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Italian Pages 516 Year 2003
Giovanni . Palatucci A Un olocausto nella Shoàh
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Michele Bianco Antonio De Simone Palatucci
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Michele Bianco Antonio De Simone Palatucci
Giovanni Palatucci un olocausto nella Shodh
ACCADEMIA VIVARIUM NOVUM EDIZIONI DRAGONETTI MONTELLA MMIII
© Michele Bianco e Antonio de Simone Palatucci 2003. Tutti i diritti sono riservati.
Stampato in Italia - Printed in Italy ISBN 88-87637-37-7 E assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questa pubblica zione, così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma e con qualunque mezzo, anche attraverso fotocopie, senza l’autorizzazione scritta degli autori.
Editori: Accademia Vivarium Novum contrada San Vito, 5 tel./fax 0827 601643
Edizioni Dragonetti largo Piediserra, 10 tel./fax 0827 61340
83048 Montella (AV) WWww.vivariumnovum.it
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Tipografia Dragonetti - Montella (AV)
INDICE GENERALE
Prefazione del postulatore della causa di canonizzazione, mons. Gianfranco Zuncheddu Giovanni Palatucci: un giusto tra 1 giusti, prefazione di Georges de Canino
Prefazione di Luigi Miraglia
Nota previa sul “fondo documentale Giovanni Palatucci” Le lettere di Giovanni Palatucci Nota introduttiva Cronologia essenziale Capitolo I GIOVANNI
PALATUCCI,
MARTIRE
CRISTIANO
Metodo usato nella ricerca e nella divisione dello studio
197/
Capitolo II LA FAMIGLIA
Nascita, infanzia, adolescenza e studi Lo zio G. M. Palatucci
Capitolo III TORINO
47
Capitolo IV GENOVA
57
Capitolo V FIUME
Il trasferimento
27 37
67
II
La conoscenza del mondo ebraico nella realtà 68 multietnica fiumana 74 Le leggi razziali: la posizione dello Stato e della Chiesa Le leggi razziali e l’opera di salvataggio 93 del funzionario fiumano 96 I primi ebrei a Campagna 105 Le lettere di Giovanni dal 1941 al 43 117 Dopo l’8 settembre 125 hes Kiistenland” L’“Adriatisc diversi. nte profondame Giovanni Palatucci e Giovanni Preziosi:due irpini I “Protocolli dei savi anziani di Sion”
Giovanni Palatucci reggente della questura fiumana Breve introduzione alle “riservatissime” Arresto
Capitolo VI LA «FIDANZATA» La presunta storia d’amore con Mika Etsler Assoluta inattendibilità della testimonianza di mons. Ferdinando Palatucci Rosita: la prova che Giovanni non ha mai amato Mika
Capitolo VII GLI ULTIMI TEMPI DELLA VITA DI GIOVANNI Il piano d'indipendenza di Fiume Documenti sull’arresto, la deportazione e il decesso di Giovanni Palatucci Il carcere Coroneo
Una memoria sempre viva
175 178 187
195 198 206
Capitolo VIII GIOVANNI OGGI
Il “mea culpa” di Giovanni Paolo Il e la celebrazione della “memoria dei testimoni della fede” “Martyrium in odium fidei” e “martyrium caritatis”
San Massimiliano Maria Kolbe e il servo di Dio Giovanni Palatuc ci:
due grandi martiri della fede
L'istruttoria per le cause dei santi
IV
129 131 135 166
209
212 215 219 225
Capitolo IX SEZIONE ANTOLOGICA:
241
Interviste a
S. E. Mons. Giuseppe Maria Palatucci 242
e Padre Alfonso Palatucci
Lettera del vescovo G. M. Palatucci a padre Giovanni Recupido 247
29 giugno 1945
Testimonianze di Amerigo Cucciniello Giuseppe Veneroso Albertino Remolino Raffaele D'Ambrosio S. E. Mons. Gastone Mojaisky Perrelli Miriana Tramontina Gerardo Calenda Teo Ducci Pier Giuseppe Murgia Gregorio Giuseppe Gregori Alberino Palumbo
251 260 262 266 269 271 276 278 284 286 290
Capitolo X IL GIUDIZIO DELLA STORIA SU GIOVANNI PALATUCCI UNA NOSTRA RISPOSTA 295 AI POCHISSIMI DETRATTORI
Capitolo XI IL VALORE DEL MARTIRIO CRISTIANO NEL SENSO STORICO E TEOLOGICO Il titolo di martire è il più importante nella Chiesa Giovanni Palatucci fu un vero martire cristiano
A mo? di preludio all’antisemitismo i Se questo è uomo Tenebrae Dachau Engel Giovanni Palatucci Dachau Appellplatz Giovanni Palatucci
Spal 327 328 50% 338 939 341
Capitolo XII L’ANTIEBRAISMO E L’ANTISEMITISMO GIUDEOFOBICO: DAI PRIMORDI PRECRISTIANI ALLA “SOLUZIONE FINALE” DI HITLER 343 Fase precristiana 348 Inizi dell’antiebraismo cristiano: il medioevo 354 Chiesa L’antigiudaismo nei padri della
L’antigiudaismo nella Riforma L’antisemitismo in Austria prima dell’avvento del “Fiibrer” L’antisemitismo del “Mein Kampf” e l’antigiudaismo d’un testo moderato La “Nostra Aetate” e l’assoluzione del giudaismo Gli orrori del sistema nazionalsocialista di Hitler: dai “Lager” alla “shoah” Il dibattito fra gli storici tedeschi sull’olocausto: un tentativo di minimizzarlo La guerra per Hitler è un progetto di sterminio razziale La partecipazione dei tedeschi alla “shoah” nell'analisi di Browning e Goldhagen Il terrore nazista e le sue tre fasi nell’analisi di Johnson Il mondo dei “Lager”, il luogo dello “sterminio sistematico” della follia aberrante del nazionalsocialismo del “Fiibrer” I campi di sterminio Dachau, il primo campo di concentramento nazista Come si svolgeva la vita in un campo di concentramento? Pseudosperimentazioni scientifiche
39% 358
360 363 365 367 372
373 377
Dieci punti fondamentali del problema ebraico Gli ebrei in Italia
382 383 385 392 399 403 405 410 413 415 422 423 427 429
ARCHIVI CONSULTATI BIBLIOGRAFIA INDICE DEI NOMI
437 438 453
I morti a Dachau Ultimi giorni al campo di Dachau Gli angeli del male, la lunga lista degli assassini... I negatori dell’olocausto
«Sentieri verso il male radicale» Esperimenti Zimbardo-Milgram Breve storia degli ebrei in U.R.S.S.
APPENDICE: Ulteriori riscontri sull’inaffidabilità testimoniale di Mons. Ferdinando Palatucci
VI
459
Prefazione del postulatore della causa di canonizzazione,
mons. Gianfranco Zuncheddu
Molti storici e decantati filosofi con lo sguardo rivolto al passato e attraverso ragionamenti a prima vista inoppugnabili, soprattutto per persone sprovvedute, arrivano a conclusioni come questa: «Se si vuole sapere che cos'è l’ebreo contemporaneo bisogna interrogare la coscienza cristiana: bisogna chiederle non che cos’è un ebreo, ma che cosa ha fatto degli ebrei»!. Una delle tante risposte spunta dall’apparente silenzio dell’Olocausto: la propria vita donata, a soli trentasei anni, in un Lager della vergogna nazista, a Dachau, da un giovane irpino, tenace e granitico come la sua terra: Giovanni Palatucci, il penultimo questore di Fiume italiana. Dal 1937 al settembre 1944 - quando venne arrestato per «connivenza col nemico» — il nostro martire aveva già dato la salvezza a 6.5007.000 ebrei, che, da tutte le parti dell’Europa, si riversavano a Fiume, vera porta verso la libertà, per non finire nei forni crematori dei Lager,
che erano già accesi, soprattutto nella Germania dell’Est. Nella letteratura del mondo ebraico è facile imbattersi in una certezza che gli ebrei hanno proclamato alle nazioni: «Anche se uno sal. vasse un solo ebreo, è come se avesse salvato il mondo intero»
In questo prezioso volume, che vede la luce dopo attente e profon il e Bianco e Michel de ricerche da parte degli autori, il dottor don questore, è dottor Antonio De Simone Palatucci, nipote ex sorore del da un figlio contenuta la risposta ai tanti «ma» e «perché»; essa ci viene litteram dell’ecueletto della Chiesa cattolica, un antesignano ante agli ebrei e agli menismo del Concilio Ecumenico Vaticano II; infatti, o mentre regsventurati che si rivolgevano a lui - nell’ufficio stranieri questione ebraica, 1964. 1 J. P. Sartre, L’antisemitismo. Riflessioni sulla
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- ildott. geva la questura di Fiume, negli anni terribili della shodh evo e Palatucci ha sempre risposto con amore, offrendo a tutti solli salvezza a costo del sacrificio della propria vita: egli ha amato il prossi mo più di sé stesso.
Il presente volume vuole offrire un prezioso contributo alla causa di canonizzazione, aperta dal tribunale del Vicariato di Roma il 9 ottobre 2002. Gli autori e i collaboratori dell’opera, che attraverso queste righe si presenta, avevano il preciso intento di sfrondare la figura di Giovanni Palatucci da una serie di costruzioni artificiose e tendenti a dare del martire una visione fuorviante e quindi non rispondente al vero. In particolare: oltre ad offrire un quadro organico ed esaustivo del periodo storico vissuto da Giovanni, in un contesto di efferatezze naziste, che dovevano concludersi con l’eliminazione di un popolo,
solo perché appartenente a una razza e religione diverse, attraverso questa ponderosa opera, si chiarisce e in particolare si dimostra l’inesistenza di una presunta relazione amorosa con una ragazza ebrea. Tale sforzo, coronato certo da successo, attesi ed esaminati con lodevole
acribia i riscontri documentali, si è imposto solo per dovere di verità storica, poiché in sostanza non si ritiene rilevante ai fini della canonizzazione l’esistenza di una normale relazione sentimentale nella vita del servo di Dio. Altro interesse degli autori è stato - a nostro avviso - quello di dimostrare che l’ingresso e la permanenza del dott. Palatucci nella Pubblica Sicurezza non sia stata una scelta consapevole e deliberata del martire, il quale con l’arruolamento in Polizia ritenne doveroso, dopo circa quattro anni dal conseguimento della laurea, di non pesare più sul bilancio paterno, anche per un necessario conseguimento di un’autonomia patrimoniale propria. Tanto è vero che - dagli atti del «Fondo documentale» - risulta con tutta evidenza l'aspirazione di Giovanni alla carriera di magistrato. Basta tener presenti: la lettera del 16 dicembre 1936 al cugino Federico - il p. Giovanni Recupido o. f. m. conv. — e poi l’istanza al prefetto del Carnaro per allontanarsi da Fiume, al fine di sostenere gli orali del concorso in magistratura, di cui
aveva già brillantemente superato gli scritti.
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Infine, il presente volume, offre una serie di approfondimenti del personaggio, al quale gli autori si sentono sì legati da grande affetto parentelare, ma comunque spinti da una necessità di chiarezza, onde evidenziare la sua purezza di spirito e la sua predisposizione a una vocazione soprannaturale alla santità attraverso il martirio. Siamo davanti a un’opera di grande elaborazione e approfondimento storico, che introduce il lettore nell’universo di Giovanni Palatucci
con disinvoltura, ma anche con una sorta di necessaria attenzione, quasi irriverente verso talune presunte acribie storiche, e senza mai comunque cadere in aspetti apologetici o agiografici.
Il libro che qui si presenta ha come titolo Giovanni Palatucci un olocausto nella Shoàh. Il nostro servo di Dio fu certo sacrificato come un olocausto sull’altare del grande Olocausto, durante la shodh collettiva, vergogna dell’umanità. Il penultimo questore di Fiume italiana, infatti, sacrificò la sua giovane vita nel Lager di Dachau, scegliendo anche lui di essere martire come Cristo, perché effettivamente Giovanni Palatucci,
vero «uomo per gli altri», è stato «salvatore» di tanti fratelli perseguitati durante l’ultima grande guerra, quand’erano in pieno vigore le infami leggi razziali. Dopo una nota previa sul «Fondo documentale», segue una premessa con una cronologia essenziale sul martire. Il volume viene diviso in dodici capitoli. Il capitolo I presenta Giovanni Palatucci come un martire cristiano. Dopo la spiegazione dell’ermeneutica globale, prevalentemente evenemenziale, il dott. Palatucci appare chiaramente come «uomo cosciente e libero che offre la sua vita per salvare gli altri». Il volume presenta quattro momenti fondamentali della vita di Giovannino: 1) dalla nascita alla «scelta occasionale» d’arruolarsi in polizia; 2) la breve sua permanenza a Genova; 3) il trasferimento alla questura di Fiume e il salvataggio degli ebrei; 4) l’arresto, la deportazione, la prigionia e la tragica morte a Dachau. e Il capitolo II è dedicato alla famiglia: nascita, infanzia, adolescenza
(i studi. Se il capitolo III parla della permanenza del Palatucci a Torino atori procur anti 22 dicembre 1932 era già iscritto nel registro dei pratic una legali), il IV lo riporta a Genova, dove il 16 dicembre 1936 scrive e sacerdolettera al cugino p. Giovanni Recupido per la sua ordinazion nia toccantale: «[...] La consacrazione di una vita umana è una cerimo
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te per chi vede dal di fuori; per chi ne è oggetto rappresenta la procla di un’almazione solenne di una grande rinuncia. E l’inizio, oltre che tissima missione, di una continua e aspra lotta tra lo spirito e la carne,
per il trionfo dei valori migliori e più alti che sono in noi. Sono certo
che tu, con l'intelligenza e la sensibilità, ti renderai conto della grave
responsabilità di conservarti degno dell’Ideale a cui hai votato le tue
energie [...}».
Il capitolo V, poi, descrive dettagliatamente la realtà di Fiume dopo
il suo trasferimento da Genova; il mondo ebraico nella realtà multietnica
fiumana; le leggi razziali; la posizione dello Stato e della Chiesa (gli autori mostrano particolare equilibrio nel trattare la figura e l’opera dei papi Pio XI e Pio XII); segue l’opera di salvataggio del funzionario fiumano. Il dott. Palatucci viene qui presentato sempre come un antifascista: «Egli, che era stato sempre un antifascista [...]}»?; Americo Cucciniello, collaboratore, negli anni quaranta, di Giovanni Palatucci
a Fiume, esclude ogni simpatia del questore per il fascismo; e M. Pia Scichich Maione afferma: «Lui salvava gli ebrei, ma era anche un antifascista». Esso tratta anche dei primi convogli di ebrei a Campagna, dove c'erano due campi di raccolta per loro - molti di essi erano stati quivi trasferiti da Fiume e affidati alle cure pastorali dello zio, vescovo locale: ormai l’unica preoccupazione di Giovanni era quella di «realizzare il bene dei fratelli»; lo zio Giuseppe Maria aiutava gli ebrei anche con i soldi mandati a lui dal Vaticano, quando erano già in Segreteria di Stato mons. Giovan Battista Montini, mons. Angelo dell’ Acqua e mons. Domenico Tardini, poi Segretario di Stato con l’allora papa Giovanni XXIII, recentemente proclamato beato dal regnante Pontefice. Fino all’8 settembre 1943 gli ebrei salvati erano circa 5-6.000; dopo l’armistizio ne furono salvati ancora altri 2.000. La sua opera di salvataggio non si allentò neanche con la costituzione dell’ Adriatisches Kiistenland,
quando tutto il litorale adriatico fu annesso alla Germania e affidato al Gauleiter. In tutto ciò «fu dunque l’amore, quello che conduce sui sentieri sicuri della giustizia, della pace, della libertà, della democrazia e del riscatto, a caratterizzare l’instancabile attività di Giovanni Palatucci. Un amore
? dalla lettera di mons. 5 Giuseppe Maria Palatucci, , ve vescovo dii C del servo di Dio, del 29 giugno 1945. vi
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universale e senza limiti che esclude nazionalismo, razzismo e ogni forma di totalitarismo; un amore per l’uomo che sfocia nella solidarietà sociale e cristiana; un amore, insomma, sempre causato dal Verbo divi-
no». Il nostro servo di Dio trovava la forza di essere autentico e di incarnare la carità che doveva esprimere attimo per attimo, per sette lunghi anni, a Fiume e dintorni, nell’amare il prossimo «più di sé stesso» e nella
frequenza settimanale ai sacramenti della Chiesa. Mentre viene riferita la nomina del dott. Palatucci a «reggente la questura di Fiume», il volume presenta due irpini profondamente diversi: Giovanni Palatucci e Giovanni Preziosi. I Protocolli dei savi anziani di Sion trovano posto nell’esaustiva trattazione, e presentano gli ebrei - oggetto della massima attenzione del questore reggente di Fiume - come «nemici dell’umanità e della Chiesa dei quali bisognava sbarazzarsi»: essi mangiavano infatti i bambini, la loro presenza rimaneva in piedi solo per la distruzione dell’umanità; era necessario quindi discreditarli e annientarli. Il dott. Palatucci scrisse delle lettere «riservatissime»; gli autori fanno una breve introduzione a tali documenti, indirizzati soprattutto al prefetto e al consigliere germanico, in difesa dei suoi militari e dell’italianità di Fiume; gli dispiaceva molto che i poliziotti - una volta consegnate le armi, una vera minorazione morale - circolassero disarmati; era assurdo: in tutto il territorio della Repubblica Sociale Italiana gli agenti erano disarmati!
Quel «reggente» scomodo fu arrestato, e non solo per i motivi ufficiali rivendicati dall’autorità germanica, che di notte entrò per saccheggiare la sua stanza trovandovi prova - a detta dei nazisti — di connivenza col nemico, ma perché il dott. Palatucci salvava gli ebrei e li trasferiva a centinaia, a migliaia, in sicura libertà: «Ci vogliono dare ad
intendere che il cuore sia solo un muscolo, e ci vogliono impedire di fare ciò che il cuore e la nostra religione ci dettano». in Giovanni Palatucci seppe trasformare il suo «vivere con gli altri» colla va ivide un «vivere per gli altri»; egli era un vero cristiano. «Cond , ma Resistenza le idealità comuni di soccorrere e aiutare 1 perseguitati munista nella non sposò mai la causa dei partigiani titini, e fu antico
er ebbe stessa misura in cui fu antifascista.» Perciò il colonnello Kappl connuto mante a sottoscrivere: «Il dott. Palatucci fu arrestato per aver trovasi in un tatti col servizio informativo nemico, per il quale motivo campo di concentramento».
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za assoluLe autorità germaniche, di fatto, non ebbero mai la certez
ta della sua presunta correità. Il vero motivo del suo arresto, ancora
to a una volta è bene ribadirlo, fu quello dell’aiuto e del soccorso presta
migliaia d’ebrei nella sua azione di salvataggio, cominciata nel 1937 e non nel 1943. In una lettera spedita dal maresciallo Maione allo zio Giuseppe Maria, vescovo a Campagna, del 23 luglio 1945, si legge: «Motivo dell’internamento? Una serie di opere di bene a favore della pove-
ra gente, siccome Giovanni, come sapete, è stato sempre un figlio di
elette virtù di mente e di cuore». Si rende necessaria qui una doverosa puntualizzazione sulla «pre-
sunta fidanzata» di Giovanni, e quindi, sull’inattendibilità della testimonianza di mons. Ferdinando Palatucci, arcivescovo emerito di Amalfi e Cava: «Amore vero, altruistico e generoso ci fu, sicuramente,
nel cuore pneumatico del martire irpino; ma si trattò di quell'amore soprannaturale (agape), che, per sua natura, fuoriesce dalla sfera egoistica del do ut des e si fa koinonîa, condivisione piena e totale dell'amore per il fratello in Cristo, gratuità assoluta, che non chiede d’esser contraccambiata e, paolinamente, diviene atteggiamento simpatetico e compartecipazione alla croce di Cristo, quando, col martirio, raggiunge il suo livello apicale, cioè diventa amore oltre il quale non è possibile amare, com’afferma l’Evangelo giovanneo». A questo VI capitolo, segue il VII «Gli ultimi tempi della vita di Giovanni» fino al suo decesso a Dachau. Giovanni oggi è il titolo dell'VIII capitolo che descrive l’attualità della sua memoria come testimone della fede: da alcune testimonianze, del
resto già codificate dal prof. Goffredo Raimo, autore della prima e, fino a questa, insuperata monografia sul nostro martire, sappiamo che il dott. Palatucci era «un santo»: «Non aveva paura, aiutava tutti; era molto ben voluto»; è stato un vero martire cristiano, ucciso în odium fidei, per la sua eccezionale carità. Ha vissuto cristianamente la sua vita, vero «uomo
per gli altri»: «Nel carcere Coroneo di Trieste - riferisce la signora Capuozzo - era incredibilmente sereno; chiese a mio marito del cibo [...} per aiutare 1 carcerati»: sì, certo, perché Giovanni pensò sempre agli altri, anche nel carcere triestino dove si trovava ristretto! Si apre il IX capitolo con una precisa chiarificazione per il lettore sulla sezione antologica. Seguono le testimonianze di S. E. Mons. G. M. Palatucci e del fratello padre Alfonso, di Cucciniello, Remolino, Raffaele d'’Ambrosio, S. E. mons. Gastone Mojaisky Perrelli, arciveXI
scovo-vescovo emerito di Nusco, Conza, Sant’ Angelo dei Lombardi e
Bisaccia, Miriana Tramontina, Giuseppe Veneroso, Teo Ducci, Pier Giuseppe Murgia, Gerardo Calenda e, preziosissime fra tutte, infine,
quelle di Giuseppe Gregorio Gregori e di Alberino Palumbo. Segue poi, al X capitolo il giudizio della storia su Giovanni Palatucci: «Se avesse contribuito a salvare anche un solo ebreo, egli sarebbe comunque meritevole d’esser degnamente ricordato»; gli autori hanno voluto dare una risposta a pochi storici detrattori della figura di Giovanni, i quali lamentano - tra l’altro - la mancanza di una biografia che contestualizzi l’opera del Palatucci nel periodo storico cui si riferisce il suo impegno a favore dei perseguitati. Capitolo XI: // valore del martirio cristiano in senso storico e teologico: una trattazione esaustiva, di grande utilità alla causa di canonizzazione appena ufficialmente iniziatasi. «Il nazionalsocialismo del terzo Reich ha preteso di imporre un’ideologia neopagana e radicalmente anticristiana, fondata sulla superiorità della razza ariana e sull’eliminazione violenta delle razze inferiori», ma «l’amore è più forte della morte e vince il tempo». «Tutti coloro che l’hanno conosciuto si soffermano a descriverci la sua semplicità, gaiezza, signorilità di tratto, disponibilità al dialogo, generosità senza misure. Tutto ciò ch'egli operò non
conobbe limiti, perché, come ci ha ricordato André Frossard, “i santi
tendono molto più facilmente a oltrepassare i limiti, perché non li vedono”». Il r4v Elio Toaff, da rabbino-capo di Roma, scriveva al ni-
pote ex sorore del servo di Dio, Antonio, dicendosi pronto a perorare la causa di canonizzazione del dott. Giovanni Palatucci. L’elenco dettagliato degli archivi consultati e delle poesie ad hoc concludono il precitato capitolo. Col capitolo XII: L’'antiebraismo e l'antisemitismo giudeofobico: dai primordi precristiani alla soluzione finale di Hitler; siamo nella terza parte del libro: diciamo pure che quasi un altro trattato viene inserito nel nostro volume. Infatti si parte dalla fase precristiana: Gesù era ebreo; gli Noebrei sono accusati di «deicidio», fino alla dichiarazione conciliare
stra Aetate (1974, al n. 4), che libera definitivamente gli ebrei dall’accusa di «deicidio» e di «responsabilità collettiva» nell’uccisione di Cristo. di Poi vengono presentati gli orrori del sistema nazionalsocialista tratte fondi appro Hitler: dai Lager alla sboàh. Ecco alcune specifiche e deltazioni: il mondo dei Lager, il luogo dello «sterminio sistematico» di stermila follia aberrante del nazionalsocialismo del Fibrer; i campi XII
nio; Dachau, il primo campo di concentramento nazista (i«campi del-
sucla giustizia», come furono chiamati all’inizio, si trasformarono,
cessivamente, in campi della morte); come si svolgeva la vita in un campo di concentramento?; l’epidemia di tifo (che cagionò la morte del dott. Palatucci); i negatori dell'Olocausto; Sentier: verso il male radicale. Il volume termina con Gli ebrei in Italia: elenco per cognomi di 9.800 famiglie di ebrei; «Come l’olio non si mescola con l’acqua, così Israele non deve mescolarsi coi circonvicini. Come l’olio galleggia sull’acqua, così Israele deve sovrastare sugli altri».
Giovanni Palatucci è un vero martire della Chiesa. I martiri? I veri martiri sono uomini giusti, sottoposti a prove e sofferenze a causa della loro fede. I martiri hanno percorso la loro via crucis molto dura, rimanendo fedeli al Vangelo e alla Chiesa, chiamati, in quanto credenti, a seguire il Signore senza compromessi sino alla croce, sorretti dalla potenza del suo Spirito. Giovanni Palatucci ha voluto tutelare la vita umana, a chiunque essa appartenesse: «era la vita del fratello, dell’ebreo, del suo simile»; e, come Cristo, anche lui - a meno di trentasei anni - nel Lager di Dachau muore sacrificando la sua giovane vita, e perciò, è «martire». Il martire non è un suicida, ma un condannato a morte, capace di
morire per un'idea, per la sete di giustizia insita in ogni vero e autentico cristiano. Il secolo XX ha messo a dura prova la fedeltà del cristiano. — Beati voiperseguitati, santi di ieri e di oggi: la vostra è una testimonianza preziosa. «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.» In una recente lettera i vescovi francesi scrivono alle Chiese nella tormenta: «Voi siete stati chiamati a rendere visibilmente testimonianza della nostra fede attraverso alcune forme specifiche: l’azione in favore della pace e della libertà, il perdono, il rifiuto di ricambiare il male con il male, la speranza nel Risorto che dice “Amate i vostri nemici, prega-
te per coloro che vi perseguitano”». È la santità come testimonianza di
Colui che è il Santo: «In queste situazioni di conflitto e persecuzione,
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resistendo alla tentazione della vendetta, mostrando rispetto per ogni persona, ponendo l’amore e la carità al centro della vostra vita e di ogni vostra azione, divenite segno dell’amore che ci è donato dal vero Dio, il Padre di Gesù Cristo, l’amico degli uomini». I santi? «Gli uomini più umani che sono esistiti!» (Maggiolini). Ogni santo è una chiara risposta alla chiamata di Dio. Testimoniano i martiri: «La preghiera ci faceva sentire la vicinanza di Dio nella nostra vita quotidiana. Essa ci faceva capire che noi non siamo mai soli e che non siamo mai abbandonati nel nostro cammino lungo : sentieri difficili della vita quotidiana». Ma domandiamoci: «Cosa fa di un credente un buon cristiano e di un altro un santo?» Le fattezze di ogni persona raggiunta e cambiata dallo Spirito dipendono da doti creaturali, dall’educazione ricevuta, dagli incontri fatti,
dai libri letti, dai pensieri meditati: soprattutto dipendono dai carismi — dai doni spirituali - che sono concessi a ciascuno. Insomma, dipende tutto «da te, da me, che aderiamo ai colpi di scalpello che lo Spirito batte per cavare, dalla pietra arida e dura che siamo noi, i capolavori di Dio». La perfezione cristiana è possibile anche nelle nostre strade, nei nostri uffici e nei nostri ambienti di lavoro, nei momenti tristi e nei fugaci e desiderati momenti di gioia. Di certo ciò che accomuna ogni esperienza di santità è «il genio dell’amore». Perciò «li dobbiamo pregare, perché conoscono a fondo gli anfratti più nascosti e i punti più crudi dell’esistenza che siamo incaricati di vivere. Del resto la galassia dei santi che ci attorniano non ci soffoca. Loro - i santi — invece pregano per noi, si pongono accanto a ciascuno di noi perché ci lasciamo formare dalla pedagogia del Signore che ci vuole secondo la statura di Cristo». Il secolo XX ha messo a dura prova la fedeltà del cristiano. Basti solo pensare alle persecuzioni nei Paesi dominati dai regimi nazista e comunista. Solo in Europa ci sono stati oltre 12.000 martiri: sono persone a cui la fedeltà a Cristo è costata la vita. Quei martiri, infatti, non avevano neanche la consolazione che i loro atti divenissero esempio, perché la loro morte avveniva in segreto edera rubricata tra le condanne per tradimento («connivenza col nemico» per Giovanni Palatucci) o reati comuni. La «memoria» però ha vinto. «Chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc. 9, 23). XV
Evangelti La crisi tra fede e cultura - ha evidenziato Paolo VI nell’ oggi più nuntiandi - ha determinato il «dramma della nostra epoca»; che ha fede della e che mai è necessario far riscoprire ai giovani il valor generato i martiri. «La fede offre alla cultura ladimensione nuova della speranza: se questa viene meno, la cultura s1 avvizzisce, s’impoverisce e muore. [...] Il vostro sì al Signore ripetuto in tutte le contingenze del quotidiano sarà la prova vera della vostra fede, il contributo più valido per la rinascita della famiglia e la rievangelizzazione della società.» Il volto di Cristo nel volto della Chiesa
Esiste un intimo e inscindibile legame tra Cristo e il suo corpo mistico, che è la Chiesa, mediante il quale egli continua, attraverso i secoli, la
sua missione di salvezza tra gli uomini che si succedono nel tempo. L’uomo d’oggi ha bisogno di vedere il volto di Cristo nel volto della Chiesa. La persona umana, già dal suo concepimento, è destinata alla beatitudine eterna. È a tutti nota l’espressione di sant'Agostino a tal proposito: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te» (Confessioni, I, 1). San Paolo apostolo prima del santo vescovo di Tagaste diceva: «In lui (in Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1, 4-5). Questa è la vocazione fondamentale di ogni uomo. Solo diventando un «alter Christus» l’uomo può realizzare la sua alta vocazione alla santità. L’uomo di oggi perciò vuole vedere Cristo: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv. 12, 21). In effetti, senza di lui, e senza la piena coscienza della sua
vocazione originaria, la vita dell’uomo sulla terra perde ogni punto di riferimento e tutto diventa oscuro e inspiegabile. «L'uomo che vuol comprendere sé stesso fino in fondo deve avvicinarsi a Cristo»? e così vedere il suo volto amorevole. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, attraverso la costituzione
dogmatica Lumen gentium, dice bene: «Cristo è la luce delle genti; e questo santo sinodo desidera ardentemente illuminare tutti gli uomini } Redemptor hominis, 4 marzo 1979, n. 10. XVI
con la luce di Cristo che si riflette sul volto della Chiesa, annunciando
il Vangelo a ogni creatura» (num. 1). La Chiesa dunque, in Cristo, è «come un sacramento, cioè segno e strumento, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano [...]; Dio infatti ha costituito la Chiesa perché sia, per tutti e per i singoli, sacramento visibile di questa unità salvifica» (num. 2). A tale proposito il p. Henry de Lubac puntualizza: «Se Cristo è il sacramento di Dio, la Chiesa è per noi sacramento di Cristo»*, e cioè essa ha come unico fine quello di render presente e rivelare a ogni uomo il volto di Cristo; quello di riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia. Cristo re non viene a regnare come i re di questo mondo, ma a stabilire, per così dire, nel cuore
dell’uomo, della storia e del cosmo la potenza divina dell’Amore. In virtù del battesimo e della cresima i fedeli laici partecipano alla missione profetica di Cristo. Di conseguenza sono chiamati a «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» e anche a «svolgere i compiti propri nella Chiesa e nel mondo [...], con la loro azione per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini». In che modo allora la Chiesa rende presente Cristo e rivela così il suo volto? La Chiesa compie la funzione di renderlo presente nell’esercizio del suo triplice munus: docendi («Cristo maestro»), sanctificandi a («Cristo sacerdote») e regendi («Cristo re»). La Chiesa è chiamata rispecchiare sul suo volto il volto di Cristo maestro o profeta, sacerdoquello te e re. E ciò affinché di essa si possa dire in rapporto a Cristo vede il che Cristo dice di sé stesso in rapporto al Padre: «Chi vede me, volto è la Padre» (Fil. 14, 9). Essere la trasparenza di Cristo e del suo sua missione fondamentale. sul volto Gli uomini hanno l’inalienabile diritto di poter vedere e per mezzo di della Chiesa il volto del suo Signore, perché, in essa per rendere preessa, possano vederlo e contemplarlo. La Chiesa però, non è costituita sente e quindi rivelare il volto di Cristo agli uomini, del popolo di Dio. solo dalle sue strutture, ma anche da tutti i membri dunque, e rendiamo Ci viene in aiuto sant'Agostino: «Rallegriamoci, ma siamo diventagrazie a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, della grazia che Dio ti Cristo stesso. Capite, fratelli? Vi rendete conto tati Cristo! Se Cristo ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diven dogma, Roma 1948, p. 52. 4 Cattolicesimo. Gli aspetti sociali del 5 Lett. ap. Novo millennio ineunte, 46.
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è il capo e noi le membra, l’uomo totale è lui e noi». Il cristiano sulla terra quindi non è solo un «alter Christus», ma «ipse Christus»: la meta
ultima di ogni uomo consiste dunque essenzialmente in una piena,
totale, immedesimazione con Cristo, nell’essere un riflesso sempre più
perfetto del suo volto. Perciò «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Ga/. 2, 20), parole che valgono ugualmente per ogni battezzato (2 Cor. 13, 5; Col. 3, 4).
«Quest’identificazione del cristiano con Cristo va espressa nella propria vita di ogni giorno», ha riferito recentemente il cardinal José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. «Egli è chiamato a render presente Cristo e a manifestare ai fratelli il suo volto con la testimonianza personale.» Sono sempre attuali, in proposito, le parole di Paolo VI: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei
testimoni»”, E Giovanni Paolo II ribadisce: «Oggi la gente si fida poco delle affermazioni verbali e delle dichiarazioni enfatiche, ma vuole i
fatti, per cui guarda con interesse, con attenzione e anche con ammirazione ai testimoni. Si potrebbe dire addirittura che l’auspicata mediazione tra la Chiesa e il mondo moderno, perché veramente riesca, esige testimoni che sappiano trasfondere la perenne verità del Vangelo nella propria esistenza e insieme ne facciano strumento di salvezza per i propri fratelli e sorelle»8. Il volto di Cristo risplende con luce più intensa nei santi e testimoni della fede, in quanto in essi, in virtù della loro docilità allo Spirito, si è resa più nitida la conformazione con Gesù ricevuta nel battesimo: sono diventati, per così dire, più ipse Christus nella partecipazione alla sua vita e alla sua missione. I santi, nella varietà dei loro carismi e nella pluralità delle loro vocazioni, hanno avuto l’umile audacia di fissare il loro sguardo sul volto
di Cristo risorto, vivendo la loro radicalità evangelica come un’affascinante avventura dello Spirito. Essi hanno raggiunto le più alte vette della santità, contemplandolo con amore e diventando per ciò contemplatori del volto di Cristo Signore crocifisso e risorto (ivi). E proprio questo che, con l’aiuto della grazia, ha sempre cercato di fare Giovanni Palatucci assieme a tutti i testimoni della fede: contem° In Johannis evangelium tractatus, tr. 21, 8. ” Discorso al Consilium de laicis, 2 ottobre 1974. * Discorso del 5 febbraio 1992.
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plare il volto limpido e luminoso del Cristo, e farlo risplendere davanti agli uomini del loro tempo. Lo hanno fatto con la loro testimonianza personale, e molto spesso con il'‘sacrificio della loro vita, che, per il cristiano, è sempre la suprema testimonianza della sua fede nel Signore risorto. I santi perciò sono i veri tessitori della storia umana, cioè hanno non solo a parole confessato il Cristo, la sua parola, ma hanno offerto la loro stessa vita in olocausto, vivendo con assoluta coerenza la
radicalità evangelica e le virtù proprie del cristiano. «Fatichiamo tanto», osserva un illustre presule italiano, «a inseguire
la gente per parlare di Gesù Cristo. Bisognerebbe invece invertire la rotta diventando santi, e allora sarà la gente a cercarci. Lo abbiamo visto tante volte anche noi, ad esempio, con p. Pio di Pietrelcina, ma-
dre Teresa di Calcutta, papa Giovanni XXIII... Quanta gente si inte-
ressava di loro! Li amava, li seguiva, e non era curiosità morbosa a
spingere dietro di loro [...], ma il fatto che in loro si vedevano i segni della presenza e dell’amore di Gesù attraverso la preghiera, la mitezza, la disponibilità, l’aiuto ai bisognosi, l’amore alla Chiesa».
La santità dei cristiani è, come dice il filosofo Jacques Maritain, la
sesta via per dimostrare agli increduli l’esistenza di un Dio amorevole e misericordioso, è l’unico vangelo che l’uomo contemporaneo ancora legge, ascolta e capisce. «È con la santità della vita», scrive lo stesso presule, «che il cristiano diventa “interessante” anche per un’opinione pubblica distratta. Interessante non perché fa “miracoli” [...], ma perché ha il coraggio di andare controcorrente, non si vergogna della sua fede, anzi ne parla con di gioia ed entusiasmo, mostra coerenza in tutte le sue scelte, sa pagare perdopersona l’emarginazione sociale cui potrà essere condannato, nando e amando chi lo mette in croce» (ibid.). confortaGiovanni Paolo II, nella Novo millennio ineunte, dice che,
nde oggi, ta dall’esperienza del volto del Signore risorto, la Chiesa ripre al ciare Cristo con rinnovata speranza, il suo cammino, per annun costantemente il mondo, all’inizio del terzo millennio. Questo è stato
o è anche il cammino seguito dai santi e dai testimoni della fede. Quest per vivere in piecammino a percorrere il quale siamo tutti chiamati, conoscere il suo nezza il mistero pasquale del Signore risorto e far a pastorale per la quaresima 2001. 9 G. Chiaretti, arcivescovo di Perugia, Letter
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volto splendente agli uomini del nostro tempo. In questo consiste essenzialmente la santità cristiana: essere un riflesso della santità di Dio che risplende sul volto del Cristo! E questo il nostro impegno, come sottolineava il cardinal Newman in una delle sue elevazioni: «Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi; a risplendere fino a essere luce per gli altri. La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà merito mio. Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri. [...] Fa
che io ti annunci non con le parole ma con l’esempio, con quella forza attraente, quell’influenza solidale che proviene da ciò che faccio, con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi, e con la chiara pienezza dell’amore che il mio cuore nutre per te»!0. Il servo di Dio Giovanni Palatucci è stato senz’altro un «riverbero chiaro» della presenza di Dio per il popolo ebreo durante la shoàh, a Fiume e dintorni, perché egli, «servo dello Stato», non fu fascista, ma
«servo dell’uomo perseguitato»; e ha saputo incarnare l’arte della contemplazione nella quotidianità: quando salvava gli ebrei, quando dava una mano valida ai perseguitati e ai derelitti d’ogni genere, quando si faceva prossimo a tutti - andando contro le leggi razziali perché erano state emanate contro il suo simile — e serviva i fratelli in quanto per lui non erano altro che «tabernacoli e sacramento» del suo Dio e Cristo da «amare» e quindi «servire», memore delle parole imparate da piccolo, ma incarnate nella sua pur breve e preziosa vita: «Tutto ciò che avrete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli - dice il Signore - io lo ritengo fatto a me» (dal Vangelo). Il nostro servo di Dio oggi diventa sicuro riferimento per i cristiani: «[...] con l’auspicio che il tribunale diocesano possa svolgere adeguatamente il suo ufficio, così da offrire ai cristiani quest’altra luminosa testimonianza di fede e carità [...]; oggi più che mai, infatti, abbiamo bisogno più di testimoni che di maestri, o, meglio, di quei testimoni che siano
anche maestri»!!. Ildott. Palatucci è soprattutto un esempio da seguire per i nostri poliziotti in Italia e nel mondo: il destino di Giovanni si era ormai compiuto ed egli, quasi a voler condividere in un abbraccio denso di amore la sorte di tutti coloro che non era riuscito a salvare, era ormai
pronto a percorrere in solitudine con la serenità e la forza di chi sa di 1° Cfr. «L'Osservatore Romano», 11-12 novembre 2002, p. 10.
!! Card. Camillo Ruini, vicario di Sua Santità per Roma.
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essere nel giusto tutte le tappe di una via crucis che, attraverso le sevizie e gli orrori del campo di concentramento, lo avrebbe condotto sino al martirio finale. «Giovanni è andato oltre il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”» - così Roszi Neumann conclude la sua testimonianza - «perché ha amato il suo prossimo più di sé stesso». «Giovanni Palatucci, funzionario di polizia, testimone di valori etici universali, è un eroe quasi sconosciuto: uno di quegli eroi che anche nei momenti più bui non hanno fatto mai venire meno la speranza. Il loro sacrificio ha tenuto accesa una fiamma che ci ha consentito di non smarrire l’amore per la patria e ci ha aiutati a trovare la forza e l’orgoglio per ricostruire, sulle macerie morali e materiali che la guerra aveva lasciato in eredità, un nuovo Stato fondato sul rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo. Grazie Giovanni, noi funzionari di polizia non dimenticheremo il tuo esempio e saremo orgogliosi di seguirlo anche nel nostro semplice lavoro di tutti i giorni>!“. «Zichronò liberachà!»: «La sua memoria rimane in benedizione!» Ricordano il dott. Giovanni Palatucci con infinita riconoscenza: il mondo ebraico, per la salvezza da lui realizzata di tanti «fratelli maggiori» nella shoàb; i familiari, che ne conservano vivo il ricordo; il popolo di Dio, che attende con fiducia il pronunciamento ufficiale della Chiesa su perché il servo di Dio Giovanni Palatucci sia posto sul candelabro, Martire del anza tutti gli altari del mondo, perché vittima — a somigli fratelli divino - offerta in olocausto in quanto salvatore di migliaia di mai volle fine, della sino alla fine: «[...] Neanche di fronte alla certezza già salvate, abbandonare il suo posto: nonostante le migliaia di vite pensava di poterne salvare sempre almeno un’altra». Sac. Gianfranco Zuncheddu
direttore generale della Pubblica Sicurezza. 1? Giovanni De Gennaro, capo della polizia,
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Giovanni Palatucci: un giusto tra 1 giusti,
prefazione di Georges de Canino
L'Istituto commemorativo dei martiri e degli eroi dell’Olocausto, lo Yad Vashem («memoriale eterno»: Isaia LVI, 5), era già maturato nel 1945, in occasione del congresso sionista tenutosi a Londra nel mese di agosto di quell’anno. Il monumento eretto a Gerusalemme, maestosamente solenne, ha
lo scopo di commemorare gli oltre sei milioni di ebrei soppressi nei campi di sterminio nazisti nel corso del secondo conflitto mondiale. Tale progetto dell’istituzione della memoria (alla lettera, «ricordo e nome») è, perciò, legato funestamente allo sterminio del popolo ebraico e alla «soluzione finale», decisi e voluti dalla Germania nazista e
dagli alleati e collaboratori europei del Fyibrer. Quest’esecrabile disegno di annientamento fu stabilito e deciso nei dettagli nella conferenza di Grosser Wannsee del 20 gennaio 1942. La parola d’ordine fu la comune volontà di cancellare gli oltre undici milioni di ebrei che allora vivevano in Europa. L’immane e spietato eccidio di più della metà di essi ha determinato un'attenta e profonda riflessione, da parte degli ebrei e dei cristiani, che ha trovato la sua espressione più significativa nella «teologia dell’Olocausto», anzi «della Shoah», che nasce da Auschwitz, il monumento per antonomasia dello sterminio di massa degli ebrei, e che rievoca responsabilità e colpe anche cristiane. Perciò la Knesset, cioè il Parlamento unicamerale
israeliano, come organo legislativo, il 15 agosto 1953, votò la «legge del ricordo», sancì la creazione del suddetto memoriale e ne stabilì la strut-
tura e gli scopi con una legge specifica. | Lo Stato d’Israele è una realtà storica, geografica e politica; esso riveste un significato decisamente fondamentale per il giudaismo. Il concetto d'Israele si lega inscindibilmente a quello della «terra dei paXXII
dri». L’ebraismo, nella sua specificità, ha come genoma spirituale l’appartenenza alla propria terra; Stato e Terra d'Israele esprimono e significano alla stessa maniera l’identità ebraica. Questi concetti sono ampiamente sviluppati nella Carta della fondazione d’Israele come Stato, del 14 maggio 1948, in accordo al piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 e alla prima guerra d’indipendenza. Israele ha scelto di non dimenticare mai. Per questa volontà fondamentale, si stabilì per sempre che era necessario perpetuare la memoria dei sei milioni di ebrei annientati e delle migliaia di comunità distrutte in Europa dalla ferocia nazista. A Gerusalemme, capitale di Erez Israel («Terra d’Israele»), centro della spiritualità e della saggezza ebraica, il memoriale Yad Vashem ha come preciso scopo quello di studiare e ricordare la più atroce e terribile delle tragedie della storia ebraica. Una delle sue finalità principali è quella di ricordare i giusti tra le nazioni che hanno rischiato la loro vita per soccorrere e salvare gli ebrei offesi e perseguitati. L'Istituto commemorativo dei martiri e degli eroi dell'Olocausto ha dichiarato e scritto, nel 1990, nel Libro dei giusti (dossier 4338) il nome di Giovanni Palatucci. La sua vita, la sua opera di salvatore a favore degli ebrei d'Europa, il suo martirio nel campo di sterminio di il Dachau hanno fatto di Lui un giusto, cioè uno di quelli che amarono e nel popolo d’Israele. Il suo nome è scritto per l’eternità nel cuore libro della gratitudine d’Israele. monte Un albero porta il suo nome sulla collina di Gerusalemme, sul tempo da stato del Ricordo, nel viale dei Giusti. In Italia il suo nome è una lunga e dimenticato. L'Italia, a partire dal dopoguerra, ha vissuto ignobiquell’ di buia notte d’oblio, con forzate rimozioni di coscienza luoghi d’interle colpa che furono le leggi razziste ed antiebraiche ed i ganda del propa la namento, i campi di concentramento fascisti, che e di democrazia Duce e dei suoi gerarchi ostentarono come espression | e di civiltà. rimosso, rimangono Purtroppo, nonostante il ritorno del passato ecatombe della Shodb: si ancoratroppi buchi di memoria sull’immane tutti i campi dello stervorrebbe sfuggire lo spettro di Auschwitz e di iche della così detminio sistematico. Le sedicenti istituzioni democrat doverlo ammettere ta Europa civile non concedono - ed è doloroso Shoah, nell’ambito spazi sufficienti di discussioni e di dibattiti sulla XXIII
sianegli della storiografia contemporanea, sia nelle scuole dell’obbligo dimenAtenei e nel mondo accademico. Palatucci è stato volutamente
ticato da coloro che, dopo la guerra, tornarono ad occupare il loro posto e a ricostruirsi comodamente la carriera, spesso rinnegando quella fede che li aveva spinti, prima, a compromettersi col fascismo, del quale sposarono completamente la causa, e, peggio ancora, a collaborare, poi, con gli stessi nazisti quando avevano deciso di servire la Repubblica di Salò. Vien fatto spontaneo il chiedere a costoro di quale patria siano stati difensori. Essi, da autentici criminali, collaborarono attiva-
mente con i nazionalsocialisti; dapprima applicarono le leggi
antisemitiche del 1938, elaborate dal fascismo del Duce, e, successivamente, con la Carta di Verona, si spinsero addirittura a firmare gli
arresti e a riempire di ebrei i treni piombati dei tedeschi, diretti verso i campi di sterminio della Germania dell’Est e della Polonia. Palatucci programmò, ogni giorno della sua esistenza, una lotta inesorabile, opponendosi con ogni mezzo al fascismo e alle sue leggi liberticide e strappando al razzismo fascista l’odio antiebraico; dando,
infine, alla sua vita una direzione ben diversa da quella dei suoi colleghi che, per lo più, si resero correi dei due regimi totalitaristici, diven-
ne testimone di libertà e profeta della solidarietà. Giovanni Palatucci ebbe il coraggio e la maestà di un re; rafforzò la sua vocazione al bene e alla giustizia, fino all’ultimo sacrificio; fu un
santo attuale, nemico di qualsiasi potere; e sarebbe piaciuto sicuramente a Hannah Arendt. Palatucci disprezzò, in ogni istante della sua eroica vita, il conformismo della dittatura; visse con coerenza i suoi principi contro tutto ciò che era nefasto, opponendosi a tutti i mali orribili del suo tempo; fu, perciò, un uomo che combatté la malvagità, l’omertà e l’indifferenza. Giovanni
Palatucci santificò la sua esistenza, consacrandola al bene assoluto, alla
giustizia e alla preghiera, al riscatto dei perseguitati, al rispetto degli umili, all'amore e alla dedizione per il popolo d’Israele. Egli ha compiuto con la sua opera di giustizia un tiggur (una «riparazione»), molto prima del Concilio Vaticano II. È stato un profeta per la Chiesa Cattolica; un esempio ecumenico sincero e autentico; un uomo nato per compiere azioni generose e profonde. Possiamo quindi definirlo un italiano che profetizzò una Polizia al servizio di una sociex . o
tà democratica e nuova, un poliziotto tra le gente e al servizio di tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. XXIV
Il corridoio di Fiume fu la strada della salvezza, per sette anni, dal 1937 al 1944, per chi fuggiva, per chi aveva ancora una speranza nel cuore. «Si trattava del famoso corridoio fiumano, creato e controllato
dal giovane Questore di Fiume Giovanni Palatucci, che ha pagato con la vita a Dachau questa sua indomabile attività di resistenza.»! «Giovanni Palatucci fu vicino a ogni ebreo che si presentava nel suo ufficio, in questura, presentandosi come un angelo biblico, con amore fraterno e con naturale compassione.»? Per molti anni ho pensato che noi ebrei avevamo il dovere di ricordare e l’impegno di non dimenticare mai l’azione di Palatucci. Con l’amico Max Shamgar abbiamo discusso e pensato alla necessità di ricostruire la grande foresta bruciata che, nel 1955, i sopravvissuti allo Sterminio avevano dedicato al loro questore e salvatore. È scritto ed è detto: «Così è stato insegnato: felice il destino dell’uomo che ama il Santo (D-0), che benedetto egli sia di tale amore. Grazie a quei giusti veritieri, che amano in questo modo il Santo, che benedetrto egli sia, il mondo si mantiene; ed essi dominano su tutte le sentenze
sfavorevoli del mondo superiore e di quello inferiore»). Quando si pensa o si parla del giusto, si ha un’idea vaga di chi sia! Il giusto è l’uomo che mette in rapporto attivo il mondo terrestre con quello celeste, attraverso la preghiera sincera vissuta e osservata delle leggi divine, contenute nella Toràh. L’uomo giusto opera per il bene, riparando i danni compiuti dai nostri antenati; il compito del giusto è di riportare l'armonia nel mondo. Il tigqun, «riparazione», è l’azione dell’uomo che è strumento del bene e amante di D-o. Il giusto è l’uomo che compie la volontà del Creatore, in contemplazione del mistero di D-o, attraverso le azioni di bontà e di giustizia verso il prossimo, chiunque esso sia. L'amore del giusto per D-o deche v'essere intenso, assoluto, basato sulla preghiera privata e intima
il zaddig, è mira alla santificazione della propria esistenza. Il giusto,
avviene colui che raggiunge il contatto mistico con la divinità. Mentre favore degli questo contatto, la vita quotidiana del giusto è vissuta a Firenze 2001. ! Liliana Schmidt Alhanati, Una storia, Giuntina,
2? Testimonianza di Luigi Sagi.
l
preghiera, Ill - 68 a 55, ed. > Libro dello splendore, a cura di Elio e Ariel Toaff, La
Studio, Tesi, 1994.
XXV
umili, al servizio di una vita generosamente spesa ad aiutare chi soffre e coloro che hanno bisogno di soccorso e sostegno. Giovanni Palatucci, nell’arco della sua breve, intensa e fulminante
esistenza, mise in giuoco tutto sé stesso. Si pose al servizio diun’opera strategica a favore di chi era condannato 4 priori, per pregiudizio, per razzismo, per menzogne religiose millenarie, per indifferenza, per ignoranza, per paura, per tabù, per odio antisemita, per fanatismo... Una carriera brillante si schiudeva per il giovane funzionario Gio-
vanni Palatucci, ma il suo obiettivo era un altro: non intendeva com-
pletare il proprio cursus bonorum. Fu, per i suoi superiori, un funzionario «difficile» e scomodo, ma alla storia passerà come un uomo con una coscienza etica e con un senso di libertà non esteriore, un vero
credente, un autentico combattente della e per la libertà. Lui, il giusto, praticò la religione della coscienza e della libertà, all’interno dello Stato, di uno Stato che aveva smantellato ogni diritto essenziale e fondamentale, diventando, così, lo Stato del non diritto.
Il giusto Giovanni Palatucci fu l’espressione contraria di un’epoca in cui tutti, o quasi, erano conformisti e complici di un giuoco perverso. Nessuno sapeva, nessuno voleva sapere, nessuno pensava più, nessuno aveva visto nulla, nessuno era al corrente dell’orrore che si stava perpetrando, nessuno voleva sapere o dire che il fascismo aveva mentito e mentiva. La differenza fra il giusto e il malvagio si definisce così: «I malvagi sono sotto il dominio del loro cuore (cioè della cattiva inclinazione), i giusti tengono il loro cuore sotto il loro controllo». Ripensando a Giovanni Palatucci, non dobbiamo e non possiamo dimenticare il suo servizio e la sua opera svolta alla questura di Fiume, dal 1937 al 13 settembre 1944. In questi anni Giovanni realizzava alla grande ed eroicamente azioni di soccorso e di salvataggio in favore dei fratelli ebrei perseguitati, con spirito di totale abnegazione. Egli suggellava e sigillava il periodo più intenso della propria vita e, da dirigente e funzionario della giustizia di uno Stato iniquo, sceglieva di combatterlo dall’interno, dietro lo pseudonimo di battaglia di «dottor Danieli». In verità, da autentico antifascista, e, ancor più, da vero cristiano, viveva un'esistenza eccezionale, seguendo le orme del suo Maestro, Gesù l’ebreo. Vivendo per amare, lottando e salvando, affermava
la bellezza che è propria degli uomini di buona volontà.
La scelta di combattere le nefandezze del fascismo, prima, e della
Repubblica di Salò, successivamente, esponeva quotidianamente il dott. XXVI
Palatucci al pericolo di mettere a repentaglio la propria vita. Tutte le occasioni per fuggire, per salvarsi, saranno da lui volutamente evitate; si renderà conto lucidamente che la'tragedia che si era abbattuta contro i suoi ebrei perseguitati era senza scampo. Potrà lui, il giusto, abbandonarli all’odio perverso e infame dei nazisti e dei servi fascisti repubblichini? L’ultimo anno di reggenza a Fiume sarà l’anno che lo obbligherà a lottare contro l’impossibile e l’assurdo. Ogni giorno della sua vita sarà un gesto, un’azione per salvare una vita. Quello che Giovanni Palatucci vivrà in quell’anno 1944 e in quei mesi che precedono l’arresto è difficile decifrarlo nel buio di quell’inferno oscuro. Nella preghiera, nel cuore delle notti insonni, Giovanni avrà invocato l’aiuto e il sostegno per continuare quella sua vita, finalizzata al bene, una vita tra l’infamia dei persecutori e il silenzio del mondo. È scritto nel Libro dello splendore: «Da’ in abbondanza ai poveri. Rabbi El’azar disse: Quando il Santo (D-0), che benedetto egli sia, creò il mondo, lo fissò su una sola colonna, il cui nome è il giusto».
Il giusto è infatti il fondamento del mondo: egli abbevera e alimenta tutto, com'è scritto: «Dall’Eden usciva un fiume che bagnava il giardino e di là si divideva e formava quattro capi»!.
Fra necessario smettere di alimentare idiozie, anche sostenute in
buona fede. |
Era doveroso mettere ordine alle confuse notizie che si avevano
sulla vita e sull’azione di Giovanni Palatucci. È lo scopo riuscitissimo dell’opera che il dottor don Michele Bianco e il dottor Antonio De Simone Palatucci hanno scritto e arricchito di nuova documentazione inedita, inquadrandola storicamente, sulla base di ricerche fortunatissime e ricche di sorprese. Ho l’onore di testimoniare, in queste pagine di presentazione, per la parte ebraica, l’eccezionale raccolta di docu-
menti, di recuperi preziosi, di testimonianze sull’esistenza e sull’eroica opera di Giovanni Palatucci, alimentata e sostenuta sempre dall’amore e dalla fede soprannaturale. Don Michele Bianco, straordinario uomo di cultura e teologo, sacerdote al servizio di chi soffre nel corpo e nello spirito, impegnato De Simone nella vita sociale, è coautore insieme all’avv. Antonio
h ha Neelam I 208a 208b, 24, * Libro dello splendore, a cura di Elio e Ariel Toaff, Midras ed. Studio, Tesi, 1994.
XXVII
Palatucci, di questa monumentale biografia del giusto; l’avv. De Simone Palatucci, poeta delicato e raffinato, è nipote ex sorore, e perciò diretto, di Giovanni, ed è cultore e difensore dell’onore e della memoria del
martire, documentando la vita drammatica del caro «angelo degli ebrei» con dedizione figliale, condivisa dalla moglie ins. Licia e dalla figlia avv. Maria. Don Michele Bianco e Antonio De Simone Palatucci, con il chiaris-
simo prof. Luigi Torraca, sono stati nominati dall’eminentissimo cardinale vicario Camillo Ruini periti storici e responsabili della commissione storica per il processo di beatificazione e dichiarazione del mar-
tirio in odio della fede del servo di Dio Giovanni Palatucci, laico e
funzionario della Polizia di Stato. Don Michele Bianco e Antonio De Simone Palatucci ci restituiscono, con questa imponente biografia, la splendida figura del commissario di Fiume e martire a Dachau. Uno studio serio e documentato che resterà un punto fermo e che spazzerà la volgare e continua ripetizione di «cose dette» in maniera superficiale. Si sfatano le leggende banali del presunto fidanzamento di Giovanni con una ragazza ebrea; della vocazione di arruolarsi in polizia, di-
mostrando inoppugnabilmente che si trattò di una scelta di ripiego, che poi si rivelerà provvidenziale per tutto il bene che egli farà, spinto dall’amore del suo Maestro, l’ebreo Gesù di Nazareth.
Si smascherano i luoghi comuni, i veleni e le meschinità di circostanza. Si appalesano le intrinseche contraddizioni della testimonianza del lontano parente del martire, S. E. Ferdinando Palatucci. Ne risulta una storia da riscoprire, un libro avvincente, ponderato, scritto con onestà
intellettuale e supportato da ineccepibile documentazione irrefutabile, il cui solo scopo è quello di dimostrare che Giovanni Palatucci, liberamente e consapevolmente, offrì in olocausto la propria vita, sull'esempio di Gesù, unicamente spinto dallo stesso amore del proprio Maestro. Ci sono tutti gli elementi che provano, storicamente e teologicamente, il martirio del giusto servo di Dio Giovanni Palatucci. Particolarmente interessanti sono i capitoli dedicati al martirio e alla giudeofobia, storicamente ben inquadrati. Ne risulta, nel complesso,
un testo indispensabile per capire chi fu veramente e che cosa fece il salvatore degli ebrei di Fiume. Non possiamo dimenticare la ricerca e il lavoro pionieristico di Goffredo Raimo su Giovanni Palatucci. Senza Goffredo Raimo, senza XXVII
la sua appassionata e fedele intuizione, oggi non staremmo a questo punto. Il suo ricordo di amico è, per me; un segno di quella fraternità che rende i sentimenti umani come l’unica vera fonte di emozioni. Conservo le sue lettere come trofei di antiche battaglie, quando nessuno voleva sentir parlare di Giovanni Palatucci. È doveroso ricordare il contributo fondamentale dato dall’ Associazione nazionale Miriam Novitch nella riscoperta di Palatucci; e menzionare doverosamente il suo corpo di appartenenza, la Polizia di Stato. Senza la collaborazione e le iniziative della precitata associazione il nome di Giovanni Palatucci non sarebbe mai entrato nel cuore della Polizia di Stato, nei suoi dirigenti, cinquant’anni dopo il martirio del questore reggente di Fiume. Fu, infatti, proprio tale associazione a chiedere al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro la medaglia d’oro alla memoria per Palatucci, cinquant’anni dopo che egli aveva immolato la sua vita a favore dei perseguitati ebrei. Tutta la nostra gratitudine va a Adolfo Perugia, presidente dell’ Associazione nazionale Miriam Novitch, e all’emerito rav dott. Elio Toaff, già rabbino capo di Roma, che hanno sempre sostenuto la grandezza umana e spirituale di Giovanni Palatucci, un giusto fra le nazioni. Un grazie all’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, che dal 1955 ha onorato la figura del giovane funzionario della questura di Fiume. Al suo presidente, prof. Amos Luzzatto, esprimo la mia stima e amicizia fraterna. L’ultimo gesto d’amore di Palatucci fu di morire a Dachau, sepolto in una fossa comune, abbracciato ai corpi dei suoi fratelli ebrei per l'eternità. Georges de Canino pittore e storico della Shoah
XXIX
Prefazione
pia di Luigi Miraglia, presidente dell’Accademia Vivarium Novum
Quando si pensa a Fiume, la memoria corre subito alle imprese superomistiche del D’ Annunzio, ai suoi giovani legionari, alla conquista dell’italianissima città sui nostri confini, ai sogni di gloria d’un Paese ancora animato da ideali risorgimentali. Ma a Fiume, alcuni anni più tardi, un nuovo e diverso eroismo accese il petto d’un uomo che, al contrario del vate guerriero, amabat nesciri; a tal punto, che delle sue
gesta e della sua azione volta alla salvezza di migliaia e migliaia di esseri umani sottoposti a soprusi e angherie non si seppe nulla per lunghi anni. Quell’uomo si chiamava Giovanni Palatucci, ed era il penultimo questore italiano di Fiume.
Sentii parlare del Palatucci la prima volta a Montella, dove vivo da alcuni anni, tra i monti vestiti delle selve secolari e maestose dell’Irpinia, fra scroscianti cascate e arcadici paesaggi, tra gente austera come la roccia dei gioghi appenninici e genuina, sincera, onesta come l’acqua delle innumerevoli fonti che vi scaturiscono. La vecchia piazza del mercato avrebbe presto cambiato nome, e un monumento bronzeo era stato commissionato a un giovane scultore dal promettente avvenire, Gildo Varallo. Piazza e busto sarebbero stati dedicati a Giovanni
Palatucci, figlio di queste terre, di cui i concittadini onoravano così il ricordo non disgiunto da un motivato orgoglio. M’informai allora sulla vita e le imprese di quest'uomo per me fino ad allora sconosciuto, e appresi cose che mi fecero sentire onorato di vivere, sia pur come ospite, nello stesso paese che gli aveva dato i natali. Un solo libro era stato al tempo pubblicato sulla figura del Palatucci, quello scritto da Goffredo Raimo, ma bastava per poter accendere d’entusiasmo per la nobile figura del giovane questore, eroicamente morto in campo di concenXXX
tramento, vittima della brutalità delle umane belve che s’agitano senza tregua in quest’atomo opaco del male, in quest’aiuola che ci fa tanto feroci. Nobile figura: nobile perché ad virtutem bene a natura compositus. Una nobiltà dello spirito, di chi sapeva bene che non facit nobilem atrium plenum fumosis imaginibus e che nemo in nostram gloriam vixit, nec quod ante nos fuit nostrum est: animus facit nobilem!. E per la conquista d’un premio nel mondo dov'è silenzio e tenebre la gloria delle umane miserie, egli s‘adoperò con tutte le potenti energie di cui era provvisto per ornare il suo animo di una veste intessuta delle più splendide virtù portate fino all’eroismo e al sacrificio di sé. Cè da chiedersi da dove Giovanni (oso anch’io, per quell’émpito di cvuncoeio che la sua figura non può non suscitare, riferirmi a lui in questa forma così familiare; ché opinio et fama virtutis reddit nobis familiares eos, quos numquam novimus) abbia attinto una forza così sovrumana nel portare a termine la sua missione, nel non lasciarsi andare allo sconforto, alla paura, al dubbio, all’incertezza nell’azione. Io
non ho analizzato così a fondo e con tanta acribia e dovizia di particolari la vita del Palatucci così come han fatto in questo libro Padre Michele Bianco e il nipote Antonio De Simone Palatucci; ma mi sono comunque interrogato sulle fonti d’una tale energia, sulle radici che han fatto spuntare e crescere l’albero fruttuoso dell’eroico questore di Fiume. E credo di aver trovato almeno parziali risposte. Prima di tutto, Giovanni era dotato dalla natura e dalla nascita di
quella forza volitiva e tenace che caratterizza gl’irpini dai tempi in cui assieme ai sanniti s’opposero ai romani, ribellandosi e resistendo poi alla dominazione di questi assai a lungo al fianco d’Annibale. Il nome
d’irpini, dicono a una voce Strabone e Servio, deriva dalla parola sannita
hirpus, che voleva dir “lupo”. E si può esser lupi come l’improbo Arunte che fugge dopo aver ucciso un pastore o un grosso giovenco conscius audacis facti, caudamque remulcens / subiecit pavitantem utero silvasque petivit; ma si può anche del lupo avere il coraggio e la forza, l’indomita fierezza, l’incoercibile dignità di chi non è disposto a farsi mettere una catena al collo per ottenere il magro vantaggio dell’elemosina d'una | ! Sen. Ep. ad Luc., 44, 5; cfr. Ov., Epistulae ex Ponto, 1,9, 39 seg.; Iuv., 8, 20. iprov 250: 5, Strab. ? Cfr. Serv. Ad Aen., 11, 785: Lupi Sabinorum lingua hirpi vocantur. Yùp xadodor oi Zapvitar ov Mxov. 3 Verg., Aen., 11, 812-813.
XXXI
ciotola di cibo, come l’animale decoroso e forte della famosa favola
esopica, che esclama regnare nolo, liber ut non sim mibil Fierezza d’ingegno, altera forza interiore, sdegnosa, insofferente pur dell'ombra d’ogni viltà; dignitosa coscienza e netta, animo risoluto e franco: queste furono le caratteristiche che il Palatucci mutuò, credo, dai tratti più nobili della gente a cui apparteneva; e che tale fosse la sua indole lo si evince facilmente dai documenti e dalle testimonianze copiosissime che gli autori di questo libro hanno raccolto con pazienza e devozione e han messo alla portata d’ogni lettore. Basterà dare un’occhiata alle relazioni scritte come dirigente della questura, alle lagnanze sporte ai superiori e ai responsabili dell’esercito tedesco per le angherie subite dai suoi dipendenti, alla schietta e coraggiosa denuncia di uomini
meschini e gretti marchiati e bollati con parole di fuoco e senza lasciar spazio ai mezzi termini dettati dalla cautela dei vigliacchi donabbondieschi di cui purtroppo è pieno il mondo. Questa natura salda e forte del suo carattere irpino, rintracciabile ancor oggi nell’eredità genetica del suo popolo e d’alcuni tra i suoi familiari in particolare, si nutriva e alimentava alla fiamma dell’avversione profonda a ogni chiusura nell’individualismo miserabile e amorale: lo testimonia la sua rinuncia a una vita matrimoniale non appena s’accorge che questa sarebbe diventata un ostacolo alla missione ch'egli aveva preso su di sé, l’insistenza presso chi poteva perché gli facesse revocare il trasferimento a Caserta, che pure l'avrebbe liberato da tanti pericoli, dalla sua posizione scomoda alla frontiera in una città multietnica, e l'avrebbe di molto avvicinato alle sue terre natie,
dove continuava a vivere una parte del suo cuore; quel suo non pensare mai prima a sé stesso, ma sempre agli altri, in ogni occasione, persino in carcere, persino sul vagone piombato, persino nel campo di concentramento, tra stenti e sevizie, come testimoniano in molti. Ma egli sapeva che ubi est thesaurus tuus, ibi est cortuum. E il suo tesoro era lì, nell’aiutare il prossimo e nell’amarlo fino al sacrificio totale di sé. Ch’è come dire nell’amore totale e incondizionato di Dio, come ci ha insegnato il Divino Maestro. E qui vengo a quella che non può esser disconosciuta come palese
seconda radice del vivere e dell’agire del Palatucci. Voglio dire della radice cristiana, anzi cattolica, che non si contenta della fede, ma vuole che questa sia confortata dalle opere. Giovanni fu educato cristiana4 Phaedr. 1, 50; cfr. Aesop. Adkoc koù x6mv.
XXXI
mente in famiglia, dalla nonna, “la sua santa”, dalla madre, dai parenti
stretti che avevano intrapreso la via del sacerdozio e che su quella via s'erano già distinti per la loro specchiata onestà, la coerenza dell’operato, l’indefettibile aderenza all’insegnamento evangelico. Ma s’educò certamente anche da sé, attraverso letture, meditazioni, esperienze. Non ho dubbi che negli ultimi giorni, quando già il tifo lo devastava e lui, senza perdere la sua serenità, come ci testimonia chi gli fu vicino, con-
tinuava a pensare agli altri e al bene che ancora avrebbe potuto fare se fosse rimasto ancora un po’ al suo posto a Fiume, gli riecheggiassero di continuo nella mente le parole eterne: Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos. Maiorem hac dilectionem nemo habet,
ut animam suam ponat quis pro amicis suis. Forse le ricordava proprio in questa forma, o in una forma molto simile, riportata continuamente alla memoria sulle ali delle immortali note gregoriane che allora risonavano come un’onda d’un fiume di luce in tutte le chiese del mondo. Egli vide negli ebrei non gli appartenenti a una “razza” diversa dalla sua e per questa sola ragione beluinamente perseguitandi, non i macchiati i 4eternum dalla colpa del deicidio da punire per ridare respiro al mondo, non i sionisti che macchinavano nell’ombra oscure trame di potere e di governo del mondo - come pure riteneva un fanatico suo conterraneo, don Giovanni Preziosi, e con lui non pochi in
Italia e in Germania, a nostra eterna vergogna - ma solo fratelli in Cristo; e forse se gli avessero chiesto se sapesse a quale razza appartenessero le persone ch’egli con tanto impegno proteggeva, e con così razalto rischio metteva in salvo, avrebbe risposto, con Finstein, «alla
za umana». Mettendo in primo piano gli altri senza distinzioni, senza eccezioni, senza quei limiti che solo l’egoismo c’impone, e che spesso la conoi vogliamo camuffare con mascheramenti volti solo a tacitar
che l’ha scienza, egli ha realizzato una vera e compiuta imitatio Christi,
di sangue, condotto col Maestro Divino fino al martirio, al battesimo venerunt alla tunica immortale. E così egli è diventato uno di quelli che eas in de tribulatione magna, et laverunt stolas suas, et dealbaverunt ch’egli abbia sanguine Agni*. E non c’è credente che possa dubitare aquarum; et absterget percorso tutta la strada che conduce ad vitae fontes Deus omnem lacrimam ab oculis eius”. 5Iohann. 15, 12-13. 6 Apocal., 8, 14.
? Cfr. Ibid., 8, 17.
XXXII
Ma c’è ancora un’ultima radice che credo vada riconosciuta alla vita del Palatucci e alle sue scelte eroiche. Intendo parlare della radice culturale classica. Giovanni aveva conseguito la maturità classica presso il liceo T: Tasso di Salerno. Aveva continuato a coltivare il latino e il greco, non solo coi suoi studi giuridici (che allora prevedevano lo studio dei testi originali almeno delle Institutiones di Gaio e Giustiniano), ma anche dando lezioni private di lingue e letterature classiche ad alcuni suoi concittadini. Ora, in questa cultura classica mi sembra (e credo di non sbagliarmi) di poter ravvisare un elemento importante e, se non determinante, certo di corroboramento delle sue scelte. Giovanni cer-
tamente non poteva non conoscere il grave problema, agitato da filosofi e letterati in Grecia e a Roma, del limite che bisogna porre all’ubbidienza alle leggi dello Stato in cui si vive. Se le leggi son leggi, naturalmente, cioè se son conformi ai princìpi d’una superiore Giustizia e informate all’onestà e al Bene di tutt’i cittadini, non si può che ubbidirvi, anche quando quest’ubbidienza è contraria ai nostri interessi individuali. E questo certo il Palatucci l’aveva letto nel Critone platonico e in più passi di Cicerone. Ma quando le leggi son puri e semplici xep6yuora, editti tirannici di governanti che contro la ragione e la verità affermano sic volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas; quando sono imposizioni dispotiche e capricciose che contrastano con gli &yparta kaogaA.î vouuo tov dev non bisogna ad esse ubbidire, e non vanno tenute in considerazione*: sempre e comunque va mantenuta la nostra fedeltà alla Legge interiore, a quella Veritas che habitat in interiore homine secondo l’insegnamento agostiniano. Gesù stesso fu mandato a morte secundum legem, dice il Vangelo. Ma alla legge ingiusta non solo non bisogna ottemperare: bisogna opporvisi, e lottare perché non abbia effetto. Chi dunque, come pure ho sentito dire, affermasse che il Palatucci (e altri che come lui svolgevano pubbliche funzioni di tutori della legge), aveva contravvenuto al proprio dovere contrastando l’applicazione delle leggi razziali ed evitando la consegna degli ebrei ai nazisti, sarebbe in grave errore: il questore di Fiume ha agito nella difesa della vera Legge, che mira al bene comune, è secondo ragione, e non può mai essere in contrasto con la superiore Giustizia; e d’essa si sentiva tutore. Anche i primi martiri cristiani ubbidivano a tutte le leggi dell'impero romano, perché è giusto dare Caesari quod est Caesaris, 8 Cfr., per es., Cic., De leg., 1, 15.
XXXIV
ma s’opponevano fino a esser messi a morte all’editto ingiusto e contrastante col loro obbligo d’adesione alla Lex Dei che voleva imporre loro l’abiura della fede cristiana e l'adorazione dell’imperatore e degli déi pagani. E questo un insegnamento alto, altissimo che ci lascia il Palatucci uomo di giustizia, amante di sapienza, nutrito di cultura,
animato da solida dottrina evangelica e ardente dell’igneo spirito della caritas. Un insegnamento che va molto di là dalla pura e semplice “educazione alla legalità” alla quale sola si limita in genere la nostra azione educativa dei giovani.
Il Palatucci era dunque un uomo che, come dice lui stesso in una lettera ai familiari, ebbe l’“occasione” di far del bene. Quest’occasione gli era stata offerta da quel caso, da quella Fortuna ch’è, come dice Anatole France, lo pseudonimo che usa Dio quando non vuole apporre la sua firma. Ma occasioni di questo genere, se ci si pensa, possono prima o poi avvenire a molti di noi nella nostra vita. Magari che richiedano meno eroismo, che valgano ad aiutare non migliaia di nostri simili, ma un numero minore di persone, poche persone, una sola. Purtroppo però, come un topos assai visitato dagli uomini del Rinascimento c’insegna, l'occasione e l’intervento della Fortuna propizia non bastano perché assurgiamo alla gloria imperitura dell’eroismo e del sacrificio di noi stessi. Occorre un altro elemento determinante. Quest’ingrediente però è fuori moda, e il solo nominarlo genera sorrisetti di compatimento in chi non potrà mai capirne l’immensa portata. Quest’elemento si chiama Virtù: e non in senso machiavelliano: vera Virtù dell’animo che tende al Giusto, al Vero, al Bello, al Bene. E il Palatucci
possedeva in sommo grado questa Virtù suprema.
Gli autori di questo libro presentano ai lettori un quadro della vita di quest'uomo esemplare e un’analisi dei documenti che lo riguardano completa ed esaustiva. L'indagine storica non è condotta con la consueta freddezza dello scienziato da laboratorio, ma attraverso un’appassionata considerazione d’ogni dettaglio, così da illustrare pienamente i motivi profondi delle sue scelte e l’impostazione radicalmente reliigiosa della sua vita tutta. Un capitolo è volto a dimostrare l’incons a. Ma amstenza dell’ipotesi d’una o più “fidanzate”, da altri avanzat
propomettendo, per absurdum e contro le prove dagli autori nellibro fuggire non ste, che Giovanni abbia amato Mika Eisler, la sua scelta di XXXV
nel territorio svizzero con lei, ma di ritornare al suo ormai pericolosissimo incarico a Fiume, non solo non inficierebbe in nulla la sua figura, ma l’esalterebbe sottolineandone la virtù eroica: egli avrebbe infatti scelto di sua volontà il martirio, rinunziando liberamente e in piena coscienza alla possibilità d’una vita individualisticamente tesa al proprio benessere, alla formazione d’una famiglia felice, alle gioie dei figli e dei nipoti. Egli avrebbe dunque combattuto per vincere le tendenze presenti in ciascuno di noi, per scegliere di rinunziare a ciò che ci gratifica come individui, come monadi isolate dal mondo che ci circonda
e dalle sofferenze dei nostri simili, per eleggere a meta della sua vita un’obbedienza ai dettati del Vangelo, della coscienza cristiana e dell’eroica morale civile usque ad mortem, come esortava a fare l’apostolo delle genti a imitazione di Cristo’. E Giovanni sapeva che nos debemus pro fratribus animam ponere!, e che qualunque altra strada sarebbe stata contraria a tutto ciò in cui aveva sempre creduto. Animato da quella caritas senza la quale a nulla vale consegnare il proprio corpo nelle mani dei carnefici!!. Egli sapeva che non poteva dimenticare i suoi doveri nei confronti di migliaia di esseri umani che avevano bisogno di lui, e alla salvezza dei quali un’imperscrutabile Volontà l’aveva chiamato, solo per seguire i suoi piaceri personali, il sogno borghese d’una vita tranquilla e serena. E avrà meditato che nella Sua Volontade è nostra Pace.
Questo libro non sarà solo un’importante raccolta documentaria e testimoniale ampiamente commentata sulla figura e l’operato di Giovanni Palatucci, che certamente apporterà un contributo fondamenta-
le alla causa attualmente in corso per il riconoscimento al nobile figlio di Montella del titolo di martire. Esso contiene infatti molte altre cose: un saggio toccante di poesia del nipote che vive tenendo sempre davanti agli occhi e portando nella camera riposta del cuore la luminosa ed esemplare immagine dello zio; e un corposo e documentato saggio sull’antisemitismo nella storia che susciterà senz'altro l’interesse di chi vuol conoscere di più, e oltre la vicenda particolare del martire, le radici dell’odio che hanno condotto all’infamia del secolo appena tra-
? Cfr. Ad Philipp. 2,8. 101 Johann. 3, 16. 1 I Ad Corintb., 13, 3.
XXXVI
scorso, marchiata a fuoco sulla nostra pelle e sulle nostre anime, e di cui ancora sanguinosamente paghiamo le conseguenze dirette e indirette. Non solo un libro di storia, dunque, ma un’opera, dovuta alla
stretta collaborazione della cultura e della passione dei due autori, che non mancherà di scuotere profondamente le coscienze dei lettori. Luigi Miraglia
XXXVII
NOTA PREVIA SUL “FONDO DOCUMENTALE GIOVANNI PALATUCCI”
Sulla vita e sull’eroico gesto, motivato dall’amore cristiano, di Giovanni Palatucci - il penultimo questore reggente, o facente funzioni, come dir si voglia, di Fiume italiana, morto come martire a Dachau il
10 febbraio 1945 - al momento disponiamo di due pubblicazioni, di rassegne editoriali, studi e articoli, apparsi sulla stampa nazionale e internazionale. Il “Fondo documentale” costituisce una vera biblioteca su Giovanni Palatucci; contiene tutto ciò ch’è stato scritto su di lui, oltre a numerosi documenti, non tutti pubblicati, che riguardano le vicende fonda-
mentali della sua vita. Per chiunque voglia studiare e approfondire l’opera di Giovanni Palatucci, esso costituisce un punto di riferimento obbligatorio. Realizzato in perfetta comunione d’intenti, e in totale spirito di collaborazione, dal compianto professor Goffredo Raimo, biografo del martire, e dal nipote ex sorore di questo, l’avv. Antonio De Simone Palatucci, in data 12 maggio 1992, con scrittura privata e firme autenticate da un funzionario della pretura circondariale di Sant'Angelo dei Lombardi, sezione distaccata di Montella, fu trasferito dal professor Raimo all’avv. De Simone Palatucci, perché lo custodisse e lo mettesse a disposizione d’eventuali studiosi. Il 25 giugno del 1995 il professor Raimo integrò l’atto sopra specificato con un’altra dichiarazione, ch'è stata anch'essa acclusa al fondo. L'archivio, d'allora, s'è accresciuto d’ulteriore materiale documen-
tale, grazie alle ricerche effettuate dal De Simone Palatucci e dal postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione del servo di
il Dio, l’avvocato don Gianfranco Zuncheddu. A esso hanno attinto
noi professor Raimo, il gruppo di studio del Ministero dell’Interno e stessi, per l'elaborazione del nostro lavoro.
È inoltre accluso al fondo un verbale, datato 13 settembre 1992, col
quale il professor Raimo consegna all’avv. De Simone Palatucci una zolla di terra prelevata dal cimitero di Dachau e custodita in quello di Montella. Il gesto, che rivela la profonda sensibilità del professor Raimo, vuol essere un tributo di devozione al martire e simboleggiare la traslazione dei resti mortali di questo alla terra nativa. Riproduciamo copia dei documenti sopra elencati, perché il lettore ne abbia esatta contezza.
FONDO
DOCUMENTALE
SU
GIOVANNI
PALATUCCI
In ottemperanza all'impegno morale liberamente assunto a chiusu ra della prima edizione della pubblicazinne"A Dachau,per AmoreGiovanni Palatucci"di affidare,per la loro cnonservazione,gli ef fetti documentali da me raccolti e considerati nella stesura de la stessa,ai familiari dell'eroe,consegno tale materiale,in ori o in copia,progressivamente numerato alla persona del} ginale della sorella De Simone ,nipote dell'eroe,figlio Dr.Proc.Antonio. Maria,a mia stima moralmente rappresentativo della famiglia di e pertanto idoneo a ricevere e a di Giovanni Palatucci origine effetti.Il Dr.De DI garanzia,tali possibile custodire,con ogni mone,in particolare,è stato il primo familiare da me conosciuto
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ricerca
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una sua visita,in compagnia della moglie alla Via Giovanni Pala tucci,nella quale abito,in Avellino).Egli ha sempre riscosso la in maniera determinante-con docu ed ha contribuito mia fiducia tecnica ed organizzativacollaborazione e morale menti,sostegno del lavoro,fino alla sua ristampa integrata. alla realizzazinne -Il materiale in argomento è arricchito di quanto mi è stato pos sibile ottenere al fine della integrazinne.Sarà qui acclusa,a pubblicazione avvenuta,una copia della ristampa,corredata degli . Gli. effetti che ora delle foto in essa utilizzate. originali consegnano
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qualunque titolo o pretesa,preciso quanto segue:------il er.proc.Antonio De Simone è stato ed è da me designato a ricevere e a custodire il materiale documentale in og getto,in quanto. l'unico parente dell'eroe e martire Gio» vanni Palatucci da me ritenuto meritevole della mia totale fiducia e comunque spiritualmente più degno della sua me_ moria. Il materiale è stato a mia cura ® mie spese. ricer_ cato,raccolto:recuperato fotocopiato da téstimoni diretti
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pro Romana Dioecesi Vicarius Generalis
DECRETUM
In
Causa
Beatificationis
et
Canonizationis
Servi
Dei
Ioannis
PALATUCCI, Christifidelis Laici: Visa instantia diei 13 Septembris 2001, qua Rev.mus D.nus IoannesFranciscus Zuncheddu, Causae Postulator, petit ut, ad peragendam perquisitionem universorum scriptorum Servi Dei, quae nondum edita fuere, necnon documentorum omnium quoquo modo Causam respicentium, Commissio nominetur Peritorum in re historica et archivistica;
NOS,
dictae
Postulatoris
instantiae
annuere
volentes,
petitam
commissionem ad mentem n. 14 Normarum a Congregatione de Causis Sanctorum die 7
Februarii 1983 editarum constituimus, quae efformetur a Clarimo
D.no
Prof. Aloisio
TORRACA, qui et Praeses, a Rev.do D.no Doct. Michaéle Antonio BIANCO
D.no Doct. Antonio DE SIMONE
PALATUCCI,
et Clar.mo
quaeque scripta ac documenta de
quibus supra diligenter colligat, accuratam relationem circa methodum adhibitam in huiusmodi requisitione facienda eiusque exitum ac iudicium de dictorum scriptorum et documentorum authenticitate ac valore necnon de Servi Dei personalitate, prout ex ipsis
eruitur, promat.
Datum Romae, die 14 Septembris 2001.
QI 4
LE LETTERE DI GIOVANNI PALATUCCI NOTA INTRODUTTIVA
Leggere un epistolario, a meno che non si tratti d’un’opera letteraria, voluta e realizzata con questo genere, è un po’ come violar l’intimità del mittente, carpirne i sentimenti più reconditi, espressi o indirizzati a persone ben determinate (familiari, amici, ecc.), analizzarlo in profondità, al di fuori d’ogni schema formale, fino a coglierne le latebre e i recessi più segreti e ascosi del cuore e dell’animo. È la ragione per la quale saremmo tentati di non pubblicare le lettere di Giovanni. Ma, siccome non si tratta d’un qualsiasi autore, bensì d’un martire della fede, che ha speso la sua breve vita per realizzare, copiosamente, tutto il bene che gli fu possibile compiere, il discorso cambia sostanzialmente. Attraverso le lettere è possibile conoscer l’uomo Giovanni Palatucci nella sua interezza; avallare il giudizio che la storia ha formulato su di lui; sfatare eventuali pregiudizi; arricchirci di nuove conoscenze; far luce su possibili “zone d’ombra”, nell’analisi d’un personaggio complesso nella sua disarmante semplicità, forte e coraggioso, pur presene tandosi mite, e parimenti, di riflesso, indagare il tempo in cui visse operò, coglierne le contraddizioni interne, ecc. zò La prima cosa che ci colpisce è il fatto che Giovanni non realiz sentimenti, un’effemeride o diario, per affidare alla gelida carta i suoi delicato le emozioni e i motivi nascosti del suo animo. Forse il ruolo continue che ricoperse non gli permise di realizzarlo, a motivo delle
mo e, alla fine, dal ispezioni e dei rigidi controlli effettuati dal fascis perlopiù, indirizzate nazionalsocialismo. Le lettere di Giovanni sono,
inerenti all’eserciai familiari, e, raramente, ai superiori, per questioni
e, infine, di “regzio della sua professione nelle vesti di commissario familiari lo gente” colle funzioni proprie del questore. Nelle lettere sovente, una piacestile è vivace, incisivo, brioso, fino a raggiungere,
envole verve. Conosciamo, così, un Giovanni buono, pieno di sentim ate sempr a, famigli a ti, affettuoso e cordiale, legatissimo alla propri tento ai bisogni di tutti. La lontananza e l’impossibilità d’abbracciare i genitori riempie il suo animo di struggente nostalgia. Tuttavia non scende mai a un livello di sentimentalismo nostalgico. La missione che
ha in animo di compiere, e che, dopo l’introduzione delle vergognose leggi razziali, diventa sempre più urgente e inderogabile, lo spinse ad affiancare la famiglia dei perseguitati e dei diseredati a quella d’origine. Dignità, compostezza, consapevolezza del proprio compito: tutto questo, e altro ancora, possiamo leggere nel breve epistolario di Giovanni Palatucci. Le lettere coprono un arco di tempo che va dal 1932, l’anno della sua laurea in giurisprudenza, al 1943, l’infausto periodo della Repubblica Sociale Italiana. A partire dal 1938 Giovanni esprime ai parenti il proprio rammarico di non scrivere con assiduità, a motivo dell’ingente mole di lavoro che deve sbrigare; chiede sempre della loro salute e li rassicura sulla sua. Allo zio vescovo segnala casi di persone bisognose d’aiuto materiale o di trasferimento nel o dal “campo” di Campagna, ringraziandolo, in anticipo, del bene che il presule potrà fare (lettere
del 1940).
La sua profonda umiltà di rado lo spinge a scrivere o a parlare di sé stesso. Così, dalla lettera dell’8 ottobre 1941, scritta ai genitori, apprendiamo due cose fondamentali, e cioè che, pur non condividendo il modus operandi dei propri superiori, mantiene tuttavia con loro rapporti cordiali, ma formali e “di buon vicinato”, al fine, crediamo, di
crearsi uno spazio d’azione che gli lasci una certa autonomia, sfuggendo, così, almeno in parte, all’attenta vigilanza del sistema, ormai totalitaristico. Ciò gli darà la possibilità di realizzare quel “po” di bene”, come scrive, per il quale otterrà la riconoscenza dei beneficati, con-
traddicendo così l’iperbolica affermazione che, spesso, “l’ingratitudine umana supera la stessa misericordia di Dio”. Con una lettera del 28 febbraio 1943 comunica ai genitori la sua nomina a commissario. Le ultime lettere del 1943 hanno un tono preoccupato; quella del 27 giugno, indirizzata alla mamma, riferisce del cambio del questore, che però non nomina, limitandosi a scrivere ch’è un comprovinciale e che con lui i rapporti sono meno buoni di quelli che aveva stabilito col suo predecessore. Forse per non preoccupare la madre, o perché da poco
(due mesi) il neoquestore fiumano ha iniziato il suo mandato, non si sofferma a descriverne l’opera. Quella del suo successore, l’avellinese Testa, come sappiamo, sarà
nefasta. Si legge, tuttavia, nei due righi e mezzo una preoccupazione a stento celata. Nella lettera del 20 agosto, spedita al padre, si dice addolorato per la perdita dello zio, infrangendosi così “l’ultimo legame materiale con la cara e santa nonna”, ignaro del fatto che, poco meno
di due anni dopo, l'avrebbe incontrata presso l'Eterno! L’ultima lettera, del 21 ottobre, inviata ai genitori, ha un tono decisamente inquieto.
Li assicura del suo costante affetto per loro; si dice speranzoso sulla futura sorte della patria, una volta superata la bufera, e li tranquillizza che non incorrerà in alcun male. Ma siamo nel periodo che segue l’armistizio; e Fiume, occupata dalle truppe di Hitler, è ormai annessa al territorio della Repubblica Sociale Italiana. Ci chiediamo perché Giovanni si preoccupi di dare assicurazioni ai genitori sul fatto che non gli capiterà niente di male. Questa breve frase ci dice due cose chiarissime: la prima riguarda il suo operato, che ora diventa viepiù difficile e ch’egli continuerà a svolgere con totale abnegazione, e la seconda è che, in queste nuove circostanze, prima o poi dovrà pagare il caro prezzo della sua opera di salvataggio. Giovanni lo sa bene e vuol rassicurare 1genitori, preparandoli, indirettamente, a ciò che potrà capitargli. “State assolutamente tranquilli per me, sono certo che non incorrerò in alcun male”. Letta bene e attentamente, quest’affermazione vuole dire esattamente il contrario: excusatio non petita accusatio manifesta! Nelle precedenti lettere aveva sempre affermato di star bene, ma non aveva mai accennato alla possibilità d’eventuali rischi o pericoli che poteva correre, e per i quali si sentisse in dovere d’avvisare i genitori. Ora, implicitamente, quest'ammissione viene a manifestarsi sotto la forma del tranquillamento. Che Giovanni era ormai consapevole di quanto gli sarebbe capitato ci e sembra più che certo. Egli aveva deciso di spendersi fino in fondo, niente e nessuno l’avrebbe più trattenuto, o gli avrebbe potuto impedire di farlo. loro ordiLe lettere sono riportate all’interno della trattazione, nel
ne cronologico.
CRONOLOGIA
ESSENZIALE
del servo di Dio Giovanni Palatucci Montella 1909 - + Dachau 1945
Questa Cronologia essenziale ha lo scopo di fornire al lettore un breve profilo della personalità del servo di Dio, che verrà fuori dalla documentazione raccolta ed esaminata. 1909
31 maggio: nasce a Montella (Avellino), da Felice e Angelina Molinari, secondo, e unico maschio, di tre figli. Colle sorelle Carmela e Maria, alle quali - soprattutto all’ultima resterà sempre legatissimo, ricevette una severa educazione religiosa, all’ombra dell’indiscussa autorità morale degli zii, i padri conventuali Antonio, Alfonso e Giuseppe Maria: i primi due furono docenti, apprezzatissimi per la loro cultura, all’Almo Collegio Teologico di Napoli e ministri provinciali in Puglia e in Campania, l’ultimo fu vescovo dell’ora soppressa diocesi di Campagna (Salerno). La sua data di nascita, però, è erronea, poiché dal registro parrocchiale di battesimo risulta nato il 29 maggio. Riteniamo vera la data di registrazione del parroco: difatti all’ufficio dello stato civile dell’anagrafe di Montella essa fu denunziata dal genitore il 3 giugno, dichiarando ch’egli era nato il 31 del mese scorso. Il 30 maggio, nella chiesa di San Silvestro papa, gli viene amministrato il sacramento del battesimo dall’arciprete don Agostino Palatucci. Dal 1914
Il13 dicembre 1914, a cinque anni, nella chiesa arcipretale di Santa
Maria in Piano, riceve il sacramento della confermazione dall’allora
arcivescovo di Nusco, essendo parroco l’arciprete don Salvatore Palatucci. 10
Compie, in seguito, gli studi classici, prima presso il ginnasio-liceo neo 2a Sane D. Pascucci” in Dentecane di Pietradefusi,LL poi presso il liceo “P. Giannone?” di Benevento, e infine presso il liceo “T. Tasso” di Salerno.
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1928
Presso illiceo classico di Salerno consegue la maturità e, subito dopo, s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Napoli “Federico II”. 1930
Nel 1930 presta servizio militare, come allievo ufficiale di complemento, a Moncalieri, in Piemonte. Non trascura gl’impegni di studio e, appena libero, vi si dedica con intensità, soprattutto al termine dell'adempimento degli obblighi di leva. 1932
L’8 febbraio risulta iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Torino. Tale cambio di sede è motivato dal fatto che Giovanni, come confiderà successivamente alla sorella Maria, quivi s’era ambientato bene, ed era sua intenzione completarvi gli studi. Difatti, con proficuità, sostenne i restanti esami e, appena ventitreenne, si lau-
reò presso quell’ateneo, discutendo un'interessante ed elaborata tesi dal titolo // rapporto di causalità nel diritto penale, avendo come relatore il chiarissimo professor Eugenio Florian. 1995
Nel 1935 supera, presso la Regia Corte d'Appello di Torino, gli esami per l’esercizio della professione di procuratore legale, ed è assegnato, in data 29 gennaio 1936-XIV e. £., per l’iscrizione nell’albo degli avvocati e procuratori d’Ivrea, giusta provvedimento del Sindacato fascista avvocati e procuratori, per la circoscrizione del tribunale di Torino (“graduato al num. 50 dell’ordine con punti 82 e 1/5”). Ma l’iscrizione presso l’albo d'Ivrea non ci fu mai, perche la relativa domanda fu presentata da Giovanni carente d’alcuni documenti necessari, non per negligenza ma perché, contrariamente al desiderio del padre, non in-
tendeva esercitare la professione forense, in quanto, come confidò in
famiglia successivamente, “non me la sento di chiedere denaro a chi deve rendere duro conto alla giustizia, e poi perché escludo compromessi con la mia coscienza, in ordine alla verità”.
LI
1936
L’urgenza di trovarsi subito un lavoro, intimata, per altro, dal padre - che, in seguito al suo rifiuto di far l’avvocato, gli aveva ingiunto: “Vedi che devi fare” - lo spinse, nel 1936, a presentar domanda per l'assunzione nell’amministrazione della Pubblica Sicurezza. Il 16 settembre inizia il servizio, come vicecommissario aggiunto in prova, presso la regia questura di Genova, con un verbale redatto avanti il questore, dottor commendator Rodolfo Buzzi. A Roma, nel frattempo, frequenta il XIV corso per funzionari della Pubblica Sicurezza, che si conclude con esito positivo. 1937
Il 15 novembre 1937-XV assume servizio presso la regia questura di Fiume, trasferitovi, ex officio, da Genova, dove, per avere osato critica-
re, coraggiosamente, l’eccessivo burocratismo della Pubblica Sicurezza, aveva addirittura rischiato la destituzione. E, come recita l’antico
adagio, “l’uomo propone ma Dio dispone”: quella che doveva essere una punizione si rivelerà l'occasione che gli permetterà di realizzare, alla grande, quel bene al quale la severa educazione e formazione familiare l'avevano, da sempre, preparato. Nelle vesti di vicecommissario aggiunto, gli fu affidata la responsabilità dell'Ufficio stranieri. Quello d’entrare in polizia, più che una volontà espressa con decisione, 0 la risposta a una precisa chiamata, fu un ripiego. A questa conclusione si perviene, logicamente, se si riflette sul fatto che in quell’anno Giovanni aveva partecipato al concorso in magistratura, superando brillantemente gli scritti. 1938
In data 10 marzo 1938-XVI, infatti, presentò istanza al prefetto della provincia del Carnaro-Fiume per ottenere un congedo al fine di sostenere, il 31 dello stesso mese, nell’Urbe, le prove orali.
La permanenza di Giovanni a Fiume, una città multietnica, con una forte presenza ebraica (v’erano ben due sinagoghe, di cui una poco distante dalla sua abitazione, in via Pomerio), si rivelò provvidenziale. Giovanni, infatti, diventò amico e interlocutore privilegiato degli ebrei flumani, soprattutto in seguito alla promulgazione delle inique leggi razziali e all'avvento del nazionalsocialismo in Germania. 12
Il suo compito doveva essere quello di compilare gli schedari degli ebrei e di sorvegliarli, per impedire che essi avessero rapporti cogli ariani. S'iniziò per lui quell’opera di salvataggio degli ebrei che lo porterà, di lì a sei anni, all’internamento nel campo di sterminio di Dachau. Giovanni effettuò il primo grande salvamento di ben ottocento ebrei, che, imbarcati su un vapore greco, e in rotta verso Fiume, giunti al porto
avrebbero trovato ad attenderli la Gestapo: l’aiutarono in quest'opera Teodoro Morgani e il vescovo della città, S. E. monsignor Isidoro Sain, che provvidero a nasconder gli ebrei nella vicina località d’Abbazia. In seguito, egli dette vita al “canale fiumano”, una specie di ratline che, grazie all'appoggio d’amici e collaboratori, serviva a far fuggire gli ebrei di Fiume, o quelli provenienti dalla Iugoslavia o dalla Croazia, in Palestina e, soprattutto, al centro di raccolta della diocesi di Campagna, governata dallo zio vescovo, S. E. monsignor Giuseppe Maria Palatucci, col quale il giovane funzionario aveva stabilito un nobile sodalizio, finalizzato alla causa comune d’arrecar soccorso ai perseguitati. 1943 Giovanni, in una lettera inviata ai genitori, comunica la sua nomina a
commissario aggiunto. In un’altra, scritta ai suoi superiori, evidenzia che l'avanzamento nella carriera sia bloccato a motivo del suo celibato. In seguito all’annessione del Litorale adriatico al terzo Reich, e dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la sua opera di salvataggio si fece viepiù intensa. Avvertì che il tempo che gli restava era poco, e, come può dedursi
dall’ultima lettera spedita ai genitori, s'industriò con ogni mezzo per salvare, a ogni costo, quanti più ebrei fosse possibile, conscio della sorte che gli sarebbe potuta capitare, prima o poi. 1944
Il 28 febbraio 1944, in seguito al trasferimento del reggente, dottor Roberto Tommaselli, essendo egli il più anziano e graduato dei commissari, gli furono affidate le funzioni di vicequestore, con circolare 14569 div. gab. del Ministero dell’Interno, Direzione generale della P. pai S., Divisione personale, Roma. ad incarico d’un Non si trattò, perciò, d’una promozione, ma
interim; lo stesso avvenne, anche, per l'affidamento delle successive
funzioni di “questore reggente”.
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Il 13 settembre 1944 fu arrestato dalla polizia di sicurezza germanica e tradotto nel carcere Coroneo di Trieste, dove rimase per circa quaranta giorni, coll’accusa formale di “cospirazione e intelligenza col nemico” - come comunicò Kappler, il tenente colonnello delle SS, al Ministro dell’Interno italiano che ne aveva chieste le motivazioni quando invece la sua fine fu decisa dalle autorità germaniche, a motivo della sua attività in favore delle migliaia di profughi ebrei e perseguitati, che riuscì a sottrarre alla morsa dello sterminio dei nazisti.
Il 22 ottobre 1944, dopo la commutazione della condanna a morte in quella della deportazione, ottenuta dalla graziosa petizione dell’amico console svizzero, giunse nel “campo degli orrori” di Dachau, in Baviera, dove fu registrato col numero di matricola 117826.
1945 Il 10 febbraio 1945 morì, dopo aver patito, per circa quattro mesi, stenti e sevizie d’ogni genere. Si può, quasi sicuramente, affermare che la causa ultima della sua morte dovette essere il tifo, che scoppiò sotto forma di grave epidemia a partire dall'autunno del 1944, e che durò fino alla liberazione del Lager, avvenuta il 29 aprile 1945; in tale periodo ne risulta documentata la diffusione all’interno del campo, facilitata viepiù dalla debilitazione fisica di tutti gl’internati e dal sovraffollamento abnorme dello stesso Lager dove, alla fine, confluirono
miriadi di deportati già internati in altri luoghi concentrazionari, quand’essi furono liberati dalle truppe alleate. Giova ricordare che il campo di sterminio d’Auschwitz fu liberato il 27 gennaio 1945: quindi, due settimane prima della morte di Giovanni, e in anticipo di tre mesi rispetto alla liberazione di quello bavarese. Molti deportati d’Auschwitz prima della liberazione furono, momentaneamente, internati nel campo di Dachau; sicché, in esso, le ba-
racche costruite per 250 internati ne ospitavano ciascuna 1600! È facile, allora, ipotizzare che, coi nuovi convogli, nel campo concentrazionario bavarese sia scoppiata virulentemente l’epidemia di tifo petecchiale, mietendo un'infinità di vittime. Il corpo di Giovanni, ridotto pelle e ossa, fu gettato, insieme con quelli di migliaia d’altri deportati, nelle fosse comuni, appositamente realizzate sulla collina del Leitenberg e in zone limitrofe.
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1952
Un gruppo d’oltre quattrocento ebrei residenti in Israele, per iniziativa di Rodolfo Grani, ch’era stato testimone de visu e collaboratore
di Giovanni in quel primo grande salvataggio d’ottocento ebrei nel 1939 a Fiume, si fece promotore d’una richiesta rivolta al sindaco della città di Ramat Gan, Habraham Krinizi, “di dedicare al nome dell’eroi-
co e fraterno amico” una strada e un parco nella “città dei giardini”, che si trova presso Tel Aviv. L’istanza fu benevolmente accolta dal primo cittadino di Ramat Gan, e si stabilirono per il 23 aprile dell’anno successivo le solenni celebrazioni in suo onore. 1953
Il 23 aprile del 1953 a Ramat Gan, alle porte di Tel Aviv, fu dedicata
una strada alla memoria di tutti coloro che, generosamente e coraggiosamente, si prodigarono per la salvezza delle persone di fede ebraica; e naturalmente gli ebrei, tra essi, sottolinearono il particolare impegno di Giovanni Palatucci, che, con eccezionale altruismo, sacrificò la sua
giovane e nobile vita, a soli trentasei anni. Alla toccante manifestazione parteciparono anche gli zii di Giovanni, mons. Giuseppe Maria Palatucci e padre Alfonso, i quali rilasciarono un'intervista che, per il contenuto e le rivelazioni sull’operato di Giovanni, contribuisce a fare, definitivamente, chiarezza sul senso cri-
stiano del suo martirio e sui forti sentimenti antifascisti che motivarono l’operato del servo di Dio. Gli ebrei, inoltre, per iniziativa del Keren Kayemeth Leisrael, in occasione del decimo anniversario della morte del servo di Dio, pian-
tarono, il 10 febbraio 1955, una foresta sulle colline della Giudea e le
posero il nome di Giovanni Palatucci “a perenne memoria”. La scelta della collina non fu casuale: accanto alla foresta dedicata al martire irpino c’è la “Grande foresta dei martiri”, che ricorda agl’israeliti tutti gli ebrei che pagarono, colla loro vita, il prezzo delle nefandezze della follia nazista.
1955
Il 17 aprile 1955 gli fu conferita la medaglia d’oro alla memoria da parte dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia, con una cerimonia che ebbe luogo a Milano. 15
i
1990
co dell’OloNel settembre del 1990 l'Istituzione del Memoriale Ebrai
causto “Yad Vashem” gli conferì il massimo onore che gli ebrei possano tributare, quello cioè d’esser riconosciuto quale “giusto tra le nadei Giusti in Yad rà per sempre. , sul viale lapide ricorde zioni”. Una i CUORI i Vashem, il nome del “giusto” Giovanni Palatucci. 1995
Nel maggio del 1995 gli fu conferita, dall’allora presidente della
Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, la medaglia d’oro al merito civile alla memoria. In ricordo di Giovanni Palatucci molte strade,
piazze e parchi, in Italia, portano il suo nome, come anche questure,
scuole di polizia e caserme: a Milano, Torino, Genova, Campobasso, Isernia, Brindisi, Bologna, Grotte di Castro, Ancona, Nettuno, Frosinone, Montella, Avellino, Lucca, Recanati, Roma, Siracusa e in molte altre città.
ALTO PATRONATO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA e.con il Patrocinio SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI MINISTERO DELL’INTERNO AMBASCIATA DI ISRAELE PRESIDENZA REGIONE SICILIANA FUNDACIÒN INTERNACIONAL RAOUL WALLENBERG ASSOCIAZIONE NAZIONALE EX DEPORTATI
POLITICI NEI CAMPI NAZISTI
ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI ITALIA- ISRAELE ASSOCIAZIONE NAZIONALE MIRIAM NOVITCH UNIONE GIOVANI EBREI D’ITALIA FONDAZIONE GIORGIO PERLASCA COMUNITA’ EBRAICA DI FIUME COMUNITA’ EBRAICA DI FIRENZE COMUNITA” EBRAICA DI PADOVA COMUNITA’ EBRAICA DI FERRARA COMUNITA’ EBRAICA DI CASALE MONFERRATO EBRAISMO LAICO LA CIVILTA’ CATTOLICA IL MATTINO
ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE UMANE E RELIGIOSE- IGNATIANUM
fé SEO PALATUCCI DI CAMPAGNA ÎNE NAZIONALE REDUCI DALLA PRIGIONIA, DALL’INTERNAMENTO E DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE FIGLI DELLA SHOAH COMITATO PER LA FORESTA DEI GIUSTI Istituto Mediterraneo di Studi Universitari : (PARCO RAUL WALLENBERG) Giornata di studio in onore di Giovanni Palatucci
DIVI NIMIN Tom
Siracusa, martedì 29 aprile (Yom Hashoah )
Il 29 aprile 2003, a Siracusa s'è tenuta una Giornata di studio in onore di Giovanni Palatucci
con il patrocinio delle più alte istituzioni della Repubblica nonché d’autorevoli Enti, Fondazioni e Associazioni.
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CAPITOLO I
GIOVANNI PALATUCCI, MARTIRE CRISTIANO
Metodo usato nella ricerca e nella divisione dello studio
Per comprender bene e a fondo l’opera del servo di Dio Giovanni Palatucci, penultimo questore reggente di Fiume italiana, il suo eroismo cristiano, che culminerà nell’olocausto della sua giovane vita, per aver sottratto allo sterminio della nefandezza nazista oltre seimila ebrei,
è necessaria un’attenta analisi dell'ambiente e del tempo in cui egli visse. La terra natale, la famiglia, la severa educazione impartitagli, i suoi studi e il carattere forte e deciso, contribuirono molto a formargli una fede robusta, rafforzata da quelle virtù cristiane che si riveleranno de-
terminanti nelle future scelte della sua vita. Il suo operato lo spinse sempre non solo a una sconfinata carità, che ha fatto di lui un esempio di bontà per tutti i tempi, ma anche a una continua lotta contro gli orrori della follia nazionalsocialista di Hitler, evidenziando, in ogni circostanza, coraggio, determinazione e risolutezza. Le circostanze storiche che lo videro protagonista, quando si trattò
d’aiutare per una giusta causa, resero eroica la sua azione di soccorso e di salvataggio, facendogli attingere forza e luce dalla sua fede cristiana, come si cercherà di dimostrare. Egli seppe trasformare il suo vivere coi fratelli in un vivere per ifratelli. Difese gli oppressi, non scelse le mezze misure o, peggio, il compromesso; inculcò coraggio e fortezza anche nell'animo dei suoi collaboratori, fornendo egli stesso uno splendido esempio colla sua completa dedizione alla causa della verità, per amore di Cristo. Il presente studio, unicamente orientato alla ricerca delle vita fonti, rigorosamente documentate, ripercorre la breve ma intensa accertare ch’esdel giovane questore reggente Giovanni Palatucci, per
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sa fu tutta votata all'amore del prossimo, ma, soprattutto, di Dio, di
Cristo e della Chiesa, spingendosi fino al supremo sacrificio del martirio. Il metodo usato non è quello apologetico; esso si fonda sulla documentazione sul servo di Dio in nostro possesso, che abbraccia l’arco di tempo che va dalla sua nascita alla prematura morte, per considerare tutti i futuri sviluppi della sua memoria. Perciò sono state esaminate le sue lettere e tutto ciò ch'è stato scritto su di lui: dalle biografie a numerosi studi e articoli, apparsi su riviste nazionali ed estere. Gli archivi consultati sono stati sempre citati; e, parimenti, è stata documentata l’autenticità del materiale raccolto. Il servo di Dio non ci ha lasciato nessuno scritto o diario. Pertanto le sue lettere, perlopiù occasionali e indirizzate ai superiori o ai colleghi, per questioni di lavoro, o spedite ai suoi familiari, sono l’unica fonte di prima mano. A esse vanno aggiunte le testimonianze e dichiarazioni postume, rilasciate sia dai suoi collaboratori, sia dai sopravvissuti allo sterminio nazista, e da lui stesso salvati. La maggior parte delle dichiarazioni e testimonianze sono contenute nella corposa e dotta biografia del servo di Dio scritta dal compianto professor Goffredo Raimo, A Dachau, per Amore!; si.tratta d’importanti audizioni, effettuate dal primo ed unico biografo, che contribui-
scono sicuramente a provare l’uso delle virtù cristiane in modo eroico, da parte del funzionario, nell’esercizio della sua professione. Altre testimonianze sul martire sono ricavate dagli scritti inediti contenuti nel “Fondo documentale” e dall’ultimo e recentissimo libro scritto in sua memoria a cura del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Giovanni Palatucci. Il poliziotto che salvò migliaia di ebret?. Infine,
sono state esaminate le escussioni realizzate dal reverendissimo postulatore, l’avvocato Gianfranco Zuncheddu, che ringraziamo.
Riportiamo, in seguito, alcune delle tante testimonianze che ci sembrano pertinenti per dimostrare che Giovanni, grazie alla sua conoscenza della realtà multietnica fiumana, a prevalenza ebraica, avversando
veementemente le ignominiose leggi razziali, iniziò, sia pure indirettamente, il suo iter verso il martirio. Tali testimonianze costituiscono si-
curamente un valido argomento per dimostrare che la vita del servo di Dio fu finalizzata unicamente al conseguimento del bene dei fratelli?. ' Edizioni Dragonetti, ristampa integrata, Montella 1992. ? Larus Robuffo, Roma-Ostia Antica 2002. Avvertiamo il lettore che, quando non è diversamente specificato, in tutte le citazioni eventuali corsivi s'intendono nostri.
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E ci piace iniziare proprio con colei che avrà un futuro ruolo (anche se secondario) nella vita del martire. Si tratta di Mika Eisler Habraham, che condivise con lui le angosce dei giorni più terribili, un’ebrea slava che egli volle porre in salvo, oltre il confine, e ch’è vissuta, tutta la vita,
nel suo ricordo. Questa donna, a cinquant’anni da quella forzata separazione di salvezza, ritrovata sulle vie d’un’ultima diaspora dal professor Goffredo Raimo, affranta dall'emozione e dalla nostalgia, ma coll’im-
mediatezza assoluta d’un profondo, inestinguibile sentimento di gratitudine, così gli rese la sua accorata testimonianza, mediante una dichiarazione telefonica transcontinentale: “Egli era una persona unica. Non
è immaginabile la sua bontà. Ricordo tutto come se fosse ora. Che si sappia di lui, della sua bontà”*. Un'altra testimonianza, fra le tante sul servo di Dio, raccolta e registrata nel “Fondo documentale”,
evidenzia chiaramente la sua
insostituibile opera di soccorso. La racconta Elisabeth Quitt Ferber®.
Correva l’anno 1942, e anche a Fiume, allora, furono rese obbligatorie
le pratiche d’internamento antiebraiche; e la legislazione razziale, prima più blanda, assunse poi un vero e proprio carattere persecutorio. Così s’esprime la donna: “Ancora mi emoziona e mi commuove il ricordo di questo eccezionale ed eroico funzionario di polizia [...], sempre disponibile a recare aiuto, sensibile, generoso e altruista. A lui sicuramente io, mio marito, mio fratello, mia sorella, mio cognato e tanti
altri perseguitati di religione ebraica dobbiamo la nostra vita, che egli salvò a costo della propria e di morire da martire”°. Il professor Raimo riferisce, nel suo libro su Giovanni Palatucci, la un’altra toccante testimonianza, quella di Goty Bauer, anch'el ove fu sterun’ebrea di Fiume, sopravvissuta alla tragedia d’Auschwitz,
minata la sua famiglia, ch’era stata ivi deportata quando lei era ancora cugiovanissima. “Per ognuno di noi - dice - Giovanni era un angelo pennostro stode. Era qualcuno a cui ci rivolgevamo e rivolgevamo il
fiduciosi nella siero, deferente, riconoscente, per quello che faceva, e 10 incontro, in speranza che ci potesse aiutare. Oggi, tutte le volte che
fuori con qualsiasi città, un ebreo fiumano, il nome di Palatucci viene ‘* G.Raimo, op. cit., p. 246.
t
ara
di Giovanni e fornita di lasciapassare, 5Un’ebrea fiumana, che, grazie al pronto intervento
a Sarnico, sul lago d'Iseo. poté salvarsi, con tutta la sua famiglia, rifugiandosi cit., pp. 59-61. 3; v. anche Giovanni Palatucci. Ilpoliziotto..., op. 6 G. Raimo, op. cit., pp. 192-19
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una venerazione immediata e unanime. Lo segnalerò a tutti i miei figli, parenti e amici, perché il ricordo di una così nobile figura di uomo ci sopravviva”. “Zichronò liberachà, la sua anima sia benedetta”*, aggiunge Riccardo Hònigsfeld Niri, ebreo di Genova; e Regina Wachsberger, figlia del rabbino Davide, officiante nella principale sinagoga di Fiume, salvato da Palatucci, afferma: “Egli era soprattutto un uomo di fede, che aiutava con tutto il cuore al limite del possibile. Egli ha dato la sua vita per salvarne altre; che il Signore benedica la sua memoria”?. Il giornalista Giuseppe Halmi testimonia che già nel 1937 Giovanni, appena giunto a Fiume, aveva iniziato la sua opera di salvezza d’innumerevoli ebrei; difatti egli scrive che in quell’anno “foltissimi gruppi correvano verso Fiume per salvarsi dal terrore nazista [...]; questo martire cattolico [...], nostro eroico martire [...], per salvarli, internava gli ebrei a Campagna, dallo zio [vescovo n.d.a.]?!°. Le opere di misericordia corporale sono d’origine evangelica, e Giovanni le attuò alla lettera. Un’autorevole conferma ci viene offerta da Rozsi Neumann, nel 1953, su un settimanale ebraico. La Neumann fu messa in salvo da Giovanni, insieme col marito; erano profughi ebrei
austriaci che avevano tentato, clandestinamente, di rifugiarsi in Iugoslavia. Quivi furono catturati e dati in affidamento alla questura di Fiume, che provvide a incarcerarli. Quand’ormai disperavano della loro salvezza, una volta rimpatriati in Austria, ricevettero, nella loro cella, una visita speciale: s'era recato a confortarli il dott. Palatucci,
della cui opera di solidarietà e di soccorso in favore dei perseguitati essi erano, nel frattempo, venuti a conoscenza. In quell’anno, il 1939, era
già in vigore la “censura” della corrispondenza. Fu così che Giovanni apprese del legittimo desiderio espresso ad amici, tramite lettera, dalla signora Neumann di poter consumare un pasto diverso per il Natale. E proprio in quel giorno, il più caro al cuore dei cristiani, il giovane funzionario volle farsi buon samaritano, offrendo ai coniugi Neumann un lauto pranzo. Enormi furono lo stupore e la sorpresa d’entrambi, 7 G. Raimo, op. cit., pp. 200-201, con integrazioni d’espressioni non riportate nel libro, ma contenute in lettere o scritti privati del “Fondo documentale”. * G. Raimo, op. cit., p. 217. ? G. Raimo, op. cit., p. 226. !° Hatikva magyarajku zsidosag hetilapija, Buenos Aires, 10 ottobre 1952, p. 7; il Halmi era il radattore capo della rivista. V. G. Raimo, op. cit., p. 62, e “Fondo documentale”.
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ma principalmente di Rozsi, che dichiara: “L’emozione fu tale che io riuscivo con difficoltà a inghiottire [...]. Col suo aiuto fummo poi liberati e potemmo salvarci la vita”. Nella prima visita era stata colpita dalla giovialità del vicecommissario: “Egli era di natura gaia”, afferma!!. Per interessamento di Giovanni, i suddetti coniugi furono internati a Campagna e affidati alle premure dello zio vescovo. In una lettera del 26 giugno 1953, indirizzata al presule, essi, nel ringraziar cordialmente l’alto prelato per l'accoglienza, esprimevano immensa gratitudine, a nome di tutti gli ebrei, al dott. Giovanni Palatucci, il quale “in tempi tanto difficili [...] è andato oltre il comandamento ‘Ama il prossimo tuo come te stesso””!2, In definitiva, come si cercherà di dimostrare, l’intero operato del
funzionario fiumano fu illuminato dalla fede soprannaturale per il conseguimento della salvezza d’innumerevoli ebrei, vittime del totalitarismo nazista!!. Queste testimonianze sono in totale sintonia coi giudizi che sono stati formulati su di lui sia dal mondo ebraico sia da quello cristiano, a livello religioso e politico-istituzionale. In particolare, la dottoressa Tullia Zevi, presidente delle Comunità Ebraiche Italiane, così dichiarava, in una lettera inviata al professor Raimo: “Giovanni Palatucci è un uomo che onoriamo e amiamo”!. Sempre al professor Raimo, da parte della presidenza della Repubblica Italiana, perveniva quest’attestazione: “Figure come quella di
11 V. Israel, anno XXXVIII-num. 39, 18 giugno 1953. o..., op. cit., pp. 36-38. 1? VG. Raimo, op. cit., pp. 60-62, e Giovanni Palatucci. Il poliziott sotto il fascismo, italiani ebrei 13 Per le leggi razziali italiane v. R. de Felice, Storia degli gli ebrei, nel contro leggi Le cfr. 1938 l’anno per Torino 1988 (I, 1962); e più specificamente 1988)), agosto [genn.1-2 n. LIV, (vol. Sarfatti M. di cura a fascicolo della “Rassegna mensile”, D. È, R. con 1938, re il 17 novemb contenente il corpo centrale delle leggi, entrate in vigore Stati a enenti “appart i cittadin i contro 1728. Nel 1940 sono attuate le disposizioni restrittive co, Capogre S. C. anche: cfr. to proposi tal nemici” e fra questi, in primis, gli ebrei. A unita ia nell’Ital ebrei Gli 1943; al 1940 dal apolidi ed L’internamento degli ebrei stranieri i per ro Ministe 1989, 12-16 giugno 1870-1945. Atti del IV convegno internazionale, Siena dai Italia in i emigrat Gli Voigt, ; K. Beni Culturali e Ambientali, Roma 1993, pp. 539-540 itati (1933-1940), in “Storia persegu e i tollerat : nazista zione domina la paesi sotto e dei profughi ebrei in Italia (1940ti immigra degli contemporanea”, 1985; Id., L’irmternamento Roma 1988 (atti del convegno nel 1943), in La legislazione antiebraica in Europa, cinquantesimo anniversario delle leggi razziali). 14 V, il “Fondo documentale”.
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Giovanni Palatucci meritano senz'altro di rimanere nella memoria,
come esempio di generosità e di solidarietà umana spinte fino al cosciente sacrificio della vita”!5. E ancora, per tutti, il breve ma icastico giudizio del rabbino capo di Roma Elio Toaff: “A lui il Signore ha certamente riservato la più grande ricompensa, quella che spetta ai martiri e ai giusti. La tradizione ebraica afferma che chi salva una vita è come se avesse salvato il mondo intero””°. Wildi Benedict, studiosa ebrea, parlando del martirio di Giovanni
afferma: “Non vogliamo dimenticare: perdonare si può, ma dimenticare non si deve”!. Il professor Toaff partecipò, per iniziativa delle Comunità Israelitiche d’Italia, nel decimo anniversario della morte del servo di Dio, all’attribuzione, nella città di Milano, d’una medaglia d’oro alla memoria del-
l’eroe e martire. Presenziava l’allora ministro d’Israele per l’Italia Elia Sasson!!. In Israele, inoltre, una via, tra Ramat Gan e Tel Aviv, e una foresta, a Gerusalemme, furono intitolate all’eroico funzionario italiano, il 23
aprile 1953!°. In quell’occasione, in un’intervista rilasciata a una radio locale, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci afferma, tra l’altro, che
“mio nipote Giovanni ebbe la formazione, la preparazione a questo gesto di grande umanità e di grande amore per gl’israeliti [...]; sua nonna lo formò a uno spirito di santità, di amore e di dedizione agli altri”®. L’eminentissimo signor cardinale Camillo Ruini, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, aprendo la serie di prefazioni della precitata pubblicazione sul martire, a cura del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, tra l’altro sottolinea “l’affascinante e poliedrica figura e opera del Palatucci: il quale, nelle più disparate situazioni o
!5 V. il “Fondo documentale”.
‘6 G. Raimo, op. cit., p. 172. V. il “Fondo documentale”.
! G. Raimo, op. cit., p. 172 e seguenti. !? Ivi, pp. 170-171; v. inoltre, per la dedicazione della foresta, “Corriere della Sera”, 17 aprile 1955, Perché una foresta in Israele ha il nome di un italiano non ebreo; e, per l'intestazione della strada, “Israel”, settimanale ebraico, anno XXXVIII, n. 32, 23 aprile 1953 (nel “Fondo
documentale”). °° G. Raimo, op. cit., p. 16; v. anche il nastro magnetico originale, in possesso del dott.
A. De Simone Palatucci; l'intervista sarà trascritta, integralmente, nelle pagine della sezione
antologica.
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emergenze, fu testimone verace di Cristo tra e per i suoi fratelli”?!. Segue quella dell’ex ministro dell’Interno dell’attuale governo, Claudio Scajola, che evidenzia la sua totale opposizione all’olocausto “fino all'estremo sacrificio della vita”, da parte d’“un servitore dello Stato divenuto martire”, Nella terza prefazione, Amos Luzzatto, presidente delle Comunità Ebraiche Italiane, dichiara come, a motivo della sua
scelta di dar la vita per i fratelli, “noi ebrei piangiamo Giovanni Palatucci. Israele lo ha riconosciuto [...] come uno dei ’giusti delle nazioni’. Noi aggiungiamo [...] se non ancora di più””; e lo definisce “un vero eroe”, capace d’un “sacrificio disinteressato e nobile”. Nell’ultima, Giovanni de Gennaro, capo della polizia, riportando l’affermazio-
ne d’“una donna triestina, che aveva fatto parte della rete clandestina di solidarietà”, sintetizza benissimo quale fu il vero scopo dell’intero operato di Giovanni Palatucci: “Nonostante le migliaia di vite già salvate pensava di poterne salvare un’altra”. Pertanto, l’analisi è condotta su testimonianze a nostro avviso es-
senziali per dimostrare il suo eroismo nell’esercizio delle virtù cristiane. Esse ci appaiono utili alla preparazione della Positio et informatio super virtutibus dell’eroico funzionario, e ci permettono l’approfondimento di molti aspetti che riguardano, specificamente, le sue virtù cristiane, sia cardinali sia teologali. Tali scritti e testimonianze crediamo che avallino la nostra tesi secondo la quale il servo di Dio dev'esser considerato un vero martire cristiano. A cinquantott’anni dalla tragica soppressione del “questore” fiumano, non è mai venuta meno la venerazione dei fedeli verso di lui; anzi, post mortem, fin da subito, come risulta da tutte le testimonianze esaminate, gli è stato attribuito, esplicitamente, il titolo di “martire”?, 21 Giovanni Palatucci. Il poliziotto..., op. cit., p. VIII. 2 Op. cit., p. XI. "Op, ciù; p. AI: i MOpieiti prXVI eva richied 1917 del ino enedett piano-b i canonic juris Codex 2 Il canone 2101 del vecchio servi morte a annos quinquaginta che la “disceptatio virtutum” dovesse principiare “non ante Il nel 1983, stabilisce invece che “causae Paolo i Giovann da gato promul codice, nuovo Dei”.Il ia” (can. 1403, $ 1). Ora, l’art. 34 canonizationis servorum Dei reguntur peculiari lege pontific
santi del 21 marzo 1983 facilita e del regolamento della Sacra congregazione per le cause dei positio super virtutibus. Nel caso di snellisce di molto l’iter, dianzi molto più faticoso, della la sua morte - è tasett’anni dopo Giovanni Palatucci - la cui causa è cominciata cinquan fedeli, fin da subito post mortem. dei appunto importante rilevare la spontanea venerazione
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La vita del servo di Dio si può suddividere in quattro momenti fondamentali:
1) dalla nascita alla “scelta” occasionale d’arrolarsi in polizia; 2) la sua breve permanenza alla regia questura di Genova; 3) il trasferimento alla regia questura di Fiume, dove svolse la sua instancabile opera di salvataggio; 4) l'arresto, la deportazione, la prigionia e, infine, la violenta e tragica morte a Dachau. Il lavoro, obbedendo a precisi principi metodologici, presenterà la figura e l’operato di Giovanni Palatucci, in un’ermeneutica globale, prevalentemente, ma non esclusivamente, evenemenziale, per dimostrare che Giovanni, da uomo cosciente e libero, offrì la sua vita per
salvare quella degli altri. Tale evento, nelle circostanze a tutti ben note, non può esser consi-
derato un fatto umano soltanto, o un gesto eroico, ma suppone, necessariamente, l’intervento d’una forza superiore e soprannaturale: la fede cristiana. Il principio di soffrire qualunque tormento e la stessa morte, piuttosto che venir meno alle convinte ragioni della propria fede soprannaturale, è il criterio per riconoscere, fin dall’apparire del cristianesimo, il titolo di “martire cristiano”? al confessore della fede.
Somma moderazione ed equilibrio, congiunte con intrepidità e costanza, illuminate dalle virtù cristiane, sono il distintivo del martirio
di Giovanni Palatucci. È quanto ci proponiamo di dimostrare col presente studio. Perciò, più che riportare la somma completa di tutti gli avvenimenti che hanno segnato la breve parabola dell’intensissima vita di Giovanni Palatucci, lo scopo di questo lavoro - hoc est în votis vuol essere quello di portare, coi fatti e nella verità, le prove certe della santità e del martirio del giovane reggente della questura di Fiume. S'evidenzierà, documenti alla mano, che due fatti dati per scontati non sono in realtà affatto tali: si dimostrerà cioè ch’egli non entrò in poli2° S. Giustino, II apol., 10; cfr. P. Allard, Dix legons sur les martyrs, I, p. 1, Parigi 1904; v.
anche A. de Pulpiquet, L’argument des martyrs, in “Revue pratique d’apologétique”, 1909; si vedano anche le norme stabilite, sul martirio, da Benedetto XIV (De servorum Dei beatificatione et canonizatione, LIII, XI e seguenti), e D. Marsiglia, // martirio cristiano. Studio storico critico, Roma 1913 (soprattutto, in appendice, s. v. Culto dei martiri e sua origine, p. 345 e seguenti).
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zia per una precisa e decisa scelta, ma, al contrario, seppure spinto da impellenti circostanze a optare per essa, se ne servì, quando le circostanze lo richiesero, provvidenzialmente, e solo per compiere il suo progetto d’amore. E si tenterà poi di far definitiva chiarezza, con un’attenta ermeneutica e analisi euristica, sulle due dichiarazioni - la prima dell’arcivescovo emerito d’ Amalfi e Cava de’ Tirreni mons. Ferdinando Palatucci, e l’altra delle sorelle ebree Elisabeth e Bianca Ferber - che
riferiscono d’una “storia d'amore” fra Giovanni e una signorina ebrea, Mika Eisler. Solo spinti dalla ricerca della verità, e senza spirito di consorteria, si proverà, per via di ragionamento, e col supporto di documenti inconfutabili, il nostro asserto - senz’alcun riferimento alla
buona o cattiva fede dei dichiaranti - e cioè che entrambe le asserzioni in oggetto sono assolutamente arbitrarie e false, per le intrinseche contraddizioni in esse contenute, come si dimostrerà colle controdeduzioni.
Un corposo capitolo sarà dedicato all’antiebraismo, più noto come
antisemitismo, dalla fase precristiana fino alla modernità, vale a dire
all’olocausto, che, nella storia dell’antisemitismo rappresenta il vergognoso epilogo della pagina più ignobile della nostra storia, scritta dal sangue d’undici milioni d’uomini dei quali più di sei milioni, come si sa, furono ebrei!
Esso sarà preceduto da un altro capitolo, dedicato alle “prove” del martirio cristiano, per evidenziare come il gesto eroico del funzionario fiumano si debba considerare, legittimamente, martirio, nell’accezione cristiana antica del termine e nell’evoluzione successiva del suo significato. Quest’ampia digressione ci permetterà di rispolverare non solo quella funesta realtà che la storia vorrebbe cancellare dalla memoria collettiva, ma soprattutto il significato profondo e univoco dell’eroico e gratuito gesto d'amore soprannaturale compiuto dal nostro martire.
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CAPITOLO I LA FAMIGLIA
Nascita, infanzia, adolescenza e studi
Giovanni Palatucci nacque a Montella!, il 29 maggio? 1909, da Felice e Angelina Molinari, secondo e unico figlio maschio (cfr. la copia del registro di battesimo, in allegato). Ricevette il primo sacramento dell’iniziazione cristiana, nella chiesa di San Silvestro papa, il giorno successivo alla nascita, dall’arciprete
don Agostino Palatucci, e quello della confermazione, in data 13 di-
I genitori di Giovanni: Angelina Molinari e Felice Palatucci.
a, v. l’opera in quattro ! Per la storia di Montella, dall’età antica all’era contemporane nella recente ed elegante Calore, del valle volumi del professor Francesco Scandone L’alta NN w 1998. la ristampa delle edizioni Dragonetti, Montel di civile stato all'Ufficio dello 2 Quest’è la data risultante nel registro dei battezzati; figlio il che amente errone rando Montella, essa fu denunziata dal genitore il 3 giugno, dichia e è riportata la copia integrale seguent pagina Nella so. trascor appena mese del 31 il era nato dell’atto di nascita.
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Un biglietto da visita di Giovanni studente a Benevento.
cembre1914, sempre a Montella, nella chiesa arcipretale di S. Maria in Piano, dall’allora arcivescovo di Nusco, essendo parroco don Salvatore
Palatucci (cfr. la copia del registro delle cresime in allegato). Compi gli studi elementari nel paese natale e s’iscrisse, in seguito, al ginnasio “D. Pascucci” in Dentecane di Pietradefusi, trasferendosi, successivamente, al liceo classico “P. Giannone” di Benevento, e infine al “T. Tasso” di Salerno, dove conseguì, il 23 novembre 1928, la maturità classica. Da
notare che al periodo della sua formazione liceale nel capoluogo sannitico risale un suo biglietto da visita colla scritta “Giovanni Palatucci, studente - Arco Traiano, palazzo Perifano, I piano”. Ciò può sembrare futile; al contrario, dimostra il suo amore per l’ordine e la precisione, due costanti che lo guideranno nelle future scelte fondamentali della sua vita?. La sua formazione proveniva da una gente antica, forte e nobile; da un’educazione austera e severa che gli permise di maturare la sua profonda umanità, l’alta religiosità e la disponibilità al servizio del prossimo. Il dott. Antonio De Simone Palatucci, nipote del servo di Dio, riferisce di racconti aneddotici, da lui appresi dalla viva voce della defunta
madre Maria, che, nella loro sostanza, ci mostrano come, già a partire dall'infanzia, in Giovannino si manifestavano in modo eccezionale la
solidarietà, la carità e, in genere, l’amore per il prossimo. Riportiamo quelli che ci sembrano più significativi. Da bambino, Giovannino offre un omaggio a un suo amico che con lui s'era comportato in modo scorretto. Con gran meraviglia di questo, gli risponde: “Noi cristiani non ricambiamo male per male”. > V. il “Fondo documentale”. Il biglietto è senza data.
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In alto a sinistra: ricordo degli esami ginnasiali del 1921 e altre fotografie della giovinezza di Giovanni.
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Alcune donne che setacciavano frumento ed erano, perciò, impolverate e sudate, si nascosero alla vista di Giovannino, per non mostrarsi in disordine; il ragazzino si recò nell’androne per incontrarle e “riprenderle”, benevolmente, affermando che il lavoro, qualunque sia,
nobilita e redime. Inoltre, la signora Rosa Apicella di Montella, sua coetanea (essendo nata nel 1909) ora defunta, riferisce della non comune bontà e del rigore morale di Giovanni, col quale intrattenne, da adolescente, rapporti di fraterna amicizia, che il giovane era solito stringere con tutti, indistintamente. Nella sua famiglia, di stampo patriarcale, tre figure esemplari di donne lo seguono, illuminano e confortano nelle prime esperienze di vita, come afferma, successivamente, nelle sue lettere lo stesso martire,
e gli sono vicine nei momenti delle prove più dure: la nonna Carmela,
da lui stesso definita la nostra santa, la sorella Maria, che l’ebbe in devozione fino alla sua dipartita, avvenuta nel 1995, e la madre Angelina,
che non resse alla vana attesa del suo ritorno. Incisiva fu poi la compresenza, tra i parenti più vicini, dei suoi zii paterni, ch’erano importanti personalità, e che si distinguevano nel mondo ecclesiastico e culturale del nostro Mezzogiorno. Essi furono il vescovo di Campagna, S. E. mons. Giuseppe Maria Palatucci, dell’ordine dei frati minori conventuali, e i padri Antonio e Alfonso, ministri provinciali della stessa famiglia religiosa, nonché membri dell’Almo Collegio Teologico di Napoli. Padre Alfonso insegnò anche, a Cracovia nel 1924, sacra teologia e, presso il Collegio Teologico Internazionale d’ Assisi, sacra scrittura. Per la vastità della sua cultura, che non era disgiunta dallo zelo religioso francescano, successivamente gli sarà proposta la nomina a vescovo, che però, a motivo dell’umiltà, rifiuterà. Padre Antonio, quand’era ancora fanciullo, fu colpito da una specie di paraplegismo con atrofia muscolare. All’età d’undici anni, durante la processione in onore del Santissimo Salvatore, fu miracolosamente guarito. Il Signore aveva ascoltato le suppliche e le preghiere fervorose della mamma Carmela, donna d’elette virtù cristiane. Quest’evento straordinario il loro determinò in lui profondi sentimenti religiosi, che troveranno Giue Alfonso epilogo nella scelta di consacrarsi al Signore. I fratelli come il seppe Maria imiteranno il suo esempio. Anche padre Antonio, la proposta verrà fratello padre Alfonso, rifiuterà l’episcopato, quando gli loro, la famisede d’un’ambita diocesi campana. Comunque, a partire da Chiesa. alla glia Palatucci s’arricchirà di numerose vocazioni donate 35
Giovanni con la nonna Carmela, da lui definita «la nostra santa»,
nel chiostro del convento di San Francesco a Folloni (Montel la).
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In questo contesto, fatto di vibrante fede e convinta religiosità, sono da ricercare, senza dubbio, le radici della spiritualità del futuro testimone della fede e martire della carità cristiana. Lo zio G. M. Palatucci*
In considerazione del futuro sodalizio di spirito che vedrà collabo-
rare strettamente il dottor Giovanni Palatucci collo zio vescovo, S. E.
mons. Giuseppe Maria Palatucci - che incise notevolmente nell’opera
d’educazione e di formazione del futuro martire, come sicuro e indi-
scusso punto di riferimento - riteniamo doveroso lumeggiarne la figura e l’alto profilo morale. “Io ebbi l’onore e la grazia di conoscere Mons. Palatucci quando ancora era semplice frate. Mi colpì subito la sua personalità. Di grande ingegno e di grande cultura, ma ancora più, di grande e schietta fede e pietà, era d’incantevole semplicità e umiltà francescana. Ispirava fiducia a quanti lo avvicinavano, perché non aveva alcuna posa. Apriva il cuore. Benché tanto semplice, era di una schietta franchezza francescana;
che lo fece forte nella difesa della verità e della giustizia, anche verso
quelli che sono potenti nel mondo, e che, dolorosamente, sono abituasi ti a trovarsi di fronte a persone che o temono di dire la verità, o
perdono in parole di adulazione. Il suo carattere semplice e forte non conosceva quello che il mondo chiama diplomazia; la sua linea era una
non con sola, quella dell’Evangelo: Est, est, non non, verso chiunque, verità. irruenza, 0 tracotanza, ma con la luminosa schiettezza della
. ParlaOratore di forza, illuminava col metodo evangelico le anime intendere. va, come Gesù, in parabole e paragoni che tutti potevano la sua voce Da Vescovo, nelle piazze, nelle Chiese, dovunque, levava
rimangono a infiammata contro i vizi e gli errori. Le sue Pastorali testificare la potenza e lo spirito della sua parola. prontezza riLa sua carità era inesauribile verso tutti, ed egli con amente raccospondeva a tutti quelli che si rivolgevano a lui. Immediat veniva dipersona, mandava quelli che avevano bisogno di aiuto, inter va ai bisogni della città erogava soccorsi con eroica larghezza, provvede venti insperati, pere della Diocesi, ottenendo dalle alte autorità inter ca”, S. E. mons. G. M. Palatucci v. “Luce Serafi + Per un breve, ma essenziale, profilo di . opale episc dedicato alla sua consacrazione anno XIII, nov.-dic. 1937-XVI, n. 11-12,
37
Lo zio Giuseppe Maria Palatucci.
ché andava personalmente a perorare la causa di quelle provvidenze che sono state salutari al benessere di Campagna. Sollecito del bene per la carità, lo era molto più per la salvezza delle anime. Fece da missionario in tutti i paesi della Diocesi, sempre pronto nel ministero pastorale. I dissidenti, i cattivi, lupi rapaci molte volte in veste di agnelli, sentirono la sua voce paterna e forte, e furono smascherati nelle loro insidie alla fede del popolo. Aveva una parola schietta, semplice, persuasiva; usava uno stile che poteva comprendersi da tutti. Benché provato da gravi malattie, e costretto a vari interventi chirurgici, non cessò dal suo letto di dolore di governare la sua Diocesi. Rispondeva immediatamente a tutti, di sua propria mano. Non è possibile, neppure con un cenno fugace, dare un’idea della sua prodigiosa attività, che moltiplicava per la scarsezza del suo Clero. Non sempre compreso da chi non aveva capito il suo gran cuore, sopportava pazientemente e perdonando con generosità, le ingratitudini e 1 dolori che riceveva. Tutto unito alla Divina Volontà, guardava a Dio solo, amandolo ed operando per la sua gloria fino all'esaurimento di se stesso.”5 ° Commemorazione funebre di don Dolindo Ruotolo.
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Egli fu, evangelicamente, il bonus pastor, reggendo le sorti della diocesi di Campagna per ventiquattr’anni che furono ricchi d’attività pastorali, dal 1937 al 1961. Il colto presule caratterizzò in senso mariano il suo ministero episcopale. Per questo il vescovo di Campagna meritò l’iscrizione del proprio nome sullo stipite della prima porta della basilica di San Pietro nell’Urbe, in seguito alla sua partecipazione alla definizione del dogma dell’assunzione al Cielo di Maria Santissima in anima e corpo. Si spense, nel palazzo del seminario, il venerdì santo del 1961. La città di Campagna, il 20 maggio 1995, ha voluto dedicargli, per i suoi alti meriti, una piazza, quale testimonianza d’affetto e riconoscenza*. Su mons. G. M. Palatucci non ci sono pubblicazioni, ma possiamo leggere molti articoli e brevi saggi sul suo operato. Tra questi - anche se non pubblicata - merita d’esser menzionata una tesi di laurea in storia della Chiesa, dedicatagli dal dott. Vincenzo d’Ambrosio, e discussa presso il Magistero di Salerno nell’anno accademico 1970-71. È intitolata L'attività episcopale di monsignor Giuseppe Maria Palatucci nel ricordo dei suoi contemporanei. In tre capitoli, con introduzione, conclusione e appendice, il D'Ambrosio tratteggia efficacemente la figura dell’alto prelato. Nel primo capitolo si sofferma sulla carità spirituale e materiale del presule”, intervistando un sacerdote e altre sette testimoni, della diocesi di Campagna. Il secondo lo dedica alla questione degli ebrei?, accennando all’intesa fra il vescovo e il nipote dott. Giovanni Palatucci, funzionario presso la regia questura di Fiume, nell’opera di soccorso per il loro salvataggio: egli li menziona nel numero d’ottocento, e li dice alloggiati nei conventi di S. Bartolomeo e della Concezione, destinati all’uso di campi d’internamento?. Nell’ultimo capitolo riferisce, specificamente, dell’attività episcopale e pastorale del presule!°, attraverso sette audizioni, di cui due rilasciate da sacerdoti collaboratori. Le sessantatré pagine dell’appendice sono di carattere documentario. In sintesi ne vien fuori il profilo d’un vescovo singolare: è dichiaratamente anticomunista; contrario a ogni regime totalitaristico; devotissimo alla Madonna di Fatima; fraternamente vie cino ai suoi fedeli, sacerdoti, seminaristi, religiosi e laici, “col cuore 6 V. Cronache di Salerno, in “Il Mattino”, 23 maggio 1995. ? V. pp. 18-69 della tesi. 8 Ivi, pp. 70-82. Ivi, pod; !0 Ivi, pp. 83-128. 99
con la borsa”. Laureato presso la Pontificia Università Gregoriana, nell’Urbe, in filosofia e teologia, conseguì anche un diploma in arte
sacra. Fondò “Luce Serafica”, rivista francescana mensile illustrata del
Mezzogiorno d’Italia, alla quale collaborò anche il professor Scandone; e scrisse, oltre alle lettere pastorali, anche su argomenti di vario genere, tra cui quelli politici (La Chiesa e la politica!!), lanciando sagitte
infocate contro il comunismo, con frasi icastiche: “I comunisti sono lo
sterco del diavolo” e simili. Mentre elaboriamo il nostro studio ci capita sott'occhio un articolo su mons. Palatucci davvero originale! È riportato dal “Corriere del Sud” del 20 maggio 1998, a p. 12, nella rubrica Cultura e società. Il pezzo, a firma di tale Alessandro Volpe - presentando un primo piano del presule in posa ieratica, coll’abito talare solenne e il ferraiolo tuona: Ricordo del vescovo di Montella che salvò cinquemila ebrei. La “Schindler” list” di monsignor Palatucci, e, in sottotitolo: “Eccezionale
uomo di Chiesa - Nessuno ebbe a ricordare il secolo dalla sua nascita [25 aprile 1892, n. d. a.], qualche anno fa. La sua missione nelle diocesi di Campagna e Satriano di Lucania”. L’articolo, nell’intento di celebrare la figura e l’opera pastorale del vescovo di Campagna, lascia intendere che, a salvare gli ebrei, sia stato proprio il presule. Solo sfumatamente, tra le righe, afferma poi la verità: “Si è saputo a guerra finita, da partigiani campagnesi che avevano operato nella Venezia Giulia, che il Palatucci era zio dell’ultimo questore di Fiume italiana, il dott. Giovanni Palatucci, morto nel campo di sterminio nazista di Dachau per aver salvato la vita di cinquemila e passa ebrei perseguitati politici a causa delle leggi razziali, istradandoli col beneplacito (e) assenso dello zio vescovo verso i campi di raccolta profughi di Campagna”. S'è voluto riportare quest’articolo per evidenziare come, talvolta, la stampa, pur nella volontà, sicuramente positiva, di ricordare e magnificare la figura o l'operato d’un personaggio che s’è distinto, riesca a crear solo confusione. Il titolo, ch'è poi la sintesi dello scritto, nel caso specifico determina chiaramente equivoci, che lo storico ha il diritto-dovere d’evidenziare. Si può lasciar passare che mons. Palatucci sia stato vescovo di Campagna in Campania e Satriano, in Lucania; ma resta la gravità del titolo, colle conseguenti disinformazioni ch’esso
!! Tipografia Capuano, Campagna 1954,
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fornisce al lettore che non si perita d’esaminare, con attenzione, ciò ch’è affermato, o che si limita solo a una veloce scorsa.
Nel precitato studio su Montella del professor Scandone, mons. Palatucci ci offre, nell’introduzione, un profilo del martire. Infatti il quarto volume, pubblicato a Napoli, presso l’Istituto della stampa, nel 1953, Montella contemporanea, è introdotto da un suo Proemio. Il vescovo scrive, tra le altre cose: “In ultimo [l’autore - n. d. a.], con l’amo-
re caratteristico che ha lui per la sua terra, e con una delicatezza davvero ammirabile, ha voluto chiudere il volume con un cenno che fa speciale onore a Montella. Esso ricorda la figura dell’avv. Giovanni Palatucci - figlio di mio fratello Felice - che, mentre era vicequestore a Fiume e, agli ultimi tempi, funzionante questore, durante gli anni turbinosi della guerra, nel 1940-1944, fece immenso bene agli ebrei, salvandone migliaia dalla bestiale persecuzione nazista antisemita, e lavorò molto anche per salvare l’italianità di Fiume. Questa attività è conosciuta da pochi, e speriamo che presto sia conosciuta e premiata ufficialmente dalla nazione. Il giovane questore, scoperto, prima fu condannato a morte; poi la pena fu commutata in deportazione al campo di concentramento di Dachau, il famoso campo della morte, il 22 ottobre 1944, e quivi morì il 10 febbraio 1945. Gli ebrei, con una gratitudine veramente rarissima e delicatissima, gli dedicarono una via a Ramat Gan, presso Tel Aviv (anche a Tel Aviv sarà dedicata al nome di lui un’opera sociale), con onoranze, che furono un vero trionfo per la Chiesa e per l’Italia, e che
resteranno un caro ricordo indelebile per me e per mio fratello p. Alfonso, che partecipammo all’inaugurazione, il 23 aprile di questo 1953. Ed è provvidenzialmente significativo il fatto che questo volume della storia di Montella si chiuda col ricordo di un degnissimo figlio suo, quale fu il compianto avv. Giovanni Palatucci, quasi a significare uno dei caratteri dei figli di Montella, che [...] sono educati alle più alte virtù religiose e civili, e nella loro intelligenza, di cui è ricca questa
terra, comprendono che, se occorra, debbono sacrificarsi per l’amore
dei fratelli e della patria, amore che è virtù eminentemente cristiana e st chiama carità, che è la regina di tutte le virtà” (ivi, pp. 4-5). Lo Scandone scrive su Giovanni, alle pp. 496-497, evidenziando che di questi fu, contemporaneamente, martire della carità per lasua opera delle e salvataggio degli ebrei ed eroe nazionale dell’italianità di Fiume
lmente atterre italiane dell’ Adriatico. Lo storico montellese, norma
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tento e preciso sia nel vaglio della documentazione sia nel racconto dei fatti, sugli eventi che caratterizzarono l’opera di Giovanni al momento del suo arresto dimostra un’ingiustificabile superficialità. Che Giovanni abbia partecipato all’elaborazione d’un piano per l’indipendenza di Fiume, preoccupandosi di consegnarlo agli alleati tramite due donne ebree, ch’egli stesso accompagnò al confine colla Svizzera, è un fatto certo, come dimostreremo in seguito. Ma che un suo subalterno
l’abbia tradito, come afferma lo storico, e che gli abbiano trovato ad-
dosso documenti dai quali s’evinceva che avesse preso contatti col governo italiano di Badoglio, oltre che cogli alleati, arrestandolo per questo motivo, è un vero e proprio falso storico - e qui lo Scandone... scantona! Quest’infondatezza, mutatis mutandis, verrà fatta propria e riferita, successivamente, anche dall’arcivescovo d’Amalfi-Cava de’ Tirreni,
mons. Ferdinando Palatucci, “lontano parente” di Giovanni. Ma su questi fatti ci soffermeremo dettagliatamente nel corso del lavoro. Al momento ci preme d’evidenziare che, pur condividendo collo storico irpino il fatto che Giovanni sia stato un “martire di carità”, non siamo d’accordo con lui sull’acceso patriottismo irredentistico del servo di Dio, di stampo quasi dannunziano. Gli riconosciamo l’alto merito d’aver contribuito col suo lavoro, nel complesso d’ottimo livello storico, a far conoscere la figura e l’operato del suo illustre concittadino, cogliendo, coll’occhio esperto dello storico navigato, quell’elemento fondamentale che caratterizzò il modus vivendi di Giovanni: il martirio della carità, appunto. E, considerato che lo studioso scrive nel 1953, ad appena otto anni dalla tragica morte del funzionario, il fatto d’aver intuito un aspetto così importante ci appare davvero straordinario.
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Giovanni tra le sorelle Carmela e Maria.
La laurea in giurisprudenza e la decisione occasionale d’arrolarsi in polizia Giovanni, terminati gli studi liceali, come s’è accennato, nel 1928, è
indeciso se iscriversi all’ateneo di Pisa o presso l’università degli studi di Napoli “Federico Il”, alla facoltà di giurisprudenza. Opta per il primo, per poi trasferirsi alla sede partenopea. Nel 1930 presta servizio militare, come allievo ufficiale di complemento, a Moncalieri, in Piemonte.
L’8 febbraio 1932 risulta iscritto all’università di Torino: egli trovava tale ambiente più consono al suo animo, come dichiarerà ai famigliari. Presso detta università sostiene i restanti numerosi esami con maggior lena, perché già da mesi aveva terminato il servizio militare, e si laurea 11 16 dicembre dello stesso anno, appena ventitreenne, discutendo un’interessante tesi, in diritto penale, sul Rapporto di causalità coll’insigne giurista, il chiarissimo professor Eugenio Florian.
Un collega universitario di Pisa.
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Giovanni ufficiale a Moncalieri (Torino). 45
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