Giotto. Il restauro del Polittico di Badia 8874611749, 9788874611744

Il volume documenta il complesso lavoro di restauro dedicato al Polittico di Badia di Giotto, opera conservata nella Gal

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Italian, English Pages 198/201 [201] Year 2012

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Giotto. Il restauro del Polittico di Badia
 8874611749, 9788874611744

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i l pomaR i o nuovo Collana di saggi per opere restaurate diretta da Antonio Natali

I

Galleria degli Uffizi

In memoria di Miklós Boskovits, con gratitudine. In memory of Miklós Boskovits, with gratitude.

Restauro | Restoration Stefano Scarpelli, Firenze con la collaborazione di | in collaboration with Miho Bokuda, Lucia Chiocciora, Elisabetta Grilli Rilievo fotogrammetrico e documentazione informatica Photogrammatic studies and electronic documentation Culturanuova s.r.l., Arezzo Massimo Chimenti con | with Sandra Damianelli, Sara Rutigliano, Giacomo Tenti, Riccardo Marzi, Elena Iacopozzi, Andrea Chimenti Documentazione fotografica Photographic documentation Antonio Quattrone, Firenze

Indagini diagnostiche Diagnostic studies riflettografia IR | IR reflectography PanArt s.a.s. di Teobaldo Pasquali, Bagno a Ripoli tecnica d’immagine nella regione dei THz imaging in the THz spectral region Kaori Fukunaga (NICT, National Institute of Information and Communications Technology, Tokyo) Marcello Picollo, IFAC-CNR (Istituto di Fisica applicata “Nello Carrara” del Consiglio Nazionale delle Ricerche) Susanna Bracci, ICVBC-CNR (Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche) Oscar Chiantore (Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Chimica)

Il curatore ringrazia l’editore e la redazione, nelle persone di Michèle Fantoli e Paola Vannucchi, per l’impegno impeccabile, caratterizzato nel contempo da una serena professionalità, che certamente ha reso più facile la pubblicazione del volume. The curator is grateful to the publisher and editorial staff, and especially Michèle Fantoli and Paola Vannucchi, for their impeccable work and calm professionalism, which unquestionably facilitated the publication of this book.

National Institute of Information and Communications Technology Il restauro del Polittico di Badia è stato finanziato dal Complesso del Vittoriano in occasione della mostra “Giotto e il Trecento. Il più Sovrano Maestro stato in dipintura”, Roma, Complesso del Vittoriano (6 marzo-29 giugno 2009). Parte delle indagini diagnostiche e la pubblicazione di questo volume si devono al NICT di Tokyo. Restoration of the Badia Polyptych was funded by the Complesso del Vittoriano for the “Giotto e il Trecento. Il più Sovrano Maestro stato in dipintura” exhibition in Rome, Complesso del Vittoriano (6 March–29 June 2009). Part of the diagnostic studies and publication of this book have been possible thanks to NICT, Tokyo.

www.polomuseale.firenze.it/uffizi/modusoperandi/giotto

© 2012 Mandragora Tutti i diritti riservati | All rights reserved Mandragora s.r.l. piazza del Duomo 9 50122 Firenze www.mandragora.it

isbn 978-88-7461-174-4

Redazione, progetto grafico e impaginazione Editing, design and typesetting Michèle Fantoli, Paola Vannucchi con la collaborazione di | in collaboration with Carlo Lorini Traduzione inglese | English translation Catherine Bolton consulenza tecnica | technical consultant Lorenzo Martinelli

Stampato da | Printed by Alpilito, Firenze Rilegato da | Bound by Legatoria Editoriale Toscana, Campi Bisenzio

giotto

Il restauro del Polittico di Badia

giotto

The Restoration of the Badia Polyptych a cura di | edited by

angelo tartuferi

Mandragora

Il restauro del Polittico di Badia di Giotto nella Galleria degli Uffizi, compiuto da Stefano Scarpelli e dai suoi collaboratori con la sapienza e la sensibilità che il capolavoro richiedeva, fu ultimato prima dell’esposizione dell’opera nella mostra giottesca del 2009 a Roma. Meritava tuttavia d’esser reso noto attraverso questa apposita pubblicazione, curata del direttore del Dipartimento dell’Arte dal Medioevo al Quattrocento Angelo Tartuferi per i tipi di Mandragora, anche e soprattutto in ragione delle acquisizioni conoscitive che, sul capolavoro, si sono rese possibili nel corso di un’approfondita indagine diagnostica. Il pentittico è stato analizzato con tecnologie innovative, associate, secondo una prassi consolidata, alle tecniche della riflettografia falso colore, della radiografia e dell’indagine stratigrafica, con l’intervento di istituti specializzati ben noti alla comunità scientifica nazionale e internazionale. Tra i tanti partecipanti e sostenitori dell’iniziativa, si ricorda e sentitamente si ringrazia il National Institute of Information and Communication (NICT) di Tokyo, appartenente al Ministero delle Telecomunicazioni, che non solo ha finanziato parte delle indagini, ma si è anche assunto l’impresa di pubblicare questo volume, costituito dai risultati delle analisi e dalla loro interpretazione. Di una pittura di questa qualità, nota ma ora pienamente rivelata dalla discreta e calibrata pulitura, si vorrebbe conoscere tutto: dalla struttura del supporto ligneo (che sviluppa alla base una lunghezza complessiva di ben 3 metri e 45 centimetri) alle caratteristiche della fine carpenteria delle cornici, dalla predisposizione del disegno (a noi noto nella forma dell’underdrawing che si rivela nelle immagini all’infrarosso) alle sottigliezze delle stesure cromatiche salde e piene. E molto infatti ora si conosce, mettendo di fatto a disposizione degli studiosi e degli appassionati una straordinaria “banca dati” risalente all’ultimo lustro del xiii secolo, alla vigilia del primo Giubileo. Si saluta quindi con gioia e con gratitudine la pubblicazione di uno strumento conoscitivo che darà un significativo impulso agli studi sui grandi protagonisti delle arti nel Trecento fiorentino e italiano per i quali – non mi stanco di ripeterlo – si deve e si può fare di più.

The restoration of Giotto’s Badia Polyptych in the Galleria degli Uffizi, completed by Stefano Scarpelli and his collaborators with all the skill and sensitivity such a masterpiece required, was finished before the work was displayed at the Giotto exhibition in Rome in 2009. Nevertheless, it deserves the wider recognition it is bound to gain through this volume, edited by Angelo Tartuferi, Director of the Department of Art from the Middle Ages to the 15th Century, and published by Mandragora, above all because of all the new knowledge we have gained about this masterpiece through in-depth diagnostic investigation. Based on consolidated practices, the polyptych was analysed using infrared false-colour fluorescence, X-rays and stratigraphic studies, with the assistance of specialized institutes that are well known in the national and international scientific community. Among the many participants and supporters of the initiative, we would specifically like to mention the National Institute of Information and Communication (NICT) of Tokyo, to which we are immensely grateful. It is part of the Japanese Ministry of Posts and Telecommunications, which not only financed some of the studies but also undertook publication of the volume, illustrating the results of the analyses and their interpretation. When it comes to a painting of this calibre, already known but now fully revealed by discreet and balanced cleaning, one wants to learn everything there is to know about it: from the structure of the wooden support (measuring 3.45 m along the base) to the characteristics of the fine carpentry of the frames, the preparation of the drawing (known to us through the underdrawing revealed by the IR images) and on to the subtleties of the solid, full brushwork. Indeed, we now know a great deal, thus offering scholars and enthusiasts an extraordinary ‘databank’ going back to the last five years of the 13th century and the eve of the first Jubilee year. It is thus with immense joy and gratitude that we welcome the publication of this insightful source of information, which will greatly stimulate the study of the leading figures of 14th-century Florentine and Italian art, for which—and I will never tire of repeating this—we can and must do more.





Cristina Acidini Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze

Cristina Acidini Superintendent of Historic, Artistic and Ethno-anthropological Heritage and of the Polo Museale della città di Firenze

A nome dell’Istituto Nazionale di Tecnologia dell’Informazione e delle Comunicazioni (NICT), colgo l’occasione per farvi le mie più sincere congratulazioni per il riuscito intervento di restauro sul Polittico di Badia, e per il volume monografico in cui è stato magistralmente studiato questo capolavoro di Giotto e descritto, in tutta la sua complessità e completezza, l’intervento conservativo che lo ha interessato. È stato un grande onore per noi del NICT aver avuto la possibilità di partecipare a questo progetto insieme alla Galleria degli Uffizi usando una nuova tecnologia diagnostica e analitica non invasiva nella banda dei Terahertz (THz), che il NICT ha contribuito a sviluppare e applicare allo studio delle opere d’arte. Il polittico è il primo capolavoro cui è stata applicata la tecnica di immagine THz per analizzare, in maniera non invasiva, la sequenza degli strati, composti da diversi materiali, che costituiscono l’opera. I progetti normalmente realizzati al NICT sono rivolti alla documentazione digitale di dati, oggetti e manufatti, alla realizzazione di mostre interattive ad alto contenuto tecnologico e allo sviluppo di sistemi per rendere la realtà virtuale più vicina al grande pubblico. Con il supporto della Galleria degli Uffizi, nel marzo del 2009, abbiamo realizzato una mostra interattiva in cui sono state utilizzate delle immagini ad alta definizione del polittico. Tale mostra ha avuto luogo a distanza di due anni dal simposio telematico tra Firenze e Tokyo “Le nuove tecnologie sulle vie della cultura”, che sfruttava la connessione a banda larga fornita da JGN2 (Japan Gigabit Network 2) in collaborazione con la rete italiana GARR (Gruppo per l’Armonizzazione delle Reti della Ricerca). Nell’ambito di questo simposio la qualità delle immagini e la velocità di trasmissione dei dati sono stati molto apprezzati, in particolare per il fatto che si trattava di un simposio sull’arte. In occasione del restauro del polittico, la nuova tecnologia di immagine THz ha permesso di osservare in maniera del tutto non invasiva la sequenza dei vari strati di materiali diversi, partendo dalla superficie pittorica per arrivare fino al supporto ligneo. Questi risultati sono stati particolarmente apprezzati da tutte le figure professionali coinvolte nello studio dell’opera. Questo riconoscimento è stato un onore – e un grande incoraggiamento – per il NICT e per tutti gli scienziati e ingegneri che hanno lavorato allo sviluppo della tecnologia THz. Questo volume sarà, come è naturale che sia, un libro di ampia diffusione e riferimento per gli studiosi di Giotto, così come per i semplici amanti della sua arte, che oggi e – spero – anche in un prossimo futuro vorranno approfondire aspetti storico-artistici, materici e tecnici dell’opera

On behalf of the National Institute of Information and Communications Technology (NICT), I would like to take this opportunity to offer you my heartfelt congratulations for the successful restoration of the Badia Polyptych and for the monographic volume with its exceptional study of Giotto’s masterpiece, starting with the description of the conservative restoration of the work in all of its complexity. It was a great honour for us at NICT to have participated in this project together with the Galleria degli Uffizi, using a new non-invasive diagnostic and analytical technology in the Terahertz (THz) band that NICT has helped develop and apply to the study of artwork. The polyptych is the first masterpiece on which the THz imaging technique was used to analyse—non-invasively—the sequence of layers, composed of different materials, that constitute the work. The projects normally undertaken by NICT involve the digital documentation of data, objects and artefacts, the staging of high-tech interactive exhibitions and the development of systems to bring virtual reality closer to the general public. With the support of the Galleria degli Uffizi, in March 2009 we set up an interactive exhibition using the high-definition images of the polyptych. This exhibition came two years after the telematic symposium held in Florence and Tokyo, entitled “Le nuove tecnologie sulle vie della cultura” which exploited a broadband connection provided by JGN2 (Japan Gigabit Network 2) in collaboration with GARR, the Italian Academic and Research Network. The quality of the images and the speed of the data transmission during the symposium were widely appreciated, particularly because the subject was art. For the restoration of the polyptych, the new THz imaging technology permitted non-invasive observation of the sequence of the various layers of different materials, starting from the pictorial surface and going down to the wooden support. These results were highly praised by all the professionals involved in studying this work. This acknowledgement represented a great honour and encouragement for NICT, and for all the scientists and engineers who worked to develop the THz technology. This volume will undoubtedly enjoy widespread circulation and serve as a reference not only for Giotto scholars, but also for anyone who loves his art and for those who, today and I hope also in the future, want to probe the history, art, materials and techniques of the great master’s oeuvre. I am also very proud to mention that this is the first book on art to publish THz images.

del grande maestro. Vorrei inoltre rilevare, con molto orgoglio, che questo è il primo libro sull’arte in cui vengono pubblicate anche immagini THz. Nel testimoniare il mio rispetto per l’opera, nella sua ritrovata perfetta leggibilità, e soprattutto per le persone che a vario titolo si dedicano con entusiasmo e competenza a preservare i beni culturali italiani ­­­– che, tengo a precisare da “non italiano”, sono anche patrimoni mondiali da lasciare in eredità alle generazioni future – auguro tanti successi e prosperità alla Galleria degli Uffizi con la speranza che il NICT possa ancora contribuire a valorizzare gli scambi culturali tra i due paesi.

In testifying to my admiration for this work, its newfound perfect legibility and, above all, the people who, in different capacities, have devoted themselves professionally and enthusiastically to preserving Italian cultural assets—which, as a ‘non-Italian’, I feel are part of the world heritage to be handed down to future generations—I wish great success and prosperity to the Galleria degli Uffizi, with the hope that the NICT will again have the opportunity to contribute to developing cultural exchanges between our countries.

Hideo Miyahara Presidente National Institute of Information and Communications Technology

Hideo Miyahara President National Institute of Information and Communications Technology

Una lettura appartata

Solitary Contemplation

Il restauro del Polittico di Badia si concluse alla fine di febbraio del 2009 e subito dopo l’opera partì per la mostra romana titolata Giotto e il Trecento, allestita nelle stanze del Vittoriano. I visitatori di quell’esposizione furono dunque i primi a gustare i mirabili risultati sortiti dall’intervento di Stefano Scarpelli e dei suoi collaboratori, sotto la direzione competente di Angelo Tartuferi. Tornato da Roma, parve a noi tutti degli Uffizi che il polittico meritasse d’esser guardato, sia pure per pochi giorni, in un luogo meno ingolfato della sala che gli pertiene, ch’è quella delle tre Maestà. Si pensò insomma valesse la pena favorirne una più quieta e solitaria lettura nell’aula di San Pier Scheraggio; aula a tal segno severa che par fatta apposta per accogliere, sotto l’arco dell’abside, l’austera creazione giottesca. Le relazioni coi sublimi testi coevi, che gli sono compagni nella “Sala del Dugento e di Giotto”, sarebbero state ritessute dopo la breve parentesi nell’antica chiesa inglobata da Vasari nella fabbrica degli Uffizi. E subito infatti – compiuta la fugace divagazione espositiva – di nuovo si poté con lo sguardo tornare a godere del polittico al piano di Galleria, nell’ambiente spazioso progettato da Gardella, Michelucci e Scarpa, per quella giostra stupefacente d’opere primitive: esordio fulmineo, in presa diretta, d’un esemplare testo di storia dell’arte occidentale. Le virtù cromatiche del polittico di Giotto sono palesi ora che la pulitura (pur così oculata e discreta) ha sollevato il velo bruno calato col tempo sui fondi dorati, sui carnati soavi e sui castigati panni degli attori, atteggiati tutti in riposate posture entro l’esili nicchie d’una loggia metafisica. E però anche i colori recuperati – palpitanti e teneri a un tempo – esigono una concentrazione composta che non è facile apprezzare nel circuito di Galleria. La lirica alta che promana dalla sequenza di figure sante, ritagliate in contorni perspicui sull’astrazione dorata dei fondi, quasi impone una riflessione lenta; alla stregua di quanto ognuno farebbe al cospetto d’un brano letterario di quella medesima stagione; cui nessuno mai s’accosterebbe nell’andirivieni convulso d’un luogo affollato. Ed è la maniera migliore per apprezzare le finezze preziose dei tondi gentili che s’inscrivono in alto, alla convergenza degli spioventi d’ogni singolo arco. Silhouette che paiono miniate entro clipei leggeri e che la punta affilata d’un esiguo pennello ha disegnato nelle pieghe vibratili; lo stesso pennello piccino che ha lasciato – sulle ali degli angeli – variopinte scaglie minute, come in una klimtiana cascatella di gocce colorate.

The restoration of the Badia Polyptych was completed at the end of February 2009 and was immediately followed by the Roman exhibition entitled ‘Giotto e il Trecento’, staged in the rooms of the Vittoriano. Thus, those who visited that exhibition were the first to enjoy the marvellous results of the work done by Stefano Scarpelli and his assistants, under the expert supervision of Angelo Tartuferi. Upon its return from Rome, all of us at the Uffizi were convinced that the polyptych deserved to be viewed, even if only for a few days, in a place not quite as crowded as the room that regularly houses it, namely, the one of the three Maestà. We therefore thought it would be worthwhile to offer quieter and more solitary contemplation at San Pier Scheraggio, a venue so stark it seems designed specifically to accommodate Giotto’s austere creation under the arch of the apse. Its juxtaposition with its sublime coeval companions in the ‘Sala del Dugento e di Giotto’ would be re-established following the brief period in the ancient church that Vasari incorporated into the Uffizi. And, in fact, immediately after this brief exhibition visitors could again enjoy the polyptych at the Uffizi, in the large space designed by Gardella, Michelucci and Scarpa for that astonishing carousel of early works: the meteoric—and direct—debut of an exemplary work in the history of Western art. The chromatic qualities of Giotto’s polyptych are evident now that cleaning (so cautious and discreet) has lifted the dark veil that gradually came to cover the gold grounds, the sweet countenances and chaste garments of its figures, all of whom peacefully posed inside the slender niches of a metaphysical loggia. Yet these restored colours—at once vibrant and delicate—demand tranquil concentration that is not easy to find in the Gallery circuit. The sublime lyricism that emanates from this sequence of saintly figures, carved out with clear contours against the gilded abstraction of the grounds, calls for the kind of slow reflection we would lavish on a literary work from the same era, which no one would dare approach in the frenzied bustle of a crowded place. Indeed, this is the best way to appreciate the precious elegance of the graceful tondi inscribed on top, at the convergence of the slopes of each arch. They are silhouettes that look as if they were illuminated within light medallions and that the thin tip of a slender brush has designed in these vibrant folds: the same little brush that left tiny colourful scales on the angels’ wings, like a Klimtian cascade of iridescent drops.

Accanto alla levità di tocco, che ingemma le cimase decorate, sussiste però la pittura parca e pur sempre fervida che dà icastica presenza ai quattro santi letterati e alla Vergine col figlio. Presenza statuaria e non di meno viva. Viva di quel naturalismo saldo che ha fatto di Giotto, nell’esegesi d’ogni tempo, il capostipite d’una duratura genealogia d’artefici. L’apparato d’immagini, belle e veridiche, di questo volume – di cui Angelo Tartuferi s’è assunta la cura e che può anche contare sul contributo di Andrea De Marchi, studioso di rango – darà agio al visitatore, uscito dagli Uffizi col desiderio di calarsi ancor più nei dettagli dell’opera, di scandagliarne financo i recessi. Ai quali – al pari d’ogni partecipe e curioso osservatore – potrà pervenire in virtù degli esiti che macchine d’avanzata tecnologia hanno sortito.



Antonio Natali Direttore della Galleria degli Uffizi

Alongside the light touch that bejewels the decorated cimasas, we also find spare yet ardent painting that gives the four scholarly saints and the Madonna and Child such vivid presence: statuary, but alive nonetheless. They are alive with the solid naturalism that, in the exegesis of all ages, has made Giotto the forebear of an enduring genealogy of artists. The beautiful and accurate illustrations in this volume, edited by Angelo Tartuferi and with the noteworthy contribution of Andrea De Marchi, an eminent scholar, will give any visitor who leaves the Uffizi with the desire to probe the details of the work the opportunity to investigate its every recess. And, like every attentive and curious observer, he or she will discover them thanks to the results achieved by state-of-the-art equipment.



Antonio Natali Director of the Galleria degli Uffizi

La storia e la critica History and Scholarship

a n g e l o t a r t uf e r i

Il restauro del Polittico di Badia: Giotto 1295-1300

The Restoration of the Badia Polyptych: Giotto 1295–1300

Conservo un ricordo ancora vivo delle discussioni intrattenute con Stefano Scarpelli, a partire dal febbraio del 2008, quando cominciò a profilarsi l’opportunità di concedere in prestito il capolavoro, previo l’ineludibile intervento di restauro, alla grande mostra giottesca programmata per la primavera del 2009 sotto l’egida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, affidata alla cura di Alessandro Tomei. Ricordo, in particolare, di aver profuso la mia abituale ironia soprattutto a proposito della sua insistenza affinché io lasciassi da parte ogni indugio sull’effettiva necessità di dar luogo ad un intervento così impegnativo. Un’insistenza, quella del restauratore, sostenuta dalla certezza incrollabile di poter migliorare sensibilmente la leggibilità dell’opera. Non mi lasciai scappare neppure l’occasione di pronunciare la frase di prammatica in simili frangenti: «Il chirurgo è quasi sempre disponibile ad eseguire l’operazione». Oggi non ho alcuna difficoltà a riconoscere, in questa sede di bilancio “ufficiale”, che il restauratore ha avuto piena ragione. Ho già definito in più di un’occasione “storico” il presente restauro,1 e riconfermo qui tale affermazione ritenendo certo il fatto che a nessuno possa risultare iperbolica, per almeno due buoni motivi. In primo luogo perché si tratta del conseguimento di una leggibilità completamente nuova per questa pietra miliare dell’arte italiana, attuato mediante il “superamento” dell’intervento ritenuto anch’esso a buon diritto storico – ed è questo il secondo motivo – effettuato nel 1958 presso il Gabinetto Restauri della Soprintendenza fiorentina, a cura di Leonetto Tintori per la pulitura della superficie pittorica e di Alfio Del Serra per il restauro pittorico e la pulitura della carpenteria, con la direzione di Ugo Procacci. Quest’ultimo, nel suo saggio fondamentale sull’opera, dopo aver sottolineato in dettaglio il grave stato di degrado in cui versava già a partire dalla metà del Quattrocento, ne indicava le cause più probabili nella celebre e disa­strosa alluvione di Firenze del 1333. Tuttavia, il precario stato di conservazione della superficie pittorica non sembrerebbe in realtà direttamente riferibile all’eventuale immersione nell’acqua del polittico e neppure ai danni provocati da un incendio che sappiamo essersi verificato nel 1356. Dopo il restauro, si può affermare in tutta tranquillità, credo, che lo stato di grave deperimento della superficie pittorica del

I have very clear memories of my discussions with Stefano Scarpelli starting in February 2008, when the opportunity arose to lend the masterpiece—following essential restoration—to the major Giotto exhibition, curated by Alessandro Tomei, scheduled for spring 2009 under the auspices of the Ministry for Cultural Assets and Activities. In particular, I remember teasing him about his urging me to set aside any doubts I may have had concerning the pressing need to commence such a difficult undertaking. Scarpelli’s insistence was backed by his unshakable certainty that the legibility of the polyptych would improve significantly. Naturally, I instantly seized the opportunity to say what most people tend to think in such situations: “Surgeons are almost always willing to operate.” Today, as we ‘officially’ take stock, I have no problem whatsoever acknowledging that the restorer was absolutely right. On several occasions I have already defined this restoration as ‘historic’ and can again confirm this here,1 confident that no one will consider it an overstatement for at least two good reasons. First of all, because it has truly given this milestone in Italian art renewed legibility. Moreover, it surpasses the work done under Ugo Procacci’s supervision in 1958—also rightly considered historic, and this is the second reason—at the Restoration Laboratory of the Florentine Superintendency by Leonetto Tintori, who cleaned the pictorial surface, and Alfio Del Serra, responsible for pictorial restoration and cleaning the woodwork. In his fundamental essay on the work, after illustrating the serious deterioration of the polyptych as early as the mid-15th century, Procacci cited the disastrous flood that struck Florence in 1333 as the most likely cause. Nevertheless, the precarious state of preservation of the pictorial surface does not seem directly attributable to water damage, nor to a fire we know occurred in 1356. Now that the restoration work has been completed, I think we can confidently say that the severe deterioration of the polyptych’s pictorial surface was due to far more mundane reasons: the ill-considered ‘cleanings’ regularly performed on altarpieces. During the restoration overseen by Procacci the six triangular additions painted between the gables were re-



polittico sia il risultato dei ben più consueti danneggiamenti dovuti alle scriteriate “puliture” cui erano sottoposti periodicamente i dipinti collocati sugli altari. In occasione del restauro diretto dal Procacci furono rimosse le sei aggiunte triangolari dipinte tra le cuspidi – raffiguranti quattro teste “scultoree” di serafini nei pannelli centrali e due ali in quelli esterni – che furono inserite subito dopo la metà del Quattrocento, con lo scopo evidente di conferire al polittico una forma più regolare, di gusto rinascimentale. Riferiti dallo stesso Procacci al pittore fiorentino Jacopo d’Antonio, esplicitamente menzionato nei documenti relativi all’intervento, oggi questi dipinti sono stati attribuiti in maniera plausibile a Francesco Pesellino, sulla base dello stile.2 Ritengo ancora oggi di esprimere parere favorevole alla rimozione di tali aggiunte, approvata dal Consiglio Superiore delle Belle Arti di allora, perché il ripristino della solenne scansione architettonica del polittico – così straordinariamente affine a quella arnolfiana del fianco esterno della chiesa di Santa Croce a Firenze – sembra favorire, esaltandola, la «solennità statuaria di ogni figura, il senso di blocco di una stereometria elementare».3 Da molto tempo avevo avuto modo di constatare, anche prima di approdare sul finire del 2006 agli Uffizi, lo stato di complessivo incupimento di questo archetipo indiscutibile del polittico trecentesco, non soltanto nella superficie pittorica, ma anche per quanto riguarda l’incorniciatura e il gradino di base. Queste ultime parti si presentavano in un aspetto “sabbiato” che ne precludeva finanche la percezione esatta della struttura, oltre a non restituire la benché minima percezione cromatica. L’importante recupero dei valori cromatici della cornice, di cui si dirà fra breve, ha comportato di riflesso la necessità di distinguere in maniera netta ed inequivocabile dal polittico la fascia di base alta sei centimetri e mezzo, che assecondava la modanatura delle parti originali della cornice, aggiunta nel corso del restauro del 1958 diretto da Ugo Procacci. È significativo che lo studioso sottolineasse allora il fatto che tale inserto fosse chiaramente distinguibile, cosa che al contrario non rispondeva più a verità ai giorni nostri.4 Anzi, la fascia di base faceva ormai un tutt’uno sul piano visivo con il polittico, finendo per incrementare la percezione di un’ampia porzione neutra di colore marrone chiaro. Devo dire che le motivazioni che condussero all’aggiunta di questa base non sono apparse così convincenti al riesame odierno, anche ad uno specialista del settore quale Roberto Buda; tuttavia essa si giustifica ancora oggi per la stabilità che conferisce alla struttura originale del complesso, sensibilmente imbarcata nella parte inferiore al centro. Nel marzo del 2000 furono eseguite sull’opera indagini radiografiche e riflettografiche da parte dei tecnici

angelo tartuferi 14

moved; depicting four ‘sculptural’ heads of seraphim (in the central panels and two wings in the external ones) they had been added immediately after the mid-15th century with the evident aim of giving the polyptych a more uniform appearance, in keeping with Renaissance tastes. Procacci attributed them to the Florentine painter Jacopo d’Antonio, who was explicitly mentioned in documents related to the work, but based on style they have now been credited to Francesco Pesellino.2 I am still convinced that it was appropriate to remove these additions, a decision made at the time by the Higher Council of the Fine Arts, because the restoration of the solemn architectural rhythm—so extraordinarily similar to that of Arnolfo di Cambio’s side façade of the church of Santa Croce in Florence—seems to support and exalt the “statuary solemnity of each figure, the sense of blockage of an elementary stereometry”.3 Even before the work arrived at the Uffizi towards the end of 2006, I had long been aware that the pictorial surface as well as the frame and stepped base of this undeniable archetype of 14th-century polyptychs had darkened. The latter parts looked ‘sanded’, making accurate perception of the structure and colours impossible. The important recovery of the chromatic values of the frame, which we will discuss ahead, thus made it necessary to distinguish clearly and unequivocally between the polyptych and the 6.5-centimetre-high base that followed the moulding of the original parts of the frame and was added during the 1958 restoration work directed by Procacci. It is significant that the scholar emphasized that this insert was clearly distinguishable at the time, whereas this was no longer the case when the most recent restoration work was undertaken.4 In fact, by this time the base appeared to be part of the polyptych, making this large light-brown neutral portion more noticeable. I must point out that, even to a specialist in this field such as Roberto Buda, the reasons for adding this base do not seem nearly as convincing today. That said, however, this can be justified by the fact that it stabilizes the original structure of the complex, as the lower part has become quite warped in the middle. X-radiography and reflectography had been performed on the work in March 2000 by the technical staff of the Opificio delle Pietre Dure in Florence. Above all, Mario Celesia of the Restoration Office of the Florence Superintendency conducted careful maintenance on it under the direction of Alessandro Cecchi. This work, performed when the polyptych was loaned to the Giotto exhibition I curated at the Galleria dell’Accademia in Florence, involved eliminating some of the old and dete-

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il restauro del polittico di badia–––the restoration of the badia polyptych

dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e, soprattutto, essa fu oggetto di un accurato intervento di manutenzione da parte di Mario Celesia dell’Ufficio restauri della Soprintendenza di Firenze, condotto con la direzione di Alessandro Cecchi. Tale intervento, eseguito in occasione del prestito del polittico alla mostra giottesca svoltasi alla Galleria dell’Accademia di Firenze a cura di chi scrive, consistette nell’eliminazione di alcuni vecchi restauri alterati che ormai causavano gravi disturbi nella lettura dell’opera, nonché nella nuova verniciatura dell’insieme. Grande rilievo ha assunto nell’odierno intervento di restauro condotto da Stefano Scarpelli (coadiuvato da Lucia Chiocciora, Elisabetta Grilli, Miho Bokuda) la convinzione di poter “utilizzare” e valorizzare al meglio i resti, ridottissimi per dimensioni ma assai diffusi qua e là, della doratura e della colorazione originale dell’incorniciatura, tutta giocata, quest’ultima, sull’alternanza del rosso e del blu. Un’identica alternanza cromatica si ripete nelle iscrizioni dei santi, benissimo conservate ed originali quelle su fondo azzurro del San Giovanni e di San Pietro, come rilevato da Procacci,5 ma anche nei capitelli e nella decorazione interna dei motivi trilobati inseriti ai lati delle cuspidi. Tuttavia, è soprattutto grazie al ripristino di questa alternanza cromatica nei pilastri divisori del polittico e nelle modanature alla base degli scomparti se l’opera nel suo complesso ha potuto recuperare in parte l’originaria valenza cromatico-volumetrica e, nel contempo, strutturale. Questo dato fondamentale del presente intervento conservativo contribuisce in maniera determinante all’aspetto sensibilmente diverso del polittico rispetto a quello precedente, aspetto che a nostro avviso può essere ritenuto assai verosimilmente più vicino a quello originale. Risultati straordinariamente soddisfacenti, che oltretutto ritengo di poter considerare anche inattesi, sia quantitativamente che per qualità, sono stati ottenuti a mio avviso dalla sorvegliatissima pulitura dei sacri personaggi, operata da Scarpelli con comprovata perizia. Prima di esaminarli in dettaglio, occorre tuttavia accennare anche alle indagini conoscitive che naturalmente hanno fornito l’irrinunciabile supporto scientifico per un intervento di grande complessità e certamente non privo di preoccupanti punti critici. Dalle riflettografie è emerso un sottodisegno conciso e rapido, ottenuto con un pennello sottile, che delinea tuttavia in maniera precisa le figure, assai ben confrontabile con quello che è stato riscontrato nelle altre opere più antiche del maestro, dal frammento di Borgo San Lorenzo alla Croce di Santa Maria Novella e nella Maestà di San Giorgio alla Costa. Si tratta, com’è stato già opportunamente sottolineato, di tracce grafiche che hanno soprattutto lo scopo di definire gli spazi che saranno occupati

riorated restoration work, which at that point seriously impaired the legibility of the work, and then revarnishing the complex. During the most recent restoration Scarpelli, who was assisted by Lucia Chiocciora, Elisabetta Grilli and Miho Bokuda, became utterly convinced that it would be possible to ‘use’ and fully valorize what remained of the gilding and the original colouring of the frame, alternating red and blue. Though extremely limited, these remains can nevertheless be found on the entire work. The same chromatic alternation is repeated in the inscriptions of the saints—as Procacci noted,5 those on the blue ground for St John and St Peter are original and extremely well preserved—as well as the capitals and the internal decorations of the trefoil motifs inserted along the sides of the gables. Nevertheless, it is above all thanks to restoration of the alternation of colours in the pilasters dividing the polyptych and in the moulding under the panels that the work as a whole has recovered part of its original chromatic-volumetric and structural values. This fundamental aspect of today’s conservative restoration has contributed decisively to the significantly different appearance of the polyptych, which we think is probably much closer to how it must originally have looked. In my opinion, Scarpelli’s expert and extremely careful cleaning of the sacred figures has yielded extraordinarily satisfying results that have surprised us in terms of both quantity and quality. Nevertheless, before examining them in detail we should also discuss the studies that were conducted, which naturally provided key scientific support for such a complex operation fraught with critical challenges. The reflectograms revealed a concise underdrawing. Though executed rapidly with a fine brush, it nevertheless delineates the figures accurately and closely parallels those found in the master’s earlier works, from the fragment of Borgo San Lorenzo to the Crucifix of Santa Ma­ria No­vel­la and the Madonna of San Gior­ gio alla Co­sta. As has already been noted elsewhere, the main purpose of the underdrawing was to define the spaces that would be occupied by the outlines of the figures, the outer margins of which may also have been traced with patrones, a practice used for mural paintings.6 These investigations also revealed the presence of fine incising, likewise used for precisely delimiting certain parts, such as St Nicholas’ crosier and the inscriptions of the names of the saints. Furthermore, as Scar­pelli has noted in his essay, some parts show the presence of a different graphic sign that is unquestionably not incised but was not done with a thin brush



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1. Particolare delle mani di san Nicola in riflettografia IR.

1. Detail of St Nicholas’ hand in IR reflectography.

2. Particolare del volto di san Giovanni Evangelista (riflettografia IR in falso colore).

2. Detail of the face of St John the Evangelist (false colour IR imaging).

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dalle sagome dei personaggi, i cui margini esterni potevano – forse – essere tracciati anche con l’ausilio di patroni, come accadeva nella pittura murale.6 È emersa anche la presenza di sottili incisioni, impiegate anch’esse con la funzione di delimitare in maniera precisa alcune parti, ad esempio, il pastorale di san Nicola, oppure le tabelle con i nomi dei santi. Inoltre, come sottolineato opportunamente da Scarpelli nel suo intervento, si constata la presenza in alcune parti di un diverso segno grafico – che certamente non è inciso e neppure ottenuto con un pennello più o meno sottile –, un segno finissimo, discontinuo e di non facile lettura, e tuttavia, a nostro parere, inequivocabile, che sembrerebbe avere un carattere più spiccatamente disegnativo. Esso si rileva nella riflettografia IR, ad esempio, nelle mani di san Nicola (fig. 1) e nella bocca di san Giovanni. Nell’elemento centrale del polittico, si è potuto constatare un notevole cambiamento nell’impostazione originale della mano sinistra della Madonna che sostiene il Bambino, immaginata in un primo momento molto più allungata e visibile rispetto alla versione definitiva, dove appare stupendamente scorciata. Dalle indagini riflettografiche è emersa inoltre in maniera assai evidente la conferma del procedimento largamente adottato da Giotto anche negli affreschi di Assisi, riguardo all’impiego della stesura del verde di base alla stregua di un colore, per definire il modellato e il chiaroscuro delle figure (fig. 2). In tal modo, l’impiego del “verdaccio” sembra collocarsi in una fase intermedia tra la definizione degli strati preparatori e la stesura del colore, semmai con un certo sbilanciamento in favore di quest’ultima. Sull’opera sono state effettuate inoltre le riflettografie in falso colore, le radiografie e l’indagine stratigrafica, a cura di alcuni istituti altamente specializzati (IFAC-CNR; ICVBC-CNR; Università di Torino; Culturanuova; PanArt). Una novità in questo campo è costituita da una metodologia d’indagine svolta a cura del National Institute of Information and Communications Technology (NICT) di Tokyo, applicata per la prima volta nello studio di un dipinto su tavola proprio in occasione di questo restauro. Si tratta di una tecnica d’immagine nella regione dei Terahertz (intorno a 1,2 THz), che permette di ottenere una sequenza stratigrafica dei materiali costituenti l’opera in maniera non invasiva e senza alcun contatto con la superficie pittorica.7 Gli esiti del restauro descritti ed analizzati nel presente volume, soprattutto in termini di nuova leggibilità, appaiono come detto davvero soddisfacenti, ben oltre di quanto fosse lecito sperare, viste le cattive condizioni di conservazione in cui l’opera è giunta fino ai giorni nostri, come fu chiaramente illustrato a suo tempo dal Procacci.8 In un contesto di generale consunzione occorre segnalare quelli

either. It is an extremely fine and unmistakable discontinuous element that is difficult to interpret, but seems to have served the purpose of draughtsmanship. For example, IR reflectography shows it on St Nicholas’ hands (fig. 1) and St John’s mouth. In the central panel of the polyptych a significant change was made with respect to the original layout of the Virgin’s left hand sustaining the Child, initially conceived as longer and more evident with respect to the definitive version, in which it is marvellously foreshortened. The reflectograms also clearly confirmed the process that Giotto also used extensively in the Assisi frescoes: the application of green underpainting as a colour to define the modelling and chiaroscuro of the figures (fig. 2). The use of verdaccio seems to mark an intermediate phase between completion of the preparatory layers and the application of colour, but was probably closer to the latter. False-colour reflectography, radiography and stratigraphic investigation were also performed on the work by highly specialized institutes (IFAC-CNR; ICVBCCNR; University of Turin; Culturanuova; PanArt). The method used by the National Institute of Information and Communications Technology (NICT) of Tokyo is unprecedented in the field of restoration and this was the first time it was employed to study a painting on wood. It is a non-invasive imaging technique in the Terahertz region (around 1.2 THz) that, without any contact with the pictorial surface, yields a stratigraphic sequence of the materials constituting the work.7 The outcome of the restoration described and analysed in this book, above all in terms of renewed legibility, is exceptional and far exceeds even our wildest expectations given the work’s poor state of preservation, as clearly illustrated by Procacci in his own day.8 Despite the overall deterioration of the work, it is important to note that several key elements have added a great deal to our knowledge about the polyptych, thereby improving our critical appreciation of this masterpiece. These additional elements clearly emerge in Antonio Quat­ trone’s copious photographic documentation, which proved to be essential for an operation as delicate as this one. I am convinced that the concept of new legibility, already discussed here, is what underpins Scarpelli’s intervention, which I supervised, and it also represents its most significant outcome. This new legibility can be noted in some of the marvellous details I will attempt to illustrate here, highlighting their extraordinary significance in the exceptional and uninterrupted stylistic and cultural development that informs every aspect of Giotto’s activity. The path of the supreme Florentine



che a nostro avviso possono ritenersi autentici accrescimenti nella conoscenza del polittico, che ne consentono sul piano critico un rinnovato e migliore apprezzamento. Tali accrescimenti sono attestati in maniera inequivocabile dal confronto puntuale conducibile sulla base della copiosa documentazione fotografica eseguita ad opera di Antonio Quattrone, che risulta particolarmente indispensabile per un intervento delicatissimo come questo. Il concetto di nuova leggibilità, sul quale abbiamo indugiato più di una volta, è a nostro avviso la ragione fondamentale alla base del restauro eseguito da Scarpelli con la direzione dello scrivente e, nello stesso tempo, il suo risultato più importante. Questa nuova possibilità di lettura è concretamente verificabile in alcuni dettagli stupendi che qui di seguito si cercherà d’illustrare, sottolineandone sin da ora la valenza straordinaria nell’ambito del fantastico, ininterrotto processo di evoluzione stilistico-culturale che informa ogni momento dell’attività di Giotto. Un percorso, quello del sommo pittore fiorentino, che suscita ancora oggi l’ammirazione in primis degli storici dell’arte disposti a coglierne le svolte in termini di cultura e di linguaggio stilistico sulla base del metodo filologico, la cui validità e forza nell’ambito delle ricerche di storia dell’arte sono ora riassunte limpidamente da uno dei massimi interpreti dei nostri tempi.9 Nell’elemento centrale del Polittico di Badia, la testa del Bambino che si protende vivacissimo verso la Madre ha recuperato in maniera insperata i valori plastico-luministici superstiti. Il raffronto con l’aspetto impastato e indefinito in cui si presentava prima del restauro, credo risulterà davvero stupefacente per molti (figg. 3-4). Non meno entusiasmante si è rivelato, poi, il dettaglio assolutamente inedito della mano destra del Bambino che “entra” dentro lo scollo della veste della Madonna – prima essa appariva più semplicemente appoggiata – e la tira a sé, provocandone l’increspatura che le pieghe dipinte da Giotto restituiscono in maniera stupendamente naturalistica (figg. 5-6). Si tratta, in pratica, di un’ulteriore, mirabile prova della straordinaria visione “in presa diretta” che Giotto di Bondone andava proponendo nell’ultimo decennio del Duecento, dalle Storie di Isacco di Assisi e dalla Madonna di Borgo San Lorenzo in avanti. Anche il volto bellissimo della Vergine Maria, che pure è insieme a quello del san Giovanni il più consumato e pittoricamente avvilito del polittico, restituisce adesso senza alcun dubbio una migliore parvenza della sublime realizzazione originaria. Considerazioni simili valgono anche per la figura di san Pietro – ai miei occhi la più bella raffigurazione del santo di tutta la storia dell’arte italiana, poiché lascia intendere come in nessun’altra interpretazione il peso della responsabilità schiacciante che grava sulle sue spalle –, nella quale

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painter is still admired today by those art historians who have taken a philological approach in order to grasp Giotto’s groundbreaking cultural and stylistic development; the validity and strength of this approach have lucidly been summarized by one of the leading scholars of our era.9 In the central element of the Badia Polyptych the Child, whose head is outstretched towards his mother with exceptional liveliness, has regained its plastic and luminist values far better than anyone dared to hope. I am convinced that most people will be astonished by the comparison between the work as it is today and its blurry and indefinite appearance before it was restored (figs. 3–4). Equally extraordinary is the revolutionary detail of Jesus’ right hand grabbing at the neck of his mother’s robe—prior to restoration it merely looked like it was resting on it—to tug her towards him and wrinkling the fabric, which Giotto rendered with marvellous realism (figs. 5–6). This detail provides remarkable proof of the extraordinary ‘living’ vision that Giotto began to propose in the last decade of the 13th century, starting with the Stories of Isaac in Assisi and the Madonna of Borgo San Lorenzo. The beautiful countenance of the Virgin, which along with that of St John shows the most pictorial deterioration of the entire polyptych, now unquestionably provides a better idea of the sublime original rendering. Similar considerations can be made for St Peter—in my mind the finest representation of the saint in the history of Italian art, as it conveys his crushing burdens far more eloquently than any other work—because we can now see the astonishingly refined rendering of the figure’s hair and beard (fig. 7). Such refinement can now also be observed in the same details as well as the robes (fig. 8) of St Nicholas on the left extremity of the polyptych—the figure seems to take up some of the elements that can be noted in the eponymous chapel in the Lower Church of San Francesco in Assisi10—and St Benedict, on the opposite end, who instead looks as if he has just emerged from one of the last scenes of the Franciscan Legend in the Upper Church. The fascinating and heavily damaged figure of St John the Evangelist has now come alive with his marvellous robes and, above all, his magnificent iridescent pink mantle (fig. 9). Today it is much easier to be enchanted as we patiently peruse the decorative richness of St Nicholas’ dalmatic and mitre. These astonishing new elements, which I think qualify as authentic and objective additions to our knowledge about this work and Giotto’s activity in general, call for the utmost realism on the part of the art historian and, above all, the re-

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3. Particolare della testa del Bambino, prima del restauro.

3. Detail of the Child’s head before restoration.

4. Particolare della testa del Bambino, dopo il restauro.

4. Detail of the Child’s head after restoration.

5. Particolare della mano destra del Bambino, prima del restauro.

5. Detail of the Child’s right hand before restoration.

6. Particolare della mano destra del Bambino, dopo il restauro.

6. Detail of the Child’s right hand after restoration.



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ora si può finalmente godere della prodigiosa raffinatezza con cui sono rese la barba e la capigliatura (fig. 7). La stessa raffinatezza si riscontra adesso nelle parti analoghe del san Nicola all’estremità sinistra del polittico (fig. 8) – che sembra preso in prestito da alcune parti dell’omonima cappella della chiesa inferiore di San Francesco in Assisi10 – e di san Benedetto nella parte opposta, che invece sembra appena arrivato da una delle ultime scene della Leggenda francescana della chiesa superiore. L’affascinante e disastratissimo San Giovanni Evangelista vive per noi oggi soprattutto per le bellissime vesti in cui è ammantato, e soprattutto per il mantello di uno stupendo rosa cangiante (fig. 9). Adesso è più facile restare incantati per davvero a scrutare con pazienza la ricchezza esornativa della dalmatica e della mitria di san Nicola. Queste stupefacenti novità, che a nostro parere si qualificano come autentici, oggettivi accrescimenti nella conoscenza di quest’opera e, più in generale, dell’attività di Giotto, hanno imposto in misura ancora maggiore, se possibile, allo storico dell’arte e soprattutto al restauratore di non barare. Le parti che si sapevano praticamente distrutte sono state confermate dal restauro odierno, e tali sono rimaste.

storer. In fact, the restoration work confirmed our suspicions that certain parts were damaged beyond repair and they were thus left in that condition. I think that one of the most significant aspects of Scarpelli’s work is that he did everything possible to respect the fascinating formal balance that is part of all true masterpieces, regardless of their period, and this holds true for Giotto’s polyptych. This was also a targeted restoration, in the sense that for some of the parts, such as the decorations and the tondi of the gables, we decided to intervene minimally—if at all— because it was evident that the potential ‘results’ would have made very little difference. The moulding on the upper part of the individual panels was made by carving the only piece of wood that was added, whereas the rest of the moulding was made by hollowing out the central part of the thick support, using a typical 13th-century technique. The external moulding and the pilasters dividing the panels were made by adding fillets. The restoration enhanced the charming beauty of the decorations of the haloes, incised freehand and likewise typical of 13th-century taste (fig. 10).

7. Particolare del volto di san Pietro, dopo il restauro.

7. Detail of St Peter’s face after restoration.

8. Particolare del volto di san Nicola, dopo il restauro.

8. Detail of St Nicholas’ face after restoration.

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Uno degli aspetti più qualificanti dell’intervento eseguito da Stefano Scarpelli mi sembra consistere proprio nell’aver ripreso e assecondato – nella maniera migliore per quanto era concesso – l’affascinante equilibrio formale che è insito in ogni vero capolavoro di qualsivoglia epoca, incluso quello cui siamo di fronte. Si è trattato anche di un restauro mirato, nel senso che in alcune parti – ad esempio nelle decorazioni e nei tondi delle cuspidi – si è ritenuto di dover intervenire in misura scarsissima e quasi nulla, poiché era evidente che anche i “risultati” ottenibili sarebbero stati di analoga entità. Le modanature della parte superiore dei singoli scomparti sono ottenute per intaglio dell’unica porzione lignea aggiunta, mentre tutte le altre nella parte più interna sono incavate direttamente nella spessa tavola di supporto, secondo una tecnica prettamente duecentesca. Le modanature esterne e i pilastri divisori sono costituiti da listelli aggiunti. Il restauro ha esaltato nella loro affascinante bellezza anche le decorazioni incise a mano libera delle aureole, anch’esse di gusto tipicamente duecentesco (fig. 10). I risultati confortanti del restauro avvalorano inoltre in maniera ulteriore il carattere profondamente innovativo del polittico sul piano della tipologia morfologica e della 10. Particolare delle modanature nella parte superiore dello scomparto con San Giovanni Evangelista. 10. Detail of the moulding of the upper section of the panel with St John the Evangelist.

9. Particolare delle vesti di san Giovanni, dopo il restauro. 9. Detail of St John’s gowns after restoration.

The reassuring results of the restoration have further corroborated the profoundly innovative character of the polyptych in terms of morphology and carpentry, as scholars have duly noted. In particular, one of the innovations that paved the way for the host of polyptychs that would be set on the altars of Italian churches during the 14th century is that the work was made by joining five vertical rather than horizontal boards, as was the case for 13th-century dossals and frontals.11 It is likely that the frame was topped by short spires set between the gables, which may have been decorated with rather simple carved plant elements. What is now evident in terms of style is the full significance of the ties with the last stories of the Franciscan Legend in the Upper Church in Assisi and even more so with the decoration of the Chapel of San Nicola, commissioned by the Orsini family at the end of the right transept of the Lower Church. In this chapel, the triptych painted over the tomb of Gian Gaetano Orsini (fig. 11) shows close connections with the Florentine polyptych. After the recent re-examination of the decoration of the chapel, presumably completed when Cardinal Napoleone Orsini was legate to Umbria, i.e.



carpenteria, sottolineato opportunamente dalla critica. In particolare, una novità che apre la strada alla miriade di polittici che nel corso del Trecento saranno posti sugli altari delle chiese italiane è costituita dal fatto che l’opera è composta dalla giunzione di cinque tavole verticali, e non con assi orizzontali come accadeva nei dossali, o paliotti, del xiii secolo.11 La cornice era verosimilmente completata da pinnacoli non troppo slanciati e intervallati alle cuspidi, che erano arricchite forse da elementi vegetali intagliati, anch’essi di foggia piuttosto semplice. Sul piano dello stile, appaiono oggi in tutta la loro decisiva pregnanza i legami con le ultime storie della Leggenda francescana della basilica superiore di Assisi e, in misura maggiore, con la decorazione della cappella di San Nicola, di patronato Orsini, in fondo al transetto destro della basilica inferiore, dove il trittico dipinto sopra la tomba di Gian Gaetano Orsini (fig. 11) si pone in rapporto assai stretto con il polittico fiorentino; quest’ultimo dovrebbe collocarsi plausibilmente in un certo anticipo sull’affresco umbro, presumibilmente databile, alla luce del recente riesame della decorazione, in coincidenza con la legazione del cardinale Napoleone Orsini in Umbria, vale a dire nel 1300-1301.12 Queste ultime notazioni contribuiscono ad avvalorare una delle mie prime impressioni dopo il restauro, secondo cui la datazione dell’opera sia da anticipare di qualche tempo. Nell’intestazione della scheda nel catalogo della mostra fiorentina del 2000 indicavo come collocazione cronologica del polittico «1300 circa»; ora credo debba essere sostituita con quella al 1295-1300, a mio avviso più plausibile, come ho già indicato nella scheda del catalogo della mostra giottesca del 2009 a Roma.13 D’altra parte, nel testo della scheda suddetta già indicavo alcuni raffronti che, come vedremo più avanti, contribuivano a restringere l’esecuzione dell’opera entro l’ultimo scorcio del Duecento. Il ruolo-chiave del Polittico di Badia nello svolgimento del linguaggio giottesco, già ben rimarcato in passato quantomeno da una parte della critica, s’impone oggi in maniera davvero conclamata, richiamando alla mente anche la lapidaria – e soprattutto veritiera – affermazione di Ugo Procacci: «Siamo senza alcun dubbio davanti al capolavoro; e il capolavoro, per quanto gravi possano essere le ingiurie del tempo, non muore».14 Tuttavia, la fortuna dell’opera ebbe com’è noto un avvio precocissimo, testimoniato dalle derivazioni assai puntuali nella composizione della Madonna col Bambino di ignoto artista duccesco affine a Ugolino di Nerio, elemento centrale del trittico già nella chiesa di Santa Maria a Bagnano, ora nel Museo d’Arte Sacra di Certaldo, oppure nell’arcana Madonna col Bambino (inv. 2000.35) del Maestro della Santa Cecilia oggi presso il Getty Center

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in 1300–1, it seems possible to speculate that the Florentine polyptych predates the Umbrian fresco.12 The latter observations help corroborated one of my first impressions after the polyptych was restored: that the work was executed earlier than previously thought. In the heading of the catalogue entry for the exhibition held in Florence in 2000 I listed the date of the polyptych as “c. 1300”, but now I think that 1295–1300 is more plausible, as I later indicated in the catalogue entry for the Giotto exhibition staged in Rome in 2009.13 Indeed, in the text for this entry I drew several comparisons that, as we will see, helped narrow the time line for this work to the end of the 13th century. The key role of the Badia Polyptych in the development of Giotto’s language, already noted in the past by several scholars, now emerges more clearly than ever, calling to mind Procacci’s pithy, correct assertion: “We are unquestionably looking at a masterpiece and, as serious as the ravages of time may be, a masterpiece never dies.”14

11. Bottega di Giotto, Madonna col Bambino tra i santi Nicola e Francesco, particolare. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Nicola. 11. Giotto’s workshop, Madonna and Child with Saints Nicholas and Francis, detail. Assisi, Lower Church of San Francesco, Chapel of San Nicola.

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12. Maestro della Santa Cecilia, San Pietro (?). Firenze, basilica di Santa Maria Novella.

12. Master of St Cecilia, St Peter (?). Florence, Basilica of Santa Maria Novella.

13. Particolare di san Benedetto.

13. Detail of St Benedict.

a Los Angeles.15 La relativa precocità del polittico è indicata inoltre anche dalla bellissima decorazione delle aureole, esaltate anch’esse dalla pulitura, eseguite perlopiù a mano libera, per le quali si rimanda al saggio di Andrea De Marchi qui pubblicato. L’impatto del polittico sulla pittura fiorentina trecentesca fu notevolissimo, e tuttavia tra i riflessi possibili voglio riproporre per primo quello già da me indicato nel catalogo della mostra fiorentina del 2000, vale a dire il rapporto ineludibile con le austere figure di apostoli affrescate entro edicole trilobate (fig. 12) nell’altissimo sottarco tra la quinta e la sesta campata della navata centrale della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, giustamente riconosciute già da tempo al Maestro della Santa Cecilia.16 Come ho già rimarcato, l’importanza di queste testimonianze del giottismo più antico nel centro di Firenze risiede nel fatto che i person-

As we know, the polyptych was almost instantly successful, as witnessed by the fact that there are several similarities between its composition and the Madonna and Child in the central panel of the triptych from the church of Santa Maria in Bagnano and now at the Museo d’Arte Sacra in Certaldo, by an anonymous Duccesque artist close to Ugolino di Nerio; another example is the arcane Madonna and Child (inv. 2000.35) by the Master of St Cecilia, now at The Getty Center in Los Angeles.15 The relatively early date of the polyptych is also indicated by the marvellous decoration of the haloes, likewise enhanced by cleaning, that were incised chiefly freehand and are discussed in Andrea De Marchi’s essay published here. The polyptych had an enormous influence on 14th-century Florentine painting, but among



aggi raffigurati sono alloggiati entro edicole archiacute che presentano il motivo decorativo a tre punte che compare pressoché nella medesima posizione nelle tavole del Polittico di Badia (fig. 13). Questa parte della basilica fu edificata intorno al 1298 e, con ogni probabilità, decorata subito dopo; appare evidente dunque la rilevanza sul piano cronologico di questa desunzione, ad opera – è opportuno rimarcare anche ciò – del primo “vero” seguace di Giotto, in questi anni cruciali tra Firenze, Roma e Assisi. La concezione dell’impianto strutturale e compositivo del Polittico di Badia è alla base delle innumerevoli realizzazioni successive, dapprima in ambito fiorentino e toscano e poi su scala nazionale. In area fiorentina e nell’ambito stesso della bottega giottesca, un’ulteriore elaborazione del tema è costituita dal polittico dipinto per l’altare principale dell’antica cattedrale fiorentina di Santa Reparata, databile forse intorno o poco oltre il 1310, seppure il giudizio critico sull’opera sia fortemente condizionato dalle pesanti manomissioni e dai restauri antichi e moderni. Ho già sottolineato, inoltre, il fatto che nella faccia anteriore si coglie ancora distintamente la discendenza diretta dal fondamentale Polittico di Badia, in modo particolare nel bellissimo articolarsi delle figure nello spazio, attraverso una serie assai nutrita di suggerimenti spaziali, piccoli e grandi, che l’occhio dell’osservatore deve avere la pazienza di verificare uno ad uno per giungere infine al risultato complessivo, contraddistinto da stupenda naturalezza. Tuttavia, rispetto all’ineguagliabile timbro primigenio e fondante che promana dal Polittico di Badia, l’altare di Santa Reparata si dichiara subito quale forte preannunzio della fase gotica fiorentina del secondo decennio del secolo. E tale passaggio è riassunto in maniera emblematica se si confrontano le figure assai analoghe del San Nicola all’estremità sinistra del Polittico di Badia con il San Miniato a destra della Vergine nel polittico qui discusso. Occorre dire, tuttavia, che la pulitura del polittico degli Uffizi rende ora assai più vicini questi due esemplari-chiave della produzione giottesca fiorentina, soprattutto dal punto di vista della gamma cromatica. Come rilevato ora dal Boskovits, è probabile che il polittico di Santa Reparata sia preceduto nella cronologia giottesca da quello conservato oggi nel North Carolina Museum of Art a Raleigh, che appare in effetti ancora sensibilmente legato al linguaggio della Cappella degli Scrovegni a Padova.17 Ma il Polittico di Badia restaurato vale anche, a mio modo di vedere, per mitigare «quella vertiginosa scalata di sesto grado superiore che da Assisi porta alla Cappella dell’Arena»,18 certo all’unisono con il fondamentale soggiorno riminese che dovette collocarsi senza dubbio a ridosso della sua esecuzione e, quasi, senza soluzione di continuità, come vedremo soprattutto alla luce dell’analisi tecnico-stilistica.19

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its possible impacts I would first like to propose what I already mentioned in the catalogue for the exhibition held in Florence in 2000 and, that is, the unmistakable relationship with the austere figures of the Apostles frescoed in trefoil shrines in the extremely tall intrados between the fifth and six bays of the nave of the Florentine church of Santa Maria Novella, which has long—and rightly—been attributed to the Master of St Cecilia.16 As I have already observed, these witnesses of the earliest influence of Giotto in the centre of Florence are significant because of the fact that the portrayed figures are set in ogival shrines presenting the three-point decorative motif (fig. 12) that appears in essentially the same position in the panels of the Badia Polyptych (fig. 13). This part of the basilica was built around 1298 and was probably decorated immediately thereafter. Thus, in these crucial years between Florence, Rome and Assisi, the chronological relevance of this derivation by the first ‘true’ follower of Giotto—another important aspect—is obvious. The conception of the structural and compositional layout of the Badia Polyptych underpins the countless works that were subsequently executed, first in Florentine and Tuscan circles, and then throughout the peninsula. In Florence and the milieu of Giotto’s own workshop, this theme was further developed in the polyptych painted for the high altar of the ancient Florentine cathedral of Santa Reparata, datable around 1310 or slightly later. However, critical judgement of the work is heavily influenced by the extensive alterations that were made as well as ancient and modern restorations. I have already pointed out that the front clearly shows it was directly inspired by the Badia Polyptych, particularly in the spectacular spatial organization of the figures, with a rich array of elements, small and large, that impart a sense of space and must be observed patiently one by one, converging to create an impression of extraordinary naturalness. Nevertheless, with respect to the unrivalled primitive and fundamental timbre that emanates from the Badia Polyptych, the altarpiece at Santa Reparata immediately asserts its role as the powerful prelude to the Florentine Gothic phase of the second decade of the century. A comparison of the rather similar figures of St Nicholas at the left end of the Badia Polyptych and St Minias, to the right of the Virgin in the Santa Reparata Polyptych, encapsulates this transition. Nevertheless, it is important to point out that the cleaning of the Uffizi polyptych has now revealed the close parallels between these two key examples of Giotto’s Florentine production, particularly in terms of their colour range. As Boskovits has recently noted, in the chronology of Giotto’s works the polyptych at Santa Reparata was proba-

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14. Particolare del volto della Madonna, dopo il restauro.

14. Detail of the Virgin’s face after restoration.

15. Particolare del volto di san Giovanni Evangelista, dopo il restauro.

15. Detail of St John the Evangelist’s face after restoration.

Il confronto ravvicinato fra i volti della Madonna (fig. 14) e del san Giovanni Evangelista (fig. 15) del Polittico di Badia e il volto sublime – e deperitissimo – del Crocifisso (fig. 16) del Tempio Malatestiano di Rimini chiarisce infatti in maniera stupefacente non soltanto la perfetta identità del momento stilistico, ma persino l’analogia assoluta delle modalità della stesura pittorica, portate in luce drammaticamente dalla fortissima consumazione della superficie dipinta. Nel contempo, appaiono ancor più pregnanti e conclusivi, se possibile, i confronti oramai “classici” fra le cinque figure di santi nei quadrilobi degli sguanci delle finestre della cappella Orsini (fig. 17), già riconosciuti inoppugnabilmente a Giotto in persona dal Bonsanti, e i personaggi del polittico fiorentino.20 Con tutte le cautele e le incertezze oggettive del caso, si può immaginare lo svolgersi del percorso di Giotto in questi

bly preceded by the one now at the North Carolina Museum of Art in Raleigh, which still shows significant ties to the language of the Scrovegni Chapel in Padua.17 Nevertheless, in my opinion the restored Badia Polyptych also mitigates “the staggering ascent to the highest levels, going from Assisi to the Arena Chapel”,18 naturally in unison with the artist’s fundamental period in Rimini, where he must have gone immediately after, as we will see above all thanks to technical-stylistic analysis.19 A close comparison between the faces of the Virgin (fig. 14) and of St John the Evangelist (fig. 15) in the Badia Polyptych and the sublime—albeit severely deteriorated—countenance of the Crucifix (fig. 16) at the Tempio Malatestiano in Rimini marvellously clarifies not only the perfect stylistic overlap, but also similarities in the painting technique, dramatically revealed by the exten-



16. Giotto, Crocifisso dipinto, particolare del volto. Rimini, Tempio Malatestiano. 16. Giotto, Painted Crucifix, detail of Christ’s face. Rimini, Tempio Malatestiano.

anni di svolta cruciale, che tuttavia non può non ammettere singole ipotesi alternative. Il pittore dovrebbe essersi recato a Roma in occasione dei lavori avviati da Bonifacio VIII in preparazione del giubileo del 1300, ed avervi eseguito il celebre mosaico della Navicella intorno al 1298, secondo quanto affermato anche dal Torrigio, sebbene l’esistenza di questo soggiorno romano di Giotto alla fine del Duecento sia recisamente negata da altri studiosi.21 Non sussiste, in ogni caso, alcun fondamento stilistico-culturale per riferire all’artista fiorentino gli affreschi superstiti della cappella di San Pasquale Baylòn nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma, opera di un nobile artista romano fra Torriti e Cavallini.22 Rientrato a Firenze, Giotto avrebbe avviato l’esecuzione del polittico per l’altare maggiore della chiesa di Badia, che potrebbe collocarsi negli ultimissimi anni del xiii secolo (1298-1300) ed essere stata portata a termine in tempi piuttosto brevi, presumibilmente cinque-sei mesi,

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sive wear of the painted surface. At the same time, the now ‘classic’ comparison of the five figures of saints in the quatrefoils of the window splays of the Orsini Cha­pel (fig. 17) in the Lower Church of San Francesco in As­si­si, which Bonsanti incontrovertibly attributed to Giotto, and the figures in the Florentine polyptych becomes even more significant and conclusive.20 With all due caution, we can imagine the development of Giotto’s path at this crucial watershed, but at the same time we cannot rule out alternative hypotheses. The painter must have gone to Rome for the work commissioned by Boniface VIII in preparation for the Jubilee of 1300 and he probably completed the famous Navicella mosaic around 1298, according to Torrigio (1618), although other scholars flatly reject the possibility that Giotto was in Rome at the end of the 13th century.21 In any case, there is no stylistic or cultural reason to link the Florentine artist with the surviving frescoes of the Chapel of San Pasquale Baylòn in the church of Santa Maria in Aracoeli in Rome, the work of a noble Roman artist between Torriti and Cavallini.22 Upon his return to Florence, towards the end of the 13th century (1298–1300), Giotto would have commenced the polyptych for the high altar of the Badia church and seems to have completed it rather quickly, presumably within five or six months, as Scarpelli has now confirmed based on the way the work was executed. The great Florentine artist must then promptly have travelled to Assisi to plan, lay out and personally start the decoration of the Chapel of San Nicola at the right end of the transept of the Lower Church of San Fran­ cesco. Romano’s very recent hypothesis, which I have already mentioned, of shifting the chronology of this decoration forward slightly to the period in which Car­di­nal Na­po­leone Orsini served as legate to Umbria, i.e. 1300–1, would thus seem to fit, above all with regard to the more ‘14th-century’ tone of the decoration as a whole, as compared to the solemn and archaic language of the Florentine polyptych but not to Giotto’s autographic works, which are perfectly aligned with it in terms of style. As others have already noted, the parts painted by Giotto now look so marginal because they were the first to be painted by the great artist, who in all likelihood left the execution of the work as a whole in the hands of two loyal collaborators, the so-called Master of St Nicholas and the Expressionist Master, Pal­ me­ri­no di Guido.23 Naturally, uncertainty also reigns as to the painter’s destination after he left the work being completed in the Chapel of San Nicola. Nevertheless, I think it is possible that he returned to Florence to devote himself to the polyptych that is now at the Uffizi, given that it is exceedingly difficult to establish an indisput-

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il restauro del polittico di badia–––the restoration of the badia polyptych

come mi conferma Stefano Scarpelli in base alle modalità con cui è stata realizzata l’opera. Il grande artista fiorentino dovette recarsi subito dopo ad Assisi, per progettare ed impostare, oltreché avviare di persona, la decorazione della cappella di San Nicola nella testata destra del transetto della basilica inferiore. La recentissima proposta della Romano, cui si è fatto cenno, di ritardare lievemente la cronologia di tale decorazione agli anni della legazione umbra del cardinale Napoleone Orsini, vale a dire 13001301, sembrerebbe attagliarsi molto bene soprattutto al timbro maggiormente “trecentesco” della decorazione nel suo complesso, rispetto al linguaggio solenne e arcaico del polittico fiorentino, ma non ai brani autografi di Giotto, perfettamente allineati ad esso sul piano dello stile. Come è stato già detto da altri, le parti autografe di Giotto appaiono oggi così marginali poiché furono le prime ad essere dipinte dal grande artista, che poi lasciò con ogni probabilità l’esecuzione dell’intero lavoro nelle mani di due fedeli collaboratori, i cosiddetti Maestro di San Nicola e Maestro Espressionista, alias Palmerino di Guido.23 Naturalmente l’incertezza regna sovrana anche sulla destinazione presa dal pittore dopo aver lasciato il cantiere della cappella di San Nicola. Tuttavia bisogna ammettere, credo, che egli avrebbe anche potuto far rientro in patria proprio per mettere mano al polittico oggi conservato agli Uffizi, dal momento che risulta davvero difficile indicare in maniera indiscutibile la precedenza cronologica tra esso e i brani autografi all’interno della cappella di San Nicola, dato che, come abbiamo detto, entrambe le opere sono in perfetta sintonia stilistico-cronologica. Personalmente ritengo, tuttavia, che l’ipotesi più plausibile sia quella che vede il Polittico di Badia precedere di pochissimo i santi dei brani ad affresco assisiati, poiché quest’ultimi sembrerebbero appena pittoricamente più fusi e “moderni” rispetto ai tipi universali e “senza tempo” incarnati dai loro colleghi fiorentini. Il passo successivo viene indicato da molti in quello alla volta di Rimini, secondo alcuni ancora entro il fatidico anno 1300, come dovrebbe “provare” l’asserita derivazione dalla cimasa del Crocifisso del Tempio Malatestiano, identificata a suo tempo dallo Zeri, riscontrabile nella miniatura di Neri da Rimini conservata presso la Fondazione Cini (inv. 2030) a Venezia, firmata e datata 1300.24 Su questo punto, tuttavia, nutro da tempo una sostanziale perplessità, poiché secondo il mio modo di vedere il rapporto di derivazione diretta della miniatura dalla cimasa della croce giottesca appare tutt’altro che indiscutibile. Pertanto, ammettendo che gli affreschi della cappella di San Nicola – o, per essere più precisi, le ridotte porzioni di autografia giottesca in essi riscontrabili – siano databili indicativamente al volgere del secolo, si può collocare il fondamentale, fruttuoso soggiorno riminese

able time line regarding the Florentine polyptych versus the autographic parts in the Chapel of San Nicola, because—as we have noted—both works are perfectly attuned with it stylistically and thus from a chronological standpoint. Personally, however, I think the most tenable hypothesis is that the Badia Polyptych is just slightly earlier than the saints frescoed in Assisi, because on a pictorial level the latter look more slender and ‘modern’ with respect to the universal and ‘timeless’ types embodied by the Florentine figures. Many scholars are convinced that his next stop was Rimini, according to some by the decisive year of 1300, as supposedly ‘demonstrated’ by Zeri’s suggestion that the cimasa of the Crucifix at the Tempio Malatestiano inspired the miniature by Neri da Rimini—signed and dated 1300—that is now at the Fondazione Cini (inv. 2030).24 Nevertheless, I have long had major doubts about this, because I think the theory that the miniature was derived directly from the cimasa of Giotto’s Crucifix is by no means irrefutable. Therefore, if we accept that

17. Giotto, Santo vescovo. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Nicola. 17. Giotto, Bishop Saint. Assisi, Lower Church of San Francesco, Chapel of San Nicola.



agli albori del Trecento (1300-1302). Si è già detto della profondissima vicinanza stilistica del Crocifisso riminese – che, ripeto, a mio giudizio è il più bello fra quelli di Giotto giunti fino a noi – nei confronti del Polittico di Badia: la compostezza classica ed elegante del corpo di Gesù, costruita attraverso infiniti passaggi di delicatissime ombreggiature, che nelle prime stesure si fondono mirabilmente con la preparazione verde di base e si apprezzano ancora oggi a dispetto della drammatica consunzione della superficie pittorica, si ritrova identica nei santi del polittico. All’evidenza plastico-strutturale di timbro fortemente innovativo che caratterizza le opere più antiche, quali la Croce di Santa Maria Novella o la Madonna di San Giorgio alla Costa, nel Polittico di Badia e nella Croce di Rimini affiorano stupendamente i caratteri del primo classicismo giottesco, maturato verosimilmente anche sull’esperienza romana di fine Duecento, successiva a quella che quasi certamente dovette verificarsi negli anni della prima formazione, con ogni probabilità al seguito di Cimabue. In questa occasione occorre riaffermare, credo, l’inequivocabile appartenenza ad un diverso momento del percorso giottesco dei frammenti di affreschi superstiti della cappella maggiore della chiesa di Badia, menzionati anch’essi dal Ghiberti e dalle fonti prevasariane come opera di Giotto.

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the frescoes in the Chapel of San Nicola or, rather, the limited portions painted by Giotto were executed around the turn of the century, then we can date the artist’s fundamental and fruitful Riminese sojourn to the early 14th century (1300–2). I have already mentioned the profound stylistic proximity of the Rimini Crucifix—and it bears repeating that I think it is one of Giotto’s finest extant works—to the Badia Polyptych. The classical and elegant decorum of Jesus’ body, crafted through infinite applications of very delicate shading, which in the first layers blend marvellously with the green underpainting, can still be appreciated today despite the dramatic wear of the pictorial surface and is identical to that of the saints in the Badia Polyptych. With respect to the highly innovative sculptural and structural power that informs older works, such as the Crucifix at Santa Maria Novella and the Madonna at San Giorgio alla Costa, the Badia Polyptych and the Rimini Crucifix show the elements of Giotto’s earliest classicism, which probably also matured thanks to his stay in Rome at the end of the 13th century after the experience he must have gained in the early years of his training, almost unquestionably at Ci­ma­ bue’s workshop. Consequently, I think it is important to reassert that what remains of the frescoes in the main chapel of the Badia church, which Ghiberti and sources before Vasari also attributed to Giotto, must unequivocally pertain to a different stage in the master’s career.

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il restauro del polittico di badia–––the restoration of the badia polyptych

1 Tartuferi 2009, p. 76; Id., in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 159-160, n. 2; Il restauro del Polittico di Badia 2009. 2 Si veda A. Staderini, in Beato Angelico 2010, pp. 158-162, n. 15. I dipinti sono stati conservati dopo la rimozione nei depositi della Galleria, ma se ne prevede l’esposizione nella sala del Quattrocento fiorentino nell’ambito dell’allestimento dei Nuovi Uffizi. 3 Brandi 1983, p. 71. 4 Procacci 1962, p. 22, nota 31. 5 Ivi, p. 23, nota 33. 6 Cfr. La Madonna di San Giorgio 1995; Ciatti 2001, p. 59 e Ciatti 2009, p. 353. Si vedano inoltre ora le considerazioni sull’underdrawing giottesco di Bellucci-Frosinini 2010. 7 Si veda in proposito in questo volume il saggio di Fukunaga et al., pp. 151-175. 8 Procacci 1962, pp. 20-26. 9 Boskovits 2010, pp. 48-50 e 59-60, note 14-18. 10 Per la decorazione della cappella di San Nicola nella chiesa inferiore di San Francesco ad Assisi si veda ora l’intervento della Romano (2010), pp. 584-596. 11 De Marchi 2009, pp. 65, 69-70. 12 Romano 2010, p. 592. 13 A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 159-160, n. 2; e tale datazione è registrata e accolta, tra gli altri, dalla Romano (2010, pp. 594 e 596, nota 47). 14 Procacci 1962, p. 22. 15 Per il trittico di Certaldo, generalmente riferito almeno alla bottega di Ugolino di Nerio, si veda Caterina Proto Pisani 2001, pp. 29-30. Assai suggestiva appare l’ipotesi formulata da Aldo Galli che esso sia da riferire al fratello pittore di Ugolino, Guido di Nerio, immatricolato a Firenze nel 1327, seppure non suffragata da alcun riscontro certo, ma sostenuta dalla circostanza che la ripresa puntuale dal Polittico di Badia sembrerebbe indicare una certa familiarità con l’ambiente fiorentino, cfr. Galli 2003, p. 349. 16 Boskovits 1984, pp. 14, 132 e tavv. II-III. 17 Per il polittico di Santa Reparata e la bibliografia relativa si veda A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 162-163, n. 5; per il polittico di Raleigh si vedano Id., in L’eredità di Giotto 2008, pp. 88-90, n. 1 e A. Lenza, in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 163-164, n. 6. Sulle due opere si veda inoltre Boskovits 2010, p. 61, note 26 e 27. 18 Paolucci 2009, p. 158. 19 Per il soggiorno di Giotto a Rimini e la pittura riminese della prima metà del Trecento, con la bibliografia relativa, si rimanda a A. Volpe 2002 e 2009, pp. 165-177. 20 Bonsanti 1983. La presenza di Giotto direttamente al lavoro all’interno della cappella di San Nicola era stata tuttavia già adombrata da Boskovits (Nuovi studi 1971, p. 45). Si veda inoltre A. Volpe 2002, pp. 42-49. 21 Torrigio 1618, p. 90; cfr. Boskovits, Giotto a Roma 2000; ma si veda la tesi contraria espressa da Kessler (2009), che riferisce la Navicella ad un momento di poco successivo al trasferimento della sede papale ad Avignone. 22 Per gli affreschi dell’Aracoeli si veda Strinati 2004. L’insostenibile attribuzione a Giotto si deve alla Flores d’Arcais (2009, pp. 102-103). 23 Cfr. A. Volpe, in La Basilica di San Francesco 2002, pp. 430438; Tomei 2009, pp. 43-44. 24 Per l’ipotesi e la bibliografia relativa si veda in A. Volpe 2002, pp. 21, 24 e 67-68, note 5-6.

1 Tartuferi 2009, 76; id., in Giotto e il Trecento 2009, II, 159–60, no. 2; Il restauro del Polittico di Badia 2009. 2 See A. Staderini, in Beato Angelico a Pontassieve, Florence 2010, 158–62, n0. 15. The paintings underwent conservation work after they were removed from the storerooms of the gallery, but will be displayed in the room with 15th-century Florentine work in the Nuovi Uffizi. 3 Brandi 1983, 71. 4 Procacci 1962, 22 n. 31. 5 Ibid., 23 n. 33. 6 See La Madonna di San Giorgio 1995; Ciatti 2001, 59, and Ciatti 2009, 353. See also the recent considerations on Giotto’s underdrawing in Bellucci-Frosinini 2010. 7 In this book, see the essay by Fukunaga et al., 151–75. 8 Procacci 1962, 20–6. 9 Boskovits 2010, 48–50 and 59–60 nn. 14–8. 10 For the decoration of the Chapel of San Nicola in the Lower Church of San Francesco in Assisi, see Romano 2010, 584–96. 11 De Marchi 2009, 65, 69–70. 12 Romano 2010, 592. 13 A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, 159–60, no. 2; this dating was noted and accepted, inter alia, by Romano (2010, 594 and 596 n. 47). 14 Procacci, 1962, 22. 15 On the Certaldo triptych, generally linked at least with the workshop of Ugolino di Nerio, see Caterina Proto Pisani 2001, 29–30. Aldo Galli came up with the intriguing hypothesis that it is attributable to Ugolino’s brother, Guido di Nerio, likewise a painter registered in Florence in 1327. This theory is not corroborated by solid documentation but is supported by the fact that the work takes up the Badia Polyptych and thus points to familiarity with the Florentine milieu; see Galli 2003, 349. 16 Boskovits 1984, 14, 132 and plates 2–3. 17 On the Santa Reparata Polyptych and the relevant bibliography, see A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, 162–3, no. 5; on the Raleigh polyptych, see id., in L’eredità di Giotto 2008, 88–90, no. 1 and A. Lenza, in Giotto e il Trecento 2009, II, 163–4, no. 6. On the two works, see also Boskovits 2010, 61 nn. 26–7. 18 Paolucci 2009, 158. 19 On Giotto’s stay in Rimini and Riminese painting in the first half of the 14th century, with bibliographical references, see A. Volpe 2002 and 2009, 165–77. 20 Bonsanti 1983. Giotto’s hand in the work done in the Chapel of San Nicola was nevertheless already hinted at by Boskovits (Nuovi studi 1971, 45). See also A. Volpe 2002, 42–9. 21 Torrigio 1618, 90; see Boskovits, Giotto a Roma 2000; but see also the opposite hypothesis suggested by Kessler (2009), dating the Navicella mosaic to shortly after the papal court moved to Avignon. 22 On the Aracoeli frescoes see Strinati 2004. The untenable attribution to Giotto was posited by Flores d’Arcais (2009, 102–3). 23 See A. Volpe, in La Basilica di San Francesco 2002, 430–8; Tomei 2009, 43–4. 24 For the hypothesis and relevant bibliography, see A. Volpe 2002, 21, 24 and 67–8 nn. 5–6.

a n d r e a d e ma r c h i

Geometria e naturalezza, modulo e ritmo: un’opera fondativa alle origini del concetto illusionistico del polittico gotico

Geometry and Naturalness, Module and Rhythm: A Seminal Work in the Illusionistic Concept of the Gothic Polyptych

Nell’inventario delle pitture e sculture esistenti nella sagrestia e nella cappella del Noviziato di Santa Croce, redatto fra 1846 e 1855, dove è certificata la provenienza dalla Badia del polittico ora agli Uffizi, l’opera è riferita ad un «anonimo assai pregevole dei tempi di Giotto ma di maniera assai differente».1 È significativo che si fosse ben lungi dal riconoscervi un capolavoro dello stesso Giotto, cui invece lo riferiva senza esitazioni una fonte fededegna del Quattrocento come Lorenzo Ghiberti. Anche dopo il recupero capitale della provenienza del dipinto, da parte di Ugo Procacci, lo statuto della sua superba autografia ha stentato ad essere inteso, complicato come era dal compromesso stato di conservazione e dal problema della datazione. Nonostante già Henry Thode nel 1899 avesse attribuito il polittico a Giotto, con grande acutezza,2 tale riferimento si è affermato solo dopo l’identificazione di Procacci, divulgata fin dal 1943, ma compiutamente pubblicata solo nel 1962.3 Tra le varie posizioni degli studiosi meritano di essere segnalate quelle di Osvald Sirén,4 che coglieva un nesso stretto con gli affreschi della cappella di San Nicola ad Assisi, in fondo al transetto destro della basilica inferiore di San Francesco, e quella di Robert Oertel, che nel 1937 ascrisse il Polittico di Badia alla bottega di Giotto, e in seguito l’accettò con riserva come opera autografa, ma degli inizi dell’artista, in prossimità della stessa Croce di Santa Maria Novella.5 È bene ricordare lo stato di conservazione gravemente consunto che ostacolava il pieno apprezzamento della qualità assoluta di quest’opera. Il restauro recente, condotto dalla mano esperta di Stefano Scarpelli, ci permette di leggere meglio tanti dettagli che erano offuscati nell’intervento di Tintori-Del Serra e nelle sue alterazioni, come quello bellissimo del labbro inferiore del Bambino che gira verso l’interno, scorcio acutissimo che ancora coesiste con il profilo della gota, come nel ciclo francescano di Assisi e non più a Padova. Le incisioni finissime del fondo oro, ancora intatte, sono un sigillo dell’autografia assoluta di questo polittico. È però evidente che noi vediamo un’opera fortemente diminuita da svelature devastanti, stemperate dal restauro pittorico: le ciocche dei capelli di san Giovanni Evangelista, ad esempio, giravano sopra l’orecchio destro e ricadevano in onde decrescenti sul

In the inventory of the paintings and sculptures in the sacristy and the Chapel of the Noviziato in Santa Croce drawn up between 1846 and 1855, stating that the polyptych now at the Uffizi was from the Badia Fiorentina, it is listed as the work of an “excellent anonymous painter from the time of Giotto but with a rather different style”.1 It is significant that the compiler certainly did not recognize it as a masterpiece by Giotto, to whom it was instead unhesitatingly attributed by a reliable 15th-century source such as Lorenzo Ghiberti. Even after the crucial rediscovery of the provenance of the painting by Ugo Procacci, the status of his superb autography had difficulty gaining recognition, as it was complicated by the poor state of preservation as well as problems surrounding the dating. Despite the fact that in 1899 Henry Thode very perceptively attributed the polyptych to Giotto,2 this was confirmed only after Procacci’s identification of the work, which circulated as early as 1943 but was not published until 1962.3 Among the different positions of scholars regarding the work, several are worth mentioning: that of Osvald Sirén,4 who noted a close connection with the frescoes in the Chapel of San Nicola in Assisi, at the end of the right transept of the Lower Church of San Francesco, and that of Robert Oertel, who in 1937 ascribed the Badia Polyptych to Giotto’s workshop and later accepted the work as autographic—albeit with reservations—and dated it to the beginning of the artist’s career, around the same time as the Crucifix in Santa Maria Novella.5 It is important to recall that the work showed severe wear, making it difficult to appreciate its exceptional quality. The recent restoration, expertly completed by Stefano Scarpelli, now allows us to see the many details that were veiled by the work of Tintori-Del Serra and alterations, such as the beautiful lower lip of the Child turning inward, and the extreme foreshortening that still coexists with the outline of the cheek, which can be noted in the St Francis cycle in Assisi but was gone by the time the Paduan frescoes were painted. The extremely fine tooling—still intact—of the gold ground fully confirms the paternity of this polyptych. Nevertheless, it is evident that we are looking at a work that has been greatly diminished by the devastating removal of the glaze, which has been offset somewhat by the restoration. For example, St



collo, mentre inizialmente la capigliatura era definita da una cuffia più compatta, che ancora traspare indebitamente (fig. 1). Ci sono sottigliezze che erano affidate a finiture che si sono perse e che intuiamo, senza poterle apprezzare compiutamente. L’altro ostacolo al pieno apprezzamento del Polittico di Badia è legato invece alla sua datazione che, come argomenta anche Angelo Tartuferi in questo libro,6 va compresa in anni assai precoci, un po’ dopo il completamento del ciclo francescano di Assisi, ancora nell’ultimo lustro del Duecento. Di recente Michael Victor Schwarz7 ha sostenuto una data più tarda, addirittura verso il 1324 e in ogni caso dopo il 1310, anno in cui venne consacrato l’altar maggiore della chiesa benedettina della Badia, rifondata nel 1284, da cui l’opera proviene. Ogni datazione deve essere coerente ad una narrazione della storia di Giotto, ad un sistema dove tout se tient, e quello delineato dallo studioso austriaco è del tutto inaffidabile, a partire dall’incomprensione della paternità e della data del ciclo francescano di Assisi, minato come è dalla scarsa dimestichezza con la pratica attributiva e l’analisi stilistica, nonché dall’ignoranza dei diversi contesti affollati di pittori seguaci e contemporanei, tutti significativi per un’autentica comprensione dello svolgimento di un pittore come Giotto, al centro di un grandioso e polifonico rivolgimento linguistico. Al di là di ciò, è risaputo quanto sia rischioso collegare meccanicisticamente la consacrazione di un altare alle vicende architettoniche e decorative di una chiesa: la casistica, anche documentata, è infatti la più varia. E come in ogni buon metodo è la sinergia di più argomenti che fa la probabilità storica. Le tangenze stilistiche più parlanti, come la critica più avveduta ha da tempo additato, sono infatti quelle con gli affreschi della cappella di San Nicola nella basilica inferiore di Assisi, anche se la qualità è superiore e decisamente autografa, mentre ad Assisi l’impegno esecutivo di Giotto è assai discontinuo,8 delegato in gran parte all’umbro detto Espressionista di Santa Chiara (Palmerino di Guido?),9 probabilmente perché nel contempo il maestro era impegnato altrove, forse in San Francesco a Rimini, viste le forti analogie ideative con le opere dei giotteschi romagnoli.10 Irene Hueck aveva proposto di collocare il ciclo prima del 1297, proponendo l’identificazione di due cardinali effigiati con Giacomo e Pietro Colonna, caduti in disgrazia in quell’anno.11 Di recente Serena Romano ha giustamente rimesso in discussione quell’idea, proponendo identificazioni alternative per l’accolta cardinalizia e suggerendo un post quem al febbraio del 1297 per la raffigurazione di san Giorgio a lato di sant’Adriano, come omaggio al titolo di San Giorgio in Velabro del cardinale Jacopo Stefaneschi, cugino del committente Napoleone Orsini, cardinale di Sant’Adria-

andrea de marchi 32

John’s locks curled over his right ear and fell in waves on his neck, whereas his hair was initially defined by a more compact coif that is still highly visible (fig. 1). There are subtleties that were entrusted to finishes that have been lost and that we can sense, even though we cannot fully appreciate them. The other obstacle to full appreciation of the Badia Polyptych is instead tied to its dating and, as Angelo Tartuferi also discusses here,6 it must be assigned to a rather early period, shortly after Giotto completed the Franciscan cycle in Assisi, and thus in the last five years of the 13th century. Michael Victor Schwarz7 recently suggested a much later date, possibly as late as 1324 and, in any event, after 1310, the year in which the high altar was consecrated in the church of the Benedictine abbey, refounded in 1284, where the work was housed. The dating must nevertheless be consistent with Giotto’s biography and a system in which everything is connected, and the one delineated by the Austrian scholar is entirely unreliable, starting with his misunderstanding of the authorship and date of the Franciscan cycle in Assisi. It is further undermined by poor knowledge of attribution practices and stylistic analysis, not to mention ignorance of the varied and populous circles of coeval painters and followers, all of which fundamental to a true understanding of the development of an artist such as Giotto, who was at the centre of a marvellous and many-voiced linguistic revolution. Moreover, we know how risky the mechanistic connection between the consecration of an altar and the architectural and decorative vicissitudes of a church can be, and even documented cases show enormous variation. As is the case with any good method, it is the synergy of several arguments that gives rise to historical probability. As the most judicious scholarship has long indicated, the most eloquent stylistic parallels can be noted with the frescoes in the Chapel of San Nicola in the Lower Church in Assisi, although the quality is higher and unquestionably autographic, whereas Giotto’s involvement in executing the Assisi works is rather intermittent,8 delegated mainly to the Umbrian artist known as the Expressionist Master of St Clare (Palmerino di Guido?),9 probably because Giotto was busy elsewhere, perhaps at San Fran­cesco in Rimini given the strong ideational analogies with the works of Romagna’s Giottesque masters.10 Irene Hueck suggested dating the cycle before 1297, theorizing that the two cardinals portrayed in it can be identified as Giacomo and Pietro Colonna, who fell into disgrace that year.11 Serena Romano has recently—and rightly—questioned the idea, proposing alternative identities for the company of cardinals and suggesting a terminus post quem of February 1297 for the figure of St George next to St Hadrian, as a tribute to the title of San Giorgio in Velabro of Cardinal Jacopo Stefaneschi, the cousin of Napoleone Orsini,

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geometria e naturalezza, modulo e ritmo–––geometry and naturalness, module and rhythm

1. Particolare della testa e della veste di san Giovanni.

1. Detail of St John’s head and robe.

2. Giotto e bottega, Santo apostolo, particolare. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Nicola.

2. Giotto and workshop, Holy Apostle, detail. Assisi, Lower Church of San Francesco, Chapel of San Nicola.

no. Nondimeno una data del ciclo a ridosso di quell’anno e non più tardi mi sembra la più probabile, tenendo conto che la prima idea della cappella e della sua destinazione funeraria era comunque connessa alla drammatica morte nel 1294 del fratello del cardinale, Gian Gaetano Orsini, come aveva suggerito la Hueck.12 La possibilità di datare la Croce di Giotto di Rimini, a mio avviso con certezza, prima dell’anno giubilare, e quindi di collocare negli anni subito precedenti il 1300 l’attività riminese del maestro,13 cui si rapporta il ciclo della cappella di San Nicola, converge con tale quadro di riferimento cronologico, valido in sostanza anche per il Polittico di Badia. I panneggiamenti ampi e fascianti, con pieghe che ricadono verticali e si smussano appena per sottolineare il gonfiore dei corpi, sono gli stessi presenti nelle figure della cappella di San Nicola, pur trascritti in un’esecuzione più incerta (fig. 2). Le pieghe tubolari sul petto della Vergine hanno ancora una qualità lustra e tagliente, con il loro andamento iterato accentuano la gravità piramidata della figura: siamo decisamente a monte della tunica della Madonna di Ognissanti, marezzata in obliquo, più

cardinal of Sant’Adriano, who commissioned the work. Nevertheless, I think that dating the cycle around that year is the most likely hypothesis, also bearing in mind that the first idea for the chapel and its use as a burial site was connected with the dramatic death in 1294 of Cardinal’s brother, Gian Gaetano Orsini, as Hueck had suggested.12 Dating Giotto’s Rimini Crucifix before the Jubilee Year— and I think we can be confident about this—and thus placing the master’s Riminese work, with which the cycle in the Chapel of San Nicola can be compared, immediately before 130013 would thus dovetail with this chronological frame of reference, which essentially also holds true for the Badia Polyptych. The ample and close-fitting drapery, with folds that fall vertically and are just slightly rounded to emphasize the lines of the bodies, is identical to that of the figures in the Chapel of San Nicola, although the rendering in the latter is more hesitant (fig. 2). The tubular folds on the Virgin’s chest still have a sharp, lustrous quality, and their repetition accentuates the figure’s pyramidal gravity: this was unquestionably executed before the tunic of the Og-



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3. Particolare della testa della Madonna.

3. Detail of the Virgin’s head.

4. Giotto e bottega, Madonna col Bambino tra i santi Nicola e Francesco, particolare. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Nicola.

4. Giotto and workshop, Madonna and Child Between Saints Nicholas and Francis, detail. Assisi, Lower Church of San Francesco, Chapel of San Nicola.

tenuemente sfumata per alludere al turgore dei seni. La ricaduta del velo sul capo della Vergine, in rapporto alla trasparenza dell’orecchio destro e della cuffia dei capelli raccolti, è la stessa nella tavola di Badia (fig. 3) e nell’affresco sopra la tomba di Gian Gaetano Orsini (fig. 4), anche se in quest’ultimo la realizzazione è in gran parte dovuta alla mano del collaboratore umbro. Due angeli frontali, nei pennacchi centrali del finto trittico murale, si inseriscono nel clipeo nello stesso modo di quelli, tanto più solenni, nelle cuspidi di Badia. L’attribuzione al Maestro di Santa Cecilia di questi ultimi, non giustificata, si spiega proprio per la radice ancora nobilmente arcaica di queste figure, consunte ma sublimi, come bene intese Carlo Volpe.14 La stola spezzata a V e rigirata, come l’omophorion di san Pietro, sono soluzioni che richiamano il primo Giotto, così come le pieghe della carne grassoccia,

nissanti Madonna, veined diagonally and shaded more softly to allude to the fullness of her bosom. The way the veil is draped on the Virgin’s head, falling sheerly over her right ear and gathered hair, is the same in the Badia panel (fig. 3) and the fresco over the tomb of Gian Gaetano Orsini (fig. 4), although most of the latter was executed by Giotto’s Umbrian assistant. Two frontal angels in the central pendentives of the faux mural triptych are set in the medallions like the far more solemn ones in the cusps of the Badia work. As Carlo Volpe clearly understood, the roots—still nobly archaic—of these worn but sublime figures help explain their unjustified attribution to the Master of St Cecilia.14 The stole, split into a V and twisted around, like St Peter’s omophorion, are solutions reminiscent of Giotto’s early work, as are the folds of chubby flesh, marked like joints, on the Child’s outstretched arm.

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geometria e naturalezza, modulo e ritmo–––geometry and naturalness, module and rhythm

5. Particolare della testa di san Nicola.

5. Detail of St Nicholas’ head.

6. Giotto, San Gennaro (?), particolare della testa. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Nicola.

6. Giotto, St Januarius (?), detail of the head. Assisi, Lower Church of San Francesco, Chapel of San Nicola.

marcate come giunture, nel braccio teso del Bambino. Il San Gennaro (?) della cappella Orsini è il gemello minore del San Nicola degli Uffizi (figg. 5-6). In più santi della cappella assisiate gli sguardi appaiono gravi e pensosi, grazie al taglio spezzato delle palpebre superiori, talora peraltro con effetti un po’ caricati, ma con più intensità in alcune figure maggiormente autografe, negli sguanci delle finestre,15 che si confrontano molto bene con il San Pietro di Badia (figg. 7-8): qui la pelle sottile si imborsa sopra l’occhio e ricade in obliquo, con una notazione acuta che ne fa una delle punte di espressione psicologica più alte di tutta l’opera di Giotto e dell’intero Trecento.

The figure of St Januarius (?) in the Orsini Chapel (fig. 5) is the younger twin of the St Nicholas at the Uffizi (fig. 6). Several of the saints in the Assisi chapel have a more serious and pensive air, thanks to the broken line of the upper eyelid—in some cases with a rather exaggerated effect—but we find greater intensity in some of the most autographic figures in the window splays,15 showing close parallels with the figure of St Peter in the Badia work (figs. 7–8). In the latter, the thin skin sags over his eye and droops diagonally, in a keen note that makes this one of the loftiest examples of psychological expression of all of Giotto’s oeuvre and the entire 14th century.

Per quanto riguarda la storia della pala d’altare, il Polittico di Badia riveste una posizione rivoluzionaria del tutto analoga a quella dell’incorniciatura illusionistica del ci-

As far as the history of altarpieces is concerned, the Badia Polyptych occupies a revolutionary position comparable to the role of the illusionistic framing of the Franciscan



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7. Particolare del volto di san Pietro.

7. Detail of St Peter’s face.

8. Giotto, Santo, particolare del volto. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Nicola.

8. Giotto, Saint, detail of the face. Assisi, Lower Church of San Francesco, Chapel of San Nicola.

clo francescano di Assisi – con il finto loggiato articolato da colonne tortili e trabeazione coerentemente scorciati – nel campo della pittura murale. In entrambi i casi viene riformato alla radice il concetto stesso di rapporto fra campo figurato e cornice, fra Bildfeld e Rahmung. Monika Cämmerer-George, nell’analisi del Polittico di Ba­dia, parlò addirittura di «dramatische Auseinandersetz­ung», drammatico conflitto fra questi due elementi.16 Nella tradizione duecentesca, tanto nella pittura murale quanto in quella su tavola, l’uno sfuma nell’altro, la cornice è un prolungamento del campo figurato che talvolta deborda sulla prima. Ora la cornice diviene una struttura concettualmente e fisicamente autonoma e si qualifica pertanto come diaframma illusionistico, che media ed esalta il transito dalla dimensione reale a quella virtuale. La Madonna col Bambino e i quattro santi si ergono a mez-

cycle in Assisi, with its faux portico divided by twisted columns and cogently foreshortened entablature, in the field of mural painting. In both cases, the very underpinnings of the concept of the relationship between the figured field and the frame, between Bildfeld and Rahmung, are reformulated. In her analysis of the Badia Polyptych Monika Cämmerer-George even uses the term “dramatische Auseinandersetzung”: the dramatic conflict between these two elements.16 In the 13th-century tradition, in both mural and panel painting the one blends into the other, and the frame is an extension of the figured field that, in turn, sometimes spills over into it. At this point the frame became a conceptually and physically independent structure and can thus be described as an illusionistic partition that mediates and enhances the transition from the real to the virtual dimension. The Madonna, Child and

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zo busto, con le loro sagome potentemente scampanate, abitano la cornice alla stregua di un’architettura reale, si affacciano da un loggiato: come i profeti scolpiti da Giovanni Pisano e dai suoi seguaci sotto le teorie di archi cuspidati all’esterno del Battistero di Pisa e poi sulla facciata del Duomo di Siena, come la Madonna col Bambino fra i santi Nicola e Francesco affrescata da Giotto con la sua bottega umbra nella cappella Orsini. La gravitas è garantita dall’iterazione di pose simili in tutti e quattro i santi, la destra sollevata ad impugnare un oggetto, la sinistra bloccata a sorreggere un libro. La varietas che li fa naturali suggerisce tenuemente una disposizione ad esedra, attraverso lo scorcio di tre quarti dei volti di san Nicola e di san Benedetto, agli estremi; i due santi di sinistra sono più simili fra loro, a destra invece il volto di san Pietro è perfettamente frontale, mentre l’asimmetria delle spalle del san Benedetto lo fa volgere più chiaramente verso l’interno, come a chiudere la schiera. È una paratassi, animata però da scarti leggeri e da accenni di sintonia che affiatano le figure come veri e propri personaggi di una sacra conversazione in nuce. La cornice si qualifica come telaio illusionistico grazie a queste sottigliezze e alla resa suprema dei volumi, ma anche grazie alla sua chiara struttura micro-architettonica. L’articolazione netta in cinque arcate trilobate, inscritte in ogive e quindi in edicole cuspidate, è affidata alla complessità delle modanature aggettanti, che però erano ancora intagliate nello spessore della tavola di base, in continuità con la prassi bizantina e duecentesca, cui corrispondeva abitualmente l’interferenza fra campo figurato e cornice e il raccordo con un semplice piano inclinato, “incamottato”, ingessato e dipinto in continuità. I quattro livelli successivi (piano di fondo; archi trilobati e pennacchi relativi; archi ogivali e cuspidi che li sormontano; modanatura esterna17) normalmente nella prassi trecentesca corrispondono a tavole e listelli lavorati a parte, incollati ed inchiodati fra loro in un secondo momento. Qui solo le paraste che dividono gli scomparti sono dei listelli aggiunti per mascherare la giuntura fra le tavole, così come intagliate a parte sono le modanature esterne lungo le cuspidi e lo zoccolo di base.18 Anche questo procedimento tecnico, abbastanza sorprendente, milita a favore della datazione alta. La chiarezza e la complessità delle modanature ha come premessa la ricca modulazione della cornice della Maestà Rucellai, che racchiude un fregio con clipei figurati fra un sistema modanato, con ordinata successione di gole e tori (figg. 9-12). La scansione delle arcate e delle cuspidi era ulteriormente sottolineata dai pinnacoli di cui rimangono le tracce di innesto e dai fogliami lungo il profilo superiore. Alla metà del Quattrocento l’opera subì un intervento di riassetto profondo che comportò l’asportazione di ques-

four saints are portrayed as half-figures with widely flared outlines. They inhabit the frame as if it were a real architectural structure and look out from a portico: like the prophets that Giovanni Pisano and his followers sculpted under rows of gabled arches on the outside of the baptistery in Pisa and then on the façade of Siena cathedral, and like the Madonna and Child with Saints Nicholas and Francis that Giotto frescoed with his Umbrian workshop in the Orsini Chapel. Gravitas is ensured by the repetition of similar poses for all four saints, the right hand elevated to grasp an object and the left one clutching a book. The varietas that makes them look so natural vaguely suggests an exedra arrangement through the three-quarter turn of the faces of St Nicholas and St Benedict at the ends. The two saints on the left side more closely resemble each other, while on the right the face of St Peter is perfectly frontal; St Benedict’s shoulders, set asymmetrically, clearly make him look like he is facing inward, as if to serry their ranks. It is a parataxis, but is animated by slight differences and hints of a sense of harmony uniting the figures like the participants in a sacra conversazione. The frame becomes an illusory construction through these subtleties and the superb rendering of volumes, but also through its manifest micro-architectural structure. The clear-cut organization into five trefoil arches, inscribed in ogives and then gabled shrines, is entrusted to the complexity of the projecting moulding that, in keeping with Byzantine and 13th-century practices, was actually carved into the thickness of the base panel. This corresponds to the customary interaction between the figured field and the frame, and their connection with a simple inclined plane covered with the incamottatura and gesso and a seamless layer of paint. In the 14th century the different levels (the ground layer; the trefoil arches and their pendentives; the ogives and gables over them; the external moulding17) were usually panels and fillets tooled separately, glued and subsequently nailed together. Here, however, only the pilasters dividing the panels are actually fillets that were added later to conceal the joint between the panels, just as the external moulding along the gables and the plinth were carved separately.18 This technical procedure, which is quite surprising, also points to earlier dating. The basis for the clarity and complexity of the moulding is the rich modulation of the frame of the Rucellai Madonna, which encloses a frieze with figured medallions in a system with an orderly sequence of cyma and torus mouldings (figs. 9–12). The pace of the arches and gables was further underscored by the spires, of which the traces of the joint remain, and the foliage along the upper profile. In the mid15th century the work was extensively restructured, as a result of which these elements were removed and the



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9. Duccio, Maestà Rucellai, veduta in scorcio laterale della cornice inferiore. Firenze, Galleria degli Uffizi.

9. Duccio, Rucellai Madonna, side view of the lower frame. Florence, Galleria degli Uffizi.

10. Veduta in scorcio laterale del Polittico di Badia.

10. Side view of the Badia Polyptych.

11. Sezione della cornice della Maestà Rucellai (da Cämmerer-George 1966).

11. Cross section of the frame of the Rucellai Madonna (from Cämmerer-George 1966).

12. Sezione della cornice del Polittico di Badia (da Cämmerer-George 1966).

12. Cross section of the frame of the Badia Polyptych (from Cämmerer-George 1966).

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ti elementi e la riquadratura delle cuspidi: a volerlo, nel 1451, fu Gherardo di Astore, che affidò il lavoro al legnaiolo Giovanni di Nardo dell’Omo e al pittore Jacopo d’Antonio, pagato per i serafini dipinti nelle colmature fra le cuspidi.19 Nel 1453 (stile fiorentino), a spese del convento, l’impresa venne completata con la pittura di una cortina azzurra, per il rivestimento feriale della pala, e di un «lettuccio» dell’altare (probabilmente un paliotto ligneo). Un altro intervento importante di riqualificazione rinascimentale ebbe luogo nel 1492, ad opera del legnaiolo Chimenti del Tasso, su incarico di Pier Filippo di ser Giannozzo Pandolfini, così descritto: «per dua pilastri di legname fatti sotto la tavola dello altare maggiore e per una predella di braccia sei incirca per in su l’altare maggiore, con dua casette di rieto a detta predella, in sulla quale si pongono il pie’ della croce e tre paia di candelieri d’ottone».20 Procacci aveva ipotizzato che alla base del polittico mancasse uno zoccolo di 6,5 cm, che fu aggiunto nel restauro Tintori del 1957-1958, ma l’impronta della traversa inferiore, addossata come abituale al limite più basso, non presuppone questo addendum, che è stato lasciato ma differenziato per rimarcarne il carattere spurio. È solo alla fine del Quattrocento che il polittico venne sollevato sul corpo orizzontale di una predella, la cui larghezza era di poco superiore a quella del polittico (348 cm contro 337 cm), che era aperta sul retro con due repositori e serviva pure per appoggiarvi la Croce e i candelieri canonici. Quanto ai «dua pilastri … sotto la tavola» si trattava di sostegni lignei in corrispondenza delle estremità del polittico, che dovevano sostituirne altri originali, necessari per l’eccedenza della tavola rispetto alla larghezza della mensa eucaristica. Fin dall’origine il Polittico di Badia includeva dunque un sistema di due pilastri lignei estesi fino a terra, per consentirne uno sviluppo orizzontale maggiore rispetto all’altare stesso, secondo una struttura che è stata studiata di recente per la pala opistografa di Sassetta sull’altare maggiore di San Francesco a Sansepolcro, grazie alla sopravvivenza dell’altare del 1304, e che è ancora visibile nell’altare della cappella Guidalotti-Rinuccini nella sagrestia di Santa Croce (Giovanni del Biondo, 1379).21 È anzi l’esempio più antico finora attestabile, rivelatore della grandiosità del progetto giottesco, in esubero rispetto all’altare cui era destinato.22 Il Polittico di Badia pone un importante problema di metodo. La datazione alta, prima ancora dell’anno 1300, che discende essenzialmente dall’analisi stilistica, ha come corollario il ruolo pionieristico di quest’opera nella storia della genesi del polittico gotico, nel contesto di una serrata dialettica fra Firenze e Siena, fra Giotto e Duccio. L’anticipo di soluzioni che si affermeranno più lentamente e solo per gradi, come l’adozione di distinte assi verticali, connesse tra loro, in corrispondenza della

gables were squared. In 1451 Gherardo di Astore hired the carpenter Giovanni di Nardo dell’Omo and the painter Jacopo d’Antonio, paid for the seraphim painted at the top of the gables, to do this work.19 In 1453 (Florentine style), at the convent’s expense, the undertaking was completed with the painting of a light-blue curtain to cover the altarpiece on weekdays and an altar lettuccio (probably a wooden altar frontal). Another important Renaissance adaptation was completed in 1492 by the carpenter Chimenti del Tasso, commissioned by Pier Filippo di ser Gian­nozzo Pandolfini. It is described as follows: “for two columns of wood made under the panel of the high altar and for a predella approximately six braccia wide on the high altar, with two repositories on said predella, sustaining the foot of the cross and three sets of brass candlesticks”.20 Procacci had theorized that the base of the polyptych was missing a 6.5-cm plinth, which was added during Tintori’s restoration in 1957–8, but the footprint of the bottom crosspiece, set along the lowermost edge, as was customary, does not point to such an addendum, which was left but was differentiated to underscore its spurious nature. It was not until the late 15th century that the polyptych was raised on the horizontal structure of a predella, which was slightly wider than the polyptych (348 cm vs. 337 cm), was open along the back with two repositories, and was also designed to hold the crucifix and the prescribed candlesticks. As to the “two columns … under the panel”, they were wooden buttresses set at the ends of the polyptych and were designed to replace the original ones, needed because the panel was wider than the altar. In other words, from the outset the Badia Polyptych had a system of two wooden columns that reached the ground so that it could extend horizontally beyond the width of the altar, a type of structure that was studied recently on Sassetta’s double-sided polyptych for the high altar of San Francesco in Sansepolcro, thanks to the fact that the 1304 altar has survived. Such a structure can still be seen on the altar in the Guidalotti-Rinuccini Chapel in the sacristy of Santa Croce (Giovanni del Biondo, 1379).21 Indeed, it is the oldest documented example to date and reveals the magnitude of Giotto’s project, which was larger than the altar for which it was intended.22 The Badia Polyptych poses an important problem as to method. Early dating—before the year 1300—based essentially on stylistic analysis has as its corollary the work’s groundbreaking role in the genesis of the Gothic polyptych as part of a fast-paced dialectic between Florence and Siena, between Giotto and Duccio. The harbinger of solutions that would develop more slowly and in steps, such as the use of separate vertical planks connected at the joints between the modules of the polyptych, is corroborated by the systematic use of this type of construction in



cesura fra i moduli del polittico, trova riscontro da una parte nella sistematica adozione di tale sistema costruttivo a Siena in ambito duccesco e dall’altra in alcuni caratteri ancora ibridi e per ciò stesso sperimentali, come l’intaglio della cornice, pur così complessa, ancora nello spessore del legno. La partizione archeggiata era presagita da diversi dossali databili verso il 1270, a Firenze (Meliore), a Perugia (Maestro del San Francesco) e in forma più ambigua a Siena (Guido e suo ambito), ma sempre in sagome chiuse (low gabled dossals o dossali con cuspide centrale). Uno pseudo-polittico come quello del cimabuesco Vigoroso da Siena per Santa Giuliana a Perugia, nel 1291, presenta una teoria di cuspidi, ma non ancora la partizione completa, ed in maniera significativa è ancora costruito con assi orizzontali, in coerenza coi dossali da cui discende.23 Anche una Madonna col Bambino del Maestro di Badia a Isola, duccesco della prima ora, nella Pinacoteca Nazionale di Siena, proveniente da San Giorgio a Petroio, presenta la venatura del legno orizzontale ed è un residuo di un dossale-polittico così costruito.24 I polittici della maturità di Duccio, a partire da quello per San Domenico a Perugia, di cui non rimane che il pannello centrale,25 sono invece composti di assi verticali e moduli autonomi, uniti da traverse orizzontali, esattamente come il Polittico di Badia di Giotto. La famosa Madonna di Castelfiorentino presenta la fibra del legno orizzontale, nonché i resti di tre chiodi segati in corrispondenza di una traversa verticale in asse, come il recente restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure ha permesso di appurare:26 non era dunque un dipinto autonomo, ma il centro di un dossale-polittico di questa foggia tardo-duecentesca. Il problema è che tale costruzione con legni orizzontali a Firenze perdurò a lungo, al punto che lo stesso Giotto l’adottò nel polittico opistografo per Santa Reparata27 e in quello di Raleigh,28 probabilmente destinato alla cappella Peruzzi in Santa Croce (due opere in parte di bottega – la prima in particolare – sicuramente successive al Polittico di Badia), non però nei due polittici, pure con figure a mezzo busto, da cui vengono i santi Giovanni Evangelista e Lorenzo di Chaalis, la Madonna Goldman di Washington e il Santo Stefano Horne. Tale persistenza riguardò poi botteghe come quelle del Maestro della Santa Cecilia (trittico del Museo Horne), di Pacino di Bonaguida (polittico di San Procolo), di Lippo di Benivieni (trittico Contini Bonacossi, polittico degli Alessandri, polittico della Madonna col Bambino di San Casciano in Val di Pesa), del Maestro di Mezzana (polittico della Madonna col Bambino di Princeton), ecc.29 Fuori Firenze, ad Arezzo, Andrea di Nerio ancora vi si conformò in un’opera giovanile, verso il 1330, come la Madonna col Bambino già in collezione Har­ris, centro di un polittico non ancora ricostruito.30 Nel caso

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Duccio’s circles in Siena, but also by certain characteristics—still hybrid and thus experimental—such as the fact that, complex as the frame may be, it was still carved into the thickness of the wood. The arched subdivisions were portended by various dossals, datable around 1270, in Florence (Meliore), Perugia (Master of St Francis) and, in a more ambiguous form, in Siena (Guido and his circle), but always in closed forms (low gabled dossals). A pseudo-polyptych such as the one by the Cimabuesque Vigoroso da Siena for Santa Giuliana in Perugia, dated 1291, presents a row of gables but is not fully partitioned; significantly, it was still constructed with horizontal boards, corresponding to the dossals from which it descends.23 A Madonna and Child by the early Duccesque painter known as the Master of Badia a Isola, from the church of San Giorgio in Petroio and now at the Pinacoteca Nazionale in Siena, shows the horizontal wood grain and is what remains of a dossal-polyptych constructed in this fashion.24 The polyptychs of Duccio’s maturity, starting with the one for San Domenico in Perugia, of which only the central panel remains,25 are instead composed of vertical panels and independent modules connected by crosspieces, just like Giotto’s Badia Polyptych. The famous Castelfiorentino Madonna presents a horizontal wood grain as well as part of three nails severed along an aligned vertical crossbeam, as its recent restoration at the Opificio delle Pietre Dure has revealed.26 Therefore, it was not an independent painting but the central part of a dossal-polyptych in this late-13th-century style. The problem is that this type of construction with horizontal planks was used for a long time in Florence and, in fact, Giotto employed it for the double-sided polyptych for Santa Reparata27 and the one now in Raleigh,28 probably made for the Peruzzi Chapel in Santa Croce; these two works were in part workshop paintings (the former in particular) and were unquestionably later than the Badia Polyptych. However, he did not use it for the two polyptychs, also with half-figures, to which the panels with St John the Evangelist and St Lawrence at Chaalis, the Goldman Madonna in Washington and the St Stephen at the Horne Museum belonged. This approach persisted among workshops such as those of the Master of St Cecilia (triptych at the Horne Museum), Pacino di Bonaguida (polyptych of San Procolo), Lippo di Benivieni (Contini Bonacossi triptych, Alessandri triptych, polyptych of the Madonna and Child of San Casciano in Val di Pesa), the Mezzana Master (Princeton polyptych of the Madonna and Child) and so on.29 Outside Florence, in Arezzo, Andrea di Nerio continued to conform to this in his youthful Madonna and Child, painted around 1330, which was part of the Harris Collection and represents the central panel of a polyptych

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di semplici trittici si comprende meglio questo conservatorismo, che riguardò persino il giovane Bernardo Daddi, nel trittico di San Matteo da Ognissanti, ora agli Uffizi, datato 1328, o in quello di San Salvi, già nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino: erano opere così compiute, mentre i pentittici dello stesso Daddi sono composti da assi verticali. Il futuro era ovviamente delle costruzioni modulari, che rispondevano ad una crescente articolazione in elevato per cui Siena svolse un ruolo egemone, ma la cui base era stata posta con forza dal Polittico di Badia, dalla sua chiara struttura, in aperta competizione con i polittici che si stavano elaborando nella bottega di Duccio. Nelle tipologie possono coesistere filoni diversi, non c’è un evoluzionismo rigido: a seconda dei contesti, della committenza, del grado di sperimentalismo o di conformità a modelli più consolidati. Nel caso del Polittico di Badia alla qualità suprema dell’esecuzione corrispose una particolare tensione innovativa nello stesso progetto della carpenteria. Il confronto serrato con la tradizione senese è dichiarato infine dalla scelta di raffigurare una teoria di angeli nelle cuspidi. L’inclusione in clipei è un’idea forte di Giotto, che ebbe seguito notevole, attestata precocemente anche dall’incorniciatura del mosaico romano della Navicella e derivata dalla cornice della Maestà di Cimabue per San Francesco a Pisa, ma lo sfruttamento delle cuspidi per ospitare le schiere angeliche non aveva precedenti a Firenze, mentre a Siena costituisce un leitmotiv, dai polittici di Vigoroso e del Maestro di Badia a Isola, ai due polittici ducceschi della Pinacoteca Nazionale di Siena, alla Maestà del Duomo e oltre.31 Indicazioni più vincolanti per la cronologia vengono dal sistema decorativo. I tituli esegetici ospitati in targhe epigrafiche sul fondo oro, sopra le teste e ai loro lati, profilate per assecondare l’ogiva e tagliate dalla curvatura dei grandi nimbi, sì da esaltarne la specchiatura fittamente incisa, costituiscono un motivo del tutto particolare, che non ha seguito negli allievi della maturità di Giotto, come Taddeo Gaddi e Bernardo Daddi, mentre è imitato in maniera episodica nella Madonna col Bambino già Contini Bonacossi, opera giovanile del Maestro di Santa Cecilia che dipende compositivamente dal Polittico di Badia,32 e in un Sant’Elia di collezione privata del Maestro di Mezzana, opera ancora intrisa di caratteri protogiotteschi.33 In realtà è un omaggio ad una tradizione fiorentina, con targhe più alte e squadrate, che inizia con Meliore (dossale del 1271 degli Uffizi), ricorrente in varie tavole del Maestro della Maddalena e del Maestro di Var­lungo, raccolta da Giotto che ne sfrutta le potenzialità per evidenziare la consistenza oggettuale dei nimbi: in ogni caso tale sapiente reinvenzione di un dato tradizionale conferma la datazione alta.

that has yet to be reconstructed.30 In the case of simple triptychs this conservatism is easier to understand, and it affected even the young Bernardo Daddi in the triptych of St Matthew from the Ognissanti church, now in the Uffizi and dated 1328, and the one from San Salvi, formerly in the Kaiser-Friedrich-Museum in Berlin: these works were arranged in precisely such a manner, but Daddi’s pentaptychs were composed of vertical planks. The future obviously lay in modular constructions, which catered to the taste for increasingly taller works, in which Siena played a key role. The basis, however, was forcefully established by the Badia Polyptych with its clear structure, openly competing with the polyptychs that were being created by Duccio’s workshop. Various currents can coexist within the same type and there is no rigidly defined development, as it depends on milieus, patrons, and the degree of experimentation or conformity to more established models. In the case of the Badia Polyptych, the supreme quality of execution was matched by a very innovative approach even in the carpentry project. Lastly, the fast-paced comparison with the Sienese tradition is manifested by the decision to portray a row of angels in the gables. The inclusion of medallions was one of Giotto’s powerful ideas and it became enormously popular, as documented quite early by the frame of the Roman Navicella mosaic, derived from the frame of Cimabue’s Maestà for San Francesco in Pisa. Nevertheless, exploitation of the gables to hold hosts of angels was unprecedented in Florence, unlike Siena where it constituted a leitmotif, from the polyptychs of Vigoroso and the Master of Badia a Isola to the two Duccesque polyptychs at the Pinacoteca nazionale di Siena, the Maestà for the city cathedral and other works.31 The decorative system offers more solid indications for the chronology. The exegetical tituli in the epigraphic labels on the gold ground, over the heads of the figures and next to them, shaped to follow the ogive and intersected by the curvature of the large haloes, thus enhancing the densely incised panels, represent a highly unique motif that has no followers among the pupils of Giotto’s maturity, such as Taddeo Gaddi and Bernardo Daddi. It was instead adopted in rare cases such as the Madonna and Child, formerly part of the Contini Bonacossi Collection, a youthful work by the Master of St Cecilia, whose composition was inspired by the Badia Polyptych,32 and a privately owned St Elias by the Mezzana Master, a painting imbued with proto-Giottesque traits.33 In reality, it is a tribute to a Florentine tradition, with taller squared epigraphic labels, which starts with Meliore (Uffizi dossal of 1271) and can be noted in various panels by the Magdalene Master and the Master of Varlungo. It was subsequently adopted by Giotto, who exploited its potential to highlight the solid-



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13. Particolare delle foglie di vite nella cuspide del pannello con San Giovanni.

13. Detail of the vine-leaf decoration on the gable of the panel with St John.

14. Giotto, Madonna di San Giorgio alla Costa, particolare del nimbo della Vergine. Firenze, Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte.

14. Giotto, Madonna at San Giorgio alla Costa, detail of the Virgin’s halo. Florence, Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte.

15. Duccio, Maestà Rucellai, particolare del nimbo del Bambino. Firenze, Galleria degli Uffizi.

15. Duccio, Rucellai Madonna, detail of the Child’s halo. Florence, Galleria degli Uffizi.

Le minute foglie di vite delineate con una miscela di stagno e mercurio di aspetto argentato nei pennacchi delle trilobature (fig. 13), ai lati del motivo a tre archi di cerchio intersecati, attingono ad un tema nordico, forse mediato dai maestri oltremontani attivi nel transetto destro della basilica superiore di San Francesco ad Assisi, che richiama ancora fortemente il nimbo orafo e francese della Madonna di San Giorgio alla Costa (fig. 14),34 mentre non si trova più nell’attività post-padovana di Giotto. Più timidamente i pampini facevano la loro comparsa già nelle incisioni del nimbo del Bambino della Maestà Rucellai di Duccio (fig. 15) e in quello della Vergine di Castelfiorentino. Ma, fra tutto, meritano attenzione i dischi dei nimbi, che esibiscono decorazioni bellissime condotte in punta di stiletto, apprezzabili a fatica, documentabili solo con macrofotografie o con rilievi grafici. Dal Cimabue della Croce di Arezzo al Duccio fiorentino della Maestà Rucellai, lungo una ventina d’anni si posero le basi perché la decorazione al tratto a mano libera,35 in cui Giotto fu maestro impareggiabile, divenisse la protagonista assoluta. Sarebbe auspicabile un giorno la pubblicazione di un atlante sistematico dei rilievi delle incisioni giottesche,

ity of the haloes: in any case, this skilful reinvention of a traditional element confirms the early dating of this work. The small vine leaves delineated with a silvery looking mixture of tin and mercury in the pendentives of the trefoils (fig. 13), next to the motif of the three intersecting circle arcs, take up a Northern European theme—perhaps mediated by the foreign masters active in the right transept in the Upper Church of San Francesco in Assisi—that powerfully evokes the finely tooled and gilded French-style halo of the Madonna of San Giorgio alla Costa (fig. 14).34 However, it can no longer be found in Giotto’s works after Padua. Vine leaves had already made a more timid appearance in the Child’s incised halo in Duccio’s Rucellai Madonna (fig. 15) and in that of the Castelfiorentino Madonna. Above all, however, the discs of the haloes merit attention, exhibiting beautiful punched decorations that are hard to see and can only be documented with macrophotographs or graphic reliefs. From Cimabue’s Arezzo Crucifix to the Rucellai Madonna, painted during Duccio’s Florentine period, over the course of about two decades the groundwork was laid so that freehand decoration,35 of which Giotto was an unparalleled master, would come to

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che aiuterebbe a capire molte cose della cronologia del maestro e sarebbe di grande effetto visivo. I nimbi del Polittico di Badia assomigliano soprattutto a quelli della Maestà di Ognissanti,36 dipinta a mio avviso subito prima del soggiorno padovano, dunque verso il 1300-1302. La bipartizione concentrica è un motivo che derivava dai nimbi della Maestà Rucellai,37 dove però la fascia esterna era più stretta, mentre il principio venne rovesciato nei nimbi della Madonna di San Giorgio alla Costa (fig. 16) e in quelli della Croce di Santa Maria Novella (fig. 17),38 dove una grande fascia era delimitata verso l’interno da un secondo compasso, di modo che il secondo tema decorativo fungesse da riempitivo rispetto al vario disegno della testa. Nel Polittico di Badia, invece, Giotto divide i nimbi in due fasce concentriche in sostanza equipollenti, ciò che gli permette di alternare ritmicamente motivi vegetali e motivi pseudo-epigrafici islamici (fig. 18). I nimbi della maturità del maestro sono completamente diversi. Un esempio perfetto è fornito da quelli della Croce di Ognissanti, che credo databile verso il 1320, al tempo degli affreschi Peruzzi:39 compaiono due punzoni, fino ad allora assenti, ad arricchire la fascia esterna e pure il compasso mediano; i girali si avviluppano in un brulichio di fogliame minuto, esautorando la traccia portante dei racemi lineari, non più intrecciati o annodati da cinghiette (fig. 19).40 Nel giro esterno del nimbo della Madonna di Badia viluppi fogliacei sono alternati a cerchi intersecati sì da inscrivere un quadrilobo dalle foglie lanceolate, un motivo caro a Giotto che è presente nella decorazione del trono della Maestà di Ognissanti e che ha la propria matrice nel nimbo della Madonna Rucellai. Il giro esterno di finte pietre preziose, rubini e lapislazzuli alternati, gocce di vernice sull’oro adesso scurite, è comune alle opere giovanili di Giotto e fa la sua ultima comparsa nella Croce Scrovegni, mentre è già sparito nella Maestà di Ognissanti (fig. 20).41 Le fantasie dispiegate nei nimbi stupendi della Madonna di San Giorgio alla Costa, con vertice nei leoni alati metamorfici inclusi fra foglie di vite francesizzanti e medaglioni mistilinei a fettuccia continua, rappresentano la risposta vivacissima alla suprema varietas ornamentale delle incisioni sull’oro della Maestà Rucellai, così come l’impiego estensivo delle pseudo-epigrafi islamiche, già presente nella Madonna di San Giorgio alla Costa e dilagante nei nimbi della Croce di Santa Maria Novella, estremizza un motivo del tutto marginale in Duccio. Nel seguito il senese virò verso ornati più modulari e rarefatti, mentre Giotto di converso arricchì l’effetto brulicante dei temi vegetali e geometrici, alternati e intrecciati in maniera complessa. Questi motivi sono evidenziati a risparmio grazie all’incisione del fondo con tratteggio incrociato, un espediente che dominò le incisioni dei nimbi dei primi decen-

predominate. I hope that a systematic catalogue of Giotto’s incised decorations will be published at some point, as this would give us enormous insight into the master’s chronology and would also have a powerful visual impact. The haloes in the Badia Polyptych most closely resemble those in the Ognissanti Madonna,36 that, in my opinion, were painted just before his Paduan period, and thus around 1300–2. The concentric bipartition is a motif derived from the haloes in the Rucellai Madonna,37 but in the latter case the outermost band is narrower. Instead, the principle was reversed for the haloes in the Madonna of San Giorgio alla Costa (fig. 16) and those of the Crucifix of Santa Maria Novella (fig. 17),38 in which a wide band was bordered towards the inside by another ring, so that the second decorative motif served as a filler with respect to the varied outline of the head. In the Badia Polyptych, however, Giotto divided the haloes into two virtually equivalent concentric bands, thus permitting the rhythmic alternation of plant motifs and pseudo-epigraphic Islamic motifs (fig. 18). The haloes of Giotto’s maturity are completely different. A perfect example can be found in the Ognissanti Crucifix, which I believe can be dated around 1320, at the time of the Peruzzi frescoes.39 Two punch marks—absent until then—appear to enrich the outer band as well as the central ring, the scrolls become entangled in a mass of minute foliage, overpowering the ‘bearing structure’ of the linear tendrils, which are no longer entwined or tied with straps (fig. 19).40 In the outer band of the Virgin’s halo in the Badia Polyptych, leafy tangles are alternated with intersecting circles to inscribe a quatrefoil with lanceolate leaves, one of Giotto’s preferred motifs, also present in the decoration of the throne of the Ognissanti Madonna and for which the halo of the Rucellai Madonna can be viewed as a prototype. The outer band with faux gemstones, alternating rubies and lapis lazuli, drops of paint—now darkened—on gold, is common in Giotto’s youthful works. It made its final appearance in the Scrovegni Chapel and had already disappeared by the period of the Ognissanti Madonna (fig. 20).41 The imagery employed in the marvellous haloes of the Madonna of San Giorgio alla Costa, culminating in the metamorphic winged lions set amidst French-style vine leaves and mixtilinear medallions in a continuous band, are the extremely lively response to the supreme ornamental varietas of the incised gold of the Rucellai Madonna, just as the extensive use of pseudo-epigraphic Islamic motifs, seen in the Madonna of San Giorgio alla Costa and prevalent in the haloes of the Crucifix from Santa Maria Novella, takes to extremes a motif that was entirely marginal in Duccio. The Sienese painter would later turn to more modular and rarefied ornamentation, while Giotto instead enriched the dense effect of alternated and intricately entwined phytomorphic and geometric motifs.



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16. Giotto, Madonna di San Giorgio alla Costa, rilievo del nimbo della Vergine. Firenze, Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte.

16. Giotto, Madonna at San Giorgio alla Costa, study of the Virgin’s halo. Florence, Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte.

17. Giotto, Croce di Santa Maria Novella, rilievo del nimbo di san Giovanni. Firenze, basilica di Santa Maria Novella.

17. Giotto, Crucifix at Santa Maria Novella, study of the halo of St John. Florence, Basilica of Santa Maria Novella.

18. Rilievo del nimbo di san Pietro (Polittico di Badia).

18. Study of the halo of St Peter (Badia Polyptych).

19. Giotto, Croce di Santa Maria Novella, rilievo del nimbo della Vergine. Firenze, basilica di Santa Maria Novella.

19. Giotto, Crucifix at Santa Maria Novella, study of the Virgin’s halo. Florence, Basilica of Santa Maria Novella.

20. Giotto, Maestà di Ognissanti, rilievo del nimbo di un angelo. Firenze, Galleria degli Uffizi.

20. Giotto, Ognissanti Madonna, study of an angel’s halo. Florence, Galleria degli Uffizi.

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ni del Trecento in mezza Toscana e per il quale Giotto era in tutto debitore di Duccio. Le prime comparse del motivo, ancora parziale e non estensivo, sono del resto senesi, in ambito guidesco verso il 1270 (Madonna di San Domenico e Madonna Galli Dunn), mentre Cimabue vi ricorse, in alcuni nimbi e molto parzialmente, solo nella tarda Maestà di Santa Trinita. Come per l’elaborazione della struttura del polittico, in chiave illusionistica e micro-architettonica, anche in questo ambito Giotto si pose in diretta competizione con Duccio. Alla radice c’è un dialogo, nel cuore del nono decennio, la cui importanza merita di essere compresa fino in fondo, nella sua natura profondamente dialettica ma feconda per entrambi gli artisti, in linea con quanto già suggerito da Luciano Bellosi sulla base di diversi indizi (stretto parallelo fra la commissione della Maestà Rucellai e quella subito seguente della Croce di Santa Maria Novella; presenza di una Madonna col Bambino affrescata da Giotto e bottega, al tempo dei registri alti della prima campata di Assisi, in Pian de’ Mantellini a Siena, presso le Due Porte, dirimpetto alla casa di Duccio; introduzione dei troni marmorei nella vetrata duccesca per il Duomo disegnata prima del 1287).42 Le stesse incredibili aperture verso una resa tridimensionale presenti in alcuni dettagli della Maestà Rucellai, nella caduta a piombo delle pieghe del manto sotto le ginocchia e negli scorci al di là delle bifore traforate del trono, sembrano difficilmente concepibili, per la loro razionalità illusionistica, al di fuori di un primo confronto col giovanissimo allievo di Cimabue. Nella gestazione di quel sistema di ornati che trionfò una decina d’anni più tardi nel Polittico di Badia un anello fondamentale sembra costituito dalla disputata Madonna di Castelfiorentino:43 l’analisi condotta sotto la mia guida da Giulia Scarpone, in occasione del recente restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure,44 ha evidenziato infatti quanto le incisioni dei nimbi siano estranee al mondo di Cimabue e dipendano invece intimamente dalla Maestà Rucellai. Se è giusta l’ipotesi forte di Luciano Bellosi, che volle vedere in questa tavola una delle prime tracce di Giotto, sulla base di puntuali confronti con le Storie di Isacco e con i putti della Volta dei Dottori ad Assisi, la commissione ed ideazione dell’opera andranno però ricondotte piuttosto a Duccio, come conferma la gemellarità dello schema grafico con la Madonna di Crevole, irrobustendo così lo scenario di un possibile precoce transito di Giotto, dopo la formazione cimabuesca, nella bottega del maestro senese. Tale proposta assume un senso anche nella prospettiva più ampia delle problematiche capitali, di genesi del polittico gotico e di elaborazione di un nuovo sistema di ornati, di cui il Polittico di Badia è forse una delle più antiche e luminose testimonianze.

These motifs are highlighted with unfinished areas by incising the ground with hatching, a device that prevailed in incised haloes in the first three decades of the 14th century throughout much of Tuscany, and for which Giotto was fully indebted to Duccio. In effect, this motif—still partial and not yet widespread—first appeared in Siena around 1270 in Guidesque works (the San Domenico Madonna and the Galli-Dunn Madonna), while Cimabue did not use it until the late Santa Trinita Madonna, and even then only in certain haloes and on a very limited basis. As was the case for the illusionistic and micro-architectural elaboration of the structure of the polyptych, here too Giotto competes directly with Duccio. At the root of this is a dialogue of the mid-1280s whose importance merits being fully appreciated in its profoundly dialectical but fertile significance for both artists. This is in line with what Luciano Bellosi already suggested based on a number of clues: the close parallel between the commission of the Rucellai Madonna and the one that immediately followed it for the Crucifix of Santa Maria Novella, the presence of a Madonna and Child frescoed by Giotto and his workshop—coeval to the upper registers of the first bay in Assisi—at Pian de’ Mantellini in Siena, across from Duccio’s house in the Due Porte district, and the introduction of marble thrones in Duccio’s stained-glass window for the Siena cathedral, designed before 1287.42 This same incredible openness towards three-dimensional rendering—also present in several details of the Rucellai Madonna, in the way the folds of the mantle fall heavily below the knees and in the sense of space behind the double lancets of the throne, seems hard to imagine, given their illusionistic rationality, beside a first comparison with Cimabue’s very young pupil. The highly debated Castelfiorentino Madonna seems to represent a fundamental link in the gestation of the ornamentation system that would triumph about a decade later in the Badia Polyptych.43 Indeed, the analysis conducted by Giulia Scarpone under my supervision during the recent restoration work done at the Opificio delle Pietre Dure44 revealed that the incising of the haloes is far removed from Cimabue’s milieu and is instead closely related to the Rucellai Madonna. If Bellosi’s compelling theory is correct— he viewed this panel as one of the first traces of Giotto, based on detailed comparisons with the Stories of Isaac and the putti on the Vault of the Doctors of the Church in Assisi—then the commission and conception of this work should instead be traced to Duccio, as confirmed by the fact that the graphic model is identical to that of the Crevole Madonna. This supports the idea that, following his training with Cima­bue, Giotto also worked in the bottega of the Sienese master. This suggestion also becomes meaningful from the broader standpoint of the crucial problems of the genesis of the Gothic polyptych and the development of a



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Uno studiato schema ritmico governa la distribuzione di colori e temi decorativi, non solo nelle incisioni dei nimbi. Le targhe epigrafiche, eseguite a sgraffito su lamine di “oro mezzo” (lamina d’oro battuta su una base di argento), presentano i colori rosso e blu, alternati secondo uno schema che rispetta l’asse di simmetria: AB A BA (dove A è rosso, B è blu). La campitura interna dei motivi che decorano i pennacchi delle trilobature, determinati da tre archi di cerchio intersecati, è rossa quando la targa epigrafica del medesimo pannello è blu e viceversa (BA B AB), determinando così un ritmo chiastico. Come si è anticipato, la stessa bipartizione concentrica dei nimbi è funzionale all’alternanza di due registri decorativi, quello vegetale a racemi (A) e quello pseudo-epigrafico islamico (B), così combinati fra fascia esterna e fascia interna:45 AB san Nicola BA san Giovanni Evangelista AB Madonna col Bambino

BA san Pietro AB san Benedetto

Questa sintassi metrica così rigorosa, attenta all’asse di simmetria e al ritmo binario, si inserisce in una tradizione tutta fiorentina, maturata fin dalle incrostazioni marmoree romaniche, attestata da un’opera come il dossale di Meliore del 1271 e al massimo grado dalla Maestà di Santa Trinita di Cimabue. Anche Duccio nella Maestà Rucellai suggerì sottili corrispondenze nell’alternanza dei colori delle vesti e dei decori dei nimbi, rotte però da continue sfalsature ed asimmetrie, per meglio valorizzare il prevalente gioco della varietas. Erling Skaug ha analizzato in maniera esemplare le differenti propensioni dei fiorentini verso le simmetrie e dei senesi verso gli scarti, nelle ornamentazioni dei nimbi e nell’alternanza dei colori su vesti e ali, fra Due e Trecento.46 Nelle incisioni dei nimbi della Maestà Rucellai Duccio offrì una sorta di antologia cangiante di tecniche diverse, mescolando l’uso di piccoli punzoni e incisioni a mano libera, girali al tratto continuo (A), girali graniti (C) e motivi evidenziati sul fondo a tratteggio (B). Schematicamente le coppie dei sei angeli presentano, dall’alto in basso, queste combinazioni: AB / BA / BC. Nel discrimine fra la libertà combinatoria del giovane Duccio e la metrica rigorosa del giovane Giotto si misura comunque una dialettica ravvicinata, che investì ogni aspetto della figurazione, rivelando in entrambi i casi uno sperimentalismo potentemente innovatore.

new ornamentation system, of which the Badia Polyptych may well be one of the oldest and most brilliant examples. A well-devised rhythmic scheme governs the distribution of colours and decorative motifs, and not only in the incising of the haloes. The epigraphic inscriptions, done with sgraffito on oro mezzo (an alloy of silver and gold) foil, are red and blue, alternated according to a pattern that respects the axis of symmetry: AB A BA (in which A is red and B is blue). The internal ground of the motifs decorating the pendentives of the trefoils, created with three intersecting circle arcs, is red when the epigraphic inscription is blue and vice versa (BA B AB), thus creating a chiastic pattern. As already noted, the same concentric bipartition of the haloes is functional to the alternation of the two decorative registers, the phytomorphic one with tendrils (A) and the pseudo-epigraphic Islamic one (B), combined as follows between the outer and inner bands:45 AB St Nicholas BA St John the Evangelist AB Madonna and Child

BA St Peter AB St Benedict

This extremely precise metric syntax, attentive to the axis of symmetry and binary rhythm, reflects a completely Florentine tradition that matured from the time of Romanesque marble incrustation, documented by works such as Meliore’s dossal, dated 1271, and climaxing in Ci­ ma­bue’s Santa Trinita Madonna. In the Rucellai Ma­don­na Duccio likewise suggested subtle parallels in the alternation of the colours of the gowns and the decoration of the haloes, in this case broken up by continuous staggered patterns and asymmetry to enhance the prevalent interplay of varietas. Erling Skaug conducted an exemplary analysis on the diverse penchants of Florentine artists for symmetry and the Sienese for differentiation in the decoration of the haloes and the alternation of colours on robes and wings in the 13th and 14th centuries.46 With the incised haloes on the Rucellai Madonna Duccio offers what we can consider a dazzling anthology of different techniques, mixing the use of small punches and freehand incising, continuous spirals (A), granulated spirals (C) and motifs highlighted against a hatched ground (B). From a schematic standpoint, the six pairs of angels, from top to bottom, present these combinations: AB / BA / BC. In the divide between the combinatory freedom of the young Duccio and the rigorous rhythm of the young Giotto we can nevertheless find a close dialectic that influenced every aspect of figuration, revealing a powerfully innovative sense of experimentation in both artists.

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geometria e naturalezza, modulo e ritmo–––geometry and naturalness, module and rhythm

Ringrazio Marco Ciatti, Alessandro Delpriori e Giovanni Martellucci per l’aiuto nel reperimento del materiale fotografico. 1 Archivio dell’Opera di Santa Croce, senza segnatura, Nota delle pitture e sculture esistenti nella sagrestia e cappella del noviziato in S. Croce di Firenze, databile tra 1846 e 1855, al numero 8: «Anonimo assai pregevole dei tempi di Giotto ma di maniera assai differente. Tavola divisa in cinque compartimenti colla Vergine, il Bambino, S. Niccolò, S. Giovanni Evangelista, S. Pietro e S. Benedetto, tutti in mezza figura [nota: idem, nella Badia di Firenze]» (ringrazio Claudia Timossi e Giovanni Giura per la segnalazione). È l’ultima volta che viene ricordata la giusta provenienza dalla chiesa di Badia. Questo inventario non era noto a Ugo Procacci (1962), che ha offerto la più ricca rassegna delle fonti e delle documentazioni relative all’opera. 2 Thode 1899, p. 138. 3 Procacci 1962 (anticipato da una conferenza tenuta a La Colombaria e da un articolo sul quotidiano La Nazione, 4 febbraio 1943). 4 Sirén 1917, I, pp. 100, 266; Sirén 1923, p. 259. L’ipotesi di una partecipazione del Maestro della cappella di San Nicola al Polittico di Badia venne condivisa da Richard Offner (1930, pp. V e 3) e, in tempi più recenti, da Irene Hueck (1983, pp. 187-193, part. 193). 5 Oertel 1937, pp. 224-238, part. 233; Oertel 1949. 6 Per una discussione dell’opera e della sua fortuna critica rimando alla scheda approfondita di Angelo Tartuferi in Giotto. Bilancio critico 2000, pp. 117-120, n. 6, con data 1300 circa (corretta tra 1295 e 1300 dallo stesso studioso in Giotto e il Trecento 2009, pp. 159-160, n. 2). A mia volta avevo titolato un paragrafo di un mio saggio Il polittico di Badia, circa 1295 (De Marchi 2004, part. pp. 17-18). 7 Schwarz 2008, pp. 524-531. Schwarz sostiene una datazione in stretto parallelo col polittico Stefaneschi, opera stilisticamente diversissima, ed inoltre ritiene che un polittico architettonico simile sarebbe inconcepibile prima della pubblicazione della Maestà di Duccio per il Duomo di Siena, nel 1311, Gründungswerk di tale tipo. È un assunto singolare, che sottovaluta il fatto che Duccio stesso aveva già contribuito alla genesi del tipo, almeno a far tempo dal polittico che aveva al centro la Madonna col Bambino di San Domenico a Perugia, e che un polittico architettonico è già attestato dal contratto di commissione nel novembre 1301, a Cimabue e Giovanni di Apparecchiato, della tavola per Santa Chiara a Pisa. 8 Sui rapporti stretti fra il Polittico di Badia e gli affreschi della cappella di San Nicola è tornato Alessandro Volpe (2002, pp. 4250). È inutile ricordare quanto sia peregrina, alla luce delle vistose discrasie fra ideazione ed esecuzione, la tesi secondo cui il principale rinnovatore della pittura italiana del Trecento avrebbe esordito ad Assisi con un’opera così ambivalente e, peraltro, intessuta di riferimenti evidenti al ciclo francescano, specie alle ultime storie (Zanardi 2002). 9 Come perfettamente individuato da Miklós Boskovits (Un pittore 1971). 10 Bene evidenziate, in ultimo, da Alessandro Volpe (2002, pp. 34-38) e da Serena Romano (2010). 11 Hueck 1983. 12 Cfr. Romano 2010. 13 Non può essere eluso, infatti, il terminus ante quem fissato dalla pagina di antifonario della Fondazione Cini a Venezia, opera firmata di Neri da Rimini e datata 1300: come per primo ha notato Alessandro Conti (1981, pp. 56 e nota 2, 61), ripreso da Alessandro Volpe (in Neri da Rimini 1995, pp. 62-65, n. 1 e in A. Volpe

I am grateful to Marco Ciatti, Alessandro Delpriori and Giovanni Martellucci for their help in procuring photographs. 1 Archivio dell’Opera di Santa Croce, no call number, Nota delle pitture e sculture esistenti nella sagrestia e cappella del no­ vi­zia­to in S. Croce di Firenze, datable between 1846 and 1855, under no. 8: “Excellent anonymous painter from the age of Giotto but with a rather different style. Panel divided into five sections with the Virgin, Child, St Nicholas, St John the Evangelist, St Peter and St Benedict, all half-figures [note: idem, in the Florentine Badia]” (I am grateful to Claudia Timossi and Giovanni Giura for providing me with this information). This was the last time that the work’s correct provenance from the Badia church was cited. Ugo Procacci (1962), who offered the richest overview of sources and documentation on this work, was not aware of the inventory. 2 Thode 1899, 138. 3 Procacci 1962 (announced by a conference held at La Colombaria and an article in the daily La Nazione, 4 February 1943). 4 Sirén 1917, I, 100, 266. The hypothesis that the Master of the Chapel of San Nicola worked on the Badia Polyptych was also sustained by Richard Offner (1930, V and 3) and, more recently, by Irene Hueck (1983, 187–93, specifically 193). 5 Oertel 1937, 224–38, specifically 233; Oertel 1949. 6 For a discussion of the work and its critical history, see the detailed entry by Angelo Tartuferi in Giotto. Bilancio critico 2000, 117–20, cat. 6, with the date of c. 1300 (which Tartuferi then changed to 1295–1300 in Giotto e il Trecento 2009, 159–60, no. 2). In turn, I entitled a section of an essay ‘Il polittico di Badia, circa 1295’ (De Marchi 2004, specifically 17–18). 7 Schwarz 2008, 524–31. Schwarz sustains a date closely connected with the Stefaneschi Polyptych, a work that is extremely different stylistically; he also thinks that an architectural polyptych of the kind would have been inconceivable before Duccio’s Maestà for the Siena cathedral was unveiled in 1311, deeming it the Gründ­ ungswerk for this type. This is a singular assumption, underestimating the fact that Duccio himself had already contributed to the genesis of the type, at least as far back as the polyptych with the Madonna and Child as its centrepiece, painted for San Domenico in Perugia, and that an architectural polyptych is already documented by the contract dated November 1301 commissioning Ci­ma­bue and Giovanni di Apparecchiato for the panel for Santa Chia­ra in Pisa. 8 The close relationship between the Badia Polyptych and the frescoes in the Chapel of San Nicola were examined by Alessandro Volpe, 2002, 42–50. Given the glaring discrepancies between conception and execution, it seems useless to point out how farfetched it is to theorize that the artist chiefly responsible for renewing 14th-century Italian painting supposedly debuted in Assisi with such an ambivalent work also interwoven with evident references to the Franciscan cycle and particularly the final stories (Zanardi 2002). 9 As perfectly identified by Miklós Boskovits (Un pittore 1971). 10 Clearly manifested most recently by Volpe (2002, 34–8) and Serena Romano (2010). 11 Hueck 1983. 12 See Romano 2010. 13 Indeed, we cannot overlook the terminus ante quem established by the page from an antiphonary of the Fondazione Cini in Venice, a work signed by Neri da Rimini and dated 1300. It was Alessandro Conti (1981, 56 and note 2, 61), followed by Alessandro Volpe (in Neri da Rimini 1995, 62–5, cat. 1, and in A. Volpe 2002, 21–8) who first noted the interpolation of the figures of the



2002, pp. 21-28), l’interpolazione delle figure della Vergine e di san Giovanni dolenti ai lati dell’Eterno, nella visione di Davide tipica per l’incipit «Aspiciens a longe» della prima domenica di Avvento, del tutto immotivata a livello iconografico, costituisce un chiaro ricalco dai terminali perduti della Croce giottesca, ricostruibili pure grazie alle derivazioni di Giovanni da Rimini. Si aggiunga che in questo foglio, che spicca rispetto alle seguenti interpretazioni del tema da parte di Neri, altrimenti grafiche e bidimensionali (dove occasionalmente ricorre l’interpolazione dei dolenti, ma orba dell’esplicita gestualità giottesca, ad esempio in un foglio già Longari: F. Lollini, in Neri da Rimini 1995, pp. 84-85, n. 8), è tanto coinvolto nel dialogo con i seguaci riminesi di Giotto che credo vada distinto l’intervento esecutivo nella sola testa dell’Eterno, così memore del Cristo risorto della collezione Jekyll, di una mano diversa da quella di Neri, più esplicitamente giottesca, che potrebbe a mio avviso essere quella di Giovanni da Rimini. Tutto ciò non fa che confermare ulteriormente il valore della miniatura come saldo ante quem per l’attività di Giotto a Rimini; esprime perplessità su tale argomento, in ultimo, Miklós Boskovits (2010, part. p. 59, nota 9), che pur crede alla datazione della Croce riminese prima di Padova. 14 C. Volpe 1963, part. p. 10. 15 Autografia rivendicata da Giorgio Bonsanti (1983, pp. 199205 e 2000, part. pp. 42-43). 16 Cämmerer-George 1966, p. 64. L’autrice enfatizza giustamente la posizione capitale del Polittico di Badia nell’evoluzione del polittico architettonico (ivi, pp. 50-65), sottolineando come «nessuno degli esempi più tardi della pittura su tavola, che sono da una parte più conservatori dall’altra più gotici e bidimensionali, raggiunge nella cornice la qualità del Polittico di Badia» (p. 64). 17 Per le sezioni della Maestà Rucellai e del Polittico di Badia si veda ivi, figg. 2 e 20, riprodotte in questo volume, figg. 10, 12. 18 La struttura del supporto e il suo assemblaggio sono illustrati da Stefano Scarpelli nel saggio in questo volume. 19 Per questa documentazione si veda Procacci 1962, pp. 17-20 e 38-43. 20 Il documento è riportato ivi, p. 14, nota 14. 21 Cfr. Israëls 2009, part. pp. 200-202 (nel contratto col carpentiere Bartolomeo di Giovannino d’Angelo per il polittico della Misericordia a Sansepolcro, nel 1428, tali pilastri sono esplicitamente previsti: «cum pedibus dicte tabule qui veniunt extra altare quod includi debet inter dictos pedes»). Si veda anche Gardner von Teuffel 1979. 22 Il polittico Baroncelli di Giotto, che conserva la predella originale integra, ha invece una larghezza corrispondente a quella della mensa eucaristica. Se fosse giusta l’ipotesi, a mio avviso sempre attuale, che il dossale con Storie di Cristo di Giotto, smembrato fra vari musei, avesse ornato l’altare maggiore di San Francesco a Sansepolcro, la sua larghezza ipotizzabile (cm 308; si veda Art in the Making 1990, p. 68) sarebbe poco inferiore a quella della mensa, datata 1304, tutt’ora in opera (cm 342,5). 23 La foto del tergo è riprodotta e commentata da Victor M. Schmidt (2003, p. 552), che segnala l’analogia con il polittico da cui viene la Madonna col Bambino del Maestro di Badia a Isola del Rijks­museum di Amsterdam, disegnato ancora integro da Ramboux, successivo perché coronato da cuspidi ogivali e non triangolari. 24 Cfr. P. La Porta, in Marco Romano 2010, pp. 262-263, n. 33. L’originale appartenenza ad un polittico-dossale sul genere di quello di Vigoroso è sostenuta da Schmidt (2003, p. 552). 25 Cfr. V.M. Schmidt, in Duccio. Siena 2003, pp. 198-199, n. 30.

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grieving Virgin and St John at the sides of the Heavenly Father, in the vision of David typical for the incipit “Aspiciens a longe” of the first Sunday of Advent. Entirely groundless on an iconographic level, it clearly copies the lost terminal elements of Giotto’s Crucifix, which were also reconstructed thanks to the derivations of Giovanni da Rimini. It must also be noted that this folio stands out with respect to Neri’s later interpretations of the theme, which are instead graphic and two-dimensional (in which he occasionally goes back to the interpolation of the grieving Virgin and St John, but without the explicit gestuality of Giotto’s work, for an example on a folio that was part of the Longari collection: F. Lollini, in Neri da Rimini 1995, 84–5, cat. 8). We thus find such great involvement in the dialogue with Giotto’s Riminese followers that, solely with reference to the head of the Heavenly Father so reminiscent of the Jekyll Resurrection, I think we must distinguish a hand other than Neri’s, which is more explicitly Giottesque: a hand I believe can be identified as that of Giovanni da Rimini. All of this simply provides further confirmation of the value of this miniature as a solid terminus ante quem for Giotto’s activity in Rimini; perplexities were recently raised by Boskovits (2010, specifically 59 n. 9), although he believes that the Rimini Crucifix predates Padua. 14 C. Volpe 1963, specifically 10. 15 Autography sustained by Giorgio Bonsanti (1983, 199–205 and 2000, specifically 42–3). 16 Cämmerer-George 1966, 64. The author rightly emphasizes the crucial position of the Badia Polyptych in the development of the architectural polyptych (50–65), noting that “none of the later examples of painting on wood, which are more conservative, on the one hand, and more Gothic and two-dimensional, on the other, achieved the quality of the Badia Polyptych in their frames” (64). 17 Ibid., section 2 (Rucellai Madonna) and section 20 (Badia Polyptych), reproduced here, figs. 11 and 12. 18 Stefano Scarpelli has illustrated the structure of the support and its assembly in an essay in this volume. 19 For this documentation see Procacci 1962, 17–20 and 38–43. 20 Ibid., 14, note 14. 21 See Israëls 2009, particularly 200–2 (these columns were explicitly mentioned in the contract with the carpenter Bartolomeo di Giovannino d’Angelo for the Misericordia Polyptych in Sansepolcro, in 1428: “cum pedibus dicte tabule qui veniunt extra altare quod includi debet inter dictos pedes”). See also Gardner von Teuffel 1979. 22 The width of Giotto’s Baroncelli Polyptych, whose original predella has been preserved in its entirety, instead matches that of the altar. If the hypothesis—still current, in my opinion—is correct that the dossal with Giotto’s Stories of Christ, dismembered among various museums, adorned the high altar of San Francesco in San­ sepolcro, its presumable width (308 cm; see Art in the Making 1990, 68) would be slightly smaller than that of the altar, dated 1304 and still in use (342.5 cm). 23 The photo of the back was reproduced and commentated by V.M. Schmidt (2003, 552), who reported the parallels with the polyptych that was the provenance of the Madonna and Child by the Master of Badia a Isola, now in the Rijksmuseum in Amsterdam, sketched by Ramboux when it was still all in one piece, and which is later because it was topped by ogival rather than triangular gables. 24 See P. La Porta, in Marco Romano 2010, 262–3, no. 33. Schmidt sustains that it originally pertained to a polyptych-dossal such as Vigoroso’s (2003, 552). 25 See V.M. Schmidt, in Duccio. Siena 2003, 198–9, no. 30. 26 See notes 42–3 below. The equidistant position of the three

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geometria e naturalezza, modulo e ritmo–––geometry and naturalness, module and rhythm

26 Si veda infra, note 42-43. La posizione equidistante dei tre chiodi farebbe pensare che il vertice del complesso originale non fosse molto più alto del profilo ritagliato della centina, e quindi indicherebbe una struttura simile piuttosto a quella dei dossali guideschi, low gabled dossals, che non agli pseudo-polittici di Vigoroso e del Maestro di Badia a Isola (vedi supra, nota 23). 27 Per una proposta di ricostruzione dell’aspetto originale del polittico di Santa Reparata si veda De Marchi 2004, pp. 18-20. 28 Cfr. A. Tartuferi in L’eredità di Giotto 2008, pp. 88-91, n. 1. Il polittico, che credo databile verso il 1320, al tempo appunto dei murali Peruzzi, è inserito in una cornice falsa, assai greve, che sospetto abbia sacrificato qualche centimetro di pittura originale in basso, perché il taglio delle maniche di san Giovanni Evangelista e di san Francesco, che ne rifila un’estremità minima, sembra strano; con un po’ di agio in più le figure apparivano probabilmente meno affogate e più grandiose, ed era meglio valorizzata l’idea bellissima del lembo destro del mantello della Vergine che si affloscia sul bordo della cornice. L’apprezzamento della qualità di quest’opera è senz’altro ostacolato dalla consunzione e dai restauri generosi, come in tante opere appartenute a Samuel Kress. Il primo impatto è quello di figure un po’ bloccate, che però nascondono nei dettagli finezze notevoli di invenzione: come nella mano sinistra di san Francesco, che s’appoggia dolcemente all’altro braccio e con di­scre­ta nonchalance scopre la ferita del costato col movimento quasi impercettibile del pollice e dell’indice. In ogni caso colpisce la programmatica austerità, legata all’insolita riproposizione del tema bizantino e ieratico della Deesis, al centro (come nel gradino orafo dell’altare del Battistero, del giottesco Andrea Pucci Sardi, del 1313); ciò spiega l’essenzialità dei nimbi delimitati solo da un doppio giro di granitura, senza altre decorazioni, la gemmatura bizantineggiante delle braccia del nimbo crucigero, la crisografia della manica di Cristo e in ultima analisi probabilmente anche l’adozione della struttura più arcaica, in linea coi dossali duecenteschi, a legni orizzontali. 29 Un caso particolare è costituito dal polittico bilaterale del Maestro delle Effigi Domenicane conservato all’Accademia: proveniente da un monastero femminile camaldolese (cfr. A. Tartuferi, in Cataloghi 2003, pp. 145-150), ha una insolita forma riquadrata, probabilmente perché era incastonato nel divisorio fra la chiesa e il coro delle monache, ciò che potrebbe spiegarne la non meno insolita opistografia. 30 Cfr. A. De Marchi, in Entre Tradition et Modernité 2008, pp. 24-37, s.n. 31 Vi si conformò anche Cimabue alla fine della sua vita, nel sorprendente progetto di polittico a due ordini che si era impegnato a dipingere con il pistoiese Giovanni di Apparecchiato per Santa Chiara a Pisa (cfr. De Marchi 2004, pp. 22-23). Come mi segnala Victor M. Schmidt la mia interpretazione di «angelis pasis et scorniciatis» al vertice delle cuspidi era scorretta, dal momento che «scorniciatis» voleva dire provvisti di cornice e non scorniciati; questi angeli «pasi», che va inteso in senso analogo a ostensi, dovevano allora impostarsi sopra i pannelli dell’ordine superiore come quelli del polittico duccesco dallo Spedale di Santa Maria della Scala, primo esempio a noi noto di polittico con registro superiore, a mio avviso a monte della stessa Maestà del Duomo. 32 Cfr. Boskovits 1984, pp. 13-14 e 131; l’attribuzione al Maestro di Santa Cecilia risale a Roberto Longhi (1948, p. 53). 33 Cfr. A. De Marchi, in Umbri e toscani 1988, pp. 53-58, s.n. Per l’attribuzione al Maestro di Mezzana si veda Tartuferi 1990, p. 66, nota 13. Agli inizi del Maestro di Mezzana, già identificato con Bettino di Corsino da Prato (cfr. Boskovits 1984, pp. 25-26 e 165-

nails seems to indicate that the vertex of the original complex was not much higher than the carved profile of the arch, thus pointing to a structure quite similar to that of Guidesque dossals, i.e. low gabled dossals, rather than the pseudo-polyptychs of Vigoroso and the Master of Badia a Isola (see note 23). 27 For a proposed reconstruction of the original appearance of the Santa Reparata polyptych, see De Marchi 2004, 18–20. 28 See A. Tartuferi in L’eredità di Giotto 2008, 88–91, cat. 1. The polyptych, which I believe can be dated around 1320, the period of the Peruzzi murals, is set in a faux frame that is quite oppressive. I suspect it sacrificed a few centimetres of the original painting along the bottom because the cut of the sleeves of St John the Evangelist and St Francis, eliminating only a small part, seems strange. With a little more clearance the figures probably looked grander and less crowded, and the marvellous idea of the right edge of the Virgin’s mantle, falling on the border of the frame, would have been enhanced. Appreciation for the quality of this work is unquestionably impeded by wear as well as the extensive restoration work that was done on it, as is the case for many works once owned by Samuel Kress. The first impact is that of figures that seem somewhat frozen. Nevertheless, their details contain exceptionally inventive subtleties such as St Francis’ left hand resting gently on his other arm and, with modest nonchalance, uncovering the wound in his side with an almost imperceptible movement of his thumb and index finger. In any case, what is striking here is the programmatic austerity, tied to the unusual reproposition of the hieratic Byzantine theme of the Deesis, in the centre (like the gilded decoration of the step of the altar of the Baptistery, by the Giottesque Andrea Pucci Sardi, dated 1313); this explains the simplicity of the haloes, edged simply with a double row of granulation without any other decorations, the Byzantine bejewelling of the arms of the cruciform halo, the chrysography of Christ’s sleeve and, in the final analysis, probably also the adoption of the most archaic structure—in line with 13th-century dossals—with crosspieces. 29 The two-sided polyptych at the Accademia by the Master of the Dominican Effigies, from a Camaldolese convent, is a peculiar case (see A. Tartuferi, in Cataloghi 2003, 145–50). It has an uncommon square shape, probably because it was set in the partition dividing the church from the nuns’ choir, an aspect that might also explain its equally unusual opisthography. 30 See A. De Marchi, in Entre Tradition et Modernité 2008, 24–37, unnumbered entry. 31 Cimabue also embraced it towards the end of his life in the surprising project for the double-tiered polyptych that he undertook with the Pistoia painter Giovanni di Apparecchiato for Santa Chiara in Pisa (see De Marchi 2004, 22–3). As V.M. Schmidt has indicated to me, my interpretation of “angelis pasis et scorniciatis” at the top of the gables was incorrect, given that “scorniciatis” meant with a frame rather than without one; thus, these ‘frontally displayed’ angels must have been set over the panels of the upper order like those of Duccio’s polyptych from the Spedale di Santa Maria della Scala, the first known example of a polyptych with an upper register and, in my opinion, earlier than the Maestà in the cathedral. 32 See Boskovits 1984, 13–4 and 131. Roberto Longhi (1948, 53) can be credited with the attribution to the Master of St Cecilia. 33 See A. De Marchi, in Umbri e toscani 1988, 53–8, unnumbered entry. For the attribution of the Mezzana Master, see Tar­tu­ feri 1990, 66, note 13. I suspect that the Mezzana Master, identified as Bettino di Corsino of Prato (see Boskovits 1984, 25–6 and 165–7, but it seems that this theory is questionable) can be credited



167, ma pare che questa proposta debba essere rimessa in questione), sospetto possa spettare il notevole Crocefisso di San Pietro a Monticelli (cfr. ivi, pp. 24, 162-163, come vicino al Maestro del Crocefisso di San Quirico), il cui tabellone di sinistra con la Vergine dolente va identificato in una tavola già nella collezione Mason Perkins a Lastra a Signa attribuita al Maestro della Pietà Fogg da Richard Offner (1956, pp. 68-69, tav. XIX), e a Pietro Lorenzetti da Boskovits (1986, part. p. 7, fig. 10a). Il motivo della targa epigrafica interrotta dal nimbo è presente pure in un San Felice attribuito da Offner al Maestro di Vicchio a Rimaggio, già a Venezia in collezione Cini, proveniente da San Felice in Piazza (Offner 1956, pp. 116-117), e nell’anta destra, con San Pietro marciante, di un trittico a mio avviso del Maestro delle Effigi Domenicane (alias Maestro del Biadaiolo), che nel 1999 vidi presso l’antiquario Bresset a Parigi: Madonna col Bambino fra san Francesco stimmatizzato e san Pietro. Un dettaglio della sola figura della Madonna col Bambino è riprodotto da Dorothy C. Shorr (1954, p. 100: «Type 13. Florence 3»), genericamente come opera fiorentina, già appartenuta alla collezione del barone de Cosson a Firenze. 34 Cfr. Peroni 1992, part. pp. 26, 28 e 35 nota 48 (che commenta le incisioni del nimbo della Vergine con «leoni alati» – ma le ali sono fogliate e la coda anguiforme ha desinenza fitomorfa nel racemo – sulla scorta dell’apertura di Oertel, che anche in forza di tali lavorazioni rivendicava contro Offner a Giotto stesso la Madonna di San Giorgio alla Costa) e Bracco 1995, part. pp. 70-72, figg. 9-11. 35 Questa problematica è ampiamente affrontata nella sua tesi di laurea da Giulia Scarpone (2010/2011), i cui esiti verranno pubblicati in un articolo sul «Bollettino d’arte». Per la Croce di Cimabue ad Arezzo si veda anche Restauri 2008. 36 Rilievo in Peroni 1992, p. 20, fig. 4. 37 Manca ancora una discussione adeguata delle incisioni dell’oro nella Maestà Rucellai. Intanto si vedano Skaug 1994, II, pp. 502-526 e Polzer 1999 (peraltro con inferenze inaccettabili sulle Madonne col Bambino Kahn e Mellon della National Gallery di Washington, opere di stretto conio paleologo inconcepibili in Toscana). 38 Cfr. Bracco-Ciappi 2001, part. pp. 284-288, figg. 35-36. 39 Sul problema della datazione della Croce di Ognissanti si veda l’intervento di Boskovits (2010), assai impegnato e convincente nell’individuare la seriazione interna delle Croci giottesche, anche se per quanto riguarda la cronologia assoluta io ritengo troppo precoce quella proposta all’inizio del secondo decennio, in coerenza con l’idea che anche i murali Peruzzi si collochino così presto. I rapporti stilistici più stretti, per la Croce di Ognissanti, sono infatti con il polittico di Raleigh, pur di qualità un po’ inferiore a fronte della sublime autografia della Croce – fatto salvo un possibile intervento della bottega nel Cristo risorto, come bene suggerito da Marco Ciatti (2010, part. pp. 73-74) – e con le pitture della cappella Peruzzi, che credo databili verso il 1320, non già in una fase intermedia fra la cappella della Maddalena e le Storie dell’infanzia di Cristo del transetto destro della basilica inferiore di Assisi. Il rapporto fra il Cristo risorto della Croce fiorentina e quello benedicente affrescato sull’imbotte di accesso dal transetto al chiostro, su cui insiste anche Boskovits, credo vada allora interpretato come una dipendenza del primo dal secondo e non viceversa: solo nella particolare situazione ambientale assisiate, per un’immagine rivolta ai frati che rientravano nel convento e vi passavano sotto, vedendola in scorcio, si giustifica l’invenzione straordinaria del moto ineunte di benedizione. Ma su questi problemi di cronologia giottesca e sulla seriazione delle Croci del maestro spero di tornare più estesamente in altra sede.

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with the exceptional Crucifix of San Pietro in Monticelli in the early years of his career (ibid., 24 and 162–3, as close to the Master of the San Quirico Crucifix); its left panel depicting the grieving Virgin can be identified as one that was formerly part of the Mason Perkins Collection at Lastra a Signa, attributed to the Master of the Fogg Pietà by Richard Offner (1956, 68–9, plate XIX), and to Pietro Lorenzetti by Boskovits (1986, specifically 7, fig. 10a). The motif of the epigraphic inscription broken up by the halo is also present in a St Felix that Offner (1956, 116–7) attributed to the Master of Vicchio di Rimaggio, formerly in the Cini Collection in Venice, from San Felice in Piazza, and on the right wing (with the Marching St Peter) of a triptych I think must be by the Master of the Dominican Effigies (also called the Biadaiolo Master), which in 1999 I saw at the Parisian antiquarian Bresset (Madonna and Child with St Francis Receiving the Stigmata and St Peter). The detail of the figure of the Madonna and Child was reproduced by Dorothy C. Shorr (1954, 100: “Type 13, Florence 3”), listed generically as a Florentine work that formerly pertained to the collection of the Baron de Cosson in Florence. 34 See Peroni 1992, specifically 26, 28 and 35 note 48 (commentating the incising of the Virgin’s halo with “winged lions”— but the wings are made of gold leaf and the snake-like tail has phytomorphic allusions in the tendril—based on the insight of Oertel who, also because of such workmanship, went against Offner to attribute the Madonna of San Giorgio alla Costa to Giotto). See also Bracco 1995, specifically 70–2, figs. 9–11. 35 This problem was examined in depth by Giulia Scarpone in her university thesis (2010/11), the results of which will be published in an article in the Bollettino d’arte. For Cimabue’s Crucifix in Arezzo see also Restauri 2008. 36 Survey in Peroni 1992, 20, fig. 4. 37 There is still no adequate discussion of the gold incising in the Rucellai Madonna. In the meantime see Skaug 1994, II, 502–26, and Polzer 1999 (also with several unacceptable inferences regarding the Kahn and Mellon Madonnas at the National Gallery in Washington, D.C., works with a strict Palaeologan mark that would be inconceivable in Tuscany). 38 See Bracco-Ciappi 2001, specifically 284–8, figs. 35–6. 39 On the problem of dating the Ognissanti Crucifix, see M. Boskovits (2010), which is quite compelling in identifying the internal seriation of Giotto’s crucifixes, although with regard to the absolute chronology I think the proposal of the beginning of the second decade is too early, in keeping with the idea that the Peruzzi frescoes are also positioned so early. The closest stylistic relations for the Ognissanti Crucifix are with the Raleigh polyptych, although the latter is of slightly lower quality with respect to the sublime authorship of the Crucifix—with the exception of the possible intervention of the workshop in the figure of Christ Res­ urrected, as Marco Ciatti interestingly suggested (2010, specifically 73–4)—and with the paintings in the Peruzzi Chapel, which I think are datable to 1320, rather than an intermediate phase between the Magdalene Chapel and the Stories of the Childhood of Jesus in the right transept of the Lower Church in Assisi. I agree with Boskovits that the relationship between the figure of Christ Resurrected in the Florentine Crucifix and that of the Blessing Christ frescoed on the intrados leading to the transept from the cloister should thus be interpreted in terms of the former depending on the latter and not vice versa. Only the particular setting in Assisi, in which the image was intended for the friars returning to the monastery, walking beneath it and seeing it foreshortened, can justify the extraordinary invention of the initiating benedicto-

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geometria e naturalezza, modulo e ritmo–––geometry and naturalness, module and rhythm

40 Cfr. Bracco-Ciappi-Hilling 2010, part. pp. 118-119, figg. 34-35. 41 Cfr. Bellosi 1985, p. 85. 42 Cfr. ivi, pp. 175-179; Bellosi 2002; per l’affresco delle Due Porte, già collegato alle prime opere di Giotto ad Assisi da Carlo Ludovico Ragghianti (1969), si veda Bellosi 2003, pp. 116-117. 43 Cfr. in sintesi L. Bellosi, in Giotto. Bilancio critico 2000, pp. 98-100, n. 1 (come opera di Cimabue con l’eventuale collaborazione del giovane Giotto); I. Ciseri, in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 179-180, n. 23 (come Cimabue). 44 Spero che il materiale raccolto da Giulia Scarpone nella sua tesi (si veda supra, nota 35) possa confluire insieme con quello emerso dalle indagini e dal restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure, ad opera di Francesca Bettini, sotto la guida di Cecilia Frosinini e Marco Ciatti, in un’organica pubblicazione. 45 Tale schema chiastico era già stato segnalato dal sempre acuto Robert Oertel (1937, p. 233), che commentava le affinità fra i nimbi della Madonna col Bambino di San Giorgio alla Costa, del Polittico di Badia e della Maestà di Ognissanti. È commentato inoltre in Bracco-Ciappi (2001, p. 352). 46 Skaug 1994, II, pp. 505-526, appendice II, Symmetry vs. non-simmetry (il caso del Polittico di Badia non è tra quelli da lui censiti, ma conferma in pieno la sua lettura complessiva). Lo studioso norvegese è tornato sul tema in Skaug 2007.

ry gesture. Nevertheless, I hope to return to these problems of the chronology of Giotto’s works and the seriation of his Crucifixes elsewhere. 40 See Bracco-Ciappi-Hilling 2010, specifically 118–9, figs. 34–5. 41 See Bellosi 1985, 85. 42 Ibid., 175–9; Bellosi 2002, 147–59; for the fresco at Due Por­ te, already connected with Giotto’s first works in Assisi by Carlo Ludovico Ragghianti (1969), see Bellosi 2003, 116–7. 43 See L. Bellosi, in Giotto. Bilancio critico 2000, 98–100, cat. 1 (as the work of Cimabue with the possible collaboration of the young Giotto); I. Ciseri, in Giotto e il Trecento 2009, II, 179–80, cat. 23 (as Cimabue). 44 I hope that the material collected by Scarpone in her thesis (see note 35 above) can be combined with the results of the investigations and restoration at the Opificio delle Pietre Dure by Fran­ cesca Bettini, under the guidance of Cecilia Frosinini and Marco Ciat­ti, in an organic publication. 45 This chiastic pattern was already reported by the exceptionally perceptive Robert Oertel (1937, 233), who commented on the affinities linking the haloes of the Madonna and Child of San Giorgio alla Costa, the Badia Polyptych and the Ognissanti Madonna. It is also mentioned by Bracco-Ciappi (2001, 352). 46 Skaug 1994, II, 505–26, appendix II, Symmetry vs. Non-symmetry (the Badia Polyptych is not one among the works he considered, but it fully confirms his overall interpretation). The Norwegian scholar returned to the subject in Skaug 2007.

L’opera The Work

di | by

angelo tartuferi

Giotto di Bondone (Firenze? 1267 ca.-Firenze 1337)

Giotto di Bondone (Florence? c. 1267–Florence 1337)

Polittico di Badia

Badia Polyptych

pannello centrale: Madonna col Bambino; scomparti laterali, da sinistra: i santi Nicola di Bari, Giovanni Evangelista, Pietro e Benedetto; tondo della cuspide centrale: Cristo benedicente; tondi delle cuspidi laterali: angeli.

central panel: Madonna and Child; side panels, from the left: St Nicholas of Bari, St John the Evangelist, St Peter and St Benedict; tondo of the central gable: Blessing Christ; tondi of the lateral gables: Angels.

1295-1300

1295–1300

tavola; cm 137,5 [144 con lo zoccolo moderno] × 345; scomparto centrale (Madonna col Bambino): parte interna cm 97,2 × 62, altezza complessiva 137,5; laterale sinistro esterno (San Nicola): parte interna cm 91,5 × 53,5, altezza complessiva 133; laterale sinistro interno (San Giovanni): parte interna cm 91,5 × 53, altezza complessiva 133,8; laterale destro interno (San Pietro): parte interna cm 91 × 52,5, altezza complessiva 134; laterale destro esterno (San Benedetto): parte interna cm 91,5 × 53,7, altezza complessiva 134; tondi delle cuspidi: Ø cm 14,5.

panel; 137.5 [144 with the modern base] × 345 cm; central panel (Madonna and Child): internal part 97.2 × 62 cm, total height 137.5 cm; external left side panel (St Nicholas): internal part 91.5 × 53.5 cm, total height 133 cm; internal left side panel (St John): internal part 91.5 × 53 cm, total height 133.8 cm; internal right side panel (St Peter): internal part 91 × 52.5 cm, total height 134; external right side panel (St Benedict): internal part 91.5 × 53.7 cm, total height 134 cm; tondi of the gables: Ø 14.5 cm.

Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. Dep. Santa Croce n. 7 (in origine nella chiesa di Badia)

Florence, Galleria degli Uffizi, inv. Dep. Santa Croce no. 7 (originally at the church of Badia)

La tavola dell’altar maggiore della chiesa di Badia è ricordata come opera di Giotto, insieme agli affreschi, dal Ghiberti nei Commentarii (1450 circa) e da Giorgio Vasari nella seconda edizione delle Vite (1568). La non facile identificazione dell’opera – dal momento che essa non era stata minimamente descritta dalle fonti suddette – fu effettuata da Ugo Procacci grazie alla «fortunata circostanza» (Procacci 1962, p. 13) causata dallo spostamento del polittico dal Museo dell’Opera di Santa Croce a causa della guerra. Sul tergo fu possibile leggere i resti di un cartellino apposto al momento della soppressione napoleonica dei conventi, nel 1810, in occasione del trasferimento presso il deposito del Museo di San Marco, che ne attestava la provenienza dalla Badia fiorentina. Nel fondamentale articolo pubblicato dal Procacci solo molti anni dopo, sono riportati in appendice i documenti dell’Archivio delle Gallerie di Firenze e dell’Accademia di Belle Arti che attestano il trasferimento dell’opera dapprima nel deposito del Convento di San Marco e, successivamente, nel Convento di Santa Croce (Procacci 1962, pp. 44-45). Negli anni 14511453, su commissione di Gherardo di Astore, il polittico venne sottoposto ad un riadattamento al gusto rinascimentale e riquadrato nella parte superiore con l’aggiunta di quattro serafini dipinti (figg. 1-2) entro gli spazi triangolari fra le cuspidi, secondo l’uso caratteristico dell’epoca documentato in molte altre occasioni (Procacci 1962, pp. 17-20; Filippini 1992, pp. 199209). I documenti relativi a questo lavoro menzionano il pittore Jacopo d’Antonio, che il Procacci proponeva d’identificare nello «Jacopo del Corso» citato dall’Anonimo Magliabechiano e da Vasari e al quale attribuiva per l’appunto i cherubini, pur riconoscendone le forti tangenze stilistiche con il Pesellino. Tut-

Both Lorenzo Ghiberti’ Commentarii (c. 1450) and Giorgio Va­­sa­ri’s second edition of The Lives of the Artists (1568) mention that Giotto painted the polyptych on the high altar as well as the frescoes in the Badia church. However, neither source provides even a minimal description of the work and Ugo Procacci can be credited with arriving at its difficult identification, thanks to the “fortunate circumstance” (Procacci 1962, 13) of the transfer of the polyptych from the Museo dell’Opera di Santa Croce during the war. The reverse bears the legible remains of a label indicating that the panel was from the Florentine abbey and affixed to the work when it was transferred to the storerooms of the Museo di San Marco following the Napoleonic suppression of religious houses in 1810. The appendix of the fundamental article published by Procacci many years later lists the documents from the Archivio delle Gallerie in Florence and the Accademia di Belle Arti attesting that the work was first transferred to the deposit of the convent of San Marco and then to the convent of Santa Croce (Procacci 1962, 44–5). In 1451–3 Gherardo di Astore had the polyptych altered to cater to Renaissance tastes. It was squared along the top by adding four cherubs (figs. 1–2) painted in triangular spaces between the gables, according to the custom of the era, which has been corroborated extensively (Procacci 1962, 17–20; Filippini 1992, 199–209). The documents for this work mention the painter Jacopo d’Antonio, who Procacci suggested was the “Jacopo del Corso” cited by the Anonimo Ma­gliabechiano and Vasari, and to whom the scholar attributed the cherubs, albeit acknowledging powerful stylistic parallels with Pesellino. Nevertheless, based on Miklós Boskovits’ suggestion it has recently been theorized that these additions



angelo tartuferi 56

1-2. Francesco di Stefano, detto Pesellino (attribuito), Serafini, parte della riquadratura quattrocentesca del Polittico. Firenze, Galleria degli Uffizi.

1–2. Francesco di Stefano, called Pesellino (attributed), Seraphim, part of the 15th-century additions to reframe the polyptych. Florence, Galleria degli Uffizi.

tavia, in tempi recenti, dopo un suggerimento del Boskovits, è stato proposto di riferire questi brani pittorici al Pesellino e tale attribuzione appare senza dubbio assai convincente sulla base dell’analisi stilistica (A. Staderini, in Beato Angelico a Pontassieve 2010, pp. 158-162, n. 15). Nel febbraio 1568 il polittico fu sostituito da una grande pala di Giorgio Vasari e trasferito all’interno del convento, nel vestibolo del refettorio, come afferma il Puccinelli (1664). In tale ubicazione l’opera dovette rimanere almeno fino al 1730 (Borghini 1584, ed. Bottari 1730, p. 233), e forse fu in seguito spostata in luogo meno accessibile poiché non è menzionata dal Richa (1754). Come già ricordato, nel 1810 l’opera fu trasferita a San Marco e, nel 1813, fu portata a Santa Croce, dov’è ricordata esposta in sacrestia verso la metà dell’Ottocento (Fantozzi 1842). Trasferita nel Museo dell’Opera di Santa Croce dall’epoca della sua fondazione, fu esposta alla Mostra Giottesca (Sinibaldi-Brunetti 1943, p. 361) come proveniente da quel museo (Inv. n. 7). Dopo il restauro del 1958 fu ripresentato al pubblico agli Uffizi, mentre in occasione della disastrosa alluvione del 1966 fu salvato appena in tempo dalle acque (Baldini 1967, p. 55); dal 21 dicembre 1966 è esposto nella Galleria degli Uffizi. Dopo il restauro oggetto del presente volume l’opera fu esposta alla grande mostra svoltasi a Roma presso il Complesso del Vittoriano, dal 7 marzo al 29 giugno 2009. Rientrata agli Uffizi, fu esposta in San Pier Scheraggio dal 15 settembre 2009 alla fine del mese, prima di essere ricollocata nella sala delle Maestà. Assegnato in un primo tempo dal Thode (1885) a un ignoto contemporaneo di Giotto, il polittico fu in seguito dallo stesso studioso (Thode 1899) ritenuto opera giovanile di Giotto databile intorno al 1300, e identificato ipoteticamente con una delle quattro tavole dell’artista citate dal Ghiberti nella chiesa di Santa Croce. Ancora a Giotto l’opera fu attribuita dal Sirén (1906), che tuttavia in un intervento successivo (1923) ne identificò l’autore in uno dei più stretti seguaci del maestro,

were painted by Pesellino, an attribution that is unquestionably compelling based on stylistic analysis (A. Staderini, in Beato Angelico a Pontassieve 2010, 158–62, no. 15). In February 1568 the polyptych was replaced by Vasari’s large altarpiece and transferred to the convent, where it was placed in the hall of the refectory, as reported by Placido Puccinelli (1664). The work remained there until at least 1730 (Borghini 1584, ed. Bottari 1730, 233), and may have been moved later to a less accessible place, as it was not mentioned by Giuseppe Richa (1754). As already noted, in 1810 the work was moved to San Marco and in 1813 it was brought to Santa Cro­ce, where it is documented as having been displayed in the sacristy towards the mid-19th century (Fantozzi 1842). Transferred to the Museo dell’Opera di Santa Croce when it was founded, it was then shown at the Giotto exhibition (Sinibaldi-Brunetti 1943, 361), where the museum was listed as its provenance (inv. no. 7). After it was restored in 1958 it was presented again to the public at the Uffizi, and during the disastrous flood of 1966 it was saved from the water just in time (Baldini 1967, 55); it has been on display at the Uffizi since 21 December 1966. Following the restoration illustrated in this book, the work was shown at the major exhibition held in Rome at the Complesso del Vittoriano from 7 March to 29 June 2009. Brought back to the Uffizi, it was displayed for two weeks at San Pier Scheraggio from 15 September 2009, after which it was returned to the Sala delle Maestà. Henry Thode (1885) initially attributed the polyptych to an anonymous contemporary of Giotto, but the scholar later deemed it to be a youthful work by the master (Thode 1899) datable around 1300 and hypothetically identifiable as one of the four panels by the artist that, according to Ghiberti, were in the church of Santa Croce. Osvald Sirén (1906) also attributed it to Giotto, but in a later publication (1923) he identified the author as one of the master’s closest followers, crediting

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l’opera–––the work

cui si potevano attribuire – oltre che il polittico allora nel Museo di Santa Croce – gli affreschi della cappella di San Nicola nella basilica inferiore di San Francesco in Assisi e alcune parti della vicina cappella della Maddalena, nonché la Madonna col Bambino dell’Ashmolean Museum di Oxford. Lo studioso non escludeva inoltre la possibilità di poter identificare questo artista con lo Stefano da Firenze lodato dalle fonti antiche. L’attribuzione del polittico al Maestro della cappella di San Nicola trovò un autorevolissimo sostenitore in Richard Offner (1930), mentre l’ascrizione a Giotto era accolta anche dal Suida (1908; 1909), che la riconfermava anche molti anni dopo (1931; 1937), sottolineando tuttavia come il pessimo stato di conservazione dovesse indurre comunque ad una legittima prudenza. Il riferimento a Giotto fu invece decisamente scartato a suo tempo dal Rintelen (1912). D’altra parte, non ha avuto seguito il tentativo di attribuire l’opera a Pacino di Bonaguida da parte del Van Marle (1924), con l’eccezione del solo Chiappelli (1925), mentre per il Toesca (1929) essa sarebbe vicina al miglior pittore riscontrabile al lavoro all’interno della cappella di San Nicola ad Assisi. Il Beenken (1934) la ritenne di Giotto ma di data sensibilmente tarda, verso il 1330, e la identificò con la tavola dipinta per la cappella dedicata a San Niccolò, di patronato Buonaccolsi, posta sotto l’altar maggiore di Santa Croce a Firenze. Il Coletti (1937-1938) ne sottolineò l’altissima qualità, a dispetto del disastroso stato di conservazione, e ritenendo il polittico opera certa di Giotto l’avvicinò all’altro avente per centro la Madonna Goldman (Washington, D.C., National Gallery of Art). Esso fu giudicato tuttavia opera della bottega del maestro da Oertel (1937) e da Mario Salmi (1937); lo studioso tedesco però mutò decisamente parere (Oertel 1949), ammettendo l’indubbia vicinanza dell’opera alla Croce di Santa Maria Novella e proponendo una datazione compresa negli anni 1290-1303. In effetti, nel dopoguerra, la diffusione della notizia relativa all’identificazione dell’opera con la tavola dell’altar maggiore della chiesa di Badia menzionata dal Ghiberti ne favorì indiscutibilmente l’inserimento in maniera stabile fra le opere ritenute autografe di Giotto, senza trascurare alcune autorevoli opinioni contrarie al riguardo. La più autorevole in assoluto rimane quella di Pietro Toesca (1951), che nel riconfermare la sua antica opinione relativa alla vicinanza dell’opera alle parti qualitativamente più alte della cappella di San Nicola nella basilica inferiore di San Francesco in Assisi, parlava di«un discepolo che mantiene un certo arcaismo così negli atti immobili come nel profilare e nel rilievo aspro». E ancora di un’opera di bottega si tratta per Longhi (1948) – che ne ipotizzava una datazione un poco più tarda nel corso del primo decennio – e per il Salvini (Tutta la pittura 1952). La datazione generalmente prevalente intorno al 1300, tra Assisi e Padova, e la decisa attribuzione a Giotto, fu affermata dallo Gnudi (1959) e dal Procacci (1962), che nondimeno proposero entrambi la probabile collaborazione del Maestro della Santa Cecilia, in particolare nei tondi delle cuspidi con il Cristo e quattro angeli; un’ipotesi, quest’ultima, giustamente negata da Carlo Volpe (1963) e da Previtali (1967). Ma un’ulteriore ipotesi di collaborazione nell’opera, a favore dell’autore dei già menzionati affreschi della cappella di San Nicola di patronato Orsini ad Assisi, è stata prospettata anche in anni più vicini a noi da opinioni critiche assai autorevoli.

him not only with the polyptych, which was at the Museo di Santa Croce at the time, but also the frescoes of the Chapel of San Nicola in the Lower Church of San Francesco in Assisi, several parts of the nearby Chapel of the Maddalena and the Ma­donna and Child at the Ashmolean Museum in Oxford. Furthermore, the scholar did not reject the possibility that the artist might be Stefano da Firenze, who was praised by ancient sources. The attribution of the polyptych to the Master of the Chapel of San Nicola gained a highly authoritative backer in Richard Offner (1930), whereas Giotto’s authorship was also accepted by William Suida (1908, 1909), who again confirmed this many years later (1931, 1937) but emphasized that caution was essential because the work was in such poor condition. The attribution to Giotto was rejected outright by Friederich Rintelen (1912). At the same time, Raimond Van Marle’s proposal (1924) that the work was by Pacino di Bonaguida met with little consensus, the sole exception being Alessandro Chiappelli (1925), while Pietro Toesca (1929) felt it was closer to the best painter noted in the Chapel of San Nicola in Assisi. While Hermann Beenken (1934) thought Giotto was the author, he dated the work much later, around 1330, identifying it as the panel painted for the chapel dedicated to San Niccolò, commissioned by the Buonaccolsi family and located under the high altar of Santa Croce in Florence. Luigi Coletti (1937–8) emphasized its extremely high quality despite its disastrous state of preservation and, deeming the polyptych to be unquestionably Giotto’s work, compared it with another painting with the Virgin as the central figure, the Goldman Madonna (Washington, D.C., National Gallery of Art). Nevertheless, Robert Oertel (1937) and Mario Salmi (1937) considered it the work of the master’s bottega, although the German scholar subsequently changed his mind (Oertel 1949) and acknowledged the work’s unquestionable proximity to the Crucifix at Santa Maria Novella, dating it between 1290 and 1303. Following the Second World War the work was identified as the panel from the high altar of the Badia church mentioned by Ghiberti and circulation of this attribution unquestionably led to its inclusion in the catalogue of works considered to be autographic. Nevertheless, several eminent scholars disagreed, the most authoritative being Pietro Toesca (1951). The art historian reconfirmed his earlier opinion that the work showed parallels with the finest sections at the Chapel of San Nicola in the Lower Church of San Francesco in Assisi and mentioned “a disciple who maintains a certain archaism in the fixity of action as well as outlining and harsh relief”. Likewise, Roberto Lon­ ghi (1948)—who dated it shortly after the first decade—and Roberto Salvini (Tutta la pittura 1952) attributed it to Giotto’s bottega. The general dating of the polyptych around 1300, and thus between Giotto’s works in Assisi and Padua, and its decisive attribution to Giotto were affirmed by Cesare Gnudi (1959) and Procacci (1962), both of whom suggested that the Master of St Ce­cilia had probably collaborated on it, particularly in the tondi of the gables with Christ and four angels; the latter hypothesis was rightly rejected by Carlo Volpe (1963) and Giovanni Previtali (1967). Nevertheless, the possibility that the author of the frescoes in the Chapel of San Nicola, commissioned in Assisi by the Or­ si­ni family, collaborated on the polyptych was again suggested



In questo senso, pur con sfumature e precisazioni più o meno articolate, si sono espressi infatti Roberto Longhi (1963), Ferdinando Bologna (1971), Miklós Boskovits (Nuovi studi 1971); quest’ultimo, tuttavia, in seguito non ha più ritenuto di ravvisare interventi di collaborazione nell’opera. D’altra parte, invece, la tesi offneriana di attribuire il dipinto al Maestro della cappella di San Nicola è stata riproposta da Irene Hueck (1983) e dal Maginnis (1997), che indica inoltre la datazione più inoltrata, nella seconda metà del primo decennio del Trecento. E giusto sul piano della cronologia, è da segnalare che una simile datazione – rimasta affatto isolata – fu prospettata già dal Venturoli (1969), che ritenne il polittico posteriore agli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova e stilisticamente orientato verso gli affreschi della cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, e pertanto databile in occasione della consacrazione dell’altare maggiore della Badia nel 1310. In tempi più recenti, si può dire che la considerazione critica dell’opera sia andata crescendo sempre più presso gli studiosi: così il Bellosi (1981) l’ha definita «uno dei capolavori dell’artista» e il Bonsanti (1983) si è rammaricato esplicitamente del fatto che essa non abbia goduto degli apprezzamenti che merita, sia sul piano dell’ideazione che dell’esecuzione, nonché dal punto di vista del riconoscimento della sua piena autografia. Tra le analisi più entusiastiche dell’opera si possono ricordare, inoltre, quelle operate da Cesare Brandi (1983) e dalla Collobi Ragghianti (1987). In contrasto, che più stridente risulta difficile da immaginare, si colloca invece l’analisi recente dello Schwarz (2008), che “legge” – si fa per dire – il polittico in parallelo cronologico con quello commissionato dal cardinal Stefaneschi allo stesso Giotto, con ogni verosimiglianza per l’altar maggiore dell’antica basilica di San Pietro, oggi conservato nella Pinacoteca Vaticana, riferito ai giorni nostri dalla maggior parte della critica alla prima metà degli anni venti del Trecento. Chi scrive, in occasione della mostra giottesca del 2000 svoltasi alla Galleria dell’Accademia a Firenze, concordava con piena convinzione con l’opinione di coloro che hanno affermato il ruolo-chiave di quest’opera nello svolgimento del linguaggio giottesco nel momento cruciale di passaggio fra lo scorcio del xiii e gli albori del nuovo secolo. Nel contempo, ritenni di poter sottolineare l’assoluta autografia giottesca del capolavoro conservato agli Uffizi e la fortissima vicinanza stilistica con il Crocifisso del Tempio Malatestiano di Rimini, sulla quale ritorno anche nel saggio qui pubblicato. In ultimo, la precocità cronologica del polittico conservato agli Uffizi – da situare verosimilmente nell’ultimo scorcio del xiii secolo – è stata affermata da più parti (De Marchi 2009, pp. 65, 69-70; A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 159-160, n. 2; Romano 2010, pp. 594, 596, nota 47), mentre il suo ruolo di prototipo fondante è sancito autorevolmente e in via definitiva da Andrea De Marchi in questo volume.

angelo tartuferi 58

by highly authoritative scholars in more recent years. Indeed, albeit with slightly different suggestions and clarifications, Roberto Longhi (1963), Ferdinando Bologna (1971) and Miklós Boskovits (Nuovi studi 1971) expressed such an opinion, although the latter later reversed himself and stated that he did not recognize another hand in this work. Offner’s theory that the painting should be attributed to the Master of the Chapel of San Nicola was taken up by Irene Hueck (1983) and Hayden B.J. Maginnis (1997), the latter suggesting a later date, i.e. in the second half of the first decade of the 14th century. As far as chronology is concerned, we must also note that similar dating—and this was by no means an isolated case— had already been suggested by Paolo Venturoli (1969), who felt that the polyptych was executed after the frescoes of the Scrovegni Chapel in Padua and was stylistically oriented towards those of the Peruzzi Chapel in Santa Croce in Florence, thus making it datable to the consecration of the high altar of the Badia in 1310. More recently, critical consideration of the work has continued to grow among scholars: Luciano Bellosi (1981) defined it “one of the artist’s masterpieces” and Giorgio Bonsanti (1983) expressly lamented the fact that it had not enjoyed the appreciation it deserved, not only in terms of invention and execution but also recognition that it is entirely autographic. Cesare Brandi (1983) and Licia Collobi Ragghianti (1987) can also be credited with two of the most enthusiastic analyses of the work. Michael Viktor Schwarz’s recent analysis (2008) poses a jarring contrast, as he ‘reads’ the polyptych in terms of a chronological parallel with the one that Cardinal Stefaneschi commissioned from Giotto, in all likelihood for the high altar of the ancient Basilica of St Peter and now at the Pinacoteca Vaticana, which most modern scholars have dated to the first half of the 1320s. For the Giotto exhibition held in 2000 at the Galleria dell’Ac­ cademia in Florence, I fully agreed with those who asserted the key role of this work in the development of Giotto’s language at the critical transition between the late 1200s and the dawn of the new century. At the same time, I felt that Giotto’s paternity of the masterpiece at the Uffizi could be emphasized, alongside the very close stylistic proximity with the Crucifix at the Tempio Malatestiano in Rimini, which I have also examined in another essay in this book. Lastly, the early chronology of the Uffizi polyptych—in all likelihood datable to the end of the 12th century—has been affirmed by a number of scholars (De Marchi 2009, 65, 69–70; A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, 159–60, no. 2; Romano 2010, 594, 596 n. 47), and its role as a fundamental prototype has authoritatively and definitively been confirmed by Andrea De Marchi in this publication.

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l’opera–––the work

bibliografia Ghiberti 1450 ca., ed. Schlosser 1912, p. 36; Vasari 1568, ed. Le Monnier 1846, p. 312, nota; Vasari 1568, ed. Milanesi 1878, I, p. 373, nota; Borghini 1584, p. 292; Puccinelli 1664, pp. 2-3; Bocchi-Cinelli 1677, pp. 383, 387; Fantozzi 1842, p. 207; Thode 1885, p. 266 e nota 1; Thode 1899, p. 138; Sirén 1906, pp. 97, 149; Suida 1908, p. 202; Suida 1909, p. 64; Rintelen 1912, p. 289; Khvoshinsky-Salmi 1914, p. 22; Sirén 1917, p. 100; Sirén 1923, p. 259; Van Marle 1924, p. 245; Vitzthum-Volbach 1924, p. 272; Chiappelli 1925, p. 563; Toesca 1929, p. 76, nota 19; Offner 1930, II/1, pp. V, 3; Suida 1931, pp. 91, 93; Berenson 1932, p. 236; Beenken 1934, pp. 99-113; Berenson 1936, p. 203; Salmi 1937, p. 362; Oertel 1937, p. 233; Suida 1937, p. 349; Coletti 1937-1938, p. 58; Brandi 1938-1939, p. 123, nota 20; Sinibaldi-Brunetti 1943, p. 361; Longhi 1948, p. 51; Oertel 1949, pp. 125126; Toesca 1951, p. 608 e nota 131; Tutta la pittura 1952, p. 49; Shorr 1954, p. 129; Mostra di opere 1958, pp. 11-13; Gnudi 1958, ad vocem; Gnudi 1959, pp. 98-103, 241; Sandberg-Vavalà 1959, pp. 62-66; Battisti 1960, p. 74; Gioseffi 1961, pp. 11, 13-15; Procacci 1962; Tutta la pittura 1962, pp. 23-24, 61; Berenson 1963, p. 82; Longhi 1963, p. 7; C. Volpe 1963, p. 10; L. Berti, in Mostra di Firenze 1966, pp. 128-129; Cämmerer-George 1966, pp. 50-65; S. Meloni, in Dipinti salvati 1966, p. 6, n. 1; Baldini 1967, pp. 55-57; Previtali 1967, ed. 1993, pp. 68, 72, 93, 141, nota 115; Bologna, Novità 1969, p. 36; Bologna, I pittori 1969, p. 181; Venturoli 1969, pp. 152, 155; Bologna 1971, p. 290, nota; Boskovits, Nuovi studi 1971, pp. 45, 56, nota 34; Smart 1971, pp. 83, 108; C. Volpe 1971, p. 255, nota 3; U. Baldini, in Firenze restaura 1972, pp. 24-25; Baldini 1979, p. 62; L. Bertani, in Gli Uffizi 1979, p. 296; Bellosi 1981, p. 26; Bonsanti 1983, pp. 203-204; Brandi 1983, pp. 70-72, 180; Hueck 1983, pp. 187-198; Bellosi 1985, pp. 46, 85, 93, 145, nota; Bonsanti 1985, pp. 31-33; Ragionieri 1986, p. 287; Todini 1986, p. 392; Collobi Ragghianti 1987, pp. 18-19; Gioseffi 1987, p. 14; Leone De Castris 1987, p. 44; Nomura 1987, pp. 94, 96; Offner-Boskovits 1987, p. 17; Bandera Bistoletti 1989, p. 60; Bellosi 1989, [p. 5]; Yakou 1990, p. 23; Bonsanti 1992, pp. 71-72; Baldini 1993, p. 11; Busignani 1993, pp. 83, 85-86; Conti 1993, p. 290; Tartuferi 1994, pp. 28, 30; Benati 1995, p. 39; Bonsanti 1995, p. 21; Flores d’Arcais 1995, pp. 118-119; Romano 1995, p. 34; Tartuferi 1995, p. 50; Tomei 1995, ad vocem; Cavazzini 1996, p. 9; Gilbert 1996, ad vocem; Lunghi 1996, p. 104; Maginnis 1997, pp. 23, 81, 97, 149-150; Tomei 1997, p. 17; Bonsanti 2000, p. 60; Boskovits, Giotto: un artista 2000, p. 82; Tartuferi, Guida 2000, pp. 16, 40; Tartuferi, Una mostra 2000, pp. 20, 22-23; A. Tartuferi, in Giotto. Bilancio critico 2000, pp. 117-120, n. 6; Ciatti 2001, p. 59; A. Volpe 2002, pp. 42, 48-49; Galli 2003, p. 349; Bellosi 2004, p. 101; De Marchi 2004, pp. 17-18; A. Giusti, in Arnolfo 2005, pp. 426-427, n. 3.20; Tartuferi 2005, pp. 27-30; Tartuferi 2007, pp. 47-48; Schwarz 2008, pp. 524-531; De Marchi 2009, pp. 65, 6970; Tartuferi 2009, p. 76; A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, pp. 159-160, n. 2; Tomei 2009, p. 43; Boskovits 2010, p. 52; Romano 2010, pp. 594, 596, nota 47; Boskovits 2011, pp. 13-30.

references Ghiberti c. 1450, ed. Schlosser 1912, 36; Vasari 1568, ed. Le Monnier 1846, 312 n.; Vasari 1568, ed. Milanesi 1878, I, 373 n.; Borghini 1584, 292; Puccinelli 1664, 2–3; Bocchi-Cinelli 1677, 383, 387; Fantozzi 1842, 207; Thode 1885, 266 and n. 1; Thode 1899, 138; Sirén 1906, 97, 149; Suida 1908, 202; Suida 1909, 64; Rintelen 1912, 289; Khvoshinsky-Salmi 1914, 22; Sirén 1917, 100; Sirén 1923, 259; Van Marle 1924, 245; Vitzthum-Volbach 1924, 272; Chiappelli 1925, 563; Toesca 1929, 76 n. 19; Offner 1930, II/1, V, 3; Suida 1931, 91, 93; Berenson 1932, 236; Beenken 1934, 99–113; Berenson 1936, 203; Salmi 1937, 362; Oertel 1937, 233; Suida 1937, 349; Coletti 1937–8, 58; Brandi 1938–9, 123 n. 20; Sinibaldi-Brunetti 1943, 361; Longhi 1948, 51; Oertel 1949, 125–6; Toesca 1951, 608 and n. 131; Tutta la pittura 1952, 49; Shorr 1954, 129; Mostra di opere 1958, 11–3; Gnudi 1958, ad vocem; Gnudi 1959, 98–103, 241; Sandberg-Vavalà 1959, 62–6; Battisti 1960, 74; Gioseffi 1961, 11, 13–5; Procacci 1962; Tutta la pittura 1962, 23–4, 61; Berenson 1963, 82; Longhi 1963, 7; C. Volpe 1963, 10; L. Berti, in Mostra di Firenze 1966, 128–9; Cämmerer-George 1966, 50–65; S. Meloni, in Dipinti salvati 1966, 6, no. 1; Baldini 1967, 55–7; Previtali 1967 (ed. 1993), 68, 72, 93, 141 n. 115; Bologna, Novità 1969, 36; Bologna, I pittori 1969, 181; Venturoli 1969, 152, 155; Bologna 1971, 290 n.; Boskovits, Nuovi Studi 1971, 45, 56 n. 34; Smart 1971, 83, 108; C. Volpe 1971, 255 n. 3; U. Baldini, in Firenze restaura 1972, 24–5; Baldini 1979, 62; L. Bertani, in Gli Uffizi 1979, 296; Bellosi 1981, 26; Bonsanti 1983, 203–4; Brandi 1983, 70–2, 180; Hueck 1983, 187–98; Bellosi 1985, 46, 85, 93, 145 n.; Bonsanti 1985, 31–3; Ragionieri 1986, 287; Todini 1986, 392; Collobi Ragghianti 1987, 18–9; Gioseffi 1987, 14; Leone De Castris 1987, 44; Nomura 1987, 94, 96; Offner-Boskovits 1987, 17; Bandera Bistoletti 1989, 60; Bellosi 1989, [5]; Yakou 1990, 23; Bonsanti 1992, 71–2; Baldini 1993, 11; Busignani 1993, 83, 85–6; Conti 1993, 290; Tartuferi 1994, 28, 30; Benati 1995, 39; Bonsanti 1995, 21; Flores d’Arcais 1995, 118–9; Romano 1995, 34; Tartuferi 1995, 50; Tomei 1995, ad vocem; Cavazzini 1996, 9; Gilbert 1996, ad vocem; Lunghi 1996, 104; Maginnis 1997, 23, 81, 97, 149–50; Tomei 1996, 17; Bonsanti 2000, 60; Boskovits, Giotto: un artista 2000, 82; Tartuferi, Guida 2000, 16, 40; Tartuferi, Una mostra 2000, 20, 22–3; A. Tartuferi, in Giotto. Bilancio critico 2000, 117–20, no. 6; Ciatti 2001, 59; A. Volpe 2002, 42, 48–9; Galli 2003, 349; Bellosi 2004, 101; De Marchi 2004, 17–8; A. Giusti, in Arnolfo 2005, 426–7, no. 3.20; Tartuferi 2005, 27–30; Tartuferi 2007, 47–8; Schwarz 2008, 524–31; De Marchi 2009, 65, 69–70; Tartuferi 2009, 76; A. Tartuferi, in Giotto e il Trecento 2009, II, 159–60, no. 2; Tomei 2009, 43; Boskovits 2010, 52; Romano 2010, 594, 596 n. 47; Boskovits 2011, 13–30.

Atlante Atlas

Polittico di Badia pannello centrale: Madonna col Bambino scomparti laterali, da sinistra: i santi Nicola di Bari, Giovanni Evangelista, Pietro e Benedetto tondo della cuspide centrale: Cristo benedicente tondi delle cuspidi laterali: angeli

Badia Polyptych central panel: Madonna and Child side panels, from the left: Saints Nicholas of Bari, John the Evangelist, Peter and Benedict tondo of the central gable: Blessing Christ tondi of the lateral gables: Angels

Nelle pagine seguenti si alternano immagini di tutte le parti dipinte del polittico, rispettivamente prima e dopo il restauro. I tondi delle cuspidi sono riprodotti nell’ordine seguente: pannello con San Benedetto, San Nicola, San Giovanni, la Madonna e San Pietro. A seguire, immagini a luce radente dei nimbi con evidenziate le incisioni e rilievi grafici al tratto delle decorazioni incise (elaborazioni fotogrammetriche di Culturanuova-Massimo Chimenti). The pages that follow illustrate all the painted parts of the polyptych, respectively before and after restoration. The tondi of the gables are illustrated in the following order: panels with St Benedict, St Nicholas, St John, the Virgin and St Peter. They are followed by images of the haloes taken with low-angle side lighting, illustrating the incisions and line-drawing studies of the incised decorations (photogrammetric surveys by Culturanuova-Massimo Chimenti).

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Il restauro The Restoration

ste f a no sc a r p e l l i

L’intervento di restauro alla luce dello stato di conservazione e delle tecniche esecutive

Restoration in Relation to the Polyptych’s State of Preservation and Execution Techniques

Premessa Il polittico suscita da subito nell’osservatore un forte impatto emotivo: la sensazione prevalente è quella di un solenne equilibrio e di una severa spiritualità. La struttura dell’opera presenta un’impostazione ancora duecentesca ed è formata da cinque pannelli cuspidati, con quello centrale leggermente più largo e alto rispetto agli altri, come di consueto. I personaggi dipinti da Giotto nel pieno della sua prima maturità sembrano inseriti in reali e rigorosi spazi architettonici, trasmettendo un fortissimo senso plastico ed espressivo. Le più antiche notizie di rimaneggiamenti del polittico risalgono al 1451-1453, quando, su commissione di Gherardo di Astore, venne adattato al gusto quattrocentesco – mediante una riquadratura che comportò l’aggiunta, fra gli spazi triangolari delle cuspidi, di quattro pannelli di analoga forma dipinti con teste di serafini – da un pittore fiorentino che ultimamente si tende ad identificare con Francesco Pesellino. L’opera risulta leggermente ridotta in larghezza, con l’asportazione parziale dei pilastri laterali, ma non nell’altezza. Appare invece praticamente certa la rimozione degli elementi decorativi di contorno delle cuspidi, che consistevano, con molta probabilità, in intagli floreali stilizzati piuttosto semplici applicati sulle cornici delle cuspidi, dove sono ancora visibili e documentati dalla radiografia i fori interni dei perni di ancoraggio (fig. 1).1 Altri elementi mancanti sono le parti finali delle lesene o pilastrini, alla base delle cuspidi e alle due estremità in corrispondenza dei pilastri laterali: questi, probabilmente, rappresentavano elementi decorativi floreali, ad esempio pigne o foglie stilizzate o pinnacoli architettonici. Dalla foto del retro del polittico precedente l’intervento del 1958 (fig. 2) si vede chiaramente la situazione cui si trovarono di fronte i restauratori di allora. Le aggiunte quattrocentesche erano perfettamente visibili, insieme alla riquadratura perimetrale; le antiche traverse non esistevano più, si vedevano solo le impronte più chiare lasciate da queste sul legno; sulla parte superiore si distinguevano i chiodi infissi dal davanti che le fissavano, mentre in quella inferiore i chiodi erano già stati rimossi. Alla base si osserva l’aggiunta di una traversa alta circa 6-7 cm che costituiva un elemento architettonico di appoggio del polittico, realizzata con un legno resinoso che ha subito nel tempo una sensibile deformazione.2

Introduction The polyptych immediately arouses powerful emotions in the observer, and the chief impression is one of stately harmony and austere spirituality. Its structure is typical of the 13th century and is composed of five gabled panels, the central one slightly wider and taller than the others, in keeping with tradition. The figures painted by Giot­to, at the height of his early maturity, seem to be set in real and meticulously designed architectural spaces, conveying powerful plasticity and expressiveness. The earliest information on reworkings of the polyptych go back to 1451–3, when Gherardo di Astore commissioned a Florentine painter—probably Francesco Pe­ sel­lino, according to the most recent scholarship—to adapt it to 15th-century taste by reframing it, which involved adding four panels of the same shape, painted with the heads of seraphim, between the triangular spaces of the gables. The work was thus narrowed slightly, as the lateral pilasters were partially removed, but its height was not touched. It seems certain, however, that the decorative elements around the gables were removed. In all likelihood they consisted of rather simple stylized floral carvings applied to the frames of the gables; the internal holes housing the pins used to anchor them are still visible and have also been documented in X-rays (fig. 1).1 The other missing elements are the terminals of the pilasters at the base of the gables and at the two ends by the lateral pillars, and they may have depicted decorative floral elements such as pine cones or stylized leaves, or architectural spires. The old photograph of the reverse of the polyptych before the work done in 1958 (fig. 2) clearly conveys the situation faced by the restorers at the time. The 15th-century additions were perfectly visible, along with the external reframing; the original crosspieces were gone and only the lighter marks they had left on the wood were visible. Visible on the upper part were the nails inserted from the front to hold them, while in the lower part the nails had already been removed. A crosspiece about 6–7 cm high can be noted along the base, added as an architectural support for the polyptych. Made of resinous wood, it had warped significantly over the years.2 The same photograph also shows the metal cramps on four of the five panels, applied along the lateral additions



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of the different panels that

1. Radiografia della cornice delle cuspidi.

1. X-ray of the gable frame.

2. Il polittico prima del restauro del 1958: fronte (sopra) e retro (sotto).

2. The polyptych before the 1958 restoration: front (above) and back (below).

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Sulla stessa foto si possono osservare anche delle grappe metalliche in quattro pannelli su cinque, applicate in corrispondenza delle aggiunte laterali delle diverse tavole che si erano distaccate; queste scollature sono tutte sulla parte sinistra di ognuna delle quattro tavole e l’unico pannello senza questo tipo di sconnessione è quello raffigurante San Nicola (si veda infra). La foto d’archivio risulta preziosa per chiarire perfettamente i risultati conseguiti con quell’importante, storico restauro, ad opera di Leonetto Tintori ed Alfio Del Serra. Com’è noto, la scelta più discussa fu quella di rimuovere le aggiunte quattrocentesche, con conseguenze non indifferenti sulla struttura complessiva del capolavoro giottesco, dal momento che non esistevano più le traverse originali come elementi principali di connessione dell’opera. I restauratori agirono correttamente e in linea con le metodologie dell’epoca, risanando mediante dei cunei lo scollamento della tavola centrale con la Madonna col Bambino e la spaccatura della tavola con San Benedetto,3 applicando due traverse scorrevoli piuttosto robuste per collegare strutturalmente il polittico e conservando la base, documentata già dalle foto anteriori all’in­tervento. Solo dopo il risanamento degli spacchi e l’applicazione delle traverse furono rimosse le aggiunte triangolari fra le cuspidi. Non si evidenziano altri interventi importanti, se non l’asportazione di alcune grappe di metallo e il taglio di alcuni chiodi antichi che probabilmente disturbavano l’applicazione delle nuove traverse. Tecnica di esecuzione del supporto ligneo Il supporto appare integro e di ottima qualità, costituito da tavole di legno di pioppo con taglio sub-radiale e andamento verticale delle fibre. La radiografia totale della tavola ne ha evidenziata la semplice ma articolata procedura costruttiva (fig. 3). La carpenteria del polittico si fonda su una tecnica e un ordine costruttivo precisi, in cui ogni elemento svolge una funzione specifica. I cinque pannelli cuspidati sono costituiti ognuno da una grande tavola centrale e due regoli laterali di circa 6-7 cm, con la tavola centrale più alta e più larga di qualche centimetro; i regoli laterali sono fissati con l’incollaggio e con lunghi chiodi quadrangolari, che misurano dai 13 ai 15 cm, inseriti sui fianchi attraverso fori precedentemente predisposti. I cinque pannelli sono poi connessi mediante cavicchi lignei, in modo da poter essere montati in fase di assemblaggio senza impiego di colla. È interessante notare che sul retro delle tavole sono ben visibili i segni orizzontali lasciati dallo “sgrossino”4 che il legnaiolo ha usato nel lavoro di spianamento delle tavole. L’elemento fondamentale che univa tutta la struttura e le conferiva solidità era rappresentato dalle traverse fisse originali, asportate già prima del restauro del 1958, che

had become detached. All the areas that had separated were on the left side of each of the four panels, and the section with St Nicholas is the only one in which this did not occur (see below). This old picture is important as it sheds light on the results attained with the important and historic restoration done by Leonetto Tintori and Alfio Del Serra. As we know, the most controversial decision involved removing the 15th-century additions, as this had significant consequences on the overall structure of Giotto’s masterpiece, given that the original crosspieces were no longer in place as the main elements connecting the panels. The restorers acted correctly, in accordance with the approach of the period, and they used wedges to reconstruct the detachments of the central panel with the Madonna and Child and the split in the panel with St Benedict,3 applying two sturdy sliding crosspieces to reconnect the structure of the polyptych and maintaining the base, documented by photographs prior to the restoration. The triangular elements added between the gables were not removed until the splits had been repaired and the crosspieces put in place. Aside from removing several metal cramps and cutting some of the old nails, which probably hindered the application of the new crosspieces, no other major work was done. Execution of the wooden support The wooden support, which is intact and of excellent quality, is composed of poplar planks with a subradial cut and vertical grain. The total X-ray of the work reveals a construction process that, though simple, was done in several stages (fig. 3). The carpentry work for the polyptych used a specific technique and order of construction, in which every element serves a precise function. Each of the five gabled panels is composed of a large central board and two lateral boards that are about 6–7 cm wide, whereas the central panel is a few centimetres taller and wider. The lateral boards were attached with glue and square nails, approximately 13–15 cm long, inserted on the sides through pre-bored holes. The five panels were then joined using wooden pegs so that they could be assembled without glue. It is interesting to note that the backs of the panels clearly show the signs of the sgrossino4 that the carpenter used to plane the boards. The original fixed crosspieces were the key element uniting the entire structure and ensuring its solidity. Removed before the 1958 restoration, they must have been very sturdy, with one set at the bottom of the panels and the other at the base of the gables, as customarily done on 13th-century dossals. They were held in place by



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3. Radiografia dell’insieme.

3. X-ray of the work as a whole.

dovevano essere molto robuste, una all’estremità inferiore e l’altra in corrispondenza della base delle cuspidi, come si usava nei dossali duecenteschi. Il loro fissaggio era assicurato da chiodi quadrangolari passanti, lunghi circa 12 cm, infissi dal davanti e poi ribattuti sulla traversa. Detti chiodi erano inseriti in alto sotto le cuspidi e in basso sotto le cornici della predella modanata; ne sono rimasti due agli estremi della traversa in alto, gli altri sono stati tagliati o asportati. In base alle deformazioni dei chiodi rimasti e alle impronte più chiare lasciate sul legno dalle traverse originali, possiamo ricostruire le dimensioni che queste dovevano avere, vale a dire circa 12 cm di larghezza e 8 di spessore. Le traverse erano portanti per tutta la struttura, e quella inferiore poggiava con ogni probabilità direttamente sull’altare, al pari dello zoccolo modanato sul lato anteriore. Oggi il polittico è tenuto insieme da due traverse scorrevoli applicate nel restauro del 1958, che appaiono sufficientemente robuste e ben conservate, ma probabilmente rendono la struttura più flessibile rispetto a come doveva essere in origine (fig. 4). Un altro elemento non originale che attualmente contribuisce a conferire maggiore rigidità al complesso è costituito da una base di legno di abete applicata in un vecchio restauro, precedente a quello del 1958. Nella relazione dell’intervento del 1958 redatta da Ugo Procacci si afferma che il polittico fosse stato ridotto nelle dimensioni, sia sui fianchi sia alla base, giustificando pertanto l’aggiunta di un secondo zoccolo di circa 6,5 cm per ripristinare le

square nails, approximately 12 centimetres long, that went through the entire panel, driven in from the front and then clinched back on the crosspiece. These nails were inserted from the top under the gables and from the bottom under the frames of the moulded predella; two of these nails remain at the ends of the upper crosspiece, but the others have been cut or removed. Based on the deformation of the remaining nails and the lighter imprints that the crosspieces left on the wood, we have been able to reconstruct the original dimensions of these elements: approximately 12 cm wide and 8 cm thick. The crosspieces sustained the entire structure and the lower one probably rested directly on the altar, like the moulded plinth on the front. Today the polyptych is held together by the two sliding crosspieces added during the 1958 restoration. Although they appear to be quite sturdy and well preserved, they probably make the structure more flexible than originally intended (fig. 4). Another non-original element that currently contributes to the rigidity of the complex is a fir base applied during an old restoration prior to 1958. Ugo Procacci’s report on the 1958 restoration states that the polyptych had been reduced in size along the sides and base, thus justifying the addition of another plinth, approximately 6.5 cm high, to reinstate the original proportions of the polyptych. However, the plinth added to the base was already present in photographs taken prior to the restoration and thus probably pertained to older reworkings.

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proporzioni originarie del polittico. Nelle foto anteriori a quel restauro, tuttavia, lo zoccolo aggiunto alla base risulta già presente, perché apparteneva probabilmente a rimaneggiamenti più antichi. La rimozione di quest’aggiunta da parte nostra sarebbe stata molto rischiosa e avrebbe comportato comunque un’attenta valutazione delle conseguenze strutturali che il polittico avrebbe dovuto sopportare. In pieno accordo con la direzione dei lavori si è deciso pertanto di scartarla. Le attuali traverse scorrevoli, senza questo elemento di

It would have been risky for us to remove this addition, and before undertaking such an operation we would have had to assess the potential structural consequences on the polyptych. Therefore, we ruled out this option, a decision that was fully supported by the project directors. It is likely that, without this reinforcement, the current sliding crosspieces alone would not have sufficed to sustain such a large wooden structure and we would unquestionably have had to design a new support system. As part of the restoration, however, we

4. Sopra: il retro del polittico nello stato attuale. Sotto: elaborazione grafica in cui vengono evidenziate in giallo le tracce delle perdute traverse originali.

4. Above: the back of the polyptych in its current state. Below: graphic rendering with traces of the original crosspieces, since lost, in yellow.



rinforzo, probabilmente non sarebbero state sufficienti da sole a sostenere una struttura lignea così importante, e quasi certamente sarebbe stato necessario progettare un nuovo sistema di sostegno. In fase di restauro, sul davanti è stato deciso di differenziare cromaticamente questa aggiunta in modo che non alterasse le proporzioni originali dell’opera. Continuando a ripercorrere idealmente le varie fasi di costruzione del polittico, dopo il fissaggio delle traverse dovettero essere applicati dei regoli lungo il profilo delle cuspidi, dapprima incollandoli, poi fissandoli con lunghi chiodi quadrangolari. Questi regoli sono di un legno più duro rispetto al supporto e rivestivano la funzione importantissima di dare solidità alle tavole e al contempo di proteggere le testate delle cuspidi dalle variazioni igrometriche. Un’importante caratteristica di questo polittico è legata alla sua tipologia di stampo ancora prettamente duecentesco e riguarda la fabbrica degli scomparti in cui sono inserite le figure, con lo scavo di una sorta di nicchia spaziale nello spessore della tavola, fino alle prime due modanature delle cornici (archi ogivali e archi trilobati) e con l’applicazione successiva delle lesene che coprivano e, al contempo, univano le suture fra le diverse tavole del polittico (vedi infra). Queste venivano fissate con colla e chiodi quadrangolari dal davanti, e nello stesso modo venivano applicati i listelli più esterni lungo le cuspidi e lo zoccolo modanato alla base. In questo modo le lesene e la predella erano gli ultimi elementi di costruzione del polittico e contribuivano in maniera importante a sigillare l’unità strutturale. Stato di conservazione e restauro del supporto ligneo Il polittico si può considerare in buone condizioni di conservazione: attualmente ha una relativa stabilità e le tavole che lo compongono hanno mantenuto una buona planarità. Non mancano, tuttavia, elementi di criticità consistenti nei movimenti di assestamento in corrispondenza delle giunzioni delle cornici e in relazione alle scollature antiche già descritte, che al momento sono in uno stato di sostanziale stabilità. Tali aspetti rappresentano comunque punti di debolezza strutturale che devono essere attentamente monitorati nel tempo. Considerando la complessità della struttura non sono visibili danni o assestamenti rilevanti avvenuti dopo il restauro condotto da Leonetto Tintori. Tuttavia, tutte le tavole presentano una spaccatura verticale nella parte sinistra, in corrispondenza della giunzione con la tavola centrale, ad eccezione di quella con San Nicola. Lo scomparto raffigurante San Benedetto, oltre alla spaccatura laterale sinistra, presenta anche una lesione piuttosto accentuata nella zona semicentrale, dal basso fi-

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decided to differentiate this addition in terms of colour so that it would not alter the original proportions of the work. Returning to the different original construction phases of the polyptych, after the crosspieces were attached the boards had to be mounted along the profile of the gables, first gluing them and then anchoring them with square nails. These boards are made of a harder wood than the support and served the fundamental purpose of stabilizing the panels, while also protecting the heads of the gables from changes in humidity. One of the key characteristics of this polyptych is that it fully reflects the 13th-century type, as reflected in the layout of the panels holding the figures: a sort of spatial niche has been hollowed out in the panel up to the first two frame mouldings (ogival arches and trefoil arches), followed by the application of pilasters that covered the joints but also united the panels forming the polyptych (see below). They were fastened with glue and square nails inserted from the front, and the same method was used to attach the outermost fillets along the gables and the moulded plinth along the base. The pilasters and predella were thus the last elements in the construction of the polyptych, playing an important role in ensuring its structural unity. State of preservation and restoration of the wooden support We can consider the polyptych to be in good condition, as it is relatively stable and the planks comprising it have not warped. Nevertheless, there are several very critical aspects due to settling along the joints of the frames and to the parts that separated in the past, as already described, though they are now essentially stable. In any event, they are points of structural weakness that must be monitored closely in the future. Despite the complexity of the structure, no visible damage or significant settling occurred after Tintori’s restoration. With the exception of the one with St Nicholas, however, all the panels have a vertical split along the joint with the central panel. The panel depicting St Benedict shows not only a split on the left side but also rather significant injury in the semi-central area, rising from the bottom to about halfway up the panel. It was caused by a split in the plank rather than separation, as demonstrated by the fact that it runs along the wood grain. This fracture, along with the one on the central panel with the Madonna and Child, was repaired during the previous restoration work by inserting wedges and is still stable. The panels that have separated have ancient metal cramps mounted on the reverse—two for each of the four

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no alla metà circa del pannello. Tale lesione è conseguenza di una spaccatura della tavola e non di una scollatura, com’è attestato dal fatto che essa segue l’andamento della venatura del legno. Questa frattura, insieme a quella del pannello centrale che ospita la Madonna col Bambino, è stata risanata con l’inserimento di cunei nel precedente restauro ed appare tuttora stabile. Le tavole che hanno avuto degli scollamenti presentano delle grappe in metallo antiche, applicate sul retro, in numero di due per ognuna delle quattro tavole spaccate, applicate solo sul lato destro in corrispondenza della spaccatura. Nelle vecchie foto del retro prima dell’intervento del 1958 si vedono invece quattro grappe per tavola, sempre sul lato destro. Il fatto che tali grappe siano inserite solo da un lato e proprio su quello scollato, anziché su entrambi i lati, sembrerebbe suggerire la considerazione che esse non siano originali, ma molto antiche. È verosimile che esse siano state applicate per porre rimedio allo scollamento dei laterali dalla tavola centrale, e non per ovviare ad un ipotetico problema del polittico emerso in fase di costruzione. L’opera ha subito in passato notevoli attacchi da parte di insetti xilofagi. La loro azione parrebbe soprattutto interna, poiché solo parzialmente visibile all’esterno attraverso i fori di sfarfallamento presenti sia sulla superficie pittorica sia sul retro. L’entità di questi attacchi si può vedere bene dalle radiografie e in una zona sul retro, dove la parte superficiale del legno è caduta e lascia quindi intravedere una zona interna fortemente degradata.5 Il fatto che all’esterno il degrado sia meno visibile è dovuto per la parte frontale allo spesso strato di preparazione a base di gesso, colla e tela, mentre sul retro il polittico è stato probabilmente salvaguardato dalle sostanze protettive del legno che sono state somministrate nel corso del tempo, impedendo agli insetti di uscire. Dopo il restauro del 1958 l’opera è stata sottoposta ad almeno due interventi di manutenzione. Il primo, risalente agli anni Settanta, consistette nella disinfestazione antitarlo e nella conseguente chiusura dei fori di sfarfallamento. Il secondo, eseguito nel 2000 in occasione del prestito dell’opera alla mostra giottesca svoltasi in quell’anno presso la Galleria dell’Accademia di Firenze, è consistito in una leggera revisione generale con una pulitura dalle polveri e una lieve correzione pittorica dei ritocchi alterati, cui seguì una nuova verniciatura della superficie pittorica e del legno sul retro. In occasione del restauro odierno, dopo un’attenta analisi dello stato di conservazione del supporto, constatando l’attuale l’equilibrio e la buona stabilità manifestata dal polittico, si è deciso di non effettuare alcun intervento su di esso e di limitarsi ad un ulteriore trattamento preventivo antitarlo.

split panels—applied only on the right side along the split. Old photographs of the reverse taken prior to the 1958 restoration instead show four cramps per panel, likewise on the right side. The fact that these cramps seem to have been inserted only on one side (the one that separated) and not both suggests that they are not original, although they are very old. It is likely that they were applied to repair the separation of the side elements from the central panel and not to address a problem with the polyptych that emerged during its construction. In the past the work was seriously attacked by xylophagous insects. Their action seems chiefly internal, because it is only partially visible on the outside through their exit holes, present on the pictorial surface as well as the reverse. The extent of these attacks can clearly be seen in the X-ray images as well as an area on the reverse, where the surface of the wood has fallen off and a badly deteriorated internal area is visible.5 The fact that the deterioration is less evident from the outside is due to the thick preparatory layer of gesso, glue and cloth on the front of the polyptych, whereas the reverse was probably treated over the years with agents to protect the wood, which kept the insects from emerging. Following the 1958 restoration, maintenance work was performed on the polyptych at least twice. The first time, in the Seventies, involved woodworm disinfestation, at which time the exit holes were also closed. In 2000, when the work was loaned to the Giotto exhibition held that year at the Galleria dell’Accademia in Florence, light general maintenance was performed to remove dust and make minor corrections of deteriorated touch-ups, followed by revarnishing of the pictorial surface and the wood on the reverse. During the recent restoration, careful analysis of the state of preservation of the support demonstrated the balance and good stability of the polyptych, so we decided not to do any work on it and simply treated it again for woodworms. Pictorial technique, state of preservation and restoration The first thing one notes when observing the polyptych is—in our opinion—the contrast between the severe architectural structure, virtually unique at the end of the 13th century as it combines astonishing modernity with extremely archaic manufacture, and the expressive power of the figures. Giotto’s achievement has been handed down to us intact, despite all the vicissitudes weathered by the polyptych over its long life. Its state of preservation is extremely complex and the work visibly deteriorated over the past several decades. Not only was the



Tecnica pittorica, stato di conservazione e restauro La prima impressione che si avverte osservando il polittico consiste, a nostro avviso, nel contrasto fra la severa struttura architettonica, pressoché unica alla fine del Duecento, di una modernità sconvolgente, sebbene spiccatamente arcaica nella fabbricazione, e la forza espressiva delle figure. Il risultato conseguito allora da Giotto è giunto integro fino ai nostri giorni, a dispetto di tutte le vicissitudini che l’opera ha subito nella sua lunga vita. Lo stato di conservazione si presentava estremamente complesso e visibilmente aggravato nel corso degli ultimi decenni. La superficie pittorica, oltre che molto danneggiata e consunta a causa di antiche e aggressive puliture, si presentava coperta da strati di materiali eterogenei che provocavano un offuscamento generale. Questo velo di sporcizia nascondeva pesantemente la cromia e i valori plastici e pittorici originari dell’opera. La materia estranea a quella originale era molto articolata e composta principalmente da residui di antichi interventi non rimossi del tutto nell’ultimo restauro, vecchi ritocchi alterati e vecchie vernici fortemente scurite e ingiallite. In aggiunta a ciò, la polvere e le sostanze dovute all’inquinamento atmosferico che si sono depositate sulla superficie pittorica negli anni avevano aggravato in maniera decisiva la possibilità di una corretta lettura dei reali valori pittorici del capolavoro giottesco.6 Nel progettare l’intervento di restauro, si è individuata tra le priorità quella di operare per il recupero dell’opera con il massimo pragmatismo, senza nessuna pretesa di ottenere un risultato preordinato, ma di recuperare piuttosto una lettura il più possibile corretta, secondo quanto l’opera stessa ci avrebbe permesso di ottenere durante il lavoro, senza forzature per la pretesa, illusoria e presuntuosa di “riequilibrare” o ritrovare l’armonia originaria. Le riprese fotografiche, al pari delle analisi diagnostiche e scientifiche, sono state impostate per ottenere precise risposte alle nostre domande e acquisire una documentazione di tutte le fasi dell’intervento, che poi fosse consultabile a vari livelli, sia scientifici che divulgativi, attraverso il sistema Modus Operandi, per il quale si rimanda al testo di Massimo Chimenti qui pubblicato. A partire dalle nostre osservazioni iniziali abbiamo constatato l’importanza di studiare approfonditamente la tecnica costruttiva e pittorica dell’opera per conoscere il reale stato di conservazione e le cause del degrado subito. Questi approfondimenti, uniti allo studio dei documenti e alle notizie storiche relative, si sono rivelati essenziali per guidare il nostro intervento. Il progetto di restauro è stato strutturato seguendo le linee guida tracciate dall’Opificio delle Pietre Dure in occasione di altri importanti interventi eseguiti in anni recenti nei Laboratori della Fortezza da Basso su opere fondamentali del maestro – quali, ad

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pictorial surface badly damaged and worn due to aggressive cleaning over the centuries, but it was also covered with a layer of various materials that had darkened it, the grime concealing the colours and the original plastic and pictorial values of the work. This later accumulation was very complex and composed mainly of residues from older interventions that were not removed entirely in the 1958 restoration, old touch-ups that had deteriorated, and old paint and varnish that had darkened and yellowed. In addition, the dust and air pollutants that had accumulated on the pictorial surface over the years negatively affected correct legibility of the real pictorial values of Giotto’s masterpiece.6 In planning our work, one of our priorities was to take as pragmatic an approach as possible in restoring the polyptych. Rather than setting specific expectations, we instead chose to strive for the best possible reading of the polyptych, based on what the masterpiece would allow us to achieve as the work progressed, and thus without making illusory and presumptuous attempts to ‘rebalance’ or rediscover its original harmony. The aim of the photographs, as well as diagnostics and scientific, analyses, was to obtain specific answers to our questions and document all the phases of our work, then making them available for consultation on various levels—by experts as well as the general public—through the Modus Operandi system described in Massimo Chimenti’s essay here. Based on our initial observations, we felt that in-depth study of the construction and pictorial techniques used for the work was important in order to understand its true condition and why it had deteriorated. These studies, along with an examination of documents and historical information, proved to be fundamental in planning our work. The project was organized based on the guidelines provided by the Opificio delle Pietre Dure for other important restorations done in recent years at the laboratories of the Fortezza da Basso on some of the master’s most important works, such as the Madonna of San Giorgio alla Costa and the Crucifix at Santa Maria No­vella, in order to make yet another significant contribution to our knowledge of his art. Our examination of the carpentry revealed that the ‘niches’ holding the figures were hollowed from a plank approximately 5–6 cm thick, starting from the decorated part of the first of two orders of trefoil frames to arrive at the surface of the painting, which is about 2.5–3 cm thick. The first diagnostic study we performed, using Terahertz (THz) imaging technology, confirmed our hypothesis.7 This non-invasive procedure, applied to a painting for the very first time on this occasion, uses elec-

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esempio, quelli relativi alla Madonna di San Giorgio alla Costa o al Crocifisso di Santa Maria Novella – con l’obiettivo di portare un ulteriore significativo contributo alla conoscenza della sua arte. Dall’esame della carpenteria si è potuto constatare che gli spazi che accolgono le figure sono stati ricavati scavando una tavola più spessa per circa 5-6 cm, partendo dal piano decorato del primo dei due ordini di cornici trilobate, fino ad arrivare al livello della pittura che dovrebbe avere uno spessore di 2,5-3 cm. La conferma di questa ipotesi l’abbiamo avuta con la nostra prima indagine diagnostica, eseguita per mezzo delle indagini Terahertz.7 Si tratta di un’indagine non distruttiva, applicata ai dipinti per la prima volta in questa occasione, che si avvale di onde elettromagnetiche emesse da uno scanner, in grado di fornire immagini digitali sia stratigrafiche che piane. Una delle caratteristiche di immediato utilizzo consiste nel fatto che queste onde elettromagnetiche ci permettono di vedere la struttura della materia in profondità, nel nostro caso fino a circa 1,5 cm con una visione simile ad una tomografia. Si possono scegliere poi i vari livelli da studiare e approfondire: per esempio si può vedere la presenza all’interno degli strati preparatori di tela o altri materiali, si possono osservare eventuali discontinuità della materia, distacchi o vuoti interni non visibili dalla superficie, acquisire inoltre altre informazioni riguardanti la materia pittorica. Questo ci ha permesso di indagare e “vedere” in profondità, dalla superficie pittorica fino al supporto ligneo, con la possibilità di studiare in maniera assolutamente non invasiva e agevole la stratificazione dei vari livelli preparatori (fig. 5). Queste indagini sono state successivamente integrate con analisi chimiche specifiche, allo scopo di ottenere il riconoscimento e la caratterizzazione dei materiali costitutivi degli strati preparatori. Grazie a questi approfondimenti si è potuta individuare una prima, interessante caratteristica della tecnica di esecuzione del polittico, che riguarda in modo specifico la successione degli strati preparatori partendo dalla base lignea (fig. 6). Questa appare chiaramente legata ancora alle metodologie duecentesche. Il piano del supporto ligneo, dove sono state dipinte le figure, è sgrossato in maniera non perfettamente piana e presenta numerosi dislivelli provocati con molta probabilità dagli attrezzi usati.8 A contatto del legno non c’è una tela, come si riscontra in genere anche in epoca immediatamente successiva, ma è steso un primo strato di gesso con una granulometria piuttosto grossa e di natura diversa dagli strati di gesso successivi. Esso risulta costituito da una miscela di anidrite (CaSO4) e colla animale, analoga a quella che si ritrova anche in un’altra opera di Giotto, la Madonna di San Giorgio alla Costa. Tale strato di gesso è servito come prima “livellatura”

tromagnetic waves emitted by a scanner and provides both stratigraphic and flat digital images. We immediately exploited the fact that these electromagnetic waves make it possible to see the structure of the material in depth: in our case, up to approximately 1.5 cm, with an image similar to that of tomographic scans. One can then choose various levels to study. For example, it is possible to see the presence of cloth or other materials in the preparatory layers as well as any gaps in the materials, detached areas and internal voids that are not visible on the surface, and to gain additional information on the pictorial material. This allowed us to investigate and ‘see’ in depth, from the pictorial surface down to the wooden support, and it also gave us the chance to study the stratification of the various preparatory levels easily and completely non-invasively (fig. 5). These studies were then integrated with specific chemical analyses in order to recognize and characterize the materials constituting the preparatory layers. Thanks to these in-depth studies, we were able to identify a first interesting characteristic of the technique used to execute the polyptych, which specifically involves the sequence of preparatory layers, starting from the wooden base (fig. 6), and still clearly reflects 13th-century methods. The wooden support on which the figures are painted was rough-hewn but is not perfectly flat, and has numerous hollows that were probably caused by the equipment that was used.8 There is no cloth directly in contact with the wood, as generally seen also in immediately subsequent periods, but a first layer of rather coarse gesso that is different from the successive layers. It is composed of a blend of anhydrite (CaSO4) and animal glue, similar to the type found in another work by Giotto, the Madonna of San Giorgio alla Costa. This layer of gesso served to ‘even out’ the irregularities of the wood, but was probably also a buffering and protective layer, given the specific characteristics of the material that was used. Linen cloth with a loose weave was placed over this. The different-sized pieces with frayed edges were set next to each other9 and it seems that the cloth was not glued to the first layer of anhydrous gesso but probably adhered through saturation. It is important to note that the cloth is laid over the entire surface of the painting, including the structural parts, which was standard practice in Tuscany until the early 15th century, lending unity to the surface and also helping to connect the various parts of the polyptych. At least two other layers of gesso and animal glue were applied over the cloth, but they differ from the chalky layer between the wood and the cloth. Furthermore, these two subsequent layers also differ from each



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5. Visione nei Terahertz.

5. View in the Terahertz range.

6. Sezione stratigrafica del supporto del polittico in luce visibile e in fluorescenza UV: a) legno del supporto; b) primo strato di gesso; c) tela; d) materiali eterogenei propri del punto di prelievo marginale e interessato a vari interventi successivi.

6. Stratigraphic section of the support of the polyptych in visible light and UV fluorescence: a) the wood of the support; b) the first gesso layer; c) cloth; d) heterogeneous materials specific to the marginal sampling point affected by later operations.

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delle irregolarità del legno e probabilmente anche come strato ammortizzante e protettivo, proprio in relazione alle caratteristiche specifiche del materiale usato. Al di sopra di questo livello è stata applicata una tela di lino di bassa densità, composta da pezzature di diverse dimensioni, dai bordi sfrangiati, accostate fra di loro.9 Le tele sono state fatte aderire al primo strato di gesso anidro probabilmente non mediante la colla ma attraverso un’impregnazione della tela con il gesso stesso. È importante sottolineare il fatto che la tela sia stesa su tutta la superficie del dipinto, incluse anche le parti strutturali, un aspetto, questo, che era peraltro di norma fino al primo Quattrocento in Toscana, che conferisce unità alla superficie e crea un ulteriore collegamento fra le varie parti del polittico. Sopra la tela sono stati applicati ed individuati almeno due strati successivi di gesso e colla animale, di natura diversa dallo strato gessoso della prima ammannitura stesa fra il legno e la tela, morfologicamente diversi fra loro, in particolare per le dimensioni dei cristalli. Il primo strato a contatto della tela è di granulometria più grossa, mentre quello successivo a contatto con gli strati pittorici risulta più fine e omogeneo, di natura più tradizionale (CaSO4 × 2H2O). Gli studi degli strati di preparazione oltre alla caratterizzazione dei materiali usati ci hanno mostrato anche la loro struttura fisica, caratterizzata da una granulometria accentuata e dalla povertà di legante, che comporta una forte igroscopicità e, quindi, una certa fragilità della struttura di gesso e colla e, di conseguenza, dei sottili strati di pittura sovrastante. Questi materiali e la tecnica di successione degli strati preparatori corrispondono puntualmente alle tecniche di preparazione dei dipinti antichi. Fino a tutto il xiii secolo si possono trovare analogie per esempio nella Croce dipinta di Sarzana oppure nel dipinto del Maestro della Maddalena di Figline.10 Anche il fatto di ricavare la superficie da dedicare alle figure incavando lo spessore di una tavola sembrerebbe rimandare a consuetudini più antiche, quando la scultura e la pittura erano strettamente legate.11 Come dicevamo, le prime analisi riguardanti gli strati preparatori ci hanno chiarito alcuni aspetti fondamentali per capire alcune delle cause dei gravissimi danni provocati dalle vecchie puliture, che sono state sicuramente aggressive ma hanno anche trovato dei substrati piuttosto sensibili e delicati che hanno accentuato la loro azione negativa. La spiccata fragilità del gesso di preparazione, povero di legante, che aumentava l’igroscopicità tipica dei materiali usati ha reso gli strati preparatori estremamente permeabili e sensibili all’umidità e, in genere, a sostanze o solventi contenenti acqua. Queste sono penetrate nella struttura attraverso le microfratture della sottilissima pellicola pittorica, provocando purtroppo sensibili abra-

other morphologically, particularly in terms of the size of the crystals. The first coat in contact with the cloth is coarser, whereas the one over it, in contact with the pictorial layers, is finer, more homogeneous and more traditional (CaSO4 × 2H2O). Study of the preparatory layers allowed us to characterize the materials that were used, but it also showed us their physical structure, distinguished by a large particle size and very little binder. This means that the gesso-and-glue structure is very hygroscopic, thus making it—and the thin layers of paint over it—fairly fragile. These materials and the succession of the preparatory layers fully correspond to ancient techniques used to prepare paintings. There are close analogies with other 13th-century works such as the painted Crucifix in Sarzana or the painting by the Magdalene Master in Figline.10 The fact that the surface for the figures was created by hollowing it out from the plank also harks back to older traditions, when sculpture and painting were closely connected.11 As we said, the first analyses involving the preparatory layers clarified certain fundamental aspects, giving us insight into some of the reasons the old cleanings caused such severe damage. While these operations were unquestionably aggressive per se, the fact that they were performed on sensitive and delicate substrates exacerbated their negative action. The great fragility of the preparatory gesso, in which very little binder was used, thereby increasing the hygroscopicity of the materials, made the preparatory layers extremely permeable and sensitive to humidity and, in general, to water-based substance and solvents. These agents penetrated the structure through microfractures in the very thin pictorial film, unfortunately causing significant abrasion, dissolving the preparatory gesso in depth and, consequently, leading to loss of the pictorial film. This type of damage can be observed on many parts of the polyptych, although it is more accentuated and visible in certain areas. It was particularly evident on the Madonna’s face (fig. 7), where the devastating effects of the corrosive and mechanical actions of ancient cleanings were dramatically noticeable. The consequences of the ill-considered cleanings of the past, conducted at different times, also caused both chemical and mechanical damage to the gold ground. Its entire surface is abraded and, here as well, the pictorial technique proved to have compounded the negative effects of the incorrect procedures used in the past. As can be noted on other works by Giotto, the gold layer is extremely thin and very little preparatory bole was used, as can clearly be seen in the stratigraphies. This made



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7. Particolare del volto della Madonna a luce radente prima del restauro.

7. Detail of the Virgin’s face under low-angle lighting before restoration.

8. Particolare del fondo oro: a) al microscopio ottico; b) al SEM; c) stratigrafia.

8. Detail of the gold ground: a) under the optical microscope; b) under the SEM; c) stratigraphy.

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sioni fino alla solubilizzazione in profondità degli strati di gesso di preparazione e di conseguenza alla perdita di pellicola pittorica. Questo tipo di danno si ritrova su molte parti del polittico in maniera più o meno visibile e variamente accentuata. Esso appariva particolarmente evidente nel volto della Madonna (fig. 7), dove si evidenziavano drammaticamente gli effetti devastanti delle azioni corrosive e meccaniche provocate dalle antiche puliture. Le conseguenze derivate da queste puliture sconsiderate del passato, avvenute in tempi diversi, hanno comportato danni sia chimici che meccanici anche al fondo oro. In quest’ultimo le abrasioni sono diffuse su tutta la superficie e, anche in questo caso, la tecnica pittorica si è rivelata determinante per accentuare le conseguenze negative dei vecchi interventi scorretti. Come riscontrato su altre opere di Giotto lo spessore dell’oro è estremamente sottile e con pochissimo bolo di preparazione, come si può vedere bene dalle stratigrafie, ciò che rende il fondo oro estremamente sensibile a sfregamenti e azioni di solventi (fig. 8). La stabilità della pellicola pittorica dei pannelli dipinti può dirsi senz’altro soddisfacente, nonostante la presenza di crettature, mentre le perdite di colore si riscontrano lungo alcune zone di congiunzione delle tavole e, in particolare, fra la tavola centrale e i regoli laterali di ogni pannello. Ad eccezione della tavola con San Nicola, questo fenomeno si riscontra solo nella parte destra di ognuno dei quattro pannelli, mentre la tavola con San Benedetto presenta anche una spaccatura centrale lungo la venatura del legno. Le zone che presentavano le cadute di colore più gravi – accompagnate inoltre da pesanti residui di vecchie ridipinture – erano le lesene verticali e la cornice di base. La tecnica pittorica La caratteristica che appare subito evidente dai risultati delle analisi stratigrafiche è lo spessore sottilissimo degli strati pittorici. I colori sono stesi in maniera fluida e acquerellata con sovrapposizioni e trasparenze che utilizzano le campiture sottostanti per creare gli effetti cromatici voluti. Questo procedimento è particolarmente evidente nei carnati dei volti, in cui si vede chiaramente il verde della preparazione che, lasciato visibile o leggermente velato con tonalità rosate, creava le mezzetinte e i toni più intensi formandone le ombre e i volumi. Questa tecnica pittorica fatta di trasparenze e sovrapposizioni era portata all’estreme conseguenze, tanto che in alcune zone non traspariva il colore, ma solo il gesso di preparazione, velato magari con una leggerissima stesura di ocra o bruno, come sulla parte in ombra del velo della Madonna, oggi purtroppo molto danneggiato. Altre sovrapposizioni di questo genere sono evidenti sugli abiti blu della Madonna e del san Giovanni dove il colore, steso in maniera più trasparente, lasciava in-

the gold ground very sensitive to rubbing and the action of solvents (fig. 8). The stability of the pictorial film on the panels is unquestionably satisfactory, despite the presence of craquelure, whereas the loss of colour can be noted along some areas where the panels are joined, particularly between the central one and the two lateral boards of each panel. With the exception of the panel with St Nicholas, this can be noted only on the right side of each of the four panels, whereas the one with St Benedict also has a long split in the middle running along the wood grain. The most serious lacunae were found along the pilasters and the moulding along the bottom, and they were also accompanied by extensive signs of old overpainting. The pictorial technique What immediately emerges from the results of the stratigraphic analyses is just how thin the pictorial layers are. The pigments were applied fluidly, in a style akin to watercolouring, with overpainting and transparencies that exploit the ground to achieve the desired chromatic effects. The process is especially evident in the faces, as the green preparatory layer can clearly be noted and, left visible or lightly veiled with pink tones, this created half-tints and more intense hues, forming shadows and volumes. This pictorial technique of transparencies and overpainting was brought to such extremes that in certain areas all that showed through was the preparatory gesso rather than the colour, in some cases with a very light layer of ochre or brown, such as the part of the Virgin’s veil in the shadows, which unfortunately shows serious damage. Other overlays of this type can be noted in the blue clothing of the Virgin and St John, where the blue—applied more sheerly—reveals the application of lake beneath to give the shadows greater depth and intensity. What seems evident in this work in particular, but also in other paintings by the master, is the profound diversity—or, better, uniqueness—of his painting method with respect to coeval artists. Giotto unquestionably viewed the technical side as secondary to his expressive needs and wanted to create a new language through a pictorial style that would allow him to communicate his imagination freely using appropriate practical means. The analyses that were conducted clarified which pigments he used, but we still had to identify the binder, which is extremely important in order to understand the technical process that was employed. Therefore, we conducted specific investigations, but unfortunately the results are not exhaustive and we can only formulate a



travedere una stesura di lacca sottostante, per dare più profondità e intensità alle ombre. Quello che appare evidente in quest’opera in particolare, ma anche negli altri dipinti di Giotto, è la profonda diversità, anzi l’unicità del suo modo di dipingere rispetto ai suoi colleghi contemporanei. Giotto subordina sicuramente l’aspetto tecnico alla sua necessità espressiva; intende esprimerere un nuovo linguaggio attraverso una tecnica pittorica che gli permetta di comunicare liberamente la sua creatività attraverso mezzi tecnici adeguati. Le analisi ci hanno chiarito quali pigmenti sono stati usati, tuttavia rimaneva da individuare il legante che ha una grande importanza nella comprensione del processo tecnico seguito: a questo scopo sono state previste indagini specifiche, ma purtroppo i risultati non sono stati esaustivi e quindi possiamo unicamente formulare alcune ipotesi avvalendoci delle nostre osservazioni.12 Probabilmente non si tratta solo di una tempera a uovo classica, come descritta da Cennino Cennini: l’impressione è che sia stata usata una “tempera grassa”, che si ottiene aggiungendo agli ingredienti di base, per emulsione, una percentuale variabile di legante oleoso (olio di lino). Questo ingrediente, in base alle percentuali e all’unione con altre sostanze, quali resine e simili, cambiava molto le caratteristiche di fluidità e consistenza del colore, e incideva soprattutto sulla possibilità di usare i pigmenti con impasti e fluidità diverse creando a piacimento sfumature, sovrapposizioni e velature trasparenti. Appare evidente che la tempera a uovo classica non avrebbe permesso questa libertà operativa.13 Nel nostro caso Giotto non ha usato una sola ricetta per tutto il dipinto, ma ha variato le percentuali di legante oleo-resinoso a seconda dei colori da usare e degli effetti che voleva ottenere, mantenendo comunque sempre la solubilizzazione in acqua. Nel Polittico di Badia ha usato con molta libertà queste conoscenze, come si può osservare per esempio nello scomparto con San Nicola, una delle figure più articolate e complesse dal punto di vista tecnico. Essa è caratterizzata da una veste preziosa, riccamente decorata con motivi che rappresentano un ricamo di tono bianco su bianco e una croce centrale impreziosita dall’uso di vari tipi di lamine metalliche. Tale decorazione è ottenuta sia “a missione”, sia con “metalli liquidi”.14 In opposizione a queste parti di notevole complessità troviamo anche figure come quella di San Benedetto che, al contrario, ha una veste dipinta con semplicità estrema dal punto di vista tecnico, con l’impiego di uno strato sottilissimo di nero di carbone. Il procedimento della stesura pittorica Il livellamento dell’ultimo strato di gesso, eseguito anche con l’uso di raschietti (fig. 9),15 precedeva le successive fasi

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few hypotheses based on our observations.12 It is likely that Giotto did not merely use a classic egg tempera, as described by Cennino Cennini, who provided a rather simple basic formula: it seems that Giotto must have employed a tempera grassa, made by adding an oil binder (linseed oil), varying in proportion, to the basic ingredients to form an emulsion. This ingredient, depending on the percentage used and the addition of other substances such as resins, significantly affected the fluidity and consistency of the paint. Above all, however, it influenced the possibility of using pigments with different impastos and fluidity, creating shading, overlays and transparent velature at will. Clearly, such freedom would not have been possible with classic egg tempera.13 In our case, not only did Giotto use more than one recipe for the entire painting, but he also varied the percentages of oleoresin binder depending on the colours he was using and the effects he wanted to achieve. Regardless, they were always water-soluble. For the Badia Polyptych Giotto exploited this know-how quite freely, as can be noted in the panel with St Nicholas, one of the most complex and well-structured figures from a technical standpoint. He is wearing a precious robe richly decorated with motifs representing white-on-white embroidery and a cross in the middle, adorned with various types of metal foil. This decoration was created with oil gilding as well as ‘liquid metals’.14 These very complex parts are countered by figures such as that of St Benedict, who instead dons a robe painted with the utmost technical simplicity, using a very fine layer of carbon black. The painting process The top layer of gesso was smoothed with implements such as scrapers (fig. 9)15 before proceeding with the subsequent phases of the execution of the painting, which followed a rather precise procedure whose stages we have summarized and described here. The first operation involved the spatial layout of the figures with a simple drawing, after which the spaces to be gilded were defined by incising the gesso. The surface was then gilded, incising the marginal bands and haloes. The final phase envisaged the underdrawing or under-modelling that preceded the final application of paint. In the Badia Polyptych it is difficult to glean the presence of any workshop assistants and none of the areas show inferior quality or appear to be mechanical and repetitive: all of the painted parts are outstanding and show the same technical and pictorial quality. Therefore, we think that Giotto was personally involved in every phase of its execution. The entire painting—even the geometric motifs of the frames and the incision of

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9. Particolare a luce radente del volto dell’angelo nella cuspide del pannello con San Nicola dove sono ben visibili sia il cattivo stato di conservazione che i segni lasciati dal raschietto per il livellamento del gesso.

9. Detail under low-angle lighting of the face of the angel in the gable of the panel with St Nicholas, clearly revealing the poor condition of the panel and the marks left by the scraper used to smooth the gesso.

che portavano all’esecuzione della pittura, che seguiva una procedura piuttosto precisa della quale si possono qui riassumere e descrivere i passaggi. La prima operazione era l’impostazione spaziale delle figure, con un disegno essenziale; poi la definizione con le incisioni sul gesso degli spazi da dedicare alle dorature; successivamente la doratura, con l’esecuzione delle incisioni delle fasce marginali e delle aureole; infine la fase conclusiva con il disegno preparatorio o “sottomodellato” che precedeva le stesure finali. Nel Polittico di Badia non appare agevole individuare la presenza di eventuali aiuti di bottega, e non sembra di poter rilevare parti dove la pittura presenti una qualità inferiore o appaia meccanica e ripetitiva: tutte le parti dipinte sono di altissimo livello e della stessa qualità tecnico-pittorica. Si può quindi affermare che, a nostro parere, in questa opera Giotto abbia lavorato personalmente in tutte le fasi dell’esecuzione. Tutta la pittura, finanche nei motivi geometrici delle incorniciature e nelle incisioni delle aureole, risulta assolutamente autografa. Appaiono del tutto autografe anche zone che potrebbero

the haloes—seem to be entirely autographic. Similarly, all the areas that could have been assigned to assistants, such as the decorations of the pendentives of the trefoils and gables with geometric motifs in red and blue, and the vine-leaf decorations that alternate between panels, also seem to be autographic (fig. 10). This hypothesis can be backed by several morphological, technical and pictorial considerations. The first one has to do with the originality of the decorative motifs, which can also be found in the Assisi basilica and were probably not very well known in Florence. We can imagine that, for the young Giotto, it would have been much easier to decorate the polyptych himself than to teach pupils or decorators how to paint such innovative motifs that were innovative and uncommon in the local tradition. We must also bear in mind that during this early phase of his activities in Florence Giotto may not have had an efficient workshop complete with assistants, as would later be the case. The final consideration is technical: these decorations are very spontaneous on a pictorial level, and reveal extremely



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10. Particolare con i motivi decorativi nei pennacchi delle trilobature in due pannelli contigui.

10. Detail with the decorative motifs in the pendentives of the trefoil elements in two adjacent panels.

11. Particolari in riflettografia della decorazione delle cuspidi nei pannelli con San Nicola (a sinistra) e San Giovanni (a destra). Nel San Nicola si osserva chiaramente una “distrazione” nell’eseguire l’alternanza fra motivi a foglie di vite e geometrici.

11. Reflectographs detailing the decoration of the cusps in the panels with St Nicholas (left) and St John (right). In the panel with St Nicholas we can clearly see an ‘oversight’ in executing the alternation of vine-leaf and geometric motifs.

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essere delegate ad aiuti, come le decorazioni dei pennacchi delle trilobature e delle cuspidi con motivi geometrici in rosso e blu e decorazioni a foglie di vite che si alternano tra un pannello e l’altro (fig. 10). Questa ipotesi può essere suffragata da alcune osservazioni che fanno riferimento sia all’aspetto morfologico, sia a quello tecnico-pittorico. La prima osservazione riguarda l’originalità dei motivi decorativi, che si ritrovano anche in varie decorazioni della basilica di Assisi e molto probabilmente non erano molto conosciuti a Firenze. Si può immaginare che per il giovane Giotto sia stato molto più facile decorare personalmente il polittico che insegnare ad allievi o decoratori motivi così innovatori ed inusuali per le tradizioni locali. Un altro aspetto di cui tenere conto è che Giotto, in questa fase precoce della sua attività fiorentina, forse non aveva ancora una bottega dotata di aiuti e perfettamente efficiente come sarebbe stato in futuro. L’ultima osservazione è di ordine tecnico: queste decorazioni sono pittoricamente molto spontanee, ed è evidente un’estrema facilità di pennellata che porta anche a qualche imprecisione o distrazione, tipiche di un esecutore che si esprime con assoluta libertà, anche quella di sbagliare qualcosa (fig. 11). Se invece l’esecuzione fosse stata demandata ad un aiuto, queste correzioni ed approssimazioni a nostro avviso non si giustificherebbero. Incisioni perimetrali Le incisioni presenti sulla superficie pittorica del polittico sono state eseguite con l’intento di delimitare gli spazi per l’applicazione dell’oro sul fondo, definendo i contorni delle figure nelle loro linee essenziali. Tali incisioni sono limitate soltanto al profilo esterno dei volumi e alla definizione delle forme geometriche interne ai personaggi, ad esempio l’asta del pastorale (fig. 12) e lo spazio della mitra di san Nicola che delimita il confine con il volto (fig. 13), la chiave in mano a san Pietro (fig. 14), i libri. Queste tracce d’incisione sono anche qui ridotte all’essenziale e non invadono gli spazi dove devono essere realizzate le parti pittoriche, come le mani o altro. Ciò farebbe supporre che prima della realizzazione delle incisioni potevano esistere sulla tavola dei disegni o dei riferimenti precisi relativi ai personaggi da realizzare. Altre incisioni si riferiscono agli spazi da dedicare alle targhe epigrafiche e alle decorazioni delle cornici. Anche in questi casi le incisioni sono soltanto perimetrali e non accennano mai alle scritte disegnate all’interno delle zone delimitate. Le incisioni definivano la seconda fase dello sviluppo figurativo del polittico, dopo l’impostazione delle figure,16 mentre la fase successiva era costituita dall’applicazione dell’oro del fondo e delle decorazioni a guazzo sulle vesti. I testi antichi descrivono chiaramente le tecniche usate;17 inoltre quasi certamente in molti casi l’artista si poteva

free brushwork, with the inaccuracies and oversights typical of a painter working with the utmost liberty— including that of making mistakes (fig. 11). I am convinced that if the execution had been assigned to an assistant, there would be no reason for these corrections and approximations. Incised outlines The purpose of incising the pictorial surface of the polyptych was to outline the spaces for applying gilding to the ground, defining the basic contours of the figures. These incisions were used solely to outline the volumes and define the geometric forms within the figures, such as the shaft of St Nicholas’ crosier (fig. 12), the area of the mitre marking a separation with respect to the saint’s face (fig. 13), the key in St Peter’s hand (fig. 14) and the saints’ books. Here as well, these incised traces are reduced to the bare minimum and do not cross over into the spaces where the pictorial parts, such as hands, were to be executed. This allows us to surmise that before the incising was done there must have been drawings or other specific landmarks on the panel vis-à-vis the figures to be created. Other incisions refer to the spaces for the epigraphs and the decorations of the frames. Nevertheless, in these cases as well the incising was done strictly as an outline and was never related to the writing inside the delimited spaces. The incising defined the second phase in the figurative development of the polyptych, following the layout of the figures,16 whereas the next phase involved applying the gold ground and the gouache decorations on the garments. Ancient texts clearly describe the techniques that were used,17 and it seems certain that in many cases the artist relied on studies on paper or preparatory drawings that then had to be transferred to the panels. Drawings on paper from this period are quite rare, but Giotto was widely renowned as a draughtsman, as attested to by the sources. The leading scholars today have attributed only one drawing directly to the master: the marvellous folio at the Louvre depicting two seated men, a work that clearly manifests the precision and extraordinary quality of the execution that must have distinguished his sketches.18 I think we can assume that there was a very detailed drawing on paper—perhaps a full-scale one—for the Badia Polyptych as well, but as far as its transfer to the panel is concerned, we have not observed any specific traces indicating the type of technique, such as the use of a cartoon or pouncing. Another possibility is that, as has been theorized for the Crucifix at Santa Maria Novella, Giotto used a charcoal drawing that was then reproduced with a paintbrush, but we have found no sign



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12. Particolare con il pastorale di san Nicola.

12. Detail with St Nicholas’ crosier.

13. Particolare in infrarosso della mitra e della parte superiore del volto di san Nicola in cui si osservano le linee di incisione.

13. Infrared detail of the mitre and the upper part of St Nicholas’ face, showing the incised lines.

14. Particolare in infrarosso della chiave e del libro di san Pietro in cui si osservano le linee di incisione.

14. Infrared detail of St Peter’s key and book, showing the incised lines.

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avvalere di studi su carta o disegni preparatori che poi era necessario riportare sulle tavole. I disegni su carta del periodo sono piuttosto rari, tuttavia grandissima era la fama di Giotto come disegnatore, attestata dalle fonti. Un solo disegno è oggi attribuito direttamente al maestro dai maggiori studiosi. Si tratta del foglio stupendo conservato al Louvre, con la raffigurazione di due figure maschili sedute, da cui si evince l’accuratezza e la straordinaria qualità dell’esecuzione che simili prove grafiche potevano avere.18 A mio parere si può ipotizzare che anche per il Polittico di Badia sia stato eseguito un disegno su carta molto dettagliato, forse a grandezza naturale; tuttavia non sono state individuate tracce precise che indichino una tecnica specifica per l’eventuale trasposizione sulla tavola, come ad esempio l’uso di un cartone o della tecnica a spolvero. Un’altra possibilità è che sia stato usato, come ipotizzato per la Croce di Santa Maria Novella, un disegno a carboncino poi ripreso a pennello, ma anche di questa tecnica, comunque molto difficile da individuare, non è stata trovata alcuna traccia. Attraverso lo studio attento delle riflettografie all’infrarosso abbiamo potuto individuare alcuni particolari dello sviluppo del disegno preparatorio che aprono nuove e assai interessanti possibilità di lettura, che andranno vagliate e approfondite maggiormente in futuro. Il disegno a tratto di Giotto Il momento della creazione di un’opera d’arte ha un grande fascino e ogni indizio o elemento che possa portare un contributo per chiarirne i vari passaggi è da tenere sempre in grande considerazione. Nelle indagini riflettografiche eseguite sulle altre opere di Giotto sottoposte al restauro negli ultimi anni non sono mai state ritrovate o segnalate tracce che potrebbero far pensare all’uso di un disegno a tratto vero e proprio, eseguito con stili o punte d’argento. In alcune figure del Polittico di Badia si rilevano invece tracce di segni che potrebbero far pensare all’esecuzione da parte di Giotto di un disegno di quel tipo. Per disegno a tratto s’intende una linea continua e costante eseguita presumibilmente con una punta metallica, detta stilo o punta d’argento, che veniva usata per i disegni su carta o anche su tavola. Queste punte erano costituite da leghe metalliche e venivano utilizzate come matite.19 Le tracce grafiche sono individuabili in varie parti delle figure, ma solo in alcune zone esse appaiono nettamente distinguibili: ad esempio, nella mano sinistra del san Nicola che sorregge il libro (fig. 15) e nella destra che regge il pastorale (fig. 16), sul volto del san Giovanni, dove le labbra sono definite con molta precisione, con una linea sottile e continua (fig. 17). In conclusione, dopo un’attenta e ponderata osservazione, per suffragare l’ipotesi dell’indi-

of this technique either, though admittedly it would be very difficult to identify. Through careful studies of the IR reflectograms we identified some of the details of the development of the underdrawing, which have opened up new and very interesting interpretive possibilities that must be examined and investigated in greater depth in the future. Giotto’s line drawing The moment of the creation of a work of art is immensely fascinating and each clue or element that can contribute to clarifying the different phases must always be assessed very carefully. In the reflectograms of other works by Giotto restored in recent years no traces have ever been found that might indicate the use of true line drawing done with styluses or silver points. On the contrary, in some of the figures in the Badia Polyptych there are traces that seem to indicate Giotto’s use of that kind of drawing. By line drawing we mean a continuous and steady line made presumably with a metal implement, called a stylus or silver point, which was used for drawings on paper as well as wood. The implements were made of metal alloys and were used as pencils.19 The graphic traces can be noted in the various parts of the figures, but are clearly distinguishable only in certain areas, such as St Nicholas’ left hand holding the book (fig. 15) and the right one with the crosier (fig. 16), and St John’s face, in which the lips are defined with immense precision using a fine unbroken line (fig. 17). In conclusion, after careful and detailed examination, to substantiate the hypothesis that these traces represent linework I have recapitulated my conclusions based on solid data, avoiding any gratuitous and unjustifiable theories. 1) These signs should not be mistaken for incising because they do not mark the surface like the incisions outlining the figures, which are clearly visible to the naked eye. The lines can be seen in the IR images and are only partly visible—and with great difficulty—under even the sheerest top layers of paint.20 2) They are not traces derived from the transfer over a cartoon, because points would have left marks on the surface rather than traces of colour. 3) They are not traces left by fine brushwork, which is perfectly distinguishable from the lines made with metal points, producing marks resembling those of pencils. 4) Furthermore, they cannot be interpreted as lines that are part of the finishing brushwork on the painting, as seen for example in the definition of the beards, eyelids and eyeballs, because these marks can be observed only with IR reflectography and do not overlay the brushstrokes visible on the surface.



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15. Particolare in riflettografia IR della mano sinistra di san Nicola in cui si vede il disegno a tratto.

15. Detail in IR reflectography of St Nicholas’ left hand, showing the line drawing.

16. Particolare in riflettografia IR della mano destra di san Nicola in cui si vede il disegno a tratto.

16. Detail in IR reflectography of St Nicholas’ right hand, showing the line drawing.

17. Particolare in riflettografia IR del volto di san Giovanni in cui si osservano tracce di disegno a tratto intorno alla bocca.

17. Detail in IR reflectography of St John’s face, revealing traces of line drawing around his mouth.

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viduazione di un probabile disegno a tratto, ho cercato di sintetizzare le mie conclusioni sulla base di dati concreti, rifuggendo da ipotesi gratuite e non giustificabili: 1) tali segni non sono da confondere con le incisioni, perché non segnano la superficie come nelle incisioni perimetrali delle figure che sono chiaramente visibili dal vero. Questi tratti si vedono alle immagini IR e si intravedono in parte e solo con estrema difficoltà sotto i colori più trasparenti della stesura finale;20 2) non sono tracce di riporto da cartone, perché le punte usate avrebbero lasciato dei segni sulla superficie e non tracce di colore; 3) non sono segni lasciati da pennellate sottili, perfettamente distinguibili dalle linee lasciate da punte metalliche, che invece producono segni simili a quelli tracciati da una matita; 4) non possono essere interpretati neppure come linee che fanno parte delle ultime pennellate di finitura del dipinto, come per esempio si vedono nella definizione delle barbe, delle palpebre o dei bulbi oculari, perché questi segni si evidenziano solo all’indagine all’infrarosso e non si sovrappongono alle pennellate visibili in superficie. Possiamo allora ipotizzare che queste linee corrispondano a tracce di un disegno preparatorio, eseguito a tratto lineare molto preciso ed essenziale, che è servito a riportare sulla tavola uno studio preliminare presumibilmente su carta. Questi tratti essenziali e i punti fermi della caratterizzazione delle figure sono stati ripresi poi con il pennello nel corso delle fasi successive di elaborazione di base del modellato, per i vari passaggi che portano alle stesure pittoriche finali. Disegno preparatorio, pentimenti e stesure pittoriche Le immagini IR del polittico ci mostrano le fasi iniziali dello sviluppo delle figure, evidenziandone tuttavia lo stretto collegamento con le stesure finali. Le pennellate costruiscono le forme con leggerezza e semplicità, ma denotano una grande forza espressiva. Nel corso del processo creativo non sono stati osservati grandi cambiamenti dal disegno preparatorio alla realizzazione finale: il pentimento più importante, e forse l’unico, si nota nell’impostazione della mano della Madonna che regge il Bambino (fig. 18). Di grande interesse si rivela l’esame del disegno preparatorio dei tondi delle cuspidi dove sono raffigurate le bellissime figure degli angeli e del Redentore: non si tratta di rappresentazioni ripetitive, ma diversificate per le forme dei panneggi e la caratterizzazione dei volti. Il disegno preparatorio dei volti è realizzato con pennellate sottili, veloci e talvolta sommarie, che fissano i tratti essenziali e sono poi completate da campiture più morbide e sfumate che formano i sottotoni per la definizione dei carnati (fig. 19).

Therefore, we can theorize that these lines correspond to the traces of an underdrawing executed with very precise and simple linework that served the purpose of transferring a preliminary study—presumably on paper—to the panel. These simple lines and landmarks in the characterization of the figures were then used for the brushwork in the basic execution of the modelling for the various phases leading to the final application of paint. Underdrawing, pentimenti and the painting work The IR images of the polyptych show us the initial phases of the development of the figures, underscoring their close connection with the actual painting. The brushwork constructs the forms lightly and simply, but it also shows great expressive power. In the course of the creative process no major changes can be noted between the underdrawing and the final execution: the most important pentimento—probably the only one— can be noted in the composition of the Virgin’s hand sustaining the Child (fig 18). Our examination of the underdrawing for the tondi of the gables, with the beautiful figures of the angels and the Redeemer, proved to be fascinating, as they are not repetitive depictions but differ in the forms of the drapery and the characterization of the faces. The underdrawing of the faces was done using fine, fast and sometimes cursory brushstrokes defining their basic features and then completed with softer and more blended areas forming undertones to create their complexions (fig. 19). St Nicholas His white robe was completed in several phases. First a drawing was executed with a paintbrush to define only the essential lines, with only minimal modelling, after which a warm white colour, composed of white lead and ochre, was applied, without evident brushstrokes and with very fluid shading. Over this base, Giotto painted decorative motifs with areas of white lead in which dense brushwork is evident; the decoration was completed with the application of a small central diamond and floral motifs applied with oil gilding. Unlike what was customary at the time, the decorative motifs on the robe were not painted with a flat pattern on which the brushstrokes of the shadows were overlaid, but were executed by faithfully following the volumes of the soft drapery, accompanying the modelling of the fabric (fig. 20). Some parts of this drawing show such realistic distortions that they were unquestionably copied from a real model. The figure is enriched with other precious details, such as the mitre, created by ap-



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18. Particolare in riflettografia IR in cui si osserva il pentimento nella posizione della mano della Madonna.

18. Detail in IR reflectography showing Giotto’s pentimento in the position of the Virgin’s hand.

19. Particolare in riflettografia IR del volto dell’angelo nella cuspide del pannello con San Nicola.

19. Detail in IR reflectography of the face of the angel in the gable of the panel with St Nicholas.

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San Nicola La veste bianca è stata realizzata in varie fasi. Dapprima è stato eseguito un disegno a pennello che definiva solo le linee essenziali, con minimi accenni al modellato; poi è stato steso un colore bianco caldo, composto da biacca e ocra, senza pennellate evidenti e con sfumature molto fluide. Sopra questa base sono stati poi dipinti i motivi decorativi con bianco di piombo a corpo, dove si avverte chiaramente lo spessore della pennellata; la decorazione è stata completata con l’applicazione di una piccola losanga centrale e dei motivi floreali applicati in foglia d’oro “a missione”. Questi motivi decorativi della veste non sono dipinti come era di uso corrente, seguendo uno schema piatto su cui si sovrapponevano le pennellate delle ombre, bensì seguendo fedelmente i volumi dei morbidi panneggi e accompagnando il modellato del tessuto (fig. 20). Alcune parti di questo disegno hanno delle deformazioni talmente realistiche da non far dubitare di essere state copiate da un modello reale. La figura è arricchita da altri preziosi particolari, come la mitra, realizzata con l’applicazione di lamine di una lega di oro e argento, vale a dire di “oro mezzo”,21 e con velature e decorazioni di lacca ros-

plying foil in an alloy of silver and gold known as oro mezzo,21 and velature and decorations in red lake and pigments; the outline in red lake was partially restored in the past. The central and the left decoration were done on a sgraffito blue layer (fig. 21). Equally rich is the representation of the cloth and the collar of his robe, this too done with oro mezzo and other techniques similar to those used for the mitre (fig. 22), and an embroidered cross in the middle, the decoration of which is exceptionally lavish and complex. The metal foil is covered with lakes that differentiate the various hues so imperceptibly that today we can only imagine the immensely sophisticated relationships linking these decorations. IR false-colour (IRFC) imaging revealed the detail of the precious decorative motif of the robe, permitting a clear interpretation and initial characterization of the pigments, subsequently confirmed by analysis. The decorative motif inside the cross is distinguished by a complex drawing done with different techniques. The composition is formed by square modules inside which white-lead lines create semicircles filled with two types

20. Particolare della veste di san Nicola.

20. Detail of St Nicholas’ robe.



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21. Particolare della mitra di san Nicola.

21. Detail of St Nicholas’ mitre.

22. Particolare del colletto di san Nicola.

22. Detail of St Nicholas’ collar.

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sa e pigmenti: si osservino in particolare il profilo di lacca rossa, in parte ripreso in antico, e la decorazione centrale e quella di sinistra realizzate su fondo blu a graffito (fig. 21). Non meno prezioso risulta il trattamento della veste, con il colletto, realizzato anch’esso con “oro mezzo” e varie tecniche simili a quelle applicate nella mitra (fig. 22), e una croce ricamata centrale in cui la decorazione appare davvero sontuosa e complessa, sempre con l’impiego di “oro mezzo”. Queste lamine metalliche sono velate da lacche che differenziavano in maniera appena percettibile le varie tonalità cromatiche, così che oggi possiamo solo immaginare la raffinatezza degli effetti prodotti. La visione IR in falso colore mette in luce il dettaglio del prezioso motivo decorativo della veste, permettendone una chiara lettura e una prima caratterizzazione dei pigmenti, confermata dalle analisi. Il motivo decorativo interno alla croce si caratterizza per un complesso disegno eseguito con tecniche diverse: la composizione è formata da moduli quadrati al cui interno linee bianche a biacca disegnano dei semicerchi campiti con due tipi di pigmento blu, apparentemente simili in luce reale, ma che si differenziano nettamente l’uno dall’altro alle analisi IRFC e FORS (fig. 23). Se il rosso risulta chiaro e intenso è indicata la presenza di lapislazzuli, ma – com’è noto – dove il rosso è più scuro si segnala l’uso dell’azzurrite. I motivi floreali sullo sfondo del colore blu (azzurrite) sono dipinti con oro “a missione”, mentre all’interno delle formelle dipinte con lapislazzuli le decorazioni sono realizzate con

of blue pigment that look similar in real light but proved to be very different in the IRFC and FORS analyses (fig. 23). If the red is light and intense this means that lapis lazuli was used but, as we know, areas with darker red indicate the use of azurite. The floral motifs on the blue ground (azurite) were painted with oil gilding, whereas in the elements with lapis lazuli decorations were made using a special technique that called for a blend of liquid tin and mercury, which could thus be applied as a pigment and must originally have looked silvery. This metallic mixture was also used for other decorations, such as the floral and geometric motifs of the frames and the decorative elements of the pilasters in red lake that separate the panels of the polyptych, but it was also used to outline the decorations of the book covers.

23. Particolare in riflettografia IR della croce sul piviale di san Nicola.

23. Detail in IR reflectography of the cross on St Nicholas’ cope.

St John The main characteristics of the underdrawing underscore its close connection with the final work. The under-modelling of the face, created with the green base and white lead, was applied with the intent of defining the volumes rapidly and thus facilitating the subsequent application of paint. This preparation was overlaid with thin, light applications of white lead, red earth and ochre that rounded out the complexions, while the underlying green base emerged through the shaded parts, almost as if it were a colour overlaid



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24. Particolare in riflettografia IR del collo di san Giovanni.

24. Detail in IR reflectography of St John’s neck.

25. Particolare in riflettografia IR e immagine in luce visibile del collo e dei capelli di san Giovanni.

25. Detail in IR reflectography and image in visible light of St John’s neck and hair.

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una tecnica particolare che prevede l’uso di una miscela di stagno e mercurio allo stato liquido, che quindi si poteva stendere come un pigmento e doveva avere in origine un tono argentato. Questa miscela metallica è stata utilizzata anche per altre decorazioni, ad esempio nei motivi floreali e geometrici delle cornici, per gli ornati delle lesene verticali di lacca rossa che separano gli elementi del polittico, nonché per delineare i contorni delle decorazioni delle coperte dei libri. San Giovanni Le caratteristiche principali del disegno preparatorio mettono in evidenza lo stretto collegamento con le stesure finali. Il sottomodellato del volto composto dal verde e dalla biacca è stato steso con l’intento di definire i volumi in maniera veloce e strettamente funzionale alle stesure pittoriche successive. Sopra questa preparazione si sovrapponevano le leggere e sottili stesure di biacca, terre rosse e ocre che completavano i carnati, mentre le parti in ombra lasciavano trasparire il verde sottostante in maniera molto sensibile, quasi si trattasse di un colore velato solamente da una leggerissima stesura rosata. Com’è ovvio, questo effetto cromatico voluto fin dall’origine è stato notevolmente accentuato dal pessimo stato di conservazione della pellicola pittorica abrasa dalle vecchie puliture. È interessante notare come sul collo si distinguano delle pennellate molto fluide di stesura preparatoria verde, stese con semplicità e decisione (fig. 24). Anche le mani sono già definite in maniera molto plastica nei loro volumi. Nella figura del santo non sono stati individuati ripensamenti, ma si possono notare alcune imprecisioni o per meglio dire delle disattenzioni nel delimitare le zone riservate alla stesura dell’oro. In particolare si osserva come l’oro sia stato applicato dove dovevano essere dipinti i capelli (fig. 25); Giotto, cosciente che l’adesione del colore sull’oro sarebbe stata difficoltosa, ha sgraffito lo spazio da destinare alla pittura, differentemente da come avvenuto sulle croci, dove questi spazi invasi dall’oro erano stati coperti da una base di biacca e poi dipinti. Le stesure pittoriche del manto rosso non hanno una successione precisa, ma consistono in impasti e velature di colore che si sovrammettono in maniera molto fluida e trasparente, con una assoluta libertà pittorica, definendo i volumi dei panneggi in maniera morbida e senza linee d’ombra definite. Il pigmento usato è composto da biacca, lacca rossa e lapislazzuli; probabilmente l’impasto di colore con una maggiore percentuale di lapislazzuli è stato usato per impostare le ombre dei panneggi, che poi venivano definite dalle velature di lacca rossa che ne completavano i volumi. Il libro recato dall’evangelista è in condizioni molto degradate, sia dal punto di vista chimico sia da quello fisico. Il colore di un tono verde-blu molto

solely by a very light layer of pink. It is obvious that this dramatic effect—clearly intentional—was even more accentuated by the poor state of conservation of the pictorial film, which was abraded by old cleanings. It is interesting to note that on the saint’s neck we can distinguish very fluid brushstrokes of the preparatory green, applied simply but decisively (fig. 24). Likewise, the volumes of his hands are already defined in a very sculptural manner. The figure of the saint shows no pentimenti, but it is possible to note some imprecision or carelessness in sketching out the areas reserved for the application of gold. It is particularly clear that gold was put where hair would have been painted (fig. 25). Aware of the difficulties of have paint adhere to gold, Giotto decided to carve the surface he had to paint. This method was different from that used for the crosses, where the spaces filled with gold were covered with white lead and then painted. The painting of the red mantle does not show a specific sequence, but consists of impastos and glazings or velature of colour that are overlaid very fluidly and transparently, with absolute pictorial freedom, thus forming the volumes of the drapery softly and without any defined shadow lines. The pigment used here was composed of white lead, red lake and lapis lazuli; it seems likely that the paint with a higher percentage of lapis lazuli was employed to create the shadows of the drapery, which was then used to define the velatura of red lake that completed the volumes. The book held by the evangelist is in very poor condition, from both a chemical and physical standpoint. The very deep green-blue paint is quite thick but presents numerous microscopic cracks and lacunae. Based on a comparison of the analyses that were conducted, we have theorized that indigo may have been used, which would explain this accentuated alteration. The blue robe was probably made with a blend of azurite and ultramarine, with the addition of white lead for heightening. The colour of the illuminated parts was applied with dense, decisive brushstrokes, whereas for the deepest shadows of the drapery the brushwork becomes fluid and transparent, in order to allow the red lake employed as a base to emerge. The use of red lake that shows through the intense blue gave the shadows great depth and intensity. Madonna and Child IR imaging allows us to see the fluidity and lightness of the brushstrokes that forcefully define the volumes of the figures (fig. 26). The under-modelling can be noted above all on the faces, because the azurite used together with ultramarine to paint the blue mantle is



scuro, ha un notevole spessore, ma presenta numerose microcrettature e cadute. La comparazione delle analisi svolte induce ad ipotizzare che possa essere stato utilizzato dell’indaco, che potrebbe giustificare questa accentuata alterazione. La veste blu è realizzata probabilmente con una miscela di azzurrite e blu oltremare, con aggiunta di bianco di piombo per le lumeggiature. Il colore nelle parti in luce è steso con pennellate decise e corpose, mentre in corrispondenza delle zone di massima ombra dei panneggi esso diventa fluido e trasparente, per lasciare trasparire la lacca rossa usata come sottofondo. L’accorgimento di usare una lacca rossa che traspare da velature di blu intenso dava intensità e profondità alle ombre. Madonna col Bambino La visione IR ci permette di vedere le caratteristiche di fluidità e leggerezza delle pennellate che definiscono con forza i volumi delle figure (fig. 26). Il sottomodellato si rileva soprattutto sui volti, perché l’azzurrite usata insieme all’oltremare per dipingere il manto blu non è trasparente come il lapislazzuli puro e copre qualsiasi disegno preparatorio. La Madonna ha una veste molto semplice: una tunica con pieghe verticali e un mantello che le copre spalle e braccia. I pigmenti usati sono l’azzurrite e il lapislazzuli miscelati insieme o sovrapposti su una leggera base di lacca rossa, utilizzata come nel san Giovanni per dare intensità al colore nelle trasparenze delle zone d’ombra. L’uso di percentuali variabili di azzurrite e lapislazzuli serviva probabilmente per differenziare le diverse tonalità fra la veste più chiara e il manto, di un blu più intenso. L’unico prelievo effettuato sul manto blu, sotto la mano della Madonna che regge il Bambino, ha individuato un solo strato di lapislazzuli puro, ma l’uso di azzurrite è confermato dalla visione IR, dove questo colore appare scuro rispetto all’oltremare chiaro e trasparente. Come già segnalato, la mano della Madonna che sostiene il Bambino era stata pensata in una posizione diversa: più aperta, più in basso e con uno scorcio prospettico molto accentuato. Il braccio del Bambino che si tende per afferrare con la mano l’abito della madre, increspando il tessuto, viene parzialmente scoperto per effetto del movimento, mentre la sottoveste viene tesa. L’intenzione di conferire un effetto di naturalezza e trasparenza alla leggera sottoveste era presente già nella fase iniziale, come si vede dal disegno preparatorio. Il sottomodellato del volto è molto preciso e le ombre sfumano con morbidezza, fino a rendere molto chiare le parti in luce. Abbiamo osservato sulla figura della Madonna col Bam­ bino alcune leggere incisioni che segnalano una particolarità interessante, poiché sono linee diverse da quelle che delimitano gli spazi da dorare. Esse sono, a nostro avviso, da considerarsi più vicine alle fasi del disegno preparato-

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not transparent—unlike pure lapis lazuli—and covers any underdrawing. The Virgin is wearing very simple garments: a tunic with vertical folds and a mantle that covers her shoulders and arms. Giotto used azurite and lapis lazuli, blended together or overlaid on a light base of red lake, which was used—as done for St John—to give the colour intensity in the transparencies of the shadows. Variable percentages of azurite and lapis lazuli were probably used to differentiate the hues between the lighter robe and the mantle, which is a deeper blue. The only sample that was taken on the blue mantle, under the Virgin’s hand holding the Child, revealed a single layer of pure lapis lazuli, but the use of azurite is confirmed by IR imaging, in which this colour looks dark with respect to the light, clear ultramarine. As already reported, the hand of the Virgin holding the Child was initially conceived in a different position than we see today, as it was more open, set further down and extremely foreshortened. The Child’s arm, outstretched to clutch his mother’s gown and crinkling the fabric, is partially visible because of the movement, while the undercoat is stretched. The natural and transparent effect for the light undergarment was intended from the very beginning, as can be noted from the underdrawing. The under-modelling of the face is very precise and the shadows tone down softly so that the parts in the light are very pale. On the figure of the Madonna and Child we also observed several light incisions indicating an interesting detail, as these lines are different from those outlining the spaces to be gilded. We think that they should be considered closer to the phases of the underdrawing because they seem to be directly linked to the actual painting phase. On the left side (from the observer’s standpoint) of the Madonna’s neck, by the sheer veil under her hair, which is taken up in a snood, two incised lines are visible in the IR image, one vertical and the other a semicircle, that define the spatial arrangement of the Virgin’s hairstyle (fig. 27). Similar traces serving the same purpose have been identified over the Madonna’s hand, where a curved line meets a straight diagonal indicating the inclination that the Child’s hand, clasping his mother’s, was to have in the final work (fig. 28). St Peter In terms of spatial and volumetric composition, the drawing of St Peter shows the same characteristics as the other figures in the polyptych and no pentimenti have been noted. This splendid panel has been defined clearly and without any hesitation, through only a few

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26. La Madonna col Bambino in riflettografia IR.

26. The Virgin and Child in IR reflectography.



rio perché appaiono strettamente legate alla realizzazione della pittura. Sul lato sinistro (per chi guarda) del collo della Madonna, all’altezza del velo trasparente, sotto i capelli raccolti da una reticella, sono visibili nell’immagine all’infrarosso due linee incise, una verticale e un semicerchio, che definiscono l’impostazione spaziale dell’acconciatura (fig. 27). Altre tracce simili e con la stessa funzione sono state individuate sopra la mano della Madonna, dove una linea curva si unisce ad una linea dritta obliqua indicante l’inclinazione che dovrà avere la mano del Bambino che stringe quella della madre (fig. 28). San Pietro Il disegno del San Pietro segue le caratteristiche di impostazione spaziale e volumetrica delle altre figure del polittico e in esso non sono stati individuati pentimenti. Lo splendido pallio è definito con nitidezza e senza incertezze, mediante poche ombre leggere che accennano alle pieghe provocate dal suo movimento intorno alle spalle. Il manto rosso presenta dei panneggi molto morbidi e volumetrici. La pittura è piuttosto corposa e compatta, non si vedono segni lasciati dal pennello come negli altri scomparti, ciò che induce a presupporre l’impiego di un pigmento coprente, ricco di legante. Tra i pigmenti utilizzati sono da evidenziare delle lacche rosse miscelate a biacca e cinabro; la coperta del libro è stata dipinta con cinabro puro, allo stesso modo del libro del san Nicola e delle fasce alla base delle figure. Altre tracce di un rosso all’aspetto simile al

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light shadows that hint at the folds formed through the movement of his shoulders. His red mantle is marked by very soft drapery with great depth, the painting is quite dense and compact, and the brush has left no marks, unlike what we find in the other panels. This allows us to theorize that the painter used a covering pigment with a great deal of binder. Among the pigments that were used, we find red lake mixed with white lead and vermilion; the book cover was painted with pure vermilion, as was the book of St Nicholas in the band at the base of the figures. Other traces of red similar to vermilion were found inside the intaglio of the capitals, but the pigment was not analysed. The green mantle was painted using a copper-based pigment mixed with orpiment for the warmer areas, whereas yellow pigments were not used for the darker and colder areas. St Benedict St Benedict seems to have been executed with the utmost simplicity. The stratigraphic analyses conducted on a black sample taken from an area on the left, close to where there is a split in the panel, revealed an extremely thin layer of carbon black. FORS studies instead showed the probable presence of indigo, but the mantle was painted with carbon black and white lead; the paint was applied with broad, fast brushstrokes to construct the volumes decisively and with immediate corrections.

27. Particolare in riflettografia IR del collo della Madonna.

27. Detail in IR reflectography of the Virgin’s neck.

28. Particolare in riflettografia IR delle mani unite della Madonna e del Bambino.

28. Detail in IR reflectography of the joined hands of the Virgin and Child.

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cinabro, che tuttavia non è stato analizzato, sono state individuate all’interno dell’intaglio dei capitelli. La veste verde è composta da un pigmento a base di rame, miscelato con orpimento per le zone più calde, mentre per le zone scure e più fredde non sono stati usati pigmenti gialli. San Benedetto Il San Benedetto appare eseguito con una semplicità estrema: le analisi stratigrafiche condotte su un prelievo del colore nero, in un punto marginale della parte sinistra in corrispondenza di una spaccatura della tavola, hanno individuato un sottilissimo strato di nero di carbone. Il manto è dipinto con nero di carbone e biacca; il colore è steso con pennellate larghe e veloci che costruiscono i volumi con decisione e con correzioni immediate. Si notano, ad esempio, alcune sovrapposizioni di colore che correggono certe campiture sottostanti, o cambiano l’andamento di alcuni panneggi, senza tuttavia indugiare sulla rifinitura eccessiva, ma lasciando in vista certe sovrapposizioni o pennellate evidenti. Sicuramente questi aspetti tecnici sono venuti maggiormente alla luce a causa degli assottigliamenti della materia dovuti al tempo o a vecchie puliture eccessive; tuttavia essi contribuiscono a porre in evidenza la grande maestria con la quale è stato condotto tutto il dipinto. Il manto presenta per tutto il bordo destro, dalla sommità del cappuccio alla base, una striscia larga dai 2-3 ai 5,5 mm di colore nero della stessa tonalità del resto, ma di una materia più corposa. Non è stato possibile capire se questa sia un’aggiunta, un ripensamento autografo di Giotto, o il frutto di un intervento successivo. L’ipotesi più probabile è che si tratti di un pentimento (anche se la materia è diversa), perché non trova giustificazione logica l’idea che in antico si sia verificata la necessità di una correzione di questo tipo. Il libro del santo è dipinto con poche pennellate molto spesse e con un pigmento di granulometria accentuata, che alle indagini FORS risulta essere composto da un colore a base di rame, mentre le mani sono quasi acquerellate. Con un sottomodellato chiaro e leggero, anche il volto si sviluppa attraverso un sottotono molto chiaro di terra verde e biacca, senza ombre o pennellate evidenti. Si tratta in questo caso di una vera e propria pittura preliminare, nella quale il sottotono verde ha un valore pittorico al pari delle velature finali. Nel momento in cui il grande artista distribuiva il verde, aveva nel contempo la percezione delle fasi ulteriori e le stesure pittoriche si susseguivano in sequenza fino alla definizione conclusiva del volto o delle mani. La pulitura ha permesso di recuperare la trasparenza e la leggerezza del colore originale (fig. 29). Questo procedimento era consentito anche dal

For example, we find several overlays of colour to correct some of the areas beneath them, as well as changes in the layout of some of the drapery, but without indulging in excessive finishes, instead leaving certain overlays or evident brushstrokes visible. There is no question that these technical aspects have become even more obvious, as the pictorial film has thinned due to the passage of time and overzealous cleaning in the past. In any event, they have helped reveal the extraordinary mastery of the entire painting. Along the entire right edge, from the top of the hood to the bottom of the robe, the mantle has a black band that ranges in width from around 2-3 to 5.5 mm and is the same shade as the rest, but in a thicker material. It was not possible to understand if this was an addition, Giotto’s own pentimento or the result of later work. The most likely hypothesis is that it was a pentimento (even though the material is different), because there is no logical reason that a correction of this kind would have been necessary in the distant past. The saint’s book is painted with a few thick brushstrokes, using a very coarse pigment that FORS studies have shown was composed of a copper-based colour, whereas his hands almost appear as if they were watercoloured. With clear, light under-modelling, the face was also developed through a very pale undertone of green earth and white lead, without evident shadows or brushstrokes. In this case, we are seeing a true preliminary painting, in which the green undertone has the same pictorial value as the final velature. Even as the master was applying the green pigment he had a clear vision of the phases that followed and the pictorial layers ensued until the face or hands were complete. Cleaning made it possible to recover the lightness and transparency of the original colour (fig. 29). Such a process was possible thanks also to the type of pictorial technique he had chosen because, as already mentioned, this tempera grassa was applied and diluted with water, thus permitting very fluid brushstrokes yet also very rapid partial drying, which made it possible to add other layers up to the final touches. The hypothesis is that the work process was the same one used for frescoes, mutatis mutandis: in short, it was done consequentially. Thus, after defining the composition and spatial layout of the figures or parts of the figures, Giotto worked on and completed them in a process akin to the giornata technique for frescoes. Haloes, incising, writings All of the decorative parts of the polyptych correspond to a pattern of chromatic alteration marking a specific rhythm between panels and based on the colours red,



29. Particolare del volto di san Benedetto durante il restauro, in cui è visibile il risultato ottenuto con una leggera pulitura.

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29. Detail of St Benedict’s face during restoration, showing the results achieved with light cleaning.

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tipo di tecnica pittorica perché, come accennato in precedenza, la tempera grassa si applicava e si diluiva con acqua, permettendo quindi una grande fluidità di pennellata e un tempo di asciugatura parziale molto rapido, che dava la possibilità di sovrapporre agevolmente velature successive fino agli ultimi tocchi finali. L’ipotesi è che il lavoro procedesse come per gli affreschi, mutatis mutandis, in maniera consequenziale: dopo una definizione iniziale della composizione e della impostazione spaziale dei personaggi, le figure, parte dopo parte, venivano portate avanti e finite come per le giornate in affresco. Aureole, incisioni, scritte Tutte le parti decorate del polittico rispondono ad un modulo di alternanze cromatiche basate sui colori rosso, blu e oro, che ricorrono nei motivi decorativi, fitomorfi e geometrici e scandiscono un ritmo preciso fra un pannello e l’altro (fig. 30). L’alternanza è il filo conduttore che collega tutta la struttura dell’opera. Essa riguarda le targhe epigrafiche dei santi sul fondo oro dei vari scomparti: di colore rosso nel San Nicola, blu oltremare nel San Giovanni, rosso nel pannello con la Madonna, blu oltremare nel San Pietro e rosso nel San Benedetto. Altre decorazioni che si alternano sono le incisioni delle aureole, che hanno all’interno del cerchio due fasce decorate, una a caratteri pseudocufici e una a racemi. Con il restauro sono state recuperate le fasce di lacca rossa sulla fronte delle lesene verticali che separano i vari scomparti, fondamentali nell’equilibrio strutturale e architettonico dell’insieme. Tra le altre porzioni cromatiche che fanno parte dello stesso progetto d’insieme sono da menzionare le strisce verticali blu sulle cornici laterali delle colonnine, nonché la già ricordata fascia di rosso cinabro alla base delle figure. Purtroppo le condizioni di queste lesene sono pessime, con molte cadute di colore e forti abrasioni, al punto che è stato possibile recuperare solo pochi brani del motivo decorativo. Tuttavia, i pochi elementi recuperati valgono a farci intuire l’importanza di questa cadenza verticale fra i vari pannelli con l’alternanza di fasce blu, oro e rosse. La fascia rossa alla base delle figure, apparentemente simile a quella delle lesene, è completamente ridipinta: di originale sopravvivono solo pochissimi frammenti difficilmente individuabili, che confermano comunque l’impiego di una lacca rossa. Non sono state riscontrate tracce di decorazioni, che tuttavia con ogni probabilità dovevano essere presenti. Le targhe epigrafiche non hanno come sfondo l’oro, come potrebbe sembrare logico, ma delle lamine di “oro mezzo”, già impiegate in altre parti. Il colore blu è fatto di oltremare e biacca, mentre per il colore rosso è ipotiz-

blue and gold, which recur in phytomorphic and geometric decorative motifs (fig. 30). This alternation is the leitmotif that connects the entire structure of the work. It can be found in the epigraphic labels of the saints against the gold ground of the panels: red for St Nicholas, ultramarine for St John, red for the Madonna, ultramarine for St Peter, and red again for St Benedict. The other alternating decorations are the incisions on the haloes that, within the circle, have two decorated bands, one with pseudo-Arabic characters and the other with vines. The restoration work recovered the bands in red lake on the front of the pilasters that separate the panels, fundamental for the structural and architectural balance of the polyptych. Among the chromatic portions that are part of this overall project, it is important to mention the vertical blue bands on the side frames of the slender columns, as well as the vermilion band at the base of the figure. Unfortunately, these pilasters are in very poor condition, with many lacunae and abrasion so bad that we were only able to recuperate a few parts of the decorative motif. Nevertheless, those that were recovered allow us to glean the importance of the vertical rhythm between the panels, with the alternation of bands in blue, gold and red lake. The red band at the base of the figures seems to resemble that of the pilasters, but it has been completely repainted and all that remains of the original are a few fragments that are very difficult to identify. Nevertheless, they confirmed the use of red lake. Moreover, no trace of any decorations was observed, despite the fact that they must have been present. The epigraphic elements do not have a gold ground, as one might expect, but the oro mezzo foil applied in other areas. Ultramarine and white lead were used for the blue, but for the red we can theorize that the artist used red lake, possibly mixed with vermilion; the reds are in extremely poor condition and the only lettering from which we were able to glean any information is that of St Nicholas, despite the fact that it was almost completely abraded by previous cleanings. The few fragments of metal foil that were salvaged within the writings seem quite darkened, above all due to the presence of silver. The application of this foil may be seen in the writing on the left (from the observer’s point of view) of St Nicholas, in which cleaning has unfortunately removed almost all of the red. Nevertheless, this allows us to understand that when the gold leaf of the ground was applied the space envisaged for the gold-silver alloy was left empty (fig. 31). This demonstrates the fragility of the alloy with respect to gold and clarifies why, in the traces of the epigraphs of the saints, the cleaning work had such



30. Sopra: elaborazione grafica in cui viene evidenziata l’alternanza cromatica di rosso e blu. Sotto: elaborazione grafica in cui vengono evidenziate in verde le decorazioni in stagno e mercurio a pennello, in azzurro la lamina metallica sgraffita, in rosa la lamina in argento, in giallo scuro le lamine in oro mezzo, in giallo più chiaro le decorazioni in oro “a missione”.

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30. Above: graphic rendering with the chromatic alternation of red and blue. Below: graphic rendering highlighting the brushed decorations in tin and mercury in green, the sgraffito foil in blue, the silver foil in pink, the oro mezzo foil in dark yellow, and the decorations done in oil gilding in light yellow.

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zabile che sia stata usata lacca rossa forse miscelata con cinabro. Per i rossi lo stato di conservazione è pessimo, le uniche scritte dalle quali si possono ricavare alcune informazioni sono quelle del San Nicola, sebbene quasi completamente abrase da vecchie puliture. I pochi brani di lamina metallica che si sono salvati all’interno delle scritte appaiono sensibilmente scuriti, soprattutto a causa della presenza dell’argento. L’applicazione di questa lamina si vede chiaramente nella scritta alla sinistra (per chi guarda) di San Nicola, nella quale le puliture hanno purtroppo asportato quasi completamente il rosso, consentendo tuttavia di comprendere come la lamina d’oro del fondo sia stata applicata risparmiando lo spazio previsto per accogliere la lega oro-argento (fig. 31). Questo aspetto ci fa capire la fragilità della lega rispetto all’oro e chiarisce perché, nelle tracce delle scritte dei santi, le puliture abbiano avuto una conseguenza così negativa, provocando l’asportazione quasi completa delle lamine (fig. 32).

negative consequences and almost entirely removed the foil (fig. 32). Decoration of the goldwork and haloes For the decorations of the gold ground we did not find any traces of the use of punches, and they seem to have been done entirely with freehand incising, fully in keeping with 13th-century tradition. The halos were incised using a compass to mark the continuous lines of the circumference (fig. 33). All of the borders of the panels also have bands decorated with pseudo-Arabic characters. The Madonna’s halo has an internal band bearing pseudo-epigraphic characters that imitate Arabic script, while the outer band is adorned with vines and floral scrolls (fig. 34). All of the halos have a series of small circles, measuring around 2–3 mm in diameter, painted along the entire outer border, alternating red and blue.

Decorazioni dell’oro e delle aureole Nelle decorazioni del fondo oro non si rilevano tracce dell’impiego di punzoni, ed esse appaiono eseguite tutte mediante l’incisione a mano libera, in pieno accordo con la tradizione duecentesca. Le incisioni delle aureole sono impostate per mezzo di un compasso che segna le linee continue della circonferenza (fig. 33). Anche tutti i bordi delle tavole presentano fasce decorate con caratteri pseudocufici. L’aureola della Madonna presenta la fascia interna in caratteri pseudoepigrafici che imitano la scrittura araba, mentre la fascia esterna presenta racemi e girali floreali (fig. 34). Tutte le aureole hanno una serie

State of preservation and restoration Throughout every stage of the work the restoration of the polyptych was backed by scientific analyses conducted according to a well-defined project with the aim of obtaining detailed responses to our theories. Investigations are always very important in any restoration project, but in our case they were absolutely indispensable, given the extremely poor condition of the polyptych and the complexity of the problems we would have to face. The operative strategy that guided us before and during the entire restoration was based on assessing the appropriateness and feasibility of the choices we would have to make as the work progressed.

31. Particolare della scritta nella parte sinistra del pannello con San Nicola.

31. Detail of the writing on the left side of the panel with St Nicholas.

32. Particolare della scritta nella parte sinistra del pannello con San Pietro. La scritta si è conservata nel colore blu, ma la lamina al di sotto è quasi completamente consunta.

32. Detail of the writing on the left side of the panel with St Peter. The blue of the writing has been preserved, but most of the foil under it has worn off.



di piccoli tondi di circa 2-3 millimetri di diametro dipinti lungo il bordo esterno, alternatamente in rosso e blu. Stato di conservazione e restauro Il restauro del polittico è stato supportato in tutte le fasi dell’intervento dalle analisi scientifiche, che sono state con­ dotte secondo un progetto ben definito con l’obbiettivo di avere risposte puntuali alle nostre ipotesi. Le indagini sono sempre molto importanti in ogni progetto di restauro, ma nel nostro caso erano assolutamente indispensabili viste le pessime condizioni del polittico e la complessità dei problemi che avremmo dovuto affrontare. La strategia operativa che ci ha guidato prima e durante tutto l’intervento si è basata sulla concretezza e la valutazione della opportunità delle scelte che di volta in volta avremmo dovuto operare. Dopo le indagini diagnostiche e le nostre prime operazioni per conoscere la materia pittorica si sono chiariti molti aspetti. I fattori di degrado più importanti messi in luce riguardano soprattutto le condizioni della pellicola pittorica; le analisi hanno confermato che vari fattori concomitanti hanno determinato la sua fragilità. Alcuni danneggiamenti del colore dovuti a difficoltà di coesione fra pellicola pittorica e strati metallici sottostanti sono avvenuti in zone circoscritte come le decorazioni sulle cornici trilobate, i capelli sopra la spalla di san Giovanni e i capelli del Bambino. Altre zone molto danneggiate che hanno subito moltissime cadute sono le cornici della base e le lesene verticali: un danneggiamento, questo, insolito rispetto a tutte le altre parti del polittico, che tuttavia può essere spiegato col fatto che proprio le parti aggettanti sono le più esposte a menomazioni accidentali. Tutte le fasi del restauro sono state costantemente supportate dal continuo scambio di idee con la direzione dell’intervento e dalla continua valutazione della opportunità e del livello di rischio che le nostre azioni avrebbero comportato. Nella mia attività, per insegnamento di chi mi è stato maestro in questo lavoro – il professor Edo Masini – e per esperienza acquisita, in presenza di un dubbio anche minimo sull’inopportunità di una certa operazione ritengo che sia sempre meglio fare un passo indietro, astenersi e lasciare al futuro eventuali decisioni. Un esempio è dato dalla scelta di non tentare di pulire le scritte dei nomi dei santi nelle targhe a fondo rosso, perché alla luce delle condizioni disastrose di quelle pulite in passato non è sembrato opportuno avventurarsi in operazioni rischiose e che non avrebbero dato risultati significativi. L’obbiettivo più importante che sin dall’inizio era doveroso prefiggersi era quello di poter ottenere un livello di pulitura uniforme ed equilibrato in tutte le parti dell’opera, con la consapevolezza che avremmo trovato

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Diagnostic studies and initial operations to learn about the pictorial material clarified many aspects. The most important factors of deterioration we observed chiefly involved the conditions of the pictorial film and, as confirmed by the analyses, they depended on various concomitant factors that converged to affect its fragility. Some of the damage to the colour due to poor cohesion between the pictorial film and the metallic layers beneath it was observed in circumscribed areas such as the decorations on the trefoil frames, the hair on St John’s shoulder and the Child’s hair. Other very damaged areas that revealed numerous lacunae were the frames of the base and the pilasters: this damage, unusual with respect to the other parts of the polyptych, can nevertheless be explained by the fact that projecting parts are the ones most exposed to accidental damage. The entire restoration was constantly supported by the ongoing exchange of ideas with the project directors, constantly evaluating the appropriateness and level of risk that our actions would entail. In my activity, based on what I learned from the person who taught me this work—Professor Edo Masini—and the experience I have gained, if there is even the slightest doubt that a certain operation might be inappropriate, I feel it is always best to take a step back, refrain and leave certain decisions for later. One example was our decision not to attempt to clean the lettering of the saints’ names in the labels with a red ground because, given the disastrous condition of the ones cleaned in the past, we thought it was best to avoid risky cleaning operations that would not have yielded significant results anyway. From the very beginning, the most important objective we felt had to be set was that of attaining a uniform and balanced level of cleaning on all parts of the work, and we were aware that beneath layers of grime we would find a very deteriorated original colour. Our restoration project commenced with the last complete work performed on the polyptych. The analyses that were conducted in order to identify the substances attributed to later interventions and those of a different nature found over the original colour yielded the same result for all the panels: mastic resin and traces of waxy substances, used in the last restoration work before ours. However, when we observed the surface with an optical microscope, we found a great deal of residue and traces of old touch-ups and overpainting on the original colour, as can be noted on the Child’s face. Following initial tests to remove surface grime, we realized that the work would have to be cleaned in several phases and using different methods: first with solvents

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to remove the most

33. Elaborazione grafica in cui viene evidenziata la decorazione incisa dell’aureola di san Pietro.

33. Graphic rendering showing the incised decoration of St Peter’s halo.

34. Elaborazione grafica in cui viene evidenziata la decorazione incisa delle aureole della Madonna e del Bambino.

34. Graphic rendering showing the incised decoration of the haloes of the Virgin and Child.



sotto gli strati di sporco un colore originale molto degradato. Il nostro progetto di restauro è partito esattamente dall’ultimo intervento completo effettuato sull’opera. Le analisi volte al riconoscimento delle sostanze derivate da interventi posteriori o di altra natura presenti sopra il colore originale hanno dato un risultato comune per tutti i pannelli, con il riconoscimento della resina mastice e tracce di sostanze cerose usate nell’ultimo restauro. Tuttavia, osservando la superficie anche con il microscopio ottico, abbiamo rilevato che sul colore originale erano rimasti molti residui e tracce di vecchi ritocchi e ridipinture antiche, come si vede sul volto del Bambino. Dopo i primi saggi per la rimozione dello sporco superficiale abbiamo compreso che la pulitura si sarebbe svolta in più fasi e con metodologie diverse: la prima con solventi per rimuovere le sostanze più recenti, quelle applicate nell’ultimo restauro e nelle varie manutenzioni susseguitesi fino ad oggi, e un’altra più approfondita, per correggere il vecchio lavoro di pulitura che aveva lasciato sulla delicata superficie originale moltissimi residui di antichi interventi. Le operazioni di pulitura dovevano essere portate avanti uniformemente per tutto il polittico, cercando di avere sempre sotto controllo l’equilibrio d’insieme. I metodi di pulitura messi a punto sono quelli a solvente, con l’ausilio di vari supportanti neutri, e a secco con bisturi e l’ausilio del microscopio ottico.22 Le prove di pulitura sono state eseguite con metodologie piuttosto semplici e l’impiego di vari solventi, ma abbiamo constatato quasi subito che la difficoltà nella rimozione di queste vernici vecchie non era quella di mettere a punto una combinazione fra sostanze chimiche o solventi particolari in grado di solubilizzare materiali complessi, ma piuttosto una difficoltà quasi esclusivamente metodologica. La pulitura delle figure si è svolta gradualmente ed uniformemente e gli strati delle vecchie vernici sono stati alleggeriti in maniera selettiva fino a raggiungere un livello più vicino possibile alla cromia originale, in modo che il nostro livello di mediazione fosse il più limitato possibile. Uno dei problemi da affrontare era cercare di distinguere le vernici antiche o patine originali da velature o ripassature successive. In particolare, una zona piuttosto complessa da leggere era il manto di san Nicola, dove sono state individuate zone in cui si riconoscevano residui di vecchie patine grigie molto consunte e disomogenee, unite a patinature antiche e forti abrasioni nonché ad accumuli resinosi trasparenti e con tonalità brune giallastre. Riteniamo che i residui di patina grigia siano i più antichi, anche se non originali, ma che oramai siano strettamente legati al colore originale. La presenza di questa patina si avverte in modo evidente nelle immagini UV della prova di pulitura, precisamente sul libro rosso del santo, dove si distingue chiaramente la tonalità scura di questa velatura

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recent substances, those that had been applied during the last restoration work and in the various maintenance operations that followed, and deeper cleaning in order to correct the old operations that had left an enormous amount of residue on the delicate original surface. The cleaning operations had to proceed uniformly on the entire polyptych, always monitoring the overall balance. Two approaches were used, one involving the use of solvents with various neutral aids, and the other a dry method with a scalpel, guided by an optical microscope.22 The cleaning tests were performed with rather simple techniques and various solvents, but we noticed almost immediately that the difficulty in removing these old paints and varnishes was not about fine-tuning a combination of chemical substances or particular solvents that could solubilize complex materials, but almost exclusively involved method. The figures were cleaned gradually and uniformly, and the layers of old paint and varnish were thinned selectively until a level as close as possible to the original colour was reached, to ensure that our intervention would be as limited as possible. One of the problems we had to face involved distinguishing between old paints or original patinas and later patinas or touch-ups. One of the most complex areas to interpret was the mantle of St Nicholas, where we identified areas in which the residue of very worn and uneven old grey patinas could be noted, along with ancient patination and significant abrasion, combined with transparent and yellowish-brown resinous build-up. We think that the grey patina residues are the oldest and, while not original, they are now closely bound to the original colour. Another clear indication of the presence of this patina can be found in the UV images of the cleaning tests, and specifically on the saint’s red book, where one clearly distinguishes the deep shade, darker with respect to the luminous fluorescence typical of the resinous paint, that can be seen where this greyish patina was removed. Residues of this patina were also noted in many other parts of the painting, but only in very fragmentary traces. We also performed specific analyses to identify the nature of some of the shading on St Nicholas’ mantle, which is integrated with the original application of paint, following it and overlaying it, and thus making it impossible to tell them apart. These analyses confirmed the difficulty in separating the different layers. Colour samples taken from these patinas in two nearby areas, from both the original colour and an old lacuna, demonstrated that they covered both, thus clarifying that, while not original, they are very old.

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rispetto alla fluorescenza luminosa tipica delle vernici resinose, visibile laddove la patina è stata asportata. Residui di questa patina sono stati individuati in molte altre parti del dipinto, ma solo in tracce assai frammentarie. Sono poi state effettuate analisi specifiche per individuare la natura di alcune ombreggiature del manto di san Nicola, che si integrano alle stesure originali seguendole e sovrapponendosi ad esse senza possibilità di distinzione. Le analisi effettuate hanno confermato questa difficoltà di separazione delle diverse stesure: due prelievi in due zone vicine, sia sul colore originale che su una vecchia mancanza di colore, hanno evidenziato che le patinature interessavano entrambe, e perciò è stato chiarito che non sono originali anche se molto antiche. La pulitura dei volti necessitava di un’estrema attenzione perché le consunzioni avevano quasi compromesso le parti in ombra, i carnati presentavano forti abrasioni in tutte le parti. Il procedimento di pulitura è stato simile per tutte le figure: se confrontiamo le immagini con le fasi intermedie delle operazioni, apparentemente non si notano risultati particolarmente spettacolari per quanto riguarda la differenza fra le parti pulite e quelle ancora da pulire, poiché si è trattato soprattutto di mettere ordine e assottigliare gli spessori diversi dello sporco superficiale fino al livello ideale per poter leggere con meno disturbi possibili il colore originale (figg. 35-37). Ognuno dei pannelli del polittico ha avuto dei risultati insperati che sono particolarmente visibili nella visione d’insieme. Nel San Benedetto è evidente il recupero di vari elementi espressivi, a cominciare dalla splendida veste nera eseguita con nero di carbone e biacca con semplici pennellate, e continuando col recupero del volto, forse quello meglio conservato di tutto il polittico, dove si vedono dettagli straordinari, quali ad esempio gli occhi impreziositi dalla fluidità della pennellata che lascia una goccia di colore nel tracciare il cerchio della pupilla, oppure il particolare dell’orecchio sinistro del santo quasi completamente coperto dalla cappa del manto, o infine le dita della mano che sorreggono un lembo della veste. La visione del San Pietro prima del restauro era davvero scoraggiante, in quanto le condizioni apparivano difficilmente recuperabili. Eppure, dopo le prime prove di pulitura, ci siamo resi conto che le possibilità di recupero erano non solo buone ma addirittura eccellenti. E qui, più che in altre parti, era evidente quanto fosse fuorviante la confusa miscela di vernici, polvere e sporco che si era depositata sulla superficie. La rimozione graduale di essa non è stata difficoltosa, grazie all’impiego di solventi supportati da una emulsione cerosa, allo scopo di asportare soprattutto vecchie vernici alterate. In questa figura non è stato necessario l’uso del bisturi: il volto aveva i soliti

The cleaning of the faces called for the utmost attention because wear had affected the shaded parts, and every area of flesh showed extensive abrasion. Similar cleaning operations were used for all the figures. If we compare the images of the intermediate phases of the operations, the results do not seem to be particularly spectacular in terms of the difference between the cleaned parts and those yet to be cleaned, because this phase chiefly entailed establishing order and thinning the different layers of surface dirt until we arrived at the ideal level to be able to see the original colour with the least possible disturbance (figs. 35–37). Nevertheless, each of the panels of the polyptych yielded unhoped-for results that become eminently visible when the work is viewed as a whole. With St Benedict, what emerges is the recovery of various expressive elements, starting with the splendid black robe rendered with carbon black and white lead using simple brushwork, and continuing with the restoration of the face, perhaps the best preserved of the entire polyptych. Here we can now see extraordinary details, such as the saint’s eyes enhanced by the fluid brushstroke that left a drop of colour as the artist traced the circle of the pupil, as well as details like the saint’s left ear almost completely covered by his cowl, and his fingers holding the edge of his garment. The appearance of St Peter before we commenced this work was enormously discouraging, as it was in such poor condition it seemed virtually impossible to restore. Yet after the first cleaning tests we realized that the possibilities of recuperating it were not just good but excellent. And it was here, more than in the other parts, that it became evident just how misleading the confused mixture of paint, dust and grime that had accumulated on the surface truly was. Its gradual removal posed no difficulties, thanks to the application of solvents supported by a waxy emulsion, above all to remove altered old paint and varnish. We did not need to use a scalpel on this figure. The saint’s face had the usual damage caused by old cleaning, with serious effects above all in the most delicate areas, such as the half-tints of his beard, face and hair, but the lighter areas were in fair condition. The figure of St John was unquestionably the one that suffered most, his face above all. There was significant abrasion and in some parts all that could be distinguished by this time was the green preparatory layer, and only traces of his eyes remained. This part was cleaned with extreme caution and the layers of paint were thinned gradually, concentrating above all on attempting to allow adequate legibility, for we were well aware that if the cleaning went too deep it would



35. Particolare del volto di san Nicola durante il restauro.

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35. Detail of the face of St Nicholas during the restoration.

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36. Particolare del volto di san Pietro a luce radente durante il restauro.

36. Detail of the face of St Peter under low-angle lighting during the restoration.

danni provocati dalle vecchie puliture, con effetti gravi soprattutto sulle zone più delicate quali le mezze tinte della barba, del volto e dei capelli, mentre la parti chiare erano in condizioni discrete. La figura che ha sofferto maggiormente è senza dubbio il San Giovanni, soprattutto nel volto. Le abrasioni sono fortissime e in alcune parti si distingue ormai solo il verde di preparazione, mentre degli occhi sono rimaste solo delle tracce. Questa parte è stata pulita con molta cautela, l’assottigliamento delle vernici è avvenuto gradualmente e tenendo in considerazione soprattutto la possibilità di consentire una lettura sufficiente, ben sapendo che una pulitura troppo approfondita avrebbe compromesso irreparabilmente ogni possibilità di recupero anche parziale del volto.

irremediably jeopardize any chance for even partial recovery of his face.

Stuccatura e restauro pittorico Terminata la pulitura è stato affrontato il problema della stuccatura delle parti mancanti. Per quello che riguarda la base e le lesene sono state mantenute le vecchie stuccature non originali che erano recuperabili e stabili, men-

Infilling and pictorial restoration Once the cleaning was completed, we turned to the problem of infilling the missing parts. As far as the bases and the pilasters are concerned, we left the old infilling, which was not original, as it was stable and restorable, but any unstable infilling was removed and then renewed with gesso and glue. The original gesso had been worn by old cleaning operations and in many points it appeared lower with respect to the intact surface. In these cases we decided not to apply new infilling to make the surface level again, but to respect this difference in order not to cover the old gesso. Once we had noted the extent of the gaps, we decided that our work should not be invasive and arbitrary with respect to the few fragments of original material, so we chose not to integrate the lacunae with specific colours or gold hatching, but with neutral tones. We think the results of this integration are quite good, because the neutral



37. Particolare del volto di san Pietro durante la pulitura.

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37. Detail of St Peter’s face during cleaning.

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tre quelle instabili sono state asportate e rinnovate poi con gesso e colla. Il gesso originale era consumato dalle vecchie puliture e, in molti punti, appariva a un livello inferiore rispetto alla superficie integra. In questi casi si è ritenuto di non applicare nuovo stucco per ritrovare la planarità, bensì di rispettare questa differenza di superficie per non coprire il gesso antico. Constatata l’estensione delle mancanze, è stata valutata la necessità che l’intervento non fosse invasivo e prevaricante rispetto ai pochi frammenti di materia originale, e per questo è stata presa la decisione di non integrare con selezione cromatica oppure con oro a tratteggio le lacune, ma di eseguire piuttosto un’integrazione con tonalità neutre. Il risultato di questa integrazione è stato a nostro parere soddisfacente perché la tonalità neutra si è rivelata ideale per ricollegare tutte le parti in maniera discreta e, nel contempo, esaltare i pochi frammenti di materia originale. Le parti dove si dovevano eseguire delle stuccature più estese interessavano la grande spaccatura risanata e stabile sulla tavola con San Benedetto e alcuni dissesti in corrispondenza degli antichi collegamenti fra la tavola centrale e i laterali. La vecchia stuccatura sul manto di san Benedetto era sollevata sui bordi; è stata quindi asportata e rinnovata con gesso e colla, assecondando il dislivello esistente fra i due lati della pittura e imitando la superficie originale. Il ritocco è stato eseguito con un’integrazione a tratteggio eseguita a tempera gouache e poi terminato con velature con colori a vernice. Per le stuccature che riguardano le zone di collegamento delle varie tavole e le spaccature dovute agli assestamenti del polittico già stuccate in passato, abbiamo valutato la loro stabilità e consolidato o sostituito le parti più instabili. La stuccatura è stata effettuata con gesso di Bologna e colla di coniglio, con una densità calibrata in rapporto alla consistenza del gesso originale. Il restauro pittorico è stato svolto con tecniche molto semplici e tradizionali, mediante l’impiego di acquarelli, tempere gouache e colori a vernice per le velature finali. L’intento comune del direttore dei lavori e mio era quello di limitare al massimo l’intervento pittorico, essendo perfettamente coscienti dei rischi d’interpretazione formali che potevamo correre, in particolare su una pittura così apparentemente forte, ma allo stesso tempo eterea, quasi impalpabile, dove le forme e i volumi sono dovuti a impercettibili cambiamenti tonali. Nelle zone dove erano state effettuate le stuccature, il ritocco è stato eseguito applicando una prima stesura con tempera gouache più chiara, poi definita e portata avanti con tratteggi ad acquarello fino quasi al completamento. Dopo la verniciatura, il ritocco è stato ultimato con colori a vernice per le velature finali.

tone proved to be ideal to reconnect all the parts subtly while also bringing out the few fragments of original material. The parts requiring the most extensive infilling were the large crack—repaired and stabilized—on St Benedict’s panel and some of the ruined areas along the old connections between the central and lateral panels. The edges of the old infilling on the mantle of St Benedict had lifted, so we removed it and renewed it with gesso and glue, maintaining the different levels between the two sides of the painting and imitating the original surface. The touch-up was done by adding hatching with tempera gouache, finished with varnish colours. For the infilling of the areas connecting the panels and the splits that had been caused by settling and were infilled in the past, we evaluated the stability of the different areas and consolidated or replaced the most unstable ones. The infilling was done with gesso di Bologna, or Bologna chalk, and rabbit glue, in order to attain a calibrated density in relation to the consistency of the original gesso. The pictorial restoration was conducted with very simple and traditional techniques, using watercolours, tempera gouaches and varnish colours for the final glazings. The project director and I shared the common goal of limiting the pictorial intervention as much as possible, as we were perfectly cognizant of the risks of formal interpretation we would run, particularly on a painting that is so seemingly strong yet is also so ethereal and almost impalpable, in which forms and volumes have been created through imperceptible tonal changes. The infilled areas were retouched by applying a lighter gouache tempera and then defined with watercolour hatching until it was almost complete. The final phase of the retouching was completed after the application of varnish colours for the final glazings. The painting also had areas where the colour applied over the gold was gone, and to integrate the lacunae we used only varnish colours in this case, again applied with the hatching method. The Child’s cheek posed an important and unique problem, as the lacuna revealed the gold beneath it. In this case, the cleaning process fortunately allowed us to restore important parts in order to reconstruct the lines of the cheek without running the risk of wrong interpretations, as we recuperated the design of the foreshortened mouth, the line of the nose and the volume of the cheek towards the outside. Therefore, the missing part was reconstructed, differentiating it with fine hatching that seems to blend with the original painting but is not misleading. There was a macroscopic lacuna on the Virgin’s veil. After cleaning the abrasions were infilled and then re-



Sul dipinto erano presenti anche zone dove il colore applicato sull’oro era caduto: in questo caso per integrare le mancanze sono stati usati solo colori a vernice, applicati sempre con il metodo della selezione o tratteggio. Un problema particolare e piuttosto importante si è presentato con la guancia del Bambino, dove la caduta del colore lasciava in evidenza l’oro sottostante. In questo caso la pulitura ci ha permesso fortunatamente di recuperare parti fondamentali per ricostruire senza il rischio d’interpretazioni sbagliate la forma della guancia: è stato recuperato infatti il disegno della bocca scorciata, la linea del naso e l’ingombro della guancia esterna. La parte mancante è stata perciò ricostruita, differenziandola con un sottile tratteggio che sembra armonizzarsi con la pittura originale, senza assumere un ruolo prevaricante. Una mancanza macroscopica era sul velo della Madonna. Le abrasioni dopo la pulitura sono state stuccate e poi ritoccate sempre a tratteggio, cercando di non ricostruire le forme, ma ricercando semmai una tonalità quasi neutra che permettesse di mettere in evidenza i movimenti del velo recuperati dalla pulitura. Per la verniciatura del dipinto abbiamo usato resina mastice di Kios, sciolta con essenza di trementina in studio, filtrata e conservata alla luce. La verniciatura si è svolta in due fasi: la prima eseguita dopo le integrazioni ad acquarello e le basi a tempera, con una stesura a pennello facendo la massima attenzione ad applicare uno spessore molto sottile ed uniforme; la seconda e ultima, dopo il ritocco a vernice a spruzzo per nebulizzazione, molto diluita e con pochi passaggi per ottenere uniformità e attenuarne la lucentezza.

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touched, again with hatching, attempting not to reconstruct the forms but instead striving for an almost neutral tone that would make it possible to highlight the movements of the veil revealed after it was cleaned. To varnish the painting we used Chios mastic, diluted in oil of turpentine at the studio, and then filtered and stored in light. The work was varnished in two phases. The first was done following integrations with watercolour and tempera paint, using a paintbrush and working carefully to apply a very thin and uniform coat. The second and final coat was applied after retouching with very diluted spray varnish, applying only a few layers in order to attain a uniform appearance and tone down any glossiness.

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l’intervento di restauro   restoration

1 I fori dove erano inseriti i perni che reggevano i racemi delle cornici delle cuspidi sono evidenti anche ad occhio nudo, mentre le radiografie mostrano il loro ingombro interno. 2 Questa deformazione crea un’incurvatura della base, fortunatamente in maniera indipendente dal polittico, che si è verificata con ogni probabilità prima dell’intervento di restauro del 1958. Gli effetti di questa deformazione si sono ripercossi non sul polittico, bensì sulla stessa traversa inferiore, come si può constatare osservando sul retro la maggiore apertura che si è creata nella parte centrale rispetto ai lati. L’effetto di curvatura è accentuato dal fatto che la traversa ha misure diverse fra la parte centrale, che risulta di circa 10 cm, e le parti laterali estreme che misurano circa 9 cm di altezza. La dimostrazione che queste deformazioni sono avvenute prima dell’ultimo restauro è data dal fatto che sia la base delle tavole originali che le traverse applicate nel 1958 sono lineari e non hanno subito nessuna deformazione. Se invece la deformazione fosse recente, anche le traverse dell’ultimo restauro si sarebbero incurvate. 3 Tale fessurazione della tavola dipende in questo caso, con ogni evidenza, da un’apertura che segue le venature del legno e non ha niente a che vedere con i problemi analoghi riscontrabili nelle zone di incollaggio. 4 Questo attrezzo usato per sgrossare le tavole era simile ad un piccola ascia leggermente ricurva; la sua larghezza, circa 3 cm, si rileva dalla dimensione delle tracce lasciate sul legno. 5 Non tutte le parti del supporto ligneo sono deteriorate nello stesso modo a causa dell’attacco degl’insetti xilofagi. Le differenze si spiegano, anche in presenza dello stesso tipo di essenza, dal fatto che la stabilità e l’attaccabilità da parte degli insetti dipende moltissimo dal diverso tipo di taglio, dal periodo in cui esso è stato effettuato – le fasi lunari sono fondamentali – e dalla stagionatura, tutti aspetti che condizionano fortemente la conservazione futura. 6 Per tutte le immagini del polittico prima e dopo il restauro si rimanda all’Atlante, pp. 62-99. 7 Si veda in questo volume l’intervento di Fukunaga et al. 8 Questa tecnica di sgrossatura delle tavole in maniera anche rozza era in uso nel xiii secolo e si ritrova anche su opere del Maestro della Maddalena. Talvolta venivano impiegate anche delle tavole già vecchie o con rotture, comunque non perfettamente sane, scelte tuttavia perché erano più stagionate e stabili, un aspetto quest’ultimo che costituiva uno dei fattori più importanti nella scelta del legno per la costruzione del supporto. 9 Non sono state notate evidenti zone di discontinuità nella unione delle pezze di tela poi ripercosse ed evidenziate sulla superficie attraverso una diversa crettatura, come è stato riscontrato sulla Croce di Santa Maria Novella. Nel nostro caso si possono osservare in alcune parti delle crettature continue sulla superficie dipinta, che ci segnalano queste linee di unione delle tele (si veda soprattutto il fondo oro della tavola con la Madonna col Bambino). Dalle radiografie l’impronta della tela è appena percettibile e quindi è difficile avere una mappa delle pezzature usate, ma è sicuro che la tela sia stesa su tutta la superficie, comprese le cornici. 10 Per quest’opera del Maestro della Maddalena si veda ora E. Francalanci, in Arte a Figline 2010, pp. 98-101, n. 1. Il dipinto presenta una struttura stratigrafica simile al Polittico di Badia almeno nella successione degli strati preparatori: uno strato di gesso granuloso a contatto del legno, poi la tela che copriva tutto questo primo strato e al di sopra di questa varie stesure di gesso e colla completavano gli strati preparatori. 11 Basti pensare, ad esempio, al dossale di Meliore nella Galleria degli Uffizi o alle tavole duecentesche con le figure rilevate.

1 The holes for the pins that anchored the vine decorations of the frames of the gables can be seen with the naked eye, while the X-rays showed their internal dimensions. 2 This warping ended up curving the base—though it was fortunately independent of the polyptych—and probably occurred before the 1958 restoration work. The warping did not affect the work by the lower crosspiece, as can be noted from the reverse, as there is a wider opening in the middle than on the sides. The curvature effect is accentuated by the fact that the crosspiece has different measurements: the central section is approximately 10 cm high, while the extremities measure around 9 cm. That the warping occurred before the penultimate restoration is demonstrated by the fact that both the base of the original panels and the crosspieces applied in 1958 are linear and have not warped at all. In fact, if the warping had been recent the crosspieces of the 1958 restoration would not have been perfectly straight and would likewise have bent. 3 In all likelihood, this crack in the panel was caused by a split along the wood grain and has nothing to do with similar problems in glued areas. 4 This slightly curved implement used to rough out the boards resembles a small adze; its width—approximately 3 cm—can be gleaned from the size of the marks it left on the wood. 5 Not all the parts of the wooden support deteriorated the same way due to the attack of xylophagous insects. Even when the same type of wood was involved, differences can be explained by the fact that stability and susceptibility to attack by insects depend a great deal on the type of cut, the period in which it was done—the phases of the moon are fundamental—and seasoning, all of which powerfully affect future conservation. 6 For all the pictures of the polyptych before and after the restoration, see the ‘Atlas’ section, 62–99. 7 See the essay by Fukunaga et al. in this volume. 8 This technique for rough-hewing the panels, in some cases quite coarsely, was common in the 13th century and can also be found on works of the Magdalene Master. Boards that were old, cracked or not perfectly intact—selected because they were more seasoned and stable—were used in some cases, as stability was one of the most important factors in the choice of wood for the construction of the support. 9 No evident areas of discontinuity have been noted in the union of the pieces of cloth that would later affect the surface and become visible through differences in craquelure, as is instead the case with the Crucifix of Santa Maria Novella. On the polyptych there are several areas of continuous craquelure on the painted surface that tell us where the pieces of cloth were joined (see the above all the gold ground of the panel with the Madonna and Child). The imprint of the cloth is barely perceptible in the X-rays and it is thus difficult to map the pieces that were used. In any event, there is no question that the cloth was stretched across the entire surface, including the frames. 10 For this work by the Magdalene Master, see E. Francalanci, in Arte a Figline 2010, pp. 98–101, no. 1. The painting presents a stratigraphic structure similar to that of the Badia Polyptych, at least in the sequence of preparatory layers: a layer of coarse gesso in contact with the wood, followed by cloth covering the entire first layer, over which several applications of gesso and glue were applied to complete the preparatory layers. 11 For example, we can consider Meliore’s dossal, now at the Uffizi, as well as 13th-century panels with figures in relief. 12 Studies done to identify the binder have unfortunately not yielded significant results. This type of analysis is very complex



12 Purtroppo le indagini rivolte al riconoscimento del legante non hanno dato risultati significativi. Questo tipo di analisi sono molto complesse per vari motivi, sia scientifici ma soprattutto di lettura dei risultati. Le tecniche pittoriche usate dai pittori non erano mai “pure” e i leganti avevano numerose ricette, che si componevano di varie sostanze in percentuali diverse, anche minime, le quali ne cambiavano sostanzialmente la struttura e il modo di utilizzo. Pertanto, ammesso che oggi si riesca ad individuare i componenti dei leganti, resta comunque assai difficile appurarne le percentuali, che rappresentano il fattore determinante per il tipo di legante usato. 13 La ricetta di base della tempera ad uovo indicata da Cennino Cennini è molto semplice: un rosso d’uovo – meglio di città, come dice Cennino, perché più chiaro di quello di campagna –, una percentuale di chiara sbattuta e filtrata (circa mezzo guscio) e una parte di aceto bianco (o altre sostanze) facente funzione di fluidificante e disinfettante (Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. LXXII, pp. 120-122). Ma dall’antichità esistono infinite ricette di tempere che, partendo sempre dagli ingredienti di base e mantenendo la solubilizzazione in acqua, ne cambiavano le dosi o gli ingredienti con una fantasia infinita, mutando sensibilmente il tipo di utilizzazione e le caratteristiche. Il passaggio dalla pittura a tempera classica alla pittura ad olio è stato verosimilmente molto graduale: le percentuali oleo-resinose che venivano aggiunte alle tempere permettevano di utilizzare i colori con impasti e sfumature sempre più simili ad una pittura ad olio piuttosto che ad una tempera, mantenendo sempre però la solubilizzazione in acqua. L’uso dell’acqua come solvente era molto importante perché permetteva una parziale essiccazione abbastanza rapida del colore e quindi la possibilità di sovrapporre velature e stesure successive con molta facilità. Aumentando le percentuali oleose l’acqua non scioglieva più il colore così composto, ed era necessario usare un altro solvente che doveva essere l’essenza di trementina. A questo punto non si può parlare più di colori a tempera, ma di colori ad olio. 14 In particolare con una lega di stagno e mercurio. 15 Per il livellamento dell’imprimitura di gesso venivano usati comunemente anche dei raschietti metallici, o «raffietti»(Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. CXV, pp. 144-145). Questi potevano lasciare talvolta sulla superficie delle impronte dovute a possibili imperfezioni della lama metallica. Nel nostro caso la superficie presenta in molte parti dei leggerissimi segni simili a graffi, che potrebbero essere stati provocati o dal livellamento iniziale o da abrasioni avvenute nel tempo sopra la superficie dipinta. Il fatto che questi solchi nella maggior parte dei casi non presentino delle consunzioni, ma abbiano l’oro ancora integro all’interno, fa pensare che siano stati provocati dal livellamento del gesso e non da cause accidentali successive. 16 In questa fase di definizione degli spazi da dorare ci chiediamo se e a che livello fosse stato eseguito un disegno: appare evidente che senza un disegno anche semplice dell’ingombro dello spazio da dedicare alle figure non si poteva eseguire l’incisione; poiché questa non deriva certamente da un cartone possiamo ipotizzare che seguisse le tracce di un disegno essenziale, desunto da un disegno su carta finito e dettagliato. 17 Il Cennini nel suo trattato parla espressamente del disegno a carboncino (Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. XXX, pp. 82-83). 18 Parigi, Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 2664. Il disegno fu restituito a Giotto in persona da Luciano Bellosi, cfr. G. Ragionieri, in Giotto. Bilancio critico 2000, pp. 133-134, n. 11. 19 Cennino Cennini descrive la preparazione di queste punte metalliche: «E poi abi uno stile d’argiento o d’ottone, o di ciò si sia,

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for a number of reasons, not only scientific but, above all, in terms of the interpretation of the results we can attain. The pictorial techniques used by painters were never ‘pure’ and there were numerous recipes for binders, which were composed of an array of substances in different percentages—even minimal—that substantially changed their structure and the way they were used. Therefore, even supposing that today we can identify the components of the binders, it would be very difficult to ascertain the percentages, which represent the decisive factor for the type of binder that was used. 13 The basic formula for egg tempera is quite simple, as indicated by Cennino Cennini: an egg yolk—better if from a city egg, as Cennino notes, because it is lighter in colour than farm eggs—combined with a percentage of the beaten and filtered white (about half a eggshell) and an equal amount of white vinegar (or other substances), designed to fluidify and disinfect the mixture (Cennini, Libro dell’arte, chap. 72). Nevertheless, there have been countless tempera recipes since antiquity, and while they all start with the same basic ingredients and are water-soluble, artists very imaginatively changed the amounts or other ingredients, significantly influencing the type of use and its characteristics. The transition from classic tempera to oil painting must have been very gradual. The oleoresin percentages that were added to the tempera paint made it possible to use colours with densities and nuances that increasingly resembled those of oil painting rather than tempera, but always remained water-soluble. The use of water as a solvent was very important because it permitted rather fast partial drying of the colour and thus the possibility of adding velature and further layers of paint with great ease. By increasing the oily proportions, water could no longer dissolve the colour so composed and another solvent had to be used, probably oil of turpentine. At this point, we can no longer call these tempera colours and must refer to them as oils. 14 Particularly with an alloy of tin and mercury. 15 To level the gesso imprimitura, metal scrapers (called raffietti: Cennini, Libro dell’arte, chap. 115) were commonly used. In some cases they left imprints on the surface due to imperfections of the metal blade. In our case, many parts of the surface present very light marks resembling scratches that could have been caused by initial levelling or by abrasions over time on the painted surface. The fact that most of these marks do not have grooves left by wear but had intact gold inside them leads us to surmise that they were caused by levelling of the gesso rather than subsequent accidental causes. 16 In this phase of the definition of the spaces to be gilded we wonder if and at what level the design was executed. It seems evident that the incising work could not have been done without a drawing—even a simple one—of the space to be allocated to the figures. Given that it clearly could not have derived from a cartoon, we can theorize that it followed the lines of a simple design, taken from a finished and detailed drawing on paper. 17 Cennini specifically mentions charcoal drawing (Libro dell’arte, chap. 30). 18 Paris, Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 2664. Luciano Bellosi attributed the sketch to Giotto himself, see G. Ragionieri in Giotto. Bilancio critico 2000, 133–134, no. 11. 19 Cennini describes the preparation of these metal tips: “And then take a style of silver, or brass, or anything else, provided the ends be of silver, fairly slender, smooth, and handsome” (Libro dell’arte, chap. 8). He also mentions “a style made of two parts lead and one part tin, well beaten with a hammer” (ibid., chap. 11).

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purché dalle punte sia d’argiento, sottili a ∙rragione, pulite e belle» (Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. VIII, p. 66). E ancora: «fatto lo stile due parti di piombo e una parte [di] stagno, ben battuto a martellino» (ivi, cap. XI, p. 70). Chiaramente nel Libro dell’arte sono menzionate varie altre tecniche per eseguire i disegni; questa però è la più simile a quella impiegata per il disegno a tratto con matite come lo conosciamo noi oggi. Vi si parla anche di grafite o piombaggine: «pria nera che vien dal Piemonte» (ivi, cap. XXXIV, p. 87). Oggi la grafite si usa per le matite, ma sembra che allora si adoperasse in maniera più simile al carboncino. Occorre considerare che Giotto ha eseguito il polittico almeno cento anni prima del libro del Cennini, e il tratto lineare può essere stato lasciato solo da un «istil di piombo» come quello descritto sopra. 20 L’individuazione delle linee a luce visibile è parziale e molto difficoltosa; tuttavia in alcuni punti il colore originale, già sottilissimo in origine, col passare del tempo è diventato quasi trasparente, in modo da lasciare intravedere gli strati sottostanti. 21 Cfr. Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. XCV, p. 132. 22 La pulitura a bisturi deve essere sempre eseguita con l’ausilio del microscopio ottico poiché le semplici lenti d’ingrandimento non sono sufficienti per un controllo corretto.

Naturally, he also discusses many other techniques for executing drawings, but this particular one is closest to the one referring to the pencil line drawing we know today. Cennini also describes graphite or plumbago, “a certain black stone, which comes from Piedmont” (ibid. chap. 34), that is used today for pencils. However, it seems that graphite was employed more like charcoal than as a pencil. We must consider that Giotto executed the polyptych at least thirty years before the book was written and the linear mark can only have been left by a “style of lead”, as described by Cennini. 20 Identification of the lines in visible light is partial and very difficult. Something can be glimpsed only because the original colour was already very thin to start, and with the passage of time it became transparent enough to reveal the underlying layers. 21 See Cennini, Libro dell’arte, chap. 95. 22 Scalpel cleaning must always be done with the aid of an optical microscope because a simple magnifying glass is not enough for proper monitoring.

k a o r i f uk una ga , c o st a nza cu cci , cri s t i n a m o n t ag n e r, m arce l l o p ic ollo, su s a nna b r a c c i , d ona t a m ag ri n i , o s car ch i an t o re

Studio diagnostico e analitico del Polittico di Badia mediante tecniche non invasive e microinvasive

Diagnostic and Analytical Study of the Badia Polyptych with Non-invasive and Micro-invasive Techniques

1. Introduzione

1. Introduction

Gli obiettivi del progetto diagnostico condotto sul Polittico di Badia, opera di Giotto realizzata attorno al 1300, sono stati finalizzati allo studio della tecnica esecutiva dell’opera e dei materiali pittorici impiegati dall’artista. Lo sviluppo del progetto diagnostico-analitico si è reso necessario a supporto dell’intervento conservativo dell’opera. È stato quindi necessario fornire tutti i dati utili per la conoscenza dei materiali sia originali che di restauro e per la valutazione delle condizioni conservative dell’opera stessa. Le tecniche diagnostiche e analitiche impiegate per questo studio sono state un’interessante combinazione di una metodologia innovativa, applicata, per quanto noto agli autori, per la prima volta su un’opera pittorica di tale importanza, con metodologie tradizionali il cui impiego nel campo conservativo è noto e documentato. Sono state utilizzate sia analisi microinvasive per lo studio stratigrafico e composizionale dei materiali costituenti l’opera sia metodologie non invasive innovative, quale la tecnica di immagine nella regione spettrale dei Terahertz (THz), e ormai consolidate come la spettroscopia in riflettanza a fibre ottiche. Con la tecnica a immagine nei THz è stato possibile ottenere, per selezionate aree del Polittico, informazioni sulla sequenza stratigrafica e sui materiali presenti. Queste informazioni, ottenute senza alcun contatto con la superficie dell’opera, sono risultate complementari e in ottimo accordo con quanto ottenibile con la riflettografia infrarossa e la radiografia X. Come auspicabile, e nonostante i tempi piuttosto ridotti per tutto l’intervento di restauro, le indagini scientifiche sono state condotte seguendo una sequenza temporale ottimale. Per prima cosa, infatti, sono state effettuate analisi diagnostiche non invasive per immagini che hanno incluso, oltre quelle di routine quali fluorescenza UV, infrarosso, infrarosso falso colore, ecc., l’acquisizione di immagini in riflettanza con emissione/ ricezione di radiazione nella regione dei THz. Successivamente, durante l’intervento di pulitura della superficie pittorica, sono state effettuate, sempre con metodologie

The aim of the diagnostic project conducted on the Badia Polyptych, painted by Giotto around 1300, was to study the technique used to create the work and the pictorial materials employed by the artist. The diagnostic-analytical project was developed in order to support the conservative restoration of the work, making it essential to collect all possible data required to understand the original materials and those used in subsequent restorations, and to assess the state of preservation of the polyptych. The diagnostic and analytical techniques adopted for this study combined innovative methods (applied here, as far as we know, for the first time on such an important painting) with traditional techniques, the use of which is well known and widely documented in conservative restoration. A range of different techniques was employed, including micro-invasive analysis for the stratigraphic and compositional study of the materials used in the work, innovative non-invasive methods, such as Terahertz (THz) imaging technology, and well-established ones, such as fibre-optic reflectance spectroscopy (FORS). THz imaging provided information on the stratigraphic sequence and the materials present in selected areas of the polyptych. This information, obtained without contact with the surface of the work, complemented and fully agreed with what was observed through infrared reflectography and X-rays. Despite the limited time available for the restoration work, the scientific investigations were conducted following a pre-established and optimized sequence. First of all, non-invasive diagnostic imaging techniques such as UV fluorescence, IR reflectography, false colour, etc. were used to analyse the work. In addition to routine procedures we also recorded reflectance images in the THz spectral region. Subsequently, while cleaning the pictorial surface, we acquired non-invasive reflectance spectroscopy measurements in the ultraviolet (UV), visible (Vis) and near-infrared (NIR) regions using portable fibre-optic spectroanalysers (FORS). FORS was used for the compositional characterization of the materials com-



fukunaga, cucci, montagner, picollo, bracci, magrini, chiantore 152

non invasive, misure spettroscopiche in riflettanza nelle regioni dell’ultravioletto (UV), visibile (Vis) e vicino infrarosso (NIR) con spettro-analizzatori portatili equipaggiati con fibre ottiche (FORS). La tecnica FORS è stata impiegata per la caratterizzazione composizionale dei materiali costituenti il film pittorico e la preparazione, nonché per l’identificazione, quando possibile, di eventuali materiali derivanti da precedenti restauri e/o da fenomeni di alterazione. Parallelamente, è stata eseguita una specifica campagna di misure colorimetriche per seguire l’intervento di pulitura e definire le variazioni cromatiche indotte a seguito della rimozione selettiva della vernice alterata e fortemente ingiallita dalla superficie pittorica. Soltanto in un secondo tempo e dopo un’attenta valutazione dei dati ottenuti con le tecniche non invasive, sono stati prelevati dall’opera alcuni microcampioni (si parla generalmente di tecniche microinvasive per la ridotta quantità di materiale prelevato dal manufatto artistico). Il campionamento è stato eseguito a bisturi dal restauratore Stefano Scarpelli. Per lo studio delle vernici sono stati effettuati specifici prelievi tramite tamponi di cotone imbevuti di solvente, in questo caso acetone. In dettaglio, le indagini microinvasive sono state finalizzate alla caratterizzazione degli strati preparatori, all’identificazione dei pigmenti e dei leganti impiegati per la realizzazione delle differenti campiture cromatiche, nonché all’identificazione delle vernici presenti e all’osservazione della pellicola pittorica e del suo stato di conservazione. Le tecniche analitiche impiegate e i dati acquisiti, con una descrizione dei risultati ottenuti, sono presentati in dettaglio nelle prossime sezioni con particolare risalto alla tecnica di immagine THz, essendo tra tutte quella maggiormente innovativa; vengono poi discussi i risultati in maniera globale come integrazione dei risultati di tutte le tecniche analitiche utilizzate nel presente studio.

prising the pictorial layers and preparation and, when possible, to identify any materials from previous restorations and/or caused by deterioration. At the same time, colorimetric measurements were carried out to monitor the cleaning and assess the chromatic variations resulting from the selective removal of deteriorated and yellowed varnish from the pictorial surface. Only later, following careful assessment of the information obtained with non-invasive techniques, did we take several micro-samples from the work (referred to generally as ‘micro-invasive’ techniques because only a very small amount of material is taken from the work of art). The restorer, Stefano Scarpelli, took the samples using a scalpel. In order to study the varnishes, specific samples were taken using swabs soaked in an appropriate solvent (acetone in this case). The specific aim of the micro-invasive investigations was to characterize the preparatory layers, identify the pigments and binders that were used to create the different areas of colour and the varnishes that were present, and observe the pictorial film and its state of preservation. The following sections describe the analytical techniques that were used and the data that were acquired, highlighting the innovative THz imaging technique and discussing the overall results of all the analytical techniques used in this study.

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studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

2. Metodologie di indagine non invasive

2. Non-invasive investigation techniques

Diagnostica per immagini nella regione dei Terahertz (THz)1 Le regione dei Terahertz (THz) corrisponde all’intervallo spettrale compreso tra 0,1 e 10 THz, situato tra le radioonde e l’infrarosso (fig. 1). La radiazione THz si può trasmettere nei materiali dielettrici, anche se opachi, mentre è perfettamente riflessa dai metalli. Per quanto riguarda i dipinti, tale radiazione generalmente può penetrare più in profondità della radiazione infrarossa (IR), ma, nel caso di dipinti su tavola, non riesce a passare attraverso tutti i materiali, come avviene invece nel caso delle radiografie X. Gli spettri in trasmissione e in riflessione registrati nella regione dei THz dipendono dal tipo di materiale analizzato: molti materiali hanno spettri THz particolari che permettono una loro identificazione (zona spettrale di fingerprint). Ad esempio, la radiazione THz riflessa da pigmenti inorganici, come il cinabro, è molto intensa, mentre normalmente i pigmenti e/o coloranti organici risultano trasparenti. In teoria quindi è possibile distinguere zone dipinte con pigmenti inorganici da quelle in cui siano presenti materiali organici. Le misure mediante strumentazioni che usano la radiazione THz sono non invasive e si effettuano senza alcun contatto con l’opera. Questa tecnologia è quindi particolarmente indicata per ottenere in maniera non invasiva una lettura stratigrafica dei diversi materiali presenti negli strati pittorici, nella preparazione e nel supporto del manufatto artistico. Queste informazioni si possono ottenere ricorrendo alla tecnica THz per immagini nel dominio temporale (time domain), basata sull’utilizzo di radiazione impulsata nella regione dei THz. La riflessione da strati di materiale diverso, ognuno caratterizzato da un proprio indice di rifrazione, viene registrata dallo strumento come una sequenza di segnali impulsati (fig. 2). Tale sequenza è funzione dei materiali presenti nella stratigrafia. Raccogliendo

Diagnostic imaging in the Terahertz (THz) region1 The Terahertz (THz) region includes the spectrum range of 0.1-10 THz, located between radio and infrared waves (fig. 1). THz radiation is able to penetrate dielectric materials even if they are opaque, but is reflected in full by metals. When applied to paintings, THz radiation can generally penetrate to a greater depth than infrared (IR) radiation, but—unlike X-rays—in the case of paintings on wood it cannot pass through all the materials. The transmission and reflection spectra recorded in the THz region depend on the type of material analysed: many materials have a unique fingerprint in their THz spectra that makes it possible to identify them. For example, the THz radiation reflected by inorganic pigments, such as vermilion, is very intense, whereas organic pigments and/or dyes look transparent. As a result, it is theoretically possible to distinguish areas painted with inorganic pigments from those where organic materials are present. THz measurements are non-invasive and do not require any contact with the work. This means that the technology is particularly suited for non-invasive stratigraphic reading of the different materials present in the pictorial layers, preparation and support. This information can be obtained with THz time-domain imaging technology, which uses pulsed radiation in the THz region. The instrument records the sequence of the pulsed signals reflected from the different layers of materials, each one characterized by a specific refractive index (fig. 2). The recorded sequence depends on the materials present in the stratigraphy. By collecting the signals from a specific time domain it is also possible to obtain a two-dimensional image of the layer of interest or map the presence of a specific material. Furthermore, unlike X-ray or IR radiation sources, the energy generated by THz radiation emitters used in these applications is equivalent to that of ambient

Tecnologia THz THz Technology Elettronica | Electronics

Ottica | Optics

1

Microonde Microwaves 0.001

0.01

100

10

1000

Onde millimetriche Millimetric Waves 0.1

1

1. Spettro elettromagnetico suddiviso nelle diverse regioni.

Wavenumber (cm-1)

Infrarosso Infrared 10

Visibile Visible 100

Ultravioletto Ultraviolet 1000

10000

1. The regions of the electromagnetic spectrum.

Raggi X X-Ray Frequenza THz THz Frequency



fukunaga, cucci, montagner, picollo, bracci, magrini, chiantore 154

Segnali Segnaliincidenti incidentiimpulsati impulsati//Incident IncidentPulsed PulsedSignals Signals

Aria Aria Air Air

Riflessioni Riflessioniaria/A aria/A Air/A Air/AReflections Reflections

Materiale MaterialeAA Material MaterialAA

Riflessioni RiflessioniA/B A/B A/B A/BReflections Reflections

Materiale MaterialeBB Material MaterialBB

Riflessioni RiflessioniB/aria B/aria Air/B Air/BReflections Reflections

2. Schema del funzionamento della tecnica THz per immagini nel dominio temporale (time domain).

Segnali Segnaliimpulsati impulsati//Pulsed PulsedSignals Signals aria/A aria/A air/A air/A

B/aria B/aria B/air B/air A/B A/B

Tempo Tempo(ps)/Time (ps)/Time(ps) (ps)

2. THz time-domain imaging: operation diagram.

i segnali di uno specifico dominio temporale è inoltre possibile ottenere l’immagine 2D dello strato di interesse (layer of interest) o la mappatura di un particolare materiale presente. Inoltre, a differenza delle sorgenti di radiazione X o IR, l’energia emessa dagli emettitori di radiazione THz utilizzati in queste applicazioni è equivalente a quella della temperatura ambiente, risultando del tutto innocua per l’oggetto analizzato. Negli ultimi dieci anni, in particolare per il campo aeronautico e quello relativo alla sicurezza negli aeroporti, sono stati sviluppati diversi sistemi ad immagine THz. Lo sviluppo di questa tecnologia ha portato poi a estenderne l’applicazione ai settori più vari e tra questi anche il campo dei beni culturali. Il sistema THz usato per lo studio del Polittico di Badia è realizzato dalla ditta Picometrix, modello T-ray 4000 (fig. 3). Questo sistema è trasportabile e opera nell’intervallo di frequenze comprese tra 0,05 e 2 THz (circa 501,7 cm-1; 0,2-6 mm). La sorgente e il rivelatore THz sono connessi al corpo centrale della strumentazione mediante fibre ottiche e il sistema è disegnato in modo da poter facilmente misurare vari tipi di oggetti sia in trasmissione che in riflessione. Per questa specifica applicazione è stato deciso di lavorare in riflessione, usando uno scanner per acquisire e mappare i segnali riflessi dall’opera su aree di circa 30 cm2 con risoluzione spaziale di circa 1 mm e tempo di registrazione di circa 15 minuti/area (fig. 4). Il valore della riflettanza così come misurato è calcolato come integrazione dei valori assoluti nel segnale impulsato per quello specifico tempo di ritardo. Spettroscopia di riflettanza con fibre ottiche (FORS) La tecnica FORS si basa sull’analisi di spettri di riflettanza acquisiti in maniera non invasiva. Con questo termine, “spettro di riflettanza”, si definisce un grafico in cui l’intensità della radiazione retrodiffusa dalla superficie investigata è riportata in funzione della lunghezza d’onda della

3. Sistema THz della ditta Picometrix (modello T-ray 4000) in fase di acquisizione. 3. The Picometrix T-ray 4000 model at work.

155

studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

radiazione inviata sull’area di misura. Il valore dell’intensità della radiazione è riportato come percentuale di radiazione diffusa (riflessa) dalla superficie investigata in rapporto ad un bianco di riferimento, il quale si assume come diffondente la radiazione incidente al 100% su tutto l’intervallo spettrale considerato. L’applicazione della tecnica FORS è indirizzata sia all’identificazione di pigmenti, coloranti e prodotti di alterazione, sia all’analisi del colore e delle sue variazioni.2 Il fatto di essere una tecnica di indagine non invasiva permette di superare l’oggettivo limite del numero di campioni da analizzare, limite presente in tutte quelle tecniche che necessitano di campioni prelevati dall’opera stessa. Inoltre, il recente sviluppo di strumentazioni trasportabili ha permesso di acquisire spettri direttamente nel luogo in cui si trova l’opera. La possibilità di acquisire un numero elevato di spettri FORS senza nessuna controindicazione per l’opera consente anche di applicare tecniche statistiche di elaborazione dati per ottenere parametri significativi al fine di discriminare e raggruppare le informazioni contenute negli spettri acquisiti. Queste informazioni possono, inoltre, essere impiegate per ottimizzare la scelta dei punti da campionare. Per questo studio sono stati impiegati due spettroanalizzatori Zeiss (modelli MCS601 e MCS611 NIR 2.2 WR), montati sul medesimo chassis insieme ad una sorgente interna (lampada alogena da 20W con temperatura di colore di circa 3000 K, intervallo di emissione 320-2500 nm); questa configurazione strumentale consente di ottenere spettri di riflettanza nell’intervallo di lunghezze d’onda dall’UV al NIR compresi, nel presente lavoro, tra 350 nm e 2200 nm. Per inviare e riprendere la radiazione retrodiffusa dalla superficie analizzata, è stata utilizzata una sonda semisferica, progettata e realizzata presso l’IFAC, con Ampiezza (u.a.)/Amplitude (a.u.) 0.1

0

Tempo (ps) Time (ps)

-0.1 140

160

180

200

4. Segnale registrato dallo strumento in funzione del tempo (espresso in picosecondi). 4. Signal recorded by the instrument as a function of time (in picoseconds).

temperature, thus making it completely harmless for the object being examined. Various THz imaging systems have been developed over the past ten years, particularly in aeronautics and airport safety. This evolving technology was then applied to a wide variety of fields, including that of cultural heritage. The THz system used to study the Badia Polyptych was the Picometrix T-ray 4000 model (fig. 3). The system is portable and operates in the 0.05–2 THz frequency range (approximately 50–1.7 cm-1; 0.2–6 mm). The THz source and detector are connected to the main unit of the equipment via optical fibres. The system is designed to make it easy to measure various types of objects, in both transmission and reflection modes. For this specific application we decided to work in reflection mode, using a scanner to acquire and map the signals reflected by the work in areas of approximately 30 cm2 with a spatial resolution of approximately 1 mm and a recording time of around 15 minutes/area (fig. 4). The reflectance value measured is calculated as the integration of the absolute values in the pulsed signal for the specific delay time. Fibre-optic reflectance spectroscopy (FORS) The FORS technique is based on the analysis of reflectance spectra acquired using non-invasive methods. A reflectance spectrum is a graphic in which the intensity of radiation backscattered from the surface being studied is shown as a function of the wavelength of the radiation sent to the area being measured. The intensity of the radiation is shown as a percentage of radiation diffused (reflected) by the surface being studied in relation to a reference white target, assumed to diffuse 100% of the incident radiation across the entire spectral range being examined. Application of the FORS technique is used not only to identify pigments, dyes and alteration products, but also to analyse the actual colour and its variations.2 The fact that it is a non-invasive method makes it possible to acquire a large number of spectra, overcoming the limitation instead present in all techniques in which samples must be taken from the work. Furthermore, the recent development of portable instruments means that spectra can be acquired on site, at the location of the work. The large number of FORS spectra that can be acquired without affecting the work in any way allows analysts to use statistical data-processing techniques to obtain the significant parameters required to discriminate and group the information contained in the acquired spectra. This information can additionally be used to optimize the choice of sampling points. For this study we used two Zeiss spectroanalysers (models MCS601 and MCS611 NIR 2.2 WR), mounted on



fukunaga, cucci, montagner, picollo, bracci, magrini, chiantore 156

cui è possibile investigare un’area di circa 2 mm di diametro. In questo studio, la radiazione elettromagnetica è stata inviata sull’area da investigare attraverso un fascio di fibre ottiche lineari posto perpendicolare alla superficie investigata (0°). La radiazione retrodiffusa dalla superficie è stata raccolta e inviata ai sensori dei due spettroanalizzatori mediante due distinti fasci di fibre lineari posti rispettivamente a 45° rispetto alla normale alla superficie investigata, utilizzando quindi una geometria di misura 0°/45°/45°. La radiazione retrodiffusa è stata poi analizzata nelle sue componenti tramite i due reticoli disperdenti e successivamente campionata per ottenere lo spettro.

the same frame with an internal light source (20W halogen lamp with a colour temperature of approximately 3000 K and emission interval 320–2500 nm). With this configuration it is possible to obtain reflectance spectra in the range UV-NIR corresponding, in this study, to the 350–2200 nm range. To send and acquire the radiation backscattered from the analysed surface we used a hemispherical probe designed and built at IFAC, allowing us to examine an area with a diameter of approximately 2 mm. In this study the electromagnetic radiation was sent to the area to be investigated through a straight fibre-optic bundle perpendicular to the surface (0°). The radiation backscattered from the surface was collected and sent to the sensors of the two spectrum analysers using two separate straight fibre-optic bundles set at 45° of the perpendicular to the surface being studied, and thus using a measuring geometry of 0°/45°/45°. The components of the backscattered radiation were then analysed through two dispersion gratings and subsequently sampled to obtain the spectrum.

157

studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

3. Metodologie di indagine microinvasive3

3. Micro-invasive investigation methods3

Le indagini sono state condotte su due tipologie di campioni: a) microframmenti per lo studio della stratigrafia; b) prelievi a tampone e solvente (acetone) per analisi della vernice (si veda la tabella a p. 158).

The investigations were conducted on two types of samples: a) micro-fragments to study the stratigraphy; b) sampling using cotton swabs and solvent (acetone) in order to analyse the varnishes (see table on p. 158).

I frammenti sono stati inizialmente studiati e documentati mediante osservazione al microscopio ottico (MO) Nikon Eclipse 600 in luce riflessa visibile e ultravioletta (filtro Nikon B2A). Nel caso il campione fosse costituito da più frammenti, una parte di questi è stata analizzata anche con la tecnica di pirolisi gascromatografia accoppiata a spettrometria di massa (Py-GC/MS) per l’identificazione dei composti organici (si veda infra). I campioni sui quali è stato possibile effettuare microcampionamenti selettivi con l’ausilio del microscopio sono stati analizzati tramite spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) in trasmissione con cella di diamante (Perkin-Elmer, modello System 2000, intervallo di misura: 4000-500 cm-1, 64 scansioni) per l’identificazione dei composti inorganici ed organici presenti con particolare attenzione agli strati preparatori. I frammenti più rappresentativi di ciascun campione sono stati inglobati in resina per la realizzazione di sezioni lucide e successiva osservazione al MO in luce riflessa (visibile e ultravioletta), con relativa documentazione fotografica. Successivamente le sezioni sono state osservate al microscopio elettronico (SEM Philips XL 20) in modalità “basso vuoto”, senza metallizzazione del campione. Sono state acquisite sia le immagini ottenute con il rivelatore a elettroni secondari (SE) sia quelle ottenute con il rivelatore a elettroni retrodiffusi (BS); quest’ultimo restituisce un’immagine in scala di grigi nella quale il contrasto è determinato dal diverso numero atomico degli elementi presenti nel campione. Il fenomeno di emissione di raggi X degli elementi presenti viene sfruttato attraverso la microsonda elettronica (EDS) per l’analisi elementare. Lo strumento, come precedentemente detto, permette di lavorare anche in basso vuoto (1 torr), senza quindi la necessità di metallizzare il campione; grazie a questa modalità, in alcuni casi lo studio è stato condotto tramite ESEM-EDS anche prima dell’inglobamento in resina sui campioni come tali. I prelievi effettuati con i tamponi sono stati analizzati tramite spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) in trasmissione (4000-400 cm-1, 4 scansioni, risoluzione 4 cm-1). Le analisi sono state effettuate sottoponendo il tampone di cotone ad estrazione con lo stesso solvente impiegato per il prelievo (acetone), e l’estratto,

The fragments were initially observed and documented with an optical microscope (OM) Nikon Eclipse 600 in visible and UV reflected light (Nikon B2A filter). If the sample included several fragments, some were analysed using pyrolysis-gas chromatography/mass spectrometry (Py-GC/MS) to identify organic compounds (see below). Where microscope-assisted selective micro-sampling was possible, the samples were analysed using Fourier transform infrared spectroscopy (FTIR) in transmission mode with a diamond cell (Perkin-Elmer, System 2000 model, measuring interval 4000–500 cm-1, 64 scans) to identify the inorganic and organic compounds present, especially in the preparatory layers. The most representative fragments of each sample were set in resin to create cross sections that were then observed using a reflected light OM (visible and UV), photographing the results. The sections were then observed with a scanning electron microscope (Philips XL 20) in ‘low-vacuum mode’, without metallizing the sample. Images were obtained with the secondary-electron (SE) detector and the backscattered-electron (BSE) detector; the latter yielded a greyscale image in which contrast is determined by the different atomic number of the elements in the sample. X-ray emission permitted elemental analysis of the materials present using the electron microprobe (EDS). As already noted, when working in low-vacuum mode (1 torr) the instrument does not require metallization of the sample. This allowed us to use ESEM-EDS techniques even before setting the samples in resin. The samples taken with cotton swabs were analysed using FTIR in transmission mode (4000–400 cm-1, 4 scans, resolution 4 cm-1). The analyses were carried out by extracting the cotton swab with the same solvent originally used to take the sample (acetone) and, following evaporation and drying, the extract was dispersed in a KBr pellet. The analyses for the characterization of organic compounds present in the paint and used as binders for the pictorial and preparatory layers were carried out using two different methods. Swab-collected samples were analysed using gas chromatography/mass spectrometry (GC/MS) techniques by processing the sample. One part of the sample was dissolved in 20 ml of Meth-Prep II,

Numero identificativo del prelievo, descrizione della zona di campionamento e analisi effettuate Identification number of the sample, description of the sampling area and type of analysis performed campione sample

tipologia campione sample type

descrizione campione sample description

metodologie analitiche analytical methods

PB_01 Frammento San Nicola: veste del santo dalla decorazione di foglie metalliche Fragment St Nicholas: the saint’s robe with decoration in metal leaf PB_02 Frammento San Nicola: decorazione rossa in basso a destra della tavola Fragment St Nicholas: red decoration on the lower right of the panel

MO, Py-GC/MS, SL, SEM (SL) OM, Py-GC/MS, CS, SEM (CS)

PB_03

Frammento Fragment

San Nicola: decorazione bianca della veste del santo in basso a destra St Nicholas: white decoration of the saint’s robe on the lower right

MO, Py-GC/MS, SL, SEM (SL) OM, Py-GC/MS, CS, SEM (CS)

PB_04

Frammento Fragment

San Nicola: decorazione bianca della veste del santo in basso a destra St Nicholas: white decoration of the saint’s robe on the lower right

MO, SL, SEM (SL) OM, CS, SEM (CS)

PB_05

Frammento Fragment

San Giovanni: colonna rossa in basso a destra della tavola St John: red column on the lower right of the panel

MO, FT-IR, SL, SEM (CT e SL) OM, FTIR, CS, SEM (AS and CS)

PB_06 Frammento Fragment

San Giovanni: libro del santo in corrispondenza di una campitura blu-verde pulita, senza vernice St John: saint’s book in the area of a cleaned blue-green ground without varnish

MO, FT-IR, Py-GC/MS, SL, SEM (SL)

PB_07

Frammento Fragment

San Giovanni: veste viola del santo in corrispondenza della manica destra St John: right sleeve of the saint’s purple robe

MO, FT-IR, SL, SEM (SL) OM, FTIR, CS, SEM (CS)

PB_08

Frammento Fragment

Madonna: mantello blu vicino alla mano che sorregge il Bambino Virgin: blue mantle by the hand holding the Child

MO, SL, SEM (SL) OM, CS, SEM (CS)

PB_09 PB_10 PB_11 PB_12 PB_13 PB_14 PB_15

Frammento Fragment

Madonna: incarnato della mano che sorregge il Bambino Virgin: flesh from the hand holding the Child

MO, FT-IR, SL, SEM (SL) OM, FTIR, CS, SEM (CS)

Frammento Fragment

Madonna: in corrispondenza di una crepa sullo sfondo sulla sinistra Virgin: in a crack in the ground on the left

MO, SL, SEM (CT e SL) OM, CS, SEM (AS and CS)

Frammento Fragment

San Pietro: manica verde del santo St Peter: the saint’s green sleeve

MO, Py-GC/MS, SL, SEM (SL) OM, Py-GC/MS, CS, SEM (CS)

Frammento Fragment

San Benedetto: manto grigio St Benedict: grey mantle

MO, FT-IR, SL, SEM (SL) OM, FTIR, CS, SEM (CS)

Tamponi in cotone Cotton swabs

San Giovanni: area di sfondo sull’oro della tavola St John: ground on the gold of the panel

FT-IR, GC/MS FTIR, GC/MS

Tamponi in cotone Cotton swabs

Madonna: area di sfondo sull’oro della tavola (zona 1 sull’oro) Virgin: ground on the gold of the panel (area 1 on the gold)

FTIR, GC/MS FTIR, GC/MS

Tampone in cotone Cotton swab

San Nicola: area sul bastone all’altezza della mano sinistra St Nicholas: area on the crosier by the saint’s left hand

GC/MS (indagine non riuscita) GC/MS (analysis unsuccessful)

PB_16

Tampone in cotone Cotton swab

San Nicola: area sulla guancia del santo St Nicholas: area on the saint’s cheek

GC/MS

PB_17

Tampone in cotone Cotton swab

San Giovanni: area sulla manica del santo St John: area on the saint’s sleeve

GC/MS

PB_18

Tampone in cotone Cotton swab

San Giovanni: area sulla spalla destra del santo St John: area on the saint’s right shoulder

GC/MS

PB_19

Prelievo a bisturi dopo San Nicola: area sulla manica destra del santo la rimozione ad acetone St Nicholas: area on the saint’s right sleeve Sampling with scalpel after removal with acetone

legenda

MO FT-IR Py-GC/MS GC/MS SL SEM

MO, FT-IR, SL, SEM (SL) OM, FTIR, CS, SEM (CS)

OM, FTIR, Py-GC/MS, CS, SEM (CS)

FT-IR FTIR

explanatory notes

Osservazioni al microscopio ottico in luce visibile e ultravioletta Spettroscopia IR in trasformata di Fourier Pirolisi gascromatografia/spettrometria di massa Gascromatografia/spettrometria di massa Sezione lucida Microscopio elettronico a scansione (CT: campione tal quale; SL: sezione lucida)

OM FTIR Py-GC/MS GC/MS CS SEM

Optical microscope observations (under visible and UV light) Fourier transform infrared spectroscopy Pyrolysis-gas chromatography/mass spectrometry Gas chromatography/mass spectrometry Cross section Scanning electron microscope (AS: as sampled; CS: cross section)

159

studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

5. Particolari del polittico indagati con la tecnica di immagine THz.

5. Details of the polyptych investigated with the THz imaging technique.

dopo evaporazione ed essiccamento, è stato disperso in pasticca di KBr. Le analisi per caratterizzare i composti organici presenti sia nelle vernici che impiegati come leganti negli strati pittorici e nella preparazione sono state effettuate con due modalità diverse. Per le vernici prelevate a tampone, l’analisi è stata effettuata tramite gascromatografia accoppiata a spettrometria di massa (GC/MS) con trattamento del campione prelevato. Una parte del campione è stata disciolta in 20 ml di Meth-Prep II (m-trifluorometilfenil) trimetil ammonio idrossido e lasciata reagire per 24 ore prima dell’analisi, quando sono stati iniettati 2 ml di soluzione con temperatura dell’iniettore di 280°C e con un programma di temperatura da 50°C a 300°C con un incremento di 10°C/min. La tecnica di pirolisi gascromatografia accoppiata a spettrometria di massa (Py-GC/ MS) è stata utilizzata direttamente sul frammento scelto per l’analisi, tagliato con bisturi e ridotto in polvere senza derivatizzazione; la temperatura di pirolisi è di 600°C, la temperatura della camera di pirolisi e dell’iniettore è di 300°C, con un programma di temperatura da 50°C a 300°C con incremento di 10°C/min.

containing m-trifluoromethylphenyl trimethylammonium hydro­xide, and left to react for 24 hours before it was analysed, at which time we injected 2 ml of solution with an injector at a temperature of 280°C and a temperature program of 50–300 °C in increments of 10 °C/min. Py-GC/MS was used directly on the fragment selected for analysis, cut with a scalpel and pulverized without derivatization; pyrolysis temperature was 600 °C, and the temperature of the pyrolysis chamber and the injector was 300 °C, with a temperature program of 50–300 °C in increments of 10 °C/min.



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b a

6. Particolare dell’aureola di san Benedetto. Nell’immagine THz sono evidenziate a) un’area in cui la foglia d’oro sotto il colore è ben conservata (alti valori di riflettanza); b) un’area in cui la foglia d’oro è abrasa (bassi valori di riflettanza). 6. Detail of St Benedict’s halo. The THz image shows a) an area in which the gold leaf is well preserved (high reflectance); b) an area in which it has been abraded (low reflectance). 7. Particolare del guanto e della veste di san Nicola. Nell’immagine THz si distinguono un’area dorata visibile a occhio nudo (cerchiata con linea continua) e altre non visibili a occhio nudo ma osservabili nella regione THz (cerchiate con linea tratteggiata). 7. Detail of St Nicholas’ glove and robe. The THz image shows a gilded area visible to the naked eye (circled with a solid line) and others that are not visible to the naked eye but can be detected in the THz region (circled with a dotted line). 8. Particolare della testa e del busto del Bambino. Nell’immagine THz si evidenzia la reale estensione delle foglie d’oro presenti anche sotto il film pittorico; nella veste del Bambino si distinguono le parti ottenute con biacca (molto riflettente) e lacca rossa in proporzione limitata da quelle, più rossastre e/o scure, che determinano nell’immagine THz bassi valori di livelli di grigio. 8. Detail of the Child’s head and trunk. The THz image shows the actual extension of the gold leaves also present beneath the pictorial film; in the Child’s gown it is possible to distinguish the areas painted with white lead (very reflective) and red lake from those that are darker or more reddish, which produce low greyscale values in the THz image. 9. Particolare della mano e del libro di san Pietro. Nell’immagine THz si evidenzia la probabile presenza dei pigmenti biacca, cinabro e terra rossa. 9. Detail of St Peter’s hand and book. The THz image indicates the probable use of white lead, vermilion and red earth pigments. 10. Particolare della mano e del libro di san Giovanni. Nell’immagine THz si evidenzia la probabile presenza dei pigmenti biacca, cinabro e terra rossa. 10. Detail of St John’s hand and book. The THz image indicates the probable use of white lead, vermilion and red earth pigments.

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studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

4. Risultati

4. Results

Tecnica di immagine THz Diverse aree del dipinto sono state indagate con la tecnica di immagine THz (fig. 5). Ogni immagine acquisita è stata calibrata utilizzando come massimo valore di riflessione il fondo oro del corrispondente pannello. I differenti valori di riflettanza dei vari materiali presenti sono riportati in scala di grigi, dove i valori massimi di riflettanza dovuti alle decorazioni e ai fondi oro risultano bianchi (255/255 sulla scala). Le immagini così ottenute sono utilizzabili solo per analisi qualitative e non per uno studio quantitativo. La tecnica di immagine THz può fornire informazioni di vario tipo, che si possono riassumere in: a) stato di conservazione e aspetto delle dorature e fondi oro; b) indicazioni sulla composizione chimica di alcuni pigmenti; c) stato del degrado superficiale; d) analisi stratigrafica dei vari materiali con la possibilità di isolare immagini relative ai singoli strati d’interesse.

THz imaging The areas examined with THz imaging techniques (fig. 5). Each acquired image was calibrated using the gold ground of the respective panel as maximum reflection value. The different reflectance values of the various materials are shown in greyscale units, in which the maximum reflectance values attributable to the gold decorations and grounds are white (255/255 on the scale). The images thus obtained could be used exclusively for qualitative analysis and not for quantitative study. The THz imaging technique can provide various types of information, as follows: a) condition and appearance of the gilding and gold backgrounds; b) information about the chemical composition of some of the pigments; c) the extent of surface deterioration; d) stratigraphic analysis of the various materials with the capability to isolate images of the individual layer of interest.

a) Stato di conservazione e aspetto delle dorature e fondi oro Le zone in cui sono presenti dorature, o meglio ancora foglie d’oro, si comportano da “superfici riflettenti ideali” e quindi sono assimilabili a materiali che riflettono la radiazione THz al 100%. Laddove la foglia metallica o la doratura si presenta leggermente sollevata dallo strato sottostante o degradata superficialmente, come ad esempio nel caso di abrasioni o consunzioni, la riflessione diminuisce sensibilmente. Le immagini THz evidenziano le aree dorate grazie all’intenso segnale riflesso nel metallo (fig. 6). Alcune parti dorate che non sono chiaramente visibili a occhio nudo possono essere evidenziate mediante l’uso della radiazione THz. Inoltre, anche nei casi in cui la foglia d’oro sia usata come strato basale per velature con pigmenti semi trasparenti, come nel caso della decorazione del guanto di san Nicola, è possibile rilevare la presenza del metallo sotto lo strato pittorico poiché questo presenta comunque valori di riflettanza molto elevati (fig. 7). Questi risultati indicano che la tecnica di immagine THz può essere anche impiegata per evidenziare le dimensioni e i reali contorni delle foglie d’oro (fig. 8).

a) Condition and appearance of the gilding and gold grounds Areas containing gilding—specifically, gold leaf—act as ‘ideal reflecting surfaces’ and can therefore be considered to reflect 100% of the THz radiation. In areas where the metal leaf or gilding has separated slightly from the underlying layer or shows surface deterioration, abrasion or wear, the reflected signal decreases significantly. In the THz images the gilded areas are revealed thanks to the intensity of the reflection from the gold leaf (fig. 6). Some of the gilded parts that are not clearly visible to the naked eye can be observed using THz radiation. Furthermore, even in areas where gold leaf was used as a base for the velatura with semi-transparent pigments— for example, on St Nicholas’ glove—the presence of metal can be detected under the pictorial layer because of its very high reflection values (fig. 7). These results tell us that the THz imaging technique can also be used to reveal the extension and actual outlines of the gold leaf that was used (fig. 8).

b) Caratterizzazione dei pigmenti Anche se la tecnica di immagine THz non consente al momento di effettuare uno studio spettroscopico approfondito dei diversi materiali, e quindi di poterne identificare le caratteristiche spettrali come riportato nell’archivio di spettri THz di materiali artistici consultabile in rete

b) Characterization of the pigments Although THz imaging cannot currently be used for indepth spectroscopic analysis of the various materials, and thus to identify their spectral characteristics based on the online archive of THz spectra of artistic materials (NICT-RIKEN, www.thzdb.org), it can nevertheless be employed to discriminate the different materials in



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(NICT-RIKEN, www.thzdb.org), è pur sempre possibile discriminare, nell’immagine ricostruita, i diversi materiali in base alla loro intensità di riflettanza, che si manifesta con differenti livelli di grigio. Un notevole vantaggio è dato dalla possibilità di indagare i pigmenti anche se coperti da strati di vernice fortemente ingiallita e/o alterata. Un’interessante applicazione della tecnica di immagine THz, in particolare per dipinti di questo periodo, riguarda la discriminazione delle campiture rosse, generalmente realizzate impiegando pigmenti quali cinabro, terre rosse e lacche rosse. Le terre e le lacche, infatti, presentano valori di riflettanza molto bassi differenziandosi notevolmente dal cinabro che mostra un’intensità di riflettanza alta; questo fenomeno può essere osservato ad esempio nelle diverse aree della veste del Bambino (fig. 8), nella coperta del libro di san Pietro, in cui si desume la presenza di cinabro (alta riflettanza), oppure nelle decorazioni rosse della coperta del libro di san Giovanni, realizzate con un pigmento meno riflettente, probabilmente terra rossa (figg. 9-10). Non si può tuttavia escludere la presenza di ridotte quantità di cinabro, pigmento evidenziato in queste aree dalla tecnica FORS. Interessante è notare l’uso del pigmento biacca per dipingere sia le lumeggiature delle dita della mano di san Giovanni sia lo stilo, che appaiono molto riflettenti nell’immagine THz (fig. 10). c) Degrado superficiale La tecnica a immagini nella regione dei THz può fornire utili informazioni che riguardano lo stato di conservazione della superficie pittorica e, in particolare per questo dipinto, sulla coesione e compattezza del film pittorico. Infatti, come si può chiaramente vedere dall’immagine THz acquisita sul pannello centrale del polittico (fig. 11) la campitura di parte del volto e del collo della Madonna risulta essere piuttosto abrasa. d) Analisi stratigrafica Nel caso dello studio mediante tecniche di indagine non invasive della successione stratigrafica di un dipinto, questa tecnica è sicuramente una delle più complete e interessanti, in grado di fornire informazioni molto utili alla comprensione delle sequenze di materiali costituenti l’opera. In particolare, per i dipinti su tavola la possibilità di impiegare una radiazione penetrante, ma al tempo stesso modulabile in modo da ottenere immagini a diverse profondità, in connessione con le disomogeneità composizionali (diverso indice di rifrazione), può fornire dei dati d’indubbia utilità. Nel caso del Polittico di Badia la struttura a strati del dipinto è chiaramente visibile dall’andamento della forma d’onda riflessa nel dominio del tempo. Essendo una tavola prodotta a cavallo dei secoli xiii e xiv, la preparazione tra la pittura e il supporto ligneo è stata re-

the reconstructed image, based on their reflectance intensity, which is manifested with different levels of grey. The fact that the pigments can be studied even if they are covered by layers of very yellowed and/or deteriorated varnish is a notable advantage. One of the most interesting applications of the THz imaging technique, particularly for paintings from this period, is its ability to discriminate red areas, generally painted with pigments such as vermilion, red earths and lakes. Indeed, red earths and lakes have very low reflection values, as opposed to vermilion, which has a very high reflectance intensity, as can be observed in the Child’s gown (fig. 8), in the cover of the book held by St Peter, suggesting the use of vermilion (high reflectance), and in the red decorations of the cover of the book held by St John, done with a less reflective pigment, probably red earth (figs. 9–10). Nevertheless, FORS analysis revealed the presence of vermilion in these areas and therefore the presence of small quantities of this pigment cannot be excluded. It is interesting to note the use of white lead to heighten St John’s hands and the stylus, which are very reflective in the THz image (fig. 10). c) Surface deterioration THz imaging provides useful information regarding the condition of the pictorial surface and, for this painting in particular, the cohesion and integrity of the pictorial film. As clearly evidenced by the THz image acquired from the central panel of the polyptych (fig. 11), part of the Virgin’s face and neck show signs of significant abrasion. d) Stratigraphic analysis This technique is unquestionably one of the most interesting and comprehensive for non-invasive investigation of the stratigraphic sequence of a painting. It can provide an enormous amount of information to help us understand the sequences of materials used in the work. For paintings on wood in particular, this technology makes it possible to use penetrating radiation and modulate it to obtain images at different depths. When applied to areas showing compositional diversities—and thus with different refractive indices—it can provide us with unquestionably useful information. In the Badia Polyptych, the layered structure of the painting is clearly visible from the time-domain reflected waveform. In panels painted at the turn of the 14th century, as in this specific case, gypsum (or more generally calcium sulphate), often alternated with a layer of canvas, was used to prepare the wood support for painting. In short, a gypsum/canvas/gypsum sandwich structure was often used as the interface between the

studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

11. Particolare del volto e del collo della Madonna. Nell’immagine THz si evidenziano le zone in cui il film pittorico non è perfettamente integro. 11. Detail of the Virgin’s face and neck. The THz image shows the areas where the pictorial film is not entirely intact.

12. Particolare della Madonna con l’indicazione della zona ripresa in THz e della posizione della sezione stratigrafica (a-a’), in cui sono segnalate le diverse profondità: a) pellicola pittorica; b) tela (alta risoluzione); c) supporto in legno; d) gesso. L’immagine relativa al film pittorico rivela tracce del pigmento biacca che impartisce valori alti di riflettanza all’immagine THz; grazie alla maggiore risoluzione con cui è stata acquisita, l’immagine della tela consente di vedere chiaramente il dettaglio della trama tra le due preparazioni; l’immagine del supporto ligneo mostra i contorni degli strumenti utilizzati per lavorare la superficie della tavola. 12. Detail of the Virgin showing the area recorded with THz imaging and the position of the stratigraphic section (a-a’), where the different grounds are indicated: a) painting layer; b) canvas; c) wooden support; d) gypsum. The image of the pictorial film shows traces of white lead pigment producing high reflectance values in the THz image; thank to the greater resolution, the detail of the weave of the canvas between the two preparations is clearly visible; the image of the wooden support shows the outlines of the instruments used to work the surface of the board.

a’

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d d

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1.5–2.0 mm

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1 mm

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alizzata con più strati di gesso o, più in generale, con solfato di calcio, spesso intervallato da una tela. In sostanza, si aveva una struttura “a sandwich” gesso-tela-gesso come interfaccia tra il legno e gli strati pittorici. La stratigrafia non invasiva ottenuta con la tecnica THz è risultata in perfetto accordo con quanto appena riportato: infatti la base lignea, che presenta una superficie interna non liscia, forse perché ricavata da tavole lignee più spesse, è stata resa più omogenea mediante applicazione di uno strato di solfato di calcio (anidrite, dalle analisi chimiche condotte su alcuni frammenti) e colla su cui venne applicata una tela successivamente ricoperta dalla preparazione finale a base di gesso e colla che doveva servire come supporto per la realizzazione del dipinto. La tomografia THz nel dominio del tempo può anche essere utilizzata per ottenere delle mappe degli strati di particolare interesse. Se necessario, infatti, è possibile costruire un reale modello a tre dimensioni della struttura interna del manufatto artistico. Dalle indagini THz su un dettaglio del manto della Madonna è stato possibile estrarre le immagini del supporto ligneo, della tela interposta tra i due strati di preparazione a base di solfato di calcio e del film pittorico (fig. 12). In un altro caso l’acquisizione delle immagini THz ha consentito di determinare la differente struttura stratigrafica in due zone limitrofe della stessa tavola (fig. 13). Da questi dati è possibile asserire che la radiazione THz può essere in grado di rilevare in maniera chiara la struttura interna dei dipinti e anche fornire utili informazioni sullo stato di conservazione e sulla composizione chimica dei manufatti, o di alcuni suoi costituenti, in maniera non invasiva. I dati spettroscopici FORS, acquisiti in corrispondenza di lacune, indicano l’uso del gesso nella preparazione (solfato di calcio biidrato); quest’ultimo presenta uno spettro di riflettanza con bande caratteristiche nella zona del vicino infrarosso (NIR). Una tipica banda di assorbimento è intorno a 1430-1550 nm ed è suddivisa in tre sottobande centrate a circa 1450 nm, 1490 nm, 1535 nm, accompagnata da tre bande di assorbimento a circa 1200 nm, 1750 nm e 1945 nm dovute alla presenza di molecole d’acqua. Le caratteristiche spettrali del gesso sono meno evidenti negli spettri acquisiti in corrispondenza delle dorature a foglia d’oro degli sfondi, poiché gli assorbimenti dovuti al gesso della preparazione sono parzialmente mascherati dall’oro e dalla base per l’applicazione dell’oro stesso. Le indagini tramite FT-IR su micro-campioni hanno confermato il dato FORS fornendo, però, informazioni più precise sulla composizione degli strati preparatori. Infatti, tutti gli spettri FT-IR relativi allo strato di preparazione dei campioni PB_02, PB_06, PB_07, PB_09 e PB_12 (si veda la tabella a p. 158) presentano i segnali caratteristici del gesso, di un materiale proteico e piccole quantità di ossalati, questi ultimi probabilmente riconducibili all’al-

wood and the pictorial layers. The non-invasive stratigraphy obtained with the THz technique fully corroborates these considerations. The wooden support, which has an uneven inner surface, possibly because it was made from thicker boards, was evened by applying a layer of calcium sulphate (anhydrite from the chemical analyses conducted on several fragments) and glue on which the artist applied a canvas that was then covered with the final preparation of gypsum and glue, designed to serve as the support for the painting. THz time-domain tomography can also be used to obtain maps of layers of specific interest. If necessary, a real three-dimensional model of the internal structure of the work can be constructed. The THz investigation of a detail of the Virgin’s mantle has yielded images of the wooden support, the canvas placed between the two preparatory layers made with calcium sulphate and the pictorial film (fig. 12). Another example reveals how the THz imaging allowed us to determine the different stratigraphic structures of two nearby areas of the same panel (fig. 13). These data demonstrate that THz radiation can unequivocally—and non-invasively—detect the internal structure of paintings and provide useful information on their conditions and the chemical composition of the works or of some of their parts. The FORS data, acquired in areas where there were lacunae, indicate that the support was prepared with gypsum (calcium sulphate dihydrate), which has a reflectance spectrum with characteristic bands in the NIR region. A typical absorption band is around 1430–1550 nm and is divided into three sub-bands centred around 1450, 1490 and 1535 nm, accompanied by three absorption bands at approximately 1200, 1750 and 1945 nm due to the presence of water molecules. The spectral characteristics of gypsum are less evident in the spectra acquired on the grounds gilded with gold leaf because the absorptions due to the gypsum used to prepare the support are partially masked by the gold and the base used to apply it. FTIR investigations on micro-samples confirmed the results of FORS analyses and provided more accurate information about the composition of the preparatory layers. In fact, all the FTIR spectra for the preparatory layer of samples PB_02, PB_06, PB_07, PB_09 and PB_12 (see table on p. 158) show the signals characteristic of gypsum, a protein binder and small quantities of oxalate, the latter probably attributable to alteration of the binder. The use of an animal glue binder was confirmed by the Py-GC/MS analysis. The OM and SEM observations of the stratigraphic sections of some of the samples showed that the preparatory layer is composed of two morphologically different

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13. Particolare del pannello con San Benedetto, con l’indicazione delle zone da cui sono state estratte le sezioni stratigrafiche THz. Nella prima sezione (a-a’), è stato rilevato che sotto la discontinuità era regolarmente presente la preparazione del film pittorico; nella seconda (b-b’) lo strato preparatorio sotto alla frattura è andato perso e la “riparazione” della frattura stessa ha interessato il solo film pittorico superficiale. 13. Detail of St Benedict, showing the areas where THz stratigraphic sections were obtained. Examination of the first section (a-a’) showed that the preparation for the pictorial film was regularly present beneath the gap; in the second one (b-b’) we found that the preparatory layer was lost under the crack and its ‘repair’ extended only to its pictorial film on the surface.

a

a’

b’

a

b

a’ b’

14. Immagine SEM-BS della sezione PB_03, in cui si osserva in modo evidente la presenza di due diversi strati di preparazione. 14. SEM-BS image of section PB_03: the presence of two different preparatory layers is evident.

b



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1 mm

15. Immagini in luce visibile osservata al microscopio ottico e SEM-BS della sezione lucida PB_05. 15. Image in visible light observed with OM and SEM-BS of cross section PB_05.

16. Immagine SEM-BS del fronte del campione PB_10. Il colore chiaro evidenzia i lacerti della foglia d’oro. 16. SEM-BS image of the front of sample PB_10; the light colour indicates gold-leaf fragments.

17. Immagine in luce visibile della sezione lucida PB_10. Sono visibili lo strato di bolo arancio e alcuni residui della foglia d’oro. 17. Visible-light images of cross section PB_10; the layer of orange bole and gold-leaf residue are visible.

100 µm

18. Immagine SEM-BS della sezione lucida PB_01. Si rileva la presenza di due foglie di lega oro/argento soprammesse e un frammento residuo di foglia d’oro puro (lato sinistro). 18. SEM-BS image of cross section PB_01; there are two overlaid leaves of gold/silver alloy and a fragment of pure gold leaf (left side).

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terazione del legante. La presenza di un legante a base di colla animale è stata confermata dalle analisi Py-GC/MS. Osservando al MO e al SEM le sezioni stratigrafiche di alcuni campioni è stato notato che lo strato preparatorio è costituito da due strati morfologicamente diversi, in particolare per la granulometria del gesso (fig. 14). Il primo, quello cioè a diretto contatto con lo strato pittorico, ha spessore variabile da 300 a 380 µm e appare più omogeneo e di granulometria più fine del sottostante. Lo spessore del gesso “grosso” non è determinabile perché non sempre il prelievo ha interessato completamente lo strato preparatorio; inoltre in quei campioni in cui è visibile un unico strato preparatorio non è da escludere comunque la presenza del secondo più grossolano. In entrambi gli strati le analisi SEM-EDS identificano calcio e zolfo correlabili, tramite prelievi selettivi e analisi FT-IR, a gesso. La presenza di due o più strati di preparazione (“gesso grosso” e “gesso fine”) è stata già descritta in altre opere attribuite a Giotto4 o di ambito giottesco.5 Lo strato di “gesso fine” sembra essere realizzato con quantità maggiori di legante, come evidenziato dall’osservazione della fluorescenza UV in sezione, analogamente a quanto descritto nel caso della Croce di San Felice in Piazza.6 In nessuno strato preparatorio fra quelli analizzati è presente lo stronzio come invece riportato nel caso di altre opere in cui è stato identificato sia tramite analisi SEM della sezione stratigrafica7 che tramite analisi XRF.8 Nel campione PB_05, unico caso in cui la stratigrafia arriva fino al legno del supporto e in cui è presente anche lo strato preparatorio tra il supporto ligneo e la tela, è stato possibile evidenziare la presenza di un ulteriore strato di preparazione (fig. 15). Oltre ai già descritti strati a gesso (“fine” e “grosso”), fra la tela e il supporto ligneo è presente uno strato preparatorio costituito questa volta da un legante proteico (colla animale) e anidrite. L’identificazione dell’anidrite è stata effettuata tramite FT-IR con prelievo selettivo con l’ausilio del microscopio. Anche in questo caso l’uso dell’anidrite è già stato descritto anche se usato in miscela con gesso nello strato preparatorio e non come singolo componente.9 Di incollaggio della tela al supporto ligneo – o “impannatura” – parla anche Cennino Cennini, come di un’operazione da effettuarsi con sola colla.10 Nel Polittico di Badia è presente un vero e proprio primo strato di preparazione sul quale è stata incollata la tela. Come evidenziato dalla tecnica FORS, le foglie d’oro sono state applicate su uno strato di preparazione composto da una sostanza comunemente chiamata bolo (o bolo armeno), generalmente costituita da una miscela di ossido di ferro (ematite), responsabile del colore rossastro, con alluminosilicati, quali ad esempio della caolinite o altri minerali argillosi, necessari all’adesione della foglia

layers, particularly with regard to the granulometry of the gypsum (fig. 14). The first one, which is in direct contact with the pictorial layer, varies in thickness from 300 to 380 µm, looks more uniform and has a finer granulometry than the one beneath it. Since sampling did not always include the entire preparatory layer, the thickness of the gesso grosso cannot be determined. Furthermore, even in the samples where only a single preparatory layer is visible, the possibility that there was also a coarser layer cannot be ruled out. In both layers SEM-EDS analysis identified the presence of calcium and sulphur consistent with gypsum, as determined by selective sampling and FTIR analyses. The presence of two or more preparatory layers—gesso grosso and gesso fine—has been described in other works attributed to Giotto4 and his circle.5 The layer of gesso fine seems to have been made with larger quantities of binder, as evidenced by UV fluorescence observation of cross sections, and as also described in the case of the Crucifix of San Felice in Piazza.6 None of the analysed preparatory layers contained strontium, unlike the findings reported for other works, where it was identified by SEM analysis of the stratigraphic section7 as well as XRF analysis.8 The presence of an additional preparatory layer was noted in sample PB_05, the only one in which the stratigraphy reached the wooden support and where a preparatory layer is also present between the wood and the canvas (fig. 15). In addition to the previously described gypsum layers (gesso fine and gesso grosso), there is also a preparatory layer composed of a protein binder (animal glue) and anhydrite. The anhydrite was identified by FTIR on selected samples collected under microscope. Here as well, the use of anhydrite has already been described, although it was blended with gypsum in the preparatory layer and was not a separate component.9 The gluing of the canvas to the wooden support, an operation known as impannatura, was described by Cennini, who stated that it should be done only with glue.10 In the Badia Polyptych, there is a complete preparatory layer on which the canvas was glued. FORS analysis revealed that the gold leaf was applied to a preparatory layer composed of a substance commonly referred to as bole or Armenian bole, generally constituted by a blend of iron oxide (hematite)—hence its reddish colour—and aluminosilicates such as kaolinite or other clay minerals, required to ensure that the metal leaf would adhere to the support. Nevertheless, in some of the FORS spectra the presence of iron oxides and aluminosilicates is not easily distinguishable because the measurements were taken on intact gilded areas, i.e.



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metallica al supporto. In alcuni spettri FORS, tuttavia, la presenza di ossidi di ferro e degli alluminosilicati non è ben riconoscibile, poiché le misure sono state effettuate su aree dorate integre, aree cioè in cui non erano presenti lacune nella doratura o foglie d’oro particolarmente abrase. La presenza di bolo è stata confermata poi dall’analisi SEMEDS per il campione PB_10 prelevato dalla tavola centrale. Tale frammento è stato analizzato al SEM sia come tale che dopo la realizzazione della sezione stratigrafica. Nell’immagine SEM del campione come tale (fig. 16) è evidente l’abrasione della foglia di oro puro, aspetto riscontrabile anche in sezione, dove la foglia è presente in modo discontinuo sopra un sottile (10-20 mm) strato di bolo arancio (fig. 17) sul quale è stata applicata con missione oleoresinosa (dalla caratteristica fluorescenza UV). Dorature a oro puro sono state evidenziate nel fondo e nelle decorazioni del Crocifisso di Santa Maria Novella, analizzato sia con XRF11 che in stratigrafia,12 o nel polittico della Pinacoteca Nazionale di Bologna (analisi con il solo XRF).13 Nel solo caso del campione PB_01, proveniente dalla decorazione del manto di san Nicola, la doratura sopra la campitura blu del filetto della decorazione appare formata da due lamine sovrapposte che all’analisi elementare sono entrambe risultate essere realizzate con una lega di oro e argento, mentre in altre opere le dorature delle decorazioni sono realizzate con doppia foglia di oro e argento come nel caso della Madonna di San Giorgio alla Costa.14 In questo stesso campione è inoltre presente, esclusivamente su un lato della sezione stratigrafica e al di sopra della doratura prima descritta, un piccolo frammento di foglia d’oro puro molto probabilmente da ricondurre ad un intervento successivo di altra mano (fig. 18). Le campiture bianche, quali il velo della Madonna o parte delle vesti e della barba di san Nicola, sono state ottenute con biacca (carbonato basico di piombo). In quasi tutti gli spettri FORS acquisiti su stesure bianche è anche evidente la presenza di altri pigmenti, in miscela o come velatura sulla biacca, quali ossidi di ferro, terra verde e alluminosilicati. Negli spettri FORS la biacca è ben caratterizzata dalla presenza di una intensa e stretta banda di assorbimento a 1450 nm dovuta al gruppo ossidrile che però risulta sovrapposta a quella del gesso (tipica banda di assorbimento suddivisa in tre sottobande centrate a circa 1450 nm, 1490 nm, 1535 nm) della preparazione. Inoltre, nel caso di misure effettuate su aree ancora da pulire, è da tener presente che la vernice alterata e ingiallita può causare un effetto “filtro” che, oltre ad attenuare l’intensità della radiazione riflessa nella regione del visibile, determina uno spostamento verso tinte gialle della cromia delle campiture bianche. L’uso della biacca è stato poi confermato dall’analisi dello strato pittorico in microscopia ottica e SEM-EDS del campione PB_03, nel quale è

sections without lacunae or particularly abraded gold leaf. The presence of bole was confirmed by SEM-EDS analysis for sample PB_10 taken from the central panel. This fragment was analysed under the SEM, both as sampled and after the cross section was made. The SEM image of the fragment as sampled (fig. 16) clearly shows abrasion of the pure gold leaf, an aspect that is also evident in the section in which the gold leaf shows lacunae over a thin (10–20 mm) layer of orange bole (fig. 17), on which it was applied with an oleoresin (distinguished by its particular UV fluorescence). Gilding with pure gold has also been documented in the ground and decorations of the Crucifix at Santa Maria Novella, analysed by XRF11 and stratigraphy,12 and by XRF alone for Giotto’s polyptych now at the Pinacoteca Nazionale in Bologna.13 Only in the case of sample PB_01, from the decoration of St Nicholas’ mantle, the gilding over the blue areas of the decorative border seems to be composed of two overlaid leaves that, based on elementary analysis, were made of a gold/ silver alloy. In other works the decorations were gilded with a double gold/silver leaf, as documented for the Madonna of San Giorgio alla Costa.14 This sample also presents a small fragment of pure gold leaf—only on one side of the stratigraphic section and over the gilding we have just described—that was probably added later by another hand (fig. 18). The white areas, such as the Virgin’s veil and part of St Nicholas’ garments and beard, were made with white lead (basic lead carbonate). Nearly all the FORS spectra obtained for the areas of white paint revealed the presence of other pigments, either blended with it or as a glaze over the white lead. These pigments included iron oxides, green earth and aluminosilicates. White lead is clearly shown in FORS spectra by a strong, narrow absorption band at 1450 nm due to hydroxyl groups, but it overlaps the absorption band of the gypsum (typically divided into three sub-bands centred at approximately 1450, 1490 and 1535 nm). For measurements taken on uncleaned areas, it is nevertheless important to note that altered and yellowed varnish can generate a ‘filter’ effect that reduces the intensity of reflected radiation in the visible range and triggers a shift towards the yellow tones of the white areas. The use of white lead was also confirmed by the analysis of the pictorial layer of sample PB_03 using optical microscopy and SEM-EDS, showing a single thin (10–20 mm) white pictorial layer containing only white lead. Over the white pictorial layer there is an organic layer (UV-fluorescent), which cannot be analysed using SEM. Since it also contains tiny granules, ranging in colour from brown to orange and identified as ferrous

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presente un unico, sottile (10-20 mm) strato pittorico di colore bianco con esclusiva presenza di biacca. Sopra lo strato pittorico bianco è presente uno strato di natura organica (fluorescente in UV), non analizzabile quindi tramite SEM, che presenta però al suo interno dei piccolissimi granuli di colore variabile dal bruno all’arancio che l’analisi EDS identifica come alluminosilicati a base di ferro; ciò fa supporre l’applicazione di una “patinatura” intenzionale. Tale strato si ritrova anche nel campione PB_04, prelevato in una zona adiacente a PB_03, in corrispondenza però di una caduta dello strato pittorico bianco. La sezione presenta, infatti, a diretto contatto con la preparazione, lo strato organico con i materiali pigmentanti precedentemente descritto. Pertanto si può affermare che la “patinatura” è stata effettuata in tempi successivi all’evento della caduta del colore. Per quanto riguarda le campiture blu è possibile affermare dalle analisi FORS che l’artista ha usato due diversi pigmenti: azzurrite e lapislazzuli. Per le decorazioni delle cornici dei pannelli con la Madonna e con San Pietro è stata impiegata l’azzurrite molto pura, che ha conferito un colore molto intenso e cupo alle campiture. Con la tecnica FORS l’azzurrite è riconoscibile, oltre che dalla forma dello spettro nella regione 400-1000 nm, anche per la presenza di una banda di assorbimento a circa 1500 nm dovuta al gruppo ossidrile. Così come visto per la biacca, anche in questo caso la banda di assorbimento caratteristica dell’azzurrite può risultare parzialmente sovrapposta a quella caratteristica del gesso della preparazione. La presenza di lapislazzuli, invece, determina un pronunciato massimo di assorbimento a circa 600 nm con una intensa risalita dei valori di riflettanza a circa 700 nm. L’uso differenziato dei pigmenti blu da parte dell’artista, in funzione della tipologia di campitura, è stato evidenziato anche nella Madonna di San Giorgio alla Costa dove il lapislazuli è utilizzato per le vesti mentre l’azzurrite è impiegata nelle architetture o alcuni dettagli minori.15 In altre opere, invece, Giotto non usa l’azzurrite ma esclusivamente il lapislazzuli.16 In alcuni punti, come sul manto della Madonna, dalle misure FORS è evidente che l’azzurrite faccia da strato basale a una leggera stesura di oltremare. Tuttavia, non è stato possibile confermare questa informazione con le analisi stratigrafiche; l’unico campione prelevato dal manto della Madonna proviene da una zona periferica interessata da una frattura del film pittorico. Osservando la sezione stratigrafica del campione PB_08 si nota, infatti, che è presente, a diretto contatto con la preparazione, un solo strato pittorico (spessore ca. 20 mm) costituito da lapislazzuli. In un caso il lapislazzuli è stato usato in miscela con un pigmento giallo, probabilmente orpimento, per conferire

aluminosilicate via EDS analysis, this suggests intentional ‘patination’. This layer can also be found in sample PB_04 taken from an area next to PB_03 where the white pictorial layer was lost. In this section, the organic layer, with the described pigmented materials, is in direct contact with the preparation. Therefore, it seems evident that the ‘patination’ was added after the loss of colour. As far as the blue areas are concerned, FORS analysis reveals that the artist used two different pigments: azurite and lapis lazuli. He employed very pure azurite for the decoration of the frames of the panels with the Virgin and St Peter, giving these areas a very dark and intense colour. With the FORS technique, the azurite is recognizable not only by spectral shape in the 400–1000 nm region, but also by the presence of an absorption band around 1500 nm due to the hydroxyl groups. As we have seen with white lead, the distinctive absorption band of azurite partially overlaps the one characteristic of the gypsum here as well. The presence of lapis lazuli generates a marked absorption peak around 600 nm, with an intense increase in reflectance values in the 700 nm region. The artist’s decision to use different blue pigments according to the type of areas has also been noted in the Madonna of San Giorgio alla Costa, where lapis lazuli was used for the garments but azurite was employed for architectural elements and minor details.15 In other works, however, Giotto used only lapis lazuli and no azurite.16 In some points, such as the Virgin’s mantle, the FORS measurements show that azurite served as the base layer for the thin layer of ultramarine. Nevertheless, this could not be confirmed through stratigraphic analysis; the only sample taken from the Virgin’s mantle comes from an external area of the garment in which the pictorial film had cracked. Observing the stratigraphic section of sample PB_08, we can see that only one pictorial layer (thickness ~20 mm)—constituted by lapis lazuli—is in direct contact with the preparatory layer. In one case lapis lazuli was blended with a yellow pigment, probably orpiment, to create a warmer, greenish hue, as can be seen in the figure in the tondo of the upper frame of the panel depicting St Peter. In the cover of St John’s book instead (PB_06), whose colour could not be ascertained easily before cleaning, it seems that an organic blue pigment was used (indigo or woad). We can assume that the greenish blue of the book is due to yellowed aged varnish (clearly visible in the stratigraphic section), associated with the diminished lightness of the indigo. Analysis of the stratigraphic section of the blue pictorial layer under the SEM-EDS did not provide any distinctive elements. As a result, this in-



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19. Immagine al microscopio ottico del campione PB_07 prelevato dalla veste di san Giovanni. 19. OM image of sample PB_07 taken from St John’s robe.

250 µm

20. Immagine in luce visibile al microscopio ottico della sezione lucida PB_07. 20. OM image in visible light of cross section PB_07.

100 µm

21. Immagine in luce visibile al microscopio ottico della sezione lucida PB_09. 21. OM image in visible light of cross section PB_09.

100 µm

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studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

una tonalità più calda, tendente al verde, come si osserva nell’angelo all’interno del tondo della cuspide del pannello raffigurante San Pietro. Per quanto riguarda invece la coperta del libro di san Giovanni (sezione PB_06), il cui colore non era ben definibile prima della pulitura, è stato ipotizzato l’uso di un pigmento blu organico (indaco o guado). È ipotizzabile che il colore blu-verde del libro sia dovuto a un invecchiamento, con conseguente ingiallimento della tinta, della vernice presente (ben visibile anche in sezione stratigrafica) associato ad una diminuzione della chiarezza del solo indaco. L’analisi dello strato pittorico blu in sezione stratigrafica al SEM-EDS non ha fornito nessun segnale di elementi caratteristici; pertanto si conferma indirettamente l’ipotesi fatta anche tramite l’osservazione al microscopio ottico che tale strato sia stato realizzato con un pigmento organico, quale l’indaco. Nella veste viola di san Giovanni il lapislazzuli è stato utilizzato in miscela con biacca e lacca per ottenere l’effetto cangiante. In questo caso gli strati pittorici sembrano essere due, aventi spessore totale di circa 40 mm, anche se la separazione non è molto netta. La stesura più esterna è a base di lacca rossa e biacca con rari cristalli di lapislazzuli, mentre nello strato sottostante le proporzioni fra lacca rossa e il pigmento blu si invertono e il tono risulta prevalentemente blu. Il campione prelevato (PB_07) proviene dalla manica della veste vicino al fondo oro; al di sotto degli strati pittorici osservati in sezione stratigrafica è presente anche la foglia d’oro puro, applicata su un sottilissimo strato di bolo di colore arancio steso direttamente sulla preparazione (figg. 19-20). L’artista non avrebbe quindi coperto con biacca, per evitare differenze cromatiche dei fondi, le zone da dipingere sulle quali l’oro del fondo debordava, come indicato da Cennini17 ed effettivamente osservato su alcuni campioni provenienti dal Crocifisso di Santa Maria Novella.18 Nel Polittico di Badia, infatti, non è presente uno strato di biacca ben definito a separare la foglia d’oro dallo strato pittorico, ma stesure e velature sovrapposte che creano trasparenze e cangianze cromatiche con una grande libertà pittorica. I verdi sono stati ottenuti con differenti materiali usati da soli o in miscela. Nella maggior parte dei casi si è rilevata la presenza di un pigmento verde a base di rame, probabilmente malachite. La tecnica FORS, nell’intervallo spettrale impiegato per il presente studio, non permette di identificare la malachite in maniera univoca rispetto ad altri pigmenti verdi a base di rame, quali il verderame o il resinato di rame. Nel caso della veste di san Pietro, nelle campiture più chiare questo pigmento a base di rame è miscelato a un giallo, forse orpimento, per ottenere una tinta più calda. Diversamente, nelle aree più scure o di tonalità più fredda, il pigmento verde non è stato mis-

directly confirms the hypothesis—informed also by OM observations—that this layer must have been painted with an organic pigment such as indigo. In St John’s purple garment, lapis lazuli was blended with white lead and lake to obtain an iridescent effect. In this case, there appear to be two pictorial layers with a total thickness of approximately 40 mm, although the separation is not very clear. The outermost layer was applied with red lake and white lead, with a few lapis lazuli crystals, while in the underlying layer the proportions between the red lake and the blue pigment are inverted and the tone is mainly blue. The sample (PB_07) is from the sleeve of the saint’s robe near the gold ground. Beneath the pictorial layers described in the stratigraphic section we also found pure gold leaf over a very thin layer of orange bole applied directly to the preparatory layer (figs. 19–20). This means that, to avoid creating chromatic differences in the grounds—and unlike what has been observed on samples from the Santa Maria Novella Crucifix17—Giotto did not use white lead to cover the areas to be painted in which the gold leaf extended outside the outlined area, as described by Cennini.18 In the Badia Polyptych, instead of a well-defined layer of white lead separating the gold leaf from the pictorial layer, we find overlaid paint and glazing that create transparent and iridescent colours with great painterly freedom. The greens were obtained with different materials, used alone or blended. In most cases we find a green copper-based pigment, probably malachite. In the spectral interval used for this study, the FORS technique does not permit positive identification of malachite versus other green copper-based pigments such as verdigris or copper resinate. To achieve a warmer hue, in the lighter areas of St Peter’s robe this copper-based pigment was blended with a yellow one, possibly orpiment. In the darker and colder areas, the green pigment was not mixed with a yellow one but with white lead, as also shown by the stratigraphic section of the sample taken from the robe (PB_11). Among the samples analysed stratigraphically, this was also the only one in which there is a layer of white lead alone over the preparatory layer as an imprimitura (thickness 10 mm). The FORS analysis of the green areas of the cover of St Benedict’s book yielded similar spectral responses. Non-invasive investigations have shown that Giotto also used copper-based pigments in the polyptych at the Pinacoteca di Bologna,19 whereas in other works the green areas— with the exception of architectural structures20—were painted with a blend of orpiment (revealed by the signal of arsenic in SEM-EDS analysis) and indigo. Here as well, the lack of characteristic signals such as those



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of copper or other elements contained in green or blue pigments suggests that indigo was used.21 Another green pigment—green earth—was used for the decorative elements, such as the fillets of the triangular moulding in the upper part of the panel with St Benedict. In the decorative elements green earth was also used with a yellow pigment, probably lead-tin yellow, and a green copper-based one to obtain a warmer and brighter colour. Otherwise, green earth was mixed with white lead, yellow-brown earths and vermilion in different proportions to modulate the complexions of the figures depicted in the polyptych. Sample PB_09 shows two pictorial layers, both very thin (~20 mm) and well separated from each other. The first one, in direct contact with the preparatory layer, is composed of white lead and a few blue crystals that EDS analysis has identified as lapis lazuli, whereas the outer one, likewise containing white lead, presents a small number of red particles that, according to EDS analysis, have a high iron content and can thus indicate the use of red earth (fig. 21). There is no vermilion in this layer, but this is probably due to the fact that the sample was taken from the Virgin’s hand, whereas FORS analysis revealed the presence of

Riflettanza/Reflectance (R%)

Riflettanza/Reflectance (R%)

celato con un pigmento giallo ma con biacca, come evidenziato anche nella sezione stratigrafica del campione PB_11. Questo è anche l’unico, fra i campioni analizzati in stratigrafia, in cui sopra lo strato preparatorio è presente uno strato a sola biacca con funzione di imprimitura (spessore 10 mm). Analoghe risposte spettrali FORS sono state ottenute nelle campiture verdi della coperta del libro di san Benedetto. L’impiego di pigmenti a base di rame è stato evidenziato anche nel polittico di Giotto della Pinacoteca di Bologna tramite tecniche non invasive,19 mentre in altre opere viene riportato che le campiture verdi, con l’eccezione delle architetture,20 sono realizzate con una miscela di orpimento (evidenziabile attraverso il segnale dell’arsenico tramite analisi SEM-EDS) e indaco; anche in questo caso l’uso dell’indaco è ipotizzato in base all’assenza di segnali caratteristici quali quelli del rame o di altri elementi riconducibili a pigmenti verdi o blu.21 Un altro pigmento verde utilizzato negli elementi decorativi, come ad esempio nelle fasce della cornice triangolare in alto nel pannello con San Benedetto, è la terra verde. Nel caso degli elementi decorativi la terra verde è stata anche utilizzata insieme a un giallo, probabilmente giallo di piombo e stagno e con un verde a base di rame per ottenere una tinta più vivida e calda.

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22. Spettri FORS relativi alla decorazione rossa del libro di san Giovanni (linea continua) e alla coperta di quello di san Pietro (linea tratteggiata). Nel dato relativo al libro di san Giovanni è interessante notare una “spalla” a circa 720 nm, molto probabilmente dovuta alla presenza del pigmento indaco il cui spettro di riflettanza si miscela con quello del rosso (cinabro); è probabile, infatti, che la misura FORS abbia interessato un’area non omogenea in cui erano presenti sia la campitura rossa che quella blu-verde della coperta.

22. FORS spectra for the red decoration of St John’s book (solid line) and for the cover of St Peter’s book (dotted line). In the spectra of St John’s book it is interesting to note a ‘step’ at around 720 nm, due probably to the presence of indigo, the reflectance spectrum of which blends in with that of the red pigment (vermilion). It is likely that the FORS measurement covered an uneven region including both the red and the blue-green areas of the book cover.

23. Spettro FORS acquisito sul manto di san Pietro, nel quale si osserva il tipico andamento spettrale della lacca rossa.

23. FORS spectrum for St Peter’s mantle, in which the typical spectral line of red lake can be observed.

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studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

Diversamente la terra verde è stata miscelata a biacca, terre giallo-brune e cinabro in proporzioni varie per la modulazione degli incarnati dei personaggi. Il campione PB_09 presenta due strati pittorici, entrambi molto sottili (~20 mm), ben separati tra loro; il primo, a diretto contatto con la preparazione, è costituito da biacca e rari cristalli blu che dalle analisi EDS sono identificabili come lapislazzuli; il secondo, più esterno, è ancora a base di biacca ma presenta, sempre in piccola quantità, particelle rosse in corrispondenza delle quali si riscontrano alti tenori di ferro nelle analisi EDS, riconducibili quindi all’impiego di una terra rossa (fig. 21). In questo strato il cinabro è assente ma ciò è spiegabile in quanto il prelievo proviene dalla mano, mentre è stato evidenziato dalla FORS nelle zone dell’incarnato con toni più intensi e vividi, quali le guance e le labbra. Le campiture gialle e brune sono state realizzate con terre naturali, quali ocre e/o terra di Siena per le tinte più scure, e con giallo di piombo e stagno e, probabilmente, orpimento per quelle più chiare e vivide. Normalmente i pigmenti a base di ossidi e/o idrossidi di ferro, come le terre naturali, presentano, negli spettri FORS, assorbimenti nel Vis e NIR molto simili, fatto questo che, in alcuni casi, non permette di determinare in modo univoco se si tratti di una terra di Siena, di un’ocra o di una terra d’ombra. È possibile, quindi, affermare che le campiture giallo scuro tendenti al bruno sono realizzate con terre, mentre quelle più chiare e vivide con orpimento e/o giallo di piombo e stagno. Questi ultimi pigmenti non sono identificabili con certezza mediante la sola indagine FORS. Lo studio delle sequenze stratigrafiche mediante prelievi non ha interessato campiture gialle e brune, per cui non è stato possibile avvalorare le ipotesi avanzate con i dati FORS. Le campiture rosse e rosa sono ottenute con lacche rosse e cinabro, puri o in miscela con altri pigmenti, secondo la tinta desiderata. Il cinabro è stato impiegato per colorare le iscrizioni, le decorazioni e le coperte dei libri; la lacca rossa, invece, è stata utilizzata principalmente per la realizzazione delle vesti, come confermato dagli spettri di riflettanza FORS acquisiti sulle diverse aree del polittico (figg. 22-23). Normalmente la lacca rossa, sia di origine animale che vegetale, si distingue dal cinabro per avere uno spettro di riflettanza più articolato nella regione del visibile e una maggiore trasparenza alla radiazione infrarossa. La presenza di cinabro nelle decorazioni è stata confermata dall’analisi EDS effettuate sul campione prelevato dalla decorazione rossa in basso a destra della tavola con San Nicola (PB_02). Il campione osservato in sezione si presentava costituito da uno strato di preparazione di colore bianco circondato da un materiale bruno. Questo strato bruno è presente anche interposto fra due livelli di strato

vermilion in areas such as the cheeks and lips, with more intense and vivid tones. The yellow and brown areas were made with natural earths such as ochre and sienna for darker shades, and with lead-tin yellow and probably orpiment for lighter and brighter tones. As a rule, pigments made with iron oxides and/or hydroxides, such as natural earths, show FORS spectra with very similar absorption bands in the Vis and NIR regions. As a result, in some cases it is impossible to confirm if sienna, ochre or umber was employed. We can nevertheless state that the dark brownish-yellow areas were made with earths, whereas the lighter and more vivid ones were created chiefly with orpiment and/ or lead-tin yellow. The latter pigments cannot be identified positively with FORS investigation alone. Since the yellow and brown areas were not included in the stratigraphic sequences sampled for study, we were unable to corroborate our theories based on FORS data. The red and pink areas were painted with red lake and vermilion, pure or blended with other pigments, depending on the shade that was needed. Vermilion was used to colour the inscriptions, the decorations and the book covers, whereas red lake was instead used mainly for the garments, as confirmed by the FORS reflectance spectra obtained from differents areas of the polyptych (figs. 22-23). As a rule, red lake—from both plant and animal sources—can be distinguished from vermilion by its more complex reflectance spectrum in the region of visible light and greater transparency to IR radiation. EDS analysis conducted on the sample taken from the red decoration on the lower right of the panel with St Nicholas (PB_02) confirmed that vermilion was used for the decorations. The sample observed in cross section was composed of a white preparatory layer surrounded by a brown material. This brown layer is also found between two levels of the red pictorial layer (right side of the section). Among the pictorial layers, which are thin and discontinuous, SEM-EDS analysis of the red layer shows signals of mercury attributable to the use of vermilion. Over this layer there is a thin layer consisting of granules that look dark in the backscattered imaging mode (SEM-BS). This thin layer is in direct contact with the layer of vermilion. EDS analysis of these granules has shown only aluminium signals. Consequently, taking into account the morphology of the granules observed under OM in both visible light and fluorescence, we can assume that Giotto used a lake glaze over the vermilion layer. Both of these red pigments, vermilion and red lake, were also blended with a blue pigment, probably ultramarine, to create colours ranging from magenta to pur-



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pittorico rosso (lato destro della sezione). Tra gli strati pittorici presenti, sottili e discontinui, in quello di colore rosso l’analisi SEM-EDS presenta i segnali del mercurio, riconducibile all’uso di cinabro. Al di sopra, a diretto contatto con esso, è presente un sottile strato costituito da granuli, che nelle immagini al microscopio elettronico in modalità back scattering (SEM-BS) risultano di colore scuro. L’analisi EDS di tali granuli ha mostrato solamente i segnali dell’alluminio; quindi, considerando anche la loro morfologia, osservata al MO sia in luce visibile sia in fluorescenza, è stato possibile ipotizzare una velatura a lacca sopra lo strato di cinabro. Entrambi i pigmenti rossi identificati, cinabro e lacca rossa, sono stati anche impiegati in miscela con un pigmento blu, molto probabilmente oltremare, per la realizzazione delle tinte che vanno dal magenta al viola. In questo caso lo spettro di riflettanza mostra nell’intervallo 590-750 nm due repentini aumenti di riflettanza dovuti, rispettivamente, al pigmento rosso (cinabro o lacca rossa) a circa 590-620 nm e all’oltremare dopo i 680 nm. Caratterizzazione delle vernici L’intervento di pulitura della superficie pittorica è stato affiancato da alcune analisi per caratterizzare i costituenti della vernice presente sulle tavole del polittico; parallelamente sono state eseguite delle misure di colore per monitorare le variazioni cromatiche indotte dall’assottigliamento selettivo della vernice ingiallita e alterata. L’analisi delle vernici è stata effettuata su sette campioni, di cui uno prelevato “a secco” tramite bisturi e gli altri sei mediante tamponi di cotone imbevuti di acetone (PB_13-PB_19). Il campione di vernice prelevato meccanicamente è stato analizzato tale quale tramite FT-IR in cella di diamante, mentre i tamponi sono stati estratti con lo stesso solvente utilizzato per il prelievo. L’estratto è stato essiccato, di­ sperso in KBr e analizzato tramite FT-IR. La vernice prelevata è la stessa su tutte le zone del Polittico interessate dai prelievi. In particolare, è stato possibile identificare come materiale costituente lo strato di vernice la resina mastice. Le analisi Py-GC/MS hanno confermato le ipotesi fatte con l’analisi FT-IR, mostrando negli spettri gli indicatori (markers) caratteristici di resine diterpeniche e triterpeniche. In particolare, la resina triterpenica è stata identificata come mastice. Sono stati identificati, inoltre, tramite estrazione degli ioni caratteristici, alcuni degli acidi grassi e delle componenti idrocarburiche tipiche nella composizione delle cere, anche se non vi sono indicazioni per stabilire se la cera presente, anche se in ridotte quantità, sia un elemento costitutivo dell’opera o provenga da trattamenti di pulitura e/o conservazione effettuati in passato.

ple. In this case, the reflectance spectrum in the 590–750 nm range shows two sudden increases in reflectance, due respectively to the red pigment (vermilion or red lake) at around 590–620 nm and to ultramarine after 680 nm. Characterization of the varnishes Cleaning of the pictorial surface went hand in hand with studies to characterize the components of the varnishes used for the panels of the polyptych. At the same time, we also performed colour measurements to monitor the chromatic variations caused by the selective thinning of yellowed and altered varnish. We analysed the varnish on seven samples, one of which taken ‘dry’ using a scalpel and the remainder with cotton swabs soaked in acetone (PB_13-PB_19). The sample taken mechanically was analysed using FTIR without further processing with a diamond cell, whereas those on cotton swabs were extracted with the same solvent used to take the sample. The extract was dried, dispersed in KBr and analysed via FTIR. The same varnish was found on all the areas of the polyptych that were sampled. Specifically, we were able to identify the material constituting this layer as mastic resin. Py-GC/MS analysis then confirmed the results based on FTIR, showing the characteristic markers of diterpenic and triterpenic resins in the spectra. More specifically, the triterpenic resin was identified as mastic. Furthermore, by extracting their characteristic ions we were able to identify some of the fatty acids and hydrocarbons typical of the composition of wax, although we have no way of ascertaining if the wax that is present— albeit in small quantities—was part of the original work or if it came from cleaning and/or conservation work done in the past.

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studio diagnostico e analitico  diagnostic and analytical study

1 Cfr. Sensing with Terahertz 2003 e Tonouchi 2007. 2 Bacci et al. 2003. 3 Cfr. Appolonia-Volpin 1999 e Scientific examination 2009. 4 Bracco 1995. 5 Lari-Pieralli 1992. 6 Ivi, p. 123. 7 Matteini et al. 2001. 8 Ferretti-Moioli-Seccaroni 1992; Moioli-Seccaroni 2001; Aldrovandi-Migliori 2009. 9 Bracco 1995; Moles-Matteini 1995. 10 Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. CXIV, p. 144. 11 Moioli-Seccaroni 2001. 12 Matteini et al. 2001. 13 Aldrovandi-Migliori 2009. 14 Moles-Matteini 1995. 15 Bracco 1995. 16 Aldrovandi-Migliori 2009; Radicati-Picollo 2009; Cauzzi-Sali 2009. 17 Cennini, ed. Frezzato 2009, cap. CXL, p. 162. 18 Bracco-Ciappi 2001. 19 Aldrovandi-Migliori 2009; Radicati-Picollo 2009; Cauzzi-Sali 2009. 20 Bracco 1995. 21 Moioli-Seccaroni 2001.

1 Cf. Sensing with Terahertz 2003 and Tonouchi 2007. 2 Bacci et al. 2003. 3 Cf. Appolonia-Volpin 1999 and Scientific examination 2009. 4 Bracco 1995. 5 Lari-Pieralli 1992. 6 Ibid., 123. 7 Matteini et al. 2001. 8 Ferretti-Moioli-Seccaroni 1992; Moioli-Seccaroni 2001; Aldrovandi-Migliori 2009. 9 Bracco 1995; Moles-Matteini 1995. 10 Cennini, Libro dell’arte, chap. 114. 11 Moioli-Seccaroni 2001. 12 Matteini et al. 2001. 13 Aldrovandi-Migliori 2009. 14 Moles-Matteini 1995. 15 Bracco 1995. 16 Aldrovandi-Migliori 2009; Radicati-Picollo 2009; Cauzzi-Sali 2009. 17 Bracco-Ciappi 2001. 18 Cennini, Libro dell’arte, chap. 140. 19 Aldrovandi-Migliori 2009; Radicati-Picollo 2009; Cauzzi-Sali 2009. 20 Bracco 1995. 21 Moioli-Seccaroni 2001.

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Documentazione informatica del restauro: applicazione del sistema Modus Operandi

Digital and Electronic Documentation of the Restoration: Application of the Modus Operandi System

Grazie alla volontà di sperimentare nuovi strumenti e metodologie dimostrata dalla direzione della Galleria degli Uffizi e alla piena disponibilità del National Institute of Information and Communications Technology di Tokyo, è stato possibile affiancare a questo restauro, ed alla ricerca scientifica che lo ha accompagnato, una documentazione informatica completa e particolarmente dettagliata di tutte le molteplici e preziose informazioni raccolte nel corso del lavori. Nostro compito è stato quello di organizzare una documentazione digitale quanto più possibile organica e fruibile nel tempo. Un’attività funzionale innanzitutto al restauro e alla futura conservazione dell’opera, ma anche ad una sua più ampia e diversificata valorizzazione espressa grazie alle potenzialità dei moderni mezzi di comunicazione oggi in continua evoluzione. Per raggiungere questi obbiettivi, abbiamo seguito una metodologia di documentazione che tiene conto, sin dalle prime attività di acquisizione, dei tre possibili livelli di fruizione del materiale digitale: quello tecnico-scientifico di supporto al restauro, quello di gestione e conservazione dell’opera e quello di valorizzazione per mezzo di iniziative pubblicistiche e didattiche. Il primo livello definisce le fondamenta sulle quali si basano gli altri ed è formato, sostanzialmente, da immagini diagnostiche e ad alta definizione, elaborati di rilievo tridimensionali, cartografie tematiche, annotazioni di lavoro e relazioni tecnico-scientifiche. Prevalentemente si tratta di materiale che viene prodotto in occasione del restauro e la cui fruizione richiede spesso l’uso di strumenti specifici e l’interpretazione da parte dei diversi specialisti di settore. Il secondo livello di fruizione del materiale digitale si riferisce alla sua gestione durante e dopo l’intervento di restauro: si tratta di archiviare il materiale tecnico acquisito con il primo livello e di renderlo fruibile attraverso strumenti di consultazione e di ricerca tipici di una banca dati relazionale. Il terzo livello è diretta emanazione del precedente e, rivolgendosi ad una utenza non specializzata, consente una consultazione facilitata della complessa mole di informazioni raccolte. Questa è resa possibile grazie ad operazioni di selezione, filtro e, in alcuni casi, rielaborazione del materiale contenuto nella banca dati.

We would like to thank the management of the Galleria degli Uffizi and Tokyo’s National Institute of Information and Communication Technology for their full support and willingness to test new instruments and methods, without which it would have been impossible to complement the restoration and the scientific work underpinning it with such a detailed and complete corpus of electronic and digital documentation recording all the varied and precious information collected throughout the course of the work. Our task was that of organizing digital information for long-term use in as systematic a manner as possible. This activity caters chiefly to the restoration and future conservation of the work, as well as its broader and more diversified appreciation thanks to the potential of today’s means of communication, which continue to evolve. To achieve these objectives, we have followed a documentation approach that—from the very first data acquisition activities—considered three possible levels of use of the digital material: firstly, a technical-scientific level underpinning the restoration; secondly, management and conservation of the work; lastly, its promotion through media campaigns and educational initiatives. The first level represents the basis of the others and consists mainly of high-definition diagnostic imaging, three-dimensional surveys, theme mapping, work notes, and technical and scientific reports. For the most part, this material was generated during the restoration work, and its use requires specific tools and instruments, and specific technical interpretation. The second level of use of the digital material includes its management during and after the restoration work proper. This level includes appropriate archival and filing of first-level technical materials to make them available to researchers through standard relational database search tools. The third level is the direct result of the previous level. It is primarily targeted to the general public and provides for easy and assisted access to the complex corpus of reference information collected. In turn, this requires careful selection, filtering and, in some cases, conversion and editing of



massimo chimenti 178

I mezzi di consultazione possono essere molteplici (audiovisivi, CD-ROM, touch screen, spazi web…), ma hanno tutti la medesima fonte di informazioni: i dati tecnico-scientifici raccolti con le attività di “primo livello”. Nei paragrafi che seguono descriviamo il lavoro compiuto dalla nostra struttura per ciascuno dei tre livelli di fruizione: rilievi fotogrammetrici e cartografia tematica, creazione del sistema di gestione informatica, strumenti di consultazione digitale.

the material in the database. Several access methods may be implemented (multimedia, CD-ROM, touchscreens, the Internet and so on), but all share the same source of information: the technical and scientific data collected during ‘first-level’ activities. The sections that follow describe the work we conducted for each of the three levels of use: photogrammetric surveys and theme mapping, creation of the computer-based management system, and digital search and access tools.

Primo livello di fruizione: rilievi fotogrammetrici e cartografia tematica Un primo livello informativo sull’opera è dato dalla geometria dell’oggetto da restaurare. Ricostruire con un modello tridimensionale il polittico di Giotto ha permesso di definire un supporto geometrico per molte informazioni che hanno così potuto essere collocate o, come si dice in cartografia, georeferenziate sul modello digitale dell’opera. Il rilievo è stato eseguito con tecniche di restituzione da foto che permettono di utilizzare riprese realizzate con fotocamere non specifiche per la fotogrammetria (non calibrate). Questa metodica ci ha permesso di ottenere più rappresentazioni dello stesso oggetto: a luce diffusa prima e dopo il restauro (fronte e retro), a luce radente, a luce diffusa prima e dopo la stuccatura, riflettografica IR in bianco e nero e in falso colore, in fluorescenza da ultravioletto e radiografica. La restituzione di ciascuna ripresa ha permesso di creare un modello “virtuale” che oggi può essere “illuminato” con fonti differenti. Infatti, dopo la restituzione fotogrammetrica, le immagini sono tutte in perfetta sovrapposizione fra di loro e con il modello geometrico dell’opera. Il confronto, che può avvenire anche in dissolvenza, facilita la correlazione fra le molteplici informazioni che si ottengono dalle diverse tecniche di ripresa fotografica e diagnostica per immagini. Le fotografie a luce diffusa sono state realizzate da Antonio Quattrone con pellicola diapositiva di grande formato (13 × 18 cm). Il progetto fotografico è stato definito in modo da coprire l’intera estensione dell’opera con un livello di dettaglio, in scala 1:1, non inferiore a 8 pixel/ mm. Questa definizione è stata stabilita in riferimento alla possibilità di ottenere un’unica immagine d’insieme sulla quale poter zoomare fino ad un ingrandimento pari al doppio della dimensione reale. Un rilievo per punti, eseguito con distanziometro laser, ha fornito le informazioni geometriche tridimensionali necessarie per definire la geometria essenziale dell’opera, per trasformare le singole riprese fotografiche in immagini misurabili (ortofotopiani) e, infine, per comporre queste ultime in un unico mosaico. Per il fronte a luce diffusa (prima, durante e dopo il restauro), sono state acquisite a scanner, alla risoluzione

First level of use: Photogrammetric surveys and theme mapping A first level of information is given by the geometry itself of the object to be restored. Reconstructing Giotto’s polyptych on a three-dimensional model provided a geometric basis for much of the information, which could thus be exactly located or, to use a mapping term, georeferenced on the digital model of the work. This survey made use of plotting techniques on normal photographic images, permitting the use of uncalibrated cameras not specifically designed for photogrammetry. The method allowed us to obtain several pictures of the same object: under diffused lighting before and after restoration (front and back), under low-angle side lighting, under diffused lighting before and after infilling, IR black-and-white and false-colour reflectography, UV fluorescence and X-rays. By appropriately plotting each shot, we were able to create a ‘virtual’ model that could now be ‘illuminated’ using different light sources. Photogrammetric plotting techniques were used to ensure perfect matching of each of the different images with each other and with the geometric model of the work. By comparing the different views—even with fade-in and fade-out transition effects—it becomes easier to correlate the different information provided by the various photographic and diagnostic-imaging techniques. The diffused-light pictures were taken by Antonio Quat­trone using large-format slide film (13 × 18 cm). The photographic project was designed to cover the entire work at a resolution of at least 8 pixels/mm at 1:1 scale. This level of definition was chosen to allow the generation of a single overall image that could be enlarged to at least a 2x zoom level. A point-by-point survey, performed using a laser EDM, provided the three-dimensional information needed to define the essential geometry of the work, transform the individual photographs into measurable images (orthophotomaps) and reassemble them into a single composite mosaic image. The diffused-light images (before, during and after restoration) were obtained using a 2000 dpi scanner, generating 20 large-format slides. They were subsequently

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documentazione informatica    digital and electronic documentation

di 2000 dpi, venti diapositive di grande formato. Queste sono state successivamente restituite una per una in base al rilievo topografico. Per rendere omogenea l’immagine d’insieme ed eliminare ogni minima soluzione di continuità fra i fotogrammi, il lavoro si è concluso con delle correzioni di luminosità in aree specifiche, soprattutto lungo le linee di confine. Immagini di insieme con queste caratteristiche non possono essere realizzate con un unico scatto fotografico, sia per evidenti limiti di informazioni presenti in un unico fotogramma che per l’inevitabile distorsione prospettica presente nelle fotografie. Gli elaborati ottenuti, infatti, sono ortofotopiani misurabili in tutta la superficie dipinta con una tolleranza inferiore al millimetro e con una risoluzione che, nell’immagine mosaico post-restauro, è pari a 12 pixel/mm (716 milioni di pixel pari 2 GB per l’immagine a 24 bit). Come per le fotografie a luce diffusa, anche le immagini di tipo diagnostico realizzate da Teobaldo Pasquali (Pan­ Art) sono state composte a mosaico e calibrate sulle altre. Per la restituzione della lastra radiografica, è da precisare che si è scelto di calibrare la superficie pittorica e di lasciare in proiezione prospettica gli elementi visibili in profondità (fig. 1). Abbiamo così ottenuto nove immagini metriche di insieme che riproducono il polittico con fonti elettromagnetiche diverse fra loro e in momenti diversi del restauro. Per creare una base geometrica adeguata ad una lettura di tipo cartografico, è stato realizzato anche un rilievo grafico “al tratto”. Si è trattato cioè di “ricalcare” l’ortofotopiano interpretando le linee giottesche e di realizzare

individually plotted based on the topographical survey. To ensure uniformity and complete continuity of the overall composite image, brightness corrections have been applied to specific areas of the images, and in particular to overlapping and adjacent regions. The obvious limitations to the amount of information that may be contained in a photograph, as well as its inevitable geometrical distortions, prevent the generation of a single-take overall photograph offering the required characteristics. In fact, the results consist of orthophotomaps that, across the entire painted surface, provide a tolerance of measurement better than one millimetre and a resolution of 12 pixels/mm (716 million pixels, or 2GB for the 24-bit image) in the post-restoration composite mosaic image. As with the diffused-light photographs, the diagnostic-type images taken by Teobaldo Pasquali (PanArt) were also reassembled as composite mosaics and calibrated against each other. When plotting the X-ray imaging, it was decided to calibrate the pictorial surface and leave in a perspective projection the elements visible in depth (fig. 1). We were able to generate 9 overall metric images that reproduce the polyptych under different electromagnetic sources and at different stages of the restoration. To create a geometric base suitable for cartographic interpretation, we also generated a line-drawing study. In other words, we ‘traced’ the orthophotomap by interpreting Giotto’s lines to generate a geometric topographical chart of the polyptych that could make up the

1. Sovrapposizione dell’immagine radiografica con l’ortofotopiano a luce diffusa (dopo il restauro).

1. Superimposition of the X-ray image and the diffused-light orthophotomap (after restoration).



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2. Il rilievo grafico al tratto è stato realizzato tramite digitalizzazione manuale dell’ortofotopiano. La dissolvenza fra due elaborati riprodotta in questa immagine visualizza il passaggio graduale dalla rappresentazione fotografica a quella grafica.

2. The line-drawing study was done by manually digitizing the orthophotomap. Cross-fading of the two studies in this image shows the gradual transition from the photographic representation to the graphic one.

così un disegno geometrico (rilievo grafico delle figure e della geometria del polittico) che costituisse la “cartografia” di base per la stesura di molteplici mappe tematiche inerenti le indagini diagnostiche, la tecnica artistica, il degrado e l’intervento di restauro. Il rilievo grafico al tratto, oltre a essere un riferimento di base per le tavole tematiche, facilita la lettura dei tracciati geometrici e mette spesso in evidenza alcuni caratteri stilistici ed architettonici che sono parte integrante del progetto dell’artista (fig. 2). A questo proposito, abbiamo trovato particolarmente stimolante l’idea di visualizzare, nel loro insieme, le bellissime incisioni che caratterizzano le aureole e le decorazioni interne agli archetti trilobati (si veda supra, pp. 90-99). Dalle normali riprese fotografiche, così come da una normale consultazione diretta del dipinto, non è facile interpretare bene queste decorazioni: la lucentezza dell’oro e l’illuminazione diffusa impediscono una visione continua e dettagliata delle linee incise. Si è trattato, pertanto, di realizzare un mosaico di immagini a luce radente con una fonte luminosa il cui orientamento varia in funzione delle cornici che girano intorno alle figure. Sono stati restituiti 102 scatti eseguiti con fotocamera digitale da Stefano Scarpelli. Per una lettura d’insieme, queste immagini sono state “incastonate” sull’ortofoto post restauro in bianco e nero (fig. 3). Il rilievo grafico al tratto, ricavato dalla digitalizzazione manuale dei mosaici a luce radente, mette in evidenza il particolare disegno eseguito da Giotto che può essere visto da solo (nero su bianco e viceversa) o in sovrapposizione con gli ortofotopiani (fig. 4).

basic mapping from which multiple theme maps could be created, describing diagnostic investigations, artistic techniques, deterioration phenomena and restoration work. This line-drawing study is a basic reference for the theme maps, but at the same time it also helps the interpretation of the geometric layout and relations, and has revealed some of the stylistic and architectural traits specific and integral to Giotto’s project (fig. 2). In this regard, we found it particularly stimulating to observe, as a whole, the beautiful incising that characterizes the haloes and the decorations in the trefoil arches (see above, pp. 90–9). It is not easy to interpret these decorations through normal photographs or simple first-hand examination of the painting: the gleam of the gold and diffused lighting prevent continuous and detailed observation of the incised lines. Therefore, we had to create a composite mosaic of images under low-angle side lighting using a light source that we could orient according to the frames set around the figures. Stefano Scarpelli took 102 photographs with a digital camera. To provide a complete overall reading, these images were ‘set’ in the post-restoration black-and-white orthophoto (fig. 3). The line-drawing study, produced by manually digitizing the mosaics under low-angle side lighting, revealed the particular design created by Giotto, which can be viewed alone (black on white and vice versa) or superimposed on the orthophotomaps (fig. 4). To allow the restorers and other specialists to draw up the theme maps, the line-drawing study was printed

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3. Per rendere leggibili le incisioni sulle aureole, limitatamente all’area interessata, è stata realizzata una composizione a mosaico delle riprese fotografiche a luce radente. Su questa base, è stato possibile ottenere il rilievo grafico al tratto delle incisioni.

3. To make the incising of the haloes legible, a mosaic composition was created using the photographs taken under low-angle lighting, strictly in the specific area. This made it possible to obtain a line-drawing study of the incising.

4. Rilievo grafico delle aureole: Madonna col Bambino.

4. Line-drawing study of the haloes: Madonna and Child.



Per la stesura delle mappe tematiche da parte dei restauratori e degli altri specialisti, il rilievo grafico al tratto è stato stampato in tavole ripiegabili in formato A4 con frontespizio predisposto per l’inserimento della data, dell’operatore, dei temi trattati e della relativa legenda grafica. Sono stati realizzati due tipi di tavola: l’insieme in scala 1:3 e i singoli scomparti in scala 1:2. Le 26 mappe tematiche prodotte in laboratorio nel corso dei lavori costituiscono oggi un corpus documentale importante anche per la futura conservazione dell’opera. È stato nostro compito digitalizzare questo materiale trasformandolo in mappe tematiche dalla simbologia grafica “normalizzata” (figg. 5-6),1 leggibili in sovrapposizione fra loro e con tutto il materiale fotografico (ortofotopiani). Riportiamo qui sotto l’elenco completo delle tematiche incluse nelle mappe, ordinate per categorie di riferimento: - tecnica artistica: lamina metallica; oro “a missione”; decorazioni in stagno; incisioni; lamina sgraffita; decorazioni seriali in blu e rosso; decorazioni in argento; - degrado: abrasioni da puliture pregresse; fratturazioni e fessurazioni; perdita della pellicola pittorica; - interventi pregressi: ridipintura antica; interventi non originali; - intervento di restauro: stuccature; - analisi scientifiche: THz; FORS; punti di prelievo. Per il supporto, è stato realizzato l’ortofotopiano del retro con l’accorgimento di adottare il medesimo sistema di riferimento tridimensionale già utilizzato per il fronte. In questo modo si è resa possibile la correlazione geometrica fra la struttura di sostegno e la pellicola pittorica. Possiamo, ad esempio, visualizzare sul fronte l’esatta posizione delle assi e dei relativi sistemi di incastro ed ancoraggio o, viceversa, leggere in trasparenza, dall’immagine metrica del retro, il rilievo grafico e le mappe tematiche del fronte (fig. 7). Per il supporto sono state redatte le seguenti mappe tematiche: - degrado: attacchi di insetti xilofagi; - tecnica artistica: traccia traversa originale; - interventi pregressi: interventi non originali. Secondo livello di fruizione: banca dati e sistema di gestione Modus Operandi Le immagini diagnostiche e quelle ottenute dalla loro restituzione, le riprese fotografiche a luce diffusa e a luce radente, i risultati delle indagini scientifiche, le tavole tematiche, come anche le annotazioni e le relazioni tecniche del restauratore e dello staff tecnico-scientifico formano una grande mole di informazioni spesso eterogenee e difficili da correlare ed archiviare in modo organico. Dunque, soprattutto in un restauro come questo, occasione di molti studi ed approfondimenti specialistici, non poteva

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on paper that could be folded down to an A4 size with a cover page showing date, operator’s name, themes and the relevant graphic legend. Two types of sheets were produced: the entire complex in 1:3 scale and the individual panels in 1:2 scale. The 26 theme maps produced in the laboratory during the work now constitute an important set of documents for the future conservation of the work. We were responsible for digitizing this material, transforming it into theme maps with ‘standardized’ graphic symbols (figs. 5–6),1 that can be read by superimposing them and with all the photographic material (orthophotomaps). What follows is the complete list of themes by category: - artistic technique: metal foil; oil gilding; tin decorations; incising; foil with sgraffito decoration; serial decorations in blue and red; silver decorations; - deterioration: abrasions from previous cleanings; fractures and cracks; loss of the pictorial film; - previous interventions: old repainting; non-original intervention; - restoration work: infilling - scientific analysis: THz; FORS; sampling points. For the support, an orthophotomap was made of the back, carefully adopting the same three-dimensional reference system that had been used for the front, thereby allowing geometric correlation between the support structure and the pictorial film. This means that we can view from the front the exact position of the boards, joints and anchors. Likewise, the metric image of the back allows us to see—in transparency—the line-drawing study and the theme maps of the front (fig. 7). The following theme maps were produced for the support: - deterioration: attacks by wood-eating insects; - artistic technique: original transversal traces; - previous interventions: non-original interventions. Second level of use: Modus Operandi databank and operating system Diagnostic images and their plots, photographs taken under diffused and low-angle lighting, results of scientific investigations, theme maps, comments and technical reports by the restorer and technical/scientific staff make up an enormous amount of diverse and often heterogeneous information that is difficult to cross-reference and file in a systematic manner. Particularly for restoration work such as this one, representing an opportunity for many studies and specialized investigations, it was thus important not to overlook the digital documentation we have referred to as the ‘second level of use’. In order to do so, first of all we had to establish a ‘collection point’

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5. Le mappe tematiche sono state realizzate in laboratorio sulla base del rilievo grafico al tratto. Successivamente sono state “normalizzate” in formato digitale. La dissolvenza fra due elaborati riprodotta in questa immagine mette a confronto l’elaborato digitale con quello cartaceo originale. 5. The theme maps were made in the laboratory based on the line-drawing study. They were then ‘standardized’ in a digital format. The cross-fade of the two documents reproduced in this image compares the digital one with the original paper one. 6. Tavola tematica delle stuccature in sovrapposizione con l’ortofoto UV. 6. Superimposition of the theme map of the infilling and the UV orthophoto.



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essere trascurata quella parte di documentazione digitale che abbiamo chiamato “secondo livello di fruizione”. Si è trattato innanzitutto di costituire un “punto di raccolta” dei dati, formare cioè un archivio digitale di tutto il materiale prodotto. Questo è stato possibile attraverso la definizione di un file system ordinato in base alle diverse tipologie di informazioni ed alla loro successione temporale. Si è trattato, sin qui, di creare un archivio di “primo livello”: il materiale è nel formato originale (quello fornito dai singoli specialisti) ed è ancora disorganico, in quanto non è possibile correlare le informazioni tramite query di ricerca o sovrapposizioni grafiche di tavole tematiche.

for the data: a digital repository of all the material that was being produced. We were able to do this by defining a file system arranged based on the different types of information and their temporal sequence. What was involved up to this point was creating a ‘first-level archive’: the material was in its original format (as provided by the individual specialists) and was still disorganized. In other words, it was not yet possible to correlate the information through search queries or graphic overlays of the theme charts. This repository formed the main source of input data into the digital retrieval system. We used the Modus

7. Ortofotopiano del retro, tavola tematica degli attacchi xilofagi e rilievo grafico del dipinto in trasparenza.

7. Orthophotomap of the back, theme map of attacks by wood-eating insects and line-drawing study of the painting in transparency.

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Questo archivio ha costituito la principale fonte di informazioni per l’inserimento dei dati nel sistema di gestione digitale. Il software utilizzato è Modus Operandi®,2 uno strumento dotato di una complessa struttura di base che si adatta a qualsiasi esigenza, mantenendo comunque le caratteristiche di database relazionale. Il sistema, infatti, anche se personalizzato e adattato a settori disciplinari diversi, mantiene la possibilità di correlare fra loro tutte le informazioni, indipendentemente dall’ambito tecnico-scientifico da cui provengono.3 Per il restauro del Polittico di Badia, sono state acquisite informazioni redatte dai restauratori, ma anche dai diversi esperti chiamati a fornire dati tecnici e scientifici anche innovativi nella loro applicazione in questo settore. Si è trattato cioè di sfruttare appieno le possibilità di personalizzazione e le caratteristiche interdisciplinari del sistema adottato. L’elenco delle entità di archivio in Modus Operandi fornisce una visione d’insieme della grande mole di informazioni acquisite e della molteplicità delle discipline coinvolte in questo restauro: - rilievi fotogrammetrici (5 mosaici); - diagnostica per immagini (3 mosaici e un’immagine RX); - indagini scientifiche (équipe, relazioni scientifiche, 99 punti FORS, 12 aree THz e 19 campioni descritti da immagini e risultati); - oggetto dell’intervento (scheda sull’opera corredata da immagini); - interventi pregressi (testi, immagini e mappe tematiche); - lettura dello stato di conservazione (testi, immagini e mappe tematiche); - lettura della tecnica artistica (testi, immagini e mappe tematiche); - intervento di restauro (équipe, descrizione generale e interventi specifici sulla materia pittorica: pulitura, stuccatura e ritocco pittorico); - documentazione fotografica di laboratorio; - osservazioni dei restauratori (testi, immagini e mappe tematiche). Ogni entità di archivio sopra elencata è descritta in base a campi di testo specifici e, in molti casi, è corredata da immagini con didascalia e mappe tematiche. Per rendere possibile la condivisione delle informazioni, la banca dati è stata installata in un server online e resa disponibile tramite accesso controllato da login e pass­word. In questo modo è stato possibile, anche nel corso dei lavori, condividere con lo staff tecnico tutte le informazioni raccolte. Per la consultazione delle informazioni tramite Internet, è stato utilizzato il sistema Modus Explorer.4 Si tratta

Operandi® software,2 an instrument with a complex basic system that can be adapted to any need while maintaining its characteristics as a relational database. Although the system is customized and adapted for use in different fields, it is always possible to correlate all the information, regardless of the technical or scientific source.3 For the restoration of the Badia Polyptych we input information produced not only by the restorers but also by the different experts called in to provide technical and scientific data, often innovative in their application in this field. In other words, we fully exploited the system’s customization options and interdisciplinary characteristics. The list of the archival entities in Modus Operandi provides an overview of the enormous amount of information that was input and the array of fields involved in this restoration: - photogrammetric surveys (5 mosaics); - diagnostic imaging (3 mosaics and 1 X-ray image); - scientific investigations (team, scientific reports, 99 FORS points, 12 THz areas and 19 samples described by images and results); - subject of the work (entry on the work, complete with images); - previous interventions (texts, images and theme maps); - examination of the state of preservation (texts, images and theme maps); - examination of the artistic technique (texts, images and theme maps); - restoration work (team, general description and specific interventions on the pictorial material: cleaning, infilling and pictorial touch-ups); - photographic laboratory records; - restorers’ observations (texts, images and theme maps). Each of the listed archival entities is described based on specific text fields and, in many cases, is supplemented by images with captions and theme maps. In order to make it possible to share information, the database was installed on an online server with access protected by login and password. As a result, it was possible to share the growing amount of information with the technical staff as the work progressed. The Modus Explorer system was used to consult the information over the Internet.4 It is an instrument designed for various functions and can be considered between the second- and third-level instruments. Generally speaking, the database for a restoration project does not usually lend itself to typical third-level journalistic, educational and general public access. In a project like this one, however, where enormous care was lavished on the quality of the pictures and the mapping, it



di uno strumento predisposto per molteplici funzionalità e si colloca su di una linea di confine fra gli strumenti di “secondo” e quelli di “terzo livello” di fruizione. La banca dati di un restauro, infatti, normalmente non si presta ad una consultazione di tipo informativo o didattico, tipiche del “terzo livello”. Ma, soprattutto in un’occasione come questa in cui la qualità delle immagini e degli elaborati cartografici è particolarmente curata, è certamente auspicabile condividere con un pubblico più vasto una parte consistente di quei dati che normalmente vengono etichettati come “per addetti ai lavori”. Con questo strumento si è potuto “far emergere” in superficie una sintesi delle informazioni contenute nell’archivio pur lasciando la consultazione in toto filtrata tramite login e password. Si è trattato, cioè, di utilizzare quelle funzionalità del sistema Modus Operandi che permettono di esportare alcune informazioni sotto forma di sequenze organizzate di immagini e testi (slide show) o di consultare mappe tematiche ed immagini ad alta definizione in sovrapposizione fra loro. È questo, appunto, un territorio comune ai due diversi livelli di fruizione: un “abstract” multimediale, basato prevalentemente sulle immagini, quindi accattivante e di facile approccio sia per addetti ai lavori che non. La consultazione Internet avviene per tutti gli utenti dalla medesima pagina web (www.polomuseale.fi­ren­ze. it/uffizi/modusoperandi/giotto) che propone tre spazi di consultazione: Accesso alla banca dati, Il restauro in immagini e Mappe tematiche. Il primo spazio richiede l’inserimento della password ed apre alla consultazione dell’intero archivio che avviene “sfogliando” le pagine or­ganizzate in capitoli e paragrafi standardizzati, o tramite ricerche (query) mirate all’individuazione di un dato specifico (figg. 8-9). Gli altri due spazi sono ad accesso libero e costituiscono quell’area di consultazione multimediale che abbiamo definito di “terzo livello”. Terzo livello di fruizione: strumenti di consultazione digitale Lo spazio dedicato alla consultazione del restauro attraverso le immagini (Il restauro in immagini) è organizzato in menu molto semplici che permettono di orientarsi con facilità fra gli argomenti in cui è suddiviso il restauro: “Stato di conservazione”, “Tecnica”, “Intervento”. Una sequenza di icone, cioè di piccole immagini in successione, fungono da “indice visivo” (fig. 10) per una consultazione che all’immediatezza dell’immagine associa testi descrittivi e di approfondimento di particolare interesse storico-artistico e per la conservazione dell’opera. Infatti, passando da una sezione all’altra e da un’immagine all’altra, è possibile ripercorrere il restauro e le principali informazioni raccolte nel corso dell’intervento.

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was clear that this information should be made available and disseminated to a broader audience than the usual closed circle of experts. This tool allowed us to show selected and significant extracts of the information contained in the database, while retaining access control to the whole corpus through a login/password system. In other words, we could use Modus Operandi’s export functions to produce organized sequences of images and text (slide shows) and high-definition pictures overlaid with their relevant theme maps. This is where the two levels of use overlap: as a multimedia ‘abstract’ based chiefly on images, and thus engaging and easy to use by professionals and the general public alike. All users can consult it over the Internet through a single portal (www.polomuseale.firenze.it/uffizi/modusope­ randi/giotto), offering three subject areas: ‘Database access’, ‘The restoration work in pictures’ and ‘Theme maps’. The first area is password-protected and provides access to the entire archive either by navigating the individual pages, organized in standard chapters and paragraphs, or by means of specific searches (queries) to locate a specific piece of information (figs. 8–9). The other two spaces can be accessed freely and represent the multimedia area we have defined as the ‘third level’. Third level of use: reference tools The different subjects covered in the space dedicated to showing the restoration process through images (‘Restoration in pictures’) can be navigated and accessed through very simple menus including: State of preservation, Techniques, Intervention. A sequence of icons, i.e. a sequence of small images, is used to provide a ‘visual index’ (fig. 10) to the users, who are thus able to experience the immediacy of the image but can also choose to drill down to more in-depth historical, artistic and conservational descriptions and analyses. By navigating from one section to the next and from one picture to another, the visitor can follow the restoration process and the main data acquired as the work progressed. As described in the section on the first-level activities, the state of preservation, the diagnostic investigation and the restoration work were studied and analysed in the form of graphic charts superimposed on the studies. A summary of these studies is available in the ‘Theme Maps’ section. In this section, the user can view the full-resolution images (orthophotomaps) with the corresponding graphic overlays without requiring special tools. Simple tools in this section allow the user to display or hide the theme map overlays and adjust the

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8. Consultazione online della banca dati Modus Operandi: immagini, filmati e testi sono richiamabili da una struttura ad albero predefinita.

8. Online consultation of the Modus Operandi databank: images, films and texts can be called up from a predefined tree structure.

9. Banca dati Modus Operandi, schermate esemplificative del sistema di consultazione online.

9. Modus Operandi databank: screenshots illustrating the online consulting system.



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Come riportato nella descrizione delle attività di “primo livello”, la tecnica artistica, lo stato di conservazione, le indagini diagnostiche e l’intervento di restauro sono stati studiati ed analizzati anche sotto forma di tavole grafiche in sovrapposizione con gli elaborati di rilievo. Una sintesi di questi elaborati è consultabile nella sezione Mappe tematiche che permette di visualizzare, a piena risoluzione e senza la necessità di strumenti software specialistici, immagini (ortofotopiani) e tavole grafiche in sovrapposizione fra loro. Questo avviene tramite semplici strumenti che permettono di attivare e disattivare le mappe tematiche o di calibrare la trasparenza di un’immagine sull’altra in modo da facilitare al massimo la correlazione delle informazioni cartografiche. Questi strumenti corrispondono a quelli utilizzati in programmi cartografici specialistici il cui accesso, però, non è disponibile online per una consultazione ampia e differenziata. Per questo importante restauro ci è sembrato opportuno rendere consultabile una vasta gamma di immagini ed elaborati grafici: sono disponibili ben 50 layer suddivisi in 8 diverse sezioni tematiche (fig. 11). La prima schermata di questa sezione permette, ad esempio, di leggere in dissolvenza, l’una sull’altra, le immagini ante e post restauro: trattandosi di ortofotopiani, sono in perfetta sovrapposizione fra loro ed è possibile esplorarne i dettagli con ingrandimenti che superano, a monitor, le dimensioni dell’originale. È disponibile anche

level of transparency of the various images in order to maximize the correlation of the available cartographic information. The tools offered are broadly similar to those included in specialized cartographic programs which, however, do not allow online access by the general public. For this important restoration project, we felt it was appropriate to offer a broad range of images and graphic documentation: 50 layers are available in 8 thematic sections (fig. 11). For example, the first screen in this section displays pre- and post-restoration images, fading them one over the other. Since they are orthophotomaps, they superimpose perfectly on each other. Their details can be explored and enlarged to a size that, on screen, is larger than the original. A measuring tool is also available to allow the user to measure the distance between any two points of the painting. The artistic technique area contains the maps of the foil and the visually impressive section describing the incised areas, where line-drawing study and the composed mosaic images—taken under diffused and low-angle lighting—can be superimposed, thus highlighting the extraordinary design that Giotto created on the haloes and around the figures (figs. 12–13 and pp. 90–9). In the section devoted to diagnostic imaging, the user can compare the work before and after restoration, superimposing infrared, ultraviolet and X-ray images (fig. 14).

10. Il sistema Modus Operandi permette di esportare parte della banca dati per una consultazione in rete basata sulle immagini. Sequenze di immagini e testi facilitano la consultazione della documentazione del restauro.

10. The Modus Operandi system can be used to export part of the databank for online consultation based on the images. Sequences of images and texts make it easier to consult the documentation on the restoration work.

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11. Grazie al sistema Modus Explorer, è possibile consultare le mappe tematiche in sovrapposizione fra loro. In questa immagine sono visibili alcuni layer sulla tecnica artistica: lamina metallica sgraffiata (ciano); decorazioni in stagno (verde); lamina metallica (arancio); oro “a missione” (giallo); decorazioni in argento (magenta); decorazioni blu e rosse (blu e rosso).

11. The Modus Explorer system makes it possible to consult the superimposed theme maps. This picture shows several layers illustrating the artistic technique: sgraffito metal foil (cyan); tin decorations (green); metal foil (orange); oil gilding (yellow); silver decorations (magenta); blue and red decorations (blue and red).

uno strumento che permette di effettuare delle misurazioni manuali, da punto a punto del dipinto. Per la tecnica artistica, oltre alle mappe sulle lamine metalliche, è di particolare impatto visivo la sezione sulle incisioni, dove il rilievo grafico al tratto e le immagini-mosaico – a luce diffusa e radente – possono essere letti in sovrapposizione l’uno sull’altro esaltando, così, lo straordinario disegno tracciato da Giotto all’interno delle aureole e intorno alle figure (figg. 12-13 e pp. 90-99). Nella sezione dedicata alla diagnostica per immagini, è possibile confrontare, sempre in sovrapposizione, l’ante ed il post restauro con le immagini di insieme in infrarosso, ultravioletto e con la radiografia (fig. 14). Quest’ultima è visibile anche in sovrapposizione con l’immagine del retro dell’opera, assieme ad altre mappe come quelle sul degrado e sulle traversature originali. Anche la descrizione del restauro è affidata interamente alle immagini: oltre alla mappa completa delle stuccature, per ciascuno scomparto è possibile ripercorrere le condizioni dell’opera nel corso dell’intervento attivando e disattivando immagini in sovrapposizione fra loro. È possibile, infatti, confrontare non solo ante e post restauro, ma anche le fasi intermedie della pulitura e della stuccatura.

The latter can also be viewed superimposed on the picture of the back of the work, along with other maps such as those showing the deterioration of the work and the original crosspieces. Images are also used to describe the entire restoration process: in addition to the complete map of the fillers, the user can retrace the conditions of the polyptych during the restoration work by activating and deactivating the superimposed images of each panel. As a result, not only can the images before and after restoration be compared, but the intermediate cleaning and infilling phases can also be examined. Lastly, specialized users will unquestionably find the section on the scientific investigations that were conducted very significant and useful. All FORS and THz survey points and the samples that were taken are indicated on an image of the work as a whole. By selecting the desired symbols on the map, the user can display the corresponding main results in a datasheet containing images and text retrieved from the database (fig. 15). The wealth of available information and the flexibility offered by this type of multimedia tool encouraged us to make it available to the general public during the presentation of the restoration results, and later when



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Da segnalare infine, certamente per una consultazione più specialistica, la sezione dedicata alle indagini scientifiche: i punti di lettura FORS, THz e i campioni di prelievo sono tutti posizionati su un’immagine d’insieme. Selezionando i simboli sulla mappa, è possibile richiamarne i risultati principali sotto forma di scheda con immagini e testi esportati dalla banca dati (fig. 15). La ricchezza delle informazioni disponibili e la flessibilità offerta da questo tipo di strumento multimediale ci ha

it was displayed temporarily at San Pier Scheraggio (fig. 16). Consequently, a 40” touchscreen table was installed a few metres from the work. This was one of the first experiences of this kind and the interest shown by visitors confirmed the enormous appeal of the images and the great potential offered by a sound science-based multimedia approach. This made it possible, during the restoration of the Ba­ dia Polyptych, to fully engage in the virtuous process

12-13. Il sistema Modus Explorer permette di richiamare i dettagli delle aureole e di attivare e disattivare i layer con il rilievo grafico, la luce diffusa e la luce radente.

12–13. The Modus Explorer system can call up the details of the haloes and activate/deactivate the layers with the line drawing, and under diffused lighting and low-angle lighting.

14. È possibile regolare la trasparenza delle immagini in modo da confrontare più elaborati in sovrapposizione fra loro.

14. The transparency of the images can be adjusted in order to compare several superimposed documents.

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15. Le indagini scientifiche sono state “georeferenziate” sull’ortofoto: selezionando il simbolo corrispondente è possibile leggerne i risultati e confrontarli fra loro.

15. The scientific studies have been “georeferenced” on the orthophoto: by selecting the corresponding symbol, users can read and compare the results.

suggerito di metterlo a disposizione del pubblico in occasione della presentazione dell’opera restaurata e della sua successiva esposizione temporanea in San Pier Scheraggio (fig. 16). A questo scopo, è stato installato un tavolo touch screen da 40 pollici a pochi metri dall’opera. Si è trattato di una delle prime esperienze di questo tipo e, per l’interesse suscitato nei visitatori, ha confermato il grande potere attrattivo delle immagini e le forti potenzialità offerte da una multimedialità che nasce da fonti scientifiche. Dunque, in occasione del restauro del Polittico di Badia, è stato possibile applicare pienamente quel processo virtuoso che porta le informazioni digitali ad essere utilizzate a livelli di fruizione diversi, ma consequenziali: da quello tecnico-scientifico a quello di gestione, sino alla vasta gamma di opzioni offerte dai mezzi di comunicazione/valorizzazione multimediale a disposizione del grande pubblico.

that allows digital information to be used at different but interrelated and consequent levels, from the technical and scientific level to the management and retrieval level, and on to the wide range of options made available to the public at large by multimedia communication and enrichment tools.

Un rigraziamento particolare per l’aiuto fornito nella stesura del mio testo va a Sara Rutigliano. 1 Queste esperienze applicative sono occasioni importanti per la definizione di standard grafici di riferimento per la cartografia tematica di riferimento. A tale proposito, anche se riferito al restauro di pitture murali, si segnala Chimenti-Lanfranchi-Mariotti 2009. 2 Il sistema è stato realizzato da Culturanuova, a partire dal 2002, con la consulenza scientifica ed il collaudo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

I am especially grateful to Sara Rutigliano for her help with this text. 1 These application experiences represent an important opportunity for defining graphic reference standards for the specific theme mapping involved. On this subject, although it refers to the restoration of murals, see Chimenti-Lanfranchi-Mariotti 2009.



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3 Le entità di archivio del sistema Modus Operandi si dividono in due tipologie: “oggetti” ed “attività”. I beni artistici, ma anche i materiali, le persone, i fenomeni di degrado, gli strumenti, sono “oggetti”. La pulitura, il consolidamento, il ritocco pittorico, le indagini diagnostiche, invece, sono “attività”. La possibilità di creare le entità di archivio partendo da un archetipo di riferimento e di ereditare da esso alcune proprietà, rende il sistema particolarmente versatile ed in grado di correlare le informazioni di un archivio del tutto interdisciplinare come quello che si ottiene dall’attività di restauro. 4 Il sistema Modus Operandi permette di condividere le banche dati in rete attraverso uno strumento denominato Modus Explorer. L’accesso a questi spazi di consultazione, può essere interamente o parzialmente protetto da password. Una raccolta di restauri eseguiti con questo tipo di documentazione è disponibile all’indirizzo www.modusexplorer.net.

2 The system was developed by Culturanuova in 2002, with the scientific input of the Opificio delle Pietre Dure in Florence, which also tested it. 3 The Modus Operandi system has two types of archival entities: objects and activities. Artwork as well as materials, people, deterioration and instruments are objects. Cleaning, consolidation, pictorial touch-ups and diagnostic investigations are instead considered activities. The system is very versatile, because it can create archival entities starting from a reference archetype and inherit certain properties from it. It is also able to correlate the information from a totally interdisciplinary repository such as that generated by restoration work. 4 The Modus Explorer tool provides powerful online database sharing functions for the Modus Operandi system. Access to the various reference sections can be fully or partially password-protected. A collection of restorations done with this type of documentation is available at www.modusexplorer.net.

16. Presentazione del restauro ed esposizione temporanea in San Pier Scheraggio.

16. Presentation of the restoration and temporary exhibition at San Pier Scheraggio.

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Indice   Table of contents

Presentazioni | Forewords cristina acidini 5 hideo miyahara 7

Una lettura appartata 9 Solitary Contemplation antonio natali

La storia e la critica | History and Scholarship 11

Il restauro del Polittico di Badia: Giotto 1295-1300 13 The Restoration of the Badia Polyptych: Giotto 1295–1300 angelo tartuferi



Geometria e naturalezza, modulo e ritmo: un’opera fondativa alle origini del concetto illusionistico del polittico gotico 31 Geometry and Naturalness, Module and Rhythm: A Seminal Work in the Illusionistic Concept of the Gothic Polyptych andrea de marchi

L’opera | The Work 53 angelo tartuferi Atlante | Atlas 61 Il restauro | The Restoration 101

L’intervento di restauro alla luce dello stato di conservazione e delle tecniche esecutive 103 Restoration in Relation to the Polyptych’s State of Preservation and Execution Techniques stefano scarpelli



Studio diagnostico e analitico del Polittico di Badia mediante tecniche non invasive e microinvasive 151 Diagnostic and Analytical Study of the Badia Polyptych with Non-invasive and Micro-invasive Techniques kaori fukunaga, costanza cucci, cristina montagner, marcello picollo, susanna bracci, donata magrini, oscar chiantore



Documentazione informatica del restauro: applicazione del sistema Modus Operandi 177 Digital and Electronic Documentation of the Restoration: Application of the Modus Operandi System massimo chimenti

Bibliografia | Bibliography 193

Stampato in Italia | Printed in Italy gennaio | January 2012