Carlo il Temerario, ultimo duca cli Borgogna dopo il lungo governo cli Filippo il Buono. Al giovane principe, allora conte di Charolais, Dufay legò nel suo testamento . Ma, giovane e impetuoso com'era, simpatizzava coi moderni: Antoine Busnois e il grande maestro fiammingo Ockeghem, pur continuando a circondare cli rispettosa venerazione il buon canonico cli Cambrai. Certo, Dufay, nonostante l'evoluzione progressiva della sua arte, dovette conoscere da vecchio l'amarezza cli essere «superato» dalla generazione seguita alla sua. Lo comprendiamo dalla·
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passione con cui Johannes Tinctoris, grande teorico in odore di passatismo conservatore, difende lui e il suo coetaneo Binchois, e il loro predecessore inglese John Dunstable, nel Liber de arte contrapuncti, scritto a Napoli nel 1477, tre anni dopo la morte di Dufay: . Cosi noi si difenderebbe Strawinsky di fronte all'alluvione dell'espressionismo, e Dallapiccola e Petrassi di fronte alle frettolose liquidazioni del1' avanguardia. Credette Cimabue nella pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, si che la fama di colui è oscura. Cosi ha tolto l'uno all'altro Guido la gloria della lingua; e forse è nato chi l'uno e l'altro caccerà dal nido. Il succedersi delle generazioni artistiche è fertile di tali scavalcamenti. Bonagiunta da Lucca, in Purgatorio, quando udi Dante proclamare il proprio credo poetico (), subito riconobbe . Quale nodo riteneva Dufay, Binchois e i minori maestrini della scuola borgognona, come Lantins, Grenon, Fontaine, di qua dalla maestosa solennità fiamminga? Non avevano la boria del contrappunto. Dufay poteva scrivere per imitazione a piu voci tanto bene come Obrecht e Ockeghem, specialmente nella sua vecchiaia. Perché non lo faceva? Per educazione. Perché era uomo civile e garbato, e niente era piu alieno dai suoi gusti che tediare il prossimo con lo sfoggio della propria bravura. Le entrate a canone di Dufay restano, per lo piu, degli incipit. Poi le voci si ritrovano, una aspetta l'altra per procedere insieme, oppure anche se ne vanno ognuna per conto suo, in una libera polifonia non imitativa che, una volta dimesso il giovanile entusiasmo per l'uso delf"'ux-bourdon, diventa lo stile fondamentale della musica di Dufay. Essa si colloca perciò veramente fra Tre e Quattrocento: dà la mano all'An nova italiana e francese (Guillaume de Machault) nelle canzoni profane (sette su testi italiani e ottanta su testi francesi), nelle prime tre delle nove Messe rimasteci, nella quasi to-
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talità delle trentanove parti staccate di messe (talvolta riunite a due a due, Gloria e Credo, Sanctus e Benedictus), negli Inni ed Antifone o nei piu antichi dei trentadue mottetti latini (di cui otto profani), ancora legati alla laboriosa tecnica dell'isoritmia. Cioè la costruzione d'ogni sezione del mottetto sopra una talea (figurazione di note, tema) costante e immutabile nel profilo melodico, ma sottoposta a variabili > quasi precursore dell'arte impegnata, in confronto all'anonima severità liturgica della polifonia quattro-cinquecentesca. Massima testimonianza dell'attitudine di Dufay ad immergere la propria arte nella realtà circostante della vita pubblica e privata resta la già ricordata Lamentatio Sanctae Matris Ecc/esiae Constantinopo/itanae, scritta nel 1454 per il famoso che si tenne a Lille il 17 febbraio, su iniziativa del duca di Borgogna Filippo il Buono. Commosso e indignato per il crollo dell'Impero Romano d'Oriente, il buon sovrano di Dufay avrebbe voluto nientemeno che promuovere una nuova crociata. Il mottetto del nostro compositore, sopra un testo francese di lamento messo in bocca alla chiesa costantinopolitana, e tropato con un Tenor latino tratto dalle Lamentazioni di Geremia con accorta allusione («Omnes amici eius spreverunt eam») conferisce vibrazioni epiche al lutto della cristianità, dando voce a un musicale sentimento del tempo e della storia. Un curioso colorito russo sembra rivestire il melos del Tenor per voce di basso, che richiama irresistibilmente alla memoria l'esotico canto delle schiave persiane nel quarto atto della Kovanscina. Dello straordinario banchetto in cui la composizione di Dufay venne eseguita, con elementi scenico-rappresentativi, resta una pittoresca descrizione nei Mémoires di Olivier de la Marche (ca. 1425-1502) e nella Chronique di Mathieu d'Escouchy. Dopo la •roi)z" e magrolina consistenza della Missa sine nomine (forse 1420), della Missa Sancti Jacobi (ca. 1426-28) e della Missa Sancti Antonii Viennensis, tutte a tre voci, ma le ultime due rimpolpate dall'impiego delfaux-bourdon, è con la Missa Caput,
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del 1440, che Dufay accoglie definitivamente lo stile a quattro voci, conseguendo una pienezza di suono, un equilibrio di parti in sé autonome (mentre nello stile a tre voci delle Kantilenen-Messen il Supe,ius prevaleva decisamente sopra le altre due voci in funzione di sostegno quali Ha,monie-Triiger), che le pone apertamente sulla strada della grande polifonia fiamminga. Ma la Missa Caput (cos{ detta dal nome del Tenor, che Dufay assume per la prima volta a cardine d'una Messa) è legata per qualche occasione sconosciuta alle norme della liturgia inglese (per esempio tutti i pezzi sono bipartiti, e il Kyrie, che nell'uso inglese non veniva cantato polifonicamente, ma intonato all'unisono su una melodia gregoriana, Dufay lo aggiunse nel 1463, cioè nell'età della sua piena maturità, ma gli mantenne forma binaria, intonando solo Kyrie eleison e Chri.ste eleison, senza ripresa del Kyrie). La piena e maestosa maturità polifonica dello stile a quattro voci, inaugurato con qualche timidezza nella Missa Caput, si spiega nella messa Se la /ace ay pale, databile intorno al 1450. A passare dalla Caput a questa si ha l'impressione, per cos{ dire, di cambiar di secolo: uscire dalla magrezza adolescente del Quattrocento ed entrare in una specie di anticipazione del Rinascimento. Il Tenor, profano, è la melodia d'una ballata a tre voci dello stesso Dufay, forse di derivazione popolare e tipico esempio di chanson équivoquée, cioè con ricercati giochi di parole tra >. Cala cosi la notte su cli lui, tanto che nel 1880 uno studioso piemontese, F. Saraceno, imbattendosi nel nome cli Dufay in alcune carte dell'Archivio cli Stato cli Torino, lo prende per un Carneade qualunque e non s'avvede dell'importanza del ritrovamento. Tuttavia l'eclisse della fama cli Dufay dura soltanto fin verso la metà dell'Ottocento. Il romanticismo s'impadronisce del suo nome in maniera fantasiosa ed altamente improbabile con una novella La vieillesse de G uillaume du Fay, pubblicata nel 18 37 in un giornale cli mode parigino. Fr. X. Haberl ne dà un riassunto, non cli prima mano, bensi dedotto da una recensione della >, VIII, pp. 265272. Beaune, H. e Arbaumont, J. d' 1883-88 (a cura di), Mémoires d'Olivier de la Marche maitre
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453
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1954
>, XXIII (1988), pp. 38-92. Per ciò che concerne invece i rapporti di Dufay con la corte estense utile è la lettura del volume di L. LOCKWOOD, La musica a Fe,,ara nel Rinascimento, il Mulino, Bologna 1987, in particolare alle pp. 50-57 e 67-80.
NOTA BIBLIOGRAFICA 1997
Ad arricchire la già copiosa letteratura su Nuper rosarum flores concorre il saggio di H. RYSCHAWY e R. w. STOLL, Il significato del
nu,ne,-o nella composizione di Guillaume Dufay: 'Nuper rosarum flores', ora disponibile nel volume miscellaneo a cura di C. De Incontrera, Viaggio in Italia, Teatro Comunale di Monfalcone, 1989, pp.45-115. La versione originale [Die Bedeutung der Zahl in Dufays Kompositionsart: Nuper rosarum flores] era apparsa in le cui parti si succedono nel seguente ordine: 1) lntroitus, In medio ecclesiae; 2) Kyrie; 3) Gloria; 4) Graduale, Os ;usti meditabitur sapientiam; 5) Alleluia, Anthoni, compar inclite; 6) Credo; 7) Offertorium, Veritas mea; 8) Sanctus; 9) Agnus Dei; 10) Communio, Domine, quinque talenta. Secondo lo studioso la messa fu eseguita nella Basilica del Santo a Padova il 13 giugno 1450, festa di sant'Antonio, per la consacrazione ufficiale dell'altar maggiore, opera di Donatello. La prima esecuzione moderna è stata realizzata a Padova, davanti allo stesso altare, il 22 ottobre 1986, giorno di san Donato, ad opera dello Hilliard Ensemble. Dello stesso autore sul medesimo argomento cfr. Dufay 's Mass /or St. Anthony of Padua: reflections on the career of bis most important work, in «Musical Times>>,
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE E DISCOGRAFICHE
CXXIII (1982), n. 1673, pp. 467-70. Sempre del Fallows è apparso in Italia Du/ay and the Mass Proper Setting o/ Trent 88, in I
codici musicali trentini a cento anni dalla loro riscoperta. Atti del Convegno: Laurence Feininger, la musicologia come missione (a cura di N. Pirrotta e D. Curti), Provincia Autonoma di Trento, Trento 1986, pp. 45-59. Al tema specifico della «proportio», capitolo importante quanto spinoso della notazione del xv secolo, è dedicato il saggio di R. M. Nosow, Le proporzioni temporali in due Messe di Dufay: 'Se la /ace ay pale' e 'Ecce ancilla Domini', in , XXVIII, (1993), n. 1, pp. 53-77. Per approfondire i problemi relativi alle notazioni in uso nel 1400 il testo di riferimento è w. APEL, La notazione della musica polifonica dal x al xvzr secolo, a cura di P. Neonato, Sansoni, Firenze 1984. Non totalmente votati all'opera del compositore franco-borgognone e tuttavia imperniati sul celeberrimo tenor che Dufay (e poi molti altri) impiegò in una sua messa, sono due saggi di M. CARACI VELA,
Fortuna del 'tenor' L 'homme a,mé nel primo Rina-
scimento, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», IX (1975), pp. 171-204; Un capitolo di arte allusiva nella prima tradizione di Messe 'L'hommea,mé', in «Studi Musicali>>, XXII (1993), n. 1, pp. 3-2 l.
Allargando l'orizzonte alla letteratura specialistica in lingua straniera la bibliografia su Dufay assume proporzioni tali da imporre una severa selezione. Ci soffe:rtncremo dunque soltanto sui contributi di autori che, avendo in questi ultimi anni studiato con assiduità Dufay, abbiano sollevato questioni rilevanti intorno alla sua biografia e alla sua opera. La voce «Dufay, Guillaume>> redatta da Charles Hamm per il Grove's Dictionary o/ Music and Musicians (1980) resta un riferimento importante, soprattutto per quanto riguarda il catalogo delle opere. Fondamentale è la già citata monografia di D. FAJ.1.ows, Dufay, Dent, London-Toronto-Melbourne 1982 (ed. riveduta Vintage, New York 1988; è imminente una riedizione), utile riferimento anche per ciò che concerne bibliografia e « Classified list of works». Dello stesso autore meritano attenzione buona parte
NOTA BIBLIOGRAFICA 1997
dei numerosi contributi apparsi in questi ultimi vent'anni. Aggiungiamo a quelli già menzionati: Two more Dufay Songs Reconstructed, in «Early Music», III (1975), pp. 358-60; IV (1976), p. 99 (a complemento di questo saggio va letto, di M. BENT, The
Songs
o/ Dufay: Some Questions o/ Fo,m and Authenticity, ibid.,
VIII (1980), n. 4, pp. 454-59); Du/ay and Nouvion-le-Vineux:Some Details and a Thought, in «Acta Musicologica>>, XLVIII (1976), pp. 44-50. Lettura imprescindibile per interpreti e studiosi di prassi esecutiva quattrocentesca è il saggio Specific in/ormation on the er.,embles /or composed po/yphony, I 400- I 4 74, in s. BOORMAN (a cura di), Studies in the Performance o/ Late Medieva/ Music, Cambridge University Press, 1983, pp. 109-59 (ora in Songs and Musicians in the Fifteenth Century, Variorum, Ashford 1996, insieme ad altri contributi dello stesso autore). In Italia sono usciti recentemente: Po/yphonic song in the F/orence o/ Loten-
zo 's youth, ossia The provenance o/ the manuscript Ber/in 78 .C .28: Naples or F/orence?, in P. GARGnJLO (a cura di), La musica a Firenze al tempv di Lorenzo il Magnifico. Atti del Congresso internazionale di studi. Firenze 1992, Olschki, Firenze 1993, pp. 47-61; e Leonardo Giustinian and Quuttrucento po/yphonic song, in R. BORGm e P. ZAPPALÀ (a cura di), L'edizione critica tra testo musicale e testo letterario, Lim, Lucca 1995, pp. 247-60. Negli anni Ottanta si annunciava una monografia su Dufay a firma di Alejandro Enrique Planchart. Non ci risulta il volume sia finora apparso. Tuttavia il Planchart, autore negli anni Settanta di numerose registrazioni dedicate a musiche di Dufay, alla guida del complesso Cape/la cordino, ha fornito nel frattempo alcuni contributi di rilievo soprattutto per ciò che concerne laricognizione del periodo 1440-50: Guillaume Du Fay's Benefices and His Relationship to the Court o/ Burgundy, in HMA 190939, 0].
Musica profana. «Adieu m'amour. Chansons und Motetten», Thomas Binkley, Studio der fri.ihen Musik, Miinchen, EMI ELECTROLA 1 c 063 30 124 G [rist. CD: EMI 7634262]. Contiene 11
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE E DISCOGRAFICHE
chansons: Bon jour, bon mois; Helas mon dueil; Pour l' amour, Ce mois de may; Se la /ace ay pale; ]' atendray; Craindre vous vueil; Ce jourde l'an; Adieu m'amour, Ve,gene bella; Quelfronte signori/le; il mottetto Mirondas parit. Contiene anche 2 mottetti isoritmici: Magnanimae gentis; O gemma, lux et speculum; l'inno Christe redemptor omnium ( ?).
Miscellanea. , Safford Cape, Pro Musica Antigua, Bruxelles, ARCHIV PRODUKTION. DGG 14019 mono [rist. CD: ARCHIV PRODUKTION >, K. Otten, Syntagma Musicum, EMI co47-24370. Contiene l'antifona mariana Alma redemptoris mater ( ?); l'inno Aurea luce; il mottetto Flosf/orum; un Magnificat (?);un Benedicamus Domino(?); un Tantum ergo[?]. Contiene anche 6 chansons:
Adieu m 'amour; Frane cuer, La belle se siet; Quel fronte signori/le; Resvelons nous; Vergene bella.
Musica profana. [Musica profana: 16 chansons], David Fallows, Musica Mundana, ARCH. 1751. Contiene Resve/liés vous; J'ay mis mon cuer,
Ce ;our de /' an; Entre vous; Resvelons nous; Puisque vous; Par le regard; Ma/heureulx cuer, Les douleurs; Man bien, m 'amour; ]e ne suy plus; ]e sui povere [ ?]; Dona i ardenti ray; En triumphant; Helas mon dueil; Ma tres douce amie. [Musica profana: 13 chansons], S. Cape, Pro Musica Antigua, Brussels, Bul'l"E À MUSIQUE LD 025. Contiene Adieu m'amour; Bon ;our, bon mais; La belle se siet; Ce ;our de I' an; Ce moys de may; He, compaignons; J'atendray; ]e donne a tous; ]e languis; Mon cuer, Par droit; Pouray ;e avoir; Resvelons nous. [Musica profana: 12 chansons e 1 mottetto], Miche! Savoisin, Axs Antigua, Paris, ARION ARN 38.344. ContieneJ'ay mis mon cuer, Mon chier amy; La plus mignonne; ]e languis; Resvel/iés vous; Donnés /' assault; Dona gentile; Trop long temps; Puisque vous; ]e me complains; Les douleurs; Belle, veu/liés moy retenir, il mottetto Lamentatio. [Musica profana: 9 chansons], D. Stevens, Ambrosian Singers and Players, DOVER HCR 5261. Contiene Vergene bella; Adieu m' amour; La belle se siet; Ce ;our de/' an; Frane cuer; He, compaignons; Ma/heureulx cuer, Man chier amy; Quel fronte signori/le. Contiene anche il mottetto O beate Sebastiane e il mottetto isoritmico Supremum est mortalibus.
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE E DISCOGRAFICHE
Miscellanea. >, Peter & Ti. mothy Davies, The Medieval Ensemble of London, L'OISEAU-LYRE 452 557-2 (5 CD) (ADD).
Miscellanea. 21. «A Song for Francesca. Music in ltaly, 1330-430», Christopher Page, Gothic Voices, HYPERION CDA 66286. Contiene di Dufay la chanson, Quel fronte signori/le. 22. «Hildegard von Bingen, 1098-1179: Lieder und Antiphonen», H. Weber, Helga Weber Ensemble, Hamburg, CHRI-
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE E DISCOGRAFICHE STOPHORUS
CHE
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(ADD).
Contiene di
Dufay il Magnificat VIII toni. 23. , The Hilliard Ensemble, London, HYPERION CDA 66370. Contiene di Dufay: Vergene bella; Gloria ad modum tubae. 28. , The Hilliard Ensemble, 1s1s RECORD c 030. Contiene cli Dufay 11 chansons: ]' atendray; Quel fronte si-
gnori/le; Ce moys de may; ]e me complains; Ma belle dame souverainne; Navré ie sui; Entre vous; Belle, veulliés moy retenir; ]e veux chanter, Ce ;our de l' an; Par droit. 29. , D. Munrow, The Early Music Consort of London, VIRGIN CLASSICS e concreta senza risparmio la sua predilezione per l'apparato da Festmusik, dando fondo al suo estro coloristico e al suo talento di fantasioso ''postillatore'' alle Pdizioni ufficiali. Il canto è sempre piuttosto vigoroso; si fa gran profusione di strumenti, organo compreso (che la Cattedrale di Cambrai, fra l'altro, non possedeva); fragorosi rulli di timpani e fanfare enfatizzano le sezioni conclusive. Quanto alle interpolazioni (strumentali e di gregoriano) e alle ripetizioni variate con cui Clemencic ama ''giocare'', accenneremo a titolo esemplificativo soltanto al Kyrie, lasciando al lettore-ascoltatore l'incombenza di sciogliersi la matassa dell'Agnus dei. In questa versione il Kyrie, che nei manoscritti consta delle solite tre sezioni in sequenza continua, viene preceduto dall'antifona gregoriana Ecce ancilla (ovvero dal primo cantus fi,mus), cui segue un'esecuzione strumentale del