Gli sguardi dell’illuminista. Politica e ragione nell’età dei lumi 9788822055118


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Gli sguardi dell’illuminista. Politica e ragione nell’età dei lumi
 9788822055118

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Il volume raccoglie, per la prima volta in italiano, i principali saggi di un grande pensatore e teorico della ragione, protagoni­ sta e vittima di una stagione di grandi passioni. I temi trattati, tutti di grande attualità, vanno dalla laicità della scuola alla divisione dei poteri, dal costituzionalismo liberale ai diritti umani e all'eguaglianza delle condizioni, dai diritti delle mino­ ranze alla matematica applicata alle scienze politiche e umane; temi che ci fanno scoprire quello che si può definire il vero «pro­ totipo» dell'illuminista, purtroppo ancora poco conosciuto in Italia. Un libro, quindi, concepito come una vera e propria in­ troduzione a una delle più complesse e articolate opere di un autore fondamentale dell'età dei lumi.

Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet (1749-1794), è stato uno dei maggiori intellettuali francesi del Settecento. Il suo contri­

buto è stato rilevante per l'elaborazione della «ideologia» che ha accom­ pagnato la Rivoluzione francese. Ha incarnato in modo paradigmatico

la figura del plrilosoplre: sia per la vastità degli interessi sia per la capa­ cità di unire la ricerca all'impegno politico e civile. Economista di for­ mazione fisiocratica, studioso di matlrématique .�ocia/e, filosofo del pro­

gresso, fu tra le poche grandi figure dell'Illuminismo ad avere la possi­ bilità di assistere, da protagonista, agli eventi rivoluzionari francesi. Graziella Durante si è laureata in Filosofia presso l'Università «Fede­

rico Il» di Napoli ed è dottore di ricerca in «Etica e filosofia politico­ giuridica» all'Università di Salerno dove colla_bora alle cattedre di Sto­



ria delle dottrine politiche e Filosofia politic

ISBN 978 R8 220 S5l l .g E 17,00(11.)

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9 788822 055118

libelli vecchi e nuovi l 11 collana diretta da Enzo Marzo

Condorcet

Gli sguardi dell'illuminista Politica e ragione nell'età dei lumi a cura di Graziella Durante

edizioni Dedalo

La collana "libelli vecchi e nuovi" rappresenta la "biblioteca ideale" di "Critica liberale", mensile della sinistra liberale pubblicato dalle edizioni Dedalo. [Fondazione Critica liberale, via delle Carrozze 1 9, 00 1 87 Roma [email protected] - www.criticaliberale.it]

© 2009 Edizioni Dedalo srl

Viale Luigi Jacobini 5, 70 1 23 Bari www.edizionidedalo.it Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 17 1 della legge 22 aprile 1 94 1 , n. 633)

La nuova carta dei poteri.

Dispotismi, interessi e possibilità del/' eguaglianza di Graziella Durante

Elaborare una scienza sociale, come Condorcet1 volle fare durante la sua infaticabile esperienza di intellettuale «prestato» alla Rivoluzione, ha significato per lui occu­ parsi innanzi tutto di due dimensioni fondamentali: la strut­ turazione storica di un modello epistemologico valido , basato sulla conoscenza probabile dei fenomeni sociali, e la definizione del campo sociale in cui si danno le relazio1 Jean-Antoine-Nicolas de Carita!, marchese di Condorcet, è una delle personalità più incisive della vita politica e intellettuale della Francia del Settecento. Nato a Ribemont nel 1 743, si dedica fin da gio­ vane allo studio della matematica e stringe presto amicizia con perso­ naggi come d' Alambert, Voltaire, Turgot. Nel 1 769 viene ammesso all' Académie royale des sciences e nel 1 776 ne diventa segretario . Comincia a farsi conoscere per il suo impegno civile e politico sotto il governo Turgot durante il quale propone riforme importanti come l'abolizione delle corvées . Quando nel 1777 Turgot è allontanato dalle cariche governative, Condorcet sposta la sua attenzione sugli impegni accademici e scientifici. Nel 1 872 il suo prestigio intellettuale si con­ solida: entra nel l ' Académie française, collabora all' Encyclopedie, par­ tecipa alla pubblicazione delle opere di Voltaire. Con Sophie de Grouchy, divenuta sua moglie nel 1 7 86, dà vita a uno dei salotti più frequentati di Parigi. Ritorna alla vita politica nel 1789, con la convocazione degli Stati generali e partecipa attivamente alle diverse tappe della Rivo­ luzione francese nel partito girondino, fino alle elezioni dei deputati della Convenzione nel 1793. Tra il 1 790 e il 1 793 si concentrano tutti i suoi programmi di riforma che si estendono a ogni aspetto della società. A seguito della sua opposizione alla politica di Robespierre, viene

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ni umane. Progresso economico-scientifico e progresso politico-sociale, storia e utopia, si intrecciano in maniera indissolubile nella sua riflessione e danno vita a una visio­ ne liberale e democratica capace di anticipare e aprirsi in modo radicale alle istanze sociali2. Sullo sfondo delle pagi­ ne qui scelte si conserva, quindi , il delicato e complesso rapporto tra politica e ragione, dove la prima sta a indica­ re l ' azione diretta dei singoli nella costituzione dello spa­ zio pubblico dei diritti e della responsabilità, e la seconda , evitando di irrigidirsi nell'astrattismo dogmatico di una ragione-verità immodificabile, diventa una forza attiva che agisce attraverso il giudizio critico di ogni individuo3. Il grande progetto di una matematica sociale- che trova nella Tavola generale della scienza che ha per oggetto l 'applicazione del calcolo alle scienze politiche e morali4 una delle sue più sintetiche e chiare definizioni - eviden­ zia l 'utilità per gli interessi individuali e pubblici di una razionale sinergia delle conquiste ottenute nella scienza del calcolo e della prevedibilità con la natura variegata, ma non per questo caotica e insensata, dei comportamenti umani e, nel più ristretto ambito istituzionale, delle forme di rappresentanza e dei meccanismi elettorali previsti da una vera democrazia. L'impresa auspicata da Condorcet denunciato dalla Convenzione e, per sottrarsi all' arresto, fugge a Parigi dove resta fino al marzo del 1 794. In questo periodo di reclusione scri­ ve una delle sue opere principali, Le tableau historique du progrès de l 'esprit humain . Il 25 marzo del 1794 abbandona Parigi, il 27 è arre­ stato nei dintorni della città e il 28 è trovato morto nella sua cella per cause sconosciute. 2 P.A.TAGUIEFF, Le sens du progrès, Flammarion , Paris 2004; A. CENTO, Condorcet e l 'idea di progresso, Parenti, Firenze 1 956. 3 K.M. BAKER, Condorcet, raison et politique, Hermann, Paris 1 975; D. GRIMALDI, Scienza, morale e politica in Condorcet, Japadre, L'Aquila 1 99 1 . 4 J .A.N. CARITAT D E CONDORCET, Tableau général d e l a science qui a pour objet l 'application du ca/eu/ au.x sciences politiques et mora/es, in Oeuvres, a cura di A. Condorcet O'Connor e M.F. Arago, Firmin Didot, Paris 1 847, vol . I, pp. 539-57 3 .

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riguardava la fondazione di un nuovo modello epistemolo­ gico basato sulla forza della probabilità, più che sulla cer­ tezza. Su questa nuova prospettiva gnoseologica, si innesta l ' infrangersi della distanza, a lungo reputata insuperabile , tra le scienze della natura, definite esatte, e le scienze socia­ li. Se infatti le scienze esatte , fondate sull'osservazione dei fatti, conducono a risultati solo probabili, proprio come acca­ de per le scienze sociali, non si spiega perché debbano resta­ re incommensurabilmente distinte. Perché, in altri termini, applicando lo stesso metodo analitico, non si possano rin­ tracciare nei comportamenti sociali regole altrettanto rigo­ rose. Quello che può sembrare un aspetto «specialistico)) e circoscritto all' interno dei molteplici interessi di Condorcet occupa in realtà un posto centrale della sua vasta produzio­ ne e riflette appieno lo spirito generale sotteso a ogni irra­ diazione del suo genio5 . Politica e ragione, dicevamo . L'obiettivo ultimo di Condorcet è quello di trasforma­ re la discussione politica in decisione scientifica, di ricom­ porre e ristrutturare l 'organizzazione sociale nella forma di una nazione di cittadini illuminati , uguali davanti alla leg­ ge, partecipi della vita, della decisione e del bene comune . Di conciliare , in ultima analisi, razionalità e sovranità, basandosi su una concezione universalistica dell' uomo. Se in questo slancio si può ritrovare l ' aspirazione generale di un'epoca- quella dei Lumi- che si lasciava alle spalle il vecchio mondo per farsi carico di «inventare)) il futuro , Condorcet, più di molti suoi contemporanei , investì l ' utopia di una «società di uguali)) di un valore programmatico ben determinato, attribuendole un carattere di prevedibilità, cer­ tezza e scientificità e trasformandola in un processo imma­ nente di composizione delle molteplicità delle autonomie individuali e dell'eguaglianza universale6.

5 I. HACKING, L'emergenza della probabilità, Mondadori, Milano 1 987 . 6 B . BACZKO, L'utopia, Einaudi , Torino 1 979. 7

Non pochi philosophes mostrarono, ad esempio, un atteggiamento rassegnato dinanzi alla possibilità concreta di una sua piena e completa realizzazione. «L'eguaglianza - scriveva Yoltaire nell'articolo Egalité del suo Diction­ naire philosophique (1764)- è al tempo stesso la cosa più naturale e più chimerica». Senza alcuna concessione Con­ dorcet considerava, invece, l 'eguaglianza difatto «lo scopo ultimo dell'arte sociale» . La sua realizzazione concreta risultato e prodotto del perfezionamento «morale» della specie umana- rappresentava l ' idea regolativa del futuro. Il compito che l ' umanità doveva assolvere . Un compito assai complesso se non si voleva soprassedere alle nume­ rose contraddizioni che emergevano dalle stesse idee di eguaglianza, universalità, cittadinanza e dal rapporto tra giustizia collettiva e volontà particolari . Contraddizioni che Condorcet seppe cogliere e affrontare avviando campagne politiche decisive per la configurazione di una società più giusta. Il suo atteggiamento riformatore, d' altra parte , si radica nella particolare visione del futuro a cui rimase sem­ pre fedele e che , invece di rinviare e disperdere in manie­ ra indefinita l' attuazione di un disegno globale di trasfor­ mazione dell'esistente, ne percorreva le tappe attraverso puntuali proposte e interventi tesi a dissolvere lo spazio tra la proclamazione formale dell' eguaglianza e la sua com­ pleta realizzazione7. Da qui il suo costante impegno a intervenire nelle rifor­ me per superare molte specifiche disuguaglianze che l'età rivoluzionaria aveva ereditato, e che il crescente sviluppo di un capitalismo agrario andava affermando. Tra uomo e donna, da colmare con il riconoscimento dell'eguaglianza giuridica e politica dei due sessi; tra bianchi e neri , da eli­ minare con un progressivo affrancamento degli schiavi e il definitivo superamento di ogni forma di razzismo; tra 7 Per una visione d' insieme del l ' idea di eguaglianza si veda la rela­ tiva voce di R. REICHARDT, L 'illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, Laterza, Roma-Bari 1 997, pp. 90- 1 05 .

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sovrano e suddito, da cancellare grazie al modello repub­ blicano e a un sistema democratico basato sul suffragio universale; tra poveri e ricchi , da ridimensionare attraver­ so la costituzione di un processo ugualitario del possesso della proprietà; tra «illuminati>> e incolti , da abolire grazie a un programma di istruzione pubblica estesa a tutti e, in un'ottica cosmopolitica, tra le nazioni . Nel fissare gli aspetti più significativi del quadro teori­ co-politico di Condorcet, del suo particolare progetto di razionalizzazione dello spazio pubblico, sarà quindi utile guardare proprio nelle crepe che minacciano l 'eguaglianza concreta e la cittadinanza universale che in Condorcet tro­ varono il loro più agguerrito e critico difensore. L'elemento più rilevante, sul piano filosofico-politico, quello che con­ tinua a suggerire l ' indiscussa attualità della riflessione di Condorcet e che ha guidato la scelta dei brani presentati in questa antologia, è il problematico rifiuto del filosofo a trattare in maniera astratta, dogmatica o trascendentale il problema del potere e a distaccare il principio dell'egua­ glianza dal campo delle infinite molteplicità delle diffe­ renze che attraversano l ' uomo , la società e quindi la nazio­ ne, la volontà generale , la cittadinanza . In Condorcet l 'eguaglianza diventa il fulcro che mette in luce i nessi sco­ pertamente politici che legano l 'individuo al comune e si trasforma nell'elemento da cui indagare non solo la legit­ timità del potere e delle istituzioni di governo, ma anche le differenze di genere, di razza, di status 8• Nonostante i profondi cambiamenti che hanno caratte­ rizzato il profilo del suo radicalismo democratico, le rot­ ture e i ripensamenti che emergono dal suo sviluppo, due elementi strutturano il suo pensiero in maniera fondante , 8 P. CoSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 2 voli., L'età delle rivoluzioni. 1789-1848, Laterza, Roma-Bari 2000 , pp. 5354. Si veda anche D. Zow, La strategia della cittadinanza, in La cit­ tadinanza, appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari 1994 , pp. 3-46 e P. CosTa, La cittadinanza: un tentativo di ricostruzione archeo­ logica, in lvi, pp. 47-92.

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gli stessi che, in fondo, lo spingono ad assumere un atteg­ giamento critico nei confronti del programma giacobino: l'irrinunciabilità dei diritti fondamentali dell ' uomo in conti­ nua e permanente espansione, e la necessità di fondare la legittimità del potere su di essi. Da questi due fondamentali princìpi, che ispireranno tutte le proposte di riforme relative a ogni aspetto della società, muoveremo nella nostra analisi mettendo a fuoco le due concatenazioni tematiche attorno a cui si raccolgono i brani proposti: eguaglianza-libertà-dirit­ ti-differenze e potere-dispotismo-tirannia-rivoluzione.

L'eguaglianza delle fortune e delle condizioni

Uno degli aspetti più complessi del dibattito che anima il secolo dei Lumi, e che vede l 'emergere di posizioni con­ trastanti tra gli intellettuali dell'epoca, soprattutto nella Francia rivoluzionaria, è senza dubbio la difficile concilia­ zione tra proprietà, diritti ed eguaglianza. La proprietà, infat­ ti, presenta un carattere a dir poco ambivalente. Se il diritto di proprietà è uno dei diritti irrinunciabili dell'individuo, è vero anche che è a partire dal possesso, dall'opposizione netta e concreta dell'individuo proprietario a colui che non possiede alcuna ricchezza materiale , che l 'evidenza delle differenze e il disequilibrio delle libertà esce allo scoperto. L'inevitabile confronto tra i l sistema delle differenze sociali e il principio dell'eguaglianza, non mise, però, mai in discussione il diritto di proprietà, che anzi costituì il carattere più specifico dell' illuminismo riformista france­ se, ma produsse per lo più proposte volte a definire i limi­ ti del possesso o - in un'ottica di gestione delle differenze delle ricchezze- a incoraggiare interventi di assistenza per i «bisognosi». Anche Condorcet, nel 1788, collega in modo nettissimo la proprietà ai diritti politici e alla cittadinanza9• 9 CONDORCET, Essai sur la constitution et les fonctions des assem­ blées provincia/es, in Oeuvres, cit., vol . VIII, pp. 1 29 sgg. IO

Il soggetto proprietario è colui che si caratterizza per l ' indipendenza, l ' autonomia, la libertà e la piena capacità di governare, di partecipare alla vita pubblica e, quindi , di godere appieno dei diritti politici . Ne consegue che se l ' eguaglianza dei diritti naturali e civili non può prevede­ re alcun tipo di esclusione o discriminazione per la sua intrinseca natura universalistica, è vero anche che essa non garantisce l' «eguaglianza delle fortune e delle condizio­ ni». Nonostante tutti i cittadini siano protetti dalla legge come titolari di diritti , la disuguaglianza delle proprietà rappresenta uno dei criteri fondamentali di esclusione dalla vita pubblica, regolando la stessa intensità della partecipa­ zione e dell 'impegno civile. In altri termini , le differenze sociali mettono profondamente in crisi il principio dell'e­ guaglianza soprattutto quando si tratta di delineare il pro­ filo della cittadinanza 10• Nel 1793 Condorcet ritornò sul legame tra cittadinanza, eguaglianza concreta e proprietà 1 1 •

Ad assumere un ruolo decisivo in questo nuovo sguardo da cui l'ultimo dei philosophes mette a fuoco il delicato nodo politico delle differenze socio-economiche , è proprio l ' eguaglianza assunta nella sua massima ampiezza. Con­ dorcet si sposta, in modo progressivo, verso la definizione di una cittadinanza sociale in nome dell'eguaglianza di fatto e della libertà politica. Ciò che nel frattempo era diventato estremamente chiaro è che l 'esercizio dei diritti politici non poteva essere sottoposto al condizionamento di requisiti specifici, come la ricchezza e i privilegi eredita­ ri, ed escludere così chi ne era privo, come volevano i sostenitori del voto censitario e come, d' altra parte , era sempre accaduto nel «Vecchio mondo» . Occorreva, quin­ di , liberare i diritti politici dal carattere derivato e trasfor-

10 P. CosTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, cit., pp. 27-37. 11 CoNOORCET, Pian de constitution, présentée à la convention natio­ naie, le 15 et le 16 février 1793, in Oeuvres, cit., vol. XIII, pp. 303-3 1 5 . Il

marli in diritti del soggetto di cui ogni cittadino di una nazione doveva godere a pieno titolo, al di là di ogni dif­ ferenza di tipo sociale o antropologico.

Ali'origine della differenza sessuale

La forza dirompente della riflessione di Condorcet tro­ verà il modo di manifestarsi in tutta la sua portata quando tutte le differenze che covavano nella società e nel blocco duro della tradizione esplosero grazie alle incredibili ener­ gie messe in moto dalla Rivoluzione. A porre in evidenza la complessità e la profondità del cortocircuito tra la pro­ clamazione formale dell'eguaglianza e la sua contraddit­ toria applicazione, fu il nascente movimento femminista. Secondo il vecchio modello basato sul privilegio della pro­ prietà, infatti , dal pieno godimento dei diritti politici e sociali restavano esclusi, non solo gli schiavi, i poveri e gli stranieri, ma anche le donne e per una doppia discrimina­ zione. Quasi sempre, infatti , le condizioni economiche le rendevano completamente dipendenti dalle figure maschi­ li, del padre prima e del marito poi e, nei casi in cui fos­ sero proprietarie, proprio perché donne, non era comunque concesso loro di esercitare una qualunque attività com­ merciale e di diventare cittadine a pieno titolo. Ben presto, nella Francia rivoluzionaria cominciarono a circolare importanti saggi,pamphlets e cahiers de doléan­ ce 1 2 . Le istanze emancipative delle donne produssero nu­ merosi dibattiti nei salotti intellettuali francesi e nei club politici. Le donne si collocarono direttamente sul terreno dell 'azione politica, fondarono associazioni , «presero la parola)) nelle accese assemblee rivoluzionarie con fervore

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Tra la produzione più significativa ricordiamo O. DE GouGES, Déclaration des droits de lafemme et de la citoyenne, in Oeuvres, a cura di B . Groult, Mercure de France , Paris 1 986, pp. 1 0 1 sgg.

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e passione1 3 . Nonostante fossero state investite da un gene­ rale miglioramento delle condizioni dal punto di vista dei diritti naturali dovuto all'irresistibile forza dell' egulitari­ smo dell 'epoca, le donne non sempre trovarono tra i phi­ losophes dei coraggiosi alleati. La maggior parte di essi­ da Montesquieu a Voltaire , da Diderot a Rousseau - mostrò una certa prudenza nell'attribuire loro le stesse capacità e , dunque , gli stessi diritti civili e politici degli uomini, rele­ gandole ancora nello spazio domestico e nella sfera del­ l ' irrazionalità e delle passion i . Nel l ' ambito educativo, attorno a cui si concentrarono le maggiori riflessioni degli intellettuali illuministi, le proposte mantennero general­ mente il tono di concessioni assai circoscritte: l 'educazione femminile doveva limitarsi a conoscenze specifiche, ben delimitate e mirate alla felicità dei figli e della famiglia. In questo contesto , le posizioni assunte da Condorcet e rac­ colte nel saggio Sull 'ammissione delle donne al diritto di cittadinanza 14, apparso nel numero 5 del «Joumal de la Société» del 1789, rappresentano una vera e propria ecce­ zione e una voce quasi del tutto isolata. Certamente influen­ zato dall' incredibile attività di Sophie de Grouchy, che divenne sua moglie nel 1786, Condorcet accolse innanzi tutto le ri vendicazioni relati ve all 'estensione del diritto di cittadinanza15 • Il suo interesse si focalizzò prevalentemen13 Dell ' ampia letteratura si veda E.G . SLEDZIEWSKI, Rivoluzione e rapporto tra i sessi. La svolta francese, in Storia delle donne in Occidente, a cura di G. Duby, M. Pierrot, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 34-50. Si veda anche G. ALPA, Status e capacità . La costruzione giuri­ dica delle differenze individuali, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 95 sgg. 14 CONDORCET, Sur l' admission des femmes au droit de cité [ 1789], in Oeuvres, cit., vol . X, pp. 119-130 . 15 V. FIORINO, Dai diritti civili ai diritti politici: la cittadinanza delle donne in Francia, in «Passato e presente>>, XVII, 47, 1999, pp. 67-91. Per un più ampio inquadramento della questione dei diritti nell'epoca illumi­ nistica, si veda M. FLORES, Storia dei diritti, Il Mulino, Bologna 2008, in particolare i capitoli 1-11. Si veda anche A. CASSESE, l diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari, nuova ed. 2005 e Io., Voci contro la barbarie . Lil bat­ taglia per i diritti umani attraverso i suoi protagonisti, Feltrinelli, Milano 2008.

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te suli' introduzione del diritto a un ' eguale istruzione e con­ tro la subordinazione economica delle donne attraverso il libero accesso alle professioni. Ma il suo impegno politico non mancò di evidenziare l 'esigenza di leggi contro il dispo­ tismo dei padri e dei mariti e a favore del divorzio. Privare la metà della popolazione dei diritti politici , considerare l e donne incapaci di contribuire a l progresso delle scienze e delle arti e al perfezionamento morale della specie umana, costituiva per Condorcet non solo una grave e ingiustificata violazione del carattere ugualitario e uni­ versalistico dei diritti, ma anche la principale fonte della corruzione della società. Tale disuguaglianza non poteva , d' altra parte , trovare una giustificazione in argomenti pre­ testuosi basati sul pregiudizio e l 'abitudine, né appellarsi alla «fragilità della natura femminile)) , che le avrebbe rese incapaci di occuparsi degli affari pubblici . È, infatti , l 'ordinamento giuridico e non la «natura)) ad accentuare le disuguaglianze tra generi . La discriminazione femminile non riusciva a trovare legittimità neppure nelle idee di razionalità e giustizia, considerate come virtù esclusiva­ mente maschil i . Condorcet riconosceva, infatti , una diffe ­ renza della sfera femminile rispetto a quella maschile una diversa idea di ragione, di giustizia e di onestà- senza per questo attribuire ad essa una minore dignità. Le donne, quindi , non solo dovevano godere degli stessi diritti e degli stessi doveri degli uomini, in nome dei diritti naturali ori­ ginari che riguardano ogni «persona)) , ma dovevano eser­ citarli a partire dalla loro volontà e razionalità, al di fuori deli' autorità maschile 16• Richiamarsi alla differenza che la donna esprimeva lo avvicinava alle posizioni più radicali del movimento femminista: avanzare una critica alla stes­ sa universalità dell'eguaglianza dei diritti e ali ' idea di sog16

Sui rapporti tra diritto e persona si veda N. B oBBIO. L'età dei dirit­ ti, Einaudi , Torino 1990 e L. FERRAJOLI, Dai diritti dei cittadini ai dirit­ ti della persona, in La cittadinanza, appartenenza, identità, diritti, a cura di D. Zolo, cit., pp. 263-292. 14

getto che vi era sottesa 17. Ciò che veniva messo fortemen­ te in discussione era proprio la presunta «omogeneità» dello stesso termine «uomo», di soggetto universale, die­ tro cui si offuscava la dualità dei generi e si annidava la tirannia di un soggetto privilegiato che strutturava in modo gerarchico lo spazio domestico e quello sociale. Per molte femministe del XVIII secolo, quindi , la dif­ ferenza, o se vogliamo, l ' identità di genere , la sua legitti­ mità, non poteva essere annullata o riassorbita nell'idea di eguaglianza, dal momento che ne rappresentava il presup­ posto imprescindibile.

Proprietà e corpi: la causa abolizionista

Le proteste contro la subalternità delle donne, messe in campo dal movimento femminista, si intrecciarono presto con quelle a favore dell' abolizionismo della schiavitù. Si trattò di sovrapposizione di istanze, di spinte di liberazio­ ne e battaglie che riuscirono temporalmente a incrociarsi solo per brevi tratti , e a volte in modo sorprendentemente contraddittorio. B asti pensare che l 'esplosione della rivol­ ta di Santo Domingo scoppiata nel 1791 una delle tappe fondamentali della storia della ribellione nera dalla condi­ zione schiavista18 - mise fortemente in ombra e quasi arre­ stò il movimento femminista. Tuttavia, l ' immagine della donna, schiava dei rapporti gerarchici tra sessi , sottomes­ sa all ' uomo-padrone si sovrappose a quella dello schiavo -

17 J. RANCIÈRE. Who is the Subject of the Rights of Man?, in , vol . 103, 2-3 e É. BALIBAR, fs a Philosophy of Human Civic Rights Possible?, in lvi. 18 Alla sanguinosa rivolta, che si concluse solo nel 1803 con l'indipendenza di Haiti, è dedicato lo studio classico di C.L.R. JAMES, l giacobini neri. La prima rivolta contro l 'uomo bianco [1938], Derive Approdi, Roma 2006. Si veda anche Y. MouuER BoUTANG, De l 'esclavage au salariat. Economie historique du salariat bridé; PUF, Paris 1998; trad. it., Dalla schiavitù a/lavoro salariato, Manifestolibri, Roma 2002.

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costretto a sottostare ali' assoluta volontà del planteur. Lo schiavo, e ancor di più la donna schiava, incarnava di fatto una differenza invisibile nella società. Come non-sogget­ to, era completamente oscurato dali' onnicomprensiva imma­ gine dell'uomo bianco, maschio, proprietario, appartenente non solo alla classe e al genere, ma anche alla razza domi­ nante. In Francia, come in Inghilterra, il movimento aboli­ zionista si caratterizzò per una molteplicità di posizioni, spes­ so divergentP9. In questo pluriverso di prospettive ancora una volta Condorcet abbandonò ogni dichiarazione di prin­ cipio per intervenire in maniera profonda nello stato di cose esistente. L'affrancamento completo degli schiavi divenne presto il suo obiettivo e la critica all'idea che un individuo di un altro colore potesse essere considerato una proprietà, il suo maggior strumento polemico. Era chiaro, infatti , che la contraddizione tra i diritti che la Rivoluzione si avviava a realizzare e il persistere del­ l' ordinamento schiavista, aggravato dalle conquiste delle nuove terre , non poteva essere taciuta perché minava strut­ turalmente la stessa applicazione dei nuovi valori che si andavano propagando. Condorcet cominciò a interessarsi alla questione della schiavitù fin dal 1773 20. Vi ritornò anche nel 177421• Ma è nel 1781 che dedica alla causa abo­ lizionista un vero e proprio saggio , firmato con lo pseudo­ nimo di Joachin Schwartz. Abbandonando il tono polemi­ co del pamphlet e gli argomenti a sostegno dell'inaccetta­ bilità delle condizioni degli schiavi, Condorcet passa a una puntuale e complessiva disanima del problema e alla messa a fuoco del suo superamento. Riflessioni sulla schiavitù

19 P.M. MARTIN, w Révolution française et l'abolition de l'escla· vage, Edhis, Paris 1 968. 2° CoNDORCET, Correspondence inédite de Condorcet et de Turgot 1770-1779 [ 1 883] , S1atkine Reprints, Genève 1 970. 21 CONDORCET, Remarques sur /es pensées de Pasca/, in Oeuvres, cit., vol . III, pp. 645 sgg. 16

dei negri22 rappresenta, da questo punto di vista, un esem­ pio fulminante del suo riformismo: il fine razionalmente individuato doveva essere raggiunto in modo graduale , individuando, però le varie e successive tappe per avvici­ narlo. La gradualità degli interventi era motivata dall'esi­ genza di «abituare lentamente le coscienze» all 'evidenza di una verità tanto drammatica, e di trovare soluzioni razio­ nali alle complicazioni di ordine economico che si sareb­ bero presentate e che i coloni evidenziavano. Si doveva, quindi , evitare di cadere negli errori e nei contraccolpi che un cambiamento troppo brusco e repentino avrebbe potu­ to causare. Da qui Condorcet immagina un lungo periodo di trapasso che- a partire dalla netta proibizione della trat­ ta dei negri per impedire che il loro numero cresca, inve­ ce di diminuire - segue scadenze e tappe temporali ben determinate durante le quali tutti i nuovi nati avrebbero potu­ to ritenersi liberi , fino al completo affrancamento di tutti gli schiavi. Se in un primo momento Condorcet ipotizzava una fase intermedia volta a trasformare lo status giuridico dello schiavo in maniera provvisoria facendolo diventare un servo della gleba, nell'intervento del 1781 questo passaggio viene superato. Sembrano essere altre le preoccupazioni del filo­ sofo calatosi nei panni dell'attento, acuto e prudente politi­ co. Innanzi tutto , l' affrancamento non doveva ripercuotersi in modo negativo sull'andamento delle coltivazioni, né inci­ dere troppo a fondo sugli interessi costituiti , tanto da pro­ curare disordini incontrollabili . Inoltre , per una vera riu­ scita del progetto di affrancamento, Condorcet intendeva puntare su un'estesa trasformazione dello spirito di tutti e una profonda conversione di quella ragione collettiva che rimaneva ancora prigioniera di vecchi e consolidati pre­ giudizi . Quest' ultimo e fondamentale motivo lascia emer­ gere la sfiducia che Condorcet dimostrò sempre nei riguar­ di dell ' attuazione di processi riformistici calati dal l ' alto, 22 CoNOORCET, Réflexions sur l' esclavage dès nègres [ 1781], in Oeuvres, cit., vol . VII, pp. 63-140.

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affidati ali' esclusivo impulso delle istituzioni . La sua instancabile attività pubblicistica per la causa antischiavi­ sta acquista così un ulteriore significato, oltre a trovare un riscontro pratico organizzativo già non molti anni dopo. Nel 1788, l'anno in cui la lotta si fece più incandescente, Brissot, ispirato da quanto aveva osservato durante un viag­ gio in Inghilterra, fondò la Société des amis des Noirs, di cui Condorcet fu anche presidente, che si oppose al Club Massiac dei planteurs che non intendevano rinunciare alla loro posizione di privilegio e predominio. Se il contributo fondamentale che Condorcet ha offer­ to allo sviluppo del movimento antischiavista è fuori dub­ bio, è anche vero che esso contiene almeno due aspetti par­ ticolarmente critici che ci consentono di fare una brevissi­ ma virata, ma non di poco conto, nel terreno della produ­ zione filosofico-politica contemporanea sui temi della subaltemità coloniale . Si tratta di temi che si innestano sul più ampio dibattito attorno alla condizione coloniale e post­ coloniale. Condorcet rimarca, infatti , a più riprese la con­ dizione di arretratezza culturale e morale degli schiavi e , sebbene non individui in aspetti naturali o antropologici le cause di questa diminutio, ne fa dipendere l ' i mpossibilità di un'autodeterminazione alla libertà da parte delle razze oppresse . In altri termini , nel grande disegno di peifectibilité della specie umana che il suo pensiero riflette, è solo grazie all'acquisizione dei lumi della ragione raggiunti dai colo­ nizzatori illuminati che gli schiavi possono immaginare di trovare una vera libertà23 . Inoltre, ciò che resta implicito nella sua produzione sul tema della schiavitù - e che, d'altra parte , fa da sfondo a tutta la cultura illuminista - è la netta contrapposizione tra un ' idea di civiltà e nazione riconducibile a quella occidentale ed europea che assume i tratti marcati di un dispositivo di inclusione-esclusione, 23 F. LmTERIE, Progrés et perfectibilité: un di/emme des Lumieres françaises, Voltaire Foundation, Oxford 2006.

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e un ' alterità assoluta incarnata dalle popolazioni indigene colonizzate . Su questo piano si collocheranno, a partire dai nuovi contesti determinati dalle lotte di liberazione nazio­ nale della metà del XX secolo, le prime indagini critiche sul colonialismo24. Ma è negli anni ' 70 del secolo scorso che il crollo dei modelli universalistici dello strutturalismo con­ sente una piena espansione dei Subaltern Studies il cui nodo polemico è rivolto al cuore dello stesso discorso coloniale inteso come il prodotto retorico degli assiomi imperialistici e veicolo principale della definizione di nazione- che si svi­ lupperà ulteriormente nel corso del XIX secolo -quale unico spazio geoculturale del progresso e dell'emancipazione, luogo simbolico-indentitario dell'intreccio inestricabile del­ l 'unità politica e territoriale25•

Istruire il colto e l 'incolto, l 'esperto e l'inesperto

Il più potente strumento per tentare un'armonizzazione delle contraddizioni tra eguaglianza e differenze è per Condorcet la massima diffusione di un' istruzione pubbli­ ca e laica estesa a tutti i cittadinF6. Senza tendere a un 24 F. FANON,/ dannati della terra [ 1961], a cura di L. Ellena, Einaudi, Torino, nuova ed. 2007. Su Stato di diritto e colonialismo, si veda D. ZoLO, Teoria e critica dello Stato di diritto, in Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, a cura di P. Costa e D. Zolo, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 17-88; P. Cos TA, Lo Stato di diritto: un'introduzione storica, in lvi, pp. 89-170; 8. CLAVERO, Stato di diritto, diritti collettivi e presenza indi­ gene in America, in lvi, pp. 537-565. 25 G .C. SPIVAK, A Critique of Postcolonial Reason, Harvard Uni­ versity Press, Cambridge, Ma 1999; trad. it., Critica della ragione post­ coloniale, Meltemi, Roma 2004 e lo., Can Subaltern Speak?, in Marxism and the lnterpretation of Culture, a cura di L . Grossberg e C. Nelson, University of Illinois, Urbana 1998; R. GUHA, G.C. SPIVAK, Subaltern Studies, Modernità e post-colonialismo, Ombre corte, Verona 2002; S. MEZZADRA, Diritto di fuga. Migrazione, cittadinanza e globalizzazio­ ne, Ombre corte, Verona 2006. 26 M. ALBERTONE, Una scuola per la rivoluzione: Condorcet e il dibattito sull 'istruzione 1792-1794, Guida, Napoli 1979; C. KlNTZLER,

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livellarnento delle qualità individuali, solo un piano organi­ co di istruzione poteva impedire che le differenze e le disu­ guaglianze che innervavano la società ostacolassero il pieno godimento dei diritti politici . L'elemento di fondo che emer­ ge dal suo progetto filosofico-politico sull'istruzione, dise­ gnato nelle sue cinque memorie Sull 'istruzione pubblica27, è la ferma convinzione che alla radice di ogni disuguaglianza vi sia il legame di dipendenza e subordinazione che si instau­ ra tra l'incolto e il colto, l 'esperto e l' inesperto. Ogni singolo individuo, al di là del suo status sociale o della sua identità di genere, deve poter esercitare liberamente la ragione, espri­ mere giudizi critici, appellarsi al suo intelletto senza dover­ si affidare ciecamente alle diverse corporazioni di dotti ed esperti che conservano il monopolio del sapere e delle pro­ fessioni. Inoltre, è solo grazie a una capillare diffusione dei lumi capace di formare una solida base di conoscenze e sape­ ri , che si potranno valorizzare quei talenti che altrimenti sarebbero rimasti nascosti e mettersi al riparo dai pericoli dello specialismo. Nelle previsioni di Condorcet l'educa­ zione di base estesa a tutti avrebbe permesso anche una dif­ fusione più profonda della Costituzione, dei suoi valori e dei suoi meccanismi, consentendo a ogni cittadino di sen­ tirsi in una relazione viva e concreta con l'intera comunità e i suoi organi di rappresentanza. Occorreva però tenersi lontani da un suo insegnamento dogmatico che sarebbe sci­ volato in una sorta di «religione politica» e tenere bene a mente che la Costituzione vigente non rappresentava la piena e definitiva realizzazione della ragione universale. Il suo programma di un ' istruzione pubblica- basato sui presupposti che abbiamo segnalato- si contrapponeva radi­ calmente alla proposta giacobina di un'educazione nazioCondorcet: l 'instruction publique et la naissance du citoyen, Gallimard, Paris 1987. 27 CoNDORCET, Sur l 'instruction publique, 1791-1792. Premiere mémoire. Nature et objet de l'instruction publique, in Oeuvres, cit., vol . VII, pp. 169-228.

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naie che prevarrà grazie a Robespierre già nel 1 793 . Si trat­ tava di una differenza non di poco conto che all ' ideale iden­ titario e patriottico della nazione contrapponeva l'idea, molto più ampia, di pubblico, frutto della condivisione immanen­ te dei diritti e delle possibilità. Non un'educazione, quindi, incurante dei legittimi limiti segnati dali' autonomia degli individui , ma un'istruzione statale che avrebbe dovuto abbandonare ogni interferenza nell 'educazione affidata alle famiglie, e basarsi sull 'informazione e sulla critica più che sulla «religione civile>> e sulla «militanza» . Nell'ottica di Condorcet, un simile progetto poteva essere attuato solo gra­ zie all'impegno dello Stato, che avrebbe dovuto garantire il carattere di bene comune universalmente accessibile del sapere. La conoscenza diventava allora l ' arma più infallibi­ le che la stessa autorità forniva a ognuno, attraverso gli stru­ menti dell'istruzione, per giudicare e criticare la sua attività. Proprio nelle cinque memorie, Condorcet tematizza in manie­ ra nettissima la necessità dell' autonomia dell'istruzione rispetto a ogni interferenza. Non si trattava solo di ribadire la necessità di estirpare ogni forma di strapotere da parte dei monopoli dei corpi insegnanti, ogni invasione delle congre­ gazioni religiose. E neppure di rinnovare il suo appello alla costituzione di forme di organizzazioni collettive del sapere, di contro a qualunque idea privatistica e proprietaria, in cui l 'intelligenza dei singoli avrebbe dovuto collaborare sinergi­ camente e contribuire alla diffusione della conoscenza e al perfezionamento del sapere scientifico. Ciò che Condorcet delinea, mostrando l'acutezza e la capacità di previsione del suo progetto programmatico, è il complesso rapporto tra pote­ re e autonomia del sapere28• E quando Condorcet parla di potere e si preoccupa di individuare limiti alle sue possibili distorsioni dispotiche e tiranniche, pensa a un fenomeno plu­ rale, alla presenza di centri di potere visibili e invisibili.

28

Cfr. M. BASCEITA,Introduzione, in J.A.C. DE CONDORCET, Elogio dell'istruzione pubblica, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 7-22 .

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Dispotismi invisibili e democrazia partecipata

Per Condorcet la libertà politica è innanzi tutto intesa come forma di controllo sull 'azione dei rappresentati del popolo all ' interno di un quadro costituzionalmente garan­ tito. Questo significa che non basta garantire il pieno godi­ mento dei diritti civili per mettersi al sicuro dalla presen­ za di forme autoritarie e dispotiche che il potere può assu­ mere . È necessario, invece , saldare fermamente la libertà civile e individuale a quella politica affinché si dia una libertà effettiva, cioè non esposta alle possibili patologie e degenerazioni del potere. Nel 1 789 Condorcet metteva in guardia i suoi contemporanei nel saggio Idee sul dispoti­ smo ad uso di coloro che pronunciano questa parola senza comprenderla 29 dall ' illusione che bastasse proclamare la libertà per crederla concretamente realizzata. La sua prin­ cipale preoccupazione non era solo la necessità di garanti­ re il rispetto degli spazi individuali della persona, ma anche di consentire l'emergere di punti di resistenza popolari, capaci di fronteggiare e opporsi al carattere assolutistico che ogni potere può covare. La limitazione del potere, però, non poteva essere affidata esclusivamente ai meccanismi di rappresentanza, alla legge o alla divisione e all'equili­ brio dei poteri . Nel sistema proposto da Montesquieu , infat­ ti , il persistere di un ruolo ancora molto attivo degli inte­ ressi socialmente rilevanti, esponeva il corpo politico al rischio di cadere vittima di più padroni . Uno degli aspetti più interessanti che emerge dal saggio sul dispotismo è l'insistenza con cui Condorcet delinea una faccia nuova e del tutto moderna del potere. La radice ultima del potere arbi­ trario non è fissata solo nella sfera politica ma anche nelle forme di dominio e oppressione sociale, economico e cul­ turale. Contrariamente a quanto sostenuto da Montesquieu, secondo cui il dispotismo è sempre una forma di governo 29 CoNDORCET, Jdées sur le

175-194.

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dispotisme, in Oeuvres, ci t., vol . IX, pp.

nella quale «Uno è padrone e tutti gli altri servi» , Condorcet mostra di riuscire a immergere una sonda più profonda nella società in cui era inserito capace di cogliere la com­ plessità di un fenomeno plurale costituito da un insieme di padroni pubblici e privati in grado di tenere sotto il pro­ prio dominio sudditi e subaltemi . La sua intuizione guar­ dava alla nuova strutturazione della società, che si presen­ tava ormai come un organismo articolato in cui anche l 'oppressione diventava plurale, a volte invisibile. I mec­ canismi decisionali dell a nuova economia di mercato mostravano un volto autoritativo e condizionavano diret­ tamente le scelte di governo. Inoltre , il fatto che il domi­ nio non fosse necessariamente esplicito, ma che agisse in forma subdola e preventiva «rendendo docili gli spiriti>> e indirizzando il loro giudizio, non significava che non fosse sufficiente a rendere vana e astratta la libertà. Questa nuova mappa del potere, complicata da diverse zone di pressione e da nuovi soggetti e campi di interess i , disegnata da Condorcet , sembra a tratti anticipare la foucaultiana «microfisica dei poteri»30. A una tale capillarità del domi­ nio, espressa dalla stessa natura polisemica della parola dispotismo, non è sufficiente trovare una risposta di con­ tenimento univoca. È necessario, piuttosto, individuare una strategia più accorta, articolata e dinamica. Dinanzi a un tipo di «dispotismo diretto» , essenzialmente politico , che si manifesta quando i cittadini non posseggono un ampio diritto di veto (le droit négatij) nei riguardi della potestà legislativa e non possono intervenire a modificare le leggi contrarie alla ragione e alla giustizia, Condorcet individua alcuni strumenti di tutela. Occorre, in primo luogo, elimi­ nare tutti i limiti legali e i residui dell'ordine aristocratico

30 F. SBARBERI, Poteri dispotici e tirannia in Condorcet, in Patologie della politica, a cura di M. Donzelli, R. Pozzi, M. Battini, Donzelli, Roma 2003, pp. 105-120. Il riferimento è a M. FoucAULT, Microfisica del potere. Interventi politici, a cura di A . Fontana e P. Pasquino, Einaudi, Torino 1977.

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che ostacolano le libertà individuali e sollecitare il ruolo attivo delle istituzioni rappresentative affinché le libertà siano tutelate . La Dichiarazione dei diritti, e la Costituzione fondata su di essa, assumono così un ruolo «garantista»: rappresentano cioè il limite inviolabile dinanzi a cui anche il potere legislativo deve arrestarsi . Un punto di equilibrio tra diritti e giustizia, di unione tra il corpo politico e gli indi­ vidui che lo compongono volto a tutelare la vera libertà in ogni occasione. Condorcet lo ribadisce anche nel saggio Opinioni sugli emigranti31 a proposito del delicato rappor­ to che lega ogni cittadino, proprio in quanto cittadino, al proprio paese e alle sue regole. Ma se il modello costitu­ zionalista32 - che fissa nelle carte costituzionali la fonte ultima del potere e il suo contenimento - può servire sul piano istituzionale, come trattare la minaccia che arriva da un dispotismo che emerge dallo stesso sfondo socio-eco­ nomico? Il «dispotismo indiretto» si dà quando, indipen­ dentemente dalla legge, la rappresentanza parlamentare è sottomessa a un' autorità illegale. E Condorcet pensa ai poteri forti dei vecchi soggetti clericali , corporativi e nobi­ liari, ma anche ai nuovi poteri economici e alla minaccia che arriva dalla popoulance. A quella moltitudine di uomi­ ni incolti che si raccoglie negli agglomerati urbani e com­ merciali e che si distingue dal popolo per la sua ferocia e la sua intrinseca disponibilità a lasciarsi manipolare dalle forze reazionarie, dai preti agli uomini di legge, ai nuovi borghesi in affari. Gli interventi che Condorcet propone, per impedire che la plebaglia diventi tramite e mezzo di 3 1 CoNDORCET, Opinion sur /es émigrants [1971], in Oeuvres, cit., voi X, pp. 223-242. 32 G. MAGRIN, Condorcet. Un costituzionalismo democratico, Franco Angeli, Milano 2001; M. FlOVARAVANTI, Appunti di storia delle costi­ tuzioni moderne. Le libertà fondamentali, Giappichelli, Torino 1995, pp. 51 sgg.; Io., Costituzione, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 99 sgg.; P. CoLOMBO, lnstaurazione, mantenimento e mutamento dell'ordine politi­ co. La «constitution» ne/ lessico della rivoluzione francese, in , V, 2, 1991, pp. 303-324.

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poteri illegittimi, mirano a cancellare le cause che la pro­ ducono. Impedire che essa cresca a dismisura attraverso piani occupazionali; che resti prigioniera dell ' ignoranza e dei pregiudizi grazie alla diffusione della stampa e dell ' i­ struzione pubblica; che rimanga isolata dalla vita pubbli­ ca attraverso un coinvolgimento più attivo nelle assemblee primarie in cui si dibatte di temi di interesse comune. Infine - come suggerito nel saggio del 1 792, Della natura dei poteri politici in una nazione libera33- per salvaguardare la democrazia rappresentativa, per accrescerne il carattere partecipativo ed evitare insurrezioni dettate da interessi particolari e dali 'ignoranza, occorre dare a tutti i cittadini la possibilità di manifestare in modo pacifico.

Il tempo della Rivoluzione

Ma un ulteriore problema emerge quando Condorcet analizza il potere alla luce dei tempi burrascosi e infuoca­ ti della Rivoluzione . Nel 1 793 la sua preoccupazione è rivolta ai provvedimenti speciali presi dai nuovi organismi rivoluzionari della Convenzione . Condorcet era consape­ vole di dover difendere la Rivoluzione dalle tendenze con­ tro-rivoluzionarie attraverso l ' introduzione di provvedi­ menti eccezionali - quelle misure esemplari , necessarie, come avrebbe detto Robespierre all ' instaurarsi del «dispo­ tismo della libertà contro il dispotismo della tirannia>>- ma indicava, nel contempo, la necessità della limitatezza tem­ porale di tali provvedimenti. Essi non potevano in alcun modo superare i margini di quella giustizia comune che garantiva la legalità stessa. E, in ultima analisi, non si pote­ va ripensare - come voleva il programma giacobino - la legittimità ultima del potere alla luce dello stato di ecce­ zione della Rivoluzione in atto , quale momento di resi33 CoNDORCET, De la natura des poivoirs politiques dans une nation fibre [ 1792], in Oeuvres, cit., vol . X , pp. 587-613.

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stenza radicale contro i nemici della libertà , e compromet­ tere così l ' integrità dei diritti e dell 'eguaglianza. Nella pro­ spettiva costituzionalista di Condorcet la sola fonte della legittimità del potere è la Carta costituzionale e, quindi , i diritti inviolabili che essa sancisce. Se, infatti, dispotico è ogni governo illegittimo , tirannico è il governo che viola anche uno solo dei diritti sanciti dalla Dichiarazione . Esercitare legittimamente il potere , rappresentando la puis­ sance publique in maniera legittima, non esclude, quindi, la possibilità di cadere nella tirannia, né di emanare leggi ingiu­ ste. Il «pretesto della tirannia»- afferma Condorcet nel 1 793 nel saggio intitolato Sul senso della parola rivoluzionario34 - «l'imperiosa necessità)) delle leggi rivoluzionarie, emana­ te a difesa dei pericoli che provengono da chi si oppone al cambiamento e alla costruzione dell'ordine futuro, non pos­ sono legittimare misure repressive e violazioni in maniera duratura. Occorre, dunque, adottarle solo per «completare e affrettare la fine)) della Rivoluzione, non per «prolungarla o insanguinarla)) . E a quanti usavano la parola rivoluzionario senza comprenderne appieno il senso e il valore, Condorcet ricordava che «il termine rivoluzionario si applica solamen­ te alle rivoluzioni che hanno per oggetto la libertà)) . Nel pro­ cesso di perfezionamento storico de li 'umanità il tempo rivo­ luzionario rappresenta, per Condorcet, una tappa fondamen­ tale ma «eccezionale)) e per questo necessariamente circo­ scritta, il cui unico scopo è quello di stabilire la coincidenza di libertà e legge . Ogni altro uso della rivoluzione è una perversione, che crea le stesse cause della sua corruzione.

34 CONDORCET, Sur le sens du mot "révolutionnaire» [1793], in Oeuvres, cit., vol . XII, pp. 615-623.

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Nota del curatore

I testi qui proposti sono tratti da Oeuvres de Condorcet, a cura di A. Condorcet O' Connor e M .-F. Arago, 1 2 volu­ mi, Firmin Didot, Paris 1 847- 1 849 . Si tratta di brani inediti in lingua italiana, ad eccezione di Riflessioni sulla schiavitù dei negri, a cura di Maurizio Griffo , premessa di Vittorio Dini, Colonnese Editore, Na­ poli 2003 ; e Sull'istruzione pubblica . Prima memoria . Natura e fine dell 'istruzione pubblica , apparso in Le memo­ rie sull 'istruzione pubblica , a cura di Giuseppe Jacoviello, prefazione di Saverio De Dominicis, Società editrice Dante Alighieri , Milano 1 9 1 1 , riproposto in Elogio dell 'istruzio­ ne pubblica , introduzione di Marco Bascetta, Manifesto­ libri, Roma 2002. Pur avendo fatto riferimento alle precedenti traduzioni, quella presentata qui possiede una sua autonomia per le scelte terminologiche e sintattiche adottate . Nell'insieme, si è tentato di mantenere l ' andamento e la costruzione dei periodi della prosa originale di Condorcet e solo di rado si è deciso di intervenire sulla loro struttura, spesso molto lunga, spezzandola. Le note a pié d i pagina, indicate con l ' abbreviazione N.d.C., hanno lo scopo di rendere più agevole e chiara la lettura dei testi , con brevi richiami chiarificatori ai princi­ pali personaggi e ad alcuni eventi storici che compaiono 27

nelle pagine, e di informare il lettore delle scelte di tradu­ zione operate rispetto a termini o espressioni che , nella prosa di Condorcet, assumono un significato del tutto pecu­ liare . In particolare, per alcuni termini si è scelto di ripor­ tame in nota quelli contenuti nel testo originale e di adot­ tare le convincenti proposte di Marco Minerbi , nella sua traduzione dell Abbozzo di un quadro storico dei progres­ si dello spirito umano, Einaudi, Torino 1 969 . '

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DELLA NATURA DEI POTERI POLITICI IN UNA NAZIONE LIBERA 1 792*

* Tratto da .

Gli uomini hanno assunto talmente tanto l ' abitudine di obbedire ad altri uomini , che la libertà è, per la maggior parte di essi , il diritto di essere sottomessi solo a maestri scelti da loro stessi . Le loro idee non vanno più lontano di così , ed è qui che si arresta il debole sentimento della loro indipendenza. Il nome stesso di potere , attribuito a tutte le funzioni pubbliche, attesta questa verità. Pressoché ovun­ que questa semi-libertà è accompagnata da tumulti; così li si attribuisce all'abuso della libertà e non si vede che essi nascono precisamente dal fatto che la libertà non è com­ pleta; si cerca di darle nuove catene, quando occorrerebbe pensare , al contrario, a spezzare quelle che le restano. La ragione , in accordo con la natura, pone un solo limi­ te all ' indipendenza individuale , aggiunge una sola obbli­ gazione sociale a quelle della morale privata: la necessità e l 'obbligo di obbedire, nelle azioni che devono seguire una regola comune, non alla propria ragione, ma alla ragione collettiva della maggioranza degli uomini; dico alla propria ragione e non alla propria volontà, poiché il potere della maggioranza sulla minoranza non deve essere arbitrario; non si estende fino a violare il diritto di un solo individuo; non arriva fino al punto di obbligare alla sottomissione quando contraddice in maniera evidente la ragione. Questa distinzione non è affatto futile: un insieme di uomini può e deve, così come un individuo, distinguere ciò che vuole, ciò che trova ragionevole e giusto. Quand'anche una nazione vinta fosse meno popolata della nazione conquistatrice, quand' anche una classe op31

pressa racchiudesse meno individui della classe che l 'ha dominata, senza dubbio questa maggioranza non avrebbe il diritto di sottomettere gli altri alla sua arbitraria volontà. Non si può dire neppure che la sottomissione alla volontà della maggioranza sia fondata sulla necessità di obbedire , poiché allora bisognerebbe cedere solo a una maggioran­ za molto forte per escludere qualsiasi idea di resistenza. Per esempio, non v'è alcuna necessità che possa costringere centomila uomini a obbedire alla volontà di centocin­ quantamila. La sottomissione al voto della maggioranza è dunque fondata sulla necessità di avere una regola comune di azio­ ne, e sull' interesse di preferire la regola comune, che sarà il più delle volte conforme alla ragione e all ' interesse di tutti. Ora, è questo che si trova nel voto della maggioranza, a con­ dizione che essa si formi tra uomini rigorosamente eguali nei diritti e che hanno, in generale, gli stessi interessi . Allora, nonostante ciascun individuo sia libero di emet­ tere un voto sulla base della sua volontà, e non secondo la sua opinione, accade che si possa credere che quasi sem­ pre questo voto esprima realmente questa opinione; e d'altra parte si ha il vantaggio che l'adempimento di que­ sta regola comune incontrerà meno ostacoli . Colui che s i sottomette in anticipo alla maggioranza può ragionare così: io so che tra le mie azioni questa deve essere sottomessa a una regola alla quale le azioni simili dei miei concittadini saranno egualmente assoggettate . Non posso esigere che questa regola sia conforme alla mia ragione, poiché allora potrebbe essere contraria a quel­ la di un altro che io non ho alcun diritto di sottomettere alla mia. Non posso riservarmi il diritto di seguire o meno la regola stabilita, di giudicarla dopo che sarà stata determi­ nata; perché allora agirei contro la mia ragione, che mi ha fatto riconoscere la necessità di conformare questa parte delle mie azioni a una regola che sia eguale per tutti . Devo, dunque, in base alla mia stessa ragione, cercare un carat­ tere indipendente da essa, al quale devo legare l ' obbligo di 32

sottomettermi; e questo carattere, lo trovo nel voto della maggioranza. Il primo potere politico è quello che stabilisce queste regole generali ; lo si definisce potere legislativo. Esso consiste quindi, se è esercitato direttamente dai cit­ tadini , nel dichiarare quali regole comuni, per le azioni che vi devono essere assoggettate , sembrano, alla pluralità, le più conformi alla ragione; si vede che ne risultano, per la mino­ ranza, la necessità e l'obbligo morale di sottomettervisi, e non ne risultano, per la maggioranza, né autorità né potere. I cittadini non esercitano immediatamente questo dirit­ to? Lo hanno delegato? Allora, diventando una funzione pubblica di alcuni uomini, deve forse cambiare natura? Da dove nascono, quindi , per ciascun cittadino, la necessità e l'obbligo morale? Dal fatto che la ragione della maggio­ ranza ha preferito questo modo di costituire le regole, per­ ché ha riconosciuto l ' impossibilità di concorrervi essa stes­ sa. Ma ne risulta un vero potere? No; la maggioranza non ha potuto dare ciò che non aveva. Questo corpo sociale ha dunque ricevuto solo la fun­ zione di cercare ciò che è ragionevole e giusto, e il diritto di dichiararlo; non ha potuto ricevere quello di dire: ecco ciò che la maggioranza della nazione considera ragionevole un tale diritto sarebbe assurdo; la decisione di questo grup­ po di cittadini può quindi ricevere la sua forza solo da un'accettazione, tacita o esplicita, della maggioranza . Qui si presentano due differenze essenziali tra la dichia­ razione di questo corpo sociale e il voto immediato della maggioranza. La prima è che , se il voto è immediato, è la sola minoranza che sacrifica la propria opinione alla neces­ sità di ottenere delle regole comuni; e che , nel secondo modo di costituire queste regole, è la maggioranza, o anche l'universalità, che compie questo sacrificio alla sola impos­ sibilità di votare immediatamente . L'altra differenza è che coloro che considerassero i pro­ pri diritti lesi da una decisione immediata della maggio­ ranza, possono scegliere tra una sottomissione fondata sul33

l ' interesse di conservare il patto sociale, o la dissoluzione di questo patto; mentre nell' altra ipotesi resterebbe loro la risorsa di consultare immediatamente il voto della mag­ gioranza , e solo l ' impossibilità di usare questo mezzo può determinarne la rinuncia. Occorre osservare qui che qualsiasi legge , qualsiasi regola obbligatoria può essere considerata sotto due punti di vista: l ) la sua conformità con il diritto naturale di cia­ scun individuo; 2) l ' utilità o la pericolosità delle combi­ nazioni adottate dai redattori della legge. In una società estesa, si può ritenere impossibile far pronunciare l 'universalità su quest' ultimo aspetto, e ciò sarebbe anche inutile; perché, se il popolo conosce bene i suoi diritti, capirà in cosa ogni cattiva legge gli è contra­ ria, e se li conosce male potrà ancor meno prevedere gli effetti che possono risultare da una legge, e i vizi delle combinazioni che sono state preferite . Ciò che è dunque veramente utile, è che i cittadini pos­ sano essere consultati su questa questione: una legge pro­ posta è o non è contraria ai diritti naturali degli uomini? Adesso , dove starebbe l ' impossibilità, non dico per cia­ scuna legge particolare, ma per ciascun corpo di legge , per il codice civile, per esempio, per la procedura, ecc .? Allora, se esiste un modo affinché la maggioranza possa chiedere la riforma di questi codici una volta adottati da essa, vediamo che le leggi particolari , aggiunte a questi stessi codici, sia per riparame le lacune sia per raccordar­ ne le parti, possono, senza inconvenienti , non essere sot­ toposte ali' immediata accettazione . Indubbiamente, possono esistere circostanze in cui si riscontra una sorta di impossibilità a presentare questi corpi di leggi all 'accettazione della maggioranza. Accade, per esempio, se non si può sperare di formarle in maniera siste­ matica e completa, poiché in questo caso ci sarebbero solo inconvenienti a ricoprire le indigeste compilazioni di una autorità, se non più grande, almeno più solenne di quella delle leggi particolari . 34

Ma c'è un'altra categoria di leggi per le quali questa accettazione è più necessaria; sono quelle che determina­ no l ' istituzione di un corpo legislativo incaricato di prepa­ rare le altre; infatti solo da questa accettazione può venire una vera autorità, anche per imporre legittimamente l ' obbligo di una sottomissione provvisoria. Tale è dunque il limite al d i sotto del quale un'accet­ tazione espressa non può arrestarsi; tale è il confine preciso dove si fermano i diritti della maggioranza; tale è quello della sottomissione che la necessità esige dalla volontà e dalla ragione: un passo di più e comincia la tirannia. Le funzioni legislative si limitano dunque a dichiarare quali regole comuni, tra quelle che la pluralità riconosce conformi ai suoi diritti, sono più in accordo con la ragio­ ne. Allora, dal momento che le leggi non sono, non pos­ sono essere altro che delle conseguenze, delle applicazio­ ni del diritto naturale , la maggioranza non avrà abbando­ nato nient'altro che le forme, le combinazioni dei princìpi riconosciuti da essa, e le avrà abbandonate soltanto per l 'impossibilità di discutere essa stessa queste forme , di ana­ lizzare queste combinazioni . Così , un corpo legislativo non esercita un vero potere; esso non è altro, per le leggi sottoposte all' accettazione, che un legislatore collettivo: è Solone o Licurgo, rimpiazzati da un' assemblea. Quanto alle altre leggi , la loro autorità risulta ancora dali' opinione della maggioranza che , stabilendo questa modalità per prepararle , le ha investite anticipatamente della sua accettazione , perché ha giudicato questa accetta­ zione anticipata, utile e necessaria. Così , la maggioranza , obbedendo a queste legg i , quand' anche l e disapprova, obbedisce ancora alla propria opinione, nello stesso modo in cui la minoranza obbedisce solo alla sua ragione, quando cede all ' opinione della mag­ gioranza , che è contraria. Tra la legge e la cosa che deve essere fatta in base ad essa, o l ' individuo che deve sottomettervisi , si trova la fun35

zione di dichiarare che, in tali circostanze , tale è l 'applicazione della legge, cioè la funzione di fare un sil­ logismo di cui la legge è il termine maggiore , un fatto più o meno generale , il termine minore, e l 'applicazione della legge, la conclusione. Per esempio, ciascun cittadino sarà tenuto a contribuire alla spesa necessaria per i bisogni pub­ blici, proporzionalmente al prodotto netto della sua terra, ecco una legge; tale spesa deve far parte dei bisogni pub­ blici , ecco un fatto; dunque, ciascun cittadino deve contri­ buire a questa spesa, ecco l ' applicazione della legge . Questa applicazione diventa poi il termine maggiore di un altro sillogismo. I cittadini devono contribuire a una tale spesa; essa è valutata un tanto; il nuovo fatto che occorre dichiarare: dunque, i cittadini devono contribuire con tale somma; l ' universalità dei cittadini deve contribuire di tanto; tale provincia 1 deve pagare un sessantesimo della somma totale: quindi tale provincia deve pagare tanto . Così, la funzione di costruire bene questi sillogismi , e di ben stabilire i fatti che devono formarne i termini minori, costituisce la seconda specie di potere in tutte le sue nume­ rose suddivisioni. Coloro che ne sono i depositari non ordi­ nano, ma ragionano, cercano di conoscere un fatto o lo constatano. La ragione comune ha acconsentito alla legge: essa ha dunque anche pronunciato l 'esecuzione della legge, e questo voto è unanime come quello da cui deriva, il voto di conferma della sua volontà alle regole comuni stabilite secondo l'opinione della maggioranza; la volontà genera­ le è che questa applicazione sia eseguita. Quest'ultima funzione deve necessariamente essere delegata per intero da ogni nazione che occupa un territo­ rio troppo esteso per riunirsi in un 'unica assemblea. Ma il modo secondo cui questa delegazione è distribuita, le regole imposte ai mandatari e, infine, la parte che il popo1 Provincia è la parola comune che indica le divisioni immediate di un qualunque Stato. Sono chiamate dipartimenti in Francia, palatinati in Polonia, contee in Inghilterra.

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lo può riservarsi nella scelta, più o meno immediata, degli agenti che ne sono incaricati, possono quasi rassicurarlo che queste funzioni saranno esercitate solo a suo vantaggio; e dal momento che il popolo conserva il diritto di cambiare le leggi che regolano tutto ciò che è relativo all'esercizio delle sue stesse funzioni, è facile comprendere che, con questa delega, non può esporsi a pericoli reali. È proprio qui che comincia un vero potere , cioè una forza che agisce sulle azioni degli individui , indipenden­ temente dalla loro volontà, dalla loro ragione: senza dub­ bio, quando l 'esecuzione delle leggi è contraria alle pas­ sioni, agli interessi di un cittadino, questi , se ha una ragio­ ne forte, se è veramente virtuoso, dovrebbe ancora sotto­ mettervisi con un atto della sua volontà e della sua ragio­ ne. È così che Socrate acconsentì volontariamente all'ese­ cuzione dell 'ingiusta sentenza emessa contro di lui; ma non ci si può aspettare da tutti gli uomini questo grado di ragione e di rettitudine morale. Per assicurare l 'esecuzione delle leggi occorre , dunque, delegare un vero potere, e que­ sto potere si esercita, o sulle cose, o sugli agenti seconda­ ri dello stesso potere, o sugli stessi cittadini, come tali . Le leggi determinano l'obbedienza di questi agenti , e di con­ seguenza, in ultima analisi , il potere consiste essenzial­ mente nel far eseguire la legge. È contro la resistenza alla legge che la forza deve essere impiegata. Questa forza è quella dell'intera nazione, meno coloro che vogliono resistere; e l ' interesse pubblico esige che la legge stessa, coloro che la applicano, coloro che fanno appello alla forza per assicurarne l 'esecuzione, abbiano una fiducia generale sufficiente, o che il dovere dell 'ob­ bedienza provvisoria, anche alle leggi che si disapprovano interiormente, alle applicazioni che si reputano ingiuste, sia radicato abbastanza profondamente in tutti gli animi, perché il successo non possa mai oscillare tra il numero di cittadini che osano opporvisi e quello dei cittadini che le difendono, altrimenti ci sarebbe una guerra intestina, una vera dissoluzione della società. 37

Ma prima di sviluppare gli strumenti per ottenere que­ ste due condizioni , necessarie alla pace e alla libertà di ogni repubblica, è bene esaminare in quale maniera questa forza può essere attuata. Innanzi tutto è evidente che , se il territorio non è molto ristretto , la maggior parte del popo­ lo non può agire per la conservazione della legge; questa forza non si dispiegherà se non parzialmente nella guerra più minacciosa. Così , per assicurare l 'obbedienza alla legge, il suo pote­ re risiede soprattutto nell'opinione dell'impossibilità della resistenza, se questa forza fosse costretta a svilupparsi inte­ ramente. La forza che agisce è dunque necessariamente , su cia­ scun punto del territorio , una porzione determinata del popolo che lo abita o una forza separata dalla massa del popolo, stabilita dalla legge per conservarne l 'esecuzione. Se è vantaggioso e necessario che esista una forza di quest'ultima specie, la conservazione dei diritti dei citta­ dini esige che mai , supponendola riunita, essa possa oppri­ mere la forza nazionale dispersa, nel momento in cui colo­ ro che formano questa forza separata , o quelli che ne dispongono, ne avessero la volontà. Non parlerò qui dei mezzi per applicare questo princi­ pio alla parte dell 'arma composta, non da cittadini che adempiono a un dovere , ma da uomini che esercitano la professione militare; mi occuperò solo della parte di que­ sta forza separata dal popolo, destinata a conservare la sua pace interna. La resistenza alla legge può essere fatta da individui , da una particolare classe di uomini , dalla maggior parte degli abitanti di un territorio più o meno esteso. Credo utile in generale , e non posso ritenere pericoloso, conferire a una forza istituita a questo scopo, la funzione di conservare la legge contro la resistenza individuale. La ritengo utile l ) perché è importante che questa forza si eserciti in modo molto regolare; 2) perché, essendone più consueto l ' impiego, il servizio che esigerebbe diventereb38

be un impegno per i cittadini ; 3) perché, prescrivendo sem­ plicemente di evitare, per quanto possibile, che questi ven­ gano esposti a pericoli , adempiendo, non una funzione ma un dovere, si sarebbe costretti a impiegare dei mezzi troppo al di sotto dell'effetto che si deve produrre; 4) perché le cir­ costanze locali causerebbero troppa ineguaglianza in questo genere di servizio; 5) perché esige una responsabilità alla quale non si possono assoggettare a lungo gli uomini che il caso chiama ad adempiere, un tale giorno, a una certa fun­ zione. Essa non sarà pericolosa perché, pur ritenendola abba­ stanza numerosa da agire con successo contro una banda di briganti, sarà sempre troppo debole per minacciare la libertà pubblica, anche in una parte poco estesa del territorio. Ma non sarà lo stesso se è una numerosa classe di uomi­ ni, un'intera parte del territorio, che oppone resistenza alla legge; in questo caso non si può stabilire una forza suffi­ ciente per respingerla e, separata dall'intera massa dei cit­ tadini senza distruggere la libertà, occorrerebbe meno tempo a questa forza o ai suoi depositari per soffocare la volontà nazionale, nel momento in cui essa cominciasse a manifestarsi, di quanto ne servirebbe alla maggioranza, o anche a una considerevole parte della nazione, per riunir­ si in un voto comune. La forza può dunque essere rimessa solo alla maggior parte dei cittadini che siano in condizione di agire. Ma, prima di giudicare quando e come questa forza si deve dispiegare, occorre esaminare ora quali possono esse­ re la natura e la causa della resistenza. Questa resistenza può essere attiva o passiva. Nel primo caso, la forza nazionale, dovendosi opporre solo alle vio­ lenze contrarie alla legge, non può, se è ben diretta, esse­ re costretta a impiegare mezzi estremi , a meno che non si osi usarli contro di essa; può essere costretta a versare san­ gue solo nel caso in cui gode del diritto della difesa per­ sonale; e, nella circostanza in cui questo diritto è quanto mai legittimo, quando un uomo è ingiustamente attaccato, perché adempie a un dovere . 39

Se la resistenza è, al contrario, passiva, allora si devo­ no usare tutti i mezzi possibili, affinché la forza che deve vincere questa resistenza possa ancora soltanto difendersi; che si limiti per lungo tempo almeno a minacciare, a pre­ venire i mali che possono risultare dali' inadempimento della legge, a lasciare alla ragione il tempo di esercitare la sua sempre vittoriosa autorità. Infine , soprattutto in questo caso, non ci si deve allon­ tanare, senza un ' assoluto impedimento da questo principio che mantiene la pace, e bisogna impiegare solo una forza che, con la sua potenza o il suo apparato , possa convince­ re anche lo spirito degli uomini irritati e violenti , dell ' idea che ogni resistenza sia inutile. Se la disobbedienza alla legge ha come unici motivi gli interessi particolari , sia di una classe di uomini sia di un ter­ ritorio, se non c'è motivo di temere che le passioni persona­ li, che agitano i cittadini ribelli, possano propagarsi , allora si può quasi sempre essere rassicurati dal riunire le forze suffi­ cienti, e non dovete temere né di accendere la discordia nel seno dello Stato, né di soffocare lo spirito pubblico, né di indebolire questo sentimento di indipendenza che caratteriz­ za gli uomini liberi; sentimento che deve tacere davanti alla legge, ma che essa non deve mai soffocare con il terrore. Se, al contrario , la resistenza ha come causa, non degli interessi locali e puramente personali, ma terrori popolari , pregiudizi e un'opposizione reale tra l'opinione dei legi­ slatori e quella di una parte dei c ittadin i , allora , che l ' impiego della forza si limiti a impedire di aggiungere nuovi reati alla violazione della legge; che i mezzi di per­ suasione siano prodigiosi; che tutti quelli attraverso cui la ragione può introdursi negli spiriti siano impiegati con ope­ rosità e con pazienza. Infatti , in queste circostanze, il pericolo di mostrare allo scoperto la debolezza della legge, di far succedere una vera anarchia o una guerra intestina alle violenze passeggere , si unisce a quello di punire come reato degli errori involon­ tari , di sacrificare degli innocenti , di seminare tra i cittadi40

ni i germi di una divisione duratura, e di ispirare al popo­ lo due sentimenti egualmente funesti , l ' odio o il timore servile della legge. Si capisce qui quanto sia necessario che la grande mag­ gioranza del popolo sia persuasa della bontà delle leggi , che abbia fiducia in coloro che le redigono, le applicano o le fanno eseguire, e che infine ciascun cittadino porti nel fondo della sua coscienza il sentimento profondo dell ' ob­ bligo di obbedire provvisoriamente anche alle leggi che disapprova, alla loro applicazione, che considera ingiusta. La fiducia nei funzionari pubblici esige che siano fre­ quentemente rinnovati, e che ne sia affidata la scelta ai cit­ tadini, perché possano considerali come una propria opera. L'amore dell'eguaglianza è un sentimento generale e dominante in tutte le repubbliche, anche in quelle che sono corrotte da istituzioni aristocratiche . La speranza di otte­ nere il godimento di questo prezioso diritto, il timore di veder rivolgere contro di esso nuove offese , quasi sempre sono state le cause di tutti i tumulti, come l ' arte di nascon­ dere l ' ineguaglianza, o di far perdonare la grande politica dell'aristocrazia. L'intera storia della repubblica romana non è che lo svi­ luppo di questa osservazione . Ma, pur supponendo una Costituzione in cui la legge abbia conservato la massima eguaglianza, restano sempre tre generi di ineguaglianza la cui causa è nella natura stessa. Innanzi tutto , l ' ineguaglianza delle facoltà naturali . Se un'istruzione, comune a tutti i cittadini, offre loro le cono­ scenze necessarie per essere affrancati da ogni dipenden­ za nelle azioni ordinarie della vita civile o politica; se, per effetto di questa istruzione, non può più esistere una clas­ se di uomini che governa gli altri con pregiudizi o con l'arte di maneggiare le passioni , allora questa ineguaglianza non può produrre dei mali concreti . I talenti saranno utili senza mai essere pericolosi; i lumi serviranno a rischiara­ re gli uomini e non a ingannarli; l ' invidia non avrà più la possibilità di spaventare il genio per vendicarsene , e i sen41

timenti vergognosi dell 'ostracismo non macchieranno più il cuore degli amici della libertà. Tra le famiglie isolate, esisterebbe l ' ineguaglianza delle ricchezze se non fossero composte da briganti; le cattive leggi accrescono questa ineguaglianza, mentre le buone possono facilmente ridurla entro giusti limiti . Se le eredità sono divise egualmente; se le leggi tendono a dividerle ammettendone la rappresentazione2; se il diritto di far testa­ mento è abolito; se le imposte, egualmente ripartite, non intralciano né l 'industria né il commercio; se l ' industria e il commercio godono di una piena libertà; se l ' istruzione, divenuta generale, secca la sorgente, più feconda di quan­ to si creda, delle ricchezze ottenute sull ' ignoranza altrui; se essa distribuisce, nelle famiglie povere , gli strumenti che formano i talenti per acquisire la prosperità; se delle casse di risparmio offrono risorse all 'economia dei citta­ dini indigenti , allora resterà solo questa ineguaglianza di ricchezze, necessaria all'economia dell ' ordine sociale, e anche al perfezionamento della specie umana. Infine, ogni società si divide necessariamente in due classi, coloro che governano, e coloro che sono governati; e ne risulta un'ineguaglianza reale e necessaria fino al momento, forse ancora remoto, in cui gli uomini conside­ reranno il lavoro di legiferare , di giudicare, come una sem­ plice occupazione, eguale a quella di scrivere un libro, di assemblare una macchina, di risolvere un problema. Se le leggi non hanno fissato i limiti di queste due clas­ si attraverso distinzioni ereditarie o privilegi municipali; se questa divisione è indipendente dalla ricchezza; se anche, 2 Nel codice civile italiano (art. 467) la rappresentazione è l ' istituto in base al quale i discendenti - che seguono la linea retta o collaterale di parentela - subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente >, secondo anno, tomo l.

La società deve dare al popolo

un 'istruzione pubblica

I . In quanto strumento per rendere reale l 'eguaglianza dei diritti

L' istruzione pubblica è un dovere della società nei con­ fronti dei cittadini. Invano si sarebbe dichiarato che tutti gli uomini hanno gli stessi diritti; invano le leggi avrebbero rispettato questo primo principio di eterna giustizia, se l' ineguaglianza nelle facoltà morali impedisse alla maggior parte degli uomini di godere di questi diritti in tutta la loro estensione. Lo stato sociale diminuisce necessariamente l ' inegua­ glianza naturale , facendo concorrere le forze comuni al benessere degli individui. Ma, al contempo, questo benes­ sere viene a dipendere sempre più dai rapporti di ogni uomo con i propri simili, e gli effetti dell'ineguaglianza aumente­ rebbero proporzionalmente, se non si rendesse più debole e quasi nulla, rispetto alla felicità e all 'esercizio dei diritti comuni, quella che nasce dalla differenza degli spiriti .

Questa obbligazione consiste nel non lasciar sussistere alcuna ineguaglianza che causa dipendenza

È impossibile che un'istruzione, anche se eguale, non accresca la superiorità di coloro che la natura ha favorito con un'organizzazione più felice . 87

Ma, per conservare l ' eguaglianza dei diritti , è suffi­ ciente che questa superiorità non causi una dipendenza reale , e che ciascuno sia sufficientemente istruito da eser­ citare da solo, e senza sottomettersi ciecamente alla ragio­ ne altrui, quei diritti di cui la legge gli ha garantito il pieno godimento. Allora la superiorità di alcuni uomini , invece di essere un male per coloro che non hanno ricevuto gli stessi vantaggi, contribuirà al bene di tutti e i talenti , come i lumi , diventeranno il patrimonio comune della società. Così , per esempio, chi non sa scrivere e ignora l'aritme­ tica, dipende realmente dall'uomo più istruito, al quale è costretto costantemente a ricorrere. Egli non è eguale a colui al quale l 'educazione ha dato queste conoscenze. E non può esercitare gli stessi diritti con la medesima estensione e indi­ pendenza. Chi non ha appreso le principali leggi che rego­ lano il diritto di proprietà, non gode di questo diritto nello stesso modo di chi le conosce: nelle discussioni che sorgo­ no tra di loro, essi non combattono ad armi pari . Ma l ' uomo che conosce le regole dell'aritmetica neces­ sarie alla vita, non è dipendente dal sapiente che raggiun­ ge il più alto grado nella conoscenza delle scienze mate­ matiche , e il cui talento gli sarà di reale utilità, senza che mai possa intralciarlo nel godimento dei suoi diritti . L'uomo che è stato istruito sugli elementi della legge civi­ le non è dipendente dal giureconsulto più illuminato, le cui conoscenze possono aiutarlo invece che asservirlo 1 •

L'ineguaglianza dell 'istruzione è una delle principali cause di tirannia Nei secoli dell'ignoranza, alla tirannia della forza si univa quella dei lumi deboli e incerti, ma concentrati esclusiva1 Nell'antica Roma il giureconsulto aveva una posizione predomi­ nante nella società politica e amministrativa per il ruolo di creatore delle leggi oltre che esperto delle stesse [N.d.C.].

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mente all ' interno di alcune classi poco numerose. I preti , i giureconsulti, gli uomini che possedevano il segreto delle operazioni commerciali, gli stessi medici formati in un esi­ guo numero di scuole, erano i maestri del mondo non meno dei guerrieri armati di tutto punto; e lo stesso dispotismo ere­ ditario di questi guerrieri era fondato sulla superiorità che gli conferiva, prima dell' invenzione della polvere da sparo, il loro esclusivo apprendistato nell'arte di maneggiare le armi. È così che, presso gli Egiziani e gli Indiani, le caste che si erano riservate la conoscenza dei misteri della religione e dei segreti della natura, erano riuscite a esercitare su questi sventurati popoli il più assoluto dispotismo che l' immagi­ nazione umana possa concepire. È così che, a Costantinopoli, anche il dispotismo militare dei sultani è stato forzato a pie­ garsi dinanzi al credito degli interpreti privilegiati delle leggi del Corano. Indubbiamente oggi non c'è da temere gli stes­ si pericoli nel resto d'Europa; i lumi qui non possono essere concentrati né ali' interno di una casta ereditaria né in una cor­ porazione esclusiva. Non vi si possono più trovare quelle dottrine occulte o sacre che inseriscono una distanza immen­ sa tra due parti di uno stesso popolo. Bensì è da temere quel grado di ignoranza a causa del quale l ' uomo, vittima del ciar­ latano che vorrà sedurlo, e incapace di difendere da sé i pro­ pri interessi, è obbligato a consegnarsi ciecamente a guide che non può né giudicare né scegliere; questo stato di dipenden­ za servile, che ne è la conseguenza, sussiste presso quasi tutti i popoli per la maggior parte degli uomini per i quali, quin­ di, la libertà e l' uguaglianza non possono essere altro che parole che sentono leggere nei loro codici , e non diritti di cui sappiano godere .

II . Per diminuire l 'ineguaglianza che nasce dalla differenza dei sentimenti morali

Esiste ancora un 'altra ineguaglianza di cui un'istruzione generale, egualmente ripartita, può essere il solo rimedio . 89

Nel momento in cui la legge ha reso tutti gli uomini ugua­ li, la sola distinzione che li divide in diverse classi è quel­ la che scaturisce dalla loro educazione; questa non deriva solo dalla differenza di lumi , ma anche da quella delle opi­ nioni , dei gu sti , dei sentimenti , che ne rappresentano l'inevitabile conseguenza. Il figlio del ricco non apparterrà alla stessa classe del figlio del povero, se nessuna istitu­ zione pubblica li avvicina tramite l 'educazione e, la clas­ se che ne riceverà una più accurata , avrà necessariamente costumi più dolci, un'integrità più raffinata e un'onestà più scrupolosa; le sue virtù saranno più pure , i suoi vizi , al contrario, saranno meno rivoltanti , la sua corruzione meno disgustosa, meno barbara e meno incurabile . Esisterà dun­ que una reale distinzione, che non rientrerà nel potere delle leggi eliminare, e che, stabilendo una vera separazione tra coloro che posseggono i lumi e coloro che ne sono privi , costituirà necessariamente uno strumento di potere per alcuni, e non un mezzo di felicità per tutti . Il dovere della società, relativamente all ' obbligo di estendere il più possibile nei fatti , l 'eguaglianza dei dirit­ ti, consiste dunq ue nel procurare a ciascun uomo l ' istruzione necessaria per esercitare le funzioni comuni di uomo, di padre di famiglia e di cittadino, per sentirne e conoscerne tutti i doveri .

III . Per aumentare nella società il numero di lumi utili

Quanto più gli uomini sono portati dall 'educazione a ragionare equamente , a cogliere le verità che si presentano loro, a rigettare gli errori di cui si vuole renderli vittime, tanto più una nazione che vedesse così i lumi aumentare progres­ sivamente ed estendersi al maggior numero degli individui, deve sperare di ottenere e conservare delle buone leggi, una sag�ia amministrazione e una Costituzione veramente libera. E quindi ancora un dovere della società quello di offri­ re a tutti i mezzi per procurarsi le conoscenze che la forza 90

della loro intelligenza e il tempo che possono impiegare a istruirsi gli consentono di acquisire . Indubbiamente , ne risulterà un vantaggio più grande a favore di coloro che posseggono un maggior talento naturale, e a cui una for­ tuna indipendente lascia la libertà di consacrare più anni allo studio; ma se questa ineguaglianza non sottomette un uomo a un altro, se offre un appoggio al più debole , senza imporgli un capo, essa non è né un male né un' ingiustizia; e, certamente , sarebbe un amore per l ' eguaglianza ben funesto quello che temesse di estendere la classe degli uomini illuminati e di accrescerne i lumi.

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La società deve dare anche

un 'istruzione pubblica relativa alle diverse professioni

I . Per garantire più eguaglianza tra coloro che vi si dedicano

Nello stato attuale delle società, gli uomini si trovano divisi in diverse professioni, ciascuna delle quali esige par­ ticolari conoscenze. I progressi di queste professioni contribuiscono al benes­ sere comune, ed è perciò utile per l 'eguaglianza reale offrir­ ne la possibilità a coloro i cui gusti e le cui facoltà lo chie­ dessero , ma che, a causa della mancanza di un' istruzione pubblica o della povertà, fossero esclusi o condannati alla mediocrità e quindi alla dipendenza. La potenza pubblica deve includere tra i suoi doveri quello di assicurare , facilita­ re e moltiplicare i mezzi per acquisire queste conoscenze; e questo dovere non si limita all'istruzione relativa alle pro­ fessioni che si possono considerare come una specie di fun­ zioni pubbliche, ma si estende anche a quelle che gli uomi­ ni esercitano per la propria utilità, senza pensare all'influen­ za che possono avere sulla prosperità generale.

I I . Per render/e più egualmente utili

Questa eguaglianza neli' istruzione contribuirebbe al perfezionamento delle arti , e non solo eliminerebbe l ' ine93

guaglianza che la disparità di ricchezze pone tra gli uomi­ ni che vi si vogliono dedicare, ma stabilirebbe un altro genere di eguaglianza più generale , quella del benessere . Poco importa alla felicità comune che alcuni uomini devo­ no alla propria fortuna gioie più ricercate , se tutti possono soddisfare i propri bisogni con facilità e riunire nella loro abitazione, nel loro modo di vestire , nel cibo, in tutte le abi­ tudini della loro vita, la salubrità, la pulizia e anche la comodità o il piacere . Ora, il solo mezzo per raggiungere questo fine è portare una sorta di perfezione nelle produ­ zioni delle arti , anche le più comuni. Così , un più alto grado di bellezza, di eleganza o di delicatezza nelle arti che sono destinate solo a un esiguo numero di ricchi, l ungi dali' es­ sere un male per coloro che non ne godono, contribuisce anche al loro vantaggio favorendo i progressi dell ' indu­ stria incoraggiata dali' emulazione . Ma questo bene non esisterebbe se il primato nelle arti fosse unicamente appan­ naggio di pochi uomini che hanno potuto ricevere un' istru­ zione più curata, e non provenisse da una superiorità natu­ rale del talento di cui un 'istruzione pressoché eguale ha potuto dotarli . Il lavoratore ignorante produce esclusiva­ mente opere difettose: ma colui che è inferiore solo per il talento può sostenere la concorrenza in tutto ciò che non esige affatto le massime risorse dell ' arte . Il primo è noci­ vo; il secondo è solo meno bravo di un altro .

I I I . Per diminuire il pericolo a cui alcune professioni espongono

Si può considerare ancora come una conseguenza del­ l ' istruzione generale , il vantaggio di rendere le diverse pro­ fessioni meno insalubri . I mezzi per preservare dalle malat­ tie a cui la maggior parte di loro espone, sono più sempli­ ci e noti di quanto comunemente ci si immagini . La mag­ giore difficoltà sta nel farli adottare da uomini che solo vivendo nella routine della propria professione, vengono 94

infastiditi anche dai più lievi cambiamenti e mancano di quella flessibilità che solo una pratica ponderata può dare . Costretti a scegliere tra una perdita di tempo che diminui­ rebbe il loro guadagno e una precauzione che garantireb­ be la loro vita, preferiscono un pericolo remoto o incerto a una privazione presente .

IV. Per accelerare i loro progressi

Sarebbe anche un modo per liberare sia chi coltiva le diverse professioni sia chi le impiega, da questa moltitu­ dine di piccoli segreti di cui la pratica di quasi tutte le arti è infetta, che ne arresta il progresso e offre un eterno ali­ mento alla cattiva fede e alla ciarlataneria. Infine, se le più importanti scoperte pratiche sono gene­ ralmente dovute alla teoria delle scienze i cui precetti gui­ dano queste arti , vi è anche una quantità di invenzioni che solo gli artisti possono pensare di creare , poiché soltanto essi ne sentono il bisogno e ne percepiscono i vantaggi . L' istruzione che riceveranno renderà loro questa ricerca più facile e soprattutto gli impedirà di smarrire la propria strada. In mancanza di questa istruzione, quelli tra essi a cui la natura ha dato il talento dell'invenzione, ]ungi dal poterlo considerare un vantaggio, vi trovano spesso solo una causa di rovina. Invece di vedere la propria fortuna accrescersi grazie ai frutti delle loro scoperte, la consuma­ no in sterili ricerche; e, prendendo delle strade sbagliate di cui la loro ignoranza non gli permette di percepire i peri­ coli, finiscono per cadere nella follia e nella miseria.

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La società deve impartire l 'istruzione

pubblica anche come mezzo di perfezionamento della specie umana

I . Mettendo tutti gli uomini nati con genio nella condizione di sviluppar/o

È grazie alla progressiva scoperta di verità di ogni ordi­ ne che le nazioni civilizzate sono sfuggite alla barbarie e a tutti i mali che derivano dall'ignoranza e dai pregiudizi . È grazie alla scoperta di nuove verità che la specie umana continuerà a perfezionarsi . E siccome non ve n'è alcuna tra di esse che non fornisca a un' altra un mezzo per elevarsi, che ogni passo, ponendoci dinanzi a ostacoli più difficili da superare , ci comunica nello stesso tempo una nuova forza, è impossibile assegnare un limite a questo perfezio­ namento. È quindi , ancora una volta, un vero e proprio dovere favorire la scoperta di verità speculative , come unico mezzo per condurre progressi vamente la specie umana ai diversi gradi di perfezione e, di conseguenza, di felicità a cui la natura le consente di aspirare; dovere tanto più importante dal momento che il bene non può essere dura­ turo, se non si fanno progressi verso il meglio, e che è necessario procedere verso la perfezione o esporsi ad esse­ re riportati indietro dali ' urto continuo e inevitabile delle passioni, degli errori e degli eventi . Finora, un esiguo numero di individui riceve, durante la propria infanzia, un'istruzione che consente loro di svilup97

pare tutte le facoltà naturali . Appena un centinaio di bam­ bini può vantarsi di avere questa fortuna, e l 'esperienza ha dimostrato che coloro ai quali la fortuna dapprima ha nega­ to questa istruzione e ai quali , in seguito, la forza del loro genio, sostenuta da un caso favorevole, ha consentito di istruirsi , sono rimasti al di sotto delle proprie possibilità. Niente rimedia alla mancanza di questa educazione pri­ maria, la sola che può offrire sia l ' abitudine del metodo sia quella varietà di conoscenze tanto necessaria per elevarsi a un tempo all ' altezza che naturalmente si poteva sperare di raggiungere . Sarebbe dunque importante avere una forma d' istruzio­ ne pubblica che non si lasci sfuggire nessun talento senza averlo notato , e che gli offra tutti gli aiuti riservati finora solo ai figli dei ricchi . Lo avevano compreso anche nei secoli dell ' ignoranza. Da ciò derivano le numerose fonda­ zioni per l'educazione dei poveri; ma queste istituzioni , macchiate dai pregiudizi dei tempi che le hanno viste nascere , non usano alcuna precauzione per evitare di appli­ carle ai soli individui la cui istruzione può diventare un bene pubblico; queste istituzioni non erano che una specie di lotteria, che talvolta offrivano a qualche essere privile­ giato l'incerto vantaggio di raggiungere una classe supe­ riore; facevano troppo poco per la felicità di coloro che favorivano, e niente per l ' utilità comune . Constatando ciò che il genio ha saputo fare malgrado tutti gli ostacoli , si possono immaginare i progressi che avrebbe fatto lo spirito umano se un ' istruzione meglio diretta avesse centuplicato il numero degli inventori . È vero che dieci uomini che partono dallo stesso punto non farebbero dieci volte più scoperte in una scienza, e soprattutto non andrebbero dieci volte più lontano di uno solo di essi . Tuttavia, i veri progressi delle scienze non si limitano a spingersi in avanti , ma consistono anche nell 'e­ stendersi di più attorno allo stesso punto, nel raccogliere un maggior numero di verità trovate con gli stessi metodi e, di conseguenza, derivate dai medesimi princìpi . Spesso, 98

è solo dopo averli esauriti che è possibile andare al di là; e, da questo punto di vista, il numero di queste scoperte secondarie conduce al reale progresso . Occorre osservare ancora che, moltiplicando gli uomi­ ni impegnati in una stessa categoria di verità, si aumenta la speranza di trovarne di nuove , poiché la differenza del loro spirito può corrispondere più facilmente a quella delle difficoltà; e che il caso che influisce tanto spesso sulla scel­ ta degli oggetti delle nostre ricerche e anche su quella dei metodi , deve produrre più combinazioni favorevoli. Inoltre, il numero di geni destinati a creare metodi, ad aprire una nuova via, è molto più esiguo di quello dei talenti da cui ci si può aspettare scoperte secondarie; e l 'opera dei primi , invece di essere spesso interrotta, diventerà tanto più velo­ ce in quanto si offriranno, a un numero maggiore di gio­ vani spiriti, i mezzi per compiere i loro destini. Infine, que­ ste scoperte secondarie sono utili soprattutto per le loro applicazioni; e tra l ' uomo di genio che inventa e l 'esperto che consente l ' utilizzo dei prodotti alla comune utilità resta sempre uno spazio da percorrere, che spesso non si può superare senza queste scoperte di ordine inferiore. Così , mentre una parte dell'istruzione metterebbe gli uomini ordinari nella condizione di trarre profitto dai lavo­ ri del genio, e di impiegarli sia per il proprio bisogno, sia per la propria felicità, un'altra parte di questa stessa istru­ zione avrebbe come fine quella di mettere in opera i talen­ ti preparati dalla natura, di appianare loro gli ostacoli e di aiutarli nel loro cammino.

Il . Preparando le nuove generazioni con la cultura di quelle che le precedono

Il perfezionamento che ci si deve attendere da un ' istru­ zione più egualmente diffusa, forse non si limita a dare tutto il valore di cui sono suscettibili a individui nati con facoltà naturali sempre eguali. Non è neppure chimerico, 99

come potrebbe apparire a un primo colpo d'occhio, crede­ re che la cultura possa migliorare le stesse generazioni , e che il perfezionamento delle facoltà degli individui è tra­ smissibile ai loro discendenti. Anche l 'esperienza sembra averlo provato. I popoli che sono sfuggiti alla civilizza­ zione, sebbene circondati da nazioni illuminate , non sem­ brano affatto elevarsi al loro livello anche nel momento in cui vengono proposti loro eguali strumenti d' istruzione . L'osservazione delle razze di animali asserviti ai bisogni dell'uomo sembra inoltre offrire un' analogia favorevole a questa opinione. L'educazione che si dà loro non trasfor­ ma solo la taglia, la forma esteriore o le qualità puramen­ te fisiche, ma sembra influire sulle disposizioni naturali , sul carattere di queste diverse razze. È quindi molto facile pensare che se diverse generazio­ ni hanno ricevuto un'istruzione orientata verso un fine costante, se ciascuno di coloro che le formano ha coltivato il proprio spirito con lo studio, le generazioni successive nasceranno con una più grande facilità a ricevere l' istruzione e una maggiore attitudine a sapeme profittare. Qualunque opinione si abbia sulla natura dell'anima, o in qualunque scetticismo si possa restare intrappolati, sarebbe difficile negare l'esistenza di organi intellettuali intermedi necessari anche per i pensieri che più sembrano allontanarsi dalle cose sensibili. Tra coloro che si sono dedicati a profonde medi­ tazioni , non ve n'è alcuno a cui l'esistenza di questi organi non si sia manifestata spesso per la stanchezza provata. Il loro grado di forza o di flessibilità, nonostante non sia indi­ pendente dal resto della costituzione fisica, non è tuttavia proporzionato né alla salute né al vigore sia del corpo che dei sensi. Così , l'intensità delle nostre facoltà è legata, alme­ no in parte, alla perfezione degli organi intellettuali, ed è naturale credere che questa perfezione non sia indipenden­ te dallo stato in cui si trovano questi organi intellettuali nelle persone che ci trasmettono l 'esistenza. L'immenso numero di verità accumulate da una lunga successione di secoli , non si deve considerare come un 1 00

ostacolo a questo indefinito perfezionamento. Anche i metodi per ridurle a verità generali , per ordinarie secondo un sistema semplice , per accorciarne l 'espressione con for­ mule più precise, sono suscettibili degli stessi progressi e , più lo spirito umano avrà scoperto verità, più diventerà capace di fissarle e di combinarle in numero maggiore. Se l ' indefinito perfezionamento della nostra specie è , come credo, una legge generale della natura, l ' uomo non deve più considerarsi come un essere limitato a un'esisten­ za passeggera e isolata, destinato a svanire dopo un'alter­ nanza di felicità e dolore, di bene e di male per coloro che il caso gli ha portato vicino; diventa parte attiva del tutto e il cooperatore di un'opera eterna. In un'esistenza di un istante collocata in un punto preciso dello spazio, esso può, con le sue opere , abbracciare tutti i luoghi , legarsi a tutti i secoli e agire ancora a lungo dopo che la sua memoria è sparita dalla terra. Ci vantiamo dei nostri lum i, ma possiamo forse osser­ vare lo stato attuale delle società senza scoprire, nelle nostre opinioni, nelle nostre abitudini , i residui dei pre­ giudizi di venti popoli dimenticati , di cui solo gli errori sono sfuggiti ai tempi e sopravvissuti alle rivoluzioni? Potrei citare, per esempio, nazioni in cui esistono filosofi e orologieri e dove tuttavia si considerano le istituzioni introdotte dalla necessità, quando l ' arte della scrittura non esisteva ancora, come un capolavoro della saggezza umana; dove si impiega, per misurare il tempo in un atto pubbli­ co, i primi mezzi che si sono offerti ai popoli selvaggi . Si può non avvertire quale immensa distanza ci separa dal limite della perfezione, che già scorgiamo in lontananza, il cui genio ci ha aperto e spianato la strada e verso cui ci tra­ scina la sua infaticabile attività, mentre uno spazio ancora più grande deve svelarsi agli occhi dei nostri nipoti? Si può non essere egualmente colpiti da tutto ciò che resta da distruggere e da tutto ciò che un futuro , anche prossimo, offre alle nostre speranze? 101

L'istruzione pubblica è ancora necessaria per preparare le nazioni ai cambiamenti che il tempo dovrà portare In un paese i cambiamenti della temperatura e della qua­ lità della terra, causati sia dalle leggi generali della natura sia dali' effetto di costanti lavori, di nuove colture; la scoperta di nuovi mezzi nelle arti; l 'introduzione di macchine che, impie­ gando meno braccia, costringono i lavoratori a cercare altre occupazioni e, infine, l 'aumento o la diminuzione della popo­ lazione, devono produrre rivoluzioni più o meno importanti, sia nei rapporti dei cittadini tra di loro sia in quelli che intrat­ tengono con le nazioni straniere. Da tutto ciò possono deri­ vare nuovi beni di cui occorre approfittare subito, o danni che occorre riparare, allontanare e prevenire . Sarebbe necessario dunque poterli prevedere e prepararsi in anticipo a cambiare abitudini. Una nazione che si governasse sempre con le stes­ se massime , e le cui istituzioni non permettessero di piegarsi ai cambiamenti che seguono necessariamente le rivoluzioni imposte dal tempo, vedrebbe nascere la propria rovina dalle stesse opinioni, dagli stessi mezzi che ne avevano assicurato la prosperità. Soltanto l'eccesso di male può correggere una nazione dedita alla routine, mentre quella che si è resa degna di obbedire alla voce della ragione, grazie a un'istruzione gene­ rale, che non si è sottomessa a questo giogo di ferro che l'abitudine impone alla stupidità, profitterà delle prime lezio­ ni dell'esperienza, e qualche volta le prevedrà anche. Come l'individuo obbligato ad allontanarsi dal luogo che lo ha visto nascere ha bisogno di acquisire più idee di chi vi resta legato, e deve , via via che se ne distacca, disporre di nuove risorse, così anche le nazioni che avanzano attraverso i secoli hanno bisogno di un 'istruzione che, rinnovandosi e correggendosi continuamente, segua il corso del tempo, qualche volta lo pre­ veda, senza contraddirlo mai . Le rivoluzioni imposte dal perfezionamento generale della specie umana devono indubbiamente condurla alla ragione e alla felicità. Ma quante disgrazie passeggere dovremo subire per raggiungerlo? Quanto remota sarebbe 1 02

l 'epoca della sua piena acquisizione, se un'istruzione gene­ rale non avvicinasse gli uomini tra di loro, se il progresso dei lumi diffuso sempre in modo ineguale diventasse ali­ mento di un'eterna guerra di avarizia e di astuzia tra le nazioni, come tra le diverse classi di uno stesso popolo , invece di legarle con quella fraterna reciprocità di bisogni e di servizi , fondamento di una comune felicità?

Divisione dell 'istruzione pubblica in tre parti Da tutte queste riflessioni , vediamo nascere la necessità di tre forme di istruzione ben distinte . Innanzi tutto un'istruzione comune in cui si deve proporre: l ) Di insegnare a ciascuno, secondo il suo grado di capa­ cità e del tempo di cui può disporre, ciò che è bene che tutti gli uomini conoscano, qualunque sia la loro pro­ fessione e il loro gusto; 2) Di assicurare un modo per conoscere le inclinazioni personali di ogni soggetto, al fine di trame vantaggio per l ' utilità generale; 3) Di preparare gli allievi alle conoscenze che esige la pro­ fessione a cui si indirizzano. La seconda forma di istruzione deve avere per oggetto gli studi relativi alle diverse professioni che è utile perfe­ zionare, sia per l 'utilità comune sia per il benessere perso­ nale di chi vi si dedica. Infine , la terza, puramente scientifica, deve formare coloro che la natura destina a perfezionare la specie umana con nuove scoperte; e quindi facilitare queste scoperte , accelerarle e moltiplicarle.

Necessità di distinguere. in ciascuna forma. l 'istruzione dei bambini da quella degli adulti Queste tre forme d ' istruzione si dividono ancora in due parti . In effetti , occorre innanzi tutto insegnare ai bambini 103

ciò che gli sarà utile sapere quando entreranno nel pieno godimento dei loro diritti , quando eserciteranno in modo indipendente le professioni a cui sono destinati ; ma vi è anche un' altra forma di istruzione che dovrà inglobare tutta la vita. L'esperienza ha provato che non esiste una via di mezzo tra il produrre progressi o rovine. L'uomo che, al ter­ mine della propria educazione, non continuasse a fortifica­ re la propria ragione, ad alimentare con nuove conoscenze quelle che già ha acquisito, a correggere gli errori o a retti­ ficare le nozioni incomplete che ha potuto ricevere, vedreb­ be presto svanire tutti i frutti del lavoro dei suoi primi anni di studio; mentre il tempo cancellerebbe le tracce di quelle prime impressioni che non verrebbero rinnovate da altri studi , e lo stesso spirito, perdendo l'abitudine all' applica­ zione, perderebbe la sua flessibilità e la sua forza. Anche per coloro la cui professione necessaria al proprio sostentamen­ to lascia meno libertà, il tempo dedicato all 'educazione non è, nemmeno lontanamente, equivalente al tempo che posso­ no dedicare a istruirsi. Infine, la scoperta di nuove verità, lo sviluppo, il progresso o l' applicazione di verità già note, il succedersi degli avvenimenti, i cambiamenti nelle leggi e nelle istituzioni, devono offrire circostanze nelle quali diven­ terebbe utile, e anche indispensabile, aggiungere nuovi lumi a quelli trasmessi dall 'educazione. Non è quindi sufficiente che l'istruzione formi gli uomini; occorre che essa conservi e perfezioni coloro che ha già formato , che li illumini, li pre­ servi dall' errore, impedisca loro di ricadere nell'ignoranza; occorre che la porta del tempio della verità sia aperta a tutte le età e che, se la saggezza dei genitori ha preparato gli animi dei figli ad ascoltarne gli oracoli, occorre che essi sappiano sempre riconosceme la voce, e che per il resto della loro vita, non siano portati a confonderla con i sofismi dell' impostu­ ra. La società deve dunque preparare mezzi facili e sempli­ ci per istruirsi , per tutti coloro il cui destino non permette di procurarseli, e che una prima educazione non ha portato a discernere da soli e a cercare le verità che sarebbe utile conoscere . 1 04

Necessità di dividere l 'istruzione in più livelli, secondo la capacità naturale e il tempo che si può impiegare per istruirsi I bambini possono concedere più o meno tempo all' i­ struzione a seconda della ricchezza dei loro genitori , delle circostanze in cui si trovano le loro famiglie e della con­ dizione a cui li si destina. Tutti gli individui non nascono con eguali facoltà e, durante lo stesso numero di anni , tutti i discenti non apprendono le stesse cose pur adottando gli stessi metodi. Cercando di fare apprendere di più a coloro che hanno minor facoltà e talento, invece di diminuire gli effetti di questa ineguaglianza, non si farà altro che aumen­ tarli. Non è utile ciò che si è appreso , ma ciò che si è tenu­ to a mente e, soprattutto , ciò che si è fatto proprio con la riflessione o l ' abitudine . L'insieme delle conoscenze che conviene dare a cia­ scun uomo, deve dunque essere proporzionato non solo al tempo che egli può dedicare allo studio , ma anche alla forza della sua attenzione, all 'estensione e alla durata della sua memoria, all'attitudine e alla precisione della sua intel­ ligenza. La stessa osservazione può egualmente applicarsi all ' istruzione che si occupa delle professioni particolari , e anche agli studi specificamente scientifici . Ora , un ' istruzione pubblica è necessariamente l a stes­ sa per tutti gli individui che la ricevono nello stesso tempo. Si può rimediare a queste differenze soltanto instaurando diversi corsi d' istruzione livellati in base a queste consi­ derazioni , in modo che ogni allievo percorrerebbe più o meno livelli a seconda della quantità di tempo che potreb­ be dedicarvi, e delle sue attitudini ali ' apprendimento . Tre ordini di istituti sembrano bastare per l ' istruzione genera­ le, e due per quella relativa alle diverse professioni e alle scienze. Ciascuno di questi istituti può anche prestarsi ancora ad essere suddiviso in diversi livelli di istruzione, consenten­ do così di restringere il numero di argomenti che possono insegnare, e di stabilire per ognuno un limite adatto alle 1 05

proprie capacità. Allora, un padre saggio, o chi ne adem­ pie le funzioni , potrebbe adattare l ' istruzione comune alle diverse disposizioni degli allievi e allo scopo della loro educazione , a seconda della disposizione naturale e del desiderio o l ' interesse a illuminarsi. Anche negli istituti fondati per gli uomini , ognuno tro­ verebbe un'istruzione proporzionata ai suoi bisogni . Allora, un'educazione che l ' equità deve destinare a tutti , non sarà più organizzata per un esiguo numero di uomini che la natura o il caso ha favorito.

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Motivi per stabilire diversi livelli nell'istruzione comune

I . Per rendere i cittadini capaci di adempiere alle funzioni pubbliche perché esse non diventino una professione

Trovo tre motivi principali per moltiplicare il numero dei livelli dell'istruzione comune. Per le professioni particolari , nelle quali coloro che vi si dedicano hanno come principale scopo il proprio inte­ resse di profitto o di gloria, in quelle in cui i rapporti con gli altri uomini si presentano sempre da individuo a indi­ viduo , l ' utilità comune esige che vadano via via suddivi­ dendosi , perché una professione più limitata può essere esercitata meglio, anche con eguali capacità e quantità di lavoro. Questa considerazione , tuttavia, non è valida per quelle professioni che, producendo relazioni dirette con l 'intera comunità, e agendo su di essa , sono da considerarsi come vere e proprie funzioni pubbliche. Quando, in una nazione, la scrittura delle leggi , il lavo­ ro di amministrazione, la funzione di giudicare, diventano specifiche professioni riservate a coloro che si sono pre­ parati a ciascuna con studi propri , allora non si può dire che vi regni una vera libertà. Si costituisce necessariamente all 'interno di essa una sorta di aristocrazia, non di talenti o di lumi, ma di professioni. È così che in Inghilterra la pro­ fessione degli uomini di legge è riuscita a concentrare , tra i suoi membri , quasi l ' intero potere reale. Il paese più libe1 07

ro è quello in cui una maggiore quantità di funzioni pub­ bliche può essere esercitata da coloro che hanno ricevuto soltanto un ' istruzione comune. Occorre quindi che le leggi cerchino di semplificare l 'esercizio di queste funzioni , e che nel contempo un sistema di educazione sapientemen­ te organizzato dia a questa istruzione comune , tutta l 'esten­ sione necessaria per rendere degni di adempierle coloro che hanno saputo trame profitto.

I I . Perché la divisione dei mestieri e delle professioni non conduca il popolo alla stupidità

Il Signor Smith 1 ha osservato che, più le professioni meccaniche si dividevano, più il popolo era esposto a con­ trarre quella stupidità naturale negli uomini limitati a un piccolo numero di idee di uno stesso genere. L'istruzione è l 'unico rimedio a questo male, tanto più pericoloso in uno Stato, quanto più le leggi vi hanno stabilito una maggiore eguaglianza. In effetti , se essa si estende al di là dei dirit­ ti puramente personali , la sorte della nazione dipende allo­ ra, in parte, da uomini incapaci di essere guidati dalla ragio­ ne, e di avere una volontà propria. Le leggi proclamano l 'eguaglianza dei diritti , ma soltanto le istituzioni per l ' istruzione pubblica possono rendere questa eguaglianza reale. L'eguaglianza che è stabilita dalla legge è ordinata dalla giustizia, ma solo l ' istruzione può far sì che questo principio di giustizia non sia in contraddizione con quello che prescrive di accordare agli uomini solo i diritti il cui

1 Si riferisce al noto economista e filosofo scozzese Adam Smith (1723-1790) e, in particolare, alle conseguenze negative prodotte dalla divisione del lavoro, da lui stesso teorizzata per incrementare il profit­ to. Smith mette in luce come la specializzazione in un'unica attività e la realizzazione di operazioni semplici, ripetitive e meccaniche, non sviluppi l 'immaginazione, riducendo quindi le capacità intellettuali del­ l 'individuo [N .d.C.] .

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esercizio, conforme alla ragione e all 'interesse comune , non pregiudichi i diritti degli altri membri della società. Occorre dunque che, contemporaneamente , uno dei livelli dell'istruzione comune renda capaci anche gli uomini for­ niti di una capacità ordinaria di adempiere bene a tutte le fun­ zioni pubbliche, e che un altro livello non esiga più tempo di quanto l'individuo, indirizzato alla branca più ristretta di una professione meccanica, può sacrificare allo studio, per pennettergli di sfuggire alla stupidità, non grazie all'esten­ sione, ma grazie alla scelta e all'esattezza delle nozioni che riceverà. Altrimenti , si introdurrebbe un'ineguaglianza dav­ vero reale, facendo del potere il patrimonio esclusivo degli individui che, dedicandosi ad alcune professioni, lo acquisi­ rebbero, oppure si abbandonerebbero gli uomini ali' autorità dell'ignoranza, sempre ingiusta e crudele, sempre sottomessa alla volontà corrotta di qualche tiranno ipocrita; si potrebbe sostenere questo impostore fantasma dell'eguaglianza solo sacrificando la proprietà, la libertà, la sicurezza, ai capricci dei feroci agitatori di una moltitudine dispersa e stupida.

I I I . Per diminuire, con un 'istruzione generale, La vanità e L 'ambizione

In una società numerosa, quella turbolenta avidità con la quale, coloro che non impiegano tutto il proprio tempo a lavorare per la propria sussistenza o ad arricchirsi , inse­ guono le cariche che danno potere o che incoraggiano la vanità, è molto nefasta. Un uomo è appena riuscito ad acquisire qualche mezza conoscenza, che già vuole gover­ nare la sua città o pretendere di illuminarla. Si considera come una vita inutile, e quasi vergognosa, quella di un cit­ tadino che, preso dalla cura dei suoi affari , resta tranquil­ lamente all ' interno della propria famiglia a predisporre la fortuna dei suoi figli , a coltivare l ' amicizia, a esercitare la beneficenza, a fortificare la sua ragione con nuove cono­ scenze e la sua anima con nuove virtù. Tuttavia, è diffici1 09

le sperare che una nazione possa godere di una pacifica libertà e perfezionare le sue istituzioni e le sue leggi , se non vi scorgiamo moltiplicarsi questa classe di uomini la cui imparzialità, il disinteresse e i lumi devono guidare l'opinione pubblica: essi soli possono porre una barriera alla ciarlataneria, all ' ipocrisia che, senza questa utile resi­ stenza, si impadronirebbero di tutte le cariche. Coloro che vi sono chiamati per talento o per virtù , non potrebbero, senza quest'aiuto, combattere l ' intrigo se non con sfavore . Infatti , un istinto naturale ispirerà sempre agli uomini poco illuminati una sorta di sfiducia per coloro che aspireranno a ottenere il loro suffragio: non potendo giudicare seguen­ do i propri lumi, crederanno i concorrenti loro amici o loro rivali? Diffideranno delle loro opinioni, nelle quali sarà tanto più facile per essi supporre che ci sia un interesse nascosto considerato che, se questo interesse esistesse real­ mente, non lo distinguerebbero? Occorre dunque che la fiducia della maggior parte dei cittadini possa riporsi su uomini che non aspirino a nulla, e che siano in grado di indirizzare la loro scelta. Ma questa categoria di uomini potrebbe esistere sol­ tanto in un paese in cui l ' istruzione pubblica offrisse a un gran numero di individui la possibilità di acquisire queste conoscenze che consolano e abbelliscono la vita, che impe­ discono di avvertire il peso del tempo e la stanchezza del riposo. È proprio in un simile paese che questi nobili amici della verità possono moltiplicarsi tanto da essere utili, e tro­ vare nella società dei loro simili un incoraggiamento per la loro modesta e tranquilla carriera. In questo paese in cui le conoscenze ordinarie non offrono all'ambizione sedu­ centi speranze, si ha bisogno soltanto di una virtù comu­ ne, per consentire a un individuo di essere un uomo one­ sto e un cittadino illuminato . Ciò che abbiamo appena detto dell 'istruzione dei bam­ bini si applica anche a quella degli uomini; è necessario che possa essere proporzionata sia alla loro capacità naturale , all'estensione della loro istruzione primaria, sia al tempo 1 10

che possono o vogliono ancora consacrarle, per stabilire tra tutte le eguaglianze che possono esistere tra due cose neces­ sariamente ineguali, quella che esclude non la superiorità, ma la dipendenza. In una Costituzione fondata su ingiusti princìpi e in cui , tuttavia, un abile miscuglio di monarchia o di aristocrazia assicurasse la tranquillità e i l benessere del popolo, del quale distruggerebbe la libertà, un ' istruzione pubblica sarebbe indubbiamente utile. Tuttavia, lo Stato potrebbe mantenere anche senza di essa la pace, e una sorta di pro­ sperità. Ma una Costituzione veramente libera, in cui tutte le classi della società godono degli stessi diritti , non può sussistere se l ' ignoranza di una parte dei cittadini non con­ sente loro di conoscerne la natura e i limiti , se li obbliga a pronunciarsi su ciò che non conoscono, a scegliere quan­ do non possono giudicare; una tale Costituzione si distrug­ gerebbe da sola dopo qualche tumulto, e degenererebbe in una di quelle forme di governo che possono conservare la pace all ' interno di un popolo ignorante e corrotto.

Necessità di esaminare a parte ciascuna divisione e ciascun livello dell 'istruzione Per ciascuna delle numerose divisioni che sono appena state stabilite, è necessario esaminare l ) quali devono esse­ re gli oggetti dell'istruzione e in che punto è conveniente arrestarsi; 2) quali libri devono servire per ogni insegna­ mento e quali altri strumenti potrebbe essere utile aggiun­ gervi; 3) quali devono essere i metodi di insegnamento; 4) quali maestri si devono scegliere, da chi e in che modo occorre che siano scelti . In effetti , queste questioni non devono essere risolte nello stesso modo per ciascuna delle divisioni che sono state stabilite . Il vero spirito sistematico non consiste nel­ l 'estendere a caso le applicazioni di una stessa massima, ma nel far derivare dagli stessi princìpi le regole proprie a III

ciascun oggetto . Esso rappresenta il talento di comparare, sotto tutti i loro aspetti, tutte le idee giuste e vere che si offrono alla meditazione, di ricavarne le combinazioni nuove o profonde che vi sono nascoste, e non l ' arte di generalizzare delle combinazioni formate a caso dall'esi­ guo numero di idee che si presentano per prime. Così, nel sistema del mondo, gli astri sottoposti a una reciproca dipendenza da una legge comune, si muovono ognuno in un'orbita differente e, trascinati a una velocità che cambia continuamente, presentano, nel risultato di uno stesso prin­ cipio, un' inesauribile varietà di aspetti e movimenti.

Questioni preliminari da risolvere Ma prima di entrare in questi particolari , è necessario determinare l ) se l 'educazione pubblica, istituita da un potere nazionale, si deve limitare all ' istruzione; 2) fin dove si estendono i diritti della potenza pubblica su questa istru­ zione e se deve essere la stessa per entrambi i sessi , o se invece occorrono istituti specifici per ciascuno.

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L'educazione pubblica deve limitarsi all 'istruzione

l . Perché la differenza necessaria delle carriere e dei destini le impedisce di estendersi oltre

L'educazione pubblica dovrà limitarsi all 'istruzione? Troviamo, presso gli antichi, qualche esempio di un'edu­ cazione comune in cui tutti i giovani cittadini, considerati come i figli della repubblica, venivano allevati per essa, e non per la loro famiglia o per se stessi. Molti filosofi hanno descritto istituzioni simili. Credevano di trovarvi un mezzo per conservare la libertà e le virtù repubblicane che vede­ vano costantemente scomparire, dopo poche generazioni , dai paesi dove avevano brillato con grande splendore; ma questi princìpi non possono essere applicati alle nazioni moderne . Nell'educazione, questa eguaglianza assoluta può esistere solo presso quei popoli in cui i lavori della società sono svolti dagli schiavi. È sempre solo supponendo una nazione avvilita che gli antichi hanno cercato i mezzi per educarne un' altra a tutte le virtù di cui è capace la natura umana. Dal momento che l'eguaglianza che volevano sta­ bilire tra i cittadini aveva costantemente come base la mostruosa ineguaglianza tra lo schiavo e il signore, tutti i loro princìpi di libertà e giustizia erano fondati sull ' ini­ quità e la servitù . Così , non hanno potuto sfuggire mai alla giusta vendetta della natura oltraggiata. Ovunque hanno smesso di essere liberi, perché non volevano sopportare che lo fossero anche gli altri uomini . 1 13

Il loro indomabile amore per la libertà non era la gene­ rosa passione dell ' indipendenza e dell'eguaglianza, ma la febbre dell'ambizione e dell'orgoglio; un miscuglio di durez­ za e ingiustizia corrompeva le loro più nobili virtù . In che modo una pacifica libertà, l ' unica che possa essere durevo­ le, avrebbe potuto appartenere a uomini che potevano esse­ re indipendenti soltanto esercitandone il dominio, e vivere con i loro concittadini come con dei fratelli, senza trattare come nemici il resto degli uomini? Coloro che oggi si van­ tano di amare la libertà, e nonostante ciò condannano alla schiavitù gli esseri che la natura ha fatto eguali a loro, non pretendano di rifarsi a queste sudice virtù dei popoli antichi; essi non hanno più come alibi il pregiudizio della necessità, o l'inoppugnabile errore di un costume universale; e l 'uomo vile, la cui avarizia trae un vergognoso profitto dal sangue e dalle sofferenze dei suoi simili, appartiene , non meno del suo schiavo, al signore che vorrà comprarlo. Nella nostra società, le occupazioni faticose sono affi­ date a uomini liberi che, obbligati a lavorare per soddisfa­ re i propri bisogni, hanno tuttavia gli stessi diritti e sono eguali a coloro che la sorte ha dispensato. Gran parte dei figli dei cittadini è destinata a dure occupazioni il cui apprendistato dovrà cominciare presto, e il cui esercizio occuperà tutto il loro tempo; il loro lavoro diventa parte della risorsa della famiglia anche prima che siano comple­ tamente usciti dall'infanzia; mentre gran parte di coloro a cui l 'agiatezza dei loro genitori permette di impiegare più tempo e di consacrare anche qualche risorsa a un'educa­ zione più ampia, si preparano, grazie a questa educazione, a professioni più lucrative; e infine , per gli altri, nati con un patrimonio indipendente , l 'educazione ha come unico scopo quello di assicurare loro i mezzi per vivere felice­ mente e per acquisire la ricchezza o la considerazione che offrono gli impieghi, i servizi pubblici o i talenti . È dunque impossibile sottoporre rigorosamente alla stessa educazione uomini la cui destinazione è così diffe­ rente . Se questa venisse stabilita per coloro che hanno 1 14

meno tempo da consacrare all' istruzione , la società sareb­ be obbligata a sacrificare tutti i vantaggi che può sperare di ottenere dal progresso dei lumi . Se, al contrario, si voles­ se organizzarla per coloro che possono sacrificare la loro intera giovinezza a istruirsi , o vi si troverebbero insor­ montabili ostacoli , oppure occorrerebbe rinunciare ai van­ taggi di un' istituzione che abbracci la totalità dei cittadini . Infine, in entrambe le ipotesi , i bambini non sarebbero istruiti per se stessi e neppure per la patria, né per i biso­ gni che dovranno soddisfare , né per i doveri che saranno obbligati ad assolvere. Un'educazione comune non può essere divisa per gradi come l ' istruzione . Occorre che essa sia completa, altri­ menti è inutile e addirittura nociva.

Il . Perché essa lederebbe i diritti dei genitori

Un altro motivo obbliga a limitare l 'educazione pub­ blica alla sola istruzione; il fatto che non la si può esten­ dere oltre senza pregiudicare alcuni diritti che la potenza pubblica deve rispettare. Gli uomini si sono riuniti in società solo per ottenere un godimento completo, pacifico e assicurato dei loro diritti naturali ; e si deve indubbiamente includere tra questi dirit­ ti quello di vegliare sui primi anni dei loro bambini , di sup­ plire alla loro mancanza d' intelligenza, di sostenere la loro debolezza, di guidare la loro nascente ragione e di prepa­ rarli alla felicità. È un dovere imposto dalla natura , e ne consegue un diritto che l ' affetto paterno non può lasciar cadere . Si commetterebbe quindi una vera ingiustizia se si concedesse alla maggioranza reale dei capofamiglia, e ancor di più se si affidasse a quella dei loro rappresentan­ ti , il potere di obbligare i padri a rinunciare a educare essi stessi le proprie famiglie. Con una simile istituzione che , spezzando i vincoli naturali , distruggerebbe la felicità domestica, indebolirebbe o anche annichilirebbe i senti1 15

menti di riconoscenza filiale, primo germe di tutte le virtù, si condannerebbe la società che l 'avrà adottata a godere sol­ tanto di una felicità convenzionale e di virtù simulate . Questo strumento potrebbe indubbiamente formare un ordi­ ne di guerrieri o una società di tiranni; ma non costruirà mai una nazione di uomini, un popolo di fratell i .

III . Perché un 'educazione pubblica diventerebbe contraria aLI ' indipendenza delle opinioni

Del resto , l ' educazione, se la si considera in tutta la sua estensione, non si limita all ' istruzione positiva, all' inse­ gnamento delle verità di fatto e del calcolo, ma abbraccia tutte le opinioni politiche, morali o religiose. La libertà di queste opinioni non sarebbe che illusoria, se la società si impadronisse delle nascenti generazioni per imporre loro ciò che devono credere . Colui che , entrando nella società, vi porta le opinioni che la sua educazione gli ha dato, non è più un uomo libero; egli è lo schiavo dei suoi maestri , e le sue catene sono tanto più difficili da spezzare in quanto egli non si considera incatenato, e crede di obbedire alla propria ragione quando, invece, non fa che sottomettersi a quella di un altro. Si dirà forse che egli non sarebbe real­ mente libero, se non ricevesse queste opinioni dalla sua famiglia. Ma, in tal caso , queste opinioni non sono le stes­ se per tutti i cittadini; ciascuno si accorgerà presto che la propria convinzione non è universale , e capirà allora di non doversene fidare, poiché essa non ha più, ai suoi occhi , il carattere di una verità convenzionale, e se persiste nel­ l'errore, questo diventa un errore volontario. L'esperienza ha mostrato quanto il potere di queste prime idee si inde­ bolisce non appena si oppongono ad esse nuovi reclami: si sa che allora la vanità di respingerle prevale spesso su quel­ la di non cambiare. Quand'anche queste opinioni comin­ ciassero con l ' essere più o meno le stesse in tutte le fami­ glie, se un errore della potenza pubblica non offrisse loro 1 16

un punto d' incontro , presto le si vedrebbe dividersi, e quin­ di ogni pericolo sparirebbe con l ' uniformità. D ' altra parte, i pregiudizi prodotti dall'educazione domestica sono una conseguenza dell'ordine naturale delle società, e una savia istruzione, diffondendo i lumi , ne rappresenta il rimedio; invece i pregiudizi prodotti dalla potenza pubblica sono una vera tirannia, un attacco contro una delle parti più pre­ ziose delle libertà naturali . Gli antichi non avevano alcuna idea d i questo genere di libertà; sembravano non avere altro fine , nelle loro istitu­ zioni , che quello di annientarl e. Essi avrebbero voluto lasciare agli uomini soltanto le idee , i sentimenti che rien­ travano nel sistema del legislatore. Per essi, la natura aveva creato soltanto macchine, di cui solo la legge doveva rego­ lare gli impulsi e dirigere l ' azione . Questo sistema era indubbiamente perdonabile a delle società nascenti , dove si era circondati saltando da pregiudizi ed errori ; mentre un esiguo numero di verità, più supposte che conosciute , più indovinate che scoperte , era il patrimonio di pochi uomini privilegiati, costretti anche a dissimularle. Si poteva credere allora che fosse necessario fondare la felicità della società sugli errori , e di conseguenza conservare, mettere al ripa­ ro da ogni pericoloso esame le opinioni che si fossero giu­ dicate capaci di assicurarla. Ma oggi che è riconosciuto che solo la verità può esse­ re la base di una durevole prosperità, e che i lumi , aumen­ tando senza sosta, non permettono più all 'errore di vantarsi di un eterno impero, il fine dell'educazione non può più essere quello di consacrare le opinioni accertate ma, al con­ trario, di sottoporle al libero esame delle generazioni futu­ re, sempre più illuminate . Infine , un'educazione totale finirebbe con l 'estendersi alle opinioni religiose; la potenza pubblica sarebbe dunque costretta a stabilire tante educazioni diverse per quante reli­ gioni vecchie o nuove fossero professate sul suo territorio; oppure essa obbligherebbe i cittadini di diverse credenze religiose sia ad adottare la stessa per i loro bambini , sia a 1 17

limitarsi a scegliere tra le poche che le sarebbe convenuto incoraggiare. Si sa che in questo genere di opinioni la mag­ gior parte degli uomini segue quelle che hanno ricevuto fin dall'infanzia, e che raramente viene loro in mente di esa­ minarle. Se dunque esse fanno parte dell 'educazione pub­ blica, cessano di essere scelte liberamente dai cittadini , e diventano un giogo imposto da un potere illegittimo. In una parola, è egualmente impossibile ammettere o rifiuta­ re l ' istruzione religiosa in un ' educazione pubblica che escludesse l ' educazione domestica, senza attentare alla coscienza dei genitori , nel momento in cui questi conside­ rassero una religione esclusiva necessaria o anche utile alla morale e alla felicità di un'altra vita. È necessario dunque che la potenza pubblica si limiti a regolare l ' istruzione, lasciando alle famiglie il resto deli ' educazione .

La potenza pubblica non ha il potere di legare

l'insegnamento della morale a quello della religione Anche a tal riguardo , la sua azione non dovrà essere né arbitraria né universale. Abbiamo già visto che le opinio­ ni religiose non possono far parte dell 'istruzione comune , poiché , dovendo essere la scelta di una coscienza indipen­ dente , nessuna autorità ha il diritto di preferire l'una all ' al­ tra; e ne deriva la necessità di rendere l 'insegnamento della morale rigorosamente indipendente da queste opinioni .

Essa non ha il diritto di far insegnare le opinioni come fossero verità La potenza pubblica non può neppure , attorno a nessun argomento , avere il diritto di far insegnare le opinioni come verità; essa non deve imporre nessuna fede. Se alcune opi­ nioni le sembrassero pericolosi errori , non è facendo inse­ gnare le opinioni contrarie che le deve contrastare o pre1 18

venire; è escludendole dal l ' istruzione pubblica, non con le leggi, ma con la scelta dei maestri e dei metodi; è soprat­ tutto assicurando agli spiriti buoni gli strumenti per sottrarsi a questi errori , e di conoscerne tutti i pericoli . Il suo dovere è armare contro l 'errore, che è sempre un male pubblico, tutta la forza della verità; ma essa non ha il diritto di decidere dove risiede la verità, dove si trova l 'errore. Così , la funzione propria ai ministri della religio­ ne è di incoraggiare gli uomini ad adempiere ai loro dove­ ri; e tuttavia, la pretesa di decidere esclusivamente quali sono questi doveri sarebbe la più pericolosa delle usurpa­ zioni sacerdotali .

Di conseguenza essa non deve affidare l 'insegnamento a corporazioni perpetue La potenza pubblica deve dunque evitare soprattutto di affidare l ' istruzione a dei corpi insegnanti che si reclutano da soli. La loro storia è quella tracciata dagli sforzi che hanno fatto per perpetuare opinioni vane che gli uomini illuminati avevano, da lungo tempo, relegato tra gli errori; è quella dei loro tentativi di imporre agli spiriti un giogo con l ' aiuto del quale essi speravano di prolungare la loro credibilità o di estendere le loro ricchezze. Che queste cor­ porazioni siano costituite da ordini di monaci, da congre­ gazioni di mezzi-monaci , da università, da semplici cor­ porazioni , il pericolo è lo stesso. L' istruzione che trasmet­ teranno avrà sempre per fine, non il progresso dei lumi, ma la crescita del loro potere; non di insegnare la verità, ma di perpetuare i pregiudizi utili alla loro ambizione, le opi­ nioni che servono alla loro vanità. D'altra parte , quand'an­ che queste corporazioni non fossero gli apostoli masche­ rati delle opinioni che sono loro utili, vi si insedierebbero idee ereditarie; tutte le passioni dell'orgoglio vi si unireb­ bero per perpetuare il sistema di un capo che le ha gover­ nate, di un celebre confratello della cui gloria avrebbero 1 19

l ' insolenza di appropriarsi ; nell ' arte stessa di cercare la verità, s i andrebbe a introdurre il nemico più pericoloso di questi progressi , e cioè le abitudini consacrate . Non bisogna più temere il ritorno di questi grandi erro­ ri che hanno infettato lo spirito umano con una lunga ste­ rilità, che hanno asservito intere nazioni ai capricci di qual­ che dottore a cui sembra che avessero delegato il potere di pensare per loro. Ma queste corporazioni , con quanti pic­ coli pregiudizi potrebbero ancora ostacolare o sospendere i progressi della verità? Anche se sono abili nel seguire con infaticabile tenacia il loro sistema dominatore, chi può dire se esse non potrebbero ritardare questi progressi tanto da lasciarsi il tempo di allacciare le nuove catene che ci destinano, prima che il loro peso ci abbia avvertito di rom­ perle? Chi può dire se il resto della nazione, tradito con­ temporaneamente da questi istitutori e dalla potenza pub­ blica che li avrebbe protetti , potrebbe scoprire i loro pro­ getti tanto presto da sconvolgerli e prevenirli? Create dei corpi insegnanti , e sarete sicuri di aver creato tiranni o gli strumenti della tirannia.

La potenza pubblica non può stabilire un corpo

di dottrine che deve essere insegnato in modo esclusivo

È indubbiamente impossibile che non si scambino delle opinioni con le verità che devono essere oggetto dell'i­ struzione . Se quelle delle scienze matematiche non sono mai esposte ad essere confuse con l 'errore, la scelta delle dimostrazioni e dei metodi deve variare a seconda dei loro progressi, seguendo il numero e la natura delle loro appli­ cazioni usuali. Se dunque, in questo caso, e solo in questo caso, una continuità nell'insegnamento non portasse all'er­ rore, essa si opporrebbe comunque a ogni forma di perfe­ zionamento. Nelle scienze naturali i fatti sono costanti. Ma alcuni, dopo aver presentato una completa un iformità, offrono presto differenze e modificazioni che un esame più 1 20

accurato o molteplici osservazioni permettono di scoprire ; altri, considerati inizialmente come general i , cessano di esserlo, perché il tempo o una ricerca più attenta hanno mostrato delle eccezioni. Nelle scienze morali e politiche, i fatti non sono così costanti , o per lo meno non lo sem­ brano a coloro che li osservano. Più interessi , pregiudizi e passioni pongono ostacolo alla verità, meno ci si deve van­ tare di averla scoperta; e ci sarebbe molta presunzione nel voler imporre agli altri le opinioni che si scambierebbero per essa. È soprattutto in queste scienze che , tra le verità riconosciute e quelle che sono sfuggite alle nostre ricerche, esiste uno spazio immenso che solo l'opinione può riem­ pire. Se gli spiriti superiori hanno collocato in questo spa­ zio delle verità - con il cui aiuto lo percorrono con passo fermo, e possono anche spingersi al di là dei suoi limiti per il resto degli uomini , queste stesse verità si confondo­ no ancora con le opinioni e nessuno ha il diritto di distin­ guerle per altri e di dire: ecco ciò che vi ordino di credere, e che non posso provarvi. Le verità fondate su prove certe e largamente ricono­ sciute sono le sole che si devono considerare immutabili, e non ci si può impedire di essere allarmati per il loro esi­ guo numero. Quelle che consideriamo come le più univer­ salmente riconosciute, contro le quali non si supponesse mai che si possano sollevare obiezioni, spesso devono que­ sto onore al caso , che non ha richiamato su di esse l'attenzione degli spiriti della maggioranza. Che le si discu­ tano, e presto si vedrà nascere l' incertezza, e l'opinione condivisa galleggiare a lungo indecisa. Tuttavia, siccome queste scienze influiscono di più sulla felicità degli uomini, è molto più importante che la poten­ za pubblica non detti la dottrina comune del momento come verità eterne, per paura che essa faccia dell ' istruzio­ ne un dispositivo per consacrare i pregiudizi che le sono utili , e uno strumento di potere di ciò che dovrà essere la protezione più sicura contro tutti i poteri ingiusti . 121

La potenza pubblica deve mettere le sue opinioni

a fondamento dell 'istruzione, dal momento che non la si può considerare allo stesso livello dei lumi del secolo nel quale essa si esercita I depositari della potenza pubblica resteranno sempre a una distanza più o meno grande dal punto in cui sono per­ venuti gli spiriti destinati ad aumentare la quantità dei lumi. Quand'anche alcuni uomini di genio fossero seduti tra quel­ li che esercitano il potere, essi non potrebbero mai avere in ogni momento una preponderanza tale da permettere loro di mettere in pratica i risultati delle proprie meditazioni. Questa fiducia nella ragione profonda della quale non si può segui­ re il cammino, questa sottomissione volontaria al talento, questo omaggio alla reputazione costano troppo ali' amor pro­ prio per diventare , almeno su lungo periodo, sentimenti abi­ tuali, e non una sorta di obbedienza forzata dalle imperiose cir­ costanze e riservata ai tempi di pericolo e di disordine. D'altronde , ciò che, in ogni epoca, segna il vero limite dei lumi, non è la singola ragione di un uomo di genio, che può anche avere i propri personali pregiudizi, ma la ragione comu­ ne degli uomini illuminati; ed è necessario che l'istruzione si avvicini a questo limite dei lumi più di quanto la potenza pub­ blica non possa avvicinarsene. Infatti , l 'oggetto dell'istruzio­ ne non è quello di perpetuare le conoscenze diventate genera­ li in una nazione, ma di perfezionarle e di ampliarle . Che cosa succederebbe se la potenza pubblica invece di seguire, anche solo da lontano, i progressi dei lumi, fosse schia­ va dei pregiudizi ; se, per esempio, invece di riconoscere la separazione assoluta del potere politico che regola le azioni e l'autorità religiosa che può esercitarsi soltanto sulle coscien­ ze, prostituisse la maestà delle leggi fino a utilizzarle per sta­ bilire i bigotti princìpi di un'oscura setta, resa pericolosa da un cupo fanatismo, e consacrata al ridicolo da sessant'anni di agitazioni? Che cosa succederebbe se, sottomessa all' influen­ za dello spirito mercantile, essa impiegasse la legge per favo­ rire, tramite proibizioni, i progetti dell'avidità e la consuetu1 22

dine dell' ignoranza; o se, docile alla voce di qualche zelante capo di dottrine occulte, ordinasse di preferire le illusioni della luce interiore ai lumi della ragione? Che cosa succederebbe se, sconvolta da avari trafficanti che credono di poter vendere o comprare gli uomini purché questo commercio gli frutti una percentuale maggiore; ingannata da barbari proprietari di pian­ tagioni che considerano il sangue o le lacrime dei loro fratel­ li, purché possano convertirli in oro; e dominata da vili ipo­ criti, consacrasse per una vergognosa contraddizione la viola­ zione più esplicita dei diritti da essa stessa stabiliti? Come potrebbe allora ordinare di insegnare queste colpevoli massi­ me o dei princìpi direttamente contrari alle leggi? Cosa diven­ terebbe l' istruzione in un paese dove ci fosse bisogno che il diritto pubblico e l'economia politica cambiassero insieme alle opinioni dei legislatori; dove non si permettesse di stabilire le verità che condannerebbero la loro condotta; dove, non con­ tenti di ingannare e opprimere i loro contemporanei, esten­ dessero le loro catene alle generazioni successive, e le consa­ crassero alla vergogna eterna di condividere le loro corruzio­ ni o i loro pregiudizi? Il dovere, come il diritto della potenza pubblica,

si limita dunque a fissare l 'oggetto dell 'istruzione e ad assicurarsi che sarà insegnato in modo adeguato La potenza pubblica deve, dunque, dopo aver fissato l'oggetto e l'estensione di ciascun' istruzione, assicurarsi che in ogni epoca la scelta dei maestri, dei libri e dei metodi di insegnamento sarà condivisa dalla ragione degli uomini illu­ minati e abbandonare il resto alla loro influenza. La Costituzione di ciascuna nazione deve far parte

dell'istruzione solo come un fatto Abbiamo detto che l ' insegnamento della Costituzione di ciascun paese deve far parte dell'istruzione nazionale . 1 23

Questo è , senza dubbio, vero se se ne parla come di un fatto; se ci si accontenta di esplicitarla e di svilupparla; se, nell' insegnamento, ci si limita a dire: tale è la Costi­ tuzione stabilita dallo Stato e alla quale tutti i cittadini devono sottomettersi . Ma se si intende che bisogna inse­ gnarla come una dottrina conforme ai princìpi della ragio­ ne universale, o suscitare in suo favore un entusiasmo cieco che renda i cittadini incapaci di giudicarla; se si dice loro: ecco ciò che dovete adorare e credere , allora si vuol creare una specie di religione politica; si prepara per gli spiriti una catena e si viola la libertà nei suoi diritti più sacri, con il pretesto di insegnare ad amare . Il fine del l ' i­ struzione non è di portare gli uomini ad adorare una legi­ slazione preconcetta, ma di renderli capaci di apprezzar­ la e di correggerla. Non si tratta di sottomettere ciascuna generazione alle opinioni o alla volontà di quella che l ' ha preceduta, ma di rischiararle sempre di più, affinché ognu­ na diventi progressivamente degna di governarsi con la propria ragione. È possibile che la Costituzione di un paese contenga leggi assolutamente contrarie al buon senso e alla giusti­ zia, leggi che siano sfuggite ai legislatori in momenti di disordine , che siano state strappate loro dall' influenza di un oratore o di un partito, dall 'impulso di un'effervescenza popolare; che, infine, siano state loro ispirate alcune dalla corruzione, altre dalle false intenzioni di un'utilità locale e temporanea: può accadere, e accadrà anche spesso, che emanando queste leggi , i loro autori non abbiano capito in cosa esse contraddicevano i princìpi della ragione, o che non abbiano voluto abbandonare questi princìpi, ma solo sospenderne , per un momento, l ' applicazione . Sarebbe dunque assurdo non insegnare le leggi stabilite in altro modo che come la volontà attuale della potenza pubblica alla quale si è obbligati a sottomettersi , senza che ci si esponga al ridicolo di fare insegnare come veri , princìpi contraddittori . 1 24

Queste riflessioni devono estendersi all 'istruzione destinata agli uomini Ciò che abbiamo detto circa questa parte dell' istruzio­ ne destinata ai primi anni si estende egualmente a quella che deve abbracciare il resto della vita. Essa non dovrà avere come oggetto quello di propagare tali o tal' altre opi­ nioni, di inculcare negli spiriti alcuni princìpi utili a certe intenzioni, ma di istruire gli uomini sui fatti che è per loro utile conoscere, di mettere sotto ai loro occhi le discussio­ ni che riguardano i loro diritti e la loro felicità, e di offrir­ gli l' aiuto necessario affinché possano decidere da soli . Coloro che esercitano la potenza pubblica devono indubbiamente illuminare i cittadini sulle ragioni delle leggi alle quali essi li sottomettono . Occorre quindi guar­ darsi bene dal bandire queste spiegazioni delle leggi, que­ ste esposizioni dei motivi o delle intenzioni che sono un omaggio a coloro in cui risiede il vero potere, e di cui i legi­ slatori non sono che gli interpreti . Ma, al di là delle spie­ gazioni necessarie per comprendere la legge e attuarla, è necessario considerare questi preamboli o commenti pre­ sentati a nome del legislatore , meno come un insegnamento che come un resoconto dei depositari del potere per il popo­ lo dal quale lo hanno ricevuto; e soprattutto occorre guar­ darsi bene dal credere che tali spiegazioni bastino per adempiere il loro dovere relativo all ' istruzione pubblica. Essi non devono limitarsi a non porre ostacoli ai lumi che potrebbero condurre i cittadini a verità contrarie alle loro opinioni personali ; occorre che abbiano la generosità, o piuttosto l'equità, di predisporre essi stessi questi lumi . Nei governi arbitrari, si ha cura di orientare l ' insegna­ mento in modo da disporre gli allievi a una cieca obbe­ dienza al potere stabilito, e di sorvegliare poi l ' impressione che ne hanno e anche i discorsi, affinché i cittadini non apprendano mai niente che non sia conforme alle opinioni che i loro maestri vogliono ispirare loro. In una Costitu­ zione libera, quantunque il potere sia nelle mani di uomi1 25

ni scelti dai cittadini, e spesso rinnovati , nonostante questo potere sembri fin dali' inizio confondersi con la volontà gene­ rale o l 'opinione comune, esso non deve proporre in antici­ po agli spiriti, come regola, le leggi che devono esercitare il loro impero solo sulle azioni; altrimenti si incatenerebbe da solo e obbedirebbe per secoli agli errori che ha potuto com­ mettere nel passato . Che l 'esempio dell'Inghilterra diventi dunque una lezione per gli altri popoli: qui un superstizioso rispetto per la Costituzione e per alcune leggi alle quali si è azzardato di attribuire la prosperità nazionale, un culto ser­ vile per qualche massima consacrata agli interessi delle clas­ si ricche e potenti, fanno parte dell'educazione, e sono con­ servate da tutti coloro che aspirano alla ricchezza e al pote­ re; sono diventati perciò una specie di religione politica che rende quasi impossibile ogni progresso verso il perfeziona­ mento della Costituzione e delle leggi. Questa opinione è contraria a quella di quei presunti filosofi che vogliono che le verità siano per il popolo sol­ tanto pregiudizi; che propongono di impadronirsi dei primi momenti dell'uomo per colpirlo con l ' impatto di immagi­ ni che il tempo non potrà cancellare , di legarlo alle leggi, alla Costituzione del proprio paese con un sentimento cieco, e di condurlo alla ragione solo tra i pregiudizi del­ l' immaginazione e il disordine delle passioni. Ma voglio domandare loro come possono essere così sicuri che , ciò che credono, è o sarà sempre la verità? Da chi hanno rice­ vuto il diritto di giudicare dove si trova questa verità? Con quale prerogativa godono di questa infallibilità, l ' unica che può permettere di imporre la propria opinione come rego­ la per lo spirito di un altro uomo? Sono forse più sicuri delle verità politiche di quanto i fanatici di tutte le sette cre­ dano di esserlo delle loro chimere religiose? Tuttavia, il diritto è lo stesso, il motivo è identico, e permettere di abbagliare gli uomini invece di illuminarl i, di sedurli con la verità , di imporgliela come un pregiudizio, significa autorizzare e consacrare tutte le follie dell'entusiasmo, tutte le scaltrezze del proselitismo. 1 26

L'istruzione deve essere la stessa per le donne e per gli uomini Abbiamo dimostrato che l'educazione pubblica doveva limitarsi ali ' istruzione; abbiamo mostrato che occorreva stabilime diversi livelli . Così, niente può impedire che essa sia la stessa per le donne e per gli uomini . In effetti , con­ siderato che ogni istruzione si limita a esporre delle verità e a sviluppame le prove , non si capisce come la differen­ za dei sessi ne esigerebbe, nella scelta di queste verità o nel modo di provarle, una sola. Se il sistema completo dell ' i­ struzione comune , di quella istruzione che ha per finalità quella di insegnare agli individui della specie umana ciò che è necessario sapere per godere dei propri diritti e adem­ piere ai propri doveri , sembrasse troppo vasto per le donne, che non sono chiamate ad alcuna funzione pubblica, ci si potrebbe limitare a far percorrere loro i primi livelli ma senza vietame gli altri a quelle che avessero disposizioni più fortunate, e che le proprie famiglie volessero coltiva­ re. Se vi fosse qualche professione esclusivamente riservata agli uomini , le donne non sarebbero ammesse ali ' istruzio­ ne specifica che questa può richiedere; ma sarebbe assur­ do escluderle da quella che ha per oggetto le professioni che esse devono esercitare in maniera concorrente.

Esse non devono essere escluse dall 'educazione relativa alle scienze, perché possono rendersi utili al loro progresso sia facendo osservazioni, sia componendo libri didattici Quanto alle scienze, perché sarebbero vietate alle donne? Anche se non possono contribuire al loro progres­ so con delle scoperte (cosa che , d' altra parte, non può esse­ re vera che per quelle scoperte di primo ordine che esigo­ no una lunga riflessione e una forza della mente straordi­ naria) perché quelle donne, la cui vita non deve essere riempita dall 'esercizio di un' attività lucrativa, e non può esserlo del tutto dalle occupazioni domestiche, non lavo1 27

rerebbero utilmente per l ' accrescimento dei lumi occu­ pandosi di quelle osservazioni che richiedono un 'esattezza pressoché minuziosa, una gran pazienza e una vita seden­ taria e ordinata? Può anche darsi che siano più adatte degli uomini nel donare ai libri elementari metodo e chiarezza, più disposte per la loro amabile flessibilità a rapportarsi allo spirito dei bambini che hanno osservato in un'età meno avanzata, e dei quali hanno seguito lo sviluppo con un inte­ resse più tenero. Ora, un libro elementare può essere fatto bene soltanto da chi ha imparato molto al di là di ciò che l 'opera racchiude; si esprime male ciò che si sa, quando ci si è interrotti a ciascun passo a causa dei limiti delle pro­ prie conoscenze.

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È necessario

che le donne condividano

l'istruzione data agli uomini

I . Perché possano sorvegliare quella dei loro bambini

L' istruzione pubblica, per essere degna di questo nome, deve estendersi alla totalità dei cittadini, ed è impossibile che i bambini ne possano trarre profitto se, limitati alle lezioni che ricevono da un maestro comune, non hanno un educatore domestico che possa vegliare sui loro studi durante l ' intervallo delle lezioni, prepararli a riceverli, age­ volandone l 'intelligenza, e che sappia sopperire infine a ciò che un momento di assenza o di distrazione ha potuto far loro perdere . Ora, da chi , i figli dei cittadini poveri , potreb­ bero ricevere questi aiuti se non dalle loro madri che , vota­ te alle cure della famiglia o dedite a lavori domestici , sem­ brano chiamate ad adempiere a questo dovere; mentre il lavoro degli uomini, che quasi sempre li tiene occupati fuori , non consentirebbe loro di dedicarvisi? Sarebbe dun­ que impossibile stabilire nel l ' istruzione l ' eguaglianza necessaria alla conservazione dei diritti degl i uomi n i , senza la quale non s i potrebbe neppure impiegarvi legit­ timamente né i redditi dei proprietari nazionali né una parte del prodotto dei contributi politici , se, facendo fre­ quentare alle donne almeno i primi livelli dell'istruzione comune, non le si rendesse capaci di sorvegliare quella dei loro figl i . 1 29

Il . Perché la mancanza d ' istruzione delle donne introdurrebbe nelle famiglie una ineguaglianza contraria alla loro felicità

D'altra parte, non si potrebbe stabilire un' istruzione pub­ blica solo per gli uomini, senza introdurre una marcata ine­ guaglianza, non solo tra marito e moglie, ma tra fratello e sorella e anche tra figli e madre. Niente sarebbe più contrario alla purezza e alla felicità dei costumi domestici . L'eguaglianza rappresenta ovunque, ma soprattutto nelle famiglie, il primo elemento della felicità, della pace e delle virtù. Quale autorità potrebbe avere la tenerezza materna se l'ignoranza consacrasse le madri a diventare per i propri figli un oggetto da ridicoliz­ zare e disprezzare? Mi si rimprovererà forse di ingigantire questo pericolo; mi si dirà che, attualmente, si trasmettono ai giovani delle conoscenze che non solo le loro madri , ma anche i loro padri non condividono, senza che tuttavia si possa esse­ re colpiti dagli inconvenienti che ne risultano. Ma occorre osservare innanzi tutto che la maggior parte di queste cono­ scenze, considerate inutili dai genitori e spesso anche dagli stessi bambini , non conferiscono ad essi alcuna superiorità ai loro stessi occhi; e che si tratta oggi di insegnar loro cono­ scenze realmente utili. D' altronde, si tratta di un'educazione generale e gli inconvenienti di questa superiorità sarebbero quindi molto più impressionanti che in un'educazione riservata a classi dove, la cortesia dei costumi e il beneficio che dà ai genitori la gioia della loro fortuna, impediscono ai bambini di vantarsi troppo della loro nascente scienza. Chi, del resto, ha potuto osservare i giovani di famiglie povere a cui il caso ha procurato un' accurata educazione, si accorgerà facilmente di quanto questo timore sia fondato. III . Perché è un modo per far conservare agli uomini le conoscenze che hanno acquisito nella loro giovinezza

Aggiungerei ancora che gli uomini che hanno benefi­ ciato dell' istruzione pubblica ne conserveranno molto più 1 30

faci lmente i vantaggi se riscontrano nelle loro mogli un 'istruzione pressoché eguale; se possono condividere con esse le letture che, per conservare le loro conoscenze, devono intrattenere; se, nell'intervallo che separa la loro infanzia dall'istituzione, l ' istruzione che è stata predispo­ sta per questa fase della loro vita non è estranea alle per­ sone verso cui li attira un'attrazione naturale .

IV. Perché le donne hanno lo stesso diritto all 'istruzione pubblica degli uomini

Infine, le donne godono degli stessi diritti degli uomi­ ni; esse godono dunque anche di quello di ottenere la stes­ sa facilità per acquisire i lumi che soli possono fornir loro gli strumenti per esercitare realmente questi diritti con la stessa indipendenza ed estensione.

L'istruzione deve essere impartita in comune, e le donne non devono essere escluse dall 'insegnamento Poiché l ' istruzione deve essere generalmente la stessa, l' insegnamento deve essere comune e affidato a uno stes­ so maestro che possa essere scelto indifferentemente nel­ l ' uno o nell'altro sesso.

Esse se ne sono occupate qualche volta in Italia e con successo Molte donne hanno ottenuto delle cattedre nelle più famose università italiane e hanno adempiuto con gloria alle funzioni di professore nelle scienze più elevate senza che ne sia risultato né il minimo inconveniente né il mini­ mo reclamo, e neppure il minimo scherno in un paese che 131

tuttavia non si può considerare privo di pregiudizi e dove non regni la semplicità e la purezza dei costumi 1 •

Necessità di riunire i due sessi, per la facilità e l 'economia dell 'istruzione Riunire i bambini dei due sessi in una stessa scuola è necessario per l 'educazione primaria; sarebbe molto diffi­ cile istituirne due in ciascun paese e trovare, soprattutto nei primi tempi, abbastanza maestri se ci si limita a sceglierli di un solo sesso.

Lungi dall 'essere pericolosa, essa è utile ai costumi D 'altronde, questo ricongiungimento, sempre in pub­ blico o sotto gli occhi dei maestri , )ungi dall'essere un peri­ colo per i costumi, sarà piuttosto un mezzo per preservar­ si dalle varie forme di corruzione la cui principale causa è proprio la separazione dei sessi , verso la fine dell' infanzia o nei primi anni della giovinezza. A quell 'età, i sensi tra­ viano l ' immaginazione e troppo spesso la smarriscono defi­ nitivamente, se una dolce speranza non la fissa su oggetti più legittimi. Queste abitudini , avvilenti o pericolose, sono quasi sempre errori di una giovinezza ingannata dai propri desideri , condannata alla corruzione dalla noia, e che placa nei falsi piaceri una sensibilità che tormenta la sua triste e solitaria servitù .

1 Laura Bassi è stata professoressa di anatomia e Françoise Agnesi professoressa di matematica a Bologna [si tratta di Laura Bassi (17111771), la prima donna che riuscì a ottenere importanti riconoscimenti accademici fino a dirigere la celebre Scuola di Fisica Sperimentale; e di Maria Gaetana (e non Françoise) Agnesi (1718-1799), matematica che ebbe ruoli di spicco in molte università italiane, N.d.C.].

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Non si deve stabilire una separazione che sarebbe reale soltanto per le classi ricche In una Costituzione libera ed eguale, non sarebbe per­ messo stabilire una separazione puramente illusoria per la maggioranza delle famiglie. Ora, questa separazione non potrebbe mai avere valore fuori dalle scuole, né per gli abi­ tanti delle campagne né per la parte meno ricca dei cittadi­ ni delle città: così il ricongiungimento dei due sessi nelle scuole non farà che diminuire gli inconvenienti di quello che, per queste classi , non può essere evitato nelle attività ordinarie della vita dove, tuttavia, tale promiscuità dei sessi non è esposta al giudizio di testimoni della stessa età e nep­ pure sottoposta alla vigilanza di un maestro. Rousseau2, che attribuiva alla purezza dei costumi un' importanza forse esa­ gerata, voleva, per l'interesse stesso di questa purezza, che i due sessi si mischiassero durante gli svaghi . Ci sarebbe forse maggior pericolo a riunirli per le occupazioni più serie?

La separazione dei sessi ha come principale causa

l 'avarizia e l 'orgoglio Che non si cada in errore ! Non è alla severità della morale religiosa, a quest'astuzia inventata dalla politica sacerdotale per dominare gli spiriti; non è solo a questa severità che occorre attribuire l' idea di una tale rigorosa separazione: l 'orgoglio e l 'avarizia vi hanno almeno altret­ tanta colpa; ed è a questi vizi che l 'ipocrisia dei moralisti ha voluto rendere un omaggio interessato . Tutte queste austere opinioni sono da attribuire, da un lato , al timore delle alleanze ineguali e , dall 'altro, a quello del rifiuto di consacrare le relazioni fondate su rapporti personali .

2

Rousseau ne parla diffusamente nell'Emilio [N.d.C. ] .

1 33

Occorre dunque, cercare di combatterli invece di favorirli in tutti i paesi in cui si vuole che la legislatura non faccia che seguire la natura, obbedire alla ragione e conformarsi alla giustizia. Nelle istituzioni di una nazione libera, tutto deve tendere all ' eguaglianza, non solo perché essa è un diritto degli uomini , ma perché il mantenimento dell 'ordi­ ne e della pace lo impongono imperiosamente. Una Costi­ tuzione che stabilisce l ' eguaglianza politica non sarà mai né durevole, né pacifica, se la si mischia a istituzioni che conservano pregiudizi favorevoli ali' ineguaglianza.

Sarebbe pericoloso conservare lo spirito dell 'ineguaglianza nelle donne, perché impedirebbe di distruggerlo negli uomini Il pericolo sarebbe molto più grande se, mentre un 'edu­ cazione comune abituerebbe i bambini di uno stesso sesso a considerarsi egual i , l ' impossibilità di stabilime una simi­ le per l 'altro sesso lo abbandonerebbe a un'educazione soli­ taria e domestica; lo spirito di ineguaglianza che si con­ serverebbe per un sesso, si estenderebbe presto a entram­ bi, e ne risulterebbe ciò che abbiamo visto accadere fino­ ra ali ' eguaglianza che domina nei nostri collegi, che scom­ pariva per sempre nel momento stesso in cui lo scolaro credeva di diventare un uomo.

L'unione dei due sessi nelle stesse scuole è favorevole ali 'emulazione, e ne fa nascere una che ha come principio il sentimento della benevolenza, e non i sentimenti di orgoglio personale, come l 'emulazione nei collegi Alcune persone potrebbero temere che l ' istruzione necessariamente prolungata al di là del l ' i nfanzia venga seguita con troppa distrazione da esseri dagli interessi più 1 34

vivi e più toccanti : ma questo timore è poco fondato. Se queste distrazioni rappresentano un male , esso sarà più che compensato dal i ' emulazione che ispirerà il desiderio di meritare la stima della persona amata, o di ottenere quella della propria famiglia. Una tale emulazione sarebbe più utile di quella che ha per principio l ' amore della gloria o l'orgoglio, poiché il vero amore per la gloria non è né una passione infantile né un sentimento destinato a generaliz­ zarsi alla specie umana. Volerlo ispirare agli uomini medio­ cri (e gli uomini mediocri possono tuttavia ottenere i primi premi nella loro classe) significa condannarli all ' invidia. Quest'ultimo genere di emulazione, che sollecita le pas­ sioni astiose e ispira nei bambini il ridicolo sentimento di un'importanza personale, produce più male di quanto si possa fare del bene accrescendo le attività degli spiriti . La vita umana non è una lotta nella quale dei rivali si disputano dei premi; è, invece, un viaggio che dei fratelli fanno in comune e in cui ciascuno, impiegando le proprie forze per il bene di tutti , ne è ricompensato con la dolcezza della reciproca benevolenza, con la gioia legata al senti­ mento di aver meritato la riconoscenza o la stima. Un'emu­ lazione che avesse come principio il desiderio di essere amati o di essere considerati per delle qualità assolute, e non per la propria superiorità sugli altri , potrebbe diventare molto potente; essa presenterebbe il vantaggio di sviluppare e rafforzare i sentimenti dei quali è utile far prendere l'abitudine; mentre queste corone dei nostri collegi , sotto cui uno scolaro si reputerebbe già un grand' uomo, fanno soltanto nascere una vanità puerile da cui una saggia istru­ zione dovrebbe cercare di preservarci , se malauguratamen­ te il suo germe si trovasse nella natura, e non nelle nostre maldestre istituzioni . L'abitudine di voler essere il primo è una cosa ridicola o un male per colui al quale la si è fatta contrarre, e una vera calamità per quelli che la sorte con­ danna a vivere al suo seguito. L'abitudine del bisogno di meritare la stima conduce, al contrario, a quella pace inte­ riore che da sola rende la felicità possibile e la virtù facile. 1 35

Conclusioni Generosi amici dell'eguaglianza e della libertà, riunite­ vi per ottenere dalla potenza pubblica un'istruzione che renda la ragione popolare, oppure temete di perdere presto tutti i frutti dei vostri nobili sforzi. Non immaginate che le leggi meglio concordate possano fare di un ignorante l ' eguale di un uomo abile , e rendere libero colui che è schiavo dei pregiudizi . Più queste leggi avranno rispettato i diritti del l ' indipendenza personale e del l 'eguaglianza naturale, più renderanno facile e terribile la tirannide che l 'astuzia esercita sull' ignoranza, rendendola contempora­ neamente il suo strumento e la sua vittima. Se le leggi hanno distrutto tutti i poteri ingiusti, presto ne saranno crea­ te altre più pericolose . Supponete , per esempio, che nella capitale di un paese sottoposto a una Costituzione libera, un gruppo di audaci ipocriti sia riuscito a formare un'asso­ ciazione di complici e di vittime; che in altre cinquecento città, delle piccole società ricevano dalla prima le loro opi­ nioni , la loro volontà e il loro movimento, e che esercitino l ' azione che è stata loro trasmessa su di un popolo che la mancanza d'istruzione consegna indifeso ai fantasmi della paura, alle trappole della calunnia; non è forse evidente che una tale associazione riunirà velocemente sotto le sue bandiere la mediocrità ambiziosa e i talenti disonorevoli; che avrà come docili alleati questa folla di uomini , senza altra attività che i loro vizi, e condannati dal disprezzo pub­ blico all 'obbrobrio come alla miseria; che presto, infine, impadronendosi di tutti i poteri , governando il popolo con la seduzione e gli uomini pubblici con il terrore, essa eser­ citerà, sotto la maschera della libertà, la più vergognosa e feroce di tutte le tirannie? Tuttavia, con quale mezzo le vostre leggi, che rispettano i diritti degli uomini , potranno avvertire i progressi di tale cospirazione? Non sapete quan­ to, per guidare un popolo senza lumi , gli strumenti della gente onesta siano deboli e limitati rispetto ai colpevoli artifici dell'audacia e dell' impostura? Basterebbe indub1 36

biamente strappare ai capi la loro perfida maschera; ma lo potete fare? Voi contate sulla forza della verità, ma essa è onnipotente solo sugli spiriti abituati a riconoscerla e a curarne i nobili accenti . Non vedete, altrove , la corruzione penetrare nelle leggi più sagge e corromperne tutte le competenze? Voi avete riservato al popolo il diritto di eleggere i propri rappre­ sentanti; ma la corruzione , preceduta dalla calunnia, gli presenterà la sua lista e gli imporrà le sue scelte. Voi avete allontanato dai giudizi la parzialità e l ' interesse; la corru­ zione saprà consegnarli alla credulità che è già certa di sedurre . Per la corruzione, le più giuste istituzioni e le virtù più pure, sono solo strumenti più difficili da maneggiare , ma più sicuri e più potenti . Ora, tutto il suo potere non è forse fondato sull'ignoranza? In effetti , che cosa farebbe se la ragione del popolo, una volta formata, potesse difen­ derlo contro i ciarlatani pagati per ingannarlo, se l 'errore non legasse più alla voce dell'abile furbo un docile greg­ ge di stupidi proseliti; se i pregiudizi , diffondendo un per­ fido sguardo su tutte le verità, non abbandonassero all ' a­ bilità dei sofisti l ' impero delle opinioni? Si comprerebbe­ ro dei truffatori , se non dovessero più trovare vittime? Che il popolo sappia distinguere la voce della ragione da quel­ la della corruzione, e subito vedrà cadere ai suoi piedi le catene d'oro che essa gli aveva preparato , altrimenti il popolo porgerà le sue mani smarrite, e offrirà con voce sottomessa di cosa pagare i seduttori che lo offrono ai pro­ pri tiranni . È diffondendo i lumi che , riducendo la corru­ zione a una vergognosa impotenza, farete nascere queste virtù pubbliche che possono solo rinforzare e onorare il regno eterno di una pacifica libertà.

1 37

SULL' AMMISSIONE DELLE DONNE AL DIRITTO DI CITTADINANZA 1 790*

* Tratto da > ,

n.

5, 1789.

L'abitudine può rendere familiare agli uomini la viola­ zione dei loro diritti naturali , al punto che nessuno tra colo­ ro che li hanno perduti , bada a reclamarli o sente di aver subìto un' ingiustizia. Al contrario, alcune di queste violazioni sono sfuggite a filosofi e legislatori perché troppo presi nel definire con molto zelo i diritti comuni agli individui della specie umana, considerati il fondamento unico delle istituzioni politiche. Per esempio, il principio di eguaglianza dei diritti non è stato forse completamente violato quando è stato negato alla metà del genere umano il diritto di concorrere alla for­ mulazione delle leggi, e quando le donne furono escluse dal diritto di cittadinanza? Non è forse la prova più inequivo­ cabile del potere dell' abitudine (anche sugli uomini illu­ minati), quella di veder invocare il principio di eguaglian­ za dei diritti a favor di tre o quattrocento uomini quando questi ne furono privati , per un assurdo pregiudizio, senza badare ai dodici milioni di donne che ne restano escluse? Per non considerare questa esclusione un atto di tiran­ nide, occorrerebbe provare che i diritti naturali delle donne non sono assolutamente gli stessi di quelli degli uomini , oppure mostrare che queste non sono capaci di esercitarli . Ora, i diritti degli uomini scaturiscono unicamente dalla loro condizione di esseri sensibil i , capaci di acquisire idee morali e ragionare su di esse . In questo modo le donne che presentano queste medesime qualità, dovrebbero necessa141

riamente godere di eguali diritti. O nessun individuo della specie umana gode di veri e propri diritti , oppure tutti godo­ no degli stessi; e colui che vota contro il diritto di un altro, qualunque sia la sua religione, il suo colore o sesso, ha pertanto abiurato i propri diritti . Sarebbe difficile provare che le donne sono incapaci di esercitare i diritti di cittadinanza. Perché esseri esposti alle gravidanze e a passeggere indisposizioni non potrebbero esercitare diritti di cui non si è mai immaginato di privare le persone che, ogni inverno, hanno la gotta e si raffred­ dano facilmente? Ammettendo che gli uomini dispongano di una supe­ riorità di spirito che non sia la necessaria conseguenza della differenza di educazione (cosa che non è per nulla prova­ ta e che dovrebbe esserlo per poter privare le donne di un diritto naturale senza commettere un' ingiustizia), questa superiorità non può che consistere in due punti. Si dice che nessuna donna abbia mai fatto importanti scoperte nelle scienze o dato prova di genio nelle arti , nelle lettere , ecc ., ma, indubbiamente, non si pretenderà di accordare il dirit­ to di cittadinanza ai soli uomini di genio. Si aggiunge , inol­ tre , che nessuna donna ha la stessa vastità di conoscenze , la stessa forza di ragione di certi uomini ma ne risulta che , fatta eccezione per una classe poco numerosa di uomini molto illuminati , tra le donne e il resto degli uomini l 'eguaglianza è completa. Fatta poi eccezione per questa piccola classe , l ' inferiorità e la superiorità si dividono egualmente tra i due sessi . Ora, dal momento che sarebbe completamente assurdo limitare a questa classe superiore il diritto di cittadinanza e la capacità di essere incaricati di funzioni pubbliche, perché escluderne le donne piuttosto che quegli uomini che sono inferiori a un gran numero di donne? Infine, si arriverà forse a ipotizzare che, nello spirito e nel cuore delle donne, ci sia una qualche qualità che impedisce loro di godere dei propri diritti naturali? Interroghiamo da capo i fatti . Elisabetta d' Inghilterra, Maria Teresa, le due 1 42

Caterina di Russia, hanno dimostrato che alle donne non mancava la forza d'animo, né il coraggio di spirito. Elisabetta aveva tutte le grettezze delle donne, ma que­ ste hanno forse fatto più torto al suo regno di quanto le gret­ tezze degli uomini ne abbiano procurato in quello di suo padre o dei suoi successori? Gli amanti di qualche impe­ ratrice hanno forse esercitato un'influenza più pericolosa di quella delle amanti di Luigi XIV, di Luigi XV, o anche di Enrico IV? Si pensa forse che presso l a camera dei comuni la Signora Macaulay 1 non avrebbe potuto esprimere la sua opinione meglio di molti rappresentati della nazione bri­ tannica? Trattando la questione della libertà di coscienza, non avrebbe forse dimostrato di possedere princìpi più ele­ vati di quelli di Pitt, e una ragione più forte? Sebbene fosse tanto entusiasta della libertà quanto il Signor Burke può esserlo della tirannia, difendendo la Costituzione francese, avrebbe forse rasentato l ' assurdo come il disgustoso spro­ loquio con cui questo celebre retore la combatteva? In Francia, negli Stati del l 6 1 4 , i diritti dei cittadini non sareb­ bero stati difesi meglio dalla figlia adottiva2 di Montaigne piuttosto che dal consigliere Courtin che credeva ai sorti­ legi e alle virtù occulte? La principessa des Ursins3 non

1 Si tratta di Catharine Sawbridge Macaulay Graham ( 1 73 1 - 1 79 1 ), la prima storica inglese di spessore e nota soprattutto per i suoi ideali femministi che espresse nella Lettera sul/ ' educazione del 1 790 le cui pagine influenzarono la stessa Mary Wollstonecraft e il suo importante lavoro sui diritti delle donne [N.d.C.]. 2 Si allude a Marie de Goumay ( 1 565- 1 645), scrittrice e filosofa francese, conosciuta per il suo proto-femminismo, che Montaigne conobbe nel 1 588 e che volle come figlia adottiva. Si prese cura di lui negli ultimi anni della sua vita e, insieme con Pierre de Brach, curò un'edizione delle opere di Montaigne apparsa postuma nel 1 595 [N.d.C.]. 3 Ursins è la traslitterazione di Orsini , il nome che Marie-Anne de Trémoille ( 1 642- 1 722) assunse quando nel 1 675 sposò in seconde nozze il principe romano Flavio degli Orsini diventando, appunto, principes­ sa. La sua fu una figura insolita del panorama dell'epoca che giocò un

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valeva di più di Chamillard? Si ritiene forse che la mar­ chesa di Chatelet non avrebbe trasmesso un documento diplomatico meglio del S ignor Rouillé? Madame de Lam­ bert4 avrebbe forse emanato leggi contro i protestanti , i ladri domestici , i contrabbandieri e i negri assai più assur­ de e barbare di quelle del guardasigilli di Armenonville? Considerando la lista di quelli che li hanno governati , gli uomini non hanno il diritto di essere tanto fieri. Le donne sono superiori agli uomini nelle virtù dolci e domestiche; come gli uomini esse sanno amare la libertà, sebbene non ne condividano tutti i vantaggi e, nelle repub­ bliche, le si è viste spesso sacrificarsi per esse: hanno mostrato le virtù dei cittadini tutte le volte che la sorte o i tumulti civili le hanno condotte su una scena da cui pres­ so tutti i popoli l ' orgoglio e la tirannia degli uomini le hanno escluse. Si è detto che , malgrado la loro forza di spirito, la loro sagacia e la loro facoltà di ragionare portata allo stesso grado di quella dei sottili dialettici , le donne non sono mai spinte da ciò che si definisce ragione. Questa osservazione è falsa: è vero, esse non sono spin­ te dalla ragione degli uomini , ma dalla propria. D al momento che, per mancanza di disposizioni legi­ slative, i loro interessi non sono gli stessi di quelli degli uomini e che le cose non hanno per loro la stessa impor­ tanza che hanno per noi , le donne possono essere deter­ minate da altri princìpi e tendere a fini diversi , senza per questo tradire la ragione. È così ragionevole per una donna occuparsi dell'abbellimento del proprio viso, quanto per ruolo di primo piano nella corte spagnola del XVIII secolo. Ebbe, inol­ tre, influenti relazioni diplomatiche non ufficiali con le principali corti internazionali e frequentò i più noti salotti intellettuali [N.d.C.]. 4 Ann-Thérèse de Maruenat de Courcelles, Marchesa di Lambert, più nota come Madame de Lambert ( 1 647- 1 733), è una famosa scrittrice e femminista francese che ospitò nel suo salotto i più prestigiosi lettera­ ti francesi e scrisse opere importanti sul ruolo dell 'educazione delle donne per il raggiungimento dell 'eguaglianza giuridica [N.d.C.].

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Demostene prendersi cura della propria voce e dei pro­ pri costumi. Si è detto che le donne, sebbene migliori degli uomini, più dolci , più sensibili, meno soggette ai vizi relativi all'e­ goismo e all'asprezza del cuore, non possedevano preci­ samente il sentimento della giustizia e obbedivano al loro sentimento piuttosto che alla loro coscienza. Questa osser­ vazione è più vera di quella precedente, ma non prova niente: a determinare questa differenza non è la natura , ma l'educazione e l 'esistenza sociale . Né l ' una né l ' altra ha reso le donne avvezze all ' idea di ciò che è giusto, ma piut­ tosto a ciò che è onesto. Una volta allontanate dagli affa­ ri , da tutto ciò che si determina in base alla giustizia rigo­ rosa e alle leggi positive, le cose di cui esse si occupano, sulle quali agiscono, sono precisamente quelle che si disci­ plinano mediante l 'onestà naturale e il sentimento. È quin­ di ingiusto addurre, per continuare a negare alle donne il godimento dei loro diritti naturali , motivi che si ammanta­ no di validità soltanto perché esse non godono di questi diritti . Se si ammettessero simili ragioni contro le donne, si dovrebbe allora privare del diritto di cittadinanza anche la parte del popolo che, votata al lavoro continuo, non può né acquisire lumi né esercitare la propria ragione e, ben pre­ sto, si concederebbe la cittadinanza solo agli uomini che hanno frequentato un corso di diritto pubblico . Se si ammettono tali princìpi , occorre, come conseguenza neces­ saria, rinunciare a tutte le costituzioni libere . Le diverse ari­ stocrazie hanno avuto come fondamento o scusa simili pre­ testi , la stessa etimologia di questa parola ne è la prova. Non si può addurre, come causa della loro esclusione, la dipendenza delle donne dai propri mariti, giacché sareb­ be possibile distruggere nello stesso tempo questa tirannia della legge civile, e poiché mai un' ingiustizia può essere il motivo per commetterne un'altra. Non restano dunque che due obiezioni da analizzare . In verità esse oppongono all ' ammissione delle donne al dirit1 45

to di cittadinanza solo due motivi di utilità, motivi che non possono controbilanciare un vero diritto. Troppo spesso la massima contraria ha rappresentato il pretesto e la scusa dei tiranni; è proprio in nome dell'utilità che il commercio e l 'industria gemono in catene e che l ' Africano resta votato alla schiavitù; è sempre in nome dell ' utilità pubblica che si riempiva la Bastiglia, che si istituivano censori di libri , che si teneva segreta la procedura e che si infliggeva la tor­ tura5. Tuttavia, discuteremo queste obiezioni per non lascia­ re nulla senza risposta. Si dovrebbe temere , si dice, l ' influenza delle donne sugli uomini. Innanzi tutto rispondiamo che questa, come tutte le altre influenze , è molto più temibile nel l ' intimità che nella discussione pubblica; che quella che può essere conside­ rata l' influenza propria delle donne, si perderebbe ulte­ riormente se la si estendesse a più di un unico individuo e non potrebbe che durare fin quando non viene allo sco­ perto. Del resto , considerato che fino a questo momento le donne non hanno goduto in alcun paese di un'eguaglianza assoluta, così come la loro autorità non è esistita dapper­ tutto e che più le donne sono state svilite per mezzo delle leggi, più la loro voce è stata deleteria per l ' uomo, non sembra che si debba avere molta fiducia in questo rimedio. Non è forse vero, al contrario, che questa influenza dimi­ nuirebbe se le donne avessero meno interesse a conservar­ la, se cessasse di essere per esse il solo mezzo di difendersi e di sfuggire all'oppressione? Se la buona educazione non consente alla maggior parte degli uomini di sostenere le loro opinioni contro una donna nella società, ciò riguarda molto l ' orgoglio; si concede una vittoria senza conseguenza, la disfatta non umilia affatto 5 Nel testo originale si legge Question. La questione è infatti un· antica tortura psicologica e fisica a cui erano sottoposte inizialmen­ te le donne accusate di stregoneria, ma che si estese a tutti coloro ridot­ ti alla schiavitù [N.d.C.] .

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poiché la si considera volontaria. Si crede seriamente che sarebbe uguale in una discussione pubblica su un argo­ mento importante? La buona educazione impedisce di discutere con una donna? Ma, si dirà, che questo cambiamento sarebbe contrario all' utilità generale, poiché allontanerebbe le donne dalle cure che la natura sembra aver loro riservato. Questa obiezione non mi sembra ben fondata. Qualun­ que Costituzione lo sancisca, è sicuro che , nello stato attua­ le di incivilimento6 delle nazioni europee, si avrà sempre solo un piccolissimo numero di cittadini che possa occu­ parsi degli affari pubblici. Non si allontanerebbero le donne dalle loro faccende domestiche più di quanto si allontana­ no i contadini dal loro aratro, gli artisti dai loro laborato­ ri . Nelle classi più ricche , non vediamo da nessun parte le donne dedicarsi alle cure domestiche in modo tanto conti­ nuo da temere di distrarle , e un ' occupazione seria le disto­ glierebbe molto meno che i futili piaceri ai quali l'ozio e la cattiva educazione le condannano. La causa principale di questo timore è l ' idea che ogni uomo ammesso a godere dei diritti di cittadinanza, pensa solo a governare; cosa che può essere vera solo fino a un certo punto, perché relativa solo al momento in cui una Costituzione si insedia; ma questo processo non potrebbe essere durevole. Quindi, non serve credere che nel momen­ to in cui le donne potessero essere membri delle assemblee nazionali , abbandonerebbero subito i loro figli , le loro fac­ cende domestiche, i loro aghi. Esse risulterebbero soltan­ to più adatte a migliorare i loro figli , a formare uomini. È naturale che la donna allatti i propri figli , che si prenda cura dei loro primi anni di vita: legata alla propria casa da que­ ste cure , più debole dell ' uomo , è naturale che essa condu­ ca una vita più ritirata , più domestica . Le donne apparter­ rebbero , dunque , alla stessa classe degli uomini obbligati

6

Nel testo originale, Civilisation [N.d.C.].

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per la propria condizione a svolgere servizi di breve durata. Questo può essere un motivo per non preferirle durante le elezioni, ma non può essere il fondamento di un'esclusione legale. La galanteria ci rimetterebbe di fronte a questo cam­ biamento, ma le abitudini domestiche ne guadagnerebbero da questa come da tutte le altre eguaglianze. Fino ad ora, tutti i popoli conosciuti hanno avuto costu­ mi feroci o corrotti . Non conosco eccezione se non a favore degli Americani degli Stati Uniti che sono sparsi in numero esiguo su un grande territorio . Fino ad ora, l' ineguaglianza legale tra gli uomini e le donne è esistita presso tutti i popo­ li e non sarebbe difficile provare che in questi due fenome­ ni, egualmente generali, il secondo è una delle principali cause del primo, considerato che l ' ineguaglianza introduce necessariamente la corruzione e ne rappresenta l 'origine più comune, nonostante non sia la sola. Chiedo ora che ci si degni di confutare queste ragioni in altro modo che attraverso battute e declamazioni; che soprat­ tutto mi si mostri una differenza naturale tra uomini e donne che possa legittimamente fondare l 'esclusione dal diritto. Nella nostra nuova Costituzione, l'eguaglianza dei dirit­ ti stabilita tra gli uomini, ci è costata eloquenti declama­ zioni e inesauribili schemi, ma, fino ad ora, nessuno ha potuto apporvi una sola ragione, e questo non certo per mancanza di talento, né di zelo. Oso credere che sarà lo stesso per l 'eguaglianza dei diritti tra i due sessi . È assai singolare che in numerosi paesi , le donne siano ritenute incapaci di adempiere a ogni funzione pubblica e degne della sovranità; che in Francia una donna abbia potuto diventare regnante e che fino al 1 776 non abbia potuto essere una commerciante di vestiti7 a Parigi, che, infine ,

7 Prima della soppressione dei jurandes nel 1 776, le donne non pote­ vano acquisire la maestranza di venditrice di vestiti e di qualche altra professione che oggi esercitano, se non erano sposate, o se un uomo non prestava loro o vendeva il proprio nome per acquisire un privilegio. Si veda il preambolo dell'editto del 1 776 (ijurandes erano uno o più mem-

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nelle assemblee elettive dei nostri baliati8, si sia concesso al diritto del feudo ciò che si rifiutava al diritto della natu­ ra. Parecchi dei nostri nobili deputati devono a delle signo­ re l 'onore di sedere tra i rappresentanti della nazione . Perché, invece di togliere questo diritto alle donne pro­ prietarie di feudi, non estenderlo a tutte quelle che hanno delle proprietà, che sono a capo delle case? Perchè toglie­ re questo diritto alle donne piuttosto che lasciar loro la libertà di esercitarlo personalmente, se si reputa assurdo esercitare tramite un procuratore il diritto di cittadinanza?

bri di una corporazione professionale scelti per rappresentarla o difen­ derla, a cui veniva conferita questa carica, N.d.C.]. 8 In Francia, prima della Rivoluzione francese, un baliato era una circoscrizione amministrativa, finanziaria e giudiziaria [N.d.C.].

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OPINIONI SUGLI EMIGRANTI 1 79 1

È un grande errore credere che l ' utilità comune non si trovi costantemente unita al rispetto dei diritti degli indi­ vidui e che la salvezza pubblica possa prevedere vere ingiu­ stizie. Ovunque questo errore ha rappresentato l ' eterna scusa degli attacchi della tirannia e il pretesto per gli arti­ ficiosi intrighi adoperati per stabilirla. Al contrario, per ogni misura presentata come utile, occorre innanzi tutto verificare se è giusta. Nel caso in cui non lo fosse, è necessario concludere che la sua utilità non era altro che una vana e falsa apparenza. Abbiamo promesso di conservare la Costituzione e di non consentire che le fosse recato alcun oltraggio. Questo giuramento abbraccia sia la dichiarazione dei diritti che le serve da fondamento , sia le conseguenze generali di que­ sti diritti che l ' atto costituzionale garantisce espressamen­ te. Così , dobbiamo tenere incessantemente presente queste massime sacre, questi princìpi della giustizia naturale det­ tati dalla ragione a tutti gli uomini , ma riconosciuti anche dalla legge francese e difesi dal i' autorità della volontà generale dai sofismi che vorrebbero farli vacillare . Non dovete dunque dare ascolto, nell' importante questione di cui vi occupate , né a una giusta indignazione né ai senti­ menti della vostra generosità; ma dovete pesare con seve­ rità, sulla bilancia del diritto e della giustizia, i mezzi che vi saranno proposti . Così , prima di cercare ciò che è oppor­ tuno fare , esaminerò, Signori , ciò che potete fare con giu­ stizia; cercherò di fissare i limiti degli strumenti di cui l 'inflessibile equità vi ha lasciato la scelta. 1 53

La natura accorda a ogni uomo il diritto di uscire dal proprio paese; la Costituzione lo garantisce a ogni cittadi­ no francese e noi non possiamo attentare a questo diritto . Il Francese che , per i propri affari , per la salute o anche per l ' interesse del proprio riposo e benessere , vuole lasciare il suo paese , ne deve avere la completa libertà; egli deve paterne fare uso senza che la sua assenza lo privi minima­ mente dei suoi diritti . In un grande impero, la diversità delle professioni e l ' ineguaglianza delle ricchezze non per­ mettono di considerare la residenza, il servizio personale, come un 'obbligazione comune che la legge possa impor­ re a tutti i cittadini. Questa rigorosa obbligazione può esi­ stere solo in caso di assoluta necessità; estenderla allo stato abituale della società e anche a tutti i momenti in cui la sicurezza e la tranquillità pubblica sembrano minacciate, significherebbe turbare l 'ordine dei lavori utili e attaccare le radici della prosperità generale . Ogni uomo ha, inoltre, il diritto di cambiare patria, può rinunciare a quella in cui è nato per sceglierne un ' altra. Da quel momento, cittadino della sua nuova patria, egli non rimane che uno straniero nella prima; ma se un giorno vi ritorna, se vi ha lasciato dei beni , deve godere della tota­ lità dei diritti dell ' uomo, meritando di perdere solo quelli del cittadino . Ma ecco che si presenta già una prima questione. Questo cittadino non si trova sciolto, con la sola rinuncia, da tutte le obbligazioni nei riguardi del corpo politico che abbandona? La società da cui si separa non perde all ' i­ stante anche tutti i suoi diritti su di lui? No, senza dubbio, e non parlo qui soltanto di un obbligo morale , non parlo di quei sentimenti che un'anima nobile e riconoscente con­ serva per il proprio paese, anche se ingiusto; parlo di obbli­ gazioni rigorose, di quelle a cui non ci si può sottrarre senza rendersi colpevoli di un reato ; e dico che esiste un tempo durante il quale un uomo, diviso tra la sua vecchia e la sua nuova patria, può, nelle controversie che si eleva­ no tra di esse , permettersi soltanto di sperare , laddove uno 1 54

dei due paesi contro cui egli impugnasse le armi avrebbe diritto a punirlo come un assassino e l ' uomo che impie­ gasse le proprie ricchezze e capacità contro i suoi vecchi compatrioti , sarebbe considerato un vero traditore. Aggiungerei che ciascuna nazione ha, inoltre, il diritto di fissare il limite di tempo oltre il quale il cittadino che l 'abbandona, deve essere considerato libero da ogni obbli­ gazione; di determinare quali sono, fino a quel momento , i suoi doveri e quali siano le azioni di cui essa conserva ancora il potere di vietargli . Negare questo principio signi­ ficherebbe spezzare tutti i legami sociali in grado di unire gli uomini. Indubbiamente, questo termine non è arbitra­ rio; è quello durante il quale il cittadino che abdica può impiegare contro la sua patria gli strumenti che ha ricevu­ to da essa, in cui può fare più male di uno straniero. Nell'ordine normale e comune, ogni cittadino emigrante deve essere supposto come colui che ha semplicemente lasciato il proprio paese e, per poterlo poi considerare come chi l ' ha voluto abbandonare, bisogna aspettare che egli ne abbia manifestato la volontà. Inoltre, per smettere di anno­ verarlo tra coloro la cui abdicazione è innocente, bisogna attendere che il cittadino che rinuncia alla sua patria se ne sia mostrato nemico. Ma questo procedimento, che è quello della giustizia generale, deve egualmente essere seguito nel momento in cui una notorietà pubblica, alla quale nessun ragionevole spirito si può rifiutare , annuncia che esiste un gran nume­ ro di emigranti le cui intenzioni ostili non possono essere dubbie , laddove è chiaramente riconosciuto che formano un corpo armato, una specie di nazione senza territorio? In questa moltitudine di Francesi, alcuni escono dal pro­ prio paese per legittimi motivi , altri lo lasciano perché la sua nuova Costituzione lede le loro opinioni e soprattutto la loro vanità. Cittadini smarriti ma pacifici, sono più sventurati che col­ pevoli , poiché è una sfortuna aver riposto i propri piaceri nei vani pregiudizi che il giorno della ragione ha dissipato . ! 55

Dobbiamo compatirli e vedere in loro degli individui che, per aver smesso di essere nostri concittadini e per essersi sba­ gliati, non sono meno uomini, e che devono anche conser­ vare come tali tutti i diritti degli stranieri proprietari. Una terza categoria di emigranti , infine, ha manifesta­ to con violenza il desiderio di rovesciare questa stessa Costituzione. Molti di loro sono già colpevoli . Io mi chiedo se, in una tale circostanza, la più imparziale, scrupolosa giustizia può vietare alla nazione francese l ' uso dei mezzi che ha a dispo­ sizione per conoscere i suoi nemici; mi chiedo perché essa non potrebbe servirsi del diritto naturale di ogni individuo di prendere precauzioni per la propria sicurezza, come soprattutto potrebbe non farlo se si limita a obbligare gli emigranti a spiegare le loro intenzioni, a privare, coloro che non volessero rispondere , dei mezzi per nuocere, che la nazione ha il potere di negargli? D ' altra parte, rifiutare di prendere misure di questo genere non significherebbe rendere omaggio alla libertà, ma piuttosto violarla. In quale modo, in effetti , i cittadini francesi, chiamati in paesi stranieri dai loro affari o per la loro salute, potrebbero godere di una vera libertà di andar­ ci se, uscendo dalla Francia, corrono il rischio di essere confusi con dei vili disertori? Con questa falsa generosità, si sacrificherebbe l ' innocente al colpevole, si esporrebbe­ ro degli uomini pacifici , dei cittadini rispettabili, a que­ st'odio terribile che perseguita i nemici della patria . Infine, s e una potenza straniera facesse dei preparativi di guerra tali da causare a un'altra nazione delle giuste inquietudini, quest' ultima avrebbe il diritto di sollecitare la dichiarazione che quei preparativi non siano diretti contro di essa. Come non averlo, allora, nei riguardi dei cittadini usciti dal suo seno, se il loro numero e le loro disposizio­ ni suscitano inquietudini simili? Il diritto è lo stesso, ma i mezzi per esercitarlo devono essere differenti . Per esem­ pio, se si tratta di una nazione, solo la forza armata e la pro­ prietà pubblica possono essere considerate come nemiche. 1 56

Il cittadino pacifico, sottoposto alla volontà generale , ha poco peso in questa lotta tra nazioni . Ma in un raggruppa­ mento che non ha un'esistenza sociale riconosciuta, dove non esiste la volontà comune, la maggioranza non può obbli­ gare la minoranza; vi si possono riconoscere soltanto le volontà individuali ; tutti sono membri di una lega volonta­ ria e ciascun individuo può essere considerato un nemico. Oserei , in base a questi princìpi , proporre qui tre misu­ re che credo siano egualmente utili e legittime . La prima, di stabilire una divisione tra emigranti che possiamo ancora considerare cittadini , quelli che devono essere per noi semplici stranieri , e quelli, infine, che non hanno voluto giovarsi della facoltà di distruggere i sospet­ ti sollevati contro di loro e che quindi hanno meritato di essere trattati come nemici. La seconda, di stabilire di quali diritti , riservati ai soli cittadini francesi, devono essere privati coloro i cui pre­ giudizi hanno fatto preferire la condizione di stranieri . La terza, di determinare quali mezzi si possono impiega­ re per togliere il potere di nuocere a coloro che devono esse­ re considerati come intenzionalmente ostili, e che tuttavia un reato particolare non espone a un'istruttoria giudiziaria. Credo di aver dimostrato che una nazione aveva il dirit­ to di prendere queste misure, che nessuna di esse minac­ ciava né le regole della giustizia naturale , né i princìpi rico­ nosciuti dalla dichiarazione dei diritti . Ma queste stesse regole devono essere egualmente osservate, questi stessi princìpi egualmente conservati nelle disposizioni di cui queste misure necessitano. È dunque ancora nel rapporto con la giustizia che esa­ minerò quelle che vi proporrò. Colui che avesse prestato il giuramento civile inserito nell'atto costituzionale; colui che , residente nei paesi stra­ nieri , avesse sottoscritto in presenza di un inviato o di un console della nazione francese, la dichiarazione di aderire alla Costituzione, di eseguirne tutte le disposizioni , di con­ siderarla come una legge emanata da un'autorità legittima 1 57

e veramente obbligatoria, dovrà conservare tutti i suoi dirit­ ti di cittadino e come tale dovrà essere considerato. Ora, qual è l' uomo che, con un motivo serio o soltanto con la volontà di assentarsi dalla sua patria, potrebbe considerare questa precauzione come un fastidio o come un ingiurioso dubbio del suo patriottismo? Se vuole che il suo viaggio sia un segreto, può ancora adempiere a questa obbligazione senza rischiare di comprometterlo. Resta libero di prolungare la sua assenza, e più libero di quanto era, laddove prima poteva temere di essere confuso con i disertori . Colui che non vorrà né prestare il giuramento civile né fare questa dichiarazione , sarà autorizzato a presentarsi dinanzi a un inviato o a un console della nazione francese per sottoscrivere l ' impegno solenne che, nell ' arco di due anni , non si metterà al servizio di nessuna potenza senza essere stato autorizzato da un decreto dell'assemblea nazio­ nale sancito dal re; che non agirà in modo ostile contro la nazione francese né contro alcun potere stabilito dalla Costi­ tuzione; che non chiederà l'aiuto di alcuna potenza contro il popolo francese né contro nessuno di questi stessi poteri . Considerato, allora, come straniero, egli godrà di tutti i dirit­ ti di cui godono in Francia gli stranieri proprietari . Sarebbe indubbiamente tirannico esigere una tale dichia­ razione per un tempo indefinito e sarebbe anche inutile chie­ derla: infatti , colui che considera illegittimi i poteri stabiliti dalla Costituzione , che reputa un dovere opporvisi, può con­ siderare come nulla la promessa assoluta di non agire contro di essi , ma ciò non può essere considerato come un impegno a tempo determinato. Non è una distinzione chimerica. Malgrado il dovere molto reale di difendere la patria, nessu­ no ha mai reclamato contro l 'impegno, preso dai militari, di non portare le armi per un determinato numero di mesi o di anni. Tra i moralisti che hanno discusso questo genere di que­ stione, nessuno si è opposto alla validità di questo impegno a termine fisso, nessuno ne ha giustificato la violazione. Gli emigrati che sottoscrivessero quest'impegno, consi­ derati allora stranieri, potrebbero entrare nel pieno dei loro ! 58

diritti di cittadini attivi solo nello stesso modo in cui gli stra­ nieri possono acquisirli; le ricompense per i servizi resi sareb­ bero loro conservate, poiché i loro servizi non vengono meno e un errore non può cancellarne il ricordo. Continuerebbero a godere dei trattamenti concessi come indennità, come revo­ ca, poiché la loro rinuncia alla patria non è un reato . Ma essi devono perdere sia i gradi militari che posso­ no aver acquisito, sia il diritto di essere sostituiti nelle diverse cariche . Tutte queste privazioni sono una conseguenza necessa­ ria della qualità di straniero, e si converrebbe , senza dub­ bio, che l 'uomo che ha rifiutato di adottare la Costituzio­ ne della sua patria, non può esigere che essa lo consideri ancora suo membro. A coloro che, infine, disdegneranno di fare la dichiara­ zione richiesta, verranno riconosciute intenzioni ostili, e giac­ ché hanno rifiutato di rinnegarle, si può, di certo, considera­ li colpevoli senza commettere un ' ingiustizia. Indubbiamente non si può punirli , poiché occorrerebbe che fossero stati giu­ dicati e che un reato formale gli possa essere imputato; ma un'intenzione nemica non sconfessata, e sulla quale non si possono avere dubbi, dà il diritto di togliere loro i mezzi per nuocere . Pretendere che sia necessario lasciarglieli perché il crimine non è ancora consumato, vorrebbe dire che, per disar­ mare i nemici, occorre attendere che vi abbiano assassinato. Di conseguenza, quanto a coloro che rifiuteranno la promessa di non rendersi colpevoli, la nazione può, senza ingiustizia, privarli della disposizione di ogni forma di reddito, di ogni specie di merito esistente in Francia. Quale sarebbe, dunque, l 'effetto dell ' indulgenza che la debolezza o la perfidia potreb­ bero reclamare a loro favore, se non quello di lasciare ai nostri nemici il potere di turbare il nostro riposo, di riservar loro i mezzi, non per farci la guerra, non per pagare un'armata, non per sollevare le nazioni , ma precisamente per comprare nemici alla corte dei despoti , negli uffici dei loro ministri e impiegarli contro di noi; di perpetuare questa siste­ matica distribuzione di menzogne, di false notizie, di calun1 59

nie, fonte primaria delle vessazioni che i cittadini francesi hanno subìto; di disorganizzare continuamente la nostra armata, di corromperne la disciplina, di assoldare l ' ipocrisia dei nostri preti sediziosi; di costruire, infine, fabbriche dove si possa esercitare in grande l ' arte del falso? Questi uomini che ci parlano continuamente dell'onore, non disdegnano, infatti , alcuna bassezza, purché possa servire la nobile causa del fanatismo e della tirannia. Offriamo loro ancora una volta il modo di smettere di essere nostri nemici , ma se si ostinano ad esserlo, delle vane precauzioni diventerebbero una debolezza o piuttosto un cri­ mine: e con quale diritto, per la pietà rivolta a uomini disprez­ zabili, dovremmo sacrificare la sicurezza dei nostri commit­ tenti, esposti , laddove il bisogno li chiama in paesi stranieri, agli oltraggi di questa orda insolente e barbara? Quale sarà l 'effetto di queste misure di rigore che, giu­ ste in sé , hanno tuttavia ancora bisogno di essere giustifi­ cate per la loro utilità? Senza dubbio, esse sarebbero state inutili se, dai primi tempi della rivoluzione, il ministro degli Affari esteri aves­ se usato il linguaggio adatto con l 'agente di una grande nazione; se, per esempio, non avesse acconsentito che quando la Francia, agitata dai tumulti, stanca del disordi­ ne delle sue finanze, dimenticava i propri mali per soccor­ rere la Spagna minacciata - questa medesima potenza osas­ se rifiutare ogni altro ambasciatore se non quello di cui una troppo giusta diffidenza aveva preteso la destituzione; se non si fosse reso complice dei mali che il fanatismo ci reca oggi, lasciando un cardinale incaricato di sostenere a Roma la causa della ragione e della libertà; se, ai primi insulti rivolti ai cittadini della nazione francese , avesse osato dare prova di tutta la dignità di un popolo libero che chiede giustizia in nome della natura oltraggiata! Se i nostri inviati presso le potenze straniere - nemici celati o anche pubblici della rivoluzione che conservano nei loro ruoli un'immobilità scandalosa - non avessero diffuso l 'opinione che si preparava una rivoluzione contraria; se, 1 60

per le sostituzioni, non si fosse finto di cercare gli uomini che erano i più improbabili da considerare nemici della libertà; se la condotta del governo non avesse sempre suscitato una giusta diffidenza; se i primi difensori dei diritti del popolo non avessero meritato il dubbio di averne abbandonato la causa; se nessun indizio avesse annunciato una colpevole conni­ venza tra Parigi e Coblentz; allora, senza alcun dubbio, al popolo francese la clemenza avrebbe potuto apparire soltan­ to come l'effetto della bontà naturale e del sentimento delle sue forze; ma oggi essa sarebbe solo debolezza, risveglie­ rebbe tutte le diffidenze e fortificherebbe tutti i dubbi. Il nostro governo ci ha fatto subire troppi oltraggi; la sua timidezza, la sua incertezza ci ha presentato così tanto ali ' Europa come lo zimbello di un intrigo i cui fili ci erano nascosti , che non è più possibile cedere ali ' impulso che ci porta all ' indulgenza. Che il nome francese venga rispetta­ to, che si renda infine giustizia al popolo generoso che noi rappresentiamo, e solo allora ci potrà essere permesso di perdonare in suo nome senza tradirlo. È dalla nostra condotta nei riguardi di questa feccia della nazione , che osa ancora definirsi come l'élite , che dipende il giudizio delle nazioni straniere , così necessario al successo dei nostri lavori . Siate moderati e giusti ma fermi ed esse vi rispetteranno; ma, se seguite gli impulsi di una giusta indignazione, vi si crederà deboli ; se conce­ dete un perdono che non vi è richiesto, vi si crederà o vit­ time dell' astuzia dei vostri nemici o dominati da una segre­ ta influenza e più preoccupati degli interessi di una fami­ glia che della salvezza di un grande popolo. Mi sembra c he altre considerazioni devono ancora indurvi a prendere queste stesse misure. Un gran numero di emigranti ha un'avversione per la Costituzione francese fondata su vecchi pregiudizi; essi sono stati indotti alla fuga solo dal timore di tumulti indub­ biamente assai reali ma che una colpevole esagerazione ha reso più spaventosi . A ciò occorre aggiungere il dispiace­ re passeggero di un cambiamento nel loro prestigio perso161

naie . Pressoché tutti , una volta assicuratisi della stabilità della Costituzione francese, desidereranno condividerne i vantaggi: ancora qualche tempo e converranno che non c'è proporzione tra la soppressione di un titolo vano e quella della Bastiglia; sentiranno quanto è dolce essere liberi , e quando gli offrirete il modo di provare che essi tengono ancora alla nazione, che non devono perdere la sua fiducia e che voi gli lascerete nello stesso tempo la libertà di sce­ gliere il momento del loro ritorno, molti approfitteranno dei vantaggi di questa legge benevola e giusta. Credeteci , essi non vorranno dichiararsi stranieri e sacrificare dei beni reali per il vano orgoglio di mantenere alto il morale per qual­ che mese in più. Quanto a coloro i cui pregiudizi sono più radicati ma che non hanno elaborato progetti criminali, che vi hanno partecipato solo per condiscendenza o superfi­ cialmente , quando vedranno che la loro ostinazione li esporrebbe a sfortune più grandi, credeteci , essi cederan­ no alla voce della ragione. Così , vedremo il numero dei nostri nemici diminuire quando impareremo a conoscerli . Aggiungiamo qui che, s e questa speranza venisse tra­ dita , se l ' ostinazione fosse generale , essa annuncerebbe futili speranze , ci insegnerebbe che dobbiamo moltiplica­ re le precauzioni e gli sforzi . Un ' amnistia concessa senza riserve, senza le precau­ zioni che devono accompagnare questi atti di clemenza, non ha avuto finora altro effetto che di confondere l' innocente con il colpevole. È tempo di distinguerli, è arri­ vato il momento che l ' uomo trattenuto all 'estero per seri motivi, che l ' uomo debole perseguitato da terrori immagi­ nari , non venga più confuso con il cittadino spergiuratore, con il nemico della patria. Questi ultimi, si dirà, ci ingan­ neranno ancora, firmeranno ciò che vorremo e rispetteran­ no questa nuova sottoscrizione solo come hanno rispet­ tato i loro primi giuramenti , ma ciò non significherebbe forse nient'altro che aver sottratto alla loro perfidia un 'ultima scusa, averli ridotti a uno stato in cui ci saranno 1 62

solo principi, cortigiani e ministri che osano non fingere di disprezzarli? Io non ho proposto di stabilire tra essi nessuna distin­ zione. Che l 'emigrante che rinuncia al titolo di cittadino o che rifiuta di impegnarsi a non turbare la pace, sia uno dei supplenti del trono o sia chiamato ad adempiere, a sua volta, una luogotenenza in un reggimento; che abbandoni la residenza imposta al presunto reggente di un regno o quella che prevede il funzionario pubblico meno impor­ tante, tutti sono eguali agli occhi della legge; tutti, posti nelle stesse circostanze, devono egualmente perdere tutti i loro diritti ed egualmente vedere tutti i loro redditi sospe­ si . Osiamo infine esaminare ognuno con uno stesso sguar­ do e non lasciamoci prendere dall'orgoglio, neanche con una più rigorosa distinzione; soltanto una necessaria pub­ blicità della loro condotta impedirà loro di sottrarsi alla legge. Ma cosa diventeranno le famiglie degli uomini di cui si sequestreranno i beni? Diventeranno ciò che sono diven­ tate le famiglie di coloro che sono stati o che sono caduti in un altro genere di follia e a cui è stato necessario ritira­ re l ' amministrazione delle loro ricchezze. Aggiungo solo una parola: ogni misura è inutile, ogni speranza di imporne alle potenze straniere è illusoria, ogni tentativo di far loro rispettare il nome francese per impe­ dirgli di aiutare i nostri nemici , non sarà che una vergogna in più , fino a che i nomi dei nostri ambasciatori , scelti tra quelli che gli eventi della rivoluzione hanno consacrato tra i fasti della libertà, non insegneranno ai re e ai loro mini­ stri che tra di noi esiste solo un'unica volontà efficace e potente, quella del popolo francese. Ecco il progetto del decreto che propongo. L'assemblea nazionale, considerando che è importante per la tranquillità pubblica e la salvezza dell'impero sottrar­ re a quei Francesi che hanno tradito la loro patria, i mezzi per perseguire i loro progetti , e convinta dell'obbligo di non allontanarsi , anche nei riguardi dei nemici più perfidi , dalle leggi della rigorosa equità, ha decretato ciò che segue: 1 63

Articolo primo Ogni cittadino francese sarà ammesso a prestare, nella propria municipalità, il giuramento civico istituito dall ' at­ to costituzionale.

Articolo secondo Tutti quelli che avranno prestato questo giuramento conserveranno, malgrado la loro assenza dal regno , la pie­ nezza dei loro diritti di cittadini .

Articolo terzo Lo stesso varrà per coloro che, trovandosi attualmente nei paesi stranieri , sottoscriveranno entro i termini di [ . . . ] presso l ' inviato o il console della nazione francese , l'impegno di mantenere la Costituzione con ogni loro pote­ re, di applicarne tutte le disposizioni e dichiareranno che la considerano come una legge emanata da un potere legit­ timo e obbligatorio per tutti i Francesi .

Articolo quarto Chiunque non avrà adempiuto a una di queste due obbli­ gazioni e resterà fuori dal regno , sarà reputato di aver rinun­ ciato alla qualità di cittadino e, di conseguenza, non potrà attenerne di nuovo il titolo se non come tutti gli altri stra­ nieri; egli sarà destituito da ogni grado militare , da ogni diritto ad essere sostituito nell ' arma , da ogni aspettativa di una qualunque carica, da ogni trattamento pecuniario ad eccezione delle pensioni da considerare come una ricom­ pensa per i servizi passati o un'indennità.

Articolo quinto Ogni cittadino francese, destituito da questo titolo in virtù del l ' articolo precedente , che sottoscriverà presso l 'inviato o il console della nazione francese, per un perio1 64

do di due anni , l' impegno di non entrare al servizio di nes­ suna potenza , senza esservi autorizzato da un decreto del­ l 'assemblea nazionale sancito dal re; di non iniziare le osti­ lità né contro la nazione francese, né contro nessuno dei poteri stabiliti dall'atto costituzionale; di non sollecitare contro la nazione e contro nessuno dei suoi poteri , l' aiuto di alcuna potenza straniera, godrà dei beni da lui detenuti in Francia, nello stesso modo degli stranieri che vi possie­ dono delle proprietà mobiliari o territoriali.

Articolo sesto Ogni cittadino francese assente che, nei termini fissati , non avrà sottoscritto nessuna di queste dichiarazioni , o che sarà venuto meno ai suoi impegni dopo averli sottoscritti , sarà dichiarato nemico della nazione; i suoi redditi e le sue proprietà di ogni natura saranno messi sotto sequestro; l ' assemblea nazionale si riserva di pronunciarsi sull 'im­ piego dei suoi redditi, e i fondi saranno custoditi per esser­ gli restituiti , se si dà luogo a un'amnistia, o restituiti ai suoi eredi dopo la sua morte .

Articolo settimo Sarà incessantemente presentato dal comitato di legi­ slazione, una legge per regolare le modalità di adempi­ mento di questo articolo al fine di conservare il diritto delle donne o dei creditori precedenti, e di provvedere alla sus­ sistenza, all'educazione e al mantenimento dei figli .

Articolo ottavo Nessun sequestro di beni potrà aver luogo a causa del­ l ' assenza, tranne sotto requisizione di un procuratore-sin­ dacale del dipartimento in cui era situato l'ultimo domici­ lio del cittadino morto come nel caso dell 'articolo sesto.

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RIFLESSIONI SULLA SCHIAVITÙ DEI NEGRI 1 78 1 *

* Edizione rivista e corretta, Parigi 1 788.

Epistola dedicatoria agli schiavi negri

Amici miei, benché non abbia il vostro stesso colore , vi ho sempre con­ siderati come miei fratelli . La natura vi ha creati per avere lo stesso spirito, la stessa ragione, le stesse virtù dei bian­ chi. Vi parlo qui solo degli uomini d'Europa, poiché non posso farvi l ' ingiuria di comparare a voi i bianchi delle colonie; so quante volte la vostra fedeltà, la vostra onestà e il vostro coraggio hanno fatto arrossire i vostri padroni . S e cercassimo un uomo nelle isole d' America, non è certo tra le genti di pelle bianca che lo troveremmo . Il vostro suffragio non procura alcuna carica nelle colo­ nie; la vostra protezione non fa ottenere pensioni, non avete di che assumere gli avvocati: non ci si deve dunque sor­ prendere che i vostri padroni trovino più persone che si disonorano difendendo la loro causa, di quante non ne abbiate trovate voi che si siano onorati difendendo la vostra. Ci sono anche dei paesi in cui chi volesse scrivere in vostro favore, non ne avrebbe la libertà. Tutti coloro che si sono arricchiti nelle isole a spese del vostro lavoro e delle vostre sofferenze hanno, al loro ritorno, il diritto di insultarvi in calunniosi libelli, ma non è permesso rispon­ dergli. Tale è l ' idea che i vostri padroni hanno della bontà del loro diritto , tale è la coscienza che hanno della loro umanità nei vostri riguardi . Ma questa ingiustizia è stata per me solo una ragione in più per prendere, in un paese libe1 69

ro, le difese della l ibertà degli uomini . So che non cono­ scerete mai quest'opera e che la grazia di essere da voi benedetto mi verrà sempre negata. Ma avrò soddisfatto il mio cuore straziato dallo spettacolo dei vostri mali, causa­ ti dall' assurda insolenza dei sofismi dei vostri tiranni . Non userò affatto l'eloquenza, ma la ragione; non parlerò degli interessi del commercio, ma delle leggi della giustizia. I vostri tiranni mi rimprovereranno di dire soltanto cose banali e di avere idee chimeriche: in effetti , niente è più banale delle massime dell'umanità e della giustizia, nien­ te è più chimerico che proporre agli uomini di conformar­ si alla propria condotta.

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Prefazione dei primi editori

Avendoci il Signor Schwartz inviato il suo manoscrit­ to, lo abbiamo trasmesso al pastore Signor B * * * * * * * , uno dei nostri associati , il quale ci ha risposto che quest' opera conteneva solo affermazioni banali , scritte in uno stile poco corretto, freddo e senza elevatezza; che non si sarebbe ven­ duta e che essa non avrebbe convertito nessuno. Noi abbiamo messo al corrente il Signor Schwartz di queste osservazioni, il quale ci ha onorato della seguente lettera: «Signori, non sono né un elevato spmto pangmo che aspira ali' Académie Française né un politico inglese che scrive dei libelli nella speranza di essere eletto membro della camera dei comuni e di farsi comprare dalla corte al primo mutamento di ministero. Non sono che un uomo onesto, che ama esprimere francamente il proprio parere al mondo intero e che reputa positivo che il mondo non lo ascolti . So bene di non dire nulla di nuovo per le persone illuminate, ma da ciò non risulta meno vero che se le verità che si tro­ vano nella mia opera fossero così triviali per la maggior parte dei Francesi e degli Inglesi , ecc ., la schiavitù dei negri non potrebbe sussistere . Tuttavia è molto probabile che queste riflessioni non siano più utili al genere umano di quanto lo siano i sermoni che predico da vent'anni alla mia 171

parrocchia; ne convengo, e questo non mi impedirà di pre­ dicare e di scrivere fino a che mi resterà una goccia di inchiostro e un filo di voce . D ' altra parte non pretendo affatto di vendervi il mio manoscritto . Io non ho bisogno di niente; rendo ai miei parrocchiani anche gli stipendi di ministro che lo Stato mi paga. Si dice che sia lo stesso uso che fanno delle loro rendite i membri del clero di un gran­ de regno, dopo che, da circa tren 'anni , hanno solennemente dichiarato che il loro bene era quello dei poveri . Ho l ' onore d'essere con rispetto , ecc . , Firmato: JoACHIM ScHWARTZ 1

Con parafa» . Questa lettera ci è parsa quella di un così onesto uomo che abbiamo deciso di stampare la sua opera . Lasceremo per noi le spese tipografiche e ai lettori qualche ora di noia.

1 È inutile avvertire il lettore che Joachim Schwartz è un nome fit­ tizio.

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Riflessioni sulla schiavitù dei negri

l . Dell 'ingiustizia della schiavitù dei negri, considerata in rapporto ai loro padroni

Ridurre un uomo alla schiavitù , comprarlo, venderlo, confinarlo alla servitù, sono dei veri crimini, e crimini peg­ giori del furto . In effetti , si priva lo schiavo, non solo di ogni sua proprietà immobiliare o fondiaria, ma anche della facoltà di acquisirne, della proprietà del proprio tempo, delle proprie forze , di tutto ciò che la natura gli ha dato per conservare la sua vita o soddisfare i suoi bisogni. A questo torto si aggiunge poi quello di privare lo schiavo del dirit­ to di disporre della propria persona. O non esiste alcuna morale , oppure occorre convenire su questo principio: che l'opinione pubblica non condan­ na questo genere di crimine; che la legge del paese lo tol­ lera; né l'opinione né la legge possono cambiare la natura delle azioni; e se anche questa opinione fosse quella di tutti gli uomini, se il genere umano riunito avesse sostenuto questa legge con voce unanime, il crimine resterebbe sem­ pre un crimine ! In seguito, compareremo spesso con il furto l 'azione di ridurre in schiavitù. Questi due crimini, nonostante il primo sia molto meno grave , hanno dei forti legami tra loro e , considerato che l 'uno è sempre stato i l crimine del più forte e il furto quello del più debole , troviamo risolte in antici1 73

po da tutti i moralisti, sulla base di buoni princìpi , tutte le questioni sul furto, mentre l 'altro crimine non è neppure nominato nei loro libri. Occorre tuttavia escludere il furto a mano armata, che è chiamato conquista, e qualche altro tipo di furto in cui è sempre il più forte che defrauda il più debo­ le. I moralisti restano tanto muti rispetto a questi crimini, quanto rispetto a quelli di ridurre gli uomini alla schiavitù.

I I . Ragioni di cui ci si serve per giustificare la schiavitù dei negri

Si dice, per giustificare la schiavitù dei negri compera­ ti in Africa, che questi sventurati sono dei criminali con­ dannati ali 'ultimo supplizio o dei prigionieri di guerra che verrebbero uccisi se non fossero comperati dagli Europei . In conformità a questo ragionamento, alcuni scrittori ci presentano la tratta dei negri come se fosse quasi un atto di umanità. Ma osserviamo: l ) Che questo fatto non è provato e non è neppure vero­ simile. Cosa! Prima che gli Europei comprassero i negri , gli Africani sgozzavano tutti i loro prigionieri ! Uccidevano non solo le donne sposate, come un tempo - si dice - era d' uso presso un'orda di ladri orientali , ma anche le ragazze non sposate; cosa che non è mai stata riferita di nessun popolo ! Cosa ! S e non andassimo a cercare i negri in Africa, gli Africani ucciderebbero gli schiavi ora destinati ad essere venduti ! Ognuna delle parti preferirebbe stordire i propri prigionieri piuttosto che scambiarli ! Per credere a fatti inve­ rosimili, occorrono testimonianze imponenti e noi dispo­ niamo qui soltanto di quelle di persone impegnate nel com­ mercio dei negri . Non ho mai avuto l'occasione di frequen­ tarli ma, presso i Romani , c'erano uomini dediti allo stesso commercio e il loro nome è tutt'oggi ancora un' ingiuria1 • 1 In origine il termine Leno indicava soltanto l'attività del mercan­ te di schiavi ma, considerato che questi mercanti vendevano delle belle

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2) Anche supponendo che, comprando un negro , gli si salva la vita, si commette ugualmente un crimine, se è per rivenderlo o per ridurlo in schiavitù . Questa è esattamente la stessa azione di un uomo che , dopo aver salvato uno sfortunato perseguitato dagli assassini, lo derubasse . O ancora, se si considera che gli Europei hanno indotto gli Africani a non uccidere i loro prigionieri , sarebbe l ' azione di un uomo che fosse riuscito a distogliere dei briganti dal­ l 'assassinare i passanti , e li avesse convinti ad acconten­ tarsi di derubarli insieme con lui ! Nell'una o nell'altra di queste supposizioni si potrebbe forse dire che quest'uomo non è un ladro? Un uomo che , per salvarne un altro dalla morte, facesse tutto ciò che è in suo potere, avrebbe senza dubbio il diritto di pretendere un compenso; potrebbe acquisire un diritto sul bene e anche sul lavoro di colui che ha salvato, prelevandone tuttavia ciò che è necessario alla sussistenza del debitore: ma non potrebbe mai ridurlo in schiavitù, senza commettere un' ingiustizia. Si possono acquisire dei diritti sulla proprietà futura di un altro uomo, ma mai sulla sua persona. Un uomo può avere il diritto di costringere un altro a lavorare per lui, ma non può obbli­ garlo a obbedirgli . 3) L a discolpa addotta è ancor meno legittima se, al contrario, è l ' infame commercio dei briganti d 'Europa a far nascere , tra gli Africani, guerre pressoché continue il cui unico motivo è il desiderio di fare dei prigionieri per ven­ derli. Sono spesso gli stessi Europei a fomentare queste guerre con il loro danaro e i loro intrighi, così da diventa­ re colpevoli non solo del crimine di ridurre gli uomini alla schiavitù, ma anche di tutti gli omicidi commessi in Africa per preparare questo crimine . Possiedono la perfida arte di schiave ai voluttuosi di Roma, il loro nome assunse un altro significa­ to. È questa una conseguenza necessaria del mestiere di mercante di schiavi: così, anche nei paesi sufficientemente barbari da non conside­ rare questa professione criminale, essa è stata sempre infamata dall'o­ pinione pubblica.

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stimolare la cupidigia e le passioni degli Africani, di indur­ re il padre a consegnare i suoi figli , il fratello a tradire suo fratello, il principe a vendere i suoi sudditi . Essi hanno por­ tato a questo popolo sfortunato il piacere distruttore dei liquori forti . Gli hanno trasmesso questo veleno che , nasco­ sto nelle foreste d' America, è diventato, grazie alla viva avidità degli Europei , uno dei flagelli del globo, e osano ancora parlare di umanità! Quand'anche la scusa che abbiamo appena citato discol­ passe il primo compratore , non potrebbe scusare né il secondo né il colono che trattiene il negro, poiché essi non hanno come motivazione attuale quella di sottrarre dalla morte gli schiavi che acquistano: essi sono, in rapporto al crimine di ridurre in schiavitù, simili a ciò che è, in rela­ zione al furto, colui che divide con il ladro o piuttosto colui che incarica di un furto un'altra persona e che divide con lui il bottino. La legge può anche avere validi motivi per trattare in modo differente il ladro e il suo complice, o il suo istigatore; ma per quanto riguarda la morale , il reato è lo stesso. Infine, questa discolpa non ha assolutamente valore per i negri nati nella proprietà2• Il padrone che li alleva per !asciarli in schiavitù è un criminale, poiché la cura che da lui hanno potuto ricevere nell' infanzia non può dargli nes­ suna apparenza di diritto su di essi . In effetti , perché hanno avuto bisogno di lui? È perché ha strappato ai loro genito­ ri , insieme alla libertà, la facoltà di accudire il loro bam­ bino. Questo significherebbe quindi pretendere che un primo crimine può dare il diritto di commetterne un secon­ do. Del resto , supponiamo anche che il figlio negro è stato liberamente abbandonato dai suoi genitori, il diritto di un uomo su un bambino abbandonato che ha allevato, può

2 Condorcet usa il termine habitation per indicare i possedimenti dei negrieri costituiti dalle piantagioni e dagli opifici. Noi abbiamo scelto di usare il termine proprietà [N.d.C.].

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essere quello di tenerlo in schiavitù? Un ' azione di umanità darebbe forse il diritto di commettere un crimine? Neppure la schiavitù dei criminali lecitamente condan­ nati è legittima. In effetti , una delle condizioni necessarie perché la pena sia giusta, è che essa sia determinata dalla legge, tanto rispetto alla sua durata, quanto alla sua forma. Così, la legge può condannare ai lavori pubblici, proprio perché la durata del lavoro, il cibo, le punizioni in caso di pigrizia o di ribellione, possono essere determinati dalla legge; ma la legge non può mai pronunciare contro un uomo la pena di renderlo schiavo di un altro uomo in particolare , poiché la pena, dipendendo in questo caso in modo assolu­ to dal capriccio del padrone, sarebbe necessariamente inde­ terminata. D' altra parte, è tanto assurdo quanto atroce osare affermare che la maggior parte degli sventurati comperati in Africa siano dei criminali. Si teme forse che non vi sia abbastanza disprezzo nei loro riguardi , che non li si tratti con sufficiente durezza? E come si può supporre che esista un paese dove si commettono così tanti crimini e dove tut­ tavia si eserciti una giustizia così esatta?

I I I . Della pretesa necessità della schiavitù dei negri, considerata in rapporto al diritto che può risultarne per i loro padroni

Si sostiene che sia impossibile coltivare le colonie senza gli schiavi negri . Accoglieremo qui questa asserzione; sup­ porremo questa impossibilità assoluta; è chiaro che essa non può rendere la schiavitù legittima. In effetti , se la necessità assoluta di salvaguardare la nostra esistenza può autorizzarci a ledere il diritto di un altro uomo, la violen­ za cessa di essere legittima ne li' istante in cui questa asso­ luta necessità viene a mancare: qui non si tratta di questo genere di necessità, ma soltanto della perdita delle ric­ chezze dei coloni. Così , chiedere se questo interesse rende la schiavitù legittima, significa chiedere se mi è permesso 1 77

preservare la mia ricchezza attraverso un crimine. Se aves­ si il bisogno assoluto dei cavalli del mio vicino per colti­ vare il mio campo, ciò non mi darebbe il diritto di rubarli , perché dunque dovrei avere il diritto di obbligare lui stes­ so, con la violenza, a lavorare la terra per me? Così , que­ sta pretesa necessità non cambia niente e non rende la schiavitù meno criminale da parte del padrone .

IV. Se un uomo può comperare un altro uomo con il suo consenso

Un uomo si presenta e mi dice: mi dia una tale somma e io sarò suo schiavo. Io gli consegno la somma, lui la impiega liberamente (senza questo il mercato sarebbe assurdo); ho il diritto di tenerlo in schiavitù? Intendo dire lui soltanto , poiché è ben chiaro che non ha avuto il dirit­ to di venderrni la sua posterità e, qualunque sia l 'origine della schiavitù del padre, i figli nascono liberi. Rispondo che , in questo preciso caso, non posso avere tale diritto. In effetti se, per esempio, un uomo si offre in affitto a un altro uomo per un anno, sia per lavorare nella sua casa che per servirlo, egli ha sancito con il suo padro­ ne una libera convenzione, di cui ciascuno dei contraenti ha il diritto di pretendere l 'adempimento. Supponiamo che il lavoratore si sia impegnato per la vita, il reciproco dirit­ to tra lui e l ' uomo con cui si è impegnato deve sussistere come nel caso di una convenzione a tempo determinato. Se le leggi vigilano sull 'adempimento del trattato; se regola­ no la pena che sarà imposta a colui che viola la conven­ zione; se le percosse , le ingiurie del padrone sono punite con pene pecuniarie o corporali (e affinché le leggi siano giuste occorre che per lo stesso atto di violenza, per lo stes­ so oltraggio, la pena sia eguale per il padrone quanto per l'uomo assunto); se i tribunali annullano la convenzione nel caso in cui il padrone è considerato colpevole o di sovrac­ caricare di lavoro il suo domestico, il suo lavoratore impie1 78

gato, o di non provvedere alla sua sussistenza; se , dopo aver approfittato del suo lavoro durante la sua giovinezza, il padrone lo abbandona, la legge condanna quest'ultimo a pagargli una pensione, in questo caso quest'uomo non è affatto schiavo. Che cos 'è allora la libertà considerata nel rapporto tra un uomo e un altro? È il potere di fare tutto ciò che non è contrario alle proprie convenzioni e , nel caso in cui ci si allontana da esse , è il diritto di non poter esse­ re obbligato ad adempierle o punito per non averle rispet­ tate che per mezzo di un giudizio legale . È, infine, il dirit­ to d' implorare l'aiuto della legge contro ogni sorta di ingiu­ ria o di lesione. Un uomo ha rinunciato a questi diritti; indubbiamente diventa allora schiavo; ma anche il suo impegno diventa in sé nullo , come fosse l'effetto di un 'abituale follia, o di un 'al ienazione dello spirito causa­ ta dalla passione o dall'eccesso di bisogno. Così , ogni uomo che, nelle proprie convenzioni , ha conservato i dirit­ ti naturali che abbiamo appena esposto, non è schiavo; e colui che vi ha rinunciato, avendo preso un impegno nullo, ha allo stesso modo il diritto di reclamare la propria libertà, come l ' uomo fatto schiavo con la violenza: costui può restare debitore , ma soltanto il debitore libero dal suo padrone. Non vi è dunque nessun caso in cui la schiavitù , anche se volontaria all'origine , possa non essere contraria al dirit­ to naturale.

V. Dell 'ingiustizia della schiavitù dei negri, considerata in rapporto al Legislatore

Ogni legislatore, ogni singolo membro di un corpo legi­ slativo, è assoggettato alle leggi della morale naturale . Una legge ingiusta, che pregiudica il diritto degli uomini , siano essi connazionali o stranieri , è un crimine commesso dal legislatore, di cui sono tutti complici coloro che, tra i mem­ bri del corpo legislativo, hanno sottoscritto questa legge . 1 79

Tollerare una legge ingiusta quando la si può cancellare , è egualmente un crimine; ma in questo caso la morale non esige nulla dai legislatori al di là di ciò che essa prescrive ai singoli, quando impone loro di dover riparare a un' in­ giustizia. Questo dovere è in sé assoluto; ma ci sono delle circostanze in cui la morale esige solamente la volontà di adempierlo, e lascia alla prudenza la scelta dei mezzi e del tempo per farlo. Così, nel riparare a un'ingiustizia, il legi­ slatore può avere riguardo per gli interessi di colui che ha subìto l ' ingiustizia; e questo interesse può esigere , nel modo di ripararla, alcune precauzioni che necessitano delle proroghe. È necessario avere riguardo anche per la tran­ quillità pubblica; e le misure necessarie per conservarla possono richiedere che si sospendano anche le operazioni più utili . Ma vediamo che qui non può trattarsi solo di una que­ stione di proroghe, di forme più o meno lente. In effetti , è impossibile che sia sempre utile a un uomo, e ancor meno a una classe perpetua di uomini , essere privato dei diritti naturali deli ' umanità; e una comunità in cui la tranquillità generale esigesse la violazione del diritto dei cittadini o degli stranieri , non sarebbe più una società di uomini, ma un gruppo di briganti . Le società politiche non possono avere altro fine che la conservazione dei diritti di coloro che le compongono. Così , ogni legge contraria al diritto di un cittadino o di uno straniero, è una legge ingiusta; essa autorizza una violen­ za, è un vero e proprio crimine . Così , la protezione della forza pubblica accordata alla violazione del diritto di un singolo, è un crimine da parte di chi dispone della forza pubblica. Se, tuttavia, esiste una sorta di certezza che un uomo non è in grado di esercitare i propri diritti e che se gliene si conferisce l 'esercizio, ne abuserà contro gli altri, o se ne servirà a suo discapito, allora la società può consi­ derarlo come se avesse perduto i suoi diritti, o come se non li avesse mai acquisiti . È per questo motivo che ci sono alcuni diritti naturali di cui i bambini di piccola età 1 80

sono privati e che sono considerati decaduti per gli imbe­ cilli e i folli. Allo stesso modo se, a causa dell'educazio­ ne, dell'abbrutimento dovuto alla schiavitù , della corru­ zione dei costumi , conseguenza logica dei vizi e dell 'e­ sempio dei loro padroni, gli schiavi dei coloni europei sono diventati incapaci di adempiere alle funzioni di uomini liberi, si può (per lo meno fino a quando l ' uso della libertà avrà restituito loro ciò che la schiavitù gli ha fatto perde­ re) trattarli come quegli uomini che la sfortuna o la malat­ tia ha privato di una parte delle loro facoltà; a cui , quindi, non si può lasciare l ' intero esercizio dei loro diritti senza esporli a fare del male agli altri o a nuocersi da soli, e che hanno bisogno non solo della protezione della legge, ma anche delle cure dell ' umanità. Se un uomo deve alla perdita dei suoi diritti la sicurez­ za di provvedere ai suoi bisogni ; se, restituendogli i suoi diritti , lo si espone a mancare del necessario, allora l 'umanità esige che il legislatore concili la sicurezza di questo uomo con i suoi diritti . È proprio ciò che ha luogo nella schiavitù dei negri , come per i servi della gleba. Nel primo caso, la capanna dei negri , i mobili, le prov­ vigioni per il loro nutrimento, appartengono al padrone . Restituendo agli schiavi bruscamente la libertà, l i si ridur­ rebbe alla miseria. Lo stesso vale per la schiavitù della gleba, il coltivato­ re il cui campo e la cui casa appartengono al padrone , potrebbe trovarsi , a causa di un cambiamento troppo bru­ sco, libero ma rovinato. Così , in simili c ircostanze , non restituire subito l 'esercizio dei loro diritti agli uomini non significa viola­ re questi diritti , né continuare a proteggere coloro che li violano; vuoi dire soltanto impiegare , nel modo di elimi­ nare gli abusi, la prudenza necessaria affinché la giustizia che si rende a uno sfortunato diventi, con maggiore sicu­ rezza, un mezzo per lui di felicità. Il diritto di essere protetto dalla forza pubblica contro la violenza, è uno dei diritti che l ' uomo acquisisce entran181

do nella società; così , il legislatore ha nei confronti della società il dovere di non ammettere in alcun modo uomini che le siano estranei e che potrebbero turbarla . Egli ha anche il dovere , sempre nei confronti della società, di non emanare leggi , anche quelle più giuste , se presume che queste vi porteranno disordine, prima di essersi assicurato i mezzi per prevenire questi disordini o la forza necessaria per punire coloro che li causano, con il minor pericolo pos­ sibile per il resto dei cittadini . Così , per esempio, prima di ammettere gli schiavi al rango di uomini liberi , occorre che la legge si assicuri che in questa nuova condizione non turberanno la sicurezza dei cittadini; è necessario aver pre­ visto tutto ciò che la sicurezza pubblica può, in un primo momento , temere dal furore dei loro padroni , offesi al con­ tempo in due passioni molto forti , l ' avidità e l 'orgoglio; infatti , l ' uomo abituato a vedersi circondato da schiavi, non si accontenta di disporre solo di dipendenti . Queste sono le sole ragioni che possono permettere al legislatore di rinviare , senza commette un crimine , l'annullamento di ogni legge che priva l ' uomo dei suoi diritti . La prosperità del commercio e la ricchezza nazionale non possono essere poste sullo stesso piano della giustizia. Un gruppo di uomini riunito non ha il diritto di fare ciò che, considerato dal punto di vista di un singolo uomo, sareb­ be un' ingiustizia. Così , l ' interesse per la potenza e per la ricchezza di una nazione deve sparire dinanzi al diritto di un solo uomo3; altrimenti , non si distinguerebbe più una società regolamentata da un'orda di ladri . Se diecimila, centomila uomini hanno il diritto di tenere un uomo in

3 Questo principio è assolutamente contrario alla dottrina ordinaria dei politici. Ma la maggior parte di coloro che scrivono su questi argo­ menti, avendo come fine di ottenere delle cariche o di farsi pagare da quelli che ne hanno una, si guarderebbero dall'adottare princìpi con i quali non potrebbero fittare nessuno né trovare qualcuno che volesse impiegarli.

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schiavitù, perché il loro interesse lo richiede, perché un uomo forte come Ercole non avrebbe il diritto di assog­ gettare un uomo debole alla sua volontà? Tali sono i princì­ pi di giustizia che devono guidare neli' esame degli stru­ menti che possono essere impiegati per distruggere la schiavitù . Ma non è inutile, dopo aver trattato l ' argomento nei suoi princìpi di giustizia, trattarlo sotto un altro punto di vista, e dimostrare che la schiavitù dei negri è contraria agli interessi del commercio quanto a quelli della giustizia. È essenziale togliere a questo crimine l'appoggio di quei poli­ tici da caffè o da ufficio, ai quali la voce della giustizia rima­ ne estranea, e che si considerano uomini di Stato e politici accorti, perché vedono l 'ingiustizia con sangue freddo e la subiscono , l' autorizzano, o la commettono senza rimorsi.

VI. Le colonie di zucchero e di indaco possono essere coltivate solo da schiavi negri?

Non è provato che le isole dell'America non possano essere coltivate da bianchi . In verità, gli eccessi di donne negre e di liquori forti possono rendere i bianchi incapaci di qualunque lavoro. La loro avarizia, che li esorta a dedi­ carsi con zelo a lavori pagati molto bene , può anche por­ tarli a perire; ma se le isole, invece di essere divise in gran­ di porzioni , fossero divise in piccole proprietà; se solo le terre che sono sfuggite all ' avidità dei primi coloni fossero ripartite , dai governi o dai loro concessionari, tra le fami­ glie dei coltivatori , è quantomeno verosimile che si for­ merebbe presto, in questi paesi, una razza di uomini dav­ vero capaci di lavorare. Così, il ragionamento dei politici che credono nella necessità degli schiavi negri , si riduce nel dire: l bianchi sono avari, ubriaconi e abbietti; quindi i neri devono essere schiavi. Ma supponiamo che i negri siano necessari , non ne seguirebbe il necessario impiego dei negri schiavi: quindi, questa pretesa necessità si fonda su altre due ragioni. La 1 83

prima deriva dalla pigrizia dei negri che, avendo pochi bisogni e vivendo di poco, non lavorerebbero che per gua­ dagnare lo stretto necessario; cioè, in altri termini, essen­ do l 'avarizia dei bianchi molto più grande di quella dei negri, è necessario picchiare di santa ragione questi ultimi per soddisfare i vizi degli altri . D 'altra parte questa ragio­ ne è falsa. Gli uomini , dopo aver lavorato per la sussisten­ za, lavorano per l 'agiatezza quando possono aspirarvi. Non ci sono popoli veramente pigri nelle nazioni civilizzate, salvo quelli governati in modo tale che non ci sarebbe per loro niente da guadagnare lavorando di più. Non è al clima, al terreno, alla costituzione fisica, allo spirito nazionale, che occorre attribuire la pigrizia di certi popoli , ma alle catti­ ve leggi che li governano. Sarebbe facile dimostrare que­ sta verità con vari esempi , percorrendo tutti i popoli , dall' Inghilterra al Mogol , dal principato di Neufchatel alla Cina. Tuttavia, più il suolo è buono, più la nazione possiede disposizioni naturali che favoriscono il commercio, più occorre anche che le leggi siano cattive per rendere il popo­ lo pigro. Per esempio, per annientare l ' industria degli abi­ tanti della Normandia e della Slesia, occorrerebbero leggi ben più cattive che per distruggere quella degli abitanti di Neufchatel o della Savoia. La seconda ragione in favore della schiavitù dei negri , deriva dalle caratteristiche delle colture impiantate nelle isole. Queste colture , si dice, esigono grandi stabilimenti e il concorso di un gran numero di uomini riuniti. D' altra parte, essendo i loro prodotti soggetti ad alterarsi in breve tempo, se la coltura fosse lasciata a uomini liberi , il rac­ colto dipenderebbe dal capriccio dei lavoratori . Questa seconda ragione non può sedurre nessun uomo in grado di riflettere, e neppure chiunque abbia trascorso la vita inte­ ra all'interno del perimetro di una città. Innanzi tutto, si sarebbe potuto provare la stessa cosa per la coltura del grano, o quella del vino, all'epoca in cui l ' Europa era col­ tivata dagli schiav i . È tanto ridicolo sostenere che in America si può produrre zucchero o indaco soltanto nei 1 84

grandi insediamenti formati dagli schiavi, quanto lo sareb­ be stato sostenere, diciotto secoli fa, che l 'Italia avrebbe cessato di produrre grano, vino e olio, se la schiavitù vi fosse stata abolita. Non è più necessario che il mulino da zucchero appartenga al proprietario del terreno , che il tor­ chio per il vino appartenga al proprietario della vigna o il forno al proprietario del campo di grano. Al contrario , generalmente, in ogni specie di coltura, come in ogni spe­ cie di attività, più il lavoro è diviso, più i prodotti aumen­ tano e si perfezionano. Così come è inutile che lo zucche­ ro si prepari sotto la direzione di chi ha piantato la canna, sarebbe più utile che la canna da zucchero fosse acquista­ ta dal proprietario da uomini il cui mestiere è quello di fab­ bricare lo zucchero. Occorre osservare che niente, nella coltura della canna da zucchero, o della specie di finocchio che produce l ' indaco, si oppone alla divisione in piccole parti dei campi di canne o di indaco, sia per la proprietà sia per la sua valorizzazio­ ne. È in questo modo che la canna da zucchero è coltivata in Asia da tempo immemorabile. Ogni proprietario di un piccolo campo porta al mercato lo zucchero della canna che ha lui stesso spremuto e che ha convertito in melassa; e sarebbe ancora meglio che vendesse la canna schiacciata o tagliata a un manifatturiere . È ciò che succederebbe anche in Asia se il governo non soffocasse l' industria, e nelle isole se la coltivazione fosse libera. Ciò che abbiamo appena detto per lo zucchero, si appli­ ca anche ali ' indaco, e ancor più facilmente al caffè o alle spezie . Dunque , è assai verosimile che i negri non siano i soli uomini che possano coltivare la terra in America; ed è certo che la coltivazione praticata dai neri liberi , lungi dal nuocere sia alla quantità che alla qualità delle derrate , con­ tribuirebbe, al contrario, ad accrescere l ' una e a migliora­ re l' altra. Il pregiudizio contrario è stato accreditato dai coloni , e forse in buona fede. La ragione è semplice: non hanno mai distinto il prodotto reale da quello netto . In effetti , fate col1 85

tivare dagli schiavi; il prodotto netto sarà più grande , per­ ché le spese di coltivazione saranno minime . Darete ai vostri schiavi soltanto il cibo necessario; sceglierete il più comune e il meno caro, essi avranno solo una capanna per casa; a stento gli darete un rozzo abbigliamento. Il brac­ ciante più bisognoso di lavoro esigerebbe un salario più alto. D ' altra parte , un bracciante vuole talvolta guadagna­ re di più per formare un qualche capitale, tal ' altra vuole riservarsi del tempo per divertirsi: se impiega tutte le sue forze, occorre che il vostro danaro lo ricompensi di ciò che non ha ceduto alla sua pigrizia. Con gli schiavi, voi usate i colpi di bastone, che è la cosa meno cara. Nella libera col­ tivazione, è la concorrenza reciproca dei proprietari e dei lavoratori che fissa il prezzo. Nella coltivazione che usa la schiavitù , il prezzo dipende interamente dali' avidità del proprietario. Ma, nella coltivazione schiavista, anche il pro­ dotto lordo è minore e , al contrario, nella coltivazione libe­ ra il prodotto lordo sarà più considerevole. Non è quindi l ' interesse all'aumento della coltivazione che fa prendere le difese della schiavitù dei negri , ma è l' interesse alla cre­ scita del reddito per i coloni. Non è l ' interesse patriottico più o meno fondato , sono semplicemente l ' avarizia e la barbarie dei proprietari . La soppressione della schiavitù non rovinerebbe né le colonie né il commercio, le rende­ rebbe più floride e aumenterebbe il commercio4. Non fareb-

4 Ho supposto qui che la schiavitù è utile ai coloni perché, anche in questa ipotesi, non è né meno giusto né meno utile sopprimere la schia­ vitù; ma essa è niente meno certa. In effetti, gli Stati Uniti d'America hanno deciso che il lavoro di cinque schiavi non poteva essere giudicato uguale a quello di soli tre uomini liberi; e occorre osservare che, sicco­ me la maggior parte degli Stati dispone solo di pochi negri, era nel loro interesse valutare questo lavoro nel modo più caro possibile, dal momen­ to che si trattava di distribuire un'imposta proporzionalmente al numero di uomini. Ora, se cinque schiavi non lavorano tanto quanto tre uomini liberi , siccome occorre anche aver comperato questi negri, o sostenuto la spesa per allevarli, diventa molto verosimile che il loro lavoro in America sia più caro di quanto lo sarebbe quello degli uomini liberi.

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be altro male che quello di impedire a qualche uomo bar­ baro di arricchirsi con il sudore e con il sangue dei suoi fra­ telli. In una parola, la totalità degli uomini ne guadagne­ rebbe, mentre alcuni singoli individui vi perderebbero sol­ tanto il vantaggio di poter commettere impunemente un crimine utile ai loro interessi . Nel quinto tomo delle Ephémérides du Citoyen si trova un calcolo molto ben fano, da cui risulta che un negro costa 420 libbre all'anno, fano che con­ durrebbe sempre allo stesso risultato. Ma bisogna osservare che in questo calcolo si suppone che tutti i negri morti siano rimpiazzati da negri compe­ rati, e sembra provato dall'esperienza, che una proprietà che fosse sosten­ tata solo in questo modo sarebbe molto poco produttiva. Così , questo cal­ colo proverebbe piuttosto la scarsa utilità della tratta dei negri che la poca utilità della schiavitù [ci si sta riferendo alla rivista fondata dall'Abate Nicolas Baudeau (1730-1792) nel 1765 che apparve inizialmente con il tito­ lo di