Gli scritti critici [Vol. 2] 887592807X, 9788875928070

LE SFERE /17 (NR 135821 - NR 13582100)

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Gli scritti critici [Vol. 2]
 887592807X, 9788875928070

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Robert Schumann

GLI SCRITTI CRITICI

Prefazione di Piero Rattalino

a cura di Antonietta Cerocchi Pozzi Traduzione di Gabrio Taglietti

VOLUME SECONDO

RICORDI LIM

Indice

Volume Primo

Pag-

13

Notaci cura

»

15

Prefazione

»

115

» » » » » » »

119

1. Un'opera II

123 127 127 132

2. Theodor Stein 3. Dai libri critici dei Fratelli della Lega di Davide I. Studi per pianoforte diJ.N. Hummel op. 125 IL I Fiori musicali di Heinrich Dorn

135 135 139 141

4. Concerto Henri Vieuxtemps e Louis Lacombe 5. Un concerto in chiesa

Introduzione

1834 e anni precedenti

» »

6. Dal taccuino di pensieri e di poesia di Maestro Raro, Florestano ed Eusebio

» »

167 171

»

175 187 191

» »

1835 7. Per L’APERTURA DELL'ANNATA 1835 8. Discorso di carnevale di Florestano (Tenuto dopo un’esecuzione dell’ultima Sinfonia di Beethoven) 9. Ferdinand Hiller 10. Composizioni di J. Ch. Kessler 11. Dai libri dei Fratelli della Lega di Davide (Sonate per pianoforte)

12. Die Weiheder Tone [La consacrazione dei suoni],

Pag-

203

»

207

13. La Terza Sinfonia di Ch. G. Mùller

»

»

211 235 239

14. UnaSinfoniadi H. Berlioz 15. N uo ve Sonate per pianoforte 16. Rassegna critica

»

247

17. La collera per il soldino perduto

»

249 255 257 265

18. Lo PSICOMETRO 19. Caratteristica delle tonalità 20. Pezzi brevi e rapsodici per pianoforte

»

» »

»

»

Sinfonia di Spohr

»

267 271 273 273 277 283

»

287

» » » »

» »

» » » » » » »

293 301 309

21. 22. 23. 24.

Aforismi

IL COMICO NELLA MUSICA Ignaz Moscheles Lettere di un sognatore

I. Eusebio a Chiara III. A Chiara

25. Sonate per pianoforte 26. Aforismi 1836 27. Un monumento a Beethoven 28. Una Sinfonia premiata 29. L’Ouverture per La fiaba della bella Melusina di F. Mendelssohn-Bartholdy 30. Rassegna critica I. Ouvertures 11. Concerti per pianoforte e orchestra III. Trii IV. Duetti V. Capricci e altri pezzi brevi

» » »

313 313 316 343 357 360 375 375 379

»

383

32. Studi per pianoforte

»

395

33. Gli studi per pianoforte, SCOPI TECNICI

31. Dai libri dei Fratelli della Lega di Davide I. Sedici nuovi Studi IL Letteratura di danza ordinati secondo i loro

Pag» »

401

34. Variazioni per pianoforte

415

35. Fantasie, Capricci, ecc. per pianoforte 36. Rondò per pianoforte

425

1837

»

433

37. W. Sterndale Bennett

»

437

38. Museo

»

447

»

455

» »

459 463

39. Rapporto a Jeanquirit (ad Augsburg) sull’ultimo BALLO STORICO-MUSICALE A CASA DEL REDATTORE* * * 40. Dai libri dei Fratelli della Lega di Davide. Il VECCHIO CAPITANO 41. Sinfonie 42. Festa musicale a Zwickau

»

467

43. Un concerto in chiesa a Lipsia

» » » » » »

44. LlEDER E CANZONI 45. Per pianoforte 46. Musica da camera

» »

469 477 479 487 487 494 500 505 509

» » »

517 519 523

48. Antiche musiche pertastiera 49. Sonate per pianoforte 50. Frammenti da Lipsia

»

47. Rassegnadicomposizioni I. Concerti per pianoforte IL Studi per pianoforte III. Rondò per pianoforte IV. Variazioni per pianoforte V. Fantasie, Capricci, ecc. per pianoforte

» » » »

545 547 553 555

» »

559 563

1838 51. Visione,seradel 9 Settembre 52. Le ultime composizioni di Franz Schubert 53. Ouvertures 54. Prima matinée quartettistica 55. Seconda matinée quartettistica 56. Terza matinée quartettistica

»

567

5 7. Quarta equi nta mati née quartetti sti ca

Pag-

571

58. Sesta matinée quartettistica

»

575

59. Rondò per pianoforte

»

60. Studi per pianoforte 61. Composizioni di Leopold Schefer

»

579 591 593

»

607

»

62. Fantasie, Capricci, ecc. per pianoforte 63. Uno sguardo retrospettivo sulla vita musicale a Lispia NELL’INVERNO 1837’1838

Volume Secondo 1839 » »

619 623

64. Per l’anno nuovo 1839 65. Concerti per pianoforte 66. Studi per pianoforte

»

627 633 637 645

»

647

67. 68. 69. 70.

»

651

71. Fantasie, Capricci, ecc. per pianoforte

» »

669 675

»

683

72. Ou vertures da concerto per orchestra 73. N uove Sinfonie per orchestra 74. Norbert Burgmuller

»

687

75. Studi per pianoforte

» »

701 705

76. Camilla [Marie] Pleyel 77. Ricordo di un’amica

»

713

78. Sonate per pianoforte

» » »

Il Paulus di Mendelssohn

a Vienna

Sonate per pianoforte

I

romantici diabolici

Antiche musiche pertastiera

1840 » »

» »

»

721 723

79. Per L’APERTURA DELL’ANNATA 1840 80. La Sinfonia in do maggiore di Franz Schubert

729 733 737

81. Pezzi da concerto e Concerti per pianoforte 82. H. W. Ernst 83. Le quattro Ouvertures per il Fidelio

pag-

739

84. Die ZerstòrungJerusalems [La distruzione di

»

741

»

743

85. Alexis Lwoff 86. Pezzi BREVI PER PIANOFORTE

»

753

87. Franz Liszt

»

761

88. I

»

765

89. Un'operadanese

»

771

90. Un concerto d'organo di Mendelssohn

»

»

775 ■ 779 785

»

799

» »

809 815

»

821

»

823 841

»

Gerusalemme]

festeggiamenti in onore di

Gutenberg

a

Lipsia

91. Tre buoni fascicoli di Lieder 92. Trii con pianoforte 93. La vita musicale a Lipsia nell'inverno 1839-1840 1841

»

94. Nuovi oratori 95. Nuove Sonate per pianoforte 96. Studi per pianoforte

97. S.Thalberg 98. Pezzi brevi per pianoforte 99. Su ALCUNI opere di

»

847

»

877 881 891 895 901 905 911

»

» »

» » »

»

917 925 933

»

941

» »

passi presumibilmente corrotti nelle

Bach, Mozarte Beethoven

100. I concerti in abbonamento a Lipsia, 1840-1841 1842 101. Una raccolta delle opere di L. Berger 102. Studi per pianoforte 103. Quartetto premiato di Julius Schapler

104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. 111.

Quartetti per archi Le Ouvertures per la Lecwo/m di Beethoven Tre Sonate premiate

Rassegna di Lieder Trii per pianoforte, violino e violoncello

Opere tedesche JohannHuss

Musica per pianoforte

1843 e anni successivi pag»

961

112. LlEDER E CANZONI

963

113. OUVERTURES DA CONCERTO

» »

967

114. Sinfonie per orchestra 115. Antonio Bazzini

» » »

977 979 983

116. Studi per pianoforte 117. Pezzi brevi per pianoforte 118. Concerti e pezzi da concerto per pianoforte con ACCOMPAGNAMENTO D'ORCHESTRA

»

987

119. LlEDER E CANZONI

» » »

993 1001 1005

»

1007

122. Aforismi 123. Il Sogno di una notte d’estate

» » »

1011 1015 1019

124. Niels W.Gade 125. Taccuino teatrale (1847-1850) 126. Regole di vita musicale

»

1027

Appendice

»

1029 1039

1. Prefazione agli Studi dai Capricci di Paganini op. 3 2. Pezzi brevi per pianoforte

1043

3. Informatore critico

»

1045

» » »

1049 1051 1055

4. 5. 6. 7.

975

» »

120. Piccole composizioni per pianoforte 121. Sonate premiate

Canti alpini della Svizzera

Opere postume di Beethoven Album du puniste

Per i

supplementi musicali della

Neue Zeitschrift

FÙR MUSIK

» » »

1061 1073 1077

8. Il Fratello della Lega di Davide 9. Contemporanei 10. Notizia biografica su Clara Wieck

»

1081

11. Reminiscenze

dell'ultimo

concerto

di

Wieck a Lipsia

1087

12. Annuncio di un concerto di Clara Wieck

Clara

pag. »

1089 1091

13. Attestato d’onore per Rudolph Willmers

»

1093

15. Vienuove

»

1095

Dizionario biografico dei compositori

»

1133

Indice delle opere analizzate Indice dei concerti recensiti Indice degli scritti di vario genere

»

1161

Indice dei nomi

14. Un concerto di Liszt

1839

Per l’anno nuovo 1839. - Concerti per pianoforte. - Studi per pianoforte. - Il Paulus di Mendelssohn a Vienna. — Sonate per pianoforte. — I romantici diabolici. — Antiche musiche per tastiera. — Fantasie, Capricci, ecc. per pianoforte. — Ouvertures da concerto per orchestra. — Nuove Sinfonie per orchestra. — Norbert Burgmuller. - Studi per pianoforte. - Camilla Pleyel. - Ricordo di un’amica. - Sonate per pianoforte.

64. PER L’ANNO NUOVO 1839

Abbiamo nove volumi1 di fronte a noi, e in essi vediamo soprattutto il quadro fedele di un umano impegno. Come un giovane Stato, così anche una giovane rivista conosce momenti di instabilità, come quello cerca di darsi un fondamento, domare i nemici, guadagnarsi degli amici, rinforzarsi dentro e fuori. Erano per lo più giovani musicisti quelli che all’inizio si erano uniti per collaborare, tutti con lo stesso entusiasmo e con pari autorità. Andate a rivedere il primo volume della rivista: la lieta ed energica vitalità che vi si trova ci commuove ancor oggi; ci sono stati anche degli errori, ma ciò è naturale in tutte le iniziative giovanili. Ciascuno contribuiva con ciò che aveva. La materia sembrava allora infinita; tutti eravamo consapevoli della nobiltà della nostra aspirazione; anche chi era titubante veniva trascinato dall’entusiasmo collettivo; si trattava di erigere statue di nuovi dèi, abbattere gli idoli stranieri; si lavorava giorno e notte. Ciascuno vedeva come magnifica meta della propria aspirazione l’ideale di una grande confraternita artistica il cui scopo primo fosse quello di esaltare la più profonda arte tedesca. Ed essendo la nostra rivista nata in un momento e in circostanze favorevoli — un po’ perché si comincia­ va ad essere stufi del passo di lumaca con cui procedeva la vecchia critica musicale, un po’ perché stavano effettivamente sorgendo nuovi astri nel cielo musicale e un po’, infine, perché la rivista era nata nel cuore stesso della Germania, in una città da sempre famosa per l’interesse che porta nei confronti della musica, e perché il caso aveva voluto riunire numerosi giovani musicisti

1 Un volume per ogni semestre. [M.K.]

619

animati dalle stesse idee — per tutti questi motivi il nostro foglio si è rapidamente affermato e diffuso in tutte le regioni. Ma, come càpita spesso, proprio quando le persone sembrano saldamente e indissolubilmente unite interviene improvvisamente il destino a separarle. La morte stessa pretendeva una vittima: con Ludwig Schunke è morto uno dei nostri più cari ed entusiasti compagni. Altre circostanze contribuirono ulteriormente ad aggiungere mo­ tivi di incertezza ai primi volumi. Il bell’edificio vacillava. La direzione della rivista fu allora affidata ad un’unica persona, la quale deve confessare che ciò andava contro i suoi progetti di vita: egli avrebbe infatti voluto in quel momento dedicarsi prevalente­ mente allo sviluppo delle proprie doti artistiche. Ma le circostanze premevano, c’era in gioco l’esistenza stessa della rivista. Da allora si sono susseguiti otto volumi; speriamo che in essi si possa vedere una certa linea di tendenza. Pur nel gran numero di contrastanti opinioni che sono state espresse su queste pagine, il nostro scopo è sempre lo stesso: elevare la sensibilità tedesca attraverso l’arte tedesca stessa, utilizzando a tale scopo tanto un richiamo agli antichi grandi modelli quanto una particolare attenzione rivolta ai giovani talenti.2 II filo rosso che sempre ha accompagnato questa idea si può identificare con la storia dei Fratelli della Lega di Davide, una Lega - esistente solo nella fantasia — i cui membri si riconoscono più per le somiglianze spirituali che per le differenze esteriori. Ora e sempre il loro scopo sarà quello di alzare un argine contro la mediocrità. Se ciò spesso in passato è stato fatto in modo violento, vogliate mettere sull’altro piatto della bilancia il caldo entusiasmo con cui è stato segnalato ogni puro talento, ogni pura aspirazione artistica. Noi non scriviamo per arricchire i commer­ cianti, noi scriviamo per onorare l’artista. Comunque sia, la cre­ scente diffusione vissuta dalla rivista negli ultimi anni è una prova del fatto che essa, con la sua severità nei confronti dei mestieranti stranieri, con la sua attenzione nei confronti dei giovani talenti di più alte aspirazioni e con il suo entusiasmo per tutti i capolavori che il passato ci offre, corrisponde alle idee di molti e che è riuscita a formarsi un proprio pubblico. Fedeli a questi antichi princìpi entriamo oggi, in questo giorno di festa, se non nel decimo anno 2 Cancellato: “fra i quali i più eccellenti sono spesso definiti Romantici.” La frase è stata cancellata in quanto, come è noto, Schumann non amava affatto tale definizione. [M.K.]

620

quantomeno nel decimo volume, ossia nel sesto anno della nostra esistenza, che, rispetto alla normale vita di una rivista, è comunque un traguardo non indifferente, una sorta di nozze d’argento, e possiamo ormai guardare serenamente indietro alle difficoltà superate e fiduciosamente in avanti al futuro. Aggiungo, con un po’ di dolore, che oggi per la prima volta devo inviare i miei saluti da lontano, dalla splendida capitale dell’Austria,3 i cui abitanti sono tanto amabili che mi verrebbe voglia di restare qui ancora molto a lungo. Affidata a mani amorevoli e fidate, la rivista prose­ gue nel frattempo indisturbata il proprio cammino. Ma qui, fra questi grandi ricordi, qui dove intorno a noi aleggiano continuamente le ombre dei più grandi Maestri tedeschi, proprio qui mi vien fatto di abbandonarmi ad alcune riflessioni che credo degne di essere comunicate. Per evocare un’epoca che eguagli l’epoca passata sul piano della forza, delle idee e degli atti non bastano le parole, e poi i tempi sono cambiati e richiedono altre cose. Ma non sarà inutile, di tanto in tanto, ricordare modestamente agli artisti di oggi la grandezza di quegli eccelsi Maestri: e anche se non li eguaglieremo sul piano delle forze, potremo quantomeno non essere loro inferiori sul piano delle aspirazioni. E con ciò auguria­ mo un felice anno nuovo a tutti!

3 Schumann era a Vienna dall’inizio di ottobre del 1838. Il suo arrivo nella capitale austriaca venne entusiasticamente salutato da un articolo di J. P. Lyser pubblicato suWHumorist di Saphir. [M.K.]

621

65. CONCERTI PER PIANOFORTE

I. Moscheles, Concerto per pianoforte e orchestra op. 93 F. Mendelssohn-Bartholdy, Concerto per pianoforte e orchestra op. 40 La musica per pianoforte costituisce un importante capitolo nella recente storia della musica; in tale campo, infatti, si è sempre mostrata l’alba di ogni nuovo genio musicale. I più significativi talenti del presente sono pianisti, e questa è un’osservazione che è stata fatta anche a proposito di epoche precedenti. Bach e Hàndel, Mozart e Beethoven sono cresciuti al pianoforte, e come gli sculto­ ri, che modellano dapprima le loro statue in misura ridotta e con materiali più morbidi, così quelli, probabilmente, avranno spesso abbozzato al pianoforte ciò che poi hanno elaborato in dimensioni maggiori e con masse orchestrali. Da allora lo strumento stesso si è altamente perfezionato. Con il continuo progresso della tecnica pianistica, con l’arditezza che la composizione ha assunto grazie a Beethoven, parallelamente a ciò anche lo strumento ha allargato i suoi limiti ed è cresciuto in importanza, e se (come io credo) verrà aggiunta ad esso, come nell’organo, una pedaliera, allora al com­ positore si apriranno nuovi orizzonti e il pianoforte, liberandosi gradualmente del sostegno dell’orchestra, potrà muoversi in mo­ do ancora più ricco, con una sonorità più piena e in modo più autonomo. Da lungo tempo ci sembra che si stia preparando questa separazione daU’orchestra: a dispetto della Sinfonia, sarà il nuovo pianismo a prevalere, grazie alle proprie esclusive possibili­ tà, e qui è forse da ricercare il motivo per cui ultimamente sono stati scritti pochi Concerti per pianoforte e orchestra, e in generale pochissime composizioni originali con accompagnamento orche­ strale. Si può dire che questa rivista, dalla sua nascita ad oggi, ha dato notizia praticamente di tutti i nuovi Concerti per pianoforte e orchestra, che negli ultimi anni non saranno stati più di 16 o 17: un numero assai ridotto in confronto ai periodi precedenti. Così 623

cambiano i tempi, e oggi si rinuncia spontaneamente a ciò che ieri veniva considerato come un arricchimento delle forme strumenta­ li, come un’importante invenzione. Certo sarebbe una spiacevole perdita se il Concerto per pianoforte e orchestra andasse comple­ tamente in disuso; d’altra parte non si può dar torto ai pianisti quando dicono: “Non abbiamo bisogno di nessun aiuto, anche da solo il nostro è uno strumento assolutamente completo.” E quindi dobbiamo stare tranquillamente ad aspettare che arrivi il genio che sappia collegare l’orchestra al pianoforte in modo nuovo e scintillante, sì che il protagonista seduto al pianoforte possa dispie­ gare tutta la ricchezza del proprio strumento e della propria arte mentre però all’orchestra è affidato qualcosa di più di una sempli­ ce funzione di spettatore, potendo intervenire in scena arricchen­ do la trama musicale con i suoi multiformi caratteri. Una cosa però possiamo ragionevolmente chiedere ai compositori più giovani: che vogliano darci, in cambio della severa e degna forma del Concerto, dei pezzi solistici altrettanto degni, non dei Capricci, non delle Variazioni, ma dei tempi d’Allegro elegantemente com­ piuti e ben caratterizzati, da suonare eventualmente all’inizio di un concerto. Fino ad allora dovremo spesso ricorrere a quelle antiche composizioni che, adatte ad aprire un concerto nel modo artisticamente più degno, sono anche un buon banco di prova per saggiare la solidità artistica del pianista: per esempio quelle ma­ gnifiche composizioni di Mozart e di Beethoven, oppure (se, in un ambiente più selezionato, si vuol far conoscere il volto di un grand’uomo ancora troppo poco apprezzato) una composizione di Sebastian Bach, o infine, se si vuole fare ascoltare qualcosa di nuovo, ci si rivolgerà a quelle composizioni che proseguono felice­ mente in modo adeguato l’antica strada, in particolare quella tracciata da Beethoven. Fra queste ultime annoveriamo, fatte le debite riserve, due recenti Concerti di I. Moscheles e F. MendelssohnBartholdy. Di ambedue questi artisti abbiamo parlato su questa rivista assai di frequente, per cui oggi potremo essere più concisi. In Moscheles vediamo il raro esempio di un musicista che, benché in passato e ancor oggi si sia incessantemente occupato dello studio degli antichi Maestri, cionondimeno ha sempre segui­ to le nuove produzioni e ha utilizzato i progressi che in esse venivano compiuti. Siccome egli sa dominare tali influssi con la sua innata, autonoma personalità, da tale mescolanza di vecchio, nuovo e personale nasce un’opera, come è appunto quest’ultimo 624

Concerto, chiara e incisiva dal punto di vista formale, vicina al carattere romantico eppure del tutto originale, così come cono­ sciamo questo compositore. Non scenderemo in troppi particolari e diremo che in generale questo Concerto palesa ovunque il suo Maestro; tutto viene pienamente sviluppato, e se questo Moscheles non è più quello che ha scritto il Concerto in sol minore egli è pur sempre lo stesso diligente e ottimo artista che non evita alcuna fatica per comporre un’opera che sia allo stesso livello delle miglio­ ri. Stavolta egli rinuncia in partenza alla popolarità: il Concerto si intitola Patetico e tale è a tutti gli effetti: 99 virtuosi su 100 non se ne interesseranno un gran che. Ognuno noterà immediatamente la diversa forma di questo rispetto agli altri Concerti e rispetto agli altri precedenti dello stesso Moscheles. Il primo movimento pro­ cede rapidamente, i Tutti sono più brevi del solito, l’orchestra suona quasi sempre; il secondo movimento, con i suoi Interludi più lenti, mi sembra concepito in modo un po’ faticoso; esso funge anche da introduzione all’ultimo movimento, che riprende con toni mossi e appassionati il carattere patetico del primo. Non possiamo dire che questo Concerto sia tecnicamente difficile, rispet­ to ad altri Concerti recenti: il gioco figurale è raffinatamente ricercato, ma un pianista medio, con un certo studio, saprà supe­ rare tali difficoltà; si richiede però sia al pianista che all’orchestra una grande attenzione e una conoscenza precisa della partitura: eseguito in tal modo esso apparirà assai interessante per il fitto e artistico intreccio di idee che lo attraversa, così come ricordiamo di averlo ascoltato con gioia eseguito dallo stesso Moscheles a Lipsia. Vogliamo rivolgere un particolare ringraziamento ai nuovi autori di Concerti per il fatto che essi non ci annoiano più, alla fine, con trilli e salti d’ottava. La vecchia Cadenza, in cui gli antichi virtuosi sfoggiavano tutta la loro bravura possibile, si basava su un’idea ben più solida e forse potrebbe oggi essere riutilizzata felicemente. E non si potrebbe introdurre efficacemente nel Con­ certo anche lo Scherzo, quale ormai ci è stato reso familiare dalla Sinfonia e dalla Sonata? Sarebbe una bella lotta con le singole parti dell’orchestra, anche se la forma complessiva del Concerto do­ vrebbe naturalmente subire qualche piccola modifica. Mendelssohn dovrebbe riuscire a fare ciò meglio di chiunque altro. Dobbiamo parlare appunto del Secondo Concerto di quest’ulti­ mo. Davvero egli è sempre lo stesso: continua a procedere col suo solito incedere lieto e sereno; nessuno può avere sulle labbra un

625

sorriso più bello del suo. In questo Concerto i virtuosi non avranno molte occasioni per fare sfoggio delle loro straordinarie capacità: da loro egli non richiede quasi niente che essi non abbiano fatto e suonato già cento volte. Spesso abbiamo sentito questa lamentela da parte dei virtuosi. E hanno in parte ragione: da un Concerto non dovrebbe essere esclusa la possibilità di mostrare la propria bravu­ ra con passaggi nuovi e brillanti. Ma la musica sta sopra ogni cosa e chi sa donarcela sempre nel modo più ricco merita sicuramente la nostra lode più alta. La musica è l’effusione di un’anima bella; non importa se fluisce davanti a centinaia di persone o per sé soli nel silenzio; purché sia sempre l’espressione dell’anima bella. Ecco perché le composizioni di Mendelssohn hanno un così irresistibile effetto quando è lui stesso a suonarle: le dita sono solo un mezzo e potrebbero benissimo restare nascoste; l’orecchio solo deve perce­ pire e il cuore poi decidere. Io immagino spesso che Mozart dovesse suonare così. Se dunque Mendelssohn merita il lodevole riconoscimento che egli ci dà sempre da ascoltare una tale musica, non possiamo peraltro negare che egli lo fa talvolta in modo un po’ frettoloso, talaltra in modo più incisivo. Questo Concerto appartie­ ne appunto alle sue opere meno accurate: forse mi sbaglio, ma credo di poter affermare che egli l’ha scritto in pochi giorni, se non in poche ore. E come quando si scuote un albero: il frutto più maturo e più dolce cade al primo colpo. Si chiederà in che rapporto stia questo col suo Primo Concerto: è lo stesso e non è lo stesso; è lo stesso in quanto è stato scritto da un Maestro abile ed esperto, non è lo stesso in quanto è stato scritto dieci anni più tardi. Qua e là si intravvede Sebastian Bach nella conduzione armonica. Melodia, forma e strumentazione sono invece tutta proprietà di Mendelssohn. Rallegratevi dunque di questo dono, un po’ leggero ma sereno: assomiglia tutto a una di quelle opere, quali talvolta si incontrano negli antichi Maestri, con cui essi si riposavano dopo le loro più grandi creazioni. Il nostro più giovane Maestro non dimenticherà certamente il fatto che tali antichi compositori face­ vano poi spesso subito una nuova, improvvisa comparsa con qualche opera poderosa, e di ciò sono una riprova il Concerto in re minore di Mozart e quello in sol maggiore di Beethoven.

626

66. STUDI PER PIANOFORTE

Ad. Henselt, 12 Studi (Etudes de Salon) op. 5 W. Taubert, 12 Studi op. 40 S. Thalberg, 12 Studi op. 26, secondo fascicolo

L’ultima nostra rassegna dedicata agli Studi risale al giugno dello scorso anno. E quasi come se il genere dello Studio, compiu­ to un ciclo, si volesse prendere un periodo di riposo. Salutiamo questo fatto come un buon segno. Ogni epoca, è vero, ritiene di aver raggiunto l’apice (così come, viceversa, in ogni epoca c’è stata gente che lamentava la decadenza dell’arte); a proposito dello Studio per pianoforte, però, credo che abbiamo qualche motivo in più dei nostri predecessori per affermare che esso ha raggiunto con noi il suo punto più alto. Le scale sono state disposte in tutte le direzioni, collegate in tutte le figure immaginabili, le dita e le mani sono state usate in tutte le possibili posizioni, ecc.: adesso non è più il caso di proseguire, perché ci si perderebbe in inutili sofisticherie, e converrà invece rivolgersi nuovamente a forme artistiche più elevate, non più solo attente all’aspetto tecnico e utili soltanto a far sfoggio di bravura. Uno Studio puro e semplice finisce per nuoce­ re alla vera maestria. Il regno delle forme è infinitamente grande: c’è di che sfruttarlo per secoli! Questo è soprattutto l’avvertimento che vorremmo rivolgere al musicalissimo Henselt. Ai suoi primi Studi, che hanno attraversato a volo il mondo con la velocità di una notizia di vittoria, egli ha fatto seguire due nuovi fascicoli: Etudes de Salon, dodici di numero. Bisogna avere ascoltato Henselt di perso­ na per non dimenticarlo più: sento ancora nel ricordo il profumo di questi pezzi, quasi fossero dei fiori appena sbocciati; la sua natura di virtuoso ci seduce con i suoi incanti a tal punto che finiamo per considerare suo anche ciò che egli ha preso a prestito da altri e nei nostri pensieri e davanti ai nostri occhi non abbiamo che lui. Così anche in questi, come nei suoi primi fascicoli, si potrebbe individuare una grande quantità di elementi chopiniani: 627

Henselt stesso ne converrebbe; ma questa mescolanza di elementi estranei si fonde così bene nella personalità complessiva che sareb­ be più meschino rimproverarla piuttosto che lodarla. D’altronde questa somiglianza con lo stile di Chopin riguarda più che altro fattori esteriori, figurali; nella sostanza, cioè nella melodia, egli è autonomo come nessun altro e ha più tesori da donare che da ricevere. Una bella cantabilità, espressa in forme eleganti, è la pregevole caratteristica anche dei pezzi di questa seconda raccolta. In proposito non saprei dire altro da ciò che già ho scritto in un precedente articolo su Henselt, di cui forse i lettori si ricorderan­ no: egli è e rimane Henselt. Solo in un particolare questi nuovi Studi si differenziano dai precedenti, e ciascuno Io noterà all’istan­ te: i titoli, che fanno pensare a una sostanza musicale più concreta; troviamo una Danza di elfi, un’ylv^ Maria, una Danza di streghe, un Canto di ringraziamento dopo la tempesta, ecc., mentre gli Studi prece­ denti erano una serie di canti d’amore o (come ha detto Wedel) di sonetti. La natura lirica di Henselt non viene però mai smentita; ma c’è anche un segno del fatto che egli vuole progredire, e qui torniamo all’avvertimento che più sopra avevamo rivolto a Hen­ selt: noi speriamo che egli voglia abbandonare gli Studi e si rivolga a generi più elevati, alla Sonata, al Concerto, o che addirittura egli ne inventi di nuovi e superiori. Chi si muove sempre nelle stesse forme e nelle stesse situazioni finirà per diventare un manierista o un filisteo; niente è più nocivo per l’artista che cullarsi a lungo in una forma comoda e tranquilla; col passare degli anni la forza creativa viene meno e allora sarà troppo tardi, così qualche eccel­ lente talento si è reso conto, quando ormai non era più giovane, di aver adempiuto al proprio compito solo per metà. Un’altra strada per progredire e per poter creare nuove opere consiste nello studiare altre grandi individualità. Certo: come controprova a questa affermazione si potrebbe portare ad esempio Mozart e dire che un genio non ha bisogno di ciò, anzi non ha bisogno assolutamente di niente; ma chi può dire che cosa avrebbe potuto creare Mozart se ad esempio avesse conosciuto Sebastian Bach in tutta la sua grandezza? Se già Haydn potè esaltare le sue energie creative, quanto maggiormente avrebbe potuto farlo un Bach! Non si può pretendere di evocare tutto e solo dal profondo della propria anima. Quanto tempo c’è voluto per arrivare alla Fuga! Deve dunque l’artista operare e ricercare esclusivamente in se stesso? o non arriva forse egli più rapidamente alla meta se studia ed

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elabora le cose migliori che sono a sua disposizione finché non sia del tutto padrone della forma e dello spirito? Egli deve dunque conoscere i Maestri del presente, dal primo all’ultimo, e dunque, per esempio, anche Strauss, che nel suo genere è una delle espressioni più alte del suo tempo. Chi tralascia di fare ciò non chiarirà mai la propria posizione rispetto al presente: non sarà mai chiara la reale portata del suo talento ed egli finirà per non essere più all’altezza, per offrire al mondo solo cose invecchiate e già consunte. Proprio a Henselt, dunque, affinché possano venire offerti nuovi sbocchi al suo fertile talento, desidero appunto racco­ mandare di restare al passo coi tempi e di conoscere tutto ciò che merita di essere conosciuto. E vero: egli ci ha donato tanto diletto con i suoi canti d’amore e può sembrare ingrato rispondere a qualcuno che ci offre un mazzo di fiori dicendogli che sarebbe stato meglio se ci avesse portato, ad esempio, un leone incatenato. Ma provi un po’ col leone; i forti non sono molti, e i pochi che ci sono non possono permettersi di riposare: ci porti il leone! Questi Studi restano comunque pur sempre ciò che sono; in essi, cioè, si trovano talmente tante cose seducenti e vaporose che devono senz’altro piacere a qualunque età li si ascolti, ed infatti io non ho mai visto dei bambini ascoltare la musica in modo più attento di come ascoltavano la sua. Egli si esprime nel modo più amabile soprattutto nell’ambito in cui noi già da tempo lo conosciamo cantore magistrale: nella Canzone d'amore e nella Romanza. Anche l’/lu£ Maria saprà guadagnarsi la predilezione di tutti; questa è un buon esempio di come un titolo ben scelto può aumentare l’effica­ cia della musica stessa. Senza quel titolo, infatti, la maggior parte dei pianisti suonerebbe questo pezzo come uno Studio di Cramer, con uno dei quali (se non sbaglio, quello in do $ minore) esso possiede molte analogie. Con unMutf Maria, invece, anche la persona più prosaica cerca di pensare e di concentrarsi. Meno appropriato mi sembra il titolo Eroica; in questo caso la musica è inferiore alle promesse. Danza di elfi e Danza di streghe risalgono certo a un periodo precedente; in essi domina l’influenza di Chopin in modo particolarmente evidente, e ciò vale anche per i pezzi che recano semplicemente il titolo di Studio; quello in la maggiore, però, lascia un’impressione di gradevolissima freschez­ za. Il Corteo notturno di spiriti è difficile da suonare a prima vista, ma suonato in modo magistrale sarà di grande efficacia e alla seconda pagina il nuovo ritmo dà un nuovo impulso; ricordo ancora come 629

Henselt attaccava i profondi bassi: l’effetto era quello di un’enor­ me ma gradevole forza primordiale. Un’altra raccolta di Studi per molti versi interessante ci è stata offerta di recente da W. Taubert, ed è la sua prima opera in questo genere. Rispetto ai suoi lavori precedenti, quest’opera dimostra una maggiore fiducia nei confronti delle più recenti tendenze compositive; in essa vi è molto di personale assieme però a molte cose riprese da altri che io avrei preferito non fossero eliminate, a tutto vantaggio delle prime. Perché dunque gli Studi devono sempre essere dodici? La personalità del compositore ci sarebbe apparsa in modo tanto più puro, se solo egli avesse voluto darci solo le cose migliori, le cose veramente sue; tanto più elevata avrei giudicato una raccolta che contenesse solo Libellula, Ondina, Sotto i cipressi, Canzonetta, Danza di spiriti e Vulcano' Gli altri pezzi sono certamente dei buoni esercizi, ma sono in parte nati sotto un troppo palese influsso estraneo, in parte più deboli delle altre composizioni di Taubert. Mi meraviglia perciò il fatto che egli, nel Notturno, si sia sprofondato in un’atmosfera spirituale in cui non può certo riuscirgli niente di buono, in quanto tale stile gli è proibito per natura: alludo all’elemento puramente fantastico, che è invece l’elemento preferito da Chopin. E così anche la Pastorale, che vorrebbe essere senza pretese e invece non lo è, e il pezzo Alla Turca, che è troppo leggero dal punto di vista inventivo, ecc. Se fossero opera di una personalità più debole della sua questi pezzi potrebbero anche essere considerati dei buoni risultati: è ovvio infatti che sono realizzati in modo abile e che sono buoni dal punto di vista armonico; ma egli certo non può accontentarsi di questa lode, lui che ha già creato tante cose eccellenti. I numeri che abbiamo citato prima meritano una lode ben più precisa. Certo nessuno di questi pezzi è talmente convincente da poter giurare sul valore assoluto di questo compositore; ma si può dire che egli ha elaborato forme e oggetti già noti in modo interessante e personale, il che è già più che sufficiente in un’epoca in cui sono ben pochi coloro che sono in grado di elevarsi oltre le formule e le locuzioni più comuni. Onore dunque a lui per la sua Ondina, che in un corpo delicato cela delicati pensieri, per Sotto i cipressi, una poesia degna di lui, per la Libellula, che scintilla svolazzante, e per molte altre cose. La Canzonetta è per la mano sinistra sola; ho già raccontato varie volte l’umoristica scenetta che fa Florestano quando ascolta pezzi del genere; egli mette ostentatamente in 630

tasca la mano destra, e ciò nello spirito del compositore, il quale d’altronde non può certo azzardarsi a farlo in un concerto. Ma il pezzo è dolce e profondo, e tutti staranno attenti a non perderne una nota. La stessa cosa vale anche per la Danza di spiriti, benché i colori di un simile quadro siano stati usati già varie volte. Si noterà, dagli esempi portati, quanto diverse e multiformi siano le cose che qui si trovano accostate le une alle altre. Il titolo promette un fascicolo successivo. Speriamo che esso riesca al compositore al­ trettanto bene quanto la metà migliore di questa raccolta. Noi lo seguiamo sempre con partecipe attenzione. È un compito ingrato giudicare il secondo fascicolo di Studi di Thalberg avendoli da poco ascoltati eseguiti da lui stesso. Chi li criticasse negativamente attirerebbe su di sé Podio di tutte le fanciulle tedesche e straniere; facendo delle considerazioni di indole artistica sarebbe certamente ascoltato con un sorrisetto di compatimento e si griderebbe al recensore maligno e disonesto. Egli si merita davvero tutte le corone di cui ovunque lo si ricopre! Come suona, come lo guardano, come tuona la sala, quando lui ha finito! Questi Studi sono figli della sua fortuna, della sua gloria e, non dimentichiamolo, del suo impegno; egli ha infatti studiato ininterrottamente, conosce davvero tutti i compositori, ha interio­ rizzato tutto con grande virtuosismo. Ascoltatelo suonare Beetho­ ven, Dussek, Chopin: su tutti egli diffonde lo splendore, assolutamente caratteristico, del suo modo di suonare; ha bisogno solo dello stimolo della musica altrui per poter dispiegare la propria natura musicale in tutta la sua magnificenza. Egli stesso possiede peraltro un certo stile melodico, simile a quello degli italiani, che tende al riposo ad ogni otto battute, con certe particolari modula­ zioni, ecc., e il modo in cui egli sa trasportare, raddoppiare, intessere la melodia con altre figure sonore è un modo tutto suo, spesso sorprendente, abbagliante e travolgente. Con ciò, però, s’è anche detto tutto, ed egli sarebbe il primo a non volere che le sue compozioni venissero messe sullo stesso piano delle composizioni beethoveniane, cioè sul piano delle opere d’arte, ecc. Rinunciamo senz’altro all’idea di voler spiegare alle grandi masse quale sia la differenza tra composizione e miscuglio, tra la vita di un Maestro e una vita fatta di apparenze, ecc. Ma gli artisti lo devono sapere e su questo argomento ci sarebbe ancora molto da dire, se non vedessi­ mo una turba di fanciulle che irrompe nella redazione; e quindi diremo ancora soltanto: egli, quando siede al pianoforte, è un dio. 631

67. ILPAULUSm MENDELSSOHN A VIENNA

DA UNA LETTERA DEL 2 MARZO

Finalmente il Paulus è stato dato anche qui, una delle più grandi città musicali è arrivata per ultima. Che le composizioni di Mendelssohn abbiano finora qui incontrato scarso interesse è un fatto troppo strettamente connesso con tutta la vita musicale della città perché io riesca a individuarne la causa specifica, ma senz’al­ tro ho intenzione di tornare sopra a questo problema. Per ora accontentiamoci di una constatazione: il viennese è in generale prevenuto nei confronti dei grandi Maestri della musica stranieri (a parte quelli italiani); ma una volta che lo si è conquistato, allora lo si può girare e voltare dove si vuole e lui continuerà a elogiare e a tenere stretto in un caldo abbraccio il nuovo oggetto della propria ammirazione. Poi c’è una combriccola, gli eredi di coloro che a suo tempo fischiarono il Don Giovanni e l’Ouverture per la Leonora, una combriccola che è convinta che Mendelssohn com­ ponga solo per non farsi capire da loro, che pensa di poter continuare a mantenere la propria gloria coi bastoni e i forconi, una combriccola, in poche parole, assolutamente miserabile, igno­ rante, incapace di giudicare e di produrre alcunché come solo ce n’erano a Flachsenfingen. 1 Per fare scomparire questi pigmei dal mondo non c’è bisogno di lampi apostolici quali quelli gettati dal Paulus-, basta che un giusto li guardi seriamente negli occhi, e quelli se ne vanno da soli. Ma il Paulus ha compiuto un miracolo ancora superiore. Come un fuoco di gioia questa stupenda collana di meraviglie ha propagato la propria fiamma sul pubblico. Non ci si attendeva una cosa del genere: questa ricchezza, questa forza

I 11 principato in sedicesimo neWHesperus di Jean Paul. [M.K.]

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magistrale, e soprattutto questa magica forza della melodia; quan­ do alla fine guardai il pubblico vidi che c’era ancora tutto, che nessuno se n’era andato; e bisogna conoscere Vienna per capire che cosa ciò significhi: Vienna e un Oratorio della durata di tre ore avevano finora convissuto in disaccordo, ma il Paulus è riuscito a portare a compimento il matrimonio. Che dire ancora? Ogni numero un applauso, tre numeri dovettero addirittura essere ripetuti per intero,2 e alla fine un’o­ vazione generale. Il vecchio Gyrowetz ha affermato trattarsi a suo giudizio della più grande opera dei tempi nuovi; il vecchio Seyfried ha detto che alla sua tarda età non sperava più di sentire qualcosa di simile. In breve, una vittoria non da poco. Se poi si pensa che l’esecuzione è stata preparata in due sole prove, bisogna davvero dire che il virtuosismo dei musicisti viennesi è degno del medesimo rispetto. L’esecuzione non era certo perfetta in certi particolari, né lo poteva essere; ma il modo in cui qui cantano i cori, con una tale passione che più che spronare c’è da tirare le redini, è cosa che solo di rado si trova nella Germania del nord, dove ci si barrica dietro al foglio di musica e si è già contenti quando non si sbaglia. In ciò Vienna è unica: dàtele qualcosa da cantare e sentirete cinguettare come da un nido di canarini. Le parti solistiche non erano state affidate ai più celebri artisti cittadi­ ni, ma erano comunque di buon livello;3 alcuni, come il basso, addirittura eccellenti. Come già scritto, l’esecuzione era stata organizzata dalla Socie­ tà degli Amici della Musica, questa associazione altamente enco­ miabile che negli ultimi tempi ha dimostrato una notevole vitalità. Una particolare menzione merita senz’altro anche il Dr. Edler von Sonnleithner; è incredibile quale dispendio di mezzi e di energie sia qui necessario per mettere assieme un’orchestra di cento elementi, mentre basterebbe appena un po’ più di disponibilità e di organizzazione per schierarne una di mille e più. Onoriamo dunque tutti coloro i quali hanno reso possibile la rappresentazio­ ne di quest’opera, di questo gioiello dei tempi nostri, di fronte ai numerosi e degnissimi artisti di questa città presentandola con tanta gioia ed amore in modo degno di loro e dell’opera stessa. La 2 I nn. 8, 25e35.[M.K.] 3 I solisti erano: Leopoldine Tuczek (soprano), Agnes Bury (contralto), Schmidbauer (tenore), Julius Krause (basso); il direttore era J. B. Schmiedel. [M.K.]

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cosa non resterà senza frutto anche per la massa e in qualche anima risuonerà il Wachet auf.4 Già si parla di una seconda e di una terza esecuzione.

4 Wachet auf, ruft uns die Stimine [Destatevi, ci ordina la voce] è il titolo di un celebre Corale. [G.T.]

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68. SONATE PER PIANOFORTE

È molto tempo che non parliamo delle nuove produzioni nel genere sonatistico. Oggi non abbiamo niente di straordinario di cui rendere conto. E comunque un piacere incontrare di nuovo, nella farragine di caricaturali figure alla moda, alcuni di quegli onorevoli volti che, una volta all’ordine del giorno, appartengono oggi al gruppo delle eccezioni. È curioso il fatto che la maggior parte di coloro che scrivono delle Sonate sia costituita da scono­ sciuti, e altrettanto strano è il fatto che i compositori più anziani ancora in vita, coloro che sono cresciuti nell’epoca aurea della Sonata e fra i quali vanno sicuramente ricordati come i più impor­ tanti Cramer e Moscheles, si dedichino pochissimo a questo gene­ re. Che cosa sia ciò che invita allo scrivere i primi, che sono per lo più giovani artisti, è facile da arguire: non c’è nessuna forma più degna per introdursi presso la critica più elevata e per farsi benvolere; le Sonate di questo genere, perciò, per lo più non sono altro che una sorta di specimen e sono da considerare come degli studi sulla forma; raramente esse nascono da un intimo e forte impulso. Se infine i compositori più anziani non ne scrivono più avranno i loro motivi, e noi lasciamo ai nostri lettori il compito di indovinare quali siano. Sulla strada mozartiana c’era soprattutto Hummel, che su tale modello continuò imperterrito a comporre: al suo nome sareb­ be però sopravvissuto solo la Sonata in fa$ minore-, sulla strada beethoveniana sopra tutti Franz Schubert, che cercò e conquistò nuove terre. Ries lavorava troppo rapidamente. Berger scrisse alcune singole cose pregevoli, senza però riuscire ad affermarsi, e così Onslow; tanto focosa quanto rapida è stata l’influenza operata da C. M. von Weber, che fondò un proprio stile sul quale molti dei 637

più giovani si basano per le loro creazioni. La situazione intorno alla Sonata è oggi quale era dieci anni fa. Alcune singole belle pubblicazioni in questo genere compariranno senz’altro qua e là, e in effetti ve ne sono; in generale, però, sembra che questa forma abbia concluso il ciclo della propria vita: ciò è nelfordine delle cose; non si può ripetere la stessa cosa per secoli e secoli, e anzi bisogna mirare al nuovo. Si scrivano dunque Sonate o Fantasie (che importa il nome!), ma non ci si dimentichi della musica, e per il resto rivolgetevi al vostro buon genio. Fra le Sonate di compositori ancora poco noti ho davanti a me una Sonata di J. K. Kelbe, tre di F. E. Wilsing e una di W. E. Scholz. Le Sonate di Wilsing sono dedicate al grande, compianto L. Berger, il quale, forse maestro del compositore, sembra aver esercitato una certa influenza sulla sua opera. Queste Sonate han­ no alcuni bei pregi e meritàno certamente tutta la lode che tanto volentieri si tributa, per incoraggiarli, ai giovani musicisti impe­ gnati. Speriamo che il compositore prosegua nel suo impegno e che voglia addirittura intraprendere un cammino ancora più ardito. Le Sonate non vanno, infatti, molto al di là della prosa di una piccola e tranquilla stanza da studio: mi vedo il compositore seduto per bene a scrivere, fantasticando ogni tanto una piccola immortalità; speriamo che egli vorrà accogliere in sé anche im­ pressioni più elevate, sia attraverso lo studio di Bach e di Beetho­ ven, sia attraverso letture stimolanti e seguendo con attenzione ed assiduità ciò che di interessante viene creato. Certamente egli saprà compiere cose ancora più significative, e mi sembra che dalla sua opera emerga anche una certa predisposizione per la musica strumentale più elevata. Gli consigliamo però di non proseguire sulla strada della semplicità, di non limitarsi e di non limare troppo: ciò che egli presenta è spesso già fin troppo nudo. Ma questo vuole essere solo un ammonimento, non un rimprovero. La limpida sensibilità di questo compositore farà sì che egli non debba cercare troppo a lungo la meta. 1 Il compositore dell’ultima Sonata in elenco fa la sua comparsa in modo deciso ed energico; il suo dono merita la nostra ricono­ scenza. Una critica rigorosa troverebbe sicuramente da ridire su 1 [R.S.] Egli l’ha trovata. Un De profundis, per coro a quattro parti e orchestra, apparso quest’anno, è fra i capolavori più grandi e più potenti che ci ha dato la nostra epoca. (1853)

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alcune cose di questa Sonata, e, se lo spazio lo permettesse, questa composizione, che pure testimonia un nobile impegno, meritereb­ be in effetti una critica siffatta. Ci piacerebbe poter seguire, passo dopo passo, lo spirito che la governa e vedere quando era su una buona traccia, quando l’ha persa e quando è riuscito ad evitare di smarrirla. Una tale critica può davvero essere gradita e giovevole al compositore, ma non la si può pretendere da una rivista in cui in uno spazio ristretto bisogna rendere conto di tutte le pubblicazioni significative. Questa Sonata rimanda direttamente a C. M. von Weber; chi non conosce la poesia fantastica e spesso morbosamente seducente delle Sonate di Weber! Ma non è dipendenza dovuta a debolezza ciò che lega questo giovane compositore al Maestro: è piuttosto un tentativo, peraltro sostenuto da una non grandissima forza, di ottenere lo stesso effetto. Quasi ovunque, da questa Sonata, parla una sensibilità spesso focosa; passaggi cantabili così belli, come ad esempio la prima melodia del primo movimento, si trovano trop­ po di rado per non notarli con gioia; in modo altrettanto felice si sviluppa la riconduzione principale a metà del movimento, e si sa che questo è il punto che sempre testimonia un acquisito dominio della forma. Altri passaggi di questo stesso movimento, quelli in cui mi sembra che il fluire della composizione si interrompa (per la prima volta all’inizio di pag. 5), mi piacciono di meno, e così anche queirimprovviso re minore (a pag. 9), per arrivare a fa, che si sarebbe potuto facilmente evitare. Avrei anche preferito una con­ clusione più severa. L’Adagio si muove nella stessa atmosfera del primo movimento, ma è meno efficace; gli manca un’idea partico­ larmente incisiva, quale i Maestri dell’arte sanno introdurre, ma­ gari proprio alla fine, manca qualcosa che ci dia ancora da pensa­ re, che funga da viatico; noi abbiamo finito, e ha finito anche il compositore. Lo Scherzo mi sembra il meno felice, in quanto l’aspetto lirico è predominante in questo compositore. Nell’ultimo movimento troviamo un tema centrale molto interessante e pieno di vita; dalle note dell’introduzione, però, in un momento felice si sarebbe anche potuto cavare qualcosa di più. Infine anche per questo movimento avremmo preferito una conclusione di mag­ gior peso. Nel complesso questo compositore dimostra chiara­ mente di possedere talento, scuola, cultura e alte aspirazioni; se perciò le sue forze continueranno a cooperare in modo sempre più positivo possiamo sicuramente attenderci da lui altre opere valide. 639

Fra le Sonate di musicisti più noti dobbiamo citare una Sonata a quattro mani di Heinrich Dorn 2 da Riga e una per pianoforte e violoncello di Mendelssohn-Bartholdy.3 La prima si presenta severa e dolce quasi come una composizione di Spohr, ma andan­ do avanti non riesce a celare quel tratto ironico e derisorio che già spesso abbiamo notato nelle composizioni di Dorn; indirizzare alle dame e ai recensori le più raffinate lusinghe, e contemporanea­ mente lanciare tuoni e fulmini: non so se nel campo musicale c’è qualcun altro che sia in grado di farlo così bene come il nostro stimato compositore. Forse, per giudicare i suoi interessanti lavori nella giusta prospettiva, dovremmo approfondire un po’ il discor­ so. Egli iniziò a dedicarsi alla musica già in età matura e con un’educazione abbastanza poliedrica, comunque conoscendo piuttosto bene le più attuali tendenze artistiche e letterarie; ciò avvenne proprio in quel periodo un po’ fiacco, fra il 1820 e il 1830, in cui una metà del mondo musicale meditava ancora su Beetho­ ven mentre l’altra metà viveva alla giornata, in quel periodo in cui l’unico tedesco che sembrava poter far fronte, sia pure con fatica, all’avanzata del dissoluto italiano, Rossini, era C. M. von Weber. Erano gli anni in cui da Vienna Czerny, seduto al pianoforte, cominciava a levare la sua vocina cinguettante e in cui nella Germania centrale si imitava Weber; solo a Berlino, grazie al vecchio Zelter, si faceva qualcosa per la buona musica istituendo una cattedra solida come il ferro, e accanto a Zelter, sia pure con diverse tendenze, facevano qualcosa per i giovani anche Bernhard Klein e Ludwig Berger. In Dorn noi vediamo un rampollo di quell’epoca, e accanto a lui è cresciuto quasi contemporaneamente Mendelssohn superando poi tutti i suoi condiscepoli. Le strade di questi due compositori ricchissimi di talento, i più promettenti di quella scuola, si separarono però ben presto e in modo assai chiaro. Mendelssohn, trovandosi a vivere in condizioni agiate, potè chiarire e levigare il proprio stile in tutta calma, mentre Dorn, gettatosi assai presto nella carriera pratica, doveva dimo­ strare le proprie capacità artistiche anche al pubblico. E così vediamo presto rappresentate delle sue opere teatrali che, per quanto mi ricordo, dimostravano un grande talento e una notevo­

2 Grande Sonata op. 29. 3 Sonala per pianoforte e violoncello op. 45.

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le abilità. Ma egli non riuscì a guadagnarsi il favore del pubblico, e, quanto più cercava di ottenerlo con mezzi musicali forti e chiassosi, tanto più egli, mi sembra, si allontanava da se stesso; proprio in questo momento, forse, può essere nato nel suo intimo una sorta di malumore, derivato probabilmente dal confronto fra le sue opere, sempre assai significative, e la produzione italiana, sempre un po’ scadente e leggera, che invece veniva osannata dal mondo intero; è da questo punto, infatti, che nella sua musica appare il tratto artistico. Ciò che si è studiato, ciò che si sa, nessuno ce lo può togliere; ma per lavorare con gioia e con felicità bisogna avere la benevola assistenza degli dèi. Se allora Dorn si fosse sottratto al disordine e ai pericoli della carriera teatrale (egli era Musikdirektor), chissà: forse avrebbe potuto fare molto per l’opera tedesca. Accontentiamoci di ciò che egli ci ha dato: vi sono comunque molte cose memorabili. In particolare egli ha scritto dei bellissimi Lieder negli stili più vari, che possono solo tornare ad onore del nome tedesco; anche i migliori fra i suoi pezzi pianistici sono stati recensiti su questa rivista. Una delle sue composizioni pianistiche più ampie è appunto la Sonata di cui s’è parlato. In essa si trovano molte cose, e addirittura, eliminando alcuni passaggi, da essa si sarebbe potuto trarre facilmente una Sinfonia. Vi si trovano cose tenere e cose ardite, momenti di semplicità e momenti costruiti con grande arte, i contrasti vengono fusi in una bella forma da una mano abile, ma tutto è accompagnato da quell’ironico sorriso che raggela immediatamente ogni momento di abbandono e il cui significato, in questa Sonala, sarà compreso da pochissimi: soprat­ tutto non lo capiranno le amabili lettrici, che vogliono essere cullate tranquillamente senza intralci satirici. Vale comunque la pena di leggersi questa Sonata da capo a fondo: chi non ne comprenderà il significato recondito troverà comunque in essa, anche volendosi attenere al puro e semplice campo musicale, molte cose divertenti, come ad esempio lo Scherzo, che muove al sorriso, e il Finale, indocile e ritroso, dove io presumo di poter interpretare nel modo migliore l’incrocio delle mani. Per finire una preghiera: che il compositore voglia presto donarci una Sinfonia; solo allora queste righe avranno raggiunto il loro scopo. Ora osserviamo un attimo l’opera di Mendelssohn! Anche sulla sua bocca aleggia un sorriso, ma è un sorriso di gioia per la propria arte, di tranquilla soddisfazione personale all’interno di una cerchia ristretta; è un piacere vedere ovunque questo benesse­

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re interiore, questa pace, questa grazia spirituale! Questa Sonata è uno dei suoi ultimi lavori; se solo fossi in grado di esprimere a parole, senza ricevere rimproveri meschini, qual è la differenza fra le sue opere attuali e quelle precedenti! Mi sembra che tutto voglia diventare ancora più musica, ancora più raffinato, più limpidamen­ te trasfigurato; direi quasi, se non temessi di essere frainteso, più mozartiano. Nel primo fiorire della giovinezza egli lavorava anco­ ra parzialmente sotto l’influsso dell’entusiasmo per Bach e per Beethoven, benché egli fosse già padrone della forma e della composizione artistica; nelle Ouvertures egli si basava su poesie altrui, oppure creava ispirandosi alla natura; bisogna dire che se pure egli ha fatto tutto ciò sempre da vero musicista e da vero poeta, qua e là si sono levate alcune voci contro questa tendenza, specialmente quando era diventata per lui la sua tendenza esclusi­ va. Questa Sonata è viceversa nuovamente musica purissima, total­ mente autosufficiente, è una Sonata così bella, chiara e personale come solo le mani di un grande artista sanno comporre e in particolare essa è, se si vuole, una Sonata per raffinatissime cerehie familiari e che può essere gustata pienamente, ad esempio, dopo la lettura di poesie di Goethe o di Lord Byron. Risparmiate a questa rivista il compito di dire ancora qualcosa sulla forma e sullo stile: nella Sonata stessa si trova tutto ciò espresso in modo migliore e più incisivo. Ho davanti a me ancora due Sonate di due grandi compianti artisti, ed è difficile immaginare un contrasto più netto fra due compositori che sono nati nella stessa epoca; oltretutto essi non si sono nemmeno conosciuti, durante la loro vita, né personalmente né in quanto musicisti. L’uno è il musicista dell’epoca moderna per eccellenza, l’altro è il geniale maestro di cui gli allievi parlano tutti ancora con grande ammirazione; l’uno donava sempre a piene mani mentre l’altro soppesava ogni nota come sul bilancino dell’o­ rafo; quello ardente, sensibile e pieno di fantasia, questo asciutto, spesso rigido e severo, stoico. Non li si voglia giudicare sulla base di queste Sonate-, non sono fra le loro opere di primo piano; esse ci consentono comunque di gettare uno sguardo ampio e profondo nell’intimo della loro anima. Per concludere, i loro nomi: Franz Schubert4 e Bernhard Klein.5 4 Grande Sonala op. 143. 5 Sonata a quattro mani (opera postuma).

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La recensione della Sonata di Kelbe fu eliminata nel 1852 da Schumann, che inavvertitamente non tolse il nome di Kelbe dall'elenco di pag. 638, [P.R.]

La Sonata di Kelbe dimostra lo zelo e la buona volontà del compositore. Come sempre, anche in quest’opera la debolezza inventiva si mostra più evidente neH’Adagio. Non mancano remi­ niscenze da altri autori, e se il compositore cerca in tutti i modi di evitare l’imitazione della Jubelouverture di Weber, alla fine, però, anche se solo nell’Adagio, ci cade in pieno con il perfetto mi maggiore; e così il tema dell’ultimo movimento riprende il tema del primo tempo del Concerto in do minore di Beethoven, e così in altri punti. Per il resto l’autore si sforza di offrirci una buona forma e armonie pulite; il che in sostanza significa che, una volta ascoltata la prima pagina, chiunque possieda una discreta intelligenza musicale può facilmente immaginare il seguito.

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69.1 ROMANTICI DIABOLICI

Dove stanno dunque questi romantici diabolici? Il Musikdirektor di Breslavia, il buon vecchio Mosewius, si dichiara improvvisa­ mente loro acerrimo nemico; anche la Allgemeine Musikalische Zeitung è lì sempre pronta a fiutarne la presenza. Dove stanno dunque? Sono forse Mendelssohn, Chopin, Bennett, Hiller, Hen­ selt, Taubert? Che cos’hanno quei vecchi signori da dire contro costoro? Valgono forse più di loro Vanhal, Pleyel, o Herz e Hiinten? Se invece non alludono a quelli o ad altri, si esprimano chiaramente, una buona volta! Se infine si giunge a parlare del “tormento e martirio di questo periodo musicale di transizione”, ebbene: si sappia che ci sono parecchi personaggi più riconoscenti e di più larghe vedute che sono di tutt’altra opinione. Smettetela dunque di fare di ogni erba un fascio e di guardare con sospetto agli sforzi dei più giovani compositori tedeschi basandovi solo su ciò che di biasimevole può esserci nelle composizioni della scuola franco-tedesca, come ad esempio in Berlioz, Liszt, ecc. E se questo non vi garba, dateci voi stessi delle opere, cari vecchi signori! — Opere, opere! 1

1 Questo articolo si riferisce direttamente ad un articolo di Mosewius (Allgem. Musik. Zig., 1839, pag. 290) il quale, parlando di Alexander Dreyschock, scriveva: “Per quanto lontane siano le sue composizioni da quelle della scuola più recente, esse si distinguono comunque per tranquillità, chiarezza ed equilibrio... Ringrazio perciò il genio dell’arte che non mi ha dato la possibilità di provare piacere per questo romanticismo diabolico degli ultimi tempi... Presto vedremo molti altri simili valorosi [cioè simili a Dreyschock] e il tormento e il martirio di questo periodo musicale di transizione se Dio vuole finiranno”. [M.K.]

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70. ANTICHE MUSICHE PER TASTIERA

Domenico Scarlatti - J. Seb. Bach

Abbiamo davanti a noi una grande quantità di interessanti, antiche composizioni in nuove edizioni a stampa. Haslinger, di Vienna, ci presenta le opere clavicembalistiche di Domenico Scar­ latti 1 con una bella veste tipografica in singoli fascicoli. I primi quattro contengono 33 composizioni, per lo più veloci, che ci dànno un’immagine fedele del suo modo di scrivere. Scarlatti ha molti eccellenti pregi che lo distinguono dai suoi contemporanei. Non si troverà in lui il cosiddetto ferreo ordine bachiano in ciò che riguarda il corso delle idee; egli è di gran lunga meno profondo, più leggero e rapsodico; si ha un bel daffare a seguirlo, tanto velocemente egli sa intessere e sciogliere i fili; il suo stile è, in rapporto alla sua epoca, conciso, piacevole e piccante. Nell’ambito della letteratura clavicembalistica le sue opere occupano un posto di grande importanza per vari motivi: perché presentano molte novità per la loro epoca, perché in esse lo strumento appare utilizzato in modo assai vario e infine perché la mano sinistra, in particolare, possiede un’autonomia fino ad allora inconcepibile; tuttavia dobbiamo ammettere che molte di queste cose non posso­ no, e anzi non devono, più piacerci. Chi mai potrebbe infatti anche solo confrontare una simile composizione con un’opera di uno dei nostri migliori compositori? Come è ancora impacciata la forma, 1 Opere complete per pianoforte. - Con le indicazioni per la diteggiatura di C. Czerny. Già quando vennero pubblicati i primi fascicoli di questa nuova edizione, Schumann volle attirare l’attenzione sulle opere di Domenico Scarlatti definendolo (1838, voi. 9, 78): “il più interessante compositore del suo tempo, accanto a Bach e Handel”. Aggiungeva poi: “Una precedente edizione è completamente esaurita e inoltre non aveva certo un’appa­ renza esteriore invitante. Ma la cosa principale è pur sempre il contenuto, la cui freschezza e la cui grande originalità non potranno mai essere cancellate.”

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poco sviluppata la melodia, come è limitata la modulazione! E a confronto con Bach! Come ha detto una volta un compositore ricco di spirito 2 confrontando Emanuel e Sebastian Bach, è come se un nano fosse capitato fra i giganti. Ciononostante, un vero artista della tastiera non può non conoscere i corifei delle varie scuole e non può quindi ignorare Scarlatti, che chiaramente ha elevato l’arte di suonare il clavicembalo a un grado più alto. Non si suonino però troppi pezzi uno in fila all’altro, perché queste composizioni si assomigliano molto nel movimento e nel carattere; presentandole invece con parsimonia e al momento giusto esse non mancheranno di avere, ancor oggi, un effetto di vivace fre­ schezza sugli ascoltatori. Questa raccolta è destinata comunque a diventare un’opera di tutto rispetto e a crescere fino a 30 fascicoli. Una vecchia edizione, peraltro non completa, anch’essa pubblica­ ta a Vienna, è esaurita ed era poco curata. Il contributo del Sig. Czerny è consistito nell’aggiunta della diteggiatura. In realtà non sappiamo quale sia lo scopo di ciò, così come non comprendiamo quale sia lo scopo di una diteggiatura nelle composizioni di Bach. Numerose composizioni di Sebastian Bach guardano ridenti verso di noi. Il desiderio già espresso su questa rivista, che si provvedesse al più presto a un’edizione completa delle sue opere, sembra aver portato qualche frutto, almeno per quanto riguarda le sue composizioni per tastiera. Dobbiamo ringraziare la ditta C. F. Peters che ha intrapreso con entusiasmo il grande compito. Alle prime due parti, di cui s’è già parlato sulla rivista e che contenevano una nuova edizione del Clavicembalo ben temperato, se ne sono finora aggiunte altre due. Una contiene la celebre Arte della Fuga,3 escluse due Fughe per due clavicembali, e per finire due Fughe da\VOfferta musicale. Secondo le intenzioni del Sig. Czerny ogni fascicolo dovrà comprendere sempre pezzi del mede­ simo genere, e quindi in un fascicolo troveremo solo pezzi per clavicembalo solo, in un altro pezzi per due clavicembali, ecc. Questa suddivisione ci sembra però un po’ superficiale, e inoltre poco conveniente sia per l’acquirente che per l’editore: per il primo in quanto viene in possesso di un’opera incompleta, per il secondo in quanto, per lo stesso motivo, venderà pochi fascicoli

2 Si allude a Mendelssohn. [M.K.] 3 [R.S.] “L’art de la Fugue etc.” (Oeuvres completes, Livr. 3.)

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singoli. Quest’edizione merita comunque la migliore delle racco­ mandazioni per la cura con cui è stata corretta o stampata; pur­ troppo ci sono ugualmente degli errori. Per quanto riguarda il contenuto dell’arte della Fuga è noto che essa consiste in una serie di Fughe e alcuni canoni, tutti basati su un solo e medesimo tema. Il tema in sé, in effetti, non sembra molto adatto ad una elaborazio­ ne multiforme e in particolare non sembra offrire molte possibilità per la realizzazione degli stretti; Bach Io utilizza pertanto in altri modi, rivoltandolo e sovrapponendo diminuzioni e aggravamen­ ti. Spesso ciò che egli intraprende rischia di diventare eccessiva­ mente artificioso: vi sono ad esempio due Fughe in cui vengono rivoltate tutte e quattro le voci, e questo è davvero un compito difficilissimo, quasi da piangere. Dal tema egli ha tratto cose stupefacenti, e può darsi che quest’opera non fosse altro che l’inizio di un edificio gigantesco: il divino Maestro si è portato nella tomba la risposta ad ogni possibile ipotesi; l’ultima Fuga, incom­ piuta, che si interrompe quando uno meno se l’aspetta, mi ha sempre colpito profondamente: è come se l’instancabile e titanico creatore fosse morto mentre stava lavorando. La quarta parte di questa nuova edizione consiste in una raccolta4 di singoli, preziosissimi pezzi, dei quali sei finora inediti, la cui pubblicazione è stata resa possibile, immaginiamo, dalla cortesia del Sig. F. Hauser. I nn. 12-18 sono stati presi dal fascicolo in mi minore delle Suites, già pubblicate da Peters sotto il titolo Exercices. Di particolare interesse, e caratteristico dell’aspetto bo­ nariamente familiare del Maestro, è il pezzo n. 10 Sopra la lontana­ la del suo fratello dilettissimo, corredato di vari titoli, come ad esempio II saluto degli amici, che comprendono che non può essere altrimenti. Gli altri pezzi inediti sono molto significativi e mi paiono purissimi. Auguriamo a questa iniziativa un rapido e felice esito. E non potrà mancare un grande profitto: le opere di Bach sono un capitale per tutti i tempi. Certi di corrispondere alle intenzioni dell’editore, vogliamo qui esprimere la preghiera che tutti coloro che sono in possesso di manoscritti bachiani ancora inediti voglia­ no contribuire a questa grande iniziativa nazionale inviandoli all’editore. Qualcosa può essere sepolto ancora qua e là. Può darsi

4 [R.S.] Compositions pour le Piano etc. (Oeuvres completes, Livr. IV.)

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che un giorno un editore decida di pubblicare una analoga edizio­ ne delle composizioni vocali e sacre di Bach, sì che noi possiamo finalmente gettare uno sguardo generale su questi tesori, che nessun altro popolo sulla terra può vantare. Il Sig. Kistner ha iniziato la pubblicazione dei Concerti per clavicembalo 5 di Bach cominciando con quello, famosissimo, in re minore; è lo stesso Concerto che alcuni anni fa Mendelssohn fece ascoltare pubblicamente a Lipsia, con grande delizia di pochi singoli, una delizia a cui però la massa non parve in alcun modo partecipare. Questo Concerto è uno dei più grandi capolavori, e in particolare la conclusione del primo movimento possiede un grande slancio, un appassionato vigore simile a quello che Beethoven ha saputo realizzare nella conclusione del primo movimento della Sinfo­ nia in re minore. Resta sempre vero ciò che ha detto Zelter: “Questo Kantor di Lipsia è una incomprensibile manifestazione della divinità?* Nel modo più splendido e più ardito, nel suo elemento origi­ nario, egli appare però in modo assoluto all’organo. Qui egli non conosce alcun limite e ha lavorato per secoli a venire. Dobbiamo parlare qui di una nuova edizione di 6 Preludi e Fughe, già pubbli­ cati a Vienna da Riedl, edita da Haslinger. 6 Gli organisti li cono­ sceranno già: il n. IV è il magnifico Preludio in do minore. Fuori dalla Germania solo in Inghilterra si è fatto qualcosa per la diffusione delle opere di Bach;7 abbiamo davanti a noi parecchi recenti fascicoli, stampati molto bene da Conventry e Hollier, che raccomandiamo all’attenzione degli editori tedeschi per un con­ fronto. In Germania c’è il Sig. Hauser che possiede la più completa raccolta delle opere di Bach. Da tempo egli attende alla stesura di un catalogo sistematico di tutte le opere stampate o che conosce attraverso il manoscritto. Il numero sempre crescente degli ammi­ ratori di Bach darà certamente un grato benvenuto a questo catalogo, quando sarà pubblicato. 5 [R.S.] Concerto per il Cembalo etc. Partitura Nr. 1. - Compresi alcuni Concerti per due e tre clavicembali, ce ne dovrebbero essere circa 12. Il Sig. Hauser li possiede tutti. 6 [R.S.] Preludi e Fughe per organo o pianoforte a pedali.

7 Quando, un paio d’anni più tardi, fu annunciata anche un’edizione francese delle opere per clavicembalo di Bach, (edita da Launer, a Parigi), Schumann osservò a tale proposito (Zt., voi. 18, 36): “Che si cominci anche in Francia a comprendere il grande Maestro? Vogliamo sperarlo, e vogliamo qui ricordare una frase assai significativa detta a proposito di Bach da un conoscitore dell’arte: 'Si può arditamente immaginare che il riconoscimento del suo spirito e del suo essere sarà il primo segno di una nuova epoca che ci libererà da tutto il male di cui di recente Italia e Francia hanno ricoperto noi e la nostra musica"’. [M.K.]

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71. FANTASIE, CAPRICCI, ECC. PER PIANOFORTE

Michael Bergson, 4 Mazurke op. 1 Queste Mazurke le ha sulla coscienza Chopin. Non vogliamo trattarle severamente: esse manifestano una fisionomia puramen­ te nazionale, molto amore per Chopin, per la musica e soprattutto molta gioventù. Ma non avrebbero mai dovuto essere stampate. In esse è ancora troppo evidente l’allievo. Certo un giorno il composi­ tore si pentirà di questa pubblicazione, anche se questi giovani assetati di gloria non lo ammetteranno mai, nemmeno dentro di loro. In certe cose lo stesso Chopin è un po’ tornato sui suoi passi, negli ultimi tempi. Ma ecco che arrivano gli imitatori (come sempre, dopo alcuni anni) e dobbiamo sorbirci ancora una volta quei meravigliosi, ma già invecchiati, svolazzi chopiniani (peraltro spesso così seducenti nell’originale) come se fossero qualcosa di nuovo. Ma noi sappiamo bene, quasi come lo sanno i compositori stessi, che cosa essi hanno rubato, peraltro con le migliori intenzio­ ni, e che cosa rimane di originale. Non si può dire cosa il nostro giovane polacco sarà in grado di fare dopo un simile debutto. Innanzitutto diventerà vecchio; e allora non potrà più scrivere sottigliezze come la seguente:

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e simili. Bisogna dire, però, che questo passaggio è il più insensato che si trova in queste Mazurke: il resto è decisamente migliore. Valentin Alkan, 6 Pezzi caratteristici

Questo compositore appartiene al gruppo degli oltranzisti fra i romantici francesi e al pianoforte è la copia di Berlioz. La sua penultima opera (alcuni Studi) è stata da noi presentata con una certa severità: è tremendo il solo ricordo. Questi 6 Pezzi caratteristici sono di carattere un po’ più mansueto e ci piacciono decisamen­ te di più. Ciò che non si può trovare in un vocabolario francese, il Gemili, 1 manca anche alle composizioni francesi, e anche a queste in particolare. Viceversa troviamo una parodia della musica operi­ stica (nel n. 6, L’Opera) fatta con una bravura insuperabile. Anche la Notte d’inverno è assai caratteristica: sembra quasi di sentire un gelo tagliente spirare da essa. Il suo opposto, laAfotttf di primavera, ce lo saremmo aspettato più caldo e vaporoso, mentre invece è solo abbastanza garbato. Il pezzo La Pdque l’avremmo eliminato del tutto da questa raccolta per la sua banalità; quello intitolato Les Moissonneurs ha invece un effetto di amabile freschezza, come l’aria della campagna dopo l’aria della città. La Serenata non muta prospettiva e perciò piacerà. Le indicazioni interpretative manca­ no quasi del tutto. Ci sono molti pro e molti contro. Questo 1 "Animo”. [G.T.]

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compositore dev’essere comunque un pianista interessante e co­ nosce molto bene le più particolari possibilità dello strumento. Come compositore lo potranno fare progredire solo studi assai severi. Altrimenti finirà per scadere sempre più nell’esteriorità.

Heinrich Cramer, Fantasia con Variazioni su temi di Mozart op. 7 Romantische Ideen [Idee Romantiche] op. 10 Per quanto riguarda la Fantasia c’è solo da meravigliarsi del fatto che il compositore se la sia annotata e ricopiata: assomiglia assai a una di quelle improvvisazioni di giovani pianisti che tanto spesso abbiamo dovuto ascoltare trovandoci in compagnia. Se verrà il giorno (un giorno maledetto dagli editori, in quanto ogni esecu­ tore diventerebbe stampatore ed editore in proprio), il giorno, dicevamo, in cui delle macchine copiatrici applicate allo strumen­ to potranno riscrivere ciò che viene suonato, Fantasie di questo tipo spunteranno a milioni. La precisazione su temi di Mozart devo dire che all’inizio mi ha interessato: confidavo in una qualche connessione artistica; ma non ci si eleva oltre la mediocrità, e il compositore l’ha presa un po’ alla leggera. Le Idee romantiche hanno uno scopo un po’ più elevato. I titoli sono Sensazioni dopo un ballo, Suoni simpatetici, e Saluti alla patria. In essi notiamo una mano abile nei collegamenti e nella messa a punto della composizione e una buona conoscenza dello strumento. Di romantico, però, c’è ben poco. Il compositore sembra giovane e non senza talento: sappia mettere a frutto queste due qualità.

Joh. Friedr. Kittl, 6 Idilli op. 1

Di una successiva raccolta di Idilli dello stesso compositore abbiamo già parlato su questa rivista. Già allora avevamo notato con un certo fastidio il titolo di Idillio, in quanto fa sempre pensare a qualcosa di campagnolo, di pastorale, ecc.; ma, come allora, anche qui il termine è inteso nel senso greco, più ampio, di quadretto, e i vari numeri potrebbero altrettanto bene chiamarsi Impromptus o anche in altro modo. Va sottolineato il fatto che il musicista dovrebbe star bene attento a dare il nome giusto ai suoi figli, come qualunque altro artista: un nome sbagliato può indi­

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sporre, nonostante tutta la bontà della musica in sé, mentre un nome indovinato può aumentare di molto il piacere che si prova nel capire il senso del pezzo. Tomaschek, a Praga, ha utilizzato per primo il titolo Idilli, e in questi pezzi, se non sbaglio, prevaleva in effetti l’atmosfera rustica. Il Sig. Ritti ha studiato con Tomaschek: forse pensava di fare un piacere al suo Maestro, riprendendo il titolo, e in questo senso l’iniziativa è lodevole. Così come il titolo principale, anche i titoli dei singoli numeri possono essere criticati per il fatto che corrispondono poco al contenuto della musica o che ne dànno un’idea eccessivamente elevata. Vediamone uno a caso: Vivace.

Chi penserebbe mai ad un Amour exaucé, come l’ha intitolato il compositore, visto che potrebbe chiamarsi, altrettanto bene o addirittura meglio, Canto conviviale, Canzone di danza o Saltarello! La stessa cosa vale per la maggior parte degli altri pezzi. Trala­ sciando i titoli, quest’opera prima possiede peraltro alcuni pregi, pregi che volentieri si notano (e purtroppo raramente si trovano) in opere d’esordio: oltre ad una certa tendenza alla semplicità e alla naturalezza si nota un’armonia corretta e pulita, e soprattutto una sensibilità profondamente tedesca, intorno alla quale Italia e Francia, con le loro arti di seduzione, si darebbero pena inutil­ mente. Il compositore sembra però perseguitato da una certa sfortuna alla fine delle varie parti: spesso manca qualcosa nel ritmo, oppure c’è qualcosa di troppo, ad esempio nel n. 2 due battute prima del Fine, 1 così nel n. 3, così nel n. 4, ecc. Il composi­ tore non finisce mai al momento giusto. Certo: anche nei capola­ vori si trovano talvolta dei ritmi apparentemente squilibrati (che però si appianano subito un attimo dopo), e possiamo perdonare 1 In italiano nel testo.

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un salto in grazia dell’ardimento con cui il genio sa correre vicino ai dirupi con la sicurezza di un camoscio; ma qui le cose stanno diversamente: un maggiore esercizio rafforzerà il passo del giovane talento e farà sì che egli raggiunga la meta in spazi sempre più brevi.

Friedrich Burgmiiller, Fantasia al suo amico Liszt (Reveriesfantastiques) op. 41 Quando c’è di mezzo il nome di Liszt ci si aspetta sempre un lavoro titanico. Ma non è questo il caso, anche se l’autore, che finora ha scritto solo cose facili, per dilettanti e arrangiamenti, stavolta è uscito dalla sua sfera abituale e ha creato qualcosa di certamente più significativo. Il pezzo ha un fluire leggero e felice, e soprattutto presenta un tema centrale molto efficace nella parte del tenore; l’inizio ricorda molto l’Ouverture A^Euryanthe, e il pezzo nel suo complesso ricorda gli infuocati tempi d’Allegro di Weber. Speriamo che l’autore vorrà dedicarsi definitivamente alla composizione originale; per arrangiare c’è sempre tempo. Non sappiamo, infine, se egli sia parente di Norbert Burgmuller, il giovane ed ispirato cantore prematuramente scomparso; i cogno­ mi sono uguali: possano esserlo anche le aspirazioni.

Joseph Nowakowski, 2 Polacche op. 14

Quanto negli ultimi tempi appare delle composizioni polacche può essere, in misura minore o maggiore, ricondotto a Chopin. Grazie a lui la Polonia ha ottenuto un posto e una voce nella grande lega musicale dei popoli; annientata politicamente, essa continuerà probabilmente a fiorire nell’ambito della nostra arte. Anche in queste Polacche si può riscontrare l’influsso di Chopin, ma sono scritte sempre in modo tale per cui tale influsso non può essere considerato un difetto. Dopo la prima Polacca non avrei desiderato altro che una seconda simile: se questa è infatti costitui­ ta solo da gale ed ornamenti, per quanto dorati e frusciami, dalla prima spira invece verso di noi un alito dolcemente melanconico, un dolore timidamente celato, forse addirittura più intimamente commovente di quello che Chopin sa esprimere in modo più dichiarato e sbocciante; mi è piaciuta quasi tutta. Mi ha infastidito solo un’armonia un po’ impura: gli attenti la troveranno facilmen­ 655

te a pag. 7. Questo unico piccolo pezzo vale al compositore il nostro amore e la nostra stima.

Jacques Schmitt, Fantasia op. 268 Die Fuchsjagd [La caccia alla volpe], Fantasia op. 280

Il cordiale talento del compositore si esprime anche in questi pezzi; Jacques Schmitt rimane Jacques Schmitt: un compositore poco redditizio per i cronisti musicali, perché alla fine non si sa più che cosa dire su di lui. La prima pagina colpisce moltissimo la fantasia, con quell’unico rigo che la fa sembrare una parte violoncellistica; ma poi si aggiunge la mano destra, e allora compaiono le solite melodie gaie e leggere. Bisogna, come sempre, lodare il suo modo di scrivere molto strumentale: l’esecutore difficilmente sba­ glierà diteggiatura. La Caccia alla volpe condivide i medesimi pregi. Méhul, con le sue rapide acciaccature, fa la sua comparsa in tutti i pezzi di caccia, e anche qui. Che fra un rigo e l’altro non vi sia la solita dettagliata descrizione della caccia, anche questo è un bene: tanto si indovina tutto lo stesso. Ci dispiace solo che nei cataloghi non si trovino cacce al camoscio o al leone. Speriamo di trovarne: basta con la selvaggina!

Sigism. Thalberg, Notturno op. 28 Andante op. 32. Fantasia su temi dal “Mosè" di Rossini op. 33. Th. Dòhler, Notturno op. 24. J. Rosenhain, 4 Romanze op. 14 Romanza (Morceaude Salon) op. 15. Non c’è niente di peggio che avere a che fare con uomini di mondo: con la loro gentilezza ci costringono ad essere per forza gentili nei loro confronti, con un inchino allontanano dalle nostre labbra un’eventuale critica e sfuggono quando tentiamo di acco­ starci a loro in modo un po’ profondo. E come essi continuano ad avere una certa autorità e ad agire indisturbati nella vita, nelle corti e nei salotti, così non li si può bandire nemmeno dall’arte. Se poi sono, come Thalberg, imparentati per nascita con l’aristocra­ zia o, come Dòhler, imparentati con la diplomazia, tanto più rapidamente allora si faranno strada e un nome, mentre le lodi

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saranno senza fine. Vi sono però dei momenti, specialmente quando gli anni cominciano a pesare, quando il fumo dell’incenso comincia a non avere più effetto, quando il corpo stesso perde in agilità, in cui anche queste persone favorite dalla sorte vengono assalite dal desiderio di realizzare qualcosa di migliore o anche, forse, dal pentimento per ciò che hanno fatto durante la loro gioventù rapidamente svanita. Allora una più elevata aspirazione toccherà le loro ali, un nuovo coraggio le farà alzare, allora cercheranno di recuperare le occasioni perdute, tentando di fare meglio. Talvolta ciò riesce, talaltra è troppo tardi. In un momento di tale nostalgico struggimento per la pura patria dell’arte che certo non si può trovare nei salotti dei grandi e dei ricchi, può dunque forse essere stato concepito quel primo Notturno} talvolta anche in esso si trova traccia di un atteggiamento di vana presun­ zione: ma nel complesso il pezzo è animato da sentimenti certo più nobili di quanto si trovino di solito in un virtuoso da salotto; è uno dei pezzi migliori di Thalberg. Per giungere alla radice di una composizione, la si spogli anzitutto di ogni ornamento. Solo allora si vedrà se è ben formata, quanto vi è di natura e quanto invece ha fatto l’artificio. E se non rimane altro che un bel canto, purché accompagnato da un’armo­ nia limpida e nobile, allora si può dire che il compositore ha superato la prova e merita il nostro applauso. Questa richiesta è semplicissima, eppure così di rado viene soddisfatta! Ebbene: il Notturno, anche spogliato del suo incidentale fascino esteriore e ricondotto alle linee fondamentali, anche allora avrà un effetto del tutto convincente. Anche se in alcuni punti i fili della melodia si allentano un po’, non arrivano però a spezzarsi del tutto, come succede la maggior parte delle volte quando la fantasia e il senti­ mento vengono meno; questo atteggiamento melodico assai natu­ rale è la caratteristica che ci fa preferire questo pezzo (che peraltro comprende anche interessanti parti secondarie) a tanti altri di Thalberg, e così la penseranno in molti, soprattutto le signore. L'Andante gli è invece riuscito in modo meno felice; la melodia principale mi sembra arida e senz’anima, è una melodia nata semplicemente dal movimento delle dita sul pianoforte dopo una lunga quanto inutile fatica: il cuore non vi ha nessuna parte. Il pezzo sembra essere nato in periodi differenti, modificato, rinfre­ scato, ma non è ancora compiuto. Inoltre è arduo da suonare e

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non ripaga la fatica che è costato; dubito che questo Andante sopravviverà al virtuoso che l’ha scritto. A proposito della Fantasia su temi del “Mosè” dirò che essa, come è noto, è uno dei cavalli di battaglia di Thalberg, con cui egli ha riscosso ovunque trionfali successi, soprattutto per gli arpeggi conclusivi volanti in su e in giù, dove l’esecutore sembra quasi sdoppiarsi e il pianoforte quasi voler partorire un secondo stru­ mento. La Fantasia è un pezzo di felice ispirazione salottiera e fornisce al virtuoso tutti i mezzi e le armi per conquistare il pubblico: per esempio un inizio avvincente, che costringe ad ascoltare con attenzione, passaggi virtuosistici di forza, eleganti melodie italiane, affascinanti interludi e soavi punti di riposo; infine una conclusione di grande fantasia, come s’è detto. Quando poi il Maestro si alza dal pianoforte il pubblico non vuole cedere e chiede a gran voce che egli si risieda: lo stesso travolgente effetto. Chi potrebbe dire di non vedere volentieri un pubblico in preda all’entusiasmo? E comunque la Fantasia presenta anche alcuni passaggi veramente di grande valore, che sono in grado di cattura­ re l’attenzione anche di un intenditore per parecchi minuti. L’au­ mento progressivo della tensione compositiva dimostra che que­ st’opera è stata scritta da un artista abile ed esperto, e ogni singolo passaggio sarebbe, come s’è detto, degno di essere sviluppato più ampiamente. Consideriamo dunque questi pezzi per quello che sono e, se si confronta questo pezzo da concerto con altri scritti in epoca precedente e mirati al medesimo effetto, possiamo davvero sperare che nel genere della musica da salotto abbiano cominciato finalmente ad infiltrarsi opere più ricche di idee, artisticamente più elaborate al posto della vacuità assolutamente sterile che vediamo ad esempio in Gelinek 1 e più tardi in Czerny; in questa specie più raffinata di musica da salotto Thalberg può davvero essere considerato come uno dei maggiori esponenti. Abbiamo aggiunto nella lista anche un Notturno di Dòhler in quanto questo virtuoso mira ad ottenere quasi lo stesso successo di Thalberg. Il suo Notturno non è certo del genere di quelli che un tempo il trovatore offriva alla sua dama dopo aver superato, mettendo a repentaglio la propria vita, siepi e muraglie: si tratta piuttosto di una dichiarazione d’amore salottiera, dolce e fredda 1 Scrittura tedesca del nome del compositore boemo Josef Jelinek (1758-1825). [G.T.]

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come il gelato che intanto si degusta. È in ret maggiore, com’era facilmente prevedibile; in una parola si può dire che è charmant, amabilissimo. Ultimamente nei salotti abbiamo incontrato spesso anche il Sig. Rosenhain, più spesso di quanto ci piacerebbe. Probabilmente egli non piacerà neanche a se stesso, in tale situazione: come si sente, nei suoi tentativi galanti, la mancanza del necessario raffina­ tissimo taglio e soprattutto di quella signorile capacità di non dire assolutamente niente, una capacità così importante per potersi muovere nei circoli più elevati! Ma, ciononostante, sia le Quattro Romanze sia la Romanza singola sono ben poco interessanti e mi sembrano solo un infelice accrescimento del repertorio della musi­ ca da salotto. Del buon musicista, quale finora credevamo di dover stimare R., si sente qualcosa appena nell’ultima Romanza in lafr, e anche qui un po’ sì e un po’ no: non è certo ben levigato dal punto di vista formale. Se questa è l’educazione che dànno Parigi e Londra, davvero è meglio che ve ne stiate a casa, cari i miei musicisti tedeschi oppure, quantomeno, tenetevi a distanza da quelle sudice cucine della composizione in cui l’alloro non serve ad altro che a correggere il sapore di pietanze stantie. Un artista come R. non dovrebbe prestarsi a simili lavori; noi crediamo addirittura che egli non possieda talento per scrivere tali cose dichiaratamen­ te scadenti, un talento che invece, come dimostrano gli esempi, quelle grandi città sanno sviluppare con una velocità stupefacente, se l’artista non bada bene a se stesso.

C. Schwenke, 3 Marce a 4 mani op. 50 Amusement op. 55

Questo compositore appartiene a una famiglia di musicisti da sempre stimata. Se non sbaglio, egli ha anche cercato fortuna a Parigi per parecchio tempo, e Parigi ha tentato, ma inutilmente, di levigarlo e di raffinarlo: egli è tornato quale era partito (ovviamen­ te in senso musicale), un tedesco onesto e solido: tale lo vediamo soprattutto ne\VAmusement, scritto nella tonalità pianisticamente marziale di mik maggiore, che contiene poco altro che non sia già stato scritto da altri nel medesimo modo; fondamentalmente si tratta di variazioni senza tema, una successione armonica variata con ritornelli periodici. Lo stesso compositore si presenta assai 659

diverso nelle Tre Marce, tentando il volo schubertiano; ma simili tentativi sono rischiosi per chi è abituato a camminare su un’ampia e sicura via di mezzo. In una parola, in queste Marce non c’è natura, e molte cose al mondo possono essere imitate, tranne il romanticismo. E inoltre il carattere romantico non va certo ricer­ cato nelle quinte (come a pag. 14, sist. 3): tale carattere consiste, al contrario, in una purissima e raffinatissima eufonia. Se il Maestro fa un’eccezione, di ciò egli sa anche rispondere, mentre ad un talento più debole mancano dei veri motivi. Con ciò non vogliamo comunque disconoscere, come s’è detto, la serietà e l’impegno delle aspirazioni di questo compositore assai preparato, che pro­ babilmente in quest’opera si è solo posto una meta troppo elevata.

Eduard Marxsen, 3 Impromptus per la mano sinistra op. 33. 3 Pezzi (Pieces fugitives) op. 31

Quanto più diminuisce il numero dei pezzi a quattro mani nell’attuale letteratura pianistica, tanto più cresce il numero di quelli per una mano sola, e ciò è un fatto abbastanza curioso. L’opinione della rivista a proposito di questo genere compositivo si suppone già nota ai lettori. È davvero una fatica sprecata stampare composizioni con questa specifica destinazione, a meno che non si tratti di opere eccellenti, come alcune di Ludwig Berger. Vi è qualcosa di tragicomico, quasi di innaturale, quando vediamo una mano sola affaticarsi attorno ad un passaggio là dove l’aggiunta dell’altra mano avrebbe immediatamente semplificato le cose; prendiamo ad esempio battute come queste:

e mettiamo accanto al pianoforte un bambino giudizioso; vediamo se non esclamerà: “Ma perché questo non lo fai con l’altra mano?”

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Perché rendersi inutilmente invalidi? Ma basta! Questi Impromptus devono la loro esistenza anche ad un fattore esterno, il fatto che il compositore conosce il Sig. Dreyschock, che deve possedere una delle mani sinistre più forti che esistano, e difatti questi pezzi si dichiarano anche nel titolo come un hommage offerto al suddetto virtuoso. Troviamo realizzato nel limiti del possibile tutto ciò che si può fare con mezzi così limitati, anche se il lavoro possiede un aspetto abbastanza occasionale e un po’ frettoloso, in particolare la Fuga, che è assai inferiore a quella famosa per una mano sola di Kalkbrenner: e sì che questa era l’occasione giusta, per il composi­ tore, per mostrare tutta la sua arte. Nelle Pièces fugitives, invece, il suo talento è messo in risalto in modo ben più deciso e più personale: questi pezzi hanno anima e carattere, anche se io non riesco ad amare certi passaggi, certe condotte melodiche, ecc. Mi sembra che il compositore dovrebbe soprattutto curare una mag­ giore nobiltà della melodia; se pure questo dono prezioso è posse­ duto in quantità limitata, l’impegno e l’applicazione possono però ancora fare molto. L’ultimo pezzo è originale e, nonostante lo spinoso ritmo di 5/8, di effetto non sgradevole; qui si mostra una vena umoristica che lascia presagire nuovi e ricchi tesori.

Simon Sechter, 12 Studi contrappuntistici op. 62 Un fascicoletto assai curioso, che potrebbe essere preso (non guardando il frontespizio) per una reliquia di un secolo passato, in cui simili dotti passatempi erano all’ordine del giorno. Accanto a singoli barocchismi esso presenta anche cose profonde e piacevoli; fra i pezzi di quest’ultimo genere voglio annoverare quelli costruiti su un cantus firmus continuamente ripetuto, fra i primi quel canone costruito con un graduale aggravamento in tutte e quattro le voci e che suona in modo davvero orrendo. Beethoven ha detto da qualche parte che in passato ci si rompeva la testa con simili calcoli, ma che adesso il mondo si era fatto più giudizioso, e sostanzial­ mente aveva, come sempre, ragione. Peraltro lo studente si deve misurare anche con simili compiti, pur rendendosi conto che tale esercitazione non vale molto di più di quelle poesie, una volta in voga, disposte sulla carta a rappresentare una qualche figura, una croce, un altare o simili; ciò serve però a imparare a muoversi entro limiti ristretti, utilizzando mezzi essenziali; e ciò in un modo

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o nell’altro potrà sempre tornarci utile. Quanto prima si raggiun­ gerà una perfezione tecnica in simili artifici compositivi, tanto meglio sarà; arrivandoci in anni meno giovanili si potrebbe essere indotti a sopravvalutarne il reale valore, così come si è propensi a fare per tutto ciò che si è appreso in età matura. Il Sig. Simon Sechter è, come noto, uno dei più profondi teorici di Vienna ed è un contrappuntista così scrupoloso che in un suo canone non si deve nemmeno guardare se gli intervalli si susseguono rigorosamente: il contrario sarebbe da considerare un’infrazione inaudita. Anche un occhio di falco farebbe fatica a trovarvi delle quinte; nel terzo pezzo, però, mi ha colpito una serie di ottave evitate che non suonano molto diverse da ottave reali e che in questo pezzo si ripetono così frequentemente che si è indotti a considerarle intenzionali. Guardate un po’ da voi; questo fascico­ lo rimane comunque una singolare e bella curiosità per la nostra epoca e soddisfa in tutti i sensi l’interesse che risveglia in noi fin dal titolo.

J. P. E. Hartmann, 2 Pezzi caratteristici op. 25

Abbiamo già più volte parlato delle belle e serie aspirazioni di questo compositore danese. Questi pezzi di recente pubblicazione mostrano un grande progresso soprattutto sul piano armonico, meno su quello melodico. Per penetrare nel loro intimo bisogna però suonarli ed ascoltarli spesso e in momenti diversi. Il composi­ tore cerca e scava profondamente e spesso porta alla luce cose strane e sorprendenti. Ma quei grovigli grotteschi, guardati atten­ tamente, rivelano una coesione quale riesce solo a una mano artisticamente esercitata. Ma non riesce a cantare a piena voce, il suo cuore non si abbandona mai alla scrosciante espressione dei sentimenti: la razionalità è sempre desta. Ma se il compositore, come sembra, deve alcuni di questi Studi alla conoscenza di opere di C. M. von Weber e forse anche di Mendelssohn, impari dunque da coloro a cantare ancora più liberamente: la sua musica sarà allora più efficacemente completa. Certo è che noi dobbiamo attenderci da lui ancora moke cose eccellenti, e con noi intendo i musicisti. I dilettanti non proveranno molto gusto ad ascoltare la sua musica: per costoro egli scrive in modo troppo complesso e con troppe relazioni interne: gli italiani e gli italianizzati lo consi662

(tarerebbero senz’altro un barbaro. I due pezzi sono interessanti nello stesso modo, benché si muovano in atmosfere assai differen­ ti. In particolare mi piace l’ultimo per il suo carattere meditativo e anelante, come se una soave immagine fantastica gli si fosse avvici­ nata ed egli non fosse stato in grado di afferrarla. Ma anche il primo ha un suo valore. Di questi pezzi vale veramente la pena di parlare.

A. Dreyschock, Romanza senza parole op. 4

Questo compositore è diventato, meritatamente, un pianista di fama e di nome; come compositore egli è però ancora ad uno stadio larvata: per la farfalla bisognerà attendere ancora un po’. La sua Romanza senza parole è più che altro uno Studio di effetto amabile e cordiale, ma la forma complessiva è praticamente solo una misera giustapposizione di elementi. Se si provasse in generi compositivi più complessi, ciò potrebbe forse farlo progredire. Vogliamo consigliargli anche di non scrivere sempre al pianofor­ te, ma di creare cercando di attingere direttamente al proprio intimo. Tutto va ancora troppo in direzione della figura, dell’effet­ to e del gioco tecnico delta dita. Per comprendere ciò che intendia­ mo consigliamo al compositore di prendere in mano un analogo pezzo di Mendelssohn e di confrontarlo col proprio: vedrà come in quello tutto spira vita e anima, con quale artistica facilità ogni cosa si leviga a formare l’insieme. È più difficile dimostrarlo a parole che al pianoforte. Potremo parlare più ampiamente del talento e del­ l’indirizzo compositivo di questo artista solo dopo un’opera più signi­ ficativa a cui speriamo che egli voglia presto dedicare tempo e forze. Davanti a noi c’è una grande quantità di brevi pezzi musicali di W. Taubert, A. Henselt, W. Sterndata Bennett e Chopin, quattro fra i più significativi giovani compositori pianistici, sul talento, la cultura e l’indirizzo compositivo dei quali ci siamo già espressi in varie occasioni su queste pagine, sì che ora potremo esprimere la nostra lode in termini più concisi. Innanzitutto i Ricordi di Scozia 1 di W. Taubert, otto Fantasie, o

1 [R.S.] Opera 30.

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pezzi fantastici, che, come le opere precedenti dello stesso compo­ sitore, ci hanno dato un profondo diletto spirituale nel loro solido impianto, di pretta marca tedesca. I tratti fondamentali del suo carattere musicale, una robustezza quasi aspra e una dolce intimi­ tà, spesso unite in un piacevole buonumore, si ritrovano anche in queste immagini di viaggio. Il musicista, fra tutti gli artisti, è quello che ha meno bisogno di viaggiare per maturare la propria arte (mentre il poeta ne ha più bisogno, e il pittore più di tutti); i nostri grandi compositori hanno sempre abitato in uno e in un solo luogo: così Bach, Haydn, Beethoven, anche se uno sguardo verso le Alpi o verso la Sicilia non avrebbe certo nuociuto nemmeno a costoro. Dobbiamo dunque questi pezzi descrittivi ad un viaggio compiuto da W. Taubert alcuni anni fa attraverso le terre alte della Scozia settentrionale e, se proprio non sono nati sul posto, sicura­ mente però sono stati resi più fedeli e più pittoreschi dalla cono­ scenza diretta di quei luoghi romantici. Da questa raccolta si riceve più di quanto ci si aspetti: non semplici reminiscenze ed echi, non vi sono semplicemente melodie scozzesi intessute insieme e varia­ te, bensì una serie di pezzi musicali del tutto degni del composito­ re, di scene originali e di immagini caratteristiche che avvincono e dilettano la fantasia nel modo più elegante e gradevole. Una lettura frettolosa non sarà sufficiente per comprenderli, non tanto perché la musica sia difficile o profonda, quanto perché essa richiede uno studio preciso del suo colore assolutamente caratteri­ stico: solo allora si potrà con diletto soffermarsi spesso e a lungo su questi pezzi. Vi si trovano anche cose curiose o bizzarre, ma ciò non avviene mai a danno della musica. In poche parole si può dire che il compositore ha scritto questi pezzi in un felice momento e ha ottenuto l’effetto che voleva. Nei Sei Minnelieder2 del medesimo autore troviamo altrettante cose piacevoli quali possono sgorgare solo da un animo veramente musicale. Sono però troppo vicini a Mendelssohn e alle sue Roman­ ze senza parole per non stimolare ad un paragone. I pezzi di Taubert si distinguono per quelle che sono le caratteristiche dei compositore, e cioè per la forma ridotta e per la purissima cantabilità; chiaramente però non possono paragonarsi a quelli di Men­ delssohn sul piano dell’invenzione, della novità e del valore della

2 [R.S.] Opera 45.

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realizzazione complessiva. Questo fascicolo parla solo di fedeltà e di amore. I motti posti all’inizio dei singoli pezzi sono ben scelti e sono tratti da Shakespeare, Uhland e W. Mùller. La sensibilità più fresca e più nobile mi sembra quella del primo pezzo, per quanto ricordi molto Mendelssohn nella conduzione della melodia. Gli altri, in generale, sono inferiori a questo primo. In un pezzo a quattro mani si può anche fantasticare con la donna amata, se questa suona il pianoforte: il titolo è Al crepuscolo; ma mi sembra un pezzo un po’ prosaico. Per il resto la musica esprime perfettamen­ te il senso di quell’ingenuo detto tedesco che è posto come motto di tutta la raccolta: Non vi è gioia senza un amore fedele. Ad Adolph Henselt non dobbiamo rimproverare niente, se non che egli ci offre rare occasioni per parlare di lui. Può darsi che egli torni presto dal Nord fra di noi portandoci maggiori prove del suo impegno, come ci sarebbe da attendersi dal suo fresco talento. In questo periodo sono stati pubblicati cinque suoi piccoli pezzi: un occhio mediamente esercitato dovrebbe riconoscerli come suoi già dall’amabile ordine in cui sono disposte le note; ascoltandoli, poi, non c’è da sbagliare. Tutt’al più si potrebbe avere qualche dubbio a proposito di uno Scherzo 3 che possiede un carattere orchestrale e che sarebbe anche stato adatto come parte centrale di una Sonata; è molto semplice, severo e caratteristico. Una Pensée fugitive,4 di carattere quasi weberiano, è più vivacemente efficace, e avremmo preferito che fosse più ampiamente elaborata fino a poter diventare il movimento conclusivo di una Sonata. Una piccola Romanza 5 in si t minore mi ricorda, nel suo tono sommessa­ mente lamentevole, un altro analogo pezzo di Henselt, e con questi pezzi egli si rivela compositore assai pericoloso per i cuori femminili. Dei due Notturni 6 io definirei tale solo il primo, che il compositore ha intitolato La Fontaine (un titolo che non mi sembra molto adatto); come pezzo di musica in quanto tale è molto affascinante. Il primo, Dolore nella buona sorte, lo ricordo ancora eseguito dal compositore stesso; lascia un’impressione mista, di oscillazione fra gioia e dolore, senza propendere nettamente né per l’una né per l’altro. II compositore ha provato personalmente

3 Opera 9. 4 Opera 8. 5 Opera IO. 6 Opera 6.

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tale sensazione, almeno così si dice nella frase francese posta come motto. Un’ultima domanda: in tedesco vi sono molti detti sull’a­ more; perché scegliere una frase francese così povera di spirito? Sterndale Bennett ha profondamente dilettato il nostro animo con Three Diversions 7 per pianoforte a 4 mani. Anche questi pezzi sono forme piccole, ma quale finezza nei particolari, e quale grande arte nella forma complessiva! L’artista più elevato si distin­ gue dal mediocre proprio per la cura e per l’amore che egli dedica anche ai suoi lavori più piccoli, mentre l’altro li butta giù in modo negligente, pensando che la cosa non meriti di meglio e sfornan­ doli senza troppa cura. In effetti, oltre a Mendelssohn, io non conosco nessun compositore vivente che con mezzi così ristretti sappia esprimere così tante cose, che sappia strutturare e levigare così bene un pezzo, in una parola: che sia in grado di scrivere dei pezzi come questi Diversions. Vi sono molte cose ardite e geniali, poche delicate e graziose. Su questi pezzi, che potrebbero delude­ re solo le persone più rozze, è effusa una grande amabilità, anche i movimenti più semplici sono pervasi dall’eleganza più aggraziata, ovunque regnano poesia e innocenza. Sembra proprio che questo magnifico e strano fiore straniero sia nella sua fase di più olezzante fioritura: affrettiamoci a contemplarlo. I paesi stranieri ci danno di solito così poco: l’Italia sembra offrirci nient’altro che pulviscolo di farfalle, mentre gli aspri eccessi del pur meraviglioso Berlioz ci spaventano; questo inglese è invece degno, fra tutti gli stranieri, della partecipe attenzione dei tedeschi, è un artista nato, e la stessa Germa­ nia può vantare pochi artisti come lui. Per tornare alla sue composi­ zioni ci dispiace solo che per goderle siano necessarie altre due mani. Forse questi pezzi potrebbero anche essere opportunamente ri­ scritti per due sole mani; è probabile, anzi, che il primo sia stato scritto in questa forma e solo in seguito arrangiata a quattro mani. L’opera 16 di Bennett è strutturata in modo assai più ampio e appartiene alla categoria delle opere presentate in questa piccola rassegna solo a causa del suo titolo. Essa si suddivide, come una Sonata, in quattro lunghi movimenti, pienamente sviluppati e fra loro irrelati. Ma l’ultimo movimento non conclude veramente, come se l’avesse scritto prima degli altri. A lode della Fantasia dobbiamo ripetere ciò che già abbiamo detto a proposito dell’ope-

7 Opera 17.

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ra 17, anche se la Fantasia, a causa dell’impianto formale più ampio, si muove ovviamente su un altro piano, assai più complica­ to, più difficile e più ambizioso. Essa è ricolma di belle melodie e sembra di sentire un continuo canto di usignoli proveniente da un cespuglio. Anche nei collegamenti armonici, tipici di Bennett, si indovina il poeta. Il carattere è, nei primi tre movimenti, prevalen­ temente lirico, mentre l’ultimo si distingue per una maggiore drammaticità ed eccita al massimo la fantasia: musicista, pittore e poeta vi troveranno molte cose. Una simile rappresentazione potrà essere tentata solo da veri artisti: i dilettanti, o almeno la maggior parte di essi, incontrerebbero grandi difficoltà. Fra le nuove composizioni di Chopin dobbiamo ricordare, oltre ad un fascicolo di Mazurke e a tre Valzer, una strana raccolta di Preludi. Egli si manifesta in modo sempre più chiaro e più facile (o forse ci stiamo abituando al suo stile?). Così le Mazurke,8 che ci sembrano più popolari delle precedenti, piaceranno subito; ma più che altro dovranno piacere i tre Valzer,9 di ben altra tempra rispetto ai soliti, e sono tali che potevano venire in mente solo a uno Chopin: sembra quasi che egli, da grande artista, guardi verso la folla danzante trasportata proprio dal suono del suo pianoforte e pensi a tutt’altro da quello che lì si danza. In essi scorre una così fluente vitalità che sembra veramente che siano stati improvvisati nel salone da ballo. Prima ho definito strani i Preludi. 10 Confesso che li immaginavo assai diversi, condotti, come i suoi Studi, in uno stile grandioso. E invece quasi il contrario: sono schizzi, princìpi di Studi, o, se si vuole, rovine, singole penne d’aquila, tutto disposto in modo selvaggio e alla rinfusa. Ma in ciascuno dei pezzi sta scritto, quasi in un raffinato ricamo di perle: “Lo scrisse Federico Chopin”; lo si riconosce nelle pause e nel respiro violento e appassionato. Egli è e rimane lo spirito più ardito e più fieramente altero del nostro tempo. Questo fascicolo comprende anche qual­ cosa di malato, di febbricitante e di repulsivo; cerchi dunque ciascuno ciò che gli potrà giovare, e solo il filisteo ne rimanga lontano. Che cos’è un filisteo?

8 Opera 33. 9 Opera 34. 10 Opera 28.

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Ein hohler Darm Von Furchtund Hoffnung ausgefullt, Dass Gott erbarml

[Un intestino vuoto Pieno di timore e di speranza, Che Dio abbia pietà!] Terminiamo piuttosto trovando consolazione nel bel distico di Schiller:

Jenes Gesetz, das mit ehernem Stab den Stràubenden lenket, Dir nicht gilt’s. Was du tust, was dir gefallt, ist Gesetz. [La legge che con una verga di bronzo guida chi le resiste Non vale per te. Ciò che fai, ciò che ti piace è legge.]

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72. OU VERTURES DA CONCERTO PER ORCHESTRA

J. J. H. Verhulst - W. Sterndale Bennett - H. Berlioz

Il caso ha voluto allineare questi tre nomi, i nomi dei rappre­ sentanti di tre diverse nazioni (o quantomeno delle rispettive giovani generazioni): l’olandese, l’inglese e la francese. 11 nome dell’ultimo è noto, il secondo sta cominciando a farsi valere, e anche il primo comincia a non esserci più estraneo essendo abba­ stanza spesso citato, soprattutto sulla nostra rivista. Guardiamoli un po’ tutti insieme: noi crediamo che col tempo essi guadagne­ ranno un posto significativo nella storia della musica dei rispettivi paesi. Purtroppo non ho potuto ascoltare eseguite dall’orchestra le Ouvertures in questione. Per esprimere un giudizio in proposito può però venirmi in aiuto la conoscenza abbastanza precisa di quasi tutte le altre loro opere e delle personalità dei compositori stessi, quantomeno dei primi due. Ogni anno Berlioz promette di venire in Germania per farci conoscere meglio la propria musica; nel frattempo egli ci ha inviato una nuova Ouverture, che dà nuova testimonianza della sua impostazione artistica notevolmen­ te originale. L’Olanda, finora celebre solo per i suoi pittori, si è negli ultimi tempi distinta anche per una viva sensibilità musicale. È molto probabile che un notevole influsso in tal senso abbia esercitato la Società per la promozione dell’arte musicale, la quale si diffonde capil­ larmente in tutto il paese ponendosi come scopo la promozione tanto della musica tedesca quanto di quella olandese. Il composi­ tore di cui parliamo è molto stimato da quella società; se non sbaglio, egli è anche stato premiato in vari concorsi di composizio­ ne. Al momento egli vive fra di noi, e nell’ultimo inverno si è fatto un certo nome anche come direttore dirigendo i concerti della

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società Euterpe. A quella società olandese dobbiamo anche l’edi­ zione di alcune (imposizioni di Verhulst; un pezzo sacro e un’Ouverture sono già stati citati sulla rivista, segnalati quali lavori di un talento sicuramente felice. Abbiamo ora di fronte a noi una nuova Ouverture; 1 essa è stata scritta per la nota tragedia olandese Gysbrecht von Amstel, per cui Verhulst ha composto anche gli Entractes. Questa Ouverture, già più volte ascoltata a Lipsia, è molto piaciuta ed in effetti merita; è Un’Ouverture per tutti, per il pubblico, per il musicista, per il critico, tenendosi su quel piano di cólta validità generale che il pubblico accoglie con ammirazione e l’artista con partecipe interesse. Finora uno spirito benigno ha tenuto lontano il compositore dagli scogli che spesso si pongono d’ostacolo agli altri giovani artisti, dalle tentazioni e dai traviamen­ ti; egli conosce bene la propria strada e non osa nulla del cui buon esito non sia certo. La consapevolezza della misura delle proprie forze (già peraltro assai sviluppate) e inoltre una notevole vivacità e serenità segnalano questo singolare olandese per una personali­ tà assai interessante, giudicando sulla base delle sue creazioni musicali. Sul piano più specificamente musicale, poi, si nota in lui l’innato senso della strumentazione, quell’istinto che non deve più scegliere fra due cose, ma già in partenza indovina la cosa giusta; egli si trova soprattutto a suo agio nelle masse, che egli sa bene muovere e ordinare, ma ha un occhio attento anche al dettaglio; egli non mira a ottenere effetti nuovi e insoliti: con buoni modelli di fronte a sé egli lavora sempre su effetti già noti, unanimemente riconosciuti come validi e sempre piacevoli. L’Ouverture è peral­ tro già vecchia di alcuni anni e non può perciò essere considerata come l’ultimo risultato del suo impegno compositivo. I talenti del suo genere, in effetti, non procedono troppo rapidamente, ma proprio perciò con passi tanto più sicuri; l’assiduo impegno, l’osservazione, l’approfondito studio dei Maestri e il pubblico incoraggiamento aiutano comunque a proseguire, e non v’è per­ ciò alcun dubbio che il giovane albero offrirà di anno in anno frutti sempre più maturi e ricchi; già le sue radici affondano nella terra tedesca, e perciò presto egli spingerà anche i propri rami fioriti in direzione del paese che ha dato forza e nutrimento a tanti grandi musicisti, e come nell’arte poetica noi consideriamo “nostri” poeti 1 [R.S.] Ouverture en Vt Mineur à grand Orchestre etc., publiée par la Société des Pays-Bas pour Fencouragement de Part musical.

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stranieri come Oehlenschlàger, Chamisso e altri, presto potremo salutare lui quale membro onorario della confraternita artistica tedesca, augurandoci che questa possa sempre più accrescere il numero dei propri componenti. Anche Bennett fa parte di questa ideale associazione, ma in partenza egli se ne distingue per il fatto di essere inglese; e perciò, come noi reclamiamo dall’Inghilterra Hàndel, per esempio, come uno dei nostri, così un giorno gli inglesi potrebbero reclamare Bennett come un loro figlio esclusivo, - col che peraltro non si vuole certo fare un confronto tra Hàndel e Bennett. La più recente Ouverture di Bennett reca come titolo Le ninfe del bosco,2 e questa mi sembra l’unica cosa infelice di questa composizione. So che non ce niente di più fastidioso per un compositore che sentirsi critica­ re per la scelta del nome di una propria creatura, in quanto egli è convinto di sapere meglio di chiunque altro che cosa voleva: si potrebbe dunque immaginare, basandosi anche sul fatto che egli in precedenza aveva scritto Un’Ouverture dal titolo Le Najadi, che egli con Le ninfe del bosco abbia inteso scrivere un pezzo idealmente collegato all’altro precedente; il che non toglie, però, che il titolo sia poco bello e non vantaggioso per l’opera. E senz’altro poetica l’idea di individuare un’atmosfera di fondo indicando solo un singolo essere ad essa imparentato, così come ad esempio il mille­ nario romanticismo della vita subacquea emerge di fronte a noi nella Melusina di Mendelssohn; ma in questo specifico caso la scelta è fuori luogo, ed io avrei senz’altro preferito un titolo più generico come Ouverture pastorale o qualcosa di simile. A parte questo problema secondario (che però, come già detto, nuoce all’efficacia complessiva), questa Ouverture si eleva molto al di sopra di altre sue sorelle per la costruzione assai agile e delicata, per l’aria poetica viva, chiara e purissima che in essa spira. Di solito la versione pianistica consente solo un giudizio parziale, ma così non è in questo caso. Bennett è un eccellente pianista, sa trattare il pianoforte con abilità e con grande raffinatezza e anche nelle sue composizioni orchestrali si vede che quello è il suo strumento preferito; inoltre la bellezza è efficace anche in forma ridotta, e una bella idea è bella anche sulla bocca di un bambino. L’Ouverture è assai affascinante; in effetti non saprei indicare 2 [R.S.] Ouverture per grande orchestra, trascritta per pianoforte a quattro mani da W.St. B., opera 20.

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un altro compositore, a parte Spohr e Mendelssohn, che sappia maneggiare il pennello come Bennett sul piano dell’amabilità e della delicatezza delle tinte. E anche il fatto che egli abbia ripreso non poche cose appunto da quei due Maestri si dimentica volentie­ ri in grazia della maestria complessiva, e peraltro mi sembra che mai prima d’ora egli abbia espresso se stesso così autenticamente come in quest’opera. Guardate battuta per battuta quale delicato e saldo ordito dall’inizio sino alla fine! Qui non troviamo i buchi larghi una spanna che tanto spesso si vedono nelle opere di altri: tutto è invece strettamente e profondamente connesso! Va detto che a quest’ouverture è stata rimproverata un’eccessiva lunghez­ za, e ciò vale più o meno per tutte le composizioni di Bennett: questo è il suo stile, egli vuole elaborare tutto fin nel minimo dettaglio. Inoltre egli ripete spesso le stesse cose, e le riprese sono praticamente identiche all’esposizione. Ma provate un po’ a cam­ biare senza nuocere: non ci riuscirete; egli non è uno scolaro, a cui si può venire in aiuto con dei suggerimenti: ciò che egli ha pensato è ormai definitivo e immutabile. Mettere in campo grandi macchine e forze potenti è totalmen­ te estraneo al carattere poetico di Bennett, ingenuo e sincero, e alla sua conseguente impostazione artistica: ostentazione e sfarzo non gli appartengono per nulla; là dov’egli ama indugiare con la propria fantasia, sulla solitaria riva di un lago o in un verde bosco nascosto, non c’è bisogno di tromboni e timpani per descrivere la sua solitaria felicità. Prendetelo dunque così com’è, non per quello che egli non vuole assolutamente essere: non, dunque, per un fondatore di una nuova epoca o per un indomabile eroe, ma per un poeta puro e sincero, che prosegue tranquillo la propria strada senza curarsi del fatto che due persone in più o in meno si siano tolte il cappello davanti a lui, una strada alla fine della quale lo aspetta, se non un carro trionfale, quantomeno una corona di viole quale vogliono essere queste righe dedicategli con gratitudine da Eusebio. Altre corone cerca invece Berlioz, questo furioso baccante, terrore dei Filistei, ai quali appare come un mostro villoso dagli occhi famelici. Ma dove lo vediamo oggi? Davanti ad un camino scoppiettante, in una signorile casa scozzese, fra cacciatori, cani e ridenti damigelle di campagna. Ho davanti a me un?Ouverture per... Waverley,3 quel romanzo di W. Scott che nella sua noia 3 [R.S] Gr. Ouverture de Waverley etc. op. 1. Partition. III.

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affascinante, nella sua freschezza romantica e nella sua schietta impronta inglese mi è pur sempre il più caro fra tutti i più recenti romanzi stranieri. Per questo romanzo, dunque, Berlioz ha scritto una musica. Si domanderà: per quale capitolo, per quale scena, perché, a quale scopo? Perché i critici vorrebbero sempre sapere ciò che i compositori stessi non sanno dire loro e per di più spesso non capiscono nemmeno la decima parte di ciò che discutono. Cielo!, quando verrà dunque il tempo in cui la smetteranno di chiederci che cosa abbiamo voluto dire con le nostre divine com­ posizioni?; cercate le quinte e lasciateci in pace! Per intanto stavol­ ta qualche chiarimento ci può venire dal motto sul frontespizio delFOuverture:

Dreams of love and Lady's charms Give place to honour and to arms.

Questo conduce già più vicino alla traccia; ma in questo mo­ mento vorrei soltanto che un’orchestra intonasse l’Ouverture e che tutti i miei lettori sedessero intorno per vedere tutto coi propri occhi. Sarebbe facile per me descrivere l’Ouverture sia riprodu­ cendo poeticamente le immagini che essa ha in vario modo stimo­ lato in me, sia mediante l’analisi dei meccanismi dell’opera. Ambe­ due i metodi di spiegazione della musica hanno qualche vantag­ gio: il primo se non altro ha dalla sua l’assenza di aridità, nella quale il secondo rischia invece, bene o male, di cadere. In poche parole, la musica di Berlioz dev’essere ascoltata', la stessa lettura della partitura non basta, e così pure ci si affaticherebbe invano a farsene un’idea al pianoforte. Spesso vi sono infatti solo effetti particolari di suoni più o meno determinati,4 grumi accordali buttati giù in modo strano, che anche l’orecchio esercitato non è in grado di rappresentarsi chiaramente leggendo semplicemente le note sulla pagina. Se andiamo alla radice delle singole idee esse appaiono, considerate in se stesse, spesso banali, addirittura vol­ gari. Ma l’opera nel suo complesso esercita su di me un fascino irresistibile, nonostante le molte cose inconsuete che possono offendere un orecchio tedesco. Berlioz si è mostrato diverso in ogni sua opera, in ognuna di esse ha tentato un campo diverso:

4 Nel testo: Schall- und Klangwirkungen (v. nota 16 a pag. 229). [G.T.]

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non si sa se definirlo un genio o un avventuriero musicale: egli splende come un fulmine, ma lascia dietro di sé una puzza di zolfo, traccia grandi frasi e verità e subito dopo cade in balbettìi da scolaro. A chi non sia andato oltre i primi inizi della cultura e della sensibilità musicale (e i più sono appunto in questa condizione) egli deve sembrare addirittura un pazzo, e specialmente ai musici­ sti di professione, che per nove decimi della loro vita si muovono in mezzo alle cose più comuni,5 a costoro egli apparirà come doppia­ mente pazzo, in quanto egli pretende da loro cose che nessuno aveva richiesto prima di lui. Da ciò la resistenza alle sue composi­ zioni, da ciò gli anni necessari a che una di esse giunga alla chiarezza di un’esecuzione perfetta. L’Ouverture per Waverley si farà però strada più facilmente. Waverley e la figura dell’eroe sono noti; il motto in particolare parla dei “sogni d’amore a cui la gloria delle armi ha fatto posto”. Che cosa può esserci di più chiaro? È auspicabile che l’Ouverture venga stampata ed eseguita in Germa­ nia; la sua musica potrebbe nuocere solo ad un talento debole, che però non potrebbe essere fatto progredire nemmeno con una musica migliore. Osservo infine che, cosa assai strana, questa Ouverture ha qualche lontana somiglianza con la Meeresstille di Mendelssohn, come pure non è da trascurare la nota posta da Berlioz sul frontespizio di questa Ouverture designata come “ope­ ra 1”: che egli ha distrutto la propria opera 1 pubblicata preceden­ temente (otto scene dal Faust) e desidera sia invece considerata come sua opera prima l’Ouverture per Waverley. Ma chi ci garanti­ sce che egli non cambi idea anche a proposito della sua seconda “opera 1”? Affrettatevi perciò a conoscere quest’opera che, nono­ stante tutte le debolezze giovanili, è per grandezza e originalità d’invenzione la cosa più notevole che recentemente ci abbia dato la Francia nel campo della musica strumentale.

5 [R.S.] Spesso ho dovuto constatare che fra i musicisti di mestiere si trova la più grande ristrettezza di spirito; d’altra parte non manca loro una certa abilità.

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13. NUOVE SINFONIE PER ORCHESTRA

G. Preyer - C. G. Reissiger - F. Lachner

Quando il tedesco parla di Sinfonie parla di Beethoven: i due nomi sono per lui sinonimi e inseparabili, sono la sua gioia e il suo orgoglio. Come l’Italia ha la sua Napoli, il francese la sua rivoluzio­ ne, l’inglese i suoi viaggi per mare, ecc., così il tedesco ha le sue Sinfonie beethoveniane; con Beethoven egli dimentica l’assenza di una grande scuola pittorica, con lui ha idealmente rivinto le battaglie perse contro Napoleone; giunge a paragonarlo perfino a Shakespeare. E visto che le creazioni di questo Maestro sono parte inestricabile della nostra più profonda essenza e che alcune delle sue opere sinfoniche sono addirittura divenute popolari, ci si aspetterebbe che esse abbiano lasciato profonde tracce riscontra­ bili in primo luogo nelle opere dello stesso genere del periodo immediatamente successivo. Ma non è così. Echi se ne trovano certo (ma, fatto strano, solo-echi delle prime Sinfonie di Beetho­ ven, quasi che ognuna di esse richiedesse un certo tempo prima di poter essere compresa ed imitata), anzi: fin troppi echi e fin troppo forti; troppo di rado, invece, a parte isolate eccezioni, troviamo dominata o trattata in modo adeguato la grande forma, là dove le idee appaiono a getto continuo e pure unite da un unico filo spirituale interiore. Le più recenti Sinfonie si appiattiscono per lo più nello stile da ouverture, i primi movimenti in particolare; i movimenti lenti sono lì solo perché non possono non esserci; gli Scherzi sono tali solo nel nome; gli ultimi movimenti non sanno più che cosa contenevano i primi. Si è parlato di Berlioz come di un fenomeno. Ma in Germania di lui si sa poco più di nulla; le voci che ci sono giunte su di lui sembrano anzi spaventare i tedeschi, e quindi ci vorrà ancora parecchio tempo prima di poterlo conosce­ re in modo approfondito. Certo egli però non avrà lavorato

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invano: tali fenomeni non vengono mai soli. Il prossimo futuro ce ne darà presto una dimostrazione. Ci sarebbe ancora da citare Franz Schubert; ma le sue opere nel genere sinfonico non sono ancora di dominio pubblico. Una significativa indicazione circa l’attuale stato dei talenti ci è stata data dal recente concorso di Vienna. Si dica ciò che si vuole: i premi possono solo far bene, mai nuocere, 1 e si conoscono male gli stimoli creativi se si pensa che essi non vengano incrementati dagli incoraggiamenti esterni, anche i più venali. Se qualcuno, quando Mozart, Haydn e Beetho­ ven erano ancora in vita, avesse ad esempio offerto un premio per una Sinfonia, magari consistente in un preziosissimo diamante, come quelli che si trovano nei tesori imperiali e regi, scommetto che quei Maestri si sarebbero impegnati al massimo. Certo, però, chi sarebbe stato il giudice? Basta! Il risultato di quel concorso è noto, e se anche si dice che il compositore che ha vinto aveva il premio già bell’e in tasca prima ancora di iniziare la propria Sinfonia (ma in segreto questo è ciò di cui è convinto ogni concor­ rente), dobbiamo comunque riconoscere col senno di poi, dopo aver cioè ascoltato molte delle altre opere inviate, che Lachner meritava in effetti il premio, e ne sono un’ulteriore prova due delle Sinfonie di cui parleremo oggi, e che pure si erano presentate a Vienna. Il fatto che di una di queste Sinfonie, quella di C. G. Preyer, sia già stata pubblicata la partitura completa è cosa che fa subito una bella impressione. Il compositore, un viennese, ha già raggiunto una certa fama nella propria città con alcuni Lieder divenuti assai popolari; Vienna assomiglia in ciò ad altre grandi città, dove basta indovinare un’opera in questo piccolo genere per essere subito considerati dei grandi compositori: chi più vende è il primo. È così successo che una casa editrice ha deciso di pubblicare la partitura, quel tipo di costoso e rischioso fondo di magazzino che di solito gli editori non vorrebbero nemmeno in regalo. E così abbiamo da­ vanti a noi una partitura stampata in modo chiaro e corretto. Bastano poche pagine per riconoscere un giovane composito­ re di idee avanzate, che dapprima si trova un po’ a disagio in una forma impegnativa e per lui inusuale ma che via via guadagna in sicurezza e in coraggio. Il suo impegno va doppiamente apprezza-

1 Cfr. art. 28. [M.K.]

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to in quanto egli vive in una città in cui mediamente si incoraggia poco la solidità, la serietà, addirittura la profondità, in cui in generale per esaltare o demolire una composizione ci si basa molto sulla prima impressione, e dove il giudizio si limita per lo più a: “Mi è piaciuto” o “Non mi è piaciuto”; così ad esempio avvenne dopo l’esecuzione del Cristo sul Monte degli Olivi, dopo quella del Fidelio: “Non mi è piaciuto”, e con ciò la questione era conclusa. Questa Sinfonia, invece, eseguita varie volte a Vienna, è piaciuta, anzi ha fatto una grande impressione per la dotta elaborazione che in essa si mostra frequentemente. Il compositore ci comprenderà se conosce qualcosa di più di questo solo numero della nostra rivista, se sa da quali premesse essa nasce, quali sono i Maestri che essa considera come i modelli supremi, che cosa essa pretenda in particolare da una Sinfonia, e come in breve noi siamo avari di lodi, dato che qui siamo fra musicisti. Proprio quell’ansia di “elabo­ rare” dimostra in realtà che siamo di fronte ad un primo tentativo, e spesso gli onesti principianti finiscono per offrirci cose fin troppo buone. Come se fosse essenziale spremere il contrappunto fino alFultima goccia siamo continuamente minacciati da lontano da vaghi accenni di fuga (soprattutto nei ronzanti violini), ci vengono offerti temi a piene mani, tre, quattro e più l’uno sull’altro, che noi dovremmo seguire singolarmente, e infine notiamo come il com­ positore sia contento di essere giunto alla ripresa senza troppi incidenti. Chi scrive conosce bene tutto ciò: per esperienza pro­ pria. Non voglio rimproverare al compositore il suo zelo: ma passaggi come quello a pagg. 18-22 sono veri labirinti, grovigli di fili di cui è diffìcile trovare il capo. E infine, quale effetto produce tutto ciò? Certo, anche Mozart “elaborava”, e anche Beethoven, ma con quale materia di base, in quali punti, per quali motivi! E tutto come fosse uno scherzo, un gioco! Anch’essi, certo, dovevano fare i loro esperimenti, ma non hanno mai scritto solo per l’occhio e per la carta. Talvolta vorrei che un giovane compositore ci offrisse una bella Sinfonia facile, allegra, in tonalità maggiore, senza tromboni e corni raddoppiati; ma in realtà è ancora più difficile, perché solo chi sa dominare le masse può giocare con esse. Non si pensi che quello che s’è appena detto voglia significare che noi siamo contrari all’“elaborazione”, soprattutto la più pro­ fonda; anzi: esattamente il contrario; solo che non ci interessa in quanto fine a se stessa, quel tipo di elaborazione in cui si deve dipanare la matassa filo per filo. Ciò che diceva Gluck, di non 677

scrivere nulla che non facesse effetto, è un’affermazione che, presa nel senso giusto, può valere come regola aurea, il vero segreto del Maestro. Se dunque seguiamo il nostro compositore fin nell’intimo delle sue idee, egli si rivela nella sua Sinfonia (a parte quella smania di elaborare) come un carattere aperto, franco e di buona prepara­ zione; egli si dà tutto per come è: non tace la banalità se gliene viene in mente una, né cerca di mascherarla; cerca inoltre di piacere ai propri compatrioti senza con ciò cadere totalmente nello stile italiano. Nel primo movimento, all’inizio, sembra non essersi ancora ben accomodato; tira di qua e di là ma non riesce ad uscire dalla tonalità di partenza; ma poi gradualmente il movi­ mento assume quella chiara e limpida sonorità che più si adatta alla naturale indole melodica del compositore: a parte la lotta fra i tre temi e la smania del compositore stesso di produrre qualcosa di serioso a tutti i costi. L’Adagio è semplicemente la prosecuzione dell’atmosfera iniziale, ha un carattere pacifico e possiede il note­ vole pregio di essere breve, il che dovrebbe essere buona regola di tutti i movimenti, regola che raramente vediamo rispettata dai giovani compositori di Sinfonie. Lo Scherzo mi sembra il movimento più riuscito dell’opera, la reminiscenza AeWEroica di Beethoven non disturba, e in particolare il Trio alla fine della prima parte è assai bello con quell’elegante e soave modulazione in do maggiore. L’ultimo movimento, infine, è il più agile: in esso le idee si intrec­ ciano e si sciolgono con rapidità e leggerezza. Nel tema riconoscia­ mo il viennese; l’intreccio col secondo tema è poi abbastanza piacevole. Spesso incontriamo le solite rosalie, e sinceramente avremmo preferito che fossero un po’ di meno. Di nuovi effetti strumentali questa Sinfonia non offre alcun esempio; ma la combi­ nazione delle masse è realizzata con abilità, e le parti obbligate sono adatte al carattere degli strumenti. L’armonia è abbastanza energica e pulita. Invitiamo comunque il compositore a prosegui­ re con coraggio: “Il cielo non scende da noi; siamo noi che dobbiamo arrampicarci fino a lui.” Sulla Sinfonia di Reissiger, la sua prima,2 anch’essa presentata al concorso di Vienna, si può dir poco che ognuno di noi non abbia già detto a proposito di questo compositore; è un lavoro assoluta­

2 [R.S.] Prima Sinfonia, trascritta per pianoforte a 4 mani op. 120.

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mente chiaro e accattivante, come tutte le altre sue opere, ed è costruita secondo una forma tanto modesta e. graziosa che si vorrebbe quasi definirla una Sonata per orchestra. Nel primo movimento troviamo, dopo una breve introduzione nel tradizio­ nale stile patetico, uno di quei tipici temi affidati ai violini in rapide figure (tanto frequenti in Spohr), poi un leggero tema cantabile, nella sezione centrale un breve fugato a cui segue la ripetizione della prima parte con poche differenze. Nell’Adagio vediamo l’amabile compositore di Lieder, che sa lavorar bene soprattutto con gli strumenti a fiato; è un movimento che nasce direttamente dalla sua indole naturale e ci sembra il migliore della Sinfonia. Lo Scherzo si mantiene più o meno sulla stessa linea del movimento precedente per quanto riguarda l’aspetto inventivo e l’elaborazio­ ne; segue poi un vivace Finale in 2/4. Si pensi poi alla tonalità di miV maggiore, ottima per l’orchestra, ad una strumentazione abile e piacevole quale ci si può attendere da un esperto Kapellmeister e si avrà un’immagine abbastanza precisa della Sinfonia. Per parte mia mi disturbano solo le frequenti e troppo dichiarate reminiscenze, spesso di idee secondarie: sono tali e tante che se si iniziasse ad eliminarle non resterebbe più di metà della Sinfonia. Alla prima pagina, ad esempio, incontriamo subito Beethoven (batt. 12), nell’Allegro subito Spohr (fino a batt. 9), e poco dopo anche Mendelssohn; attraverso quest’ultimo R. giunge poi ad una notis­ sima Fuga di Bach, il cui tema costituisce uno dei pilastri della Sinfonia', nell’Adagio mancano echi diretti; nello Scherzo, invece, incontriamo di nuovo tanto Beethoven quanto Spohr e in modo tale da non sfuggire anche a chi è un conoscitore superficiale del repertorio sinfonico: il primo nella seconda parte, il secondo nel Trio, che imita uno degli effetti strumentali più efficaci frequente­ mente utilizzati da Spohr. Parimenti nel Finale viene in mente Mozart per quelle entrate alla seconda e più avanti addirittura la vecchia Marcia di Dessau-, qui però il compositore ha la meglio sugli influssi esterni e prendiamo perciò congedo da lui come da un uomo cólto e di grande esperienza che ci ha intrattenuto assai piacevolmente per un po’, a cui dobbiamo far notare che non tutto ciò che egli ci ha offerto era di sua esclusiva proprietà, ma la cui piacevole personalità finisce per avere il sopravvento, sicché noi ci ricorderemo volentieri di lui, sperando di incontrarlo ancora spesso in futuro. Al pianoforte la Sinfonia suona bene e si legge con facilità. 679

A parte una piccola Sinfonia di Ed. Raymond,3 un’opera non pretenziosa ma anche purtroppo assai povera sul piano inventivo e che non farà certo grande scalpore, abbiamo di fronte a noi una nuova Sinfonia di Lachner, la sua sesta,4 che a nostro parere vale assai più della sua Sinfonia premiata. Anche di questo compositore abbiamo spesso avuto occasione di parlare sulle pagine di questa rivista, per cui potremo essere brevi. Ciò che stavolta ci fa provare un senso di vera stima nei confronti di Lachner è il visibile sforzo di andare oltre le sue precedenti produzioni nel modo migliore, la virile serietà con cui egli si accinge all’impegnativo compito di offrire un ampio quadro sinfonico e infine la gioia e l’amore con cui egli lavora. Poiché Lachner è, fra tutti i compositori della Germania del sud, sicuramente il più dotato sul piano del talento e della cultura, tale suo instancabile sforzo di procedere e di miglio­ rare merita un doppio apprezzamento, tanto più su queste pagi­ ne, che sempre l’hanno giudicato con la più rigorosa severità proprio in quanto riconoscevamo le sue alte doti ed eravamo perciò animati dalle migliori intenzioni, al contrario di quelle riviste della Germania del Sud (si vede che là credono che i Maestri possano nascere sugli alberi) che con le loro eccessive lodi rischia­ no di farlo diventare pigro e vanitoso. A che serve dirci che siamo dei grandi uomini, metterci su un piedistallo, quando sappiamo benissimo che non possiamo restare su quel piedistallo senza coloro che lì ci hanno messi? Quanti hanno già dovuto amaramen­ te scontare il fatto di essersi lasciati lodare eccessivamente e troppo presto! La lode è utile solo a colui che sa apprezzare la critica, colui, cioè, che non se ne adonta, ma anzi procede nei propri studi, non si chiude egoisticamente in se stesso e mantiene invece vivo il senso della maestria altrui: costui rimarrà a lungo giovane e pieno di forze; e una tale tempra d’artista ci sembra appunto di riconoscere in Lachner, e a lui possiamo oggi dichiarare tutta la nostra stima, a lui che delle aspre critiche che ha dovuto sentire si è vendicato nel modo migliore, offrendoci cioè questa Sesia Sinfonia senz’altro superiore alla sua precedente premiata. In questa Sinfonia domi­ nano ovunque un ordine e una chiarezza magistrale, una grande facilità e una straordinaria piacevolezza sonora: è, in una parola,

3 [R.S.]Priwia Sinfonia, trascritta per pianoforte a 4 mani op. 17. 4 [R.S.] Sesta Sinfonia (in re maggiore) op. 56.

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un’opera tanto matura e compiuta che per essa possiamo tranquil­ lamente concedere al compositore un posto non troppo distante dal suo modello preferito, Franz Schubert, al quale è forse inferio­ re sul piano della ricchezza inventiva ma che quantomeno egua­ glia sul piano del talento per la strumentazione. Eseguita a Lipsia, questa Sinfonia non ha riscosso un successo clamoroso, ma il compositore può stare tranquillo: qui noi siamo avvezzi a Beetho­ ven, e ultimamente anche a Mendelssohn, e accanto a costoro essere stati accolti anche solo in modo favorevole e aver riscosso giudizi positivi non può senz’altro essere considerato disonorevo­ le, e bisogna poi tener conto del fatto che il pubblico, come il singolo individuo, ha i suoi giorni maledetti, infausti, giorni in cui non c’è niente che gli vada bene, niente che riesca a perforare la sua corazza se non forse i fulmini di Beethoven. Infine anche a proposito di questa Sinfonia si è tirato in ballo il solito vecchio rimprovero dell’eccessiva lunghezza; in effetti L. non sempre sa interrompersi al momento giusto, così come fanno invece gli uomini di spirito che sempre ci mandano a casa con una battuta a cui ripensare, così come spesso fa Beethoven, per cui il pubblico si chiede: “Che cosa voleva dire esattamente? Ma sicuramente ha ragione”; qualche volta varrebbe la pena che Lachner si lasciasse suggerire dal proprio spirito conclusioni di questo genere. Talvol­ ta bisogna impressionare il pubblico, altrimenti si adagia subito non appena lo si lascia tranquillo: ma se il compositore getta di tanto in tanto un sasso, o magari gli tira una pietra in testa, allora tutti si inchinano umili e timorosi e alla fine tributeranno un degno applauso. Così fa talvolta Beethoven; ma chiaramente non tutti possono fare altrettanto. Consigliamo comunque Lachner di an­ darsi a leggere Swift, Lord Byron, Jean Paul: potrà essergli utile, potrà imparare l’arte della concisione; egli deve imparare ad essere un po’ incosciente, non può ripetere troppo a lungo le sue belle idee, spremerle fino all’ultima goccia; bisogna invece mesco­ larne altre, nuove, sempre più belle e interessanti. Proprio come in Beethoven! E così torniamo sempre a questo divino Maestro, e oggi non sapremmo perciò che altro dire, se non invitare Lachner a procedere sul suo sentiero in direzione dell’ideale di una Sinfo­ nia moderna, le cui nuove norme, dopo la morte di Beethoven, è nostro compito stabilire. Auguriamoci dunque che la Sinfonia tedesca continui a vivere e possa nuovamente fiorire e prosperare.

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74. NORBERT BURGMÙLLER

Dopo la prematura morte di Franz Schubert non vi è stata una scomparsa più triste di quella di Burgmuller. Invece di decimare le schiere di mediocri che si trovano intorno a noi, il destino preferisce toglierci i condottieri della nostra arte. Se Franz Schu­ bert vide, ancora in vita, riconosciuto il proprio talento, Burgmul­ ler, invece, godette soltanto gli inizi di un riconoscimento pubbli­ co, fu conosciuto nell’ambito di una ristretta cerchia di persone e anche da costoro era considerato più un uomo “bizzarro” che un musicista. Ora è dunque nostro dovere quantomeno tributare al morto gli onori che non abbiamo potuto tributare a lui vivo, anche se in parte egli stesso è stato forse responsabile di ciò. In effetti di lui conosciamo poco: una Sinfonia, che abbiamo visto una sola volta ma il cui ricordo ci riempie ancora di piacere, un quaderno di Lieder di cui la rivista si è già occupata con una lusinghiera recensione, una Sonata, una Rapsodia e ancora un quaderno di Lieder, queste ultime tre opere apparse solo di recen­ te. Ma questo poco è sufficiente a farci compiangere profonda­ mente quella pienezza di forze che ora si è spezzata. Il suo talento ha tali luminosi pregi che solo un cieco potrebbe avere dei dubbi circa la sua reale consistenza; io credo che egli presto o tardi avrebbe costretto anche le masse a riconoscere il suo valore, la ricchezza delle sue melodie le avrebbe completamente conquista­ te, anche se forse non sarebbero state in grado di apprezzare pienamente l’elaborazione profondamente artistica delle parti. Nato, come Beethoven, sulle rive tedesche del Reno, è proba­ bile che egli abbia ben presto assimilato in sé qualcosa delle affascinanti regioni che circondano il fiume; può anche darsi che la vivace vita artistica della vicina Dusseldorf abbia esercitato una 683

certa influenza su di lui. Più tardi lo troviamo a Kassel. L’influsso di Spohr, con cui egli studiò in quella città, per quanto egli non l’abbia mai disconosciuto, ci appare però, nelle opere a noi note, solo come una debole eco; lo stato di allievo ha già ceduto all’auto­ noma affermazione di sé; Spohr stesso l’ha sicuramente congedato dalla sua scuola indirizzandolo in tal senso e, come si dice, dando­ gli buone speranze circa il suo futuro. Non possiamo, infine, non ricordare Hauptmann, il compositore altrettanto profondo quan­ to raffinato, presso cui parimenti egli studiò. Egli dimostra piena­ mente la propria autonoma forza in particolar modo nella Rapso­ dia} quest’opera conta solo sei pagine, ma l’impressione che mi ha lasciato la paragonerei quasi alla prima impressione che mi aveva fatto VErlkònig goethiano. Quale immagine magistrale: sembra pensata, abbozzata e compiuta in un solo momento; e con quale esiguità di mezzi, quale modesta perfezione! E pericoloso voler guardare la radice della fantasia di un musicista; ma a proposito delia Rapsodia io sono quasi certo che ci sia di mezzo qualcos’altro, che alla base della musica ci sia probabilmente un motivo partico­ lare, una poesia, un quadro, o un’esperienza vissuta. Forse un poeta che fosse anche esperto di musica potrebbe facilmente intuire quale sia stato tale motivo. Comunque sia, la Rapsodia sembra quasi un’apparizione da un altro mondo; non fidandoci degli occhi, la vediamo ancora a lungo intorno a noi quando già essa è sparita. La Sonata è un’opera’non meno eccellente. L’unico rimprove­ ro che un musicista esigente potrebbe muoverle sarebbe a propo­ sito della ripetizione del secondo tema nella seconda parte, che in questa Sonata si trova nel primo e nell’ultimo movimento: come è espressivo il canto, con altrettanto coraggio la fantasia avrebbe dovuto a questo punto aprirsi una nuova e più ardita via. È anche vero, però, che è più facile dare dei consigli che realizzarli. Per il resto in tutto il movimento spira una passione bella e vigorosa, un’emozione di cui peraltro l’artista si dimostra sempre piena­ mente padrone, sì che egli riesce a commuovere pur rimanendo del tutto calmo; io non so in che epoca sia stata scritta questa Sonata, ma potrei immaginare che sia stata composta nel periodo di passaggio dagli anni giovanili all’età matura, quando tanti sogni prendono commiato da noi per lasciare posto alla realtà. I movi­ menti successivi hanno lo stesso duplice carattere di rassegnazione e di coraggiosa vitalità, anche se non nego che, dopo un simile 684

primo movimento, nell’ultimo mi sarei aspettato qualcosa di com­ binato in modo più profondo. Ma a chi si accosta a lui con benevolo affetto basterà ciò che egli ha voluto donarci. Il quaderno di Lieder apparso più di recente non è certo inferiore al precedente quanto a ricchezza e a contenuto. I testi sono stati scelti con cura fra quelli i cui temi fossero imparentati con la natura emotivamente melanconica del compositore: Chi non ha mai mangiato il proprio pane con le lacrime (Goethe), Chiare ardono le stelle nell'azzurra oscurità (Stieglitz), Io vago qua e là, sordo e muto (Platen), Cuore ferito, cessa i tuoi lamenti (J. Schopenhauer), Cavalco nella terra oscura (Uhland). Qui troviamo tutto ciò che possiamo chiedere ad un Lied: concezione poetica, vivacità nei dettagli, rapporto equilibrato fra canto e strumento, e soprattutto scelta, discernimento e calda vitalità. Devo invece dichiararmi poco d’ac­ cordo con l’interpretazione musicale della poesia goethiana; la figura, che vuole alludere al suono di un arpista, mi sembra troppo esteriore, troppo casuale e finisce per sopraffare la delicata vitalità della poesia. In Franz Schubert questa figura ripetuta per tutto il Lied aveva un effetto di grande novità; ma i giovani compositori di Lieder devono astenersi da ogni manierismo. Gli altri Lieder sono però di più profonda ispirazione, e in particolare l’ultimo colpisce immediatamente: davvero è diffìcile immaginare una realizzazio­ ne più magistrale. Speriamo che l’editore, che è in possesso di molte altre compo­ sizioni di Burgmuller, voglia presto accingersi alla loro pubblica­ zione; non avrà certo da pentirsene. Gli editori mi sembrano spesso come dei pescatori: senza sapere che cosa porteranno loro la fortuna e il caso, essi gettano le loro reti, in cui resta impigliata gentaglia grande e piccola, finché il grosso peso, dato da un nuovo e raro ospite, non sembra promettere qualcosa di buono e allora il pescatore con grande gioia tira su dalle profondità un prezioso tesoro. Burgmuller è stato una di quelle pésche fortunate.

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75. STUDI PER PIANOFORTE

Rudolph Willmers, 6 Studi op. I B. E. Philipp, 12 Studi spezzi caratteristici (Songe et vérité) op. 28 J. Rosenhain, 12 Studi caratteristici op. 17 F. Kalkbrenner, 25 Grandi Studi op. 145, due fascicoli F. Liszt, 12 Studi op. 1 12 Grandi Studi, fascicoli 1 e 2 La rivista, fin dalla sua nascita, ha riservato una particolare attenzione allo Studio per pianoforte, in quanto è in tale genere compositivo che si mostrano per la prima volta i progressi dell’arte pianistica, anche se si tratta soprattutto di progressi tecnici; così, nel corso degli anni, abbiamo recensito circa 30 raccolte. Nella nostra ultima rassegna di Studi (del marzo scorso) avevamo espresso la speranza che, dopo un tale dispiegamento di energie attorno allo Studio, si arrivasse finalmente ad una lunga tregua. Ci sbagliavamo; “noire malheur, le void, nous avons trop d'esprit”, diceva recentemente un uomo della Camera dei Deputati francese, anche se lo diceva in senso politico; nel nostro campo suonerebbe: “La nostra sfortuna è che noi non sappiamo dove andare con la nostra bravura, e non possiamo quindi lasciarci sfuggire l’occasione di scrivere degli Studi.” Presentiamo al lettore una grande quantità di nuovi fascicoli tratteggiati in brevi silhouettes. Il compositore della prima raccolta in elenco è ben noto all’autore di questo articolo. Danese di nascita, ben presto attratto dalla musica, il giovane Willmers venne a Weimar per studiare con Hummel. Si sa come insegnava Hummel: solo di rado faceva suonare ai suoi allievi qualcosa di altri compositori. Contrario allo stile del nuovo pianismo e in particolare all’uso del pedale, che proprio negli ultimi tempi ha assunto - e a pieno diritto — una grande importanza, Hummel vietava addirittura di guardare cose nuove. Solo che, nel frattempo, fuori da Weimar era successo qualcosa: era nato Chopin e accanto a lui una schiera di importanti talenti. L’impulso verso il nuovo era già latente in tutta l’epoca; ma Chopin si impadronì immediatamente di tutti gli animi; i suoi

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Studi, quasi tutti opera di uno spirito straordinario, risuonarono ben presto in tutta la Germania e così continueranno a lungo, visto che sono molto avanti rispetto alla sensibilità comune; ma anche quando non sarà più così, continueranno ugualmente ad essere suonati, in quanto essi contengono delle cose veramente geniali, e queste avranno sempre una loro validità. E così questi Studi capitarono anche fra le mani del nostro giovane artista e, come le cose proibite sembrano il massimo della dolcezza, così egli si è gettato nel mondo fantastico del nuovo Maestro come fosse un mare di delizie. Presto, però, ritroviamo Willmers alla Scuola di Musica di Franz Schneider occuparsi di composizione come uno degli allievi più diligenti; con lui non c’erano pericoli: tutti deviano dalla retta via, ma deviazioni troppo lunghe erano impossibili per W. a causa della sua natura fondamentalmente salda e buona. Scriveva molto e con grande facilità, per lo più senza strumento, il che è sempre un segno sicuro di chiarezza interiore di vedute musicali. Così egli, in breve tempo, ultimò una raccolta di ben 20 Studi e mi domandò poi se li poteva far pubblicare. Io gli risposi che avrebbe dovuto aspettare ancora due anni e poi avrebbe deciso che cosa di quella raccolta gli piaceva ancora. I due anni sono quasi trascorsi, e in questo fascicolo di recente pubblicazione si trovano solo quattro di quei pezzi. Riconoscere le carenze e abbandonare senz’altro le cose malriuscite sono sempre segni di un limpido talento. E bastato fare un cenno al nostro giovane artista perché egli si decidesse ad accantonare le cose meno buone: la forza per difendere le cose riuscite, invece, ce l’aveva già da solo. Ho voluto parlare di questi particolari perché penso che possano tornare ad onore del nostro novizio; possa egli sempre conservarsi quella giusta modestia che protegge sia dallo scoraggiamento che dalla sopravvalutazione di sé. Per quanto poi riguarda la raccolta di cui abbiamo raccontato la nascita, bisogna dire che essa sarà in grado di guadagnarsi la lode degli intenditori sotto molti punti di vista. Considerando il fatto che il compositore è assai giovane questa raccolta va davvero definita un’opera straordinaria. In essa si manifestano, accanto ad una ricchezza armonica abbastanza considerevole e ad uno spi­ gliato dominio della forma, anche una continua ricerca stilistica in direzione dell’unità e della concentrazione delle idee. Peraltro egli, come è logico e come avviene in molti altri giovani composito­ ri, non è ancora in grado di dare qualcosa di veramente personale

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sul piano melodico: questa è una capacità che solo gli anni maturi portano con sé, e molto gradualmente; inoltre egli scrive in modo troppo complesso in rapporto al reale contenuto delle sue creazio­ ni. Dell’influsso di Chopin ho già parlato; in lui la difficoltà è solo un mezzo, e dove egli utilizza i passaggi più difficili ottiene anche un effetto corrispondente. Grandi mezzi, grande effetto, grande contenuto: quando queste tre cose coincidono vuol dire che l’arti­ sta non ha più bisogno del nostro consiglio; spesso in Chopin queste cose si trovano unite. Un diverso e più recente influsso è stato esercitato sul nostro compositore da Henselt; ne sono una riprova il 3° e il 6° Studio. Non crediamo che egli debba soffermarsi a lungo nell’ambito di questo genere compositivo; è come una specie di pittura di fiori: il talento più ricco di inventiva non può continuare a ripetersi in questo genere autocompiacendosi; prefe­ riamo gli originali alle copie, e abbiamo più volte espresso tale nostra predilezione; il giovane artista deve perciò liberarsi di questi modelli e abbandonare un campo in cui le ghirlande fiori­ scono solo per il primo che vi è arrivato. Va da sé, comunque, che egli dovrà curare con particolare impegno la maturazione della melodia insita in lui. Con affettuosa partecipazione abbiamo parla­ to di questo giovane eroe degli Studi; speriamo di incontrarlo presto su una strada più elevata: col suo talento egli dovrebbe poter creare opere sempre più degne di lode, anche nel campo della composizione orchestrale, e in tal senso gli concediamo in anticipo la nostra più sentita benedizione critica. Songe et vérité è il titolo della seconda raccolta di Studi in elenco, e si potrebbe tradurre Verità e poesia. L’origine di questo titolo principale va ricercata nei titoli dei singoli pezzi, che intendono rappresentare in parte stati psicologici e in parte scene della natura. Questo fascicolo comprende molte cose amabili, e l’editore ha voluto dargli una veste tipografica adeguata a tale caratteristica. Per quanto concerne i titoli, sarebbe stato meglio che il composito­ re si rivolgesse preventivamente al Sig. Rellstab di Berlino, il quale approva i titoli di Henselt ma non quelli degli altri, non si sa perché. 1 Noi la pensiamo in modo diverso, più semplicemente. Che cosa c’è di strano se, in compagnia di buoni amici, il composi-

1 Rellstab si era di recente espresso (sulla sua rivista Iris) in termini fortemente critici a proposito dei titoli delle Kinderszenen di Schumann. [M.K.]

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tore suona i suoi pezzi davanti a loro e ad un certo punto, quasi illuminato da un raggio di luce, esclama: “Non si potrebbe dare a questo o a quel pezzo un titolo adatto, in modo tale che poi l’opera stessa ne guadagni?” e il compositore, esultante, scrive a grandi lettere i titoli dei vari pezzi. Anche questi titoli non hanno proba­ bilmente un’origine più profonda: la musica c’era già prima del titolo e realizza in modo fuggevole ciò che il titolo preannuncia. Per quanto riguarda la parte puramente musicale dell’opera c’è da lodare e da criticare; da lodare la melodicità quasi sempre serena, quale si trova soprattutto nei pezzi intitolati Les Rivaux, L'Innocence, Le Troubadour; da criticare alcune cose della forma, che non sempre è levigata in modo sufficientemente chiaro e solido, e anche alcune modulazioni a tonalità lontane, spesso spiacevoli (così nel 1° da do maggiore a re maggiore, nel 5° da la minore a si minore, nel 12° da sol minore a sit minore). Il compositore ha tentato anche di dare ad alcuni pezzi un accenno di contrappunto, rivelando però in tal modo la mancanza di studi approfonditi. In generale, tuttavia, questi Studi offrono un gradevole divertimento e possono essere offerti a qualche eccentrico discepolo come buon cibo borghese. Il nome del compositore della terza raccolta in elenco — J. Rosenhain - è comparso già varie volte su questa rivista. In particolare abbiamo parlato alcuni anni fa in termini lodevoli di un Trio e in tale occasione esprimemmo alcune speranze, le quali sono state in parte realizzate, in parte deluse dalla sua ultima opera — a parte due opere teatrali, il lavoro più significativo che egli ha scritto dopo di allora. Si resterà delusi se ci si aspetta di trovare in questi Studi, rispetto alle opere precedenti, una maggiore maestria tecnica, una maggiore purezza compositiva e ricchezza formale; sarà invece una piacevole sorpresa vedere come il compositore si sforza di ottenere una più significativa caratterizzazione, accostan­ dosi in tal senso alla strada più profondamente poetica tracciata dai nuovi compositori. Ad introdurre il lettore nell’opera valgano qui i titoli dei singoli Studi: troviamo Un'Elegia, un Dialogo, una Serenata del barcaiolo, una Canzone, un pezzo intitolato Viaggio per mare e per finire una Danza delle Silfidi, oltre a sei numeri senza titolo. Per parlare di questi pezzi mi torna utile il fatto di ricordarli ancora nella vivace esecuzione offerta dal compositore stesso. Infatti, per quanto uno si sforzi di accostarsi ad una composizione in modo partecipe e cercando di penetrarne il senso più profondo,

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sotto le dita dell’autore stesso l’opera rivive però in modo del tutto differente, anche se l’esecuzione fosse addirittura insufficiente, cosa che peraltro nel nostro caso non si può assolutamente dire dato che il compositore si trova sui tasti come a casa sua. Così ad esempio l’ultimo Studio, la Danza delle Silfidi, sulla carta un pezzo apparentemente poco significativo, ha guadagnato molto dall’ese­ cuzione dell’autore che sapeva dare dei particolarissimi effetti di luce e d’ombra quali solo un esecutore che ha studiato molto e a lungo è in grado di rendere; e così anche il Dialogo, in cui si rispondono, alternativamente e con un effetto umoristico, voci acute e gravi. Questi due numeri sono forse i più ricchi di effetto della raccolta. Ma in quasi tutti si manifesta una vivace fantasia, anche se in generale tendono più a ricalcare modelli noti che a tentare un volo nuovo e autonomo. E a tale proposito si possono anche prendere in considerazione le condizioni di vita dell’artista, il quale, ancora giovane e non ancora pervenuto ad una piena maturazione della propria personalità, alcuni anni fa ha cambiato residenza e luogo di studio trasferendosi da Francoforte a Parigi, la città dove convergono i più disparati partiti e i loro capi, e dove un novizio, che per di più possiede una grande facilità di emulazio­ ne, deve stare doppiamente attento a se stesso al fine di conservare intatta la sua natura originale. Se perciò non si può negare che in alcuni pezzi di questa raccolta si noti una certa influenza della sua antica scuola, in particolare lo studio di Ries e di Mendelssohn, in altri si manifesta così dichiaratamente la conoscenza di altri Mae­ stri alla moda che davvero i pezzi dell’uno e dell’altro genere potrebbero essere addirittura attribuiti a diversi compositori. A questo punto non si può perciò fare altro che invitare il composito­ re a prendere chiara coscienza dei propri scopi affinché quanto di personale gli è stato donato da una mano superiore non venga ulteriormente disperso e scompigliato: questo è stato ad esempio il caso di Meyerbeer, che, originariamente un autentico rappresen­ tante della sua nazione, è poi diventato un individuo senza patria andando gradualmente a prestito, per la sua musica, da tutti i popoli. Anche il nostro giovane compositore appartiene a questa nazione saggia e con le idee chiare, una nazione che nella storia della musica più recente ha avuto un’influenza così significativa. Speriamo che egli vorrà aspirare al meglio di sé, che non vorrà sacrificare il proprio talento all’applauso della folla e che invece vorrà rimanere solidamente tedesco sempre studiando, osservan691

do e attingendo però, per le sue creazioni, autonomamente in se stesso. Ancora molto vi sarebbe da dire su questa raccolta di Studi*, in particolare sarebbe da approfondire l’accenno fatto prima quando dicevamo che il compositore dovrebbe curare maggiormente la purezza compositiva fin nei minimi particolari e che non dovrebbe tralasciare di levigare maggiormente i suoi pezzi dal punto di vista formale. Basti comunque quanto s’è detto a richiamare l’attenzio­ ne su questa raccolta davvero interessante: quest’opera è, fra l’altro, dedicata al grande Maestro Cherubini, e una simile dedica non poteva non indurci a una critica rigorosa e severa quale abbiamo espresso con le migliori intenzioni. Sarà difficile che io possa trovare qualcosa da dire a proposito dei nuovi Studi di Kalkbrenner (Etudes de style et de perfectionnement composées pour servir de complement à la Méthode, etc.) che possa tornare utile alla diffusione di quest’opera. Può anche darsi che io sia semplicemente irritato per le leggende che arrivano fino a noi: che Kalkbrenner considera sempre le sue ultime composizioni le cose migliori che abbia mai scritto, che si mette a studiare i suoi propri Studi come se fosse uno studente (devo dire che quest’ulti­ mo particolare ha risvegliato la mia curiosità); ma confesso che questi Studi mi hanno davvero immelanconito. Dove sei, fantasia? Dove siete, idee?, avrei voluto esclamare ad ogni pagina. Nessuna risposta. Quasi nulla più che aride formule, qualche inizio, scarni rimasugli; il ritratto di una bellezza invecchiata con qualche tenta­ tivo di civetteria. Tale è la sorte di tutti quegli artisti che fanno dipendere la propria arte esclusivamente dal proprio strumento. Sanno essere interessanti fin quando sono giovani, fin quando sanno offrire cose nuove e sempre più brillanti sul piano della perfezione tecnica. Ma ad un certo punto cominciano a emergere nuovi talenti; ciò che prima era una stupefacente abilità ora è diventato un gioco da ragazzi per chiunque. Gli idoli di prima, abituati all’applauso, non possono più vivere senza di esso e vogliono ancora strapparlo; nonostante i loro sforzi, però, nessu­ no applaude più e anzi la gente sorride di colui che un tempo la faceva strabiliare. Kalkbrenner ha dedicato, come racconta egli stesso, gran parte della sua vita allo sviluppo tecnico delle proprie mani; ciò sarebbe stato di disturbo all’attività compositiva di un Beethoven: figuriamoci per un compositore di minor talento! Ecco che ora, 692

con l’età, emerge ciò che il fascino della gioventù sapeva dissimula­ re: la mancanza di una preparazione poliedrica e approfondita e scarso studio dei grandi modelli. Se si potessero immaginare un Sebastian Bach o un Beethoven senza fantasia, io sono però convinto che essi, anche nella più tarda età, avrebbero saputo creare pur sempre cose interessanti, e ciò in quanto dallo studio essi avevano imparato qualcosa. Coloro che non hanno studiato, invece, possono sì creare qualcosa di grazioso, ma solo fino ad una certa età: c’è un momento dopo il quale essi non hanno più la forza per restare al livello delle aspettative che si nutrivano nei loro confronti, e tutti i mezzi innaturali con cui essi cercano di nascon­ dere tale carenza non fanno altro che evidenziare crudelmente la loro debolezza. A che scopo, dunque, questi Studi? Non certo per gli artisti, per i compositori: a costoro basta una rapida scorsa per poterli accantonare per sempre! Ma nemmeno per i virtuosi e per gli studenti: non per quelli, a cui questi Studi offrono ben poco di nuovo; e nemmeno per questi ultimi, che nei precedenti Studi di Kalkbrenner troveranno, espresse in modo assai migliore e più valido, le stesse cose che questi nuovi Studi ripetono stentatamente in forme appena variate. È ovvio che, fra 25 Studi, c’è anche qualcosa di ben scritto; ma solo con la maestria si può davvero servire l’arte; chi non è in grado di offrire sempre e in ogni caso cose magistrali non può pretendere di chiamarsi vero artista; di questi Studi nessuno è scritto in modo magistrale, cioè a dire veramente grande nell’invenzione e nella realizzazione. Allora è meglio rivolgerci al nostro vecchio ed egregio Cramer, al nostro raffinatissimo Moscheles, al nostro fantasiosissimo Chopin: non abbiamo tempo da dedicare allo studio di composizioni mediocri. Restano ancora da recensire le due raccolte di Studi di Liszt i cui titoli abbiamo indicato con precisione nell’elenco posto all’ini­ zio di questo articolo; possiamo subito rendere edotto il lettore di una scoperta che non potrà altro che accrescere l’interesse per queste opere. Abbiamo citato una raccolta pubblicata da Hofmeister, indicata come opera 1 e con la precisazione Travail de la jeunesse, e un’altra pubblicata da Haslinger sotto il titolo di Grandes Études. Da un esame più attento risulta che la maggior parte dei pezzi di questa seconda raccolta non è altro che un rimaneggia­ mento di quell’opera giovanile, pubblicata a Lione già moki anni fa (forse addirittura venti), e presto scomparsa dalla circolazione a causa della scarsa notorietà dell’editore, che ora l’editore tedesco 693

ha voluto andare a ripescare per stamparla nuovamente. Se dun­ que la nuova raccolta, peraltro pubblicata da Haslinger in una veste editoriale davvero magnifica, non può essere definita un’o­ pera originale a tutti gli effetti, ciononostante, e anzi proprio in forza di questa circostanza, essa sarà doppiamente interessante per il pianista di professione che avrà in tal modo l’opportunità di confrontarla con l’edizione precedente. Da tale confronto risulte­ rà evidente innanzitutto la differenza fra il pianismo di allora e quello attuale, e si noterà inoltre che la nuova edizione ha accre­ sciuto la ricchezza dei mezzi a sua disposizione cercando di supera­ re la precedente in splendore e pienezza; d’altra parte va rilevato che la primitiva ingenuità che animava quella prima, giovanile effusione appare quasi del tutto eliminata dall’attuale forma del­ l’opera. Inoltre il nuovo lavoro ci dà la misura di quanto più elevato sia l’attuale modo di pensare e di sentire dell’artista, ci permette di gettare uno sguardo nella sua vita spirituale più segreta, dove spesso non sappiamo se per caso il fanciullo non sia da invidiare più dell’uomo che sembra non poter giungere ad alcuna pace. I pareri sul talento compositivo di Liszt sono a tal punto contrastanti che non sarà fuori luogo compiere un’analisi appro­ fondita dei principali momenti in cui il suo ingegno si è manifesta­ to. Compiere tale analisi non è impresa facile, in quanto nelle composizioni di Liszt regna, per ciò che riguarda i numeri d’ope­ ra, una vera e propria confusione: la maggior parte di esse, infatti, non è in alcun modo numerata, sì che si possono solo fare delle congetture circa l’epoca in cui sono state composte. In ogni caso, da tutte emerge chiaramente il fatto che abbiamo a che fare con uno spirito non comune, che si muove in varie direzioni e in modo molteplice sa muovere gli altri. La sua vita sta nella sua musica. Allontanatosi presto dalla patria, gettato in mezzo alle stimolanti eccitazioni di una grande città, già da fanciullo e da ragazzo oggetto di ammirazione, egli si mostra spesso, anche nelle sue prime composizioni, pieno di nostalgia, quasi anelante verso la patria tedesca, o anche frivolo, spumeggiante nei leggeri modi francesi. Sembra non aver mai trovato la tranquillità necessaria per seguire con assidua continuità gli studi di composizione, o forse non ha mai trovato un maestro che fosse all’altezza del suo ingegno; perciò egli ha studiato più che altro come virtuoso, preferendo, come tutte le vivaci nature musicali, l’immediata 694

eloquenza del suono all’arido lavoro sulla carta. Se dunque egli come pianista ha raggiunto un’altezza stupefacente, come compo­ sitore è però rimasto su un piano inferiore; questo fatto creerà sempre una sproporzione, e di ciò si notano le conseguenze anche nelle sue ultime opere. Altri avvenimenti hanno poi stimolato il giovane artista in altri sensi. In un primo tempo egli cercò di trasferire nella musica le idee del Romanticismo letterario france­ se, tra i corifei del quale egli viveva; poi l’improvvisa comparsa di Paganini lo incitò ad approfondire l’indagine sulle possibilità tecniche del suo strumento e a tentare l’estremo. Talvolta (ad esempio nelle sue Apparitions) lo vediamo perso a distillare le più cupe fantasie, indifferente e quasi blasé, mentre altre volte si abbandona ai più sfrenati artifici virtuosistici, ironico e temerario fino alla semi-pazzia. In un primo tempo era sembrato che l’esem­ pio di Chopin Io facesse di nuovo tornare in sé: le composizioni di Chopin hanno pur sempre una forma, e nelle meravigliose imma­ gini della sua musica scorre sempre il roseo filo di una melodia. Ma ormai era troppo tardi perché lo straordinario virtuoso potesse recuperare ciò che aveva trascurato come compositore: insoddi­ sfatto, forse, di sé in quanto tale, egli cominciò a rifugiarsi presso altri compositori abbellendoli con la propria arte; si rivolse così a Beethoven e a Franz Schubert, le cui opere egli ha saputo trasferi­ re sul suo strumento in toni di infiammato ardore; oppure, nella brama di produrre anche qualcosa di proprio, riprendeva i suoi vecchi lavori dando loro nuove ornamentazioni e ammantandoli con lo sfarzo del suo nuovo virtuosismo. Ciò che s’è detto è da considerare, comunque, come un’opinio­ ne, come un tentativo per spiegare una certa confusione e le frequenti interruzioni del cammino compositivo di Liszt come conseguenze del predominio assunto dal suo genio virtuosistico. Ma io ritengo per certo che Liszt, data la sua eminente natura musicale, sarebbe potuto diventare un compositore assai significa­ tivo, se solo avesse dedicato alla composizione e a se stesso il medesimo tempo che invece ha voluto consacrare allo strumento e agli altri Maestri. Ciò che ora possiamo ancora attenderci da lui fa solo parte del campo delle congetture. Per conquistare il favore della sua patria egli dovrebbe soprattutto ritornare alla serena semplicità che così gradevolmente si manifesta nella sua prima raccolta di Studi; dovrebbe ripercorrere in senso inverso il cammi­ no compiuto, procedendo cioè in direzione dell’alleggerimento

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anziché in quella dell’appesantimento. Non dimentichiamo, co­ munque, che egli ha voluto darci degli Studi a tutti gli effetti e che quindi la nuova, complessa difficoltà della composizione può essere perdonata in grazia dello scopo a cui si mira, che è appunto il superamento delle maggiori difficoltà. Affinché ora il lettore possa formarsi un giudizio su questi Studi, confrontando la loro forma primitiva con l’attuale elabora­ zione, riportiamo qui di seguito alcuni incipit: il n. 1 nella versione originale:

lo stesso, nella nuova versione:

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lo stesso, nella nuova versione:

il n. 9 nella versione originale:

lo stesso, nella nuova versione:

Si noteranno le somiglianze e le differenze. Il tono generale dell’inizio è, per lo più, rimasto il medesimo, solo rivestito di figure più ricche, più turgido nell’armonia e con tinte più forti; nel corso dei vari pezzi, però, si trovano talmente tante differenze che l’originale passa spesso del tutto in secondo piano. Così, ad esem­ pio, nel secondo Studio, in la minore, è stata fatta una grande quantità di aggiunte e la conclusione è stata totalmente rifatta. Nel 697

terzo (in fa maggiore) il vecchio Studio è ancor meno riconoscibile, il movimento è diverso, è stata aggiunta una melodia e in generale (a parte la sezione centrale in la maggiore, piuttosto volgare) tutto il pezzo ha guadagnato in interesse nella nuova versione. Nel quarto (in re minore) l’autore ha costruito una nuova melodia sulla figura originale, ha inserito una parte centrale tranquilla e distensiva e alla fine ha dato un nuovo accompagnamento alla melodia iniziale. Il quinto ha subito una completa trasformazione, e così via. Del tutto nuovi sono i tre Studi successivi; sono sicura­ mente gli Studi più lunghi che esistano: nessuno è più breve di 10 pagine. Fare la solita critica, cercando le quinte o le false relazioni e tentando una correzione, sarebbe in questo caso un’inutile fatica. Le composizioni di questo genere bisogna sentirle', sono cose che le mani hanno strappato allo strumento, e solo le mani sullo stru­ mento possono renderci l’immagine di esse. E poi bisogna anche vedere il compositore, perché se lo spettacolo di qualunque virtuo­ sismo ha un effetto di corroborante elevazione nello spettatóre, tanto più forte sarà tale effetto vedendo il compositore stesso lottare col suo strumento, domarlo e farlo obbedire in ciascuno dei suoni che egli vuole. Sono veri Studi di tempesta e di orrore, Studi per dieci o dodici persone al massimo in tutto il mondo; se vi si cimentassero dei pianisti di scarso valore farebbero solo ridere. Hanno molta affinità con certi Studi per violino di Paganini, alcuni dei quali Liszt ha di recente manifestato l’intenzione di trascrivere per pianoforte. I successivi numeri della nuova edizione tornano a basarsi sui brani precedenti. Il n. 9 è stato fatto precedere da una Introduzione e anche nel corso del pezzo sono state fatte alcune interessanti aggiunte. Un. 10 è stato anch’esso realizzato con maggiore ampiezza ed è ovviamente dieci volte più difficile dell’o­ riginale. Nel n. 11 l’idea principale:

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è stata riscritta nel modo seguente:

Nel prosieguo del nuovo Studio compare una nuova figura basata su un’idea un po’ banale; invece il canto della parte centrale è molto affascinante, e dal punto di vista melodico è sicuramente la cosa più profonda di tutta la raccolta. La figura citata ritorna poi ancora una volta realizzata in modo pianisticamente grandioso. Un. 12, infine, è anch’esso un rifacimento deH’ultimo Studio del lavoro precedente; la melodia, prima inserita in una misura di 4/4, è ora rimodellata in 6/8; questo Studio presenta una grande quantità di figure d’accompagnamento difficilissime: spesso sem­ bra addirittura impossibile che le dita riescano ad arrivare a fare tutto. I numeri 6, 8 e 11 dell’edizione Hofmeister sono stati omessi nella nuova edizione (al loro posto sono stati inseriti i tre nuovi Studi)\ può darsi che Liszt voglia in seguito riprenderli in fascicoli successivi: Liszt sembra davvero voler esplorare l’intero campo delle tonalità. Come dicevamo, si deve udire tutto ciò da un Maestro, se possibile da Liszt stesso. Certo molte cose ci urterebbero anche allora, sia là dove egli supera ogni limite, sia dove l’effetto raggiun­ to non ricompensa abbastanza la bellezza sacrificata. Attendiamo comunque con impazienza il suo arrivo, che egli ci ha promesso per il prossimo inverno.2 Proprio con questi Studi egli ha ottenuto 2 La rivista aveva già pubblicato, in data 8.6.1838, il seguente invito a Liszt, che allora si trovava a Vienna: “AlSig. Franz Liszt. Una foglia in più o in meno in una corona d’alloro non interessa certamente a chi è abituato alla vittoria. Bisogna però rimproverare la modestia del condottiero, se questi limita la gloria della sua vittoria ad un solo luogo. Il Sig. Liszt è così vicino alla Germania Settentrionale: venga da noi! Lo accoglieremo a braccia aperte e lo tratterremo presso di noi finché potranno l'amore e l’ammirazione. A nome dei nostri amici e di tutti, Florestano ed Eusebio". [M.K.]

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un successo sbalorditivo l’ultima volta che è stato a Vienna. Grandi effetti presuppongono sempre grandi cause; un pubblico non si lascia entusiasmare senza un motivo. Ci si prepari intanto all’arri­ vo dell’artista con l’esame di queste due raccolte; poi la migliore critica la darà egli stesso al pianoforte.

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76. CAMILLA [MARIE] PLEYEL

I

Sul programma del concerto della Signora Camilla Pleyel facevano spicco composizioni tali da rassicurare circa la validità deil’indirizzo artistico di questa pianista. Il Concerto in sol minore di Mendelssohn l’avevamo da poco ascoltato eseguito dallo stesso Mendelssohn. E stato interessante confrontare il modo di suonare di questa vivace francese con quello del Maestro; ella ha attaccato l’ultimo movimento addirittura a un tempo più veloce. In genera­ le pensiamo che il compositore avrebbe potuto essere senz’altro d’accordo con la sua interpretazione, sempre molto musicale; abbiamo forse qualche dubbio a proposito di alcuni singoli passag­ gi cantabili, che avremmo preferito suonati in modo più semplice, più intimistico, meno carico emotivamente. Diversamente da altri virtuosi del pianoforte, che non osano mai fare ascoltare in pubbli­ co un intero Concerto, la Signora Pleyel ce ne ha offerto addirittu­ ra un secondo, il Konzertstuck di Weber, il che è stato doppiamente interessante, in quanto esso, precursore del Concerto di Mendelssohn, dev’essere echeggiato molto spesso nella fantasia dell’allora giova­ ne artista mentre scriveva il proprio Concerto> molti passaggi del quale sembrano nati sotto l’influsso del seducente fascino di quella composizione; eppure, quanto a delicatezza e a finezza della co­ struzione, il Konzertstuck può a malapena essere paragonato a quest’opera più recente. La Signora Pleyel l’ha eseguito in modo assolutamente felice e con lo stesso appassionato calore con cui ella sembra concepire ogni musica. Anche il pubblico è stato perciò preso da quella sensazione di gioiosa partecipazione quale solo il godimento della compresenza di capolavoro compositivo e capo­ lavoro interpretativo sa dare. A proposito del pezzo con cui l’arti­ sta ha concluso la ricca serata musicale vorremmo poter dire le 701

stesse cose, ma il talento creativo era in questo caso chiaramente inferiore al talento esecutivo: si trattava di una composizione della virtuosa, e avremmo voluto che fosse scritta e sviluppata meglio, anche e soprattutto in quegli elementi ripresi da temi di Weber. Ma l’applauso è stato talmente scrosciante, proprio dopo questo brano, che ella l’ha dovuto ripetere. La Signora Pleyel darà un secondo concerto sabato prossimo e tornerà poi in Francia passando da Dresda e da Vienna. Questa donna assai interessante recherà ovunque gioia con le sue esecu­ zioni e, soprattutto contribuirà, grazie alla sua predilezione per ciò che di più nobile vi è nella sua arte, alla sua diffusione.

II

La qualità delle sue esecuzioni sembra crescere con l’entusia­ smo, e questo cresce di pari passo con quella. Questa donna geniale aveva scelto bene: il Concerto in do minore di Beethoven e Il magico corno di Oberon di Hummel e, per il concerto in abbona­ mento di ieri, il Concerto in mi minore di Kalkbrenner e, per finire, di nuovo il Konzertstuck di Weber. Kalkbrenner è stato, per un certo periodo, suo maestro, e ciò spiega la scelta; l’ha suonato quasi giocando, così come dopo molti anni di recita fra di sé, per divertimento, una poesia che si era imparata da bambini; la perfetta scuola si è sublimata in questa artista magistrale. Nel Concerto di Beethoven sono emersi altri tratti della sua natura musicale; l’ha eseguito con grande dignità, senza difetti, in modo tedesco, sì che la musica parlava rivolta a noi come fosse un quadro, mentre nella Fantasia di Hummel i suoni giungevano a noi come provenienti da un etereo regno di spiriti. Il Concerto di Weber ha provocato nel pubblico una sorta di gioiosa insurrezio­ ne: fiori e ghirlande sono volati sull’artista. Il pubblico era in estasi. Qualcuno ha detto: “Vi è più poesia in questa donna che in dieci Thalberg.” Questa agitazione è durata ancora a lungo. La figura dell’artista, esile e leggiadra come un fiore, il suo inchino ingenuamente infantile, quasi che l’applauso non fosse per lei, e, ancora niù, la profondità che ella ha saputo esprimere con la sua arte, :utto ciò lo ricorderemo ancora in futuro. Salutiamo la partenza di 702

questa artista col più sincero augurio che la felicità che ella sa donare a così tante persone possa ella stessa conoscerla anche dentro di sé. Florestano

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77. RICORDO DI UN’AMICA

Di Eusebio

All’interno di quella cerchia di artisti che iniziò a formarsi nella nostra città nei primi mesi del 1834 Henriette Voigt, la nostra amica prematuramente scomparsa, occupò un posto particolare; a lei dedichiamo alcune parole di ricordo su questa rivista che a quella cerchia di amici deve la propria nascita e nei confronti della quale ella stessa nutrì un vivissimo interesse, soprattutto per il tramite di Ludwig Schunke, suo maestro ed amico. Fino al mo­ mento in cui conobbe questo artista a noi molto caro, infatti, Henriette Voigt era un’appassionata seguace della vecchia scuola: essendo stata allieva di Ludwig Berger, a Berlino, ella suonava volentieri e con entusiasmo le composizioni di quest’ultimo, ma a parte questo eseguiva solo Beethoven. Noi lo sapevamo, e siccome Florestano non aveva grande simpatia per le cosiddette “beethoveniane” passò un po’ di tempo prima che egli, contemporanea­ mente a Schunke, iniziasse con lei un rapporto che in sèguito sarebbe stato fonte di tanti bei momenti. A un artista bastava fare un solo passo in casa sua per sentirsi sùbito a proprio agio. Sulle pareti attorno al pianoforte a coda erano appesi i ritratti dei più grandi Maestri, e l’ospite aveva a propria disposizione una ricchissima biblioteca musicale; il musici­ sta era padrone in quella casa, e la musica era la dea suprema; in poche parole, il padrone e la padrona di casa leggevano negli occhi dell’ospite quali fossero i suoi desideri musicali. E molti musicisti, stranieri e sconosciuti, ricorderanno certamente l’ospi­ talità che regnava in quella casa. Schunke si abituò presto alla sua nuova dimora, e grazie a lui Henriette cominciò a interessarsi anche alle nuove tendenze musi­ cali sviluppate dopo la morte di Beethoven e di Weber. Il primo di

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cui si occuparono fu Franz Schubert: se c’è qualcuno che è in grado di stimolare simpatie musicali, questi è proprio lui con le sue composizioni per pianoforte a quattro mani, che uniscono i cuori più rapidamente di quanto possano fare le parole. Poi fu il mo­ mento di Mendelssohn e Chopin; la magica maestria del primo aveva entusiasmato la donna fino alla venerazione, mentre le composizioni dell’altro ella preferiva ascoltarle, piuttosto che suo­ narle ella stessa. Un altro stimatissimo ospite di quella casa era il consigliere di corte Rochlitz, che volentieri ascoltava dalle labbra dell’amica ogni nuova notizia riguardante i più giovani artisti, tenendosi informa­ to circa le loro composizioni che ella suonava per lui. Ella ebbe inoltre intensi scambi epistolari con molti esimi artisti, fra cui anche alcuni stranieri che ella seguiva con grande interesse. Troppo presto, ahimè, è stato strappato a questa vita così intensamente vissuta proprio colui che ne era stato il principale ispiratore. La malattia di Ludwig Schunke assunse, nel corso del 1834, un aspetto sempre più minaccioso. Egli non poteva trovare una più fedele infermiera della nostra amica, e se alle mani dell’uomo fosse dato allontanare la morte, certo le mani di lei l’avrebbero fatto, mani che fino all’ultimo istante gli furono di consolazione e di incoraggiamento. Egli morì, giovane, artista che ancora non aveva raggiunto la meta, ma da molti amato e non dimenticato. Da allora altri artisti hanno bussato alla porta di quella ben nota e ospitale casa, e sono nati nuovi rapporti; ma nessuno di questi è riuscito a ricostruire una situazione profonda e intensa quanto la precedente; la corda spezzata risuonò ancora per lungo tempo. Appena cinque anni dopo l’amica morì della stessa malattia, quel morbo divorante e pur benevolo in quanto nasconde all’in­ fermo la propria vera natura, sì che egli crede, giorno dopo giorno, di riprendere le forze: anch’ella si lasciò volentieri illude­ re, anche perché raramente i tisici accettano l’idea della morte, ed ebbe la forza di nutrire nuove speranze di vita nonostante talvolta fosse presa dai più tetri presagi. Fino all’ultimo istante ella nutrì lo stesso amore di sempre per la musica, lo stesso affetto pieno di abnegazione nei confronti dei suoi Maestri preferiti, devozione che ella dimostrava con piccoli pensieri: si sa, ad esempio, che ella stessa usciva ad acquistare fiori e frutti che poi mandava, più o 706

meno segretamente, ad un artista da lei ammirato. 1 E così pure spesso faceva mettere corone di fiori sulla tomba di Schunke, sulla quale già aveva fatto porre una lapide. E così continuò a interveni­ re con contributi economici ogniqualvolta si trattava di musica e di musicisti, il che le era consentito dalle sue agiate condizioni e da un consorte che mai si oppose alle sue inclinazioni. Grande cura ella dedicò al proprio album: era per lei la cosa più cara, che non avrebbe dato in cambio dei più preziosi gioielli; in esso si trovano quasi tutti i musicisti contemporanei.12 Con non comune facilità ed eleganza di stile ella scrisse anche molte lettere: queste e le relative risposte costituiscono una raccolta di grande interesse, di cui però non possiamo ancora parlare in quanto riguardano situazioni e noi ancora troppo vicine. Nei suoi diari si alternano prosa e versi, riguardanti per Io più l’arte e gli artisti. Il suo spirito si riposava raramente: ogni giorno ella doveva fare qualcosa per l’amata musica. E oltre a ciò ella fu padrona di casa e madre esemplare. Il suo modo di suonare il pianoforte possedeva le virtù tipiche della scuola di L. Berger; ella suonava in modo corretto e aggrazia­ to, suonava volentieri ma non senza un certo timore quando si trovava di fronte ad un pubblico numeroso. Ella rimase per lungo tempo rigorosamente fedele ai princìpi fondamentali della sua scuola: solo con fatica, ad esempio, ella si lasciò convincere ad utilizzare il pedale di risonanza. Mai, però, la sentimmo suonare una brutta composizione, né mai parlar bene di qualcosa di cattivo; e quando, nel suo ruolo di padrona di casa, doveva affrontare tali situazioni preferiva tacere, nonostante tutto il pro­ fondo rispetto da lei nutrito nei confronti della persona dell’artista.

1 Si tratta di Mendelssohn. Le lettere che egli scrisse alla Signora Voigt testimoniano la grande stima che egli ebbe per Lei; nel 1871 il marito di lei, Carl Voigt, le pubblicò anonime col titolo: Acht Briefe und ein Faksiinile von F. Mendelssohn-Barlholdy [Otto lettere e un fac-simile di F.M.B.]. Meno noto è il fatto che l’intervento di Carl e Henriette Voigt fu decisivo per il trasferimento a Lipsia di Mendelssohn (1835): essi lo convinsero infatti ad accettare la direzione dei concerti del Gewandhaus dopo che lui aveva già scritto una lettera di rinuncia. [M.K.] 2 L’autografo di Schumann su tale album è assai originale: egli tracciò solo un grande < su una pagina intera, e sotto scrisse il suo nome e la data (22.10.1836). La Voigt, stupita, gli chiese quale fosse il significato di quel segno ed egli rispose sorridendo che rappresen­ tava l’accrescersi della loro amicizia. Anche negli ultimi giorni della vita di lei Schumann le diede una prova della propria stima nei suoi confronti dedicandole la Sonata in sol minore. [M.K.]

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Fino all’inverno del 1836 ella ebbe la gioia di ospitare in casa propria L. Berger. Riportiamo qui, simpatico documento, la lette­ ra in cui egli le annunciava la propria visita:

Dresda, 24 ottobre 1836. “Mia cara, carissima Jettchen,3 dopo lunghi rinvii arriva final­ mente anche per Lei il giorno della grande prova! Voglia Ella guardare ad esso con tranquilla, cristiana rassegnazione: nessuno può sfuggire al proprio destino... Questa stessa settimana, verso giovedì o venerdì, qualcuno busserà improvvisamente alla Sua porta e La pregherà di offrirgli asilo per alcuni giorni e alcune notti, nonché assistenza medica omeopatica; e la lista delle vivande non è difficile da scegliere: “Minestra e carne”! Le sue intenzioni sono le seguenti: vedere, oltre ad alcuni conoscenti e amici di sesso maschile, la Signora Voigt e la Signora Lipsia. Sarebbe inoltre suo intento vendere alcuni suoi figli (più o meno ben riusciti), che, nati da regolare matrimonio o da amori illegittimi, sono comunque ormai cresciuti abbastanza (qualcuno magari non troppo bene) per trovare da soli la loro strada fra gli uomini. Un paio di questi egli li condurrà con sé, mentre gli altri saranno venduti a un tanto al chilo oppure uccisi con un colpo ben assestato del celebre vecchio randello della porta di Mùncheberg!4 Ma ora non si spaventi, cara Jettchen. E meglio, piuttosto, che Lei, unitamente al Suo caro signor marito e governatore 5 e alla signorina Sua figlia, si prepari fin da adesso alla visita del Suo vecchio amico, sì che quando egli arriverà Lei possa accoglierlo con un cordiale ed entusiastico: Entri! entri! caro vecchio amico! Lei è il benvenuto! Voglia contentarsi della nostra semplice, tran­ quilla ospitalità, caro, vecchio amico Berger di Berlino”. 3 Diminutivo di Henriette. [G.T.] 4 Sulla porta delia cittadina di Mùncheberg (nella provincia di Brandenburg) era disegnato, come emblema, un randello con sotto scritti questi versi: Wer seinen Kindern gibt das Brot Und selbst im Alter leidet Not, Den schlag’ man mit der Keule tot. [Sia ucciso a colpi di randello Chi, per dare il pane ai propri figli, È costretto a vivere la propria vecchiaia in miseria]. [M.K.] 5 Gioco di parole tra kbigi (il cognome del marito) e Vogl (governatore). [G.T.]

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Egli precedette di pochi mesi la propria allieva, nel febbraio di quest’anno. Nei diari di Henriette si trova una poesia sulla morte, e in essa si leggono questi versi: Immerdar kùnd’ ich mit Lust, was Du uns als Denkmal gelassen, Was Du begeistert schufst, was Du, ein Kunstler, uns gabst. Hòheren Strebens erfullt, blieb fremd Dir das Niedre, Gemerne, Was aus der Brusi Dir quoll, mahnt an die bessere Zeit, Wo noch die heilige Kunst, veredelnd die Herzen der Menge, Nicht nur durch àusseren Glanz Sànger und Hòrer verband. Schmerzlich erfullt uns das Bild, auch Du zur Ruhe gegangen, Einer der wenigen noch, die da geschiitzet ihr Recht... Am 24. Februar 1839.

[Sempre io annuncerò con gioia ciò che Tu ci hai lasciato quale monumento, Ciò che Tu hai creato con entusiasmo, ciò che Tu, un artista, ci hai donato. Animato da una superiore aspirazione, a Te rimase estranea ogni vile banalità, Ciò che sgorgò dal Tuo petto ci ricorda quel tempo migliore In cui ancora la sacra arte, nobilitando i cuori delle folle, Univa il cantore e gli ascoltatori non solo grazie allo splendore esteriore. È un’immagine che ci riempie di dolore: anche Tu hai iniziato il Tuo riposo, Uno dei pochi che ancora difendevano i diritti dell’arte... 24 febbraio 1839]. Meglio di quanto io possa fare, ella ci dà un ritratto di se stessa nei suoi diari. 31 agosto 1836. “Non so che fare: guardo agli attuali sviluppi della produzione musicale solo come ad un periodo di passaggio (con le debite eccezioni) da cui prima o poi dovrà nascere qualcosa di migliore e di più chiaro; è un combattimento, una lotta, ma la vittoria appare ancora molto lontana”. 10 settembre 1836. “Perché oggigiorno si apprendono tante lingue? Alla fin fine ciò serve solo a dire in tanti modi le stesse fadaises-, sarebbe assai più auspicabile che tutti sapessero parlare e scrivere correttamente la propria lingua materna!...” 13 settembre. “Ieri Chopin è stato qui e ha suonato mezz’ora sul mio pianoforte a coda (la Fantasia e i suoi nuovi Studi)'. un uomo 709

interessante, un modo di suonare ancor più interessante; ne sono stata profondamente colpita. La sovreccitazione del suo fantastico stile si comunica a chi lo ascolti con attenzione: io dovevo letteral­ mente trattenere il fiato. È straordinaria la leggerezza con cui tutte le sue dita volano sui tasti, in un modo che io ancora non conosce­ vo. Ciò che più mi è piaciuto è l’innocente naturalezza che egli ha mostrato nel suo comportamento come nella sua esecuzione.” 10 ottobre. “Strano come certe inclinazioni che si manifestano già nella nostra infanzia rimangano poi caratteristiche della nostra personalità fin nell’età più tarda, e così pure certe ripugnanze. Da sempre io ho provato avversione nei confronti di tutto ciò che riguarda funamboli, cavallerizzi e simili, e tale avversione si è estesa, in modo del tutto inconscio, anche al campo dell’arte: se per un momento posso lasciarmi prendere dallo stupore, ben presto ritorna però la mia innata ripugnanza per queste cose. Non amo i funambolismi in musica: mi sembrano una profanazione di questo luogo sacro. L’artificiosità non è arte, mentre oggigiorno si scambia spesso l’una per l’altra. Tutto deve avere come fondamen­ to la natura: se anche la sorella più giovane, quella che mira più avanti, l’arte, si muove sempre più in alto in una sfera spirituale, il suo fondamento deve pur sempre rimanere la sorella maggiore: sarebbe possibile, senza natura, una vera arte? senza Dio, un mondo? Eppure si guarda sempre più meravigliati a quest’ultimo dimenticando spesso Dio!...” 20 ottobre. “Quale pura gioia ho provato oggi posando il mio sguardo su un’anima squisita e di alta cultura: ho letto l’articolo di Moscheles sulla Sonata di Schumann, un articolo di rara perspica­ cia e chiarezza, che riesce sempre a cogliere nel segno e a darci un giudizio esaustivo in un paio di parole. Quanto ci è gradito mirare tali frutti dorati in un periodo in cui la frutta spirituale viene per lo più còlta quando è ancora acerba. Moscheles, se mi avesse vista, mi avrebbe certo invidiata per la gioia che mi davano le sue parole.” 21 ottobre. “Come ben si adattava, oggi, all’articolo di Mosche­ les la splendida Sinfonia in sik maggiore di nonno Haydn: questa solare chiarezza! Vi è una celeste eufonia in questi suoni che nulla lasciano trasparire del tedio della vita, che provocano solo letizia, piacere di esistere, innocente gioia per ogni cosa: di ciò noi gli siamo tuttora grandemente debitori, noi che viviamo in questo periodo patologico della storia della musica in cui è così raro sentirsi interiormente appagati.” 710

3 novembre. “Oggi Mendelssohn ha suonato il Concerto in sol maggiore di Beethoven con tale maestria e perfezione che tutti ne sono stati rapiti. Il mio è stato un godimento quale è raro provare nella vita: stavo lì senza respirare, senza muovere un dito per la paura di disturbare. Che angoscia, alla fine, dover parlare con la gente e sentire tanti giudizi sbagliati e tante stupide osservazioni! Ho dovuto abbandonare la sala e uscire a respirare un po’ d’aria fresca.” 20 febbraio 1837. “Mai recitai il Padre nostro con la devozione con cui l’ho recitato oggi, inginocchiata davanti al letto di mia figlia, con un fervore come se fossi caduta in raccoglimento di fronte a Dio in persona.” 11 giugno. “Non capisco (ed è una cosa che sento ogni giorno) perché tante madri allontanano da sé i propri figli affermando che così possono respirare più liberamente: io respiro più liberamente solo quando mia figlia è accanto a me, altrimenti non mi do pace; come ci si può privare del piacere di vedere i nostri figli il più spesso e il più a lungo possibile?” 13 marzo 1838. “Il Paulus di Mendelssohn è un’opera esempla­ re, e se una delle sue composizioni lo farà immortale questa è proprio quest’oratorio, mi sembra. Lo dissi fin dalle prime prove, a cui partecipai cantando: tutto, in esso, mi appariva infatti fin da sùbito chiaro per l’orecchio e per il cuore, e ora ciò è dimostrato dall’entusiasmo con cui quest’opera è ovunque accolta. Quale grande fortuna è stata la nostra, poterla ascoltare ed eseguire sotto la direzione dello stesso Maestro!” 12 aprile. “Che sensazione di tristezza provo ogni volta che ascolto una famiglia di virtuosi! Se tutta la vita di un uomo mira esclusivamente al fatto meccanico, la vita dello spirito riceve grave nocumento! E ascoltate un po’ questi bambini costretti a far musica a colpi di frusta, queste creature ancora immature o troppo mature: è una cosa che mi fa veramente paura; io condurrei questi poveri bambini in ben altro modo: non posso ammirarli, posso solo compiangerli.” 25 aprile. “A poco a poco sono diventata indifferente rispetto a ciò che il mondo pensa e dice. Di me la gente pensa che io suoni davvero troppo, che io dedichi tutto il mio tempo alle mie occupa­ zioni preferite, mentre in realtà passano intere settimane senza che io apra il pianoforte, suoni, legga o altro... Ma mentre io sto scrivendo queste righe gli altri dormono, riposano o passano il 711

tempo in compagnia, e appunto in questo si distingue l’uomo che mira in alto: che la sua mente è sveglia e attiva anche mentre si dedica ai lavori più umili, che in ogni situazione egli progredisce; ma la gente non può capirlo e pensa che solo nello studio vi sia un progresso; mentre invece evidentemente esso risiede altrove, al­ trimenti non si spiegherebbe perché tanta gente che studia non produce altro che stoppa e segatura.” 15 settembre. “Oggi abbiamo cantato il Paulus nella chiesa illuminata. Quest’anno, come anche l’anno scorso, ho partecipato a tutte le prove, e ormai conosco quest’opera praticamente a memoria, ma ancora non c’è niente che mi dia una sensazione simile: questa imponente grandiosità, questa profonda interiorità dei sentimenti; è una cosa che dà una beatitudine completa. Ah, la gioia di cantare quest’opera sotto la sua direzione, penetrare nelle sue idee!” 22 settembre. “Oggi sono stata in una bottega dove si potevano vedere in grande quantità tutte le ultime novità: ed erano solo oggetti di inutile lusso! Tutta questa gente che comprava, questa folla che vendeva, tutto questo correre e accalcarsi assolutamente insensato! Tutti che correvano, e molti che perdevano la testa per un cappello che volevano mettersi sulla testa stessa. Involontaria­ mente mi spuntò una lacrima e mi sentii il cuore pesante; e pensai: perché tutti questi sforzi? a quale scopo? forse per vivere^ no: per decorare la propria vita! Verrà forse un giorno in cui la gente preferirà i fiori finti a quelli donatici dal nostro Creatore?... Me ne dovetti uscire.” Il diario del 1839 non contiene altro che queste parole piene di tristi presagi: 3 gennaio 1839. “Con quali paurosi e agitati sentimenti saluto il nuovo anno! Che cosa mi porterà: gioia o dolore? E alla fine di quest’anno sarò ancora su questa terra? Coraggio e fermezza! Certamente Dio mi aiuterà, in un modo o nell’altro!”

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78. SONATE PER PIANOFORTE

Louis Lacombe, Sonata fantastica op. 1 Stephen Heller, Sonata op. 9 F. W. Grund, Grande Sonata op. 27

Fanciullo, giovane e uomo possono essere a malapena più diversi fra loro di quanto lo siano queste tre opere sonatistiche, e anche se non sapessi, per combinazione, che i loro rispettivi autori stanno effettivamente fra di loro in tale rapporto di età, ciò sarebbe ugualmente rivelato dai loro lavori. Il fanciullo non è però un fanciullo tedesco, bensì un francese, uno di quei fanciulli dal coraggio precoce, quali potremmo vedere erigere barricate du­ rante i moti parigini e, in un accesso di tedio della vita, puntare addirittura l’arma contro se stessi; detto più chiaramente, in termini musicali, si tratta di un berlioziano, di uno disposto a donare tutto se stesso per la causa del Romanticismo francese, dotato di molto coraggio e di una certa fantasia, un giovanotto vivace, interessante e mai in imbarazzo. Che egli si sia gettato subito sulla Sonata, un genere musicale che in Francia provoca solo un risolino di compassione e che nella stessa Germania è appena poco più che tollerato, la causa di ciò va ricercata in un suo lungo soggiorno in Germania, durante il quale, anni fa, egli si era già fatto un nome come fanciullo pianista; da allora egli, come virtuoso, ha fatto molti progressi. Ricordo di aver ascoltato la sua Sonata eseguita da lui stesso durante un concerto a Vienna; la suonò con altissima perfezione, con un tocco brillante e puro come l’oro. Oltre a Thalberg, Vienna non aveva nessuno che potesse tenergli testa sul piano esecutivo. Questa composizione fu allora giudicata quasi unanimemente dal pubblico per quello che era, cioè un tentativo non privo di talento, ma che era piacevole da ascoltare dall’inizio alla fine solo se eseguita da un buon pianista, e 713

in particolare dal compositore stesso: suonata da altre mani sareb­ be stata da seppellire senza alcuna compassione. Così succede sempre con i lavori di uno studente; fate un po’ la prova: guardate cosa succede se un cattivo compositore pianistico affida il suo lavoro ad un cattivo pianista, se un compositore orchestrale si affida ad una massa orchestrale poco abile: tutte le debolezze risalteranno allora in modo stridente, mentre un’ottima composi­ zione non sarà mai del tutto da buttar via anche se suonata dalle mani di un cialtrone. Nonostante le carenze di questa Sonata giovanile, noi siamo tuttavia ben disposti a riconoscere al composi­ tore un notevole impegno, vólto a dare alla composizione una chiara immagine formale complessiva; ciò che in essa si trova di volgare è più che altro da imputare ad un fraintendimento del nuovo stile pianistico cosiddetto sinfonico, sia nel campo composi­ tivo, sia in quello esecutivo. Il pianoforte può, e anzi deve poter utilizzare masse sonore, presentare dei passaggi con alcuni carat­ teri degli strumenti dell’orchestra, ma deve farlo a modo suo, con i propri mezzi: non deve sembrare la trascrizione di un Tutti orche­ strale, con tremoli nelle due mani, procedimenti tipici dei corni, e simili. Prescindendo da tali passaggi, la Sonata presenta anche alcune cose assai valide, ad esempio la melodia principale della prima parte, condotta in modo assai spontaneo; soprattutto le prime pagine, poi, procedono in modo molto buono e assai vivace fino all’inizio della parte centrale e al suo sviluppo, che è il punto in cui, nella Sonata e nella Sinfonia, lo studente più spesso fallisce. L’Andante è debole; anche in esso prevale quel carattere orche­ strale erroneamente riportato sul pianoforte; lo stesso avviene nello Scherzo, ma realizzato in modo meno misero. Se echi di Sinfonie beethoveniane si trovano in tutta la Sonata, ciò avviene specialmente nello Scherzo. L’ultimo movimento è francese, auberiano, straussiano o come si vuole, alla fine con i salti tipici di Thalberg, che in una Sonata stonano un poco, finché tutto si conclude in fumo e fiamme e dello spettacolo, come dopo che è calato il sipario, non rimane altro che l’odore di zolfo, come quando in teatro si rappresenta una scena di temporale. Insom­ nia: il compositore dovrà cercare di sottrarsi allo strapotere del virtuoso impegnandosi seriamente nello studio della composizio­ ne; senza essere stati scolari non sì può diventare maestri, e il maestro stesso, in fondo, non è altro che un apprendista di grado un po’ più elevato, e prima della Sonata in sii» maggiore di Beetho714

ven, il capolavoro assoluto, di Sonate Beethoven ne ha scritte altreSl. 1 Certo che se qualcuno inizia come Stephen Heller, la cui Sonata noi abbiamo definito il lavoro di un giovane, qualcuna di quelle 31 gliela si può anche condonare: già con la decima egli dovrebbe saper offrire qualcosa di magistrale. In poche parole: in questa sua prima Sonata vi è tanta naturale acutezza d’ingegno che davvero dobbiamo attendere con timore le sue prossime Sonate, vi è tanta innata genialità da bastare per parecchio tempo ad un bel gruppetto di compositori parigini. Si è annunciato dunque un vero talento, uno che sfida la sagacia della critica: cercate di prenderlo, se potete. Io, in effetti, saprei anche qual è il suo tallone d’Achille; ma questo compositore, oltre che un buon lottatore, è come l’eroe greco, anche un buon corridore: quando si cerca di saltargli addosso, sull’istante lui fugge ridendo per ripresentarsi un attimo dopo già di nuovo pronto al combattimento; è un compositore astuto, che riesce a prevenire ogni critica con un’idea migliore di quella che ci si aspettava, le Grazie lo amano più di quanto egli sia disposto a seguirle, e la sua Sonata sarà un bel problema per i comuni recensori, quelli che dicono sempre in anticipo come non devono essere le cose. Tale appare Stephen Heller nella sua Sonata. Ci si chiederà: chi è? dove sta? Ed ecco la risposta in breve: “E ungherese di nascita, ha già viaggiato molto come semi-bambino-prodigio, ha poi vissuto e scritto ad Augsburg e in seguito, purtroppo, si è trasferito a Parigi.” Conoscevo questa Sonata già da alcuni anni, ancora allo stato di manoscritto: il compositore me l’aveva inviata un po’ per volta, a scadenze trime­ strali, non per aumentare l’aspettativa, ma perché, come egli stesso diceva, covava le sue idee molto a lungo e con grande dispendio di tempo, e “in fondo che cos’è una Sonata se non appunto una grande perdita di tempo?” — E dunque eccola qua terminata, figlia alata di una rara fantasia, con il suo doppio volto classico-romantico celato da una maschera umoristica. Chi ama qualcosa crede di comprenderla meglio di tutti gli altri, e così in una sala da concerto in cui echeggi la musica di Beethoven vi sono 1 La Sortala in sii maggiore op. 106, è la ventinovesima della serie delle trentadue, mentre la trentaduesima, op. Ili, è in do minore. Sembrerebbe che Schumann abbia sbagliato i conti, sebbene non si possa escludere che egli calcolasse anche le tre cosiddette Kurfurslen Sonaten, pubblicate nel 1783 senza numero d’opera. Tenendo conto delle tre Sonate giovanili, l’op. 106 diventa effettivamente la trentaduesima. [P.R.]

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dozzine di giovani ciascuno dei quali, col cuore beato, dice dentro di sé: “Come me non lo capisce nessuno.’" Animato dalle migliori intenzioni credo quindi di poter interpretare questa Sonata come un quadro di vita vissuta del compositore stesso, un momento che egli, più o meno consapevolmente, ha trasferito nella sua arte creando un pezzo di intimi chiari di luna e di incanti di usignoli quale solo la gioventù sa creare, un pezzo in cui però interviene spesso anche una mano satirica jeanpauliana per non allontanarsi troppo dal senso comune della realtà. Se non erro, il compositore voleva addirittura dedicare questa composizione a un personag­ gio di Jean Paul, Liane von Froulay; ma era un’idea che qualche esperto di dediche gli deve aver sconsigliato di realizzare, dato che la fanciulla era già morta da molto tempo, e per di più in un libro. Ma Liane avrebbe ugualmente compreso questa Sonata, sia pure con l’aiuto di Siebenkàs, che ha inserito una cometa, un foglio extra, nello Scherzo. La Sonata può dunque iniziare il suo viaggio in questo prosaico mondo: ovunque lascerà traccia di sé. I vecchi scuoteranno le teste inparruccate, gli organisti lamenteranno la mancanza di Fughe, e i consiglieri di corte di Flachsenfingen si chiederanno se è stata composta ad majorem Dei gloriavi,2 il che dev’essere scopo e merito della musica... Per intanto questo giova­ ne artista tenga la testa a posto, lasci che la metropoli urli e strepiti intorno a lui e se ne ritorni presto a casa con raddoppiata ricchez­ za. E se porterà con sé la sua decima Sonata gli mostreremo volentieri queste righe in cui abbiamo espresso le migliori speran­ ze sul suo futuro indicandolo come uno dei compositori più geniali e più ricchi di talento. Ci resta ancora da parlare della terza Sonata, quella di Grund; abbiamo sufficienti motivi,3 come dice Florestano giocando con le parole, di attenderci qualcosa di valido e di eccellente. Giù il cappello di fronte al primo movimento! A mio parere esso vale tutta la Sonata: qui vi sono commozione, slancio e fantasia; gli altri movimenti sono inferiori. Vi è una Sonata di Beethoven [op. 90] abbastanza simile a questa nella forma: è una delle più splendide, in cui al primo movimento ardito e appassionato (in mi minore), segue un movimento semplice ed arioso (in mi maggiore) e con ciò 2 Motto del Deutscher Nalionalverein di G. Schilling e dei relativi Annuari. [M.K.] 3 Gioco di parole sul nome del compositore (Grund significa, tra l'altro, "motivo"). [G.T.]

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si conclude la Sonata. Quella di Grund è strutturata in modo analogo; ma, come s’è detto, rispetto all’inventiva del primo movi­ mento gli altri risultano troppo pallidi. Può darsi che gli altri movimenti siano stati scritti molto tempo dopo che il primo era stato terminato, sicché il compositore non era più in grado di proseguire nello stato d’animo originale. La fantasia del musicista, infatti, scava in modo così delicato che, una volta che si è persa la traccia o che il tempo ha di nuovo riempito di terra il cunicolo che si era scavato, è davvero un raro e fortunato caso se si riesce a riannodare il filo del discorso; ecco perché un’opera interrotta, messa da parte, difficilmente sarà poi terminata; è meglio che il compositore ne cominci un nuova, abbandonando completamen­ te lo stato d’animo precedente. Se in questa Sonata di Grund le cose non sono andate così come io sospetto, lo sbalzo fra il primo movimento e gli altri va allora interpretato come un indebilimento delle energie creative, e ciò sarebbe una critica assai dolorosa. Ma basta: il primo movimento è sufficiente a farci esprimere la nostra stima nei confronti del compositore. La tonalità di questo movi­ mento è sol minore, una delle tonalità predilette dai musicisti, in cui sono già nati tanti capolavori: il carattere è corrispondente all’aggettivo che, comparativamente, abbiamo usato all’inizio di questo articolo. Vorremmo che questo degnissimo compositore, forse troppo timido e modesto, fosse meno parsimonioso nel pubblicare le sue opere: può star certo che i migliori non gli faranno mancare la loro attenta partecipazione.

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1840

Per l’apertura dell’annata 1840. - La Sinfonia in do maggiore di F. Schubert. — Pezzi da concerto e Concerti per pianoforte. H. W. Ernst. — Le quattro Ouvertures per il Fidelio, — Die Zerstorung Jerusalems. — A. Lwoff. — Pezzi brevi per pianoforte. — Franz Liszt. - I festeggiamenti in onore di Gutenberg a Lipsia. Un’opera danese. — Un concerto d’organo di Mendelssohn. — Tre buoni fascicoli di Lieder. - Trii con pianoforte. - La vita musicale a Lipsia nell’inverno 1839-1840.

79. PER L’APERTURA DELL’ANNATA 1840

La rivista inizia con oggi il suo dodicesimo semestre. Una simile ricorrenza stimola pensieri di ogni tipo e in tale occasione possono ben manifestarsi desideri e speranze; la bella festa ci fa perdonare i nostri peccati. Nella lotta delle opinioni noi siamo intervenuti, lottando ed esprimendo le nostre opinioni sempre attenendoci ad un principio: dedicare la nostra attenzione e la nostra cura all’arte tedesca sopra tutto. Incrollabile sussiste in noi la convinzione che non siamo certamente arrivati ancora alla fine della nostra arte, che ancora molto ci resta da fare, che fra di noi vivono dei talenti che ci confortano nella nostra speranza in un prossimo ricco periodo di fioritura musicale e che ne nasceranno di ancora maggiori. Senza tali speranze a che servirebbe tutto questo parlare e creare? A che scopo occuparsi di un’arte in cui non si spera di poter più raggiungere alcunché? Gli altri, invece, quelli che si sentono ancora forti, che si considerano qualcosa in più che semplici lavoratori pompeiani e che non perdono tempo ed energia a studiare i vecchi templi e i palazzi per poterne poi costruire di nuovi, vogliano costoro offrirci, oggi, nuove e grandi opere: da parte nostra, ne siano sicuri, giungerà loro certamente il nostro più vivo riconoscimento.

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80. LA SINFONIA INDO MAGGIORE DI FRANZ SCHUBERT

Il musicista che visiti per la prima volta Vienna può bearsi per un po’ di tempo del festoso rumore delle strade e più volte fermarsi ammirato davanti al campanile di Santo Stefano; ma presto si ricorderà che non lontano dalla città si trova un cimitero, per lui più importante di tutto ciò che la città ha di più notevole, dove riposano, a pochi passi di distanza l’uno dall’altro, due dei più grandi spiriti della sua arte. 1 Come me, già più di un giovane musicista sarà andato, dopo ì primi giorni di irrequieto entusia­ smo, al cimitero di Wàhring per deporre su quelle tombe un omaggio floreale, foss’anche solo un mazzo di rose selvatiche, quali ho visto piantate accanto alla tomba di Beethoven. Il sepolcro di Franz Schubert era invece disadorno. Si era così finalmente avve­ rato un fervido desiderio della mia vita ed io rimasi a lungo in contemplazione delle due sacre tombe, quasi invidiando quel tal conte O’Donnel12 (se non ricordo male il nome) che giace proprio in mezzo a loro. Guardare in viso per la prima volta un grand’uo­ mo, stringere la sua mano, è certo fra i momenti più desiderati di ognuno. Se non mi è stato concesso di poter salutare in vita quei due artisti che io sommamente venero fra i musicisti moderni,

1 Nel cimitero di Wàhring. Le salme di Beethoven e Schubert vennero esumate nel 1863 per operare delle misurazioni scientifiche e poi nuovamente interrate. Nel 1888 furono infine traslate al cimitero centrale, accanto al monumento a Mozart. 11 cimitero di Wàhring non esiste più da lungo tempo, e al suo posto si trova un parco intitolato a Schubert. [M.K.] 2 Fra la tomba di Schubert e quella di Beethoven c’erano tre tombe: fra l’altro quella del conte e della contessa O’Donnel. [M.K.]

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dopo quella visita funebre avrei voluto almeno aver vicino qualcu­ no che fosse stato loro vicino, o meglio di tutto, pensavo fra me, uno dei loro fratelli. Tornando a casa mi venne in mente che un fratello di Schubert, Ferdinand, era in effetti ancora in vita, una persona che il Maestro, come sapevo, stimava moltissimo. Subito andai a fargli visita e lo trovai somigliante al fratello (per l’immagine che ne conoscevo dal busto posto accanto alla tomba di Schu­ bert), più piccolo, ma di salda corporatura, nell’espressione del suo viso si vedevano lealtà e musica in egual misura. Egli mi conosceva per un grande ammiratore di suo fratello, avendo io espresso tale mia venerazione in varie occasioni, e mi raccontò e mi mostrò molte cose, alcune delle quali sono nel frattempo già state pubblicate, con la sua autorizzazione, sulla rivista sotto il titolo di Reliquie. Infine mi fece vedere alcuni dei suoi tesori, le composizio­ ni di Franz Schubert che ancora sono nelle sue mani. La ricchezza lì accumulata mi fece fremere di gioia; da dove cominciare, dove fermarsi? Fra le altre cose egli mi mostrò le partiture di numerose Sinfonie, moke delle quali non sono ancora state eseguite, varie volte ritoccate e infine messe da parte in quanto troppo difficili e ampollose. Bisogna conoscere Vienna, le particolari situazioni inerenti aH’organizzazione dei concerti, le difficoltà di mettere insieme i fondi necessari all’allestimento di grandi esecuzioni, per scusare il fatto che qui, dove Schubert è vissuto e ha operato, a parte i suoi Lieder capita di sentire poco o nulla delle sue maggiori opere strumentali. Chi sa quanto tempo anche la Sinfonia di cui oggi parliamo sarebbe dovuta rimanere ancora coperta di polvere e nell’oscurità se io non mi fossi subito accordato con Ferdinand Schubert per inviarla a Lipsia alla direzione dei concerti del Gewandhaus o direttamente all’artista stesso che li dirige,3 al cui acuto sguardo difficilmente può sfuggire anche la più timida bellezza sbocciante, non parliamo poi di una bellezza così palese, così magistralmente abbagliante. Così si realizzò la cosa. La Sinfo­ nia arrivò a Lipsia, fu ascoltata,4 compresa, riascoltata con gioia ed

3 Mendelssohn. [M.K.] 4 141 Sinfonia fu eseguita il 23.3.1839 è ripetuta poi nel dicembre dello stesso anno e in marzo e aprile del 1840, sempre sotto la direzione di Mendelssohn. La partitura fu pubblicata nel 1849. [M.K.]

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ammirata quasi unanimemente. L’attiva casa editrice Breitkopf & Hàrtel acquistò l’opera e i relativi diritti, e così ora essa è pronta nelle parti e presto speriamo anche in partitura, come ci auguria­ mo per l’utilità e il bene del mondo. Lo dico subito apertamente: chi non conosce questa Sinfonia conosce ancora poco di Schubert, e questa lode può sembrare quasi incredibile dopo tutto ciò che Schubert ha già donato all’ar­ te. Si è ripetuto tante volte, e a dispetto dei compositori, che “dopo Beethoven bisognava astenersi da progetti sinfonici”, e in parte è anche vero che, a parte alcune isolate opere orchestrali di una certa importanza (che però rivestivano un certo interesse solo per quanto concerneva la valutazione del cammino percorso dai loro compositori, senza esercitare un decisivo influsso né sulla massa né sul progresso di questo genere compositivo), a parte tali opere, dicevo, la maggior parte delle altre è stato solo un opaco riflesso dello stile bcethoveniano, per non parlare poi di quei fiacchi e noiosi mestieranti della Sinfonia che avevano la forza di imitare passabilmente la cipria e la parrucca di Haydn e di Mozart senza però possedere le relative teste. Berlioz appartiene alla Francia e viene citato di tanto in tanto solo come un interessante straniero e come un tipo bizzarro. Ciò che io avevo presentito e sperato (e forse molti altri con me) si era realizzato nel modo più splendido: Schubert, che già in tanti altri generi si era dimostrato sicuro nelle forme, fantasioso e vario, aveva afferrato a modo suo anche la Sinfonia, era riuscito a cogliere il punto giusto per accostarsi ad essa e per essa giungere alle masse. Certo egli non pensò di proseguire la Nona Sinfonia di Beethoven, bensì, da diligente artista quale era, creò ininterrottamente, attingendo a sé solo, una Sinfonia dopo l’altra; che ora il mondo possa vedere subito la sua settima senza aver visto lo sviluppo preparatorio e non conoscen­ do le opere che la precedono, in ciò è forse l’unico inconveniente a cui potrebbe dar luogo la sua pubblicazione, in quanto potrebbe causare un fraintendimento dell’opera stessa. Può anche darsi che presto siano tolti i sigilli anche alle altre Sinfonie; la più piccola fra queste avrà pur sempre un certo significato in quanto opera di Franz Schubert; gli organizzatori del concorso di Vienna per una Sinfonia non avrebbero dovuto cercare troppo lontano l’opera meritevole dell’alloro: sette ce n’erano, una sull’altra, nello studioio di Ferdinand Schubert in un sobborgadi Vienna. Qui si poteva dare una degna corona! Ma così capita spesso: se a Vienna parlia­ 725

mo ad esempio di ***,5 i viennesi non finiscono mai di lodare il loro Franz Schubert, ma quando sono fra di loro, allora nessuno dei due vale più niente. Comunque sia, ristoriamoci ora alla pienezza dello spirito che sgorga da quest’opera preziosa. E pur vero che questa Vienna, col suo campanile di Santo Stefano, con le sue belle donne, lo sfarzo delle sue vie e dei suoi palazzi, cinta com’è dal Danubio come da innumerevoli nastri, distesa nella fiorente pianura che gradualmente sale a monti sempre più alti, questa Vienna con tutti i suoi ricordi dei massimi Maestri tedeschi deve essere un fecondo terreno per la fantasia di un musicista. Spesso, contemplando la città dalle alture dei monti, mi è venuto in mente che sicuramente qualche volta lo sguardo irrequieto di Beethoven si deve essere spinto verso quella lontana catena alpi­ na, che Mozart può forse spesso aver seguito sognante il corso del Danubio che sembra voler sparire fra boschi e foreste e che Papà Haydn avrà certo dato spesso un’occhiata al campanile di Santo Stefano, scuotendo il capo di fronte a tanto vertiginosa altezza. Mettete insieme le immagini del Danubio, del campanile di Santo Stefano e delle Alpi lontane, aggiungete un leggero alone di incenso cattolico e avrete un’immagine di Vienna; e se ora imma­ giniamo l’incantevole paesaggio vivo innanzi vibreranno corde che altrimenti mai potrebbero risuonare in noi. Nella Sinfonia di Schubert, con la sua chiara, fiorente e romantica vitalità, oggi la città mi sorge innanzi più distintamente che mai, e mi è chiaro come proprio in questi luoghi possano essere nate opere simili. Non voglio provarmi a leggere un programma nella Sinfonia: le varie età interpretano la musica in modi troppo diversi fra loro, sia che scelgano parole o immagini, e spesso il giovane diciottenne sente in una musica un avvenimento di portata mondiale dove l’uomo maturo vede solo un evento di importanza locale, mentre il musicista non ha pensato né all’una cosa né all’altra, bensì ci ha offerto solo la musica migliore che aveva nel cuore. Ma crediamo comunque che il mondo esterno, oggi con le sue luci, domani con le sue ombre, spesso penetri nell’animo del poeta o del musicista e che perciò in questa Sinfonia si celi qualcosa di più di una semplice bella cantabilità, più dei semplici sentimenti di dolore e di gioia quali la musica ha già in cento diversi modi espresso: essa ci

5 Quasi sicuramente si allude a Mendelssohn. [M.K.]

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conduce in una regione dove non possiamo assolutamente ricor­ dare di essere già stati in precedenza; per essere d’accordo con noi basta che ascoltiate questa Sinfonia. In essa, a parte la tecnica compositiva magistrale, c’è vita in tutte le sue fibre, un vivo colorito fin nelle più sottili sfumature, ovunque c’è un significato profondo, la più acuta espressione di ogni particolare, e su tutto, infine, si effonde un romanticismo quale già si conosce in altre opere di Franz Schubert. E questa sublime lunghezza della Sinfo­ nia è simile a quella di un ponderoso romanzo in quattro volumi ad esempio di Jean Paul, che non può mai finire per l’ottima ragione di lasciare immaginare il seguito al lettore stesso. Come ci riconforta tutto ciò, questo senso di ricchezza sparso ovunque, mentre in altri autori si deve sempre temere la fine in quanto troppo spesso dobbiamo rimanerne delusi. Sarebbe quasi incom­ prensibile capire dove Schubert abbia potuto acquistare questa straordinaria facilità e splendida maestria nel trattare l’orchestra se appunto non si sapesse che questa Sinfonia è preceduta da altre sei, 6 e che egli la scrisse nella piena maturità.7 Dobbiamo senz’al­ tro definire un talento straordinario chi come lui (che in vita potè ascoltare così poco delle proprie opere orchestrali) è pervenuto a questo modo assolutamente originale di trattare tanto i singoli strumenti quanto la massa dell’orchestra, che spesso dialogano fra loro come voci soliste e coro. Eccettuate molte cose di Beethoven, non ho mai trovato una simile somiglianza con l’organo della voce: un’identità quasi totale e assolutamente sorprendente; è il contra­ rio del modo in cui Meyerbeer tratta la voce. La completa indipen­ denza di questa Sinfonia rispetto a quelle di Beethoven è un altro indizio della maturità dell’artista. Si veda qui come il genio di Schubert si manifesti giusto e saggio. Cosciente della maggiore modestia delle proprie forze, evita di imitare le forme grottesche, le ardite relazioni quali incontriamo nelle ultime opere di Beetho­ ven; egli ci offre un’opera di forma assai leggiadra eppure assolu­ tamente nuova, senza mai allontanarsi troppo dal punto centrale,

6 in realtà almeno sette: Schumann non poteva ovviamente conoscere VOttava (Incompiuta) che era in possesso dell’amico di Schubert Anselm Hiittenbretter a Graz, e che fu eseguita per la prima volta a Vienna nel 1865. Inoltre la cosiddetta Sinfonia Gastein (di cui non s'è però trovata alcuna traccia) e un’altra Sinfonia incompleta, ambedue del 1822. [M.K.] 7 [R.S.] Sulla partitura è scritto “marzo 1828”; nel novembre Schubert morì.

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riportandoci sempre ad esso. Di ciò si accorgerà chiunque osservi la Sinfonia con una certa attenzione. La strumentazione brillante e nuova, l’ampiezza e l’estensione della forma, l’affascinante alter­ narsi dei diversi stati d’animo, l’intero nuovo mondo in cui noi siamo trasportati: tutto ciò ci potrà senz’altro inizialmente confon­ dere, come ogni volta che gettiamo il primo sguardo su qualcosa di inconsueto; ma sempre rimane comunque quella sensazione soave che proviamo alla fine di un’opera teatrale fiabesca ed incantata; ovunque si sente che il compositore era perfettamente padrone dell’argomento della propria storia, e la connessione generale apparirà col tempo chiara a tutti. La sfarzosa, romantica introdu­ zione dà subito quest’impressione di sicurezza, sebbene qui tutto appaia ancora ammantato di mistero. Totalmente nuova è anche la transizione da questa introduzione all’Allegro; il tempo non sembra assolutamente cambiare: improvvisamente siamo approdati, non sappiamo come. Analizzare, smembrare i vari movimenti non darebbe alcuna gioia né a noi né agli altri; per dare un’idea del ca­ rattere novellistico che la pervade bisognerebbe trascrivere qui l’inte­ ra Sinfonia. Non posso però congedarmi senza una parola dal secon­ do movimento, che ci parla con voci così toccanti. In esso si trova un passaggio, là dove un corno chiama come di lontano, che mi sembra essere disceso da un’altra sfera. Qui tutta l’orchestra sembra incanta­ ta ad ascoltare, come se un ospite celeste si aggirasse in essa furtivo. Questa Sinfonia ha dunque agito su di noi come mai nessuna dopo quelle di Beethoven. Artisti e amici dell’arte si sono riuniti per onorarla, ed io ho udito dal Maestro, che tanto accuratamente l’ha diretta offrendone un’esecuzione davvero splendida, alcune parole che avrei voluto riferire a Schubert quale messaggio di altissima gioia per lui. Forse dovranno passare degli anni prima che questa Sinfonia diventi familiare in Germania; ma senza dub­ bio essa non potrà mai essere dimenticata o trascurata: essa reca in sé l’eterno germe di giovinezza. E dunque la visita funebre, che mi aveva fatto ricordare un parente dello scomparso, mi ha portato una seconda ricompensa. La prima l’avevo avuta quel giorno stesso: sulla tomba di Beetho­ ven avevo infatti trovato un pennino d’acciaio che ho conservato come un tesoro. Lo uso solo nelle occasioni solenni, come oggi:8 possa esserne sgorgato qualcosa di gradito! 8 E anche per la copia autografa della propria Sinfonia n. 1. [M.K.]

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81. PEZZI DA CONCERTO E CONCERTI PER PIANOFORTE

F. Mendelssohn-Bartholdy, Serenata e Allegro per pianoforte con accompa­ gnamento d’orchestra W. Sterndale Bennett, Quarto Concerto per pianoforte J. N. Hummel, Ultimo Concerto per pianoforte

A proposito del primo pezzo mi torna utile il fatto di averlo ascoltato eseguito dal Maestro stesso in uno dei suoi momenti di vena migliore. La parte del pianoforte, da sola, lascia presagire solo la metà del fascino che il brano sa invece dischiudere piena­ mente quando c’è anche l’orchestra. Il titolo anticipa ciò che ci si può attendere da questa composizione: una serenata, una musica da sera, cui segue un fresco e sano Allegro. A chi sia destinata la prima, chi lo sa! Non ad un’amata: non è sufficientemente intima e segreta; nemmeno ad un grand’uomo: le manca tutto per essere destinata ad un tale scopo; io penso che sia semplicemente un omaggio alla sera stessa, un saluto alla vita suscitato nel poeta forse da una bella serata di luna; e se aggiungiamo che l’artista, dal suo studio, può vedere lo studiolo di Kantor di Sebastian Bach, si potrà forse spiegare ancor più facilmente questo pezzo. Ma a che scopo tante parole per una musica simile! A che serve dissezionare la grazia, frammentare la luce lunare per analizzarla! Chi compren­ de il linguaggio del poeta comprenderà anche questo; e se qualcu­ no, di recente, ha scritto da Jena che allo slancio fantastico di Mendelssohn manca talvolta la giusta elevazione, ebbene, prova un po’ ad andare sulla forca, liederista pigmeo di Jena, 1 se questa bella terra ti sembra troppo bassa! Purtroppo il Concerto di Bennett non l’ho ascoltato eseguito da lui stesso, né tantomeno suonato con l’orchestra. Preferisco perciò dire e lodare troppo poco piuttosto che troppo. Forse Bennett avrebbe dovuto indicare con maggiore dovizia le parti orchestrali

1 Allusione a Carl Banck. [M.K.]

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o comunque dare al pianista la possibilità di suonare anche queste. I compositori, che hanno in testa la loro opera, su questo punto in genere pretendono troppo, e d’altra parte di esecutori che sappia­ no supplire alla mancanza dell’orchestra ad esempio cantando le parti degli strumenti ce ne sonò davvero pochi. Questo Concerto è scritto nella solita vecchia forma in tre movimenti, la tonalità è fa minore, il carattere tende alla severità, pur senza giungere ad una lugubre tristezza. Un’amabile Barcarola porta dal primo all’ultimo movimento; a quanto mi dicono, questo brano in particolare ha fatto sì che il Concerto conquistasse i cuori di tutti quando l’autore l’ha eseguito qui a Lipsia. In senso ben diverso da quello in cui altri compositori lo dicono per battuta scherzosa, si può dire che Vacqua abbia una parte importante nelle composizioni di Bennett, come se l’inglese non si potesse mai smentire, neppure in questo campo. Questa Barcarola, che con l’orchestra deve dare un effetto vera­ mente affascinante, si ricollega alle sue opere più riuscite: l’Ouverture alle Najadi e i suoi Schizzi magistrali, Il lago, Il ruscello nel bosco 2 e La fontana. Gli altri movimenti non offrono niente di nuovo sul piano formale, o meglio: cercano la novità non nell’effetto appari­ scente ma piuttosto nella semplicità; così, ad esempio, alla fine degli assolo, là dove gli altri Concerti rovesciano trilli su trilli, Bennett invece interrompe il trillo o lo fa svanire in diminuendo, quasi che addirittura volesse impedire l’applauso; in tutto il Con­ certo nulla vien fatto in funzione della bravura tecnica o dell’ap­ plauso: solo la composizione deve apparire, il virtuosismo esecuti­ vo è cosa secondaria, è solo una premessa. Nuove combinazioni tecniche o nuovi problemi per le dita, dunque, non se ne trovano, anche se per l’esecuzione è necessaria una notevole maestria, peraltro appunto più musicale che tecnica, ed è inoltre richiesta la capacità ora di sapersi subordinare all’orchestra, ora di saperla dominare. Di belle melodie se ne trovano a profusione, le forme sono affascinanti e scorrevoli come sempre nelle composizioni di Bennett. L’ultimo movimento ha un effetto piuttosto umoristico, in contrasto col carattere del compositore, ma anche in questo caso la sua natura lirica finisce con l’emergere. Quanto detto può bastare come rapido accenno. Bennett gode già di un buon nome in Germania, e quindi per stimolare i pianisti più seri a conoscere

2 II titolo esatto è The Millstream [Il ruscello del mulino]. [G.T.]

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questo Concerto basterà dire che esiste. Voglia il cielo che egli possa lavorare e creare ancora a lungo per il bene della vera arte! Nel titolo era indicato infine un Concerto di Hummel, probabil­ mente l’ultima cosa che egli scrisse: l’autore, infatti, non ha potuto vederlo pubblicato. Anche in questo caso basta il nome per sapere in partenza che cosa ci si può attendere. Chiaramente quest’opera non può essere considerata come una composizione del suo perio­ do aureo, quello che ha visto nascere il Concerto in la minore, la Sonata in fa # minore e altro, e nessuno potrà pretendere di metterla su quel piano. Vecchiaia e infanzia si toccano tanto spesso nella vita quanto nell’arte. Per cui il Concerto non manifesta una crescita rispetto alle opere precedenti, ma è piuttosto un ritorno alle sue primissime composizioni, senza pretese, perfettamente compiuto nel cerchio delle idee, quasi fin troppo ingenuo sul piano melodico, i passaggi solistici leggiadri e puliti come da sempre li conosciamo in Hummel. Non dovrebbe causare reazioni negative: la Allgemeine Musikalische Zeitung può dire ciò che vuole. Il petto dell’artista è già ornato da tante meritate decorazioni onorifiche che non gli è certo necessario aggiungerne di nuove; un entusiastico e sgraziato fervore metterebbe piuttosto in sospetto. La rivista tornerà prossimamente su altre opere postume del compianto Maestro.

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82. H.W. ERNST

Le parole di Berlioz secondo cui Ernst un giorno farà parlare di sé il mondo quanto Paganini iniziano ad avverarsi. Ho ascoltato quasi tutti i grandi violinisti del nostro tempo, da Lipinski giù giù fino a Prumè. Ognuno di loro aveva il proprio seguito di entusiasti ammiratori. C’era chi parteggiava per Lipinski: ciò che più colpi­ sce è la sua straordinaria individualità, è sufficiente aver sentito anche solo un paio dei suoi suoni potenti. Altri smaniavano per Vieuxtemps, il più geniale fra i giovani Maestri, che già ora è arrivato tanto in alto che non si può non pensare con un segreto timore al suo futuro. Ole Bull è come un profondo enigma di cui non si riesce mai a venire a capo, e ha trovato molti nemici; e così pure Bériot, Ch. Miiller, Molique, David, Prume hanno ciascuno il proprio pubblico, il proprio sostenitore nella critica. Ernst, invece, un po’ come Paganini, è in grado di soddisfare tutti i partiti, di guadagnarsene la simpatia ogni volta che lo voglia, essendo come Paganini — profondo conoscitore di ogni scuola, posseden­ do una multiforme, eclettica originalità. Anche sul piano della forza improvvisativa, la più affascinante specialità di ogni virtuoso, egli sta accanto a Paganini, e su questo punto può certo aver esercitato una notevole influenza la sua passata assidua frequenta­ zione del Maestro italiano. Ernst è nativo di Brno, si trasferì assai giovane a Vienna frequentando il locale Conservatorio, conobbe poi Paganini e nel 1830 compì la propria prima tournée sulle rive del Reno proprio nello stesso periodo in cui Paganini era là. Il suo straordinario virtuosismo, benché recasse palesemente in sé anco­ ra molte cose dello stile paganiniano, fece già allora impressione. Con giovanile spavalderia dava sempre i propri concerti proprio nelle città dove Paganini aveva appena suonato. Con piacere 733

ricordo quei concerti in alcune città sul Reno, sempre seguito come un Apollo da un gruppo di Muse di Heidelberg. 11 suo nome era ovunque noto. Poi per lungo tempo non si sentì più parlare di lui; era andato a Parigi, dove ci vuole molto tempo anche solo per arrivare ad essere ascoltati. Instancabili studi lo fecero però pro­ gredire, l’influsso di Paganini sparì gradualmente finché negli ultimi anni abbiamo visto riemergere il suo nome, e per di più accanto ai maggiori violinisti parigini. Il suo antico desiderio di rivedere la propria terra natale, di dar prova alla propria patria della maestria acquisita, si ridestò in lui. Dopo aver compiuto nelfinverno passato una tournée in Olanda, dove ha tenuto in pochi mesi 60-70 concerti, dopo una breve pausa di riposo a Parigi venne difilato in Germania. Da artista puro e sicuro della propria arte quale egli è, aveva disdegnato di preannunciare il proprio arrivo. Invitato da Marschner, fece la sua prima comparsa a Hannover e diede poi molti concerti ad Amburgo e nelle città vicine. E abbiamo potuto ascoltarlo anche qui da noi, quasi del tutto inaspettato. La sala non era stracolma, ma il pubblico sem­ brava due volte tanto, tale era il tripudio con cui fu accolto. Il pezzo forte della serata erano le Variazioni di Mayseder a cui egli, in perfetta vena, aggiunse alcune altre proprie Variazioni conclu­ dendo con una cadenza quale solo avevamo ascoltato da Paganini quando con spavaldo umorismo dà libero sfogo a tutte le arti magiche del suo archetto. L’applauso che seguì superò di gran lunga il consueto entusiasmo della Germania del Nord, e se fossero state preparate delle corone di fiori queste sarebbero volate a schiere in direzione del Maestro. Ma presto non mancherà anche questo riconoscimento, anche se lui, uomo di grande mode­ stia, taciturno e quasi introverso, rifugge da tali manifestazioni di entusiasmo. Lo ascolteremo ancora una volta lunedì prossimo. La ferrovia ce l’ha rapito per alcuni giorni portandolo nella vicina capitale. Ma presto pensiamo di poterne parlare nuovamente (egli ci farà ascoltare il suo Carnevale di Venezia), 1 di lui a cui il celebre

1 Durante il concerto del 27.1.1840 Ernst suonò infatti le proprie Variazioni sul Carnevale di Venezia. Così Schumann ebbe a scriverne: “Le ha suonate come ultimo pezzo, andando contro la regola di Jean Paul, secondo la quale i virtuosi dovrebbero suonare il pezzo di maggiore effetto subito all’inizio. Il pubblico ne è stato entusiasta. Paganini ha variato lo stesso tema (o cara mia marna) in modo simile. Si tratta di una trentina di Variazioni su un tema di otto battute, assai caratteristiche, variopinte, argute e spiritose,

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mago italiano sembra aver affidato il segreto della propria arte dopo il suo ritiro dalle scene 2 perché i Maestri possano avere un punto di riferimento con cui confrontarsi, per stimolare i giovani all’emulazione e per il sommo piacere di tutti, 14 gennaio.

figure da stereoscopio fra cui spiccano più frequentemente Pulcinella e Colombina. Il pubblico è scoppiato spesso in chiare risate. L'applauso è stato scrosciante, anche se il pubblico per il resto della serata non era sembrato in ottima vena". [M.K.] 2 Già nel 1839 Paganini si era infatti ritirato a Genova gravemente ammalato, e poi a Nizza, dove morì il 27.5.1840. [M.K.]

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83. LE QUATTRO OUVERTURES PER IL FIDELIO 1

A lettere d’oro dovrebbe essere stampato ciò che l’orchestra di Lipsia ha eseguito giovedì scorso: tutte le quattro Ouvertures per il “Fidelio” una dopo l’altra. Grazie a voi, viennesi del 1805, cui non piacque la prima, tanto da indurre Beethoven in un divino accesso di rabbia a crearne furiosamente una dopo l’altra ancora tre! Mai egli mi apparve così possente come quella sera, in cui abbiamo potuto spiarlo immerso nel lavoro nella propria officina — mentre creava, scartava, modificava — sempre focoso e ardente. Più gigantesco egli si è mostrato senz’altro nel secondo assalto. La prima Ouverture non era piaciuta: “Un momento!”, disse fra sé, “con la seconda dovrà passarvi la voglia di pensare”, e si rimise al lavoro, fece ripassare davanti alla propria mente il commovente dramma e cantò ancora una volta i grandi dolori e la grande gioia dei suoi innamorati; è demoniaca, questa seconda Ouverture, e in certi particolari addirittura più ardita della terza, la più famosa grande Ouverture in do maggiore. Ma poiché anche quella non lo soddisfaceva egli la mise di nuovo da parte e mantenne soltanto alcuni pezzi con cui costruì poi la terza con più calma e più arte. Più tardi seguì ancora quella più facile e popolare in mi maggiore che di solito si ascolta come Ouverture in teatro. Questa è la grande opera costituita dalle quattro Ouvertures; a

1 In questo articolo Schumann incorre (come tutti i suoi contemporanei) in un errore indotto da un’inesattezza di Schindler: in realtà l’Ouverture qui indicata come prima è la terza in ordine di composizione (è infatti stata scritta nel 1807 e pubblicata nel 1832 da Haslinger come op. 138), preceduta dalle presunte n. 2 (del 1805 e conosciuta solo nel 1840) e n. 3 (del 1806) e seguita infine dalla n. 4 (del 1814). La verità fu infine accertata da Nottebohm. Cfr. anche artt. 93 e 105, in cui tale errore è ovviamente ripetuto. [M.K.]

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somiglianza di come la natura crea, noi vediamo prima l’intreccio delle radici da cui poi nella seconda si solleva il fusto gigantesco, allargando le proprie braccia a destra e a sinistra per poi conclude­ re con un leggero cespo di fiori.

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84. DIE ZERSTÒRUNG JERUSALEMS [LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME]

Oratorio di Ferdinand Hiller 1 Prima esecuzione a Lipsia

Il giudizio su un’opera tanto grandiosa e complessa non può essere, dopo un solo ascolto, altro che un giudizio vago e generico. L’esecuzione ha avuto luogo ieri sera sotto la direzione del compo­ sitore stesso; l’incasso è stato devoluto in beneficenza ai poveri della nostra città. Coro e orchestra erano a ranghi assai numerosi. Delle precedenti opere di Ferdinand Hiller la nostra rivista ha sempre dato fedele conto riservando una grande e costante atten­ zione al suo notevole impegno. Dopo alcuni anni che il composito­ re ha trascorso in Italia e durante i quali non abbiamo più ascoltato nulla di suo, egli ci si ripresenta nel modo più degno, con un’opera ricca di cose eccellenti e originali, tanto che noi possiamo attender­ ne con gioia la prossima pubblicazione. Ciò che in essa ci è soprattutto piaciuto è l’energia delle tinte, lo stile solido e severo, in certi punti il grande fascino pittorico e fantastico. L’Italia, da cui i nostri giovani erano finora sempre tornati con idee sbagliate, ha invece conferito alla sua musica grazia e morbidezza senza togliere a lui nulla della sua forza tedesca; non troviamo le parole per esprimere la nostra soddisfazione. Il testo (del Dr. Steinheim) è abbastanza facile, l’azione è nota. I personaggi sono: Zedechia, re di Giuda, Chamital, sua madre, Geremia, Achicam e sua sorella, e alcuni altri personaggi secondari. I caratteri sono delineati con acutezza di tratti, soprattutto quello di Chamital. A nostro parere il poeta avrebbe dovuto infondere più energia al personaggio di Geremia: la musica doveva naturalmente seguire il testo. Le cose più pregevoli e, sul piano musicale, le più valide ed artistiche si

1 [R.S.] Cfr. il successivo articolo 94, del 1841.

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trovano nei cori, i quali sono stati ascoltati tutti con grande parteci­ pazione; fra questi emergono in particolare: Eine Seele tief gebeuget [Un’anima piegata dal dolore], i due cori dei Servi di Zedechia, il coro finale della prima parte, quello degli Israeliti Du Gott der Langmut [Tu, Dio di indulgenza] e Wir ziehn gebeugt [Emigriamo, oppressi dal dolore]. Questo Oratorio si distingue sostanzialmente dal Paulus', si proietta più verso il futuro. Vi ritorneremo sopra in occasione della pubblicazione a stampa dell’opera. Sotto la guida tranquilla e sicura del compositore l’esecuzione è stata davvero eccellente.

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85. ALEXIS LWOFF

Il compositore del famoso inno nazionale russo e di altre opere ancora in attesa di pubblicazione, il Colonnello Alexis Lwoff, aiutante di campo di S. M. l’imperatore di Russia, è giunto qui da noi alcuni giorni fa. La sua opera, per quanto indirizzata alle alte sfere data la sua posizione, ha tuttavia conseguito una fama quasi europea, sicché non temiamo di essere fraintesi se oggi ci permet­ tiamo di aggiungere pubblicamente una modesta foglia alla sua corona d’alloro. L’onorevole ospite ha infatti offerto l’occasione ad una ristretta cerchia di conoscere la sua originale arte di violinista. Chi scrive annovera quell’ora fra le più belle che la musica e i suoi artisti gli abbiano mai donato. Il Sig. Lwoff è un esecutore di rara bravura, tanto da poter essere accostato ai maggiori artisti in questo campo; quasi una manifestazione di un’altra sfera, musica sgorgata nella sua più profonda purezza; una musica così nuova, così originale, così fresca in ogni suono, che non si poteva che restarne catturati ad ascoltare un pezzo dopo l’altro. Purtroppo spesso l’artista di mestiere perde, nel tumulto del mondo, quei beni inestimabili, quell’innocenza, quella serena naturalezza della forza artistica: egli le deve spesso purtroppo sacrificare alle basse richieste della massa finché poi esse scompaiono definitivamente nella routine della vita artistica. A ciò ripenserà forse più d’un grande artista quando gli capiterà di ascoltare quest’uomo a cui la sorte ha voluto concedere una posizione di assoluto privilegio; e rifletterà anche sulla differenza esistente tra la maestria del musici­ sta di professione e quella di quest’uomo, una maestria che accan­ to al piacere che ci dà trovarci di fronte ad una grande perfezione artistica ci concede anche il piacere di vedere una persona integra, bella, rimasta fresca e vitale interiormente. E tutto ciò lo dico dopo

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aver ascoltato solo due Quartetti, uno di Mozart e uno di Mendels­ sohn, in cui il Sig. Lwoff suonava il primo violino. Il compositore era presente di persona: si capiva che raramente egli aveva potuto ascoltare la propria musica meglio eseguita. E stato un grandissi­ mo piacere. Se nella città imperiale russa ci sono altri dilettanti dello stesso livello, molti artisti avranno là più da imparare che da insegnare. Se un giorno queste righe capiteranno sotto gli occhi di quel personaggio degno della più alta venerazione, possano esse esprimergli la gratitudine di tutti coloro cui egli quella sera donò un’ora di felicità e che annoverano il suo nome fra i più degni di stima dell’arte dei giorni nostri.

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86. PEZZI BREVI PER PIANOFORTE

J. Schneider, 3 Notturni op. 1 Un’opera 1, che, come molte altre, non avrebbe dovuto essere pubblicata. Il compositore, probabilmente ancora giovane, è esi­ gente nei confronti dell’asecutore quasi come Henselt; ma, mentre Henselt offre dei fiori, costui invece mette in mano all’esecutore una manciata di fieno. Se vuole progredire come compositore gli consigliamo di comporre in un ambito di non più di quattro ottave e di non forzare le mani troppo oltre l’ottava. Se ad esempio Chopin pretendesse da noi che, dopo un pezzo tutto fuoco, suo­ nassimo alla fine un passaggio simile:

noi lo faremo volentieri; non però se ce lo chiedesse il Sig. Schnei­ der. Nessuno vuole affaticarsi per niente, e chi pretende molto deve anche dare molto. I Notturni portano i seguenti titoli: Viaggio serale sull’acqua, Penso a te, Saluto serale a Lei', mancano però di una qualunque raffinata caratterizzazione. Non vogliamo negare al compositore una certa morbida forza melodica; ma il godimento di questa, come s’è detto, è pagato troppo caro dall’esecutore che deve mettere in gioco tutte le sue forze fisiche. Su questa strada non andrà molto avanti... 743

Ignaz Tedesco, Serenata op. 8

Anche il compositore di questo pezzo, presentandocelo come Serenata, non potrebbe attendersi una grande lode: dall’alto della mia finestra lo ringrazierei dicendogli press’a poco così: “Un gesto premuroso merita gratitudine, ma chi non è musicista non do­ vrebbe fare musica, e chi vuole fare una serenata deve essere sicuro del fatto suo, se non vuole che, contro le sue speranze, le finestre vengano chiuse anziché aperte”, e con ciò io chiuderei le mie, abbandonando il cantore della serenata agli spiriti della notte. In altre parole: anche questo pezzo non avrebbe dovuto essere pubblicato, ed è davvero un peccato per quello splendido frontespizio di cui l’editore l’ha voluto così generosamente dotare.

Louis Lacombe, Capriccio op. 2 Per quanto amiamo i pezzi caratteristici, a volte preferiremmo però che certi giovani compositori ci presentassero dei Corali a quattro parti anziché delle pretenziose pitture sonore, che oltre­ tutto sono tali solo nel titolo. Questo Capriccio ha un titolo origina­ le: Les Adieux à la patrie, per cui ci si può ragionevolmente aspettare una specie di Adagio elegiaco, mentre invece questo giovane compositore ci offre un selvaggio Studio in mi minore. Sottoje sue dita (egli è un ottimo pianista) può forse, per un attimo, inganna­ re; ma poi (come dice Goethe) come è triste vederlo nero su bianco! Ammettiamo che il compositore possiede un certo spirito musicale, ma ha bisogno di una cura attentissima; egli oscilla ancora incerto fra tutti i possibili stili e scuole e finisce per svanire in un vuoto e scolastico pathos. Se, come abbiamo suggerito altre volte, si potesse fare in modo che il parlamento obbligasse gli editori a non pubblicare niente dei giovani compositori prima che questi abbiano presentato un intero volume di Corali a quattro parti, siamo certi che allora avremmo anche dei Capricci migliori.

Walter von Goethe, Allegro op. 2

Un grande nome è un’eredità pericolosa, come è già stato detto più volte. Salutiamo in questo compositore un nipote di 744

Goethe che lo chiamava scherzosamente, quando era ancora un bambino, il suo “musicista”, forse prevedendo, col suo spirito profetico, che Walter si sarebbe un giorno dedicato interamente alla musica, per la quale dimostrava già nei primi anni della sua vita, una certa predisposizione. Dopo un così piccolo lavoro chia­ ramente non possiamo verificare se in lui scorra del sangue goethiano, L’Allegro ha un certo movimento e gradualmente assume movenze quasi di danza; fa piacere in particular modo vedere la sua assoluta naturalezza e il facile fluire delle sue melodie. Il compositore, che non ha molto più di vent’anni, si è già misurato con opere di maggiore respiro e addirittura con un’opera teatrale; e poiché, come sa l’estensore di queste righe, egli è diligente e attivo, speriamo di avere presto la gradita occasione di parlare più ampiamente delle sue creazioni.

Alexander Fesca, 2 Notturni op. 5 3 Pezzi da salotto op. 7 Sono i primi lavori che vediamo di questo talento assai promet­ tente. Il compositore è, come ci dicono, figlio del compianto ed amabile musicista Fesca, e, forse in grazia di tale fatto, ha ben presto avuto dei vantaggi che altri, meno favoriti dalla nascita, hanno ottenuto solo più tardi. Queste composizioni, pur senza manifestare in assoluto forza e idee artistiche del tutto autonome, racchiudono però in sé freschi germi di vita e ci danno il ritratto di uno spirito musicale e ricco anche se non ancora del tutto autono­ mo. Il carattere espresso da queste composizioni è prevalente­ mente lirico; nei Pezzi da salotto i vari stati d’animo caratteristici sono ulteriormente precisati con alcune frasi tratte da poesie di Heinrich Schùtz. Nei Notturni non c’era bisogno di parole: essi si rifanno alle solite atmosfere a noi piacevolmente note da Field in poi. Ambedue le raccolte ricordano molto Henselt; i Pezzi da salotto sono stati intitolati dal compositore stesso Souvenir à Henselt, allon­ tanando in tal modo il sospetto di un plagio intenzionale. I germi del primo di questi pezzi si trovano, a parte la differenza delle tonalità, quasi letteralmente in un Impromptu in do minore di Henselt da noi pubblicato in uno dei nostri supplementi. Il compositore sembra peraltro cercare di emulare anche altri modelli, ad esempio Mendelssohn; anche le composizioni di

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Bennett non sembrano essergli del tutto sconosciute; un gusto che ci guardiamo bene dal voler contestare. Comunque sia, e per quanti influssi esterni possano agire su questo ancora giovane artista, ne rimane comunque a sufficienza per alimentare le mi­ gliori speranze per il suo futuro. Di recente sono comparse anche alcune sue opere di maggiori dimensioni, fra cui un Sestetto, e la nostra rivista ha già dato notizia che una sua opera 1 verrà prossi­ mamente rappresentata a Braunschweig. Con piacere attiriamo l’attenzione dei lettori su questo giovane compositore che, venuto al mondo con il vantaggio di un nome noto e stimato, sembra intenzionato a portare tale nome con onore.

Julie von Webenau (nata Baroni-Cavalcabò), Pezzifantastici op. 25

Il nome da nubile di questa stimata signora è comparso spesso sulle pagine di questa rivista. Ella ha espresso le sue felici attitudini musicali in particolare in molti Lieder, forse fra i migliori che la città imperiale ci abbia offerto, benché poi là siano altri i nomi all’ordine del giorno. Anche sul piano della musica strumentale le spetta comunque un posto di prima fila fra le compositrici. Ella è più di altre in grado di impostare e rifinire bene un pezzo di musica; scrive con armonie eleganti, ben scelte e spesso dolcemen­ te raffinate; le sue melodie sono intimamente sentite, talvolta echeggianti certi morbidi modi italiani. Spesso una donna che compone è guardata con sospetto, in quanto si pensa che abbia ricevuto consigli da qualcuno e che abbia infine lasciato il lavoro di lima a qualcun altro. Chi scrive sa esattamente che tutto ciò che questa compositrice ha pubblicato è di sua assoluta ed esclusiva proprietà, anche se il suo ex-insegnante (che come è noto è il figlio di Mozart) vive non lontano da lei. L’opera consiste in due brani di una certa ampiezza, intitolati rispettivamente LAdieu e Le Retour-, i titoli sembrano aggiunti solo in un secondo momento e rispecchia­ no il carattere della musica solo nelle linee più generali. Anche se quest’opera non è certo accostabile alla celebre Sonata di Beetho­ ven che reca i medesimi titoli, i due pezzi sono però sicuramente personali, ben caratterizzati e non difficili da suonare. Speriamo di11

11 Francesi in Spagna. [M. K.]

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avere spesso in futuro l’occasione di occuparci dei lavori di questa musicalissima dilettante.

C. G. Lickl, Ischler Bilder [Immagini di Ischi]. Con poesie di Sephine op. 57

L’autore, noto e stimato insegnante e compositore di Vienna, ci presenta qui sei graziosissimi ed eleganti idilli che, ispirati ad una delle più incantevoli zone dell’Austria, potranno contare su una benevola accoglienza anche fuori dalla loro patria. I vari numeri sono preceduti da poesie di Sephine, e come queste sono improntati ad una dolcezza non priva di profondità. Queste com­ posizioni nascono dal cuore e sembrano tutte essere state create con gioia in un momento felice. La musica, seguendo anche in ciò le poesie, non colpisce per particolare originalità; tuttavia l’idea di associare ad alcune poesie una musica autonoma individuando un percorso preciso ed unitario è abbastanza insolita e degna di essere emulata. Dal punto di vista specificamente pianistico questi pezzi dimostrano una preparazione assai approfondita e utilizza­ no anche qualche novità, dimostrando inoltre una certa dimesti­ chezza con le opere di Franz Schubert e con le trascrizioni di musiche schubertiane fatte da Liszt. Gli studenti potranno affron­ tare questi idilli con profitto e certo anche con piacere; non sono più difficili delle cose di Czerny e di Hunten, e inoltre rispetto a queste sono incomparabilmente più ricchi di contenuto e di bellez­ ze spirituali. L’ultimo numero, Al monte Calvario, è lo stesso che Liszt ha suonato in pubblico in uno dei suoi concerti viennesi; se dovessi però esprimere una preferenza per uno di questi idilli deciderei per il primo, Al lago Wolfgang, che mi sembra, sia nel complesso che nel dettaglio, il più delicato, il più fresco e il meglio riuscito.

W. H. Veit, Notturno op. 6 Introduzione e Polacca op. 11 Di questo giovane compositore praghese erano finora noti ed apprezzati solo alcuni Quartetti per archi; è un bene, sia per il compositore stesso sia per il pubblico, che il musicista si sperimenti nei più vari generi: non facendolo, rischierebbe facilmente di 747

cadere in formule stereotipate e manieristiche, e di ciò vi sono numerosi esempi viventi. Anche sulla tastiera abbiamo trovato il Sig. Veit esperto e capace di divertirsi; egli scrive in modo facile, tecnicamente comodo e piacevole, nel modo tipico dei boemi: in Boemia, infatti, la musica viene molto curata ed ascoltata; la sua capitale, Praga, ultimamente ha presentato una grande quantità di giovani compositori assai dotati, sì che davvero questa città non sfigura a confronto con la più grande Vienna. I due pezzi presen­ tati ci offrono esattamente ciò che i titoli promettono: un Notturno ricco di spontanea cantabilità e perfetto dal punto di vista formale, una Polacca basata su uno schietto passo di danza e di carattere assolutamente amabile e piacevole. Non sapremmo davvero, in ambedue i pezzi, che cosa cambiare; il compositore continui pure a creare ciò che vuole e ciò che può: chi riesce in tale compito, anche in una cerchia ristretta, potrà sempre contare su un sincero riconoscimento.

Eduard Franck, Capriccio op. 2 3 Pezzi caratteristici op. 3 La rivista già in passato si è occupata dell’opera prima di questo compositore, anch’egli ancora giovane: si trattava di due fascicoli di Studi; in tale occasione si era parlato di lui come di uno dei più attivi e promettenti allievi di Mendelssohn, e tale egli ci appare ancor oggi, se non forse addirittura ad un più alto grado, con queste sue due nuove opere. Certo, anche in queste lo vedia­ mo seguire l’indirizzo del maestro con tale dedizione che alcuni di questi pezzi potrebbero essere scambiati per composizioni del periodo giovanile (o, meglio, della fanciullezza) di Mendelssohn; ma ci sono anche delle cose personali, e ce n’è abbastanza da lasciar ritenere che egli si libererà gradualmente sempre più dal suo modello, per quanto ciò sarà possibile date certe innate parentele spirituali. Tale innata somiglianza si manifesta soprattutto nella grande intelligenza e serietà che accompagnano, nel più giovane autore, le notevoli doti compositive: egli è infatti in grado, ad esempio, di rendere interessanti certe idee, magari non troppo insolite, con un artificio tecnico (una raffinatezza armonica, o simili), e tale gioco gli riesce perfettamente. Chi ha imparato a fare ciò in anni giovani potrà poi disporre tanto più liberamente dei

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propri beni: se poi riuscirà a far saltare fuori il coraggio che tanto spesso ha dovuto reprimere durante i suoi anni di studio e parteci­ perà in prima persona all’opera, allora il compositore, che adesso lavora solo per il piacere dello spirito e dell’intelletto, saprà davve­ ro interessare anche per altri aspetti. Possa il prossimo futuro realizzare queste speranze. La nostra rivista ha sempre seguito con piacere i migliori fra i giovani artisti, anche se spesso ha dovuto cercare a lungo prima di poterne parlare in termini di incoraggia­ mento; con piacere attira oggi l’attenzione su questo giovane artista, davvero meritevole di una lode particolare. Per parlare in specifico delle sue ultime composizioni, vogliamo in special modo lodare il primo Capriccio dell’opera 3. Simile nell’impianto a certe composizioni di Mendelssohn, questo pezzo è però assai personale nei suoi ritmi mutevoli, è condotto sino alla fine con mano sicura e ardita e in particolare è affascinante per certi procedimenti armo­ nici assai originali; soprattutto questo brano dimostra che l’autore ha studiato Bach. E peraltro da rilevare che, in un tale scintillante gioco di figure e di gruppi, assai ricco di spirito, Mendelssohn, per esempio, come anche altri Maestri, sa sempre inserire un’idea tenera e melodica; se dovessimo indicare al compositore un argo­ mento da approfondire gli consiglieremmo appunto questo: inse­ rire una figura centrale, che abbia anche un effetto calmante, intorno alla quale le altre figure si attorcano e si intreccino. È difficile spiegarlo a parole, ma il compositore capirà senz’altro. Comunque il Capriccio, anche così com’è, suonato come merita susciterà una grande e ottima impressione. Anche il secondo è artisticamente valido e presenta alcune cose eccellenti, ma la conclusione scade un po’ nel luogo comune. L’ultimo Capriccio è una Fuga quasi in stile hàndeliano, basato su un tema estremamente ben delineato che dà luogo ad alcuni passaggi assai raffina­ ti: un pezzo assai pregevole, a parte la banalità di qualche singolo passaggio. Infine il Capriccio più ampio, quello che reca un nume­ ro d’opera tutto per sé, condivide sotto tutti i punti di vista i pregi che in generale abbiamo già riconosciuto al compositore; solo l’introduzione mi sembra un po’ opaca: può darsi che sia stata aggiunta dopo che il tempo veloce era già stato ultimato. In generale questo brano ricorda molto, se non nei particolari certo nel taglio complessivo, lo stile del maestro del compositore. Ci dispiace solo che non sia stato scritto con accompagnamento d’orchestra, il che sarebbe stato facilmente realizzabile con un 749

piccolo ampliamento formale. Il passaggio armonico di pagina 8, negli ultimi due sistemi, che conduce a la e a fa è ardito, ma non abbiamo niente in contrario. Qualche esecutore potrebbe forse preferire una conclusione più gratificante e brillante: in fondo sarebbe stata più logica. In nessun caso, comunque, vale la pena di cambiare qualcosa in questi pezzi; e anche per questo motivo vogliamo esprimere ancora un’ultima volta la nostra lode nei confronti di questo giovane ed eccellente artista. Non sapremmo trovare un modo migliore per concludere questo ciclo di presentazioni che quello di spendere alcune parole a proposito di un compositore ancora poco noto che di recente ci ha sorpreso con alcuni Scherzi per pianoforte a 4 mani che sono di gran lunga i migliori fra quelli pubblicati ultimamente in questo genere. Il titolo, tradotto, suona come segue:

Hermann von Lóvenskiold, 4 Impromptus caratteristici informa di Scherzo op. 8 Sembra che presto la nostra arte espanderà le proprie radici in tutti i paesi vicini alla Germania: stavolta è il caso dei paesi nordici. Il compositore è svedese, almeno a giudicare dal suo nome. Abbiamo già parlato, in altra occasione, di un Trio che recava sul frontespizio il medesimo nome; non sappiamo se si tratta in effetti dello stesso compositore: in ogni caso si tratta di un musicista che dobbiamo salutare con grande rispetto. Se si tratta di un dilettante egli merita senz’altro di essere considerato, sulla base di questi soli Scherzi, fra i migliori dilettanti che compongono per pianoforte; se si tratta, invece, di un artista professionista i suoi compagni lo dovranno senz’altro accogliere nelle loro file come un pari grado. Da tempo non mi capitava di vedere una composizione che, come questa, mi trovasse quasi assolutamente d’accordo, che risveglias­ se il mio interesse e il mio piacere come questi Scherzi. Non sono forse dei pezzi memorabili, e neppure lo vogliono essere; ma questa espressione così matura e raffinata, questa misura, questa bella sonorità, in una parola: questo bel modo di comporre, non sono davvero cose facili da trovare. Qua e là si potrebbe immagina­ re che l’autore sia Moscheles, e ciò sulla base di certe piccanti raffinatezze; ma sono ancora più piacevoli e disinvolti. Questo si chiama comporre, anche se in forme piccole: qui ci sono primo piano, prospettiva e sfondo, e tutto con un effetto assolutamente

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piacevole. Possa dunque questo nobile compositore, a noi, come s’è detto, assolutamente sconosciuto, sperimentarsi anche in for­ me più ampie e in particolare in composizioni orchestrali: ha i mezzi per farlo; coloro che ancora non conoscono questi pezzi faranno bene a dar loro un’occhiata: prima lo faranno, meglio sarà. Per giunta mancano, sia per gli insegnanti che per gli studen­ ti, dei validi pezzi a quattro mani di media difficoltà, sicché pezzi meno validi di questi possono contare, proprio per tale motivo, su una vasta diffusione: a maggior ragione, perciò, meriteranno una più larga divulgazione questi Scherzi, da cui ci congediamo con grande rispetto in quanto ci hanno confortato nella nostra convin­ zione che qua e là esistono ancora degli eccellenti musicisti.

Nell'articolo n. 86 furono eliminate da Schumann cinque brevi recensioni: riportiamo le due che conservano qualche motivo di interesse. [P.R.]

Robert Stòckhardt, Pezzo lirico Anche questo nome, il nome di uno stimato dilettante residen­ te a Pietroburgo, viene oggi per la prima volta presentato sulla nostra rivista. Il pezzo è un omaggio all’amico Henselt, e a lui è dedicato. I pianisti inesperti avranno il loro daffare a impararlo e a trovare il filo che lo attraversa. L’impianto formale doveva essere, nelle intenzioni, quello di un Notturno; ma poi, come succede spesso ai dilettanti, è saltato fuori qualcosa di diverso; dopo la prima parte segue una sezione centrale estranea e poi una varia­ zione del primo tema, che alla fine viene riesposto in modo semplice. Il carattere della composizione è, nonostante l’aspetto un po’ oscuro, dolce e cordiale. L’uso di accordi pieni, gli ampi allargamenti della mano, certi procedimenti armonici e altro ricordano lo stile di Henselt. Alcune asprezze avrebbero potuto essere eliminate con poca fatica. Ben suonato, è un pezzo che piacerà.

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Eduard Marxsen, Romanza senza parole op. 37

Se il pezzo precedente era un omaggio a Henselt, questo lo è a Thalberg. Il compositore ha assegnato a questo pezzo un numero d’opera, col che ci troviamo in disaccordo: è un brano troppo semplice, addirittura arido e certo non magistrale nella forma. Quel cupo vagare qua e là fra maggiore e minore non sortisce, alla fine, alcun effetto gradevole. Il compositore ha già dato prova dalla sua solida preparazione: ma in questa piccola forma compo­ sitiva, in cui la grazia deve soprattutto essere l’elemento dominan­ te, egli sembra lavorare senza fortuna. Ammetteremo volentieri di esserci sbagliati se egli vorrà convincerci del contrario in eventuali altre Romanze senza parole. Ma se assomigliano a questa sarà difficile che trovino un poeta, così come un’arida poesia difficil­ mente troverà un musicista.

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87. FRANZ LISZT

I

Ancora affaticato da una serie di sei concerti tenuti a Praga durante un soggiorno di otto giorni, il Sig. Liszt è arrivato a Dresda sabato scorso. In pochi altri luoghi egli può essere stato atteso con più ardente impazienza che nella capitale, là dove il pianoforte e la musica pianistica sono prediletti innanzi tutto. Al lunedì egli diede un concerto: la sala era splendente e fra il pubblico si contavano i più rappresentantivi esponenti della mi­ gliore società e anche parecchi membri della famiglia reale. Tutti gli sguardi erano puntati sulla porta da cui doveva entrare Karti­ sta. In verità il suo ritratto è molto conosciuto, e in particolare è davvero eccellente quello di Kriehuber, che ha saputo cogliere nel modo più incisivo il suo profilo di Giove: ma vedere il giovane Giove in persona è tutt’altra cosa. Si fa molto parlare della prosai­ cità di oggigiorno, dell’aria che tira a corte e nella capitale e della nuova mentalità introdotta dall’invenzione della ferrovia: ma la­ sciate che arrivi l’uomo giusto, e tutti noi rimarremo incantati a guardare ogni suo movimento. 1 E così, appunto, noi oggi guar­ diamo questo artista, delle cui mirabolanti imprese si parla ormai da vent’anni, il cui nome siamo abituati a trovare sempre citato accanto ai nomi più importanti e davanti al quale, come davanti a Paganini, si inchinarono tutti i partiti, per un attimo apparente­ mente riconciliati! Il suo ingresso fu salutato da un’entusiastica ovazione di tutto il pubblico, dopodiché egli cominciò a suonare. Io l’avevo già

1 Orig.: “ma lasciate che arrivi un personaggio divino, e tutti noi ci inginocchieremo guardando ogni suo movimento.” [M.K]

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ascoltato in precedenza;2 ma ascoltare un artista davanti a un grande pubblico o di fronte a poche persone sono due cose diverse: l’artista stesso è differente. Le sale belle e splendenti, illuminate dallo sfavillio dei candelabri, il pubblico elegante: tutto ciò eleva la disposizione d’animo di chi dà come di chi riceve. Il demone cominciò a muovere le proprie forze: quasi che volesse mettere alla prova il pubblico, dapprima sembrò giocare con lui, per poi dargli da ascoltare qualcosa di più profondo, arrivando così ad irretire ogni singolo spettatore con la sua arte, sollevando e trascinando l’intero pubblico a suo piacimento. Questa forza di soggiogare un pubblico, di sollevarlo, trascinarlo e lasciarlo cade­ re, non si può certo incontrare, in un grado così elevato, in nessun altro artista, escluso Paganini. Uno scrittore viennese 3 ha celebra­ to Liszt in una poesia che consiste solo in una serie di aggettivi le cui iniziali sono le singole lettere del suo nome; questa poesia, in sé assai povera di gusto, ha però una sua verità: come le lettere o i concetti ronzano attorno a noi quando sfogliamo un vocabolario, così qui siamo sommersi da un’ondata di suoni e di sensazioni. Nello spazio di un secondo si alternano tenerezza, ardimento, fragranti vaporosità e folli stravaganze: lo strumento diventa incandescente e sprizza faville sotto la mano del Maestro. Di tutto ciò s’è già parlato cento volte, e i viennesi in particolare hanno cercato di catturare quest’aquila in tutti i modi possibili, volando­ gli dietro, con corde, forconi e poesie. Invece bisogna ascoltarlo e anche vederlo: Liszt non potrebbe assolutamente suonare da dietro le quinte, altrimenti andrebbe perduta una gran parte di poesia. Egli suonò ed accompagnò il concerto tutto da solo, dall’inizio alla fine. Come Mendelssohn ha avuto un giorno l’idea di compor­ re un intero Concerto con Ouverture, pezzi vocali, annessi e connessi (penso che si possa tranquillamente rendere pubblica quest’idea, al fine di utilizzarla), così anche Liszt dà i suoi concerti quasi sempre da solo. Solo la Signora Schròder-Devrient compar­ ve accanto a lui, ed è sicuramente l’unica artista che riesce a reggere una tale vicinanza. Insieme essi hanno cantato e suonato VErlkbnig e alcuni altri piccoli Lieder di Schubert. 2 Schumann era andato a Dresda per conoscere Liszt. 11 concerto di cui si parla in questo articolo abbe luogo il 16.3.1840. [M..K.] 3 Si trattava dij. F. Castelli (sull1Allg. Mus. Anzeiger di Vienna, 1839, pag. 252). [M.K.]

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Non conosco sufficientemente il termometro degli applausi di Dresda per parlare dell’impressione che lo straordinario artista ha provocato in tale città e per pronunciarmi in proposito. L’entusia­ smo è stato definito straordinario; è chiaro che, fra tutti i tedeschi, il viennese è quello che meno risparmia le proprie mani e che nella sua idolatria giunge a conservare i guanti stracciati con cui ha applaudito Liszt. Nella Germania del Nord, come s’è detto, le cose vanno altrimenti. Martedì mattina Liszt è partito per Lipsia. La prossima volta parleremo del suo arrivo fra di noi.

II

Se solo potessi offrire un’immagine di quest’uomo straordina­ rio a tutti i lettori lontani e stranieri, molti dei quali non possono nemmeno nutrire la speranza di vedere un giorno di persona questo artista e che pure stan dietro ad ogni parola che su di lui vien detta! Ma non è facile; la cosa più semplice sarebbe quella di parlare ancora una volta del suo aspetto esteriore. Si è già tentato in vari modi di descriverlo, la sua testa è stata definita schilleriana, o anche napoleonica, e tali confronti colgono in parte nel vero, poiché in effetti tutti gli uomini straordinari sembrano possedere un tratto comune, in particolare quello dell’energia e della forza di volontà nel taglio degli occhi e della bocca. Soprattutto egli assomi­ glia a Napoleone, quale abbiamo visto spesso ritratto da giovane generale: pallido, magro, il profilo marcato, l’espressione della figura concentrata verso l’alto del capo. Sorprendente è anche la somiglianza di Liszt con il compianto Ludwig Schunke, una somi­ glianza che sì estende fin sul piano più profondo della loro arte, sì che ascoltando Liszt mi è sembrato talvolta di riascoltare qualcosa di già noto. Ma la cosa più difficile è appunto parlare di quest’arte. Qui non si tratta più di questo o di quel tipo di pianismo, bensì dell’espressione di un carattere ardito, a cui, per dominare e per vincere, il destino non ha donato strumenti pericolosi, ma quelli pacifici dell’arte. Negli ultimi anni ci sono passati davanti molti e significativi artisti che possono per certi versi porsi sullo stesso piano di Liszt, e molti erano dei nostri: ma quanto ad energia e ardimento tutti loro gli devono cedere il posto. Si è spesso voluto 755

cercare di mettere in gara con lui soprattutto Thalberg, per poterli confrontare. Ma basta considerare le due teste per trarre le con­ clusioni. Ricordo quanto disse una volta un noto disegnatore viennese, paragonando la testa del suo compatriota a quella di “una bella contessa con un naso maschile”, e in fondo non aveva torto, mentre della testa di Liszt ebbe a dire che poteva servire da modello ad ogni pittore per ritrarre un dio greco. E tale differenza vale per la loro arte. Sul piano esecutivo Chopin è abbastanza vicino a Liszt, e almeno quanto a magica delicatezza e grazia non gli è in nulla inferiore; ma più di tutti gli stanno vicini Paganini e, fra le donne, la Malibran, dai quali in effetti lo stesso Liszt ricono­ sce di aver imparato moltissimo. Adesso Liszt deve avere circa trent’anni. Fin da bambino fu considerato un prodigio e presto fu lanciato all’estero; in seguito il suo nome emerse splendente qua e là sempre accanto ai nomi più celebri, per poi sparire di nuovo per un certo periodo, finché non fece la sua comparsa Paganini che lo stimolò a nuove aspirazioni, e così improvvisamente due anni fa è tornato in scena a Vienna entusiasmando l’intera città imperiale: queste ed altre circostanze sono cose note. Fin dalla sua fondazione la rivista ha sempre cercato di seguire il cammino di questo artista, non nascondendo nulla di quanto veniva detto pro e contro di lui, anche se quasi tutte le voci, e in particolare quelle di tutti i grandi artisti, si univano nella lode del suo eminente talento. E così, dunque, egli giunse recentemente fra di noi, accompa­ gnato dai massimi onori che possano essere resi ad un artista, già sicuramente ornato di gloria; era difficile accoglierlo con onori ancora maggiori, o voler aumentare ulteriormente la sua gloria; era invece più facile cercare di screditarlo: si sa che i pedanti e i bricconi ci sono sempre stati. Ebbene: qui si è proprio tentato di fare così. Il pubblico era inquieto non tanto per colpa di Liszt ma a causa di certe cose che s’erano dette prima del suo arrivo e anche innervosito per alcuni errori nell’impaginazione del concerto. Un uomo noto per essere un libellista autore di pasquinate 1 ha preso questo pretesto per aizzare gli animi contro l’artista scrivendo un articolo anonimo in cui si diceva che “Liszt era venuto da noi solo

1 Fr. Wieck, sulla rivista Leipzig-Berlin-Dresden Dampfwagen, 1840, n. 12. Per maggiori particolari in proposito cfr. Joss, Friedrich Wieck, pagg. 59 sgg. [M.K.]

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per appagare la sua insaziabile avidità”. Non vale nemmeno la pena di parlare oltre di una simile indegnità. Il primo concerto, il 17, offrì un singolare spettacolo. Il pubbli­ co si affollava in una massa confusa. La sala sembrava compietamente diversa. I posti dell’orchestra erano stati utilizzati per gli ascoltatori. E, in mezzo, ecco Liszt. Cominciò con lo Scherzo e il Finale della Sinfonia Pastorale di Beethoven. La scelta era piuttosto bizzarra e per molti motivi infelice. In una stanza, a quattr’occhi, questa trascrizione, peraltro accuratissima, può far dimenticare l’orchestra; ma in una sala più grande, là dove per di più tale Sinfonia è stata ascoltata tanto spesso e nella versione completa eseguita dall’orchestra, la debo­ lezza dello strumento appariva tanto più evidente quanto più la trascrizione tentava di rendere tutta la forza della massa orchestra­ le; un arrangiamento più semplice, solo accennato, sarebbe forse stato più efficace. Tuttavia, si capisce, ci si poteva dichiarare soddisfatti: si era finalmente potuto ascoltare il Maestro al suo strumento, se non altro lo si era visto scuotere la criniera. Per restare in argomento diremo anche che ben presto il leone si è mostrato in tutta la sua potenza eseguendo una Fantasia su temi di Pacini, eseguita in modo davvero straordinario. Ma io sacrificherei volentieri tutta la stupefacente e ardita bravura che egli qui dimo­ strò in cambio della magica delicatezza che seppe esprimere nello Studio seguente. A parte Chopin, davvero io non saprei, come ho già detto, indicare nessuno che lo sappia eguagliare su tale piano. Egli terminò il concerto con il famoso Galop cromatico e, poiché l’applauso sembrava non voler mai finire, suonò ancora il suo celebre Valzer di bravura. Esaurimento e indisposizione impedirono all’artista di tenere, l’indomani, il concerto promesso. Nel frattempo si organizzò in suo onore una festa musicale che per Liszt stesso, come per tutti i presenti, rimarrà una cosa indimenticabile. L’organizzatore della festa 2 aveva scelto delle composizioni ancora sconosciute all’ospi­ te; la Sinfonia di Franz Schubert, il Salmo Wie der Hirsch schreit, l’Ou ver ture Calma di mare e felice viaggio, tre cori dal Paulus e per finire il Concerto in re minore per tre pianoforti di Sebastian Bach. Quest’ultimo fu suonato da Liszt, Mendelssohn e Hiller, lutto

2 [R.S.] F. Mendelssohn.

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sembrava nato sul momento, senza nulla di preparato; furono tre ore felici di musica, quali non recano anni interi. Alla fine Liszt suonò ancora da solo, e in modo meraviglioso. La riunione finì nel più allegro entusiasmo, e lo splendore e la serenità che si rispec­ chiavano negli occhi di tutti possono essere valsi come ringrazia­ mento all’organizzatore per l’omaggio che quella sera rendeva al celebre talento di un altro artista. Ma la più straordinaria prova della genialità di Liszt doveva ancora arrivare: il Konzertstuck di Weber, con cui egli cominciò il suo secondo concerto. Poiché quella sera virtuoso e pubblico apparivano in una disposizione d’animo particolarmente vivace, durante l’esecuzione e alla fine l’entusiasmo superò ogni prece­ dente limite. Liszt attaccò subito il pezzo con una forza e una grandiosità espressiva quasi si trattasse di una manovra militare su un campo di battaglia, crescendo di minuto in minuto finché a un certo punto sembrò che egli stesso si ponesse alla testa dell’orche­ stra e, giubilante, la conducesse! Allora egli sembrò davvero asso­ migliare a quel condottiero a cui l’avevamo paragonato prima per quanto riguarda la figura esteriore e l’applauso successivo aveva la forza di un Vive l'empereuA. L’artista eseguì poi una Fantasia su temi dagli Ugonotti, VAve Maria, la Serenata e, a richiesta del pubblico, ancora VErlkonig di Schubert. Ma il Konzertstuck fu e rimase il culmine delle sue esecuzioni. Non so chi abbia avuto l’idea dell’omaggio floreale che gli è stato offerto, alla fine del concerto, per mano di una cantante prediletta: certo la ghirlanda non era immeritata. Bisogna davve­ ro avere una natura ben meschina e maligna per criticare una così amabile attenzione, e purtroppo tale critica è stata fatta in una nota pubblicata su un giornale locale. Alle gioie che l’artista vi prepara egli ha consacrato la propria vita; non sapete niente delle fatiche che gli è costata la sua arte; egli vi offre il meglio di ciò che ha, il fiore della sua vita, la perfezione; e noi non gli vorremmo concede­ re nemmeno una semplice corona di fiori? Ma Liszt non rimase debitore in nulla. Visibilmente rallegrato dalla calorosa accoglien­ za che gli fu tributata al secondo concerto, si dichiarò immediata­ mente disponibile a tenerne un terzo per una qualsiasi opera pia, la cui scelta affidò a persone avvedute. E così lunedì scorso egli suonò ancora una volta a favore del fondo-pensioni per i musicisti malati e anziani, dopo aver dato appena il giorno prima un concerto per i poveri a Dresda. La sala era affollatissima: il concer758

to aveva risvegliato molto interesse per il nobile scopo a cui era dedicato, per la scelta dei pezzi, per la collaborazione offerta dalle nostre migliori cantanti e soprattutto per la presenza di Liszt. Ancora stanco per il viaggio e per i molti concerti dati nei giorni precedenti, Liszt arrivò al mattino e immediatamente andò a provare, sicché alla fine gli rimase poco tempo per riposare prima dell’ora del concerto. Non si concesse un attimo di riposo. Non posso passare sotto silenzio questa circostanza: un uomo non è un dio, e Io sforzo visibile con cui Liszt suonò la sera era solo la naturale conseguenza di tante fatiche precedenti. Con grande amabilità egli aveva voluto scegliere, per il suo concerto, alcune composizioni di tre compositori presenti, di Mendelssohn, di Hiller e mie: di Mendelssohn il suo ultimo Concerto, di Hiller alcuni Studi, di mio alcuni numeri da una mia vecchia opera intitolata Carnaval. Per stupire certi timidi virtuosi dirò che Liszt ha suonato quasi tutte le composizioni a prima vista. Gli Studi e il Carnaval aveva forse avuto occasione di conoscerli, sia pure fuggevolmente, ma la composizione di Mendelssohn l’aveva letta soltanto pochi giorni prima del concerto; e fra tutte le richieste che aveva ricevuto non aveva certo potuto trovare il tempo, in così pochi giorni, per studiare davvero. A un mio lieve dubbio, che un quadro carnevalesco così rapsodico potesse fare presa su un grande pubblico, egli rispose che lo sperava, e che anzi ne era profondamente convinto. Temo tuttavia che s’illudesse. Dirò solo alcune parole a proposito di questa composizione, che deve la sua nascita ad un caso. Il nome di una cittadina, dove viveva una mia conoscenza musicale, conte­ neva alcune lettere corrispondenti alle note della scala e che si trovavano anche nel mio nome; così nacque uno di quei giochetti che, dopo il precedente di Bach, non sono più una novità. Termi­ nai un pezzo dopo l’altro e ciò avvenne durante il carnevale del 1835, peraltro in uno stato d’animo particolarmente serio e in circostanze non del tutto felici. Successivamente ho dato i titoli ai vari pezzi e ho intitolato l’intera raccolta Carnaval. Se qualche passaggio può attrarre questo o quell’ascoltatore, gli stati d’animo musicali cambiano però troppo rapidamente perché un intero pubblico, che non vuole essere scosso ad ogni minuto, possa seguirli. Come ho già detto, forse il mio amabile amico non aveva tenuto conto di ciò, e per quanto egli abbia suonato con grande partecipazione e con grande genialità non riuscì a coinvolgere l’intero pubblico, anche se forse riuscì a colpire qualche singolo 759

ascoltatore. Ben diversa è stata l’accoglienza riservata agli Studi di Hiller, che si rifanno ad una forma più nota: la più calorosa partecipazione è stata tributata in particolare a uno Studio in refr maggiore e ad uno in mi minore, ambedue assai delicati e caratte­ ristici. Il Concerto di Mendelssohn era già noto, nella sua tranquilla e magistrale chiarezza, nell’esecuzione del compositore stesso. Come s’è detto, Liszt suonò i pezzi quasi a prima vista. In ciò nessuno possiede altrettanta facilità. Egli mostrò infine tutto lo splendore del suo virtuosismo nel pezzo conclusivo, intitolato Hexameron, un ciclo di Variazioni composte da Thalberg, Pixis, Herz e da Liszt stesso. E veramente straordinario il fatto che L. abbia ancora trovato la forza per ripetere metà AeìVHexameron e poi ancora il Galop per la gioia del pubblico. Avrei tanto voluto che egli eseguisse pubblicamente anche delle composizioni di Chopin, che sa suonare in modo incomparabile e con grandissimo amore. Nella sua camera egli offre amabilmente tutta la musica che si desidera ascoltare eseguita da lui: quante volte l’ho ascoltato così, e con quale ammirazione! Martedì sera egli ci ha lasciato.

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88.1 FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI GUTENBERG A LIPSIA

Anche la nostra arte ha dato il proprio contributo ai festeggia­ menti: essa dimostra sempre una forza prodigiosa tanto nella gioia quanto nel dolore, in grado com’è di elevare l’animo del singolo come della grande massa. Un caso felice vuole che in questo momento vivano fra noi due compositori, il primo dei quali è ormai noto in tutta la Germania per i felici risultati conseguiti nel proprio genere musicale e il secondo già di fama europea, ed è per di più bastata una semplice proposta per trovarli subito interessati a collaborare alla festa. E certo, dunque, la parte musicale dei festeggiamenti non è stata la meno importante, e in questo senso tutto è stato organizzato alla perfezione. Per la vigilia della festa, martedì sera, 1 il Sig. Albert Lortzing aveva scritto una nuova opera comica, Hans Sachs, la quale sembra addirittura essere superiore alle precedenti dello stesso composi­ tore sul piano della freschezza, facilità e leggiadria. Purtroppo io non ho potuto assistere personalmente alla rappresentazione. Ma pare che l’esecuzione sia stata impeccabile ed abbia portato grande soddisfazione al compositore. Di parecchi numeri si è richiesto il bis, e non sono mancate le ovazioni con relativo lancio di corone e chiamate al proscenio. Nei prossimi giorni è già prevista una seconda rappresentazione. Per la festa vera e propria, durante la quale dovevano venire scoperte la statua a Gutenberg e la macchi­ na a caratteri mobili (festa preceduta da una cerimonia religiosa, alle 8 di mattina, durante la quale è stata eseguita una Cantata d’occasione del direttore dell’Associazione Corale di Zittau, Sig. Richter), per la festa vera e propria, dicevo, il Dr. Felix Mendels1 I festeggiamenti ebbero luogo mercoledì 24 e giovedì 25 giungo 1840. [M.K.]

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sohn - Bartholdy ha composto una Cantata per due cori maschili con accompagnamento di tromboni, ecc., su testo del Magister Pròlss di Freiberg, la quale è stata eseguita mercoledì mattina nella piazza principale. Il cielo, inizialmente imbronciato, si è via via rasserenato, ed è stato uno spettacolo magnifico. Un coro era diretto dal Dr. Mendelssohn, l’altro dal Konzertmeister David. Tutti sanno com’è difficile che, eseguita all’aperto, la musica possa essere ugualmente efficace. Cento voci in più o meno riescono a malapena a far sentire una sfumatura in più o meno. Questa composizione, assai gioiosa ed espressiva, in quello spazio avrebbe dovuto essere cantata da almeno mille ugole. Ma questi non sono che pii desideri: al massimo li si può esprimere, non si può certo pretendere che si possano realizzare. Ma dove la musica avrebbe dovuto essere più toccante, nel momento in cui il monumento è stato scoperto, allora la musica non c’era: non si era pensato che in quel momento la folla era al culmine dell’emozione e che perciò sarebbe stato di straordinaria efficacia se improvvisamente fosse iniziata una musica, magari basata sulla melodia Eirìfeste Burg, che in effetti è stata cantata, ma solo dopo. Il resto della giornata è trascorso fra i festeggiamenti, di cui daranno notizia gli altri giornali. Ieri pomeriggio ha avuto luogo il concerto ufficiale nella chiesa di S. Tommaso, nel luogo dove Sebastian Bach ha tante volte dato prova della propria arte sublime, ora ripresa dal suo più amato e affezionato discepolo ideale che con mano energica ha diretto le grandi masse orchestrali e corali. L’esecuzione è stata splendida, la chiesa era pienissima. Fra coro e orchestra ci saranno stati circa 500 esecutori. Le opere eseguite erano la Jubelouverture di Weber, con alla fine l’organo che accompagnava il God save the king, il Dettingen Te Deum di Hàndel e un Lobgesang [Canto di lode] di Mendelssohn. Delle due prime composizioni, universalmente note, non abbiamo bisogno di dire nulla. L’ultima era invece nuova e scritta dal Maestro espressamente per questa solenne occasione: alcune parole in proposito saranno dunque forse gradi­ te dai suoi ammiratori che non vivono a Lipsia. Il nostro composi­ tore sa sempre scegliere dei titoli assai appropriati alle proprie composizioni: anche in questo caso egli ha scelto personalmente il titolo di Lobgesang2. La parte cantata vera e propria era peraltro . 2 La definizione di Sinfonia-Cantata viene invece da un suggerimento di K. Klingemann. [M.K.]

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preceduta da tre movimenti orchestrali, per cui la struttura com­ plessiva è paragonabile a quella della Nona Sinfonia di Beethoven, a parte la significativa differenza che i tre movimenti si susseguono senza soluzione di continuità, il che nel campo sinfonico non era ancora mai stato sperimentato. Non si poteva fare una scelta migliore per quanto riguarda la forma complessiva, anche in relazione all’occasione per cui l’opera è stata scritta.3 L’effetto complessivo è stato straordinario, e certo quest’opera (soprattutto nelle parti corali) è da annoverare fra le cose più fresche e affasci­ nanti del compositore. E chi ha seguito il percorso compositivo di Mendelssohn si renderà conto di come tale affermazione non sia riconoscimento da poco. Non vogliamo entrare nei particolari; vogliamo però solo segnalare quel duetto Ich harrete des Herrn [Attendevo il Signore], con l’intervento del coro, dopo il quale nel pubblico si è sentito un brusio generale di stupore che per un’ese­ cuzione in chiesa vale quanto una clamorosa ovazione in una sala da concerto. Sembrava di vedere una Madonna raffaellesca con Io sguardo volto al cielo. E dunque la grande invenzione, opera del luminoso ingegno oggetto della nostra celebrazione, ha dato luo­ go alla nascita di un’altra opera luminosa, per la quale noi dobbia­ mo nuovamente esprimere al suo autore la nostra profonda grati­ tudine; lasciate dunque che noi, come suona il testo così splendida­ mente musicato dal Maestro, sempre più “abbandoniamo le opere dell’oscurità e imbracciamo le armi della luce!”

3 In un frammento cancellato Schumann esprimeva a questo punto il dubbio che i primi tre movimenti fossero già stati scritti in precedenza per una Sinfonia normale e che Mendelssohn avesse aggiunto il finale Lobgesang vero e proprio espressamente per questa occasione celebrativa e affermava anzi che forse non sarebbe stata una cattiva idea pubblicare le due parti separatamente. In seguito (il 3 dicembre dello stesso anno) il Lobgesang venne replicato durante un concerto al Gewandhaus, e in tale occasione Mendelssohn aggiunse alla Cantata altri quattro numeri. (Cfr. art. 100, Concerto a favore del Fondo per musicisti anziani e ammalati). [M. K.]

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89. UN’OPERA DANESE

J. P. E. Hartmann, DerRabe [Il Corvo]. Opera in tre atti op. 12

L’associazione musicale di Copenaghen prosegue nell’enco­ miabile sforzo di incoraggiare e far conoscere i talenti nazionali pubblicandone la opere più impegnative, così come fa in Olanda la Società per la promozione dell’arte musicale. Già negli anni passa­ ti abbiamo parlato sulla rivista di due opere edite dalla suddetta associazione: Adelheid di Kuhlau e Floribella di Weyse. Stavolta la scelta è caduta su un’opera del Sig. Hartmann, un giovane compo­ sitore di Copenaghen di cui pure già abbiamo parlato e il cui onorevole impegno merita di essere considerato con una certa attenzione anche dagli amici dell’arte tedeschi. Innanzitutto dobbiamo lodare il testo. L’autore 1 ci ha offerto un’opera di argomento magico, ma non certo infantile o insensata come spesso i poeti tedeschi offrono ai compositori, bensì un’ope­ ra che possiede senso e ragione e inoltre un profondo contenuto poetico. Nel testo si trovano idee degne di un grande poeta, soprattutto un’originale vitalità; anche i dialoghi, il che purtroppo capita raramente, sono scritti in modo geniale e spiritoso. La trama è semplice. Il Principe Millo ha ucciso il corvo favorito del Mago Norando, il quale l’ha perciò spietatamente condannato a vivere “nella follia, nell’angoscia e nel dolore” finché non troverà una donna di cui viene fornita una precisa descrizio­ ne. Millo ha un fratello, Jennaro, e i due si amano profondamente. Poiché la maledizione comincia a realizzarsi, Jennaro cerca instan­ cabilmente la donna che libererà suo fratello dalla maledizione e,

1 H. C. Andersen, dalla celebre fiaba teatrale di Gozzi. Ricordiamo inoltre che lo stesso Schumann chiese in seguito un libretto ad Andersen. [M.K.]

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dietro suggerimento di un vecchio, la trova in Armilla, la quale è la figlia stessa del mago. Camuffato da mercante, egli la attira sulla propria nave per condurla dal fratello. Ai lamenti di Armilla Jennaro risponde svelandole il motivo del rapimento, al che Armilla Io perdona, ma lo mette anche in guardia contro la vendetta di suo padre. Jennaro, non contento di liberare il fratello dalla sua infermità grazie alla donna, vuole inoltre allietarlo do­ nandogli un cavallo e un falco, gli animali più belli che egli abbia mai visto. Ma ad un tratto compaiono le sirene dal mare e cantan­ do dicono che il cavallo, il falco e la donna provocheranno la morte di suo fratello; e se egli (Jennaro) rivelerà questo segreto, imme­ diatamente si trasformerà in pietra. Jennaro, per salvare il fratello, uccide il falco e il cavallo; ma il suo atteggiamento angosciato non sfugge a Millo, il quale nel frattempo ha visto Armilla e si è subito innamorato appassionatamente di lei, da lei ricambiato. A poco a poco in Millo si fa strada il sospetto che Jennaro sia innamorato di Armilla. Dolore di fratello, disperazione. Jennaro vuole impedire che durante la festa nuziale capiti qualcosa di male al fratello e, attraverso un passaggio sotterraneo, si reca armato nella camera da letto del fratello e riesce a scacciare i vampiri che già avevano circondato il letto di Millo addormentato. Millo, destatosi, crede che Jennaro lo voglia uccidere per gelosia e vuole perciò punirlo. Messo alle strette, per dimostrare la propria innocenza Jennaro rivela ciò che gli era stato detto dalle sirene. Non ha ancora finito la propria confessione che si trasforma in una statua. A questo punto ricompare Norando e dice all’inconsolabile Millo che tutto ciò era scritto nel libro del destino: “la morte del corvo, il rapimento di Armilla, il dolore di Millo e la propria (di Norando) sete di vendetta”. Ma Jennaro sarà liberato non appena Millo avrà ucciso la propria stessa sposa. Millo non accetta, preferisce piuttosto morire egli stesso. Giunge Armilla, viene a conoscenza di tutto quanto è successo e, per liberare Jennaro, decide di darsi ella stessa la morte. Ma nel momento in cui ella sta per uccidersi Norando le strappa di mano il pugnale, e in quel momento stesso Jennaro torna in vita. Il destino si è compiuto. Il padre si riconci­ lia. La festa nuziale ha luogo nel tripudio generale. Il poeta ha dunque voluto rappresentare un ideale amore fraterno in veste fiabesca e il compositore ha perfettamente com­ preso il suo intento. Jennaro è il ruolo principale e il più bello di quest’opera, ma anche i ruoli di Millo e di Armilla possiedono 766

tratti non meno interessanti. Alcuni personaggi secondari conferi­ scono varietà all’opera e, come s’è detto, la bella disposizione complessiva, studiata in modo elegante ed equilibrato, ha meritato sinceri applausi. Un giovane compositore che per la prima volta decide di scrivere per la scena mira principalmente a due cose: esplicare tutta la propria arte, ma anche colpire, piacere. Non di rado la prima cosa si trasforma in uno scoglio per la seconda. Quante cose che si sono imparate, che si sanno, bisogna ripudiare, rinnegare quando si vuole anche infiammare il pubblico! Il Sig. Hartmann ha finora scritto solo musica da camera; se non sbagliamo, egli occupa anche un posto di organista, e chiaramente dall’organo al teatro c’è un bel po’ di strada. Come però riteniamo che la realizzazione di un lavoro di un certo impegno, per quanto con­ dotta con forze insufficienti, meriti comunque la nostra stima, così a maggior ragione ci pare la meriti quest’opera che, se non ha avuto dalla sua le potenti ali del genio, ha però quantomeno sfruttato sino in fondo quelle leve che possiede perfettamente ogni talento innato, reso saldo da un assiduo impegno e dallo studio. Un’opera non è una cosa da nulla. Fate lavorare anche il migliore musicista in teatro e vedrete a quanti errori andrà incontro: non si può fare troppo, le voci devono riposare, l’orchestra deve avere dei momenti di pausa. Quale preparazione, quale esperienza sono già necessarie per raggiungere anche solo uno stile teatrale appe­ na corretto ed economico! Prima che il musicista possa iniziare a brillare bisogna che il direttore del teatro sia accontentato. Quanta bella musica si deve sacrificare quando il compositore dimentica, per la musica, la scena per cui l’ha scritta! E perciò spesso c’è bisogno di un ulteriore lungo lavoro prima che la musica possa effettivamente giungere al pubblico. Questo testo, semplice e chiaro, è sicuramente stato un buon aiuto per il compositore. I caratteri sono stati delineati dal poeta con una mano salda; il compito di rappresentare un rapporto fraterno basato su un sincero affetto doveva particolarmente at­ trarre il compositore. Ed ecco dunque l’opera finita, a cui possia­ mo dedicare alcune parole di commento. L’Ouverture è scritta in modo valido e sensato, delinea bene con brevi e acuti tratti il contenuto dell’azione. I due temi sono tratti dall’opera: il primo è quello che esprime il sorgere del sospetto di Millo, il secondo la riconciliazione e la pace dopo tante

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prove. Senza conoscere 1’opera, l’Ouverture non fa invece un grande effetto, il che purtroppo accade assai di frequente. I numeri dell’opera sono complessivamente quattordici: da ciò si capisce che non è particolarmente lunga, e questo è un pregio che il compositore condivide con pochi altri giovani (e vecchi) compositori. Non si può peraltro restare colpiti dalla forma breve e concisa che caratterizza la maggior parte dei numeri: in ciò ci sembra di vedere più che altro uno scrupolo forse eccessivo da parte del compositore. Almeno i primi cinque numeri mi sembra­ no complessivamente troppo brevi per quanto riguarda la costru­ zione musicale, per cui dopo di essi non ci si trova in una disposi­ zione d’animo tranquilla e appagata: si sentirebbe il bisogno di qualcosa ancora. Invece i Finali dei vari atti sono abbastanza ampi e sicuramente saranno di giusto effetto sulla scena. Ciò per quanto concerne la forma. Per quanto riguarda in generale il carattere della musica diremo che si tratta di un carattere decisamente tedesco, nordico. Spesso si manifesta chiaramente una certa predi­ lezione per Weber; anche Spohr potrebbe essere indicato come un favorito del compositore, qua e là anche Marschner, quest’ultimo (forse contro la volontà del compositore stesso) soprattutto là dove compaiono i vampiri. Caratteristica esclusiva del compositore è invece una conduzione armonica spesso un po’ troppo irrequieta, ansiosa: non possiamo definirla né disordinata né poco chiara, ma quantomeno l’avremmo desiderata meno tormentata, più natura­ le. La volontà di essere interessanti sul piano armonico fin nel più piccolo particolare può essere assai rischiosa, soprattutto nell’ope­ ra; in un complesso organico strumentale si possono certo usare con profitto quegli intrecci armonici velocemente mutevoli e arti­ sticamente intricati, quei rapporti accordali enarmonici. Ma il coro non vuole troppi diesis e bemolli: altrimenti canta malvolentieri o addirittura sbaglia; tanto meno c’è bisogno, in una semplice canzo­ ne, di modulare tante volte, cosa che il compositore fa spesso e oltretutto in modo non particolarmente efficace. Quale effetto ha invece spesso una semplice triade cantata a piena voce da un coro! Tutta l’arte enarmonica di uno Spohr scompare di fronte a certe potènti triadi hàndeliane. Perciò il compositore deve badare a non esagerare con gli intrichi armonici; già nei pezzi strumentali siffatte sottigliezze cromatiche possono risultare dannose per le parti interne: non parliamo delle voci, quando devono emergere e vogliono cantare\ 768

Il che non vuol dire che l’opera manchi in assoluto di pregi melodici: soprattutto nella parte di Jennaro, che spesso canta in modo sincero e spontaneo, come un vero fratello. Armilla è invece un ruolo che non troverà molte amiche fra le cantanti, o al massimo ne troverà fra quelle di tessitura più acuta. Anche nei cori le voci si muovono in zone impervie, di grande sforzo soprattutto per i soprani. Ma non crediamo di sbagliare se pensiamo che, dopo aver ascoltato l’opera eseguita pubblicamente, il compositore si sarà accorto da sé di come in questo senso non si possa pretendere troppo né dai cori né dai soli, quanta precauzione, quale semplici­ tà sia necessaria nel trattare le voci se si vuole che cantino bene e volentieri. Anche il ruolo di Millo richiede un baritono con una grande estensione nello spartito la parte è scritta in varie chiavi, il che è piuttosto strano. Norando, il mago, è un basso, ma tocca note abbastanza acute. Per parlare poi dei singoli numeri, i più degni di nota nel primo atto ci sembrano la bella Aria di Pantaleone [sic] e la Cavatina di Jennaro. Il canto delle sirene è accompagnato da un basso caratteristico, che dovrebbe essere di buon effetto. Il/mi lento nel Finale di questo atto, Sonderbar hebt sich die Brust [Quale strano batticuore], è introdotto con grande delicatezza. La prima Aria del secondo atto, assai bella nel testo, l’avremmo preferita trattata in modo più originale e purtuttavia più semplice. L’Aria di Millo, il cui tema compare nell’ouverture, dovrebbe avere un buon effetto scenico. Il tema ci ricorda peraltro certe cose di Lindpaintner, Kalliwoda, ecc. Bella e profonda è la breve Aria di Jennaro Dort durch die Kirchenfenster klar [Là attraverso le finestre della chiesa illuminate]: qui salta fuori l’organista, ma con gusto, con grande poesia. L’intermezzo comico di Tartaglia introduce una certa vivacità ed è messo al posto giusto. La Marcia successiva ha invece un carattere belliniano un po’ troppo comune. L’atto si conclude in modo brillante. Nel terzo si segnala il Coro all’unisono dei vampiri con quell’as­ solo inquietante. Sono tenori; ma voci più acute e più pungenti dovrebbero creare un effetto ancor più terrificante. Nel Melodram, la scena in cui Jennaro svela il proprio segreto, probabilmente la strumentazione e la decorazione miglioreranno l’effetto comples­ sivo: suonate al pianoforte, cose simili sembrano sempre un po’ scipite. Anche il punto in cui Jennaro ritorna in vita dev’essere ascoltato con l’orchestra: al pianoforte l’efficacia è diminuita alme769

no della metà. L’opera si conclude, come già detto, in modo felice e sereno. La riduzione pianistica è stata condotta peraltro con grande cura e da un esperto strumentista (il compositore stesso); da tempo non ne incontravamo una altrettanto buona. Anche la traduzione tedesca è ben fatta. Quest’opera fa dunque onore tanto al suo autore quanto alla Società che ne ha consentito la realizzazione. Sarà però difficile vedere in Germania come essa effettivamente risulti in scena. Ma coloro che vogliono rendersi conto dei reali progressi compiuti in campo musicale da tutti i Paesi confinanti con la Germania potran­ no por mano con piacevole sorpresa a questo spartito e vedranno come la nostra arte tedesca metta sempre più profonde radici anche all’estero, il che ci fa inoltre sperare che col tempo non mancheranno anche positive ripercussioni sulla nostra stessa patria.

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90. UN CONCERTO D’ORGANO DI MENDELSSOHN

Con lettere d’oro vorrei poter scrivere su queste pagine della serata di ieri. Finalmente un concerto serio, un buon concerto dall’inizio alla fine. Ancora una volta mi sono reso conto di come con Bach nulla è mai finito, di come egli divenga sempre più profondo quanto più lo si ascolta. Zelter e più tardi Marx hanno già detto in proposito cose bellissime e perfettamente giuste, ma quando lo si ascolta ci si rende conto di come le semplici parole non possano più di tanto avvicinarci a lui. Il modo migliore per capire il senso delle sue opere rimane pur sempre il vivo contatto per mezzo degli strumenti della musica stessa, e dunque non ci si poteva attendere un’interpretazione più intensa e fedele di quella offertaci ieri sera da colui che ha dedicato la maggior parte della propria vita proprio a questo Maestro e che è stato il primo a ravvivare in Germania la memoria di Bach con tutta la forza del proprio entusiasmo. Ancora una volta egli dà il primo impulso perché anche per mezzo di un segno esteriore l’immagine di quel grande sia più vicina agli occhi dei contemporanei. 1 Sono già trascorsi cento anni prima che questo fosse tentato da altri; devono forse passarne altri cento perchè tale progetto si realizzi? Non è nostra intenzione avanzare un formale appello per un monumen­ to a Bach; quelli per Mozart e per Beethoven non sono ancora finiti e dovrà passare del tempo prima che lo siano. Ma l’idea ora qui espressa potrebbe stimolare qualcuno qua e là, specialmente nelle città che negli ultimi tempi si sono rese particolarmente

1 Lo scopo del concerto era raccogliere fondi per una lapide commemorativa. Il monumento a Bach venne poi inaugurato il 23.4.1843. [M.K.]

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benemerite per l’esecuzione di opere di Bach, Berlino e Breslavia, dove molti sanno quanto l’arte debba a Bach; nel proprio piccolo campo la musica deve infatti a lui non meno di quanto una religione debba al proprio fondatore. In proposito lo stesso Men­ delssohn si esprime in chiare, semplici parole nella circolare che annunciava il concerto: “Finora a Lipsia non c’è un solo segno esteriore che testimoni il vivo ricordo del più grande artista che mai abbia abitato questa città. Già ad un suo successore è stato riservato l’onore di un monumento, posto nei pressi della Thomasschule, un onore che a Bach spettava più che a chiunque altro; e inoltre, poiché negli ultimi tempi il suo spirito e le sue opere sono tornati con nuova forza in primo piano, e non potendo l’amore per quello e per queste mai venir meno nei cuori di tutti i veri amici dell’arte, è dunque possibile sperare che una tale iniziativa possa incontrare un attivo appoggio da parte degli abitanti di Lipsia”, ecc. Come era da attendersi, il primo impulso a questa iniziativa, proveniente da un tale artista, non poteva essere più degno e uno straordinario successo ha coronato un tanto nobile scopo. Già tutti ormai sanno con quanta maestria Mendelssohn padroneggi il regale strumento di Bach; ed inoltre erano perle preziosissime quelle che egli ha ieri sera presentato, disposte in modo vario e con effetto via via crescente, iniziando quasi preludiando e concluden­ do con una Fantasia. Dopo una breve introduzione egli ha suonato una Fuga in mit maggiore, una magnifica composizione basata su tre temi che poi vengono sovrapposti, dopodiché una Fantasia sul Corale Schmucke dich, o liebe Sede, un pezzo di inestimabile valore e di straordinaria profondità spirituale, quale può nascere solo da un puro animo d’artista, poi un brillante Preludio e Fuga in la minore, difficile in ambedue le parti anche per un esperto maestro dell’organo. Dopo l’intervallo seguiva la Passacaglia in do minore, 21 variazioni intrecciate in modo straordinariamente geniale e di fronte alla quale non si può che restare stupefatti, eseguita per di più da Mendelssohn con una registrazione assai ricca e appropria­ ta; seguiva una Pastorella in fa maggiore, a dimostrazione di come anche un pezzo di questo genere possa essere pensato con gran­ dissima profondità, e poi una Toccata in la minore con un Preludio di raffinato umorismo bachiano. Il pezzo conclusivo era un’im­ provvisazione di Mendelssohn, in cui egli si è mostrato in tutta la propria gloria artistica; se non erro questo pezzo si basava sul

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Corale O Haupt voli Blut und Wunden, in cui era poi inserito il nome di Bach e un fugato: il risultato complessivo era di tale chiarezza e maestria che potrebbe essere pubblicato tale e quale e sarebbe un perfetto capolavoro. La tenue luce di una bella serata estiva entrava dalle finestre della chiesa; e forse molti avranno sentito da fuori, di lontano, gli splendidi suoni del concerto e avranno capito come nella musica non si dia maggiore piacere di quello offerto da una doppia maestria, quando un Maestro interpreta un altro Maestro. Onore e gloria, dunque, tanto al vecchio quanto al giovane!

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91. TRE BUONI FASCICOLI DI LIEDER

Anche il critico dal cuore più duro viene talvolta preso dalla voglia di lodare. “A che serve”, mi dicevo, “incoraggiare modesti principianti nella composizione vocale o tappare la bocca a medio­ cri urlatori! E meglio piuttosto che io mi prenda una bella pila di nuovi Lieder e non mi dia requie prima di averne trovati di buoni, di cui potere davvero parlar bene di tutto cuore”. Ho dovuto cercare a lungo fra i 50 fascicoli che avevo davanti a me, ma alla fine ero felicemente riuscito a trovarne tre che mi permettevano di esprimere una lode, che veramente mi avevano rallegrato, rincuorato. I nomi dei compositori sono: Veit, Esser e Norbert Burgmuller, i primi ancora in vita e attivi, l’ultimo già scompar­ so. Discettare su che cosa sia un bel Lied non è mia intenzione. È altrettanto facile e difficile quanto discutere su che cosa sia una buona poesia. “E solo un soffio”, dice Goethe. Fra i tre citati, Norbert Burgmuller lo sapeva certo meglio degli altri. Tradurre la poesia con i suoi piccolissimi tratti in una ancor più raffinata materia musicale era il suo più alto scopo, così come dovrebbe esserlo per tutti. E raro che una sfumatura del testo gli sia sfuggita o che, una volta còltala, egli non sia poi riuscito a tradurla in musica. Ma chiaramente un errore umano può capitare anche ai più grandi, in un momento di disattenzione. Il fascicolo di Lieder di cui parlerò è il suo terzo e designato come opera 10. Comprende un Lied tratto da Walter von der Vogelweide, da Uhland Scheiden und Meiden [Separarsi, allonta­ narsi], Stàndchen [Serenata] e Abreise [Partenza], e infine di anoni­ mo Hoffnungslos [Disperato]. Si può sospettare che l’anonimo autore dell’ultima poesia sia il compositore stesso. Confrontate la 775

sua biografia, già pubblicata su queste pagine,1 e in cui veniva citato proprio il primo verso di questa poesia.12 Questo Lied è nato in un momento di tristezza, di profonda melanconia, ma ci comu­ nica una sincera commozione e soprattutto è vero. Vero: non trema il vostro piccolo cuore, compositori, quando sentite questa parola? Adagiatevi pure nel morbido letto delle vostre belle bugie del canto: il massimo che potrete ottenere sarà quello di sentirle cantare da altre labbra mentitrici, anche se magari seducenti. Ma se un giorno un vero cantore arriverà tra di voi, allora dovrete fuggire con la vostra arte di simulazioni, oppure imparerete la verità, se ancora sarà possibile. Vero è invece Burgmuller in ogni caso; anzi, fa anche qualcosa di più: quasi sempre egli ci offre la verità rivestita di un bell’abito. Se egli fosse ancora in vita aggiun­ gerei forse anzi la preghiera che egli le volesse dare, quando la poesia lo richiedesse, un abito ancora più ricco. Spesso egli si accontenta della massima semplicità. B. Klein praticò questo stile semplice nel Lied al punto da venir tacciato di bizzarria. L’artista dovrebbe evitare anche questo tipo di estremismo. Vediamone un esempio nei Lieder di Burgmuller. Prendiamo lo Slandchen da Uhland, una poesia già spesso musicata e per lo più con buoni esiti: il bambino, mentre sprofonda a poco a poco nel sonno, racconta alla madre dei “dolci suoni” che l’avevano svegliato, e che non era “una musica terrena”, bensì “un canto di angeli che lo chiamavano”. Questo Lied è sicuramente uno dei migliori della raccolta, forse la migliore composizione in assoluto fra quelle che hanno utilizzato questa poesia. Ma quel richiamo che giunge “da un altro mondo” mi sembra, credo, davvero un po’ troppo insuffi­ ciente. Gli angeli, io credo, cantano in ben altro modo; d’altronde, però, chi mai può dire di averne sentite le voci, e anche chi le avesse sentite - in rari momenti della propria vita, a distanza di anni l’uno dall’altro - preferisce forse tacere in proposito! Come ho già detto, questo Lied mi sembra comunque, accanto a Hoffnungslos, il migliore della raccolta. Posso però definire eccellente

1 Si riferisce ad un interessante articolo biografico su N. Burgmuller (N. Zt., 1840, voi. 12, 1) del dottor Cari Wilhelm Muller, più noto sotto lo pseudonimo di Wolfgang Miiller von Kònigswinter con cui firmò alcune poesie, una delle quali musicata dallo stesso Burgmuller. [M.K.] 2 Liebe, die sonst nur mit Myrten kronet, / Hullt in diistre Schwerniul meinen Sinn [Amore, che di solito incorona di mirti, / vela il mio animo di cupa melanconia]. [M.K.]

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anche Abreise per il tono scorato che lo pervade, perfettamente indovinato. Solo la conclusione, là dove il viandante — per cui è indifferente se la gente accompagni o meno la sua partenza con esclamazioni di dolore — soggiunge: Von einer aber tut mr's weh’ [Ma una cosa mi dispiace], avrei preferito che non ripetesse la melodia dei versi precedenti, ma che fosse composta di bel nuovo e in modo più pregnante; anche in precedenza, peraltro, c’era da rimproverare qualche piccolo peccato di declamazione. Il secondo liederista che oggi la rivista raccomanda ai propri lettori in quanto buon compositore è W. H. Veit, il giovane boemo di cui già in varie occasioni abbiamo potuto parlare in termini lusinghieri. Nel fascicolo di cui oggi ci occupiamo egli non si è posto di fronte a compiti particolarmente impegnativi per la propria forza inventiva, scegliendo delle poesie di contenuto piuttosto scarso. Ci mancano forse opere poetiche valide? Rispon­ dere “sì” vorrebbe dire davvero fare un torto ai poeti. Pensiamo a quanto ci offrono gli antichi classici tedeschi, l’epoca di Goethe, la stessa nostra epoca, e quanto infine anche l’estero! A che scopo, dunque, rivolgersi a poesie mediocri, il che finisce sempre per nuocere alla musica? Niente di più bello che cingere il capo di un vero poeta con una degna corona di musica; ma sprecare quella corona per un volto assolutamente insignificante davvero non vale la pena. Per fortuna il talento non abbandona i nostri compositori anche quando essi si mettono a musicare tali poesie decisamente deboli, certo è però che esso si può esprimere in modo più ricco e vivace nelle poesie migliori, come quelle di Heine e Mosen; il compositore stesso ammetterà che sulle poesie di questi egli ha scritto con maggiore entusiasmo. Anche Veit rivolge la più grande attenzione alla verità dell’e­ spressione musicale nel rapporto con le parole. E questa è una lode di gran lunga superiore a qualunque altra. Se poi a un tale sforzo si aggiunge una buona dose di melodie chiare e sane la lode che merita l’artista è sicuramente doppia. E questo è appunto il caso: in ognuno dei Lieder possiamo trovare una bella cantabilità. Non manca una certa raffinatezza nell’accompagnamento, ma nemmeno mancano certi piccoli errori di declamazione, tanto piccoli da poter essere trascurati in uno studente, ma in un talento formato grandi abbastanza da dover essere segnalati (v. la parolai a pag. 3, sist. 3. batt. 2; la parola du a pag. 15, sist. 3, batt. 5). Tutti i Lieder di questo fascicolo si distinguono peraltro per un melodiz777

zare sereno che dobbiamo considerare, soprattutto rispetto a una raccolta precedentemente pubblicata (op. 8), come un confortante progresso sulla strada della maestria. Concludiamo infine questa serie di critiche positive con un fascicolo di Lieder di H. Esser, un compositore renano finora ancora poco noto. I testi sono per metà di Ruckert (poeta amatissi­ mo che, già egli stesso grande musicista nelle parole e nelle idee, lascia purtroppo spesso al musicista vero e proprio ben poco da aggiungere), per l’altra metà di poeti meno noti. Queste composi­ zioni saranno per tutti una piacevolissima sorpresa; che gioia dà poter dire una cosa del genere già di un’opera 4! Armonia: pura e raffinata; melodia: chiara, non senza originalità, facilmente canta­ bile; accompagnamento: spontaneo, significativo; scelta dei testi: seria, sensata; si può richiedere un più bel passaporto per il “Paese dei musicisti”? Una certa predilezione per Franz Schubert (ma assolutamente entro i limiti consentiti) posso cogliere nel 3° e nel 5° Lied; una forte reminiscenza di Weber (Arabien, mein Heimatland) nel 4°. Ma tali echi di altri compositori, emersi forse inconsapevol­ mente, disturbano poco o nulla in mezzo a tante cose originali, di fronte a una tanto palese ricchezza interiore. Il compositore, che merita una partecipe attenzione, voglia dunque proseguire su questa strada; poiché egli è ancora giovane, a maggior ragione possiamo guardare con gioia al suo futuro. Questo è il fedele resoconto della piccola festa critico-Iiederistica che oggi ho voluto celebrare e che spero di aver presto occasio­ ne di ripetere.

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92. TRII CON PIANOFORTE

Anni sono trascorsi dall’ultima volta che abbiamo recensito composizioni di questo genere; forse il lettore ricorda ancora un ciclo di critiche in cui avevamo discusso dettagliatamente tutti i Trii pubblicati all’incirca negli ultimi dieci anni. Seguendo attenta­ mente tutte le nuove pubblicazioni, dobbiamo davvero meravi­ gliarci di quanto poche opere di tal genere siano state edite negli ultimi 2-3 anni; e ancor di più dobbiamo meravigliarci di quanto poche ne siano state scritte. Chissà mai perché! Fatto sta che davanti a noi abbiamo solo quattro Trii e un Quartetto. Il nostro giudizio in proposito non potrà peraltro essere esauriente, in quanto solo uno di essi l’abbiamo potuto ascoltare eseguito. Per quanto raffinato e musicale possa essere l’udito interiore, lo spirito dell’esecuzione ha pur sempre i suoi diritti, il suono vivo e chiaro possiede effetti assolutamente particolari, circa i quali si può ingannare anche un buon musicista, colui che sente la musica direttamente leggendo dal foglio. Già è più facile giudicare là dove si abbia la partitura completa a disposizione, cosa che negli ultimi tempi è diventata lodevole consuetudine per i pezzi da camera; ma quando manchi la partitura non si può rimproverare il critico se la sua sarà una recensione engros. Il primo dei Trii in esame ha la parte del pianoforte che è contemporaneamente la partitura; è un’opera di B.E. Philipp. Già frequentemente abbiamo citato sulla rivista il nome di questo compositore di Breslavia. Col suo Trio, se non sbagliamo, egli affronta per la prima volta un pezzo da camera di un certo impegno. È in fa minore e sul piano formale si distingue dagli altri solo in quanto manca dello Scherzo. Per il resto ha un giusto carattere da Trio, in altre parole nessuno degli strumenti predo­ 779

mina sugli altri e ciascuno ha qualcosa da dire. L’atmosfera è prevalentemente lirica; nell’ultimo movimento c’è qualcosa che fa pensare a un’intenzione drammatica da parte del compositore, ma il tono generale rimane pur sempre lirico. Il primo movimento sembra il brano di effetto più immediato, in quanto possiede scorrevolezza e politura. Per un’efficacia più incisiva, però, gli manca solo una conclusione più significativa ed energica; cosi com’è si sente che il compositore era alla fine, che la fantasia non gli offriva più niente. Ci sembra comunque il movimento più riuscito del Trio. L’Adagio ci dice poco: le prime otto battute del tema sono ben ideate sul piano melodico, per quanto ricordino l’Adagio della Sonata in fa minore di Beethoven; ma le successive sono decisamente inconcludenti dal punto di vista musicale, così come anche la sezione centrale in sik minore ci pare misera e senza fascino. L’ultimo movimento, il Finale, si collega bene all’Adagio e parte con uno slancio ardito. Le prime battute dell’Allegro assomi­ gliano molto, nel movimento e nel carattere, all’ultimo movimento della Fantasia in do # minore di Beethoven; 1 se con ciò l’efficacia è inizialmente ridotta, ben presto ci riconcilia l’ottima idea, ricca di slancio melodico, nella tonalità maggiore una terza maggiore sotto, che poi, come di consueto, ritornerà nella tonalità principale resa però maggiore. Prima della fine riemerge un episodio dell’Adagio: non sappiamo se con effetto. Con simili “reminiscenze”, come si dice, c’è sempre qualche rischio; ove ciò non si verifichi nel più libero volo della fantasia (come ad esempio avviene nel Finale della Sinfonia in do minore, dove riemerge lo Scherzo), in modo tale che noi dobbiamo riconoscere: non può essere altrimenti, in tal caso il risultato sarà voluto e artificioso; l’intenzione è comunque di per sé lodevole, e noi la incontriamo sempre con piacere. Insomma: il Trio piacerà per molte cose a coloro che non preten­ dono continuamente il massimo della maestria; l’aspirazione del compositore era innegabilmente buona, sicché noi gli auguriamo di incontrare in futuro sempre, per altre simili opere anche di maggiore mole, editori disponibili come quello del Trio, il quale ha generosamente fornito quest’opera di un’ottima veste tipografica. Il Trio è dedicato a Adolf Henselt. Di un Trio di Cari Seyler non possiamo dire altro se non ciò che

1 S'intende la Sonata quasi una Fantasia op. 27 n. 2. [M.K.]

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ci consente un’esecuzione muta, fatta disponendo intorno a noi le singole parti. E peraltro un’opera abbastanza chiara da non richie­ dere necessariamente la partitura per essere compresa, e appa­ rentemente non si solleva di molto al di sopra di quell’inventiva media che sempre ci permette di indovinare in anticipo qualche minuto di musica, tanto che nelle pause della parte del pianoforte potevo tranquillamente immaginare che cosa succedeva negli altri strumenti. Il carattere del pezzo è moderno, piacevole, borghese; possiede una certa cantabilità, per quanto limitata e comune; l’armonia è semplice, ma corretta. Tutto ci fa pensare a un compo­ sitore giovane e di buone aspirazioni. Per restare su una strada valida, soprattutto in una grande città come Vienna, bisogna possedere una notevole forza. Là tanto il pubblico quanto gli editori vogliono in primo luogo cose facili e divertenti, e per loro un pirotecnico vale più di un robusto gladiatore. E perciò capitato spesso che coloro che non hanno voluto capire ciò e che sono voluti andare contro corrente si siano trovati a dover proseguire il proprio cammino soli e senza applauso, mentre coloro che si sono adeguati, rinunciando presto ad ogni più alta aspirazione, si son trovati a nuotare nella corrente in mezzo a cento altri scomparen­ do senza lasciare traccia. Auguriamo al giovane compositore di possedere sufficiente perseveranza per non ricadere nella seconda classe. Che cos’è l’applauso delle masse che seguono la moda a confronto col silenzioso applauso del vero artista! Il pubblico è insaziabile, mentre un’opera d’arte elaborata con cura, ben riusci­ ta, potrà durare decenni. Siamo giunti a questo tono moraleg­ giante perchè sappiamo quanto spesso talenti che iniziano bene si accontentino appunto del solo inizio in quanto soffrono per la mancanza di un incoraggiamento, soprattutto nelle grandi città. Possa dunque questo Premier Trio essere il precursore di una lunga serie di pregevoli opere consimili, e speriamo che il compositore voglia proseguire su questa strada, rafforzando e perfezionando le proprie forze affrontando grandi forme. Ai già recensiti Trii dei Sigg. Philipp e Seyler aggiungiamo altre tre nuove pubblicazioni, opere di A. Fesca, J. P. Pixis e F. Mendelssohn - Bartholdy. Del talento compositivo del primo si è già varie volte parlato sulle pagine di questa rivista. Notiamo che egli possiede una grande facilità di scrittura: di recente sono state pubblicate parec­ chie opere di sua composizione, fra l’altro anche opere di un certo 781

impegno. Il Trio ha una natura di farfalla, se non pienamente quella del compositore maturo: egli assaggia e spiluzzica ancora qua e là nell’arte, però con gioia ed amore, e questo è positivo. Volentieri si appoggia ai suoi più grandi compagni d’arte. Men­ delssohn, Henselt, anche Thalberg si possono trovare senza trop­ pa fatica. La facilità e la grazia, però, con cui egli vi si accosta ci fanno rapidamente riconciliare. A parte il robusto elemento tede­ sco, questo giovane compositore potrebbe essere accostato senz’al­ tro al francese Bertini. Non sappiamo se poi questo paragone gli piaccia; egli però possiede senz’altro la stoffa per annientare il modello, per superarlo ampiamente sul piano della serietà e della virile espressione. Come un’opera di Bertini, il Trio suona dunque in modo grazioso e piacevole. Non ci sono troppe precauzioni per la grammatica, e nemmeno per quinte e ottave (almeno per l’occhio); ciò che gli piace lo scrive: l’orecchio è il suo giudice supremo. Non abbiamo nulla contro questo principio. Ciò che suona bene se la ride di ogni grammatica, così come ciò che è bello di ogni estetica. Dopo tutto ciò che s’è detto, l’amico dell’arte sa già che cosa aspettarsi da questo Trio: siamo a metà strada fra artista e dilettante e piacerà a tutti coloro che non pretendono sempre il sublime. In particolare citiamo il fatto che il Trio dev’essere esegui­ to senza soluzione di continuità fra le varie parti. I singoli movi­ menti non possiedono però un rapporto, un collegamento interio­ re, sicché una pausa dopo ciascuno di essi darebbe lo stesso effetto. Il pianoforte predomina, non tanto, però, da impedire agli altri strumenti di mostrarsi compiutamente; da lodare, infine, la chia­ rezza nella disposizione complessiva: da lodare doppiamente in un artista giovane quale il nostro compositore sembra essere. Il Trio di J. P. Pixis è già il sesto di questo compositore ed è la prima opera significativa di lui che vediamo dopo parecchio tempo. Non l’ho ancora ascoltato eseguito in formazione comple­ ta, e può darsi che perciò mi sia sembrato un po’ confuso e frammentario. L’inizio è originale. Il pianoforte comincia con una figura selvaggia, su cui i bassi sovrappongono l’idea principale del primo movimento. In generale tutto il primo movimento ha un carattere selvaggio, per quanto selvaggio possa essere un composi­ tore che non è Beethoven e che in Sicilia, passeggiando con una celebre sorella sotto sempre verdi archi di trionfo, non deve aver avuto troppi motivi per lamentarsi della vita. Su toni simili è anche la conclusione del movimento. Il Capriccio, che tiene il posto dello 782

Scherzo, sembra assai frizzante e spiritoso, felice come sempre sa essere Pixis in queste piccole cose. L’Adagio, di carattere senti­ mentale, è quasi pari in lunghezza ai tre altri movimenti messi assieme, e quindi davvero troppo lungo; abbiamo un’idea melodi­ ca abbastanza comune per la quale viene sprecata una grande ricchezza armonica, mentre la stessa idea, semplificata e ridotta, avrebbe dato lo stesso effetto. Una vitalità più ricca offre il movi­ mento conclusivo, come il primo nella non comune tonalità di fa # minore. La conclusione ricorda peraltro un pezzo delle Soirées di Rossini, così come i salti d’ottava nella figura principale richiama­ no i timpani nello Scherzo della Sinfonia in re minore di Beethoven. Nel complesso è un’opera brillante e difficile, ma di una difficoltà che dà soddisfazione. Se pure non le si può attribuire un effetto duraturo, una lunga vita, quali sono caratteristiche tipiche di un’opera magistrale, come pezzo brillante e virtuosistico è senz’al­ tro significativo e originale e mira a qualcosa di più che alla semplice esibizione tecnica dell’esecutore e al puro divertimento dell’ascoltatore. Ci resta da dire qualcosa sul Trio 2 di Mendelssohn: solo poche parole, in quanto certo si trova già nelle mani di tutti. È il capolavo­ ro fra i Trii del presente, così come a loro tempo furono quelli di Beethoven in sit e in re e quello di Franz Schubert in mik; una composizione bellissima, che per anni ancora rallegrerà nipoti e pronipoti. La tempesta degli ultimi anni sta iniziando a placarsi e, bisogna ammetterlo, ha già lasciato sulla riva più di una perla. Mendelssohn, per quanto da quella meno scosso di altri, resta pur sempre un figlio del suo tempo, e ha anche dovuto lottare, e spesso ascoltare le chiacchiere di alcuni ottusi recensori, secondo i quali “la vera fioritura della musica è dietro di noi”; egli invece ha saputo conquistarsi un posto elevato, sì che noi possiamo dire a buon diritto: egli è il Mozart del XIX secolo, il più limpido musicista, colui che ha visto nel modo più chiaro e per primo riconciliato le contraddizioni dell’epoca. E non sarà neppure l’ultimo artista. Dopo Mozart venne un Beethoven; al nuovo Mozart seguirà un nuovo Beethoven, anzi è forse già nato. Che dire ancora di questo Trio che già non si sia detto tra sé chiunque l’abbia ascoltato? Sono stati senz’altro più fortunati coloro che

2 Si tratta del Trio in re minore op. 49 del 1839. [M.K.]

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l’hanno ascoltato eseguito dall’autore stesso. Se è pur vero, infatti, che esistono dei virtuosi più arditi, nessuno sa interpretare le opere di Mendelssohn con altrettanta magica freschezza quanto lui stesso. Con ciò non vogliamo però scoraggiare nessuno dal suonare il Trio: a confronto con altri, per esempio con quelli di Schubert, ha meno difficoltà, per quanto in generale queste siano, nei capolavori di prim’ordine, in diretta relazione con l’effetto, sicché maggiori sono le difficoltà, più ricco è l’effetto. Non è peraltro nemmeno il caso di dire .che il Trio non è scritto solo per il pianista, che anche gli altri devono intervenire fattivamente e possono perciò contare sul godimento e sulla gratitudine di chi ascolta. Operi dunque questo nuovo Trio il suo effetto in tutte le direzioni, così come deve, e sia per noi una nuova testimonianza della forza artistica del suo creatore, che ora sembra essere quasi nel periodo della sua più alta fioritura.

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93. LA VITA MUSICALE A LIPSIA NELL’INVERNO 1839-1840

Bisogna convenire che in questa Lipsia, verso cui la natura è stata matrigna, fiorisce la musica tedesca, sì che essa può conside­ rarsi, senza tema d’esser tacciata d’immodestia, alla pari dei più ricchi e più grandi giardini d’alberi da fiore e da frutto delle altre città. Quale grande quantità di eccellenti opere d’arte ci è stata nuovamente offerta nello scorso inverno, quanti importanti artisti ci hanno allietato con la loro arte! E se ciò vale in particolare per le locali istituzioni concertistiche, anche le altre istituzioni — a para­ gone con le altre città — meritano un riconoscimento sul piano della vivacità organizzativa. Il nostro teatro, come un buon nego­ zio di moda, ci offre sempre quantomeno le ultime novità da Parigi, e fra i suoi membri dobbiamo contare non pochi elementi di spicco. E la chiesa non è da meno, anche se con i mezzi a disposizione si potrebbe avere ancora di più. Sul piano più alto, però, sta come già detto la musica da concerto. E noto come i concerti del Gewandhaus costituiscano da ormai quasi mezzo secolo un sicuro asilo in particolare per la musica tedesca e come questa istituzione abbia attivamente lavorato quan­ to mai nessun’altra prima. Con un celebre Maestro alla propria testa, l’orchestra ha raggiunto negli ultimi anni livelli di virtuosi­ smo sempre più alti. In particolare, nel campo dell’esecuzione di Sinfonie è difficile trovare in Germania un’orchestra che le stia alla pari, e sappiamo come in essa si possano trovare eccellenti stru­ mentisti anche prèsi singolarmente. La direzione si è inoltre assicurata per quest’inverno anche sicuri talenti vocali che ci hanno completamente ripagato dell’assenza delle straordinarie cantanti inglesi ingaggiate nella stagione precedente. Come sem­ pre si è puntato anche molto sulla varietà, tanto per le composizio­ 785

ni eseguite quanto per gli artisti - stranieri e tedeschi - presenta­ ti. Per parlare innanzitutto delle prime, valori più duraturi, dire­ mo che quest’anno come sempre la scelta delle opere eseguite ha decisamente evidenziato la preferenza per l’antica scuola classica. Più frequentemente sui programmi dei concerti troviamo il nome di Beethoven, immediatamente seguito da Mozart e da Haydn. Una certa attenzione è stata riservata anche a Weber, Cherubini, e Spohr. Bach, Hàndel e Gluck sono comparsi una volta ciascuno, e spesso troviamo pure all’estremo opposto Rossini, Bellini e Doni­ zetti che sembrano essere per i cantanti scelte inevitabili. Sono state inoltre presentate composizioni di quasi tutti i Maestri tede­ schi contemporanei più significativi, come Marschner, Schneider, Onslow, Kalliwoda e altri. Abbiamo notato la completa assenza di Lachner e Loewe, ma era forse un caso. Si è potuto infine ascoltare anche qualcosa di artisti ancora poco noti: è nostra intenzione parlare soprattutto delle opere di questi presentate per la prima volta qui a Lipsia in questa stagione invernale, ma forzatamente — dopo un solo ascolto e data la grande quantità di materiale su cui discutere — potremo solo esprimerci a grandi linee e concisamente. Parliamo innanzitutto del più alto genere della musica stru­ mentale, la Sinfonia; tre sono state quelle che abbiamo ascoltato per la prima volta: di Lindblad, Kittl e Kalliwoda, tra i quali il primo ha riscosso il minore successo, l’ultimo il maggiore. Il compositore della prima Sinfonia, già pubblicata, è svedese ed è già stato citato su queste pagine come un buon compositore di Lieder. Già prima di ascoltare la sua opera me n’ero fatta un’idea precisa: in essa vediamo molte idee, un chiaro progetto formale e molto lavoro; possiede insomma tutti quei pregi modesti, poco appari­ scenti, che non interessano al pubblico. Con la sua Sinfonia questo straniero si è sicuramente guadagnata la partecipe attenzione dell’esperto; per conquistare anche quella del pubblico bisogna che qua e là gli conceda qualcosa, senza rinunciare alla propria arte e cercando un felice equilibrio. Un temperamento più vivace e sanguigno dimostra la Jagdsinfonie [Sinfonia di caccia] del Sig. Kittl, un giovane compositore praghese; la sua opera ha riscosso, come si suol dire, un succèspopulaire, un successo crescente ad ogni movimento, essendo in effetti tutti i movimenti disposti in una sorta di crescendo generale. Il primo movimento s’intitola Richia­ mo e inizio della caccia; l’Andante rappresenta una Pausa della caccia, lo Scherzo un Banchetto a cui segue la Conclusione della caccia. Come

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è logico dato l’argomento, la musica possiede un carattere assolu­ tamente allegro e i corni risuonano spesso con giusti toni venatori. Essa possiede però anche una certa originalità stilistica, il che ci fa apprezzare maggiormente questo compositore in quanto è un’ori­ ginalità che i giovani sinfonisti possiedono raramente; per cui guardiamo con gioia alle sue future Sinfonie, sperando di incon­ trare nuovamente questo allegro cacciatore in un’altra sfera senti­ mentale, se ciò non contrasta troppo con la sua natura. Giusto in questi giorni la Sinfonia viene pubblicata a stampa. Della Sinfonia di Kalliwoda, la sua quinta, abbiamo già dato notizia in una breve cronaca, dicendo quanto essa ci fosse sincera­ mente piaciuta; è un’opera assai originale e anzi senz’altro unica nel mondo delle Sinfonie per la delicatezza e l’amabilità che si riscontrano continuamente dall’inizio alla fine. Se il compositore avesse voluto scrivere una musica per Undine, ad esempio, tali qualità sarebbero state prevedibili, quasi ovvie; ma poiché invece così non è, tanto più apprezzabile è la sua Sinfonia. Quale lieta sorpresa ha rappresentato per noi quest’opera! Noi pensavamo che il compositore, residente in una piccola e lontana cittadina, fosse ormai diventato indifferente nei confronti del proprio talen­ to e vivesse in un piacevole ozio, mentre invece questa Sinfonia dimostra come sempre un abile Maestro soprattutto sul piano della strumentazione e ci conduce in una di quelle strane regioni dello spirito dove nascono le fate di cui prima abbiamo parlato. I quattro movimenti sono collegati l’uno all’altro con tale delicatez­ za da sembrare composti in un sol giorno; tutta la Sinfonia è piena di elementi efficacissimi e assai raffinati sul piano artistico, raffinati artifici che una mano magistrale sa nascondere all’orecchio e che solo l’occhio riesce a individuare. Salutiamo dunque in Kalliwoda un fusto sempre verde e vitale nel bosco dei musicisti e dei poeti tedeschi e speriamo di incontrarlo presto nuovamente su questo campo, ove egli già cinque volte si è affermato con onore. Poiché egli è anche un Maestro di grande modestia, voglio rendere noto un fatto per i suoi futuri biografi, una cosa che è assai tipica del suo carattere. Pochi anni fa egli si convinse che la propria preparazio­ ne non era sufficiente e si rivolse perciò ad un compositore di Praga 1 per ricevere da lui lezioni di contrappunto doppio, fuga,

1 [R.S.] Tomaschek.

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ecc. Sbaglierebbe chi pensasse che questo praghese confratello nell’arte così gli abbia risposto: “Insegnami prima a comporre Sinfonie come le tue e poi accetta ciò che posso offrirti io”. Il fratello in Apollo, come spesso Beethoven chiamava i suoi amici Kapellmeister, accettò invece di buon grado, ma pretese un onora­ rio talmente spropositato che il nostro ottimo Kapellmeister, che peraltro aveva già degli allievi suoi, a buon diritto non accettò, preferendo continuare a comporre come prima. L’aneddoto è istruttivo e, come già detto, può essere di qualche interesse per i futuri biografi. Queste erano le tre nuove Sinfonie; abbiamo potuto ascoltare lo stesso numero di Ouvertures: per l’opera L'avvertimento della zingara di J. Benedict, per l’opera Die Genueserin [La genovese] di Lindpaintner e una di Julius Rietz, di Dusseldorf. Le prime due sono già stampate, ma non sono certo opere d’arte di prim’ordine, bensì semplici Ouvertures teatrali come ce ne sono a dozzine, scritte solo per l’applauso. Assai significativa mi è invece sembrata la terza, un’opera tedesca da capo a fondo, artisticamente ricca, in certi dettagli forse fin troppo elaborata, tanto che certi punti sono difficilmente penetrabili ad un semplice primo ascolto; per quanto riguarda il carattere è una sorta di novella orchestrale, che ben si adatterebbe ad aprire una commedia o comunque un’opera tea­ trale di Shakespeare. Il titolo di Konzertouverture [Ouverture da concerto] non spiega se sia stata pensata per un particolare sogget­ to; come già detto, però, penseremmo a Shakespeare. Speriamo che presto venga pubblicata; Io merita tanto quanto le sue prece­ denti sorelle; anzi: a paragone di quelle meriterebbe di essere stampata su pregiatissima corta velina. Già in precedenza abbiamo avuto occasione di ricordare che durante un concerto al Gewandhaus abbiamo potuto ascoltare tutte insieme le Ouvertures scritte da Beethoven per il suo Fidelio 2 e già abbiamo segnalato l’ottima prestazione offerta quella sera

2 Cfr. art. 83 e nota corrispondente. A proposito di questa esecuzione delle quattro Ouvertures possiamo ricordare un curioso aneddoto. L'esecuzione completa non era prevista dal programma: un violinista straniero si era esibito nella prima parte del concerto (in cui erano state eseguite le due prime Ouvertures), ma la sua partecipazione era stata un fiasco totale, tanto che egli decise di andarsene senza dir niente a nessuno; per riempire il buco venutosi in tal modo a creare nella seconda parte, Mendelssohn decise sul momento di eseguire le altre due Ouvertures, senza che peraltro fossero state provate. [M.K.]

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dall’orchestra. Per chiarire ulteriormente le idee al lettore circa il rapporto fra Un’Ouverture e l’altra, osserviamo quanto segue: l’Ouverture eseguita quella sera come n. 1 è già stata pubblicata in partitura da Haslinger a Vienna con l’annotazione, nel titolo, di Opera postuma-, è in do maggiore ed è la prima in assoluto che Beethoven scrisse per la sua opera e che sembra sia poco piaciuta alla prima esecuzione. Quella eseguita come n. 2 è ancora inedita e il manoscritto è in possesso dei Sigg. Breitkopf 8c Hàrtel; è anch’essa in do maggiore e chiaramente è la prima versione della celebre grande Ouverture (n. 3) già pubblicata in partitura dagli stessi Breitkopf & Hàrtel; la n. 4, infine, è quella più facile in mi maggiore, quella che di solito si sente in teatro. È auspicabile che i vari editori si accordino per pubblicare tutte c quattro le Ouvertures insieme in un unico volume: una simile iniziativa sarebbe per maestri ed allievi una memorabile testimonianza tanto dell’impe­ gno e della scrupolosità di Beethoven quanto della sua straordina­ ria forza inventiva che come per gioco sapeva creare e distruggere, una forza che la natura aveva tutta riposta in lui in quanto sarebbe stata sufficiente per riempire mille altri vasi. Per la massa è indiffe­ rente che Beethoven abbia scritto quattro Ouvertures per una sola opera mentre ad esempio Rossini ne abbia scritta una sola per quattro opere. Ma l’artista deve seguire tutte le tracce che lo possano condurre nell’officina segreta del Maestro, e per facilitare tale compito, in particolare a colui che non facilmente trova un’orchestra in grado di eseguire tutte e quattro le Ouvertures, non ci sarebbe niente di meglio che appunto un’edizione comple­ ta, ed è un desiderio che speriamo di non aver espresso invano.3 Già sapete dalle nostre precedenti cronache come durante i concerti in abbonamento abbiamo potuto ascoltare, oltre alle vecchie e nuove Sinfonie ed Ouvertures, anche brani da opere, da cori sacri e simili. Anche in questo caso ci sono state offerte alcune interessanti novità. Parliamo innanzitutto dell’ouverture, Atto Secondo e Finale dall’opera Die Hermannsschlacht [La battaglia di Arminio] del Kapellmeister Chélard. Non era necessaria una gran­ de scienza per capire che questa musica non è stata scritta per una sala da concerto e che solo sulla scena potrà essere pienamente efficace. Gli strumenti e le voci soffocavano quasi in questi spazi

3 [R.S.] Tale desiderio si è nel frattempo realizzato.

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ristretti, e la delicata sala da concerto sembrava quasi un vecchio pianoforte Silbermann sotto le mani di un Liszt. Come già detto, l’opera conseguirà il giusto effetto solo in teatro, ed in effetti così o già stato, come testimoniano le recensioni giuntaci da Monaco dove l’opera è stata rappresentata per intero. Il processo di forma­ zione di questo compositore dovrebbe peraltro essere abbastanza interessante; egli è un Meyerbeer al contrario, infatti egli è un musicista francese trapiantato su suolo tedesco, mira palesemente ad un’approfondita caratterizzazione e possiede in particolare uno spiccato talento per la strumentazione, come questi frammen­ ti hanno chiaramente dimostrato. Soprattutto l’Ouverture pre­ sentava molte cose originali e belle. Il compositore ha diretto personalmente ed è stato salutato dal pubblico con ripetute ova­ zioni. Chiamato di recente al posto che fu di Hummel, egli è oggi vicino alla nostra città e speriamo perciò di aver presto occasione di fare un’approfondita conoscenza delle opere di questo amabile artista. Un’altra novità era rappresentata dalla preghiera Verleih uns Frieden guadiglieli [Concedi a noi benigno la pace] di Mendelssohn su parole di Lutero, che abbiamo potuto ascoltare per la prima volta alla vigilia della festa della Riforma; una composizione di una bellezza davvero unica, della cui efficacia è difficile farsi un’idea precisa guardando semplicemente la partitura. Il compositore l’ha scritta durante il suo soggiorno a Roma, città a cui noi dobbiamo anche altre sue composizioni sacre. Come avrei voluto che il nostro Gottschalk Wedel avesse ascoltato questa Preghiera] Il suo articolo sulla Trasformazione della musica sacra 4 sarebbe stato senz’altro diverso. Questo piccolo pezzo merita una fama mondia­ le e sicuramente la conseguirà in un prossimo futuro; le Madonne di Raffaello e di Murillo non possono restare a lungo celate. Lo stesso Maestro ci ha inoltre offerto il giorno di Capodanno un nuovo, grande Salmo appena concluso, sulle parole del CXIV Da Israel aus Agypten zog [Quando Israele uscì dall’Egitto]. Chi scrive rapidamente una dopo l’altra opere nello stesso genere si espone tanto più facilmente al rischio dei confronti. Così è avvenu­ to anche in questo caso. Il precedente, preziosissimo Salmo di

4 L’articolo (Zt. 1839, voi. 11, 145) polemizzava contro l’utilizzo dell’orchestra in chiesa. [M.K.]

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Mendelssohn Wie der Hirsch schreit era ancora vivo nella memoria di tutti. Diverse sono state le opinioni circa il valore minore o maggiore delle due opere, ma la maggior parte delle voci si sono espresse in favore dell’opera precedente. Riportiamo questa circo­ stanza come una prova del fatto che il pubblico, nonostante la venerazione che nutre nei confronti e di questo compositore, non gli si affida però nemmeno ciecamente. Nessuno può peraltro mettere in dubbio le specifiche bellezze di questo nuovo Salmo, anche se non nego che anch’io personalmente l’ho trovato inferio­ re al precedente sul piano della freschezza inventiva (soprattutto nella seconda metà) che mi è sembrato echeggiare qualcosa di già ascoltato dello stesso Mendelssohn. L’ultimo concerto ci ha infine offerto, come novità, l’Ouverture, la Scena del giudizio e il Finale da Les Abencérages di Cherubini, che però purtroppo io non ho potuto ascoltare. Ma sembra che la musica fosse bellissima, cosa di cui non dubiterà chiunque conosca questo Maestro. Dobbiamo ancora esprimere la nostra gratitudine agli artisti e alle artiste le cui interpretazioni hanno abbellito i concerti del Gewandhaus. Come prima cantante era stata ingaggiata la Signo­ ra Elise Meerti di Anversa, come seconda la Signorina Sophie Schloss di Colonia. Il favore del pubblico per la prima è cresciuto visibilmente di sera in sera; ella non è nel numero di quei talenti brillanti che sanno conquistare il pubblico fin da dalla loro prima apparizione; i suoi pregi si sono potuti scoprire solo un po’ per volta, ed essa stessa li ha d’altronde manifestati solo gradualmente in tutta la loro amabilità. Purtroppo nei primi tempi della sua presenza qui da noi ella sapeva ancora troppo poco il tedesco per poter cantare nella nostra lingua e perciò abbiamo potuto ascolta­ re soprattutto opere italiane o franco-tedesche (Spontini, Meyer­ beer, Dessauer). Solo nel suo concerto d’addio ella ha cantato un Lied tedesco di Mendelssohn, il quale echeggierà in noi senz’altro più a lungo di tutto il resto anche per l’intimo sentimento con cui l’ha interpretato; ella ha peraltro dimostrato di possedere sicure e nobili doti sia dal punto di vista vocale che da quello interpretati­ vo. Alla fine di gennaio ella è partita, ma ritornerà il prossimo inverno ed avremo perciò presto il piacere di riascoltarla. Dopo la sua partenza abbiamo potuto ascoltare più frequentemente l’altra cantante, la Signorina Schloss, che fino ad allora era rimasta un po’ in secondo piano tanto per la presenza della Meerti quanto per un 791

certo imbarazzo nei confronti del pubblico per lei ancora nuovo. Ora, però, senza la rivale e possedendo sicuramente una vera voce di bravura e da concerto, ha mostrato in breve tempo progressi quasi incredibili. L’intonazione, prima un po’ incerta, è sembrata guadagnare ad ogni esibizione in sicurezza, la coloratura in pulizia e tutta la voce in forza, tanto che il pubblico l’ha accolta con sempre crescente favore, dimenticando completamente le precedenti per­ plessità. Questa cantante, ancora giovane, diligente, e a parte ciò formata in modo saldo e vigoroso, ha un lieto futuro davanti a sé e non crediamo di rimaner delusi in questa nostra profezia. Un futuro non meno brillante possiamo promettere a un altro talento, il più straordinario virtuoso che da tempo ci è capitato di incontra­ re, un violinista di nome Christoph Hilf, che abbiamo avuto occasione di ascoltare due volte durante i concerti in abbonamen­ to. Già altre riviste hanno raccontato come egli, nativo della cittadina sassone di Elster e di professione tessitore di lino, abbia per anni suonato soltanto danze nelle bettole; infine, un anno e mezzo fa circa, attratto da un irresistibile amore per la musica è venuto col suo violino in spalla a Lipsia, che fin dall’infanzia era per lui come un miraggio. Arrivò dunque qui da noi, ancora grezzo e non dirozzato come un blocco di marmo, attendendo semplicemente gli eventi. Egli è capitato però nelle mani migliori, in quelle del nostro Konzertmeister David, il quale comprese subito che per far venire a galla i pregi nascosti di questo notevolissimo talento era sufficiente eliminare le grezze incrostazioni che lo ricoprivano e si mise perciò all’opera con grande prudenza in modo da non danneggiare nulla. Al settimo concerto lanciò il proprio allievo nella lizza. Lui fortunato! Egli non sembrava cono­ scere nemmeno lontanamente la paura di tanti altri virtuosi esordienti e non — che suonano come se una spada di Damocle pendesse sopra le loro teste; si affidò al suo buon vecchio violino, quello stesso che finora l’aveva aiutato a farsi strada nel mondo e che sperabilmente continuerà ad aiutarlo; non suonava con la parte spalancata davanti, ma a memoria, guardando direttamente il pubblico, così come sempre si dovrebbe. Era il Concerto, un po’ dolciastro, di Bériot e sa il cielo come sotto le sue mani energiche questa composizione sembrò possedere nerbo e vigore, con gran­ de piacere da parte di tutti gli ascoltatori. Forse cento altri sapreb­ bero eseguire questo Concerto in modo più galante e parigino; ma questa freschezza originale, questa ingenuità, questo tono vitale 792

nel modo di porgere sono qualità che solo raramente ho sentito. Se egli possiede anche talento compositivo non dubito che farà presto parlare di sé in lungo e in largo. Credo anzi che egli debba prima o poi provarsi nell’invenzione autonoma, in quanto le composizioni esistenti non basteranno presto più alle sue straordi­ narie capacità. In un concerto successivo egli suonò delle Variazio­ ni di David col medesimo virtuosismo, con lo stesso brillante successo. Eravamo debitori di questa dettagliata recensione nei confron­ ti di questo grande talento, nei confronti di quest’uomo peraltro non certo ricco e agiato. A proposito di altri artisti già noti potremo essere più brevi. Fra gli stranieri citiamo: il Sig. Prume, la Signora Camilla Pleyel, il Kapellmeister Kalliwoda, il Sig. F. A. Kummer, violoncelli­ sta della Cappella di Dresda; di tutti costoro abbiamo più volte parlato su queste pagine. I Sigg. Tretbar e Nehrlich, Kammermusiker rispettivamente di Brunswick e di Prussia, si sono dimostrati eccellenti clarinettisti; il Sigg. Hausmann di Hannover e Bernhard Schneider di Dessau, quest’ultimo figlio del Kapellmeister Friedrich Sch., ottimi violoncellisti, e il Sig. Hausmann anche compositore di talento per il proprio strumento; e infine anche l’ultrasessantenne anziano Kammermusiker di Sassonia G. H. Kummer ha dimostrato di essere ancora un grande Maestro del fagotto. Tutti questi artisti hanno riscosso un caldo successo, e i primi tre in particolare un successo addirittura entusiastico. Invece un violinista venuto da Weimar ha annoiato alquanto. Si sono esibite anche alcune can­ tanti straniere, la Signora Johanna Schmidt di Halle, il cui nome è stato spesso citato in termini elogiativi da questa rivista, la Signori­ na von Treffz di Vienna, la Signorina Auguste Lòwe e la Signorina Caspari di Berlino, fra le quali la Signorina von Treffz ha dimo­ strato di possedere le maggiori doti musicali, la Signorina Lòwe la migliore voce,, ammesso che sia possibile emettere un giudizio preciso solo dopo un ascolto o due. Fra gli artisti locali o attualmente qui residenti abbiamo potuto ascoltare, oltre alla Signora Schmidt, moglie del tenore del nostro teatro: il Musi/edfr^orMendelssohn-Bartholdy con il suo Concerto in sol minore, il Sig. Ferdinand Hiller, insieme col precedente, nel Concerto per 2 pianoforti di Mozart che qui non avevamo ancora potuto ascoltare e nell’ Hommage à Haendel di Moscheles, il Konzertmeister David una volta con delle Variazioni e un’altra volta con un 793

Concerto, poi due volte il già citato Ch. Hilf, una volta il Sig. Eckert di Berlino, allievo di Mendelssohn e di David, in un Concerto per violino composto con diligenza e talento, e infine i migliori membri dell’orchestra, i Sigg. Queisser (trombone), Uhlrich (violino), Greser (flauto), Haake (flauto), Heinze (clarinetto), Grabau (violoncel­ lo), Diethe (oboe) e Pfau (corno). In vari concerti vocali hanno collaborato anche i Sigg. Pògner, Anschutz e Weiske. Il concerto a favore del Fondo per i musicisti anziani ed ammalati ha offerto anche quest’inverno, come sempre, momenti di particolare interesse, fra l’altro una Sinfonia di Weber, un lavoro giovanile, limpido e vivace, del Maestro e che è stato pubblicato solo ora. Quella stessa sera è intervenuto anche Mendelssohn, eseguendo in modo incantevole la propria Serenata e Allegro come pure è da ricordare VAnima 5 profùsa nelle interpretazioni degli altri artisti, il Sig. David, la Signora Biinau, le Signorine Meerti e Schloss. Nel concerto in favore dei poveri della nostra città è stato eseguito, come già riferito, l’Oratorio Die Zerstorung Jerusalems di F. Hiller. Analizzando in modo ulteriormente approfondito le opere vocali e orchestrali eseguite nei concerti in abbonamento, osser­ viamo che le scelte della direzione sono cadute soprattutto su opere antiche o comunque già ascoltate; ma questa è stata una scelta obbligata, in quanto palesemente al momento attuale c’è una carenza di buone composizioni nuove nel campo della musica concertistica, in particolare di Sinfonie e pezzi vocali con orche­ stra. Il bisogno di tali opere si sta facendo sempre più urgente. Speriamo che i nostri compositori tengano conto di quanto detto. Nei programmi abbiamo inoltre sentito la mancanza di un Berlioz. In effetti di lui sono state pubblicate solo alcune Ouvertures, ma certo non dovrebbe essere difficile fare arrivare anche le sue Sinfonie, e questo solo suggerimento dovrebbe essere sufficiente. Egli non deve mancare più a lungo, egli che, comunque la si pensi, non può certo essere dimenticato all’interno della storia della musica così come non si può trascurare un avvenimento storico all’interno della storia del mondo e che costituisce senz’altro un

5 In italiano nel testo.

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elemento di straordinaria importanza per un giudizio complessi­ vo sullo sviluppo della musica più recente. L’istituzione concerti­ stica del Gewandhaus può certamente procurare i notevoli mezzi necessari all’esecuzione delle sue composizioni ed eventualmente, là dove questi confinino con la bizzarria, semplificare pur con la massima prudenza, in modo che le sue opere possano essere conosciute se non altro nella sostanza. Speriamo inoltre che l’idea, già sperimentata, di offrire con concerti storici uno sguardo retrospettivo sulle varie epoche possa essere ripresa nei prossimi anni. Oltre ai concerti del Gewandhaus e dell’Euterpe abbiamo visto organizzare da parte della direzione dei concerti del Gewand­ haus nella seconda metà dell’inverno sei incontri serali che occu­ pavano il posto delle precedenti serate quartettistiche di Matthài prima e poi David. Andando in certa misura incontro ai gusti del pubblico, si è deciso di allargare i confini sinora rispettati, sicché in queste soirées abbiamo avuto anche concerti sia di gruppi più ampi sia di solisti. A tutto vantaggio della musica come degli ascoltatori è stata abbandonata la piccola antisala in cui avevano luogo i Quar­ tetti ed è stata invece utilizzata la grande sala da concerto. Le composizioni e le esecuzioni magistrali annunciate dai programmi hanno sempre attirato un pubblico scelto e numeroso; non è facile sentire cose tanto eccellenti eseguite in modo altrettanto eccellen­ te. I componenti del quartetto erano i Sigg. David, Klengel, Eckert e Wittmann; i Quartetti eseguiti erano di Mozart, Haydn, Beetho­ ven, Cherubini, Franz Schubert e Mendelssohn. Sono stati inoltre eseguiti il Nonetto e il Doppio Quartetto di Spohr, Ottetto di Mendels­ sohn, il Quintetto di Onslow, Trii di Beethoven, Mendelssohn e Hiller, Sonate a due strumenti e simili di Mozart, Beethoven e Spohr. Fra questi pezzi ricordiamo alcune novità qui da noi non ancora ascoltate pubblicamente: un Trio di Mendelssohn per pianoforte, violino e violoncello, accolto con caldissimo entusia­ smo, un Trio di Hiller, un interessante lavoro giovanile già recensi­ to da questa rivista, e un Rondò alla Spagnuola per violino e pianoforte di Spohr, un pezzo in miniatura assai delicato e di grande slancio, già pubblicato. Mendelssohn ha inoltre suonato, con la sua sempre vitale maestria, la Fantasia cromatica e Fuga e la Fuga in do # minore (a 5 voci) di J. S. Bach, mentre il Konzertmeister David, accompagnato dallo stesso Mendelssohn, ha eseguito splen­ didamente due pezzi di inestimabile valore tratti dalle Sonate per

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violino solo di Bach,6 le stesse a proposito della quali si è affermato che “sarebbe impensabile aggiungere un’altra parte”, mentre Mendelssohn ha dimostrato nel modo migliore la falsità di tale affermazione aggiungendo aH’originale un accompagnamento di grande ricchezza dando luogo ad un concerto bellissimo. Speriamo che negli anni prossimi questi incontri serali prose­ guano con lo stesso vero spirito artistico. Quest’anno il canto era escluso, ma di tanto in tanto un Lied si ascolterebbe volentieri. Se infine consideriamo i concerti organizzati dalle varie istitu­ zioni della nostra città che si occupano della nostra arte, ad essi aggiungiamo quelli organizzati dal teatro, dalla chiesa e dalle molte altre associazioni come la Singakademie del Musikdirektor Pohlenz, la società Orpheus dell’organista Geissler, la Liedertafel, il Pauliner-Gesangverein, ecc., non sarà difficile essere d’accordo con quanto dicevamo all’inizio: che cioè in questa nostra piccola Lipsia la musica fiorisce, soprattutto la buona musica tedesca, tanto da poter accostare la nostra città alle più ricche città straniere. Voglia dunque il genio musicale vegliare benigno ancora a lungo su questa nostra terra, un tempo consacrata dal nome di Bach e oggi da quello di un altro giovane e celebre Maestro, al quale, come a tutti coloro che gli sono vicini, auguriamo di vivere per molti anni ancora fra di noi per il bene e la diffusione dell’arte vera!

6 Fra l’altro la Ciaccona, anch’essa liberamente accompagnata al pianoforte da Men­ delssohn. Ricordiamo inoltre che anche Schumann scrisse, all’inizio del 1853, un accom­ pagnamento pianistico per tutte e sei le Sonate e Partite. [M.K.]

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1841 Nuovi Oratori. - Nuove Sonate per pianoforte. - Studi per pianoforte. — S. Thalberg. — Pezzi brevi per pianoforte. - Su alcuni passi presumibilmente corrotti nelle opere di Bach, Mozart e Beethoven. - I concerti in abbonamento a Lipsia, 1840-1841.

94. NUOVI ORATORI

Ferdinand Hiller, Die Zerstorung Jerusalems [La distruzione di Gerusalem­ me], 1 Oratorio dalle Sacre Scritture, del Dr. Steinheim,op.24

Dell’esecuzione di quest’opera a Lipsia e del favorevole succes­ so riscosso la rivista ha già dato notizia, esprimendo contempora­ neamente il desiderio che questa composizione fosse presto pub­ blicata, desiderio che si è rapidamente avverato. Fra breve dovreb­ be seguire anche la partitura. Già altri hanno notato un interessante fenomeno: che cioè negli ultimi tempi molti giovani compositori si sono rivolti con attenzione alla musica sacra. Il successo riportato dal Paulus di Mendelssohn può sicuramente avere avuto una parte importante in ciò. Molti, anzi la maggior parte, rimarranno delusi nelle loro speranze di una pari o anche solo lontanamente analoga vittoria. Non la chiesa, non il genere sacro (un genere ormai da lungo tempo sorpassato) sono stati la causa di tale trionfo, bensì l’alta arte del singolo artista, che con il Paulus ha saputo offrirci un vero capolavoro. Assai più profondo è piuttosto il bisogno di una nuova opera tedesca; può darsi che presto anche in questo campo si faccia avanti un grande artista che desti lo stesso entusiasmo e lo stesso spirito di emulazione destati da Mendelssohn con il Paulus nel genere sacro. Comunque sia, è nostro dovere dedicare la più profonda attenzione ad ogni nuovo tentativo in direzione di una tanto seria meta. Se da una parte, infatti, l’artista che lavora nel genere sacro e che deve perciò muoversi all’interno delle forme severe che la chiesa richiede rinuncia in partenza all’applauso delle grandi folle, d’altra parte tale scelta è positiva tanto per la sua arte quanto per cento altri motivi. Chi è in grado di costruire una

1 Cfr.art. 84,[M.K.]

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chiesa non avrà poi difficoltà a costruire case; così chi ha saputo comporre un Oratorio si muoverà poi nelle altre forme con grande facilità, quasi fosse un gioco. Vi sono costruttori che sanno cosa costruiscono; uomini abili, pratici, che si attengono rigorosamente allo schema generale che già tante volte essi hanno verificato conforme allo scopo; nulla viene dimenticato: il portale al suo posto, il campanile al suo. Uno di questi è il vecchio Maestro di Dessau. Vi sono altri che pure lo sanno. Ma costoro, prima di cominciare, si concentrano in una pia preghiera, il loro compito è per loro una sacra missione. Possono forse non seguire lo schema tradizionale, in quanto essi pensano anche al nuovo; sui lati spuntano piccole cappelle, vengono ag­ giunte immagini della madre di Dio e preziose, segrete decorazio­ ni. Uno di questi è il Maestro del Paulus. In direzione di questa stessa maestria cerca di andare anche il suo amico Ferdinand Hiller. Dobbiamo rilevare con gioia che oggi sembra esistere una sorta di tacita intesa fra alcuni giovani artisti, quasi una lega che si opponga con azioni decise al solito tran tran, contro una certa classe di musicisti mestieranti che compongono a un tanto al chilo, oggi musica sacra e domani musica da ballo. E proprio fra tali compositori di musica sacra alcuni avevano conseguito anche una certa fama e un certo nome, il che apparirà forse ai posteri una cosa quasi incomprensibile ove si pensi che nello stesso periodo Beethoven era ancora in vita e scriveva egli stesso musiche sacre; nella musica da chiesa si era infatti infiltrato un filone espressivo sdolcinato-sentimentale che non tanto invitava al raccoglimento quanto piuttosto attirava fuori dal tempio. Altri, comunque sen­ z’altro migliori, come ad esempi B. Klein, facevano invece scelte fin troppo trappistiche per guadagnare una certa autorevolezza. Mendelssohn ha invece riportato i tedeschi del Nord alla strada giusta, a Hàndel e a Bach, messi un po’ da parte a vantaggio dei più dolci e morbidi tedeschi del Sud come Mozart e Haydn, ai veri eroi della fede dell’arte nostra. Anche Hiller conosce bene questi modelli, e ciò lo si vede non tanto nei particolari, quanto nella costruzione generale della sua opera; ce lo dice il suo sforzo in direzione della più energica espressività, della corrispondenza fra parola e suono, in una parola: in direzione della verità della propria musica. Prima di passare ad una breve analisi della parte musicale dell’opera, diciamo solo alcune parole a proposito del testo. 800

È noto che anche Loewe ha composto un Oratorio con lo stesso titolo; ma se non ricordo male si riferisce alla più tarda distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani. Quello di Hiller parla invece della distruzione (nel Vecchio Testamento) da parte di Babilonia. Il poeta ha disposto e trattato la materia in modo assolutamente semplice. Come personaggio principale si erge Geremia, il profeta, il quale profetizza al re di Giuda, Zedechia, la caduta del suo regno. Geremia viene perciò condotto in prigione, ma il regno di Giuda sarà in seguito conquistato. Geremia ricom­ pare: Doch unverloren bleibtJehovas Volk [Ma il popolo di Jehova non è andato disperso]; il coro finale è un’invocazione al Signore di tutti i popoli. Questa è in breve la trama della vicenda. In opposi­ zione a Geremia sta, come elemento frivolo, Chamital, madre del re. Il re stesso è una figura debole, timoroso della madre da una parte e del profeta dall’altra. Accanto a Geremia stanno inoltre due delicate figure secondarie, Achicam e Hanna. Questi cinque pesonaggi sono i solisti dell’Oratorio. Il coro si suddivide in tre parti: Israeliti, Servi di Zedechia e Babilonesi. Il primo coro rappresenta il popolo israelita e, turbato dalla profezia di Geremia, ha un carattere tanto devoto quanto debole e passivo. Opposto a questo c’è il coro, gioiosamente cantante, dei Servi di Zedechia, i quali persistono nel loro atteggia­ mento a dispetto di Geremia. Il terzo è infine il coro ostile dei conquistatori. Bastino questi pochi accenni per farsi un’idea complessiva delle varie parti, dei contrasti interni. Il testo stesso è per lo più ricavato direttamente dalle Sacre Scritture. Seguiamo ora il compositore nella sua opera. Sappiamo che un anno prima di terminare questo lavoro egli aveva presentato una propria opera alla Scala di Milano. Il salto dal teatro al Vecchio Testamento si poteva senz’altro definire quantomeno arrischiato. Il fatto che invece tale salto gli sia riuscito perfettamen­ te dimostra chiaramente come egli possieda grande abilità e fre­ schezza d’ingegno. Sarebbe fatica sprecata cercare in quest’Oratorio qualcosa che abbia anche solo lontanamente l’apparenza della musica italiana. E un’opera tedesca da cima a fondo, manifesta ovunque i buoni modelli che sono patrimonio acquisito del com­ positore, ovunque buona preparazione, impegno e coscienziosità. Se già la riduzione pianistica offre motivi di interesse, a maggior ragione interessante è la partitura, in cui il compositore si dimo­ 801

stra abile e geniale strumentatore. Salutiamo dunque in lui un’ar­ tista valido, degno di stima e che si è mostrato perfettamente all’altezza del compito propostosi. L’Oratorio consiste, nelle sue singole parti, di Cori, Duetti e Arie, collegati dai tradizionali recitativi: complessivamente 47 numeri. Correttamente, essendo di matrice cristiana, il Corale non è stato utilizzato. Manca Un’Ouverture, contro la qual cosa non abbiamo nulla da obiettare; il primo numero inizia subito con un coro; fra molte cose pregevoli giungiamo rapidamente al centro dell’azione. Dopo la prima comparsa di Geremia siamo subito conquistati dalla bellezza del dolente coro Eine Sede tief gebeuget [Un’anima piegata dal dolore], cui segue immediatamen­ te, con efficacissimo contrasto, il Coro dei Servi di Zedechia. Anche la marcia solenne merita una particolare segnalazione per il suo colorito assai originale. Appare poi il re, in preda alla melanconia e al timore per il prossimo ffituro. Musica perfettamente adatta alla situazione. Gli avvertimenti di Geremia hanno effetto solo sul Coro: Wirzittern ob des Sehers Drduen [Tremiamo per le minacce del veggente]; in un’aria Hanna parla con accenti di conforto. Il Coro seguente: Israel bleibt seinem Gotte angetraut [Israele resta sposato al proprio Dio] espande quest’atmosfera nella musica; per quanto sia un pezzo apprezzabile sul piano musicale, sarebbe stato meglio ometterlo in funzione di una più efficace concitazione narrativa. Viene ora annunciato il nemico, Nabucodonosor, che si avvicina sempre di più. A questo punto interviene per la prima volta Chamital, un personaggio disegnato dal compositore con partico­ lare amore, che incita alla resistenza. Un coro selvaggio si scaglia contro Geremia e lo minaccia di morte. I suoi amici esprimono il proprio dolore in un morbido Duetto sulle parole della Bibbia: O war'mein Haupt eine Trdnenquelle [Oh, fosse il mio capo una sorgen­ te di lacrime!]. Un’invocazione all’Altissimo in un Coro solenne conclude la prima parte. Il primo numero della seconda parte ci presenta gli Israeliti impauriti dalla vicinanza del nemico. Ciò non impedisce invece a Chamital di fare le consuete offerte a Baal; quest’Aria (n. 20) è con il successivo coro uno dei numeri più interessanti. Geremia, ora in prigione, piange il destino suo e del suo popolo con toni assai moderni, che ricordano in parte un noto motivo di Marschner. Il successivo Coro (n. 35), col suo brillante accompagnamento or­ chestrale, esprime ancora una speranza di salvezza. Zedechia 802

vorrebbe gettarsi nelle braccia di Geremia, ma è ormai troppo tardi. Es gehet uber Zion hin der Pflug [L’aratro passa sopra Sion], risponde Geremia. Mit seinem Haupte busse er seinem Wahnwitz [Col suo capo sconti egli la propria follia], dice Chamital, al che Gere­ mia: Nun bin ichgardahin [Ora son io perduto]. In corrispondenza di queste ultime parole mi sarei aspettato qualcosa in più dalla musica, come pure in generale verso la fine del lavoro si nota una certa fretta, quasi che il compositore avesse paura di essere troppo prolisso. La stessa cosa si nota nei recitativi successivi. Bello è il Coro 0 Goti der Langmut [O Dio di indulgenza], ma ricorda molto un Coro del Paulus (quello in mit maggiore). Il pericolo si fa sempre più minaccioso, gli Israeliti sono sconfitti. Fuga generale in un coro selvaggio. I Babilonesi fanno la loro comparsa; il compositore non li ha tratteggiati con particolare amore; la Marcia ricorda in qualcosa la disordinata marcia dei cattolici negli Ugonot­ ti. Anche il lamento di Geremia non mi piace particolarmente e non colpisce molto. Emozionante è invece nuovamente il Coro dei Babilonesi He, wir haben sie vertilgt [He, li abbiamo distrutti]; solo quel he è un po’ fastidioso, avrei preferito un’altra esclamazione di dileggio. Un eccellente pezzo di musica ci offre poi anche il cuore degli Israeliti in fuga. Seguono le parole forse più significative di tutta l’opera, pronunciate dalla bocca di Geremia: Zur letzten Zeit wird Gottes Haus hòher stehen denn alle Berge, und erhaben uber alle Hugel\ [Alla fine la casa di Dio sarà più alta di tutti i monti, più elevata di tutti i collii], ma il compositore ha trattato queste parole con troppa leggerezza, mentre avrebbe dovuto riservarsele per un momento di vena particolarmente felice e vigorosa. Un Coro conclude comunque nel modo più degno tutta l’opera. Si potrebbe parlare molto, e per molte ore, di un’opera tanto ricca e impegnativa sul piano musicale. Ma ciò che più piace al musicista, e ciò che anche gli è più utile, cioè la discussione dell’elemento puramente musicale fin nei minimi dettagli formali, è un tipo di analisi che poco si confà alla pagina e comunque può interessare solo coloro che già conoscono l’opera. Possano dunque queste righe, che certo non vogliono esaurire l’argomento, quan­ tomeno stimolare altri a vedere quest’opera, quale il lavoro finora più impegnativo di questo giovane compositore e che occupa un posto del tutto autonomo accanto alle opere di genere simile nate negli ultimi tempi.

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II

Eduard Sobolewsky, Der Erloser [Il Redentore] Oratorio su testo tratto dalle Sacre Scritture Dovrebbe essere definito cieco o ingiusto chi, vedendo il gran numero di composizioni sacre che sta intorno a noi, negasse che il presente musicale abbia espresso un positivo impegno nel campo della musica da chiesa. C’è piuttosto da chiedersi dove condurrà tutto ciò in questa nostra piccola patria tedesca, come ciò si possa sviluppare. Ma questa ridestata predilezione per il genere sacro resta pur sempre un fenomeno rilevante e positivo. Abbiamo già espresso le nostre idee in proposito parlando dell’Oratorio di Hiller La distruzione di Gerusalemme. Un’impostazione musicale del tutto degna si manifesta anche nell’Oratorio di cui ci occupiamo ora, un’opera che reca sul frontespizio il nome di un personaggio sinora noto più come critico musicale che come compositore. Viene da Konigsberg, una città ultimamente spesso citata per motivi religiosi. La circostanza non mi sembra del tutto da trascu­ rare. L’aria che noi respiriamo penetra senz’altro tutto l’uomo interiore; se pure non vogliamo attribuire all’Oratorio un caratte­ re assolutamente mistico, esso è però decisamente incline ad un atteggiamento oscuramente meditativo. Può darsi che certe cose vengano mitigate dal fascino di una bella strumentazione di cui però non possiamo parlare, avendo a disposizione solo la riduzio­ ne pianistica, che dà appunto quell’impressione; ma può darsi anche che a darci tale sensazione abbia contribuito anche la veste tipografica un po’ cupa. Il testo dell’Oratorio è strutturato in parti abbastanza indipen­ denti l’una dall’altra e qua e là sembra anche essere stato scritto in tempi differenti. Quattro sezioni (Annunciazione, Notte santa, Gio­ vanni Battista e Decapitazione di Giovanni) formano il tutto. Manca tuttavia un punto centrale, una figura principale che desti un preciso interesse, intorno alla quale si muova l’azione. In breve, il libretto soffre di una certa confusione. Ciò non può ovviamente che nuocere al compositore; poiché l’azione non è trascinante, di conseguenza il compositore stesso non riesce a giungere a una vera intensificazione espressiva, e questa mancanza di crescendo emotivo, tanto interiore quanto esteriore, non può che recare detrimento al piacere dell’ascolto e all’efficacia dell’opera. Sbaglia­

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mo, poi, se crediamo che le prime due sezioni dell’Oratorio siano state scritte dopo le ultime due? Anche la dedica ci conferma questa idea: le due prime parti sono infatti dedicate al re di Prussia attualmente regnante, le ultime due in realtà alla stessa persona, ma indicata come principe ereditario, il che potrebbe trarre facil­ mente in inganno i posteri. Comunque sia, la prima parte dell’o­ pera, quale è ora davanti a noi, ci sembra superiore alle altre sul piano del contenuto, del valore artistico e soprattutto su quello dell’unità e della chiara politura dei singoli pezzi musicali. Se l’opera nel suo complesso non riesce a tener desto e ad accrescere anzi il nostro interesse sino alla fine, cionondimeno i singoli pezzi, presi di per sé, devono senz’altro per la maggior parte essere definiti buoni. Di una cosa, però, lo diciamo subito, sentiamo la mancanza in tutti i numeri: una cantabilità davvero naturale. Con quale abilità riesce ad esempio Seb. Bach a far risaltare in modo luminoso una segreta melodia anche attraverso una figura artisti­ camente intricata, così come pure sempre riesce a Beethoven. Questo lo sa senz’altro anche il nostro geniale compositore, ma, come è noto, fra il sapere e il creare c’è un abisso enorme, e fra le due cose si riesce a costruire un ponte che le congiunga spesso solo dopo dure battaglie. Appunto a questo mi sembra dunque che il compositore debba rivolgere particolarmente la propria attenzio­ ne: a una più definita e naturale espressione della melodia, che anche in chiesa ha i suoi diritti, così come la grazia delle figure nella pittura sacra. Sul piano armonico ci vengono invece offerte cose interessanti, anche se talvolta un po’ artificiose. Inoltre non può che essere guardato con approvazione il fatto che nello stile sacro vengano impiegate forme di particolare impegno artistico, e di queste troviamo qui una grande quantità. Doppi canoni, fughe doppie, ecc. offrono in molti punti una gloriosa testimonianza dell’impegno e della cultura del compositore; spesso, inoltre, i temi si segnalano per la loro originalità. Ascoltando l’opera nella sua forma originale, cioè con l’accompagnamento orchestrale, i suoi pregi potranno emergere ancor più decisamente. Una ridu­ zione pianistica, per quanto accurata possa essere, come in effetti è questa, resta pur sempre un mezzo sussidiario insufficiente, che non può mai salvaguardare pienamente i diritti del compositore al momento della critica. Per quanto dunque all’interno di questi limiti ciò sia possibile, cerchiamo di dare un’occhiata ad alcuni numeri della prima metà dell’Oratorio, a nostro parere la parte più significativa. 805

L’Ouverture ha il carattere di un’introduzione e non è dunque un pezzo compiuto in se stesso. L’Allegro fugato ricorda lo stile hàndeliano; già qui il compositore comincia a fornirci esempi di complessa elaborazione artistica con artifici come l’inversione dei temi, ecc. Il primo numero vocale è un saluto alla Vergine Maria; la forma è quella di un coro in doppio canone, il tono è dignitoso e conveniente alla situazione. Il n. 3 non offre particolari motivi di interesse. Ci è invece molto piaciuto il n. 4, un’Aria del soprano, per l’intensa profondità del canto. Nel n. 5 colpisce (pag. 8, ultimo sistema, batt. 3) l’improvviso cambiamento di movimento, in cui direttore e coro avranno molte difficoltà a capirsi. La Fuga succes­ siva è nuovamente di genere abbastanza ricercato: è per motu contrario, su un tema peraltro assai felice. La seconda sezione della prima parte inizia con un doppio Coro di Pastori e Pastorelli, la cui prima metà dev’essere partico­ larmente bèlla ed efficace. Non riusciamo però a comprendere le parole 0 seht, Herr, trbste uns [Guardate, Signore, consolateci] e il senso deH’improvviso cambiamento di carattere nel Coro. La successiva Aria del contralto chiarisce solo a metà, e dal punto di vista musicale ci sembra un po’ troppo breve. Di eccellente effetto dev’essere invece in chiesa il successivo Coro degli Angeli e dei Pastori. Il Coro di questi ultimi riprende quello dei primi sempre nel/?/?, con un effetto di eco. La melodia del Corale è bella. Segue un breve fugato con un tema assai originale. Dopo di questo troviamo per la prima volta un recitativo. Simeone canta una breve aria: Herr, vicine Augen haben den Heiland gesehen [Signore, i miei occhi hanno visto il Salvatore], molto bella sul piano del carattere, ma che su quello musicale rinuncia ad una bella politura formale. Segue nuovamente un doppio canone, seguito a sua volta dal Coro finale con una doppia fuga; anche questi brani ci sembra­ no troppo brevi; il Coro non riesce a raggiungere un vero fuoco espressivo, e soprattutto la conclusione non possiede l’energia necessaria a concludere un’intera parte. Dopo questi brevi accenni ci si potrà fare un’idea anche dell’al­ tra metà dell’oratorio. Ovunque il compositore ci appare come una personalità dalla volontà decisa, che sempre vorrebbe offrire cose davvero degne e anche originali. Spesso la forza della mae­ stria gli viene meno; ma se egli in tal caso appare scoraggiato, non cade mai però nemmeno nella superficialità, difetto tipico dei mestieranti. Molto gli ha nuociuto il testo, di cui già abbiamo 806

criticato l’assenza di un piano ordinato. Certo però questo Orato­ rio rappresenta un significativo passo in avanti nel processo evolu­ tivo del compositore; voglia egli dunque, cosciente di ciò, accin­ gersi presto a nuovi impegnativi lavori: già fin d’ora noi possiamo annoverare il suo nome assieme a quelli dei più nobilmente impegnati fra i nostri artisti nazionali contemporanei.

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95. NUOVE SONATE PER PIANOFORTE

La nostra ultima rassegna di Sonate risaliva al dicembre del 1839. Da allora nell’ambito di questo nobile genere compositivo poco è apparso di valido; questa forma sembra infatti dover lottare con tre forti nemici: il pubblico, gli editori e gli stessi compositori. II pubblico compra con difficoltà, l’editore pubblica con difficoltà, e i compositori preferiscono non scrivere in una forma considerata ormai fuori moda, e ciò per ogni sorta di motivi, fra cui probabil­ mente anche alcune motivazioni interiori; coloro che, nonostante ciò, scrivono delle Sonate meritano pertanto doppiamente la nostra affettuosa stima. Qui di seguito elenchiamo i nomi dei compositori che ulti­ mamente hanno voluto offrircene: W. Klingenberg, J. A. Lecerf, J. Genischta, W. Taubert e F. Chopin; li presentiamo in ordine crescente di interesse, almeno in base al nostro giudizio. Il lavoro di Klingenberg reca il titolo di Sonata-Fantasia, Se la realtà corrispondesse alle intenzioni, davvero allora bisognerebbe parlarne bene; si nota in essa, indiscutibilmente, lo sforzo di liberarsi dai vecchi schemi, e soprattutto si nota il tentativo di creare qualcosa di personale. Ma le forze non sono sufficienti; perfino le capacità più elementari, fra cui noi consideriamo ad esempio la pulizia compositiva e simili, non sono sufficientemente sviluppate. Tale sproporzione fra le capacità e le intenzioni ha perciò dato luogo ad un pezzo strano, bizzarro, privo di gusto, che qua e là vorrebbe addirittura essere grazioso e galante. Questi sono gli incidenti in cui incorrono i musicisti provinciali quando vogliono di punto in bianco comportarsi secondo la moda di Parigi, ed è un fatto che purtroppo si verifica più spesso qui da noi in Germania che altrove. Si potrebbero riempire pagine e pagine 809

per dimostrare la verità di questa affermazione. Dopo le prime pagine un buon musicista si sarà già fatto un’idea chiara di questa composizione, e ciò vale forse anche per il compositore stesso, adesso che, probabilmente, sono passati alcuni anni da che ha composto quest’opera. Infine è chiaro chi l’ha indotto a intrapren­ dere il suo volo d’Icaro: è Beethoven con la sua Sonata quasi fantasia. Chi mai non ha amato quest’opera? Ma anche per copiare c’è bisogno di esercizio e di bravura. Può darsi che presto il compositore ci dia una nuova prova della sua arte, e che questa non stoni per eccessiva debolezza rispetto all’originale. C’è un tipo di Sonata di cui è difficilissimo parlare: sono quelle composizioni corrette, oneste, ben pensate, quali sono nate a centinaia nella scuola mozart-haydniana e di cui ancor oggi com­ paiono qua e là alcuni esempi. Criticarle significherebbe criticare il buon senso comune su cui esse si basano: vi troviamo una naturale connessione delle parti e un atteggiamento di decorosa dignità. Anche la Sonata del secondo compositore in elenco possiede tutte queste belle virtù. Ma oggi per colpire, o anche solo per piacere, non basta più essere onesti e dignitosi. Beethoven sarebbe dunque vissuto invano? Chi sa leggere non perde più tempo a sillabare; chi capisce Shakespeare è ad un livello un po’ diverso da quello di un Robinson; in breve: lo stile sonatistico del 1790 non è quello del 1840, le esigenze di forma e contenuto sono ovunque cresciute. Cionondimeno anche il compositore di questa Sonata merita che vengano sottolineati il suo zelo e la sua aspirazione al bene, e così possa quest’opera adempiere il suo destino: emergere per un minuto dalla grande corrente del tempo per poi di nuovo scomparire. Anche la seguente Sonata di Genischta rimanda in sostanza ad un periodo passato, ma in essa non possiamo non notare la presenza di una personalità autonoma. Con piacere abbiamo recensito, già alcuni anni fa, una Sonata per pianoforte e violoncel­ lo del medesimo compositore; ritroviamo qui i pregi che già allora avevamo segnalato: abilità tecnica, chiarezza, un carattere non pretenzioso, e ciò in particolare nei primi due movimenti, assai ben limati. Ma l’ultimo è ancora superiore, e ricorda piuttosto lo stile beethoveniano, anche se attraverso l’apparente eccitazione fa sempre capolino un volto cordiale e tranquillo. Il discorso si rasserena completamente nella parte centrale in maggiore, con quel caratteristico pedale nel soprano: questo è il punto culminan­ te di tutta la Sonata e non potrà passare inosservato. La conclusio810

ne non porta niente di straordinario, ma comunque alla fine ci sentiamo appagati, rasserenati e ricolmi di quella stima che è dovuta ad un artista colto e maturo. Il compositore dev’essere polacco. E difficile dare ai lettori un’idea della Sonata di W. Taubert, la sua quinta: è assai strana, e bisogna vederla da sé e leggerla più volte. Vorrei definirla ipocondriaca; il compositore si attacca osti­ natamente ad un paio di idee che egli smembra, ricostruisce, di nuovo rigetta per poi tentare di strapparsi da questa inquieta atmosfera tramite una melodia popolare e infine, poiché tale tentativo non gli riesce, si rifugia addirittura nel campo della Fuga mettendosi a meditare con profonda serietà. Questo non è certo il modo per guadagnarsi il favore del pubblico: si tratta di una Sonata che il compositore ha scritto praticamente solo per se stesso, probabilmente nata in una particolare situazione persona­ le. Con poca fatica egli avrebbe anche potuto trarne un Quartetto, e invece no: il compositore voleva come ascoltatori nient’altro che le sue quattro mura; in questa musica si percepisce una sorta di noia dell’umanità e forse anche della musica. Questa è stata la prima impressione che mi ha fatto la Sonata, e tale è rimasta leggendola ripetutamente. C. M. von Weber ha scritto una Sonata, molto particolare, molto simile a questa anche nella tonalità (mi minore), a cui quella di Taubert mi faceva ripensare, con l’unica differenza che, come s’è detto, la melanconia della prima sembra raffreddarsi diventando, nell’altra, ipocondria. Anche qui, co­ munque, la musica esercita il suo caratteristico potere di abbellire le cose, sicché, come capita spesso, ciò che respingiamo nella vita può incantarci nell’arte. Ma smettiamo di distillare parole, che in definitiva non sono altro che una debole eco di quella musica: speriamo solamente che quanto detto serva a stimolare qualcuno a leggere questa Sonata, in quanto il compositore si mostra sempre un musicista degno della massima stima. Leggere le prime battute dell’ultima Sonata in elenco e ancora dubitare di chi essa sia, sarebbe indegno dell’occhio di un buon conoscitore. Solo Chopin inizia così, e così conclude solo lui: con dissonanze, attraverso dissonanze, nelle dissonanze. E pure quan­ ta bellezza nasconde anche questo pezzo! Il fatto che egli l’abbia chiamata Sonata potrebbe essere definito un capriccio, se non addirittura una tracotanza; egli ha qui riunito quattro delle sue stravaganti creature, introducendole di contrabbando sotto que­ 811

sto nome in un luogo in cui altrimenti non sarebbero penetrate. Ammettiamo ad esempio che un Kantor di campagna se ne venga in una città musicale per “fare spese artistiche”; gli fanno vedere le ultime novità: egli non ne vuole sapere; ecco che finalmente un commesso più scaltro gli mostra una “Sonata”: “Sì”, dice egli entusiasta, “questo fa per me: ecco un pezzo del buon tempo antico!”, e così la compra, è sua. Giunto a casa, egli si getta sul pezzo: credo di non sbagliare se immagino che costui, prima ancora di aver faticosamente decifrato la prima pagina, non giuri di fronte a tutti i santi spiriti della musica che questo non è un vero stile di Sonata, e anzi è un folle sacrilegio. Ma Chopin ha ottenuto ciò che voleva: egli è giunto nella cantoria, e chissà che un giorno, nella stessa casa, forse solo dopo anni, non nasca e cresca un nipotino più romantico che tolga la polvere dalla Sonata e che, suonandola, non pensi fra sé: “Dopotutto, costui non aveva tutti i torti”. Con ciò si è già espressa una metà del giudizio. Chopin non scrive ormai più niente di ciò che anche altri può dare: egli rimane fedele a se stesso e ne ha ben ragione. E deplorevole che la maggior parte dei pianisti, fra cui anche i più colti, non sappiano esaminare e giudicare un’opera di cui non si sono ancora impadroniti con le proprie dita. Invece di dare prima uno sguardo generale a pezzi così difficili, essi si torturano e si rompono la testa battuta per battuta; e appena sono riusciti a mettere in chiaro le più elementari relazioni formali mettono l’opera da parte, definendola “bizzarra, confusa”, ecc. Chopin, in particolare, ha (come anche Jean Paul) i suoi periodi ingarbugliati e le sue parentesi: ad una prima lettura non ci si può soffermare troppo su tali passaggi, altrimenti si perde la traccia. In passi di questo genere ci si imbatte, nella Sonata, quasi ad ogni pagina e inoltre il modo, spesso arbitrario e selvaggio, in cui Chopin scrive gli accordi rende la lettura ancora più ardua. Egli, infatti, preferi­ sce non enarmonizzare, se così posso esprimermi, per cui spesso ci troviamo di fronte a battute con dieci e più diesis e a tonalità in cui preferiamo imbatterci solo nei casi di maggiore necessità. Spesso in ciò ha ragione, ma altrettanto spesso confonde senza motivo, alienandosi in tal modo, come s’è detto, il favore di una buona parte di pubblico, che (dice) non vuole essere continuamente preso in giro e messo con le spalle al muro. Così, dunque, la Sonata ha cinque bemolli in chiave ed è quindi in si t minore, una tonalità che non può certo vantare una speciale popolarità. Ecco l’inizio:

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Dopo questo inizio sufficientemente chopiniano segue uno di quei movimenti tempestosi e appassionati che troviamo frequen­ temente in lui. Questo brano va ascoltato ripetutamente e ben suonato. Ma questa prima parte dell’opera offre anche una bellis­ sima melodia; sembra davvero che quel gusto nazionale polacco che si sentiva nella maggior parte delle prime melodie chopiniane stia gradualmente scomparendo e che talora Chopin si rivolga, passando per la Germania, addirittura all’Italia. Si sa che Bellini e Chopin erano amici e che conoscevano reciprocamente le compo­ sizioni l’uno dell’altro, il che non può non avere esercitato una certa influenza artistica vicendevole. Ma si tratta, come s’è detto, solo di una leggera tendenza verso lo stile meridionale: non appena il canto termina, ecco di nuovo emergere splendente dai suoni il Sarmata in tutta la sua caparbia originalità. Certo Bellini non ha mai osato, né avrebbe mai potuto osare, un intreccio accordale quale è quello che troviamo alla fine della prima frase della seconda parte. E così l’intero movimento si conclude in modo ben poco italiano: mi viene in mente quella frase di Liszt, assai azzeccata, che una volta disse che Rossini e compagni terminavano sempre con un votre très humble serviteur\ con Chopin è ben diverso: le sue conclusioni erano piuttosto il contrario. Il secondo movimento è solo la prosecuzione di questo stato d’animo: ardito, ricco di spirito, fantastico, il Trio dolce, sognante, assolutamente tipico di Chopin: Scherzo solo di nome, come molti di Beethoven. Segue, ancora più cupa, una Marcia funèbre [sic], che ha addirittura qualcosa di repulsivo; al suo posto un Adagio, ad esempio in re bemolle, avrebbe sortito un effetto incomparabil­ mente più bello. Ciò che ci riserva il movimento conclusivo, sotto il titolo di Finale, assomiglia più ad una beffa che ad una musica qualsiasi. Eppure, dobbiamo confessarlo, anche da questo brano senza melodia e senza gioia soffia su di noi uno spirito strano e 813

orribile che annienterebbe con un pesantissimo pugno qualunque cosa volesse opporsi a lui, cosicché noi ascoltiamo come incantati e senza protestare sino alla fine, però anche senza lodare: perché questa non è musica. E così la Sonata si conclude come era iniziata: enigmatica, simile ad una sfinge dal sorriso beffardo...

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96. STUDI PER PIANOFORTE

Theodor Kullak, 2 Studi da concerto op. 2

Il compositore, senz’altro giovane, si presenta fin dalle prime battute come un artista esperto delle ultime novità in campo pianistico. Gli Studi sono difficili e dimostrano che Fautore conosce soprattutto i lavori di Henselt e di Thalberg. Non abbiamo nulla in contrario che il virtuoso segua questa tendenza e abbia queste predilezioni; vorremmo invece sconsigliare questa strada al com­ positore, ammesso che egli voglia raggiungere un livello di eccel­ lenza. Nel campo delle combinazioni tecniche non vi è ormai più niente da raggiungere che i virtuosi non abbiano già pienamente realizzato negli ultimi tempi. Gli incroci delle mani, se si debbano fare in un modo o nell’altro, le masse accordali, se debbano essere più o meno piene, sono cose che ormai non interessano più: ne abbiamo già avuto abbastanza con i lavori di Henselt, Liszt e Thalberg. I loro successori devono invece, se vogliono avere una qualche importanza, battere la strada opposta, quella che va in direzione della semplicità, della forma bella e ordinata, e su tale base potranno poi sviluppare anche le cose più complesse. La strada è segnata chiaramente: chi non la vede lavorerà invano.

J. Rosenhain, 24 Studi (Études mélodiques) op. 20

“Invita Minerva” è la frase che il compositore avrebbe dovuto porre come motto a quest’opera. Gli Studi sembrano davvero scritti di malavoglia: probabilmente sono stati composti su richie­ sta dell’editore, di origine francese. Certo è un bene che ci si preoccupi anche dei pianisti più giovani, dei principianti, scriven­ do per loro degli Studi: ma per ciò ci sembra che il Sig. Rosenhain, 815

almeno come compositore, abbia poca disposizione. Non saprei dire da quanto tempo non trovavo un’opera che mi piacesse così poco sotto ogni profilo: in tutto il lavoro non c’è una sola cosa bella, di melodia vi è a malapena qualche traccia; alcuni Studi sono totalmente falliti sul piano formale, sul piano armonico molto vi è di scorretto e di sgradevole. E poi quelle indicazioni, poste all’ini­ zio di ogni numero, sul modo migliore di eseguire questi pezzi privi di ogni valore! Davvero a confronto di ciò Bertini scrive come un angelo. E dunque, finché non ci sarà qualcosa di meglio, sarà bene accontentarsi di Bertini quando vogliamo dare ai giovani degli esercizi che stimolino nei loro animi la voglia di musica. Stavolta il Sig. Rosenhain è il contrario del suo nome 1 e le dita delicate si feriranno accostandosi ai suoi Studi.

Eduard Wolff, 24 Studi op. 20 Il compositore è un giovane polacco attualmente residente a Parigi, e ciò spiega facilmente la sua devozione a Chopin. Cinquant’anni fa degli Studi come quelli di Wolff sarebbero stati giudicati folli, oggi saranno giudicati solo "‘difficili”. Purtroppo la difficoltà è l’unica loro caratteristica peculiare, e c’è più musica in una qualunque Mazurka di Chopin che in tutti e 24 questi Studi. Bisognerebbe che i giovani compositori capissero per tempo che non la musica esiste in funzione della dita, ma viceversa, e che, per diventare un buon virtuoso, bisogna anche essere un buon musici­ sta. Sarebbe peraltro ingiusto considerare il Sig. Wolff un cattivo musicista: la fantasia non gli manca, ed egli sa evocare e sviluppare uno stato d’animo in un modo che non sia puro e semplice esercizio digitale; inoltre va detto che ogni carattere melanconico, quale è il suo, esercita sempre una grande attrattiva sui più giovani, e in particolare anche su di noi. Purtroppo in questa raccolta di Studi ci imbattiamo anche in cose davvero troppo volgari, quasi insopportabili, cose che nessun insegnante tedesco permetterebbe mai a un proprio allievo di scrivere, figuriamoci pubblicarle!; peggio ancora: le troviamo fin dalle prime pagine, il che rischia di far perdere la voglia di proseguire. Solo a pag. 14,

1 Gioco di parole sul nome del compositore (Rosenhain = boschetto di rose). [G.T.]

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nel 6° Studio in si minore, troviamo finalmente qualcosa di interes­ sante: qui il compositore raggiunge con pochi mezzi più di quanto prima avesse ottenuto con grande dispendio di energie, e si vede che quando vuole egli sa anche essere più semplice. Anche i due numeri successivi sono fra i più riusciti, e dopo questi il 10° (in do | minore), il 18° (in sol minore) e il 22° (in fa minore). Gli altri, per lo più, presentano qualche motivo di interesse al massimo dal punto di vista didattico, per le combinazioni tecniche che propon­ gono: in questo senso alcuni sono nuovi, ma di belli ce ne sono pochi. Le progressioni cromatiche in sù e in giù di settime dimi­ nuite nelle disposizioni accordali più strane sono molto amate da tutti i giovani virtuosi, e quindi anche da questo compositore: passaggi di questo tipo se ne trovano quasi in ogni Studio. Non sappiamo se quest’opera sia già stata stampata in Germania; se qui da noi non è ancora stata pubblicata la nostra opinione è che sarebbe meglio, a tutto vantaggio del compositore stesso, operare una scelta anziché pubblicare l’opera completa.

Carl Mayer, 6 Studi op.55

Suonando questi Studi dopo i precedenti sembra quasi di trovarsi in una verde e dolce radura dopo aver attraversato un’oscura e intricata boscaglia. Questi Studi sono senz’altro amabi­ li, come quasi tutte le opere di questo compositore; ma, dopo certe sue precedenti prove, ci si sarebbe atteso che egli sviluppasse una personalità più autorevolmente originale: un’aspettativa che ab­ biamo visto delusa. La sua fisionomia ha perso molto in intensità e in espressione: oggi, vedendolo, quasi non lo si considererebbe altro che un giovane pianista da salotto che vuole rivaleggiare con Thalberg e Henselt, e ciò sarebbe un’osservazione ben triste per un’artista non più giovane, se non fosse che invece in quest’opera vi sono molte cose interessanti, che ci fanno dimenticare le man­ chevolezze che il compositore ha altre volte dimostrato. Anche questi Studi, comunque, danno talvolta motivo di temere che egli si appiattisca completamente; ma chissà quali sorprese egli ci riserva ancora! Se anche i grandi genii hanno qualche minuto di cedimen­ to, a maggior ragione ciò potrà capitare agli altri. Questi Studi, come s’è detto, sono assai gradevoli da suonare e da ascoltare, in particolare la prima cosa, in quanto vanno molto facilmente sotto 817

le dita, e un pianista di media capacità non dovrà quasi mai avere timore di sbagliare, tranne nell’ultimo, uno Studio sui salti, intito­ lato Souvenir à Thalberg, un pezzo di cui peraltro avremmo fatto volentieri a meno, visto che di pezzi così se ne possono scrivere facilmente a dozzine. Invece il 2°, in lat maggiore, è particolar­ mente bello, mentre il 3°, in fa | minore, l’avremmo del tutto eliminato, in quanto non è altro che una pallida ombra rispetto al Poème d'amour di Henselt. A questo rimprovero i compositori di solito ribattono dicendo che avevano composto la presunta imita­ zione prima che fosse scritto il preteso originale, ecc.; ma anche in tal caso non avrebbero dovuto pubblicarla; comunque questo Studio è in in sé e per sé assai poco significativo. Infine, per quanto riguarda gli altri Studi, coloro che da tempo conoscono e apprezza­ no il compositore giudichino da sé, caso per caso, quanto egli si sia mantenuto fedele a se stesso.

Stephen Heller, 24 Studi op. 16, due fascicoli La rivista ha già spesso attirato l’attenzione dei lettori su questo giovane artista assai geniale e fantasioso. Egli vive da circa due anni a Parigi, dove il suo talento compositivo e virtuosistico ha già ottenuto unanime plauso. Questi Studi sono la sua opera più ampia finora pubblicata. Sbaglierebbe però chi sperasse di trovare in questi pezzi, come nella maggior parte degli altri Studi, un vero esercizio tecnico: si tratta piuttosto di pezzi caratteristici disposti in modo variopinto, alcuni davvero eccellenti, che nel complesso dimostrano uno spirito musicalmente vivace, a cui va solo rimpro­ verato il fatto che disperda la propria ricchezza in forme così piccole. Compositori più parsimoniosi avrebbero tratto, da certe idee-base di questi Studi, interi Concerti e Sonate: il nostro preferi­ sce invece soltanto accennare e dare fuggevoli suggestioni; il suo umorismo, la caratteristica che in lui è prevalente, vuole così, sicché anche la silhouette è benvenuta. Questa raccolta va letta come un diario: pensieri di ogni tipo sono qui espressi l’uno accanto all’altro, non mancano amare osservazioni e nemmeno sono as­ senti certi piacevoli ricordi. Qui l’artista, il filosofo, l’amico si lasciano andare, come se nessun occhio umano potesse vederli, come se non esistessero i critici. A molti quest’animo aperto e assolutamente sincero piacerà senz’altro; qualcuno potrà forse 818

esprimere il timore che questa generosa sincerità possa in futuro vendicarsi, ad esempio in tarda età, quando, bene o male, bisogne­ rà accontentarsi di vivere con poco. Come il compositore preferi­ sce andare per accenni, così anche chi scrive preferisce solo accen­ nare ed esprimerà soltanto la speranza che il giovane artista non voglia sprecarsi troppo nelle piccole cose: chi accoglierà questo invito gli sarà forse un giorno riconoscente. Per raggiungere la perfezione nel campo dell’arte sono necessarie coerenza, energia e decisione e bisogna impegnarsi incessantemente anche in lavori di grossa mole. Voglia il cielo che non debba mai venire il giorno in cui colui al quale sono dedicate queste righe debba rileggere con rimpianto queste frasi! I bei germogli che troviamo anche in questa sua ultima opera ci fanno ben sperare circa il suo futuro, e già questo lavoro è degno di una positiva segnalazione, come in generale tutte le sue composizioni. Quanto detto dovrebbe bastare e sottolineare il non comune valore di questi Studi e a tener desto, nei suoi compatrioti, il ricordo di questo compositore. Va comun­ que detto che il suo Studio più interessante e più apprezzabile non si trova in questa raccolta, ma nel Metodo di Moscheles e Fétis, di cui presto parleremo.

Nell'articolo n. 96 venne eliminata da Schumann una recensione degli Studi di Quilling che era collocata prima di quella degli Studi di Kullak. La riportiamo qui soprattutto perchè in essa viene espresso un concetto molto interessante: “Negli ultimi tempi, inoltre, il significato del termine Studio sembra essersi sempre più avvicinato a quello che tale parola ha nel linguaggio pittorico". [P.R.]

J. K. Quilling, Studi per pianoforte op.10

Il nome di questo compositore non è mai comparso su queste pagine, e nemmeno ci è mai capitato di vederlo altrove. Un nome nuovo su una raccolta di Studi non fa di solito un grande effetto. Ci si domanda: cos’ha fatto costui per venire a proporsi come inse­ gnante e maestro? Negli ultimi tempi, inoltre, il significato del termine “Studio” sembra essersi sempre più avvicinato a quello che tale parola ha nel linguaggio pittorico. Ma analizzando atten­ 819

tamente la composizione mi sono subito reso conto, e con piacere, che questi Studi potranno essere studiati con profitto anche da altri che non sia Fautore stesso. Si presentano in modo modesto, quasi dimesso: ma sono stati scritti da una mano abile e ci fanno conosce­ re un insegnante e un musicista di tutto rispetto. Per la maggior parte essi richiamano lo stile crameriano, hanno ancora meno pretese di quelli sul piano della forma, del carattere e del tono generale: saranno di grande utilità e sono raccomandati a maestri ed allievi come interessante alternativa. Ciò che soprattutto colpi­ sce positivamente in essi è la correttezza e la pulizia armonica: in uno Studio dovrebbe essere una qualità sottintesa, ma purtroppo non sempre la si trova. Alcuni, sia pur pochi, vanno al di là della prosaicità del fatto tecnico per elevarsi ad un’espressione raffinata: così ad esempio il 2° in sol minore e il 9° in fa $ maggiore. Il più debole è sicuramente il primo in do maggiore, che è stato scritto solo perchè i compositori di Studi credono di dover sempre cominciare con questa tonalità, anche se a ciò non li obbliga nessuno. Va detto tuttavia che in essi non troviamo mai qualcosa si sgradevole o di banale, ed è per questo motivo che vogliamo ancora una volta raccomandare quest’opera meritevolissima al­ l’attenzione di coloro cui essa è destinata.

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97. S. THALBERG

Concerto dell’8 febbraio a favore del Fondo-pensioni per musicisti

Durante il suo volo il Maestro ha scosso le sue ali e sono caduti su di noi, come dalle ali dell’angelo di una poesia di Riickert, rubini e altre pietre preziose, e per di più sono caduti in mani realmente bisognose, così come il Maestro voleva. E difficile dire qualcosa di nuovo ad uno che, come lui, è già stato ricoperto di tante lodi. Ma c’è una cosa che ogni virtuoso impegnato risente sempre volentieri: che è progredito dall’ultima volta che abbiamo avuto l’occasione di godere della sua arte, e questa bellissima lode possiamo davvero tributarla anche a Thalberg che, nei due anni da che non lo sentivamo, ha aggiunto al suo repertorio virtuosisti­ co nuove meraviglie e che, se possibile, si muove in modo ancora più libero, più elegante e più ardito. La sua esecuzione ha colpito tutti in egual misura, il felice diletto che probabilmente egli stesso prova suonando si è comunicato a tutti. E evidente che il vero virtuosismo dà di più che la semplice bravura tecnica; anche l’arte virtuosistica è in grado di rispecchiare l’uomo, sicché ascoltando l’esecuzione di Thalberg ci è apparso chiaro che egli è fra i prediletti dal destino, fra i beniamini della sorte: egli è nel pieno della ricchezza e dello splendore. Come ha iniziato la sua strada, come l’ha proseguita, così egli la concluderà, ovunque accompa­ gnato dalla fortuna e ovunque diffondendo felicità: l’intera serata di ieri, ogni brano che egli ha suonato ne era prova. Si vedeva che il pubblico non era lì per giudicare, ma solo per godere: di ciò ognuno era tanto sicuro come il Maestro lo è della propria arte. Le composizioni erano tutte nuove: una Serenata e Minuetto dal “Don Giovanni”, una Fantasia su temi italiani, un grande Studio e un Capriccio su temi della “Somnambula” [sic.]; erano tutte efficacissime trascrizioni delle melodie originali che, benché intrecciate in un 821

fitto ordito di scale e arpeggi, emergevano ugualmente in tutta la loro amabile gradevolezza. In particolare il brano basato sui temi tratti dal Don Giovanni era assai elaborato e l’esecuzione è stata straordinariamente bella. Dal punto di vista compositivo la cosa più valida ci è sembrato lo Studio, basato su un tema assai affasci­ nante che richiamava certe melodie popolari italiane; l’ultima Variazione, con quel fremito di terzine, sarà davvero per tutti indimenticabile, e nessuno sarà forse mai in grado di eseguirla con altrettanto magica perfezione. Rendiamogli dunque ancora una volta onore per questa serata, che ci lascia di lui, come uomo e come artista, un vivido ricordo, e speriamo che egli voglia presto ritornare fra i suoi ammiratori.

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98. PEZZI BREVI PER PIANOFORTE

A. H. Sponholtz, Phantasiebilder [Immagini fantastiche] op. 10

E più giusto accostarsi ai compositori giovani e sconosciuti con indulgenza; ma questo, il cui nome incontriamo per la prima volta, ci si presenta con un atteggiamento assai pretenzioso; egli dedica la sua composizione a Franz Liszt e la intitola Phantasiebilder. ambedue le cose non possono non creare delle grandi aspettative. Alfinterno troviamo due pezzi intitolati rispettivamente Incessante anelito e Pace dell’anima. Il primo sarebbe un atteggiamento lode­ vole in un giovane artista, se solo tale anelito non fosse piuttosto senza scopo: questo sarebbe purtroppo, a nostro parere, il titolo più adatto. Il compositore sembra non aver ancora trovato un’unità interiore, non ha ancora deciso a quale bandiera votarsi; con tutta la sua buona volontà di fare qualcosa di ben strutturato, tutt’al più gli si potrebbe riconoscere una certa disordinata genialità, e in ciò sarebbe un maestro, se solo riuscisse a realizzare tale intenzione. Il suo pezzo, invece, non è mai tecnicamente corretto, sicché il contenuto, che pure vi sarebbe, esce da tutte le parti come da una botte piena di falle. La Pace dell’anima ci piace ancora meno; un titolo più adatto sarebbe stato Étude à la Thalberg; su questa strada il giovane compositore non speri di raggiungere alcunché: la critica più seria cercherà sicuramente di convincerlo ad abbando­ nare una simile pace dell’anima. Nonostante le severe critiche che vanno fatte all’opera di questo novizio, non vogliamo però assolu­ tamente negare il suo talento musicale, e questo è già un riconosci­ mento che di per sé dovrebbe far piacere ad ogni giovane artista, e tanto più piacere farà quando egli si sarà reso conto del fatto che, per sviluppare seriamente il proprio talento, è necessario impe­ gnarsi con diligenza e con rigore.

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J. F. Kittl, 3 Scherzi op. 6

Il compositore dell’allegra Sinfonia di caccia mostra il suo lato allegro anche in questi Scherzi. Ciò che già avevamo rilevato nelle precedenti composizioni del medesimo autore lo ritroviamo an­ che negli Scherzi: intanto una grande semplicità, e poi una certa quale mancanza di chiarezza nel ritmo dei periodi, sicché spesso alla fine di alcune parti sembra esserci troppo o troppo poco. In questi casi è difficile che un’altra persona possa intervenire a correggere e a modificare, così come sarebbe impossibile preten­ dere di rettificare le irregolarità del polso di un altro. È però pur sempre lecito attirare l’attenzione del compositore su tali irregola­ rità, affinchè egli possa in futuro essere più attento a evitarle. Ciò che in questi Scherzi, invece, ci rallegra senz’altro è il carattere ingenuamente sereno che pervade ognuno dei pezzi, e possiamo supporre che il compositore nutra una particolare predilezione per Haydn. Solo nel secondo Scherzo egli si arrischia a realizzare un’atmosfera un po’ più appassionata, ma poi ben presto, nel Trio, ritorna a quel carattere di pacifica gradevolezza che in definitiva gli è più congeniale. In quel pezzo più mosso e appassionato gli è sfuggita una quinta (pag. 6, sist. 4, fra batt. 5 e 6), ma di ciò non vogliamo certo fargli una troppo grave colpa. Per il resto il suo modo di scrivere è, se non magistrale, però sempre pulito e corretto. Proprio sulla base di tali qualità, sia innate che acquisite, possiamo sperare che in futuro questo giovane compositore sap­ pia produrre cose sempre più valide e che in tal modo possa essere considerato fra i migliori nella schiera dei compositori della Boe­ mia musicale.

F. E. Wilsing, Capriccio op. 6

Un pezzo pregevolissimo, talora forse un po’ troppo freddo e rigido, ma che nel complesso dimostra una grande sensibilità e un impegno che già comincia a dare i primi frutti. È come se il compositore si fosse reso fin da subito impermeabile alle travianti influenze del nostro chiassoso presente ed ora se ne andasse per la sua strada, indifferente al fatto che le sue musiche siano o meno ascoltate dalle masse. Caratteri simili sono sempre commendevoli, e se pure non diventeranno dei personaggi che fanno epoca, in 824

una cerchia più ristretta potranno comunque lavorare per il bene dell’arte. Di questo Capriccio non sapremmo che cosa criticare: dal punto di vista formale è ottimo, non gli si potrebbe aggiungere o togliere niente; il modo di scrivere è sano, robusto, assolutamente chiaro. Dopo questo pezzo non sapremmo indicare con sicurezza quale sia il Maestro per il quale questo compositore abbia una certa inclinazione: probabilmente B. Klein, alle composizioni del quale, come a questo Capriccio, può essere rivolta la critica che in esse si sente la mancanza di uno slancio più elevato, e che restano un po’ bloccate dai legami di una teoria forse troppo rigida e limitata. Certo nessuno è mai nato Maestro, e il profondo segreto della nostra arte, il fatto che essa riesca a prendere completo dominio dei cuori, spesso anche ai più capaci si rivela solo in tarda età. Ma un canto davvero lieto e giocondo può condurci più rapidamente sulla strada che porta alla comprensione di tale segreto. Speriamo che il compositore ci abbia capito: noi gli abbiamo parlato con animo benevolo e affettuoso.

A. Fesca, Scène de Bal. Marceau de Salon op.14 La Mélancolie. Pièce caracteristique op. 15

Le speranze che finora avevamo nutrito nei confronti di que­ sto compositore sembrano andare deluse: egli scrive molto, con facilità e anche in modo elegante, ma è tutto qui, più di così non si può dire. Le stesse cose che la sua tendenza artistica vuole espri­ mere si trovano nelle composizioni di Henselt espresse ad un livello dieci volte migliore: con un talento come il suo egli potrebbe davvero produrre qualcosa di più elevato. E come se le lodi che gli sono state rivolte da molte parti l’avessero reso sempre più super­ ficiale e vanitoso sul piano compositivo. E se anche egli obiettasse che non lo si può giudicare sulla base di pezzi così piccoli, noi dovremmo comunque ribattere dicendogli che l’artista non deve mai venir meno a se stesso quando si tratta di esporsi in pubblico: a casa nostra possiamo anche essere volgari, se lo siamo davanti al mondo dobbiamo sopportarne le conseguenze. Cosa crede mai il Sig. Fesca di raggiungere, continuando a scrivere in questo modo? Glielo diciamo noi: alla fine della sua carriera egli potrà essere tutt’al più considerato un secondo Kalkbrenner. Non che abbiamo qualcosa contro una fama di questo genere, ma certo non è la più 825

alta delle glorie. Cerchi dunque di ravvedersi finché è in tempo; cerchi di prendere le cose più sul serio, sia nei confronti di se stesso, sia nei confronti dell’arte. Finora egli ha cercato solo di conseguire l’applauso del pubblico: provi lui stesso a giudicarsi: provi ad approfondire lo studio delle opere di un Maestro, ad esempio Beethoven, e se dopo di ciò egli preferirà tuttavia il suo attuale indirizzo artistico, allora non potremo che darlo per perso. Speriamo che egli possa dissipare i nostri timori: noi apprezziamo il suo talento, però non il suo indirizzo artistico; solo lui può far si che la nostra opinione muti.

Ch. H. Strube, Romanze senza parole op.16 Detto in tutta sincerità, preferiamo quelle di Mendelssohn: dopo di lui crediamo che non sia una buona idea pubblicarne altre. Quelle del Sig. Strube, però, hanno qualche differenza, ad esempio hanno dei titoli: Lamento di una pescatrice siciliana (da Th. Moore), Ninna nanna, Nostalgia, Fiducia in Dio. La 2a e la 4a Romanza sono a nostro parere le più interessanti, la 3a un po’ meno; per quanto riguarda il Lamento dobbiamo invece protestare energica­ mente: così non si lamenta nemmeno una pescatrice tedesca, figuriamoci una siciliana!; se fra le nostre lettrici c’è qualche pescatrice dovrebbe certo darci ragione. Ma i titoli sono cose secondarie. Atteniamoci al puro contenuto musicale: questo dob­ biamo riconoscere che non è male. Sono pezzi corretti dal punto di vista compositivo (e questo lo sapevamo in partenza, visto che il compositore è un organista); inoltre la forma è ben curata e spontanea: il loro carattere potrebbe essere definito schietto e bonario. Di più non possiamo dire su questo opuscoletto. Per utilizzare un’immagine nota: un piccolo uccello canterino ha cercato di imitare l’usignolo; anche gli scriccioli hanno il diritto di esistere!

Julius Schàffer, 3 Romanze senza parole op. 4

“Anche gli scriccioli hanno il diritto di esistere!”: con queste parole si concludeva la nostra precedente recensione dedicata ad un fascicolo, con lo stesso titolo, di un altro compositore. La stessa

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frase può essere utilizzata opportunatamente anche a proposito di queste composizioni: si tratta comunque di imitazioni, ma di un livello assai più elevato di quello che di solito incontriamo nelle composizioni che recano questo titolo ormai comune. L’autore è giovane, ed è per così dire un compositore in erba, certo non lo si può giudicare con lo stesso metro utilizzato per i Maestri: ma se proseguirà come ha iniziato, lavorando anche in direzione di una sempre maggiore autonomia, allora possiamo attenderci da lui prove ancora più convincenti. Ciò che giustifica questa nostra speranza è soprattutto il grande sentimento che si esprime in queste Romanze e che le distingue da altre simili; se la realizzazione complessiva non appare ancora del tutto perfetta, a ciò porrà rimedio un diligente impegno, mentre l’esercizio intenso ed assi­ duo darà maggiore naturalezza e solidità. Anche queste Romanze senza parole recano dei titoli: secondo noi sarebbe stato meglio tralasciarli. Vi sono, è vero, degli stati d’animo segreti e misteriosi per cui vale la pena che il compositore ci dia qualche traccia: un accenno può in tal caso servire a una migliore comprensione e può perciò essere ben accetto; il nostro compositore, invece, sviluppa stati d’animo noti e comuni dando loro però dei titoli come: Calma di mare, Sogno? No, son desto e Melanconia, che davvero appaiono un po’ troppo leziosi (il secondo, anzi, ci sembra addirittura di cattivo gusto). Considerando singolarmente i pezzi, il terzo ci sembra il più interessante, anche se è quello in cui si sente più chiaramente l’influenza del modello.

J. Ch. Kessler, 7 Valzer per pianoforte

Dopo parecchi anni ritorniamo oggi per la prima volta a parlare di questo compositore, in cui in passato avevamo riposto le nostre speranze. Speravamo che egli avrebbe interrotto il suo lungo silenzio con una grande opera; non sembra, invece, che egli sia riuscito a ricavare dal proprio talento ciò che sarebbe stato legittimo attendersi a giudicare dai suoi esordi: al contrario, sembra quasi che egli stesso abbia rinunciato a sviluppare le proprie capacità, a farle conoscere ed apprezzare. Dobbiamo davvero dire: purtroppo'.; in lui c’era infatti la stoffa per diventare qualcuno. Anche questi Valzer confermano tale impressione: per quanto quasi buttati giù frettolosamente, da essi spirano tuttavia 827

grazia e vitalità dall’inizio alla fine. Una leggera venatura melanco­ nica non fa altro che renderli ancora più affascinanti. Possa questo dotato compositore riacquistare presto il coraggio necessario per affrontare nuovi e più impegnativi lavori!

Alexander Dreyschock, Grande Fantasia op. 12

Si tratta della prima opera di una certa ampiezza di questo giovane eroe del pianoforte che fa tanto parlare di sé sui giornali. Purtroppo dobbiamo confessare che da tempo non ci capitava di vedere qualcosa di così cattivo gusto. Quale povertà nella fantasia e nella melodia, quale sfoggio di esteriorità per imporci un’assoluta assenza di talento, quante leziosaggini basate sui luoghi comuni più banali! Non c’è dunque un amico di questo giovane virtuoso che gli dica la verità, nessuno che, guardando oltre i suoi giochetti tecnici, gli faccia notare quale vuotezza, quale povertà di spirito c’è nella sua musica? Gorre voce che questo virtuoso sia un nemico giurato di Beethoven, e che lo consideri meno di niente; noi non sappiamo se ciò risponda al vero, ma certo è che le sue composizio­ ni sembrano rendere più che verosimile tale preoccupante ipotesi. In fondo, però, non è nemmeno necessario che egli studi Beetho­ ven: potrà imparare qualcosa anche da Maestri di terzo e di quarto ordine, da Strauss e Lanner. Può darsi, purtroppo, che i nostri buoni consigli non siano nemmeno capiti: questa Fantasia, infatti, dimostra non tanto un talento scolastico, quanto piuttosto una vera, innata incapacità creativa. Ciò potrebbe anche metterci in una disposizione d’animo più indulgente, e invece no: quando l’impotenza si fa avanti con tanta arrogante presunzione è impos­ sibile avere pazienza. Le capacità virtuosistiche del Sig. Drey­ schock sono poi un discorso a parte: i suoi salti, i suoi artifici tecnici, la bravura con cui egli esegue tutto possono certo incanta­ re. Ma verrà il giorno in cui anche queste arti vedranno crollare i loro prezzi, e allora che cosa resterà di questo genere di virtuosi?

Eduard Wolff, 4 Rapsodie op. 29, due fascicoli A proposito di un’ampia raccolta di Studi del medesimo com­ positore di cui questa rivista si era occupata un po’ di tempo fa il

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recensore non aveva purtroppo potuto fare altro che lodare il notevole talento che in essa si mostrava ovunque. Con piacere, perciò, attiriamo ora l’attenzione su queste Rapsodie, che compro­ vano un chiaro progresso compiuto da questo compositore; sono pezzi facili, sembrano quasi dei Valzer, ma sono assai migliori degli Studi, sia per invenzione che per realizzazione, e inoltre sono frizzanti, talora addirittura geniali. Spesso viene in mente Chopin, soprattutto per lo stile pianistico, per certi procedimenti a zigzag, ma anche per alcuni singoli passaggi armonici; peraltro spira da questi pezzi una grande gioia di vivere, quasi sensuale, che varrà loro una notevole diffusione su tutti i pianoforti tedeschi. Se non fosse che il compositore vive nella selvaggia Parigi, potremmo fare dei pronostici positivi circa il suo futuro artistico; stando così le cose, invece, dovremo attendere per vedere se egli avrà la forza di resistere alle travianti tentazioni di cui già tanti splendidi talenti sono caduti vittime. È peraltro vero che quel carattere piacevol­ mente conversativo che pure è uno dei pregi di queste Rapsodie può solo essere ispirato da una città come Parigi; quando un tedesco cerca di imitare quell’atteggiamento, normalmente riesce impacciato e noioso; non sapremmo indicare un altro compositore tedesco (tranne Thàlberg) che sappia realizzare dei pezzi da salot­ to altrettanto brillanti, anche se ovviamente ne conosciamo tanti che in generale sanno fare assai meglio di lui. Come s’è detto, noi non avremmo nulla in contrario, se non fosse che poi le migliori cose alla moda le andiamo sempre a prendere a Parigi: ma ormai i tedeschi si occupano più della moda che di casa loro. Infine, per dire ancora qualcosa di specifico a proposito dei pezzi che hanno dato luogo a queste righe, diremo che sono in particolare la 3a e la 4a Rapsodia quelle che più ci sono piaciute sul piano di un intelli­ gente divertimento. In effetti, del concetto di Rapsodia manca loro proprio l’elemento rapsodico, che a nostro parere dovrebbe esse­ re ancora più libero dello Scherzo', d’altra parte nemmeno noi saremmo in grado di proporre un titolo più adatto al carattere di questi pezzi. Il futuro dirà se la facilità con cui sono state composte queste Rapsodie resterà tale anche affrontando forme più complesse. Il compositore merita comunque un cordiale rigraziamento per il suo dono gentile.

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Hermann von Lovenskiold, 4 Impromptus a quattro mani op. 11

Con l’attuale grande carenza di pezzi a quattro mani, non può che essere definita felice l’idea di elaborare delle composizioni pianistiche per questo bel genere compositivo. Non è la prima volta che il sunnominato compositore si sperimenta in questo campo: ricordiamo con piacere un’analoga raccolta di Scherzi di cui la rivista si era già occupata due anni fa, parlandone in termini di vivissima lode. Può darsi che il plauso da noi tributatogli in tale occasione abbia stimolato questo giovane musicista ricco di talento a comporre ancora qualcosa di simile; lo sospettiamo, dato che questi nuovi pezzi ci sembrano più ricercati, un po’ studiati, quasi che il compositore avesse voluto superare i precedenti. Questo sforzo, in sé, non sarebbe altro che lodevole; ma si nota l’inten­ zione, e questa sola, come è noto, non sempre garantisce la bontà del risultato. Comunque sia, anche in questa recente opera il Sig. von Lòvenskiold dimostra di essere un artista di grande talento, e spesso spiace soltanto che egli non abbia dato alle proprie idee una cornice più ampia, utilizzando ad esempio addirittura l’orchestra, che avrebbe permesso maggiore efficacia ed incisività. In generale egli sembra ancora subire l’influenza di un compositore che, per quanto degnissimo e assai originale, è stato pochissimo imitato: si parla di Onslow. Non abbiamo nulla in contrario: si tratta forse di una via secondaria per raggiungere una meta più elevata, ma non è certo una strada sbagliata; cambiando l’età (il compositore ha adesso appena 25 anni) cambieranno anche i modelli; dobbiamo sperarlo, in quanto un giovane artista che per la propria formazio­ ne ha voluto attingere solo ad Onslow rischia fortemente di non progredire e di restare in definitiva in una posizione di secondo piano. Possiamo ugualmente sperare: una mente musicale giova­ ne e vivace come quella del nostro compositore non potrà certo proseguire a lungo in tale direzione. Se egli si coltiverà e si eserciterà in modo multiforme, certo allora egli stesso eliminerà dalle proprie opere, o addirittura non scriverà nemmeno, quelle cose che magari suonano bene e gradevoli ma che dal punto di vista musicale sono troppo futili per poter essere definite delle vere idee. Ad esempio l’inizio del primo Impromptu: il compositore cerca, in seguito, di svilupparlo in qualche modo, e davvero un Maestro non saprebbe fare di meglio; ma il risultato è pur sempre insoddisfacente: la colpa risiede nella povertà dell’idea originale, 830

che nessun artificio è in grado di nobilitare. Abbiamo preso questo piccolo esempio, ma in questi pezzi si trovano spesso dei casi simili; peraltro vi si trovano anche molte idee veramente buone e ben sviluppate, tali per cui noi dobbiamo raccomandare queste com­ posizioni all’attenzione di tutti i bravi pianisti. Ad una prima lettura questi Impromptus forse non piaceranno molto: pretendono uno studio completo e preciso; d’altra parte in generale è sempre meglio non esprimere un giudizio finché di un pezzo non si è ascoltata un’esecuzione perfettamente compiuta o quantomeno non si è giunti ad immaginària chiaramente dentro se stessi. Speriamo di poter presto tornare ad occuparci di nuove composi­ zioni di questo interessante giovane danese.

S. Thalberg, Scherzo op. 31 Grande Nocturne (in fa # ) op. 35 La Cadence. Impromptu en forme d'Etude op. 36 Souvenir de Beethoven. Fantaisiepour le Pianoforte op. 59.

Di questo, come dei compositori delle opere successive, la rivista si è già tante volte occupata e l’opinione del pubblico e della critica su di loro è già ormai così solida che davvero si può aggiungere poco di nuovo, a meno che essi stessi non intraprenda­ no una nuova e diversa strada. Questo non è certo il caso di Thalberg: anche in queste composizioni egli resta fedele a se stesso. Come è noto, egli scrive innanzi tutto per se stesso e per i propri concerti; in primo luogo egli vuole piacere e brillare: la composizione è cosa secondaria. Se qua e là talora non balenasse un raggio di nobiltà e se in certi passaggi non si vedesse una realizzazione curata in modo attentissimo, le sue composizioni sarebbero senz’altro da considerare allo stesso livello dei mille pasticci virtuosistici d’occasione che ogni anno compaiono per poi sparire ben presto. Questo più nobile impegno si nota soprattutto nello Scherzo, il primo brano in elenco; ci dispiace dirlo, ma le belle idee che pure esso presenta non sono state sviluppate opportunatamente, sicché il risultato non è certo perfetto. Le carenze riguar­ dano soprattutto le parti centrali che, più deboli anche dal punto di vista dell’invenzione, non si inseriscono nel discorso complessi­ vo in modo sufficientemente abile. Passaggi come quello di pagina 4, sist. 3, dall’ultima battuta in poi, non li possiamo definire altro 831

che privi di musicalità} sono strappati a viva forza allo strumento, e l’anima non vi ha nessuna parte. Quanto all’impianto complessivo e al carattere questo pezzo è tuttavia, come s’è detto, fra le cose migliori di Thalberg. Il Notturno si discosta poco, nei toni e negli atteggiamenti, dal solito stile, in parte modificato da Chopin. 1 Questo Notturno, in particolare, si guadagnerà molti amici, e più ancora amiche. Puramente thalberghiano è il pezzo intitolato La Cadence, con un tema grazioso, variato nella ripresa a mo’ di capriccio in modo brillante ed efficacissimo. Il Souvenir de Beetho­ ven ha fatto molto parlare di sé; a nostro parere si tratta invece di un grosso passo falso: dobbiamo ammettere che siamo molto pedanti. Beethoven non sopporta assolutamente una trattazione virtuosistica; non possiamo tollerare che mani infantili debbano, per accostarsi a lui, torcersi per lo sforzo. Se non sapessimo che le cose stanno altrimenti, diremmo che Thalberg non ha nessuna stima per la grandezza di Beethoven, e anzi addirittura non lo conosce per niente. Parigi è la responsabile di questa infelice idea: là Beethoven è di moda; già Bériot non si era fatto sfuggire l’occasione, adesso è seguito Thalberg, e speriamo che sia l’ultimol Non è bello scherzare coi leoni.

F. Hiller, Impromptu pour le Pianoforte 3 Caprices op. 20 4 Reveries op. 21

Dall’ultima recensione dedicata a composizioni pianistiche di Hiller siamo tutti diventati più vecchi di quasi 7 anni. Forse qualcuno dei nostri lettori si ricorderà ancora di alcuni articoli piuttosto estesi, scritti nel 1835, e dell’oroscopo che allora aveva­ mo formulato per questo giovane artista. Da allora egli si è dedica­ to poco alla composizione pianistica e si è soprattutto sperimenta­ to in generi più impegnativi, nell’Opera e nell’Oratorio. Il suo Oratorio, in particolare, è stato da noi salutato come un passo avanti in direzione della maestria, e se anche manca quell’impeto vittorioso che in altri capolavori ci conquista inesorabilmente, in 1 Cancellato: "Alla parte cantabile principale segue una parte centrale mossa nella tonalità minore del terzo grado e poi di nuovo la ripetizione della prima parte cantabile. Questa forma è ben proporzionata, ed è già stata utilizzata anche da Chopin”. [M.K.]

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tale opera si manifesta, accanto a tante altre belle qualità musicali, una volontà così chiara e decisa ché non possiamo che incoraggiar­ lo con entusiasmo a proseguire su tale strada. I suoi ultimi pezzi pianistici ci hanno invece di nuovo confuso un po’ le idee su quale sia la meta di questo compositore. Forse non sono pezzi recenti, forse non sono stati scritti in un momento favorevole; fatto sta che non ci piacciono quasi da nessun punto di vista. È come pescare con le mani da una cesta piena di frutti acerbi e maturi buttati lì alla rinfusa: non si riesce a gustarli con piena soddisfazione. Da questa osservazione resta quasi del tutto escluso V Impromptu, che invece, se ben suonato, potrà piacere molto e colpire per quel suo partico­ lare colorito che riesce a mantenere dall’inizio alla fine; senza dubbio questo Impromptu, per quanto breve sia, è la composizione che più ci piace fra quelle di cui ci occupiamo in questo capitolo. Le Reveries non riusciamo proprio a farcele piacere, e ancora meno i Capricci, Accanto ad alcune singole cose geniali e davvero caratteri­ stiche troviamo infatti, in queste composizioni, molto di volgare e di forzato, il che ci fa pensare che queste opere siano state scritte in un periodo non recente; addirittura vi si trovano alcune cose intollerabilmente ipermeyerbeeriane: ci meraviglia che si possano far stampare cose come ad esempio, nelle Reveries, quella modula­ zione da sit minore a la minore a pag. 5, a pag. 6 quella armonia di ret maggiore dopo l’accordo di sesta sul si, a pag. 11 quel passag­ gio improvviso da mi H (ossia fa) maggiore a si maggiore, ecc. Sappiamo bene che sono proprio quei passaggi a fare la fortuna di un pezzo nei salotti parigini: sono passaggi molto amati da Meyer­ beer, cha appunto li ha lanciati come moda; ma i buoni musicisti tedeschi non dovrebbero lasciarsi impressionare da queste cose, che noi pensiamo meritino solo di essere gettate nella spazzatura. A giudicare da questi pezzi, in Hiller il pianista lotta sempre col compositore, e ciò avviene da tempo, fin da quando egli ha aderito al movimento pianistico dell’ultima scuola; egli dovrebbe invece rinunciare a una delle due cose, e scrivere definitivamente solo da virtuoso per virtuosi oppure da artista. Una cosa del genere è ovviamente più facile da suggerire che da fare; questo ci sembra comunque lo scoglio cui egli deve prestare maggiore attenzione, e lo saprà superare (almeno in base al giudizio degli artisti) se vorrà pensare meno all’effetto. Può darsi che noi siamo troppo severi, può darsi che il compositore stesso, che già si è distinto nella composizione di opere dalla grande forma, dia poco peso ai suoi 833

piccoli lavori; ma il tempo è prezioso, e un serio ammonimento avrebbe forse già potuto impedire che egli ne perdesse inutilmen­ te: in fondo è sempre meglio chiamare la malattia col suo nome, senza inutili riguardi. Nelle Reveries troviamo un solo brano in cui il compositore si astiene dall’aggiunta di ornamenti virtuosistici: si tratta del secondo numero, un raffinato quadro di genere, che è quello che preferiamo in tutta la raccolta. Come già detto, i Capricci non riusciamo invece proprio a farceli piacere; in essi troviamo molte cose: passaggi di bravura, alcune parti elaborate con grande cura, melodie dolcemente cantabili, procedimenti armonici spes­ so interessanti. C’è di tutto un po’, come se il compositore volesse accontentare tutti; eppure, e anzi forse proprio per questo, manca un’unità artistica complessiva, non vi è uno stile definito. Se pure il titolo di Capricci può in parte servire da giustificazione, in essi tuttavia vi sono troppe cose accavallate, genuine e artificiose, personali e mutuate da altri, perchè l’opera nel suo complesso possa piacere. Un’analisi punto per punto porterebbe troppo lontano: lasciamo ad altri tale compito, confidando che in tal modo il nostro giudizio venga confermato. Tutto questo, comunque, l’abbiamo detto pienamente coscienti del fatto che di fronte a noi abbiamo un talento notevolissimo; ma, appunto, in un composi­ tore maturo diamo per scontate certe cose che in un artista meno dotato e meno colto meriterebbero addirittura la nostra lode. Il fatto che nei confronti del primo siamo più esigenti, però, sottintende già un riconoscimento, che, per un vero artista, vale certo di più di una benevolente indulgenza, atteggiamento che colui del quale parliamo non merita assolutamente.

W. Taubert, La Najade, Pièce concertante pour le Pianoforte op. 49 Suite'. Prélude, Ballata, Gigue, Toccata op. 50

Due composizioni assai diverse, che danno luogo a considera­ zioni di vario genere. Anche Taubert è stato in qualche modo toccato dalle influenze del moderno virtuosismo, e se pure in queste composizioni pensate in funzione della sala da concerto si può sempre vedere la sua profonda cultura, tuttavia è come se egli avesse assorbito dentro di sé qualcosa di non del tutto consono alla sua natura. Si potrebbe dire che egli è talvolta l’immagine specula­ re di quei virtuosi che vorrebbero scrivere qualcosa di profondo: 834

egli possiede ciò che quelli non hanno, ma non vuole restare indietro rispetto a quel movimento generale prodotto dal successo dei pianisti più recenti. Anche la Najade appartiene in parte a questa tendenza moderna. Ma ecco che improvvisamente si desta in lui una nuova corda, ed egli ci offre un fascicolo su cui spiccano gli antichi e allegri nomi di Suite, Prélude, Gigue, ecc, e dal delizioso contenuto. Dobbiamo confessare che preferiamo di gran lunga queste cose ai suoi pezzi di bravura, anche alla Najade, che, per essere una ninfa, ci pare troppo poco leggera, poco naturale; non si parla nemmeno di un confronto con la composizione di Bennett che reca lo stesso titolo: là, per il suo quadro, il compositore aveva d’altra parte utilizzato anche flauti, oboi e un’intera orchestra. Dobbiamo invece segnalare la Suite con la lode più viva. Non spaventatevi per il nome: sotto l’artificiale rococò batte un cuore fresco e ardente che per un attimo si cala con amore nel passato senza però rinnegare ciò che è intorno a lui. Non tentiamo di interpretare punto per punto quali fossero le intonazioni del compositore mentre componeva questi pezzi anticheggianti; ma nella sua musica vi è tanta ironia e tanta melanconia che noi possiamo pensare di avere compreso questa composizione nel giusto senso. E in ciò siamo d’accordo con lui: andate avanti, egli sembra voler dire, ma ripensate di tanto in tanto al passato. Possa bastare quel poco che s’è detto a stimolare l’attenzione di molti per questo interessante fascicolo.

F. Chopin, Due Notturni op. 37 Ballata op. 38 Valzer per Pianoforte op. 42 Chopin potrebbe ormai pubblicare tutto senza il proprio no­ me: lo si riconoscerebbe subito ugualmente. In ciò è lode e biasimo insieme: la prima per il suo talento, il secondo per la sua aspirazio­ ne. Certamente, infatti, è insita in lui quella grande forza originale che, appena si mostra, non lascia alcun dubbio sul nome del Maestro; inoltre egli offre grande abbondanza di forme nuove, che ugualmente meritano grande ammirazione nella loro delica­ tezza e nella loro audacia. Sempre nuovo e inventivo nella forma esterna, nella strutturazione delle sue composizioni, nei particola­ ri effetti strumentali, egli rimane però nell’intimo sempre uguale a 835

se stesso, sì che noi temiamo che egli non potrà più elevarsi oltre il punto dove ora è arrivato. E se pure questo è già abbastanza in alto per porre il suo nome fra gli immortali della storia dell’arte moderna, va osservato però che la sua attività si limita al ristretto ambito della musica pianistica, mentre egli, con le sue forze, avrebbe dovuto raggiungere mete ancor più elevate ed esercitare una sua influenza sullo sviluppo della nostra arte in generale. Possiamo comunque accontentarci: egli ha già creato molte cose magnifiche e molto ancora adesso egli ci offre, sì che davvero possiamo essere contenti, e dovremmo congratularci con qualun­ que artista che avesse prodotto anche solo la metà di ciò che egli ha composto. Per essere chiamati poeti non c’è bisogno di ponderosi volumi: con una o due sole poesie si può meritare tale nome, e Chopin le ha ben scritte. Fra tali poesie si trovano anche i Notturni sopra citati; si distinguono dai suoi precedenti essenzialmente per una più semplice ornamentazione, per una grazia più tranquilla. Si sa che di solito Chopin si presentava coperto di fronzoli, di pagliuzze d’oro e di perle; ora egli, più maturo, si mostra assai diverso: egli ama l’ornamento, ma è un ornamento più pensoso, dietro al quale la nobiltà della poesia rifulge tanto più amabilmen­ te; davvero bisogna riconoscergli un gusto raffinatissimo, anche se ovviamente i professori di basso continuo non sono d’accordo, loro che cercano solo le quinte e che si indispettiscono per ogni minima mancanza. Invece potrebbero ben imparare molte cose da Chopin, e soprattutto come fare le quinte. Dobbiamo ancora parlare della Ballata segnalandola come un pezzo notevole. Cho­ pin ha già scritto una composizione col medesimo titolo, una delle sue opere più selvagge e più caratteristiche; questa nuova è diver­ sa, inferiore alla prima come opera d’arte, ma non meno fantastica e geniale. Le appassionate parti intermedie sembrano essere state aggiunte solo in un secondo tempo; ricordo perfettamente che quando Chopin la suonò qui la concluse in fa maggiore; ora invece termina in la minore. In tale occasione egli parlò anche del fatto che per le sue Ballate egli era stato ispirato da alcune poesie di Mickiewicz. Un poeta potrebbe viceversa trovare assai facilmente le parole nella sua musica: essa commuove nel più profondo dell’anima. Il Valzer, infine, è, come i suoi precedenti, un pezzo da salotto del genere più nobile; se egli lo suonasse per la danza, ha osservato Florestano, una buona metà delle danzatrici dovrebbero essere almeno contesse. E ha ragione: questo Valzer è aristocratico da capo a fondo. 836

F. Mendelssohn-Bartholdy, Sei Romanze senza parole, op. 53,4° fascicolo Finalmente un fascicolo di vere Romanze senza parole. Non differiscono di molto dalle precedenti di Mendelssohn, se non per una maggiore semplicità e, sul piano melodico, per la loro cantabilità più leggera, spesso popolare. Ciò vale soprattutto per la Romanza che il compositore stesso ha intitolato Canzone popolare; è un brano nato dalla stessa sorgente a cui Eichendorff ha attinto per creare alcune delle sue più meravigliose poesie e Lessing il suo Paesaggio dell*Eifel, Non ci si sazia mai di ascoltarle. Questo tratto popolare, che comincia a mostrarsi di frequente nelle composizio­ ni degli artisti più giovani, induce piacevoli considerazioni circa il prossimo futuro; d’altra parte un occhio attento noterà un accen­ no di questo tratto già negli ultimi lavori di Beethoven, il che a più d’uno potrà sembrare abbastanza strano. Anche la terza Romanza, in sol minore, ha un tono popolare, anche se non quello del coro: suona piuttosto come un canto a quattro voci. Si noti inoltre come Mendelssohn, nelle sue Romanze senza parole, sia progredito dalla semplice canzone, attraverso il duetto, fino alla canzone a più voci e quasi corale. Così accade al vero artista creatore: mentre spesso si potrebbe credere che egli non possa più proseguire, inaspettata­ mente egli ha già fatto un passo avanti, guadagnato nuovo terre­ no. E chiaro che alcuni elementi di questo 4° fascicolo ricordano un po’ certe cose più vecchie dei fascicoli precedenti; certi anda­ menti, certe ripetizioni, sembrano quasi diventare maniera. Ma questo è un rimprovero che cento altri comprerebbero con sacrifi­ ci, l’essere rimproverati perchè ci si fa riconoscere per determinati procedimenti, tanto da giurarci sopra. Attendiamo con gioia anco­ ra molte altre raccolte!

L'articolo nella rivista comprendeva altre tredici brevi recensioni: riportiamo qui le cinque che presentano qualche motivo di interesse. [P.R.]

C. G. Lickl, Gasteiner Bliiten [Fiori di Gastein], Dieci Rapdosie op. 59

Le Immagini di Ischi del medesimo compositore hanno avuto un’accoglienza tanto positiva da parte sia del pubblico sia della 837

critica che Fautore ha deciso di far loro seguire un’analoga serie di pezzi musicali a cui possiamo predire che avranno altrettanto successo. Come già le Immagini di Ischi, anche questi pezzi recano titoli e motti; la musica, in realtà, non ne avrebbe bisogno, ma il compositore li ha comunque scelti con intelligenza e buon gusto. Il colore predominante dell’intera raccolta è soprattutto un ama­ bile azzurro; solo raramente, per le sue descrizioni, il compositore sceglie un colore più vivo o più fosco. Per meglio dare un’idea di questi pezzi riportiamo qui di seguito i titoli apposti ai 10 numeri della raccolta: La melanconia, Sulla barca a remi, La meditazione, Cerchi nell'acqua, Piccolo fiore di trifoglio, Nel campo bagnato, Al cimitero di S. Nicola, Rododendri, La pastorella, Al ruscello di Gastein, In questo semplice mazzolino di fiori non manca certo la varietà, e se non sempre troviamo cose particolarmente originali o profon­ de, certo ne troviamo di amabili e gradevoli all’orecchio; questi pezzi potrebbero essere paragonati alle opere di certi poeti au­ striaci (Seidl, Vogl). Da un punto di vista musicale ricordano senz’altro certi pezzi di Schubert o Liszt, come già avevamo rivela­ to a proposito delle Immagini di Ischi, Analizzando l’opera nei particolari, troviamo molto bella, subito, l’introduzione, che come una delicata dedica accenna a quanto verrà dopo: bella, nonostan­ te richiami fortemente la Ballata in sol minore di Chopin; anche il primo numero (La melanconia) ha un tratto chopiniano. Nel secon­ do il compositore non riesce a separarsi da un’armonia che anche noi troviamo incantevole, ma che viene ripetuta davvero un po’ troppo spesso. Questo pezzo si intitola Sulla barca a remi, ed è anche suggestivamente descritto per l’occhio. Si potrebbero dire ancora molte cose a proposito degli altri singoli pezzi; riassumiamo il nostro giudizio confessando che queste composizioni sono certa­ mente fra le più notevoli che la città imperiale ci ha offerto in questi ultimi tempi, e se pure in esse vi è ancora molto virtuosismo, il buon gusto è comunque di gran lunga prevalente, ed è auspica­ bile che un sì valido compositore si raffini sempre più. Scriva anche per canto; le sue composizioni pianistiche fanno immagina­ re che egli possegga un talento particolarmente felice anche in questo genere.

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La Romanesca, fameux air de danse de fin du XVI Siècle, arrangé pour le Pfte. par L. Farrenc Un piccolo pezzo, pieno di vitalità e di fascino, che racco­ mandiamo all’attenzione di tutti gli amanti delle melodie popo­ lari. È un pezzo pubblicato a Parigi che, come sta scritto sul frontespizio, è stato suonato in concerto anche da Liszt e Chopin. Il compositore della melodia originale è sconosciuto. L’arrangia­ mento della Signora Farrenc merita una lode particolare in grazia della sua facilità e della sua cura per la sonorità bella. Un pezzo che vogliamo ancora una volta segnalare: vi servirà da ristoro.

Th. Kullak, Rève, Pièce de Salon, p. Pfte op. 4

Ecco un altro pezzo sentimentale da salotto, scritto, però, con abilità e talento da un ottimo pianista. Il vecchio Bach rimarrebbe davvero perplesso di fronte a un inizio come questo:

E invece suona bene, e il seguito non è certo peggiore; l’Andante, anzi, ci fa nutrire un’ottima opinione del compositore. Egli sembra aver mirato soprattutto a ricevere l’applauso del pubblico femminile, e tale applauso certo non mancherà a questa graziosa cosina. Voglia il giovane virtuoso tener sempre a mente ciò che la nostra rivista ebbe a raccomandargli in una precedente recensio­ ne dedicata ad una sua composizione: che cerchi di conseguire stima e rispetto anche da parte degli uomini!

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A. Henselt, Air 1 usse de N. Naroff, transcrit pour le Piano op. 13

Non è certo colpa di Henselt se a questo piccolo pezzo è stato asegnato un numero d’opera. Ad ogni passaggio si può riconosce­ re la sua mano decoratrice: si tratta di un pezzo che potrebbe legittimamente essere additato a modello di un modo di elaborare che vorremmo vedere più frequentemente realizzato. Pur auspi­ cando che il compositore non voglia astenersi troppo a lungo dal produrre opere autonome, vorremmo comunque pregarlo di trascrivere un’intera raccolta di canti popolari con queste medesi­ me intenzioni musicali: dovrebbe riscuotere molto successo. Ma il primo auspicio ha diritto di precedenza: il compositore ha taciuto troppo a lungo, e non vogliamo perciò fare pressione su di lui perché si dedichi ad altri simili lavori secondari. Voglia dunque offrirci presto qualcosa di autonomo; per intanto dilettiamoci con questo pezzo, piccolo ma affascinante, che può servire a non farci dimenticare la piacevole originalità del nostro compositore.

H. Marschner, Due pezzi caratteristici op. 105

Due piccolezze che probabilmente lo stimato compositore ha tratto fuori da sue vecchie carte dando loro un titolo solo adesso che vengono stampati; i titoli sono: Nordische Mondscheinnacht [Notte di luna piena nel Nord] e Flattersinn und Ùbermut [Sventa­ tezza e spavalda arroganza] e ben rappresentano il significato della musica. Il primo numero ricorderà forse a taluno l’Ouverture del Sogno di una notte d'estate, o anche un coro dell’Oberon; tali remini­ scenze sono difficilmente negabili. Il secondo ci ha ricordato invece altri pezzi simili dello stesso Marschner; è un pezzo agile e vivace, anche se nel complesso abbastanza ordinario. Che questi piccoli pezzi possano essere indicativi del percorso spirituale del compositore è un’idea che il compositore stesso sarebbe il primo a rifiutare: sono da considerare come semplici escursioni su un terreno secondario, un terreno di cui egli, da giovane, era assai pratico e che ora ha desiderato per un momento rivedere.

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99. SU ALCUNI PASSI PRESUMIBILMENTE CORROTTI NELLE OPERE DI BACH, MOZART E BEETHOVEN

Se si conoscessero tutti, forse si potrebbero scrivere dei volumi in folio sull’argomento; ed io credo che talvolta nell’aldilà i Maestri sorrideranno udendo di lontano qualcuna delle loro opere con tutti gli errori instaurati dal tempo, dalla consuetudine e anche da un rispetto timoroso. Da lungo tempo avevo in progetto di discu­ tere alcune delle opere più note dei Maestri sopra citati, pregando tutti gli artisti e gli amici dell’arte di controllarle, confrontandole ove possibile con i manoscritti originali. E vero che questi spessi ingannano e che nessun compositore può giurare che il proprio manoscritto sia assolutamente privo di errori. Come è pure natu­ rale che, fra i centomila puntini saltellanti che egli spesso scrive in un tempo incredibilmente breve, una dozzina di questi vada a finire troppo in alto o troppo in basso: e in tal modo capita che un compositore scriva talvolta le più folli armonie. In ogni caso il manoscritto originale rimane pur sempre l’au­ torità che dev’essere interrogata in prima istanza. Tutti coloro che sono in possesso dei manoscritti originali in questione dovrebbero dunque confrontare col manoscritto la copia a stampa col passag­ gio sospetto e gentilmente comunicare il risultato. Tuttavia per l’accertamento di alcuni di questi passi non c’è nemmeno bisogno di andare a prendere l’originale, talmente chiaro l’errore salta agli occhi. La maggior parte degli errori si trova forse nelle edizioni delle opere di Bach, soprattutto in quelle più antiche. Sarebbe un lavoro meritorio (ma ovviamente esigerebbe molto tempo) se qualche esperto, profondo conoscitore di Bach, intraprendesse l’opera di correzione di tutto ciò che finora è stato stampato erroneamente. Già un buon inizio ci è stato dato dalla casa editrice 841

Peters di Lipsia; ma per ora si limita alle composizioni pianistiche. Solo una critica del Clavicembalo ben temperato con l’indicazione delle diverse lezioni (pare che lo stesso Bach abbia molte varianti) potrebbe riempire un intero volume. 1 Vediamo prima qualche altro caso. Nella grande, magnifica Toccata con Fuga per organo 2 le due voci nel manuale si muovono in successione rigorosamente cano­ nica su un pedale. È possibile che il correttore non se ne sia accorto? E invece costui ha lasciato una gran quantità di note che si rivelano sbagliate rispetto al canone. Nel corso del pezzo, nelFepisodio parallelo a pagg. 4 e 5, troviamo sviste analoghe. Ma se questi sono errori che si possono correggere con non troppa fatica, la spiegazione di un altro passaggio nello stesso pezzo sarà invece di grande difficoltà. Si ricorderà certamente il grandioso assolo sulla pedaliera; confrontandolo col passaggio parallelo una quarta sot­ to ci si accorge che sono stati fatti parecchi errori. A pag. 4, fra batt. 3 e 4, mancano del tutto due battute, quelle che nella trasposizione si trovano a pag. 5, sist. 6, batt. 2 e 3, ecc. In questo caso solo il manoscritto originale potrebbe tagliare la testa al toro. Se il Sig. Hauser, a Vienna, ne è in possesso, è pregato di voler fare un confronto. E ovvio che ciascuno desideri possedere un pezzo straordinario quale è questa composizione nella sua forma più pura. Trascurare una cosa del genere è come tollerare un taglio in un quadro, un foglio mancante nel proprio libro preferito. Un altro caso strano, su cui solo il manoscritto di Bach potreb­ be dare una spiegazione, si trova nell’/l?^ della Fuga. L’intera Fuga XIV, lunga quattro pagine, compare già una volta nella X (cfr. l’edizione Peters, pag. 30, sist. 5 da batt. 2 in poi). Come può essere successo? Non è possibile che Bach abbia ricopiato quattro pagine, nota per nota, all’interno di una stessa opera! Peraltro anche nella stessa partitura di Nàgeli le due Fughe sono riportate così, e solo

1 Nel 1845 Schumann iniziò a progettare un’edizione critica del Clavicembalo ben temperato, ma non andò oltre i primi tentativi. 2 [R.S.] Toccate et Fugue pour l'Orgue (Leipzig, Peters), con questo incipit:

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per l’identità tonale e tematica (che vale per tutta l’opera) è spiegabile il fatto che tale ripetizione sia potuta rimanere così a lungo inosservata. Ma chi pensa agli errori quando è profondamente immerso nel godimento delle armonie bachiane? Ad esempio io per un anno non mi accorsi di un errore in una Fuga di Bach, una di quelle a me più note, finché un Maestro dall’occhio d’aquila 3 non me lo fece notare. La Fuga è in mi minore, basata su un tema meraviglioso, ed è la sesta nell’edizione Haslinger. S’inserisca fra la terza e la quarta battuta questa sola nota:

e tutto sarà giusto. Qui non vi è alcun dubbio. * Veniamo ora ad alcuni casi, forse più interessanti per i lettori, in opere che si sono ascoltate e suonate un numero infinito di volte senza notare i tradimenti fatti all’originale. Devo solo pregarvi di prendere in mano le partiture, perchè far stampare per intero i passaggi in questione porterebbe via troppo spazio, ma d’altra parte sarebbe impossibile esprimere un giudizio senza esaminare nel modo più scrupoloso i passaggi stessi. Il primo passo sospetto è nella Sinfonia in sol minore di Mozart, un’opera in cui ogni nota è oro puro, ogni movimento un tesoro; eppure — lo si crederebbe? — nell’Andante si sono inserite quat­ tro intere battute che secondo la mia ferma convinzione non vi appartengono. Da batt. 29 in poi (a parte l’ottavo in levare) troviamo infatti un episodio di quattro battute che ci porta da refr maggiore a sik minore che viene poi ripetuto nelle quattro battute successive solo con una strumentazione semplificata; non è possi­ bile che Mozart abbia voluto una cosa del genere. Ciò risulta senz’altro chiaro dal collegamento fra batt. 32 e batt. 33, assolutamente antimozartiano e addirittura scadente, che non può non aver colpito sgradevolmente qualunque musicista anche da un ascolto superficiale. Ci chiediamo ora quale dei numeri dei due periodi di quattro battute sarebbe da eliminare: il primo o il secondo? A uno sguardo fugace ci si potrebbe forse dichiarare in 3 Mendelssohn. [M.K.]

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favore del mantenimento del primo: il graduale ingresso degli strumenti a fiato, che crescono sino al forte, non è senza un senso artistico. Ma molto più naturale nella condotta delle parti, più chiara, più semplice, e non priva di un suo crescendo emotivo mi sembra l’altra lezione, per cui sono da eliminare le battute da 29 a 32, dove poi tutti gli strumenti si uniscono in un chiaro crescendo nel/orte. Queste stesse quattro battute di troppo si trovano poi anche nella ripresa, per cui dovrebbero essere eliminate anche le battute da 48 a 51. Come questo errore si sia potuto introdurre di contrabbando è cosa che la partitura originale, che dovrebbe essere nelle mani del Consigliere André, dovrebbe poter dimo­ strare. La cosa più probabile è che Mozart abbia dapprima conce­ pito il passaggio così come noi crediamo debba essere, che poi, rifinito nella strumentazione, l’abbia inserito nella partitura, ma che in seguito, ritornando alla sua prima idea, abbia dimenticato di cancellare la seconda versione. Speriamo che anche altri musici­ sti esprimano la propria opinione circa questo importante passag­ gio e che una generale concordanza in proposito contribuisca a far sì che l’Andante venga d’ora in avanti eseguito nel modo da noi indicato. Pregheremmo per intanto gli editori di mettere fra parentesi queste quattro battute in partitura, precisandone i moti­ vi in una breve nota. D’altra parte mi han detto che al Conservatorio di Parigi l’Andante viene suonato eliminando le quattro battute in ambedue i passaggi. Anche Mendelssohn si è già da lungo tempo espresso in favore di tale scelta. Ricordo infine ancora alcuni passaggi nelle Sinfonie di Beetho­ ven che quasi a prima vista si manifestano come errori del copista. Di uno di questi ho già avuto occasione di parlare un’altra volta: è alla fine del primo movimento della Sinfonia in sil> maggiore. Delle tre battutte ff (8 battute prima della fine) una è palesemente di troppo. La svista era facile da commettere a causa della perfetta somiglianza delle note in tutte le parti. Potrebbe anzi averla commessa lo stesso Beethoven. Ma che per tanti anni si sia potuto ascoltare il seguente passag­ gio nella Sinfonia Pastorale (così come in effetti è nella partitura) senza insorgere a viva voce, non si potrebbe spiegare se non perchè l’incanto della musica beethoveniana ci avvince a tal punto da farci dimenticare il pensiero e l’udito. Nel primo movimento (partitura pag. 35, da batt. 3 in poi) si trova esattamente così: 844

E se noi, invece di quelle pause improvvise, mettesimo nei primi violini il segno di simili )? Non suonerebbe forse meglio e in un altro modo? Non risulta ciò forse chiaro dalfinversione da batt. 5 in poi, dove le viole hanno ciò che prima si trovava nei primi violini? È certamente così. Il copista ha preso i segni di simili per pause, oppure si è messo di mezzo qualche altro coboldo burlone. Ries racconta come una volta Beethoven si sia infuriato con lui per un passaggio della Sinfonia Eroica che egli aveva corretto con le migliori intenzioni. Io credo che se Beethoven avesse veramente ascoltato quel passaggio in questione della Sinfonia Pastorale, al­ l’orchestra e al direttore non sarebbe capitato di meglio di quello che era capitato a Ries. Per stavolta basta; speriamo che i casi citati vengano presi in 845

considerazione da molti! Come potremmo meglio provare la nostra venerazione per i nostri grandi Maestri se non tentando di eliminare dalle loro opere i danni ad esse arrecati dall’errore o dal caso? Con questa sola intenzione sono state scritte queste righe.4

4 Tutte queste ipotesi si sono in seguito rivelate fondate. [M.K.] 846

100.1 CONCERTI IN ABBONAMENTO A LIPSIA, 1840-1841

Primo concerto in abbonamento, 4 ottobre H. A. Marschner, Ouverture per il Vampiro V. Bellini, Aria F. David, Concertino V. Bellini, Arie L. van Beethoven, Sinfonia Eroica

La scelta della furiosa Ouverture del Vampiro come pezzo di apertura dell’intera stagione avrebbe potuto sconcertare il pubbli­ co: noi stessi avremmo preferito Un’Ouverture di Gluck. E invece questa Ouverture di Marschner ha sempre i suoi ammiratori e anche le sue ammiratrici fra il pubblico e resta comunque, nono­ stante gli evidenti echi weberiani, un pezzo fresco e di grande effetto. Inoltre l’esecuzione è stata eccellente, di un livello finora mai udito. Le due Arie di Bellini (dai Puritani e dalla Norma) sono state cantate dalla Signorina Sophie Schloss, ritornata da noi per questa stagione invernale; la sua voce è fresca e forte come prima e si è espressa assai bene, soprattutto nella prima Aria. Si potrebbe avere qualcosa da obiettare circa la scelta proprio di quelle Arie di Bellini per il primo concerto. Se è vero che purtroppo non godia­ mo di un’eccessiva ricchezza nel campo dei brani vocali da concer­ to di autori tedeschi, ne abbiamo comunque abbastanza per fare del tutto a meno di arie italiane, soprattutto in un concerto d’inaugurazione. E se qualcuno adducesse come scusa il fatto che Mozart, Weber e Spohr sono già stati ascoltati tante volte, ebbene: si può andare ancora più indietro. Negli Oratori di Hàndel, nelle Opere di Gluck ci sono pur sempre tanti tesori la cui esecuzione richiede appunto una voce forte e pura come quella della cantante citata. Ci è giunta voce che presto ella canterà brani dalVIfigenia, il che non potrà che procurare a lei onore e gioia a noi. Nel Concerti­ no per violino il Sig. Uhlrich si è nuovamente mostrato degno di ogni lode; il suo suono ha di anno in anno guadagnato in sicurez­ za, purezza e gusto ed è sempre straordinariamente efficace e piacevole. Della composizione ci è piaciuto soprattutto l’ultimo movimento; nello sforzo di rendere interessante anche la parte 847

orchestrale, però, il compositore qua e là finisce per strafare, il che non può comunque impedirci di tributare il nostro più sincero plauso all’intenzione in sé, senz’altro apprezzabile rispetto ai soliti accompagnamenti insulsi di tanti altri compositori di pezzi per violino. Nella Sinfonia di Beethoven ci siamo infine sentiti nuova­ mente nella vecchia sala da concerto di Lipsia che già tante volte ha tremato di commozione per quest’opera. L’orchestra è stata eccel­ lente. L’ha diretta il Konzertmeister David, in quanto il Musikdirektor Mendelssohn non era anora tornato dal proprio viaggio in Inghil­ terra.

SECONDO CONCERTO IN ABBONAMENTO, 11 OTTOBRE

C. M. v. Weber, Ouverture per YEuryanthe G. Donizetti, Aria Ch. Muller, Concertino per trombone V. Bellini, Aria L. van Beethoven, Sinfonia insib maggiore Il direttore, al suo ingresso, è stato salutato da una ovazione, alla quale ci siamo associati di tutto cuore. Da quando Mendelssohn ha assunto la direzione musicale dei concerti di Lipsia, alle compo­ sizioni di Weber è stata dedicata un’attenzione particolare, e all’orchestra viene spesso tributato l’onore che tanto i virtuosi quanto le masse orchestrali maggiormente ambiscono e malvolen­ tieri concedono, la richiesta di bis. Era annunciata la presenza di una giovane cantante, preceduta dalla fama di grande bellezza e di già notevole maturità artistica: la Signorina Elise List. Discendente da una rispettabilissima famiglia, già da bambina ella ha visto l’altra parte del mondo, dopodiché ha trascorso alcuni anni a Lipsia, dove il padre, che qui ricopriva la carica di console norda­ mericano, si è procacciato grandissimi meriti soprattutto per la costruzione della ferrovia; ultimamente è tornata fra noi da Parigi dove aveva trascorso gli ultimi anni. Tutto ciò non poteva che aumentare l’attesa per la sua apparizione. Ella era molto emozio­ nata: la rivista ha già in precedenza ricordato che questa era la serata del suo debutto. Chiunque abbia ascoltato anche solo poche battute si sarà certo reso conto della bellezza della sua voce (per quanto essa apparisse un po’ velata per l’emozione), come pure

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della bontà della scuola a cui essa si è formata, sicché si è potuto vedere chiaramente che questa cantante non pretende di fare cose in cui non sia perfettamente sicura. Ma si sa che ciò che si possiede alla perfezione davanti a quattro occhi non lo si possiede davanti a mille, e come ciò accade ai grandi artisti e agli uomini, a maggior ragione capita ad una novizia, ad una fanciulla diciottenne. Solo i rozzi possono non tener conto di ciò. Dobbiamo perciò apprezzare il nostro pubblico, che ha accolto con grande benevolenza questa bella e timida signorina; e se delusi sono rimasti coloro a cui interessa il vacuo virtuosismo dei trilli e dei passaggi di bravura più dell’espressione di un nobilissimo organo vocale, in compenso nella nostra colta città ci sono abbastanza persone che sanno distinguere i talenti dozzinali da quelli originali, fra i quali ultimi possiamo con convinzione annoverare questa giovane cantante. Ciò che ella ancora non ha può essere acquisito; ciò che ha non è invece possibile acquisirlo. Lo tenga perciò stretto, e prosegua con coraggio la via intrapresa, Dopo di lei abbiamo ascoltato un Maestro, uno che già cento volte è sceso nella lizza: il Sig. Queisser, il trombonista, accolto fin dal suo ingresso con grandi applausi. La sua maestria sembra rimanere intatta con gli anni e spesso ci dà un’impressione di divertente grandiosità con la sua assoluta preci­ sone. La Sinfonia in sib maggiore ha infine concluso nel modo più splendido, dandoci quell’effetto che sempre ci danno tutte le Sinfonie di Beethoven: che quella appena ascoltata sia la sua più bella. Ancora una volta un Maestro dell’arte ci ha segnalato la conclusione del primo movimento di questa Sinfonia: c’è chiara­ mente una battuta di troppo. Si confronti la partitura a pag. 64, batt. 2, 3, 4. Per la perfetta somiglianza di tutte le parti era assai facile commettere un errore, sia per il copista sia per il composito­ re stesso. Ed è possibile che Beethoven, dopo aver ultimato l’ope­ ra, non si sia più curato del resto. Chi è in possesso della partitura originale dovrebbe andare a controllare: ovviamente noi dobbia­ mo in primo luogo attenerci al manoscritto. 1

» [R.S.] Cfr. art. 99.

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Terzo concerto in abbonamento, 22 ottobre W. A. Mozart, Sinfonia in mib maggiore G. Donizetti, Aria F. David, Concerto per violino L. Spohr, Ouverture per DerBerggeist [Lo spirito della montagna] M. W. Balfe,Aria H. Marschner, Klange aus Osten [Suoni dall’oriente], Ouverture, Lieder e Cori

La Sinfonia è assai nota, soprattutto l’Andante, che una volta ascoltato non si può dimenticare facilmente; questo movimento è stato infatti accolto dai maggiori applausi, mentre gli altri sono stati meno notati. L’Aria di Donizetti, un pezzo brillante, ha portato alla cantante, Signorina Schloss, una clamorosa ovazione; ella ha cantato in modo perfetto, con grande scrupolosità e con una forza di voce quale attualmente qui da noi non possiede alcun’altra cantante. Il solista del Concerto è stato salutato da grandi applausi: era il compositore stesso, e la composizione era nuova e per la prima volta da lui suonata pubblicamente. Senz’al­ tro degno di cordiale plauso è il fatto che il Konzertmeister David rallegri ogni inverno il pubblico del Gewandhaus con qualcosa di nuovo; novità che sempre testimonia un impegno che non sempre possiedono coloro che sono giunti ad occupare un posto sicuro. Quanto a tendenza compositiva e a contenuto l’opera si pone sulla stessa linea delle composizioni precedenti, dove cioè il virtuoso vuole dimostrare di sapere anche comporre e viceversa il composi­ tore permette al virtuoso di brillare. Quell’eccedere nell’accompagnamento che già avevamo notato di recente si trova anche in questa composizione, e anche stavolta l’ultimo movimento è sem­ brato il più riuscito e quello di maggiore effetto. Il pubblico ha richiamato fuori l’artista dopo la fine, il che è qui da noi sempre una cosa assai rara. L’Ouverture di Spohr non ha fatto una grande impressione; quella per Jessonda ha un numero incomparabilmen­ te maggiore di ammiratori, e anche quella per il Faust ci sarebbe piaciuto poterla riascoltare al Gewandhaus. L’aria successiva ci ha fatto conoscere il nome di un compositore qui da noi ancora mai sentito nominare, e speriamo, in nome di Dio, di non risentirlo

1 [R.S.] Cfr.art. 99.

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nemmeno mai più in futuro; è un inglese, un Rossini annacquato, le cui opere hanno avuto una certa fortuna in Inghilterra. In parte per la mediocrità della composizione, in parte anche per l’impac­ cio, ancora notevole, della cantante, fatto sta che questo numero è stato un fiasco. Ci dispiace per il giovane ed eccellente talento della cantante, che ha per ciò dovuto ricevere i giudizi più severi. La paura, come si sa, è pericolosa soprattutto per le note più acute, e qualche volta la cantante ha sbagliato l’entrata, come già è successo ad altre mille principianti prima di lei. Non è giusto però dimenti­ care del tutto la purissima intonazione, pregio indiscusso di questa artista, e nemmeno lo smalto della voce che emergeva chiaro nonostante la paura, uno smalto che ricorda la voce di Pauline Garcia. Vorremmo invece far rilevare un’altra cosa a questa can­ tante: prende sempre dei tempi troppo lenti; provi dei tempi più veloci, sarà senz’altro in grado di farlo. Fiducia in se stessi e coraggio sono arti particolari all’interno dell’arte, ed ella deve esercitarsi anche in questo. Fra le sue quattro pareti domestiche l’artista dev’essere modesto nei confronti di se stesso, coscienzioso e scrupolosissimo; ma di fronte al pubblico deve mostrare corag­ gio, anche un po’ di allegra sfacciataggine, e ne diventerà in tal modo un beniamino. Alla fine della serata abbiamo ascoltato una composizione (ancora manoscritta) di H. Marschner; prometteva di essere qual­ cosa di totalmente nuovo, e tale era anche sul piano formale. S’intitolava Klange aus Osten [Suoni dall’oriente] e consisteva in Un’Ouverture, Lieder e Cori, che si succedevano senza soluzione di continuità. Pare che Berlioz abbia fatto qualcosa di simile a Parigi con la sua ultima Sinfonia, solo che ha posto alla base dell’opera un dramma universalmente noto (Romeo e Giulietta), Il poema alla base della composizione di Marschner tratta di un amore in ambiente orientale, che però il poeta ha trattato in modo abbastanza prosaico e banale. Oltre alla coppia di amanti interven­ gono anche un indovino (la cui comparsa iniziale avrebbe dovuto forse in seguito essere più chiaramente motivata), un coro di Popolani e uno di Briganti. Come già detto, se Io stimolo alla composizione fosse stato dato da Ruckert probabilmente sarebbe nato qualcosa di più profondamente efficace. Dobbiamo comun­ que lodare il compositore, che ha avuto il coraggio di sperimenta­ re una forma nuova che ora altri musicisti dovranno semplicemen­ te proseguire per arricchire la sala da concerto di un nuovo genere 851

musicale. La composizione ha molte parti assai affascinanti; ciò vale in particolare per l’Ouverture, che peraltro nel complesso avrebbe guadagnato in efficacia se fosse stata un po’ più breve. Il ritmo principale è già stato spesso utilizzato specialmente per ambientazioni orientali, ma viene attraversato da una figura dei violini che lo rende assai bello. Alla fine c’è troppo fracasso. Il canto zigano è assai piaciuto, con quella terza maggiore ascendente alla fine, e ancor di più la Serenata, che di tutti i numeri era quello che possedeva la più decisa tinta orientale; assai apprezzata è stata anche l’Aria di Maisun, nonostante il testo assolutamente sgrazia­ to. Il Coro dei Briganti è sembrato non essere stato immediata­ mente compreso da tutti, ma era molto originale. Nel numero conclusivo ci è sembrata assai bella la melodia sulle parole: Assai, wo bisl du. L’opera nel suo complesso, che speriamo di poter presto riascoltare, ha riscosso un caldo applauso.

Quarto concerto in abbonamento, 29 ott obre C. W. Gluck, Introduzione e Scena prima dell’Efigenia in Tauride Julius Rietz, Ouverture da concerto G. Rossini, Aria con Coro J. Kalliwoda, Divertimento per flauto Franz Schubert, F. Mendelssohn, Lieder Franz Schubert, Sinfonia

“Un bel concerto”, hanno detto tutti alla fine. Certi giorni sembra non esserci più pubblico, ma solo uno strascico frusciarne che segue docile i movimenti dei corpi e degli spiriti degli artisti, mentre altre volte il pubblico si pone davanti a loro chiuso e corazzato, del tutto impenetrabile. Il 29 era un giorno del primo tipo. Me certo la musica ha contribuito a che ciò avvenis­ se. Per Gluck battono pur sempre moki cuori, anche se in una sala da concerto perde in parte in efficacia. La cantante ha fatto del proprio meglio: era la Signorina Schloss, che ci sembra progredire continuamente. L’Ouverture di Rietz è emersa stavolta ancor più chiara nei suoi raffinati contorni rispetto ad una precedente esecuzione. Già in quella occasione le avevamo riservato su queste pagine un distinto posto d’onore, e stavolta tale giudizio è sembra852

to aver trovato conferma anche da parte del pubblico; è stata accolta con un calore tale che il compositore, se fosse stato presen­ te, si sarebbe senz’altro sentito infiammato a comporre nuove opere. Possa l’applauso agire in tal modo anche su chi era assente! Un caldo applauso è stato tributato anche al numero successivo grazie alla bella esecuzione della Signorina List; senz’altro da lodare la sua pronuncia italiana. Nei Lieder ha cantato suonando anche essa stessa il pianoforte; ciò possiede notoriamente sempre una magia tutta particolare, e così è stato anche in questo caso. I Lieder erano Der Wanderer [Il viandante] eAufFlugeln des Gesanges [Sulle ali del canto]. Il primo l’ha cantato in modo assai bello; l’altro l’ha preso invece un po’ troppo lento, ina il risultalo è stato pur sempre apprezzabile. Il pezzo per flauto era una vecchia composizione, che ricordiamo di aver già ascoltato dieci anni fa; l’esecutore era un ottimo e ben noto musicista, il Sig. Grenser, primo flauto dell’orchestra. Siamo così giunti, in modo assai piace­ vole ed edificante, alla Sinfonia, corona della serata. Mille mani si sono levate acclamanti. Se Schubert avesse potuto vedere la scena coi propri occhi, gli sarebbe sembrato di essere un ricco sovrano. In una sorta di ebbrezza ci siamo dunque congedati da tutte queste belle immagini che senz’altro sono rimaste impresse ancora a lungo in non poche anime.

Quinto concerto in abbonamento, 5 novembre F. J. 1 laydn, Sinfonia in sol maggiore W. A. Mozart, Aria F. Kufferath, Capriccio per pianoforte e orchestra G. Donizetti, Al ia L. van Beethoven, Due Ouverture (n.l e 2) per la Leonora F. Kufferath, Tre Studi per pianoforte G. Rossini, Duetto

La Sinfonia ha, più di ogni altra haydniana, qualcosa di un po’ codino, e la musica da giannizzeri che è in essa ha qualcosa di addirittura infantile e di cattivo gusto, cosa che dobbiamo in ogni caso dire nonostante tutto il nostro amore per il Maestro, che tale si rivela comunque sempre. 853

Lo Scherzo, il movimento che a nostro avviso è più vicino ai tempi nostri, stranamente non è stato applaudito, mentre tutti gli altri sì. L’Aria era quella della Contessa, dal Figaro] la cantante era la Signorina List, che ha interpretato il Recitativo in modo assai nobile e raffinato, mentre purtroppo l’esecuzione della parte finale non è stata altrettanto felice. Il pubblico, però, si attiene sempre a ciò che ha sentito per ultimo, e quindi alla conclusione; quando questa viene bene, la vittoria è generale. Purtroppo oggi la cantante si è dovuta accorgere di ciò a proprie spese, vedendo dimenticata la ben riuscita prima metà della propria esibizione a vantaggio della sola parte finale mal riuscita. Nel numero successi­ vo è apparso un giovane compositore e pianista di Colonia attual­ mente residente qui, il Sig. F. Kufferath: era la sua prima appari­ zione pubblica ed è stata del tutto positiva. Le sue composizioni danno testimonianza di un deciso talento e di una nobile imposta­ zione artistica, sulla quale deve aver esercitato (in modo più o meno consapevole) una certa influenza un Maestro che vive accan­ to a noi. Non è vero, però, come qua e là si è sentito dire, che egli sia ufficialmente un allievo di Mendelssohn. Nel Capriccio ci è piaciuta soprattutto l’introduzione; l’Allegro aveva una forma infelice, mancando di una parte centrale; come anche la trasposi­ zione in tonalità minore, alla fine, dei brillanti passaggi della prima parte non è efficace, né tale poteva essere. La parte dell’orchestra era scritta in modo abile spesso raffinato, spesso però anche con qualche eccesso, sì che suonava troppo forte. L’eccellente solista ha avuto alla fine del Capriccio un succès d’estime, diventato invece assai più caloroso dopo gli Studi, con chiamate fuori, nonostante a noi personalmente gli Studi siano invece sembrati meno originali sul piano compositivo, in particolare per quanto riguarda la vera forza melodica. In ogni caso si è trattato di un debutto più che onorevole, tanto che possiamo quasi sicuramente promettere al giovane e assai diligente artista un felice futuro. La Signorina Schloss, era in forma smagliante e ha cantato con straordinaria bravura, mettendo in straordinaria eccitazione il pubblico, che l’ha costretta a cantare da capo. Le due Ouvertures per la Leonora erano ambedue in do maggiore: una, verosimilmente la prima in assoluto di quelle scritte da B. per la Leonora, è pubblicata in partitura da Haslinger; l’altra, senz’altro precedente alla già edita grande Ouverture in do maggiore, ancora inedita (il manoscrit­ to è in possesso dei Sigg. Breitkopf & Hàrtel). Già in altra

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occasione la rivista ha dato notizia di questo quadruplice capo­ lavoro (cfr. art. 83). Anche oggi soprattutto la seconda ha potentemente impressionato il pubblico. Com’è possibile che i possessori della partitura ritardino tanto a pubblicarla? Noi vorremmo che presto tutto il mondo potesse essere partecipe di questa gioia.

Sesto concerto in abbonamento, 12 novembre W. Sterndale Bennett, Ouverture [La ninfa del bosco] C. M. v. Weber, Aria B. Romberg, Solo per violoncello W. A. Mozart, Cavatina F. A. Kummer, Fantasia per violoncello F. J. Haydn, Recitativo e Coro finale dalla Creazione L. van Beethoven, Sinfonia in la maggiore

La bellissima Ouverture di Bennett apriva la serata; chi non l’ha mai ascoltata potrà aver pensato a una sorta di mazzo di fiori: ne offrono Spohr, Weber e Mendelssohn, ma la maggiore parte sono dello stesso Bennett, e inoltre tutto suo è il modo in cui egli con mano delicata li ha accostati e ordinati a formare il tutto. L’orchestra ha collaborato con grande amore, non danneggiando alcun fiore. NeH’Aria dal Freischùtz (Wie nahte mir der Schlummer) la Signorina Schloss ha molto brillato ed è molto piaciuta, come pure nell’Aria mozartiana del Figaro. Si noterà come la cantante sia impegnata in un costante progresso anche in direzione della varietà delle scelte. I pezzi per violoncello sono stati eseguiti da un ospite, il Kammermusikus Sig. Griebel di Berlino. Il primo pezzo ha gettato il pomo della discordia nel pubblico. Alla fine si sono infatti sentiti tra gli applausi anche alcuni fischi, dovuti soprattutto alla scelta della composizione, in effetti noiosissima. Si è svolta allora una lotta abbastanza dura fra mani e labbra, con la vittoria finale delle prime. Chiaramente ciò ha caricato l’esecutore, il quale ha portato a termine indisturbato anche il secondo pezzo, accompa­ gnato anzi da un applauso scrosciante. La prestazione artistica in sé non è stata peraltro niente di straordinario, tuttavia pregevole e certo non tale da meritare dei fischi. I brani dalla Creazione, questa vecchia e magnifica opera, vengono sempre ascoltati con piacere; il tenore era nuovo, il Signor Pielke, e fa nutrire buone speranze; 855

le altre voci soliste erano la Signorina Schloss e il Sig- Weiske. Alla fine la Sinfonia in la maggiore, a proposito della quale non vogliamo ripetere ciò che tutti già sanno. 2

Settimo concerto in abbonamento, 26 novembre J. B. Kalliwoda, Sinfonia in si minore G. Donizetti, Aria F. A. Reissiger, Fantasia per clarinetto C. M. v. Weber, Ouverture per il Freischutz J. Mayseder, Concertino per violino G. Rossini, Scena per un Coro

Concerto a favore del Fondo per musicisti anziani E AMMALATI, 3 DICEMBRE

C. M. v. Weber,Jubelouverture L. van Beethoven, Fantasia per pianoforte, coro e orchestra F. Mendelsshon-Bartholdy,Lo6gesang, Sinfonia-Cantata

Nel settimo concerto in abbonamento abbiamo riascoltato l’ultima Sinfonia di Kalliwoda, che il compositore aveva diretto qui da noi per la prima volta l’anno scorso. Già allora la rivista aveva parlato dell’atmosfera originale che in essa spira, come pure della delicata strumentazione, testimonianza di un musicista in conti­ nuo progresso. Anche oggi la Sinfonia è sembrata assai bella ed elegante, anche se non così appassionata come l’altra volta, ma a ciò aveva contribuito senz’altro la direzione personale del compo­ sitore; essa è stata comunque suonata e diretta in modo eccellente. L’opera è stata stampata recentemente ed è davanti a noi che potremo perciò in altra occasione parlarne più dettagliatamente. Gli altri numeri del concerto offrivano un interesse meno nuovo. L’Aria di Donizetti era assolutamente priva di musica, e comunque

2 Cancellato : “Con rammarico dobbiamo infine notare che la Signorina List, dopo essersi esibita quattro serate, ci ha lasciato per tornare a Parigi..." [M.K.]

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la cantante non l’ha interpretata in modo particolarmente felice e ha ricevuto un applauso minore di quello che di solito si tributa alle altre cose italiane. Il Sig. Heinze ha suonato molto bene il pezzo per clarinetto; lui e il violinista Sig. Sachse (al suo debutto) sono stati accolti in modo assai caloroso. L’Ouverture dal Freischiltz ha avuto il consueto successo, e così pure il Finale della Semiramide, soprattutto nella parte “italiana” del pubblico. Cose eccellenti sul piano delle composizioni e dell’esecuzione ci sono state offerte dal concerto di ieri, a favore del Fondo per musicisti anziani ed ammalati. Il podio era ornato con corone di fiori; un meritatissimo omaggio al Maestro che già tanto da quel podio ha fatto in favore della vera arte e che anche oggi ha contribuito ad abbellire il concerto con una propria composizione. Quando egli è comparso, tutto il pubblico e l’orchestra si sono alzati in piedi entusiasti: vedere e sentire ciò’ci ha fatto un’immen­ sa gioia. La Jubelouverture è sembrata la traduzione musicale di tale stato d’animo; il giubilo non voleva mai finire. Mantenere al massimo livello tale gioiosa vivacità musicale era forse possibile solo ad una Malibran, ad una Devrient. La Signorina Schloss ha cantato bene, ma in modo un po’ freddo: tutti l’hanno notato. Anche il Signor Kufferath non ha suonato con sufficiente energia, per quanto sempre in modo musicalissimo e da vero artista. Mentre proprio questa straordinaria composizione di Beethoven, in cui il solista sembra quasi un oratore in mezzo a grandi masse popolari, richiede — per restare nella metafora - buoni polmoni perché i particolari si possono cogliere in mezzo al tutto. L’effetto complessivo è comunque stato commovente. Seguiva il pezzo principale della serata, il Lobgesang di Mendelssohn, che, già qui eseguito in occasione dei festeggiamenti in onore di Gutenberg, è stato — ci sembra — modificato dal compositore in alcuni punti aumentandone ulteriormente l’efficacia.3 Vada dunque ogni lode a questa magnifica composizione, per come essa è vera, per il semplice fatto di esserci! Già altre volte ne abbiamo parlato. Troviamo qui riunito tutto ciò che rende felice e nobilita l’uomo: la pia sensibilità, consapevolezza della propria forza, la sua più libera e più naturale espressione; per non parlare della forza musicale del Maestro, dell’entusiasmo con cui ha lavorato a quest’opera,

3Cfr.art.64. [M.K.]

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soprattutto là dove il coro assume il ruolo principale. Non possia­ mo concludere questa lode senza tributarne un’altra a tutti i collaboratori, in particolare alle voci soliste, la Signora Frege, la Signorina Schloss e il Sig. Schmidt. Tutti sembravano animati da una sola intenzione: ringraziare l’artista per il suo lavoro e in contraccambio offrire la più amorosa cura nell’interpretazione. La fine del concerto è stata solo l’inizio: mancava solo che si prendes­ sero le corone di fiori e con esse si cingesse il capo del Maestro.

Ottavo concerto in abbonamento, 10 dicembre L. van Beethoven, Sinfonia in fa maggiore S. Thalberg, Adagio e Rondò per pianoforte G. Rossini, Finale dal Guglielmo Teli L. Cherubini, Ouverture A. v. Henselt, F. Chopin, Due Studi per pianoforte G. Spontini, Ensemble dal Cortez Fra le Sinfonie di Beethoven quella in fa maggiore è forse la meno eseguita ed ascoltata; anche a Lipsia, dove tutte quante sono perfettamente di casa, quasi popolari, c’è una sorta di pregiudizio nei confronti di questa, che peraltro sul piano della profondità umoristica non è eguagliata da nessun’altra Sinfonia beethoveniana. Crescendi come quelli verso la fine dell’ultimo movimento sono rari anche in Beethoven, e durante l’Allegretto in si k non si può altro che ... tacere ed essere felici. L’orchestra ha offerto un’esecuzione magistrale; anche l’insidioso Trio con quella strana melodia del corno, triste e consolante a un tempo, è andato in porto senza inconvenienti. Il brano è stato suonato dalla Signorina Amalie Rieffel di Flensburg, una giovane fanciulla, appena diciot­ tenne, debuttante nel ruolo solistico. Trarre conclusioni sul suo valore artistico complessivo dopo questa sola prima apparizione sarebbe cosa che la stessa giovane artista potrebbe non gradire, per quanto incoraggiante sia stato per lei il grande applauso riservatole, soprattutto dopo il pezzo di Thalberg. Di solito ella tocca però livelli più elevati, come chi scrive ha potuto constatare in privato; il suo livello tecnico è notevole, la sua interpretazione assai originale, spesso poetica, come pure essa cerca di sviluppare

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la propria arte con dedizione totale e con una ferrea volontà che tale è rimasta nonostante un temperamento artistico assai irruen­ te. Di ciò si è avuta testimonianza soprattutto negli Stridi, che ella ha preso ad una velocità inaudita, col che ovviamente qualcosa è andato perduto. Ciononostante anche dopo gli Studi l’applauso non è mancato; ma dopo il pezzo da concerto era stato senz’altro più cordiale e compatto. Non sarà certo questa l’ultima volta che il suo nome compare su queste pagine; ella ha ancora un ricco futuro davanti a sé. Sui grandi pezzi d’assieme di Rossini e Sponti­ ni non abbiamo nulla da dire in quanto sono composizioni note. Diremo invece che durante l’esecuzione Ae\V Ouverture di Cherubi­ ni ci è tornato di nuovo in mente come questo grande uomo e Maestro sia ancora troppo poco conosciuto ed apprezzato, mentre dovrebbe esserlo assai di più proprio ora che la comprensione delle sue composizioni ci è stata resa assai più vicina dalla strada intrapresa dalla migliore musica nuova; non sarebbe dunque tempo di dedicargli una maggiore attenzione, a lui che ai tempi di Beethoven era certo da considarare come il secondo dei Maestri della musica moderna e che dopo la morte di quello potrebbe essere ancora considerato come il primo fra i viventi?

Nono concerto in abbonamento, 16 dicembre C. M. v. Weber, Ouverture per V Oberon W. A. Mozart, Aria dal Figaro L. van Beethoven, Sonata per pianoforte e violino F. Mendelssohn-Bartholdy, Lobgesang

Su questo concerto posso dire ben poco: già molto tempo prima dell’inizio, infatti, non era più possibile trovare un posto. Tanto per essere brevi, diremo infatti che S. M. il re di Sassonia aveva annunciato di voler presenziare al concerto. Motivo suffi­ ciente per presentare le cose migliori. E infatti è stato davvero un concerto regale. L’Aria è stata cantata dalla Signorina Schloss; la Sonata, quella grande Sonata in la maggiore, è stata eseguita dal Musikdirektor Sig. Mendelssohn e dal Konzertmeister Sig. David. Ci è stato riferito che Sua Maestà il re ha espresso personalmente il proprio ringraziamento agli artisti, rinnovandolo poi benevol­ 859

mente al compositore salendo sul palco dell’orchestra alla fine del Lobgesang. E stato un alloro tutto particolare, che onora in pari misura tanto l’alta personalità che ha voluto conferirlo quanto l’artista che l’ha ricevuto. Durante tutta la serata il pubblico ha mantenuto un rispettoso silenzio, interrotto solo da giubilanti acclamazioni al momento dell’ingresso del sovrano e da un gioioso e grato applauso dopo il Lobgesang.

DECIMO CONCERTO IN ABBONAMENTO, 1° GENNAIO 1841

G. F. Hàndel, Inno W. A. Mozart, Ouverture H. Vieuxtemps, Variazioni per violino L. van Beethoven, Meerestille undgluckliche Fahrt G. A. de Bériot, Solo per violino T. Bòhm, Variazioni per flauto L. van Beethoven, Sinfonia in do minore Con le gioiose, solenni note di Hàndel auguriamo a tutti un “felice anno nuovo”; speriamo che il luogo dove esse sono risuona­ te rimanga ancora a lungo un sicuro asilo per la vera arte, e che coloro che ne sono a capo siano sempre per l’arte appassionati protettori! Un buon presagio è per noi che l’anno sia iniziato nel segno di Hàndel; e confidiamo che questo luogo non sia precluso alle giovani generazioni di artisti, così come ogni vero maestro anziano non allontana dall’altare nessuno che sia animato da pure intenzioni. Solo il brutto sia come l’ebreo errante, per cui non si schiude alcuna porta ospitale. All’Inno è seguita l’Ouverture per il Flauto magico, che ancora fra molti secoli continuerà a risuonare e ad entusiasmare, questo fanciullo prodigio che gioca beato e che, spandendo luce e gioia, salterà fuori sempre e dovunque nonostante ogni nebbia ed oscu­ rità. Anche oggi ha fatto questo effetto. L’ovazione è giunta come da un sol cuore. Del violinista Hilf, che ha suonato le seguenti Variazioni, e dell’interessante storia della sua vita la rivista ha già avuto occasio­ ne di parlare;4 egli è riuscito ad elevarsi da artigiano ad artista, 4 [R.S.] Cfr. art. 93.

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mentre ad altri succede il contrario e purtroppo in senso metafori­ co. Già accolto l’anno scorso con grande calore, egli conferma sempre più le attese formatesi intorno a lui, avvicinandosi sempre più alla maestria. Il suo suono, pur mantenendo la freschezza di sempre, ha guadagnato anche in delicatezza. Peraltro la scelta dei pezzi, di cui ricordavamo ancora l’interpretazione offertaci dai compositori stessi, è sembrata un po’ azzardata. Il pubblico ha tuttavia risposto con un clamoroso applauso, in ciò pienamente giustificato; in questo caso non va dimenticato infatti il particolare tipo di formazione dell’artista. Al posto dell’annunciata Aria dal Fidelio è stato eseguito il brano corale di Beethoven: ma probabil­ mente senza prove, visto che non è andato molto bene. Un’altra sorpresa è stata l’esibizione di un grazioso fanciullo flautista, di nome Heindl; appena dodicenne, egli suona il proprio strumento con una maestria che su questro strumento non ha nulla di innaturale, come invece in parte succede ad esempio a Richard Lewys col corno. In futuro sarebbe il caso di dargli in mano anche altri strumenti: il suo modo di suonare testimonia qualcosa in più che semplicemente buoni polmoni e talento virtuosistico. Limitar­ si a ciò sarebbe un peccato per questo giovane musicista. La sua famiglia è originaria di Wurzburg e sembra che di essa facciano parte molti altri giovani talenti musicali. La Sinfonia in do minore di Beethoven concludeva il program­ ma. Non diciamone nulla! Tante volte ascoltata nelle sale pubbli­ che o silenziosamente con l’ascolto interiore, essa continua ed esercitare immutato il proprio fascino sugli uomini di tutte le età, così come certi grandi fenomeni naturali, che, per quanto spesso ritornino, continuano a colmarci di timore ed ammirazione. An­ che questa Sinfonia risuonerà ancora per secoli e secoli, fin quando esisteranno un mondo e la musica.

Undicesimo concerto in abbonamento, 7 gennaio 1841 L. van Beethoven, Ouverture W. A. Mozart, Aria A. Lindner, Concertino per violoncello G. Meyerbeer, Scena e Aria A. J. Romberg, Capriccio per violoncello L. Spohr, Historische Sinfonie 861

Il numero più interessante del concerto era senz’altro l’ultimo e il pubblico lo attendeva con impazienza. Il programma così lo annunciava: “Sinfonia storica, nello stile e nel gusto di quattro diverse epoche. Primo movimento: periodo bach-hàndeliano, 1720. Adagio: haydn-mozartiano, 1780. Scherzo: beethoveniano, 1810. Finale: epoca contemporanea, 1840”. Questa nuova Sinfo­ nia di Spohr è stata scritta, se non sbagliamo, per i concerti filarmonici londinesi, là eseguita per la prima volta circa un anno fa e, dobbiamo aggiungere, in Inghilterra già duramente attacca­ ta. Temiamo che anche in Germania le saranno riservate critiche assai aspre. È comunque interessante notare come ultimamente siano stati fatti numerosi tentativi di ripresentarci i tempi passati. Tre anni fa, ad esempio, O. Nicolai diede un concerto a Vienna in cui eseguì una serie di composizioni scritte “nello stile e nel gusto dei secoli passati”. Moscheles ha scritto un pezzo in onore di Hàndel e nel suo stile. Di recente Taubert ha pubblicato una Suite basata sulle antiche forme, e così via. Lo stesso Spohr aveva già scritto, prima della Sinfonia, un Concerto per violino intitolato Sonst und Jetzt [Ieri e oggi] in cui già aveva sviluppato una simile intenzione. Non abbiamo nulla in contrario; questi tentativi posso­ no avere il valore di studi, come già ultimamente si è manifestato un certo compiacimento per il gusto rococò. Ma che proprio Spohr sia approdato a questa idea, Spohr, il Maestro pienamente maturo, Spohr, che mai ha avuto sulle labbra qualcosa che non nascesse dal più profondo del proprio cuore, e che sempre si può riconoscere fin dal primo accordo: ciò non può apparire a tutti come un fenomeno assai strano. E così egli ha risolto il compito propostosi più o meno come ci potevamo attendere: si è adeguato esteriormente alla forma dei vari stili, restando per il resto il Maestro che da tempo conosciamo ed amiamo; anzi si può dire che la forma inconsueta faccia emergere in modo ancora più dichiara­ to la sua originalità, così come una persona dotata di spiccate qualità naturali si rivela tale anche e soprattutto quando si masche­ ra. Una volta, ad esempio, Napoleone andò a un ballo in masche­ ra, ed era lì solo da pochi istanti quando a un certo punto incrociò le braccia. Rapida come la fiamma di una miccia una voce corse per la sala: “l’imperatore!” E così pure, durante l’esecuzione della Sinfonia, si poteva sentire in ogni angolo della sala la parola “Spohr”, e poi ancora “Spohr”. La maschera meglio riuscita mi è sembrata quella mozart-haydniana; quella bach-hàndeliana man­ 862

cava invece dei nervosi e vigorosi tratti dei volti originali; a quella beethoveniana mancava addirittura tutto. Ma il fallimento più completo è a mio parere l’ultimo movimento. Non è altro che fracasso, come tanto spesso lo sentiamo da Auber, Meyerbeer e compagni; ma esistono pure cose migliori, più degne, in grado di opporsi a quei nefasti influssi, per cui non riusciamo a capire l’amara allusione implicita in questo ultimo movimento. Spohr non può certo lamentarsi del fatto che il proprio valore non sia riconosciuto. Quando si fanno i nomi dei musicisti più validi vien fatto anche il suo, e ciò avviene in mille posti ogni giorno. Per il resto, va de sé, la costruzione formale dei singoli movimenti, a parte l’ultimo, è eccellente, e soprattutto la strumentazione, a cui l’idea complessiva ha fornito utili spunti, è degna del Maestro. La maggior parte del pubblico non è sembrata avere di quest’opera un’impressione particolare, se non addirittura un’impressione sgradevole. Poiché però presto verrà pubblicata a stampa ognuno potrà fra breve formarsi un proprio preciso giudizio su quest’ope­ ra, che è e resta una curiosità.5 Quella stessa sera è stata eseguita anche una poco nota e ancor meno compresa Ouverture, opera 115, di Beethoven, scelta di cui dobbiamo essere grati. Questa era un’opera del vero Beethoven, che nessuna Sinfonia “storica” potrà mai cancellare. Due ospiti virtuosi stranieri hanno inoltre eseguito brani solistici: la Signori­ na Marx, cantante di corte a Dresda, e il Sig. Lindner Kammermusiker a Hannover: ambedue nuovi per noi. La prima ha dimostrato di essere una cantante di notevole talento, con qualità artistiche e vocali già pienamente mature, e ha riscosso un grande successo, concedendo anche un bis. Sotto una non buona stella ha invece suonato il violoncellista; avebbe dovuto scegliere composizioni migliori; per il resto si è dimostrato un valido virtuoso.

5 Forse anche in seguito a questa critica severa Spohr chiese a Mendelssohn un parere sulla Sinfonia storica. Mendelssohn rispose in modo abbastanza reticente, non tacendo però che l’ultimo movimento non gli era piaciuto. In generale, comunque, tutte le critiche furono alquanto negative. Cfr. peraltro la parziale rettifica nell’art. 114. [M.K.] 863

Dodicesimo concerto in abbonamento, 14 gennaio C. M. v. Weber, Ouverture G. S. Merendante, Aria Diethe, Divertimento per oboe L. van Beethoven, Aria L. van Beethoven, Concerto per pianoforte F. Lachner, Sinfonia in re minore Il primo numero era la bella Ouverture per Preciosa. Una volta per tutte precisiamo che, ove non vengano fatte ossevazioni speci­ fiche, s’intende che le esecuzioni da parte dell’orchestra sono state di buon livello, come anzi in generale sono per lo più i momenti più brillanti della serata. D’altra parte l’orchestra lo sa già. Dobbiamo solo rammaricarci per la perdita del precedente timpanista, un vero eroe del proprio strumento, che rispetto all’attuale e a tutti gli altri è come un genio rispetto a un semplice talento. Ma forse presto egli tornerà alla sala da concerto.6 II suo rullo nella Sinfonia in sik maggiore, alcuni passaggi nelle Ouvertures di Mendelssohn, ecc. sono fino ad oggi rimasti insuperati, cose che nemmeno a Parigi o a New York si possono sentire. Non lo si lasci lontano dall’arte! La perla del concerto odierno era il Concerto di Beethoven. Lo suonava il Musikdirektor Sig. Mendelssohn-Bartholdy. Come già molte opere ingiustamente trascurate per ottusità possono festeggiare la propria resurrezione, così egli anche oggi ha ripor­ tato alla luce questa composizione, forse il più grande Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, in tutti e tre i movimenti senz’altro per nulla inferiore al noto Concerto in mik maggiore. Le cadenze inserite da Mendelssohn in due movimenti erano, come sempre, capolavori nel capolavoro, il ritorno all’orchestra in am­ bedue i casi sorprendentemente raffinato e nuovo. Dopo questo Concerto il pubblico è esploso in applausi fragorosi. La Signorina Schloss ci è piaciuta soprattutto nella splendida Aria dal Fidelio con l’accompagnamento dei corni. Il Signor Diethe ha eseguito un proprio Divertimento, che dimostrava più amore per la composizio­

6 II timpanista E. Pfundt era stato temporaneamente esonerato dal suo posto in orchestra; dall’inverno 1841-1842 in poi riprese stabilmente la propria attività. [M.K.]

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ne che vanità virtuosistica, cosa che non vogliamo certo biasimare. La Sinfonia di Lachner, la sua terza, è stata accolta dal pubblico in modo assai più favorevole rispetto alle sue precedenti composizio­ ni, e d’altra parte anche noi consideriamo questa come la sua migliore opera sinfonica; è già stata pubblicata da parecchio tem­ po e anche recensita dettagliatamente. 7 I prossimi concerti saranno i cosiddetti concerti storici e cominceranno con Joh. Seb. Bach e Hàndel; ne parleremo in un articolo ad essi espressamente dedicato.

Concerti in abbonamento dal tredicesimo al sedicesimo Il tredicesimo concerto e i tre sucessivi hanno presentato solo opere di compositori tedeschi, e anzi dei maggiori; Bach, Hàndel, Haydn, Mozart e Beethoven. Bach e Hàndel riempivano una serata, gli altri una ciascuno. Che la scelta delle opere sia stata fatta in modo intelligente, in modo che ognuno dei Maestri fosse rappresentato da opere significative, è cosa fuor di dubbio, visto che le scelte sono state fatte da un Maestro come Mendelssohn, il quale conosce perfettamente le loro opere come nessun altro contemporaneo e che sarebbe in grado di scrivere a memoria in partitura tutto ciò che è stato eseguito in quelle bellissime serate. Non è certo il caso di fare una critica, di lode o di biasimo, delle composizioni; ma forse per qualche amico dell’arte straniero potrà essere di qualche interesse conoscere la scelta dei brani e il gusto secondo il quale sono stati disposti i programmi di quei concerti. Il concerto bach-hàndeliano presentava nella prima parte: Fantasia cromatica, eseguita da F. Mendelssohn, il Mottetto a doppio coro Ich lasse dich nicht, Ciaccona per violino solo, eseguita da F. David, e Crucifixus, Resurrexit e Sanctus dalla grande Messa in si minore.

tutto di Bach, dunque, e fin troppe cose magnifiche. La più profonda impressione è stata data forse dal Crucifixus, un pezzo che può essere paragonato solo ad altre opere dello stesso Bach,

7 Cfr. art. 41.

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un pezzo di fronte al quale i Maestri di tutti i tempi non possono che inchinarsi con profondo rispetto. Il Mottetto Ich lasse dich nicht è più noto;8 peraltro qui da noi non si era finora mai ascoltato in un’esecuzione così perfetta, tanto da sembrare addirittura un’al­ tra opera nella sua fresca chiarezza. I pezzi solistici hanno procura­ to agli esecutori entusiastiche ovazioni, cosa che noi riferiamo come prova del fatto che con le composizioni di Bach si riesce ancora ad infiammare il pubblico di una sala da concerto. Per sapere come Mendelssohn suona le composizioni di Bach bisogna averlo ascoltato. David ha suonato la Ciaccona in modo non meno magistrale e con il raffinato accompagnamento di Mendelssohn, di cui abbiamo già avuto occasione di parlare.9 La seconda parte del concerto era dedicata a Hàndel. Se non fosse stata un’offesa avremmo preferito ascoltarlo prima di Bach. Dopo di lui suona meno profondo. I pezzi scelti erano:

Ouverture dal Messia, Recitativo e Aria con Coro tratti dalla stessa opera e interpretati dalla Signorina Schloss, Tema con Variazioni per pianoforte, eseguito da Mendelssohn, e quattro doppi cori da Israele in Egitto. Fra questi era per noi nuovo il terzo numero, sotto le mani di Mendelssohn un brano di affascinante semplicità. Nei cori, come anche in quelli di Bach e come pure nei successivi tre concerti, hanno collaborato numerosi dilettanti, che meritano di essere citati con gratitudine. Il concerto del 28 gennaio era dedicato a Haydn. Per quanto vario fosse il programma, quella sera qualcuno si sarà forse un po’ stancato, e ciò è naturale: la musica di Haydn è stata infatti sempre molto eseguita qui da noi, e di lui non si può sapere più nulla di nuovo: è come un amico di casa, sempre accolto volentieri e con grande rispetto; ma per i tempi attuali non ha più un grandissimo interesse. I pezzi eseguiti erano: Introduzione, Recitativo, Aria e Coro dalla Creazione, le parti solistiche cantate dalla Signorina Schloss, Quartetto per archi (Gott erhalte Franz

8 Non è sicuro che questo Mottetto sia di Johann Sebastian Bach: più probabilmente è infatti da attribuire a Johann Christoph Bach. [M.K.] 9 Cfr. nota 6 a pag. 796. [M.K.]

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den Kaiser), eseguito dai Sigg. David, Klengel, Schulz e Wittmann, Mottetto Du bist's, dem Ruhm und Ehre gebuhret, Sinfonia in si b maggiore, e Caccia e vendemmia dàlie Stagioni, Di come tutti i cuori battano ancora per Mozart ci ha dato una prova il concerto successivo. Orchestra e solisti si sono peraltro esibiti in modo brillantissimo; è stato un concerto in cui avremmo voluto che l’intera Germania fosse presente per unirsi al giubilo provocato quella sera dal suo grande artista. E come se le opere di Mozart acquistassero in freschezza quanto più le si ascolta! Sono stati eseguiti anche alcuni dei suoi Lieder: profumavano ancora come violette appena colte. Meglio di qualunque descrizione, riportiamo semplicemente lo squisito e bellissimo programma: Ouverture dal Tito, Recitativo a Aria con violino obbligato, eseguito dalla Signorina Schloss e dal Sig. David, Concerto in re minore per pianoforte, suonato da F. Mendelssohn, due Lieder, cantati dalla Signorina Schloss, Sinfonia in do maggiore (Jupiter), Una delle più ricche serate musicali che mai al mondo si siano potute ascoltare è stata quella dell’11 febbraio, che presentava solo opere di Beethoven. La sala stessa ci è sembrata più piena e scintillante che mai; l’orchestra, stipata fino all’inverosimile di strumentisti e cantanti, tutti egualmente entusiasti, ci offriva un magnifico spettacolo. Fra gli ospiti si è presto potuto scoprire anche la geniale artista che si dice abbia ispirato Beethoven stesso per una delle sue più grandi creazioni, il Fidelio: la Signora Schròder-Devrient, che il caso aveva condotto proprio a Lipsia al mo­ mento giusto. C’erano dunque abbastanza artisti per poterci pre­ sentare Beethoven nel modo più degno. E non possiamo non citare il giovane russo Gulomy, il quale, ancora poco noto, si è dimostrato un artista degno di grande stima con l’esecuzione del Concetto in re maggiore per violino e orchestra. Il concerto com­ prendeva dunque: Ouverture in do maggiore per la Leonora, Kyrie e Gloria dalla Messa in do maggiore op.86, il citato Concerto per violino, Adelaide e, per finire, la Nona Sinfonia.

Dopo l’Ouverture c’è stata una richiesta, esaudita, di bis. Siamo quasi rimasti sorpresi che tale richiesta fosse accolta, pen867

sando a quanto l’orchestra doveva ancora suonare. Al secondo ascolto di quel pezzo gigantesco, l’effetto del Kyrie e Gloria è stato più debole. Abbiamo già citato prima il nome del solista del Concerto per violino. Questa composizione è fra le cose più belle di Beethoven e sul piano inventivo è da porre sullo stesso livello delle Sinfonie ad esso precedenti. Nel suono del virtuoso avremmo voluto trovare più delicatezza, l’avremmo voluto più cantabile, più tedesco; nei passaggi più appassionati eravamo comunque piena­ mente appagati. Le cadenze non erano di Beethoven, come si poteva notare abbastanza facilmente. Per l’esecuzione di Adelaide chi desiderare di più di colei che in effetti ha cantato: la Signora Schròder-Devrient, che ha accettato subito e con entusiasmo l’in­ vito di Mendelssohn. Il pubblico è caduto in una sorta di esaltazio­ ne quando ella è entrata, e anche se un’artista è abituata a grandi trionfi, un simile applauso non può che farle piacere. Ci attendeva ancora la Nona Sinfonia. Sembra che finalmente si cominci a capire che con essa quel Grande ci ha lasciato la propria opera suprema. Non ricordo di averla mai vista accolta con un così straordinario entusiasmo. E con ciò vogliamo tributare una lode al pubblico, non certo all’opera, che sta al di sopra di ogni cosa; di essa abbiamo già tanto spesso parlato sulle pagine di questa rivista che non c’è bisogno di dire altro. L’esecuzione è stata assai pregevolmente vivace. Nello Scherzo abbiamo sentito un suono il cui significato è stato colto nel modo più chiaro dallo sguardo di Mendelssohn e che finora non avevamo mai sentito emergere in modo tanto distinto e significativo; l’unico re di un trombone basso fa un effetto sorprendente e dà al passaggio una vita totalmente nuova; si confronti la partitura a pag. 66, batt. 3 e pag. 75, batt. 8.

Diciassettesimo e diciottesimo concerto in abbonamento Il diciassettesimo concerto in abbonamento è stato aperto con una nuova Sinfonia di Kalliwoda (la Sesta), che egli sembra aver composto in un tempo assai breve, forse incoraggiato dalla positi­ va accoglienza riservata alla Quinta. L’opera sembra peraltro esse­ re nata più per uno stimolo esterno che per un’interiore necessità creativa, sembra dunque ricercata, faticosa, e l’applauso tributato a questa Sinfonia è stato, rispetto a quello tributato alla Quinta,

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proporzionale al valore delle due opere. A sfavore della Sinfonia può peraltro aver giocato l’essere stata posta all’inizio del concer­ to, il che è cosa che capita. Gli strumenti, i musicisti stessi spesso non si sono ancora scaldati, il pubblico non s’è ancora accomodato bene, ecc. In ogni caso, risieda il motivo della poco calda accoglien­ za nelle circostanze esterne o nell’opera stessa, ciò non deve trattenere Io stimatissimo compositore dal proseguire sulla glorio­ sa strada intrapresa. Qual è il Maestro che può sempre e solo salire! Solo se egli si traviasse completamente, rinnegando in tutto e per tutto la propria origine tedesca, solo allora la critica dovreb­ be intevenire. Ma se egli rimane fedele a se stesso nell’impegno e nei princìpi, noi non ce la sentiamo certo di rovinargli il gioco per una carta giocata in modo poco felice. Annunciamo perciò fin da ora il nostro benvenuto alla Settima Sinfonia dell’amabilissimo Maestro. Al posto della Signorina Schloss, colpita da una raucedine, cantava una cantante di cui non avevamo mai sentito prima il nome, la Signorina Luise Grunberg (allieva del celebre Zóllner, maestro di canto e compositore, soprattutto per il canto maschile), sorprendendo il pubblico per la propria voce sonora e duttile come pure per l’ingenua sicurezza con cui ha eseguito da capo a fondo la propria Aria (una di Mozart). Il successo riportato alla sua prima apparizione deve doppiamente rallegrarci in quanto si tratta di un talento locale. Dovremmo mentire se volessimo van­ tarci di avere fra noi tante belle voci e talenti vocali; d’altra parte in ciò noi non stiamo peggio di tante altre città. Nello stesso concerto il Sig. Gulomy ha suonato un Concerto di Lipinsky e delle Variazioni di Molique, e in particolare il primo in modo vivace e con spirito, tanto che il compositore, nella cui esecuzione avevamo già ascoltato il Concerto, avrebbe certo dovuto rallegrarsi di questa interpretazione se fosse stato presente. Il terzo solista che si presentava quella sera era il Sig. Haake, accanto al Sig. Grenser il migliore flautista della nostra città. Un nutrito coro maschile ha poi cantato Gebet vor der Schiariti [Preghiera prima della battaglia] di C. M. von Weber su testo di Th. Korner e un magnifico Quartetto di Mendelssohn con accom­ pagnamento di cori: DerJdger Abschied [La partenza dei cacciatori], su testo di Eichendorff. I pezzi musicali del diciottesimo concerto erano di genere abbastanza vario. Una nuova Sinfonia di L. Maurer, ancora mano­ 869

scritta, apriva il programma. Se già la sua prima Sinfonia si era guadagnata molti amici, altrettanto avverrà con questa seconda, per nulla inferiore a quella sul piano della leggerezza e della vivacità. Per quanto riguarda la strumentazione si vede che egli è un musicista cresciuto in mezzo all’orchestra: gioca con gli stru­ menti come un giocoliere con le sue clavette. L’Adagio, concepito in modo assai delicato, ci è molto piaciuto assieme al primo movimento, mentre meno ci è piaciuto il resto, in stile francese e fracassone. E entrato poi, ospite straniero, un certo Signor G. Setti da Napoli, un baritono di voce bella e potente, che si è presto dimo­ strato un vero cantante italiano. Insieme col Sig. Pògner ha poi cantato, con grande gioia dei nostri belliniani, un Duetto dai Puritani. Speriamo che gli italiani vogliano mandarci anche un tenore! Di bassi non ce ne mancano. La Signorina Grùnberg ha poi cantato, riscuotendo un grande applauso, l’aria di Meyerbeer Robert, mein Geliebter 1011 [Roberto, oh tu che adoro] che non manca mai di produrre un certo effetto, tanto che il compositore stesso la considererà senz’altro come uno dei propri pezzi più belli. I Maestri di canto hanno voluto rimpro­ verare alla cantante il modo come atteggiava la bocca; lo ripor­ tiamo solo per consigliarla di badare anche a questo particolare. Per il resto ella ha dimostrato anche in questa interpretazione di possedere disposizone artistica e talento. Una poco nota Ouverture di Onslow, per l’opera DerAlkalde, è piaciuta; apprezzati sono stati anche il Sig. Wittmann nelle Varia­ zioni per violoncello di Merk e il Sig. Weissenborn nelle Variazioni per fagotto di W. Haake, ambedue ottimi elementi della nostra orchestra, e fra i quali il primo si dice possegga anche un buon talento compositivo: egli è viennese e allievo di Merk.

Diciannovesimo concerto in abbonamento 11 H. W. Veit, Ouverture da concerto (inedita) G. Meyerbeer, Aria (Signorina Schloss) 10 II titolo originale è Robert, toi quefaime. 11 [R.S.] L’autore non era presente al 19° concerto. La cronaca è di altra mano.

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K. Reichard, Jagers Qual [L’angoscia del cacciatore] Lied (su testo di G. Seidl) per voce con accompagnamento di pianoforte, clari­ netto, corno, violoncello e contrabbasso (Sig. Schmidt) F. David, Variazioni per violino sul tema di Fr. Schubert (Lob der Trdnen) eseguite dal Konzertmeister stesso (inedite) L. van Beethoven, An die feme Geliebte [Alla lontana amata], ciclo di Lieder (Sig. Schmidt) Seconda Sinfonia L'Ouverture ha offerto poco di nuovo e di interessante; va annoverata fra quei pezzi che riescono a rendere meno sensibile la mancanza di energia dalle idee grazie ad una ricca apparenza esteriore. La Signorina Schloss come sempre: fonda del suo canto scivola su di noi lasciandoci tranquilli e senza troppo farci battere il cuore. L’Aria di Meyerbeer, anche se ormai è un cavallo sfinito, non vuole a nessun costo mancare alla parata. — 11 Lied di Reichard non è senza una sua grazia; ma, non sgorgando da una vera profondità, manca soprattutto di calore vitale. Con mezzi tanto dispendiosi è davvero troppo poco ciò che si raggiunge. Alla fine abbiamo sentito la mancanza di un culmine emotivo quale invece sembra essere offerto dalla poesia; il compositore non avrebbe dovuto negare allo stanco ascoltatore questo conforto. L’esecuzione è stata pregevole. — Ci è sembrata un’idea poco felice far seguire alla melodia di Schubert, con la sua tranquilla intimità, cose tanto appariscenti come avviene nelle Variazioni di David. Peraltro le sensazioni trasmesse all’ascoltatore sensibile non sono certo state sgradevoli. — Il più bell’ornamento, la perla della serata, era il ciclo di Lieder di Beethoven, canzoni d’amore ineguagliabili nella pura naturalità degli accenti che nascono dal più profondo del cuore. Per cantarli c’è più bisogno di un poeta che di un cantante. Il Sig. Schmidt li ha eseguiti con grande cura, ma con uno sfoggio di bravura fin quasi eccessivo. L’accompagna­ mento di Mendelssohn ci rimandava tutta l’olezzante freschezza dell’originale. - Nella Sinfonia si è purtroppo fatto sentire un cornista a noi del tutto sconosciuto: la sua insicurezza ha gettato alcune ombre oscure sullo splendore generale.

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Ventesimo concerto in abbonamento, 18 marzo L. van Beethoven, Sinfonia Pastorale W. A. Mozart, Aria L. Spohr, Concerto per violino W. A. Mozart, Finale dal Tito F. Mendelssohn, Ouverture H. Schmidt, Duetto e Terzetto dall’opera Heinrich und Fleurette F. Pruine, La Mélancolie F. Schubert, C. M. von Weber e F. Mendelssohn, Lieder Con grande partecipazione ricordiamo questo concerto, che ci ha offerto tante cose eccellenti e che degnamente concludeva il ciclo di quest’anno. Ancora una volta la Sinfonia Pastorale è entrata nel profondo del cuore di tutti; l’esecuzione è stata magnifica, come può averla pensata il Maestro nel solenne momento dell’ispi­ razione. Lo stesso vale per la bella e fantasiosa Ouverture di Mendelssohn Meeresstille und gluckliche Fahrt, che nessuno al mon­ do ha mai potuto ascoltare in tale perfezione. Una novità era costituita dalla grande opera, già completata, del nostro cantante H. Schmidt, un cantante che potrebbe essere preso a modello sul piano della cultura musicale e del gusto da molti nomi famosi. Come compositore ha finora pubblicato poco. Ciò che abbiamo ascoltato questa sera è però la testimonianza di un impegno in direzione del meglio, della consapevolezza con cui egli si è accosta­ to al compito propostosi. Le parti vocali erano scritte con grande cura, la strumentazione abile e ricca di belle sonorità. La lunghez­ za di certe ripetizioni sarà forse meno sensibile in teatro, e d’altra parte è sempre ingrato per il compositore presentare pubblica­ mente brani staccati tratti da un’opera prima dell’esecuzione completa, e sempre può dar adito a giudizi errati. Si dice però che presto quest’opera verrà messa in scena qui da noi in forma completa, e allora potremo esprimere un giudizio più completo. Nei due pezzi collaboravano inoltre la Signorina Schloss e il Signor Kindermann, la prima come sempre brava e preparata, il secondo dotato di una voce assai bella che subito, appena ascoltata, si cattiva le simpatie degli ascoltatori. 11 solista del pezzo violinistico era il Sig. K. Hilf, di cui abbiamo spesso avuto occasione di parlare. Anche oggi egli si è dimostrato degno della calda accoglienza che sempre gli è stata riservata fin dalla sua prima apparizione nella

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camera artistica e come sempre è stato salutato da una clamorosa ovazione. Non è infine senza motivo se parliamo per ultimo della perla della serata. In poche parole: cantava la Signora SchròderDevrient. Ciò che è umano negli uomini e negli artisti sottostà anche alle leggi del tempo e ai suoi influssi: così la voce, la bellezza esteriore. Ma ciò che è al di là di quelle, cioè l’anima, la poesia, nei beniamini del cielo si mantiene sempre ugualmente fresco in tutte le età, per cui questa grande artista continuerà sempre a deliziarci finché il suo cuore e la sua ugola avranno voce. Il pubblico l’ha ascoltata come incantato, e quando ella alla fine cantò le canzo­ ne popolare di Mendelssohn che termina con le parole auf Wiedersehen [Arrivederci] tutti si sono uniti in un gioioso ap­ plauso. Un applauso rivolto anche al compositore che l’accompa­ gnava; perché era anche l’ultima volta che in questa sede le sue magiche dita toccavano magistralmente i tasti del pianoforte. 12 Non vogliamo dunque sapere se l’alloro che improvvisamente si è visto in orchestra fosse per il Maestro o per la venerata artista straniera; vogliamo solo augurare, a tutti coloro che hanno parte­ cipato alle serate musicali — sul palcoscenico o dalla parte del pubblico —, un arrivederci pieno di speranza!

12 Poco tempo dopo, infatti, Mendelssohn prese un anno di congedo dal suo posto di Musikdireklor a Lipsia, anno che trascorse in parte a Berlino, in parte viaggiando. [M.K.]

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1842 Una raccolta delle opere di L. Berger, — Studi per pianoforte. — Quartetto premiato di J. Schapler. — Quartetti per archi. — Le Ouvertures per la Leonora di Beethoven. — Tre Sonate premiate. - Rassegna di Lieder. — Triiper pianoforte, violino e violoncello. — Opere tedesche. — Johann Huss. — Musica per pianoforte.

101. UNA RACCOLTA DELLE OPERE DI L. BERGER

Vorremmo poter dare per scontato che il sunnominato artista non sia noto soltanto di nome, quanto piuttosto sia conosciuto per le sue opere. Purtroppo non è così. Nonostante tutte le lodi che vengono ripetute ogni settimana sulla rivista musicale Iris nono­ stante l’eccellente qualità delle opere stesse, la fama di L. Berger come compositore è poco diffusa in Germania. Ciò può essere spiegato solo basandosi sul carattere di questo artista e sulle circostanze esteriori in cui egli visse. Egli era, come si dice, un artista scrupoloso fino all’ipocondria, che limava per anni una singola opera senza riuscire a decidersi a pubblicarla. Le esortazio­ ni degli amici non servivano a nulla; anzi, quante più pressioni si facevano su di lui, tanto più egli si sprofondava nelle sue lambicca­ te meditazioni. Ecco perché durante la sua vita sono apparse solo poche sue composizioni. Certo queste poche sono bastate a far sì che in lui si potesse riconoscere una notevole natura poetica, in poche parole che lo si riconoscesse per un vero artista; ma per diventare famosi c’è bisogno di altro. Berger suonò in pubblico solo negli anni giovanili; in seguito lo stesso ansioso timore che ritardava la pubblicazione delle sue opere lo costrinse a rinunciare alle apparizioni pubbliche. Un artista però che non presenta personalmente al pubblico le proprie composizioni impiega il doppio di tempo a raggiungere la fama: le eccezioni sono pochissi­ me. Dunque Berger si allontanò sempre più dal mondo, svolgen­ do una silenziosa attività di insegnante e continuando però a creare e a limare in modo assiduo. Morì, colpito da un attacco cardiaco, proprio mentre stava dando lezione a un’allieva: il 16 febbraio 1839, in età abbastanza avanzata. Nel suo testamento egli chiedeva che venisse pubblicata una scelta delle sue opere postu­ 877

me curata dai Signori Ludwig Rellstab e Wilhelm Taubert, i quali, allievi e amici del defunto, si accinsero con entusiasmo all’adempimento di tale onorevole incarico. Il Sig. Fr. Hofmeister si impegnò a pubblicare la raccolta, di cui per ora sono già usciti cinque grossi fascicoli, senza contare i Lieder. Una tale iniziativa, compiuta in onore dei Mani di uri artista poco noto, merita già di per se stessa una menzione onorevole; a maggior ragione, in quanto torna utile anche all’arte in generale. È noto che Berger ha espresso il massimo di sé nel Lied: di ciò si è già parlato in varie occasioni su questa rivista. Ma anche fra le sue composizioni pianistiche si trova molto di eccellente; la banalità sembra sempre essere stata assai distante dalla sua natura. Accen­ niamo in poche parole al contenuto dei cinque fascicoli: essi offrono, oltre ad alcuni pezzi più vecchi, come la Sonata, i 12 Studi, le Variazioni su “Selione Minka”, anche molti pezzi ancora inediti, come le 18 Variazioni su “Ah, vous dirai-je, Mamarì’, che il composi­ tore stesso ha definito sul frontespizio la sua “opera migliore”, e un Concerto per pianoforte e orchestra completo. Con questi cinque fascicoli la raccolta non è ancora conclusa; essi sono tuttavia perfettamente sufficienti a realizzare le intenzioni dei curatori, che affermano aver voluto con questa pubblicazione contribuire alla fama artistica di L. Berger riservandogli un posto d’onore accanto ai Maestri classici degli ultimi tempi. Il primo modello di L. Berger fu evidentemente Mozart stesso, un modello in seguito passato un po’ in secondo piano dopo la comparsa di Beethoven. Sul suo stile pianistico, in particolare, ebbe inoltre una certa influenza Clemen­ ti, il primo maestro di L. Berger, e poi anche Field, suo compagno di studi. Ovunque si trova memoria di questi suoi maestri e amici. Con ciò, però, non si vuole assolutamente dire che L. Berger sia stato un imitatore di costoro; al contrario: sul piano della genialità creativa egli è sicuramente superiore sia a Clementi sia a Field, e ciò si dimostra soprattutto nel Lied, dove egli lavorò prescindendo da ogni modello, ampliandone i confini molto al di là di quelli che allora erano i limiti tradizionali di tale forma. Se avesse dedicato meno spazio al pianoforte, consacrando invece tutte le sue forze al canto, all’orchestra e all’opera, se fosse riuscito a liberarsi comple­ tamente dello snervante lavoro di insegnante privato, chi sa mai dove Berger sarebbe potuto arrivare. Ma atteniamoci a ciò che egli ci ha offerto realmente. La sua prima raccolta di Studi rimane pur sempre per noi la sua opera pianistica più significativa e più felice, 878

anche adesso che conosciamo altre sue composizioni più recenti. In particolare ci sembra che egli abbia dato il meglio di sé più nelle forme piccole che in quelle più ampie, il che capita spesso ai caratteri eccentrici, che in tale genere riescono a esprimere le loro cose migliori, più profonde, più intimamente sentite. Non sottova­ lutiamo questi piccoli pezzi: in certi casi, è vero, un impianto formale più ampio, una costruzione e una realizzazione complessi­ va condotte con più agio tornano a lode di certe opere; vi sono però dei compositori che, là dove altri hanno bisogno di ore, preferiscono esprimersi in termini di minuti. Per realizzare simili composizioni spiritualmente concentrate (e anche per goderne) è però necessario, ovviamente, possedere una maggiore forza rap­ presentativa (e rispettivamente una maggiore concentrazione d’a­ scolto); bisogna inoltre saper cogliere, in ambedue i casi, il mo­ mento giusto: se infatti è sempre facile capire e gustare una forma bella e comoda, non in ogni momento, viceversa, siamo disponibili a comprendere un contenuto profondo. L. Berger ha bensì dimo­ strato, nelle Sonate, nei Concerti, di essere un Maestro anche nelle grandi forme; noi tuttavia non rinunceremo assolutamente, in cambio di queste opere più ampie, ai suoi lavori più piccoli e più geniali, come ad esempio quegli Studi, alcune delle Variazioni e soprattutto i suoi Lieder. Non siamo del tutto d’accordo, invece, col giudizio che l’artista stesso ha dato di quelle 18 Variazioni definen­ dole la sua opera migliore, mentre a nostro parere non sono affatto superiori a quelle precedenti Variazioni su “Schone Minka”. Gli artisti, come certe madri, prediligono spesso fra le proprie creazioni quelle che più li hanno fatti soffrire. Noi crediamo che tali Variazioni siano appunto state per Berger motivo di dolorose, materne afflizioni: ad esse egli deve aver lavorato per anni a levigarne la forma. Un tratto raffinatamente artistico si trova però comunque ad ogni pagina di una composizione bergeriana, spesso nel ristretto ambito di poche battute. Talvolta, invece, vediamo in lui quasi interrompersi bruscamente una felice disposizione d’ani­ mo, e di ciò può avere qualche colpa il suo lavoro di insegnamte. Quante belle idee ci sono state rubate dall’ingresso inopportuno di un piccolo aspirante pianista! Quanti bei talenti creativi sono stati rovinati dall’impegno didattico! l'ale lavoro faticoso si percepisce anche nel Concerto di Berger, per quanto poi tale carattere tenda a nascondersi dietro la bellezza artistica del risultato. In verità non l’abbiamo ascoltato con l’orchestra; la parte pianistica, però, ci è 879

sembrata poco interessante. Probabilmente Berger voleva scrive­ re un’opera che fosse di soddisfazione per il pianista, e ciò l’ha messo in conflitto con la sua stessa personalità poetica, la presenza delle cui ali si intuisce comunque sempre. Fra le cose eccellenti di questa raccolta troviamo inoltre alcuni Rondò di graziosissima semplicità, fra i quali citiamo in particolare quello in re maggiore nel secondo fascicolo. La seconda grande raccolta di Studi non è ancora stata pubbli­ cata nei fascicoli apparsi finora; ne parlammo già in occasione della loro prima pubblicazione. I Lieder sono raccolti in fascicoli singoli, separati da questa edizione capitale delle sue opere. Questi in particolare faranno si che il suo nome venga ricordato anche nel lontano futuro. Raccomandiamo ancora una volta all’amorevole attenzione dei contemporanei questo monumento musicale eretto in memo­ ria di un vero artista tedesco.

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102. STUDI PER PIANOFORTE

A. H. Sponholtz, Sei Studi caratteristici op. 9

Bisogna sapere che l’autore è un organista: in tal modo potre­ mo meglio apprezzare le sue aspirazioni. Una forza interiore lo spinge a puntare verso l’alto, e con la propria arte egli vorrebbe far felice il mondo intero. Ma le sue energie non sono ancora ben sviluppate e addirittura egli è ancora insicuro sul piano tecnico, nella capacità di giudizio e nel gusto. In ciascuno di questi Studi un buon musicista troverebbe qualcosa o addirittura molto di critica­ bile, specialmente per quanto riguarda il modo in cui sono condot­ te le modulazioni. Chi mai, ad esempio, in un breve pezzo di due sole pagine in sol minore si lascerebbe così sbalzare di sella per arrivare addirittura in mi maggiore, come avviene nel 1° Shidioì E così in quasi nessun’altra occasione l’autore è mai in grado di star fermo in una tonalità, il che meraviglia doppiamente in un organi­ sta, che dovrebbe ben conoscere il suo bravo J. Seb. Bach. Questi pezzi presentano tuttavia anche qualche idea ricca di sentimento: così ad esempio a pag. 13 si leva improvvisa una bella e sognante melodia. Come sia capitata lì non si riesce peraltro a capirlo bene: non c’entra niente né con l’inizio né con lo sviluppo del pezzi, ed è un episodio isolato in tutta la raccolta. Accanto a questo frammen­ to la cosa più riuscita ci sembra l’ultimo Studio, pur nella sua modestia. Del resto questi non sono Studi, bensì schizzi. Noi crediamo tuttavia che, per progredire, il compositore dovrebbe abbandonare questa forma rapsodica: in occasione di un prossimo incontro, una raccolta di Fughe ben scritte ci rallegrerebbe assai più di una seconda raccolta di schizzi. Sul suo regale strumento egli dovrebbe già avere imparato ad apprezzare il valore di quella perfetta forma artistica che Bach ci ha offerto nel grande come nel piccolo. 881

C. Montag, Due Studi op. 3 Una nobile aspirazione parla anche da questa operina, lavoro di un compositore su cui abbiamo già attirato l’attenzione dei lettori solo poco tempo fa. Ma ci sembra che egli rimugini troppo, imbrogliandosi spesso da solo. Un buon rimedio contro questo difetto è dedicarsi alle composizioni vocali: troppo spesso, infatti, lo strumento invoglia a sperimentare, mentre al contrario la voce riconduce in direzione della natura. Va bene: egli voleva scrivere degli Studi; ma certo voleva anche qualcosa di più, innanzitutto fare della musica. Alcune cose sembrano, sì, riuscite, ma sentiamo la mancanza di un effetto complessivo, e tale carenza dipende in parte dalla difficoltà del compito che egli si è proposto: curare lo sviluppo tecnico della mano e contemporaneamente presentare dei pezzi musicalmente validi e ricchi di sentimento. Unire questi due scopi è impresa che è riuscita solo a pochi straordinari talenti. Sul piano del carattere ambedue gli Studi prediligono i toni melanconici, ma il secondo è più vivace, mentre il primo più meditativo. La conclusione a canone del secondo Studio neutralizza quasi completamente l’ef­ fetto di tutto quanto precede, e pertanto avremmo preferito che fosse totalmente eliminata.

M. C. Eberwein, 6 Studi L’autore è figlio del Musikdirektor di Weimar. Se non andiamo errati, egli ha studiato, oltre che nella casa paterna, anche con Hummel per trasferirsi in seguito a Parigi dove si è creato una certa sfera di influenza come insegnante. Le seducenti voci delle sirene di quella città hanno peraltro blandito inutilmente le sue orecchie. Nessuno crederebbe mai che questi Studi siano opera di un francese; ovunque salta all’occhio la schietta onestà del tedesco. Oltre che per la correttezza compositi­ va e per la bontà della forma, questi Studi si segnalano anche per la loro facilità, al punto che per la maggior parte dei pianisti di medie capacità non saranno nemmeno degli Studi in senso stretto. E questo è un pregio che distingue questi dai molti Studi che sul piano compositivo non hanno un gran valore. Possiamo immagi­ nare che questi pregi saranno di qualche utilità all’interno della 882

cerchia che circonda più da vicino il compositore, che è anche insegnante; ma crediamo che al di fuori di tale cerchia questi Studi non potranno uscire. Essi mancano infatti di originalità, di slancio fantastico, di forza e anche di quella grazia che spesso può conse­ guire vittorie maggiori di quelle conseguite dalla forza. Anche lo Studio deve perseguire scopi più elevati del semplice scopo tecni­ co: questo lo sapeva già Cramer, e quanto sono cambiati da allora i tempi e gli uomini! Studi come il primo non dovrebbero nemme­ no più essere stampati; di simili ne abbiamo già a centinaia. Ma questa è appunto la loro maggiore debolezza: il fatto che non offrono niente di nuovo, di originale. Bisogna comunque lodare, come s’è detto, quell’espressione semplice e sincera che egli ha mutuato soprattutto dalla scuola hummeliana; può darsi inoltre che nei fascicoli successivi, che il compositore promette sul fronte­ spizio, egli sappia fare grandi progressi: la rivista darà notizia del seguito. Per il momento vogliamo ancora attirare l’attenzione dei lettori sugli Studi n. 5 e n. 6, segnalandoli come i più interessanti dal punto di vista musicale; in particolare il n. 6 si svolge in un tono a noi molto caro da Bach in poi.

H. F. Kufferath, 6 Studi da concerto op. 2

Questi Studi sono indubbiamente i migliori fra quelli apparsi negli ultimi tempi, tante sono le belle qualità che in essi troviamo riunite. Chiaramente non si può dire che questo giovane artista abbia già raggiunto una vera originalità; egli dimostra però di possedere una solida preparazione, un gusto corretto e innato che sa abilmente assimilare il meglio fra le ultime novità, sì che possia­ mo prevedere che egli sarà in futuro un eccellente compositore pianistico. E lo diciamo con tanta maggiore gioia in quanto attual­ mente non abbiamo certo abbondanza di buona musica per piano­ forte. Dopo il tempestoso periodo chopiniano, che con Henselt, Liszt e Thalberg ha raggiunto i suoi tre punti estremi, sembrereb­ be ora voler subentrare un periodo di ristagno: la tecnica era stata portata agli estremi livelli, doveva per forza giungere un momento di esaurimento. Ma già si risveglia una nuova vita. L’incantevole melodia, sostenuta da belle forme, reclama nuovamente i suoi diritti, e con timore reverenziale torniamo a ricordarci di vecchi nomi. Il seguito lo vedremo nel prossimo futuro. Queste conside­ 883

razioni riguardano direttamente anche il giovane artista di cui si tratta, in quanto l’ultima epoca ha avuto qualche influenza anche su di lui. Ma quell’ondata l’ha portato su una riva sicura; le esperienze che egli ha fatto non potranno che essergli salutari, e con gli anni cresceranno in lui forza e autonomia. Nei suoi Studi fluttuano ancora qua e là chiare tracce di quel periodo di esaltazio­ ne: sono come quei tranquilli cerchi sull’acqua che giungono sulla riva dopo una violenta tempesta. Guardiamoli un po’ più attenta­ mente! Già il primo Studio ci fa apprezzare il compositore, più per la sua bella sonorità che per la sua particolare costruzione. Sembra quasi un canto a due voci che infine si fonde in una sola melodia, in ciò non dissimile da quel duetto d’amore fra le Romanze senza parole di Mendelssohn. L’impressione complessiva è gradevole, per quanto, come s’è detto, non nuova. Ci sembra molto interessante il 2° Studio, che nella sua eleganza e nel tono raffinato ci ricorda quasi Moscheles; ci piace da capo a fondo: non aggiungeremmo né toglieremmo niente. Il 3° (in la minore) inizia in toni umoristici; ma poi la parte centrale, in particolare la melodia in lafr maggiore, delude le aspettative: ci si aspettava una elaborazione più ricca di spirito. Il pezzo più grazioso della raccolta è senza dubbio il successivo, una delicatissima poesia d’amore, assai ben riuscita sia sul piano formale sia nel tono complessivo. Il 5° Studio dimostra che il compositore conosce e ama Chopin: inizia con una grande furia selvaggia, volgendosi però ben presto verso una parte cen­ trale tranquilla che invece non è molto interessante. Nel comples­ so ci sembra squilibrato dal punto di vista formale. E un pezzo in cui il compositore avrebbe dovuto cambiare molte cose. L’introdu­ zione del 6° numero ricorda chiaramente la Sonata in do H minore di Beethoven, ma ciononostante è ugualmente efficace; lo Studio vero e proprio inizia subito dopo: è uno di quei pezzi basati su un brillante gioco di figure quali troviamo spesso in Henselt. Questo brano sembra in particolare giustificare il titolo e, se non andiamo errati, è stato eseguito dal compositore stesso durante un concerto tenuto qui da noi. Da quanto detto si noterà che il valore dei vari Studi non è sempre lo stesso, e in particolare che i più deboli sono quelli in cui è più evidente l’influenza estranea di un modello. Ma proprio questo fatto ci conferma nella convinzione che il compositore possegga un talento autonomo e pienamente valido e nella spe­ ranza che coi tempo egli saprà svilupparlo nella pienezza delle sue forze. Guardiamo perciò con gioia il suo futuro sviluppo. 884

F. Liszt, Studi di bravura dai Capricci di Paganini, trascritti per pianoforte. (Due sezioni)1

L’opera originale si intitola: 24 Capricci per violino solo composti e dedicati agli artisti da N, Paganini Oe. 1. Una trascrizione di dodici di essi curata da Robert Schumann, in due fascicoli, apparve già negli anni 1833 e 1835. Anche a Parigi è stato pubblicato un arrangia­ mento di alcuni di essi, ma chi scrive non ricorda il nome di colui che ha curato la trascrizione. La raccolta di Liszt comprende 5 numeri tratti dai Capricci; il 6° è una trascrizione del noto Rondò della Campanella, Qui non si può certo parlare di una copia pedante, di un puro e semplice riempimento armonico della parte del violino; il pianoforte agisce con mezzi diversi da quelli del violino. Ottenere con tali mezzi i medesimi effetti era appunto il compito più importante del trascrittore. Che Liszt conosca perfet­ tamente i mezzi e gli strumenti del proprio strumento, questo è un fatto noto a chiunque l’abbia ascoltato. Sarà dunque del massimo interesse avere le composizioni del più grande virtuoso di violino del secolo (per quanto riguarda l’audace bravura), PAGANINI, commentate dal più ardito virtuoso di pianoforte del nostro tem­ po, LlSZT. Uno sguardo alla raccolta, alle bizzarre e stravolte impalcature di note che vi si trovano, è sufficiente all’occhio per convincersi che qui non si tratta di cose facili. E come se Liszt avesse voluto riversare in quest’opera tutte le proprie esperienze, tramandando ai posteri i segreti del suo modo di suonare; egli non poteva manifestare la propria venerazione per il grande artista scomparso in modo più bello che con questa trascrizione elaborata con la massima cura fin nei minimi particolari e che riflette nel modo più fedele possibile lo spirito dell’originale. Se la trascrizio­ ne di Schumann voleva mettere maggiormente in risalto il lato poetico della composizione, Liszt invece sottolinea (pur senza disconoscere quello) il lato virtuosistico; egli titola giustamente questi pezzi Studi di bravura, in quanto è ben chiaro che li si suona anche per brillare di fronte al pubblico. Certamente saranno pochi coloro che saranno in grado di venirne a capo, forse non più di quattro o cinque in tutto il mondo. Ma questo non può impedirci

1 La recensione di Schumann riguarda la prima versione dell’opera di Liszt, non la revisione, più comunemente nota e sensibilmente diversa, del 1852. [P.R.]

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di trattare ugualmente la cosa: non possiamo far finta che non esista. Ci si può ben rallegrare di essersi avvicinati alle estreme vette del virtuosismo, anche se si rimane a una certa distanza da esse. Certo: se consideriamo con maggiore attenzione alcune cose contenute in questa raccolta, non potremo avere dubbi circa il fatto che il contenuto musicale di fondo spesso non sta in nessun rapporto con le difficoltà tecniche: ma a questo punto la parola “Studio” prende sotto la propria egida molte cose. Dovrete co­ munque esercitarvi a studiarli, non importa a quale prezzo. Diciamo dunque che questa raccolta è forse la cosa più difficile che sia mai stata scritta per pianoforte, così come d’altronde l’originale lo è per il violino. Paganini voleva appunto esprimere questo con la sua bella e breve dedica “agli artisti”, cioè: solo agli artisti io sono accessibile. E così è anche per la versione pianistica di Liszt; solo i virtuosi di professione e di alto livello potranno capirla. Questo è il punto di vista da cui si deve giudicare questa raccolta. Per il resto dobbiamo rinunciare ad un esame analitico di confronto tra l’originale e la trascrizione: ci costerebbe troppo spazio. La cosa migliore sarà semplicemente tenere in mano le due opere. Interessante è il confronto del primo Studio col corrispon­ dente della trascrizione schumanniana, a cui ingegnosamente invita Liszt stesso riportando tale versione battuta per battuta. È il 6° Capriccio dell’edizione italiana.2 L’ultimo numero consiste nelle Variazioni che pure concludono l’edizione originale e.che devono essere le stesse che hanno ispirato H. W. Ernst per il suo Carnevale veneziano; giudichiamo questa trascrizione lisztiana la cosa musi­ calmente più interessante di tutta l’opera; ma anche qui troviamo, spesso nel ristretto spazio di poche battute, difficoltà di ordine immenso, di un livello tale che Liszt stesso dovrà impegnarsi per studiarle. Chi possiede alla perfezione queste Variazioni, chi cioè saprà suonarle in modo leggero e scherzoso tale per cui esse, come dev’essere, ci scorrano innanzi come scene di un teatro di buratti­ ni, colui potrà tranquillamente viaggiare per il mondo per ritor­ 2 Cancellato: "Al 2° Studio di Liszt corrisponde il 17°. Questo in particolare è stato interpretato da Liszt con spiritosissimo umorismo. 11 3° Studio di bravura, come s’è detto, non si trova nell’originale: esso comprende il Rondò della Campanella. Il 4° pezzo della raccolta di Liszt presenta il 1° dei Capricci di Paganini in due diverse trascrizioni; le difficoltà in esso contenute superano ogni difficoltà sinora nota. Più facile e leggiadro suona il successivo, il 9° dell’originale, un gaio gioco di scambi quasi tra flauti e corni con un serioso intermezzo in la minore’’. [M;K.]

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narsene poi con un’aurea corona d’alloro come un secondo Paga­ nini-Liszt.

L'articolo nella rivista conteneva altre quattro recensioni, che ci sembra opportuno riportare. [P.R.]

C. Evers, Grande Studio

Sulle pagine di questa rivista si è già varie volte parlato dell’au­ tore di questo Studio in quanto eccellente pianista, ma, se ben ricordo, di lui non si è ancora parlato in quanto compositore. D’altronde, che egli dedichi maggiore interesse al proprio stru­ mento che alla composizione è un fatto che anche questo Studio dimostra chiaramente; è un brano tecnicamente piacevole e nel complesso suona anche bene; ma in esso manca un contenuto di una certa profondità, e sul piano formale è addirittura insufficien­ te e confuso. È evidente che uno Studio di quattordici pagine non può essere uno Studio nel senso stretto del termine, cioè un brano in cui ci si attenga da capo a fondo a una figura principale, ecc.: esso consiste, piuttosto, in una serie di vari pezzi e nasce senz’altro dalla fusione di diverse idee concepite in tempi successivi. Ecco perché inizia in la maggiore e finisce in re minore. Se dunque il pezzo nel suo complesso non può certo dirsi un capolavoro, cionondimeno in esso possiamo vedere una certa abilità, anche se chiaramente rimane ancora molta strada da fare. Può darsi che l’autore sia attualmente di molto progredito e che lo Stzidio sia un’opera di alcuni anni fa. Sospettiamo che possa essere così in quanto conosciamo, di lui, altri piccoli pezzi che ci sembrano più maturi e più autonomi.

E. Haberbier, Coeur insensé sois calme ou brise toi, Etude p. le Pfte Le Ruisseau, Etude p. le Pfte Col secondo Studio siamo d’accordo, almeno in parte; con il primo meno o addirittura per niente. Perché mettere un motto tanto straziante, quando è evidente che il compositore non può averlo pensato seriamente? Perché una simile insegna non sia

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ridicola bisogna proprio che la musica sia bellissima. La composi­ zione è senz’altro migliore del motto e rivela un senso musicale ardente e appassionato che però, stavolta, non è riuscito ad espri­ mersi bene, non ha trovato una buona forma. Su quest’ultimo piano, il piano formale, mi sembra decisamente meglio l’altro Studio, quello intitolato Le Ruisseau, benché anche questo titolo non mi sembri una scelta particolarmente felice. Per il resto, comunque, questo brano ci offre alcuni passaggi assai belli, in particolare la sezione centrale, ricca di cantabilità; tutto il pezzo, d’altra parte, è caratterizzato da un grande gusto per l’eufonia, una qualità che raramente ci capita di incontrare nelle composi­ zioni dei giovani artisti. Peraltro pensiamo che la composizione, anche se ben suonata, non possa essere, nel suo complesso, vera­ mente efficace: ci sembra un po’ troppo lunga; come se già detto, però, alcuni singoli passaggi saranno sicuramente d’effetto. Augu­ riamo una fortunata carriera al compositore, che abbiamo incon­ trato oggi per la prima volta.

Eduard Pirkhert, Andante e Studio op. 1 Un pezzo da concerto e da salotto che il compositore, un eccellente pianista, ha in primo luogo scritto per se stesso. La forma ricorda l’omonima composizione di Henselt, lo stile ricorda Thalberg. E una composizione che vuole soprattutto piacere, e con ciò possiamo concludere. Il compositore non sembra ancora aver trovato una sua autonomia. Dobbiamo dunque attendere ancora.

Carl Wittmann, Sei Studi op. 6 La veste editoriale è splendida, la stampa eccellente... ma la composizione! È chiaro che è opera di un dilettante; non è pensa­ bile che sia stata scritta da un musicista: se così fosse, sarebbe davvero una cosa imperdonabile. Gli impacci e gli evidenti clamo­ rosi errori che si trovano in quest’opera sono addirittura meno fastidiosi dell’assoluta vacuità di questo pezzo, impostato secondo un carattere dolciastro-sentimentale che vuol essere italiano, quel civettare virtuosistico che mira solo a ottenere l’applauso di un 888

innamorato pubblico femminile. Ma, come s’è già detto, sospettia­ mo che l’autore sia un dilettante, uno di quei molti che sanno suonare Thalberg e che dicono che Mozart è antiquato. In Germa­ nia ci sono almeno 10.000 composizioni migliori delle sue, e che non meritano nemmeno di essere pubblicate. Perché aumentare la quantità di cartaccia?

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103. QUARTETTO PREMIATO DI JULIUS SCHAPLER

Che pasticcio tedesco! Tremenda disdetta! Si bandisce un concorso per un Quartetto, se ne sceglie uno, si stampa la partitu­ ra e subito sul frontespizio ci si lascia scappare un errore di stampa proprio nel nome del laureato! Schabler invece di Schapler. Ma ciò non tocca la sostanza della cosa. Lodiamo intanto in primo luogo i giudici, 1 che stavolta hanno scelto un pezzo che è qualcosa in più di un semplice buon pezzo, corretto dal punto di vista formale e scolastico; e lodiamo ovviamente anche il premiato, che appunto ha offerto qualcosa di più di una semplice composizione. Già l’idea in sé degli organizzatori del concorso, di puntare su un Quartetto, era buona. Intanto perchè, essendo il genere in sé già tanto nobile, presupponeva un’alto livello di preparazione da parte dei concorrenti, e poi anche perché in questo genere aveva­ mo ultimamente dovuto notare una preoccupante carenza di opere buone. Chi non conosce i Quartetti di Haydn, Mozart, Beethoven? Chi mai potrebbe scagliare una pietra contro di essi? Se certo il fatto che dopo mezzo secolo essi rallegrino il cuore di tutti è la più chiara dimostrazione dell’indistruttibile freschezza vitale delle loro creazioni, ciò è però anche testimonianza di un problema all’interno della generazione artistica ad essi successiva, che in un così lungo spazio di tempo non è stata in grado di produrre qualche cosa che fosse in qualche modo paragonabile alle loro opere. Il solo Onslow ha incontrato un certo consenso, e più tardi Mendelssohn, al cui carattere aristrocatico e poetico dovrebbe essere particolarmente adatto questo genere compositi­

1 I giudici erano; Kalliwoda, Lindpaintner, Reissiger, Spohr e Jos. Strauss. [M.K.]

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vo. E non dimentichiamo che negli ultimi Quartetti di Beethoven si trovano dei tesori che il mondo ancora conosce a malapena e che forniscono materia di riflessione ancora per anni ed anni. Non si può dire che noi tedeschi siamo poveri; ma è pur vero che solo pochi sono stati coloro che hanno effettivamente accre­ sciuto il capitale di partenza. Lodiamo dunque l’idea dell’Associazione Musicale di Mannheim che ha voluto fornire uno stimolo in questo campo e rallegriamoci del fatto che tale idea abbia portato un buon frutto. I giudizi sul Quartetto di Schapler sono stati diversi e contrastanti; tutti sono stati però d’accordo nel riconoscere in esso qualcosa di originale non subito percepibile a prima vista. Chi conosce gli ultimi lavori di Beethoven non dirà così. Il romantico umorismo di queste opere in particolare ha infatti chiaramente influito sul giovane artista, e il fatto che egli stesso sia eccellente esecutore e conoscitore degli strumenti per cui ha scritto l’ha peraltro quantomeno preservato dal rischio di un totale fallimento o di un’assurda stravaganza. Nessuno può co­ munque negare in questo Quartetto lo sforzo di offrire una bella forma. Nel primo movimento la struttura è perfettamente pura e salda, nel secondo la forma è trasportata in un’atmosfera umoristi­ ca senza però che ciò la rovini. L’Adagio ha contorni un po’ scialbi. L’ultimo movimento è invece (a parte la ripresa un po’ affrettata) sullo stesso piano del primo per la nettezza e la regolarità del disegno. La forma del Quartetto punta dunque più sullo spirito che sulla sorpresa. Qui ci parla un uomo diverso dai cento soliti, lo si sente subito. Sappiamo che il filisteo non va troppo per il sottile nei propri giudizi: ciò che non gli piace lo chiama romantico, ciò che capisce fa rinascere in lui la speranza di un ritorno dei tempi delle parrucche e lo conforta. Ci fa dunque piacere vedere che la giuria del premio ha scoperto, una volta tanto, un artista che si esprime in modo diverso e nuovo, che non ha misurato il carattere talora irruente di questa composizione con un metro rigidamente scolastico. Purtroppo, però, non ho ancora ascoltato il Quartetto, Ma l’ho sentito dentro di me, e non ho notato un solo passaggio oscuro, Non voglio esprimere una particolare predilezione per un singolo movimento: tutti e quattro sono peraltro in stretta connessione reciproca. Per delinearne in brevi parole il carattere: un’atmosfera inizialmente cupa ed elegiaca si muta, grazie all’umorismo e ad una serietà tranquillamente contemplativa, fino a diventare ardita ed energica volontà d’azione. La musica ha già espresso qualcosa 892

di simile e anche nella stessa successione, e precisamente ciò si può vedere nel Quartetto in la minore di Beethoven. Ma qui un significa­ tivo talento si esprime a suo modo, e vale davvero la pena di fare la conoscenza di questo stile. Salutiamo dunque in quest’opera una composizione originale e ricca di spirito e la segnaliamo all’atten­ zione di tutte le formazioni quartettistiche tedesche. Non voglia però l’artista tacere troppo a lungo e speriamo che presto ci offra nuove prove dell’attiva vitalità che qui di lui abbiamo conosciuto. “Per vincere il premio della corsa non si può star fermi né pensarci troppo” è il motto che egli ha scelto per la propria composizione e di corse ce ne sono ancora altre e più impegnative. La fortuna gli è già una volta stata amica: voglia egli comprendere e sfruttare il suggerimento. Florestano

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104. QUARTETTI PER ARCHI

H. Hirschbach, Lebensbilder in einem Zyklus von Qiuirtetten [Scene di vita vissuta, in un ciclo di Quartetti], per due violini, viola e violoncello. Primo Quartetto op. 1 J. J. H. Verhulst, Due Quartetti per archi op. 6 Due di questi Quartetti sono già stati citati qualche anno fa dalla nostra rivista quando erano ancora inediti (v. Prima matinée quartettistica, art. 54 e Quarta e quinta matinée quartettistica, art. 57). Li salutammo allora, ciascuno a suo modo, come i primi risultati di un certo impegno prodotti da due personalità musicali ricche di talento e in particolare definimmo originale e poetico il talento del primo compositore, mentre non minore interesse stimolò in noi l’indole vivace e duttile del giovane olandese. Da allora questi due giovani artisti devono avere proseguito con impegno nel loro lavoro: di uno in particolare ben conosciamo i progressi, in quanto il suo nome si è fatto rapidamente strada essendo egli direttore musicale di una nota associazione concerti­ stica. 1 Più difficile, invece, la situazione dell’altro: poco interessa al mondo, infatti, la stanzetta del poeta se questa non ha le proprie finestre sulla facciata di un palazzo. E così delle sue composizioni ne è stata pubblicata solo una, la prima di un ciclo di Quartetti che egli stesso ha intitolato Scene di vita vissuta scegliendo come motto per ciascuna di esse dei versi dal Faust di Goethe. Possiamo pensare che molti dei nostri lettori saranno curiosi di conoscere l’opera prima di un giovane che già varie volte ha loro parlato e che essi dovrebbero conoscere per certe ardite afferma­ zioni. Ripensando a ciò si potrebbe da lui pretendere il massimo, misurarlo col metro da lui stesso utilizzato. Chi farà così senz’altro troverà molte cose criticabili. Ma se separiamo il critico dall’artista

1 Verhulst fu direttore musicale della società Euterpe (a Lipsia) dal 1838 al 1842. [M.K.]

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non si potrà negare a quest’ultimo il partecipe interesse che va riservato a tutti coloro che con le proprie forze cercano una strada autonoma. Certo egli non vuole adulare o piacere a tutti i costi; egli stesso ci dice nei motti che cosa vuole: “Neanche un cane vorrebbe continuare a vivere così”, e: “Ti saluto, o fiala impareg­ giabile! Con profonda devozione ti tiro giù dallo scaffale; in te io onoro l’ingegno dell’uomo e la sua arte”.2 E abbastanza chiaro e sincero. Ma non temete: la sua musica non è così nemica dell’uomo e della vita, né ci sarà bisogno di scavare troppo in profondità per vedere se essa rispecchia in modo letterale il senso delle parole di Faust. Crediamo di non sbagliare se affermiamo che le citazioni sono state aggiunte solo dopo che la composizione era stata termi­ nata. Il compositore ha trovato in esse qualcosa dello stato d’animo da lui espresso, una somiglianza generica, ed esse s’attagliano infatti soprattutto al carattere del primo movimento; gli altri, per quanto seri anch’essi, mostrano però un volto meno cupo e selvag­ gio e in generale si attengono abbastanza saldamente ai noti tratti caratteristici tipici di tali movimenti. Certo il compositore ha scritto attingendo direttamente alla propria anima; in tutti i numeri del suo Quartetto si riconosce senz’ombra di dubbio un violento bisogno creativo. Senz’altro rispetto alle superficiali aspirazioni di altri giovani compositori il suo impegno manifesta qualcosa di grandioso e che ispira rispetto. Si vede che egli vuole essere definito poeta, che vorrebbe sottrarsi continuamente agli stereotipi formali; gli ultimi Quartetti di Beetho­ ven sono per lui in primo luogo inizi di una nuova era poetica in cui egli vuole continuare a lavorare: Haydn e Mozart sono per lui lontanissimi. Si può dire che egli abbia qualcosa in comune col francese Berlioz: ardita volontà creativa, predilezione per le gran­ di forme, disposizione poetica, in parte disprezzo per il passato, e anche il fatto di aver studiato, come quello, medicina in gioventù e di essersi dedicato totalmente alla musica solo a vent’anni. Que­ st’ultimo particolare è degno di nota. Chi impara presto il mestiere diventerà anche presto un Maestro, e la gioventù è senz’altro particolarmente.favorevole allo sviluppo di certe capacità. Il no­ stro giovane artista non sembra invece aver goduto la fortuna di un precoce giusto indirizzo. Al servizio delle Muse egli porta però

2 Ambedue le citazioni sono tratte dalla prima scena del Faust di Goethe. [G.T.]

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altre forze da lui sviluppate, fra cui in particolare una cultura multiforme che di rado s’incontra nell’ambiente. Egli conosce bene la storia, i poeti di tutti i paesi, e a lui non sono ignote le battaglie in vari campi del presente. Non meravigliamoci dunque se un giovane tanto progredito in altri settori non vuole comincia­ re anche in musica con Tabbied e vuole invece subito parlare e poetare liberamente. Nel suo primo e vivace assalto molte sono le cose riuscite; qua e là fa però talvolta capolino la lacunosa prepara­ zione musicale, e abbiamo allora l’impressione di vedere uno strafalcione di ortografia in una lettera per il resto scritta con genialità. Qualcosa di simile, forse addirittura ancora più spesso, si incontra nelle composizioni di Berlioz. Non vogliamo segnalare i singoli passaggi del Quartetto in cui si vede la mano ancora inesper­ ta: d’altronde qualsiasi musicista potrà notarli da sé. Ben più importante è il carattere complessivo, l’impronta fondamentale prevalentemente tedesca. In questa scena di vita vissuta c’è senso e verità e la maestria che in essa manca sarà forse già presente nelle successive composizioni che devono completare il ciclo. Voglia dunque egli per intanto crederci se gli diciamo quanto segue: noi amiamo la lotta della gioventù per conseguire il nuovo, e Beetho­ ven, che lottò fino all’ultimo respiro, è per noi modello supremo di umana grandezza; ma anche nei giardini di Mozart e Haydn si trovano alberi carichi di splendidi frutti che non si possono ignora­ re così facilmente: negarsi questo edificante godimento significa farlo a proprio danno, e comunque verrà un giorno in cui, dopo aver cercato inutilmente nel mondo altri alberi da frutto, si finirà per tornare a quelli — ma ormai troppo tardi e spesso con un cuore freddo, che non sa più godere, o con mani tremanti, che non sanno più plasmare. In quei frutteti ha dato invece uno sguardo ben più approfon­ dito l’altro giovane artista sopra nominato; in lui si nota che egli è felice nel propio mestiere di musicista: egli vuole soprattutto musica, belle sonorità; non nutre in sé segrete idee faustiane. Già nella recensione di una delle sue Ouvertures (cfr. art. 72) abbiamo avuto occasione di definire quale fosse il suo talento e la sua corrispondente impostazione artistica; non abbiamo molto da aggiungere a quanto detto allora. In particolare possiamo dire che manifesta una spiccata attitudine anche per lo stile quartettistico; ne ha còlto il vero carattere, ogni parte cerca di mantenere una propria autonomia, tutte si intrecciano e si incrociano in modo 897

spesso interessante; solo talvolta egli è preso da una sorta di furore sinfonistico, cercando di strappare effetti orchestrali da questi soli quattro strumenti. Dal punto di vista della successione temporale il Quartetto n. 2 è il primo nato. È scritto in una tonalità ancora poco utilizzata nel genere quartettistico, lat maggiore, che pone qual­ che difficoltà. Sul piano formale e della successione dei movimenti si evidenzia un tentativo di ricollegarsi agli antichi modelli sopra citati. Nel carattere predomina un atteggiamento sereno e vitalistico, interrotto solo in alcuni passaggi da espressioni di più meditativa serietà. La conduzione melodica non ha ancora un’im­ pronta decisamente personale; alcune vivaci esplosioni ricordano Mendelssohn. Senz’altro da lodare è comunque la purezza compositiva nei suoi frequenti intrecci artisticamente comples­ si. Per cui l’opera nel suo insieme potrà, se ben studiata e ben eseguita, sortire solo un’impressione del tutto favorevole. Il secon­ do Quartetto, quello in re maggiore, darà un’impressione forse ancora più favorevole. Poiché le due composizioni sembrano essere state scritte a breve distanza di tempo l’una dall’altra è ovvio trovare in esse certe analogie; ma il compositore si muove nella seconda in modo ancor più leggero e disinvolto, al che contribui­ sce la tonalità più facile. Il primo movimento scorre via rapida­ mente; la seconda idea, che ha un carattere quasi parentetico, potrebbe essere più significativa, e quando ritorna infine, nella ripresa, trasposta alla tonalità fondamentale, meravìglia il fatto che l’armonia sia modificata in modo senz’altro meno buono. Anche la conclusione l’avremmo desiderata più significativa; si interrompe troppo bruscamente, come se il compositore avesse perso la voglia di lavorare. Nell’Adagio egli torna però ad elevarsi in una confortante altezza espressiva. La terza e la quarta battuta ricordano un po’ un tema del Don Giovanni di Mozart; ma per il resto tutto il movimento è percorso da un sentimento di grande freschezza quale solo è proprio della gioventù; certi piccoli ingan­ ni armonici rendono questo brano particolarmente affascinante. Lo Scherzo si mantiene su toni allegri e vivaci, di buon umore nonostante la tonalità minore; quanto più ardita e capricciosa sarà l’esecuzione, tanto più efficace sarà il movimento nel suo comples­ so. L’ultimo movimento inizia come l’ultimo movimento della Sinfonia Eroica, quasi letteralmente. È forse sfuggito al composito­ re? E se no, perché lasciarlo così? Presto, comunque, salta fuori un’altra idea; violoncello e viola cominciano a scherzare fra loro, e 898

ne nasce un allegro e grazioso gioco. La matassa s’intrica sempre più e minaccia di imbrogliarsi. Ma il tutto si risolve con abilità e si conclude in un chiaro modo maggiore, in maniera un po’ ampol­ losa, ma non tanto da farci adirare col compositore. Raccomandia­ mo dunque al mondo nel modo più vivo gli sforzi compositivi di questo giovane artista. Il vero nucleo vitale di un’opera è cosa che non si può mai descrivere con le parole; perciò ciascuno dovrà suonare ed ascoltare da sé. In ogni caso speriamo che l’artista voglia presto tornare su un terreno in cui sappiamo che prendere piede non è per nulla facile; ma al di là del successo esteriore sta l’interiore arricchimento che comporta ogni esercizio nella diffi­ coltà e le cui conseguenze si comunicano in modo salutare a tutta la restante sfera attiva dell’artista.

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105. LE OUVERTURES PER LA LEONORA DI BEETHOVEN

Con gioia più d’uno si ricorderà di quella serata in cui l’orche­ stra di Lipsia, sotto la direzione di Mendelssohn, ci fece ascolta­ re una dopo l’altra tutte e quattro le Ouvertures per la Leonora. La nostra rivista ne ebbe a parlare. 1 Oggi torniamo sull’argomen­ to perché è appena stata pubblicata a stampa la quarta delle Ouvertures (la seconda in ordine di composizione): per ora solo le parti, ma presto seguirà anche la partitura. Non vi può ormai essere più alcun dubbio sull’ordine in cui Beethoven scrisse queste Ouvertures.1 2 Qualcuno potrebbe forse ritenere che quella appena pubblicata sia la prima abbozzata da Beethoven per la sua opera, in quanto essa ha in tutto e per tutto il carattere di un primo ardito assalto, come pure essa sembra scritta nella più entusiastica gioia per l’opera appena conclusa, i cui tratti principali essa rispecchia in formato ridotto. Ma il libro di Schin­ dler (pag. 58) elimina questo dubbio nel modo più assoluto. In base alla sua precisa assicurazione si ricava quanto segue. Beetho­ ven scrisse dapprima l’Ouverture che in seguito, dopo la sua morte, venne pubblicata da T. Haslinger come opera 138; venne eseguita a Vienna davanti a un ristretto gruppo di intenditori, ma fu unanimemente giudicata “troppo facile”. Beethoven, piccato, scrisse allora l’Ouverture che adesso è pubblicata da Breitkopf & Hàrtel, ma poi cambiò anche questa, e ne venne fuori la famosa Ouverture in do maggiore da designare dunque come 1 Cfr. art. 83 e 93. [M.K.] 2 Si ripete qui il già rilevato errore di Schumann indotto dall’inesattezza di Schin­ dler: cfr. la nota 1 relativa all’art. 83 (pag. 737). L’Ouverture appena pubblicata era dunque effettivamente la prima composta (1805). [M.K.]

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n. 3. La quarta Ouverture in mi maggiore, infine, fu scritta da Beethoven solo nel 1815, quando il Fidelio fu di nuovo messo in repertorio. Che la terza delle Ouvertures sia la più efficace e la più perfetta sul piano artistico, in ciò concordano quasi tutti i musicisti. Ma nemmeno la prima va sottovalutata; a parte un solo passaggio un po’ debole (a pag. 18 della partitura) è un brano fresco e bello e del tutto degno di Beethoven. L’introduzione, il passaggio all’Allegro, il primo tema, la reminiscenza dell’aria di Florestano, il crescendo alla fine: tutto ciò rispecchia il ricco animo del Maestro. Sono peraltro chiaramente più interessanti i rapporti esistenti fra la seconda e la terza. Qui possiamo entrare direttamente nell’officina dell’artista. Osservare e confrontare come egli abbia modificato, che cosa abbia eliminato nelle idee e nella stru­ mentazione, come in nessuna delle due abbia potuto liberarsi dell’aria di Florestano, come le tre battute iniziali di quest’aria ritornino continuamente per tutto il pezzo, come anche non abbia potuto tralasciare il richiamo delle trombe dietro la scena, ripor­ tandolo nella terza in modo ancor più bello che nella seconda, come egli non si sia concesso riposo né tregua perché la sua opera giungesse alla perfezione quale ammiriamo nella terza: osservare e confrontare tutto ciò è fra le cose più interessanti e istruttive che il giovane discepolo dell’arte può fare a proprio vantaggio. Come seguiremmo volentieri le due opere passo per passo! Ma ciò si può fare con le partiture in mano assai meglio e con molto maggior piacere che con le lettere sulla carta, per cui abbiamo accennato solo in breve alle differenze essenziali. Dobbiamo però ricordare ancora un fatto. Nella partitura, che si trovava in possesso dei Sigg. Breitkopf 8c Hàrtel, mancavano purtroppo alla fine alcune pagine. Per l’esecuzione nei concerti locali questa lacuna è stata colmata dal passaggio corrispondente della terza Ouverture, riportato integralmente in partitura contrassegnato da un asterisco. D’altra parte questa era l’unica cosa opportuna da fare. Il direttore avrà peraltro il suo daffare a spingere l’orchestra in modo tale che il passaggio

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(21 battute prima della fine) non sia troppo lento rispetto all’inizio del Presto:

Si sarebbe potuto evitare questo inconveniente se dopo la battuta

della seconda Ouverture (parte dei violini primi, 9° sistema, ulti­ ma battuta) si fosse proseguito direttamente con ilfff della seconda Ouverture (pag. 68 della partitura). La perdita delle piccole va­ rianti nella strumentazione comportata dalla completa eliminazio­ ne del Presto (secondo la prima lezione) non ci pare cosa troppo grave. D’altra parte il sentimento di rispetto vuole che nessuna battuta sia sacrificata. Ma non sarà possibile trovare un’altra copia dell’ouverture che comprenda il finale completo? 3

3 L’esecuzione completa della versione originale dell’ouverture (in base a un altro manoscritto trovato nel frattempo) ebbe luogo per la prima volta al Gewandhaus il 27.1.1853. [M.K.]

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106. TRE SONATE PREMIATE

Composte per pianoforte da C. Vollweilerdi Pietroburgo, J. E. Leonhard di Lauban e J. P. E. Hartmann di Copenaghen. INSIGNITE DEL PREMIO ISTITUITO DALLA “ASSOCIAZIONE MUSICALE

della Germania del nord” di Amburgo

Le suddette opere possono convenientemente essere conside­ rate sotto due punti di vista: in quanto Sonate premiate e in quanto Sonate in assoluto. Dal primo punto di vista anche dei semplici tentativi potrebbero infatti, in grazia della loro dignità formale, guadagnarsi le simpatie dei critici; nei confronti di opere conside­ rate nella seconda categoria si è invece più esigenti, così come lo si è nei confronti dei capi coronati, che devono dare il buon esempio al popolo in tutti i campi. Chiaramente nell’arte non si dà alcun diritto ereditario: le corone dell’arte bisogna guadagnarsele, e prima che una corona d’alloro stia salda sul capo di un poeta avrà dovuto resitere agli assalti di mille mani (non sempre animate dalle migliori intenzioni). I concorsi artistici hanno dunque l’im­ portante funzione di individuare rapidamente i talenti e di annun­ ciarli al mondo. Ciò non significa che costoro sfuggano in tal modo alla critica; è però vero che la massa si lascia impressionare dal giudizio di una giuria, e così anche gli artisti stessi, che a tale giudizio non vorrebbero sottoporsi. Sarebbe comunque un fatto inaudito che un gruppo di giudici selezionati attribuisse una corona a un’opera chiaramente brutta: e si può quindi dire che anche quest’ultimo concorso abbia conseguito un qualche risulta­ to meritorio. Fra i tre vincitori forse solo il terzo era già noto al pubblico: probabilmente gli altri due avrebbero dovuto lavorare e attendere ancora a lungo prima che i loro nomi venissero pubblicamente conosciuti e apprezzati. Si sa che la fama non è più così a buon mercato come una volta: essi sapranno perciò apprezzare la bene­ volenza di Apollo. Prescindendo infine da ogni interesse esteriore, passiamo ora ad esaminare nei particolari le composizioni. 905

La prima Sonata è in sol minore. La successione dei movimenti è quella consueta. Ciò che essa esprime sul piano musicale non è nuovo, e in generale, anzi, non si può nemmeno parlare di musica. Il compositore è ancora in certo qual modo sotto il predominio del virtuoso, tuttavia egli non ci presenta un puro e semplice gioco virtuosistico: qua e là si riconosce il modello di Hummel, e sembra anche che l’autore conosca e prediliga qualche più giovane com­ positore. Lo strumento è trattato in modo efficacissimo e in stile moderno, e sembra davvero che il compositore sia un pianista assai brillante. La Sonata offre in effetti svariate occasioni per dimostrarsi appunto brillanti esecutori, ed è per questo che spesso essa sconfina quasi nello stile da concerto. E con ciò si intende dire che in essa manca queirintrinseca e continua pienezza di senti­ mento che caratterizza le Sonate di Beethoven, in particolare quelle dell’ultimo periodo. Dove mai, d’altronde, possiamo ritro­ vare quelle stesse cose, o semplicemente anche delle cose simili? Tra i vari movimenti il primo ci sembra, se non proprio di marca magistrale, quantomeno il più fresco e vigoroso. La sezione in cui si manifesta con maggiore sicurezza il Maestro, lo sviluppo nella parte centrale del pezzo fino alla ripresa, non è priva di interesse, è però un po’ goffa e pesante: il compositore si è infatti smarito arrivando addirittura (dal sol minore in partenza) al sol k maggiore, e a questo punto il ritorno era davvero difficile; qui l’esecutore proverà certamente la medesima sensazione provata dal compositore intanto che scriveva. Troviamo alcuni passaggi banali sia nella prima parte di questo primo movimento sia nella parte centrale (ad esempio a pag. 5, sist. 2 da battuta 4 in poi; a pag. 7, sist. 4 e 5; a pag. 9, sist. 6). Al contrario, la conclusione (da pag. 14, sist. 4 in poi) ci piace moltissimo: la ripresa del primo tema avviene qui in modo facile, libero e piacevole. Segue uno Scherzo in 2/4, nella medesima tonalità: è bello e ha un Trio assai elegante. Passaggi come quello di pag. 19, sist. 2 da battuta 5 in poi, però, ci sembrano davvero troppo a buon mercato e stonano moltissimo in una sonata premiata. La Coda, invece, torna nuovamente a risve­ gliare il nostro interesse, a parte alcune ripetizioni un po’ logore. L’Andantino comincia con un canto intimo e sentito, che riecheg­ gia un motivo del primo movimento; avremmo preferito che il movimento continuasse a svolgersi in questo carattere: invece a pag. 23 il compositore viene còlto da una collera inspiegabile che si sfoga in massicci passaggi d’ottava, come càpita spesso coi pianisti. 906

Questo passaggio rovina tutto il movimento. Un paio di battute di transizione collegano FAndantino al Finale, che purtroppo dob­ biamo giudicare il movimento più povero di contenuto della Sonata: non è assolutamente riuscito sul piano formale ed è pieno di luoghi comuni, che possiamo perdonare in pezzi virtuosistici, non certo in opere di maggiori ambizioni artistiche. Ci spiace non poter condividere qui l’opinione dei Sigg. giurati: 1 il talento espresso nei movimenti precedenti ha impedito loro di vedere le debolezze di quest’ultimo movimento. Veniamo alla seconda Sonata, che il compositore ha intitolato Sonata quasi Fantasia’, è più strana che bella, per certi aspetti originale. Il compositore si è incapricciato dell’idea di scrivere la Sonata, anche nelle sue parti secondarie, su un solo tema. Egli stesso, meglio di chiunque altro, sa a quale gravoso vincolo si è in tal modo sottoposto; una tale autolimitazione merita comunque una lode particolare, una lode che noi gli tributiamo tanto più volentieri in quanto siamo convinti che altri, che non hanno nemmeno idea della difficoltà di un simile compito, non Io lode­ ranno certamente. Già: che cosa ha raggiunto, infatti, con questa stravaganza? Il suo pezzo soffre di una monotonia quasi snervan­ te, e l’arte non riesce a compensare le carenze della natura. Ben sappiamo come Bach e altri artisti che amavano le complesse combinazioni abbiano saputo costruire pezzi mirabili sulla base di poche battute o addirittura di poche note, dipanando lungo tutta l’opera quelle linee iniziali in innumerevoli intrecci: si trattava di artisti il cui orecchio interiore sapeva creare cose meravigliosa­ mente raffinate, i cui artifici sono percepibili dall’orecchio esterno solo con l’aiuto dell’occhio. Ma erano Maestri di prim’ordine, in grado di creare quasi per gioco ciò che al discepolo costa invece gocce di sudore. La loro profonda arte armonica faceva sì che le loro opere fossero sempre, almeno da questo punto di vista, interessanti. Non neghiamo che in questa Sonata e nel suo compo­ sitore siano da riconoscere le migliori intenzioni e i più seri sforzi per far apparire come d’incanto il molto dal poco; ma la sua composizione ci dà questa impressione: che egli abbia intrapreso un lavoro ingrato, sottoponendosi ad uno sforzo innaturale per le

1 I membri della giuria erano: C. Krebs, F. W. Grund, L. Marxsen, J. F. Schwenke, L. Spohr. [M.K.] 907

sue capacità, e tale sforzo non potrà non causare una sensazione sgradevole anche nell’osservatore meglio disposto nei suoi con­ fronti. Come se non bastasse, il tema di base non è assolutamente originale: solo nel ritmo si differenzia dal primo tema della Sonata in la minore [op. 23] per pianoforte e violino di Beethoven o, se vogliamo andare ancora più indietro, dal tema della Fuga in sol minore dal Clavicembalo ben temperato di Bach. Per altri aspetti l’attacco del tema ricorda l’ultima grande Sonata in do minore [op. 111] di Beethoven. Prescindendo da ciò, possiamo dire che il compositore ha tratto da questo tema tutto ciò che era possibile: esso compare in ben 50 diverse figurazioni, come melodia, come basso, come parte interna, per augmentationem simplicem et duplicem, parimenti per diminutionem e addirittura in stretti, ecc. ecc. Nel primo movimento ciò può avere ancora un qualche interesse. Ma quando poi l’Adagio inizia di nuovo con quella figura, poi lo Scherzo e poi ancora il Finale e oltrettutto, come s’è detto, non solo nei temi principali, ma anche nei temi secondari, a questo punto l’orecchio non ne può più e vorrebbe sfuggire al tormento a cui implacabilmente lo sottopone l’incessante:

Questo è davvero un eccesso dell’idea di sviluppo, e siamo addirittura molto vicini ad un’idea antiartistica: una formula arida anziché un vitale agire. Non abbiamo nulla contro questo atteggia­ mento compositivo, purché ci si presenti per quello che è: uno Studio per il giovane compositore stesso. Per una Sonata che ha appena ricevuto una corona d’alloro ci sembra invece che tale atteggiamento sia eccessivamente artificioso. Siamo comunque, come già detto, ben lontani dal negare che il compositore possieda un apprezzabile talento, sviluppato alla scuola di ottimi modelli. Forse egli pretende troppo e finisce per uccidere quel po’ di quella ingenuità che ancora possiede. Una voce interna non gli dice le stesse cose? O forse ha già superato felicemente quel bivio dove si separano natura e affettazione? Resta ancora la terza Sonata, quella che ha riportato l’ultimo premio. Qui vediamo subito la presenza di un animo profondo e meditativo; la composizione procede in un bel fluire di idee;

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compaiono idee nuove, le vecchie riemergono, intrecciandosi le une alle altre per poi nuovamente separarsi. Come una bella compagnia, l’opera si congeda e si dissolve con la stessa amena facilità con cui era iniziata. In questo pezzo si sente la mano di un artista: solo un artista è in grado di creare un’opera simile. Dopo un Preludio un po’ austero inizia una Romanza: con mite serietà ci viene narrato qualcosa che ci sembra di aver già udito. Andando avanti siamo sempre più avvinti dalla narrazione, anche se non possiamo dimenticare la prima frase. Segue uno Scherzo graziosis­ simo, in cui si succedono con grande eleganza voci forti e voci leggere, avvicinandosi per poi di nuovo fuggire; il Trio suona come l’ammonimento di un amico; ma poi ricominciano i motteg­ gi di prima. Il Finale si allontana un po’ dall’avvincente carattere quasi di novella dei movimenti precedenti e presenta tinte più forti, come se il compositore avesse in tal modo voluto supplire alla mancanza di un pezzo orchestrale. Questo è il movimento che ci piace di meno in questa Sonata', anche in esso, tuttavia, si scorge l’eccellente mano di un musicista, teso a creare qualcosa di artisti­ camente valido. Questa, ci diceva una voce interna dopo aver letto la Sonata, questa soprattutto merita un premio, e un premio partico­ lare merita il primo movimento. Se nella prima Sonata (di Vollweiler) abbiamo riconosciuto un pianista che si è dedicato con un certo talento anche alla composizione, se nella seconda (di Leonhard) abbiamo riconosciuto un musicista cui i giochi intellettuali finiscono per essere d’intralcio sulla strada della perfezione, nella Sonata di J. P. E. Hartmann ci parla invece l’artista, che con l’armonico sviluppo delle sue forze è in grado di riconciliarci, che, signore della forma e non schiavo dei propri sentimenti, sa ovunque commuoverci e conquistarci. Questa è la nostra opinione, e se in qualche misura essa differi­ sce da quella dei giudici ciò non vuole assolutamente dire che noi mettiamo in dubbio la loro buona volontà di premiare il merito. E certo scegliere il migliore fra cinquanta uomini è più difficile che sceglierlo fra tre soli. E poi...: certo, anche noi possiamo sbagliare, ma abbiamo agito con le migliori intenzioni.

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107. RASSEGNA DI LIEDER

H. F. Kufferath, Sei Lieder su testo di R. Burns con accompagnamento di pianoforte op. 3 Burns è il poeta preferito dai giovani compositori di oggi. Certo il “contadino di Dumfries” non avrebbe mai sospettato che i suoi testi poetici, ispirati per lo più ad antiche canzoni popolari, stimolassero un giorno, dopo quasi cento anni, tante altre melodie anche al di là della Manica. Nel Signor Kufferath egli ha trovato un cantore di grandi doti. Il tono generale dei Lieder è lieto e da essi spira un carattere scozzese. Una certa uniformità delle melodie sembra qui inevitabile; si somigliano tutte molto, soprattutto quel­ le del primo e del quarto Lied, che richiamano anche quella canzone popolare italiana nota col titolo di Michelemma. Per il resto il giovane compositore dimostra in tutti i Lieder talento e gusto, in molti singoli tratti anche la còlta raffinatezza dell’artista moderno, per cui questa sua prima opera vocale sarà gradita tanto per il musicista di professione quanto per il profano. I Lieder presentano inoltre quasi sempre un tratto particolare: l’accompagnamento pianistico va per lo più all’unisono con la melodia, tanto da poter sussistere autonomamente anche senza il canto. Questo non si può certo definire un pregio in una composizione liederistica ed è limitante soprattutto per il cantante; è una cosa che si incontra in tutti i giovani compositori che prima si sono dedicati di preferenza alla musica strumentale. Questo non ci impedisce però di apprez­ zare l’ispirata cantabilità dei Lieder del nostro, tutti assai facili ed immediati da cantare ed ascoltare. Voglia dunque il compositore ripresentarsi presto e spesso in un campo in cui il suo esordio non può che essere definito felice e degno di incoraggiamento.

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Carl Zòllner, Liebesfruhling [Primavera d’amore], su testo di F. Ruckert Nove Lieder con accompagnamento di pianoforte Questi Lieder si elevano di molto al di sopra della mediocrità che purtroppo negli ultimi tempi sta dilagando nel genere liederistico in modo davvero preoccupante. Li segnaliamo doppiamente in quanto, potendo inizialmente sembrare assai semplici, addirit­ tura un po’ prosaici, ad un più attento esame devono invece essere rivalutati, dimostrando che il loro autore sa utilizzare la voce in modo perfetto: pari a lui in questo senso ne potremmo trovare solo pochi fra le centinaia di liederisti del momento. La semplicità cui accennavamo riguarda soprattutto Paccoinpagnamento, che, al contrario dei precedenti Lieder di Kufferath, senza il canto dovrebbe dirsi quasi insufficiente e di poco significato. Nei Lieder di Zòllner la forza risiede tutta nella melodia della parte vocale; per esprimerne al meglio l’intima espressività, anzi, sarà necessa­ rio un cantante che sappia anche recitare, e come la melodia segue con amore ogni singolo moto spirituale della poesia, la stessa cosa vorremmo ritrovare nel cantante stesso. Quante volte ci viene offerta una cosa simile? I buoni cantanti di Lieder sono quasi ancor più rari dei buoni compositori di Lieder. Per rovinare i canti di Zòllner, peraltro, bisognrerebbe essere totalmente privi di talen­ to, tanto essi sono naturali e adeguati al mezzo vocale; ma forse non sarà inutile una parola espressa pubblicamente per evitare che essi debbano sottostare ad un’interpretazione superficiale e ad una presuntuosa sottovalutazione. Vorremmo dunque paragona­ re questi Lieder a pietre preziose quali spesso si celano sotto uno strato di terra assolutamente non appariscente; sono necessari buona volontà e amore per portarle alla luce. Ma poi non si potrà che gioire del puro splendore che esse irradiano. Ruckert, tedesco da capo a piedi (solo talvolta illuminato dalle “rose d’Oriente”), 1 era appunto il poeta che più doveva affascinare il nostro composi­ tore. Nel Liebesfruhling c’è un fiore dopo l’altro, e solo da poco i compositori tedeschi sono arrivati a conoscerlo ed apprezzarlo.12

1 Allusione alle poesie di ROckert raccolte sotto il titolo di Ostliche Rosen (Rose d’Oriente), ispirate al poeta persiano Hafiz. [G.T.] 2 Un anno prima anche Robert e Clara Schumann avevano scelto dodici poesie dal Liebesfriihling di È. Riickert per musicarle: ne sono nati i 12 Lieder op. 37, tre dei quali (i nn. 2,4 e 11) sono opera di Clara Schumann. [M.K.] 912

Anche Zòllner ha scelto alcuni di questi bellissimi testi. Il brano migliore sul piano compositivo ci sembra O weh des Scheidens [Ahimè, separarsi]; qui la semplicità si tramuta immediatamente in profondità, la poesia si è incarnata direttamente in musica; è un bel Lied e non sarebbe del tutto indegno di un Beethoven. Dopo questo ci ha incantato anche Wenn die Rosen aufgebluht [Quando le rose sono fiorite] per l’intima comprensione del senso della poesia, che non era facile da mettere in musica. La prima metà, con quelFepisodio in una sorta di recitativo, ci sembra eccellente; solo la conclusione richiama un po’ troppo Weber. Di ottima concezio­ ne, in tono poetico antico-tedesco, è anche il Duetto Seligsler Wunsch [Dolcissimo desiderio] e in particolare la conclusione è di toccante sincerità. Mein Sehnen, mein Ahnen [Mio anelito, mio presentimento] è un canto che sgorga dal cuore, ma assomiglia per certe cose ad un’aria di Marschner dallo Hans Heiling, come d’altronde Beethoven, Weber e Marschner sembrano essere pale­ semente i modelli di riferimento del compositore. Nel Lied Warum willst du andere fragen [Perché vuoi chiedere ad altri] ci piace decisamente la seconda metà a parte la conclusione col tremolo, dove avremmo preferito un semplice accordo tenuto. Il n. 6 ha un tono di base intimamente espressivo che però si offusca nella parte centrale del Lied per alcune modulazioni faticose; anche la secon­ da battuta, per quanto bella dal punto di vista melodico, non ci piace sulla parola Busen [seno]: il passaggio non ci sembra suffi­ cientemente virginale, abbastanza pudico per la sposa di cui parla Ruckert. Fra i due canti popolari ci piace di più il primo; va cantato bene anche come pronuncia e recitazione. L’altro è il meno signifi­ cativo della raccolta, che comunque noi raccomandiamo con la più sicura convinzione a tutti coloro che vogliono non solo cantare, ma anche pensare ed esprimere: per loro gioia duratura e per quella di tutti gli altri.

Henry Hugh Pearson, 6 Lieder su testi di Robert Burns per voce e pianoforte op. 7

Uno spirito dotato di ricca originalità ci muove incontro da questi canti: forse non lo spirito di un Maestro, ma certo quello di una personalità straniera. Quasi tutti i Lieder soffrono di una certa esagerazione quale spesso è data nei giovani compositori in parte 913

dall’insicurezza tecnica e in parte dalla voglia di fare tutto e subito bene. Ambedue questi difetti, speriamo, potranno temperarsi con l’età grazie all’esercizio e alla graduale acquisizione di consapevo­ lezza. In breve, ci pare che ci sia un eccessivo dispendio di mezzi per testi come questi: ci sono troppe note per parole semplici. Non vogliamo comunque negare in nessun modo al giovane artista la lode per l’impegno profuso: proprio l’elaborazione amo­ rosa e appassionata che vediamo nei vari Lieder ci fa di lui avere una buona impressione; ma egli ha fatto troppo e ha mancato sul piano estetico, mentre proprio voleva ottenere il meglio in tutti i sensi. Le poesie di Burns rinunciano in partenza, almeno per la maggior parte, a quell’ampia forma di elaborazione quale invece è visibile nella composizione; sono senz’altro opera di una vera personalità poetica, ma pur sempre semplici, brevi e concise; ecco perché tanti compositori le amano, ecco perché le sue parole sembrano farsi canto quasi da sé, e nel modo più naturale in quella forma che è propria del vero canto popolare. Il compositore voleva invece qualcosa di più e ci ha offerto perciò brani per lo più ampi ed elaborati, che testimoniano sì un musicista di buone aspirazioni ma stanno in contrasto con l’ingenua forma delle poesie; spesso la sua musica ha anzi un tratto drammatico o teatrale, e proprio in ciò egli sembra perciò essere assai lontano dalla meta. L’interpretazione musicale delle poesie ci sembra dunque in parte fallita, e in particolare il 1°, il 3° e il 5° Lied ci paiono troppo pretenziosi e pesanti, ma ciononostante dobbiamo anche in essi riconoscere una certa originalità e soprattutto un qualcosa di caratteristico, un’energica e aristocratica sensibilità quale spesso possiamo trovare in molti suoi compatrioti. Non è possibile esprimere a parole questo quid, esso non può che comu­ nicarsi simpateticamente tramite la musica stessa. È nostro intento incoraggiare questo tipo di espressione energica e virile, per quanto essa non sembri qui ancora compiutamente sviluppata: a maggior ragione oggi, nell’attuale situazione musicale, che va tanto dichiaratamente — e proprio nei suoi Maestri più amati nella direzione opposta, come se poco tempo fa non fosse vissuto un Beethoven il quale disse testualmente: “la musica deve tirar fuori il fuoco dallo spirito dell’uomo; la commozione va bene solo per le donnicciole”. Ma pochi se ne ricordano e puntano invece dichiaratamente sulla commozione. Per punizione bisognerebbe vestirli tutti con abiti femminili. Pianti e sospiri non sono dunque

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affare del nostro inglese; egli ci offre invece melodie vigorose, quali comunemente si trovano nelle raccolte tedesche di Lieder, e ciò ce lo rende caro. Se dovessimo segnalare in particolare alcuni Lieder, diremmo che quelli che più ci sono piaciuti sono John Anderson e la Canzone del soldato; il primo è totalmente permeato di quel tono melanconico che in così alto grado anima la poesia possedendo purtuttavia una forza originale; nella Canzone del soldato ci sembra di sentire un’eco della Canzone di Marlborough con quel suo tono romantico, tanto da sentirci trasportati nelle Hi­ ghlands scozzesi. I Lieder sono ovviamente composti originaria­ mente sul testo inglese, ma c’è anche la traduzione tedesca.

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108. TRII PER PIANOFORTE, VIOLINO E VIOLONCELLO

Alexander Fesca, Secondo Grande Trio op. 12 Terzo Grande Trio op. 23

Purtroppo non abbiamo le partiture di questi Trii, come nep­ pure quelle della maggior parte degli altri che più avanti abbiamo da recensire; le righe che seguono non hanno dunque pretese di infallibilità di giudizio e valgono più come aggiornamento infor­ mativo sulle ultime novità nel campo delle composizioni per trio che come analisi critica. Peraltro i vari autori sono abbastanza noti, per cui ciascuno saprà già più o meno che cosa attendersi da loro e che cosa no. Il primo Trio del giovane compositore sopra nominato è già stato recensito parecchio tempo fa dalla nostra rivista e in tale occasione dicemmo che esso aveva la natura di una farfalla, cosa che in un certo senso poteva riferirsi in generale al compositore stesso. Tale giudizio, interpretabile in senso tanto positivo quanto negativo, può valere anche per i suoi due Trii successivi. Come quello, anche questi manifestano un carattere agile e leggero che sicuramente in certi momenti ci può anche piacere. Ma trascorre­ re tutta una vita d’artista con la leggerezza di una farfalla ci sembra in verità un po’ troppo poco. Non sappiamo se questa sia la precisa intenzione del Sig. Fesca, ma certo l’impostazione sembra quella. Stia dunque attento: non mancano i fiori velenosi, rappresentati dall’applauso della folla volgare e da certi sguardi di donne senti­ mentali. Il vero artista può invece progredire solo in un’altra situazione: nella solitudine, o vivendo in mezzo ad altri artisti, e niente toglie più nerbo dell’applauso dei mediocri. Chiaramente nessuno può darsi la profondità che non ha, ma sempre bisogna studiare e impegnarsi. E in effetti nei due Trii non abbiamo da criticare altro se non la posizione mediocre in cui essi palesemente si pongono; all’interno di questa scelta si può dire che il composito­ 917

re ci offra in un certo senso qualcosa di buono: la forma gli viene facile, non gli mancano belle melodie, scrive in modo grato per l’esecutore; assai gli si conviene una certa giovanile schiettezza. Ma la forma è anche tranquilla e comune, alle melodie manca un’espressione più variegata, e inutilmente si cercherà nelle due opere uno slancio originale, un volo più alto, o anche solo un tentativo in tal senso. In poche parole si può dire che il composito­ re sembra accontentarsi del proprio talento, di ciò che ha impara­ to finora, e crede con ciò di poter vivere di rendita, cosa che possiamo forse augurargli ma non esserne convinti. Ma forse non c’è troppo da aver paura! In fondo ogni vita d’artista conosce i suoi momenti di vacanza, in cui si ha voglia di giocare col presente; ma presto si farà sentire la voce che richiama a un nuovo lavoro. Noi tedeschi conosciamo grandi modelli di alto e virile coraggio; il giovane discepolo deve dunque di tanto in tanto guardare ad essi: ad esempio a Bach, che dichiarò che per lui tutte le sue opere scritte prima dei trent’anni era come se non esistessero, a Beetho­ ven, che ancora nei suoi ultimi anni non riusciva a perdonarsi di aver composto un Christus am Òlberg. Non vi viene paura, o giovani artisti, quando pensate quale sarà il vostro giudizio magari fra cinquant’anni sulle vostre stesse composizioni? E d’altronde sap­ piamo come i piccoli borghesucci sian sempre pronti ad ingollare avidamente ciò che i re hanno scartato. E certo, dunque, voi non brucerete una sola delle vostre opere immortali, e gioirete così della vostra breve vita, ma non rimproverate poi il futuro se nel frattempo vi avrà dimenticato. Un giudizio complessivo sulle ultime opere del Sig. Fesca è implicito in quanto detto; nel detta­ glio è senz’altro possibile che esse contengano qualcosa di una lode particolare, ma se c’era ci è sfuggito a causa della mancanza della partitura. Non crediamo però di aver sbagliato nel nostro giudizio sull’impostazione artistica complessiva di questo compositore, e forse un giorno (il futuro, infatti, chiarisce ogni cosa) queste righe portranno essere proficuamente ricordate da noi o da altri.

W. Reuling, Grande Trio

Il numero d’opera lascia intendere che qui abbiamo a che fare con un musicista capace ed esperto. Così sembra anche dalla parte pianistica e dal parziale confronto delle altre parti con questa, cosa 918

che doveva in qualche modo supplire alla mancanza della partitu­ ra. Il compositore è inoltre uno dei Kapellmeister del Kàmtnertortheater di Vienna e recentemente ha fatto parlare di sé con un’ope­ ra teatrale. 1 Non abbiamo dunque assolutamente a che fare con un novellino. Se non ricordiamo male, il principale rimprovero mossogli in occasione della rappresentazione della sua opera è stato che egli oscillava fra scuola tedesca e italiana, col risultato che nessuno dei due partiti, che a Vienna si contrappongono nel modo più netto, si era dichiarato soddisfatto della sua opera. La stessa cosa la si è già detta a cento altri compositori viennesi, e col medesimo esito: vogliono una cosa ma non sanno rinunciare all’altra, vogliono essere artisti e anche piacere alla plebe. Il fallimento, cento volte ripetuto, di tali tentativi non ha ancora aperto loro gli occhi? ancora non hanno capito che su questa strada non si può giungere a nulla, che solo una strada è quella che conduce alla meta, e cioè adempiere il proprio dovere nei confron­ ti di se stessi in quanto artisti e nei confronti dell’arte? Lo stesso rimprovero ci sembra valere anche per questo Trio, che, anche se forse in misura inferiore di quell’opera, sembra perseguire una tendenza analoga a quella sopra espressa. Come già detto, noi crediamo che attualmente l’elemento artistico tede­ sco sia in lui pur sempre prevalente; ma un deciso progresso inizia solo con una decisa rinuncia ad ogni gusto dilettantistico, ad ogni influenza italiana. Non abbiamo forse noi tedeschi un nostro originale stile vocale? Non ci hanno forse gli ultimi anni dimostra­ to che in Germania esistono ancora spiriti e Maestri in grado di mettere insieme la leggerezza con la profondità, la grazia con il significato? Spohr, Mendelssohn e altri non saprebbero dunque anch’essi cantare, scrivere per i cantanti? È questo ciò che vorrem­ mo segnalare a questa scuola ibrida tedesco-italiano che soprattut­ to a Vienna conta tanti adepti. Così non può andare: le più alte vette dell’arte italiana non giungono nemmeno là dove inizia la vera arte tedesca; non si può stare con un piede sulla cima del monte e con l’altro su un tranquillo praticello. Nel musicista di cui stiamo parlando vediamo peraltro prevalente un più nobile im­ pulso, e di ciò è testimonianza il genere musicale stesso per cui ha scritto. Nello stile da camera, fra quattro pareti e con pochi

1 Si riferisce probabilmente a Alfred der Grosse, 1840. [M.K.] 919

strumenti, si mostra il vero musicista. Nell’opera, sulla scena, quante cose si nascondono dietro alla brillante facciata! Ma a quattr’occhi si vedono tutte le toppe che dovrebbero servire a nascondere le nudità. Con piacere vediamo dunque che finalmen­ te anche dalla città imperiale ci giunge un’opera che quantomeno si basa su una solida forma artistica, e con grande rammarico pensiamo che questa è la stessa città che in passato era come una città santa, “abitata da tanti nobili spiriti”, la città da cui ci arrivaro­ no quelli che noi consideriamo i capolavori del genere, i Trii di Beethoven e di Schubert. Un tempo il compositore di corte di Vienna si chiamava W. A. Mozart, oggi quel posto è occupato da Gaetano Donizetti, e con uno stipendio esorbitante rispetto alla qualità. Questa è in poche parole la storia di Vienna com’era in passato e com’è oggi. Se dunque purtroppo nella capitale sembra per il momento aver vinto l’italianismo, noi buoni filistei tedeschi, che ci ostiniamo ad ammirare Bach e qualcun altro, dobbiamo continuare a resistere e se non altro a fare in salotto quella buona musica che non riusciamo a sentire in teatro. In questo senso sia dunque il benvenuto anche questo Trio, e invitiamo il composito­ re, come tutti coloro che ne sono in grado, a continuare a salire i gradini della bella scala dell’arte, una scala che conduce a trionfi forse più modesti ma anche più duraturi, mentre l’impalcatura italiana degli uriacci da mercato, per quanto ricoperta di ghirlan­ de di fiori, è già marcia e prima o poi crollerà.

H. Marschner, Grande Trio op. Ili

Questo Trio è il primo pezzo da camera di un certo impegno che noi conosciamo di Marschner. E come sempre fa piacere vedere un Maestro non più giovane provarsi in un genere nuovo, ciò significando che egli non si crede ancora giunto alla fine, che nutre ancora vive aspirazioni, così attendevamo con gioia questa nuova pubblicazione, la cui più diretta conoscenza non ha deluso le nostre aspettative. Certo non siamo ciechi nei confronti delle carenze di quest’opera, delle debolezze della composizione, so­ prattutto nelle seconde idee e nel cosiddetto sviluppo, dove il compositore procede con troppa fretta, accontentandosi subito della prima cosa che gli viene in mente; ma la sempre originale freschezza di Marschner non può non piacere, quell’agile scioltez­ 920

za del tutto, la mano sicura con cui egli sa caratterizzare i vari movimenti. Nel Trio troviamo dunque più o meno lo stesso musici­ sta che abbiamo imparato a conoscere nei suoi grandi lavori teatrali. Il particolare, il dettaglio, non sempre è la cosa più pregevole; ma pregevolissimo è il tutto, l’effetto complessivo, che, se non ci fa dimenticare la mancanza di un sicuro lavoro di dettaglio, quantomeno non ce ne fa sentire troppo dolorosamente l’assenza. I lettori avveduti capiranno che cosa intendiamo: il lavoro di dettaglio significa per noi l’autonomia e il vivace movi­ mento delle singole parti, la cura dell’aspetto compositivo anche nei passaggi di transizione (per esempio quando si passa dal modo minore al maggiore), certi sottili rapporti fra tema principale ed elaborazione degli altri motivi, tutte cose che troviamo ad esempio nelle composizioni di Beethoven senza che ciò vada a scapito dell’effetto complessivo. In Marschner, invece, domina per lo più la voce superiore; sembra quasi che egli non abbia avuto il tempo di elaborare combinazioni più profonde, lo vediamo trascinato senza possibilità di resistenza verso la fine, verso la conclusione del pezzo. Questo è l’effetto che fanno le sue composizioni: ci si sente trascinati, abbagliati; da tutte le parti ci giungono lampi di talento, ma ad un più attento esame non ci può sfuggire la superficialità con cui sono stati trattati certi punti della composizione. Per parlare in termini di metafora, egli spesso ci offre i frutti dorati del suo talento in ciotole di coccio. Non possiamo però che essergli grati per tali frutti, per i lati luminosi del Trio. Come già detto, egli crea un’opera che nel complesso è di grande vitalità ed efficacia, a parte l’Adagio, che non ci sembra nato contemporaneamente agli altri movimenti. La tonalità è sol minore nel primo, nell’ultimo movimento e nello Scherzo, mentre quella delI’Adagio è lafr mag­ giore, che in quella successione si pone come estranea. Gli altri movimenti hanno tutti un carattere fiero e appassionato, mentre l’Adagio ha un carattere assolutamente opposto di tranquilla mitezza. Il fatto che l’Adagio ricompaia poi all’interno del movi­ mento finale potrebbe mettere in dubbio la validità della nostra supposizione che esso sia stato scritto in un momento precedente o successivo rispetto agli altri movimenti. Ma si sa come non sia troppo difficile, per un compositore abile, inserire tali riminiscenze anche in un brano già concluso. Questa reminiscenza viene condotta peraltro con grande delicatezza ed è di bell’effetto all’interno dell’inquieta atmosfera deH’ultimo movimento. Nell’Adagio 921

troviamo una melodia assai affascinante, affatto tipica di Marschner; ci sembra la cosa più spontanea di tutto il Trio. L’assolo di violoncello che segue è invece a nostro parere troppo lungo e anche sul piano melodico è troppo comune, quasi da teatro. Con grande efficacia Marschner si muove invece anche in questo Trio nella sfera fiabesco-spettrale in cui già spesso si è mosso in modo tanto felice: meno nel primo movimento, ma nello Scherzo e nel Finale si vede tutto l’entusiasmo con cui egli lavorava alla propria creazione; questi due movimenti sono anche i più ricchi di vivace umorismo. Ricordiamo solo incidentalmente alcuni leggeri echi del Trio in mib maggiore di Franz Schubert. Noi crediamo che questo Trio avrà una buona diffusione; non abbiamo eccessiva abbondanza di opere ricche di spirito in questo genere, e tale carattere è sicuramente proprio di questo Trio. Per quanto riguarda l’esecuzione non presenta difficoltà insolite, e in particolare il pianoforte è trattato in modo assai efficace.

Louis Spohr, Trio op. 119

Anche il Trio di questo venerato Maestro è, per quanto ne sappiamo, la sua prima composizione in questo genere. Dobbiamo dunque qui ripetere la stessa lieta osservazione già espressa all’ini­ zio della recensione precedente. I Maestri della scuola tedesca si distinguono infatti dagli italiani e dai francesi appunto per il fatto di essersi sperimentati in tutte le forme e in tutti i generi: questo è ciò che li ha resi grandi e completi, mentre i Maestri di quelle altre nazioni si sono per lo più espressi in un genere solo. Quando perciò ogni tanto sentiamo definire qualche operista parigino fra i più amati un “grande artista” dovremmo prima chiedere: dove sono le sue Sinfonie, i suoi Quartetti, i suoi Salmi, ecc.? Come può costui paragonarsi ai Maestri tedeschi? Anche Spohr ha lavorato in quasi tutte le forme musicali, dall’Oratorio al Lied, dalla Sinfonia al Rondò per un solo strumento, e questa sua poliedricità non è l’ultimo dei motivi che ce lo fanno apparire come degno di ammi­ razione. Dobbiamo dunque salutare il suo nuovo dono come un nuovo fiore del suo ricco spirito, un fiore che certo non stona nella bella ghirlanda della sue creazioni. Profumo e colore sono gli stessi che già conosciamo. Ma in questo artista sembra risiedere un’ine­ sauribile profondità spirituale, tale per cui egli sempre riesce ad 922

incantarci pur rimanendo sempre lo stesso. Certo, Spohr potreb­ be tranquillamente pubblicare ogni cosa senza il proprio nome e lo si riconoscerebbe comunque all’istante. Il che non si può dire con pari sicurezza di nessun altro artista contemporaneo. Ma in qual­ cos’altro ancora consiste l’interesse che noi sempre dobbiamo nutrire nei confronti delle sue creazioni, non solo nella magia della sua originalità, ma anche e soprattutto nella sua ricchezza artistica, nelle bellezze puramente musicali in antitesi con le bellezze più caratteristiche della sua individualità. Una musica può infatti esprimere un carattere significativo ma mancare totalmente di maestria. Spohr ci offre invece tutto in forma magistrale e anche le cose già note sotto un abito raffinato. Non gli è difficile conferire alla propria opera il massimo di perfezione. Si veda ad esempio come egli armonizza in modo nuovo il primo tema del primo movimento del suo Trio ogni volta che ricompare. Un artista più pigro l’avrebbe ripresentato ogni volta uguale senza faticare trop­ po. Alcuni non hanno idea del suo coscienziosissimo zelo, che con l’avanzare dell’età sembra accrescersi anziché diminuire; ma le conseguenze si vedono poi nelle opere di costoro. Ma perché faticare tanto a esporre le grandi virtù artistiche di Spohr quando il mondo già da tempo è unanime nel riconoscerle! Anche il Trio è un degno ornamento per la fronte del Maestro: è un’opera tutta d’un pezzo dall’inizio alla fine e solo l’Adagio è a nostro parere un po’ scialbo. Gli altri movimenti hanno originalissimi pregi; il primo è un raffinato tessuto, realizzato con grande arte da una mano sicura. Lo Scherzo è fra i più belli che Spohr abbia scritto; vien voglia di continuare a risentirlo. L’ultimo movimento presen­ ta un motivo che proprio grazie a Spohr è divenuto abbastanza comune, ma nel complesso predomina dall’inizio alla fine uno slancio straordinario; da non dimenticare il pizzicato del violon­ cello e la melodia tratta dall’Adagio trasportata qui con grande eleganza. Non c’è infine bisogno di dire quale carattere, per il resto, spiri in questo Trio. Spohr nel primo movimento, Spohr nel secondo e ovunque. A lui più che a chiunque altro sembrano potersi adattare le parole di Schiller: “Nulla troverò di più bello, per quanto a lungo io cerchi...”: possa egli per molto tempo ancora vivere e creare fra di noi!

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109. OPERE TEDESCHE

I

C. G. Reissiger, Adèle de Foix, Grande Opera in quattro atti di R. Blum. Spartito completo per canto e pianoforte Il soggetto tratta di una storia d’amore di Francesco I di Francia, il quale, in modo per la verità assai poco regale, cerca di possedere Adèle de Foix, giovane moglie di un anziano nobile, il conte Chateaubriand. Tanto peggiore appare l’azione del re in quanto il nobile suddetto gli ha in passato salvato la vita. Alla fine Chateaubriand uccide la moglie infedele e se stesso, mentre il re si ritira in volontario esilio dopo aver promesso al proprio popolo pentimento ed espiazione. L’avventura termina così in modo poco edificante, come qualcuno ha avuto a dire: troppo seria per essere uno scherzo, troppo scherzosa per essere una storia seria. Era ovvio che ciò si riflettesse sulla composizione musicale. Solo i francesi sanno coonestare queste scellerate avventure amo­ rose. Il tedesco ha troppo il senso dell’onore e della morale. Ma quali difficoltà non supera un compositore tedesco quando ha davanti a sé un testo appena musicabile da cui egli possa attendersi di ottenere un certo effetto sul pubblico. Non vorremmo che il Signor Reissiger avesse a rimanere deluso, ma crediamo che questo testo non incontrerà molto favore da noi. Per quanto riguarda la musica tutti coloro che già conoscono il compositore possono già in partenza attendersi molte cose buone. Già da tempo egli è noto come abile strumentatore; essendo a capo di un’eccellente orchestra egli ha avuto modo meglio di chiunque altro di osservare e sperimentare nuove combinazioni strumenta­ li. L’elemento in cui egli si è finora mosso più volentieri è il Lied e nel modo più felice in atmosfere serenamente liriche. In questo genere e in questo stile a lui dobbiamo molte cose assai ben riuscite. Con esiti felici Reissiger si è anche provato nel genere sacro; le sue composizioni in questo genere hanno un carattere 925

amabilmente devoto che non può che piacere al pubblico. Meno fortunato è invece finora stato come compositore teatrale; la causa di ciò risiede nell’assoluta predominanza della sua natura lirica, come già varie volte s’è detto in altre occasioni. Che ciononostante egli non abbandoni l’opera e anzi si ripresenti con una cosiddetta grande opera, ci sembra vada salutato come un segno di coraggio interiore, il quale certo conduce a mete più elevate di quanto non possa fare una pigra insistenza sempre sullo stesso punto. Adèle de Foix è stata data con successo, ma non senza qualche opposizione. Siamo tanto poveri di opere tedesche: non dobbiamo scagliarci contro (o peggio ignorare) tutte quelle che non riescono fin dalla prima rappresentazione a conseguire lo stesso effetto del Freischiitz. Ciò non significa però che dobbiamo tacere le critiche. I compositori tedeschi per lo più falliscono quando decidono di voler piacere al pubblico. Provino invece ad esprimere qualcosa di originale, semplice e sincero e vedranno se in tal modo non ottengono un miglior esito. Chi va sempre verso il pubblico a braccia aperte finirà per essere sempre guardato dall’alto in basso. Beethoven si faceva innanzi a capo chino e con le braccia dietro la schiena: la plebe gli faceva strada timorosa, ma poi a poco a poco anche il suo inconsueto linguaggio le divenne famigliare. Anche Reissiger, temiamo, è in parte naufragato su quello scoglio. Lo straordinario successo del Freischutz sembra aver por­ tato i compositori tedeschi alla dichiarata ricerca dell’applauso, che però non può essere voluto intenzionalmente. Tutto dovrebbe dunque far subito furore? Va bene usare tromboni e ottavini dappertutto? Si inveisce contro i compositori italiani e non ci si vergogna poi di cercare l’effetto con i medesimi mezzi; si riconosce l’errore ma lo si commette ugualmente. E si spera che il pubblico applauda! Ma anche il pubblico ha i suoi meriti e spesso anzi vede più chiaro di quanto non si pensi! Ripetiamo: offrite una buona volta un’opera tedesca davvero originale, semplice e profonda, scrivete come se non ci fosse alcun pubblico, pensate piuttosto a mostrare il vero artista, la vera cultura, e vedremo poi se voi stessi non ne sarete più contenti! Molte volte lo si è già detto, ma mai ciò è sembrato più necessario di adesso, in un momento in cui la fede del pubblico nei confronti degli operisti tedeschi sembra scemare sempre più. Già vediamo truppe italiane impadronirsi di molte scene tedesche, e le truppe francesi non tarderanno. State dunque attenti a non farvi togliere il vostro terreno da sotto i piedi! 926

Certo, troviamo ad esempio anche nell’ultima opera di Reissi­ ger pezzi che si distinguono dalla nuova musica italiana e francese come pietre preziose in mezzo a pezzi di vetro. Ma con i singoli brani non si risolve niente: noi vogliamo uno stile, una nobile concezione complessiva, un cuore d’artista che sempre batta in modo vitale. Non possiamo purtroppo affermare che l’opera di Reissiger ci offra sempre un siffatto godimento. Se pure ci offre molte cose degne, rende però anche spesso omaggio al gusto del momento; ci mancano soprattutto un carattere generale e l’unità dello stile. Dobbiamo inoltre rilevare che Reissiger, mentre mostra in molti dei suoi Lieder di possedere un talento assai personale, nei suoi lavori drammatici appare assai meno originale, e anzi in essi si possono trovare tanto forti reminiscenze di famosi Maestri tedeschi e italiani che anche un profano non potrà non accorgerse­ ne. Vediamo ad esempio chiari echi di Weber, Spohr, anche Marschner, spesso anche di Rossini e Bellini, che indicare tutti singolarmente porterebbe via troppo spazio, ma che certo non sfuggiranno a nessuno. Un altro rimprovero potremmo sollevare contro la strumentazione, che a nostro avviso è sempre troppo pesante. Dove troverà il compositore i mezzi per un crescendo se in passaggi poco significativi spreca già tutte le forze, sì che poi gli vengono a mancare al momento giusto? Per altri versi, invece, non si può che lodare il grande virtuosismo di strumentatore di Reissi­ ger: sonorità sembre belle e brillanti, quando non eccede con gli ammassi orchestrali. A prescindere da questo duplice rimprovero (sulle frequenti reminiscenze e sulla strumentazione spesso trop­ po carica) troviamo peraltro in quest’opera molti pregi, dei quali ci occuperemo adesso con piacere. Nell’opera predomina un’eccellente scorrevolezza musicale quale è propria solo dell’artista esperto. Molto da lodare è anche la pulizia armonica, a parte qualche stridente successione armonica in alcuni momenti particolarmente appassionati. Dobbiamo poi riconoscere in generale la verità dell’espressione per quanto ri­ guarda la corrispondenza fra parole e musica, 1 cosa della quale

1 [R.S.] Vogliamo qui solo segnalare due passaggi in cui tale corrispondenza non è ben realizzata: nell’Aria del Conte, a pag. 83, sulle parole Da erfasste meine Seele, die bewegt war, bang und wild, dein geliebtes Bild [L'anima mia commossa percepì allora, con feroce paura, la tua immagine amata], il compositore ha rappresentato con la musica

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non si trova praticamente traccia nella nuova musica operistica italiana. Pervade infine tutta l’opera un sentimento di naturale amabilità che ci piace sulla scena, dove troppo spesso siamo abituati a vedere morti e assassinii. Non troviamo mai artificiosi preziosismi, tanto meno di tipo contrappuntistico; d’altra parte sarebbero stati del tutto fuori luogo. A parte il Re e Adèle ci sembra musicalmente assai ben caratterizzato il conte Chateaubriand, anche se l’interesse per lui non può che essere basato sulla compas­ sione per un marito ingannato e oltretutto non più giovane. Bonnivet, il diavolo della storia, è forse troppo dolce, non suffi­ cientemente diabolico. Al Paggio manca un po’ di grazia, al Pazzo un po’ di più decisa comicità. Quest’ultimo personaggio è peraltro chiaramente ripreso dal celebre personaggio del Tempter di Marschner. I Cori intervengono spesso con grande efficacia; non possiamo però certo garantire la popolarità a nessuno di essi. Ottima è la musica del balletto; qui emerge tutto l’amabile talento di Reissiger. Da segnalare l’assolo di Lipinski con il succes­ sivo trillo dell’oboe. Nel complesso la declamazione ci sembra degna di lode e corretta; qualche piccolo errore potrà essere corretto senza troppa fatica. Uno dei momenti culminanti ci sembra però che sia stato trattato con troppa leggerezza, quello nell’ultimo atto, dove Cha­ teaubriand dice al Re: Die Schuld, sie ist dein [La colpa è tua]. Qui, dove la barriera fra principe e suddito cade per la prima volta e definitivamente, dove l’oltraggiato vuole mettere davanti agli occhi del seduttore tutta la grandezza del misfatto, qui il recitativo è troppo poco efficace. Il compositore si è lasciato sfuggire l’impor­ tanza di questo momento assai significativo. La riduzione pianistica (che, detto incidentalmente, è assai accurata) mostra alcune differenze rispetto alla rappresentazione di Dresda; in particolare qui erano infatti stati riuniti in un solo atto — a tutto vantaggio dell’efficacia complessiva - quelli che nella riduzione pianistica compaiono come terzo e quarto atto. La conclusione ci sembra assolutamente malriuscita; tutto si

solo la feroce paura, dimenticandosi il resto della frase; poi a pag. 96, dove, all’ingresso del re, Adèle dice: Nun bin ich fréi> der Kònig rettet mich [Ora sono libera, il re mi salverà], parole che il compositore fa cantare con tutta la forza, mentre a nostro parere dovrebbero essere dette sottovoce, quasi fra sé e sé.

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disperde infatti di colpo in modo assai infelice, e l’ascoltatore non può che scuotere il capo come per una storia che non poteva finire altrimenti. Ci congediamo dunque da quest’opera non senza le critiche per le cose sbagliate, ma anche esprimendo tutta la nostra stima per l’impegno, il talento e la cultura che il compositore ha ancora una volta dimostrato e con la speranza che egli voglia presto tornare a provarsi su questo stesso terreno.

II Heinrich Esser, Thomas Riquiqui, ossia II matrimonio politico, Opera comica in tre atti op. 10 A giudicare dagli articoli che avevamo letto prima e dopo la rappresentazione di quest’opera dovevamo attenderci qualcosa di veramente straordinario. In uno si diceva fra l’altro che alcuni vedrebbero in questo giovane compositore un secondo Adam, altri un nuovo Boìeldieu, alcuni più esaltati un novello Mozart e Beethoven. In verità fra Adam e Beethoven ci sta molto nel mezzo, e il compositore stesso non avrà difficoltà a riconoscere di poter sostenere più facilmente il confronto col primo che non con il secondo. Non possiamo però far pagare al compositore un’esage­ razione dettata da un personale entusiasmo; la sua opera ci ha fatto un’impressione troppo precisa perché il giudizio sia falsato in partenza tanto da tale sopravvalutazione quanto viceversa dalla fredda accoglienza che a Mannheim è stata riservata a quest’opera. Ma prima di parlare della musica vogliamo dire qualcosa sul testo. Dobbiamo innanzitutto confessare che in esso troviamo ben poco di comico. Riquiqui, il protagonista dell’opera, un calzolaio di buon cuore, fa un matrimonio fittizio con la figlia della sua benefattrice per liberarla dalle mani dei sanculotti infuriati e alla fine della rivoluzione (francese) le rende la libertà restituendola al suo precedente promesso sposo: tutto ciò ci sembra nobile e magnani­ mo, ma non certo comico, e intorno a quel matrimonio fittizio gira l’intera opera, che per molti aspetti ci sembra un Portatore d’acqua trasferito in una sfera più bassa, e questa è un’opera che certo nessuno annovererebbe fra le opere comiche. L’unica figura buffa è quella di Barnabé; ma è troppo poco significativa per giustificare 929

l’appellativo di Opera comica. Perciò avremmo senz’altro preferito che tale denominazione non apparisse nel titolo, perché così com’è tutti si attenderanno qualcosa di diverso da ciò che poi riceveran­ no effettivamente. Per il resto il testo è elaborato con abilità, in particolare i dialoghi sono scritti in modo agile e vivace, come pure sembra che l’autore si trovi più a proprio agio con la prosa che non col verso. Per dare un’idea del carattere della musica possiamo definirla in generale pulita e spontanea. Palesemente Mozart aleggia di fronte al giovane compositore come ideale della Musa; nella legge­ rezza e nella grazia delle forme si vede soprattutto che quel Maestro ha trasmesso qualcosa nel sangue e nella vita del giovane artista. Ma anche la scuola francese non sembra del tutto lontana da lui, e ciò lo notiamo volentieri quando ci ricorda Boìeldieu, meno volentieri quando ci ricorda Adam. Così ad esempio specialmente il motivo in cui viene espressa l’idea fondamentale dell’ope­ ra: Arbeit, Frohsinn, leichtes Blut sind des Daseins hochstes Gut [Lavoro, letizia e cuor leggero sono il più alto bene dell’esistenza] potrebbe tranquillamente essere del compositore del Postilion,1 e confessia­ mo di averlo trovato un po’ volgare. E dunque quegli articoli che proponevano diversi confronti avevano tutti in parte ragione quando parlavano di un’influenza di Mozart, di Boìeldieu e di Adam sulla formazione del compositore; non ci è invece proprio riuscito di trovare nulla di beethoveniano, ma nemmeno viceversa abbiamo trovato i luoghi comuni italiani, il che aggiungiamo con piacere. I pezzi d’assieme ci sembrano le cose migliori dell’opera, e se è vero che proprio in essi si mostra il mestiere del compositore drammatico non possiamo non riconoscere che tale mestiere il Sig. E. lo possiede perfettamente. Con l’orchestra e sulla scena certe cose risalteranno ancora di più, ma anche la riduzione per canto e pianoforte ci dà elementi sufficienti per capire che il compositore possiede un deciso talento in questo senso. Si vede che questo non è il goffo tentativo di uno studente, ma è opera di un’abile mano che sembra quasi giocare con naturalezza. Per quanto riguarda l’elemento melodico dell’opera diremo

1 Cioè A. Ch. Adam (il titolo completo dell’opera è Le postilion de Longjumeau, 1836). [M.K.] 930

che esso si mantiene a metà fra il carattere francese e quello tedesco. L’opera non offriva peraltro particolari occasioni per manifestare una più profonda forza melodica. Quasi tutto si può cantare molto agevolmente, solo il tenore (Riquiqui) indugia spes­ so nel registro più acuto. I Cori sono tutti assai facili e saremmo tentati di definirli fin troppo miti considerando che si tratta di sanculotti dei primi momenti della rivoluzione francese. Da lodare sono però soprattutto la correttezza e la pulizia compositive che si manifestano in tutta l’opera da capo a fondo. Anche senza averla ascoltata con l’orchestra si può inoltre dire con sicurezza che quest’opera dovrebbe essere strumentata in modo eccellente, chiaro, semplice e naturale. Abbiamo dunque in ogni caso una nuova piacevole opera, e meritano una menzione particolare anche gli editori che hanno offerto al pubblico l’opera di un giovane talento nazionale in una veste editoriale pregevolissima. Pensando alla giovane età del compositore (deve avere appena compiuto ventiquattro anni) possiamo anche porre liete speranze nel suo futuro. Sarebbe ora che i compositori tedeschi smentissero il rimprovero loro mosso già da tanti anni, di aver cioè abbandonato il campo nelle mani degli italiani e dei francesi senza aver combattuto col debito coraggio. Ci sarebbe da dire una parola in proposito, anche ai poeti tedeschi!

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110.

JOHANN HUSS

Oratorio del dr. C. Loewe, su testo DEL PROF. DR. A. ZEUNE OP. 82

Ci rallegra Fattiva vitalità di quest’uomo di genio, vitalità di cui quest’opera ci dà nuova testimonianza. Il suo nuovo Oratorio si pone sulla stessa linea di tendenza delle precedenti composizioni di Loewe dello stesso genere; non è pensato per la chiesa (già in partenza, nel testo) e si colloca fra Opera e Oratorio, adatto perciò tanto alla sala da concerto quanto ad una festa musicale. Non abbiamo ancora la parola giusta per definire questo genere medio: con Opera spirituale si pensa a qualcos’altro, e anche Oratorio drammatico non coglie esattamente il senso. Da qualche parte è addirittura giunta qualche critica al genere in sé. Ma dovrebbero allora restare del tutto esclusi dalla musica personaggi come Huss, Gutenberg, come Lutero, Winkelried e altri eroi della fede e della libertà solo perché non sono adatti né totalmente per l’opera né totalmente per la chiesa? Mi sembra che Loewe abbia qualche merito nei confronti di questo genere, che, se pure non ha ancora offerto il capolavoro del secolo, non è però nemmeno un genere esaurito. Il puro Oratorio biblico non ne soffrirà minimamente e continuerà a trovare dei compositori ad esso interessati. Ma non possiamo che rallegrarci del fatto che la storia ci offra un gran numero di eminenti personaggi che, una volta utilizzati in senso musicale, ci permettono di aprire un nuovo campo di azione e di espressione. Loewe sembra profondamente persuaso di questa idea, tanto è vero che non abbandona la strada già intrapresa. Se su questa via egli non ha ancora ottenuto un brillante trionfo ciò non deve spaventarlo; un’opera può non riscuotere un immediato e travolgen­ te successo e pure essere ricordata poi in modo del tutto onorevole all’interno della storia dell’arte. A Loewe andrà sicuramente ricono­ sciuto il merito di aver collaborato all’apertura di una nuova strada. 933

Se solo l’avesse fatto nella prima fioritura delle sue forze virili o negli anni a cui dobbiamo la nascita delle sue fresche e vigorose Ballate! Ma chiaramente il processo di sviluppo di un artista può solo essere spiegato a posteriori, ma difficilmente a priori può essere indirizzato e predeterminato. Troppo fortemente intervengono spesso anche la vita e le particolari circostanze. Da operista Hàndel diventa compositore di Oratori; Haydn, tutto dedito alla musica strumentale, ci offre con la vecchiaia la Creazione, Mozart scrive un Requiem nel bel mezzo dei suoi trionfi operistici. Simili fenomeni possono trovare la propria origine nella più profonda e intima essenza dell’artista, ma sono poi la vita, l’ambiente, le circostanze che li portano a maturazione. Loewe, per servirmi di una metafora, è stato prematuramente gettato su un’isola solitaria. Ciò che avviene fuori, nel mondo, giunge a lui solo in termini di racconto lontano, come pure viceversa il mondo sente solo raramente sue notizie. Loewe è il re di quest’isola, la coltiva e 1’abbellisce perché la natura l’ha fornito di forze poetiche, ma per quanto faccia egli non può esercitare un grande influsso sul corso degli eventi mondiali: non può e forse non vuole nemmeno. Per cui Loewe è già quasi nel numero dei dimenticati, nono­ stante la sua attiva e continua produttività. Certo si cantano ancora le sue vecchie Ballate, e il suo Was ziehet und klinget die Strasse herauf lo si sente ancora cantato da qualche vecchio garzone; ma i suoi successivi e più impegnativi lavori sono a malapena conosciuti per il solo titolo. Ingiustamente, ma anche prevedibilmente. A questo punto devo dire una cosa, sia pur malvolentieri, e vorrei iniziare dalle parole di Goethe: Wer sich der Einsamkeit ergibt, ach, der ist bald allein 1 [Chi si consegna alla solitudine, ah!, costui è presto solo]. Una troppo lunga separazione dal mondo finisce per nuocere all’artista; spesso egli comincia ad assuefarsi a certe forme e manie­ re fino poi ad arrivare ad arenarsi in una situazione di stravaganza e di solipsistica fantasticheria. E fin qui potrebbe anche trovarsi a proprio agio. Ma se una sola volta risuona verso di lui un pubblico richiamo, un “attento, amico!”, allora egli cade in cupe elucubra­ zioni, comincia a nutrire dubbi su se stesso e alla pedanteria si

1 Wilhelm Meisters Lehrjahre, II, 13. È uno dei celebri Gesànge des Harfners, musicato da molti compositori, fra cui lo stesso Schumann. [G.T.] 934

associa allora il malumore, l’ipocondria, questa tremenda nemica della creatività. Siamo ben lontani dal voler riferire tutto ciò al caso di Loewe; ma il pericolo è presente. Se infatti il suo Huss presenta indubbia­ mente un certo numero di passaggi che testimoniano lo spirito ancora fresco ed elastico del loro creatore, è pur vero che ce ne sono altri in cui ci sembra di poter vedere le nefaste conseguenze di una posizione isolata o autoisolantesi. Esiste una pedanteria della semplicità che sta alla pura ingenuità artistica come la manie­ ra sta all’originalità. Quella può forse spesso essere assai gradita al profano, ma l’artista vuole sempre essere interessato sul piano musicale, e questa esigenza non sempre è soddisfatta da questo Huss. Forse il compositore stesso se ne è accorto; infatti talvolta cade neH’estremo opposto e ad esempio nella terza parte della sua opera introduce inaspettatamente una Messa canonica di grande complessità artistica. Noi vorremmo invece che egli riuscisse a trovare una linea media tra l’eccessiva semplicità e l’eccessivo artificio, ciò che si definisce un vero stile artistico. Ovviamente quest’ultima cosa è la più difficile da conseguire e, dato come premessa un grande talento, è comunque il risultato di molti studi, esperienze interiori e di rapporto con gli altri. Possa il genio tutelare del compositore essere benigno nei suoi confronti e gui­ darlo su questa strada; ma anche quello non può nulla da solo; c’è bisogno di un incessante impegno, un severo controllo delle energie e volontà ferrea sin nella più tarda età. Daremo ora una giustificazione delle opinioni prima espresse avvicinandoci di più all’Oratorio in sé e dobbiamo innanzitutto esprimere un grazie al poeta (sicuramente anche a nome del compositore) per il suo talento. E uno di quei testi belli da leggere anche senza musica in virtù della ricchezza delle idee, dell’uso puro e nobile della lingua tedesca, della naturale disposizione complessiva. Chi troverà una sola cosa da criticare, un solo verso impacciato, costui può andare a prendere i suoi testi direttamente dagli dèi. Noi stimeremmo fortunatissimi quei compositori che avessero sempre da musicare testi siffatti. La trama dell’azione possiamo darla per nota; carattere e atteggiamento dei personaggi secondari potranno dedursi da ciò che segue. L’Oratorio inizia con un’introduzione, la quale, non straordi­ nariamente interessante dal punto di vista musicale, introduce 935

però in modo adeguato il Prologo. Nel quale Prologo si racconta in brevi parole il senso dell’azione e l’epoca in cui si colloca. Tali parole sono dal compositore affidate al coro solo in modo assai semplice ma originale. Dopo questo Coro incontriamo subito un passaggio come se ne trovano di simili in tutto l’Oratorio, forse fin troppo spesso: sono le cosiddette Sequenze. Ne parliamo qui subito (esprimendo la nostra perplessità in proposito) in quanto presen­ tarle poi una per una ruberebbe troppo spazio. Con il successivo piccolo pezzo in la maggiore viene anticipato un Coro successivo, il quale, comparendo già qui, finisce poi per apparire privo di senso e di efficacia. Il n. 1 è un Coro di studenti liceali e universitari di Praga che esprimono la gioia di studiare. Il numero è facile e caratteristico, ma sul piano formale è di una facilità quasi dilettantesca. Gli manca, per essere definito artisticamente valido, un’approfondita cura del dettaglio e una raffinata elaborazione, e inoltre troviamo in esso anche questo passaggio assai duro:

Nel n. 2 entra Hieronymus, un amico di Huss, e annuncia che quest’ultimo è stato convocato davanti al Concilio di Costanza. Che Loewe sappia trattare il Recitativo in modo eccellente è cosa che già si sa dai suoi lavori precedenti. Questa lode vale per tutti i recitativi dell’Oratorio. Il Coro successivo: Huss, zieh* nichtfort [Huss, non andare via] ha un tema assai vivace. La trattazione complessiva ci sembra però superficiale. N. 3. Compare Huss e dà spiegazioni. Hieronymus lo ammoni­ sce:

Zu stark, o Huss, hast du die Klerisei, Ob ihrer Ùppigkeit und Tyrannei, 936

Ob schnòden Ablasskrames angeklagt, Sie wird dir’s nimmermehr vergeben...

[Troppo aspramente, o Huss, hai accusato il clero Per il suo sfarzo, la sua tirannia, Per l’abbietto traffico delle indulgenze: Non te lo perdoneranno mai...] L’Aria (basso) è ottima; solo nei confronti di passaggi come quello che segue:

abbiamo qualcosa da eccepire: ricordano troppo l’epoca codina di uh Graun. Riportiamo anche la conclusione in quanto questa discesa della voce verso il grave alla fine del brano sembra essere un procedimento assai amato dal compositore,2 che però non vorremmo quantomeno vedere ripetuto troppo spesso. Il n. 4 ci presenta il bel Corale Was mein Gott will, das g’scheh’ allzeit [Sia sempre fatta la volontà del mio Dio]. E assai raffinato e per così dire preso dalla vita reale il fatto che Huss intoni dappri­ ma da solo il primo periodo. In simili piccoli tratti si rivela il vero talento. Nel n. 5, dopo un Recitativo di introduzione, Wenzel, Sofia e Huss cantano insieme in un Terzetto. Huss attacca il papismo. Nel Terzetto essi si uniscono in una lode della fede, dell’amore e della speranza. La forma del testo poetico avrebbe offerto qui al musici­ sta l’occasione di realizzare un completo intreccio delle voci, ma è un’occasione che egli si è lasciato sfuggire. Il ritorno da lat mag­ giore a mit a pag. 36 ci sembra addirittura imperfetto nella

2 [R.S.] Lo troviamo anche alia fine del n. 9, dei n. 12 e dei n. 17.

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realizzazione. I puristi più severi avranno qualcosa da dire su questo passaggio:

ma a nostro parere il peggiore peccato non è fare queste concate­ nazioni, bensì agire in modo pedantesco e con pigrizia d’animo nelle cose dell’arte, come assai spesso invece appunto fanno coloro che armonizzano tutto come un semplice basso continuo. La seconda parte inizia con un Coro di Zingari, dal quale ci saremmo attesi di più. Bel suono e grazia non dovrebbero mai mancare, anche quando a cantare sono degli Zingari. Weber ha saputo fare di meglio nella Preziosa. Invece dev’essere di assai maggiore efficacia il n. 7, dove fra le voci degli Zingari si sente in lontananza il Coro degli Ussiti. Nel Coro degli Zingari del n. 8 scompare il precedente caratte­ re zigano; ci sembra addirittura banale, basato com’è quasi esclusi­ vamente su tonica e dominante. Quando più sopra abbiamo parlato di passaggi in cui ci sembrava di vedere l’isolamento del compositore pensavamo appunto ai cori come quello di questo numero. Nel n. 9 gli Ussiti chiedono quale sia la strada per Costanza. Una zingara cerca di dissuaderli dal viaggio in un’aria che ci dice poco e che ci sembra malriuscita tanto sul piano melodico quanto su quello formale. Così almeno basandoci sulla riduzione per canto e pianoforte. Forse con l’orchestra sembrerà migliore. N. 10. Huss non mostra alcuna paura; l’imperatore Sigismon­ do gli ha anche promesso un salvacondotto. Il Coro ne ride: Freies Geleit? [Salvacondotto?] e poi Sigemund Lùgemund [Sigismondo, bocca mentitrice]; ambedue gli sfoghi del Coro sono molto brevi; nel secondo l’ingresso dei bassi sulla dominante non ci sembra particolarmente buono. N. 11. Su una musica assai espressiva Huss congeda gli amici che l’hanno accompagnato. 938

Un. 13 è una ripetizione quasi letterale del Coro del n. 6. Gli Zingari se ne vanno. Il mi che trascolora nel re (alla fine, pag. 64) sembra un suono ripreso direttamente dalla natura. Idee simili vengono solo a una mente poetica. Nel n. 14 troviamo innanzitutto l’indicazione “Amena valle prativa” quale luogo dell’azione. E ciò è abbastanza strano, in quanto l’Óratorio non è certo destinato ad una rappresentazione scenica. Sembra tuttavia del tutto lecito venire in aiuto della fantasia dell’ascoltatore per mezzo di siffatte indicazioni. La musi­ ca rappresenta chiaramente quel luogo con un sereno la maggio­ re. Huss, giunto in una valle abitata da pastori, chiede a costoro un sorso di latte. Chlum lo mette in guardia daH’avvelenamento. Ciò avviene nella musica in modo assai ben caratterizzato nel Duetto fra Huss e Chlum (pag. 67). Le successive parole del pastore:

Auch euch, o Herr, verleih’ Gott Heil und Gluck! Ihr mògt wohl wandelnjetzt aufschweren Wegen...

[Dio conceda anche a voi, o signore, salute e fortuna! È possibile che ora voi dobbiate percorrere strade difficili...]

per quanto musicate dal compositore in modo assai espressivo, le avremmo volute vedere composte da un Beethoven: qui si sarebbe potuto raggiungere un più profondo grado di commozione. Il numero successivo inizia con le parole del Salmo: Der Herr ist mein Hirte [Il Signore è il mio pastore] e in esso spira il giusto carattere, ma nel complesso si rimane troppo a lungo fermi nella tonalità di la maggiore. Il Coro conferisce poi maggiore vivacità al pezzo. Come già la prima parte, anche la seconda si conclude con toni molto sommessi. Nella terza parte siamo trasportati a Costanza. Barbara, la moglie dell’imperatore Sigismondo, prega il marito di concedere la grazia a Huss. Ma l’imperatore rifiuta. Si ode uno scampanio, rappresentato in musica dalle consuete quinte. La successiva Aria di Barbara: Augen sind der Seele treuer Spiegel [Gli occhi sono il fedele specchio dell’anima] è assai espressiva, anche se non parti­ colarmente nuova. Assai più significativo sul piano musicale e caratterizzato da una bella tinta appassionata ci sembra invece il successivo Duetto. Segue ora, sotto l’indicazione di Missa canonica, quel brano di 939

grande complessità artistica di cui avevamo parlato prima rilevan­ do come esso si ponga quale estremo opposto rispetto alla sempli­ cità predominante in tutto l’Oratorio. Comunque sia, brani siffatti van sempre a onore di ogni musicista. La forma è quella di un doppio canone alla quinta sotto. Ricordiamo una forma simile (ma chiaramente ancora più artisticamente raffinata) nella Passione secondo Giovanni di Bach, sulle parole Kreuzige. Il n. 20 ci presenta la scena dell’accusa. La successiva Aria di Huss ci sembra una delle cose più significative di tutta l’opera. Rassegnazione alla volontà del cielo e orgoglioso disprezzo nei confronti dei suoi persecutori sono i tratti fondamentali di questo brano appassionato ed energico. Ancora una volta egli canta il suo Corale, già intonato nella prima parte, e seguono poi un Coro (assai meno brillante) e la scena con il contadino che porta un particolare pezzo di legno per il rogo. Segue a questo punto il notissimo 0 sancta simplicitas di Huss che il compositore ha messo in musica in modo assai ispirato. Ci sarebbe piaciuto aver potuto ascoltare con forchestra il brano successivo, il Finale: dev’essere di straordinario effetto, soprattutto là dove Huss intona il Miserere mei Domine in mezzo al Coro degli Spiriti delle Fiamme, concludendo poi con voce sem­ pre più fioca sulle parole non confundar in aetemum. Ci sembra che il compositore abbia lavorato con particolare entusiasmo a questo pezzo e vorremmo definirlo la degna corona di tutta l’opera. Abbiamo fatto il possibile per dare una valutazione la più completa possibile compatibilmente col fatto che ci potevamo basare solo sulla riduzione per canto e pianoforte. Il mondo già da tempo conosce ed apprezza l’abilità di questo compositore, ma le vie per esprimere tale abilità sono molte: Loewe ne ha scelto una assai difficile. Voglia il cielo che su questa via egli non perda le proprie forze; ma se anche ciò fosse, a lui rimane comunque il merito di aver combattuto in prima fila per il conseguimento di una nuova meta. Concludiamo con questa affermazione che già avevamo espresso all’inizio dell’articolo e rivolgendo all’artista i nostri migliori auguri per la sua futura attività.

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111. MUSICA PER PIANOFORTE

È parecchio tempo che la rivista non recensisce composizioni per pianoforte; nonostante la grande massa di lavori che giornal­ mente vien scritta per questo strumento non abbiamo potuto osservare niente di particolarmente nuovo. I Maestri della penul­ tima epoca sono in parte scomparsi, in parte tacciono ormai definitivamente; quelli deH’ultima epoca o proseguono ostinatamente sulle loro posizioni, posizioni che abbiamo ampiamente descritto su queste pagine, oppure sono addirittura regrediti. Accanto ad essi crescono rigogliosamente le solite erbacce di sempre; va rilevato però che il trifoglio Czerny, Herz e Hiinten ha perso molto del favore che godeva presso il pubblico. Non ci sarà dunque molto da estirpare, se escludiamo una certa letteratura da biblioteca ambulante: ma questa, in una rivista d’arte, non merita niente di più che un fuggevole accenno alla sua esistenza. Un nuovo, vero talento artistico che dedichi le proprie forze al piano­ forte non è ancora apparso; più avanti accenneremo ad alcune nuove apparizioni assai soddisfacenti o che quantomeno alimenta­ no ben fondate speranze. Fra i compositori pianistici della penultima epoca di maggiore nome gli unici che continuano a scrivere, a parte Cramer (che in realtà appartiene ad un’epoca ancora anteriore e che però ultima­ mente è di nuovo tornato alla ribalta con alcune nuove composi­ zioni) 1 sono Moscheles e Kalkbrenner. Il primo ci ha dato, con la sua Romanesca,12 una presa in giro di quello pseudoromanticismo 1 [R.S.] Purtroppo non abbiamo ancora potuto esaminare la più significativa fra queste (una raccolta di Studi a quattro mani). 2 [R.S.] Opera 104.

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che in realtà ha la sua sede più adatta nel grande Teatro dell’Opera di Parigi, ma che si è infiltrato anche nella musica pianistica, ha passato il Reno e si è spinto fino a noi: una deliziosa presa in giro, il cui senso è stato talvolta frainteso, sì che taluni hanno pensato che Fautore stesso fosse da annoverare fra quei pazzi che al contrario egli voleva solo dipingere. È una cosina abbastanza allegra e merita che la si conosca. Un altro pezzo del medesimo composito­ re (ma stavolta serio) è una Serenata,3 la quale nuovamente dimo­ stra che l’autore non è rimasto estraneo al movimento dell’ultima epoca pianistica, anche se con ciò non possiamo considerare quest’o­ pera fra le sue più riuscite. Il nome del Signor Kalkbrenner lo troviamo ormai solo su Fantasie su temi di opere predilette a Parigi; sono composizioni sulla cui forma e sui cui scopi non c’è molto da dire. Una curiosità è rappresentata dalle Variazioni di bravura dell’anziano F. D. Weber,4 direttore del Conservatorio di Pra­ ga. A nostro parere questo pezzo va preso come un amabile capriccio di questo anziano compositore: ci fa solo sorridere che alcuni critici tedeschi siano caduti in estasi di fronte a quest’opera annunciando a gran voce che in essa era da vedere il vero stile di bravura classico. E un pezzo d’occasione come cento altri e di vera musica non è neppure il caso di parlare: il tema, a nostro parere, non è decisamente dei migliori e in particolare l’armonia fra la terzultima e la penultima battuta è addirittura antimusicale. Con­ cordiamo senz’altro sul fatto che l’opera nel suo complesso sareb­ be assai più efficace nella versione originale (che, come leggiamo in una nota, prevedeva l’accompagnamento orchestrale e nume­ rosi ritornelli). E questi erano i compositori, fra quelli meno giovani e di maggiore nome, che ultimamente ci hanno offerto composizioni pianistiche: come si vede, la scelta non è molto ampia. Fra i compositori dell’ultima epoca attivi nel campo della musica pianistica dobbiamo purtroppo lamentare l’assenza (che dura da più di un anno) di Mendelssohn. Le sue ultime opere sono state il 4° fascicolo di Romanze senza parole e un ciclo di Variazioni compreso nell’album dedicato a Beethoven: di ambedue le com­ posizioni si è già parlato sulla rivista. Purtroppo anche W. Taubert 3 [R.S.] Opera 103. 4 [R.S.] Pubblicate a Praga, da J. Hofmann.

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se ne sta in ozio a Berlino: la fecondità delle sue prime opere lasciava presagire un seguito più ricco. Possiamo solo sperare che per essi, come anche per altri compositori, questo periodo di stasi inventiva sia solo una parentesi. Una grande vivacità d’ingegno troviamo come sempre in alcune composizioni di Chopin: sono un Allegro da concerto (op. 46), una Ballata (op. 47), 2 Notturni (op. 48) e una Fantasia (op. 49) e, come tutte le composizioni di Chopin, si riconoscono come sue al primo istante. L1Allegro da concerto ha in tutto e per tutto la forma di un primo movimento di Concerto ed è certo stato scritto originariamente con accompagnamento d’orchestra. In questo pezzo, peraltro ricco di passaggi virtuosistici nuovi e brillanti, ci sembra che manchi una bella parte centrale cantabile: così com’è, il discorso procede in modo troppo inquieto; si sente il bisogno di un successivo movimento lento, di un Adagio: d’altronde un simile impianto formale fa sì che ci attendiamo un intero Concerto in tre movimenti. Sviluppare al massimo l’autonomia del pianoforte così che non ci sia bisogno dell’orchestra è un’idea assai cara ai più giovani compositori pianistici e che deve aver influenzato in qual­ che modo anche Chopin nella composizione del suo Allegro nella forma attuale; questo nuovo tentativo non fa che riconfermare le difficoltà insite in tale idea, anche se ciò non significa che la si debba accantonare del tutto. Di ben più alto livello rispetto Allegro ci sembra la Ballata, la terza di Chopin, che si differenzia sensibilmente dalle sue prece­ denti quanto a forma e a carattere ma che, come quelle, va annoverata fra le sue composizioni più originali. In essa si ricono­ sce perfettamente la squisita genialità del polacco abituato a muo­ versi nei più nobili ambienti della capitale francese; l’afflato poeti­ co che da essa spira rende impossibile un’analisi dettagliata. I Notturni, nel loro carattere di grazia malinconica, fanno coerente seguito ai precedenti di Chopin. Principalmente il secon­ do saprà parlare a molti cuori. Nella Fantasia incontriamo di nuovo l’ardito e impetuoso compositore che già in tante occasioni avevamo conosciuto; in essa troviamo una grande quantità di singoli passaggi geniali, mentre l’opera nel suo complesso non si è voluta sottomettere ad una forma bella. Possiamo solo fare delle congetture su quali fossero le immagini che Chopin aveva dinanzi a sé intanto che la scriveva: certo non dovevano essere immagini liete. 943

W. Sterndale Bennett ha pubblicato, dopo i suoi affascinanti Diversions, già in passato recensiti sulla rivista, una sola composi­ zione per pianoforte, dal titolo Suite de Pièces:5 ma questa sola è sufficiente a rinnovare la nostra stima per il suo meraviglioso talento. Il fascicolo comprende sei pezzi di carattere quasi identi­ co, che nel loro complesso forniscono una sicura testimonianza della purissima forza creativa del loro autore, della sua capacità di portare tutto a compimento quasi per scherzo e per gioco. Non è tanto la profondità e la grandiosità di pensiero che qui ci colpisce stimolando in noi idee e riflessioni, quanto piuttosto lo spirito affinatamente giocoso, quasi da elfi, che lascia nel nostro cuore le sue piccole, ma profonde tracce. Con ciò non si vuole dire che Bennett è un grande genio, ma è certo che del genio egli ha molto. In questi giorni, così saturi di tanta musica sgradevole, in cui si esalta dissennatamente e oltre misura Festeriorità tecnicistica, non può che farci doppiamente piacere quella grazia naturale, quella tranquilla profondità di sentimento insite nelle composizioni di Bennett. Non abbiamo alcun dubbio che questo genere di musica, così come le tendenze compositive (più elevate o inferiori) di analoga impostazione, si faranno sempre più strada, e che, per quanto poi diversi potranno essere i giudizi sui loro singoli espo­ nenti, la storia dell’arte, quella che tenta di ricollegare fra di loro le manifestazioni artistiche più ricche e spiritualmente più profonde, occupandosi del nostro periodo non potrà che collocare queste correnti compositive in una posizione ben più elevata rispetto a ciò che oggi viene esaltato per moda o per un capriccio della sorte. Molto è già stato fatto; e fra i compositori di quella nobilissima e straordinaria corrente anche Bennett merita un posto d’onore. Se solo egli scrivesse di più! Sembra però che egli stesso si renda conto di muoversi su un terreno molto ristretto e che qui non potrà rimanere per sempre: se pure, infatti, come s’è detto prima, amiamo i giochi degli elfi, assai più amiamo, però, le gesta virili, per poter compiere le quali il piccolo campo offerto dal pianoforte ci sembra troppo limitato: per tali gesta è necessaria un’orchestra, una scena. Ma ci stiamo allontanando troppo dalla nostra compo­ sizione, la quale tornerà sempre e comunque a onore del suo autore, qualunque sia poi il suo futuro. Parlando di lui, un esito

5 [R.S.] Opera 24.

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formale imperfetto o cose simili sono discorsi che nemmeno esisto­ no: inizio, sviluppo e conclusione del pezzo, tutto in lui prende forma in modo magistrale. Già varie volte si è sottolineata la somiglianza delle sue composizioni con quelle di Mendelssohn; ma credere, dicendo così, di aver esaurientemente definito il suo carattere sarebbe una grave ingiustizia nei confronti di Bennett e una dimostrazione di incapacità di giudizio. Fra i vari Maestri delle varie epoche vi sono sempre state certe somiglianze: in Bach e in Hàndel, così come in Mozart, in Haydn e nelle prime composizioni di Beethoven, vediamo una comune aspirazione, spesso rilevabile anche a livello esteriore, quasi come se volutamente essi si richia­ massero l’uno all’altro. Nessuno definirebbe mai tale simpatia di un nobile spirito nei confronti di un altro con il termine imitazione: qualcosa di simile sussiste anche nel rapporto di Bennett con Mendelssohn. Opera dopo opera, comunque, Bennett ha svilup­ pato la propria personalità in modo sempre più originale, e nella composizione di cui ci occupiamo solo l’analogia deH’impostazione artistica generale potrebbe, come s’è detto, ricordare in qualche modo Mendelssohn. Talvolta pensiamo piuttosto a Maestri più antichi, Maestri con cui il compositore inglese sembra avere una certa familiarità: lo studio di Bach e (fra i compositori pianistici) di D. Scarlatti, autori prediletti da Bennett, non è certo rimasto privo di influssi sulla sua formazione, ed egli ha certo avuto ragione a studiarli; chi vuole diventare un Maestro, infatti, lo può diventare solo imparando dai Maestri (anche se certo non vogliamo mettere sullo stesso piano Scarlatti e Bach). Tra i singoli pezzi della Suite (questa antica, bella parola) non sapremmo a quale dare la nostra preferenza. Ognuno sceglierà secondo il proprio giudizio. I più originali ci sembrano il 2° numero, nella sua particolare e {raffina­ tissima forma, e il 4° per quel suo carattere fantastico. Come St. Bennett, così anche Adolph Henselt è purtroppo stato negli ultimi anni poco fecondo. Può darsi che egli fosse trattenuto solo da cause esterne; non è infatti possibile che una sorgente che aveva cominciato a zampillare in modo così fresco e lieto si sia inaridita così rapidamente. Il suo ultimo pezzo per pianoforte solo si intitola Tableau musical;6 ad una melodia popola­ re di carattere russo-boemo segue un tema campagnolo, e i due

6 [R.S.] Operaie.

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motivi tornano successivamente a incontrarsi con incantevole grazia; c’è un quadro in cui si vede qualcosa come una banda di zingari che si mescola a una folla di moderni contadini: può darsi che il compositore avesse in mente qualcosa di simile, e almeno il titolo giustifica in parte tale ipotesi. La composizione dà un’im­ pressione quasi pittorica di serenità ed è pervasa da quella bella eufonia che caratterizza tutte le opere di questo artista. Dei celebri virtuosi che di recente hanno scritto per il pianofor­ te citiamo per primo S. Thalberg, il quale, a parte la sua 2° Fantasia su temi dal Don Giovanni, che si differenzia di poco dalle altre sue Fantasie, ha pubblicato sotto il titolo Thème originai et Étude 7 uno dei suoi pezzi di più grande effetto: lo stesso pezzo con cui egli ultimamente ha riscosso entusiastici successi in tutti i suoi concerti. Il suo fascino consiste innanzitutto nell’elegante grazia del tema che, come ha detto qualcuno, assomiglia a un canto di mulattieri italiani, il che potrebbe anche in un certo senso valere per lo stile melodico, assai particolare, di tutta l’opera nel suo complesso; ma ciò che colpisce maggiormente il pubblico è pur sempre quella variazione iridescente, in cui davvero vien fatto di domandarci come possa l’esecutore avere tutte quelle dita. Invece lo Studio sembra all’ascolto assai più difficile di quanto sia in realtà. Se questa composizione avesse un’introduzione un po’ più ricca di sostanza e una conclusione un po’ meno breve sarebbe davvero degna di una lode incondizionata. Ma per il pubblico va più che bene così com’è. Liszt ha pubblicato di recente, a parte alcune Fantasie su temi d’opera, il suo lavoro finora più ampio e, crediamo, anche il più significativo: il suo Pèlerinage, che occuperà tre grossi volumi. Abbiamo potuto vedere solo il primo volume e rimandiamo il nostro giudizio a quando avremo conosciuto l’opera completa, e allora la recensiremo in un articolo ad essa espressamente dedicato. Fra i più giovani compositori che già si sono segnalati in altri generi compositivi ma che, per quanto ne sappiamo, per piano­ forte hanno pubblicato poco o nulla, dobbiamo ancora citare O. Nicolai e Julius Rietz, dei quali abbiamo davanti a noi due composizioni pianistiche. E poiché siamo sempre alla ricerca so­ prattutto di nuove sonate non poteva che rallegrarci già il solo

7 [R.S.] Opera 45.

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titolo della composizione di Nicolai, che è appunto una Sonata. 8 Questo compositore è stato molto attaccato per le sue simpatie italiane; non sappiamo niente delle opere teatrali da lui scritte in Italia, ma in questa Sonata di buon sangue tedesco ne scorre a sufficienza. O che abbia tanto potere sulla sua penna da poter scrivere oggi in stile italiano e domani in un altro stile? Sarebbe una capacità assai pericolosa, un’abilità di cui già Meyerbeer è caduto vittima. Ma, come già detto, conosciamo troppo poco delle composizioni del Sig. Nicolai per arrischiare un giudizio. La Sonata manifesta comunque la propria appartenenza alla stirpe tedesca, e in particolare dimostra che l’autore possiede una gran­ de facilità inventiva e di realizzazione; se pure quella non è partico­ larmente profonda e questa non staordinariamente ricca sul piano artistico, il pezzo incanta tuttavia per altri pregi, ad esempio per il suo carattere sveglio e vivace che non si perde a meditare sui particolari mirando invece all’effetto generale, il che riesce assai bene a questo compositore. La cosa meno riuscita ci sembra l’ultimo movimento: in esso il tempo cambia troppo spesso, e ciò potrebbe essere accettabile solo suonandolo con grande spirito. Particolarmente ben riuscito è invece il primo movimento, altret­ tanto lo Scherzo e soprattutto il Trio. Il compositore ha scelto come motivo principale dell’Adagio una melodia popolare svede­ se (certo una delle più belle); non siamo però riusciti a vedere una connessione fra questa e il resto. Julius Rietz, che si è guadagnato una notevole fama con le sue due Ouvertures, debutta come compositore pianistico con uno Scherzo capriccioso.9 Si è già parlato della sua simpatia per lo stile di Mendelssohn, cosa che ha disturbato anche noi in alcuni punti delle sue composizioni. E difficile spiegare perché certe remini­ scenze ci disturbano più in certi compositori che in altri (vedi ad esempio Bennett): forse ciò dipende dal fatto che in alcuni casi i rispettivi naturali caratteri del modello e dell’imitatore sono poco imparentati fra loro, sicché gli elementi che vengono ripresi suo­ nano estranei nel secondo, mentre ciò non succede nei casi in cui (come appunto in Bennett e Mendelssohn) i due caratteri sembra­ no possedere delle somiglianze innate. Comunque sia, il composi-

8 [R.S.] Opera 27. 9 [R.S.] Opera 5.

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tore di cui stiamo parlando, senz’altro un compositore di grandis­ simo talento, possiede sufficiente cultura e un carattere decisa­ mente spiccato, e potrebbe perciò, prestando solo un po’ più di attenzione, evitare tali reminiscenze. Del resto proprio questo Scherzo ricorda poco lo stile mendelssohniano: è troppo ipocon­ driaco, troppo diffidente, se così possiamo esprimerci. Dietro la scarsa gaiezza d’umore del pezzo si nasconde comunque un eccel­ lente musicista, a cui auguriamo di essere felice nella sua arte così come ora ne è padrone. Abbiamo davanti a noi ancora una serie di composizioni i cui autori hanno nomi poco o per nulla conosciuti: le abbiamo giudi­ cate le cose maggiormente degne di nota fra una bella montagna di nuove pubblicazioni. Julius Schapler, il cui Quartetto, che ha meritato un premio, abbiamo già avuto occasione di definire una significativa composi­ zione, ci ha di recente offerto una Fantasia capricciosa. Serbando, ancora fresco nella memoria, il ricordo della positiva impressione che ci aveva fatto tale Quartetto ci siamo accostati con gioia a questa nuova composizione, ma stavolta siamo rimasti delusi. Il titolo può scusare molto, ma non tutto. Nella Fantasia sentiamo la mancanza di una vera buona idea musicale e di quel filo interiore che pur sempre deve essere percepibile, dipanandosi come una linea luminosa anche attraverso un lavoro ispirato ad un fantastico disordine, se questo vuole godere di una certa considerazione nell’àmbito artistico. Chiaramente con il suo pezzo il compositore voleva esprimere qualcosa; ma che cosai Questo non lo dice. In effetti verso la fine appare improvvisamente, stavolta chiaramen­ te, come se sbucasse dalle nubi, la Luna, cioè un Andante che reca questo titolo. Ma ciò che precede è difficile da comprendere: ci manca la chiave per la soluzione dell’enigma. Sospettiamo perciò che il compositore volesse rappresentare un qualche avvenimento tralasciando però di fornire qualche traccia interpretativa al fine di lasciar agire la musica nella pienezza del suo mistero. Ma con ciò ha finito per nuocere a se stesso e alla propria opera, in cui noi, per così com’è, non siamo riusciti a trovare alcun motivo d’interesse. La musica è troppo chiusa in se stessa, e per capirne il significato sarebbe stato necessario che il compositore indicasse chiaramente con delle parole le immagini che aveva dinnanzi a sé, così come aveva fatto con la Luna. Va comunque rilevato che non è mai un buon segno che una musica necessiti di un titolo: ciò significa 948

sicuramente che non è nata da un profondo impulso interiore e che anzi è stata creata sulla base di mediazioni esteriori. Chi negherebbe mai che la nostra arte abbia molte possibilità espressi­ ve, che possa anche seguire a suo modo lo svolgersi di un avveni­ mento; ma per verificare l’efficacia e il valore di un’opera nata con tale intenzione non c’è che da fare una prova, assai facile: cancella­ re i titoli. Il Signor Schapler l’ha fatto; ma il risultato della prova è stato per lui negativo. Cionondimeno consideriamo la sua opera fra le composizioni degne di nota: se così non fosse non sarebbe nemmeno stata accolta su questa rivista. Anche nelle cose malriu­ scite si può spesso riconoscere il talento, ed è innegabile che di talento questo compositore ne possieda. Un grazioso ed elegante ciclo di Studi ci è offerto da S. Goldsch­ midt; 10 sulla base di queste prove del suo talento, le prime che di lui ci capita di vedere, si può capire che egli appartiene anima e corpo ad una delle più recenti tendenze compositive, ma si tratta di una delle più nobili fra queste. Egli sembra recare Chopin nel proprio cuore, ma ciò non gli impedisce di manifestare anche alcuni tratti originali; a nessuno sfuggirà quel carattere giovanil­ mente fantastico che pervade tutti i suoi pezzi. Dobbiamo anche riconoscergli una buona preparazione. Una sua particolare predi­ lezione è quella di muoversi in tonalità strane: a parte un solo Studio, tutto il fascicolo è in ret e in fa |. Speriamo che in futuro egli voglia degnarsi di scendere anche in tonalità più umane: un giovane compositore che fin da subito pretende che per avvicinar­ si a lui uno si debba districare fra 5 o 6 alterazioni in chiave dovrà aspettare molto tempo prima di giungere a una pubblica fama. Il problema sostanziale è comunque che egli serbi la propria naturalezza, dopo di che può scrivere nella tonalità che vuole. Noi non abbiamo alcun dubbio che il Signor Goldschmidt possa in futuro creare cose ancora più belle e significative: la sua opera ci fa nutrire molte speranze in tal senso. Comunque possiamo dire che di lui preferiamo i pezzi più delicati: nei più vigorosi egli è meno autonomo. Alcuni luoghi comuni (procedimenti cromatici, ecc.) avremmo preferito che fossero eliminati; si ricordi sempre della frase: “Solo le cose migliori potranno durare”. Un’altra raccolta di Studi di un certo pregio è stata di nuovo

1 ° [R.S.] Six Études de Concert op. 4

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pubblicata da H. F. Kufferath; 11 la sua prima raccolta è già stata recensita su queste pagine in termini lusinghieri. Anche questi Studi appaiono ad un primo sguardo come creature di un periodo giovanile: riconosciamo quel modo di disporre le note, in cui arpeggi volanti sembrano avvolgere una placida melodia. In que­ sto stile il compositore ci offre anche alcune cose eccellenti; ma non ecceda in questo atteggiamento compositivo; esso porta facilmen­ te al manierismo. Bach ha scritto 30 Esercizi o Variazioni, ciascuno dei quali ha una sua diversa fisionomia: e ciò avveniva già 100 anni fa; fare così era una sua precisa necessità e forse oggi non capireb­ be come mai 9/10 dei compositori odierni scrivono le proprie Variazioni e i propri Studi tutti nello stesso stile. Di questi il Signor Kufferath è certamente fra i migliori; ma talvolta è necessario ricordare ai giovani il comportamento degli anziani, che in molti casi non rifuggivano certo dalle difficoltà. Prescindendo da questa esigenza, peraltro forse troppo elevata, di varietà e di molteplicità d’aspetti, la raccolta di Studi di Kufferath offre comunque, come già s’è detto, molte cose pregevoli. La bravura e la sicurezza tecnico-esecutiva del compositore si manifestano anche nelle sue opere. Dal punto di vista formale questi pezzi sono generalmente ben riusciti, anche se purtroppo spesso è da rimproverare una certa prolissità. Il gioco figurale ci sembra trattato con cura e delicatezza, ciò soprattutto nel 4° e nel 5°. Ricco di tratti raffinati è anche il 3°. L’aumento di tensione ottenuto, nei numeri più brillanti, accumulando i passaggi di bravura uno dopo l’altro non potrà mancare l’effetto. La maggior parte di questi Studi è adatta all’esecuzione pubblica, e anzi la merita più di tante composizioni insulse di celebri virtuosi. Stephen Heller ci ha offerto, con uno Scherzo 12 e un Capriccio, 13 nuove prove del suo geniale talento. Particolarmente felice ci sembra lo Scherzo: molto spiritoso e di forma artisticamente elabo­ rata; dall’inizio alla fine ci sembra di sentire accanto a noi un vivacissimo ed amabile spiritello che, come sa scherzare e diverti­ re, così sa anche spesso tirar fuori un’idea profonda. E se ci sembra che non tutto sia sgorgato da una fantasia liberamente creativa, non tutto sia spontaneamente fluito dall’intimo dell’anima e piutH [R.S.] Opera 8. 12 [R.S.] Opera 24. 13 [R.S.] Opera 27.

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tosto sia stato ricercato sullo strumento, a maggior ragione dob­ biamo augurarci che l’artista riesca a trovare il tempo e la voglia per scrivere anche per orchestra, affinché la sua notevole intima sensibilità musicale possa sempre più liberarsi dalle costrizioni tecniche, il che non è facile per chi sia abituato a comporre direttamente sullo strumento. Tutte le composizioni pianistiche di Heller recano indizi di un futuro, notevole compositore orchestra­ le; senza grandi variazioni potrebbero essere efficacemente stru­ mentate; si sente che qua egli pensava ai violini, là ai corni, ecc. Sarebbe un peccato che Parigi e la vita che là si conduce, una vita che ruba molto tempo, ci rovinassero un compositore orchestrale cui la natura ha donato tanto notevoli capacità. Certo, se H. si dedicasse alla composizione orchestrale i pianisti avrebbero qual­ che piacere di meno: è gradevole, infatti, ristorarsi dopo certa indegna paccottiglia virtuosistica alle ben più solide immagini sinfoniche che spesso emergono dalle composizioni di Heller. Ma scambieremmo volentieri tale piacere in cambio del piacere ben più ricco che sa offrirci un’orchestra in grado di darci tutte le possibili sfumature; il suo talento e il livello musicale che egli ha già raggiunto ci dicono che egli col tempo diventerà padrone anche di questo genere compositivo. Prescindendo da questo augurio, dobbiamo comunque convenire che lo Scherzo è troppo geniale e ricco di spirito per lasciarci insoddisfatti. Certo la sua musica, questo tipo di musica in generale, non vuole né può essere per tutti: per comprenderla, per amarla, non basta una cultura da dilettanti, e nemmeno è sufficiente una semplice cultura musicale. In questo giocoso umorismo si sente l’eco di qualcosa di più di una mera esperienza musicale. Chi comprende Shakespeare e Jean Paul comporrà certo in modo ben diverso da chi deve tutta la propria sapienza esclusivamente a Marpurg e simili; chi vive nel flusso di una vita ricca di movimento comporrà in modo ben diverso da chi considera il Kantor del proprio paesello il massimo concepibile della maestria: e ciò a parità di talento e addirittura con i medesimi seri studi. Anche dalle composizioni del nostro giovane artista parlano una cultura e un’esperienza non semplicemente musicali; non vogliamo fare sofisticate elucubrazioni, ma sappiamo che ciò non è da tutti. Anche nel Capriccio troviamo cose eccellenti; ma questo pezzo è inferiore allo Scherzo quanto a spon­ taneità e a grazia. Quella parte cantabile ci sembra un po’ misera; anche in questo pezzo, comunque, vediamo scintillare incessante­ 951

mente un fuoco umoristico, sì che quasi si vorrebbe paragonare questa composizione nel suo complesso ad un’artistica ruota fiam­ meggiante che ci diverte coi suoi cerchi multicolori. Il crescendo (pagg. 11 e 12) dà un effetto quasi sinfonico, senza peraltro cadere nella banalità dei soliti crescendo; non conosciamo nulla di simile per pianoforte: l’esecutore potrà qui brillare in tutto il proprio splendore. Di Hermann von Lòvenskiold abbiamo davanti a noi due fascicoli di Pezzi caratteristici; 14 essi recano i seguenti titoli: A lei lontana, Gondoliera veneziana, Il desiderio, Orge d’elfi, Eccitazione, e sono coerenti con quanto espresso dai titoli. In effetti non si può ancora dire che questo compositore sia giunto alla piena afferma­ zione di una propria autonomia; ma certo la linea che egli segue è fra le più nobili. Ci sembra soprattutto interessante rimpianto generale; invece la realizzazione pratica lascia talvolta un po’ a desiderare. Qua e là si nota una certa fretta di concludere; non tutti i pezzi sono portati a termine con la stessa artistica calma. Ovunque però fa capolino il talento e possiamo sperare che il tempo e un impegno assiduo aiutino questo giovane artista dalle grandi aspirazioni a completare il resto del cammino verso la maestria. Accenniamo qui subito ad un’opera di un altro giovane com­ positore danese: 12 Capricci di Emil Hornemann,15 un’opera che ci ha colpito sia per la sua notevole ampiezza sia per il contenuto assai soddisfacente. Dobbiamo dire che già la forma dei pezzi, una via di mezzo fra Studio e Capriccio, ci sembra felicemente indovi­ nata. Ricordano lo Studio per la loro forma chiusa, per il fatto che spesso si basano quasi esclusivamente sulla sola figura iniziale; evitando però, in ciò rasentando il Capriccio, di puntare esclusivamente e con meticoloso rigore al conseguimento di uno scopo tecnico, errore al quale lo Studio spesso induce il compositore. La musica in sé è di carattere sereno e piacevole. Non ci imbattia­ mo mai in cose straordinarie o particolarmente geniali: anche nei momenti di più ardito slancio si sente sempre, in fondo, una mente semplice, che si affretta a tornare sui suoi passi non appena la sicurezza del noto minaccia di venir meno. In breve, il composito­

14 [R.S.] Opera 12. 15 [R.S.] Opera 1.4 fascicoli.

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re non vuole fare più di quanto conosce, e ciò è sempre positivo, se però non si cade nel banale. Il suo bisogno di esprimersi sempre in forme artistiche ordinatamente disciplinate spesso induce una certa prolissità, sicché molte volte nella seconda parte dei pezzi troviamo riportati letteralmente dei passaggi già ascoltati senza che questi siano stati sottoposti ad un processo di sviluppo che dia loro nuovo slancio; ma preferiamo pur sempre questa prolissità ad un pezzo piatto e senza forma che non sa dove vuole arrivare. Con ciò non vogliamo certo consigliare al giovane artista di limitarsi a ripetere quanto ha già fatto, di non sperimentarsi in forme più complesse, di non aprire nuovi campi alla propria fantasia. Al contrario: questo è per noi sottinteso. Se così facesse, la sua dolce voce sparirebbe senza lasciar traccia soffocata dal confuso clamore della nostra epoca. Se invece egli vuole di più, allora dovrà raffor­ zarsi seguendo le strade tracciate da coloro che lottano con più forza di lui. Per intanto possiamo raccomandare caldamente que­ sta sua prima opera, con cui egli si è presentato in modo tanto onorevole, a tutti coloro che amano una musica dolce e ricca di belle sonorità. Alla fine del nostro ultimo articolo 16 parlavamo delle composi­ zioni di due giovani musicisti danesi, von Lòvenskiold e Hornemann; abbiamo appena ricevuto una nuova composizione per pianoforte di un terzo, altrettanto giovane danese, N. W. Gade, che già si è segnalato con la sua Ouverture Ossian, suscitando grandi speranze circa il suo futuro. Se pure nell’orchestra egli appare nel suo proprio elemento, cionondimeno anche la prima composizione per pianoforte che vediamo col suo nome rivela senz’altro un musicista di grande cultura e di profonda sensibilità poetico-musicale; s’intitola Frùhlingsblumen [Fiori di primavera] e consiste in tre piccoli pezzi che meritano pienamente di portare questo titolo. Sono tre piccole, chete creature della sua fantasia, che qua e là ricordano certe simili cose di Mendelssohn o anche di Henselt, ma che sanno anche incantare per quel tipico colore nordico che già avevamo avuto modo di notare nell’ouverture Ossian. Che cosa sono mai tutti gli strimpellamenti virtuosistici di fronte a una musica tanto pudica e modesta! Ma la nostra epoca comincia finalmente a capire che “coloro che si umiliano devono

16 Sulla rivista l'articolo era stato pubblicato in due parti separate. [M.K.] 953

essere esaltati”. Ma basta con le parole: questa piccola composizio­ ne parla da sé. Nelle sei Romanesche di Gustav Nottebohm 17 ciascuno spererà di trovare qualcosa di diverso da quanto esse poi realmente offrono; sono pezzi scritti nel più schietto stile borghese, tanto che il titolo potrebbe quasi essere considerato un’ironia. Comunque sia, un buon seme non si smentisce mai, anche se è ricoperto di una scorza poco appariscente o addirittura sgradevole. Ciò si vede ancora più chiaramente in alcune composizioni più ampie del medesimo autore, delle quali parleremo in altra occasione. Qui probabilmente egli voleva semplicemente scrivere qualcosa di leggero e di gradito agli editori. Una Fantasia di F. E. Wilsing 18 ci ha richiamato alla memoria una precedente composizione del medesimo autore già recensita su queste pagine. Quanto allora avevamo apprezzato si trova riconfermato anche in questo lavoro. Il compositore viene da una scuola molto severa e si sviluppa in sempre maggiore libertà. Nella sua Fantasia troviamo buon senso e ordine, quasi fin troppo per una Fantasia. In un’epoca in cui questa bella parola è tanto spesso usata a sproposito, però, ogni tentativo di riportarla al meritato onore non può che essere lodato, anche se propende verso l’estre­ mismo. Con tutta la stima che nutriamo nei confronti di questo compositore, peraltro non ci dispiacerebbe che egli si abbando­ nasse a quella Grazia che sa rendere amabile anche la serietà. Certe fioriture vecchio stile (nella prima parte) avremmo preferito che fossero completamente eliminate: non si può pretendere di far tornare l’epoca classica mettendosi i nei finti e cose simili. Ma queste sono piccolezze. L’autore si guadagnerà certamente la stima di tutti i musicisti cólti con le ottime cose che si trovano nelle sue opere, anche perché sono le cose prevalenti; possa questo incoraggiarlo a proseguire nel suo impegno. La cosa più bella della Fantasia è comunque, a nostro avviso, la seconda parte. La Fuga conclusiva ha, nel tema, qualche somiglianza col tema dell’ultimo movimento della Sonata in la maggiore di Beethoven, ma rivela comunque un eccellente musicista, anche se non tutto in essa ci sembra ottimo sul piano del risultato sonoro. Concludiamo la nostra rassegna con alcuni appunti a proposi17 [R.S.] Opera 2. 18 [R.S.] Opera 10.

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to di tre Sonate di recente pubblicazione i cui autori sono Adolph Reichel, Ignaz Lachner e Theodor Kullak. La prima di queste ci sembra un primo tentativo nell’àmbito di questa difficile forma artistica, un lodevole lavoro fatto da un allievo diligente. Ne avremmo però sconsigliato la pubblicazione, dato che siamo convinti che di Sonate di questo genere ogni anno in Germania se ne scrivano a centinaia. Chi non riesce a offrire qualcosa di personale in un genere che presenta tanto illustri modelli, chi in tale genere non è in grado di produrre qualcosa che sia magistrale in tutto e per tutto, è meglio che rimanga in dispar­ te. L’autore, se vuole essere onesto nei confronti di se stesso, dovrà convenire che la sua opera scompare di fronte a simili pretese. Che egli abbia lavorato sulla base di ottimi modelli, lo dimostra ogni pagina della sua composizione; alcune cose sono ben riuscite. Ma l’effetto complessivo non è altro che quello di una copia. L’autore manifesta una certa aridità, che forse si porta dietro fin dagli anni dello studio: può darsi anche che egli non abbia trovato l’insegnanete che fosse in grado di sviluppare in senso vitale il suo talento. Alla gioventù si perdonano volentieri alcuni eccessi; chi si tarpa le ali, invece, diventerà un filisteo: bisogna anche sapersi lanciare in un volo insicuro. In breve: il compositore è ancora prigioniero di concetti pedanti; una Sonata non deve essere un compito puniti­ vo: già siamo inebriati dal profumo della splendida, piena fioritura dei magistrali capolavori di questo genere. E dunque basta con i procedimenti di terze e di seste, quali tanto spesso si trovano in questa Sonata; questo vuol dire fare del cattivo classicismo, seguire uno stile parruccone. Tali passaggi e altri simili dispiacciono doppiamente in quanto il compositore sa dare di quando in quando un taglio interessante alle proprie idee: così, ad esempio, la parte centrale del primo movimento inizia in modo assai felice, così l’ultima pagina della Sonata è libera e piena di slancio, così ci piacciono alcune cose nello Scherzo, anche se la seconda voce all’inizio di questo movimento non inizia certo in modo magistra­ le. Da questi esempi l’autore capirà dove condividiamo le sue scelte e dove no. In nessun caso, comunque, una critica negativa deve impedirgli di proseguire con vivace entusiasmo. Solo pochi fra i grandi spiriti hanno prodotto un capolavoro già con la loro op. 4. A proposito della Sonata di I. Lachner 19 possiamo essere brevi: 19 [R.S.] Opera 20.

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si tratta chiaramente dell’opera di un musicista di grande pratica, che è pienamente padrone della propria materia e che sa organiz­ zarla alla perfezione. Tutto scorre come da una sorgente, sempre con grande facilità e tranquillità. C’è ben poco da criticare sia sul piano formale sia sul modo di scrivere. Con ciò, però, s’è anche detto quasi tutto; a quest’opera non si possono certo richiedere particolari invenzioni o grandi novità. E probabile che il composi­ tore sia particolarmente versato nella composizione orchestrale: certi luoghi comuni, che nell’orchestra sono di grande efficacia, sul pianoforte finiscono per sortire un effetto volgare e perciò avremmo preferito che fossero eliminati del tutto. Sembra proprio che i progressi degli ultimi compositori pianistici, gli effetti che costoro sono riusciti a ricavare dal proprio strumento siano rima­ sti del tutto estranei a questo compositore. Questa Sonata ci riporta perciò al periodo di Haydn e Mozart, pur senza essere un’opera haydniana o mozartiana. Non vogliamo comunque emettere una sentenza di condanna nei confronti di opere di questo genere, ammesso naturalmente che si tratti di opere ben fatte; bisogna pur pensare anche alla classe media dei pianisti: opere come questa soddisfano pienamente le loro esigenze. Ci rimane solo da parlare della Sonata di Th. Kullak,20 la più interessante, ma anche la più barocca delle tre citate; è una vera cucina di streghe, in continuo fermento e dove c’è sempre qualco­ sa che bolle. Solo nella parte centrale si apre un varco, un soave e timido raggio di luna. Questo compositore possiede senz’altro grande spirito e notevole fantasia e dev’essere un brillante piani­ sta. Non tutto in quest’opera può essere definito musica; se a certe idee proviamo a togliere la veste brillante e seducente che le ricopre ci accorgiamo che in fondo sono ben povera cosa. Spesso, però, il discorso si porta anche su un piano di più elevata e nobile espressione, e ciò ci lascia nutrire buone speranze circa il futuro di questo compositore, che — si può auspicare — vorrà essere qualcosa di più che un semplice e vano virtuoso. E chiaro che molto gli rimane ancora da fare; che cosa? chiederà lui; e noi rispondiamo: cercate di essere lucidi, provate a suonare le vostre Sonate dopo una Sonata di Beethoven o di Mozart e poi guardate dov’è la differenza. Ciò che creano le dita non è altro che roba da

20 [R.S.] Opera 7.

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mestieranti; ma ciò che viene dall’anima suona poi parlando a tutti e sopravvive al fragile corpo.

L'articolo 111 comprendeva in origine alcune recensioni che vennero eliminate nella raccolta. Riportiamo qui la recensióne, eliminata, di una raccolta di Studi di Antoine de Kontski (Antoni Katski). [P.R.]

Nei 6 Studi di A. von Kontski, che, almeno in parte, potrebbero benissimo essere nati nella romantica e dissoluta Parigi, ci piace, nonostante quanto appena detto, una certa solidità che spesso emerge esprimendosi in una ricerca della buona forma, il che è decisamente apprezzabile. Ciò nonostante, di bizzarri eccessi se ne trovano ancora molti, e passaggi come il seguente (alla fine di un pezzo in sol | minore):

possono venir scritti e gustati solo a Parigi. Questi Studi sembrano senz’altro essere stati composti in epoche differenti; non sarebbe altrimenti spiegabile come accanto a certi passaggi maturi e ben riusciti possano stare tante cose davvero obbrobriose. Nel primo gruppo contiamo senz’altro il pezzo intitolato Le trille du diable, uno studio sul trillo assai interessante, basato su una melodia armonizzata in modo pulito e che dovrebbe fare un effetto davve­ ro eccellente. Peccato per la fine, dove quella volgare figura à la Thalberg nel basso disturba la bella impressione. Abbastanza spontanei sono anche i mumeri intitolati La bavarde e L'obstinée, mentre gli altri sono malriusciti e in certe battute presentano qualche passaggio veramente brutto. 957

1843 e anni successivi Lieder e canzoni. — Ouvertures da concerto. — Sinfonie per orchestra. - Antonio Bazzini. - Studi per pianoforte. — Pezzi brevi per pianoforte. — Concerti e pezzi da concerto per pianofor­ te con accompagnamento d’orchestra. - Lieder e canzoni. Piccole composizioni per pianoforte. — Sonate premiate. — Afori­ smi. - II Sogno di una notte d'estate. - Niels W. Gade. - Taccuino teatrale (1847-1850). - Regole di vita musicale.

112. LIEDER E CANZONI

Theodor Kirchner, Dieci Lieder per voce di canto con pianoforte op. 1 Nella selva dei più giovani liederisti tedeschi queste prime infiorescenze di un talento compositivo ancora molto giovane vanno considerate fra le più caratteristiche. E se pure non tutto appare assolutamente personale, si nota tuttavia che quest’opera nasce da una sincera, interiore pienezza del sentire, il che ci conforta nella speranza che questa primavera duri ancora a lungo, e che dopo di essa venga una fruttuosa estate. 1 Parallelamente ai progressi nel campo dell’arte poetica è succeduta, all’epoca di Franz Schubert, un’epoca nuova, che ha sfruttato a proprio van­ taggio i progressi continui dello strumento accompagnatore, il pianoforte. Il compositore dà ai propri Lieder il titolo di Lieder con pianoforte, e questo non è un fatto irrilevante. La sola voce di canto non può fare tutto, rendere tutte le sfumature del testo: accanto ad un’espressione complessiva devono essere posti nel giusto rilievo anche i più sfumati tratti espressivi della poesia, anche se non sarebbe giusto che, per soddisfare tale esigenza, il canto avesse a soffrirne. Questo è, in effetti, un punto che il compositore dovreb­ be curare maggiormente: i suoi Lieder finiscono spesso per sem­ brare dei pezzi strumentali autonomi, pezzi che quasi non hanno bisogno del canto per dare l’effetto desiderato; spesso sono delle semplici traduzioni pianistiche della poesia, quasi delle Romanze senza parole animate dalle parole; in questi Lieder il canto molto spesso non è altro che un timido bisbiglìo di parole, sicché il massimo dell’espressione è affidato principalmente all’accompa­

1 [R.S.] Due fascicoli di pezzi pianistici assai geniali, pubblicati di recente (1852), hanno dato ragione a questa profezia.

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gnamento. Con ciò non si vuol dire che questo compositore manchi di vigore melodico; certo è, però, che la melodia si appog­ gia ancora troppo all’armonia e che il modo di trattare la voce è di carattere ancora troppo strumentale. Ma in presenza di tanto talento, di una tale predisposizione poetica, non v’è certo da temere che il compositore si fermi. I migliori talenti manifestano, fin dai loro primi tentativi, una certa disponibilità al cambiamento, una disponibilità cui certo non potrà nuocere una critica severa e che vediamo insita, segno - come la modestia - di un vero talento, anche nel nostro liederista: speriamo che egli mantenga sempre tale disponibilità. Questi Lieder hanno prevalentemente un carattere sognante e nostalgico; la scelta delle poesie (di Heine, K. Beck, J. Mosen) è coerente con tale carattere. Il dolce fervore dei pensieri in prima­ vera, lo struggente desiderio di spingersi oltre i monti e le valli: come i nostri poeti hanno espresso frequentemente e in modo splendido tali sensazioni, altrettanto care esse sono al giovane musicista, tali poesie sono quelle che in lui sortiscono l’esito miglio­ re. Per l’esecuzione di questi Lieder sono necessarie mani e voci esperte, soprattutto le prime, in quanto l’espressione è affidata principalmente aU’accompagnamento; non basta nemmeno la perfezione tecnica: sono piuttosto necessarie dolcezza di tocco e sensibilità nei chiaroscuri. I pezzi più significativi ci paiono quelli su testi di Heine; sono pezzi composti con amore e con maggiore sognante fantasia, soprattutto le due canzoni primaverili, il n. 4 e il n. 6. In altri, come ad esempio il n. 9, disturbano certe modulazioni un po’ troppo ricercate: in tali casi il compositore si è forse completamente abbandonato all’espressione della propria traboccante sensibilità, ma ciò a tutto scapito della forma, che egli finisce per non essere più in grado di dominare. Possa il futuro confermare tutto quanto di positivo abbiamo espresso in queste righe: non potrà mancare, allora, il giusto riconoscimento. Scrive­ te fin d’ora il nome di questo musicista di grande talento nella lista dei nomi dei compositori più promettenti.

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113. OUVERTURES DA CONCERTO

Julius Stern, Geistliche Ouverture [Ouverture sacra] op. 9, partitura Sul frontespizio della partitura ci viene detto che per questa Ouverture l’autore ha ricevuto la grande medaglia per la composi­ zione dall’Accademia delle Arti di Berlino. Ci saremmo perciò attesi qualcosa di valido. Ma sembra che la sezione musicale di quell’Accademia non abbia troppa fortuna con i suoi premi; in questa Ouverture troviamo addirittura degli errori marchiani (ad esempio a pag. 7, batt. 6, le ottave fra primo violino e basso, e nella stessa pagina a batt. 12 sempre fra le stesse voci) di cui gli esaminatori si sarebbero dovuti accorgere almeno prima di stam­ pare l’opera, per non parlare della qualità dell’invenzione. Come essere geniali, d’altronde, con un tema come quello assegnato al compositore? Non siamo certo prevenuti nei confronti di quest’ul­ timo: egli ha già dimostrato il proprio talento in alcune composi­ zioni vocali assai eleganti; abbiamo invece molto contro l’Accademia, che ha assegnato un tema simile e che ha tributato un pubblico riconoscimento ad una simile elaborazione evidente­ mente fatta controvoglia. Come già detto, {'Ouverture non è altro che la variazione — fatta in modo del tutto meccanico — di un insulso tema di Fuga, un lavoro che uno studente di media preparazione sarebbe in grado di fare in qualunque momento. Nel più piccolo Lied del Signor Stern c’è più motivo per una medaglia che in questa intera Ouverture.

P. Lindpaintner, Kriegerische Jubelouvertiire [Ouverture guerresca per un giubileo] op. 109, partitura Il titolo esprime chiaramente ciò che da quest’opera ci si può attendere. Si tratta di un pezzo d’occasione, composto per i 25 963

anni di reggenza del re del Wurttemberg e si presenta con tutta la pompa possibile, come si deve per una simile occasione. In questo genere Weber è stato il primo e la sua Jubelouverture è un modello ancora insuperato. Come già Weber, anche Marschner, Leibrock e altri hanno utilizzato il God save the king, e così pure Lindpaintner. Ma oltre a questo inno egli introduce anche rumori di guerra e temi che echeggiano marce di vittoria, per cui questa Ouverture si distingue da altre simili. Si può immaginare che un così abile strumentatore quale è Lindpaintner sia stato in grado di trovare le tinte giuste per dipingere un quadro siffatto. E il risultato non potrà che essere di grande effetto. Sul pianoforte il pezzo non fa invece un grande effetto: è come schierare una scatola di soldatini dopo aver visto una grandiosa parata militare.

Julius Rietz, Ouverture per Hero und Leander [Ero e Leandro], per piano­ forte a quattro mani op. 11

Un’opera bella e significativa. Ci sembra che la Neve Zeitschrift abbia da riparare un’ingiustizia commessa nei confronti di questo degnissimo artista: vediamo infatti che la precedente Ouverture del medesimo autore è stata da noi recensita qualche anno fa in modo non certo esauriente e non sottolineandone sufficientemen­ te il valore, ma la colpa di ciò risiede senz’altro nel fatto che l’autore di tale recensione aveva a propria disposizione la semplice riduzione pianistica e che non l’aveva ancora potuta ascoltare eseguita dall’orchestra. Ne dovevamo riparlare in quanto quella prima Ouverture ci sembra la felice premessa di questa seconda, in quanto ciò che in quella appariva come un promettente germoglio si è sviluppato in questa nella sua piena maturazione, ed in quanto se già là si manifestava un alto e significativo impegno, sorretto da un non meno significativo talento, la stessa cosa va detta in misura ancora maggiore a proposito di questa successiva Ouverture. E possiamo dire anche che un’epoca che offre simili opere, che presenta talenti del valore di un Rietz e di altri, non deve troppo arrossire a paragone con il grande periodo da pochi anni termina­ to (come invece vorrebbero darci ad intendere certi passatisti) e anzi ci fa nutrire una fiduciosa speranza per un futuro ancora più ricco. Talento e solida preparazione si uniscono in quest’opera in modo assai fertile: non vi troviamo una sola battuta che possa 964

essere definita non valida sul piano artistico, a parte alcune vaghe reminiscenze di opere famose. Se il compositore avesse cercato di evitarle avremmo potuto definire questa Ouverture, per quanto già sia comunque la cosa migliore da lui sinora offertaci, sua completa ed esclusiva proprietà. Invece soprattutto il passaggio fra pag. 10 e 11 ci ha disturbato in quanto troppo mendelssohniano; meno ci ha disturbato un altro punto che richiama alcuni momenti dell’ouverture per il Conciano e della Nona Sinfonia di Beethoven, ma più per una somiglianza di carattere che per una somiglianza nella conduzione melodica come nell’altro caso. A parte queste poche battute, la composizione merita tutto il nostro rispetto. Il dominio della forma, che egli tratta di preferenza in ampie dimen­ sioni, l’invenzione, la pregnanza e la bellezza dei singoli motivi, il tono assolutamente nobile dell’opera nel suo complesso: sono tutte qualità che riconosciamo volentieri e con gioia. E non dimentichiamo infine la cosa principale, la strumentazione, che ci sembra senz’altro magi­ strale (a parte alcuni passaggi un po’ troppo carichi, che potevano essere alleggeriti) e per certe cose assai originali. Abbiamo ascoltato l’Ouverture due volte qui a Lipsia; in ambedue le occasioni ci ha fatto un’ottima impressione, e non dubitiamo che tale impressione potrà diventare sempre più positiva quanto più l’orchestra imparerà a conoscerla, come già era successo per la prima Ouverture di Rietz. Infatti è difficile, molto difficile, tanto per i singoli strumenti quanto per l’assieme. Ma preparata con cura, eseguita con amore ed intelli­ genza, potrà e dovrà riscuotere un gratificante successo. Non abbiamo detto nulla del soggetto; ma chi non conosce quella commovente leggenda già raccontataci in modo tanto affascinante dal vecchio Museo? Per il resto confessiamo che saremmo in imbaraz­ zo se dovessimo dare una interpretazione della conclusione. Non capiamo, infatti, se il compositore ha voluto rappresentare Yultima notte degli amanti o se l’idea che egli seguiva era solo quella della felicità della coppia. Non lo sappiamo, appunto: ma alla fine della composizione c’è una tale gioiosa sublimità che non è il caso di lambiccarsi il cervello, ma piuttosto di esprimere solamente all’artista i sensi della nostra profonda stima e in particolare il nostro ringrazia­ mento per quelle volatine del flauto, per il commovente canto del clari­ netto subito all’inizio, per i frementi violoncelli nell’introduzione, per le trombe alla fine, dove si passa in re maggiore, e per tutto ciò che, vivamente risuonato in lui, non potrà che vivamente risuonare in tut­ ti coloro che saranno in grado di mettersi in sintonia con la sua opera. 965

114. SINFONIE PER ORCHESTRA

L’ultimo articolo di questa rivista dedicato alle Sinfonie di recente pubblicazione risale al gennaio 1841. L’articolo di oggi è dedicato alle poche opere di questo genere che nel frattempo sono state stampate; i loro autori sono: R. Schumann, F. Mùller, (di Rudolstadt), W, Attern, Spohr, Mendelssohn. Della Sinfonia del primo ricordiamo solo, a titolo di informa­ zione, che è stata pubblicata nelle parti orchestrali e nella riduzio­ ne per pianoforte a quattro mani e che è in sit maggiore. Dell’ope­ ra dell’autore successivo possiamo solo parlare a memoria in quanto al momento non abbiamo a nostra disposizione la partitu­ ra, e ricordiamo che si tratta dell’opera di un musicista pratico ed esperto, elaborata in modo chiaro ed accurato e che presenta alcuni echi dello stile di Maestri del passato e anche di Spohr. In questo senso già si erano espresse le recensioni uscite dopo la sua prima esecuzione a Lipsia. Della Sinfonia di W. Attern (op. 16) abbiamo davanti a noi, oltre alle parti staccate pubblicate da Mompour a Bonn, anche la partitura manoscritta. Si tratta della seconda di questo composito­ re; un giudizio sulla prima è già stato espresso sul vol. XIII, n. 49, ed è un giudizio che potremmo trascrivere parola per parola per questa sua seconda Sinfonia. Non presenta quasi nulla di originale, se escludiamo il collegamento dell’introduzione (in si minore) con l’Allegro (che, come gli altri movimenti principali, è in re mag­ giore): sembra di vedere un ruscello che scorre placido fra quieti prati; ci dà gioia vederlo, ma non appena ci giungono più profonde impressioni quella più leggera scompare naturalmen­ te. Da quanto detto riteniamo emerga abbastanza chiaro il caratte­ re idilliaco e di limitate pretese di quest’opera. Non ci resta 967

dunque che lodare il musicista per il saggio uso del materiale e per la strumentazione pulita ed elegante. Solo ci sembra che i tre tromboni siano di troppo, rispetto al carattere complessivo della Sinfonia', dove flauti e oboi sarebbero sufficienti ad esprimere un’idea, l’uso di quegli strumenti potrebbe addirittura risultare dannoso. Questa amabile Sinfonia può perfettamente esaudire le modeste pretese di una piccola città, esigenze che anche una piccola orchestra è in grado di soddisfare. Lode a colui che conosce le proprie forze; egli riesce a conseguire in una piccola cerchia ciò che il più dotato consegue in una cerchia più ampia. Questo è appunto il caso del nostro compositore; al quale raccomandiamo comunque di non fermarsi e di continuare a creare in costante progresso: la stima del mondo non gli mancherà. Di Spohr abbiamo due nuove Sinfonie, pubblicate nel giro di appena tre anni. La prima (la sesta delle sette che finora egli ha scritto) è già stata recensita su queste pagine in modo abbastanza esauriente in occasione della sua prima esecuzione a Lipsia: si tratta della sua Historische Sinfonie [Sinfonia storica, op. 116]. Non abbiamo molto da aggiungere a quanto detto allora. Diceva­ mo tra l’altro: “E interessante notare come ultimamente siano stati fatti numerosi tentativi di ripresentarci i tempi passati... Non abbiamo nulla in contrario; questi tentativi possono avere il valore di studi, come già ultimamente si è manifestato un certo compiaci­ mento per il gusto rococò. Ma che proprio Spohr sia approdato a questa idea, Spohr, il Maestro pienamente maturo, egli che mai ha avuto sulle labbra qualcosa che non nascesse dal più profondo del proprio cuore, e che sempre si può riconoscere fin dal primo accordo: ciò non può non apparire a tutti come un fenomeno assai strano. E così egli ha risolto il compito propostosi più o meno come ci potevamo attendere: si è adeguato esteriormente alla forma dei vari stili, restando per il resto il Maestro che da tempo conosciamo ed amiamo; anzi si può dire che la forma inconsueta faccia emerge­ re in modo ancor più dichiarato la sua originalità, così come una persona dotata di spiccate qualità naturali si rivela tale anche e soprattutto quando si maschera. Una volta, ad esempio, Napoleo­ ne andò ad un ballo in maschera, ed era lì solo da pochi istanti quando ad un certo punto incrociò le braccia. Rapida come la fiamma di una miccia una voce corse per la sala: ‘l’imperatore!’ E così pure, durante l’esecuzione della Sinfonia, si poteva sentire in ogni angolo della sala l’esclamazione ‘Spohr!’, e poi ancora 968

‘Spohr!’” - Come già detto, anche adesso - conosciuta l’opera nell’edizione a stampa — abbiamo solo poco da aggiungere a queste parole, scritte ancora sotto la prima immediata impressio­ ne. Nuovi tratti di raffinata bellezza si scoprono ovviamente in ogni opera di Spohr quanto più la si consoce, e vorremmo dunque in parte mitigare il giudizio allora espresso a proposito dell’ultimo movimento: in esso avevamo visto allora un’intenzione ironica, mentre oggi questo ritratto dell’epoca presente ci sembra meno sguaiato. Non è forse del resto cambiato qualcosa in questi tre anni? Non scriverebbe oggi forse lo stesso Spohr qualcosa di diverso? Sì: noi speriamo che il declinar della vita di questo ottimo Maestro sia illuminato dai primi raggi di un futuro migliore di quello da lui rappresentato nel movimento conclusivo della sua Sinfonia. D’altronde la migliore ritrattazione che Spohr poteva fare sta nella sua ultima Sinfonia, a cui vogliamo dedicare ancora alcune parole: poche, per la verità, perché chi mai potrebbe dire in sua lode qualcosa che ancora non sia stato detto! Quest’opera è però notevole sotto molti aspetti ed è paragonabile, per l’originali­ tà della sua nascita, della sua forma e del suo carattere espressivo, solo alla precedente Sinfonia Die Weihe der Tone [La consacrazione dei suoni] dello stesso Spohr. Come là, anche qui egli ha scelto un tema, indicato dal titolo generale (e per la verità anche un po’ generico) di Irdisches und Gottliches im Menschenleben [Terreno e divino nella vita dell’uomo], e l’ha sviluppato in tre movimenti, ciascuno dei quali reca a sua volta un motto particolare. In altre parole, il primo movimento rappresenta il mondo infantile, il secondo i pericoli della gioventù e in generale della vita adulta, il terzo, infine, la vittoria del Bene sul Male. 1 Dobbiamo ammettere di essere un po’ prevenuti nei confronti di un siffatto modo di creare, e questo pregiudizio è forse condiviso da cento eruditi, che hanno una strana idea del comporre e che sempre si rifanno a Mozart, il quale secondo loro non avrebbe pensato a nulla mentre scriveva. Ma è un pregiudizio che, come già detto, hanno anche alcuni non-eruditi, i quali — come me -, se un compositore presenta loro un programma prima di ascoltare la sua musica, dicono: “Fammi prima sentire che scrivi della bella musica, dopodi­

l I titoli dei movimenti sono infatti: Kinderwelt [Mondo infantile], Zeit der Leidenschaften [Periodo delle passioni] e Endlicher Sieg des Gottlichen [Vittoria finale del divino]. [M.K.]

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ché sarò felice di conoscerne il programma.” C’è una bella diffe­ renza se è Goethe o un altro qualunque a scrivere secondo un dato schema di rime. E perciò nessuno potrà negare, a forza di ragiona­ menti filosofici, le bellezze di questa Sinfonia di Spohr, appunto perché è ben diverso se è lui a porsi eccezionalmente un dato compito o se è un principiante dell’arte. Di tutto ciò si è già parlato ampiamente in occasione della Weihe der Tone, e già comincia a riaccendersi la disputa sul non-dover-pensare-a-nulla nell’atto del comporre e sul suo contrario. I filosofi la fanno peggio di quello che è; certo sbagliano se credono che un compositore che lavora in base ad un’idea si metta al tavolino come un predicatore al sabato pomeriggio per stendere lo schema del proprio discorso secondo le consuete tre parti ed elaborarlo poi come si conviene: certo, sbagliano. Il musicista crea in modo affatto diverso, e se egli ha davanti a sé un’immagine, un’idea, potrà mettersi felicemente al lavoro solo quando questa gli apparità sotto forma di belle melodie, portata dalle stesse mani invisibili che recano i “secchi d’oro” di cui parla Goethe da qualche parte. Tenetevi perciò il vostro pregiudi­ zio, ma contemporaneamente guardate come stanno effettiva­ mente le cose, e non fate pagare al Maestro i lavori abborracciati dello studente. Per farla breve: in questa ultima Sinfonia di Spohr è infusa una magia quale forse in nessun’altra. Non possiamo dire che da essa ci giungano idee particolarmente grandi o nuove, diverse da quelle che già abbiamo ascoltato espresse da Spohr; ma questa luminosa purezza del suono non si trova facilmente altrove. Per aumentare ulteriormente la magia delle tinte è chiaramente venuto in aiuto del compositore il fatto di aver utilizzato due orchestre, e anche questa è un’idea che non tutti saprebbero concepire o che, una volta concepita, lascerebbero perdere con buoni motivi. Perché se già è necessario un Maestro per padroneggiare un’orchestra in partitura, quanto più grande dovrà essere il Maestro per padro­ neggiarne due! Sarà difficile che questa idea trovi molti imitatori, e d’altronde ciò in un certo senso è un bene. Sarebbe invece interes­ sante immaginare che cosa avrebbe saputo fare Beethoven con un’idea simile. Non ci si sarebbe forse potuti aspettare qualcosa di assolutamente straordinario? La nostra opinione è che in realtà un’idea simile egli non l’avrebbe realizzata, ed infatti è un’idea che è più nel carattere del Maestro del delicato e del raffinato quale è Spohr che non in quello del potente Beethoven. Spohr è stato 970

d’altronde anche il primo a scrivere un Doppio Quartetto, di cui si è già parlato su queste pagine. Due sono infatti le orchestre che agiscono in questa Sinfonia, delle quali l’una ha più il carattere di un concertino ed ha un organico abbastanza leggero (senza cioè i sonori ottoni e strumenti a percussione), mentre l’altra prevede il consueto nutrito organico (a parte oboi e fagotti, che suonano sempre a una voce sola). È naturale che questo inconsueto tipo di strumentazione crei qua e là qualche problema esecutivo; ma in generale questa Sinfonia ci sembra meno difficile, ad esempio, della Weiheder Tone. Se per molti aspetti questa Sinfonia deroga dalla tradizione, ciò vale anche per la forma e per la successione dei movimenti; il primo, una rappresentazione della beata vita infantile, è un Alle­ gretto dopo un’introduzione lenta; la nostra preferenza va forse ad esso: verdi prati si aprono davanti a noi, e sotto un cielo senza nuvole i bambini giocano a frotte; ma vediamo anche lo sguardo melanconico e sorridente del Maestro stesso, e come egli ricorda volentieri i tempi della sua propria fanciullezza. Il carattere del secondo movimento era già implicito nel motto di cui abbiamo parlato prima; esso ben rappresenta ciò che era nelle intenzioni: al cupo e dubitoso inizio segue un appassiona­ to Allegro; anche qui vediamo ovunque la nobile persona del Maestro stesso, il quale sembra quasi vivere dolorosamente in prima persona gli smarrimenti del suo beniamino (ammesso che appunto esista un ideale protagonista). In questo movimento mi ha colpito negativamente un solo passaggio che mi sembra non realizzare pienamente l’effetto che era nella intenzioni del compositore: si tratta dell’assolo del violino della prima orchestra, che non può bilanciare le masse dell’altra orchestra e che perciò suona troppo esile. Ovviamente sarebbe stato facile rinforzare quel passaggio; ma sembra che il composito­ re ci tenesse particolarmente a che quel passo fosse suonato da un solo strumento, e crediamo di capire il senso della sua idea. Il maestro concertatore dovrà dunque porre la massima attenzio­ ne a che la seconda orchestra cerchi di contenere la propria forza. Nel terzo movimento vediamo infine l’artista del tutto sul suo campo: il Male fogge, e la forza del Bene è vittoriosa. Sul piano dell’invenzione tematica questo brano ricorda altre cose di Spohr, in particolare l’ultimo movimento del Trio in mi minore (scritto all’incirca nello stesso periodo) e anche la conclusione ricorda la 971

Weihe der Tone, ma tali reminiscenze non impediscono che l’im­ pressione complessiva sia assai bella e commovente. Così conclude il Maestro. Seguiamolo nell’arte, nella vita, in tutte le sue aspirazioni! La cura che emerge da ogni riga della partitura è cosa che non può non colpire. Sia egli per noi, accanto ai nostri maggiori tedeschi, un luminoso modello! Grandissima attesa ha suscitato la nuova Sinfonia (op. 56)2 di F. Mendeissohn-Bartholdy presso tutti coloro che finora hanno seguito con partecipe interesse il brillante cammino di questo astro di rara luminosità. Si guardava ad essa come se fosse stata la sua prima opera in campo sinfonico; giacché infatti la sua vera Prima Sinfonia (in do minore) risale quasi alla prima giovinezza dell’artista,3 la Seconda,4 da lui scritta per la Società Filarmonica di Londra, non è ancora stata pubblicata e infine la Sinfonia-Cantata Lobgesang non può essere considerata come un lavoro puramente strumentale. Nel ricco serto delle sue creazioni mancava dunque ormai (a parte l’opera) solamente la Sinfonia: in tutti gli altri generi egli si era già espresso in modo fecondo. Sappiamo da terzi che in effetti gli inizi di questa nuova Sinfonia risalgono a diverso tempo fa, al periodo del soggiorno romano di Mendelssohn;5 ma l’opera è stata effettivamente porta­ ta a compimento solo recentissimamente. E questa è una notizia senz’altro interessante per giudicare il carattere affatto particolare di quest’opera. Come quando per caso ritroviamo in un vecchio libro dimenticato un foglio ingiallito che ci ricorda un periodo passato e questo riemerge in piena luce davanti a noi tanto da farci dimenticare il presente, così è possibile che anche nella fantasia del Maestro siano riemersi dolci ricordi nel momento in cui egli ritrovò nelle sue carte quelle vecchie melodie, cantate nella bella 2 Si tratta della Sinfonia Scozzese. L’articolo è stato scritto in occasione della prima esecuzione (a Lipsia, al Gewandhaus, il 3 marzo 1842 sotto la direzione dell'autore). [M.K.]x 3 E infatti stata composta verso il 1824/1825 (op. 11). 4 Si riferisce alla Sinfonia “della fù/orm”, composta attorno al 1830 (e comunemente considerata come n. 5, in quanto pubblicata postuma come op. 107; in realtà non fu scritta per la Società Filarmonica di Londra, ma per il terzo centenario della Confessio Augustana}. [M.K.] 5 Schumann confonde probabilmente qui la Sinfonia Scozzese con la Sinfonia Italiana: i primi abbozzi della Sinfonia Scozzese (per la precisione le prime 16 battute dell’introduzio­ ne) risalgono infatti al 1829, in un periodo in cui Mendelssohn non era in Italia, bensì a Edimburgo; peraltro durante il soggiorno in Italia (1830-1831) egli lavorò tanto aWItaliana quanto alla Scozzese. [M.K.]

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Italia; e così, in modo più o meno inconsapevole, nacque infine questo delicato dipinto musicale, che, come la descrizione del viaggio in Italia nel Titano di Jean Paul, per un attimo può aver fatto dimenticare a qualcuno la tristezza di non aver visto quella terra benedetta. Già più volte, infatti, si è detto che nell’intera Sinfonia spira un caratteristico tono popolare: solo un uo­ mo assolutamente privo di fantasia potrebbe non accorgersene. È appunto questa tinta originale e affascinante ciò che assicurerà alla Sinfonia di Mendelssohn, come a quella di Schubert, un posto affatto particolare nella letteratura sinfonica. In essa non vi è nulla del tradizionale pathos strumentale, della consueta ampiezza ma­ stodontica, nulla che possa sembrare un appesantimento dello stile beethoveniano: questa Sinfonia si avvicina piuttosto, e princi­ palmente nel carattere, a quella di Schubert, con la differenza che, mentre quest’ultima ci fa pensare a un selvaggio tumulto popolare di zingari, quella di Mendelssohn ci trasporta invece sotto il cielo italiano. E in ciò è implicito che in quest’opera più recente trovia­ mo un carattere leggiadramente pudico e che essa ci parla con toni meno stranieri, mentre nell’opera di Schubert dobbiamo ovvia­ mente riconoscere altri pregi, soprattutto quello di una più ricca forza inventiva. Fondamentalmente la Sinfonia di Mendelssohn si distingue ancora per l’intima connessione che unisce tutti e quattro i movi­ menti; simile è anche lo sviluppo melodico del tema principale nei quattro singoli movimenti: lo si potrà notare a un primo fuggevole raffronto. Così essa forma un tutto in un senso assai più forte di qualunque altra Sinfonia: carattere, tonalità e ritmo differiscono assai poco l’uno dall’altro nei diversi movimenti. Il compositore stesso desidera — come dice in una prefazione — che i quattro movimenti si susseguano senza un’interruzione troppo lunga fra l’uno e l’altro. Per quanto concerne l’aspetto puramente musicale della com­ posizione, nessuno potrà dubitare della sua assoluta maestria. Per la bellezza e la delicatezza della costruzione complessiva e dei singoli passaggi di collegamento si pone accanto alle sue Ouvertu­ res; né è meno ricca di affascinanti effetti strumentali. Ogni pagina della partitura ci dà nuova prova di come M. sappia con grande raffinatezza riproporre una precedente idea, di come sappia orna­ re una ripresa in modo tale che ciò che abbiamo già udito ci riappaia come sotto una nuova luce, di quanta ricchezza ed inte­ 973

resse siano infusi nel singolo dettaglio senza sovraccarico e senza sfoggio filisteo di erudizione. L’effetto della Sinfonia sul pubblico dipenderà in parte dal maggiore o minor grado virtuosistico deH’orchestra; ovviamente è sempre così, ma in questo caso ciò è vero in doppia misura, qui dove si richiede non tanto la forza delle masse quanto piuttosto una grande delicatezza in tutti gli strumenti: soprattutto sono necessari delicati strumenti a fiato. L’effetto più irresistibile è dato dallo Scherzo; negli ultimi anni non ne è stato scritto uno che sia altrettanto ricco di spirito; in esso gli strumenti parlano come esseri umani. La riduzione pianistica è del compositore stesso ed è perciò sicuramente la più fedele riproduzione che si possa immaginare. Ciononostante tale riduzione non lascia immaginare nemmeno la metà del fascino di questi effetti orchestrali. La conclusione dell’intera Sinfonia provocherà opinioni con­ trastanti: molti si attenderanno infatti un brano con le tipiche caratteristiche del Finale, mentre invece esso, per così dire arro­ tondando il tutto in una forma circolare, ricorda l’inizio del primo movimento. Non possiamo che definirlo assai poetico: è come una sera che corrisponde a un bel mattino.

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115. ANTONIO BAZZINI

Da un po’ di tempo il pubblico lascia trasparire una certa noia per i virtuosi, e (come ha più volte già confessato) così pure questa rivista. E pare che i virtuosi stessi se ne siano accorti, come sembra dimostrare la loro improvvisa voglia di emigrare in America; e molti loro nemici nutrono il segreto desiderio che essi vogliano, in nome di Dio!, restare laggiù per sempre; perché, tutto sommato, il nuovo virtuosismo ha contribuito assai poco al bene dell’arte. Ma quando questo virtuosismo ci compare innanzi sotto una così affascinante figura com’è nel caso del giovane italiano di cui parliamo oggi, allora volentieri ce ne stiamo ad ascoltare per ore intere; per dirla in breve: da anni nessun virtuoso mi ha dato una gioia così profonda, mettendomi in uno stato d’animo di benesse­ re e di felicità, quanto A. Bazzini. Mi sembra che egli sia conosciuto troppo poco e che anche qui non sia stato apprezzato al grado che meritava. I pubblici della Germania del Nord ormai non si decido­ no a concedere il nome di artista che a pochi e con molta difficoltà; certo che se qualcuno arriva da Parigi, magari con qualche decora­ zione, questo li aiuta in partenza a passar oltre i dubbi. Bazzini è invece arrivato qui quasi del tutto sconosciuto, si è presentato senza alcuna pretesa; nel chiasso della fiera è sempre difficile farsi conoscere; si aspettava dunque un suonatore da salotto, come già qui se ne sono ascoltati a dozzine. Ma lui è sicuramente molto di più, e se gli si tagliasse la mano sinistra (quella che impugna il violino) egli potrebbe pur sempre scrivere con l’altra e ben figure­ rebbe fra le più conosciute celebrità italiane nel campo della composizione; in altre parole, egli possiede palesemente anche un talento creativo e, una volta acquistata qualche conoscenza di teatro, avrebbe senz’altro diritto di scrivere opere quanto il 975

Sig. Donizetti, ecc. Il suo Concerto l’ha dimostrato nel modo più chiaro; la forma complessiva naturalmente unitaria, la strumenta­ zione per lo più discreta, l’incantevole fusione delle sonorità e la bellezza di certi passaggi: di tutto ciò la maggior parte dei virtuosi non ha nemmeno un’idea. Italiano egli è da capo a piedi, ma nel senso migliore; talvolta la sua musica mi fa pensare che egli provenga dal paese stesso del canto: non un paese reale e localizza­ bile, ma da un regno sconosciuto, eternamente sereno. In particolare, poi, come esecutore egli è certo fra i più grandi del presente; non saprei dire chi lo eguagli sul piano della straor­ dinaria abilità, della grazia e della pienezza del suono, e soprattut­ to nella purezza e nella perseveranza; egli si distingue nettamente dagli altri anche per l’originale, fresca e giovanile pulizia delle sue interpretazioni, e se penso al carattere senza cuore e senz’anima di qualche blasé virtuoso belga, egli mi appare allora come un giova­ ne tra vecchi cadenti, che ha davanti a sé un futuro ancora assai brillante benché già ora abbia raggiunto una tanto splendida eccellenza artistica. Per sottoscrivere incondizionatamente questo giudizio mi sa­ rebbe bastato ascoltare lo Scherzo su temi dall’/nvito alla danza di Weber e il suo Concerto; avrei anzi preferito ascoltare solo questi brani: perché nei due pezzi successivi mi sono accorto con dispia­ cere ch’egli non disdegna la lusinga del pubblico; qui c’era ben poca musica, e solo un ammasso di acrobazie violinistiche, campo in cui nessuno potrà eguagliare Paganini. Su questo piano Bazzini non dovrebbe cercare di superare né quest’ultimo né se stesso: mi sembrano cose addirittura estranee alla sua natura, la quale per piacere ed affascinare ha solo bisogno di esprimere i propri pregi in tutta la loro semplicità; egli non ha bisogno di ricorrere ad artificiose civetterie. Voglia dunque il mondo accordare a questo giovane, amabile e grande artista quell’interesse di cui spesso è stato così prodigo nei confronti di artisti assai meno degni. Un’altra qualità lo distingue: quella della modestia; in lui non vi è nulla che voglia colpirci o provocare il nostro stupore. Di pallidi virtuosi, stanchi del mondo, ne abbiamo già avuti abbastanza; rallegratevi dunque di un viso giovane e forte, dal cui sguardo traspaiono serenità e gioia di vivere, quali solo un animo veramente felice sa riflettere.

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116. STUDI PER PIANOFORTE

C. Vollweiler, 3 Études mélodiques op. 4 H. Ravina, 25 Études caractéristiques, Livre 1 et 2 C. Mayer, 3 Grandes Études op. 61

Negli ultimi tempi sono apparsi assai meno Studi di quanto avveniva in passato. Salutiamo questo fatto come un buon segno: Kartista distoglie la propria mente dall’elemento puramente tecni­ co per tornare a volgerla all’elemento melodico; tale cambiamento è avvenuto in modo del tutto naturale, anche perché incrementa­ re ulteriormente le difficoltà dello Studio dopo quanto Chopin e altri avevano prodotto in questo genere era veramente impossibi­ le. Stimolato forse dalle insuperabili Romanze senza parole di Men­ delssohn, Henselt per primo ha riportato l’elemento melodico nello Studio. Quanto è apparso dopo di lui si muove in una direzione quasi uguale. Peraltro ultimamente questo genere com­ positivo non ha portato niente di interessante: i compositori più significativi preferiscono volgersi altrove, considerando esaurita questa forma. Anche quanto oggi abbiamo da recensire non si eleva, in generale, oltre il livello di un grazioso stile da salotto. Tracce di una più profonda attitudine artistica si trovano qua e là negli Studi di C. Vollweiler; questo compositore dev’essere ancora giovane, e quindi può darsi che egli sviluppi le proprie innate qualità rag­ giungendo col tempo carattere e sicurezza di stile. Ciò che egli ci offre con gli Studi l’abbiamo in gran parte già trovato altrove, espresso peraltro in modo migliore e con maggiore maestria. Ma non possiamo certo impedire di esprimersi ad un giovane artista ancora un po’ acerbo, soprattutto se quanto egli ci offre non è né scolasticamenente immaturo né sgradevolmente informe. E in realtà di tali difetti non si trova traccia in questi Studi, e in particola­ re il terzo ci sembra ben riuscito. Il fatto, però, che tutti e tre terminino nella stessa maniera (il primo tema in ottave) non 977

denota certo grandi doti inventive; d’altronde spesso possiamo notare l’uso di una comoda maniera anche in compositori di più alto livello: vediamo ad esempio che in tutti gli Studi di Henselt la riconduzione, nella parte centrale, avviene sempre nello stesso modo, tramite una serie di accordi di settima diminuita. Gli Studi citati per secondi offrono un particolare motivo di interesse: il loro autore dovrebbe essere italiano. Ci piacerebbe, proprio per tale motivo, poter usare un metro di giudizio più indulgente; ma non possiamo per questo tacere la verità: accanto ad alcuni pezzi ben scritti troviamo in essi troppe cose insignifican­ ti, certo indegne di essere pubblicate. I più freschi sono il n. 8 e il n. 10; il resto, per la maggior parte, avremmo preferito non vederlo stampato. La cosa più giusta è definire questo compositore allievo e imitatore di Bertini: la maggiore somiglianza ci sembra risieda in quella un po’ dolciastra scipitezza che questo giovane compositore manifesta senza peraltro possedere l’espressione spesso davvero leggiadra del maestro. Questi Studi rivelano tutta­ via ad ogni pezzo la presenza di un abilissimo pianista, e in tal senso, infatti, egli si è già fatto una notevole fama anche a Parigi. Il futuro ci dirà se ci siamo sbagliati nel nostro giudizio sul suo talento compositivo, anche allo stato attuale delle cose ci sembra un talento secondario. Anche gli Studi di C. Mayer devono tornare nel salotto e lì restare. Essi condividono, con altre opere pianistiche dello stesso compositore, il pregio di una scrittura assolutamente pianistica, né certo possiamo evitare di notare la grande abilità e sicurezza di scrittura, qualità che un esercizio costante e l’età matura portano sempre con sé. Non possiamo però certo garantire a questi Studi una lunga vita e una fama duratura: sono stati scritti troppo frettolosamente, in modo troppo superficiale dal punto di vista inventivo e dei sentimenti. Ma chi prova piacere per un’effimera gioia (e Shakespeare e Bach non si possono godere e capire tutti i giorni) potrà convenientemente rivolgersi a questa facile musica per distrarsi piacevolmente un’ora, per ritornare poi a corrobo­ rarsi alla forza del puro genio.

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117. PEZZI BREVI PER PIANOFORTE

A. Rubinstein, Ondina, Studio per pianoforte op. 1 Il primo lavoro del giovinetto di grande talento che, come esecutore, ha già raggiunto una fama notevole. Ma dopo questa prima prova non possiamo né affermare né negare che egli possie­ da un altrettanto grande talento creativo. Il fatto che in questo piccolo pezzo sia preponderante felemento melodico, pur senza offrire una vera e propria nuova e bella melodia, lascia tuttavia sperare che egli abbia cominciato ad afferrare la vera essenza della musica e che in tal senso egli possa sempre più felicemente svilup­ parsi. Il titolo di questo Studio trova la propria ragion d’essere nella forma ad onda della figura d’accompagnamento; qualcosa di più originale e così sempre perfettamente riuscito non potevamo davvero attendercelo da un sì giovane artista. Non possiamo però assolutamente accettare armonie impure come queste:

Qualunque artista appena un po’ abile avrebbe potuto correg­ gergli tale passaggio. Julius Hopfe, 4 Fughe a due voci op. 29

Simili tentativi da parte di giovani compositori sono troppo rari per non doverne parlare con particolare piacere; e se Beetho979

ven, in un momento d’ira creatrice, definisce questo tipo di com­ posizione “scheletri su due sole gambe” e simili, a noi questi pezzi sono cento volte più cari delle bravate dei giovani virtuosi, che invece non produrranno mai niente di buono. E evidente in partenza che questi “scheletri” non potranno fare una grande impressione, e che certo nemmeno potranno fare una rivoluzione nel campo musicale. Dobbiamo però riconoscere il talento e la diligente cura dell’autore, che ha saputo produrre qualcosa di veramente lodevole con così scarsi mezzi e in uno dei generi compositivi più ingrati. A parte alcune sequenze un po’ banali, queste Fughe ci piacciono molto nella loro corretta chiarezza, e in particolare l’ultima, che ci pare la più vitale sia nel tema sia nella realizzazione complessiva. Un’ultima cosa: una Fuga è sempre molto più efficace dopo un Preludio, e Bach aveva certo i suoi buoni motivi se ha introdotto con un Preludio quasi tutte le sue Fughe. Speriamo che il compositore in prossimi, simili lavori non dimentichi questo consiglio.

Carl Voss, Der Trawn der Kriegerbraut [Il sogno della sposa del guerriero] Improvviso per la mano sinistra sola op. 38

Esiste, se non andiamo errati, un quadro con lo stesso titolo dipinto da un giovane pittore francese. Può darsi che l’autore l’avesse a portata di mano (a portata della mano destra, evidente­ mente) e che abbia tentato di riplasmare tale immagine con i suoni, un’immagine che peraltro già con la pittura era difficile rendere bene. Se si dovesse dare un giudizio sulle persone basan­ dosi sui loro abiti, e sul contenuto basandosi sui titoli, davvero l’autore potrebbe aspettare a lungo una lode da parte nostra. In musica non esistono “spose di guerrieri”, ma solo accordi di settima e altri accordi, e la “mano sinistra” sola ha già un bel daffare a occuparsi di questi: figuriamoci occuparsi anche dei sogni di quelle! Ma tralasciamo questo titolo di cattivo gusto, non diamogli troppo peso: andiamo invece alla musica vera e propria, che è né più né meno uno Studio per la mano sinistra come tanti altri simili. Un Concerto per due mani ci sembra cosa ben superio­ re, e la rivista ha già varie volte espresso l’opinione che simili pezzi di pura esibizione tecnica non servano a nessuno e tantomeno all’arte. La fatica che l’esecutore si deve sobbarcare è tremenda, e 980

con che risultato? Non molto diverso da un pezzo a due mani suonato in modo un po’ zoppicante. Non neghiamo che questo autore possieda abilità e [un certo] talento, ma lo invitiamo ad usare queste doti per qualcosa di più degno e di più appagante.

Rudoph Willmers, Sehnsucht am Meere [Anelito sulla riva del mare]. Pittura musicale op. 8 Grande Fantasia su un tema di Piume op. 9 Grandi Variazioni da concerto su un tema di Bellini op. 10 Nocturne op. 12

Oltre a queste composizioni abbiamo davanti a noi, del mede­ simo autore, alcune trascrizioni di Lieder di Reichardt e Himmel, che rivelano in ogni passaggio il pianista capace e brillante che egli ha dimostrato di essere durante una recentissima serie di concerti tenuti a Parigi e che hanno riscosso un grandissimo successo. Già da tempo conosciamo il suo talento esecutivo e compositivo, e la rivista ha già in varie occasioni espresso il proprio interesse per le sue opere. Ci dispiace doppiamente, perciò, vederlo oggi incam­ minato su una via che noi già innumerevoli volte non abbiamo esitato a deprecare, una via sulla quale egli non potrà sfuggire al destino che attende, prima o poi, tutte le opere vanamente pre­ suntuose, dettate solo dalla moda e dalla mania del virtuosismo. Proprio da lui, perciò, da lui che ha seguito una scuola severa e che certo sa distinguere Beethoven da Bellini, ci aspettavamo qualcosa di ben diverso. E nemmeno si può dire che questi lavori ci presen­ tino i lati migliori del moderno virtuosismo: nessuno potrà nega­ re, ad esempio, la genialità di Liszt nel combinare assieme le varie difficoltà tecniche, nell’inventare effetti strumentali davvero nuo­ vi, ecc., né tantomeno si potrà negare la grazia salottiera di Thalberg e la sua perfetta conoscenza degli effetti, che egli sa usare in modo calibratissimo riscuotendo ovunque unanimi ed entusia­ stici successi. Nelle composizioni del Sig. Willmers, invece, trovia­ mo una grande aridità e molta pedanteria filistea, quasi che egli stesso non si fidasse ancora delle proprie belle maniere, come se sentisse in lontananza la voce di tuono dei suo antico maestro di Dessau, cui certo, come a noi, non possono tornare gradite simili aspirazioni. Proprio a causa di questa aridità (che si muove nel­ l’àmbito dello stile di Liszt e di Thalberg, presentando le medesi­ 981

me difficoltà ma senza il fascino di quelli) noi pensiamo che queste composizioni non avranno successo nemmeno in quegli ambiti in funzione dei quali sono state scritte, successo invece tributato a Liszt e a Thalberg in modo pienamente meritato, almeno dal punto di vista del virtuosismo. Il Sig. Willmers ha, a nostro avviso, solo due vie d’uscita da questa situazione: tornare indietro da questo insulso cammino che egli ha finora percorso, o gettarsi definitivamente nelle braccia del male. In quest’ultimo caso egli dovrà superare in bizzarria tutti i suoi predecessori: dovrà scrivere accordi a venti parti, non dovrà avere timore di quinte e di ottave, e dovrà inventare forme di fronte alle quali la più tormentata forma lisztiana non sia altro che un innocente balbettio infantile; in breve, dovrà dimenticare del tutto che nell’arte esistono la dignità, la bellezza e l’eternità. Non gli mancheranno allori e editori; temiamo solo una cosa: che non duri a lungo; il pubblico, infatti, fa alla svelta a disfare le corone d’alloro che ha intrecciato e a donarle, intrecciate in nuova foggia, a colui che sa offrire un nuovo e migliore divertimento. Rifletta un po’ su questa eventualità e si prepari per tempo a tornare indietro. Certo: si può anche tenere in poco conto la stima dei propri colleghi artisti, ma allora la fatica sarà doppia: scalare la vetta del successo, e contemporaneamente essere rispettati e stimati. Ci rifletta un po’. Fra tutte le composizio­ ni sopra citate, solo nel Notturno troviamo un atteggiamento un po’ più nobile, un barlume di musica davvero sentita, e così pure nel pezzo intitolato Anelito, sulla riva del mare; in ambedue le composi­ zioni, però, troviamo pur sempre affettazione e superficialità; gli altri lavori, invece, sono assolutamente deprecabili e non sono altro che un semplice conglomerato di passaggi virtuosistici nem­ meno interessanti o di buon gusto: un genere di composizione che non può che infastidire. Il compositore è ancora giovane, lo sappiamo; ed è bensì vero che vengono stampate cose anche peggiori di artisti di minor talento. Ma proprio in quanto il nostro giudizio non si basa soltanto sui risultati, ma anche sulle doti possedute, ed è nostra convinzione che in questo caso abbiamo a che fare con un giovane talento che davvero possiede doti non comuni, proprio per questo ci dispiace doppiamente aver trovato in queste sue composizioni così poco di encomiabile e di originale.

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118. CONCERTI E PEZZI DA CONCERTO PER PIANOFORTE CON ACCOMPAGNAMENTO D’ORCHESTRA

Ferdinand Kufferath, Capriccio per pianoforte con accompagnamento d’orchestra op. 1 La rivista ha già recensito numerosi lavori di questo giovane compositore dal grande talento: egli ha vissuto per un certo periodo non lontano da noi e, se pure non è stato allievo di Mendelssohn, da lui ha comunque ricevuto consigli e ammaestra­ menti. Tale influsso si manifesta chiaramente anche in questa composizione, anzi in modo più forte che in altre, successive composizioni che di lui abbiamo avuto modo di vedere. Il Capriccio non apre certo nuovi orizzonti all’arte, ma manifesta comunque un lodevole impegno, tanto più degno di stima di un’epoca come la nostra, in cui ben pochi compositori pianistici sarebbero in grado di scrivere qualcosa di simile, poiché ben pochi sono coloro che hanno pratica della scrittura orchestrale. Ricordiamo di aver ascoltato il Capriccio qui nella nostra città con l’accompagnamento orchestrale e di avere allora apprezzato la strumentazione intelli­ gente e discreta. Se, come speriamo, il compositore non è da allora rimasto fermo, certo ci possiamo attendere da lui opere sempre più solide in questo genere compositivo, opere che dovrebbero meritare una certa attenzione, dato che si sente sempre più il bisogno di opere di questo tipo. In particolare dobbiamo rilevare che in questo Capriccio si sente la mancanza di un carattere melodi­ co elegante ed aggraziato, di quella magica eufonia che anche le opere severe del Maestro sanno donarci. A questa atmosfera un po’ tetra e pesante contribuisce forse anche la tonalità (ret maggio­ re e do | minore): in queste e simili tonalità l’orchestra suona con fatica e malvolentieri, Jean Paul direbbe “con i guanti di latta”. Possano queste parole servire da ammonimento al giovane com­ positore: speriamo che in seguito egli voglia scegliere tonalità più facili, quando scriverà di nuovo un pezzo con l’orchestra: questo

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mostro capriccioso obbliga tutti a sottostare a certe condizioni. Guardiamo alle prossime opere di questo artista con le migliori speranze circa il suo futuro.

W. Sterndale Bennett, Capriccio per pianoforte e orchestra op. 22 Questo Capriccio condivide tutti i pregi che già spesso abbiamo avuto modo di lodare nelle opere di questo che è senz’altro il più significativo dei compositori inglesi viventi. Solo una cosa comin­ cia a preoccuparci: Bennett sembra sempre più strettamente imbozzolarsi in una maniera da cui rischia di non uscire più. È da un po’ di tempo che continua a ripetere sempre le stesse cose, solo in forme diverse: quanto più perfetto diventa il suo dominio della forma, tanto più sembrano indebolirsi in lui le vere energie inven­ tive. Per dare nuovo sprone alle sue forze egli dovrebbe darsi a lavori di un certo impegno, alla Sinfonia, all’Opera, ecc., abbando­ nare queste giocose moine e occuparsi invece di dare voce alla forza e alla passione. Ma può darsi che questo sia già avvenuto senza bisogno del nostro consiglio: lo vogliamo sperare, comun­ que grati a uno dei più puri talenti del nostro tempo.

Aloys Schmitt, Rondò brillante per pianoforte e orchestra op. 101

Questo compositore è già abbastanza noto nella sua vaga parentela con la scuola hummeliana, parentela che anche questo Rondò manifesta in modo palese. Troviamo qui ciò che vediamo nella maggior parte delle composizioni di quella scuola: correttez­ za, chiarezza e fluidità compositive; quanto poi al vago gusto fieldiano che si sente in questo Rondò, l’autore stesso lo spiega col titolo Souvenir à John Field che ha voluto dare alla propria opera. Una cosa ci è apparsa chiara grazie a questa composizione: quanto siano cambiati, negli ultimi 10-15 anni, i tempi e le esigenze. Questo Rondò avrebbe avuto, se fosse stato stampato un po’ di tempo fa, una certa diffusione; oggi, temiamo, non avrà invece un grande successo. Sono ormai ampiamente superati i tempi in cui era in auge quel genere mediano di musica in cui il compositore faceva brillare il virtuoso e viceversa. Beethoven, il povero, deriso 984

Beethoven, lui sì che era temibile: è stato lui a portarci una nuova idea di musica. Non vogliamo certo proibire la buona prosa borghese; basta che, per ottusità, non la si voglia mettere sullo stesso piano della poesia di un immortale come Beethoven. Ma ciò ormai càpita sempre più di rado: il pubblico è sempre più lucido nei suoi giudizi. E veniamo ora ai Concerti (o Concertini) veri e propri di recente pubblicazione, e dobbiamo purtroppo iniziare con un profondo sospiro per la sterilità che la musica pianistica dimostra in questo campo e per la scarsa rilevanza delle poche pubblicazio­ ni: in questo genere compositivo la situazione è triste sul piano quantitativo come su quello qualitativo. Un Concertino di J. Rosen­ hain ci conferma nel sospetto, che già da un po’ di tempo abbiamo cominciato a nutrire, che questo compositore, non privo di doti, ceda sempre più sul piano dell’impegno e delle aspirazioni, sotto­ stando così con gli anni all’inesorabile destino del mestierante. Sappiamo bene che esistono situazioni in cui l’artista deve passar sopra al proprio rossore e deve scrivere per l’editore e per il pubblico. Ma solo la più stringente necessità potrebbe far chiudere un occhio alla critica: in ogni altro caso qualunque atteggiamento di indulgenza sarebbe fuori luogo. Perciò del Concertino non abbiamo altro da dire che questo: è una speculazione economica appena celata dietro quei lustrini brillanti, è un pezzo che può andar bene suonato da figlie senza talento di fronte al padre, commosso, il giorno del suo compleanno; di musica non è nemme­ no il caso di parlare. Non sappiamo che dire nemmeno a proposito di un Concertino di C. Czerny (op. 650). Chi scrive così può andare avanti anche fino all’opera 1000: ma per questo ci vuole molto... talento. Anche dal Concerto di Carl Mayer (op. 70) ci attendevamo di più. Ci presenta quasi esclusivamente passaggi virtuosistici; può darsi che nella partitura orchestrale, che però non abbiamo potu­ to esaminare, vi sia qualcosa di pregevole: la parte pianistica, però, come s’è detto, non ci ha molto soddisfatto. Se qua e là, nel cielo della musica, si possono notare fausti segni che promettono un futuro artistico migliore, è proprio per questo doppiamente deludente vedere opere che, come questo Concerto, continua­ no a basarsi esclusivamente sulla tecnica e sulla bravura digita­ le. Si parla tanto spesso del gusto depravato del pubblico; ma chi è responsabile di tale depravazione? Siete voi, virtuosi-compositori!

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Non credo sia mai successo che il pubblico si sia addormentato durante un Concerto di Beethoven. Il Signor C. Mayer è fra i migliori della scuola galante e noi abbiamo già spesso dovuto prodigare lodi sincere parlando di alcuni suoi piccoli pezzi piani­ stici, miniature assai ricche di grazia ed eleganza; ma col suo Concerto egli non ha certo mostrato alcun progresso. Ci resta ancora da recensire un Concerto di Jacques Schmitt (op. 300), un’opera che, pur non essendo né nuova né significativa sul piano dell’invenzione, rivela però in ogni passaggio la mano del compositore profondo, di grande pratica e di notevole talento; è un’opera scritta nella degnissima, grande forma in tre movimen­ ti, una forma che sarebbe deprecabile che sparisse del tutto dalla musica da concerto, il che peraltro non significa assolutamente che ci si debba opporre a eventuali geniali innovazioni. Il compositore è, come anche suo fratello Aloys, di cui abbiamo parlato più sopra, abbastanza noto; questi due fratelli hanno varie cose in comune e sono cresciuti praticamente alla stessa scuola. Oltre che per la chiarezza e la scorrevolezza compositive le composizioni di Jac­ ques Sch. si segnalano anche per un particolare gusto per la bella sonorità e per una maggiore forza inventiva melodica rispetto alle composizioni dell’altro fratello. Fa sempre piacere ritrovare un­ ’antica fede espressa in una nuova e non irrilevante composizione, e se pure la nuova opera non porta il genere compositivo ad un piano più elevato, non è tuttavia inutile che essa sia andata ad accrescerne il repertorio; sarà anzi utile affidare questo Concerto alle mani dei giovani pianisti come studio preparatorio prima di affrontare le opere di Hummel. E questo è quanto ci è stato offerto in questo genere musicale: sono le cose più importanti pubblicate da più di tre anni a questa parte. Esageravamo, prima, quando dicevamo che ben triste è la situazione in questo genere compositivo?

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119. LIEDER E CANZONI

Carl Kossmaly, 6 Canti per voce con accompagnamento di pianoforte (3° fase.) Cari Helsted, 6 Canti per voce con accompagnamento di pianoforte op. 1 Robert Franz, 12 Canti per soprano o tenore e pianoforte op. 1 (due fascicoli) Il nome del primo compositore in elenco non è certo ignoto alla maggior parte dei nostri lettori. Esprimendo le proprie opi­ nioni artistiche, riportate da questa rivista in varie occasioni da quando è stata fondata, egli ha sempre dimostrato di pensare alle più alte mete dell’arte, per cui altrettanto ci si poteva attendere da lui sul piano pratico. Come già nelle sue espressioni teoriche si poteva vedere chiaramente che dietro al critico si nascondeva un buon musicista, così di questi Lieder si può dire la stessa cosa rovesciata, e come spesso l’abbiamo seguito volentieri nei percorsi - spesso assai intricati — del mondo delle sue idee, così ancor più volentieri seguiamo il musicista nei percorsi delle sue creazioni musicali. Questi Lieder non sono tutti uguali e sembrano nati in due diversi periodi di vita del compositore. Di un periodo prece­ dente mi sembrano il n. 1, Fruhlingsglaube [Fede primaverile], il n. 3, Erster Verlust [Primo dolore], e il n. 6, Nafte des Geliebten [Presenza dell’amato]; di un periodo successivo, più recente, tutti gli altri. La differenza fra queste due metà è notevole. Se nei Lieder più recenti il compositore ha palesemente conseguito una maggiore chiarez­ za, giungendo ad un modo più facile e libero di trattare parola e suono, non per questo i precedenti mi sembrano indegni di attenzione, per quanto spesso lascino trasparire un animo non certo sereno. Se forse meno tormentata è stata la composizione dei più recenti, gli altri nascono invece da una più profonda ricerca; questi ultimi, quelli scritti in un periodo precedente, sono anzi quelli che io preferisco. Belli sono gli anni in cui il giovane artista, incurante del tempo e della fama, vive solo in funzione del proprio ideale, dedica la massima cura anche al più piccolo particolare, pronto a sacrificare 987

tutto per la propria arte. Ad un siffatto periodo mi sembrano potersi attribuire quei tre Lieder prima citati; sono Lieder da cantare di fronte a pochissime persone, curati e portati a compi­ mento non senza fatica, ma con amore; di fronte ad un vasto pubblico si paralizzerebbero per la paura, passerebbero inosserva­ ti e incompresi come un uomo di profondi pensieri in un ricevi­ mento mondano, certi particolari spesso contorti provocherebbe­ ro addirittura disagio. Le cose vanno diversamente con gli altri tre Lieder: sono fatti con maggiore intenzione, pensando anche all’ef­ fetto momentaneo, ed è certo che otterranno facilmente l’applau­ so; ma con ciò in essi va persa quella sincerità, quella spontaneità che era nei precedenti, e in essi si nota anche una certa inclinazio­ ne a riprendere in qualche modo lo stile di altri compositori, in particolare Fr. Schubert e Marschner, mentre quelli precedenti, che ricordavano solo leggermente e occasionalmente Spohr, sem­ brano essere nati esclusivamente dal più profondo dell’animo del compositore. Ciò che in generale distingue i Lieder di Kossmaly è il tentativo di cogliere il senso più profondo della poesia e la grande cura riservata all’accompagnamento. Per eseguirli è necessario che essi siano perfettamente compresi tanto dal cantante quanto dal pianista: quest’ultimo non deve infatti coprire l’altro con il complesso intreccio polifonico della propria parte, mentre il pri­ mo dev’essere in grado di dipanare con la massima naturalezza il filo dorato della melodia. Spesso verrebbe voglia di lamentare un eccesso nell’accompagnamento; ma ad un più attento esame si potrà notare che tale complessità è a tal punto indissolubilmente connessa con l’invenzione complessiva che quasi nulla può essere eliminato. Possa dunque il compositore ritrovare quel particolare tono dei primi Lieder. quello era il suo tono più personale e non può essere andato perso; possiamo ancora attenderci da lui qual­ che nobile fioritura. Il secondo compositore in elenco è un giovane danese, e al numero dei notevoli talenti che la Danimarca ci ha ultimamente offerto, quali Hartmann, Gade, Horneman, von Lòvenskiold e altri, ci fa piacere aggiungere il nome del Sig. Helsted, già più volte citato sulle pagine di questa rivista e che con questi Lieder si presenta in Germania nel modo più onorevole. E possibile che all’estero viva nascosto qualche talento che guarda con struggi­ mento alla Germania, che è pur sempre la buona patria della vera musica, e sappiamo che pochi sono i prìncipi amanti dell’arte che 988

di buon grado concedono a costoro i mezzi per acquisire cultura e fama come è invece il caso del principe di Danimarca, il quale ha concesso a questo compositore cospicui sussidi per un soggiorno di vari anni all’estero. Lo diciamo per spiegare il perché di alcune cose in questi Lieder: i testi tedeschi, la declamazione quasi sempre buona, lo stile stesso della musica, che, a parte alcuni isolati toni nordici, per il resto è da definire puramente tedesca. Cosa che purtroppo non sempre si può dire dei nostri liederisti: abbiamo degli amburghesi, dei viennesi, ecc., ma di puri tedeschi solo pochi; il giovane danese potrebbe invece servire d’esempio a molti. Con ciò non vogliamo dire che questi Lieder siano assolutamente magistrali, ma un appassionato discepolo nel bene è sem­ pre meglio di un maestro nella mediocrità, e il nostro merita quell’epiteto nel senso migliore di tale espressione. È possibile che questi Lieder, che recano il numero d’opera 1, siano i primi in assoluto scritti dal compositore; la melodia appare qua e là ancora un po’ immatura, non sempre la forma è compiuta con pari eleganza. Come il torrente, prima di diventare un fiume ricco e ampio, ora si precipita irrequieto a formare turbinose cascate, ora si frange contro pietre e rocce, così è per più di un giovane artista, anche se di frequente proprio quei primi inizi offrono paesaggi più pittoreschi e affascinanti del comodo letto in cui spesso la maestria si adagia. Riportando questa immagine ai nostri Lieder, possiamo dire che in essi vi è qualcosa di fascinosamente selvaggio e quella originaria freschezza per cui volentieri dimentichiamo i piccoli difetti che sono tipici di ogni primo tentativo. Sul piano formale, ad esempio, non abbiamo nulla da rimproverare ai Lieder del Sig. Kùcken; 1 ma l’impostazione artistica generale di questo come di altri compositori di questo genere non può che definirsi banale, mentre formalmente possiamo trovare qualcosa da critica­ re nelle composizioni di altri, il cui punto di partenza è però di gran lunga più elevato. Con piacere notiamo dunque che i Lieder di cui parliamo si basano tutti su un’impostazione artistica di grande nobiltà; sono qualcosa di più di un semplice accompagna­ mento ad accordi di una melodia abbastanza cantabile, entrano nella vita stessa della poesia, e la felice comprensione del testo non esclude una realizzazione complessa e interessante sul piano stret-

1 Friedrich Wilhelm Kùcken (1810-1882). [M.K.]

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tamente musicale. Spesso scopriamo ad esempio piccole imitazio­ ni, da dietro le quali la melodia ci guarda con occhi astuti, tratti raffinati che tradiscono il perfetto orecchio del musicista, che contemporaneamente alla melodia principale sa trovare una se­ conda e una terza linea melodica secondaria. In questo senso i più riusciti mi sembrano Das Klosterfràulein [La novizia] e In der Frenide [In terra straniera]; soprattutto l’ultimo, preso ad un tempo con­ venientemente lento, dovrebbe essere di straordinario effetto; è diventato il mio favorito. Ciò che rende interessanti questi Lieder, confrontandoli l’uno con l’altro, è la loro caratteristica diversità. Mentre altri compositori continuano per anni a proporci canzoni dei mugnai, ninne-nanne, ecc., qui ogni Lied ci offre invece una nuova tinta musicale, il che ovviamente è stato favorito da un’at­ tenta scelta delle diverse poesie. L’intimo Fruhlingsglaube, il selvag­ gio Der irre Spielmann [Il menestrello folle], da Eichendorff, il beffardo Im Hirn spukt mir ein Mdrchen fein [Una bella storia mi passa per la testa], da Heine, i due Lieder “antico-tedeschi”, e l’ultimo melanconico In der Fremde: tutti hanno un tono diverso, ma sempre sostanzialmente esatto, il che depone nel modo più positivo in favore delle capacità del compositore, il quale potrebbe col tempo proficuamente dedicarsi all’opera. Certi singoli punti sono criticabili; ma dove non se ne trovano! Così ad esempio il primo Lied mi sembra un po’ pesante nonostante l’intima espressi­ vità che lo pervade, il Lied antico-tedesco mi pare mancare di una buona scorrevoleza, la conclusione di Das Klosterfràulein è un po’ impacciata, ecc. Ma, come già detto, le cose principali ci sono tutte: talento, serie aspirazioni, una già matura formazione; i benigni genii che gli hanno fatto questi doni non gli negheranno anche in avvenire il loro benevolo aiuto. Sui Lieder di R. Franz si potrebbero dire molte cose; non sono fenomeni isolati e sono in stretta connessione con l’intero processo di sviluppo della nostra arte negli ultimi dieci anni. Sappiamo come negli anni 1830-1834 ci sia stata una reazione contro il gusto dominante. In fondo non è stata una battaglia troppo difficile: si trattava di combattere contro la vuota retorica che, a parte casi eccezionali come Weber, Loewe, ecc., si faceva strada in quasi tutti i generi, soprattutto nella musica per pianoforte. Dalla musica per pianoforte partì anche il primo attacco; al posto dei passaggi virtuosistici subentrarono figure musicali di più profondo signifi­ cato, e in questo senso l’influsso di due Maestri fu particolarmente 990

notevole: Beethoven e Bach. Il numero dei discepoli crebbe, e questo nuovo impulso si trasmise anche ad altri campi. Nel Lied il terreno era già stato preparato da Franz Schubert, ma più in senso beethoveniano, mentre nelle opere dei liederisti della Ger­ mania del Nord si faceva piuttosto sentire l’influsso dello spirito bachiano. Ad accelerare il processo contribuì anche l’emergere di una nuova scuola poetica tedesca: Ruckert e Eichendorff, per quanto sviluppatisi in precedenza, divennero sempre più familiari ai compositori e soprattutto Uhland e Heine furono scelti per essere messi in musica. Nacque così un tipo di Lied più artistico e profondo, un tipo di Lied di cui ovviamente in composito­ ri precedenti non potevano sapere nulla, in quanto era il nuo­ vo spirito poetico che si rispecchiava nella musica. I Lieder di R. Franz appartengono a pieno titolo a questo nuovo, nobile genere. Il modo di fabbricare Lieder all’ingrosso, mettendo in musica con lo stesso identico atteggiamento una poesia da quattro soldi o una poesia di Ruckert, comincia ad essere giudicato per quello che è, e se il pubblico medio non si è ancora accorto di questo progresso, i più attenti l’hanno visto chiaro ormai da parecchio tempo. Ed in realtà il Lied è forse l’unico genere in cui da Beethoven in poi si sia verificato un progresso davvero signifi­ cativo. Confrontiamo ad esempio l’attenzione che in questi Lieder viene riservata al rapporto col testo, cercando di rispecchiare il senso della poesia e fin della singola parola, con la noncuranza per tale problema caratteristica del vecchio modo di comporre i Lie­ der, dove la poesia aveva un’importanza solo secondaria; oppure confrontiamo la complessa elaborazione armonica di questi nostri Lieder con le timide fòrmule di accompagnamento di cui l’epoca passata non riusciva a liberarsi: solo un ottuso può non accorgersi della differenza. In quanto detto è già implicitamente espressa quella che è la caratteristica dei Lieder di R. Franz; egli vuole qualcosa di più che una musica che suoni bene piuttosto che male: vuole riprodurre la poesia nella sua viva profondità. L’elemento quietamente sognan­ te è quello che gli riesce meglio; ma troviamo anche espressioni di affascinante ingenuità, come ad esempio subito nel primo Lied e poi in Tanzlied im Mai [Canzone di danza di maggio], ed anche impeti più arditi, come in alcuni Lieder su testi di Burns. Questo doppio fascicolo ci rimanda una serie di immagini e di sensazioni le più diverse, ma quasi sempre velate di melanconia. Per eseguirli 991

sono necessari cantanti, veri artisti, uomini; sarà bello cantarli anche da soli, soprattutto verso sera. Qualche piccolo particolare disturba il mio orecchio: così ad esempio gli inizi del 7° e del 12° Lied e il rni troppo spesso ripetuto nelfultimo; uno, il 7°, avrei preferito che fosse del tutto eliminato, in quanto mi sembra troppo ricercato sia nella melodia che- nelfarmonia. Per il resto tutto è interessante, significativo, e spesso assai bello. Nella ninna-nanna da Tieck mi sarebbe piaciuta una conclusione musicalmente più ricca; ma resta comunque uno dei Lieder più felici. Se volessimo parlare dei tratti più raffinati, poi, non finiremmo più; ma le persone sensibili e musicali non avranno difficoltà a vederli da sé. Questi Lieder si distinguono alquanto dagli altri. E chi ha iniziato così non dovrà meravigliarsi se il futuro pretenderà da lui cose ancora più alte. I successi nel piccolo genere possono facil­ mente condurre alla ripetitività, alla maniera. 11 nostro giovane artista deve invece proteggersi da questo rischio affrontando nuove forme artistiche, provando a esprimere la propria ricchezza interiore anche in un altro modo che con la voce. Il nostro partecipe interesse lo seguirà dovunque.

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120. PICCOLE COMPOSIZIONI PER PIANOFORTE

Franz Proche, 6 Variazioni su un tema originale di carattere elegiaco op. 27 Del tema il compositore non ha detto molto, definendolo come Tha definito; ci ha colpito, in esso, un carattere melanconico affatto particolare, come fosse l'ultimo lamento di un infelice; dovremmo addirittura definirlo eccellente, se solo non ci fossero alcuni parti­ colari di cattivo gusto che ci disturbano. E la stessa cosa vale per tutto il ciclo: è uno strano miscuglio di filisteismo e di talento, di cattivo gusto e di grande sensibilità espressiva. Che ognuna delle Variazioni sia in una tonalità diversa da quella del tema, questa scelta saremmo in un primo momento tentati di definirla positi­ vamente originale e anticonformista piuttosto che biasimevole. Ma poi il modo in cui questa scelta si realizza concretamente, il fatto che le Variazioni si muovano tutte in caratteri affatto diversi dal tono elegiaco del tema (quella in do maggiore scade addirittu­ ra in uno stile di bravura alla Francois Hùnten), tutto ciò alla fine ci ha convinto del fatto che tale originalità non era altro che una stravaganza, e che tale forma non era giustificata da una necessità interiore. Ma il tema, come s’è detto, e poi anche la parte conclusi­ va, che riprende il carattere del tema, ci inducono a osservare con interesse questo compositore, il quale, se volesse raffinare il pro­ prio gusto prendendo esempio da veri modelli, potrebbe forse col tempo produrre qualcosa di veramente bello. Egli dovrebbe so­ prattutto lasciar perdere tutta quella paccottiglia virtuosistica e cercare di dare la giusta espressione all’originalità delle sue idee, e soprattutto dovrebbe studiare molto, non già leggendo libri, bensì stando in stretto e continuo contatto coi Maestri e coi capolavori e confrontando questi con le proprie composizioni. Noi speriamo che il nostro augurio possa felicemente realizzarsi e che egli trovi la forza e la modestia necessarie per seguire il nostro consiglio. 993

Stephen Heller, Fantasia op. 31 e Bolero op. 32 su temi dalla Giudea di Halévy

Anche questa è musica da salotto; ma quale raffinato musicista fa qui capolino ad ogni passaggio, come tutto è piccante e origina­ le! Abbiamo già spesso espresso il nostro rammarico nel vedere dei talenti davvero creativi dedicarsi a generi compositivi secondari; d’altra parte può anche non essere del tutto inutile che artisti intelligenti come St. Heller pensino talvolta un po’ al salotto, un ambiente in cui, se non ci fossero loro, sarebbe assai difficile che un raggio di buona musica potesse penetrare. Sembra quasi che la musica di Halévy si nobiliti, passando nelle mani di Heller: egli possiede un’abilità straordinaria nel rimodellare una mediocre musica altrui in modo tale che il risultato sembri quasi una buona composizione originale. Non conosciamo un altro compositore che in questo lo eguagli, che sappia, in un genere compositivo che sempre desta qualche sospetto artistico, compromettere così poco la propria dignità. Voglia dunque egli donare un po’ della propria ricchezza anche ai dilettanti: così facendo egli offrirà loro un ponte per comprendere anche l’arte più profonda, e in ciò non vi sarà certo alcun pericolo per la sua dignità artistica.

S. Thalberg, Valzer brillanti op. 47

Si potrebbero recensire senza nemmeno averli visti. Che cosa altro mai dobbiamo aspettarci se non la solita bella musica pianisti­ ca di danza, scintillante e svolazzante, che altro non vuol essere da quello che è?! Anche Chopin e Liszt hanno scritto musica di danza da salotto; ma come Thalberg si differenzia da questi nelle grandi opere altrettanto è diverso nelle piccole; se volete ritrovare il carattere sognante, sempre vagamente echeggiante i toni della Mazurka, dei Valzer di Chopin e il focoso carattere dell’ungherese Liszt riuniti in un miscuglio elegante-viennese non dovete far altro che prendere in mano i Valzer di Thalberg. Una raccomandazione da parte della critica sarebbe inutile, e altrettanto infruttuoso sarebbe sconsigliarli.

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S. Friedburg, Capriccio

La composizione non ha numero d’opera ed è dedicata dal compositore a suo padre: ci troviamo dunque di fronte al lavoro di un esordiente, e possiamo dire che si tratta di un lavoro assai promettente. Ben poche volte ci si presenta l’occasione di dire una cosa simile: come ci piacerebbe poterla dire più spesso! Innanzi­ tutto vediamo in questo Capriccio, pur nella sua brevità, una chiara forma artistica; in esso non vi è niente di scioccamente casuale, ovunque si vede la mano ordinatrice che si sforza di padroneggia­ re anche i più elaborati grovigli formali e che non arretra di fronte alle difficoltà, sempre cercando una soluzione. Simili qualità in un giovane fanno sempre ben sperare per il suo futuro; il dominio della forma conduce il talento ad una sempre maggiore libertà, la storia di tutte le arti e di tutti gli artisti l’ha dimostrato. Certo nel Capriccio troviamo anche eccessi giovanili, ma le cose buone sono di gran lunga preponderanti, e d’altronde un’opera magistrale dall’inizio alla fine non riesce ogni momento nemmeno all’artista maturo. Diamo dunque il nostro benvenuto a questo ancor giova­ ne artista e a questa sua prima creatura con le più liete aspettative per ciò che seguirà. Per una maggiore efficacia del pezzo avremmo solo preferito una conclusione più focosa, una conclusione in forte: il carattere del Capriccio, fresco e vivace, non giustifica quella conclusione in piano. Niente è più importante, sul piano artistico, per un compositore che dare la giusta forza alla conclusione: solo da ciò dipende l’effetto complessivo.

F. Chopin, Tarantella op. 43 Ecco un pezzo del più folle stile di Chopin: vediamo davanti a noi il ballerino che gira vorticosamente su se stesso, quasi in preda a un raptus, e fa girare la testa anche a noi. Nessuno può davvero dire che questa sia bella musica; ma possiamo perdonare al Maestro le sue selvagge fantasie, e gli si può permettere che per una volta egli ci lasci vedere i lati notturni del suo animo. D’altron­ de Chopin non ha mai scritto per i recensori “antica maniera”. Purtroppo gli errori di stampa, di cui questa edizione davvero brulica, rendono assai difficile il primo approccio a questo pezzo.

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W. Sterndale Bennett, Rondò op. 25

Dopo la composizione precedente, quella di Bennett fa l’effet­ to di una danza di Grazie dopo una ridda di streghe. Bennett ha già scritto molte cose simili, e anche questo lavoro non manifesta alcun progresso, anche se per converso possiede tutti quei pregi magistrali che già tante volte abbiamo sottolineato in questo com­ positore. L’opera, nel suo complesso, si pone senza grandi pretese, ed evidentemente non è che uno Studio per pianisti di medie capacità, come testimonia anche il fatto che qua e là viene indicata la diteggiatura. Poiché in questo genere mancano pezzi musicalmente validi, possiamo raccomandare caldamente questa compo­ sizione. Dall'articolo n. 120 vennero eliminate da Schumann le recensioni di dodici composizioni: riportiamo qui le sette più interessanti. [P.R.]

E. Marxsen, Sette Variazioni su un tema russo op. 14

Il capitolo “Variazioni” occupa, negli ultimi cataloghi di musi­ ca, a malapena la quinta parte dello spazio che occupava un po’ di tempo fa; si tratta di un genere ormai screditato. Ma stavolta riceviamo un’opera che con piacere segnaliamo come degna di notevole attenzione. Il tema è originale, di sei battute, e molto adatto ad essere variato. Le Variazioni denotano una mano artisti­ ca, in grado di restare ben aderente al tema, rendendolo però interessante; non sono vacui pezzi virtuosistici, ma miniature assai pulite, realizzate, nello spirito del tema, in modo molto interessan­ te. E un lavoro che non pretende di essere particolarmente origi­ nale, ma la realizzazione è perfetta e ci convince molto di più di altre cose dello stesso compositore in cui egli sembrava aderire supinamente (a nostro parere contro la sua stessa migliore natura) alle moderne tendenze brillanti dei più giovani virtuosi. Walter von Goethe, Quattro Impromptus op. 6; Poesie op. 8

Abbiamo già avuto modo di parlare sulla rivista dei lavori del giovane Goethe, nipote del grande Goethe. Anche a queste, però, 996

non possiamo applicare il nostro più vigoroso metro di giudizio: il compositore è ancora giovane, chiaramente esita ancora nella scelta dei propri ideali, indeciso se giurare fedeltà alla bandiera tedesca o a quella italiana, abbandonandosi alla prima buona idea che gli capita sul momento, sicché poi il risultato non potrà mai essere perfettamente compiuto. Egli dimostra grande abilità nella composizione di facili pezzi melodici; ma là, dove invece sarebbero necessari elaborazioni e sviluppi, la forza e la voglia lo abbandona­ no, per cui la maggior parte dei suoi pezzi reca un’impronta piuttosto dilettantesca. Ci è piaciuto molto l’amabile tema del quarto Impromptu, ma poi nel suo sviluppo il pezzo non è all’altezza della prima impressione. Vorremmo ancora consigliare al giovane compositore di non disperdersi nelle piccole cose; ma ci è giunta notizia che egli si sta dedicando a lavori drammatici di notevole impegno. Attendiamo questi ultimi con vivo interesse; il mondo partecipa con raddoppiata intensità a tutto ciò che ci ricorda un grande uomo; sia dunque il nome celebrato un positivo presagio della sua futura attività creativa.

O. J. A. Diìtsch, 4 Pezzi caratteristici op. 1

I modelli di questo giovane compositore sembrano essere Henselt e Mendelssohn; almeno questi Pezzi si mantengono in un àmbito medio fra Studio e Romanza senza parole. Con questa raccolta non riceviamo certamente niente di straordinario; ma la naturalezza, lo sforzo di ottenere una buona forma e una armonia gradevole che in essa ovunque possiamo riscontrare ci fanno accogliere quest’opera con vivo piacere. Scrivendo questi piccoli pezzi, però, il compositore deve evitare di ripetere troppo a lungo figure stereotipe come ad esempio fa nel 1° e nel 3° Pezzo: è una cosa che stanca ascoltatore ed esecutore. Per il resto egli scrive in modo corretto e chiaro, per cui non c’è molto da criticare. Il Duetto è una copia dell’omonimo pezzo di Mendelssohn in lak; a un compositore più anziano è una cosa che non perdoneremmo, ma da un giovane possiamo accettare anche una copia, purché ben riuscita. È interessante notare che in questi pezzi non troviamo neanche un’indicazione interpretativa, cosa di cui essi in effetti, nella loro chiarezza, non hanno bisogno.

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C. Krebs, Grande Fantasia su temi dalla “Lucrezia Borgia”di Donizetti op. 121 Con questa Fantasia il compositore sembra addirittura voler superare Liszt e Thalberg, cosa per cui egli a nostro parere non possiede assolutamente il talento necessario; era tempo che non sentivamo qualcosa di così insulso come quest’opera. Quanta fatua vanità, quanta boria e quanta presunzione! Preferiamo di gran lunga le quinte e le ottave di uno scolaro diligente a questa routine che non fa strafalcioni ma fa molto peggio: della musica banale. Qui abbiamo un provinciale che vuole imitare ciò che Liszt ha raggiunto mettendosi in conflitto con se stesso e col mondo, ciò che Thalberg si è costruito frequentando i salotti e le signore; e se dalle opere di costoro emerge continuamente il loro grande virtuosi­ smo nel dominio dello strumento, qui non vediamo altro che un faticoso arrancare sui tasti con risultati che sono filisteismo puro. Se poi il provinciale ha un attimo di genialità, allora scrive cose come questa:

e per il resto è vuota desolazione. Basta con queste composizioni!

A. Hesse, Terzo Rondò op. 68

Con piacere abbiamo suonato questo pezzo, un pezzo che si distingue, in mezzo a cento altri del medesimo genere, se non per lo stile all’ultima moda certo però per la grazia di notevole solidità. Il valore di questo bravo organista, che palesemente vive ancora sotto l’influenza di Spohr, non si smentisce nemmeno in queste piccole cose; questo brano è tornito in modo magistrale e oltre a ciò animato da un alito di delicata sensibilità che ce lo fa apparire 998

come particolarmente affascinante. Per il resto, il Rondò si muove su un piacevole e tranquillo passo di Polacca che rende questo brano accessibile anche a pianisti di medie capacità, ed è all’atten­ zione di costoro, come d’altronde anche all’attenzione di tutti gli altri, che con convinzione raccomandiamo questo pezzo.

C. G. Lickl, 6 Elegie op. 63

Ciò che è promesso dal titolo è mantenuto dalla composizione. Naturalmente non dobbiamo suonare tutti e sei i pezzi uno in fila all’altro: il loro tono sentimentale può stancare alla svelta. Quanto ad invenzione e a realizzazione sono quasi tutti sullo stesso livello e non offrono niente di straordinario; ci concedono in compenso una musica sempre gradevole da ascoltare, ricca di sentimento e sempre perfettamente pianistica, la composizione è spontanea e scorrevole tranne in due punti che ci hanno spiacevolmente colpi­ to (nel n. 3 a pag. 5, sist. 4, battuta 2, e nel n. 6 a pag. 7, dal sist. 2 al sist. 3). Con piacere notiamo che anche in queste Elegie mancano le indicazioni interpretative: nelle precedenti composizioni del me­ desimo autore erano veramente troppe ed erano segno di una predilezione per un modo di interpretare eccessivo, esasperato. Ripetiamo anche stavolta il desiderio, già espresso in precedenza, che il compositore scriva anche per il canto.

Eduard Ròckel, Cantabile op. 4 Scherzo op. 5 Il compositore sembra essere un virtuoso appartenente alla corrente migliore: egli, in altre parole, oltre a curare la brillantez­ za del fatto tecnico non dimentica l’anima dello strumento, non pensa solo alle dita ma anche al cuore. Nessuna delle due composi­ zioni è particolarmente profonda o nuova: ma non è da tutti saper produrre opere siffatte, e una prosa piana e forbita vale almeno quanto una poesia zoppicante. Il Cantabile ci sembra particolar­ mente scorrevole, solo un po’ deboluccio nell’espressione; nella parte centrale, in effetti, vorrebbe anche tentare di assumere uno slancio un po’ più vigoroso, ma presto lo slancio termina (con quei passaggi in terze di stile italiano, da pag. 7 alla fine) e il risultato è 999

ancora più gracile di prima. La riconduzione al cantabile ci sembra invece ben riuscita. Lo Scherzo inizia con un fi anco tono umoristico; ma nel Trio ritorna rapidamente il virtuoso da salotto, che ha paura di offen­ dere se scherza più di tanto: è come se un viso allegro cambiasse improvvisamente espressione affettando un’aria di enfatica distin­ zione. E alla fine ancora la stessa cosa. Per cui lo Scherzo è come bifronte: avremmo preferito un po’ più di umorismo. Sicuramen­ te, comunque, il compositore appartiene alla schiera dei migliori fra i virtuosi e dovrebbe essere in grado, impegnandosi con costan­ za, di offrirci lavori ancora più significativi.

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121. SONATE PREMIATE

Gustav Krug, Grande Duo per pianoforte e violino op. 3 Louis Hetsch, Grande Duo per pianoforte e violino op. 13

Queste due composizioni sono state premiate dalla Associazio­ ne musicale della Germania del Nord di Amburgo, e più precisamente la prima ha conseguito il primo premio e la seconda il secondo premio. Un confronto critico appare perciò legittimo qui più che in qualunque altro caso. Innanzitutto è interessante il fatto che sia stato un dilettante a conseguire il primo premio, davanti a tanti artisti. Ma dopo un più attento esame delle composizioni dobbiamo invece riconoscere che la faccenda non è così grave e che l’onore dei musicisti non va assolutamente considerato perdu­ to. Possiamo dire con piacere che, con la composizione prima classificata, abbiamo fatto la conoscenza di un dilettante come ce ne sono pochi, almeno sul piano della pulizia compositiva, dell’abi­ lità nella disposizione formale e della realizzazione complessiva secondo buoni modelli. Ma da una composizione premiata preten­ diamo qualcosa di più del semplice fatto che sia una buona compo­ sizione e che non dia àdito a critiche: pretendiamo che sia un’ope­ ra ricca sul piano dell’invenzione, fresca e vitale, un’opera che ci disveli nuovi lati dell’arte, o che quantomeno (e questo è il massi­ mo dell’indulgenza concessa ad una giuria) lasci nutrire buone speranze su un fecondo futuro per il suo autore. Ma la prima delle due composizioni non soddisfa tali richieste; in particolare sentia­ mo ovunque la mancanza di originalità e di novità, è un lavoro che in definitiva non si eleva molto oltre il livello di analoghe opere di Andreas Romberg, in altre parole arriva con circa trent’anni di ritardo. E questa è un’affermazione che merita di essere dimostra­ ta il più chiaramente possibile. Il primo momento (in la minore) inizia con un tema semplice, che però già a partire dalla quinta battuta si fa opaco e che 1001

anche in seguito, quando il violino interviene in un contrap­ punto piuttosto elementare, non riesce a risvegliare un più vivo interesse. Il discorso si fa più vivace fino alla comparsa del tema in maggiore, ma quest’ultimo, poi, (in do maggiore) ci sembra assai banale, per nulla interessante. Conclusione della prima parte in do maggiore con le battute di transizione per il ritornello (per tornare al la minore iniziale) di livello piuttosto dilettantesco. Nella parte centrale di questo movimento la prima battuta del tema iniziale viene sviluppata abbastanza ampiamente, ma il risul­ tato è di minore interesse, il tema in maggiore ricompare ora in minore (fa # ), dopodiché vi è una rapida modulazione a la minore per riprendere l’inizio, con la consueta riproposizione degli ele­ menti precedenti e una rapida conclusione con un’ultima ripeti­ zione del primo tema. Segue uno Scherzo, che dobbiamo davvero definire bello e ben riuscito; anche il Trio ci è piaciuto molto: ma non aspettatevi niente di particolarmente originale. Al posto dell’Adagio troviamo delle Variazioni su un tema graziosamente cantabile. Di queste variazioni la terza ci piace per la sensibilità piena di carattere che la pervade; la seconda non è una vera e propria variazione, bensì il tema stesso, con l’aggiunta di un semplice accompagnamento pianistico. Alle Variazioni segue subito, senza interruzione, l’ultimo mo­ vimento, un Allegro agitato. Un po’ confuso dal punto di vista formale, questo movimento ci pare tuttavia il più vitale e il più ricco di slancio dell’intera Sonata e produce perciò nell’ascoltatore una disposizione favorevole nei confronti di tutta l’opera. Volendo ora riassumere in breve il nostro giudizio, dobbiamo, come s’è detto, riconoscere all’autore buone capacità e buona preparazione, dobbiamo rendere giustizia al suo sforzo di lavorare con mezzi semplici e infine augurargli la miglior fortuna per la sua arte, che potrà forse rendergli meno gravoso un arido impiego borghese. Se un unico premio fosse stato attribuito a questa composizione noi non avremmo avuto niente da recriminare, non potendo conoscere il valore degli altri lavori presentati. Ma le cose stanno altrimenti, perché qui abbiamo la possibilità di confrontare quest’opera con un’altra composizine; e davvero confessare di non comprendere la decisione della giuria, che ha classificato seconda la Sonata di Louis Hetsch, opera ben più significativa dell’altra e che ad ogni passaggio testimonia la presenza di un valido talento. 1002

Quest’opera soffre, all’opposto di quella del Sig- Krug, di una certa inquietudine, di una certa sovrabbondanza di cose; ma, a parte ciò, quanti pregi ha più di quella! In essa vediamo battere un cuore fresco e vitale, il compositore si offre in modo pieno e senza riserve, nella sua opera vediamo rispecchiato un momento del presente, ma non il presente depravato, peggiore, bensì quello dei suoi più degni esponenti. E se pure non possiamo dire che l’artista sia già all’apice del suo talento, se ancora non si presenta come il genio vittorioso, certo è però che egli non ha ancora dato fondo a tutte le proprie forze e noi possiamo perciò attenderci da lui con sicurezza nuove prove sempre più magistrali. Non con tutto entriamo in empatia: alcune cose ci sembrano ricercate, non cantate con la sufficiente naturalezza, e il compositore appartiene al novero di quelle nature originali che sempre hanno bisogno, per svilupparsi, di più tempo di quello di cui hanno bisogno le nature più comuni. Dobbiamo comunque esprimere la nostra stima per il bel risultato, per le notevoli conoscenze armoniche del suo autore, per il suo stile energico e per il suo sforzo di esprimere davvero qualcosa sia nel particolare sia nel complesso dell’opera. Fra tutti i movimenti, la nostra preferenza va al primo; se pure, nel suo primo tema, esso ci ricorda qualcosa del grande Concerto in mil> maggiore di Beethoven, tale fatto però non pregiudica la qualità dello svolgimento, sempre portato avanti con prorompente ardo­ re. Prescindendo da questa reminiscenza, per il resto troviamo in questo movimento cose davvero originali, spesso interessanti e nuove, soprattutto nell’armonia; è un pezzo ricco anche sul piano delle combinazioni artistiche nel lavoro tematico. In ogni caso ciò che più positivamente ci colpisce è il suo carattere orgogliosamen­ te appassionato, un carattere che, anche quando l’autore vorrebbe volgersi a sentimenti più dolcemente sognanti, non scade però mai nel sentimentalismo da donnicciole. Dobbiamo però purtroppo confessare che gli altri movimenti, uno dopo l’altro, pèrdono gradualmente di interesse. Nell’Adagio troviamo ancora alcune notevoli bellezze; tutto il movimento, nel suo esteso impianto formale, è in stretto rapporto col primo e ricorda, nello stile, gli Adagi delle grandi Sonate beethoveniane. Nello Scherzo, invece, si sente la mancanza di un’idea davvero interessante; bello è tuttavia il passaggio al Trio e il Trio stesso. Quello che meno ci piace è l’ultimo movimento; già il tema ci sembra poco musicale; guardate voi: 1003

Speravamo quantomeno in un’elaborazione umoristica a ca­ none, cui ad un primo sguardo il tema stesso invita. Ma non arriva niente di simile. 11 secondo tema:

è, se possibile, ancor meno significativo. Ciononostante il composi­ tore conduce il movimento non in modo disonorevole, e non manca qualche passaggio geniale. Riassumendo nuovamente il nostro giudizio su queste due opere, ripetiamo: in ogni caso la seconda Sonata è superiore alla prima quanto a forza, invenzione e originalità; con ciò non voglia­ mo comunque in nessun modo turbare la gioia di questo stimabi­ lissimo dilettante. Anche per la fortuna ci vuole talento, e alla fin fine ciascuno trova poi nel proprio cuore il giudice più imparziale.

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122. AFORISMI

Devi trovare melodie nuove, ardite. “Mi è piaciuto”, oppure “Non mi è piaciuto”, dice la gente. Come se non ci fosse qualcosa di più elevato che piacere alla gente! Gettare luce nel profondo del cuore umano: questo è il compi­ to dell’artista! Nessuno può più di quanto sa. Nessuno sa più di quanto può. In letteratura, chi non conosce le cose più significative fra le nuove pubblicazioni è ritenuto incolto. Anche in musica dovrebbe essere così.

Su certe cose gli artisti hanno riflettuto per giorni, mesi ed anni: e i dilettanti vorrebbero capirle in un baleno?!

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123.IL SOGNO DI UNA NOTTE D’ESTATE

DA UNA LETTERA

Chi per primo deve sapere da me qualcosa sul Sogno di una notte d'estate naturalmente sei tu, carissimo amico. Finalmente l’abbiamo visto ieri 1 (quasi 300 anni dopo la prima rappresenta­ zione), e la scelta del direttore del teatro, di ornare proprio con quest’opera una sera d’inverno, è dimostrazione di uno spirito assennato, perché in piena estate si ha piuttosto voglia del Racconto d’inverno — per ovvie ragioni. Molti, te lo posso assicurare, sono venuti a vedere Shakespeare solo per ascoltare Mendelssohn; per me era il contrario. So benissimo che Mendelssohn non fa come quei cattivi attori che, trovandosi per caso a recitare con grandi attori, si dànno grandi arie; la sua musica (a parte XOuverture) vuol essere solo un accompagnamento, una mediazione, un ponte per così dire — fra Zettel1 2 e Oberon, senza il quale l’ingresso nel regno della féerie sarebbe quasi impossibile, come d’altra parte la musica doveva avere una simile funzione ai tempi di Shakespeare. Chi si aspettava di più dalla musica, perciò, si sarà trovato deluso; qui essa si mostra ancor più discreta che neWAntigone, 3 dove chiaramente i cori avevano costretto il musicista ad una più ricca elaborazione. La musica non interviene nel corso dell’azione vera e propria, nel rapporto amoroso dei quattro giovani; solo in un caso rappresenta con espressive inflessioni il punto in cui Hermia cerca il suo amante, e questo è un brano bellissimo. Per il resto accompagna solo le parti “magiche” dell’opera. E qui Mendels-

1 A Potsdam,il 18 ottobre 1843, nella traduzione di Tieck. [M.K.] 2 Nella traduzione tedesca è il nome di Bottom. [G.T.] 3 Op. 55. [M.K.]

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sohn era davvero sul suo campo e nessuno, lo sai bene, è in questo pari a lui. Ouverture tutti sono ormai d’accordo da lungo tempo; di Zettel ce ne sono molti dappertutto.4 Forse come in nessun’altea opera del compositore in essa è infuso il fiorente vigore della gioventù, e il Maestro già maturo ha compiuto, nel momento più felice, il suo primo volo. Per me è stato commovente vedere come nei numeri composti successivamente riemergano dei frammenti de\V Ouverture, mentre non mi piace molto il finale dell’opera, che ripropone quasi letteralmente il finale dell’Ouwrture. E chiara l’intenzione del compositore di dare un senso ciclico all’insieme, ma la realizzazione mi sembra troppo apertamente voluta; proprio in questa scena egli avrebbe dovuto cercare le sue più fresche armonie, proprio qui dove la musica poteva raggiun­ gere il più grande effetto mi sarei atteso qualcosa di originale, di nuovo. Immaginati la scena in cui gli Elfi, entrando da tutti i buchi e le fessure della casa, danzano la loro ronda, con Droll5 alla loro testa, “per spazzare ben bene questa soglia”, e Oberon che impar­ tisce la propria benedizione: “La pace sia in questo palazzo, ecc.” — non si può immaginare niente di più bello da mettere in musica! Ah, se Mendelssohn avesse voluto scrivere qualcosa di nuovo per questo punto! Così com’è mi è sembrato che l’opera mancasse del grande effetto finale; non si possono dimenticare i molti preceden­ ti numeri musicali di grande fascino: la testa d’asino di Zettel può ancor oggi divertire più d’uno, la magia della verde foresta nottur­ na e la confusione che ne segue saranno indimenticabili per molti, ma il tutto ha fatto piuttosto l’impressione di una “curiosità”. Per il resto, puoi credermi, la musica è raffinata e ricca di spirito, fin dal primo ingresso di Droll e degli Elfi; è uno scherzoso gioco fra gli strumenti, che sembrano quasi suonati dagli Elfi stessi: sentiamo dei suoni assolutamente nuovi. Amabilissima è anche la canzone degli Elfi che segue immediatamente, con le parole conclusive: “Ed ora buona notte, fa’ la nanna”, e così tutti i punti in cui sono in scena le fate. Potrai sentire anche una Marcia 6 (la prima, credo, che Mendelssohn abbia scritto), prima della fine dell’ultimo atto, che ricorda un po’ la Marcia della Weihe der Tone di Spohr e

4 II significato di questa frase non è chiaro. [G.T.] 5 Nella traduzione tedesca è il nome di Puck. [G.T.] 6 La Marcia nuziale. [M.K.] 1008

sarebbe potuta essere più originale, ma contiene un Trio di straordinario fascino. L’orchestra, sotto la guida del Musikdirektor Bach, ha suonato in modo eccellente, e anche gli attori hanno espresso il massimo impegno, mentre la messa in scena era da definire quasi pietosa. Oggi l’opera sarà replicata.

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124. NIELS W. GADE

Su un giornale francese si poteva leggere recentemente: “Un giovane compositore danese si sta attualmente facendo notare in Germania; il suo nome è Gade, spesso va a piedi da Copenaghen a Lipsia e ritorno, col suo violino in spalla, e sembra il ritratto vivente di Mozart.” La prima e l’ultima frase sono perfettamente esatte; solo la frase centrale è stata condita con un po’ di romantici­ smo. Il giovane danese è arrivato effettivamente alcuni mesi fa a Lipsia (ma in carrozza, come il suo violino) e la sua testa mozartia­ na, dalla forte capigliatura che sembra scolpita nella pietra, bene ha corrisposto alle simpatie che già avevano destato fra i nostri musicisti locali la sua Ouverture per Ossian e la sua Prima Sinfonia. Sulle circostanze esteriori della sua vita c’è poco da dire. Nato a Copenaghen nel 1817, figlio di un locale fabbricante di strumenti, nei suoi primi anni deve aver sognato più fra gli strumenti che fra gli uomini. La sua prima istruzione musicale gli fu impartita da uno di quei soliti maestri, quali se ne trovano ovunque, che badano soltanto allo studio tecnico e non al talento, e pare che il suo mentore non fosse particolarmente soddisfatto dei progressi del­ l’allievo. Studiava chitarra, violino e pianoforte, di tutto un po’, ma senza distinguersi particolarmente in nulla. Solo più tardi egli ebbe in Wexschall e Berggreen maestri più seri, e più volte ha ricevuto consigli dall’ottimo Weyse. Da queste esperienze nacque­ ro composizioni di diverso genere, delle quali adesso il composito­ re non vuole più tenere gran conto, in quanto sarebbero, secondo lui, sfoghi di un’orribile fantasia. Più tardi egli entrò come violini­ sta alla Cappella Reale di Copenaghen, e qui ebbe occasione di spiare tutti i segreti degli strumenti, segreti che talvolta ci racconta nei suoi pezzi strumentali. Questa scuola pratica, negata a tanti, 1011

malamente sfruttata da molti, sviluppò invece in lui quella mae­ stria della strumentazione che incontestabilmente gli va ricono­ sciuta. L’Ouverture Nachklànge aus Ossian [Echi da Ossian], che grazie al giudizio favorevole di Spohr e di Fr. Schneider è stata coronata del premio proposto dalla Associazione Musicale di Copenaghen, deve aver attirato su di lui l’attenzione del suo re, amante dell’arte; cosicché egli ha ottenuto, come molti altri talenti suoi compatrioti, una borsa di studio davvero regale per un viaggio all’estero, e la prima tappa in assoluto è stata Lipsia, che per prima l’aveva introdotto presso il grande pubblico musicale. Ora è ancora qui, ma entro breve tempo si recherà a Parigi, e da lì in Italia. Approfittiamo dunque del momento in cui la sua immagi­ ne è ancora fresca innanzi a noi per delineare in alcuni tratti l’originalità artistica di questa notevole personalità, quale da tem­ po non ci capitava di incontrare fra i giovani. Chi, in base alla sua somiglianza esteriore con Mozart — che in effetti ha qualcosa di veramente sorprendente —, immaginasse anche una somiglianza musicale fra i due, costui sbaglierebbe di molto. Abbiamo innanzi a noi un carattere artistico affatto nuovo. Effettivamente sembra che le nazioni confinanti con la Germania vogliano emanciparsi dal dominio della musica tedesca: ciò potrà forse dispiacere a un fanatico sostenitore della nostra cultura, ma a chi ragiona, a chi guarda nel profondo delle cose e conosce l’umanità ciò non potrà che apparire naturale e anzi tale da arrecare gioia. Chopin rappresenta dunque la propria patria, Bennett l’Inghilterra, in Olanda J. Verhulst dà buone speranze di poter diventare un degno rappresentante della propria patria, e anche in Ungheria cominciano a farsi valere aspirazioni nazionali. E se anche tutti costoro guardano alla nazione tedesca come alla loro prima e più amata maestra nel campo della musica, non deve tuttavia stupire che essi vogliano cercare di parlare per la loro nazione il loro proprio linguaggio musicale, senza con ciò manife­ starsi irriconoscenti nei confronti degli insegnamenti della loro maestra. Non c’è un paese al mondo, infatti, che abbia Maestri che possano paragonarsi ai nostri grandi, e questo è un fatto che nessuno ha finora mai messo in dubbio. Anche nel nord dell’Europa abbiamo già visto esprimersi tendenze nazionali. Lindblad a Stoccolma ha trascritto i suoi antichi canti popolari, facendoceli così conoscere, e anche Ole Bull, benché non sia un talento creativo di prima grandezza, ha 1012

cercato di renderci familiari i suoni della sua patria. I nuovi più significativi poeti scandinavi attualmente emergenti devono aver fornito un energico stimolo ai talenti musicali di quella nazione, a meno che non siano stati i monti e i laghi di lassù, le rune e le aurore boreali, a far capire a costoro che anche il Nord poteva parlare una sua propria lingua. Anche il nostro giovane compositore è stato educato dai poeti della sua patria; egli li conosce e li ama tutti; le antiche fiabe e leggende l’hanno accompagnato nei suoi vagabondaggi giovanili, mentre dalla costa inglese gli giungeva il suono della possente arpa di Ossian. Per cui nella sua musica, e in primo luogo proprio in quella Ouverture Ossian, si manifesta un carattere nordico decisamente marcato; ma certo lo stesso Gade non vorrà negare di dovere molto ai Maestri tedeschi. Essi hanno ricompensato lo studio assiduo da lui dedicato alle loro opere (egli conosce infatti quasi tutto di tutti) col dono che essi sempre concedono a chi si mostri loro fedele: la consacrazione della maestria. Fra i compositori più recenti è Mendelssohn che su di lui ha esercitato l’influsso più evidente, e specialmente per certe combi­ nazioni strumentali, soprattutto nei Nachklange aus Ossian; nella Sinfonia, invece, parecchie cose ricordano Franz Schubert; ma ovunque si fa valere uno stile melodico assai originale, quale non si era ancora presentato — di carattere così decisamente popolare — nei generi più alti della musica strumentale. Peraltro la Sinfonia è sotto ogni punto di vista superiore aiVOuverture, tanto nell’energia naturale quanto nel magistero della tecnica. C’è da desiderare ancora una cosa: che l’artista non si perda nella sua nazionalità, che la sua fantasia “creatrice di aurore boreali” (come taluno l’ha definita) si mostri ricca e varia, che egli voglia gettare il proprio sguardo anche in altre sfere della natura e della vita. Saremmo d’altronde tentati di raccomandare a tutti gli artisti di conseguire prima l’originalità per poi nuovamente rifiu­ tarla; come un serpente cambia pelle, così l’artista deve cambiare l’abito vecchio quando questo comincia a spiegazzarsi. Ma l’avvenire è oscuro; quasi sempre le cose vanno in maniera diversa da come avevamo pensato; per ora possiamo solo esprime­ re la speranza di poterci attendere da questo eccellente talento le opere più solide e più belle. Quasi che già il caso del nome, come Bach, l’avesse voluto indirizzare verso la musica, stranamente le quattro lettere del suo nome corrispondono alle quattro corde 1013

vuote del violino. 1 Nessuno vorrà contestarmi questo piccolo segno di un più alto favore, come neppure quest’altro: che il suo nome si possa scrivere (in quattro chiavi) con una nota sola,2 che i cabalisti potranno trovare facilmente. Entro questo mese attendiamo anche una seconda Sinfonia di Gade; è assai diversa dalla prima: è più dolce e leggera, e ci fa pensare alle piacevoli foreste di faggi della Danimarca.

1 G-a-d-e - sol-la-re-mi, e cfr. il Nordisches Lied dell’Album per la gioventù. [G.T.]

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125. TACCUINO TEATRALE (1847-1850)

F. Boieldieu,/mn de Paris (4 maggio 1847, a Dresda) Un’opera magistrale. Due atti, due scenari, due ore di spetta­ colo: tutto perfettamente indovinato. Jean de Paris, Figaro e Barbie­ re, le prime opere comiche del mondo e che rispecchiano solo il carattere nazionale dei loro compositori! La strumentazione (sulla quale oggi si concentra in particolare la mia attenzione) è ovunque magistrale: gli strumenti a fiato, soprattutto clarinetto e corni, trattati con particolare predilezione e in modo tale da non coprire mai il canto, i violoncelli qua e là trattati con grande efficacia come voce autonoma. I corni suonano nel registro acuto e quando la parte vocale canta ancor più nell’acuto si fondono assai bene con essa.

H. Marschner, TemplerundJiidin [Il Templare e la Giudea] (8 maggio 1847)

Ascoltata con grande piacere. Una composizione qua e là tormentata, strumentata in modo non del tutto chiaro, ma con una grande ricchezza di geniali melodie. Notevole talento dram­ matico, qualche reminiscenza di Weber. È come una pietra preziosa che non si è potuta liberare interamente del suo rozzo involucro. Il trattamento delle voci è in parte ingrato e l’orchestra ne soffoca l’effetto. Troppi tromboni. I cori sono andati malissimo, mentre almeno in parte sarebbe­ ro dovuti essere di maggiore effetto. Insomma, la più importante opera tedesca moderna dopo quelle di Weber. 1015

C. W. Gluck, Ifigenia in Aulide (15 maggio 1847) Schròder-Devrient, Clitennestra; [Johanna] Wagner, Ifigenia; Mitterwurzer, Agamennone; Tichatschek, Achille. L’opera è stata messa in scena da Richard Wagner; costumi e scenari assai adatti. Ha aggiunto anche qualcosa alla musica, che qua e là mi è parso di individuare. Aggiunto anche il finale A Troia. Il che è veramente illecito. Forse Gluck applicherebbe alle opere di R. Wagner il processo inverso: eliminando, tagliando. Che dire dell’opera! Finché il mondo esisterà, una musica simile continuerà a riascoltarsi, senza invecchiare mai. Un artista grande, originale. Su di lui Mozart si basa in modo evidente; Spontini lo copia spesso letteralmente. La conclusione dell’opera è ancora una volta di effetto straor­ dinario, come in Armida.

R. Wagner, Tannhauser (7 agosto 1847)

Un’opera di cui non si può parlare sbrigativamente. Certo è che possiede un tratto geniale. Se egli fosse un musicista dotato di inventiva melodica come è ricco di idee sarebbe l’uomo dell’epoca. Molto si potrebbe dire su quest’opera, e ne varrebbe la pena: ma mi riservo di parlarne in una successiva occasione. G. Donizetti, La Favorita (30 agosto 1847) Ne ho sentito solo due atti. Musica da teatro di marionette!

C. M. von Weber, Euryanthe (23 settembre 1847)

Abbiamo provato un entusiasmo come da tempo non ci capita­ va. Questa musica è ancora troppo poco conosciuta ed apprezzata. È sangue del suo cuore, il più nobile ch’egli avesse; quest’opera gli è costata un pezzo di vita: è sicuro. Ma l’ha anche reso immortale. 1016

Una serie di splendidi gioielli dall’inizio alla fine. Tutto assai ricco di idee e assolutamente magistrale. Splendida è la caratte­ rizzazione dei singoli personaggi, soprattutto di Eglantine e di Euryanthe, e come suonano gli strumenti! Ci parlano dal più profondo del loro intimo. Il nostro animo era ricolmo di tutto ciò, e ne parlammo a lungo. Il pezzo più geniale dell’opera mi sembra il Duetto fra Lysiart ed Eglantine nel secondo atto. Anche la Marcia del terzo atto è un gioiello di quest’opera; ma la corona non va al singolo brano, bensì all’opera nel suo complesso.

G. Rossini, Il Barbiere di Siviglia (novembre 1847)

Con la Viardot-Garcia nel ruolo di Rosina. Sempre una musica rasserenante, ricca di spirito, la migliore che Rossini abbia mai scritto. La Viardot fa di quest’opera una grande variazione', non lascia intatta una sola melodia. Quale falsa interpretazione della libertà del virtuoso! Peraltro è il suo ruolo migliore.

D. F. E. Auber, La muta di Portici (22 febbraio 1848)

È l’opera di un beniamino della musica. Un’opera tenuta in piedi dal soggetto. La musica è troppo rozza, senz’anima, e oltretutto strumentata in modo orrendo. Qua e là qualche scintilla di spirito.

C. M. von Weber, Oberon (18 marzo 1848) Un soggetto troppo lirico. Anche la musica inferiore sul piano della freschezza alle altre opere di Weber. Un’esecuzione trascurata.

G. Spontini, Fernando Cortez (27 luglio 1848) Ascoltata per la prima volta con rapimento.

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L. van Beethoven, Fidelio (11 agosto 1848) Cattiva esecuzione e incomprensibili scelte di tempi da parte di R. Wagner.

D. Cimarosa, Il matrimonio segreto (19 giugno 1849) Sul piano tecnico (composizione e strumentazione) assolutamente magistrale, ma per il resto assai povera di interesse, e in definitiva davvero noiosa e vuota di idee.

L. Cherubini, Il portatore d’acqua (8 luglio 1849) Con grande gioia ho riascoltato per la prima volta dopo molti anni quest’opera magistrale e ricca di spirito. Un eccellente prota­ gonista in Dall’Aste.

G. Meyerbeer, Il profeta (2 febbraio 1850) 1

t 1 Riportiamo qui alcuni altri “aforismi critici” su opere teatrali pubblicati da Schu­ mann nel cosiddetto Feuilleton della rivista: 1836, Templer und Jiidin e Hans Heiling di Marschner: “...con grande soddisfazione guardiamo a queste manifestazioni del teatro musicale tedesco...” 1838. La Vestale di Spontini: "Il 15.12. scorso la Vestale di Spontini festeggiava il suo 30° giubileo. Onore al suo autorei” La Sonnambula e Norma di Bellini: "Chi scrive le annovera fra le opere più noiose del mondo, a confronto delle quali Donauweibchen e Dorfbarbier sono capolavori assoluti.” 1839 (da Vienna.) Le Nozze di Figaro di Mozart: “...La musica del primo atto è secondo me la cosa più divina che Mozart abbia mai scritto..." Torquato Tasso di Donizetti: "...Passeranno anni prima che abbia voglia di riascoltare questa musica: è davvero troppo brutta...” [M.K.]

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126. REGOLE DI VITA MUSICALE 1

La formazione dell’orecchio è la cosa più importante. Esercita­ ti fin dall’inizio a riconoscere tonalità e note. La campana, il vetro della finestra, il cuculo: cerca di capire quali suoni producono. Suona con diligenza le scale e gli esercizi per le dita. Ci sono molti, però, che pensano di poter raggiungere qualunque risulta­ to solo perché quotidianamente, fino alla più tarda età, passano molte ore a esercitarsi negli studi di meccanismo. Ma fare così è come se ogni giorno ci sforzassimo di recitare l’alfabeto il più veloce possibile, e sempre più veloce. Occupa il tuo tempo in modo migliore.

Hanno inventato le cosiddette “tastiere mute”; usale pure per un po’, quanto basta per accorgerti che non servono a nulla. Dai muti non si può imparare a parlare. Suona a tempo! Il modo di suonare di certi virtuosi è come l’andatura di un ubriaco. Non siano questi i tuoi modelli!

Impara presto le leggi fondamentali dell’armonia.

1 Le Regole di vita musicale erano state originariamente destinate ad essere inserite fra i vari pezzi pianistici dellMtóim fur die Jugend (Album per la gioventù, op. 68), composto nel 1848. Schumann rinunciò però a questo progetto e pubblicò lo scritto — probabilmen­ te ampliato - come supplemento al n. 36 (1850) della rivista. In seguito queste Regole furono pubblicate come appendice 2ÌVAlbum fur die Jugend. [M.K.] 1019

Non aver paura delle parole: teoria, basso continuo, contrappunto, ecc,; ti verranno incontro amichevolmente se tu farai la stessa cosa con loro.

Non strimpellare mai! Suona sempre con viva attenzione, e non interrompere mai un pezzo a metà. Andare lento e correre sono errori di pari gravità. Sforzati di suonare bene e con cura i pezzi facili: è meglio che eseguire in modo mediocre pezzi difficili. Devi sempre curare che il tuo strumento sia perfettamente accordato.

Non devi conoscere solo con le dita i tuoi pezzettini, devi anche saperli cantare senza pianoforte. Devi acuire la forza della tua immaginazione fino al punto di poter fissare nella memoria non solo la melodia di una composizione, ma anche la relativa armonia. Sforzati, anche se hai solo poca voce, di cantare leggendo a prima vista e senza l’aiuto dello strumento; in tal modo il tuo orecchio acquisterà sempre maggiore precisione. Se invece hai una voce sonora non perdere un solo momento e coltivala, consi­ derandola come il più bel dono che il cielo ti ha dato! Devi arrivare fino al punto di capire una musica alla sola lettura.

Quando suoni non preoccuparti di chi ti ascolta. Suona sempre come se un maestro ti stesse ascoltando.

Quando ti mettono davanti una composizione per la prima volta per fartela suonare, per prima cosa dàlie uno sguardo da capo a fondo. Se hai passato tutta una giornata a far musica e ti senti stanco non costringerti a lavorare ancora. Meglio riposare che lavorare in modo stanco e svogliato.

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Quando sarai più grande non suonare pezzi alla moda. Il tempo è prezioso. Bisognerebbe avere cento vite solo per impara­ re tutto ciò che di buono c’è già.

Con dolci, biscotti e zuccherini i bambini non diventeranno uomini sani. Il cibo spirituale, come quello materiale, dev’essere semplice e sostanzioso. I Maestri ce ne hanno provvisto a sufficien­ za: attenetevi a questo. Tutta la chincaglieria virtuosistica è destinata col tempo a passare di moda: l’abilità tecnica ha valore solo quando sia al servizio di scopi superiori.

Non devi contribuire alla diffusione delle cattive composizioni, ma al contrario devi adoperarti con tutte le tue forze per eliminarle. Le cattive composizioni non devi né suonarle né, se proprio non vi sei costretto, ascoltarle. Non puntare mai alla perfezione virtuosistica, alla cosiddetta bravura. Da una composizione cerca invece di fare emergere l’effetto che il compositore aveva in mente; di più non si deve fare: andare più in là vuol dire deformare in modo caricaturale.

Considera sempre come una cosa esecrabile l’introdurre cam­ biamenti nei pezzi dei buoni compositori, eliminare qualcosa o addirittura aggiungere abbellimenti alla moda. Questi sono i più gravi affronti che tu possa fare all’arte.

Per la scelta dei pezzi da studiare chiedi consiglio a chi è più anziano di te: in tal modo risparmierai molto tempo. Gradualmente devi arrivare a conoscere tutte le più importan­ ti opere dei Maestri importanti. Non lasciarti trarre in inganno dall’applauso che i cosiddetti grandi virtuosi spesso riscuotono. Il plauso degli artisti sia per te assai più importante di quello delle folle.

Tutto ciò che è di moda sarà un giorno fuori moda, e se con gli anni continuerai a coltivarlo diventerai un bellimbusto che nessu­ no terrà in considerazione. 1021

Suonare molto in società reca più danno che vantaggio. Guar­ da pure alla gente, ma non suonare mai qualcosa di cui nel tuo intimo tu abbia a vergognarti. Non perdere però mai un’occasione di far musica assieme ad altri, in due, in trio, ecc. Ciò darà scorrevolezza e slancio al tuo modo di suonare. Accompagna spesso anche i cantanti.

Se tutti volessero fare il primo violino non riusciremmo mai a mettere insieme un’orchestra. Stima perciò ogni musicista in rapporto al posto che occupa.

Ama il tuo strumento, ma non cedere alla presunzione di considerarlo lo strumento più perfetto ed unico. Ricorda che ce ne sono altri, e altrettanto belli. Ricorda anche che ci sono i cantanti e che nel coro e nell’orchestra giunge ad esprimersi l’aspetto più alto della musica. Quando sarai più grande familiarizza più con le partiture che con i virtuosi. Suona con diligenza le Fughe dei Maestri più validi, soprat­ tutto quelle di Joh. Seb. Bach. Il Clavicembalo ben temperato sia il tuo pane quotidiano. Così potrai senz’altro diventare un bravo musicista.

Fra i tuoi compagni frequenta maggiormente quelli che sanno più di te. Ripòsati dai tuoi studi musicali con buone ed attente letture poetiche. E vai spesso all’aria aperta!

Dai cantanti, uomini e donne, si possono imparare parecchie cose, ma non credere a tutto ciò che ti dicono. Al di là delle montagne vivono pure delle persone. Sii mode­ sto! Tu non hai ancora inventato e pensato nulla che già altri non abbia pensato e inventato prima di te. E anche se così fosse lo dovresti considerare come un dono dal cielo, da condividere con gli altri. 1022

Lo studio della storia della musica» sorretto dal vivo ascolto dei capolavori delle varie epoche, ti guarirà nel modo più rapido dalla presunzione e dalla vanità. Un bel libro sulla musica è Ùber Reinheit der Tonkunst [Sulla purezza dell’arte musicale] di Thibaut. Leggilo spesso quando sarai più grande.

Quando passi davanti a una chiesa e senti un organo suonare, entra e ascolta. Se poi avrai addirittura la fortuna di poterti tu stesso sedere allargano, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito di fronte a quella immane potenza della musica.

Non perdere mai un’occasione di esercitarti sull’organo; non vi è uno strumento che come l’organo sappia vendicarsi immedia­ tamente di ogni impurità ed imprecisione tanto compositiva quan­ to esecutiva. Impègnati a cantare in un coro, soprattutto nelle parti interne. Ciò ti renderà musicale.

Ma che cosa significa dunque essere musicale? Certo non lo sei se tieni ansiosamente fissi gli occhi sulle note, portando a termine il tuo pezzo faticosamente; non lo sei se quando qualcuno ti gira due pagine insieme tu ti fermi e non sai andare avanti. Dimostri di essere musicale, invece, se suonando un pezzo nuovo riesci in qualche modo a intuire ciò che verrà più avanti, o se ti ricordi perfettamente che cosa verrà dopo in un pezzo che già conosci; in poche parole: se hai la musica non solo nelle dita, ma anche nella testa e nel cuore. Ma come si diventa musicali? Caro ragazzo, la cosa più impor­ tante (e cioè un orecchio acuto e prontezza nell’apprendimento) viene come sempre dall’alto. Ma le doti naturali si possono plasma­ re ed accrescere. E certo non riuscirai a farlo rinchiudendoti per giorni interi come un eremita, applicandoti solo agli studi mecca­ nici; ci riuscirai invece se ti terrai in un vivo contatto con le multiformi realtà musicali, e soprattutto se farai un’intensa pratica di coro e di orchestra. Fatti presto un’idea precisa dell’estensione della voce umana nei suoi quattro tipi fondamentali; osservali specialmente nel coro, 1023

cerca di capire in quali intervalli risieda la loro massima forza e in quali altri siano invece utilizzabili con effetti più morbidi e delicati.

Ascolta con attenzione tutte le canzoni popolari: sono una miniera di bellissime melodie e ti permettono di gettare uno sguardo sul carattere delle diverse nazioni. Esèrcitati presto nella lettura delle chiavi antiche. Altrimenti molti tesori del passato ti saranno preclusi. Bada fin dall’inizio al suono e al carattere dei vari strumenti; cerca di imprimerti nell’orecchio il loro timbro caratteristico.

Non trascurare mai di ascoltare buone opere. Venera l’antico, ma va’ incontro al nuovo con entusiasmo. Non nutrire pregiudizi nei confronti di nomi a te sconosciuti. Non giudicare una composizione in base al primo ascolto: ciò che ti piace in un primo momento non sempre è la cosa migliore. I Maestri devono essere studiati. Molte cose ti saranno chiare solo quando sarai avanti negli anni. Dovendo giudicare delle composizioni, distingui se apparten­ gono al campo dell’arte o se perseguono solo un divertimento dilettantistico. Nel primo caso battiti in loro favore, nell’altro non farti prendere dallo sdegno!

“Melodia” è il grido di battaglia dei dilettanti, ed è peraltro certo che una musica senza melodia non è musica in assoluto. Ma cerca anche di capire che cosa essi intendano con quella parola: nient’altro che una melodia facilmente comprensibile, con un andamento ritmico piacevole. Vi sono però anche melodie di ben altro tipo, e ti basterà aprire a caso Bach, Mozart, Beethoven per farle saltar fuori nelle loro mille varietà: è sperabile che ti venga presto a noia la squallida monotonia, specialmente quella delle melodie delle recenti opere italiane. Sarà già una bella cosa se riuscirai a costruire delle piccole melodie al pianoforte; ma dovrai rallegrarti ancor di più se un 1024

giorno queste melodie ti verranno da sole, senza pianoforte, perché allora vorrà dire che il senso interiore della musica sta cominciando a prendere vita dentro di te. Le dita devono fare ciò che vuole la testa, non viceversa. Se vuoi cominciare a comporre, sviluppa tutto nella testa. Solo quando avrai ultimato un pezzo provalo allo strumento. Se la tua musica veniva dall’intimo, se davvero la sentivi, anche sugli altri farà lo stesso effetto.

Se il cielo ti ha donato una vivace fantasia, ti capiterà spesso, nei tuoi momenti di solitudine, di sedere al pianoforte come incatenato, cercando di esprimere il tuo mondo interiore in armo­ nie; e tanto più misteriosamente ti sentirai attratto come in un cerchio magico quanto meno chiaro ti è ancora forse il regno delle armonie. Le ore più felici della gioventù sono queste. Guàrdati invece dall’abbandonarti troppo spesso ad un talento che ti induce a sprecare tempo ed energie a una sorta di gioco di ombre cinesi. Potrai conseguire il dominio della forma, la forza di una chiara articolazione solo con la salda concretezza della scrittura. Dèdicati perciò più alla scrittura che all’improvvisa­ zione. Cerca di acquisire presto nozioni dell’arte del dirigere, e osserva spesso i buoni direttori d’orchestra; puoi anche dirige­ re in silenzio seguendo il loro gesto. Ciò ti darà chiarezza inte­ riore. Fai esperienza della vita, come pure delle altre arti e scienze.

Le leggi della morale sono anche le leggi dell’arte.

Con l’impegno e la pérseveranza potrai conseguire traguardi sempre più alti. Da una libbra di ferro, che costa pochi soldi, si possono fare molte migliaia di molle da orologio, che valgono centomila volte tanto. Sfrutta con amore la libbra che Dio ti ha donato.

Senza entusiasmo nulla di giusto si compie nell’arte. 1025

L’arte non è fatta per conquistare ricchezze. Pensa solo a diventare un artista sempre più grande: tutto il resto verrà da sé. Solo quando la forma ti sarà veramente chiara anche il tuo spirito diventerà chiaro.

Forse solo il genio capisce completamente il genio.

Qualcuno ha detto che un musicista perfetto dovrebbe essere in grado di vedere innanzi a sé, come in una vera partitura, un’opera orchestrale ascoltata per la prima volta, anche partico­ larmente complessa. Questo è il massimo che si possa immaginare. Non si finisce mai di imparare.

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APPENDICE

Scritti vari

Vengono qui riportati alcuni scritti, di particolare interesse, sia pubbli­ cati che non pubblicati sulla rivista, non compresi nella raccolta curata da Schumann ma aggiunti dal Jansen nella sua edizione riveduta. Non compresa nella edizione del Jansen è la prefazione agli Studi op. 3, che ci è sembrata indispensabile per completare il pensiero di Schumann sul pianoforte. [P.R.]

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1. PREFAZIONE AGLI STUDI DAI CAPRICCI DI PAGANINI OP. 3

Per quanto numerose siano state le difficoltà, tecniche e armo­ niche, che Veditore ha incontrato nell’elaborazione di questi Ca­ pricci, egli le ha però affrontate con grande gioia e vivo interesse. Il suo compito era rimanere il più fedele possibile all’originale pur facendo una trascrizione che fosse adeguata al carattere e ai mezzi tecnici del pianoforte. Egli ammette di buon grado di aver voluto fare qualcosa di più di un semplice basso d’accompagnamento. Se, infatti, lo stimolo a questo lavoro gli è venuto dall’interesse che egli nutre nei confron­ ti della composizione di per se stessa, ciononostante egli ha credu­ to, col proprio lavoro, di poter offrire ai solisti la possibilità di sottrarsi a quel rimprovero che spesso viene loro mosso: di valersi troppo poco, cioè, degli altri strumenti e delle loro caratteristiche peculiari per sviluppare e arricchire il proprio strumento; ma soprattutto egli confidava di rendere un servizio a quegli artisti, per il resto stimabilissimi, che per timore di ogni novità non vogliono rinunciare a certe regole ormai invecchiate. L’editore non ha osato modificare le indicazioni espressive di Paganini, per quanto esse fossero bizzarre e originali. Se di quan­ do in quando egli ha voluto completare o rendere più pianistico qualcosa (mutando, ad esempio, certi lunghi passaggi violinistici mezzo-portati in passaggi decisamente legati, riducendo all’ottava dei salti eccessivamente grandi, rivoltando certi intervalli un po’ scomodi in modo da renderli più accessibili, e simili), ciò è stato fatto in modo che l’originale non avesse a soffrirne. In nessun caso, comunque, egli ha sacrificato un passaggio geniale o particolar­ mente originale al solo scopo di eliminare una diteggiatura diffici­ le o inusuale. 1029

Gli sia permesso, ora, dare qualche suggerimento sul modo di studiare e di eseguire questi Capricci, anche a rischio di dire cose già note o dimenticate. A nessun altro genere compositivo è consentito godere di tante libertà poetiche come al Capriccio. Ma se oltre alla leggerezza e allo spirito, che ne devono essere le caratteristiche essenziali, si trovano anche la solidità e la profondità dello studio, allora ci troviamo di fronte ad un vero e proprio capolavoro. Ecco perché l’editore ha indicato con grande cura e precisione la diteggiatura, considerandola il fondamento primo di un’eccellente esecuzione (quantomeno sul piano tecnico). Lo studente rivolga perciò tutta la propria attenzione a tale elemento. Ma se egli vorrà che la sua esecuzione sia anche tecnicamente bella, dovrà allora curare parti­ colarmente la vivacità e la morbidezza del tocco, la politura e la precisione delle singole parti, la fluidità e la facilità del tutto. Una volta superate tutte queste difficoltà esteriori la sua fantasia potrà muoversi leggera e sicura, donando all’opera vita, luci e ombre e realizzando facilmente tutto ciò che ancora manchi per un’esecu­ zione davvero libera. Gli esempi che abbiamo allegato devono servire solo a indicare la strada per realizzare altri simili esercizi. L’editore consiglia, anzi, anche agli esecutori di livello abbastanza avanzato, di esegui­ re solo raramente gli esercizi che si trovano nei metodi di pianofor­ te: sarà preferibile che essi ne inventino dì propri, inserendoli, in libera improvvisazione, come preludi; così facendo, tutto divente­ rà più vario e più vivace. N.B. - Per esercitarsi nello stile del Capriccio consigliamo ai pianisti, oltre ai vecchi brani di Mùller, i Capricci di Felix Mendels­ sohn, in particolare quello (classico) in fa | minore; per l’appro­ fondimento del pianismo brillante consigliamo i Capricci di J. Pohl, poco conosciuti ma assai geniali. Per questo scopo potrà essere molto utile anche lo studio di alcune Fughe di Bach dal Clavicemba­ lo ben temperato: ad esempio, nel primo fascicolo, quelle in do minore, in re maggiore, in mi minore, in fa maggiore, in sol maggiore e altre ancora.

La principale difficoltà del primo Capriccio risiede, per il piani­ sta, nel fatto che ognuna delle due mani deve dare un colorito particolare, diverso dall’altra. Solo quando le varie parti si muovo­

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no insieme nel fortissimo le due mani devono agire con la stessa identica forza. Il tempo, già di per se stesso vivace, può addirittura animarsi ulteriormente verso la metà del brano, ma verso la fine si dovrà tornare insensibilmente al tempo iniziale dando di tanto in tanto un accento ritmico ai tempi forti della battuta: se ciò non vien fatto in modo rigido, si produrrà un effetto di calma, sia per l’esecutore, sia per l’ascoltatore. Infine, in tutto lo Studio bisogne­ rà ricordare di rialzare le dita con la massima precisione. Partendo dal concetto che (con poche eccezioni nei bicordi) la diteggiatura dei passaggi e delle scale deve essere la stessa ascen­ dendo e discendendo, l’editore ha deciso di adottare, nella scala cromatica, la diteggiatura indicata qui di seguito. La regola è facile: il terzo dito sarà utilizzato dalla mano destra sul fa U e sul do H , dalla sinistra sul miV e sul sik Lo studente dovrà decidersi il più presto possibile per una diteggiatura piutto­ sto che un’altra; in caso contrario i suoi progressi subiranno prima o poi un rallentamento. Parallelamente allo studio di questo Capriccio ci si potrà eserci­ tare nello studio di scale in intensità opposte, con le mani che si incontrano a metà, come in a), che si incrociano, come in b), o con l’accompagnamento di una figura diversa, come in c) e in d).

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d) do min.

Il secondo Capriccio può essere considerato un esercizio per i bicordi nella mano destra e per i salti nella sinistra. Qui l’esecutore dovrà curare soprattutto la perfetta contemporaneità delle terze muovendo le dita in modo rilassato, ma con agilità. Lo studio di questo brano sarà più facile e più comodo continuando a suonarlo varie volte di seguito piuttosto che esercitandosi con cura metico­ losa su ogni singolo passaggio. Nella sezione in mi minore la voce inferiore della mano destra dev’essere legata con grande delicatezza all’ultima nota dell’accor­ do arpeggiato: bisognerà sollevare il pollice con la massima preci­ sione, in modo che il canto delle due voci sia perfettamente percepibile. Per esercitare il quarto dito si è scelto di raddoppiare la terza negli accordi della mano sinistra. Il Minore (la minore), che, come in tutti i Capricci di Paganini, dev’essere eseguito circa alla metà del movimento del Maggiore, non mancherà di produrre l’effetto desiderato se il pianista lo eseguirà con spirito leggero e appassionato. Si potrà collegare lo studio di questo Capriccio con esercizi sulle scale a note doppie, diatoniche, come in a), b), c), con passaggi cromatici, come in d), e), f), o con accompamentp libero, come ing)eh). Anziché servirsi delle incerte diteggiature proposte dai metodi di pianoforte, sarà meglio scegliere una diteggiatura adatta alla propria mano, oppure studiare una diteggiatura uguale per tutte le scale diatoniche, ripetendo lo stesso schema ogni tre terze; ad esempio:

1032

♦Diteggiatura per la mano sinistra.

Con passaggi cromatici: d) solmagg.

Con accompagnamento libero: g) Mano destra sola.

Il terzo Capriccio non va considerato come un vero e proprio Studio, essendo basato su un semplice canto espressivo. L’editore ha dovuto, con suo grande rammarico, rinunciare alla sezione centrale, umoristica ma assolutamente antipianistica: in tal modo il carattere di Capriccio è andato perduto. Vogliamo sottolineare, infine, la tecnica del cambio di dito su un solo tasto (senza ribattere il suono), tecnica che in un Adagio è spesso di ottimo effetto (in 1033

questo caso, forse, non particolarmente), e gli ampi arpeggi della mano sinistra, da eseguire con un saggio uso del pedale (che in questo caso è stato lasciato alla sensibilità dell’esecutore). Si consiglia di non aggiungere ulteriori abbellimenti a quelli già indicati, e in particolare si sconsiglia il seguente gruppetto:

Non vogliamo comunque porre dei limiti a un gusto già formato. Studiando questo brano ci si potrà esercitare anche sulle seguenti figure:

I seguenti esercizi sono ottimi per l’Adagio:

Il quarto Capriccio dovrà essere eseguito in modo appassiona­ to, con brusche opposizioni e con brillante varietà di coloriti; non bisogna lasciare neanche una sola nota senza espressione. Se nel secondo pezzo l’esecutore doveva soprattutto curare la perfetta contemporaneità dei bicordi, qui invece egli potrà arpeggiare 1034

velocemente e con leggerezza le terze cromatiche, eseguendole con le stesse dita. 1 Nel Minore va osservata la rapida alternanza fra legato e staccato] per realizzarla bene e in modo chiaro è consigliabile studiare lentamente tale passaggio. L’efficacia dell’e­ pisodio in sol minore sarà straordinariamente aumentata se le due mani suoneranno con intensità perfettamente identiche.

1 [R.S.] Qualora i passaggi cromatici a bicordi debbano essere eseguiti nel legato, la diteggiatura sarà la seguente:

A intervalli misti.

Nota, Se le armonie verranno frammentate in figure o in passaggi, per la diteggiatura ci si dovrà basare sugli accordi d’origine.

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L’esecuzione del quinto Capriccio è difficile a causa delle tre diverse intensità (piano, forte e pianissimo) assegnate separatamente alle varie voci, che inoltre devono anche passare in primo o in secondo piano parallelamente al crescendo e al dimi­ nuendo. Le acciaccature, che durante la ripresa potranno essere sostituite da brevi trilli, devono essere sottolineate da un piccolo accento (più d’intenzione che reale): in tal modo l’esecuzione guadagnerà in vivacità. Nel sesto Capriccio l’editore ha indicato solo occasionalmente qualche diteggiatura. Ma chi vorrà studiare seriamente questo pezzo dovrà riempire i posti vuoti: se non sarà assolutamente sicuro di ogni nota non potrà mai possedere alla perfezione questo Capriccio, davvero assai difficile. Anche se Paganini ha indicato il movimento con presto, un’esecuzione troppo veloce potrebbe nuo­ cere alla grandiosità del pezzo nel suo complesso. Può darsi che qualcuno non sia d’accordo con l’opinione dell’editore, e comun­ que sarebbe interessante se una mano più abile di quella dell’edi­ tore realizzasse un’altra elaborazione. La maggiore difficoltà risiede nell’espressione quasi aspra e pungente con cui vanno eseguite alcune note, mentre le altre parti devono essere eseguite assolutamente in legato. Anche in questo caso Io studio lento condurrà alla meta nel modo più rapido e sicuro. Nella seconda metà le voci che si incrociano devono essere differenziate con un tocco particolare. Per rinforzare e rendere indipendenti le singole dita ci si potrà servire dei seguenti esercizi:

b) Presto.

A più voci:

Parallelamente a questo Capriccio ci si potrà esercitare sulle scale e sui passaggi con note fortemente accentuate nel legato. Tale 1036

tipo di accentuazione è particolarmente efficace sulle dissonanze. L’esecutore dovrà però evitare che il suono risulti stridulo o legnoso. Ad esempio:

b) sit magg.

Accentuando la dominante:

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Trasportando questi esercizi, o altri passaggi inventati autono­ mamente, in tonalità diverse e difficili si otterrà un vantaggio non solamente tecnico. L’editore sconsiglia di studiare questi Capricci uno dietro l’al­ tro (e ciò vale anche per i pezzi di una certa dimensione). Sarà meglio metterli da parte di tanto in tanto, studiare singoli passag­ gi, eseguirli poi nel contesto, tornare a lavorare di lima dall’inizio, fin quando non si capirà che è giunto il momento di dare la mano definitiva. Se infatti anche la cosa più bella, quando sia fuori posto o goduta all’eccesso, finisce per ingenerare indifferenza e noia, così viceversa uno studio moderato, ma anche condotto con caldo entusiasmo, faciliterà i progressi, svilupperà armonicamente le forze lasciando intatta la magia dell’arte, che rimane pur sempre l’anima. Tutti i Capricci sono stati scelti dalla prima opera di Paganini. Egli l’ha dedicata agli artisti.

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2. PEZZI BREVI PER PIANOFORTE

I. Moscheles, Impromptu per pianoforte op. 89

Una graziosa e pregevole cosina, che inoltre si presenta (a parte l’inizio) in modo semplice e senza pretese. Ci sembra di poter affermare che Moscheles intendesse inizialmente scrivere uno Studio e che poi abbia inserito un intermezzo dando così a questo brano la sua forma attuale. La sezione contrastante centrale è di carattere energico, quasi nello stile di Cherubini: è l’Impromptu vero e proprio. Qua e là avremmo preferito che il basso, anziché attaccare sempre sull’ottava croma, iniziasse sul settimo ottavo, e che fosse anche marcato con A, in modo che il contrasto con la voce superiore fosse espresso in modo ancora più evidente ed intenso. Evidente è comunque sempre, nell’economia dei mezzi usati, la presenza di una mano abile ed esperta. Per quanto riguarda le quinte derivanti dalla risoluzione evitata dall’accordo (ad esempio alla 4a battuta di pag. 5), su questo problema anche i teorici non sono d’accordo. C’è da dire che tale passaggio non disturba assolu­ tamente l’orecchio; in un Maestro è però una cosa che colpisce sempre. Invece della solita filastrocca sulla veste tipografica e la carta eccellente, vogliamo permetterci, una volta tanto, di lodare l’edi­ tore su un piano più generale: è una lode che il Signor Kistner merita sicuramente. Egli sa dare alle sue opere una veste tanto ragionevole quanto distinta, senza inondarle da capo a piedi di fiori, che davvero dobbiamo considerare fortunato quel composi­ tore (che in queste cose è proprio come una fanciulla) che può presentarsi al mondo con questo splendido abito nuziale. E questa cura della veste esteriore è tanto più apprezzabile in un tedesco (noi tedeschi in queste cose arriviamo sempre in ritardo) in quanto ciò non va a discapito della correttezza, pregio che sempre distin­ 1039

gue il tedesco dagli editori stranieri. Oggi vediamo spesso muove­ re dei rimproveri agli esecutori perché trascurano le opere anti­ che; ma di tale situazione è forse in parte responsabile la scarsa cura con cui erano realizzate le vecchie edizioni: l’occhio non vi è oggi più abituato. Fa quindi piacere che il pubblico sostenga le iniziative del suddetto editore: egli può infatti in tal modo dare alle proprie edizioni una veste tipografica conveniente e decorosa senza perciò aumentare i prezzi; su questo piano il Signor Kistner si è impegnato in modo lodevolissimo, ed è un impegno che incontra tutto il nostro favore.

J. Field, Nocturne pastorale pour le Piano Nouvelle Fantaisie pour le Piano Exercice nouveau pour le Piano

Mi ricordo ancora di come il recensore di una vecchia rivista musicale aveva trattato con beffardo disprezzo l’opera n. 1 di Field, accusandola di presentare degli intervalli di decima, da lui considerati come innaturali e ineseguibili. Da allora non ricordo di aver più visto un numero d’opera sulle composizioni di Field, ma di intervalli di decima ne ho trovati certo un’infinità: ecco a cosa servono i recensori. Oggi le cose sono cambiate, eccome! Di tali ampi intervalli neanche un bambino si stupisce più, e che Field (certo non senza motivo) non assegni più un numero d’opera alle proprie composizioni non è certo un fatto di grande importanza. Le sue opere, come quelle di Shakespeare, sono disposte a cerchio: è del tutto casuale che egli abbia scritto il suo terzo Concerto prima del quarto; un grammo di genio in meno, e forse non sarebbe nemmeno stato promosso a scuola. E invece erano in mille a guardarlo, quel bel giorno di primavera in cui egli ridente si liberò dalle aride mani di Hofmeister, in mille a gettargli fiori, fiori che oggi egli porta sul proprio capo come una corona. Se potessi, io gli intreccerei una corona di papaveri e di viole notturne: egli è infatti il beniamino dell’ora del crepuscolo, quan­ do il sole tramonta e feterna nostalgia delle anime si risveglia. C’è forse bisogno che io parli, a coloro che lo conoscono, di quei momenti in cui si stava ad ascoltare anche dopo che la musica era già finita? Se vogliono sapere qualcosa di queste nuove poesie, c’è 1040

forse bisogno che io ripeta ciò che loro sanno già da tempo, che parli ancora una volta del primigenio canto del cuore?... Una volta toccata, una corda universale vibra poi per l’eterni­ tà, Dev’essere entusiasmante il momento in cui ti rendi conto che tu l’hai toccata per primo, il momento in cui c’è qualcosa che puoi dire veramente tuo, in cui ti senti primo artefice della nuova creazione e senti la tua opera come la prima delle creature, una creatura che ti abbraccia appassionatamente e che reca il tuo nome. Quale felicità deve aver provato lui di fronte al suo primo Notturno', perché è una cosa tutta sua, e nessuno prima di lui aveva espresso qualcosa di simile. Gli artisti sembrano disvelare gradualmente, con la loro arte, un’immagine della natura: il giorno nel piccolo, l’anno nel grande, il tempo e l’eternità al livello più alto. Il mattino pieno di energia è di Bach e di Hàndel. Ciò che si muoveva di fronte a loro erano voci mattutine, presentimenti di voci, spesso ancora fredde. Mozart e Haydn hanno portato il giorno e la vita luminosa e attiva, un giorno che poi di nuovo si zittì nella notte stellata aperta da Beethoven e da Franz Schubert. Oggi molti discepoli si sono aggiunti accanto a quei sommi sacerdoti. Field depone sull’altare la propria offerta alla sera; non tutti capiscono ciò che egli dice, ma nessuno osa turbare il pallido giovinetto immerso nelle sue pre­ ghiere. Chopin lavora ad un’ora ancora più tarda, quasi in un’au­ rora boreale, ma già gli spiriti si aggirano intorno a lui, i rapaci uccelli notturni volano in cielo mentre qualche farfalla notturna comincia già a cadere a terra sfinita dal freddo e dalla stanchezza. Saremmo dunque giunti alla fine? No! Il giorno appena concluso, con le sue piccole quattro ore, non è che un solo giorno di primavera, che a sua volta non è che una parte dell’anno, mentre nella storia delle arti anche i secoli non sono che istanti che appaiono e scompaiono nell’eterno fluire del tempo. Eusebio

Non sappiamo a quando risalga questo Esercizio ; comunque non giureremmo sulla sua autenticità: solo nell’impianto formale semplice e chiaro, infatti, possiamo riconoscere la mano di un Maestro; ci colpisce, peraltro, il fatto che si tratti di un Esercizio sul trillo, dato che sappiamo che questo non è il lato forte del virtuosi­ smo di Field. Il suo scopo tecnico specifico, anzi, è il movimento veloce del terzo e del quarto dito, questa coppia così infelice per i 1041

trilli e che spesso fa disperare i pianisti. Ludwig Berger ha scritto un pezzo simile nei suoi Studi (che, detto per inciso, sono talmente ricchi di delicate idee musicali da far dimenticare del tutto il fatto tecnico): simile esteriormente nella tonalità come interiormente nel carattere, ma elaborato in modo assai più ricco sul piano artistico e su quello delle idee; vale la pena di confrontare questi due pezzi. Ma Field, adesso, dove sarà?

F. Hiller, La danse des Féespour le Piano op. 9 La sérénade Prelude, Romance et Finale op. 11

Rimandiamo alla recensione sugli Stìidi di Hiller. Questi picco­ li pezzi ci confermano ulteriormente nella nostra convinzione già allora espressa. Avevamo accennato al fatto che i pezzi di carattere fatato, fiabesco, erano quelli che gli riuscivano meglio e avevamo allora chiarito il senso della nostra affermazione. Stavolta il pezzo reca il nome in fronte, ma anche senza titolo si capirebbe cosa vuole significare. L’inizio della Danza delle fate, da suonare con un leggerissimo tocco di campanelle, ci porta subito in pieno argo­ mento. A pag. 5 saltano fuori un paio di mostruosi coboldi armoni­ ci che vogliono affermare a tutti i costi la loro esistenza. Siamo convinti, o quantomeno vogliamo sperarlo, che la Sere­ nata debba essere considerata una satira, e tale convinzione non si basa solo sulla dedica a “Madame de..'\ Se la dovessimo prendere seriamente, infatti, non pensiamo che il nostro cantore di serenate sarebbe tanto facilmente invitato ad entrare dalla finestra. Cogliamo l’occasione per ringraziare l’editore a nome di tanti giovani compositori che, ancora senza medaglie e decorazioni, sono da lui stati presentati al mondo. Non è difficile incontrare nel suo catalogo i nomi di questi giovani esordienti, né è difficile acquistare le loro opere. Se pure non tutto ciò che ci offre è oro sopraffino, al Sig. Hofmeister va riconosciuto il merito di stimolare la voglia di fare in chi è ancora sconosciuto offrendogli una buona stampa su una bella carta e soprattutto seguendo con partecipe attenzione gli sforzi creativi dei compositori: in tal modo prima o poi una di queste giovani vene aurifere giungerà al felice Eldorado, dove non è possibile arrivare solo col sogno. Vadano dunque a costoro i nostri migliori auguri, insieme con tutta la nostra stima.

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3. INFORMATORE CRITICO

S. Thalberg, Fantaisie sur Norma pour Piano op. 12 F. Kalkbrenner, Fantaisie sur La straniera pour Piano op. 123 (Unasotó dalla contessa) ...ATTACHÉ: Felici i tasti su cui si poseranno queste dita, contessa! Se io fossi un pianoforte, ogni mio suono sarebbe per colei che suona un nome di bellezza e di gioventù: do, Corinna; re, Desdemona; mi, Eleonora; fa, Fiormona... 1 Riuscite a indovinare qual è il mio deside­ rio?

C’è una buona ragione se abbiamo messo insieme queste due composizioni: l’unica differenza fra di loro è il 3 in più nel numero d’opera. Sono due personaggi dal carattere amabile che il gran mondo ha lasciato e reso brillanti come lastre di ghiaccio. Tanto più s’impara ad adulare quanto più si viene adulati: chi dà e chi riceve bevono in egual misura il dolce veleno; in verità... ...CONTESSA: Gli ultimi giorni di Pompei? Oh, quanto amo questo libro! La cieca è sublime. ARTISTA: Non Le ha ricordato Mignon? CONTESSA: Certo, ma Bulwer capisce il tedesco? LA MADRE: Ma non è stato lui che ha tradotto il Gótz von Berlichingen? in verità, io invidio questi compositori per il modo in cui sanno conversare con l’affascinante ambasciatrice senza mai metterla in imbarazzo con qualche pensiero geniale, per la grazia con cui sanno raccogliere un guanto alludendo, ma con somma discrezio­ ne, al guanto pericoloso di Schiller.12 II più giovane ha ancora un po’ di strada da fare prima di conseguire, nei salotti, la notorietà di

1 I nomi tedeschi delle note sono le iniziali dei nomi femminili a cui sono associati: do = C (Corinna), re = D, ecc. [G.T.] 2 Si veda la poesia DerHandschuh [II guanto] di Schiller. [G.T.]

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cui già da tempo gode il più anziano; ecco perché quello cita ancora, qualche volta, Goethe o Beethoven e addirittura parla in modo più ricco di spirito di quanto normalmente sia permesso anche negli ambienti più elevati, mentre questo fa più rapide conquiste con le sue deliziose e raffinate vecchie maniere da gentiluomo; non vorremmo però che... ... Attaché: Non riuscite a risolvere la sciarada? Mi permetto di ripeterla. E una parola di tre sillabe: la prima sillaba è il nome di un noto composto chimico che certo si trova spesso nelle altre due, che, lette di seguito, sono il nome di un noto monte. Leggendo tutto insieme trovate un grande virtuoso...3 CONTESSA: Risolverò la Vostra sciarada proponendoVene un’altra, stavolta di due sillabe. Senza la prima non esisterebbe la seconda, e viceversa. Le due sillabe, insieme, hanno molto talento; stiamo attenti, ’però, a non arrivare là dove finiscono entrambe...4

Suonano già le undici. Dove si sarà mai nascosto Eusebio? Florestano

Brigante! Guardando dalla finestra ti ho visto seduto davanti a un bicchiere di vino, lì a grattarti la fronte, e alla fine ricorrere al bicchiere per trovare qualche buona idea critica. Strano modo, davvero, di recensire... Eusebio

3 Kalk-Brenner (Kalk = calcare, Brenner = Brennero). [G.T.] 4 Thal-Berg (Thal = valle, Berg = montagna; là dove finiscono il monte e la valle è la pianura, per cui il senso dell’ultima frase dovrebbe essere che Thalberg deve stare attento a non cadere nella superficialità). [G.T.]

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4. CANTI ALPINI DELLA SVIZZERA 1

n. 1. E. G. Kulenkamp, Impromptu op. 47 n. 2. F. Liszt, Improvisata op. 10, n. 1 n. 3. A. Spàth, Divertissement op. 151 n. 4. J. Schad, Air suisse varié op. 3 n. 5. F. Ries, Introduction et Rondeau op. 182, n. 1 n. 6. F. Liszt, Nocturne sur le Chant Montagnard op. 10, n. 2 n. 7. F. Ries, Introduction et Rondeau op. 182, n. 2 n. 8. J. Schad, Rondeau Suisse op. 4 n. 9. F. Liszt, Rondeau op. 10, n. 3

Tutto ciò che si fondi su una solida base e venga poi sviluppato con coerenza merita pienamente la nostra stima; e ciò vale anche per la presente raccolta, una raccolta che, pensata originariamen­ te solo per il paese in cui è stata pubblicata, potrà però essere interessante per chiunque in quanto ad essa hanno collaborato anche alcuni compositori stranieri. Le auguriamo un felice succes­ so. Certo, è naturale che nove composizioni, scritte tutte su temi popolari di una stessa nazione, lette o ascoltate l’una in fila all’altra possano stancare un po’ per l’uniformità del loro carattere. Il loro scopo, però, non è certo quello di essere eseguite tutte insieme: dobbiamo pensarle come occasionale ricreazione, per rinfrescarci un po’ i ricordi che abbiamo tratto dalla contemplazione della splendida natura della loro patria d’origine o per stimolarci ad andare un giorno a vederla: ogni musicista dovrebbe vedere almeno una volta la Svizzera. Dei contributi di Liszt parlerò solo di sfuggita, in quanto egli sembra attualmente attraversare una nuova fase compositiva, su cui è meglio non esprimere un giudizio prematuro. Le sue sono le composizioni di maggiore spicco della raccolta, e sotto le sue dita saranno certo meravigliosi pezzi di pittura sonora. Echi, suoni di campanacci, giovani che cantano Jodel, prati color verde dorato: questo e altro ancora vediamo neWImprovisata grazie alla fertile fantasia del grande virtuoso; nel Notturno, invece, sono campane di chiesette, corni alpini alla sera, una tempesta in arrivo, cascate e lavine, per concludere poi con il dolce richiamo delle campane già

1 [R.S.] Sono tutte elaborazioni di canti svizzeri.

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udite all’inizio, mentre il vecchio fohn torna brontolando a nascon­ dersi nelle gole montane. Ma una delle sue migliori composizioni in assoluto mi sembra il Rondò (n. 3), davvero un pezzo ben congegnato anche sul piano formale, ricco di idee e spiritoso, a parte qualche luogo comune che sempre, purtroppo, si insinua nelle sue composizioni accanto a passaggi della più ardita forza. Dobbiamo infine sottolineare anche un particolare assai originale: l’estrema cura riservata alle indicazioni interpretative. Con il n. 4 e il n. 8 facciamo la conoscenza di un talento presumibilmente giovane, su cui Liszt, nel suo soggiorno a Gine­ vra, sembra aver esercitato una qualche influenza. Nell’op. 3 alcune cose mi sono piaciute; l’altro pezzo, invece, dopo un buon inizio procede con grande stanchezza e mi sembra un pezzo mancato sotto ogni aspetto. Le armonie alla fine di pag. 3 suonano bene e si possono in qualche modo giustificare; le armonie imme­ diatamente successive, a pag. 4, invece, sono davvero orrende e per giunta piatte. Il compositore deve ancora lavorare con grande impegno: in lui possiamo vedere una certa qual vena musicale. I contributi del Sig. Ries sono semplicemente dei lavori occa­ sionali, scritti probabilmente solo per accontentare l’editore: sono composizioni su cui c’è veramente poco da dire. ÙImpromptu del Sig. Kulenkamp ben si confà allo scopo della raccolta: un piacevole esercizio destinato a pianisti di medie capa­ cità; in tal senso esso è più adatto a tale scopo delle composizioni di cui abbiamo parlato all’inizio, destinate piuttosto alle mani di un virtuoso. Consiste in una bella e piacevole introduzione, dopo la quale sarebbe stato meglio passare direttamente al Tema, senza quell’effetto di interruzione, di sospensione dato dall’Allegro. Il Tema è poi seguito da quattro lievi variazioni e da un breve Finale. Se il compositore continuerà ad offrirci solo e sempre le sue cose migliori non gli mancherà certamente il nostro sincero apprezzamento né alcuno potrà criticarlo. Il Divertissement del Sig. Spàth è ben strutturato e pensato con serietà, ma ben presto cade in un’atmosfera un po’ flemmatica da cui solo il ritorno del primo tema riesce in parte a liberarci. Nel complesso sembra un pezzo di un’altra epoca. Post scriptum. Nell’ultimo articolo dedicato ai Rondò mi sono dimenticato, ricopiando il manoscritto, di parlare del Rondò di C. Schunke. Ho recuperato la minuta, e riporto ciò che allora avevo scritto: “Il Rondò del Sig. C. S. merita pienamente che lo si racco­

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mandi all’attenzione delle studentesse di pianoforte: si basa su una cacucha 2 tratta da un recente balletto francese, elaborata in modo garbato, leggero, amabile e utile per lo sviluppo tecnico delle dita.”

2 Si tratta evidentemente di un refuso tipografico per cachucha, una danza di origine andalusa che ultimamente aveva ottenuto una certa notorietà grazie all’interpretazione datane all’Opéra di Parigi (nel 1836) da Fanny Elssler nel balletto Le diable boiteux di Jean Coralli (su musiche di Gide). [G.T.] 1047

5. OPERE POSTUME DI BEETHOVEN

Seufzer eines Ungeliebten, da G. A. Burger. — Dìe laute Klage, da Herder. (Due canti, per voce con accompagnamento di pianoforte. Dai manoscrit­ to originale di Beethoven) Sarebbe sufficiente ricopiare semplicemente il titolo sul frontespizio per attirare su questi due canti l’attenzione dei lettori. Se pure si può dubitare che, vivo Beethoven, queste due composizioni sarebbero state pubblicate (il primo, soprattutto, si vede che appartiene a un periodo creativo giovanile), tuttavia non possiamo non sentire anche in esse la presenza della mano titanica (bastano pochi, piccoli tratti) a cui tutto riusciva perfetto. Il Seufzer eines Unglucklichen 1 [Sospiro di un infelice] si basa su un testo un po’ insipido e antiquato; sul piano musicale colpisce la somiglianza della melodia su cui si cantano le parole “Wusst* ich, dass du mich lieb und wert ein bisschen hieltest” con il tema principale della Fantasia per pianoforte e coro di Beethoven e, se si vuole andare ancora più avanti, col tema dell’ultimo movimento della sua Nona Sinfonia. Klage der Turteltaube 1 2 [Lamento della tortora] è invece ben più interessante sotto ogni aspetto, e decisamente beethoveniano. Solo due battute (pag. 15, batt. 2/3) ci lasciano un po’ perplessi; probabilmente in quel punto il manoscritto era difficile da decifra­ re. Invece quella modulazione un po’ faticosa è accettabile e si può spiegare in funzione del testo. Presso la stessa casa editrice è stata recentemente pubblicata anche una nuova edizione del bellissimo e sublime Abendlied un­ temi gestirnten Himmel [Canzone serale sotto il cielo stellato]: ria­ scoltatelo per riprovare l’antica emozione.

1 I titoli esatti sono quelli riportati all’inizio (Sospiro di un amante non corrisposto e Alto lamento). L’editore (1837) è Diabelli. [G.T.] 2 Vedi nota 1. 1049

6.

ALBUM DUPIANISTE

In quest’Album 1 prevalgono senz’altro composizioni buone e belle; per poterlo raccomandare incondizionatamente, però, biso­ gnerebbe eliminare le Variazioni di Jacques Herz, un’opera che, come accade a tutti i lavori dozzinali, appare tanto più misera quando sia posta accanto a composizioni eccellenti. Ma la colpa di ciò sta nel fatto che noi tedeschi, con queste raccolte, vogliamo mettere insieme tutto: un po’ di solido, un po’ di leggero, un po’ di pesante, un po’ di moda, e anche qualcosa per i pianisti da strapazzo. Un abile pianista potrebbe ottenere grandi successi in una città come Berlino con questa raccolta, suonando uno dopo l’altro i vari pezzi come i fiori di una ghirlanda; ma una mostruosi­ tà come quella di Jacques Herz ci toglie almeno metà del piacere, e per di più dobbiamo pagare anche per queU’obbrobio! Il pezzo che farà vendere più copie di questo Album è senz’altro l’Andante e Studio in si maggiore di Adolph Henselt, reso celebre dalle esecuzioni di Clara Wieck. L'Andante non saprei paragonarlo ad altro che a quel meraviglioso sonetto del Petrarca che inizia con le parole benedetto sia ’l giorno...; lo Studio, invece, scritto a distanza di tempo dall'Andante e concepito in non stretta connessione con esso, sposta l’attenzione dell’ascoltatore dal cuore alle ma­ ni, e l’effetto complessivo è piuttosto banale: una gioia espressa in modo assai confuso. Il compositore è stato a lungo in dubbio circa l’opportunità o meno di presentare subito il tema principale esposto in forma semplice prima di farlo ascoltare con quell’ac­ compagnamento agitato e complesso: ipotesi che io, rispettosa­

1 Pubblicato da A.M. Schlesinger, Berlino. [M.K.] 1051

mente, gli sconsigliai di realizzare sulla base di numerosi motivi, fra cui la considerazione che, così facendo, lo studio avrebbe assunto un’apparenza quasi da tema con variazioni; ma questa osservazione ebbe un effetto contrario alle mie intenzioni, perché anzi quest’idea gli piacque molto. Ormai, purtroppo, siamo co­ stretti ad ascoltare questo pezzo in tutte le occasioni possibili e immaginabili: di recente, ad esempio, l’abbiamo ascoltato eseguito da una povera signorina che a suonarlo faceva una fatica come se avesse dovuto spostare un vecchio enorme cassettone che non ne voleva sapere di muoversi. Il contributo di Louis Berger consiste in tre brevi Pezzi Caratte­ ristici', L'innocenza, Il cordoglio e Rondò capriccioso, tre pezzi che probabilmente aveva scritto parecchio tempo fa. Il secondo, Il cordoglio, riesce a commuovere profondamente; il Rondò inizia su toni un po’ antiquati, ma assume poi un carattere originale e sempre più avvincente che giustifica la scelta del titolo. Di Chopin troviamo, nelYAlbum, un Notturno, che nelle sue prime battute rivela il grande poeta di sempre. Il canto del primo verso (davvero possiamo chiamarlo così) è delicatissimo e caratte­ rizzato da una splendida sonorità; il secondo, invece, è più opaco, come purtroppo spesso succede alle seconde idee di Chopin. Credo che la conclusione sia stata aggiunta in un secondo tempo. Le Variazioni su Rule Britannia di Moscheles, Cramer, Hummel e Kalkbrenner sono interessanti per il fatto che ci offrono assieme tutti questi autori, che si presentano con queste variazioni in modo più che degno. Il tema, però, è uno dei meno adatti ad essere variati a causa di quel triplo inizio sempre sul tono principale. L'Introduzione e Polonaise di Kalkbrenner mi ha lasciato un po’ freddo: scorre, ma non conclude mai. Un piccolo Scherzo di Mendelssohn, già pubblicato in un sup­ plemento della Berliner Allg, Mus. Zeitung, è molto apprezzabile nonostante la sua brevità, e anzi proprio grazie ad essa. È difficile essere più geniali di così in così pochi secondi. Pure estratta da una rivista è la Rhapsodic champètre di Mosche­ les, di carattere un po’ estraneo alla sfera espressiva abituale del compositore. Anche in essa, soprattutto nella conduzione dei bassi, riconosciamo comunque lo stile del Maestro. Lo Scherzo di Reissiger è gradevole, pur mantenendosi su toni di elegante superficialità. Alla fine, poiché la successione dei pezzi segue l’ordine alfabe­ 1052

tico dei nomi dei compositori, troviamo un Capriccio di Taubert, i cui maggiori difetti mi sembrano risiedere in un’eccessiva lun­ ghezza e in una certa prosaicità, anche se in esso troviamo passaggi davvero eccellenti, fra cui due o tre cose molto belle, addirittura sorprendenti. Una critica che i pianisti potrebbero muovere a questo pezzo è che è molto diffidile e alla fin fine poco gratificante, ed è una critica non del tutto infondata. In appendice troviamo infine alcuni facsimilia di composizioni di Spontini, Meyerbeer, Moscheles, Hummel e Cramer, nonché un’interessantissima e divertente tavola in cui sono raccolte molte centinaia di firme autografe di compositori viventi o defunti, noti o meno noti. Fra i primi troviamo Paganini, con una firma davvero diabolica, mentre il nostro sguardo si sofferma con piacere sulla “mano domenicale”, come dice Zelter, di J. S. Bach e sulla firma geniale del Principe Luigi di Prussia. Originalissima è anche la firma di Beethoven, con i suoi grotteschi ghirigori e assolutamente diversa da qualunque altra. Questa tavola costituisce un piacevole passatempo e le firme sono imitate fedelmente, come può testimo­ niare chi scrive dopo aver visto con spavento la propria stessa firma (una firma, peraltro, che solo uno Champollion 2 o un’inna­ morata potrebbero riconoscere). R.S.

2 II celebre studioso che per primo riuscì a decifrare i geroglifici. [M.K.]

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7. PER I SUPPLEMENTI MUSICALI DELLA NEUE ZEITSCHRIFTFUR MUSIK

DALL’INVITO

Soprattutto speriamo, con questa iniziativa, di essere utili ai giovani compositori di talento, i quali per lo più hanno molte difficoltà a farsi conoscere; se infatti già la semplice scelta da parte nostra delle loro composizioni è di per se stessa un risultato positivo, un riconoscimento, si può anche dire che non esista un mezzo più rapido e più sicuro, per far conoscere il proprio nome, che farlo pubblicare su una rivista letta da migliaia di persone. Ma per il lettore, per il giovane artista e per noi stessi i supplementi musicali sono utilissimi anche e soprattutto per un altro motivo. Ad essi, infatti, noi intendiamo dedicare la nostra più rigorosa attenzione critica indicando pregi e difetti delle varie opere, nei limiti imposti dal linguaggio, proprio là dove il lettore può seguire passo passo le composizioni avendo davanti agli occhi l’oggetto della critica. Inoltre, per offrire un giudizio il più articolato e il più sicuro possibile, ci faremo premura di sottoporre al giudizio di alcuni fra i nostri più validi collaboratori le composizioni che avremo deciso di pubblicare in allegato alla rivista, in modo da poter poi pubblicare le varie opinioni l’una accanto all’altra. Un altro progetto consisterebbe nella pubblicazione di un secondo supplemento in cui presentare una serie di Lieder, dal meno interessante al più riuscito, tutti basati su una poesia precedentemente proposta su queste pagine. Giovani ed anziani collaboreranno senz’altro con entusiasmo a questa iniziativa, che ci sembra assai utile ed interessante. Ma penseremo anche al passato. In particolare ci sta molto a cuore l’idea di pubblicare le molte composizioni ancora inedite di J. S. Bach, alcune delle quali, davvero splendide, sono già in nostro possesso. Di altri progetti che abbiamo intenzione di realizzare in parallelo alla pubblicazio­ 1055

ne di questi supplementi parleremo in modo dettagliato in altre occasioni. 1Il

II Fascicolo F. Mendelssohn, Pagenlied O. Lorenz, Mignons Lied St. Heller, Danze tedesche per pianoforte H. W. Rieffel, Geistliches Lied e Ermunterung, Canti per 4 voci maschili R. Schumann, Intermezzo per pianoforte

In primo luogo vogliamo esprimere la nostra gratitudine all’editore per aver voluto dare al fascicolo questo bel frontespizio di gusto rococò, che proprio in quanto tale è originale e nuovo. Questo secondo supplemento non pretende chiaramente di esse­ re pari al primo sul piano dell’importanza dei nomi presentati, ma d’altronde lo scopo precipuo di questi supplementi consiste pro­ prio nell’attirare l’attenzione dei lettori sui compositori meno noti. Anche qui, però, fa spicco fra gli altri un nome celebre e venerato. Il Pagenlied [Canzone del paggio] ci sembra una composizione amabilissima per la sua grazia e per il suo tono leggero e simpatica­ mente sfacciato; vediamo un ragazzo che cammina allegramente senza mai smettere di canticchiare: Wenn die Sonne lieblich schiene wie in Welschland lau und blau... [Se il sole splendesse ameno come nel cielo tiepido e azzurro d’Italia...]. Tanto più nostalgico, dopo un pezzo simile, appare perciò il successivo desiderio meridionale di Mignon; il caso ha voluto che questi due Lieder siano scritti nella stessa tonalità. Nel Lied di Lorenz, basato sulla canzone tratta dal Wilhelm Meister (già messa in musica moltissime volte e purtroppo spesso non nel modo più felice), ci è piaciuta molto la semplicità 1 Questo annuncio apparve, firmato La redazione, nel numero dell’1.10.1837 (Zt. 7, 120). Il progetto di Schumann non potè poi essere realizzato esattamente secondo le primitive intenzioni. A partire dal 1838 furono pubblicati quattro fascicoli all’anno, comprendenti da 4 a 6 composizioni; col 16° fascicolo (alla fine del 1841) i supplementi cessarono. Le recensioni dei supplementi del primo anno sono di Schumann, ma quelle relative al primo fascicolo non siamo riusciti a trovarle. Di J. S. Bach apparvero, fra l’altro: Fughe per clavicembalo e organo; i Preludi corali Ich nife zu dir, Das alte Jahr vergangen ist, O Mensch, bewem dein Sùnden, Durch Adams Fall. [M.K.]

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della concezione compositiva, assai adeguata alla situazione, an­ che se qua e là la melodia ci è sembrata non del tutto spontanea, poco vocale: su questo piano la composizione di Beethoven è da considerare un modello assoluto. Il nome di questo modesto, ma preparato compositore sarà probabilmente già noto ai lettori di questa rivista, che in qualche occasione si è già occupata di lui. Le Danze tedesche di Stephen Heller non sono certo niente di strabiliante; sono ciò che vogliono essere: ingenue e leggere melo­ die di danza, come quelle che il Walt di J. Paul canta fra sé e sé prima della Danza delle maschere (nei Flegeljahre). Anche l’esecuzio­ ne di questi Ldndler (tali sono almeno i due ultimi brani) dovrà perciò essere leggera, delicata, intimamente tenera. Il composito­ re ha già scritto, in passato, opere certo più impegnate ed interes­ santi, opere di cui ci siamo anche già occupati sulla rivista; pur­ troppo egli compone davvero troppo poco rispetto a quello che sono le sue possibilità e la sua facilità inventiva. Per quanto riguar­ da la sua vita, sappiamo soltanto che egli è ungherese di nascita, destinato fin dalla più tenera età a diventare un Maestro, che già da bambino si esibì pubblicamente in varie città tedesche e che attualmente vive ad Augsburg. Il compositore dei due canti Geistliches Lied [Canto sacro] e Ermunterung [Incoraggiamento] è organista a Flensburg e di lui si è già parlato su queste pagine a proposito della sua abilità didattica (dimostrata nella perfetta educazione musicale data alla figlia). Le sue opere ci mostrano un carattere onesto, tedesco ed originale. Nel Geistliches Lied ci piace, più della melodia in sé, la religiosità del tutto; in tal senso quelle caratteristiche movenze ben corrispondo ­ no al significato delle parole; è palesemente un Lied per voce di basso profondo. Il canto a quattro voci ci è sembrato vivo ed efficace; solo nella seconda metà, però, possiamo definirlo davvero originale; i passaggi presenti nelle ultime sei battute sono sorpren­ denti, benché del tutto naturali. Il motto dal Macbeth può in un certo senso spiegare e giustifica­ re l’ultimo compositore in elenco; si tratta di un frammento espunto da un’opera più ampia, all’interno della quale potrà, meglio che qui, dare più efficacemente l’effetto di un selvaggio e fantastico gioco di ombre.2 II compositore non voleva certo offrir­ 2 II pezzo è tratto dalle Novellette op. 21 (n. 3, fase. II). Il motto è il seguente: “When shall we three meet again,

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ci una musica in funzione del motto prescelto; semmai si può dire, viceversa, che solo dopo aver scritto la musica egli abbia trovato le parole che meglio ne esprimessero il senso. Per finire invitiamo nuovamente tutti i nostri compagni d’arte, vicini e lontani, a volerci inviare le loro composizioni; uno dei nostri maggiori piaceri consiste nello scoprire nuovi talenti, e con questa nostra iniziativa noi speriamo di trovarne e di farli conosce­ re più rapidamente al pubblico. La redazione

III

Fascicolo

P. Garcia, Die Kapelle J. Mathieux, Trinklied A. Henselt, Impromptu L. Berger, Hofer, Lied a una e a quattro voci Speriamo che il lettore vorrà esserci grato per ciò che gli offriamo in questo terzo fascicolo dei nostri supplementi: sono composizioni di genere, forma e carattere assolutamente diversi, fra cui troviamo due nomi femminili che ultimamente sono stati oggetto di un notevole interesse nel mondo musicale. Di Pauline Garcia queste pagine hanno già parlato in varie occasioni. Si tratta di un’artista che segue le orme della celebre sorella sulla strada del canto, ma che forse possiede più talento compositivo di quella: e a quest’ultimo e superiore talento ella sembra dedicare la maggiore

In thunder, lightning, or in rain?” Nei successivi supplementi tuono pubblicate anche le seguenti composizioni di Schumann: fase. 5: 1839, Gigue (più tardi inserita nell’op. 32). fase. 6: Fragment aus den Nachtstiicken (più tardi inserito, col titolo Intermez­ zo, nel Faschingsschwank). 1840, fase. 9: 2 Lieder. Hauptmanns Weib [La donna del capitano] e Weil, weit (Lontano, lontano) (Myrleri). Fughetta (poi nell’op. 32). fase. IO: fase. 11 : Rastlose Liebe [Amore inquieto], per coro maschile (poi nell’op. 33). fase. 12: Distichon "Nur ein làchelnder Blick" [Distico “Solo uno sguardo sorridente”, poi nell’op. 27]. 1841, fase. 13: Lied "Stille Tràneri' [Lacrime segrete, poi nell’op. 35]. fase. 14: Lied “Mondnacht” [Notte di luna, poi nell’op. 39]. [M.K.] 1058

cura. Il suo Lied è assai interessante, in primo luogo per essere un Lied tedesco composto da una spagnola, e poi è comunque notevo­ le di per se stesso sul piano della forma e della politura complessi­ va. La musica ha ridipinto l’immagine del poeta con grande fedeltà di particolari e aggiungendo anche qualcosa di suo, quan­ do ad esempio introduce all’inizio il pastorello che canta. Quest’ul­ timo particolare potrebbe forse sembrare un po’troppo scherzoso, ma in tal modo si viene a creare un contrasto con il tranquillo paesaggio dipintoci dal poeta che dà alla scena una nuova vivacità. Verso la fine il canto del pastorello svanisce gradualmente e risuona qua e là come un’eco solo nell’accompagnamento; è come se la campanella coprisse un po’ alla volta il suo canto. Un’inter­ pretazione come quelle di cui è capace la nostra compositrice e una voce che, come la sua, sgorga direttamente dall’animo daranno al Lied la giusta coloritura e il giusto significato. 1 Molto differente dal lavoro di questa dotata artista è quello dell’altra, un Trinklied [Canto conviviale] stranamente in sol mino­ re. Se pure questa cupa, quasi selvaggia tonalità può sembrare in contrasto con la serenità e la delicatezza con cui la poesia ci invita ad apprezzare i nostri beni più cari, la scelta di tale tonalità da parte della compositrice può essere considerato un segno dei tempi, forse derivato da quella scuola poetica femminile che gli scritti di Rahel e di Bettina ci hanno fatto conoscere. Chi volesse meglio conoscere e apprezzare questa compositrice e la sua natura musicale assolutamente femminile potrà farlo leggendo le sue raccolte di Lieder recentemente pubblicate, opere degne della più sincera lode, come da ogni parte è stato unanimamente ricono­ sciuto. Un piccolo pezzo di Henselt ci fa ripensare a lui e alla sua amabilità; è nel carattere di una canzone popolare, e riesce ad esprimersi perfettamente in poche battute. Il nostro compositore dovrebbe offrire più frequentemente opere simili alle mani dei pianisti ancora inesperti o principianti.

I Schumann aveva ascoltato per la prima volta la Garcia nel giugno del 1838 in un concerto al Gewandhaus. A proposito della sua esecuzione di un Lied da lei stessa composto, cantato e accompagnato al pianoforte (Des Knaben Berglied, da Uhland), Schumann scrisse sulla rivista:"Ella ha dimostrato di possedere tre talenti, ciascuno sviluppato ad un livello di piena dignità artistica.” Nel 1840 egli le dedicò il Liederkreis op. 28 (da Heine). [M.K.] 1059

Il nome del Maestro autore dell’ultimo pezzo in elenco è già di per se stesso una garanzia di valore; ecco un Lied che nella sua spontaneità, nella sua meravigliosa, profonda purezza vale mille di quelle opere teatrali che ci giungono dall’estero. Il Lied appare nella prima versione pensato per una sola voce; la versione a quattro voci riesce ad essere ancora più efficace. Un confronto dal vivo fra le due versioni dovrebbe essere di grande interesse per tutti gli amici della musica.

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Questo lungo scritto fu pubblicato in tre inserti nella rivista Komet, il 7 e 14 dicembre 1833 e il 12 gennaio 1834. Schumann l'aveva probabilmente preparato per il primo numero della sua rivista, la cui uscita era prevista per l'autunno del 1833. Le difficoltà che fecero slittare all'aprile del 1834 l'uscita della rivista, e che fecero anzi temere per la sua esistenza, indussero probabilmente Schumann a rivolgersi alla Komet. [P.R.]

8. IL FRATELLO DELLA LEGA DI DAVIDE

Trasmessoci das.

La vita musicale a Li psia

Primo articolo Sentii chiudere bruscamente una finestra sopra di me, e die­ tro, nella penombra, riconobbi il profilo incisivo, col naso un po’ storto, di un tipo svedese. Levai gli occhi, e qualcosa volò giù sulla mia testa, accarezzandomi le tempie come fronde profumate: erano dei fogli di carta che avevano gettato dalla finestra. Avvolto in un pezzo di carta robusta trovai un foglio che, tornato a casa, lessi quasi paralizzato dall’emozione; vi era scritto quanto segue: Le nostre notti italiane continuano. Il tempestoso Florestano è, da un po’ di tempo a questa parte, più tranquillo che mai e sembra aver qualcosa in testa. Di recente, però, Eusebio gli ha lasciato cadere lì un paio di parole che hanno risvegliato in lui la sua antica personalità. Dopo aver letto un numero della Iris 1 infatti, ha detto: “Però stavolta ha un po’ esagerato.” — Come? Cosa? Eusebio, sbottò allora Florestano, sei sicuro che Rellstab abbia esagerato? Questa dannata cortesia tedesca dovrà dunque continuare per secoli? Mentre i partiti letterari si fronteggiano e si combattono apertamente, dovrebbe dunque continuare ad impe­ rare, nella critica d’arte, il solito atteggiamento di indifferenza che tutto risolve con un’alzatina di spalle, un atteggiamento di neutra­

1 Iris era il titolo della rivista musicale di Rellstab. [M.K.] 1061

lità davvero incomprensibile e che mai sarà sufficientemente stig­ matizzato!? Perché non rifiutare senza mezzi termini coloro che sono totalmente privi di talento? Perché non sbattere fuori dalla porta i superficiali e i malaticci insieme con i presuntuosi? Perché non scoraggiare la nascita di opere che finiscono là dove comincia la critica? E perché gli autori stessi non pubblicano una loro rivista contro i critici esortandoli ad essere ancora più sgarbati nei con­ fronti delle opere? Se appena uno comincia a menar botte e intraprende una giusta decimazione, sùbito voi perdete la testa e gridate allo scandalo! E dunque la celia, la derisione, le armi di cui ogni degna persona si serve per combattere, armi che solo ferisco­ no, senza uccidere, non sono dunque queste armi ancora sufficien­ ti per combattere quelle opere che meriterebbero di essere estir­ pate come erbacce maligne? Te ne prego, Eusebio: non sei forse d’accordo che è più facile distruggere gli animali più nobili che gli animali più comuni? Sarebbe veramente ora di insorgere contro questa alleanza difensiva e offensiva, questa lega che ha messo insieme banalità e tracotanza, prima che ci cresca addosso, svilup­ pando su noi stessi le sue ramificazioni, prima che sia troppo tardi per porre fine a questa iattura. Ma voi che ne pensate, Maestro Raro? Tu sai quanto sia affascinante il modo di parlare di Raro, quello stile di discorso reso ancora più particolare dal suo accento italiano, quel suo modo di inanellare frase a frase quasi stesse scrivendo una fuga, sviluppando, intrecciando, serrando il discor­ so quasi in stretti, per poi alla fine ricapitolare un’ultima volta, che sembra dire: ecco che cosa intendevo. Florestano, rispose il Maestro, Voi avete detto il vero, benché io non approvi il modo un po’ troppo impulsivo con cui Vi siete espresso. Vale la pena di strappare la maschera, quando siano in discussione le più alte qualità dello spirito! Escludo solo i pochi grandi: forse non sanno nemmeno che stiamo parlando di loro. Che tempi! La naturalezza sa ancora affascinare? O non sono piuttosto preferiti gli ornamenti, i mascheramenti? La grandezza sa ancora commuovere? O non preferiamo piuttosto lo sfarzo e l’ostentazione? Non vediamo forse spesso uno studio interrotto a mezza strada per saltare subito agli ultimi gradini? Questo atteg­ giamento di mistero non assume forse l’apparenza del... A questo punto il foglio era strappato. Ma sul retro c’era scritto: 1062

Tu che hai trovato questo foglio! Tu sei destinato al bene e alla grandezza! Tu devi diventare Fratello della Lega di Davide, devi rendere intellegibili al mondo i segreti della Lega, quella Lega il cui scopo è di uccidere tutti i Filistei, musicali e non! Adesso sai tutto: ora agisci! Ma non fare una classificazione sistematica e gretta: sii piuttosto folle e confuso! Maestro Raro, Florestano, Eusebio, Friedrich, Bg., St., Hf, Knif, addetto al mantice dell’organo di S. Giorgio.2 Stupendo! dissi entusiasta dentro di me: è stupendo che io possa esprimere allegramente le mie più straordinarie idee celan­ domi dietro uno pseudonimo. Ma non potevo trattenermi dal proseguire nella lettura: 38a seduta dei Fratelli della Lega di Davide. - La vicinanza temporale stessa dei due concerti3 invita a un confronto che potrebbe presentare qualche motivo di interesse, in quanto i due pianisti avevano scelto la stessa opera del medesimo compositore, e in un caso pianista e compositore erano una sola persona; ma c’è forse qualcuno cui, per carattere, ripugna qualunque tentativo di trovare somiglianze o diversità. Raro e felice è quel talento giova­ nile che non ha più bisogno di essere giudicato in base all’età, ma che già può essere giudicato sulla base della validità dell’esecuzio­ ne in sé, anche se forse è più facile parlare dei germogli che della piena fioritura, delle aspirazioni che della perfetta compiutezza (posto che nell’arte se ne dia una), in quanto le aspirazioni includo­ no ancora in sé la speranza del futuro. Ma sarebbe ridicolo cercare qualche cosa per cui criticare due virtuosi come Kalkbrenner e Clara Wieck; in primo luogo perché nessuno ci crederebbe, so­ prattutto a Lipsia, città che, come è noto, incrementa la fama dei

2 “Friedrich” è J.P.Lyser, amico di Schumann che voleva dedicarsi alla musica ma che, divenuto sordo in giovane età, si occupò di pittura e di letteratura. “Bg.” dovrebbe essere Gustav Bergen, compositore e letterato. “St.” è Ferdinand Stegmayer, violinista, pianista, compositore, "Hf.” dovrebbe essere Friedrich Hoffmeister, editore e proprietario di un negozio di musica. "Knif dovrebbe essere Julius Knorr; a meno che non si tratti, leggendo a rovescio, di Fink, editore della rivista di Schumann. Il personaggio con cui l’articolo si apre, il “tipo svedese col naso un po’ storto”, potrebbe essere Friedrich Wieck. [P.R.] 3 Clara Wieck aveva dato un concerto il 29 aprile, Kalkbrenner 1’11 maggio 1833; ambedue avevano suonato il Concerto in la minore op. 107 di Kalkbrenner (Clara aveva suonato solo il primo movimento). [M.K.]

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nomi già celebri e sotterra i nomi giustamente ignoti ancor più profondamente di quanto faccia la Russia coi suoi artisti (musicali e demagogici); e poi perché non c’è niente da criticare, con buona pace delle non poche persone irragionevoli che pretendono, ad esempio, che Moscheles dimostri di saper suonare con lo stile pianistico di Hummel o di Field, o che di Kalkbrenner pensano che, sì, sa fare tutto quanto è umanamente possibile, ma che dopo di lui, per carità, non si vede l’ora di tornare a cibarsi dei vecchi, sani alimenti che sono i Concerti per clavicembalo di Hàndel, Bach e simili. E. L’uomo deve dunque (come consegue da quanto appena detto) abbracciare un solo campo dell’arte o della scienza e ad esso dedicarsi in modo completo ed esclusivo, anche col rischio dell’unilateralità (ma va detto che questa e la superficialità vanno rara­ mente d’accordo); e in tale campo crei, elabori, nobiliti pure tutto ciò che vuole, faccia i virtuosismi che meglio crede: solo in questo modo egli sarà certo della vittoria più di quanto lo possa essere quell’infelice che, dotato magari di maggiore genio, crolla a terra, sconosciuto, fra i colossi. R. Non amo l’uomo la cui vita non è in armonia con le opere.

BgNessuno sa dare, nelle proprie opere, una copia più fedele di se stesso di quanto sa fare Kalkbrenner. Com’egli è spontanea­ mente squisito nel rapporto con gli altri, ricco di spirito ed amabi­ le, tale egli si presenta anche nelle sue immagini musicali; anche i passaggi energici, nelle sue composizioni come nelle sue esecuzio­ ni, non sono che Grazie con elmo e corazza. E comunque non dobbiamo attenderci, in generale, che il compositore, anche quan­ do è un celebre virtuoso, debba per forza eseguire le proprie opere nel modo migliore e più interessante, e ciò vale in particolare per le opere più recenti, le ultime composte, che egli non può ancora vedere obiettivamente. Così, ad esempio, (a giudizio degli intendi­ tori) le esecuzioni della Szymanowska del Concerto in la minore di Hummel, della Belleville delle Variazioni di bravura di Herz, di Clara Wieck del Concerto di Pixis sono state di gran lunga più 1064

interessanti delle esecuzioni a cui ci avevano abituato gli stessi Hummel, Herz e Pixis rispettivamente. E.

E dunque facilmente succede che Tuomo cui è di ostacolo la propria figura fisica riesca a dare di sé, nel cuore degli altri, un’immagine ideale. Se volessi lanciarmi nel campo delle similitu­ dini, come ad esempio ha fatto il recensore del Tageblatt parago­ nando con grande serietà il modo di suonare di Kalkbrenner alla rivoluzione di luglio e lé sue terzine alla cavalleria leggera, direi dunque che Tuomo mi ha fatto venire in mente il mare, che rispecchia fedelmente tutte le immagini del cielo, serene o fosche, mentre la fanciulla (Clara) vorrei paragonarla a un’iride che, vibrante di colori, si distende tranquilla su una placida cascatella, ma che è percorsa da un forte fremito non appena l’acqua si agita. FI. Voglio lodarti, Florestano, per il fatto che tu spesso preferisci, anziché dare un giudizio, offrire un’immagine, il che porta più facilmente alla comprensione delle cose di quanto talvolta possano fare certi discorsi tecnici che restano incomprensibili all’incolto. Quando, ad esempio, tu una volta hai detto di un concerto per pianoforte e orchestra di Pixis che nelle mani di Clara era diventa­ to un mazzo di fiori d’arancio, e un’altra volta di Moscheles che era come se egli distribuisse ricche collane di perle orientali, e di Kalkbrenner che dai tasti si levavano in volo tante farfalle che poi si libravano su, su in alto nell’azzurro, io ho apprezzato molto quanto tu hai detto, preferendolo di gran lunga a ciò che qualcun altro avrebbe potuto forse dire: che il tocco assai preciso di Caio, ottenuto mediante il corretto studio dell’indipendenza dei musco­ li della mano da quelli del braccio (niente è più orrendo di un’impostazione rigida del braccio), riesce a renderci l’autentico suono del clavicembalo che, al tempo di Clementi, ecc... R.

Gli Studi di Kalkbrenner eseguiti da lui stesso erano pezzi magistrali en miniature (volti di Mignon, trasparenti fino alla vena più sottile e più involuta). L’intero pubblico sembrava uno scolaro che ascolta con la massima attenzione ogni sillaba del maestro. E. 1065

L’idea di eseguire in concerto brani brevi, rapsodici, troverà sicuramente molti sostenitori e imitatori. (Non c’è bisogno d’altro che di un nome famoso. FI.) Il virtuoso può in tal modo lasciar rifrangere in tutte le direzioni e nel modo più rapido i raggi del proprio spirito. R. Le Variazioni sul “Don Giovanni” di Chopin possono a fatica essere immaginate eseguite in modo più perfetto di come ha fatto Clara, tanto era delicata, raffinata e significativa la scelta dei coloriti e tanto perfettamente delineata era l’immagine com­ plessiva. Un recensore potrebbe, in proposito, dire molto di più. Ma nemmeno noi possiamo passare sotto silenzio la forza vitale con cui essa ha eseguito ogni pezzo, passando dai più delicati palpiti del sentimento ai toni della passione più accesa, in un crescendo sempre più stringente sino alla fine. E la somma di tutto ciò che ha suonato Kalkbrenner è poco più di due terzi della quantità di pezzi suonati da Clara, che oltretutto erano anche assai più difficili. E. (Io trovo che Eusebio scriva in modo molto noioso!) A proposi­ to, chi è mai quelfanonimo pecorone che, su un numero di qualche anno fa della Musikalische Zeitung si è permesso di belare qualcosa a proposito delle Variazioni di Chopin, dopo che nella recensione precedente Schfumann] aveva fatto parlare anche i Fratelli della Lega di Davide, peraltro senza chiedere il permesso a nessuno di noi, il che gli ha procurato un rabbuffo da parte del Maestro? Non sarà forse costui svenuto dallo spavento dopo aver ascoltato le Mazurke, gli Studi, il Trio e il Concerto? FI.

E dunque una cosa assai comune che di un’opera che alcuni Maestri4 hanno giudicato molto promettente (promesse che Cho­ pin ha poi mantenuto) siano sottolineate certe piccole e isolate

4 Ad es. Spohr: egli aveva definito queste Variazioni "le più originali, le più geniali e contemporaneamente le più difficili Variazioni di bravura esistenti'’. (Cit. nell'articolo di presentazione del concerto di Clara, a firma di Ofrtlepp), sul Leipziger Tageblatl del 28.4.1833.) [M.K.l 1066

manchevolezze, che sarebbero censurabili solo se venissero riscon­ trate nella composizione di un Maestro, per poi mettersi a sbraitare: Ecco! Guardate che cosa ci hanno portato i tempi nuovi! Ma questo manovale della critica riuscirà mai a cogliere l’opera nel suo complesso? Non riesce a capire che, oltre alla correttezza e allo stile, nell’opera d’arte è necessario che ci sia anche qualcos’altro,come ad esempio lo slancio vitale, la necessità? Si preoccupa forse di accennare alle possibili opere future dei giovani artisti preparando loro il terreno e incoraggiandoli con calore? Egli seziona gli spiriti come fossero dei cadaveri, quasi volesse fare una raccolta di calcoli biliari, dimenticando volutamente lo spirito e la fantasia, le cose che più sono tipiche della gioventù! Hf.

Ed è incredibile vedere con quanta untuosa affettazione quello pseudorecensorc conclude la propria critica. Dopo essersi autolo­ dato in lungo c in largo per due pagine e dopo aver criticato il fatto che un accordo troppo ampio per la mano fosse troppo ampio per la mano e che un paio di note di passaggio (transitus irregularis) fossero note di passaggio, alla fine scrive: “Dopo un’introduzione che occupa cinque intere pagine nella sola parte solistica (Largo in sib maggiore, solo in seguito un poco più mosso) seguono il tema, quattro Variazioni in tempo veloce, una Variazione in tempo Adagio, in sib minore e, per concludere, un episodio alla Polacca, in sib maggiore, lungo otto pagine. Per quanto riguarda l’aspetto tipografico (c’è da riconoscere che l’analisi di questo importante problema è condotta in modo assai circostanziato) di quest’ope­ ra di parata che conclude il 27° fascicolo di Odeon le lodi sono quasi sottintese: l’editore Haslinger si segnala sempre per il carattere tipografico chiaro, per la buona stampa e per la bella carta. Il recensore non ha rilevato evidenti errori di stampa, o quantomeno errori di stampa la cui correzione balzassero evidenti agli occhi (qui chiaramente al recensore è sfuggita una “quinta grammaticale”). Ma non possiamo garantire che la stessa cosa valga per le parti orchestrali, dato che abbiamo ascoltato quest’operina senza l’orchestra.” Ridi pure, pscudorecensore, del sudore e del tempo che mi è costato ricopiare il tuo articolo! 'fu, però, sei proprio il tipo che, dopo aver scritto con tono idolatrante: “O tu, unico Beetho­ ven!”, sùbito aggiunge fra parentesi: “(nato a Bonn nel 1770)”. FI. 1067

Avete ragione, Florestano! Questa recensione è chiacchiera di donnicciola. Queste persone, però, vanno trattate ancora peggio: non meritano nemmeno il nostro umorismo. Peraltro fa piacere che la stimata redazione abbia implicitamente riconosciuto di aver commesso un errore pubblicando quella critica: subito dopo ha infatti pubblicato un’eccellente recensione del Trio di Chopin. Raro

Sogno di una notte d'estate,5 quadro sognante, parlante, elevantesi ben oltre il livello della solita musica descrittiva così com’è per un sogno di una notte d’estate rispetto a un insulso e sbiadito sonno pomeridiano! vorrei giocare con te e stringere la mano al tuo poeta, esprimendomi però più con gli occhi che con le parole! Come possono applaudirti mani non benedette, avvicinarsi al tuo quadro fin quasi a toccarlo, rischiando così di turbare il sogno tuo e quello di coloro che sognano con te? E dunque mai possibile, a proposito di un’opera siffatta, non dico esprimere un’aspra critica, ma anche esprimere la più alta delle lodi? E. C’è un punto, nell’Adagio della Sinfonia in la maggiore [di Beethoven] (ve n’è una sola), che mi irrita sempre: è quando la melodia resta sospesa a mezz’aria con quei ritardi morbidi, quasi alla Spohr, che sono in chiaro contrasto con il carattere di colui che notoriamente era nemico di tutte le molli effeminatezze. Ma io scommetto che Beethoven ha scritto quel passaggio con intenti ironici, e lo si capisce da quei severi bassi che entrano subito dopo. Ma c’è uno, qui vicino a me, che dice sospirando: “O tu, unico Beethoven!”... Ah, è terribile! FI. Non tener conto del mezzo materiale vuol dire allontanarsi dall’ideale artistico. Bisogna dare spirito alla materia, in modo tale che ogni materialità venga superata e dimenticata. E com’è che succede che certe persone riescono a muoversi in modo autonomo solo quando si appoggiano ad un altro Io?

5 L'Ouverture di Mendelssohn era stata eseguita durante il concerto di Clara Wieck del 29.4.1833. [M.K.]

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Ad esempio lo stesso Shakespeare, che notoriamente prese tutti gli argomenti delle proprie tragedie da tragedie antiche o da novelle (o simili) preesistenti. E. Eusebio ha detto il vero. Alcuni spiriti agiscono liberamente solo quando si sentono condizionati; quando ciò non accade, finiscono per svolazzare senza meta, perdendosi nell’infinito. R. Sarebbe mai potuto nascere, senza Shakespeare, questo not­ turno sogno musicale, benché in fondo anche Beethoven ne abbia scritti di simili (per quanto senza titolo; ad esempio la Sonata in fa minore)? Il solo pensiero ha il potere di rattristarmi. FI.

Sul tempo di Sinfonia di S[chumann]6 difficilmente posso esprimere un giudizio. Non è forse lui il mio fratello maggiore, il mio sosia? E quest’opera non ha forse preso forma sotto i miei stessi occhi? Non riesco a capire se l’impressione di instabilità, quasi di inquieto disordine, che ho ricevuto dall’ascolto di quest’o­ pera sia da attribuire all’orchestra, che forse non ha suonato con sufficiente sicurezza a causa della difficoltà della composizione, non riuscendo ancora a trovare le tinte più giuste, le più delicate, se dipenda dal fatto che l’opera è nata proprio così (io propendo forse per questa ipotesi) o se dal fatto che un tedesco, non volendo trovarsi sùbito immerso nell’Allegro, si aspetta sempre un’intro­ duzione (una di quelle che Beethoven ha così genialmente paro­ diato nella Sinfonia in la maggiore, così come ha parodiato un certo modo di concludere nella Sinfonia in fa maggiore). Ero molto curioso di sentire che cosa avrebbero detto gli amici critici. L’ama­ bile e musicalissimo Stegmayer diceva che la pratica e il continuo esercizio compositivo potranno certo dare sicurezza e facilità alla strumentazione, qui ancora troppo colorita. E però decisamente un errore, intervenne a questo punto Hofmeister, sempre anima6 Schumann iniziò, nell’ottobre del 1832, la composizione di una Sinfonia in sol minore. Il primo movimento fu eseguito per la prima volta il 18.11.1832 a Zwickau, poi in una nuova versione il 12.2.1833 a Schneeberg e il 29.4.1833 a Lipsia durante il concerto di Clara (indicato, in tale occasione, come "primo movimento della prima Sinfonia"). (M.K.] 1069

to da un geniale spirito pratico, eseguire un primo movimento da solo, così come rappresentare il solo primo atto di un’opera: non possiamo vedere lo sviluppo, ma un semplice momento del diveni­ re; spesso l’artista non ha ancora perfettamente chiarito le proprie stesse intenzioni, e così via. (Confesserò a questo punto che tutto ciò non è stato detto dai Fratelli della Lega di Davide, ma che l’ho scritto io in prima persona; non posso, comunque, non riportare un’osservazione di Raro:) Non pretendete che un uomo si abbandoni alle fantasticherie con l’entusiasmo di un giovane, né da questo che possieda la quieta tranquillità di quello: rinunciate a un’idea simile! Troppa serietà disturba nell’opera di un giovane, così come viceversa disturba un quarantenne che si mette a ballare. (A proposito di Livia Gerhardt, che aveva preso parte al concerto della Wieck.) Sarebbe un imperdonabile peccato se a questo amabile talento non fosse concesso di svilupparsi con la necessaria tranquillità. Particolare cautela va usata nel trattare la sua eterea voce, più che nel curare lo sviluppo tecnico della sua mano: il troppo sarebbe altrettanto nocivo a quella quanto a questa il troppo poco. Può darsi che mi sbagli: ma mi è sembrato che la sua voce, procedendo nello sviluppo tecnico, abbia perso un po’ in freschezza e splendore. E. Tu non sei un vero Fratello della Lega di Davide, Eusebio: sei un gretto filisteo con le orecchie tappate. Una legge dei Greci voleva che si guardassero tacendo le belle statue; a maggior ragione, in questo caso, una statua che respira e che fa musica. Eusebio, sei un vero filisteo! FI.

I critici non dovrebbero innamorarsi, eppure di recente è successo al critico che doveva parlare di Fraudila, un critico a cui dobbiamo peraltro riconoscere una bella e non timida intelligenza nel riconoscere la purezza artistica (a parte il fatto che cita un po’ troppo spesso le autorità già riconosciute tali, il che nuoce ai talenti in via di maturazione); egli, infatti, di questa cantante (peraltro invero deliziosa) scrive, in una sola pagina: 1. che, nonostante sia agli inizi della carriera, promette di diventare una delle migliori cantanti del nostro tempo; 2. che presto brillerà come una stella di 1070

prima grandezza sull’orizzonte musicale; 3. che raggiungerà una tale perfezione che a ragione la si potrà annoverare fra le migliori cantanti; 4. che, nonostante abbia appena sedici anni, diventerà certo presto una delle migliori cantanti; 5. che è una delle migliori cantanti, che è uno dei fenomeni musicali più straordinari del nostro tempo, sì che al suo confronto tutte le cantanti che attual­ mente vivono (sottolineato) a Lipsia appariranno come dei pig­ mei; 6., ecc. E. Non lasciarti trarre in inganno da ciò, mio bel cigno! (i discorsi da sultano non servono a niente, nella critica d’arte); e anzi tu, che sei oggetto di tale discorso, guàrdatene: non sono che affermazioni prive di nessi e di profondità; sono riconoscimenti occasionali, non possono certo essere considerati come lo scopo ultimo di uno studio e di una ricerca profondi! FI. Non celate nulla alla critica! In fondo ogni aspirazione artistica è approssimativa, non esiste alcuna opera d’arte che non sia passibile di miglioramento, e ciò vale per ogni suono della voce, per ogni sillaba del discorso, per ogni movimento del corpo, per ogni linea del pittore. Ciò posto, non possiamo comunque dimen­ ticare che il virtuosismo in un’opera può spesso tradursi in impo­ tenza in un’altra creazione, e che un’opera può essere definita classica solo quando lo stile è perfettamente maturo e originale. Raro

Ecco perché la critica sbaglia quando rimprovera ad un’opera la mancanza di quelle caratteristiche che normalmente si chiedo­ no ad un’opera d’arte; ciò le sarà tuttavia permesso qualora nell’opera si manifestino altre forze spirituali con una tale energia che sentiamo la mancanza delle forze necessarie. Così, ad esempio, è certo che al canto della Grabau manca lo slancio lirico del canto di Francilla Pixis; ma nel canto della prima troviamo altre cose (purezza e naturalezza nella voce e nell’espressione) portate ad un così alto livello di perfezione che certo non sentiamo la mancanza di altre qualità. R.

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Quanto più ponderato sarà un giudizio, in modo tanto più semplice e modesto potrà essere espresso. Solo chi ha seguito tutte le nuove pubblicazioni, le ha lette, rilette e studiate dieci volte, le ha confrontate Tuna con l’altra con rigore scientifico, dedicando a ciò molto tempo e molta fatica, solo costui sa quanto tempo è necessario perché il nostro sapere si accresca, con quale lentezza il nostro giudizio si purifica e si chiarisce, e quale prudenza, perciò, dobbiamo poi usare nelle nostre affermazioni. Da qualche parte ho letto questa frase: “Senza aver fatto le esperienze più varie, senza una preparazione che ci indichi una strada da seguire, di fronte all’opera d’arte saremmo come ciechi pur tenendo spalan­ cati gli occhi.” R. A questo punto ero arrivato nella mia opera di copiatura quando entrò da me un bel ragazzo dai riccioli neri che mi consegnò una lettera senza dire una parola. “Chi sei?” Ma era già uscito dalla porta. Vuoi sapere che cosa c’era scritto in quella lettera? Te lo dirò in un orecchio... Hai sentito?

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9. CONTEMPORANEI DI UN VECCHIO MUSICISTA

Anna Caroline von Belleville

Apri tu questa serie di ritratti, giovane Maestra della tua arte, tu che hai reso belli tre dei miei già vecchi giorni! Se le tue capacità fossero la metà di quanto sono, forse i tedeschi ti avrebbero capito più facilmente, i tedeschi che in un virtuoso vogliono solo vedere combattimenti, attacchi, una lotta col proprio strumento, e difficil­ mente, allora, ti avrebbero lasciata partire per l’Inghilterra, la nazione che sempre sotterra gli artisti e li conduce alla rovina. Se non sbaglio, ella è nata (circa ventanni fa) ad Augsburg da una famiglia di origine francese. Fin da piccola abituata a viaggia­ re, ha appreso le lingue dei vari paesi dove per parecchio tempo ha risieduto: l’Inghilterra, la Francia e, se non erro, anche l’Italia, e queste lingue hanno raffinato e ammorbidito il suo accento tedesco. Parlando a tu per tu ella si esprime in modo aperto e confidenziale, per quanto difenda con convinzione le proprie idee artistiche; di fronte a un gruppo più numeroso di persone ella assume invece un atteggiamento di laconica alterigia tipico dell’ar­ tista, ma è un atteggiamento che, assunto nel luogo giusto, non può essere biasimato. A Vienna si è perfezionata con Czerny, ma anche l’anziano Andreas Streicher le ha dato molti consigli. Ella è giunta dunque a Lipsia nel pieno della sua maturazione artistica. Non so se il sangue francese vada d’accordo con quello inglese. Fatto sta che in seguito ella si è sposata con il violinista inglese Oury, con cui stava compiendo una tournée in Russia. La testa un po’ china, di ciò responsabile una leggera miopia, le mani finemente modellate, bianche come l’avorio dei tasti, tenute un po’ alte sulla tastiera, ella domina i suoni con facilità e grazia. Il suo modo di suonare il pianoforte è, come dev’essere, un 1073

giocare con lo strumento. La massa non capisce questo segreto. Più difficile è la musica, più sorridente è il suo volto; più arditi sono i salti, più sicuro è il suo tocco. In perfezione e levigatezza, dal suono singolo ai bicordi a velocità fulminee, ella eguaglia altri Maestri. Ma in sicurezza e in scioltezza ella forse li supera tutti. I conoscitori considerano l’esecuzione del Concerto in do maggiore di Pixis la sua prova più alta, quella del Concerto in la minore di Hummel la più debole. Solo la prima affermazione mi trova sicuramente d’accordo. La cosa più caratteristica e più perfetta di lei è quel modo di eseguire i trilli smorzandoli finché sembrano quasi svanire nell’etere. Il suo principale difetto consiste invece nel fatto che la sua mano sinistra è assai inferiore alla destra sul piano della perfezione tecnica e su quello della cantabile espressività del tocco; ma è un difetto che ella saprà eliminare con lo studio e l’impegno costante, qualità, quest’ultima, che ella possiede in misura assai superiore rispetto alle altre virtuose. Ma com’è possi­ bile che la parzialità e la predilezione esclusiva per il proprio metodo didattico abbiano accecato un artista, della cui eccellenza normalmente nessuno dubita, fino a fargli affermare che la nostra virtuosa ha poca scuola e non ha un buon tocco? Nella composizione fa ovunque capolino l’elemento femmini­ le: inizi di commovente e appassionata espressività, una certa insicurezza nella forma e nelle armonie, episodi sentimentali verso la metà, rapide interruzioni nel corso delle idee. Ben vi conoscia­ mo, amabili, sognanti creature!

Aggiungiamo il breve ritratto di un'altra pianista, Leopoldine Blahet­ ka, inserito nelle voci biografiche per /’Enciclopedia delle Dame (1834), ripubblicate nella rivista ma non comprese nella Raccolta degli scritti. La Blahetka è nota anche ai biografi di Chopin, il quale ebbe occasione di conoscerla e di apprezzarla a Vienna nel 1829, [P.R.]

BLAHETKA, Leopoldine. Eccellente ed amabile virtuosa del pianoforte, originaria dell’Ungheria, nata intorno al 1811. La sua fama nasce a Vienna, una fama basata in particolare sulla valida scuola di Hummel e Moscheles. Giovanissima compì varie toumées in Germania, Inghilterra e Francia, che diedero felici risultati. In 1074

questo momento vive stabilmente a Vienna. Il suo modo di suona­ re è assolutamente femminile, non genialissimo, ma delicato, riflessivo e maturo. Nella composizione dimostra di possedere più talento della Belleville, mentre come virtuosa questa le è di molto superiore.

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10. NOTIZIA BIOGRAFICA SU CLARA WIECK 1

Clara Wieck è nata il 13 settembre 1819a Lipsia e ha ricevuto dal padre, Friedrich Wieck, insegnante di pianoforte in quella città, un’approfondita educazione musicale basata su un metodo di provata efficacia, almeno nel caso della figlia, un metodo sem­ pre attento ai grandi progressi del pianismo più recente. Senza forzare il suo precoce talento con pretese esagerate, senza affatica­ re troppo la sua sensibilità, tanto delicata quanto vivace, ella tuttavia, già a nove anni, eseguì con l’accompagnamento del­ l’orchestra parecchi Concerti di Mozart e il Concerto in la minore di Hummel, non però in pubblico, bensì di fronte a un gruppo di esperti e di amici; ed erano per di più esecuzioni a memoria. Un anno più tardi, mentre nel frattempo la sua preparazione musicale progrediva visibilmente sul piano teorico come su quello tecnico, ella iniziò a creare autonomamente, improvvisando spes­ so, addirittura ogni giorno, riscrivendo poi le ispirazioni del proprio genio ed elaborandole artisticamente. Moke di queste prime prove compositive attirarono l’attenzione di Paganini, che in quel periodo stava dando una serie di concerti a Lipsia e che 1 Questo articolo apparve per la prima volta sulla Wiener Zeitschrìft fur Kunst... (1838, n. 24). La perfetta conoscenza dell’argomento, il modo di esporre e, soprattutto, certe particolarità stilistiche (caratteristico è ad es. l’uso di mehre [alcuni] per mehrere) ci fanno sospettare con una certa sicurezza che si tratti di un articolo di Schumann. Un ulteriore appoggio a tale attribuzione è rappresentato dal fatto che in esso si parla positivamente del metodo didattico di Wieck: 14 giorni prima, infatti, Schumann scriveva alla fidanzata che bisognava conquistare la fiducia di suo padre. Wieck si era infatti dimostrato favorevole al progetto di proporre a Schumann di trasferirsi a Vienna. Questo articolo nacque certamente in diretta connessione con il fatto che Clara, che risiedeva a Vienna da un po’ di tempo col padre, era appena stata nominata k.k. Kammervirtuosin (imperial-regia virtuosa da camera). [M.K.]

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fu vivamente interessato dal talento di questa fanciulla, un talento che giorno dopo giorno si manifestava sempre più ricco. La fortunata allieva accompagnava dunque quasi sempre l’ammirato Maestro, assistendo a tutti i suoi concerti e maturando il proprio talento con tanto instancabile fervore e con tanto crescen­ te successo, che Paganini già allora le predisse ripetutamente un futuro di eccellente e originale virtuosa del pianoforte. Seguendo tuttavia un preciso piano educativo, nemmeno allora Clara Wieck si esibì pubblicamente; ciò avvenne solo più tardi, al compimento del suo undicesimo anno d’età e solo in via sperimentale, a Lipsia, Weimar, Kassel e Francoforte sul Meno, dove eseguì pubblica­ mente, oltre ad alcune grandi opere di Pixis e Moscheles, anche delle composizioni di Chopin che grazie a lei hanno avuto, in tali città, un rapido successo. A dodici anni fu a Parigi, in primo luogo per ascoltare Chopin, Kalkbrenner e Lizst e trovare così nuova materia e nuove ispirazioni per la sua propria attività. Incoraggia­ ta dall’affettuosa e lusinghiera accoglienza riservata a lei e alle sue esecuzioni nei circoli musicali privati in cui si era esibita, il 12 aprile 1832 ella diede un concerto pubblico, durante il quale, di fronte a un platea tanto selezionata quanto numerosa, eseguì, tra le altre composizioni, anche due improvvisazioni su temi proposti all’impronta, riscuotendo un grandissimo successo. Col tempo, però, diventando le sue opinioni musicali sempre più rigorose, raffinandosi il suo gusto e perfezionandosi le sue capacità artisti­ che, ella non si è più esibita in pubbliche improvvisazioni se non di rado, in ristrette cerehie private e dietro inatteso invito, improvvi­ sando dunque nel senso più stretto della parola. Il repentino scoppio deH’epidemia di colera a Parigi interrup­ pe bruscamente il suo soggiorno in quella città. Ella tornò nella propria città natale, dove per alcuni anni visse una vita ritirata, dedicandosi a studi severi e in particolare alla composizione senza svolgere attività pubblica, ricevendo le eccellenti lezioni di Hein­ rich Dorn, allora a Lipsia e attualmente Musikdirektor a Riga. Solo di recente ella ha ripreso la carriera pubblica, ponendo le basi della propria celebrità con i concerti tenuti a Lipsia, Dresda, Berlino, Amburgo e in altre città del Nord, eseguendo di fronte al grande pubblico, oltre alle opere di antichi Maestri, anche compo­ sizioni ancora poco note di Chopin, Henselt e Robert Schumann; qui a Vienna, la capitale musicale della Germania, la sua fama ha infine ricevuto un grandissimo incremento e una sicura conferma. 1078

Il metodo didattico seguito da Clara Wieck fin dal suo quinto anno di età, un metodo che presto sarà presentato pubblicamente dal suo autore al mondo musicale in un’opera di prossima appari­ zione, si segnala, fra le altre particolarità, anche per il fatto che le prime lezioni non richiedono la conoscenza delle note. Solo a sette anni, infatti, Clara Wieck imparò a leggere le note, e tale apprendi­ mento fu straordinariamente rapido dopo gli studi preparatori compiuti in quei due anni: solo dopo aver raggiunto una perfetta sicurezza tecnica, aver sviluppato orecchio e senso ritmico, aver studiato tutte le tonalità e gli accordi principali, essersi esercitata con le scale in tutte le direzioni, solo dopo aver studiato alla perfezione oltre 200 piccoli Studi scritti espressamente per lei imparando anche a trasportarli senza difficoltà in tutte le tonalità, solo allora si pose il problema della lettura delle note, dopodiché ella passò direttamente, tralasciando tutti gli esercizi elementari, agli Studi di Clementi, Cramer, Moscheles, alle Sonate di Mozart, alle Sonate più facili e più comprensibili di Beethoven e ad altri pezzi adatti da una parte a indirizzare in modo approfondito e severo il suo spirito e la sua fantasia e dall’altra a impostare tecnicamente la mano in modo naturale e rigoroso. A ciò si è aggiunto un esercizio incessante, giornaliero, mai però esagerato, logorante: l’esercizio e il rigore del metodo hanno fatto sì che il suo talento si sviluppasse in modo rapido ma senza precorrere i tempi, senza nuocere allo sviluppo fisico della giovane artista e senza turbare la serena felicità della sua giovinezza con sforzi esagerati che avrebbero potuto rendere cagionevole la sua salute.

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11. REMINISCENZE DELL’ULTIMO CONCERTO DI CLARA WIECK A LIPSIA 1

Le cose straordinarie ci riempiono di stupore, e quando siamo vicini ad esse la violenza dell’attimo ci impedisce sempre di distinguere la causa dall’effetto. Con la distanza ritorna la coscienza. E tuttavia, come i raggi del sole, indeboliti dal lungo viaggio verso i poli, pèrdono in splendore ma non in calore apportatore di vita, così il vero artista non viene in alcun modo sminuito se entriamo in contatto con lui fuori dall’officina delle sue creazioni, lasciando riflettere sullo specchio ustorio della nostra sensibilità anche le immagini della vita esteriore. Un corretto giudizio ha come madre l’esperienza, e i confronti imparziali ci conducono a un’opinione più chiara e precisa. Dopo aver ascoltato Clara,12 volendo rendermi conto esattamente delle sue qualità andai con lei nello studio della Belleville. Esse sono due diverse artiste provenienti da due diverse scuo­ le; poste l’una accanto all’altra, quella appartiene alla scuola tede­ sca, questa alla francese. Il pianismo della Belleville è di gran lunga più elegante e più bello sul piano tecnico: in lei ogni passaggio è una singola opera d’arte, elaborato com’è fin nei minimi particola­ 1 L'attività di critico di concerti è stata svolta da Schumann solo saltuariamente, e ciò vale in particolar modo per la sua collaborazione alla Allgemeine Zeilung di Brockhaus: ciò emerge anche dallo scambio epistolare da lui avuto con Heinrich Brockhaus. Egli, inoltre, proibì formalmente che gli articoli fossero firmati col suo nome, probabilmente anche in considerazione del fatto che, contemporaneamente, egli recensiva tali concerti sulla sua propria rivista. Cronologicamente, questo è il secondo articolo pubblicato da Schumann (1832). [M.K.] 2 Schumann allude qui ai concerti del 9 e del 31.7.1832. Clara, all'epoca, non aveva ancora 13 anni, mentre la Belleville, con la quale egli mette a confronto Clara, aveva 26 anni. [M.K.] 1081

ri; in Clara ogni passaggio è invece un intricato arabesco, ma assolutamente originale, caratteristico. Alla prima mancano forse le magiche mezze tinte delle voci secondarie. Se, infatti, i bassi devono essere le radici portanti, su cui si stratificano le altre voci in modo però da lasciarli sempre vedere in trasparenza, senza co­ prirli, ecco: esattamente così, in Clara, i bassi si ramificano attra­ verso il tutto. Il suono della Belleville accarezza l’orecchio, senza andare oltre; quello di Clara va in fondo al cuore e parla all’animo. Quella fa poesia, questa è la poesia stessa. La Belleville si è posta dei limiti che ora non può più superare se non rischiando di perdere gli applausi che il suo talento le ha fatto finora meritare: fuori da tali confini, la sua arte sarebbe inefficace. Al genio conce­ diamo delle libertà che neghiamo al semplice talento. Se gli uomi­ ni discendono, con grande rischio, fin nelle profondità marine, lo fanno solo per trovare le perle. E questa è appunto la maledizione del talento: per quanto lavori e si sviluppi con sicurezza e perseve­ ranza, esso deve però sempre fermarsi al cippo confinario della propria meta, mentre il genio vola leggero fin sulla cima dell’idea­ le e di lassù si guarda intorno sorridendo. Quante circostanze favorevoli devono verificarsi contempora­ neamente perché vediamo il bello dispiegarsi in tutta la sua piena dignità e magnificenza! Perché ciò avvenga noi esigiamo una grande, profonda intenzione, l’idealità d’opera d’arte, l’entusia­ smo dell’artista, il virtuosismo dell’esecuzione, una cooperazione armoniosa e unanime, sincero desiderio e interiore necessità da parte del pubblico, uno stato d’animo del momento concorde­ mente favorevole da parte di chi dà e di chi riceve, una fortunata costellazione di circostanze temporali e di interesse generale, del momento particolare e delle situazioni di contorno (spaziali, am­ bientali, ecc.), la comunicazione dell’impressione, dei sentimenti, delle idee, ecc.: il vedere rispecchiata negli occhi altrui la stessa nostra gioia dell’arte. Non è forse un tale concorso di circostanze come un sestuplo sei ottenuto tirando sei dadi? Il Concerto di Pixis era come un mazzo di fiori d’arancio nelle mani di Clara. La Signora F... disse al Dottor H..., con una rosa, che nelle Variazioni di Herz Clara aveva aggiunto troppi abbelli­ menti che non c’erano nell’originale. “Che importa”, rispose que­ sti, “se una donna un po’ civetta riceve un fiore in più o in meno!”, e dicendo ciò guardò severamente la Signora F. che stava in mezzo a dei fiori morti. 1082

Il Signor C..., un amico delle regioni oscure, affermava che nella Sinfonia di Hesse c’erano troppe zone chiare. Che se già l’originale (Spohr) era fastidiosamente di maniera, figuriamoci la copia; e che però erano da lodare la buona disposizione formale del tutto e la realizzazione delle singole parti. E che, per quanto riguarda le Variazioni di Chopin, queste non sono un’opera priva di genio, ma che devono restare quello che sono, e cioè una pietanza da uomini, che le donne non devono nè preparare né gustare e che perciò il pubblico aveva potuto comprenderle solo superficialmente. — “Il luogo comune, in sé e per sé, non dà fastidio quando venga espresso in modo semplice e sincero, ma offende quando vuol essere più di ciò che è in realtà, quando si esprime in modo serio e infiorettato, come se si stesse pronunzian­ do una sacra verità.” Potrebbe questa frase essere pertinente a proposito degli Adagi di Herz? La sfortuna dell’imitatore consiste nel fatto che egli sa cogliere e fare propri i caratteri esteriori, più evidenti, delforiginale, ma non osa, per naturale ritegno, riprodurne le bellezze più caratteri­ stiche e peculiari. È innegabile che sulla formazione di Clara abbiano influito le idee artistiche di Paganini, ma il rischio di una pura e semplice imitazione è stato felicemente evitato, vuoi per l’impegno del suo maestro, vuoi per autonomo impulso. Certo è difficile riconoscere correttamente il significato di un grande personaggio e rimanere del tutto insensibili al suo fascino. Per un insegnante di musica la storia dello sviluppo artistico di Clara dovrebbe presentare non pochi motivi di interesse e di utilità. Senza approfondire i particolari di tale storia, vorrem­ mo trarre le conclusioni sulla base dei risultati: piccineria di princìpi e freddo meccanismo didattico sono freni inutili e dannosi su una strada piana, facile per natura; in ogni fanciullo esiste una meravigliosa profondità: basta non turbarla e non appiattirla. Al diamante perdoniamo volentieri le sue punte; è molto costoso smussarle. Clara ha sollevato assai presto il velo di Iside; un fanciullo può guardare tranquillamente in quel mare di luce, mentre un adulto potrebbe rimanere accecato dallo splendore. Perché un’opera d’arte musicale mi soddisfi pienamente biso­ gna che io provi un sentimento simile a quello che proviamo quando si entra in una casa nuova, grande, sconosciuta, con splendide statue nell’antisala, e tutto, per quanto sia la prima volta 1083

che lo vediamo, ci appare però già noto, come se già ne avessimo avuto il presentimento. Potremmo quasi pensare di saper scrivere anche noi qualcosa di simile alle massime di Goethe: ma solo l’incolto potrebbe ingan­ narsi circa la loro vera grandezza, lasciandosi confondere dalla loro facilità, una facilità dovuta però al genio. E c’è, comunque, anche il genio della difficoltà (Bach, Klopstock). Non posso passare sotto silenzio il debutto della cantante Livia Gerhardt nel primo concerto di Clara. Oltre alle sue belle e naturali qualità interpretative e alla facilità con cui la sua voce risponde (così come si dice, di un’armonica a cristalli, che risponde bene), si sono potuti apprezzare il grande impegno e l’appassiona­ ta partecipazione con cui essa affronta l’arte a lei prescelta, riuscendo a trasmettere al pubblico il suo stesso entusiasmo. Prima di passare alla scuola italiana, tutte le cantanti dovrebbero essere passate attra­ verso la scuola del Lied tedesco: quelle artiste che se ne sono andate all’estero prima di essersi affermate in patria mi han dato spesso l’impressione di essere quasi dei cantanti maschi con stivali e speroni. Non sono passate tre settimane, ed ecco che Clara Wieck torna ad esibirsi in pubblico con un concerto di Pixis, le Variazioni sul “Don Giovanni” di Chopin, le Variazioni di bravura op. 20 di Herz, la Sentinelle di Hummel, op. 51, il Duo di Bériot e Herz, la Polacca dal Concerto in mi l> maggiore di Moscheles e Top. 48 di Herz. Un ben meritato applauso, più o meno intenso, ha accolto ciascuna di tali sue interpretazioni; alla base del suo modo di suonare non vi è una semplice perfezione tecnica, bensì è come se il genio in lei innato ricoprisse di fiori la sua esecuzione: tale sua qualità, unita alla sua particolare abitudine di suonare tutto a memoria, merita a maggior ragione la nostra ammirata stima. Se Thibaud definisce Palestrina l’angelo dei musicisti, la stessa cosa si può dire, fra tutti i concerti per pianoforte e orchestra, del Concerto in lak maggiore di Field (scritto, oltretutto, in quella che definirei la tonalità da chiaro di luna per eccellenza). Purtroppo, però, gli uomini non tutti i giorni hanno la forza di concepire e produrre cose straordinarie (su ciò siamo d’accordo): è più facile produrre cose superficiali, come ad esempio le composizioni di

3 Consueto gioco di parole sul nome dell’autore (Herz = cuore). [G.T.]

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Herz, musiche scritte senza il cuore,3 e questi pezzi, infatti, sono quelli che sono riusciti meno bene a Clara Wieck. L’ironia della sorte ha voluto che tutte le composizioni del secondo concerto fossero di autori ancora viventi: Field, Spohr, Hummel, Moscheles, Dorn, F. Otto, Eichler, Herz. I comici Quartetti del quinto di questi e il Quartetto, serio, del sesto sono sicuramente da segnalare come le cose più interessanti. Del sesto compositore mi stupisce sempre il fatto che egli, in ogni opera a cui si accinge, non manca mai di mettere in gioco forze ogni volta superiori. Se la scuola pittorica non riconosce un vero e proprio diritto di cittadinanza ai pittori di paesaggi, la stessa cosa possiamo fare noi con i compositori che scrivono solo ed esclusivamente musica vocale. Intanto perché è ben lungi da me l’idea di considerare la Sinfonia inferiore all’opera, e poi perché non è bene acquisire troppa facilità in una cosa sola. Il Divertimento di Eichler era più di un semplice divertimento e ci ha offerto un vero e pieno godimento. Tutto, in esso, è magistra­ le, animato e vivace. R.W.

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12. ANNUNCIO DI UN CONCERTO DI CLARA WIECK

Vi sono due lingue dell’arte: quella comune, terrena, quella che la maggior parte dei discepoli dell’arte impara a parlare a scuola, con l’impegno e la buona volontà, e quella superiore, ultraterrena, quella che se la ride dei più ferrei studi e che può essere solo innata nell’uomo. La lingua inferiore è un canale che segue un corso perfettamente regolato, ma assolutamente artifi­ ciale; la lingua superiore è invece un tumultuoso torrente in mezzo a una foresta, nato in un selvaggio scroscio in un luogo vicino alle nuvole, di cui non si sa da dove arriva e dove corre nel suo fluire “vigoroso e ricco di idee”, come dice Klopstock. I profeti parlavano questa lingua, ed essa è anche la lingua degli artisti; perché gli artisti sono profeti. La figlia del cielo attribuisce anche una certa importanza ai pregi della sua sorella terrena: anche per lei sono importanti un abito ben curato, una certa compostezza nell’incedere e nell’atteggiarsi; ma ben più importanti sono per lei la grazia, la leggiadria, e anche l’audacia, la quale ultima può spingersi fino alla sacra follia, quando essa si scioglie i riccioli, rotea gli occhi, balbetta percorsa da un tremore divino e strappa la grammatica delle volgari buone maniere sì che i fogli, agitati dalla tempesta, le volano intorno al capo come a una sibilla profetica. Alla schiera dei pochi in cui è innata tale superiore lingua dell’arte appartiene anche la nostra giovane Maestra, Clara Wieck, una profetessa dell’arte che, con il riconoscimento da lei ottenuto anche nella sua stessa patria, ha smentito il noto proverbio. Questa grande artista, sempre animata da un incessante impulso a supe­ rare se stessa, tornerà ad esibirsi a Lipsia dopo un’assenza durata più di un anno: il 9 novembre [1835], prima di partire per la sua prossima tournée (che la porterà a Dresda, Breslavia, Berlino, ecc.), 1087

ella terrà nella sala del Gewandhaus un grande concerto che promette di essere di altissimo interesse per tutti gli amici della musica anche per la scelta del programma, che presenta composi­ zioni pianistiche non ancora ascoltate pubblicamente qui da noi. In tale occasione ella suonerà un Capriccio brillant, con accompa­ gnamento d’orchestra, di F. Mendelssohn-Bartholdy (un’opera ricca di contenuto artistico e di idee originali), un grande Concerto da lei stessa composto (un’opera che ci lascia gettare uno sguardo nel più profondo della sua anima) e le Variazioni brillanti op. 36 di Herz (un’opera davvero difficilissima) per pianoforte solo sul coro dei Greci da L'assedio di Corinto, Sarà inoltre eseguito il Concerto per tre pianoforti di Joh. Seb. Bach con la collaborazione del nostro geniale Mendelssohn-Bartholdy e del Signor Rakemann di Bre­ ma. Sarà davvero una cosa interessante e memorabile, per gli abitanti di Lipsia, veder comparire in mezzo a loro Io spirito di colui che fu loro concittadino, il vecchio Bach, in tutta la sua amabilità, ora seria e profonda, ora bonaria e capricciosa, ora corrucciata, e sentirsi da lui salutare mentre con tono un po’ brusco e ammonitorio ci domanda: “A che punto è, oggi, il vostro mondo artistico? Guardate: questo ero io!” Infine il Signor Gustav Nauenburg, che attualmente vive a Halle e che come baritono ha riscosso uno straordinario successo in numerosissime occasioni, fra cui i concerti tenuti a Berlino due anni fa, eseguirà fra l’altro una delle più amate e note Ballate di Loewe. Dopo aver ascoltato in questi giorni vari grandi Maestri che tanto ci hanno entusiasmato, poter ascoltare anche la giovane Clara Wieck che ci presenta in rapida successione tanti differenti modi di concepire la musica pianistica sarà tanto interessante quanto piacevole per il pubblico amante della musica: un pubblico che certo non mancherà di dimostrare il proprio interesse per queste prossime esecuzioni, che possiamo senz’altro attenderci eccellenti, con la più viva delle partecipazioni.

L'articolo fu pubblicato nella rivista senza firma e non fu incluso nella raccolta. Il Jansen, ritenendolo opera di Schumann, lo pubblicò nella sua edizione della raccolta. [P.R.]

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13. ATTESTATO D’ONORE PER RUDOLPH WILLMERS 1

Ben volentieri accondiscendo al desiderio del Signor Willmers di Copenaghen riportando qui poche frasi tratte dai libri dei Fratelli della Lega di Davide e riferite a suo figlio, il quattordicen­ ne Rudolph. “...Siamo rimasti stupiti, più che dall’esecuzione delle compo­ sizioni da lui imparate sotto la guida di Hummel, dallo straordina­ rio talento musicale da lui dimostrato nella libera improvvisazio­ ne. Eusebio gli ha proposto il tema del corno del primo movimen­ to della Sinfonia in do minore. In un primo momento il ragazzo procedeva un po’ a tentoni, esitante, perché non capiva esatta­ mente se era in sit maggiore o in mit, ed era un piacere vederlo così amabilmente imbarazzato con le armonie. Ma poi, a poco a poco, gli si chiarì il significato di quei quattro suoni, e dalle sue dita uscivano fiori, lampi e perle in quantità, sì che ci pareva quasi di ascoltare un pianista ben più maturo. Tenetelo d’occhio, disse Maestro Raro alla fine, costui avrà un giorno davvero qualcosa da dirvi.” Così sta scritto nel 20° libro dei Fratelli della Lega di Davide. Florestano

1 Cfr. la recensione degli Studi op. 1 (pag. 687). [M.K.] 1089

14. UN CONCERTO DI LISZT

13 DICEMBRE 1841

Lunedì scorso F. Liszt ha tenuto un concerto al Gewandhaus, al quale ha partecipato come ospite, ma in modo non meno brillante di lui, anche l’artista [Clara Schumann] che di recente aveva avuto lui come brillantissima ospite in un suo concerto. Questi due concerti, così vicini nel tempo, ci hanno offerto, al di là del loro rispettivo e specifico interesse, sia la possibilità di un confronto fra due individualità artistiche fra le più rilevanti del nostro tempo, ambedue Maestri del medesimo strumento e però tanto diametralmente differenti, sia un effetto complessivamente unitario, tanto raro quanto entusiasmante: tutto ciò ha esaltato in sommo grado il nostro godimento. In questo secondo concerto i due pianisti hanno ripetuto YHexameron, già suonato nel concerto della Schumann. Liszt ha inoltre suonato il Settimino di Hummel, Adelaide e YErlkonig nella propria versione (davvero eccellente il primo di questi due ultimi brani), raggiungendo poi il culmine della serata con la Fantasia su temi dal “Don Giovanni”. Il Duetto di Don Giovanni e Zeriina, eseguito da Liszt con straordinaria verità drammatica e con un’appropriata fedeltà del dettaglio dialogico (i suoni sembravano addirittura voler prendere una forma plastica), e YAria dello champagne, infiammata e infiammante nella composi­ zione e nell’esecuzione, costituiscono le parti principali di quest’o­ pera. Per quanto sia possibile giudicare in base a un solo ascolto e senza lasciarsi influenzare dalla travolgente e incantevole esecu­ zione del Maestro, questa composizione ci è parsa una delle più perfette di Liszt sul piano dell’invenzione e della politura formale...

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15. VIE NUOVE1

Sono passati anni (quasi quanti ne avevo prima dedicati alla redazione di questi fogli, e quindi circa dieci) da che non mi sono più fatto vivo su questo terreno così ricco di ricordi. Spesso, nonostante un’attività creativa intensissima, mi sentivo tentato di farlo: apparivano nuovi, notevoli talenti, sembrava annunciarsi una nuova forza musicale, testimoniata dalle alte aspirazioni di alcuni artisti di questi ultimi anni, benché le loro opere siano note più che altro in un circolo ristretto.12 Seguendo col più vivo interesse le vie percorse da questi eletti, io ero convinto che prima o poi da tale processo sarebbe emerso improvvisamente (sarebbe dovuto emergere) qualcuno che sarebbe stato chiamato a dare in forma ideale la più alta espressione del tempo, che ci manifestasse la perfezione magistrale non in uno sviluppo graduale, bensì di colpo, come Minerva uscì già interamente armata dal capo del Cronide.3 Ed eccolo qui: un giovane alla cui culla hanno vegliato Grazie ed Eroi. Il suo nome è JOHANNES Brahms, è venuto da Amburgo, dove creava in silenziosa oscurità, ma istruito da un insegnante ottimo ed entusiasta4 alle più difficili forme dell’arte, e poco prima del suo arrivo egli mi era stato raccomandato da un

1 Questo articolo non fu pubblicato nella Raccolta degli scritti in quanto fu scritto alla fine di ottobre del 1853, quando la redazione della Raccolta era già stata ultimata. [M.K.] 2 Nota a piè di pagina sulla rivista: "Alludo qui a Joseph Joachim, Ernst Naumann, Ludwig Norman, Woldemar Bargicl, Theodor Kirchner, Julius Schaffer, Albert Dietrich e, non ultimo, il compositore di musica sacra e acuto conoscitore dell’arte F. E. Wilsing, Ricordiamo anche, coraggiosi precursori, Niels W. Gade, C. A. Mangold, Robert Franz e St. Heller.” [M.K.] 3 Epiteto di Zeus, in quanto figlio di Crono. [G.T.] 4 Eduard Marxsen, di Amburgo. [M.K.] 1093

noto e venerato Maestro. 5 Anche esteriormente egli presentava tutti quei segni che ci annunciano: ecco un eletto! Seduto al pianoforte, egli iniziò a svelarci regioni meravigliose. Noi veniva­ mo attirati in cerchi sempre più magici. Si aggiunga un modo di suonare straordinariamente geniale, che del pianoforte faceva un’orchestra di voci ora lamentose ora esultanti di gioia. Erano Sonate, o piuttosto Sinfonie velate, Lieder la cui poesia si potrebbe capire anche senza conoscere le parole, per quanto una profonda melodia vocale li percorra tutti; singoli pezzi per pianoforte, in parte di natura demoniaca, ma della forma più affascinante; poi Sonate per violino e pianoforte, Quartetti per archi: 6 e ogni brano così diverso dall’altro da sembrare ciascuno sgorgato da un’altra sorgente. E sembrava poi che egli, passando come un fiume scrosciante, unificasse tutte queste sorgenti in un’unica cascata, le onde precipiti coronate da un placido arcobaleno e accompagnate sulla riva da svolazzanti farfalle e da canti di usignoli. Se egli abbasserà la sua bacchetta magica là dove le potenze delle masse corali e orchestrali gli potranno concedere le proprie forze, noi potremo attenderci di scoprire paesaggi ancor più meravigliosi nei segreti del mondo degli spiriti. Possa dunque il genio supremo donargli la forza necessaria a tale scopo, e tutto fa pensare che così sarà, poiché in lui abita un altro genio, quello della modestia. I suoi compagni lo salutano al suo primo passo nel mondo, dove forse lo aspettano delle ferite, ma anche allori e palme; noi gli diamò il benvenuto, come a un forte combattente. In ogni epoca agisce una segreta lega di spiriti affini. Chiudete, voi che ne fate parte, il cerchio in modo ancor più stretto, sì che la verità dell’arte risplenda sempre più luminosa, diffondendo ovun­ que gioia e benedizione! R.S.

5 Joseph Joachim. [M.K.] 6 Ovviamente non è possibile determinare con sicurezza quali brani Brahms abbia effettivamente suonato in tale occasione; tuttavia qualche suggerimento ci può venire da una lettera scritta da Schumann a Breitkopf & Hàrtel (3.11.1853) in cui raccomandava la pubblicazione dei seguenti pezzi di Brahms: un Quartetto per archi op. 1 ; un fascicolo di sei Lieder op. 2; un grande Scherzo per pianoforte op. 3; un altro fascicolo di sei Lieder op. 4, con una grande Sonata per pianoforte in do maggiore op. 5. Chiaramente i numeri d’opera non corrispondono, ma possiamo tuttavia senz’altro riconoscere la Sonata in do maggiore op. 1, un fascicolo di sei Lieder op. 3, e lo Scherzo per pianoforte op. 4. [M.K.] 1094

Dizionario biografico dei compositori*

Alkan (pseudonimo di Morhange), Charles-Henri-Valentine (Parigi,

1813 - ivi, 1888). Pianista e compositore francese. Studiò al conser­ vatorio di Parigi con P. J. Zimmermann. Intraprese la carriera concertistica giovanissimo raggiungendo la fama internazionale di virtuoso del pianoforte a soli 17 anni. Fece parte dei maggiori circoli letterari del suo tempo e strinse amicizia con numerosi artisti tra cui Hugo, Chopin e Liszt. Compo­ se quasi esclusivamente opere pianistiche di carattere virtuosistico che rivelano l’influenza del pianismo di Chopin e di Liszt, ma che per grandiosità di concezione e per le loro dimensioni richiamano fortemente la poetica di Berlioz. Tra le sue opere più importanti ricordiamo i 2 Concerti per pianoforte e orchestra da camera, numerosi studi tra cui i 3 Grandi Studi per le due mani separate o riunite op. 76, Preludi, Notturni e la Grande Sonata op.33 intitolata Le quattro età. Auber, Daniel-Francois-Esprit (Caen, 1782 - Parigi, 1871). Bach, Johann Sebastian (Eisenach, 1685 - Lipsia, 1750). Balfe, Michael William (Dublino, 1808 - Rowney Abbeu, Hertfordshi­ re, 1870). Compositore, cantante e direttore d’orchestra irlandese. Compiuti gli studi musicali a Londra, Parigi e Milano, intraprese la carrierra di cantante debuttando a Parigi e lavorando poi soprat­ tutto in Italia e in Inghilterra. Nel 1833 abbandonò il canto per dedicarsi completamente alla direzione d’orchestra e alla composi­ zione. Compose circa trenta opere teatrali in stile rossiniano, tra le quali si ricorda The Bohemian Girl del 1843, rappresentata in Euro­ pa e in America. Baroni-Cavalcabò, Julie (nata intorno al 1805). Pianista e compositri­ ce austriaca di origine italiana. Fu allieva di Wolfang Amadeus * Il seguente dizionario dei compositori è stato curato da Antonietta Cerocchi Pozzi.

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Saverio Mozart (figlio di Mozart). Pubblicò la sua prima opera nel 1830 e compose circa 40 composizioni (Sonate, Fantasie, Variazio­ ni ecc.) per pianoforte. Bazzini, Antonio (Brescia, 1818 - Milano, 1897). Violinista e composi­ tore italiano. Iniziò la carriera concertistica a soli otto anni racco­ gliendo numerosi successi in Italia, Francia e Germania e la stima di compositori quali Schumann, Paganini e Mendelssohn. Dopo aver vissuto per un lungo tempo in Germania e in Francia, nel 1848 tornò definitivamente a Brescia dove si dedicò alla formazio­ ne di organizzazioni musicali quali la “Società per il Quartetto”, e intensificò la sua attività compositiva. Dal 1873 fu professore di composizione al conservatorio di Milano (furono suoi allievi Cata­ lani e Puccini) e dal 1882 ne divenne direttore. Tra le sue composi­ zioni si annoverno numerosi lavori strumentali, cameristici, sinfonico-corali e l’opera Turanda. Becher, Alfred Julius (Manchester, 1803 - Vienna, 1848). Critico e compositore tedesco.Iniziò l’attività di critico musicale su consiglio di Mendelssohn collaborando alla Wiener Musikzeitung e ai Sonntagsbldtter e dichiarandosi un fermo sostenitore della musica di Ber­ lioz. Per la sua attività politica (fu tra i fondatori del giornale politico Der Radikale) nel 1848 fu condannato a morte dalla corte marziale e fucilato. Beethoven, Ludwig van (Bonn, 1770-Vienna, 1827). Belleville, Karoline von (vedi: Oury, Anna Caroline de Belleville). Benedict, sir Julius (Stoccarda, 1804 - Londra, 1885). Compositore e direttore d’orchestra tedesco, naturalizzato inglese. Allievo di Abeille, Hummel e Weber (del quale scrisse una biografia). Nel 1821 fu chiamato dall’iinpresario Barbaja a dirigere al Kàrntnertortheater di Vienna, e nel 1825 al San Carlo di Napoli. Su consi­ glio della Malibran nel 1835 si trasferì a Londra dove diresse nei principali teatri. Sostenitore e promotore dell’opera nazionale inglese compose 8 opere, tra le quali di maggior successo fu The Lily of Killarney, 2 Oratori, Cantate e diversa musica da camera. Bennett Sterndale, William (Sheffield, 1816 - Londra, 1875). Com­ positore e direttore d’orchestra inglese. Dedicatosi molto giovane alla composizione nel 1833 venne invitato da Mendelssohn ad esibirsi al Gewandhaus di Lipsia. Qui conobbe Schumann che lo segnalò alla critica e gli dedicò i suoi 12 Symphonische Etuden. Nel 1849 fondò a Londra la Bach Society. La sua musica, perlopiù sinfonico-corale e cameristica, manifesta con molta evidenza l’in­ flusso mendelssohniano ed è una delle maggiori espressioni del Romanticismo inglese. Berger, Ludwig (Berlino, 1777 - ivi, 1839). Pianista e compositore tedesco. Compiuti gli studi di composizione si perfezionò in piano-

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forte con M. Clementi trasferendosi con lui a Pietroburgo dove si avviò alla carriera concertistica. Tornato in patria, alternò Fattività compositiva all’insegnamento. Fu maestro di Mendelssohn, Tau­ bert, Henselt e Herzberg. Bergson, Michael (Varsavia, 1820 - Londra, 1898). Pianista e compo­ sitore polacco. Studiò a Varsavia, Dessau, Berlino e Parigi. Tra il 1846 al 50 visse tra Firenze, Bologna, Roma e poi Vienna, Berlino, Lipsia e Parigi facendosi conoscere sia come pianista che come insegnante. Compose musica vocale e strumentale di forte impron­ ta romantica in cui sono frequenti i temi tratti dalla tradizione popolare della musica polacca. Berlioz, Louis Hector (La Cote-Saint-André, Isère, 1803 - Parigi, 1869). Bertini, Henri-Jeróme (Londra, 1798 - Grenoble, 1876). Pianista e compositore francese. Allievo del fratello Benoit-Auguste iniziò giovanissimo l’attività concertistica esibendosi in Olanda, Germa­ nia, Francia e Inghilterra. Nel 1821 si stabilì a Parigi dove alternò l’insegnamento al concertismo. Autore di numerosa musica per pianoforte e da camera, è conosciuto soprattutto per i circa 600 Studi per pianoforte. Blahetka, Marie Leopoldine (Guntramsdorf, Vienna, 1811 - Boulo­ gne sur-Mer, 1887). Pianista e compositrice austriaca. Fu allieva di Czerny, Kalkbrenner e Moscheles per il pianoforte e di S.Sechter per la composizione. Pianista affermata si esibì in Austria, Germa­ nia, Inghilterra e Francia. Dal 1840, stabilitasi a Boulogne si dedicò all’insegnamento e alla composizione. Compose un’opera teatrale (Die Rtiuberder Stinger) e numerosa musica da camera per pianoforte. Bòhm, Georg (Hohenkirchen, presso Ohrdruf, 1661 - Luneburg, 1733). Organista e compositore tedesco. Studiò ad Amburgo con Reinken e a Lubecca probabilmente con Buxtehude. Dal 1698 divenne organista nella Chiesa di S. Giovanni a Luneburg. Nelle sue composizioni, prevalentemente per organo,B. realizza una sintesi tra l’eleganza dello stile cembalistico francese e il rigore e la serietà dello stile della suola tedesca del Nord. A tale proposito importante fu la sua influenza su J.S.Bach il quale probabilmente studiò con lui dal 1700 al 1703. Compose per organo 18 Corali, 5 Preludi e Fughe, 10 Partite su Corale, per clavicembalo 11 Suites e 1 Capriccio e musica vocale sacra. Bòhner, Ludwig (Tòttelstedt, Gotha, 1787 - Gotha, 1860). Composito­ re, pianista e direttore d’orchestra tedesco. Bambino prodigio, (compose la sua prima opera Inno alla gioia per solisti, coro e orchestra all’età di 10 anni) iniziò gli studi musicali con il padre perfezionandosi più tardi con Spohr. Nel 1808 si trasferì a Jena dove si dedicò all’insegnamento del pianoforte ed entrò in contatto

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con i circoli artistici di Hoffmann e Goethe (lo stesso Hoffmann si ispirò a lui per la figura del suo Kappelmeister Kreisler) Dal 1811 intraprese una frenetica attività concertistica in giro per l’Europa conclusasi bruscamente e definitivamente nel 1820 a causa di un esaurimento nervoso. Nella sua vasta produzione che comprende Sinfonie, musica da camera e solistica spiccano i pezzi virtuosistici per pianoforte e i lavori orchestrali che, se da una parte risentono dell’influenza di Spohr, dall’altra, per l’uso che egli fa degli stru­ menti, precorrono lo stile di Weber. Bohrer, Anton (Monaco di Baviera, 1783 - Hannover, 1852). Violini­ sta e compositore tedesco. Appartenente ad una famiglia di musici­ sti, studiò dapprima con il padre, il contrabassista e compositore Gaspar B., poi composizione con F. Danzi e violino con R. Kreutzer a Parigi. Svolse un’intensa attività concertistica con il padre e con il fratello, il violoncellista Maximillian, in Germania, Svizzera, Un­ gheria, Russia, Inghilterra, Francia e Italia. Scrisse numerose opere per violino tra cui 4 Concerti, Trii per due violini e violoncel­ lo, Duetti per violino e violoncello, Capricci, Studi ecc.. Boièldieu, Francois-Adrien (Rouen, 1775 :Jarcy, Parigi, 1834). Com­ positore francese. Iniziò la sua attività di operista nella città natale raggiungendo il culmine della fama a Parigi con l’opera Le Calife de Bagdad nel 1800. Dal 1804 al 1810 diresse il Teatro Imperiale di Pietroburgo e nel 1812 tornò definitivamente a Parigi dove succe­ dette a Méhul alla cattedra di composizione del Conservatorio (furono suoi allievi Zimmermann e Fétis). Fu autore di 37 Operascomiques nelle quali apportò radicali trasformazioni che segnarono il passaggio dal modello settecentesco tradizionale a quello otto­ centesco romantico conclusosi nella sua opera più famosa, La dame bianche del 1825. Burgmùller, Friederich Johann Franz (Ratisbona, 1806 - Beaulieu, Parigi, 1874). Compositore tedesco. Figlio del compositore e diret­ tore d’orchestra August Friedrich, trascorse tutta la vita a Parigi dove raggiunse il successo come compositore di musica da salotto. Burgmùller, Joseph Norbert (Diissedrf, 1810 - Aquisgrana, 1836). Compositore tedesco fratello del precedente. Fu allievo di Spohr e molto amico di Mendelssohn che alla sua morte gli dedicò la Trauermarsch per fiati op.103. Bzrowski, Josef (Varsavia, 1803 - ivi, 1888). Compositore e didatta polacco. Studiò prima al liceo e poi al Conservatorio di Varsavia. Dal 1827 al 1832 fu violoncellista e quindi direttore del balletto dell’Opera di Varsavia. Realizzò numerose tournées in Germania, Francia e Belgio e dal 1861 fino alla morte lavorò quale insegnante di pianoforte per cantanti nel Conservatorio di Varsavia. Chelard, Hippolyte-André-Jean-Baptiste (Parigi, 1789 - Weimar, 1098

1861). Compositore, violinista e direttore d’orchestra francese. Fu allievo al conservatorio di Parigi di Fétis, Méhul, Gossec e poi Cherubini. Nel 1811, avendo vinto il “Grand Prix de Rome”, si trasferì in Italia a studiare prima con N.A. Zingarelli e poi con Paisiello a Napoli. Rinomato in Europa come violinista e direttore d’orchestra, alternò l’attività concertistica a quella di compositore dedicandosi soprattutto alla composizione di opere teatrali di genere eroico. Cherubini, Luigi (Firenze, 1760 - Parigi, 1842). Chopin, Friedrich (Zelazowa, Wola, Varsavia, 1810 - Parigi, 1849). Chwatal, Francois-Xavier (Rumburg, Boemia, 1808 - ?). Pianista, compositore e critico musicale boemo. Iniziati gli studi musicali con il padre, li proseguì al Conservatorio di Praga, quindi a Dresda e Lipsia. Nel 1822 si trasferì a Magdeburgo dove si dedicò alla composizione e all’insegnamento del pianoforte. Come critico musicale collaborò con diversi giornali tra cui VIris pubblicata da Rellstab. Compose circa 80 pezzi brevi per pianoforte. Cimarosa, Domenico (Aversa, 1749 - Venezia, 1801). Conrad, Carl Eduard (Spohnsdorf, 1811 - Lipsia, 1858). Musicista dilettante tedesco. Fu attivo a Lipsia tra il 1838 e il 1850 . Compose opere teatrali (tra cui Der Schultheiss van Bem e Die Weber van Weinsberg), Ouvertures, Lieder e composizioni pianistiche. Couperin, Francois (Parigi, 1668 - ivi, 1733). Cramer, Heinrich. Pianista e compositore tedesco. Fu attivo a Parigi dopo il 1840. Scrisse soprattutto arrangiamenti e trascrizioni per pianoforte di temi d’opera. Cramer, Johann Baptist (Mannheim, 1771 - Kensington, Londra, 1858). Pianista e compositore tedesco. Allievo di M. Clementi, si avviò con grande successo, ancora giovanissimo al concertismo pianistico. Stimato al suo tempo sia come virtuoso che come didatta compose, tra le altre opere, un famoso Metodo per pianoforte. Czerny, Carl (Vienna, 1791 - ivi, 1857). Pianista, didatta e composito­ re austriaco. Allievo di Beethoven, trascorse quasi tutta la vita a Vienna dedicandosi all’insegnamento del pianoforte (tra i suoi allievi vi fu Liszt) e alla composizione di opere didattiche: ne scrisse oltre 1000, la maggior parte destinate al pianoforte. David, Ferdinand (Amburgo, 1810 - Klosters, Svizzera, 1873). Com­ positore e violinista tedesco. Iniziata molto giovane la carriera concertistica nel 1826 entrò a far parte dell’orchestra del Teatro reale di Berlino e nel 1835, dietro segnalazione di Mendelssohn, fu nominato violino solista al Gewandhaus di Lipsia. Sempre a Lipsia, dal 1843, ebbe la cattedra di violino presso il Conservatorio. Violinista molto apprezzato dai musicisti del tempo (a lui furono dedicati il Moto perpetuo op.ll di Paganini e il Primo concerto per 1099

violono op.64 di Mendelssohn), David si dedicò anche anche alla composizione lasciando 5 Concerti per violino, musica sinfonica e da camera nonché raccolte didattiche per violino. Decker, Constantin (Furstman, Brandeburgo, 29-XII-1810 - ?). Pia­ nista e compositore tedesco. Iniziò gli studi musicali nella propria città per proseguirli poi all’università di Berlino. Visse quasi sem­ pre in Germania tra Halle, Lipsia, Konigsberg e Berlino. Compose soprattutto musica da camera, pianistica e vocale. Deppe, Fredrich Heinrich Christoph (Alverdissen, 1828 - Bad Pyrmont 1890). Compositore, direttore d’orchestra e didatta tedesco. Allievo di A. Kiel e O. Stark nel 1849 si trasferì ad Altona per perfezionarsi con E. Marxsen. Nel 1861 fu nominato direttore dell’Orchester Konzert e dal 1870 prima direttore di concerti della Cappella Regia e poi Kapellmeister all’Opera Regia di Berlino. Specializzato in didattica pianistica si può considerare l’iniziatore della nuova tecnica pianistica fine ’800. De St. Lubin, Leoné, vedi Lubin, N. Dieter, Christian Ludwig (Ludwigsburg, 1757 - Stoccarda, 1822). Violinista e compositore tedesco. Fu musicista da camera presso la corte di Stoccarda, autore di numerosi Singspiele, composti per il teatro di corte, tra cui Der Schulz im Dorfe, Laura Rossetti e Le feste della Tessaglia, e di opere comiche. Compose inoltre pezzi per violino, flauto, corno, oboe e fagotto. Dobrzynski, Ignacy Felics (Romanow, Violinia, 1807 - Varsavia, 1867). Compositore, pianista e direttore d’orchestra. Compagno di studi di F. Chopin a Varsavia tentò dapprima, senza successo, l’attività di compositore, quindi si trasferì a Berlino dove si dedicò alla carriera concertistica e all’insegnamennto. Tornato a Varsavia nel 1852 fu nominato direttore dell’Opera al Grande Teatro. Sposò la cantante Johanna Miller. Compose soprattutto opere per orchestra tra le quali due Marche funebre : l’op. 38 scritta per la morte di Beethoven e l’op. 66 per quella di Chopin e numerosi pezzi per pianoforte. Dòhler, Theodor von (Napoli, 1814 - Firenze, 1856). Pianista e compositore austriaco. Studiò e visse quasi sempre in Italia tra Lucca e Napoli. Fece numerose tournée in Italia, Francia, Gran Bretagna e Olanda. Compose l’opera Tancredi e molti pezzi per pianoforte. Donizetti, Gaetano (Bergamo, 1797 - ivi, 1848). Dorn, Heinrich Ludwig Egmont (Konigsberg, 1804 - Berlino, 1892). Compositore, direttore d’orchestra, didatta e critico musicale. Iniziò l’attività di direttore di orchestra nella città natale, dopodi­ ché fu chiamato a dirigere ai teatri di Lipsia , Amburgo, Riga dove succeddette a Wagner del quale fu dichiarato avversario, Colonia e 1100

infine all’Opera di Berlino.Contemporaneamente coltivò l’inse­ gnamento (fu maestro di composizione di Schumann a Lipsia), la critica musicale (scrisse una autobiografia e una monografia su Spontini) e la composizione. Compose 10 opere teatrale tra le quali di maggior successo fu Die Nibelungen, musica sinfonica e da came­ ra, Lieder e musica sacra. Dreyschock, Alexander (Zak, 1818 - Venezia, 1869). Pianista e com­ positore boemo. Studiò a Praga con Tomaschek pianoforte e composizione, quindi intraprese una brillante carriera concertisti­ ca che lo portò in tutta Europa. Nel 1862 fu chiamato ad insegnare al Conservatorio di Pietroburgo dove fu anche piani­ sta di corte. Droling, Johann Michael (Haut-Rhin, Turckeim, 1796 - Parigi, 1839). Pianista e compositore francese. Studiò al Conservatorio di Parigi con Adam per il pianoforte e Méhul per la composizione. Scrisse soprattutto per il pianoforte, tra cui numerose trascrizioni e elaborazioni di temi d’opera; fu inoltre autore di un Trattato di armonia e composizione. Dutsch, Otto Johann Anton (Copenaghen, 1823 - Francoforte, 1863). Compositore e direttore d’orchestra danese di origine tedesca. Compiuti gli studi musicali al Conservatorio di Lipsia si trasferì in Russia dove si affermò sia come direttore di coro che come inse­ gnante di teoria al Conservatorio. Compose l’opera Kroatka, 2 Operette, musica di scena, 70 Lieder, una Sonata per 2 pianoforti e orchestra e pezzi vari per pianoforte. Eberwein, Maximilian Carl (Weimar, 1814 - Dresda, 1875). Pianista e compositore tedesco. Figlio di due musicisti (il padre Cari era compositore, la madre Henriette Hàssler cantante) fu allievo di J.N. Hummel e maestro di Hans von Bulow. Elkamp, Henri (Itzehoe, Holstein, 1812 - ?). Pianista e compositore tedesco. Studiò ad Amburgo dove trascorse gran parte della sua vita alternando soggiorni a Berlino e Lipsia. Dedicatosi presto alla composizione scrisse soprattutto Sonate per pianoforte, Quartetti e Oratori tra cui il Paulus del 1835. Enckhausen, Henri Frederic (Celle, 1799 - ?). Pianista e compositore tedesco. Iniziò gli studi musicali nella città natale imparando a suonare il violino, il violoncello, il flauto e il clarinetto. Nel 1826 si trasferì a Berlino per studiare pianoforte e composizione con Aloys Schmitt e qualche anno più tardi seguì il maestro ad Hannover dove divenne organista di corte. La sua produzione alquanto eterogenea comprende opere teatrali, musica da camera, pezzi di vario genere per pianoforte e numerosa musica vocale tra cui 130 canti per quattro voci maschili. Endter, J.N. Compositore e organista a Kassel. Nel 1848 fu nominato 1101

direttore della società del coro “Leidertafel” di Kassel. Compose 1 Oratorio, musica corale e pezzi per pianoforte. Erfurt, C, (Magdeburgo, 1807 - ?). Studiò a Magdeburgo con Mùhling. Compose soprattutto pezzi brevi per pianoforte del genere da salotto. Ernst, Heinrich Wilhelm (Brno, 1814 - Nizza, 1865). Violinista e compositore moravo. Studiò al Conservatorio di Vienna violino e composizione con Bòhm Seyfried. A 16 anni intraprese una bril­ lante carriera concertistica realizzando numerose tournées in tutta Europa. Nel 1855 si stabilì a Londra dove, costretto dalla salute precaria ad abbondonare il concertismo, si dedicò esclusivamente alla composizione. Compose quasi esclusivamente per il violino, sia solista che in orchestra. Esser, Heinrich (Mannheim, 1818 - Salisburgo, 1872). Direttore d’or­ chestra e compositore tedesco. Nel 1838 fu nominato Konzertmeister e poi direttore del teatro di corte di Mannheim e nel 1869 direttore dell’opera di Vienna. Convinto sostenitore di Wagner compose soprattutto opere teatrali, musica cameristica e vocale. Evers, Cari (Amburgo, 1819 - Vienna, 1875). Pianista e compositore tedesco. Studiò ad Amburgo con J. Schmitt e con C. Krebs e a Lipsia con Mendelssohn. A soli 12 anni iniziò un’intensa attività concertistica come pianista che lo portò in tutta Europa. Visse per un breve periodo a Parigi, dove conobbe Chopin, poi a Vienna, a Graz e infine, nel 1872, di nuovo, definitivamente a Vienna. Compose numerosi pezzi per pianoforte tra cui le caratteristiche Chansons d*amour op.13 ciascuna delle quali mira a caratterizzare la musica di una diversa nazione. Scrisse inoltre molta musica vocale da camera. Farrenc, Jeanne-Louise (nata Dumont) (Parigi, 1804 - ivi, 1875). Pianista, compositrice e didatta francese moglie del flautista, com­ positore e editore di musica Jacques Farrenc. Fu una delle musictste romantiche di maggior rilievo,molto apprezzata dai suoi con­ temporanei sia per le sue capacità di orchestrazione che per la purezza espressiva ed antivirtuosistica della sua musica. Compose soprattutto musica da camera e moltissimi pezzi pianistici, in parti­ colare Variazioni. Fesca, Alexander (Karlsruhe, 1820 - Braunschweig, 1849). Pianista e compositore tedesco. Allievo di Wilhelm Bach e di Taubert si dedicò soprattutto alla carriera concertistica facendo numerose tournée in Germania, Austria e Ungheria. Compose 4 opere teatra­ li, musica da camera e vari pezzi per pianoforte. Field, John (Dublino, 1782 - Mosca, 1837). Pianista e compositore irlandese. Allievo di Clementi si affermò presto come eccelente pianista intraprendendo un’intensa attività concertistica dapprima 1102

a Londra e poi in Francia, Russia, Germania, Belgio, Svizzera e Italia. E considerato uno dei più insigni rappresentanti del piani­ smo ottocentesco e, per le novità da lui apportate alla tecnica del pianoforte e alle sue capacità espressive, l’anticipatore di Chopin. Le sue opere sono quasi esclusivamente dedicate al pianoforte: scrisse 7 Concerti per pianoforte e orchestra, musica da camera con pianoforte, 4 Sonate e molti pezzi brevi tra cui famosi i 17 Notturni, genere del quale è considerato il creatore. Fink, Gottfried Wilhelm (Suiza, Turingia, 1783 - Lipsia, 1846). Teolo­ go, compositore e musicologo tedesco. Dal 1827 al 1841 fu redatto­ re della Allgemeine musikalische Zeitung e dal 1838 al 1843 insegnante di musica all’università di Lipsia. Collaborò inoltre con numerose pubblicazioni artistico-letterarie. Critico molto affermato in Ger­ mania si dichiarò sempre avversario della nuova corrente romanti­ ca rappresentata da Chopin e Schumann. Pubblicò alcune raccolte di Lieder e fu autore, tra l’altro, di una Storia dell'opera. Franchomme, Auguste Joseph (Lilla, 1808 - Parigi, 1884). Violoncelli­ sta e compositore francese. Suonò come violoncellista nelle orche­ stre parigine dell’Opera di Parigi, del Theatre Italien e in quella della Société des Concerts du Conservatoire. Fece parte inoltre del quartetto Allard e del Hallé. Dal 1846 insegnò presso il Conservatorio di Parigi. Fu amico di Mendelssohn e Chopin che gli dedicò la Sonata per violoncello e pianoforte op.65. Compose soprattutto pezzi per violoncello, solista e in complessi da camera. Franck, Eduard (Breslavia, 1817 - Berlino, 1893). Pianista e composi­ tore tedesco. Fu allievo di Mendelssohn e poi carissimo amico di Schumann. Scisse 3 Sinfonie, 2 Concerti per pianoforte, musica da camera e numerosi pezzi per pianoforte. Franz, Robert (Halle, 1815 - ivi, 1892). Organista, compositore e direttore d’orchestra tedesco. Studiò a Dessau con F. Schneider, nel 1841 divenne organista della Ulrichskirche di Halle, nel 1842 direttore della Singakademie e nel 1859 Musikdirektor all’universi­ tà. Si dedicò molto alla pubblicazione delle opere di Bach e Hàndel e alla loro divulgazione. Nel 1868, colpito da sordità, fu costretto ad abbondonare l’attività musicale. Conosciuto soprattutto come au­ tore di numerosi Lieder, F. tentò di fondere l’ideale romantico del Lied con una scrittura rigorosa derivata dallo studio del contrap­ punto bachiano. Fuchs, Johann Leopold (Dessau, 1785 - Pietroburgo, 1853). Composi­ tore e insegnante tedesco. Visse quasi sempre in Russia dove fu rinomato come insegnante di pianoforte; ebbe come allievo Glin­ ka. Fu autore di due Oratori, musica da camera e numerose opere didattiche per pianoforte. Gade, Niels Wilhelm (Copenaghen, 1817 - ivi, 1890). Compositore, 1103

direttore d’orchestra e violinista danese. Iniziò l’attività concertisti­ ca e compositiva a Copenaghen dove nel 1841 raggiunse il successo con la sua prima opera, il poema sinfonico Efterklangaf Ossian. Due anni più tardi Mendelssohn diresse la sua Prima Sinfonia a Lipsia. Trasferitosi stabilmente in questa città, strinse amicizia con Schu­ mann e con lo stesso Mendelssohn al quale, nel 1847, succeddette nella direzione del Gewandhaus. Tornato a Copenaghen alternò la carriera concertistica a quella di organizzatore musicale favorendo la divulgazione in Danimarca della musica romantica tedesca e di opere classiche fino ad allora sconosciute come la Matthdupassion di Bach e la Nona Sinfonia di Beethoven. Per la sua musica che, pur mostrando evidenti affinità con il romanticismo mendelssohniano, è ricca di melodie e ritmi tratti da temi popolari danesi, Gade è considerato uno dei primi rappresentati della scuola nazionale scandinava. Compose 8 Sinfonie, 3 Bailed, 7 Ouvertures, 15 Canta­ te pezzi corali, musica da camera, composizioni organistiche e pezzi per pianoforte. Gàhrich, Wenceslas (Boemia, 1798 ca. - ?). Musicista della cappella del re di Prussia, fece parte dell’orchestra di Lipsia. Compose un’opera teatrale (Die Kreoliri), Ouvertures e ad altra musica per orchestra, Balletti (composti per il teatro reale di Berlino), Lieder e musica strumentale. Garcia, Pauline (Viardot) (Parigi, 1821 - ivi, 1910). Mezzosoprano e compositrice francese figlia del tenore Manuel Garcia del Populo e sorella della Malibran. Compiuti gli studi di pianoforte e di compo­ sizione con Liszt e Reicha, si dedicò, sotto la guida del padre, al canto debuttando a Bruxelles nel 1838. Si esibì sempre con grande successo e accanto ai maggiori artisti dell’epoca in diverse città europee, tra cui Londra, Berlino, e Parigi. Nel 1863 si ritirò dalle scene per dedicarsi all’insegnamento e nel 1871 entrò come inse­ gnante di canto nel Conservatorio di Parigi. Fu rinomata per la duttilità e l’estensione della sua voce che le permetteva di interpre­ tare i più disparati ruoli da soprano, mezzosoprano o contralto, e per la vastità del suo repertorio. Godette dell’amicizia e della stima di grandi artisti quali Chopin, Liszt, Brahms, G. Sand e Schumann il quale le dedicò il Liedekreis op.24. Compose 2 Operette e diversa musica da camera. Geissler, Carl (Mulda, Frauenstein, 1802 - ?). Compositore e organi­ sta tedesco. Fu prima cantore, poi organista e dal 1833 Kantor del collegio di Zshopau in Sassonia. Compose musica vocale organisti­ ca, e pianistica. Genjschta, Joseph Josifovich (Mosca, 1795 - ivi, 1853). Compositore, direttore d’orchestra, pianista e violoncellista russo. Musicista di formazione classica, contribuì notevolmente, attraverso le proprie

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esecuzioni, alla diffusione in Russia della musica del periodo classi­ co, in particolar modo di Beethoven. Come compositore fu apprez­ zato soprattutto per i suoi Lieder su testi di Pushkin, V. Hugo o tratti dalla tradizione popolare russa. Compose inoltre opere tea­ trali di carattere comico e musica strumentale. Gerke, Anton Antonovic (Puliny, Volinnia, 1812 - Krelje, Novgorod, 1870). Pianista e insegnante russo. Studiò con Field, Moscheles, Kalkbrenner e Ries; fu pianista degli zar e poi insegnante di pianoforte al Conservatorio di Pietroburgo; fu maestro di Cajkovskij e Musorgskij. Gluck, Cristoph Willibald (Erasbach, Alto Palatinato, 1714 - Vienna, 1787). Goethe, Walter von (Weimar, 1816 - ?). Compositore tedesco nipote del poeta Wolfgang Goethe. Si affermò come compositore d’opere a Vienna nel 1839. Lavorò tra Vienna, Weimar e Lipsia; compose inoltre una raccolta di Lieder e pezzi brevi per pianofòrte. Goldschmidt, Sigismond (Praga, 1815 - ?). Pianista e compositore boemo. Studiò a Praga con Dreyschock. Visse tra Praga, Berlino, Parigi e Lipsia. Fu membro dell’Accademia delle Belle Arti di Stoccolma. Compose opere teatrali, una raccolta di Lieder, Sonate e pezzi vari per pianoforte. Greulich, Cari Wilhelm (Kunzendorf, Lòwenberg, 1796 - ?). Bambi­ no prodigio iniziò lo studio dell’organo con il padre per perfezio­ narsi poi con C. Kohl. Nel 1816 si trasferì a Berlino dove iniziò la carriera concertistica con il sostegno dei musicisti A. Weber e B. Romberg. Si dedicò anche all’insegnamento ed elaborò un Metodo per pianoforte che lo rese famoso al suo tempo; scrisse molti Studi e pezzi vari per pianoforte. Gross, Johannes Benjamin (Elbing, 1809 - Pietroburgo, 1848). Vio­ loncellista e compositore tedesco. Compiuti gli studi musicali a Berlino, fu assunto nell’orchestra del teatro Kònigstadt. Nel 1831 si traseferì a Lipsia ed entrò a far parte, accanto al violinista F. David, del quartetto del conte Liphart esibendosi in diverse città della Germania. Nel 1835 fu nominato 1° violoncello al teatro Imperiale di Pietroburgo. Emerogono nella sua produzione i 4 Quartetti d’archi, il Concerto e i Duetti per violoncello; scrisse inoltre Studi e pezzi brevi, del genere da salotto per pianoforte. Grund, Friedrich Wilhelm (Amburgo, 1791 - ivi, 1874). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Costretto ancora molto giovane ad abbandonare la carriera concertistica di violinista e violoncellista a causa di un’infermità alla mano destra, si dedicò all’insegnamento e alla direzione d’orchestra. Compose una Messa, una Sinfonia, alcuni Lieder, 2 Ouvertures, musica da camera e pezzi vari per pianoforte.

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Gutmann, Adolph (Heidelberg, 1919 - Spezia, 1882). Pianista e com­

positore tedesco. Fu probabilmente allievo di Chopin a Parigi. Svolse attività concertistica in Germania esibendosi soprattutto a Lipsia ed Hannover. Compose principalmente Fantasie e Capricci su temi d’opera per pianoforte. Haake (Haacke, Haack, Haak), Friedrich Wilhelm (Postdam, ca. 1760 Stettino, 1827). Violinista e compositore tedesco. Membro della cappella musicale del principe di Prussia a Postdam, nel 1793 fu nominato organista e direttore a Stettino e nel 1812 Kantor nella chiesa di S. Maria della stessa città. Compose musica orchestrale e da camera. Haberbier, Ernst (Konigsberg, 1813 - Bergen, Norvegia, 1869). Piani­ sta e compositore tedesco. Fu insegnante di pianoforte e pianista della corte imperiale a Pietroburgo. Concertista affermato, realizzò diverse tournées in Russia e Germania. Compose principalmente pezzi brevi per pianoforte. Hàndel, Georg Friedrich (Halle, 1685 - Londra, 1759). Halm, Anton (Altenmarkt, Stiria, 1789 - Vienna, 1872). Compositore austriaco. Studiò a Graz e visse quasi sempre a Vienna alternando l’attività compositiva a quella di insegnante. Fu amico di Beetho­ ven. Compose musica da camera, Sonate, Studi e pezzi vari per pianoforte a 2 e 4 mani tra cui l’elaborazione per pianoforte a 4 mani della Grosse Fuge op. 133 di Beethoven. Hartknoch, Karl Eduard (Riga, 1796 - Mosca, 1834). Pianista e compositore tedesco appartenente ad una famiglia di musicisti ed editori. Esordì come pianista a Lipsia nel 1816; nel 1819 fu a Weimar a studiare con Hummel, di lì si spostò a Pietroburgo in qualità di insegnante e nel 1828 si trasferì a Mosca dietro invito della imperatrice madre. Compose pezzi per pianoforte e musica da camera con pianoforte. Hartmann, Johan Peter Emilius (Copenaghen, 1805 - ivi, 1900). Compositore e organista danese. Studiò dapprima con il padre, il compositore August Wilhelm, laureandosi contemporaneamente in diritto, quindi continuò gli studi musicali in Germania. Tornato a Copenaghen divenne prima organista del duomo, poi insegnan­ te al Conservatorio e, nel 1867, direttore dello stesso assieme a H.S. Paulli e N.W. Gade (suo genero). La sua musica, costruita sul linguaggio romantico tedesco e ricca di riferimenti al folklore scandinavo, ebbe grande influenza sulla musica di Edward Grieg. Compose 3 opere teatrali, 2 Sinfonie, Ouvertures, Balletti, musica corale, da camera, per organo e per pianoforte. Haslinger, Cari (Vienna, 1816 - ivi, 1868). Compositore ed editore austriaco. Compiuti gli studi del pianoforte e di composizione con C. Czerny e R. von Seyfried si dedicò al concertismo e alla composi­ 1106

zione. Nel 1842, alla morte del padre, il famoso editore austriaco Tobias Haslinger ereditò la Casa Editrice che seguì fino alla morte; di particolare interesse sono le sue pubblicazioni delle opere di Richard Strauss e dei figli Josef e Johann. Nel 1875 la Casa Editrice fu acquistata dall’editore Schlesinger di Berlino. Compose musica sinfonica, Trii, Quartetti, pezzi per pianoforte, Lieder e musica sacra. Hauck, Wenceslao (Habelschwerdt, 1801 - Berlino, 1834). Pianista e compositore tedesco. Iniziò lo studio del pianoforte con il pianista Deutzen, quindi si perfezionò a Bratislava con il direttore d’orche­ stra Hirnbach e a Weimar con Hummel. Come concertista fu attivo soprattutto in Germania e Ungheria. Dal 1828 si stabilì a Berlino dedicandosi alfinsegnamento. Compose soprattutto composizioni pianistiche. Hauptmann, Moritz (Dresda, 1792 - Lipsia, 1868). Compositore, violi­ nista e didatta tedesco. Allievo di Spohr, alternò l’attività di violini­ sta a quella di insegnante lavorando prima a Dresda, poi in Russia presso il principe Repnin, a Kassel e infine a Lipsia dove, nel 1842, succedette a Weinlig nella carica di Kantor alla Tomasschule. Due anni più tardi entrò nel Conservatorio come insegnante di compo­ sizione. Furono suoi allievi J. Joachim, H. von Bulow, F. David e altri. Nel 1850 fondò con Schumann e O. Jahn la “Bach Gesells­ chaft” e collaborò anche all’edizione degli opera omnia di Bach. Compose soprattutto musica da camera e musica vocale sacra e profana. Heckel, Carl Ferdinand (Vienna, 1800 - Mannheim, 1870). Composi­ tore, editore e fabbricante di pianoforti. Studiò con Hummel a Weimar. Nel 1821 aprì a Mannheim una fabbrica di pianoforti e una Casa editrice di musica e nel 1828 acquistò la Casa G. Kreitner di Worms. Dal 1856 fu presidente dlla Commissione dell’Hoftheater di Mannheim. Compose soprattutto per il pianoforte e per la chitarra. Heller, Stephen (Pest, 1813 - Parigi, 1888). Pianista e compositore ungherese. Intraprese giovanissimo l’attività concertistica esiben­ dosi in diverse città austriache e tedesche. Nel 1838 si trasferì stabilmente a Parigi dove strinse amicizia con musicisti quali Cho­ pin, Berlioz e Liszt. Compose esclusivamente pezzi per pianoforte di carattere romantico: Valzer, Notturni, Preludi, Mazurke, Ro­ manze e numerosi Studi. Helsted, Cari (Copenaghen, 1820 ca. - ?). Compositore danese attivo a Lipsia intorno al 1847, autore di Lieder, Quartetti, Trii e pezzi per pianoforte. Henselt, Georg Martin Adolf von (Schwbach, Baviera, 1814 - Warbrunn, Slesia, 1889). Pianista e compositore tedesco. Allievo di 1107

Hummel per il pianoforte e di Sechter per la composizione, nel 1836 diede inizio ad una brillante carriera concertistica che gli procurò fama europea. Nel 1838, trasferitosi a Pietroburgo, diven­ ne pianista alla corte degli zar affermandosi contemporaneamente come ottimo insegnante. Tra le sue composizioni, destinate quasi esclusivamente al pianoforte, di particolare interesse sono le due raccolte di Studi op. 2 e op. 13. Hering, Carl Eduard (Oschatz, Lipsia, 1809 - Bautzen, 1879). Com­ positore e didatta tedesco. Fu allievo di C. Weinlig a Lipsia. Dal 1837 fu organista del Duomo di Bautzen e insegnante del semina­ rio della stessa città. Ebbe come amici Schumann (che lo prese come modello per uno dei suoi Davidsbundler), Spohr e Mendels­ sohn. Compose musica sacra, da camera e pezzi per coro. Herz, Henri (Vienna, 1803 - Parigi, 1888). Pianista e compositore tedesco. Iniziò gli studi musicali a Coblenza e si perfezionò a Parigi con Moscheles. Dal 1831 diede iniziò ad una fortunata carriera concertistica, in Europa e in America, sia come solista che in duo con il violinista Lafont. Dedicatosi all’insegnamento, inventò il Dactylion, ovvero un metodo per lo sviluppo della tecnica pianisti­ ca. Dal 1842 ebbe la cattedra di pianoforte al Conservatorio di Parigi e contemporaneamente aprì, assieme al fratello Jacques, anch’egli pianista e compositore, l’“Ecole Spéciale de piano”. Fon­ dò una fabbrica di pianoforti. Tra le sue composizioni pianistiche numerose le variazioni su temi d’opera e le opere didattiche. Herzberg, Rodolphe von (Berlino, 1806 - ?) Pianista e compositore tedesco. Compose Lieder, musica da camera e per pianoforte. Hesse, Adolf Friedrich (Breslavia, 1809 - ivi, 1863). Organista e compositore tedesco. Primo organista della Berhardinkirche di Breslavia (carica che rivestì fino alla morte) fu concertista di fama europea, applaudito soprattutto per il suo virtuosismo tecnico. Fu amico di Spohr e Hummel. Tra le sue composizioni: l’Oratorio Tobias, diversi Mottetti, Cantate e circa 40 composizioni per organo. Hetsch, Louis (Stoccarda, 1806 - Mannheim, 1872). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Compose musica orchestrale, corale sacra (Corali e Salmi) e da camera. Hiller, Ferdinand (Francoforte, 1811 - Colonia, 1885). Pianista, compositore, direttore d’orchestra e critico musicale tedesco. Fu allievo di A. Schmitt, J.G. Vollweiler e Hummel. Dal 1828 al 1835 visse a Parigi affermandosi come virtuoso del pianoforte e compo­ sitore e stringendo rapporti con i maggiori musicisti del tempo (Chopin, Liszt, Cherubini, Berlioz, Rossini, ecc.). Dal 1840 al 1842 fu in Italia per studiare la musica sacra italiana con l’abate Baini. Nel 1843 succedette a Mendelssohn nella direzione dei concerti del Gewandhaus, due anni dopo passò all’Opera di Dresda e nel 1850,

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pur proseguendo un’intensa attività concertistica, si stabilì a Colo­ nia, dove fondò il Conservatorio che poi diresse per molti anni. Fu amico di Schumann, Mendelssohn, Brahms e Joachim. La sua vastissima produzione, che comprende opere teatrali, Oratori, musica orchestrale, vocale e strumentale da camera nonché nume­ rosi pezzi per pianoforte, tra cui i famosi 24 Studi op. 15, è fortemente influenzata dal linguaggio romantico mendelssohniano. Hirschbach, Hermann (Berlino, 1812 - Lipsia, 1888). Compositore e critico musicale. Nel 1843 fondò a Lipsia la rivista Musìkalischkritisches Repertorium, famosa per le aspre critiche rivolte ai giovani compositori. Compose due opere teatrali, 14 Sinfonie, Ouvertures, 13 Quartetti, Quintetti e altra musica da camera. Hopfe, Julius. Pianista e compositore vissuto a Berlino tra il 1838 e il 1850. Della sua produzione sì conoscono la Symphonic Fantasie, una raccolta di Lieder e musica strumentale. Hornemann, Emil Johan Ole (Copenaghen, 1809 - ivi, 1870). Compo­ sitore e pianista danese. Studiò con Kuhlau e J.P.E. Hartmann; attivo come concertista e insegnante, si dedicò inoltre al commer­ cio, e all’editoria musicale Hummel, Johann Nepomuk (Bratislava, 1778 - Weimar, 1837). Com­ positore, pianista e direttore d’orchestra austriaco. Iniziò gli studi musicali con il padre e all’età di 7 anni fu scoperto da Mozart che lo seguì per due anni; studiò poi con Clementi a Londra, con Albrechtsberger e Salieri a Vienna e infine organo con Haydn. Svolse un’intensa attività concertistica, esordendo a soli 10 anni in un concerto diretto da Mozart e realizzando numerose tournées in Germania, Russia, Belgio, Francia, Inghilterra e Polonia. Nel 1804, grazie all’interessamento di Haydn ottenne il posto di mae­ stro di cappella presso la corte ungherese degli Esterhazy, nel 1816 passò alla corte di Stoccarda e due anni più tardi in quella di Weimar. Rinomato anche come insegnante, ebbe come allievi S. Thalberg, F. Hiller e A. Henselt. Particolarmente importante è il suo Metodo per lo studio del pianoforte per le novità introdotte nel­ l’ambito degli abbellimenti e della diteggiatura pianistica. La sua copiosissima produzione musicale, costituita da opere teatrali, musica sacra, da camera, liederistica e pianistica, si colloca a metà tra Classicismo e Romanticismo, ed è tipica di quel gusto Biedermeier del periodo della restaurazione. Jàhns, Friedrich Wilhelm (Berlino, 1809 - ivi, 1888). Compositore, maestro di canto e musicologo tedesco. Fu Musikdirektor a Halberstad, poi insegnante a Berlino dove nel 1845 fondò la “Jàhnsscher Gesangverein” e dal 1871 professore al Conservatorio di Scharwenka. Compose diversi Lieder corali e per voce solista, musica

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vocale sacra e musica da camera. Fu autore inoltre di numerosi saggi su C. M. von Weber. Jelinek, Josef (Sedlec, 1758 - Vienna, 1825). Pianista e compositore boemo. Entrò in seminario e nel 1786 prese gli ordini. Studiò organo e composizione con J. Serger e Albrechtsberger. Su racco­ mandazione di Mozart fu assunto come cappellano e maestro di pianoforte dal conte Philipp Kinsky a Praga. Trasferitosi a Vienna, dove strinse amicizia con Beethoven, divenne pianista e insegnante di pianoforte della famiglia Esterhazy. Compose musica da came­ ra, pezzi di vario genere per pianoforte, tra cui 40 arrangiamenti di brani tratti da opere teatrali. Kahlert, August Cari Thimotheus (Breslavia, 1807 - ivi, 1864). Musi­ cologo e compositore tedesco. Studiò letteratura, filosofia e diritto. Nel 1840 fu nominato professore di flosofia all’università di Bresla­ via. Abbandonata la carriera universitaria per dedicarsi alla musica divenne collaboratore del periodico Caecilia e poi redattore delle Gazzette Musicali di Lipsia. Kalkbrenner, Friedrich Wilhelm Michael (tra Kassel e Berlino, 1785 Enghien-les-Bains, Parigi, 1849). Pianista, compositore e didatta tedesco. Studiò prima con il padre Christian, compositore e teorico della musica, poi al Conservatorio di Parigi e infine a Vienna dove divenne amico di Hummel, Beethoven, Haydn e Albrechtsberger. Svolse un’intensa attività concertistica a Monaco, Stoccarda, Lon­ dra e Parigi. Particolarmente stimato come insegnante (Chopin si rivolse a lui per alcuni suggerimenti tecnici), fu autore di un metodo per l’insegnamento del pianoforte basato sul guidamani, (una macchina per regolare la posizione delle mani sulla tastiera) e introdusse importanti innovazioni nel campo della tecnica pianisti­ ca. Compositore non avezzo ài toni romantici e saldamente legato alla tradizione beethoveniana godette della stima di musicisti quali Liszt, Schumann e Mendelssohn. Compose Sonate, Studi, Concerti e pezzi vari per pianoforte. Kalliwoda, Johann Baptist Wenzel (o Kalivoda Jan Krtitel Vaclav) (Praga, 1801 - Karlsruhe, 1866). Compositore, violinista e diretto­ re d’orchestra cecoslovacco. Studiò al Conservatorio di Praga; nel 1817 iniziò la carriera di violinista sia nell’orchestra del Teatro di Praga che come solista in numerose tournées. Nel 1822 divenne direttore dell’orchestra del principe Furstenberg a Donaueschin­ gen dove invitò ad esibirsi alcuni famosi musicisti dell’epoca quali Schumann, Liszt e Thalberg. Molto applaudito anche come com­ positore, soprattutto in Germania, annovera tra le sue opere, 7 Sinfonie, 18 Ouvertures, 10 Messe, musica da camera e pianistica. Katski (Kontsky von), Anton (Cracovia, 1817 - Novgorod, 1899). Pianista e compositore polacco. Studiò prima a Varsavia con Ma-

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rendorf, poi a Mosca con Field, a Vienna composizione con Sechter e infine a Parigi con Thalberg. Pianista di fama internazionale fu attivo soprattutto a Berlino, Pietroburgo, Londra e negli Stati Uniti dove visse per 13 anni dal 1883 al 1896. Fu autore di due opere teatrali, Sinfonie, musica da camera ed oltre 400 pezzi per pianoforte del genere da salotto. Kessler, Johann Christopher (Augusta, 1800 - Vienna, 1872). Pianista e compositore tedesco. Visse, alternando la carriera pianistica airinsegnamento, a Vienna, Varsavia, Breslavia e dal 1857 di nuovo, definitivamente a Vienna. Scrisse molti pezzi per pianofor­ te in particolare Studi. Kirchner, Theodor (Neukirchen, Chemnitz, 1823 - Amburgo, 1903). Compositore, organista e pianista tedesco. Studiò a Lipsia con J. Knorr e K. F. Becker e a Dresda con J. Schneider. Alternò la carriera di organista all’insegnamento lavorando a Wurzburg, Lipsia e Dresda. Fu amico di Liszt, Wagner e von Bulow. Scrisse musica da camera, Lieder solistici e corali e oltre 70 opere per pianoforte di carattere romantico. Kittl, Johann Friedrich (Jan Bedrich) (Orlik, Pisek, 1806 - Lissa, Polonia, 1868). Compositore e didatta boemo. Studiò musica a Praga laureandosi contemporaneamente in giurisprudenza. Dopo aver lavorato per un periodo come funzionario del governo, diede le dimissioni per dedicarsi esclusivamente alla musica. Nel 1843 diventò direttore del Conservatorio di Praga. Fu amico di molti musicisti, tra i quali Wagner, Liszt e Berlioz. Compose opere teatrali, Sinfonie, musica da camera, per pianoforte, nonché un metodo per l’insegnamento dell’organo. Klein, Bernhard Joseph (Colonia, 1793 - Berlino, 1832). Composito­ re e insegnante tedesco. Studiò nella propria città e lavorò soprat­ tutto a Berlino sia come compositore che insegnante; sempre a Berlino fu direttore della “Jungere Liedertafel”, poi insegnante di canto all’università e infine insegnante di canto sacro alla Scuola di Musica Sacra. La sua produzione comprende una grande quantità di musica sacra e corale (Mottetti, Messe, Magnificat, Oratori e Cantate), nonché numerose raccolte di Lieder su testi di Goethe. Klein, Carl August von (Mannheim, 1794 - ?). Compositore tedesco. Iniziò gli studi musicali con il padre poeta e consigliere privato del re di Boemia e intraprese poi quelli di composizione con G. Weber. Nel 1817 si trasferì a Parigi dove conobbe Méhul. Compose un’o­ pera teatrle, una Sinfonia, Ouvertures, musica sacra, da camera e strumentale per violino e per pianoforte. Klein, Joseph (Colonia, 1802 - ivi, 1862). Compositore e insegnante tedesco, fratellastro del precedente. Insegnò a Berlino, a Memel in Lituania e a Colonia. Fu amico di Heine. Compose soprattutto

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musica corale e Lieder su testi di Goethe, Heine, Uhland ed altri. Kleinwàchter, Louis (Praga, 1807 - ivi, 1840). Compositore boemo. Professore di diritto nella città natale e dilettante di musica, studiò composizione con Spohr facendosi presto conoscere anche a Kassel e Lipsia. Morì di malattia alla giovane età di 33 anni. Compose Ouvertu­ res per orchestra, musica da camera,Lieder e Sonate per pianoforte. Kòhler, Ernst (nasce nel 1849, si tratta probabilmente del padre Johann Kòhler (Boemia, 1809 - Rothenthurn, 1878). Flautista e compositore tedesco. Studiò al conservatorio di Praga; fu primo flauto della cappella della corte ducale di Modena, città nella quale visse per circa 40 anni. Fu stimatissimo sia come flautista che come insegnante. Kontski, Anton von (vedi Katski von Antoni). Kossmaly, Cari (Breslavia, 1812 - Stettino, 1893). Compositore, direttore d’orchestra e musicologo tedesco. Fu allievo di Zelter, L. Berger e B. Klein. Lavorò soprattutto come direttore d’orche­ stra nei teatri, di Magonza, Wiesbaden, Amsterdam, Brema, Det­ mold e Stettino. Fu autore di alcuni scritti musicologici, tra cui un saggio su Wagner e compose musica strumentale, Lieder e musica per coro. Krebs, Carl August (Norimberga, 1804 - Dresda, 1880). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Musicista precocissimo (a soli 7 anni compose la sua prima opera, Feodora), si perfezionò a Vienna con Seyfried. Nel 1827 fu nominato direttore d’orchestra al Teatro Civico d’Amburgo e nel 1850 succedette a Wagner al Teatro dell’opera di corte di Dresda.Compose 3 opere teatrali, 2 Sinfonie, Messe, musica corale, Lieder e pezzi pianistici. Krug, Gustav (Naumbourg, 1821 - ?) Compositore tedesco. Visse tra Berlino e Amburgo. Compose musica da camera, Lieder e pezzi per pianoforte a 2 a 4 mani. Kùchen, Friedrich Wilhelm (Bleckede, Hannover, 1810 - Schwerin, 1882) Compositore tedesco. Completati gli studi musicali iniziò a lavorare dapprima come flautista, poi violista e infine violinista al Teatro granducale di Hannover. In seguito si perfezionò a Berlino, Vienna e Parigi. Nel 1851 fu chiamato in qualità di compositore alla corte di Stoccarda. Kufferath, Hubert Ferdinand (Mulheim, 1818 - St.-Jossemten-Noode, 1896). Compositore, organista, pianista appartenente ad una famiglia di musicisti belgi. Studiò prima con i fratelli Johann Hermann e Louis e poi si perfezionò con vari musicisti, tra cui Mendelssohn e David a Lipsia. Stabilitosi a Bruxelles, nel 1871 divenne insegnante al Conservatorio. Scrisse principalmente lavo­ ri pianistici e organistici.

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Kuhnau, Johann (Geising, Sassonia, 1660 - Lipsia, 1722). Composito­

re, organista e teorico della musica tedesco. Intrapresi gli studi musicali e subito dopo quelli di giurisprudenza, praticò con egual successso, la composizione, l’attività legale e gli studi teoretici. Dal 1684 ebbe diversi incarichi come organista e nel 1701 ottenne il posto di Kantor nella chiesa di S. Tommaso a Lipsia, posto ricoperto poi, dal 1723 daJ.S.Bach con il quale K. ebbe rapporti di reciproca stima. Nella sua produzione particolare importanza rivestono le opere clavicembalistiche, tra le quali ricordiamo le Suites della raccolta Neuer Clavier-Ubung in due volumi del 1689-92 e le sei Sonate Bibliche del 1700, per il contributo apportato alla sviluppo della tecnica dello strumento. K. fu inoltre il primo ad adottare, nella raccolta Prische Clavier-Fruchte (Freschi frutti per clavicemba­ lo), la forma della Sonata clavicembalistica in tre tempi. Copiosa anche la sua produzione di musica sacra, quasi tutta composta a Lipsia. Kulenkamp, Georg Cari (Wetzenhausen, 1799 - ?). Pianista e composi­ tore tedesco. Seguì gli studi musicali contemporaneamente a quelli di agraria. Dedicatosi al concertismo, fece diverse tournées in Ger­ mania. Nel 1838 fu nominato direttore della società “S. Cecilia” di Gòttingen. Compose circa 60 opere, tra cui Ouvertures, musica orchestrale, da camera e pianistica. Kullak, Thedor (Krotoszyn, Poznan, 1818 - Berlino, 1882). Pianista e compositore tedesco. Bambino prodigio, studiò con Taubert a Berlino e poi con Czerny a Vienna. Fu compositore, pianista e insegnante presso la corte di Berlino. Dopo essere stato tra i fondatori del Conservatorio Stern, nel 1855 creò la “Neue Akademie der Tonkunst”. Scrisse numerosi pezzi per pianoforte e alcuni importanti metodi per la tecnica pianistica. Kummer, Gotthelf Heinrich (Neustadt, Dresda, 1774 - Dresda, 1857). Fagottista e compositore tedesco. Lavorò nell’orchestra del Princi­ pe Elettore e poi nella cappella di corte di Dresda. Nel 1842 abbandonò gli incarichi e la carriera concertistica per dedicarsi esclusivamente alla composizione. Scrisse Concerti per fagotto e orchestra, musica da camera e composizioni per fagotto solista e per pianoforte. Lachner, Ignaz (Rain, 1807 - Hannover, 1895). Compositore, organi­ sta e direttore d’orchestra tedesco. Compiuti gli studi musicali ad Augusta, seguì la carriera artistica del fratello Franz. Nel 1831 fu nominato direttore di musica a Stoccarda; nel 1842 secondo diret­ tore delI’Opera di Monaco e nel 1858 maestro di cappella alla corte di Stoccolma. Dal 1862 al 1875 infine fu attivo a Francoforte. Compose opere teatrali, musica sacra, da camera e da pianoforte. Lachner, Franz Paul (Rain, 1803 - Monaco, 1890). Compositore e

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direttore d’orchestra tedesco. Iniziò gli studi musicali con il padre, l’organista Anton L. e nel 1823 si trasferì a Vienna per perfezionar­ si con Sechter; qui entrò in contatto con Beethoven, Grillparzer e Schubert. Nel 1826 fu nominato direttore Kàrntnertheater .di Vienna, nel 1834 maestro della cappella di corte di Mannheim e nel 1836 direttore dell’opera di Monaco dove rimase fino al 1868. Musicista conservatore di formazione classica, rimase sempre estraneo a qualsiasi tendenza innovativa specie quelle portate avanti da Wagner, del quale fu dichiarato avversario. Compose 4 opere teatrali e numerosi recitativi per opere altrui, 8 Sinfonie, altra musica orchestrale, musica sacra e da camera. Lachner,. Vincent (Rain, 1811 - Karlsruhe, 1893). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Fratello di Franz, fu dapprima inse­ gnante di musica del conte Mycielski a Poznan, quindi Kappelmeister al Teatro di Porta Carinzia a Vienna e infine direttore d’orchestra a Mannheim. Compose 2 Sinfonie, musica da camera e Lieder. Lacombe, Louis (Bourges, 1818 - St.Vaast-la-Hougue, Cherbourg, 1884). Compositore e pianista francese. Allievo del Conservatorio di Parigi, si perfezionò a Vienna con Czerny per il pianoforte e Sechter per la composizione. Iniziò la carriera concertistica giova­ nissimo compiendo numerose tournées con la sorella Félice. Collaboro alla rivista Chronique musicale. Compose opere teatrali, musica sinfonica, da camera, pezzi per pianoforte e liriche. Ladurner, Joseph Alois (Algund, 1769 - Bressanone, 1851). Organista e compositore austriaco. Contemporaneamente alla musica studiò anche teologia e filosofìa e nel 1799 prese gli ordini ecclesiastici. Fu cappellano e Musikdirektor presso la corte di Bressanone dove si dedicò anche all’insegnamento. Lafont, Charles Philippe (Parigi, 1781 - Tarbes, 1839). Violinista e compositore francese. Allievo di Kreutzer e Rode seguì un’intensa carriera concertistica compiendo numerose tournées in Belgio, Olanda, Inghilterra, Germania, Italia, Russia e Francia che gli procurarono la fama di grande virtuoso del violino accanto a Paganini con la cui popolarità si trovò spesso a gareggiare. Nel 1815 fu nominato violino solista presso la corte di Luigi XVIII a Parigi. La sua produzione è quasi interamente dedicata al violino e comprende Concerti, musica da camera e pezzi solistici. Lasekk, C. Compositore e pianista tedesco del secolo XIX. È autore di varie opere, alla maggioranza delle quali collaborò Kummer. Tra di esse figurano: L’agitation (quartetto), La chasse, Sonate, molti Lieder con accompagnamento pianistico, una Rapsodia musicale, Fantasie. Le Froid de Mereaux, Jean-Amédée (Parigi, 1802 - Rouen, 1874). Compositore, pianista e critico musicale francese. Esordì come 1114

pianista a Parigi nel 1835 e dal 1836 visse quasi sempre a Rouen (fatta eccezione per un soggiorno di due anni a Londra) dando concerti, insegnando pianoforte e collaborando in qualità di crìtico musicale al Journal de Rouen. Le Carpenter, Adolph (Parigi, 1809 - ivi, 1869). Pianista, compositore e didatta francese. Allievo di Fétis e Lesuer, si dedicò prevalente­ mente all’insegnamento e alla composizione. Compose quasi esclu­ sivamente per il pianoforte e pubblicò un.Metodo di pianoforte ed un Trattato di armonia. Leonhard, Julius Emil (Lauban, 1810 - Dresda, 1883). Pianista, com­ positore e insegnante tedesco. Musicista autodidatta si dedicò prevalentemente all’insegnamento, prima a Lipsia, dal 1852 nel Conservatorio di Monaco e dal 1859 in quello di Dresda. Scrisse una Sinfonia, Ouvertures, un Oratorio, musica da camera e vocale. Lickl, Cari Georg (Vienna, 1801 - ivi, 1877). Compositore e strumen­ tista austriaco. Fu virtuoso di phisarmonica strumento per il quale compose oltre 100 pezzi, e musicista presso la corte imperiale. Lindblad, Adolf Fredrik (Skànninge, Linkoping, 1801 - Lòfvingsborg, 1878). Compositore svedese. Studiò a Berlino con Zelter. Tornato in Svezia divenne insegnante di composizione del principe Gusta­ vo. Nella sua produzione spiccano soprattutto gli oltre 200 Lieder, la maggiorparte su testi propri, che gli valsero il soprannome di “Schu­ bert svedese”. Compose inoltre una Sinfonia e musica da camera. Lindner, August (Dessau, 1820 - Hannover, 1878). Compositore e violoncellista tedesco. Allievo di C. Drechsler, fu 1° violoncello dell’órchestra di corte di Hannover. Compose soprattutto per il violoncello: Concerti, Sonate e pezzi vari, tra cui alcune trascrizioni di Concerti di Haendel. Lindpainter, Peter Joseph von (Coblenza, 1791 - Nonnenhorn, Lago di Costanza, 1856). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Considerato uno dei migliori direttori d’orchestra del suo tempo (ammirato molto da Mendelssohn), fu prima Musikdirektor del Teatro Isarthor di Monaco e poi Hofkapellmeister a Stoccarda. Si interessò anche di organizzazione musicale e diresse alcuni concer­ ti della New Philarmonic Society di Londra^ La sua vastissima produzione comprende 28 opere teatrali (tra le quali il Singspiele Der Vampyr), 3 Balletti, Oratori, musica sifonica, da camera, sacra, strumentale e Lieder. Liszt, Franz Ferenc (Raiding, 1811 - Bayreuth, 1886). Lòvenskiold, Hermann von (Holdenjernvàrk, 1815 - Copenaghen, 1870). Compositore e organista norvegese. Studiò a Copenaghen e si perfezionò a Vienna e poi a Lipsia dove conobbe Menedelssohn e Schumann. Tornò quindi in Danimarca dove lavorò come organi­ sta. Compose opere teatrali, Balletti e vari pezzi per pianoforte.

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Loewe, Johann Carl Gottfried (Lòbeiiin, Sassonia, 1796 - Kiel, 1869).

Compositore e organista tedesco. Compiuti gli studi musicali intra­ prese diversi viaggi a Jena, Weimar e Dresda durante i quali conobbe Weber, Hummel e Goethe. Nel 1820 si trasferì a Stettino dove rimase fino al 1866 operando prima come organista della Jacobikirche e poi come insegnante e direttore di musica. Dal 1834 realizzò diverse toumées sia in qualità di compositore che di inter­ prete dei suoi Lieder in Germania, Austria, Inghilterra, Francia e Scandinavia. Attivo anche nel campo dell’organizzazione musicale collaborò alla diffusione delle opere di J.S.Bach. Nel 1837 fu nominato membro dell’Accademia di Berlino. Nella sua vasta produzione che comprende musica strumentale sinfonico-cameristica particolare rilievo assumono le sue 368 Ballate per voce e pianoforte, (particolarmente famose sono Erlkonig, Edward, Archi­ bald Douglas, Der Nòck, Die Uhr, ecc.) genere prediletto da L. e del quale fu uno dei massimi rappresentanti del romanticismo tedesco. Rinomati inoltre i 17 Oratori composti sullo stile operistico di Spontini e del Grand-Opéra di Meyerbeer ed infine i due oratori per coro maschile a cappella Die eherne Schlange e DieApostel von Philippi che che grande influenza ebbero su Wagner. Logier, Johann Bernhard (Kassel, 1777 - Dublino, 1846). Pianista, compositore e didatta tedesco. Completò gli studi musicali in Inghilterra e visse e lavorò quasi sempre in Irlanda. Fu l’inventore del chiroplast (“Guidamani”), macchina per regolare le posizioni delle mani sul pianoforte, che grande applicazione ebbe in Germa­ nia e Stati Uniti. Fu membro onorario della Royal Academy of Music di Londra. Autore di numerosi scritti sull’applicazione del chiroplast, compose musica sinfonica e da camera per pianoforte. Lorenz, Oswald (Johanngeorgenstadt, 1806 - ?). Compositore, orga­ nista e critico musicale tedesco. Fu organista della chiesa di S. Giovanni di Lipsia e uno dei primi redattori della Neue Zeitschriftfilr Musik. Compose soprattutto cicli di Lieder. Lubin, Napoléon-Antoine-Eugène (Léon de Saint Lubin). (Torino, 1805 - Berlino, 1850). Compositore, violinista e direttore d’orche­ stra francese. Iniziò gli studi ad Amburgo e si perfezionò a Franco­ forte con L. Spohr. Applaudito violinista sin dall’età di nove anni, si esibì in diverse città della Germania, Austria e Ungheria. Nel 1830 divenne direttore dell’orchestra del Kònigstadtheater di Berlino. Fu amico di Mendelssohn e Liszt. Compose opere teatrali, Balletti, musica di scena, 5 Concerti per violino e musica da camera sempre per violino. Lwoff, Alexis (L’vov Aleksej Fèdorovic) (Revai, oggi Tallinn, 1798 Knovo, oggi Kaunas, 1870).Violinista e compositore russo. Fu direttore di coro della cappella imperiale e autore dell’inno nazio1116

naie russo Dio salvi lo zar in uso fino al 1917. Come concertista operò soprattutto a Parigi e Lipsia. Nel 1850 fondò la “Società dei Concerti”. Nel 1861 colpito da sordità abbandonò l’attività musica­ le. Compose opere teatrali, musica strumentale e musica vocale sacra tra cui una raccolta di Inni per la chiesa ortodossa. Marschner, Heinrich August (Zittau, Sassonia, 1795 - Hannover, 1861) Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Fanciullo can­ tore nella città natale, proseguì gli studi musicali a Lipsia e poi a Praga. Nel 1816 si trasferì a Vienna dove conobbe Beethoven e l’anno successivo a Bratislava come maestro di cappella. Nel 1824 prese la direzione dell’Opera di Dresda, nel 1827 si stabilì a Lipsia come direttore del Teatro Municipale e infine dal 1831 al 59 fu maestro di cappella alla corte di Hannover.I lavori più significativi della sua produzione musicale sono senza dubbio le opere teatrali nelle quali è evidente l’influenza dell’operismo weberiano. Tra quelle di maggior successo si ricordano: Der Vampyr del 1828, Der Templar und die Jiidin del 1829 e Hans Heiling (tratto da una leggenda popolare boema) del 1833. Marxsen, Eduard (Niestàd ten, Altona, 1806-Altona, 1887). Composi­ tore e pianista tedesco. Iniziò gli studi ad Altona ed Amburgo quindi si perfezionò in pianoforte e composizione a Vienna. Visse quasi sempre ad Amburgo dedicandosi all’insegnamento: fra i suoi allievi vi fu Brahms il quale gli dedicò il Secondo Concerto per pianoforte. Tra le sue composizioni: una Sinfonia, composizioni corali, liriche e vari pezzi per pianoforte. Mathieux, J. (Versailles, 1734 - Parigi, 1811). Violinista, organista e compositrice francese. Fu prima violinista della cappella reale e poi organista presso S. Luigi di Versailles. Maurer, Ludwig Wilhelm (Postdam, 1789 - Pietroburgo, 1878). Com­ positore e violinista tedesco. Iniziò la carriera musicale a 14 anni come violinista nell’orchestra di corte di Berlino, nel 1817 diede inizio ad una serie di tournées concertistiche che lo portarono a Parigi, Hannover, Vienna ed infine a Pietroburgo dove si stabilì con il ruolo di ispettore delle orchestre di corte. Compose 7 opere teatrali, 3 Sinfonie, 10 Concerti per violino, musica da camera, e vari pezzi per violino. Mayer, Carl (Kònisgberg, 1799 - Dresda, 1862). Pianista e composito­ re tedesco. Allievo di J. Field, dal 1819 al 1850 visse a Pietroburgo in qualità di virtuoso e insegnante di pianoforte svolgendo contem­ poraneamente l’attività concertistica in tutta Europa. Compose esclusivamente per il pianoforte, solista e con orchestra. Mayseder, Joseph (Vienna, 1789 - ivi, 1863). Violinista e compositore austriaco. Fu violinista della cappella di corte, poi virtuoso di camera dell’imperatore e infine direttore dei violini della cappella 1117

di corte. Svolse contemporaneamente l’attività concertistica esi­ bendosi anche con M. Giuliani, Hummel e Moscheles. Godette della stima di Beethoven, Weber, Schubert e Paganini. Fu anche un apprezzato insegnante. Compose esclusivamente per il violino. Mehul, Etienne-Nicholas (Givet, Ardenne, 1763-Parigi, 1817). Com­ positore francese. Iniziò gli studi nella città natale e si perfezionò in pianoforte con Edelmann a Parigi. Qui conobbe Gluck del quale divenne presto un fervente ammiratore e che grande influenza ebbe sulla sua produzione operistica. Esordì come compositore al “Concert Spirituel” con VOde sacrée nel 1782 raggiungendo di lì a poco una fama che mantenne incontrastata fino all’arrivo sulle scene di Spontini. Introdusse importanti novità nel campo degli effetti timbrici orchestrali, quale per esempio l’accordo di 4 suoni chiusi nei corni a fine descrittivo, che gli procurarono l’ammirazio­ ne di Berlioz e Weber. Compose circa 40 opere teatrali perlopiù di genere comico (si ricordano: Euphrosine et Conradin, Alonzo e Cora, Stratonice, su libretto di Hoffmann, Une folie e Epicure scritta in collaborazione con Cherubini), Balletti, musica sacra, sinfonica, per clavicembalo e circa 25 composizioni vocali d’occasione d’ispi­ razione patriottica. Mendelssohn-Bartholdy, Felix (Amburgo, 1809 - Lipsia, 1847). Mercadante, Giuseppe Saverio Raffaele (Altamura, 1795 - Napoli, 1870). Mereaux, Amadeus (vedi: Le Froid de Mereaux). Merk, Joseph (Vienna, 1795 - ivi, 1852). Violoncellista e compositore austriaco. Fu 1° violoncello dell’orchestra dell’Opera di Vienna e poi virtuoso di corte. Attivo anche come solista compì tournées in Germania e Inghilterra. Insegnante di violoncello presso il Con­ servatorio di Vienna, si dedicò anche alla composizione scrivendo soprattutto musica per il suo strumento. Meyer, L. Edler von (Vienna, 1816 - ?). Pianista e compositore austria­ co. Allievo di Franz Schubert e Carl Czerny fu un virtuoso di fama internazionale; iniziò la carriera concertistica a Vienna, per prose­ guirla poi in Russia, dove godette della protezione della aristocra­ zia locale, Inghilterra, Francia, Belgio, Germania e Stati Uniti. Compose unicamente pezzi per pianoforte di genere vario (Studi, Fantasie, Danze, Variazioni etc.). Meyerbeer, Giacomo (Tasdorf, Berlino, 1791 - Parigi, 1864). Molique, Wilhelm Bernhard (Norimberga, 1802 - Bad Cannstatt, Stoccarda, 1869). Compositore e violinista tedesco. Allievo di Spohr iniziò la carriera musicale come 1° violino nell’orchestra della corte di Monaco; dopo un soggiorno di tre anni a Vienna, durante il quale entrò in contatto con Beethoven e Schubert, tornò a Monaco in qualità di Konzertmeister e infine con la stessa carica si

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recò a Stoccarda dove rimase per 23 anni.Trasferi tosi a Londra per motivi politici,si affermò sia come violinista che come insegnante di composizione alla Royal Academy of Music. Compose musica or­ chestrale, da camera, sacra e Lieder. Montag, C. (probabilmente si tratta di Ernst). (Blankenhain, Weimar, 1814 - ?). Pianista e compositore tedesco. Studiò a Weimar con l’organista Tòpfer e dal 1846 fu nominato pianista di corte. Visse a lungo a Rudolstadt. È autore di composizioni pianistiche e Lieder, alcuni dei quali su testi di H. Heine. Moscheles, Ignaz (Praga, 1794 - Lipsia, 1870). Pianista, compositore e direttore d’orchestra tedesco. Perfezionatosi a Vienna con Al­ brechtsberger e Salieri iniziò presto una intensa e felice carriera concertistica in tutta Europa che gli diede l’occasione di conoscere Spohr, Beethoven, Clementi e di stringere amicizia con Mendels­ sohn. Trasferitosi a Londra, insegnò alla Royal Academy of Music e dal 1841 fu direttore della Royal Philarmonic Society. Nella sua vasta produzione musicale il ruolo preminente è affidato al piano­ forte, per il quale M. scrisse, in collaborazione con Fétis, anche un Metodo. Tra i lavori pianistici si annoverano i celebri Studi op. 70, i Preludi op. 73 e gli 8 Concerti. Mozart, Wolfgang Amadeus (Salisburgo, 1756-Vienna 1791). Muhling, Julius (Notdhausen, 1810 - Magdeburgo, 1880). Composi­ tore, organista e direttore d’orchestra tedesco. Studiò nella scuola del duomo di Magdeburgo e fu organista della chiesa di S. Ulrico della stessa città. Compose una Sinfonia, un Ouverture, pezzi per organo, per pianoforte e musica corale. Mùller, Christian Gottlieb (1800-1863). Compositore e violinista tedesco. Lavorò soprattutto a Lipsia dove fu direttore dei concerti dell’Euterpe. Muller, Fredrich (Orlamunde, Altenburg, 1786- Rudolstadt, 1871). Clarinettista e compositore tedesco. Attivo soprattutto a Rudol­ stadt, lavorò come clarinettista, violoncellista, violinista e infine come direttore (succedendo a Eberwein) dell’orchestra di corte della stessa città. Compose 2 Sinfonie, musica da camera, in parti­ colare per insiemi di fiati, e pezzi per clarinetto solista. Nicolai, Otto (Konigsberg, 1810 - Berlino, 1849). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Studiò a Berlino con Zelter quindi si trasferì a Roma in qualità di organista della cappella dell’ambascia­ ta tedesca. Qui studiò polifonia con l’abate Baini e si dedicò alla composizione. Dai 1841 fu direttore d’orchestra all’opera di Vien­ na e dal 1849 all’opera di Berlino,nonché maestro di cappella della cattedrale. Morì a 39 anni di attacco cardiaco. Tra le sue composi­ zioni particolarmente interessanti sono le opere teatrali nelle quali N. passa da una stretta adesione allo stile e allo spirito della 1119

tradizione del melodramma italiano all’affermazione di un lin­ guaggio romantico estremamente personale che trova la più alta espressione nella sua ultima opera Die lustigen Weiber von Windsor [Le allegre comari di Windor]. Compose inoltre musica sinfonica, da camera e sacra. Nisle, Johann Martin Friedrich (Neuwied, 1780 - dopo il 1861). Cornista e compositore tedesco. Appartenente ad una famiglia di musicisti inizò l’attività concertistica con il padre. Dal 1821 fu violista di corte a Stoccarda e dal 1828 a Berlino. Fu attivo inoltre sia come compositore che come insegnante a Catania, Parigi e Londra. Nohr, Christian Fredrich (Langensalza, 1800 - Meinengen, 1875). Violinista e compositore tedesco. Allievo di Spohr e Hauptmann, fu primo violino dell’orchestra di corte. Compose 5 opere teatrali, 2 Oratori, musica da camera, vocale e strumentale. Nottebohm, Martin Gustav (Ludenscheid, Westfalia, 1817 - Graz, 1882). Musicologo e compositore tedesco. Studiò dapprima a Berlino, quindi si perfezionò a Lipsia con Mendelssohn, Schu­ mann e Hauptmann e a Vienna con Sechter. Oltre che alla compo­ sizione si dedicò anche all’insegnamento del pianoforte e alla musicologia pubblicando numerosi scritti su Beethoven. Compose musica da camera e pianistica. Nowakowski, Józef (Radom, 1800 - Varsavia, 1865). Compositore e pianista polacco. Allievo di J. Elsner al Conservatorio di Varsavia, intraprese la carriera concertistica esibendosi in numerose città della Germania, Francia e Italia. Nel 1847, tornato a Varsavia si dedicò all’insegnamento del pianoforte. Compose musica sinfoni­ ca, da camera, sacra e numerosi pezzi per pianoforte tra cui alcune elaborazioni di opere di Chopin, Schubert e Onslow. Onslow, Georges-Adré-Louis (Clermont-Ferrand, 1784 - ivi, 1853). Compositore francese di origine inglese. Studiò pianoforte con Dussek e Cramer a Londra e poi violoncello e composizione a Parigi. Nel 1832 fu nominato membro onorario della Philarmonic Society di Londra e nel 1842 succedette a Cherubini quale membro dell’Académie des Beaux-Arts.Tra le sue opere particolarmente interessante è la produzione cameristica comprendente composi­ zioni per diversi tipi di organico che vanno dal Nonetto al Duo. Compose inoltre opere teatrali, sinfoniche e musica pianistica. Osborne, George Alexander (Limerick, 1806 - Londra, 1806). Piani­ sta e compositore irlandese. Autodidatta fino a 18 anni, si perfezio­ nò in pianoforte a Parigi con Pixis e Kalkbrenner, studiò composi­ zione con Fétis e strinse rapporti di amicizia con Chopin e Berlioz. Dal 1843 fu a Londra dove si dedicò all’insegnamento. Compose 2 opere teatrali, 3 Oratori, molta musica da camera tra cui numerosi

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Duetti concertanti per pianoforte e violino sopra motivi tratti da opere. Otto, Ernst Julius (Konigstein, 1804 - Dresda, 1877). Compositore e direttore di coro tedesco. Studiò a Dresda e poi a Lipsia. Tornato a Dresda divenne insegnante di musica nel Blochmannsches Musikinstitut e poi Kantor alla Kreuzchirche. Nel 1846 fondò il periodi­ co Eufonia. Compose opere teatrali, musica corale, da camera e pezzi per pianoforte. Otto, Franz (Konigstein, 1809 - Mannheim, 1842). Cantante (Basso) e compositore tedesco. Studiò canto con il fratello, il tenore Ernst Julius. Dal 1833 fu attivo in Gran Bretagna come direttore di una Partsinging Society. Oury, Anna Caroline de Belleville (Landshut, Baviera, 1808 - Mona­ co, 1880). Pianista e compositrice tedesca di origine francese. Allieva di C. Czerny e A. Streicher esordì come pianista a Vienna compiemdo poi numerose tournées in Europa e Russia, sia come solista che in duo con il marito, il violinista Antonio James Oury. Dal 1846 si stabilì a Londra dove si dedicò alla composizione. Compose circa 180 pezzi brevi per pianoforte del genere da salotto. Pearson, Henry Hugh (Oxford, 1815 - Lipsia, 1873). Compositore inglese naturalizzato tedesco. Compì gli studi musicali in Inghilter­ ra e visse quasi sempre in Germania, a Lispia, Wurzburg e Stoccar­ da svolgendo anche un’intensa attività didattica. Pesadori, Antoinette (nata Pechwelt) (Dresda, 1799 - ivi, 1834). Pianista e compositrice tedesca. Studiò pianoforte con Klengel; esordì a Dresda a soli 11 anni affermandosi presto come una delle maggiori virtuose del suo tempo. Nel 1834 sposò il tenore Pesado­ ri. Compose esclusivamente pezzi brevi per pianoforte. Philipp, B. E. (Friburgo, 1802 ca. - ?). Pianista e compositore tedesco. Allievo di F.W. Berner e I. Schnabel, visse quasi sempre a Breslavia come insegnante di pianoforte e direttore di musica della chiesa della città. Compose musica vocale sacra, Lieder, musica da came­ ra, composizioni didattiche per il pianoforte a 2 e a 4 mani e pezzi pianistici del genere da salotto. Pirkhert, Eduard (Auffie, Stiria, 1817 - ?). Pianista e compositore austriaco. Studiò lettere all’università di Graz e poi musica a Vienna con A. Halm e C. Czerny. Alternò la carriera concertistica all’insegnamento; fu professore di pianoforte al Conservatorio di Vienna. Scrisse soprattutto composizioni pianistiche. Pixis, Johann Peter (Mennheim, 1788 - Baden-Baden, 1874). Pianista e compositore tedesco. Iniziò gli studi con il padre, intraprenden ­ do presto numerose tournées in Europa. Nel 1808 si trasferì a Vienna dove studiò con Albrechtsberger e conobbe Beethoven, Schubert e Meyerbeer. Dal 1840 si stabilì a Baden-Baden dedican­ 1121

dosi all’insegnamento. Compose opere teatrali, musica sinfonica, da camera Sonate e pezzi vari per pianoforte. Pleyel, Marie-Félicité-Denise (nata Moke) (Parigi, 1811 - Bruxelles, 1875). Pianista tedesca moglie di Camille Pleyel. Studiò con Herz, Moscheles e Kalkbrenner; intraprese la carriera concertistica, go­ dette della stima di grandi musicisti quali Liszt, Mendelssohn e Chopin. Dal 1848 fu insegnante di pianoforte presso il Conservatorio di Bruxelles. Schumann la indica erroneamente come Camilla. Pocci, Franz Graf Conte von (Monaco, 1807 - ivi, 1876). Compositore tedesco. Studiò a Monaco presso la cui corte iniziò a lavorare e dove nel 1847 ottenne la carica di Hofmusikintendant. Come critico collaboro alla Munchner Allgemeine Zeilung. Compose opere teatrali, musica da camera, per pianoforte e numerose raccolte di Lieder tra le quali si ricordano quelle per fanciulli di cui egli stesso scrisse i testi e illustrò. Pohl, Joseph (Breslavia, 1800 ca. - ?). Conosciuto come autore di musica sacra, compose anche alcuni pezzi per pianoforte e musica vocale. Pollini, Francesco (Lubiana, 1762 - Milano, 1846). Compositore, pianista e didatta austriaco di origine italiana. Studiò a Vienna probabilmente con Mozart e si perfezionò a Milano con Zingarelli. Fu attivo sia come pianista che come cantante d’opera. Composito­ re di fama internazionale pubblicò in vita, oltre sessanta raccolte di composizioni per pianoforte e clavicembalo, nonché un importan­ te Metodo per clavicembalo. Compose inoltre opere teatrali, musi­ ca da camera e sacra. Potter, Philip (Londra, 1792 - ivi, 1871). Pianista e compositore inglese. Iniziò gli studi di pianoforte e composizione a Londra e nel 1818, su consiglio di Beethoven, si trasferì a Vienna per perfezio­ narsi con E. A. Forster. Dal 1822 fu insegnante di pianoforte alla Royal Academy of Music di Londra e dal 1832 al 1869 direttore. Compose 48 Sinfonie, Ouvertures, 8 Concerti per pianoforte, musica da camera e pezzi per pianoforte. Preyer, Gottfried von (Hausbrunn, Bassa Austria, 1807 - Vienna, 1901). Allievo di Sechter, visse quasi sempre a Vienna, lavorando prima come organista della Chiesa riformata, poi come insegnante e direttore del conservatorio degli Amici della Musica e infine come maestro di cappella della cattedrale di S. Stefano. Compose un Oratorio, 3 opere teatrali,Lieder e composizioni per pianoforte e per organo. Proche, Franz (Doberney, Boemia, 1796 - ?). Prudent, Emile-Racine-Gauthier (Angouleme, 1817 - Parigi, 1863). Pianista e compositore francese. Studiò al Conservatorio di Parigi affermandosi come uno dei migliori allievi di pianoforte. Svolse 1122

una intensa e brillante attività concertistica in Francia, Belgio, Inghilterra e Germania. Compose soprattutto per il pianoforte, con l’orchestra, in complessi da camera e come solista, tra cui diverse trascrizioni e parafrasi da temi d’opera. Prume, Franz (Stavelot, Liegi, 1816 - ivi, 1849). Violinista e composito­ re belga. Studiò al conservatorio di Liegi e si perfezionò in quello di Parigi con Habenek. Nel 1833 fu nominanto professore di violino al Conservatorio di Liegi; nel 1839 abbandonò l’insegnamento per dedicarsi al concertismo. Compose Concerti, Sonate e Studi per violino. Ravina, Jean-Henri (Bordeaux, 1818 - Parigi, 1906). Pianista e com­ positore francese. Figlio delia pianista E. Lasalle, studiò al conser­ vatorio di Parigi. Ancora molto giovane intraprese la carriera concertistica che svolse prevalentemente a Parigi. Compose esclu­ sivamente musica per pianoforte tra cui Tyrolienne op.69 per piano­ forte a 6 mani. Raymond, Eduard (Breslavia, 1812 - ?). Violinista e compositore tedesco. Iniziò lo studio del violino con C. Luge intraprendendo presto una intensa carriera concertistica che lo portò a Berlino, Dresda, Vienna, Lipsia, Colonia e Francoforte. Nel 1834 fu assunto nell’orchestra del teatro di Breslavia e nel 1839 nominato direttore dei concerti della Società della domenica. Compose 2 Sinfonie, 2 Ouvertures, musica da camera e numerosi pezzi brevi per piano­ forte. Reichel, Adolph (Berlino, 1815 - ?). Compositore tedesco. Studiò a Berlino con S. Dehn; nel 1859 fu nominato direttore dell’Accademia di Canto di Dresda. Fu autore di un ciclo di Lieder, Sonate e pezzi vari per pianoforte. Reissiger, Carl-Gottlieh (Belzig, Wittenberg, 1798 - Dresda, 1859). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Studiò alla Thomaschule di Lipsia e poi a Vienna con Salieri. Trascorse gran parte della sua vita a Dresda rivestendo un ruolo importante nella vita musicale della città sia come direttore dei teatri tedesco e italiano che come divulgatore delle opere di Beethoven e Weber. Dal 1843 al 1848 fu in stretti rapporti con Wagner di cui curò la prima rappresentazione del Rienzi. La sua copiosa produzione musicale comprendente opere teatrali, musica strumentale, liederistica e sacra. Reuling, Wilhelm (Darmstadt, 1802 - Monaco, 1879). Compositore e direttore d’orchestra tedesco. Studiò con Seyfried e E. Forster. Nel 1825 si trasferii a Vienna e nel 1832 fu nominato direttore d’orche­ stra del teatro di corte. Scrisse numerose Operette ed Opere, tra cui Alfred der Grosse, Balletti, Lieder e musica da camera per insieme d’archi e di fiati.

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Ries, Ferdinand (Bonn, 1784-Francoforte sul Meno, 1838). Pianista e

compositore tedesco.Determinante nella sua formazione musicale furono gli studi di composizione e pianoforte realizzati rispettiva­ mente con Albrechtsberger e con Beethoven.il rapporto con il grande maestro viennese infatti ebbe un’enorme influenza su tutta la sua produzione musicale e contribuì inoltre alla sua affermazio­ ne in campo esecutivo. Applauditissimo sia come pianista che come direttore d’orchestra svolse un’intensa attività concertistica in tutta Europa. La sua produzione estremamente eterogenea comprende opere teatrali, musica sinfonica, da camera, strumentale, corale e liederistica. Fu inoltre autore di una biografìa di Beethoven. Rietz, August Wilhelm Julius (Berlino, 1812-Dresda, 1877). Compo­ sitore, violoncellista e direttore d’orchestra tedesco. Fu attivo sia come drettore d’orchestra che insegnante a Berlino, Dusseldorf, Lipsia (dove diresse i concerti del Gewandhaus) e Dresda. Fu il curatore dell’edizione completa delle opere di Men­ delssohn, musicista che grande influenza ebbe sulla sue composi­ zioni sinfoniche, teatrali e da camera. Scrisse inoltre numerose arie da concerto e musica sacra. Rochlitz, Johann Friedrich (Lipsia, 1769 - ivi, 1842). Compiuti gli studi musicali a Lipsia si indirizzò verso la critica e l’organizzazione musicale rivestendo sempre ruoli di spicco. Dal 1798 al 1818 fu difatti direttore deWAllgemeine Musikalische Zeitung e dal 1805 orga­ nizzatore di concerti al Gewandhaus di Lipsia. Dedicatosi inoltre alla letteratura scrisse romanzi, racconti, poesie, drammi e nume­ rosi Lieder, alcuni dei quali furono musicati da Schubert, Weber e Spohr. Le sue composizioni, di non grande rilievo, comprendono soprattutto lavori corali e pezzi per pianoforte. Romberg, Bernhard Anton (Dinklage, 1767 - Amburgo, 1841). Vio­ loncellista e compositore tedesco.Iniziò la carriera concertistica in duo con il cugino, il violinista Andreas Romberg; fu insegnante del Conservatorio di Parigi e musicista delle corti di Berlino e di Prussia. Autore di un importante metodo per violoncello, è consi­ derato il fondatore della scuola violoncellistica tedesca dell’Ottocento. Tra le sue opere di particolare interesse sono i 10 Concerti per violoncello e orchestra e i Duetti per violino e violoncello. Rosenhain, Jakob (Mannheim, 1813 - Baden-Baden, 1894). Pianista e compositore tedesco. Allievo di Kalliwoda per il pianoforte esordì ancora giovanissimo come concertista facendosi presto conoscere in tutta la Germania.. Nel 1837 si trasefrì a Parigi dove conobbe Cherubini, Rossini e Berlioz e dove aprì una scuola di pianoforte assieme a Cramer. Compose opere teatrali, musica sinfonica, da camera e pezzi vari per pianoforte. Rossini, Gioacchino (Pesaro, 1792 - Parigi, 1868). 1124

Rubinstein, Anton (Vychvatinez, Podolia, 1829 - Peterhof, Pietrobur­

go, 1894). Pianista, direttore d’orchestra e compositore russo. Seguì gli studi musicali con la madre e poi a Mosca con A. Villoing che nel 1840 lo portò a Parigi dove conobbe Liszt e Chopin. Nel 1843 si trasferì a Berlino per perfezionarsi in composizione con S. Dehn. Pianista precoce e di grande talento, esordì a soli 9 anni, svolgendo poi una intensissima carriera concertistica che lo portò in Inghilterra, Olanda, Scandinavia, Germania e Austria. Stabilito­ si a Pietroburgo, fu tra i fondatori del Conservatorio e diresse la Società di Musica Russa. Come direttore d’orchestra lavorò soprat­ tutto, tra gli anni 1871 -1890, a Vienna e negli Stati Uniti. Composi­ tore assai prolifico, R. rappresentò, nell’ambito della musica russa dell’ottocento, quella tendenza occidentalizzante in contrapposi­ zione con quella nazionale russa del gruppo dei Cinque. Nella sua vastissima produzione, che comprende musica sinfonica, cameri­ stica, strumentale, sacra e liederistica, particolare rilievo assumono le opere teatrali nelle quali si riconoscono alcune dal carattere nazionale russo, come Dimitrij Donskoj (1852) e Demon (1875) e altre composte invece nello stile del grand-opéra meyerbeeriano come Kinder der Heide (1861) e Feramors (1863). Rummel, Christian Franz Ludwig (Baviera, 1787 - Wiesbaden, 1849). Pianista, violinista, clarinettista, direttore d’orchestra e composito­ re tedesco. Studiò a Mannheim. Nel 1815 fu chiamato a Wiesbaden a dirigere la cappella del duca di Nassau incorporata poi nell’or­ chestra del teatro della stessa città. Compì numerose tournées in Germania, Belgio e Svizzera. Compose musica orchestrale, da camera e per pianoforte. Scarlatti, Domenico (Napoli, 1685 - Madrid, 1757). Schad, Joseph (Wurzbourg, 1812 - ?). Pianista e compositore tedesco. Iniziò gli studi del pianoforte e dell’organo nella città natale e li proseguì poi a Francoforte sul Meno con A. Schmitt. Intrapresa la carriera concertistica fu attivo soprattutto in Germania e Svizzera. Nel 1834 fu nominato insegnante di pianoforte al Conservatorio di Ginevra. Compose numerosi pezzi brevi per pianoforte. Schaffer, Julius (Magdeburg, 1823 - Breslavia, 1902). Direttore di coro e scrittore tedesco. Fu allievo di S. Dehn a Berlino. Nel 1855 fondò a Schwerin il “Schlosskirchenchor ”; nel 1860 fu nominato direttore dell’Accademia di Canto a Breslavia e succedette a Rei­ necke come Musikdirektor dell’università. Scrisse musica corale, Lieder e pezzi per pianoforte. Schapler, Julius. Konzertmeister a Wiesbaden nel 1840. Oltre al Quartet­ to per archi di cui parla Schumann, di lui si conosce anche il Lied An den Fruhling con accompagnamento di pianoforte e violoncello. Schmitt, Aloys (Erlenbach sei Meno, 1788 - Francoforte sul Meno, 1125

1866). Compositore e pianista tedesco. Iniziò gli studi musicali con il padre per proseguirli poi con J. A. André e J. G. Vollweiler. Esordì come pianista a Francoforte compiendo poi numerose tournées in Belgio e Olanda. Dal 1826 al 1829 fu organista presso la corte di Hannover. Dal 1830 si stabilì a Francoforte dedicandosi all’insegnamento.Compose opere teatrali, musica orchestrale, da camera, Sonate, Studi e pezzi vari per pianoforte. Schmitt, Jakob (Obernburg, 1803 - Amburgo, 1853). Insegnante e compositore tedesco fratello del precedente. Visse ad Amburgo come insegnante di pianoforte. Compose un’opera teatrale e circa 330 composizioni di vario genere (Studi, Sonate, Variazioni, ecc.) per pianoforte. Schnabel, Carl (Breslavia, 1809 - ivi, 1881). Pianista e compositore tedesco. Proveniente da una famiglia di musicisti si affermò presto come concertista. Alla morte del padre, il clarinettista e costruttore di pianoforti Michael, prese la direzione della fabbrica da lui fondata. Compose opere teatrali, musica sacra, Lieder e numerosi pezzi per pianoforte. Schneider, Johann Christian Friedrich (Waltersdorf, Sassonia, 1786 Dessau, 1853). Compositore, direttore d’orchestra e insegnante tedesco. Visse per un lungo periodo a Lipsia sia come insegnante che direttore del Teatro Municipale e organista in diverse chiese. Nel 1821 fu assunto come maestro di cappella presso la corte di Dessau dove nel 1829 fondò una scuola di musica. Scrisse opere teatrali, musica sacra, Lieder, musica corale, da camera, elaborazioni pianisti­ che di opere altrui e opere didattiche per il pianoforte e per l’organo. Scholz, E. W. (presso Breslavia, 1805 ca. - ?). Compositore e maestro di cappella presso la corte del prìncipe Hohenlohe Oeringen a Schlowa (Slesia). Fu attivo a Breslavia e a Vienna. Pubblicò raccolte di Lieder e pezzi per pianoforte. Schornstein, J. E. A. Musikdirektor a Elberfeld, fu nominato membro della Società Olandese nel 1836. Delle sue composizioni si conosce solo il Primo Concerto in fa minore per pianoforte e orchestra. Schubert, Franz (Lichenthal, Vienna, 1797 - Vienna, 1828). Schubert, Louis (Magdeburgo, 1806 - Pitroburgo, 1850). Composito­ re e direttore d’orchestra tedesco. Allievo di C. M.von Weber debuttò come direttore d’orchestra a Magdeburgo a soli 16 anni. Dal 1836 diresse il Teatro deH’Opera a Konigsberg e dal 1845 l’Opera Tedesca a Pietroburgo. Scrisse musica sinfonica, da came­ ra e pezzi per pianoforte. Schunke, Cari (Magdeburgo, 1801 - Parigi, 1839). Compositore e pianista tedesco. Fu allievo di F. Rics e pianista di corte della regina di Francia. Compose essenzialmente pezzi per pianoforte nello stile da salotto e trascrizioni di arie operistiche.

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Schunke, Louis (Kassel, 1810 - Lipsia, 1834). Compositore e pianista

tedesco. Esordì come pianista, sotto la direzione di L. Spohr, a soli 12 anni, proseguì quindi la carriera dando numerosi Concerti a Parigi, Vienna, Praga e Lipsia. Fu tra i fondatori della Neue Zeitschriftfiir Musik e amico di Schumann. Schwencke, Cari (Amburgo, 1797 - Vienna, scomparso dal 1870). Pianista autodidatta fu attivo come concertista in Svezia, Austria, Russia e Francia. A lui Beethoven dedicò il canone Schwenke dich ohne Schwankeì Compose una Sinfonia, musica da camera e pezzi per pianoforte. Sechter, Simon (Friedberg, Boemia, 1788 - Vienna, 1867). Composi­ tore, teorico e didatta austriaco. Musicista molto stimato nella Vienna musicale dell’ottocento, svolse un ruolo determinante nel campo dell’insegnamento: ebbe come allievi musicisti quali Bru­ ckner, A. Henselt, Thalberg, Vieuxtemps, C. F. Pohl e anche per un breve periodo F. Schubert. Come compositore fu considerato un ottimo contrappuntista ed un erede della tradizione classica viennese. Compose circa 8000 opere tra cui molta musica sacra, opere teatrali e Oratori, musica strumentale (compreso 6000 fughe per pianoforte c organo), musica vocale ed opere didattiche. Seyler, Cari (Ofen, 1815 - ?). Allievo di Seyfried, fu membro dell’or­ chestra del teatro di Porta Carinzia e dal 1841 direttore di coro della chiesa di Gran. Scrisse musica da camera e composizioni pianistiche. Sobolewski, Friedrich Eduard (Konigsberg, 1808 - Saint-Louis, 1872). Compositore, violinista, direttore d’orchestra e critico musi­ cale tedesco.Studiò a Dresda con C. M. von Weber; tornato a Konigsberg diresse, tra le altre cose la Philarmonische Gesellschaft e la Konigsberg Musikalische Akademie. Come critico musicale collaborò, sotto la pseudonimo di J. Feski, alla Neue Zeitschrift fur Musik. Nel 1859 si trasferì negli Stati Uniti dove organizzò e diresse la Philarmonic Society di Saint-Louis. Compose soprattutto opere teatrali, Oratori e musica vocale. Spàth, Andreas (Rossach, Coburgo, 1790 - Gotha, 1876). Composito­ re e strumentista tedesco. Lavorò dapprima come clavicembalista alla corte di Coburgo, poi a Morges come organista e quindi di nuovo a Coburgo come 1° violino della cappella di corte. Compose opere teatrali, musica sacra e diversa musica strumentale. Spohr, Louis (Braunschweig, 1784 - Kassel, 1859). Sponholtz, Adolph Heinrich (Rostock, 1803 - ivi, 1851). Organista e compositore tedesco. Fu organista della chiesa di S. Maria a Ro­ stock dove rimase fino alla morte. Compose principalmente musica orchestrale e organistica. Spontini,Gaspare (Maiolati, Ancona, 1774-ivi, 1851).

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Stamaty, Camille-Marie (Roma, 1811 - Parigi, 1870). Compositore,

pianista e didatta greco-francese. Intrapresa la carriera diplomati­ ca l’abbandonò per dedicarsi completamente alla musica. Studiò pianoforte con Kalkbrenner e composizione con Mendelssohn; a causa di problemi alle mani dovette abbandonare presto il concer­ tismo per dedicarsi alFinsegnamento. Ebbe come allievo SaintSaèns. Compose un Concerto per pianoforte, un Trio, numerosi pezzi per pianoforte ed opere didattiche. Stegmayer, Ferdinand (Vienna, 1803 - ivi, 1863). Compositore e direttore d’orchestra austriaco. Fu attivo soprattutto come diretto­ re d’opera a Parigi, Vienna, Brema e Praga. Insegnò coro e canto teatrale nel Conservatorio di Vienna e fu tra i fondatori della Singakademie della stessa città. Compose musica sacra, Lieder e pezzi per pianoforte. Stein, Theodor (Altona, 1819 - Pietroburgo, 1893). Pianista tedesco. Esecutore di fama internazionale, fu conosciuto soprattutto per le sue doti di improvvisatore. Visse tra Stoccolma, Helsingfors e Pietroburgo dove fu insegnante di pianoforte nel Conservatorio. Stern,Julius (Breslavia, 1820 - Berlino, 1883). Compositore, didattae direttore d’orchestra e di coro tedesco. Compiuti gli studi musicali a Berlino e Parigi si dedicò alla direzione d’orchestra e di coro. Nel 1850 fondò, assieme a Th. Kullak e A. B. Marx, il Conservatorio di Berlino, più tardi intitolato al suo nome. Compose musica da camera, musica per cori maschili e Lieder; fu inoltre autore di un metodo per l’insegnamento del canto. Stolze, Heinrich Wilhelm (Erfurt, 1801 - Celle, 1868). Compositore e organista tedesco. Dal 1823 fino alla morte fu organista del mona­ stero di Celle, città nella quale svolse un importante ruolo di divulgatore musicale attraverso la costituzione di una società per il canto. ’ Strauss, Johann (Vienna, 1825-ivi, 1899). Szymanowska, Maria Agata (Varsavia, 1789 - Pietroburgo, 1831). Pianista e compositrice polacca. Studiò a Varsavia con A. Lisowski e T. Gremm. Nel 1810 si trasefrì a Parigi dove conobbe Cherubini e dove diede inizio alla sua carriera concertistica che la condusse, sempre con gran successo, in tutta Europa. Nel 1822 fu nominata pianista di corte della Zarina e nel 1829 si stabilì definitivamente a Pietroburgo dedicandosi alla composizione e all’insegnamento. Famosa per il suo virtuosismo tecnico ed espressivo, fu la fondatri­ ce della scuola pianistica polacca dell’ottocento, scuola che rag­ giunse la sua massima espressione con Chopin. Compose essenzial­ mente pezzi brevi per pianoforte di forte impronta popolare. Tàglichsbeck, Thomas (Ansbach, 1799 - Baden-Baden, 1867). Com­ positore e violinista tedesco. Studiò a Monaco con P. Rovelli e J. 1128

Gràtz. Nel 1822 fu nominato 1° violino della cappella di corte e nel 1827 maestro di cappella della corte di Hechingen. Dal 1857 insegnò composizione nel Conservatorio di Dresda. Rinomato come virtuoso del violino diede molti concerti in Germania e all’estero. Tra le sue composizioni che comprendono opere teatra­ li, Sinfonie, Messe, musica da camera e Lieder, particolarmente interessanti sono i Concerti e i pezzi per violino. Taubert, Cari Gottfried Wilhelm (Berlino, 1811 - ivi, 1891). Composi­ tore, pianista e direttore d’orchestra tedesco. Allievo di L. Berger e B. Klein. Membro dell’Accademia delle Arti di Berlino, nel 1842 fu nominato direttore dell’opera Reale e nel 1845 maestro di cappel­ la della corte. Fu insegnante dell’Accademia Prussiana ed ebbe come allievi, tra gli altri, A. Fesca e Th. Kullak. Scrisse opere teatrali, musica sinfonica, cameristica, sacra, oltre 300 Lieder e moltissime composizioni, Sonate e pezzi vari, per pianoforte. Tedesco, Ignaz (Praga, 1817 -Odessa, 1882). Allievo di Tomaschek, si dedicò presto al concertismo esibendosi nelle principali città euro­ pee. Nel 1850 ottenne il posto di pianista presso la corte di Olden­ burg. Compose quasi esclusivamente pezzi brevi per pianoforte. Thalberg, Sigismund (Pàquis, Ginevra, 1812 - Napoli, 1871). Pianista e compositore austriaco. Studiò a Vienna con S. Sechter e J.N.Hummel perfezionandosi successvamente a Londra con Mo­ scheles e con Pixis e Kalkbrenner a Parigi. A18 anni intraprese una brillantissima carriera concertistica che gli procurò numerosi suc­ cessi in tutti i paesi d’Europa e negli Stati Uniti. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Napoli dedicandosi all’insegnamento. Pianista rinomato per il grande virtuosismo tecnico e per la raffinatezza del suono (è nota la sua rivalità con Liszt che a Parigi fece scaturire vivaci polemiche), fu apprezzato anche come compositore. Nella sua produzione che comprende due opere teatrali, musica orche­ strale, tra cui il Concerto per pianoforte e orchestra, musica da camera, Lieder, Studi, una Grande Sonata e molti pezzi brevi per pianoforte, particolarmente interessanti sono le elaborazioni (Va­ riazioni, Fantasie e Capricci) su temi d’opera, tra cui famose quelle sul Don Giovanni di Mozart, sulla Sonnambula di Bellini e sul Mosè di Rossini. Thomas, Charles-Louis-Ambrosius (Metz, 1811 - Parigi, 1896). Studiò al Conservatorio di Parigi con Kalkbrenner e Lesuer. Nel 1832 vinse il Prix de Rome con la cantata Hermann et Ketty e si trasferì per 3 anni in Italia. Tornato a Parigi esordì come compositore d’opera airOpéra-Comique; nel 1851 succedette a Spontini all’Accademia delle Belle Arti e nel 1871 ad Auber nella direzione del Conservatorio, posto che conservò fino alla morte. Musicista piuttosto prolifi­ co, compose circa 20 opere teatrali, tra le quali si ricordano Mignon 1129

(rappresentata, lui in vita, più di mille volte), Hamlet, Psyché, musica da camera, sacra, e strumentale. Si può considerare uno degli epigoni, assieme a Halévy e Auber, della scuola romantica francese. Tomaschek, Wenzel Johann Baptist (Tomasek, Vaclav) (Skutec, 1774 Praga, 1850). Compositore, pianista e didatta boemo. Praticamen­ te autodidatta, si formò con lo studio delle opere di Mozart, Beethoven e Pleyel. Dal 1806 al 1824 fu al servizio del conte Buquoy e nel 1824 apri un istituto musicale presso il quale studia­ rono, tra gli altri, J. B. Ritti e E. Hanslick. Fu in contatto con alcuni importanti artisti dell’epoca, quali, Haydn, Beethoven, Hummel, Spohr, Dussek, l’abate Vogler e Goethe. La sua produzione, espressione del nuovo Romanticismo musicale boemo, in parte ancora influenzata dai capolavori classici, comprende opere teatra­ li, musica sinfonica, cameristica, sacra, Lieder (molti dei quali su testi di Goethe, Puskin e Schiller) e molte composizioni pianistiche di vario genere. Trutschel A.L.E. Organista della chiesa di S. Giacomo a Rostock. Pubblicò la sua prima opera nel 1834 e compose principalmente per organo. Veit, Wenzel Heinrich (Vaclav Jindrich) (Repnice, 1806 - Litomerice, 1864). Compositore boemo. Seguì contemporaneamente lo studio della musica a quello del diritto; dal 1831 fu magistrato a Praga, Cheb e a Litomerice. Come musicista fece parte di diverse società musicali e fu amico di grandi artisti quali Mendelssohn, Schumann e Liszt. Nel 1841 fu nominato Musikdirektor ad Aquisgrana. Compo­ se musica orchestrale, da camera, sacra, vocale e strumentale. Verhulst, Johannes Josephus Hermanus (L’Aia, 1816 - ivi, 1891). Compositore, violinista e direttore d’orchestra olandese. Studiò al Conservatorio dell’Aia perfezionandosi poi a Colonia con B. Klein e a Lipsia con Mendelssohn. Nel 1842 fu nominato da re Guglielmo II direttore della musica di corte; fu inoltre direttore dei concerti di molte società musicali, tra le quali l’“Euterpe”, la “Feliz Meritis” e la “Caecilia”. Fu amico di Schumann il quale gli dedicò V Ouverture, Scherzo e Finale op. 52. Tra i maggiori compositori olandesi dell’Ottocento, V. compose musica sinfonica, da camera, sacra e corale. Vieuxtemps, Henri (Verviers, Liegi, 1820 - Mustapha, Algeria, 1881). Violinista e compositore belga. Bambino prodigio, venne scoperto, all’età di 7 anni, durante una tournée, da Ch. A. de Bériot che lo volle come allievo; si perfezionò poi con S. Sechter e a Parigi con A. Reicha. Fece numerose tournées in Europa e negli Stati Uniti affermandosi come uno dei maggiori violinisti del suo tempo accanto a Paganini. Nel 1871 fu nominato professore di violino al Conservatorio di Bruxelles e, due anni più tardi, costretto ad abbandonare insegnamento e concertismo perché colpito da una

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paralisi al braccio, si dedicò interamente alla composizione. Scrisse soprattutto composizioni per violino tra le quali, famosi, i 7 Con­ certi. Voigt, Henriette (nata Kuntze) (Lipsia, 1808 - ivi, 1839). Pianista dilettante tedesca. Studiò con L. Berger; fu in rapporti di amicizia con Schumann il quale le dedicò la Sonata per pianoforte op. 22. Vollweiler, Carl (Offenbach, 1813 - Heidelberg, 1848). Compositore e didatta tedesco. Visse tra Hanau, Pietroburgo e Francoforte sul Meno alternando l’attività didattica a quella di compositore. Scrisse musica da camera, numerosi Lieder e pezzi pianistici oltre a diver­ se trascrizioni strumentali di lavori operistici contemporanei. Voss, Carl (Schmarsow, Pomerania, 1815 - Verona 1882). Pianista e compositore tedesco. Visse quasi sempre a Parigi sia come pianista che insegnante e compositore. Compose essenzialmente per il pianoforte, tra cui numerose Variazioni e Fantasie su temi d’opera. Wagner, Richard (Lipsia, 1813 - Venezia, 1883). Weber, Cari Maria von (Eutin, Lubecca, 1786 - Londra, 1826). Weber, Friedrich Dionys (Bedrich Divis) (Velichov, Karlovy Vary, 1766 - Praga, 1842). Compositore e organista boemo. Allievo di Vogler, fu tra i fondatori e poi direttore del conservatorio di Praga. Dedicò gran parte della sua vita all’insegnamento ed ebbe come allievi, tra gli altri, Kalliwoda e Moscheles. Compose un’opera teatrale, musica orchestrale, da camera, Lieder e musica pianistica. Wenzel, Ernst (Walddorf, Sassonia, 1808 - Bad Kòsen, 1880). Piani­ sta, compositore e critico musicale tedesco. Fu allievo di Fredrich Wieck e amico di Schumann. Fu insegnante di pianoforte, fino alla morte, nel Conservatorio di Lipsia. Come critico musicale collaborò alla Neue Zeitschriftfur Musik. Weyse, Chrisoph Ernst Friedrich (Altona, 1774 - Copenaghen 1842). Compositore e organista danese di origine tedesca. Studiò a Cope­ naghen dove nel 1794 fu nominato organista della chiesa riformata e nel 1803 organista del duomo. Compositore alquanto prolifico è considerato il fondatore della scuola nazionale danese. La sua fama è legata soprattutto alla produzione liederistica perlopiù legata alla tradizione degli antichi canti popolari danesi; compose inoltre 8 opere teatrali nel genere del Singspiele, 7 Sinfonie, composizioni per organo e per pianoforte e altra musica vocale. Wieck, Clara Josephine (Lipsia, 1819 - Francoforte sul Meno, 1896). Pianista e compositrice tedesca. Studiò con il padre, il pianista e didatta Friedrich W. e poi con Th. Weinling e C. G. Reissiger a Dresda. Iniziò la carriera concertisica a soli 9 anni a Lipsia e realizzò poi numerose tournées in tutta Europa che le arrecarono, in breve tempo, grande notorietà. Nel 1840 sposò R. Schumann al quale rimase sempre legata affettivamente e artisticamente. Dal

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1878 al 1892 fu insegnante di pianoforte al Conservatorio di Francoforte sul Meno. Pianista dal talento straordinario, fu una grande interprete del repertorio romantico e contribuì notevol­ mente alla diffusione della musica di Beethoven, Schumann, Cho­ pin, Liszt e di J. Brahms con il quale fu in rapporto di profonda amicizia. Compose quasi esclusivamente per il pianoforte e curò la pubblicazione dell’opera omnia di R. Schumann. Wielhorsky, (Viel’Horskij), Joseph conte di (Rosinow, 1816 - Sanre­ mo, 1892). Pianista, violoncellista e compositore russo. Fu allievo di Taubert. Visse a Berlino, Lipsia e Dresda. Compose esclusivamente pezzi brevi per pianoforte. Willmers, Rudolph (Berlino, 1821 - Vienna, 1878). Pianista e compo­ sitore tedesco. Fu allievo di Hummel e Schneider; dedicatosi al concertismo realizzò diverse tournées in Europa. Dal 1864 al 1866 fu insegnante di pianoforte al Conservatorio Stern di Berlino. Morì in seguito a pazzia. Compose musica da camera e pezzi per piano­ forte. Wilsing, Friedrich Eduard (Horde, Vestfalia, 1809 - Berlino, 1893). Organista e compositore tedesco. Nel 1829 fu nominato organista a Wesel e dal 1834 si stabilì a Berlino. Scrisse un Oratorio, Lieder, musica vocale (tra cui un Deprofundis a 16 voci), musica da camera e composizioni pianistiche. Winkhler, Cari A. (Ungheria, 1800 ca. - Pest, 1845). Pianista, compo­ sitore e didatta ungherese. Compose musica orchestrale, da came­ ra e pianisica. Wolf, Louis (? - Offenbach, 1817). Violinista del teatro di Francoforte sul Meno. Compose musica da camera e per violino. Wolff, Eduard (Varsavia, 1816 - Parigi, 1880). Pianista e compositore francese di origine polacca. Studiò al Conservatorio di Varsavia e poi a Vienna con W. Wiirfel. Fu attivo sia come concertista che come insegnante; visse quasi sempre a Parigi dove conobbe e divenne amico di Chopin. Compose 2 opere teatrali, un Concerto per pianoforte e orchestra, musica da camera e oltre 300 pezzi per pianoforte; fu autore inoltre di opere didattiche per il pianoforte. Zòllner, Cari Friedrich (Mittelhausen, Turingia, 1800 - Lipsia, 1860). Direttore di coro e compositore tedesco. Studiò musica alla Thomasschule di Lipsia seguendo contemporaneamente gli studi di teologia all’università. Fondò una scuola di canto nonché diverse formazioni corali maschili che egli stesso dirigeva e che dopo la sua morte si unificarono nel “Z. Bund” attivo fino al 1945. Compose musica per coro e Lieder.

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Indice delle opere analizzate

Alkan Charles Valentine,

Tre Grandi Studi op. 15 per pf. (pag. 384) 6 Pezzi caratteristici per pf. (pag. 652) Attern W.» Sinfonia op. 16 (pag. 967) Baroni-Cavalcabò Julie, Allegro di bravura in mi minore op. 8 per pf. (pag. 360) Secondo Capriccio op. 12 per pf. (pag. 595) Terzo Capriccio op. 18 per pf (pag. 599) Fantasia op. 19 per pf. (pag. 599) Pezzifantastici op. 25 per pf. (pag. 746) Becher Alfred Julius, 9 Pezzi lirici op. 2 per pf. (pag. 420) Beethoven Ludwig van, La collera per il soldino perduto Rondò per pf. (op. postuma) (pag. 247) Ouvertures per il Fidelio (pag. 737) Seufzer eines Ungeliebten (G.A. Burger) per voce e pf. (pag. 1049) Die laute Klage (Herder) per voce e pf. (pag. 1049) BenedictJuIìus,

Notre Dame de Paris. Reverie op. 20 per pf. (pag. 257) Introduzione e Variazioni su un tema di Bellini op. 16 per pf. (pag. 404) Rondò in lal> op. 19 per pf. (pag. 500) Bennett Sterndale William, Terzo Concerto op. 9 per pf. e orch. (pag. 490) Sei Studi in forma di Capriccio op. 11 per pf. (pag. 497) Sonata op. 13 per pf. (pag. 519) Le Najadi Ouverture op. 15 per pf. a 4 mani (pag. 553) 3 Schizzi op. 10 per pf. (pag. 595) 3 Impromptus op. 12 per pf. (pag. 595) 3 Romanze op. 14 per pf. (pag. 595)

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Three Diversions op. 17 per pf. a 4 mani (pag. 666) Fantasia op. 16 (pag. 666) Le Ninfe del bosco Ouverture op. 20 per grande orch. trascriz. per pf. a 4 mani (pag. 671) Quarto Concerto per pf. e orch. (pag. 529) Suite de Pièces op. 24 per pf. (pag. 944) Capriccio op. 22 per pf. e orch. (pag. 984) Rondò op. 25 per pf. (pag. 996) Berger Ludwig, 12 Studi op. 12 per pf. (pag. 392) Quindici Studi op. 22 per pf. (pag. 498) 3 Pezzi caratteristici per pf. (pag. 1052) Hofer Lied a 1 e 4 voci (pag. 1058) Bergson Michael, 4 Mazurke op. 1 per pf. (pag. 651) Berlioz Hector, Symphonic fantastique op. 14 (pag. 211) Ouverture per Les francs juges op. 3 (pag. 315) Ouverture per Waverly op. 1 (pag. 672) Bertini, Henri, Trio (pag. 355) 24 Capricci o Studi op. 94 per pf. (pag. 386) Ricordi. Impressions de voyage op. 104 per pf. (pag. 420) Capriccio su una Romanza di Grisar op. 108 per pf. (pag. 420) Sarah. Capriccio su una Romanza di Grisar op. 110 per pf. (pag. 420) Grande Fantasia drammatica op. 118 per pf. (pag. 593) Blahetka Leopoldine, Variazioni su un tema di Haydn op. 28 per pf. (pag. 401 ) Bòhner Ludwig, Variazioni su un celebre tema op. 99 per pf. (pag. 506) Fantasia op. 48 per pf. (pag. 593) Bohrer Anton, Trio per pf. vno e vcl. op. 47 (pag. 345) Bratchi Adele, Grande Rondò op. 2 per pf. (pag. 425) Burgmuller Friedrich, Fantasia al suo amico Liszt (Reveries fantastiques) op. 41 per pf. (pag. 655) Burgmùller Norbert, Rapsodia per pf. (pag. 683) Sonata per pf. (pag. 684) Lieder op. 10 (pag. 685) Cherubini Luigi, Primo Quartetto in mi|> maggiore (pag. 559) 1134

Secondo Quartetto in do maggiore (pag. 571) Chopin Fredrich,

3 Notturni op. 15 per pf. (pag. 257) Scherzo op. 20 per pf. (pag. 257) Primo Concerto per pf. op. 11 (pag. 335) Secondo Concerto per pf. op. 21 (pag. 335) Trio in sol minore op. 8 (pag. 356) Gran Duo de concert su temi di Roberto il diavolo di Meyerbeer per vcl. e pf. (in collaborazione con August Franchomme) (pag. 357) Variazioni su un tema dal “Ludovic” di Hérold e Halévy op. 12 per pf. (pag. 410) Rondò à la Mazur op. 5 per pf. (pag. 425) 12 Studi op. 25 per pf. (pag. 445) Impromptu op. 29 per pf. (pag. 600) 4 Mazurche op. 30 per pf. (pag. 600) Scherzo op. 31 per pf. (pag. 600) Mazurke op. 33 per pf. (pag. 667) 3 Valzer op. 34 per pf. (pag. 667) Preludi op. 28 per pf. (pag. 667) Sonata in si minore op. 58 per pf. (pag. 812) Due Notturni op. 37 per pf. (pag. 835) Ballata op. 38 per pf. (pag. 835) Valzer op. 42 per pf. (pag. 835) Allegro da concerto op. 46 per pf. (pag. 943) Ballata op. 47 per pf. (pag. 943) Notturni op^ 48 per pf. (pag. 943) Fantasia op. 49 per pf. (pag. 943) Tarantella op. 43 per pf. (pag. 995) Chwatal Francois-Xavier, Introduzione e Variazioni su un tema di Strauss op. 23 per pf. (pag. 404) Rondò in la minore op. 18 per pf. (pag. 500) Introduzione e Variazioni su un tema di Wolfram op. 11 per pf. (pag. 506) Variazioni facili op. 28 per pf. (pag. 506) Introduzione e Variazioni su un celebre tema op. 29 per pf. a 4 mani (pag. 506) Variazioni su un celebre tema op. 33 per pf. (pag. 506) Variazioni su un tema di Strauss op. 34 per pf (pag. 506) Cramer Heinrich, Fantasia con Variazioni su temi di Mozart op. 7 per pf. (pag. 653) Idee Romantiche op. 10 per pf. (pag. 653) Cramer Johan Baptist, 16 Nouvelles Etudes op. 81 per pf. (pag. 379) Fantasia op. 87 per pf. (pag. 604)

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Czerny Carl,

Ricordo del mio primo viaggio. Fantasia brillante op. 413 per pf. (pag. 420) Grande Rondò op. 405 per pf. (pag. 425) Introduzione e Variazioni brillanti su un tema italiano op. 302 per pf. (pag. 506) Metodo per l’esecuzione delle Fughe e delle composizioni contrappuntistiche op. 400 per pf. (pag. 579) Le quattro stagioni. 4 Fantasie brillanti op. 434 per pf. (pag. 593) Decker Constantin, Sonatafacile op. 12 per pf. (pag. 519) Quartetto in do minore op. 14 (pag. 559) Rondò op. 11 per pf. (pag. 575) Deppe Friedrich, Variazioni su un tema di Rossini per pf. (pag. 401 ) De St. Lubin Leon, Primo Grande Quintetto op. 38 (pag. 571) Dobrzynski Ignacy Felics, Rondò alla polacca op. 6 per pf. e orch. (pag. 425) Dòhler Theodor von, Primo Concerto per pf. op. 7 (pag. 318) Fantasia e Variazioni di bravura su un tema di Donizetti op. 17 per pf. (pag. 410) Rondino su un tema di J. Strauss op. 19 per pf. (pag. 425) Rondino su un tema di Coppola op. 20 per pf. (pag. 425) Notturno op. 24 per pf. (pag. 656) Dorn Heinrich, Fiori musicali op. 10 per pf. (pag. 132) "L’aimable Roué” Divertissement op. 17 per pf. (pag. 362) “Bacchanales”Rhapsodic op. 15 per pf. (pag. 368) Grande Sonata op. 29 per pf (pag. 640) Dreyschock Alexander, Otto Studi di bravura op. 1 per pf. (pag. 494) Romanza senza parole op. 4 per pf. (pag. 663) Grande Fantasia op. 12 per pf. (pag. 828) Droling Johann Michael, Variazioni brillanti su un tema di Auber op. 41 per pf. (pag. 401) Dùtsch Otto Johann Anton, 4 Pezzi caratteristici op. 1 per pf. (pag. 997) Eberwein Maximilian Carl, 6 Studi per pf. (pag. 882) Elkamp Henri, Fantasia e Variazioni op. 15 per pf. (pag. 404) Enckhausen Henri Friedrich, Rondò in sol op. 38 per pf. (pag. 500) 1136

EndterJ.N.,

Introduzione, Variazioni e Finale sulla Canzone del mantello (pag. 404) Erfurt C.,

5 Rondò facili su motivi diAuber op. 30 per pf. (pag. 425) Commiato da Magdeburgo. Rondò op. 32 per pf. (pag. 425) Esser Heinrich, Lieder op. 4 (pag. 778) Thomas Riquiqui, ossia II matrimonio politico, Opera comica in tre atti op. 10 (pag. 929) Evers Cari, Grande Studio per pf. (pag. 887) Farrenc Louise, Variazioni su due temi russi op. 17 per pf. (pag. 404) Rondò in re maggiore per pf. (pag. 425) La Romanesca per pf. (pag. 839) Fesca Alexander, 2 Notturni op. 5 per pf (pag. 745) 3 Pezzi da salotto op. 7 per pf. (pag. 745) Trio per pf., vno e ve. (pag. 781) Scène de Bal. Morceau de Salon op. 14 per pf. (pag. 825) La Mélancolie. Pièce caracteristique op. 15 per pf. (pag. 825) Secondo Grande Trio op. 12 (pag. 917) Terzo Grande Trio op. 23 (pag. 917) FiELDjohn, Settimo Concerto per pf. (pag. 331) Nocturne pastorale per pf. (pag. 1040) Nouvelle Fantaisie per pf. (pag. 1040) Exercice nouveau per pf. (pag. 1040) Franck Eduard, Capriccio. Hommage a Clara Wieck per pf. (pag. 511) Dodici Studi per pf. (pag. 585) Capriccio op. 2 per pf. (pag. 748) 3 Pezzi caratteristici op. 3 per pf (pag. 748) Franz Robert, 12 Canti op. 1 per sop. o ten. e pf. (pag. 987) Friedburg S., Capriccio per pf. (pag. 995) Fuchs Leopold, Quartetto in do minore op. 10 (pag. 555) Quintetto in mib maggiore op. 11 per 2 vni, 2 vie e ve (pag. 563) Gade Niels Wilhelm, Fiori di primavera per pf. (pag. 953) Garcia Pauline, Die Kapelle per voce e pf. (p. 1058) 1137

Geissler Carl,

8 Romanzen und Adagios fur Physarmonika oder Orgel op. 11 (pag. 253) Genischta Joseph, Grande Sonata op. 7 per pf. e vc o vno (pag. 479) Sonata per pf. (pag. 809) Gerke Otto, Introduzione e Rondò brillante op. 26 per pf. e orch. (pag. 425) Fantasia e Rondò brillante op. 21 per pf. (pag. 502) Amusement op. 16 per pf. (pag. 509) Glanz F., Rondò caratteristico op. 2 per pf. (pag. 425) Goethe Walter von, Allegro op. 2 per pf. (pag. 744) Quattro Impromptus op. 6 per pf. (pag. 996) Poesie op. 8 per pf. (pag. 996) Goldschmidt Sigismond, Six Etudes de concert op. 4 per pf. (pag. 949) Greulich Carl Wilhelm, Terzo Grande Rondò brillante op. 22 per pf. (pag. 502) Grillparzer Camille, Rondò in la per pf. (pag. 500) Grund Friedrich Wilhelm, 12 Grandi Studi op. 24 per pf. (pag. 388) Introduzione e Rondò op. 25 per pf. (pag. 575) Grande Sonata op. 27 per pf. (pag. 713) Gutmann Adolph, Rondò facile e brillante per pf. (pag. 425) Haberbier Ernst, Coeur insensésois calme ou brise toi Studio per pf. (pag. 887) Le Ruisseau Studio per pf. (pag. 887) Halm Anton, Grande Trio op. 57 (pag. 482) Hartknoch Carl Eduard, La tendresse, plainte, la consolation (pag. 257) Nocturnes caracteristiques op. 8 per pf. (pag. 257) Secondo grande Concerto per pf. op. 14 (pag. 320) Hartmann Johan Peter Emilius, Grande Sonata concertante op. 8 per pf. e vno (pag. 479) Quattro Capricci op. 18 per pf. (pag. 509) 4 Capricci op. 18 per pf. (pag. 595) 2 Pezzi caratteristici op. 25 per pf (pag. 662) Der Rabe Opera in 3 atti op. 12 (pag. 765) Sonata per pf. (pag. 905)

1138

Haslinger Carl,

Introduzione, Variazioni e Rondò op. 1 per pf e orch. (pag. 404) Rondò in sol op. 8 per pf. (pag. 500) Variazioni brillanti su un tema di Auber op. 6 per pf. (pag. 506) Die Luftschiffer, Rondò op. 11 per pf. (pag. 575) Hauck Wenceslao, Grandi Variazioni su un tema della “Cenerentola” op. 36 per pf. (pag. 506) Hauptmann Moritz, 12 Pièces détachées op. 12 per pianoforte (pag. 257) 3 Sonate op. 23 per pf. e vno (pag. 479) Heckel Carl Ferdinand, Nontiscordardimé Rondò op. 11 per pf. (pag. 425) Heller Stephen, Introduzione e Variazioni su un teina di Hérold op. 6 per pf. (pag. 401 ) Rondò Scherzo op. 8 per pf. (pag. 425) Tre Impromptus op. 7 per pf. (pag. 439) Sonata wp. 9 per pf. (pag. 713) 24 Studi op. 16 per pf. (pag. 818) Scherzo op. 24 per pf. (pag. 950) Capriccio op. 27 per pf. (pag. 950) Fantasia op. 31 per pf. (pag. 994) Bolero op. 32 per pf. (pag. 994) Danze tedesche per pf. (pag. 1056) Helsted Cari, 6 Canti op. 1 per voce e pf. (pag. 987) Henselt Adolph, Variazioni op. 1 per pf. (pag. 437) Dodici Studi op. 2 per pf. (pag. 581) 12 Studi (Études de Salon) op. 5 per pf. (pag. 627) Scherzo op. 9 per pf. (pag. 665) Pensée fugitive op. 8 per pf. (pag. 665) Romanza op. 10 per pf. (pag. 665) 2 Notturni op. 6 per pf. (pag. 665) Air russe op. 13 trascrizione per il pf. (pag. 840) Tableau musicai op. 16 per pf. (pag. 945) Andante e Studio per pf. (pag. 1051) Impromptu per pf. (pag. 1058) Hering Carl Eduard, Divertimento per pianoforte (pag. 257) Herz Henri, Secondo Concerto per pf. op. 74 (pag. 323) Deuxième Caprice sur la Romance favorite di A. Grisar op. 84 per pf. (pag. 367)

1139

Fantasia drammatica sul Corale protestante dagli “Ugonotti" op. 89 per pf. (pag. 418) Terzo Concerto op. 87 per pf. e orch. (pag. 489) Herzberg Rodolph von, Rondò brillante op. 11 per pf. (pag. 425) Hesse Adolph, Trio op. 56 (pag. 347) Terza Sinfonia op. 55 trascrizione per pf. a 4 mani (pag. 459) Rapsodia. Hommage a Clara Wieck per pf. (pag. 509) Ouverture n. 2 op. 28 (pag. 553) Secondo Rondò op. 43 per pf. (pag. 575) Terzo Rondò op. 68 per pf. (pag. 998) Hetsch Louis, Grande Duo op. 13 per pf. e vno (pag. 1001) Hill Handley Delphine, Sonata in do minore per pf. (pag. 191) Capriccio per pf. (pag. 420) Hiller Ferdinand, Studi per pf. op. 15 (pag. 175) La danse desfantòmes per pf. (pag. 257) Concerto in fa minore per pf. op. 5 (pag. 341 ) Oratorio/)^ ZerstorungJerusalems op. 24 (pag. 799) Impromptu pour le Pianoforte per pf. (pag. 832) 5 Caprices op. 20 per pf. (pag. 832) 4 Reveries op. 21 per pf. (pag. 832) La danse des Fées op. 9 per pf. (pag. 1042) La Sérénade Prélude, Romance et Finale op. 11 per pf. (pag. 1042) Hirschbagh Hermann, Quartetto in mi minore (pag. 567) Quartetto in sib maggiore (pag. 567) Quartetto in re maggiore (pag. 567) Quintetto in do minore (pag. 567) Lebensbilderin einem Zyklus von Quartetten per quartetto d’archi (pag. 895) Primo Quartetto op. 1 (pag. 895) HopfeJuIìus,

4 Fughe a 2 voci op. 29 per pf. (pag. 979) Hornemann Emil,

12 Capricci op. 1 per pf. (pag. 952) HummelJ. N.,

Studi per pianoforte op. 125 (pag. 127) Ultimo Concerto per pf. e orch. (pag. 729) Jàhns Friedrich Wilhelm, Trio op. 10 (pag. 348) 1140

Kahlert August,

Visione. Hommage a Clara Wieck per pf. (pag. 511) 4 Nocturnes op. 4 per pf. (pag. 593) Kalkbrenner Friedrich, Quarto Concerto per pf. op. 127 (pag. 325) Variazioni su un tema di Bellini op. 13 per pf (pag. 410) Scena drammatica (“Le Fou”) op. 136 per pf. (pag. 593) 25 Grandi Studi op. 145 per pf. (pag. 687) Fantaisie sur “La Straniera” op. 123 per pf. (pag. 1043) Introduzione e Polonaise per pf. (pag. 1052) Kalliwoda Johann Wenzel, Prima Ouverture op. 38 (pag. 313) Seconda Ouverture op. 44 (pag. 313) Tre Assolo op. 68 per pf. (pag. 363) Quinta Ouverture op. 76 (pag. 553) KelbeJ.K.,

Sonata per pf. (pag. 643) Kessler Johann Cristopher,

Fantasia op. 23 per pianoforte (pag. 187) Impromptu op. 24 per pianoforte (pag. 187) Bagatelle op. 30 per pianoforte (pag. 187) 24 Preludi op. 31 per pianoforte (pag. 187) Tre Polacche op. 25 per pf. (pag. 379) 24 Studi op. 20 per pf. (pag. 386) 7 Valzer per pf. (pag. 827) Kirchner Theodor, Dieci Lieder op. 1 per voce e pf. (pag. 961) KiTTLjohn Friedrich, Sei Idilli op. 2 per pf. (pag. 598) 6 Idilli op. 1 per pf. (pag. 653) 3 Scherzi op. 6 per pf. (pag. 824) Klein Bernhard, De?' Gott und die Bajadere (Goethe) per voce e pf. (pag. 470) Ritter Toggenburg (Schiller) per voce e pf. (pag. 470) Die Braut von Korinth (Goethe) per voce e pf. (pag. 470) 7 Poesie da Bilder des Orients e dalla Frithiofssage per voce e pf. (pag. 470) Inno (da Rellstab) per voce e pf. (pag. 470) 3 Canti (da Goethe)per voce e pf. (pag. 470) Sonata op. postuma per pf. a 4 mani (pag. 642) Klein Carl August von, Trio op. 5 (pag. 351) Klein Joseph, 6 Poesie dal Wilhelm Meister di Goethe per voce e pf. (pag. 473) 1141

Das Schloss am Meere e Der Wirtin Tochterlein, due Ballate di Uhland per voce e pf. (pag. 473) Klingerberg W., Divertissement op. 3 per pf, (pag. 593) Sonata Fantasia per pf. (pag. 809) Kohler Ernst, Ricordo di Bellini op. 54 per pf. (pag. 418) Rondò elegante con Introduzione op. 47 per pf. (pag. 425) Toccata. Hommage a Clara Wieck per pf. (pag. 511) Kontski Anton von, 6 Studi per pf. (pag. 957) Kossmaly Carl, 6 Canti per voce e pf. (pag. 987) Krebs Carl, Introduzione e Variazioni su un tema di Auber op. 41 per pf. (pag. 401 ) Introduzione e Rondò op. 40 per pf. (pag. 575) Grande Fantasia su temi dalla “Lucrezia Borgia”di Donizetti op. 121 per pf. (pag. 998) Krug Gustav, Grande Duo op. 3 per pf. e vno (pag. 1001) Kùchen Friedrich, 2 Duetti in forma di Sonata op. 13 per pf. e vno o ve. e fi. (pag. 479) Kufferath Hubert Ferdinand, 6 Studi da concerto op. 2 per pf. (pag. 883) Sei Lieder (di R. Burns) op. 7 per voce e pf. (pag. 911) Studi op. 8 per pf. (pag. 950) Capriccio op. 1 per pf. e orch. (pag. 983) Kulenkamp Georg Cari, Capriccio in re minore per pf. (pag. 361 ) La “Caccia” quadretto musicale umoristico a quattro mani op. 49 per pf. a 4 mani (pag. 418) 3 Notturni op. 42 per pf. (pag. 420) Variazionifacili e brillanti su un fandango op. 51 per pf. (pag. 505) Impromptu op. 47 per pf. (pag. 1045) Kullak Theodor, 24 Studi da concerto op. 2 per pf. (pag. 815) Rève, Pièce de Salon op. 4 per pf. (pag. 839) Sonata op. 7 per pf. (pag. 956) Lachner Franz, Sonata op. 39 per pianoforte (pag. 237) Terza Sinfonia in re minore op. 41 trascrizione per pfa 4 mani (pag. 459) Sesta Sinfonia op. 56 (pag. 680) LachnerIgnaz, Sonata op. 20 per pf. (pag. 955)

1142

Lachner Vincent,

Sinfonia passionata op. 52 (pag. 301) Rondino in mib per pf. (pag. 502) Lacombe Louis, Sonata fantastica op. 1 per pf. (pag. 713) Capriccio op. 2 per pf. (pag. 744) Ladurner Joseph Alois, Fantasia, Fuga e Sonata su un tema di Hàndel per pf. (pag. 415) Lasekk C., Concertino per pf. op. 10 (pag. 340) Concertino brillante per pf. (pag. 592) Le Carpentier, Adolph, Capriccio su una Romanza di Grisar op. 110 per pf. (pag. 420) Lecere J. A., Sonata per pf. (pag. 810) Leonhard Julius Emil, Sonata per pf. (pag. 905) Lickl Cari Georg, Immagini di Ischi op. 57 per pf. (pag. 747) Fiori di Gastein Dieci Rapsodie op. 59 per pf. (pag. 837) 6 Elegie op. 63 per pf. (pag. 999) Lindpaintner Peter, Kriegerische Jubeloverture op. 109 (pag. 963) Liszt Franz, 72 Studi op. 1 per pf. (pag. 687) 72 Grandi Studi per pf. (pag. 687) Studi di bravura dai Capricci di Paganini (prima versione) per pf (pag. 885) Improvisata op. 10 n.l per pf. (pag. 1045) Nocturne sur le Chant Montagnard op. 10 n.2 per pf. (pag. 1045) Rondeau op. 10 n.3 per pf. (pag. 1045) Loewe Carl, Grande Sonata op. 33 per pianoforte (pag. 191) Grande Sonata op. 41 per pianoforte (pag. 191) La Primavera Poema in forma di Sonata op. 47 per pianoforte (pag. 235) Esther ciclo di Lieder in forma di Ballate in cinque parti (di L. Giesebrecht) per voce e pf. (pag. 469) Johann Huss, Oratorio op. 82 (pag. 933) Lorenz Oswald, Mignons Lied per voce e pf. (pag. 1056) Lòvenskiold Hermann von, Trio (pag. 354) 4 Impromptus caratteristici informa di Scherzo op. 8 per pf. (pag. 830)

1143

4 Impromptus op. 11 per pf. a 4 mani (pag. 830) Pezzi caratteristici per pf. (pag. 952) Lùders Konrad, 72 Grandi Studi op. 26 per pf. (pag. 494) Marschner Heinrich, Grande Ouverture solenne op. 78 (pag. 315) Bilderdes Orients (di H. Stieglitz) op. 90 per voce e pf. (pag. 472) Duepezzi caratteristici op. 105 per pf. (pag. 840) Grande Trio op. Ill (pag. 920) Marxsen Eduard, 3 Impromptus per la mano sinistra op. 33 per pf. (pag. 660) 3 Pezzi (Piecesfugitives) op. 31 per pf. (pag. 660) Romanza senza parole op. 37 per pf. (pag. 752) Sette Variazioni su un tema russo op. 14 per pf. (pag. 996) MathieuxJ.,

Trinklied per voce e pf. (pag. 1058) Mayer Carl,

6 Studi op. 31 (pag. 387) Variazioni su un tema di Auber op. 31 per pf. (pag. 410) Grandi Variazioni brillanti su un tema russo op. 32 per pf. (pag. 410) Tre grandi Rondò brillanti (pag. 502) Grande Fantasia op. 54 per pf. (pag. 604) 6 Studi op. 55 per pf. (pag. 817) 3 Grandes Etudes op. 61 (pag. 977) Mendelssohn-Bartholdy Felix, 7 Pezzi caratteristici per pf. op. 7 (pag. 257) Capriccio per pf. op. 5 (pag. 257) Sonata in mi maggiore op. 6 per pf (pag. 283) Tre Capricci op. 33 per pf. (pag. 370) Preludi e Fughe op. 35 per pf. (pag. 443) Sei Romanze senza parole III fase. op. 38 per pf. (pag. 463) Concerto op. 40 per pf. e orch. (pag. 623) Sonata op. 45 per pf. e ve. (pag. 640) Serenata e Allegro per pf. e orch. (pag. 729) Trio in re minore op. 49 per pf. vno e ve. (pag. 782) Sei Romanze senza parole IV fase. op. 53 per pf. (pag. 837) Sinfonia La Scozzese op. 56 (pag. 972) Pagenlied per voce e pf. (pag. 1056) Mereaux Amadeus, Grande Fantasia su un tema di Halévy op. 42 per pf. pag. 415) Meyer L. Edler von, Salon op. 4 per pf. (pag. 379) Mohs A.F., Rondò ins& op. 3 per pf. (pag. 425) 1144

Momy Valerie,

Rondò con Introduzione op. 4 per pf. 517 (pag. 500) Montag C.,

Due Studi op. 3 per pf. (pag. 882) Moscheles Ignaz,

Grande Settimino per pf., vno, via cl., cor., vie. e cb. op. 88 (pag. 242) Ouverture per La Pulzella d’Orléans op. 91 (pag. 314) Quinto Concerto per pf. op. 87 (pag. 332) Sesto Concerto (Concert fantastique) per pf. op. 90 (pag. 332) Grande Duo op. 92 per 2 pf. (Omaggio a Hàndel) (pag. 358) Rondò su una melodia scozzese per pf. (pag. 425) Rondò brillante con Introduzione su un tema di Dessauer op. 94 per pf. (pag. 425) Studi caratteristici op. 95 per pf. (pag. 587)/ Fantasia op. 94 b per pf. (pag. 604) Concerto op. 93 per pf. e orch, (pag. 623) Romanesca op. 104 per pf. (pag. 941 ) Serenata op. 103 per pf. (pag. 942) Impromptu op. 89 per pf. (pag. 1039) Rhapsodie champètre per pf. (pag. 1052) Muller, Christian Gottlieb, Terza Sinfonia op. 12 (pag. 459) Nicolai Otto, Sonata op. 27 per pf. (pag. 947) NiSLEjohann, Tema con Variazioni op. 44 per pf. (pag. 505) Allegro brillante op. 45 per pf. (pag. 509) Grande Sonata op. 41 per pf. a 4 mani (pag. 519) Nottebohm Gustav, Sei Romanesche op. 2 per pf. (pag. 954) Nowakowski Józef, Variazioni brillanti su un tema originale op. 12 per pf. (pag. 410) 2 Polacche op. 14 per pf. (pag. 655) Osborne Georg Alexander, Variazioni su un tema di Donizetti op. 6 per pf. (pag. 410) Variazioni brillanti su un tema di Halévy op. 21 per pf. (pag. 506) Variazioni brillanti su un tema di Meyerbeer op. 24 per pf. (pag. 506) Otto Franz, Phalènes op. 15 (pag. 364) Pearson Henry Hugh, 6 Lieder (di R. Burns) op. 7 per voce e pf. (pag. 913) Pesadori Antoinette, Introduzione e Rondò per pf. (pag. 575)

1145

Philipp B.E.,

Notturno. Hommage a Clara Wieck per pf. (pag. 509) 12 Studi e pezzi caratteristici (Songe et vérité) op. 28 per pf. (pag. 687) Trio in fa minore per vno, ve. e pf. (pag. 779) Pirkhert Eduard, Andante e Studio op. 1 per pf. (pag. 889) Pixis Johann Peter, Studi informa di Valzer op. 80 per pf. (pag. 383) Trio n.6 per vno, ve. e pf. (pag. 782) Pocci Franz Conte von, Sonata in do maggiore per pianoforte (pag. 236) Sonata Primavera per pianoforte (pag. 236) PoHLjoseph, Caprices en forme dUanglaises dans le 24 tons de la gamme per pianofor­ te (pag. 257) Divertissements ossia Esercizi in forma di Scozzesi per pf. (pag. 384) Pollini Francesco, Toccata op. 56 per pf. (pag. 362) Proche Franz, 6 Variazioni su un tema originale di carattere elegiaco op. 27 per pf. (pag. 993) Prudent Emile, Grandi Variazioni su un tema di Meyerbeer op. 2 per pf. (pag. 404) QuillingJ.K.,

Studi op. 10 per pf. (pag. 819) Ravina Henri,

25 Études caracteristiques per pf. (pag. 977) Raymond Eduard,

Prima Sinfonia op. 17 trascritta per pf. a 4 mani (pag. 680) Reichel Adolph,

Sonata op. 4 per pf. (pag. 955) Reissinger Carl,

Trio n. 8 op. 97 (pag. 353) Trio n. 9 op. 103 (pag. 353) Terzo Grande Quartetto op. 108 per pf. vno, via e ve. (pag. 484) Quartetto il la maggiore op. 11 n. 1 (pag. 559) 3 Piccoli Rondò op. 22 per pf. (pag. 575) Prima Sinfonia op. 120 trascritta per pf. a 4 mani (pag. 678) Adèle de Foix, Grande Opera in quattro atti (riduzione per canto e pf.) (pag. 925) Reuling, Wilhelm, Grande Trio op. 75 (pag. 918) RieffelH.W.,

Geistliches Lied e Ermunterung per 4 voci maschili (pag. 1056)

1146

RfETZjuliuS, Scherzo capriccioso op. 5 per pf. (pag. 947) Ouverture per Hero und Leander op. 11 per pf. a 4 mani (pag. 964) Ries Ferdinand, Nono Concerto per pf. op. 177 (pag. 327) 6 Exercices op. 31 per pf. (pag. 388) Introduzione e Rondò alla zingaresca op. 181 per pf. (pag. 425) Grande Sonata op. 175 per pf. (pag. 519) Quattro Lieder da Lord Byron op. 179 per voce e pf. (pag. 476) Introdiictìon et Rondeau op. 182 n. 1 per pf. (pag. 1045) Introduction et Rondeau op. 182 n. 2 per pf. (pag. 1045) Rochlitz Johann Friedrich, Introduzione e Variazioni su un tema originale op. 7 per pf. (pag. 401 ) Ròckel Eduard, Cantabile op. 4 per pf. (pag. 999) Scherzo op. 5 per pf. (pag. 999) Rosenhain Jakob, Trio op. 2 (pag. 344) Ricordo. Romanza per pf. (pag. 420) 4 Romanze op. 14 per pf. (pag. 656) Romanza (Morceau de Salon) op. 15 per pf. (pag. 656) 12 Studi caratteristici op. 17 per pf. (pag. 687) 24 Studi (Études mélodiques) op. 20 per pf. (pag. 815) Rubistein Anton, Ondina Studio per pf. op. 1 (pag. 979) Ruckgaber John, Ricordo di Bellini op. 35 per pf. (pag. 418) Variazioni su un tema originale op. 32 per pf. (pag. 505) Rummel Christian, Fantasia e Variazioni su un tema di Donizetti op. 80 per pf. (pag. 401 ) Ricordo di Sabine Heinefetter op. 79 per pf. (pag. 418) ScHADjoseph, Rondeausuisse op. 4 per pf. (pag. 1045) Airsuisse varie op. 3 per pf. (pag. 1045) SchafferJuIìus,

3 Romanze senza parole op. 4 per pf. (pag. 826) SchaplerJuIìus,

Quartetto (pag. 891) Fantasia capricciosa per pf. (pag. 948) Schefer Leopold, Grande Sonata op. 30 per pf. (pag. 591) Padre nostro op. 27 per 4 cori (pag. 591) ScHMirrAloys, Rondò in mil> op. 78 per pf. (pag. 502) 1147

Rondò brillante op. 101 per pf. e orch. (pag. 984) Schmitt Jakob,

Rondò brillante in mil op. 250 per pf. (pag. 502) Grande Fantasia brillante (Douleur et triomphe. Inspiration musicale) op. 225 per pf. (pag. 509) Fantasia op. 268 per pf. (pag. 656) Caccia alla volpe. Fantasia op. 280 per pf. (pag. 656) Schnabel Carl, Fantasia su motivi da opere di Bellini op. 14 per pf. (pag. 415) Schneider Johann, 3 Notturni op. 1 per pf. (pag. 743) SCHORNSTEIN E.H., Primo Concerto per pf. op. 1 (pag. 316) Schuberth Louis, Quartetto op. 23 per pf. vno, via e ve. (pag. 484) Souvenir à Beethoven Grande Fantasia in forma di Sonata op. 30 per pf. (pag. 512) Sonata L'espérance op. 25 per pf. (pag. 519) Schubert Franz, Moments musicaux op. 94 per pf. (pag. 257) Sonata in la minore op. 42 per pf. (pag. 283) Sonata in re maggiore op. 53 per pf. (pag. 283) Fantasia o Sonata in sol maggiore op. 78 per pf. (pag. 283) Sonata in sik maggiore op. 30 per pf. a 4 mani (pag. 283) Trio op. 99 (pag. 357) Primi Valzer op. 9 fase. 1 per pf. (pag. 379) Danze tedesche op. 33 per pf. (pag. 379) Grande Duo op. 140 per pf. a 4 mani (pag. 547) Tre Grandi Sonate per pf. (pag. 547) 4 Impromptus op. 142 per pf. (pag. 602) Grande Sonata op. 143 per pf. (pag. 642) Sinfonia in do maggiore n. 6 (pag. 723) Schumann Robert, VI Etudes de Concert d’après des Caprices de Paganini op. 10 per pf. pag. 392) Concert sans orchestre op. 14 per pf. (pag. 492) Sinfonia in sii maggiore (pag. 967) Studi dai Capricci di Paganini op. 3 (pag. 1029) Intermezzo per pf. (pag. 1056) Schunke Cari, Grandi Variazioni di bravura su un tema di Halévy op. 32 per pf. (pag. 410) Grande Capriccio caratteristico su un tema di Meyerbeer op. 46 per pf. (pag. 509) 1148

Schunke Louis (o Ludwig),

Grande Sonata op. 3 per pf. (pag. 191) 2 Pieces caracteristiques op. 13 per pf. 4 mani (pag. 257) Primo Capriccio op. 9 per pf. (pag. 372) Secondo Capriccio op. 10 per pf. (pag. 372) Variazioni da concerto su un tema di Schubert op. 14 per pf. (pag. 410) Schwenke Carl, 3 Maree op. 50 per pf a 4 mani (pag. 659) Amusement op. 55 per pf. (pag. 659) Sechter Simon, 12 Studi contrappuntistici op. 62 per pf. (pag. 661) Seyler Carl, Premier Trio con pf. (pag. 780) Sobolewski F.E., Trio in lab 'maggiore (pag. 563) Oratorio Der Erlbser (pag. 799) Spath Andreas, Divertissement op. 151 perpf. (pag. 1045) Spohr Louis, Sinfonia n. 4 (Die Weihe der Tone) op. 86 (pag. 203) Quartetto brillante in la maggiore op. 97 (pag. 555) Trio op. 119 (pag. 922) Sinfonia n. 6 (Historische Sinfonie) op. 116 (pag. 968) Sinfonia n. 7 (Irdisches und Gottliches im Menschenleben) (pag. 969) Sponholtz Adolph Heinrich, Phantasiebilder op. 10 per pf. (pag. 823) Sei Studi caratteristici op. 9 per pf. (pag. 881 ) Stamaty Camille, Concerto in la minore op. 2 per pf. e orch. (pag. 487) Variazioni brillanti su u tema originale op. 3 per pf. (pag. 506) Stegmayer Ferdinand, Sei canti op. 13 per voce e pf. (pag. 473) Stocks J., Variazioni brillanti su un tema diAuber per pf. (pag. 505) Stòckhardt Robert, Pezzo lirico per pf. (pag. 751) Stern Julius, Gestliche Ouverture op. 9 (pag. 963) Stolze Heinrich Wilhelm, Introduzione Variazioni e Finale su un tema russo op. 37 per pf. a 4 mani (pag. 404) Introduzione e Variazioni su un tema russo op. 29 per pf. (pag. 506) Strube Ch.H.,

Romanze senza parole op. 16 per pf. (pag. 826)

1149

Szymanowska Maria,

12 Studi per pf. (pag. 385) Taubert Wilhelm,

Grande Sonata op. 20 per pianoforte (pag. 191) An die Geliebte Otto Minnelieder per pf. op. 16 (pag. 245) Concerto per pf. op. 18 (pag. 328) Miniatures op. 23 per pf. (pag. 369) Tuttiifrutti op. 24 per pf. (pag. 369) 6 Impromptus caractéristiques op. 14 per pf. (pag. 369) Primo Trio op. 32 (pag. 482) Primo Quartetto op. 19 per pf. vno. via e ve. (pag. 482) Improvviso brillante su un tema di Meyerbeer op. 25 per pf. (pag. 512) Bacchanale. Divertimento brillante op. 28 per pf. e orch. (pag. 512) 12 Studi op. 40 per pf. (pag. 627) Ricordi di Scozia op. 30 per pf. (pag. 663) Sei Minnelieder op. 45 per pf. (pag. 664) Sonata n. 5 per pf. (pag. 811) La Najade, Pièce concertante pour le Pianoforte op. 49 (pag. 834) Suite op. 50 per pf. (pag. 834) Capriccio per pf. (pag. 1053) Tedesco Ignaz, Fantasia su motivi da “Roberto il diavolo” op. 6 per pf. (pag. 509) Serenata op. 8 per pf. (pag. 744) Thalberg Sigismund, Grande Concerto per pf. op. 5 (pag. 322) Caprice op. 15 per pf. (pag. 365) 2 Nocturnes op. 16 per pf. (pag. 365) 12 Valzer op. 4 per pf. (pag. 379) Variazioni su due temi russi op. 17 per pf. (pag. 404) Fantasia su un tema dagli “Ugonotti” op. 20 per pf. (pag. 415) 12 Studi op. 26 per pf. (pag. 627) 3 Notturni op. 21 per pf. (pag. 512) Grande Fantasia op. 22 per pf. (pag. 512) 12 Studi op. 26 per pf. (pag. 627) Notturno op. 28 per pf. (pag. 657) Andante op. 32 per pf (pag. 657) Fantasia su temi dal “Mosè”di Rossini op. 33 per pf. (pag. 657) Scherzo op. 31 per pf. (pag. 831) Grande Nocturne op, 35 per pf. (pag. 831) La Cadence, Impromptu en forme d'Etude op. 36 per pf. (pag. 831 ) Souvenir de Beethoven. Fantaisiepor le Pianoforte op. 59 (pag. 831 ) Theme originai et Etude op. 45 per pf. (pag. 946) Valzer brillante op. 47 per pf. (pag. 994) Fantaisie sur “Norma” op. 12 per pf. (pag. 1043) 1150

Thomas Ambrosius,

6 Caprices en forme de valses caracteristiques op. 4 per pf. (pag. 257) Trio op. 2 (pag. 349) Tomaschek Wenzel Johann, Sei Canti boemi di W. Hanka op. 71 per voce e pf. (pag. 476) Triest H., 4 Canti op. 1 per bas. o bar. e pf. (pag. 475) 6 Canti op. 2 per voce e pf. (pag. 475) Sonata op. 4 per pf. (pag. 519) Trutschel A.L.E., Grande Sonata op. 8 per pf. a 4 mani (pag. 519) Veit Wenzel Heinrich, Secondo Quartetto op. 5 (pag. 563) Notturno op. 6 per pf. (pag. 747) Introduzione e Polacca op. 11 per pf. (pag. 747) Lieder (pag. 777) VerhulstJ. J. H., Quartetto in lab maggiore (pag. 555) Ouverture per Gysbrecht von Amstel in do minore (pag. 670) Due Quartetti per archi op. 6 (pag. 895) Vollweiler Carl, Sonata per pf. (pag. 905) 3 Etudes mélodiques op. 4 per pf. (pag. 977) Voss Carl, Il sogno della sposa del guerriero, Improvviso per la mano sinistra op. 38 per pf. (pag. 980) Weber Carl Maria von, Fantasia Les Adieux per pf. (erroneamente attribuita) (pag. 512) Weber Fredrich Dionys, Variazioni di bravura per pf. (pag. 942) Wenzel Ernst, Les adieux de St. Petersbourg per pianoforte (pag. 257) Weyse Christoph Ernest Friedrich, Studio p. 51 per pf. (pag. 390) Ouverture per Kenilworth trascrizione per pf. a 4 mani (pag. 553) Quattro Studi op. 60 per pf. (pag. 586) Wieck Clara, Vaises Romantiques op. 4 per pf. (pag. 379) Soirées op. 6 per pf. (pag. 441) Wielhorsky Joseph Conte di, Tre Notturni op. 2 per pf. (pag. 599) Willmers Rudolph, 6 Studi op. 1 per pf. (pag. 687) Anelito sulla riva del mare, Pittura musicale op. 8 per pf. (pag. 981)

1151

Grande Fantasia su un tema di Pruine op. 9 per pf. (pag. 981) Grandi Variazioni da concerto su un tema di Bellini op. 10 per pf. (pag. 981) Nocturne op. 12 per pf. (pag. 981) Wilsing Friedrich Eduard, Sonate per pf. (pag. 638) Capriccio op. 6 per pf. (pag. 824) Fantasia op. 10 per pf. (pag. 954) Winkhler Cari A., Rondò brillante op. 45 per pf. (pag. 425) Rondò brillante op. 46 per pf. (pag. 425) Wittmann Carl, Sei Studi op. 6 per pf. (pag. 888) WolfJ. Louis, Trio op. 6 (pag. 349) Wolff Eduard, 24 Studi op. 20 per pf. (pag. 816) 4 Rapsodie op. 29 per pf. (pag. 828) Zimmermann S.A., Rondò in lab op. 5 (pag. 500) Zòllner Cari, Liebesfruhling (di F. Ruckert) per voce e pf. (pag. 912)

1152

Indice dei concerti recensiti

Art. 4. Concerto (pag. 135) Henri Vieuxtemps e Louis Lacombe Art. 5. Un Concerto in chiesa (pag. 139) L. van Beethoven. Christus am Òlberg. Kyrie e Gloria dalla Missa Solemnis Art. 23. Ignaz Moscheles (pag. 271) Concerto del 9 ottobre 1835 Art. 24. Lettere di un sognatore (Recensione dei primi Concerti diretti da Mendelssohn al Gewandhaus) (pag. 273) Art. 29. L’Ouverture per La fiaba della bella Melusina di F. Mendelssohn-Bartholdy (pag. 309) Ascoltata per la prima volta ai concerti di Lipsia nel dicembre 1835 Art. 42. Festa musicale a Zwickau (12 luglio 1837) (pag. 463) Art. 43. Un concerto in chiesa a Lipsia (23 luglio 1837) (pag. 467) Art. 50. Frammenti da Lipsia (pag. 523) Recensione dei concerti tenuti al Gewandhaus nell’inverno 18361837 Art. 51. Visione, sera del 9 settembre (1838) (pag. 545) Concerto di Clara Wieck Art. 63. Uno sguardo retrospettivo sulla vita musicale a Lipsia nell’in­ verno 1837-1838 (pag. 607) Art. 67. Il Paulus di Mendelssohn a Vienna (pag. 633) Da una lettera del 2 marzo (1839) Art. 76. Camilla Pleyel (pag. 701) Art. 82.H. W. Ernst (Concerto del 14 gennaio 1840) (pag. 733) All. 84. Die Zerstorung Jerusalems (pag. 739) Oratorio di Ferdinand Hiller Prima esecuzione a Lipsia Art. 87. Franz Liszt (pag. 753) (Recensione del concerto tenuto a Dresda il 16 marzo 1840) Art. 90. Un concerto d’organo di Mendelssohn (pag. 771) (Lipsia 1840)

1153

Art. 93. La vita musicale a Lipsia nell’inverno 1839-1849 (pag. 785) Art. 97. S. Thalberg (pag. 821) Concerto dell’8 Febbraio a favore del Fondo-Pensioni per musicisti Art. 100.1 concerti in abbonamento a Lipsia, 1840-1841 Primo concerto in abbonamento, 4 ottobre (pag. 847) H. Marschner, Ouverture per II Vampiro V. Bellini, Arie (dai Puritani e dalla Norma) F. David, Concertino per violino L. van Beethoven, Sinfonia Eroica Secondo concerto in abbonamento, 11 ottobre (pag. 848) C. M. von Weber, Ouverture per VEuryanlhe G. Donizetti, Aria Ch. Mùller, Concertino per trombone V. Bellini, Aria L. van Beethoven, Sinfonia in szt maggiore Terzo concerto in abbonamento, 22 ottobre (pag. 850) W. A. Mozart, Sinfonia in mib maggiore G. Donizetti, Aria F. David, Concerto per violino L. Spohr, Ouverture per Der Berggeist [Lo spirito della montagna] M. W. Balfe, Aria H. Marschner, Klànge aus Osten [Suoni dall’oriente], Ouvertu­ re, Lider e Cori Quarto concerto in abbonamento, 29 ottobre (pag. 852) C. W. Gluck, Introduzione e Scena prima dM'Efigenia in Tauride J. Rietz, Ouverture da concerto G. Rossini, Aria con Coro J. W. Kalliwoda, Divertimento per flauto F. Schubert, F. Mendelssohn, Lieder (Der Wanderer; Auf Fliigeln des Gesanges) F. Schubert, Sinfonia Quinto concerto in abbonamento, 5 novembre (pag. 853) F. J. Haydn, Sinfonia in sol maggiore W. A. Mozart, Ària (dal Figaro) F. Kufferath, Capriccio per pianoforte e orchestra G. Donizetti, Aria L. van Beethoven, Due Ouverture (n. 1 e 2) per la Leonora F. Kufferath, Tre Studi per pianoforte G. Rossini, Duetto Sesto concerto in abbonamento, 12 novembre (pag. 855) W. Sterndale Bennett, Ouverture La ninfa nel bosco C. M. von Weber, Aria (dal Freischutz) 1154

B. Romberg, Solo per violoncello W. A. Mozart, Cavatina F. A. Kummer, Fantasia per violoncello F. J. Haydn, Recitativo e Coro finale dalla Creazione L. van Beethoven, Sinfonia in la maggiore Settimo concerto in abbonamento, 26 novembre (pag. 856) J. W. Kalliwoda, Sinfonia in si minore G. Donizetti, Aria F. A. Reissiger, Fantasia per clarinetto C. M. von Weber, Ouverture per WFreischutz J. Mayseder, Concertino per violino G. Rossini, Scena per un Coro Concerto a favore del Fondo per musicisti anziani e ammalati, 3 dicembre (pag. 856) C. M. von Weber,Jubelouverture L. van Beethoven, Fantasia per pianoforte, coro e orch. F. Mendelssohn-Bartholdy, Lobgesang, Sinfonia-Cantata Ottavo concerto in abbonamento, 10 dicembre (pag. 858) L. van Beethoven, Sinfonia in fa maggiore S. Thalberg, Adagio e Rondò per pianoforte G. Rossini, Finale dal Guglielmo Teli L. Cherubini, Ouverture A. von Henselt, F. Chopin, Due Studi per pianoforte G. Spontini, Ensemble dal Cortez Nono concerto in abbonamento, 16 dicembre (pag. 859) C. M. von Weber, Ouverture per VOberon W. A. Mozart, Aria dal Figaro L. van Beethoven, Sonata (in la maggiore) per pianoforte e violino F. Mendelssohn-Bartholdy, Lobgesang, Sinfonia-Cantata Decimo concerto in abbonamento, 1° gennaio 1841 (pag. 860) G. F. Hàndel, Inno W. A. Mozart, Ouverture per il Flauto magico H. Vieuxtemps, Variazioni per violino L. van Beethoven, Meerestille undglukliche Fahrt C. A. de Bériot, Solo per violino T. Bòhn, Variazioni per flauto L. van Beethoven, Sinfonia in do minore Undicesimo concerto in abbonamento, 7 gennaio 1841 (pag. 861) L. van Beethoven, Ouverture W. A. Mozart, Aria A. Lindner, Concertino per violoncello G. Meyerbeer, Scena e Aria A. J. Romberg, Capriccio per violoncello 1155

L. Spohr, Historische Sinfonie Dodicesimo concerto in abbonamento, 14 gennaio (pag. 864) C. M. von Weber, Ouverture (per Preziosa) G. S. Mercadante, Aria Diethe, Divertimento per oboe L. van Beethoven, Aria (dal Fidelio) L. van Beethoven, Concerto per pianoforte F. Lachner, Sinfonia in re minore Concerti in abbonamento dai tredicesimo al sedicesimo (pag. 865) J. S. Bach, Fantasia cromatica Mottetto a doppio coro Ich lasse dicht nicht Ciaccona per violino Crucifixus, Ressurrexit e Sanctus dalla Messa in si minore G. F. Hàndel, Ouverture dal Messia Tema con Variazioni per pianoforte Quattro doppi Cori da Israele in Egitto J. Haydn, Introduzione, Recitativo e Aria dalla Creazione Quartetto per archi Gott erhalte Franz den Kaiser Mottetto Du bist’s, dem Ruhm und Ehre gebuhret Sinfonia in sib maggiore Caccia e vendemmia dalle Stagioni W. A. Mozart, Ouverture dal Tito Concerto in re minore per pf. Due Lieder Sinfonia in do maggiore (Jupiter) L. van Beethoven, Ouverture in do maggiore per la Leonora Kyrie e Gloria dalla Messa in do maggiore op. 86 Concerto per violino Adelaide Nona Sinfonia Diciassettesimo e diciottesimo concerto in abbonamento (pag. 868) J. W. Kalliwoda, Sesta Sinfonia Lipinsky, Concerto per violino C. M. von Weber, Gebt von der Schlact F. Mendelssohn-Bartholdy, DerJàger Abschied per quattro voci G. Meyerbeer, Aria da Roberto il diavolo L. Maurer, Sinfonia G. I. Onslow, Ouverture per DerAlkalde J. Merk, Variazioni per violoncello F. W. Haake, Variazioni per fagotto Diciannovesimo concerto in abbonamento (pag. 870) H. W. Veit, Ouverture da concerto G. Meyerbeer, Aria C. Reichard, Jàgers Qual, Lied per voce, pf., cl., cno, vcl. e ob.

1156

F. David, Variazioni per violino sul tema di Schubert Lob der Trdnen L. van Beethoven, An die feme Geliebte, ciclo di Lieder L. van Beethoven, Seconda sinfonia Ventesimo concerto in abbonamento, 18 marzo (pag. 872) L. van Beethoven, Sinfonia Pastorale W. A. Mozart, Aria L. Spohr, Concerto per violino W. A. Mozart, Finale dal Tito F. Mendelssohn, Ouverture H. Schmidt, Duetto e Terzetto dall’opera Heinrich und Fleurette F. Prume, La Mélancolie Lieder di F. Schubert, C. M. von Weber e F. Mendelssohn Art. 115. Antonio Bazzini (pag. 975) Art. 125. Taccuino teatrale (1847-1850) (pag. 1015) F. Boieldieu,j£fln de Paris (4 Maggio 1847, a Dresda) H. Marschner, TeviplerundJùdin (8 maggio 1847) C. W. Gluck, Ifigenia in Aulide (ì 5 maggio 1847) R. Wagner, Tannhauser (fi agosto 1847) G. Donizetti, La Favorita (30 agosto 1847) C. M. von Weber, Euryanthe (23 settembre, 1847) G. Rossini, Il Barbiere di Siviglia (novembre 1847) D. F. E. Auber, La muta di Portici (22 febbraio, 1848) C. M. von Weber, Oberon (18 marzo 1848) G. Spontini, Fernando Cortez (27 luglio 1848) L. van Beethoven, Fidelio (11 agosto 1848) D. Cimarosa, Il matrimonio segreto (19 giugno 1849) L. Cherubini, Ilportatore d'acqua (8 luglio 1849) G. Meyerbeer, Ilprofeta (2 febbraio 1850) App. 11. Reminiscenze dell’ultimo concerto di Clara Wieck a Lipsia (pag. 1081) App. 14. Un concerto di Liszt (13 dicembre 1841) (pag. 1091)

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Scritti di vario genere

Art. 6. Dal taccuinino dei pensieri e di poesia di Maestro Raro, Florestano ed Eusebio, (pag. 141) (Seguire la musica con la partitu­ ra. Dopo la Sinfonia in re minore. La ricchezza della gioventù. Recensori. I Plastici. Clara. Anna von Belleville e Clara. Il Genio. I Puritani della musica. Dei fanatici del contrappunto. Del suonare il pianoforte. Chopin. Ouverture per la Leonora. Una Sinfonia di N. Critico e Recensore. Recensori. I contrappuntisti. Modestia sfac­ ciata. Dell’apportare modifiche alla composizione. Concorso a premi. La musica dei paesi tropicali. La rappresentazione del momento nella sua durata. Berlioz. In merito alla proposta di Gottschalk Wedel di tradurre in tedesco tutti i termini musicali. La società musicale cittadina e comunale di Kyritz, una brutta avven­ tura di Florestano.) Art. 7. Per l’apertura dell’annata 1835 (pag. 167) Art. 8. Un discorso di carnevale di Florestano. Tenuto dopo un’esecu­ zione dell’ultima Sinfonia di Beethoven (pag. 171) Art. 18. Lo psicometro (pag. 249) Art. 19. Caratteristica delle tonalità (pag. 255) Art. 21. Aforismi (Il predominio. Il dilettantismo) (pag. 265) Art. 22. Il comico della musica (pag. 267) Art. 26. Aforismi (pag. 287) (Virtuosi compositori. Vedere la musica. Del suonare in pubblico a memoria. Ispirarsi ad un testo. Rossini. La visita di Rossini a Beethoven. Italiano e tedesco Art. 27. Un monumento a Beethoven (pag. 293) Art. 33. Gli Studi per pianoforte ordinati secondo i loro scopi tecnici (pag. 395) Art. 39. Rapporto a Jeanquirit (ad Augsburg) sull’ultimo ballo storico­ musicale a casa del redattore*** (pag. 447) Art. 40. Dai libri della Lega dei Fratelli di Davide. Il vecchio capitano Art. 48. Antiche musiche per tastiera. (Pezzi scelti per tastiera di celebri Maestri del XVII e XVIII secolo, raccolti da C. F. Becker) (pag. 517) 1159

Art. 69.1 Romantici diabolici (pag. 645) Art. 70. Antiche musiche per tastiera (pag. 647) Art. 77. Ricordo di un'amica (Di Eusebio) (pag. 705) Art. 79. Per l’apertura dell’annata 1840 (pag. 721 ) Art. 85. Alexis Lwoff (pag. 741) Art. 105. Le Ouvertures per la Leonora di Beethoven (pag. 901) Art. 122. Aforismi (pag. 1005) Art. 124. Niels W. Gade (pag. 1011) Art. 126. Regole di vita musicale (pag. 1019) App. 8. Il Fratello della Lega di Davide (La vita musicale a Lipsia. Primo articolo) (pag. 1061) App. 9. Contemporanei (Anna Caroline von Belleville. Leopoldine Blahetka) (pag. 1073) App. 10. Notizia biografica su Clara Wieck (pag. 1077) App. 13. Attestato d’onore per Rudolpf Willmers (pag. 1089) App. 15. Vie nuove (pag. 1093)

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Indice dei nomi

Alkan C. V., 40.42. 54,55,384, 584,652 Andersen H. C., 765 Anfossi M., 302 Anger L., 612 Attern W., 533, 967 Auber D. F. E., 274, 329, 387, 402, 403, 411,487,500,507,561,565,1017

Bach C. P. E., 57,58,59,130,648 Bach J. S., 50, 57, 58, 75,90,91, 113, 130, 142, 178, 184, 236, 261, 271, 272, 296, 297, 389, 395, 397, 398, 399, 400, 401, 421, 442, 443, 444, 445, 467, 488, 494, 506, 517, 523, 529, 530, 538. 548, 558, 566, 579, 580, 583, 601, 607, 609, 610, 615, 623, 624, 626, 628, 638, 642, 647, 648, 649, 650, 664, 679, 693, 729, 749, 757, 759, 762, 771, 772, 773, 805, 841, 842,843,865,866,881,909,1022,1055 Baillot, 562 BalfeM. W.,850 Banck K., 414,453 Baroni-Cavalcabò von Webenau J., 360, 595, 599,746 Bartók, B. 108 Bazzini A., 975,976 Becher A. J., 420,423 Becker K. F..5I7 Beenhaver J. De, 88 Beethoven L. van, 23, 28, 29, 31, 32, 50, 51, 53, 54, 57, 59, 68, 69, 70, 76, 81, 82, 86, 89, 90, 91, 113, 119, 120, 124, 127, 128, 139,141, 142, 147, 151, 153, 154, 155, 156, 157, 159, 171, 173, 175, 176, 177, 178, 179,187, 188, 195, 198, 199, 204, 210, 211,212, 213, 215, 219, 220, 223, 227, 229,232, 235, 236, 241, 247, 260, 261, 267,268, 276, 277, 279, 280,

283, 284, 285, 289, 293, 294. 295, 296, 298, 302, 303. 306, 321, 323, 324, 332, 333, 336, 337, 338, 342, 343, 344, 346, 347, 348, 350, 353, 361, 363, 384, 390, 394, 411, 412, 413, 414, 416, 433, 438, 439, 440, 443, 444, 456, 459, 474, 479, 483, 489, 492, 495, 503, 520, 524, 525, 526, 527, 530, 531, 532, 533, 540, 548, 549, 550, 551, 557, 558, 561, 563, 566, 567, 571, 573, 579, 585, 591, 593, 601, 607, 609, 610, 613, 614, 615, 623, 624, 626, 631, 638, 642, 643, 650, 661, 664, 675, 676, 677, 678, 679, 681, 692, 693, 695, 702, 705, 714, 715, 716, 723, 725, 726, 727, 728, 737, 746, 757, 762, 763, 771, 780, 782, 783, 789, 805, 832, 844, 845, 847, 848, 849, 853, 855, 856, 858, 859, 860, 861, 862, 864, 865, 868, 871, 872, 892, 893, 901, 902, 909, 913, 943, 967,970,971,1018,1049 Belcke, 268 Belleville A. von, 40,104,146,1073 Bellini V., 358, 378, 387, 403, 416, 418, 538,847,848 Benedict J., 257, 260, 404, 406, 407, 500, 501,788 Bennett W. S., 96, 100, 108, 110,414,431, 433, 435, 437, 490, 491, 497, 519, 521, 523, 529, 531, 553, 554, 556, 589, 595, 596, 645, 663, 666, 667, 669, 671, 672, 729,730,746,835,855,944,984,996 Berger L., 35, 58, 82, 199, 245, 331, 377, 378, 387, 389, 392, 393, 396, 397, 398, 399, 400, 498, 499, 523, 587, 637, 640, 660, 705, 707, 708, 877, 878, 879,1042, 1052,1058 Bergson M., 71,651 Bériot, 159,733,792, 832, 860

1161

Berlioz H., 41, 100, 108, 109, 111, 113, 211, 212, 213, 214, 217, 218, 219, 220, 224, 227, 229, 230, 232, 234, 271, 302, 305, 315, 316, 363, 437, 487, 533, 556, 567, 585, 614, 645, 652, 666, 669, 672, 673,674,675,725,733 Bertini H„ 59, 354, 355, 386, 396, 397, 398, 399, 400, 412, 420, 421, 510, 593, 594,782,816 Bishop, 433 Blagrove, 612 Blahetka L., 40,401,402,1074 Bòhm G., 52, 517,860 Bòhner L.» 506, 507,593,594 Bohrer A., 345 Bohrer M., 345,562 Boi’eldieu, 929, 930, 1015 Bonaparte N., 96,133, 293, 327,675 Borne L., 295,297, 535 Botgorschek, 612 Brachman R., 17 BrahmsJ.,80, 88, 113,1093 Bratchi A., 425,426 Bree von,556 Breitenbach von, 455 Breitkopf & Hartel, 88, 524, 725, 789, 854, 901,902, 1094 Brendel F., 16,93 Britten, 36 Brod,612 Bronarski, 27, 74 BrzowskiJ.,448,450,523 BullO., 733 Burger G. A., 1049 Burgmùller F., 655 Burgmùller N.» 607,683,685,775,776, Burns R., 911,913 Bury A., 634 Busoni F., 62,105 Byron G., 234, 297, 315, 433, 438, 476, 642, 681 Calabretto, R. 106 Cannabich, 463 Carafa, 403 Carl H., 523 Carus Dr., 18 Castelli J. F., 754 Catalani A., 274, 280 Chamisso von, 671 Chélard, 298,789 Cherubini L., 52, 107, 199, 212, 467, 559, 561, 562, 571, 572, 607, 614, 692, 790, 858,1018, 1039 Chopin F., 16, 18, 21,22, 23, 24, 25, 27, 28,

1162

29, 30, 31, 33, 34, 37, 38,39, 40, 41, 42, 48, 51, 55, 57, 58, 59, 61,66, 68, 71,73, 74, 83, 85, 86,87,89, 90, 91,96,97, 100, 106, 110, 113, 114, 115, 121, 149, 178, 182, 185, 195, 209, 257, 261, 271, 276, 277, 280, 322, 334, 336, 337, 338, 354, 355, 356, 357, 358, 362, 366, 375, 376, 381, 383, 395, 397, 398, 399, 400, 410, 415, 425, 428, 437, 438, 444, 445, 446, 448, 449, 450, 452, 453, 487, 489, 497, 514, 541, 556, 583, 587, 594, 599, 600, 629, 630, 631, 645, 651, 655, 663, 667, 687, 689, 692, 695, 706, 707, 709, 743, 757, 760, 809, 811, 812, 813, 835, 836, 858,884,943,995,1012 Chwatal F. X., 404,408, 500,502,506,507 Cimarosa D. 301,607,610, 1018 Clauren, 575 Clementi, 33, 58, 59, 61, 130, 378, 383, 395,397,398,399,400 Conrad K., 533, 614 Constable J., 47 Coppola, 427 CouperinJ. B., 52,517 Cramer H., 653 Cramer J. B., 28, 30, 31,57, 58,59, 81, 130, 287, 379, 383, 386, 389, 390, 395, 397, 398, 399, 400, 497, 587, 604, 605, 629, 637,692 Cranach L., 463 Crotch, 434 Czerny C., 59,68, 77,78, 79, 113, 130, 195, 319, 333, 396, 404, 420, 421, 425, 427, 428, 506, 508, 514, 575, 579, 588, 593, 598,640,648,658,747,941,985

Dallapiccola L., 105 Dannecker, 297 David F., 355, 414, 526, 531,610, 612, 615, 733,792,847.850,866,871 Decker C., 519, 559, 575 Deppe F., 401,402 Diethe, 864 Dobrzyski, J. F. 425,427 Dòhler T., 40, 52, 99, 318, 326, 339, 340, 410, 411, 412, 425, 426, 427, 523, 526, 656 Donizetti G., 106,421,853,856, 1016 Dorn H., 26, 132, 133, 298, 362, 368, 640, 641,850 DraheimJ., 88 Dreyschock A., 79, 99, 494, 645, 661, 663, 828 DrolingJ. M., 401,404 Dudevant Dupin A., 303

Dussek, 18,631 Dutsch O. J. A., 997

Ebers K. F., 280 Eberwein M. G., 882 Eckert, 794 Elkamp H., 404,407 Elsner, 298 Enckhausen H., 500,501 EndterJ. N., 404 Erfurt K., 425 Ernst H.W., 95,733,734 Esser H., 775,778,929,930 Evers C., 887 Farrenc L., 404,408,425,839 Feska A., 607, 745, 781, 782, 825,917 Fétis, 130 Field J., 28, 68, 86, 89, 100, 172, 195, 259, 265, 331, 332, 338, 367, 385, 390, 426, 505,514,745, 1040 Fink G.W., 156,336,460 Fischer, P. 414 Fòlck, 523 Franchomme A., 357, 358 Franck E., 511,585, 748 Franz R., 987,990, 991 Frege L., 467 FriedburgS., 995 Fuchs L., 555,557, 563,566 Fiirst E., 523,526

GadeN. W., 1011 Gahrich, 533,607,608 Garcia P., 1058 Garrick, 367 Geissler C., 253 Genast E. F., 612 GenischtaJ,, 479,481,809,810 Gerhardt L., vedi Frege L. Gerke O., 276,425,427, 502, 503, 509, 511 Giesebrecht L., 469 Giovanni Teologo, 156 Glanz F.» 425,426 Glinka, 556 Glock C., 24 Gluck C. W., 261, 271, 301, 530, 583, 591, 609,610,677,852,1016 Goethe W., 86, 119, 204, 244, 260, 275, 294, 315, 331, 365, 366, 417, 471, 472, 542, 554, 566, 567, 609, 642, 685, 775, 895,896 Goethe W. von, 744,745,996 Goldschmidt S., 949

GollmickC., 149, 384 Grabau H., 273, 281, 464, 523, 533, 611, 1071 Grabbe, 234,269 Grenser, 524,526,534,612,615, 869 Greulich K. W., 73,400,502,503 Grillparzer C., 73,500,501 Grisar A., 367 Groves G., 572 Grud, 58 Griinberg L., 869, 870 Grund F. W., 387, 388, 389, 391,396, 397, 398, 399, 400, 575, 576, 713, 716, 717, 907 Gulomy, 867, 869 GuntzE.,253 Guhr, 298 Gutenberg, 296,761 Gutmann A., 425 GyrowetzA., 18,153,634

HaakeW.,612,869,870 Haberbier E., 887 Halevy,403 Halm A., 482 Hamann, 148 Handel G. F., 50, 142, 271, 358, 416, 434, 435, 489, 529, 538, 579, 601, 609, 610, 611,623,647, 671,762, 860,865,866 Hanssen, 556 Harper, 612 Hartknoch C. H., 253,257,259,320,339 Hartmann C. H. F. 15 HartmannJ. P. E., 66, 479, 481, 509, 511, 595,596,662,765,767,905,909 Haslinger T., 22, 73, 122, 130, 379, 404, 406, 492, 500, 502, 506, 507, 575, 576, 647,650,693,694,901 Hauck W., 506 Hauptmann M., 257,259,479,684 Hauser F., 649,650 Haydn, 144, 156, 210, 257, 269, 301, 302, 303, 305, 349, 433, 467, 527, 533, 555, 558, 563, 610, 613, 628, 664, 676, 710, 725,726,853,855,865 Heckel C. F.,425 Heine H„ 23,99, 234, 342, 366,475 Heinse W., 262 Heinze, 612 Heller S., 30,40, 52, 67,401,403,425,428, 439,713,715,818,950,951,994,1056 Helsted C., 987 Henselt A., 37, 38, 40, 48, 65, 67, 74, 90, 91, 97, 99, 100, 437, 438, 439, 440, 581, 583, 627, 628, 629, 630, 645, 663, 665,

1163

689, 743, 745, 751, 780, 782, 815, 840, 858, 884, 945,1058 Hering C. E., 257, 258 Hermsdorf, 523 Herold, 403,538 Hertzberg R. von, 425,426 Herz H., 29, 39, 59, 68, 76, 78, 89, 90, 104, 115, 136, 155, 195, 263, 290, 319, 323, 324, 358, 367, 368, 369, 384, 396, 397, 398, 399, 401, 402, 403, 407, 415, 418, 419,489,507,514,645,760,941 Hesse A., 212,347,459, 511,553, 575, 576, 998 Hetsch L„ 527,1001,1002 Hildebrand-Romberg B., 91 Hilf C,. 792,793 Hill Handley D., 191,420,423,595 Hiller F„ 40, 51, 53, 54, 55, 56, 59, 61, 62, 66, 92, 110, 175, 177, 178, 179, 180, 182, 184, 185, 257, 260, 262, 263, 297, 339, 341, 342, 343, 350, 351, 396, 524, 528, 645, 739, 757, 759, 760, 793, 799, 800,801,832,833,834,1042 HillmannJ., 105 Hirschbach H„ 567, 568,895 Hoffmann E. T. A., 52,328, 507 Hofmeister F., 31, 316, 385, 393, 693, 699, 877 Holbein, 303 HopfeJ.,979 Hornemann E., 953, Hugo V., 234 Hummel J. N„ 17, 18, 19, 24, 26, 28, 29, 30, 32, 40, 55, 58, 60, 61, 68, 75, 82, 86, 100, 103, 104, 105, 114, 127, 128, 129, 130, 131, 136, 182, 195, 259, 274, 283, 298, 316, 317, 321, 336, 390, 396, 397, 398, 399, 400, 427, 481, 511, 575, 604, 607,637,687,702,729, 731,906 Huneker, 27 Hilnten, 115,369,490,645,747,941 Huttenbretter A., 727 Jàhns F. W.,348, 513 Janin J., 296 Jansen,149,276 Jelinek J., 77,405,658

KahlertA. G.T., 511,593, 594 Kalkbrenner F., 28, 39, 59, 100, 104, 287, 325, 326, 396, 397, 398, 400, 402, 410, 412, 413, 487, 489, 508, 575, 593, 594, 661,687,692,693,702,825,941,1043 KalliwodaJ. W„ 157, 212, 298,313, 363, 364, 553,769,786,787,793,852,856,868

1164

KaskelS.,438 KelbeJ.K.,638, 643 Kessler J. C., 5, 187, 188, 257, 260, 379, 386,396, 397,398,399,400,827 Kiesewetter R. G., 157 Kirchner T., 961 Kistner, 650, 1039 Kittl J. F., 598,653,654,786, 824 Klein B., 470,471,640,642,776 Klein C. A. von, 351,352 KleinJ.,473,474 Klein wachter L., 608 Klengel A. A., 379 Klingemann K., 762 Klingenberg W., 593, 809 KnorrJ., 15,23,27,40,122 Koczwara F., 133 Kohler E„ 418,425,427,511 Kontski A. von, 957 Kossmaly C., 987 Kotzebue, 553, 575 Kragen C., 39, 253, 448 Krause, 199 Krause J., 634 Krebs C„ 401,402,575,907,998 Kretzschmar, 523 KrugG., 1001, 1003 Kiicken F.W.,479,989 Kufferath F„ 853,854,883,911,950,983 KuhnauJ., 52,517, 765 Kulenkamp G. C., 67, 361, 418, 419, 420, 422,505,506,1045 KullakT., 815, 839, 955,956 Kummer F. A., 793, 855 KuntschJ. G., 17, 37 Lachner F., 68,69, 212,237, 238,298, 301, 304, 305, 459, 460, 461, 502, 523, 675, 680,681,864 Lachner L, 955 Lachner V., 502, 525 Lacombe L., 40,71,135, 136,713,744 Ladurner J. A., 415,416 Lafont, 345,402 LasekkC., 339,492 Le Carpentier A., 420,421 LecerfJ. A., 809 Leisewitz, 261 Leonhard J. E.f 905,909 Lessing, 148 Lickl G. F.» 30, 747, 837,838,999 Lindblad 786,1012 Lindner A., 861 Lindpaintner P. J. von, 298,525,768,788,963 Lipinski K., 95, 393, 434, 523, 562, 614, 615,733,869

List E., 848, 849 Liszt F., 18, 19, 21, 30, 31, 32, 33, 34, 36, 37, 38, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 76, 78, 80, 81, 85, 88, 89, 90, 91, 92, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 105, 108, 111, 113, 114, 158, 213, 230, 293, 352, 448, 451, 452, 556, 594, 603, 645, 655, 687, 693, 694, 695, 698, 699, 747, 753, 754, 755, 756, 757, 758, 759, 760, 816, 839,885,886,946,1045,1091 LitolfTH., 88 Loewe C., 68, 80, 191, 192, 194, 195, 196, 197, 235, 236, 298, 353, 469, 474, 475, 520,614,801,933,934 LogierJ. B., 39 LorenzO., 1056 Lorrain C., 435 Lortzing A., 761 Lòvenskiold H. von, 73,354, 750, 830,952 Lùders K., 494 LwoffA., 92,409, 558, 741,742 LyserJ. P., 621 Malibran, 96,604 Marchesi M., 91 Marggraf N., 250 Marpurg, 443 Marschner H„ 106, 269, 280, 290, 298, 313, 315, 472, 607, 734, 768, 840, 913, 920, 921,922, 1015 Marx, 771 Marxsen E„ 35, 527,660, 752,907, 996 Masi, 368 Mathai, 275 MathieuxJ., 1058 MatthesonJ.,40 Maurer L., 212, 869 Mayer C., 258, 259, 387, 396, 398, 399, 400, 401, 410, 411, 502, 505, 514, 604, 817,977,978,985,986 Mayseder J., 734,856 Méhul, 607,610,611,656 Mendelssohn-Bartholdy F., 18, 19, 40, 50, 53, 57, 76, 81, 83, 84, 85, 88, 89, 91, 92, 96, 100, 102, 106, 111, 113, 115, 130, 150, 179, 212, 233, 244, 245, 257, 261, 271, 272, 273, 274, 275, 278, 279, 280, 283, 289, 298, 309, 310, 330, 331, 342, 355, 360, 363, 370, 375, 414, 434, 435, 443, 444, 465, 477, 483, 488, 515, 523, 524, 526, 529, 530, 531, 535, 538, 539, 540, 541, 542, 554, 561, 562, 597, 607, 608, 612, 615, 623, 624, 625, 626, 633, 640, 641, 645, 650, 662, 663, 664, 666, 671, 672, 674, 679, 691, 701, 706, 711,

729, 742, 745, 748, 749, 754, 757, 759, 760, 762, 763, 772, 782, 783, 784, 790, 793, 799, 800, 837, 854, 856, 859, 864, 866, 869, 872, 884, 897, 898, 901, 967, 972,973,1008, 1030, 1056 Menzel, 191 Mercadante G. S., 864 Mereaux A., 415 Méric-Lalande, 277 Meyer K., 59 Meyer L. E. von, 379, 380 Meyerbeer J.» 79, 106, 107, 112, 113, 305, 366, 403, 405, 419, 438, 508, 510, 535, 536, 537, 538, 539, 540, 541, 542, 571, 610,691,727,861,870,1018 Mohs A. F.,425 Moke, 40 Moliere J. B., 321 Molique B., 531,733, 869 Momy V., 500,501 Montag C., 882 Moore, 315,483,826 Moscheles L, 17, 18, 19, 21, 22, 28, 29, 30, 32, 37, 40, 50, 58, 59, 60, 61, 67, 68, 81, 84, 86, 89, 95, 100, 102, 105, 113, 128, 130, 131, 195, 242, 243, 255, 257, 271, 272, 283, 314, 332, 333, 354, 355, 358, 359, 360, 375, 377, 383, 388, 389, 390, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 425, 428, 489, 492, 498, 587, 604, 607, 623, 624, 625,637,693,710,750,793,941,1039 Mosewius, 645 Mozart W. A., 50, 51, 57, 59, 75, 82, 83, 87, 113, 119, 121, 122, 124, 127, 142, 153, 156, 163, 177, 178, 187, 210, 212, 250, 255, 269, 274, 279, 302, 303, 316, 330, 333, 337, 338, 349, 360, 411, 412, 419, 433, 434, 440, 480, 485, 488, 527, 529, 533, 538, 548, 555, 557, 561, 571, 600, 604, 607, 610, 613, 623, 624, 626, 628, 676, 677, 679, 725, 726, 742, 746, 771, 783, 843, 844, 850, 853, 855, 859,• 860, 861,865,872,878,884,898, 920,1012 MiihlingJ., 614 Muller C. G., 207, 212, 309, 355, 401,459, 523, 524, 531, 532, 533, 604, 613, 614, 615,733,848 Muller F., 967 Muller W., 665 Miinchhausen Barone di, 304

Naumann, 607,610 Nicolai O„ 200,946,947 Nisle J., 505,509, 510, 519 NohrF., 152,614

1165

Nottebohm G., 954 Novello C., 96,97,611 Nowakowski J., 410,413,448,523,655

Queisser, 524, 526, 531, 533, 534, 612, 615,849 QuillingJ. K., 819,820 Quintiliano A., 25

Ockeghem, 37 Oehlenschlager, 671 Onslow G., 82, 433, 481, 557, 561, 564, 607,608,637,870 Osborne G. A., 410,413,506,508 Ostwald P., 25 Otto F.,364 Otto J.,253

Rakemann L., 272 Raupach, 528 Ravel, 36 Ravina H., 977 Raymond E., 680 Reicha, 444,487 Reichel A., 955 Reichard K.,871 Reissiger C. G., 298, 313, 353, 354, 479, 484, 525, 559, 560, 561, 575, 675, 678, 856,925,926,927,928 Rellstab L., 122, 263, 335, 411, 420, 472, 513,689, 877 Reuling W.,918 Reuter M. E., 16, 17 Ricordi, 393 Riedl, 650 RieffelH. W., 1056 Riem, 298 Ries F., 18, 28, 58, 211, 298, 327, 344, 387, 388, 389, 396, 408, 425, 428, 448, 476, 519,520, 535,637,691,1045 Ries H., 612 RietzJ., 788,852,946,947,964 Righini, 607,610 Robsart A., 554 Rochlitz J., 401,402,541,542,706 Ròckel E., 999 Romberg A., 610, 855,861 Romperg, 91 Ronga L., 114 Rosenblum S. P., 31 Rosenhain J., 49, 87, 106, 343, 344, 420, 528, 656,659,687,690, 815,816 Rosenkranz, 523 Rossini G., 106, 107, 115, 151, 289, 302, 315, 403, 426, 538, 571, 607, 640, 852, 853,855,1017 Rubini, 277 Rubinstein A., 38,97,979 Ruckert F., 778,912 Ruckgaber J., 418,505 Rummel C.,401,403,418 Rumohr, 157

Pacini, 757 Paer, 301 Paganini N., 24, 30, 31, 34, 36, 37, 43, 48, 94, 95, 96, 105, 113, 135, 136, 392, 394, 407, 450, 495, 698, 733, 734, 735, 754, 885,886,976,1029,1032,1036,1038 Paisiello, 302 Palestrina G. da, 142 Paul J., 24, 25, 112, 119, 151, 171, 175, 176, 177, 216, 217, 296, 324, 354, 362, 367, 371, 379, 441, 460, 512, 633, 681, 716, 727 Pearson H. H., 913 PembaurJ., 53 Perry F., 30 Pesadori A., 79,575 Pestalozzi, 61 Peters C. F.,400, 648,649 Petri E., 105 Pfeiffer, 203 Pfundt, 613 Philipp B.E., 511,673,779 Piltzing, 464 Pirkhert E., 888 Pixis F.,403, 1071 Pixis J. P., 61, 89, 90, 104, 383, 760, 781, 782 Platen, 685 Pleyel C., 84,96,100,102, 103,285,645 Pleyel M., 701,702,793 Pocci F. C. von, 236 Podlesky T., 297 Pohl J., 257,260,384,1030 Pohlenz M.D., 139,467 Pollini F„ 362 Potter P„ 59, 396, 397, 398,399,433,434 PreyerG.,675, 676 Proche F., 993 Prokofev, 36 Prudent E., 404,405 Prume F., 733,793,872

1166

Sacchini, 301 Sack T„ 612 St.-Lubin L. de, 571 Salieri, 591, 607, 610 Sand G., 303,584

Saphir M. G., 323,621 Sarti, 301 Scarlatti D., 421,647 SchadJ., 1045 SchaplerJ., 612,891,948,949 Schauroth D., 423 Schafer N., 612 Schaffer J., 826 Schefer L., 591 Schelling, 61 Schiller, 61, 199, 204, 272, 296, 314, 503, 566,597,614 Schilling G., 161,716 Schindler A., 31,524,901 Schlesinger, 213 Schloss S., 847 Schmidbauer, 634 Schmidt C., 93 Schmidt H., 872 SchmidtJ., 612 SchmiedelJ. B., 634 Schmitt A., 59, 396, 398, 399, 400, 502, 504,587 Schmitt J., 502,504, 509, 510,656,986 Schnabel C.,415 Schneider F., 212,298,688,743,1012 Scholz W. E.» 638 Schopenauer J., 685 Schornstein E. H., 72,75,316 Schroder, 290 Schroder-Devrient, 149, 535, 754, 867, 873,1016 Schubart C. D., 255 Schubert F„ 23, 29, 51, 53, 54, 57, 59, 68, 69, 70,71.82,90,91, 100, 111, 112,113, 115, 120, 154, 175, 179, 187, 195, 212, 233, 237, 257, 261, 267, 278, 283, 284, 285, 298, 306, 338, 354, 355, 357, 379, 381, 410, 439, 471, 483, 526, 529, 533, 547, 548, 549, 550, 551, 602, 603, 615, 637, 642, 676, 681, 683, 685, 695, 706, 723, 724, 725, 726, 727, 728, 748, 754, 757,758,778,783,784,852,872,922 Schuberth L., 484,512,519 Schutz H., 745 Schulze H. B.,464 Schumann W., 249 Schunke C., 612 Schunke L., 15, 40, 41, 46, 95, 100, 105, 115, 191, 199, 200, 201, 257, 276, 372, 373, 410, 412, 509, 510, 620, 705, 706, 707,755 Schuppanzigh, 440 Schwenke C. o K„ 68, 659, 907 Scott W. sir, 438, 672

SechterS., 661,662 Sesselmann, 526 Seyfried I. von, 205,298,336,527,634 SeylerC.,780,781 Shakespeare W., 53, 167, 178, 204, 279, 289,310,315,433,524,528,665,675 Sobolewski J. F. E., 563,565,804 Sommerfeld, 523 Sonnleithner E. von, 634 SorgelW.,613 Spath A., 1045 Spohr, 106, 150, 199, 203, 204, 205, 212, 237, 274, 276, 298, 313, 347, 402, 407, 456, 459, 489, 526, 528, 529, 531, 533, 538, 555, 556, 557, 558, 561, 607, 613, 640, 672, 679, 684, 768, 850, 861, 862, 872, 907, 922, 923, 967, 968, 969, 970, 971,1011,1012 SponholtzA. H., 80,823,881 Spontini G., 298,503,571,607,858,1017 Staèl de M., 133,191 Stamaty C.» 101,487,488,506,523 Stegmayer F., 473 Steibek, 28 Stein T„ 95,123 Stern J., 963 Sterne T., 348,426 Stieglitz H., 472,685 Stòber, 406 Stòckardt R., 751 Stocks J., 505,506 Stolze H. W., 404,408,506,508 Strauss, 251, 298, 414, 427, 444, 448, 527, 563,629 Strube C. H.,826 Sue E„ 303,584 SwiftJ.,681 Szymanowska M., 59, 100, 103, 104, 385, 396, 397,398,399 Taglioni, 507 Taglichsbeck, 607 Taubert W., 78, 80, 83, 96, 191, 240, 245, 328, 329, 330, 331, 369, 482, 483, 512, 515, 627, 630, 645, 663, 664, 809, 811, 834,877 Tedesco J. o I., 509,744 Tegnér E.,472 Telemann, 547 Teniers, 259 Thalberg S„ 37, 38, 40, 46, 47, 48, 49, 69, 70, 71, 72, 77, 78, 90, 91, 96, 97, 98, 99, 322, 326, 365, 366, 375, 379, 380, 404, 408, 409, 411, 415, 417, 489, 492, 496, 497, 512, 514, 594, 627, 631, 656, 657,

1167

658, 713, 714, 752, 760, 782, 815, 821, 822,831,832,858,946.994,1043 Thibaut, 287,288.1023 Thomas A., 257,258,349 Thorwaldscn, 199,297 Tieck, 309 Tomaschek W.J.,476,654 Traetta, 301 Triest H., 73,475,519,520 Trutschel A. L. E., 519 Tucidide, 456 Tuczek L., 634 Ttlrk D. G., 172 Turner, 66 Uhland, 474,475,665,685,775 Uhlrlch, 524,526,533,534,612,615

Vanhal, 285,645 Varotti A 93 Veit W. H*. 563,747,748,775,777,870 Verhulst J. J. H.» 523, 555, 556, 669, 670, 895,1012 Vieuxtemps H., 135,136,137,733,860 Viotti, 610 Vogelweide W. von der, 775 Vogler, 607,610 Voigt C., 141,707 Voigt H., 141,241,542,705,706,707 Vollweiler C.. 905,909,977 Voltaire, 418,594 Voss C„ 35,980 Wagner E., 216 Wagner R., 26,106,107,1016,1018 Wasiliewski, 276 Weber C. M. von, 28, 82, 84, 85, 90, 103, 106» 113, 115, 127, 236, 260, 269, 274, 276, 278. 279, 283, 284, 313, 353, 426, 489, 492, 512, 513,

1168

100, 263, 298, 515,

525, 526, 529, 538, 599, 607, 609, 610, 614, 637, 639, 640, 643, 655, 662, 701, 702, 705, 758, 762, 768, 778, 811, 848, 855,856,864,869,913,976, 1016,017 Wedel G., 159, 301,305, 329,349.628 Wegeler, 561 Weinhold, 278 WeinligC.T., 26 Weissmann, 27 Wenzel E.. 257 Werner A., 612 Weyse C.. 58, 298, 387, 388, 390, 396, 397, 398,399,400,553,586,587,765 Wieck C., 15, 24, 25, 26, 27,40,89, 90,96, 100, 104, 105, 113, 122, 144, 145, 146, 257, 272. 273, 281, 355. 373, 379. 438, 441,595,612,1077,1081.1087 Wieck F., 15. 18, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 29,38.39,40.108.122,756 Wiedebein, 278 WielhorskyJ., 71,599 Willmers R., 73,86, 99.687, 688.981,982, 1089 Wilsing F. E.,638,824.954 WinkhlerK.A. von, 425,427 Wittgenstein P., 36 Wittmann C., 888 Wolfj.L.,349 Wolff E., 448,816,828,829 Wolfram, 313 WoyciechowskiT., 110 Zampa, 403,404, Zelter, 640,650,771 Zimmermann S. A., 79,500 Zingarelli, 302 Zòllner C., 912,913 Zòllner K. H., 448,450 Zuccalmaglio A. W. F. von, 30,600