118 62 14MB
Italian, German Pages 360 [372] Year 1994
CET
eu a :
quel uM È
n
a ξοῖσετ
MONOGRAFIE SCIENTIFICHE SERIE SCIENZE UMANE E SOCIALI
MONOGRAFIE SCIENTIFICHE SERIE SCIENZE UMANE E SOCIALI
GERMANI
IN ITALIA
A cura di BARBARA
e PIERGIUSEPPE
CONSIGLIO NAZIONALE ROMA
SCARDIGLI
DELLE 1994
RICERCHE
PROPRIETÀ
LETTERARIA
RISERVATA
© 199 CONSIGLIO
NAZIONALE
DELLE
RICERCHE
ROMA
Stampato S. p. A.
Arti
in Italia — Printed
Grafiche
Panetto
&
in Italy
Petrelli
—
Spoleto
PRESENTAZIONE Il tema della presenza germanica - ma poi si vedrà che in realtà “Germani” e “germanico” sono termini di comodo per indicare un insieme di genti collegate in vario modo tra loro ma rilevabili con nomi specifici come Cimbri, Teutoni etc. - in Italia è fra quelli che più hanno attivato le penne degli scrittori. Valgano d’esempio le opere dello storico e banchiere Thomas Hodgkin (Londra 1831-1913) Italy and her Invaders e dello storico e uomo politico Ludo Moritz Hartmann (Stoccarda 1865-Vienna 1924) Geschichte Italiens im Mittelalter (incompiuta, 4 voll. 1897-1915). L'abbinamento fra presenza di “barbari” e rovina dell'Impero d'Occidente è scontato e forte la tendenza a collegare le due cose in un nesso di causa (i “barbari”) ed effetto (caduta dell'Impero di Roma). Va da sé che i Romani (e non solo dai Romani) sono stati collocati dalla parte della ragione e i Germani dalla parte del torto. Troppo diverso era il livello di civiltà e soprattutto di organizzazione. Da un lato abbiamo l'efficienza di un grande apparato burocratico e militare in espansione, dall'altra aggregazioni instabili di famiglie in cerca di terre da sfruttare per allevamento e agricoltura, apparentemente prive di ogni altra motivazione che non fosse la sopravvivenza. Col diradarsi delle ideologie e con la presa di coscienza critica della nostra civiltà occidentale, la ricerca di una maggiore obbiettività o almeno di un sufficiente distacco nella ricostruzione del quadro romano-germanico si è fatta una necessità impellente. Una svolta nei criteri di messa a fuoco dei problemi e un tentativo di valutazione obbiettiva del fenomeno "Germani" è il libro di Reinhard Wenskus, Stammesbildung und Verfassung. Das Werden der frühmittelalterlichen gentes (ma questo titolo non dà un'idea adeguata del contenuto), apparso nel 1961. Significativa e del pari l'opera di Walter Goffart, intitolata Barbarians Accomodation, Princeton 1980.
and Romans. A. D. 418-584. The Techniques of Da ricordare é anche la nuova edizione di Hoops,
Reallexikon der Germanischen Altertumskunde che dal 1968 offre al mondo degli studiosi voci enciclopediche rigorosamente imparziali e trasparenti. Questo volume si prefigge — pur nei suoi limiti evidenti — unicamente di documentare una realtà significativa, la presenza di Germani in Italia dal secolo II a. C. al V d. C. “Germani in Italia" dunque, fin dall'avventura dei Cimbri e dei Teutoni, senza ambizio-
ni di completezza, ma con vaglio accurato delle fonti (preziosi a tal proposito sono i quattro volumi dell'Akademie Verlag di Berlino, Griechische und Lateinische Quellen zur Frühgeschichte Mitteleuropas bis zur Mitte des 1. Jahrtausends u. Z., editi da J. Herrmann, 1988-1992), appositamente collocate all'inizio di ogni contributo con l'intento di facilitarne la consultazione e per metterle a disposizione per ogni futura indagine, presenta i risultati di una collaborazione tra germanisti, storici antichi e del cristianesimo, numismatici ed epigrafisti. Alcuni contributi previsti non sono arrivati in porto. Fra questi ricordiamo quelli sulla presenza dei Germani in Italia fra la tetrarchia e la seconda metà del IV sec.; su Alarico e Stilicone; sui nomi germanici documentati su suolo italiano nell’antichità; sulla derivazione dei segni runici e dell'epigrafia runica dalla tradizione etrusca settentrionale; sulla presenza di Germani all'interno delle istituzioni e delle strutture di potere nella Roma dei secc. IV e V d.C. e infine sulla presenza di Vandali nell’Italia insulare. -V-
VI
Presentazione
Per rispettare la volontà di alcuni autori, abbiamo rinunciato ad una rigorosa unificazione redazionale, cosa che naturalmente non può valere per gli indici. I curatori esprimono la loro gratitudine ai professori Luigi De Rosa, Romano Lazzeroni, Mario Mazza, Antonio Praturlon e Sergio Zoppi per l’aiuto concesso ad alcuni degli autori in forma di contributo ordinario e per aver accolto il volume nella collana del CNR, Monografie Scientifiche; ai dott. Ilaria Vannini Parenti e Pier Luigi Bizzarri dell'Ufficio Pubblicazioni per la loro disponibilità e infine al dott. Nicola Petilli per il lavoro redazionale.
INDICE
Pac.
Summaries
LL...
bibi iii
ieri
rete
Germani in Italia prima dei Cimbri? — LEANDRO POLVERINI
IX
...................
1
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2. Jahrhunderts v. Chr. — BARBARA SCARDIGLI
11
Kimberntradition und Kimbernmythos — DIETER TIMPE
23
......................
Gli schiavi germanici nella rivolta di Spartaco — JERZY KOLENDO Vèleda e i Ῥηνοπόται in Italia — PIERGIUSEPPE SCARDIGLI
..............
61
.....................
73
Der Einfall der Markomannen und Quaden in Italien 167 n. Chr. und der Abwehrkampf
des C. Macrinius Avitus (Amm.
Marc. 29,6,1) — KLAUS ROSEN
..............
87
Ambasciatori germanici in Italia dal II sec. a. C. al II sec. d. C. — MONICA AFFORTUNATI
105
Germanische Gefangene und Geiseln in Italien — BARBARA SCARDIGLI
..........
117
Germanen in der kaiserlichen Leibwache zu Rom — MICHAEL SPEIDEL
.........
151
Die Plebs Urbana und die Germanen. Beispiele einiger eher unfreiwilliger begegnungen — MARIA RADNOTI-ALFÖLDI ..................... Lerner
159
Suebi nelle iscrizioni di Roma
199
— MARIA
GRAZIA GRANINO
CECERE
..............
La prima penetrazione alamanna in Italia (260 d. C.) come ipotesi alternativa di spiegazione per la storia dei conflitti romano-germanici — LUIGI LORETO .....
209
Dal contenimento all’insediamento: i Germani in Italia da Giuliano a Teodosio Magno — ARNALDO MARCONE ................--.000 hah hh hn
239
Vescovi e Germani nell'Italia Settentrionale (IV-V secolo) — MARCELLA FORLIN PATRUCCO
258
Ricimer — ein Germane als starker Mann in Italien — STEPHAN KRAUTSCHICK
269
La cultura Romana
di fronte alla fine dell'impero di occidente
germanico in Italia — BRUNO LUISELLI
e del primo
.... regno
................0.0 e nnne
Il regno di Odoacre: la prima dominazione germanica in Italia — MARIA CESA Indice delle fonti Indice dei nomi
...........LLL LL ......LL
Indice degli autori moderni
Indice
analitico
LL
eee rien
re re veri
e iene
.......... 000
.........L0LLL LL
....
289 307 328 337 349
357
SUMMARIES LEANDRO POLVERINI (Roma)
Germans in Italy before the Cimbri? Recent Italian historiography has accepted with almost unanimous favour the evidence of the Fasti Capitolini aecording to which Germans took part in the battle of Clastidium in 222 b. C., that is 120 years before the arrival of the Cimbri in Italy. The author rejects this thesis and views the evidence of the Fasti Capitolini, problematic and slender as it is, unfavourably, not least because ancient sources consistently con-
tradict it and because the very name of Germans is absent from the literary tradition until the first century b. C. A sketch of the problem's history shows how the theory originated and prevailed in Italy.
BARBARA SCARDIGLI (Siena) The concept of Italy towards the end of the second century b. C. The ancient concept of Northern Italy before, as well as after the Roman conquest, corresponds to the modern one: the Alps have always represented its Northern frontier. Accordingly the migration of the Cimbri from the Brenner Pass to Vercelli and their defeat there in 101 b. C., rather than the battle of Aquae Sextiae (Aix en Provence) in 102
b. C., is to be considered as their first appearance in Italy. DIETER TIMPE (Würzburg)
The Cimbri: tradition and myth The arrival of the Cimbri in 101 b. C. is generally viewed as the first Germanic invasion of Italy and thus also as the beginning of a sustained trend of aggression on the part of the Germanic barbarians that was to characterise Rome's northern frontier for centuries to come.
This view, being based on Roman sources, may reflect the Roman interpretation of events but does not account satisfactorily for what actually happened. As a matter of fact we may glean from the external course of the Cimbric movement that original purpose was not to invade Italy but rather to become clients or mercenaries under a Celtic leader, which they ultimately achieved by reaching Gaul as allied mercenaries of the Sequani. They therefore came only accidentally into conflict with the Romans because the latter developed expansionist policies towards their Celtic neighbours in the course of the second century b. C. JERZY KOLENDO (Warszawa)
German slaves in Spartacus's revolt An enquiry concerning the origin, the numerical consistence and the role played by the German slave population of Italy in Spartacus's revolt. The frequent mention of ‘Galli’ and ‘Germani’ side by side in this context (Sallust, Livy ecc.) does not reflect a lack of distinction between the two groups on the part of the historians, but on the contrary indicates that the Germans are by this stage clearly perceived as a distinct entity. This is indirectly confirmed by Caesar's recollections fifteen years after the events. PIERGIUSEPPE SCARDIGLI (Firenze)
Veleda and the ‘Rhenopotai’ À linguistic analysis of the name Veleda is followed by an attempt of outline the personality of the prophetess bearing that name and her people, the Bructeri, through a critical evaluation of the relevant extant sources: particular attention is dedicated to the definition of the 'Germans' as ᾿Ρηνοπόται, a term which appears only in the well known and now lost inscription of Ardea. -IX-
X
Summaries
KLAus Rosen (Bonn) The invasion ofthe Marcomanni and the Quadi reconsidered An examination of the scarce literary evidence concerning the invasion of the Marcomanni and the Quadi during the reign of Marcus Aurelius aimed at throwing some light on a number of disputed points. The author dates the events to the year 167 A. D. and proposes a novel emendation of Ammianus Marcellinus 29, 6, 1, whereby the General C. Macrinius Avitus, rather than the
Emperor himself, would appear to have lead the first unsuccessful attempt to resist the invasion. MONICA AFFORTUNATI (Firenze)
German ambassadors in Italy from the second century b. C. to the second century A. D. The author collects and analyses sources concerning German diplomatic missions to Italy from the second century b. C. to the end of the second A. D., and considers the reasons behind the paucity and intractabily of the evidence for the period running from the third to the beginning of the fifth century. For the period of the Cimbric invasion there are strong suggestions for at least one mission to Rome and certainly more than one to Northern Italy. The Julio-Claudian period is the best documented: diplomatic relations, especially involving the Germanic populations in closer geographical contact with Italy, are frequent and of particular interest. Regular, though less substantial, diplomatic activity is attested also for the Flavian and the Antonine periods.
BARBARA SCARDIGLI Germans captives and hostages in Italy from Marius to Constantine German prisoners and hostages, both in Italy and in Rome, represent two quite distinct categories. The author evaluates the differences in status, both social and juridical, between these two categories, examines the nature of the relevant sources, and illu-
strates the opportunities that Roman people had to see and encounter German hostages and captives as well as, eventually, to gain ownership of the latter. There foliows a chronological analysis of the evidence for German captives from Marius to the Tetrarchy, and for German hostages from Augustus to Probus, from which it incidentally emerges that representatives of either category may have never reached Italy.
MICHAEL SPEIDEL (Honolulu) Germans in the Imperial guards of Rome This paper shows how many German bodyguards of the Roman Emperors are known and discusses something of their lives.
MARIA RADNOTI-ALFOLDI (Frankfurt/Main) The Plebs Urbana and the Germans: a more or less involuntary confrontation What did the *Roman in the street' know about the Germans? And what did he of them? The author seeks to characterise the average Roman citizen's awareness Germans and attemps to identify some of the channels through which his attitudes be shaped. The available evidence, though perhaps not as plentiful as one might
think of the could hope,
occasionally offers startling glimpses of popular Roman culture.
Opportunities for the Roman people to come across Germans in one shape or other were numerous: Germans are for instance frequently portrayed in texts and monuments
celebrating triumphs, as well as in coins celebrating victories. The Roman army had frequent opportunities to meet Germans, and not just on the battle-ground, while in Rome itself slaves and of course the Imperial bodyguards, as well as diplomatic missions and occasional visitors are a continuous German presence. On the other hand Roman
awareness, not to say positive interest in the Germans is
indicated by the occurrence of anecdotes and political jokes as well as, on a different level, everyday objects such as small bronze statuettes or clay cake moulds and, interestingly, the growing popularity of the "German hairstyle".
Summaries
XI
What was to become commonplace in the imperial residences in the provinces in Late Antiquity - the poet Ausonius took a young Alamannic girl, Bissula, into his house in Trier (Treviri) - could also happen in the capital.
MARIA GRAZIA GRANINO CECERE (Roma) Roman inscriptions relating to the Suebi A collection and examination of epigraphic documents relating to the Suebi that have either been found in Rome or for which a Roman origin can be safely hypothesised. To the first category belongs a small number of sepulchral inscriptions in which the Suebi are indicated as corporis custodes, equites singulares and praetoriani. To the latter should be counted the tombstone of Vitalis, a pretorian Suebus Necrensis. This tombstone has only
recently been edited and is preserved in the Archeological Museum of Fiesole. Although discovered in Fiesole, it can be confidently ascribed to a production centre in Rome on account of traits of its production technique and of its content. It is in fact one of many finds from Fiesole believed to originate from Rome.
LuiGI LORETO (Roma) The arrival of the Alamanni in Italy in 260 A. D.: invasion or incursion? An examination of the events leading to the arrival of the Alamanni in Italy in 260 A. D. indicates that they possessed neither clearly defined objectives nor a fully developed notion of military strategy. In view of this the author emphasizes the need to revise current assumptions and terminology concerning conflicts of this kind between Germans and Rome: the customary perception of the ‘Germanic invasion' as a carefully planned enterprise is to be challenged, while the term incursion, reflecting as it does more closely the nature of such events, is to
be preferred.
ARNALDO MARCONE (Parma) From containment to settlement: Germans in Italy from Julian to Theodosius the Great A Roman victory and a Gothic surrender, followed by a treaty which preserved the existing social order: a sequence of events matched on numerous occasions in the fourth century along the Rhine and the Danube: In all respects the relationship between Germans and Romans along their common boundarias was one of great complexity. The infiltration of the Alamanni into the Roman army, and hence into Roman society, was extensive. The treaty of 382, in many ways similar to the previous treaty of 332, confirmed the special relationship between the Romans and the Goths, but at the same time proved to be crucially innovations as it formally recognised for the first time the semiautonomous status of the Goths on what was otherwise directly governed Roman land. Formulated to fit the times in an attempt to provide a framework for coexistence, it failed
to improve the general state of profound tension. Religious differences were also a potential problem. MARCELLA FORLIN PATRUCCO (Parma)
Bishops and Germans in Northern Italy (fourth to fifth century A. D.) The settlement of an increasing number of Germans, particularly Goths, in Northern Italy in the fourth and fifth centuries raised a number of ethnical, cultural and religious issues for the local inhabitants. The resulting friction between the local population and the new settlers was a constant concern for the bishops of Northern Italy at the time, a fact which is frequently reflected in the writings of, along others, Ambrosius of Milan, Vigilius of Trento, Zeno of Verona, Chromathius
of Aquileia and Maximus
of Turin. The author examines the role
played by the bishops in solving numerous potential hurdles originating from the clash between the two cultures.
STEPHAN KRAUTSCHICK (Berlin) Ricimer, an Emperor-maker in Italy What is the rationale behind Ricimer's policies and what distinguishes him from other magistri militum of the fifth century? Ricimer's frantic appointment and deposition of
XII
Summaries
emperors ironically reflects a quest for a rule capable of creating stability within the Empire, and in particular of ensuring the safety of Italy. Ricimer's priorities thus emerge, surprisingly perhaps, to be in substantial agreement with the interests of the senatorial class. Neither the potential of this embryonic alliance, however, nor the acumen of Ricimer's political vision proved enough to thwart effectively the disintegrating forces at work within the Western Empire at the time.
Bruno LUISELLI (Roma) Contemporary reactions to the end of the Western Roman Empire Numismatic and literary sources consistently suggest that, pace Momigliano, the fall of the Western Empire did receive considerable attention from the contemporary world. Coins from the Visigothic, Burgundian and Vandalic reigns show unequivocally that Augustulus’s deposition was perceived by the rulers of those reigns as a clear sign of the end of the Western Empire. Numerous passages in the work of Sidonius Apollinaris reflect a deeply rooted foreboding of the impending end among Roman intellectuals in the years leading up to 476. Early and mid-sixth century sources indicate furthermore that questions like the significance and the causes of the fall of the Western Empire were the subject of much lively debate among contemporary intellectuals, both in the West and in the East.
MARIA CESA (Urbino) The reign of Odoacer: the first Germanic domination in Italy The experience of Odoacer, the first Germanic king in Italy, is analysed in its administrative aspects and, above all, as preparation to the reign of Theoderic. The collaboration between barbarians and Romans indicates that the local aristocracy needed a good administration in order to survive maintaining its prerogatives; it is not accidental therefore that
the most important Italians working with the usurpar Odoacer are seen later to continue their collaboration with the new king Theoderic. The events of 476 represent a particularly interesting instance of ethnogenesis in its formative stages, where the distinction between people and army is still clear-cut.
Germani in Italia prima dei Cimbri? LEANDRO POLVERINI *
1.1 Fasti triumphales registrano un trionfo “de Galleis Insubribus et Germ[an(eis)]" celebrato dal console M. Claudio Marcello per la vittoria di Clastidium (Casteggio) del 222 a. C.: M. Claudius M. f. M. n. Marcellus an. DXX[XI]
co(n)s(ul) de Galleis Insubribus et Germ[an(eis)] k. Mart. isque spolia opima rettullit] duce hostium Virdumaro ad Clastid[ium] [interfecto] (1).
In particolare, la notizia della vittoria sui Germani a Clastidium attesterebbe la loro presenza in Italia 120 anni prima dell’arrivo dei Cimbri (nel 102). Ma la notizia è attendibile? Alla sua attendibilità si oppongono, com’è noto, soprattutto due fatti. Il primo è costituito dalla tradizione storiografica che - unanime - conosce come alleati dei Galli Insubri i Gesati, provenienti dalla Gallia Transalpina. Tale tradizione comincia per noi con uno storico del valore di Polibio, che scriveva il II libro prima
del 150 (2) (mentre
dei Fasti
triumphales conosciamo la redazione di età augustea, incisa fra il 19 e 111 a. C.) (9) e nei capitoli (22-35) dedicati alle vicende militari degli anni 225-222 dipende quasi sicuramente
* Ordinario di Storia romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia della III Università di Roma. I suoi contributi riguardano l'età del passaggio dalla repubblica al principato, vari aspetti del principato e della “crisi del III secolo”. Si è occupato, inoltre, di storia locale dell’Italia romana (Firmum Picenum), di storiografia antica (Historia Augusta) e di storiografia moderna sul mondo antico. (1) Inscriptiones Italiae, XIII 1 (Fasti consulares et triumphales, cur. A. Degrassi, Roma 1947), p. 79. Il trionfo fu celebrato il 1° marzo dell'anno 221, parzialmente corrispondente all'anno 531 di Roma, secondo l’èra capitolina (usata nei Fasti: A. E. Samuel, Greek and Roman Chronology, München 1972, p. 252). Poiché l'anno di Roma veniva fatto coincidere con l'anno consolare, il 531 dell'éra capitolina (2532 dell'éra varroniana) corrisponde in effetti a] periodo 15 marzo 222-14 marzo 221 (F. K. Ginzel, Handbuch der mathematischen und technischen Chronologie, II, Leipzig 1911, pp. 260-268, in particolare 262 e 265), è quindi l'anno cosi della battaglia come del trionfo. (Ὁ K. Ziegler, s. v. Polybios, in: RE XXI 2 (1952), coll. 1485-89. (3) Il 19 è l'anno dell'ultimo trionfo registrato nei Fasti, l'11 quello dell’ovatio di Nerone Druso: v. Degrassi, Inscr. It. XIII 1, p. 20. - Successivamente, Degrassi ritenne di poter affermare che i Fasti triumphales erano stati incisi "inter d. 27 Mart. a. 19... et d. 25 Iun. a. 17" (Fasti Capitolini, Aug. Taurinorum 1954, p. 16). Se è vero che l'ipotesi archeologica su cui Degrassi (Inscriptiones Italiae, in: Actes du 115 Congrès international d'épigraphie grecque et latine, Paris 1953, pp. 94-105, in particolare 97-99) fondava la nuova, più ristretta datazione è oggi generalmente abbandonata (v. E. Nedergaard, s. v. Arcus
-1-
2
Leandro Polverini
da Fabio aiuto dei e le Alpi zione più ha tratto Di sicura
Pittore (*). In questi capitoli Polibio fa spesso riferimento ai Gesati, accorsi in Galli Padani nel 225 e nel 222, e sa che essi erano Galli abitanti la valle del Rodano (5). Che i Gesati fossero Galli è detto anche da Plutarco, al quale si deve la descriampia della battaglia di Clastidium e del trionfo di Marcello (6), e da Orosio, che dalla sua fonte la più precisa connotazione dei Gesati come mercenari gallici (7). origine celtica è, del resto, il vocabolo gaesum (“giavellotto”), da cui i Gesati deri-
vavano il loro nome (3).
Il nome giunta senza
secondo fatto che si oppone all'attendibilità della notizia in esame è costituito dal stesso dei Germani, attestato letterariamente solo dal I sec. a. C. (9). Alla forza condei due argomenti si deve, appunto, che fra Otto e Novecento la notizia della predei Germani a Clastidium venisse normalmente rifiutata. Ricordo solo, dei più auto-
Augusti, in: Lexicon topographicum urbis Romae, I, Roma 1993, pp. 80-85), resta la fondata possibilità che i Fasti triumphales fossero incisi sull'arco decretato in onore di Augusto nel 19 e inaugurato fra il 18 e il 17 (così F. Coarelli, 11 Foro Romano, II, Roma 1985, pp. 258-308, in particolare 306 sg.): negli stessi anni, dunque, sarebbero stati incisi i Fasti. Ma l'opinione tradizionale — che essi fossero incisi sulle pareti della Regia
- è riproposta ora da Chr. J. Simpson, The Original Site of the Fasti Capitolini, in: Historia 42 (1993), pp. 61-81. (4) Vedi spec. P. Pédech nella sua edizione del II libro (Polybe. Histoires, II, Paris 1970), p. 19 sg. Fabio Pittore aveva preso parte alla campagna del 225 (Eutr. III,5; Oros. IV,13,6). (5) Polyb. II,22,1: “τοὺς κατὰ τὰς “AXmets καὶ περὶ τὸν ‘Posavòv ποταμὸν κατοικοῦντας Γαλάτας, προσαγορευμένους δὲ διὰ τὸ μισθοῦ στρατεύειν Farodrovs” (cfr. 28,3: “τοὺς μὲν ἐκ τῶν ΓΑλπεων Farodtovs”; 84,2: “τῶν περὶ τὸν 'Ροδανὸν Γαισάτωιν Γαλατῶν", III,48,6: “τοὺς Κελτοὺς τοὺς παρὰ τὸν “Ῥοδανὸν ποταμὸν οἰκοῦντας", con evidente riferimento ai Gesati). I Gesati sono indicati da Polibio come Γαισάται Γαλάται (11,23,1 e 34,2) o, senz'altro, Γαλάται (0 Κελτοί); ed è significativo il ricordo delle antiche imprese dei Galli in Italia con il quale gli ambasciatori degli Insubri e dei Boi avrebbero suscitato l'entusiasmo dei Gesati e ottenuto il loro aiuto (11,22,3-6). (δ) Plut., Marc. 6-8. Sui Gesati v. spec. 3,1 (Γαλατῶν τοὺς μισθοῦ στρατευομένους, di Γαισάται καλοῦνται e 7,1 (ὁ τῶν Γαλατῶν βασιλεὺς... ἀνὴρ μέγεθει... σώματος ἔξυχος Talarar”). (^) Oros. IV,13,5: “cum etiam ex ulteriore Gallia ingens adventare exercitus nuntiaretur, maxime Gaesatorum, quod nomen non gentis sed mercennariorum Gallorum est”. È tanto più probabile che fonte di Orosio sia — attraverso Livio - Fabio Pittore (fr. 23 Peter), in quanto la stessa connotazione dei Gesati si trova in Polyb. II,22,1 (e in Plut., Marc. 3,1: i due passi sono riportati nelle note 5 e 6). - Sulla “continuità di relazioni fra le popolazioni galliche della valle padana e quelle al di là delle Alpi, spesso sollecitate ad intervenire in aiuto dei confratelli stanziati in Italia", e sul “mercenariato gallico... che rappresentò un aspetto peculiare di quelle relazioni, e che non cessó se non con la conquista romana dell'egemonia nella Gallia Cisalpina”, v. E. Gabba, / rapporti politici dei Galli con gli altri popoli dell'Italia antica, in: Rapporti linguistici e culturali tra i popoli dell'Italia antica, a cura di E. Campanile, Pisa 1991, pp. 149-155, in particolare 149 (e la bibliografia citata ivi, nota 2). (8) A. Walde-J. B. Hoffmann, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, 14, Heidelberg 1965, p. 575 sg. È, dunque, solo parzialmente corretta l’etimologia di Γαισάται formulata da Polibio (I1,22,1: v. nota 5). (9) Vedi L. Polverini, Cesare e il nome dei Germani, in: La cultura in Cesare, a cura di D. Poli, Roma 1993, pp. 105-122, in particolare 110-112. - Prima del De bello Gallico, pubblicato alla metà del secolo, non è certo che il nome dei Germani comparisse nell'opera storica di Posidonio: nel fr. 22 Jacoby (=73 EdelsteinKidd=188 Theiler) Γερμανοί potrebbe essere stato introdotto in luogo di un etnico specifico da Ateneo, che ha trasmesso il frammento; del resto, la pubblicazione dell'opera storica di Posidonio non dovrebbe precedere di molto quella del De bello Gallico (F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, I1 C, Berlin 1926, p. 155; J. Malitz, Die Historien des Poseidonios, München 1983, p. 32, ritiene anzi pià probabile "die Vermutung, das Werk sei nicht vollendet gewesen": Posidonio non avrebbe, cioè, né concluso né pubblicato la sua opera storica). Quanto alle notizie di Sallustio (Hist. III fr. 96 Maurenbrecher) e Livio (per. 97) relative a Germani nel bellum servile degli anni 13-71, esse costituiscono attestazione incontroversa del nome dei Germani solo per gli anni in cui i due autori scrivevano; anche se il nome fosse stato già nella fonte di Sallustio e Livio, si resterebbe pur sempre ben dentro il I secolo a. C. E nel I secolo si resta con Valerio Anziate, se la caratteristica espressione "Gallorum Germanorum gentes" del fr. 63 Peter (-Oros. V,16,1) -
Germani in Italia prima dei Cimbri?
3
revoli studiosi accomunati da questa posizione, Mommsen, Müllenhoff, Kossinna, Hirschfeld, Bauer e - in Italia - De Sanctis. Mommsen, che nella prima edizione della
Römische Geschichte propendeva a ritenere autentico — cioè risalente al testo originario dei Fasti triumphales — il nome Germani della redazione capitolina (il nome avrebbe, peraltro, indicato una popolazione celtica) (10), già nella seconda edizione rivela la sua preferenza per l’ipotesi che fosse stata la speculazione storica di età cesariana ed augustea a trasformare i Gesati in Germani (!!). La convinzione che il nome Germani non risalisse al testo originario dei Fasti triumphales è condivisa da Mullenhoff, Kossinna e Hirschfeld, che attribuivano la trasformazione dei Gesati in Germani rispettivamente all’annalistica di età sillana (!2), al Liber annalis di Attico (!3), al redattore dei Fasti triumphales capitolini (14). Così anche De Sanctis, per il quale “è fondato il sospetto che il termine Germani sia stato sostituito forse in buona fede al semiignoto Gaesatae da chi diresse a tempo di Augusto la incisione dei Fasti trionfali” (15). 2. La prima parte del III volume della Storia dei Romani usciva nel 1916, nel pieno della Grande Guerra, le cui tragiche vicende non mancavano in effetti di riflettersi già nella Prefazione del volume. Ma il peggio doveva ancora venire. E sarebbe arrivato l’anno seguente, in particolare — per quanto riguarda l'Italia — con la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), che portò alle estreme conseguenze il nazionalismo esasperato fomentato dalla guerra. Nel fascicolo della *Nuova Antologia" datato 1? febbraio 1918 Ettore Pais pubblicava un breve articolo: Il più antico trionfo romano sui Germani (19). Data e titolo dell'articolo non lasciano dubbi sulla genesi di questo scritto di attualità, sui motivi che avevano indotto Pais ad anticipare tempestivamente un risultato della sua edizione dei Fasti triumphales pubblicata due anni più tardi (17). Nell'articolo del 1918 Pais accusava “la critica storica alemanna” di aver “travisato il racconto della tradizione" e “cercato [di]
relative alla battaglia di Arausio (Orange) del 105 -- è davvero sua (così ora Br. Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, Roma 1992, p. 173 e nota 13; ma poiché Orosio dipende direttamente da Livio [cfr. per. 61], l'attribuzione del termine Germani all'Anziate è quanto meno problematica). (10) Th. Mommsen, Römische Geschichte, I, Berlin 1854, p. 373 nota. (11) I?, 1856, p. 529 nota (sostanzialmente immutata nelle successive edizioni: v. I?, 1902, p. 555 nota). (12) K. Müllenhoff, Deutsche Altertumskunde, II, Berlin 1887, p. 194 sg. (13) G. Kossinna, Der Ursprung des Germanennames, in: Beiträge zur Geschichte der deutschen Sprache und Literatur 20 (1985), pp. 258-301, in particolare 293 sg. (14) O. Hirschfeld, Der Name Germani bei Tacitus und sein Aufkommen bei den Rómern, in: Festschrift für H. Kiepert, Berlin 1898, pp. 259-274 (poi in O. H., Kleine Schriften, Berlin 1913, pp. 353-368), in particolare 271-273 (2365-368) e spec. 272 (2367). - La posizione di Hirschfeld sul nome Germani nei
Fasti triumphales era fatta propria da Ed. Norden, Germani, in: Sitzungsberichte der preussischen Akademie der Wissenschaften, 1918, pp. 25-138, in particolare 100 nota 1 (cfr. 132 nota 1).
(15) G. De Sanctis, Storia dei Romani, III 1, Torino 1916, p. 318 nota 129 (=III? 1, Firenze 1967, p. 309 nota 129). Ad un errore forse involontario pensava anche A. Bauer, Die Herkunft der Bastarnen, in: Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften in Wien, Phil.-hist. Kl., 185 (1918), 2, in particolare pp. 20-22 (v. spec. 21: "Der unabsichtliche oder absichtliche Irrtum des Radaktors der Triumphallisten").
(16) In: Nuova Antologia 227 (1918), pp. 268-275. (17) E. Pais, Fasti triumphales populi Romani, Roma 1920, in particolare pp. 12 (testo del trionfo sui Germani), 116-119 (commento storico) e spec. 401-416 (Appendice VI: Il primo trionfo romano sui Germani). Sostanzialmente immutata la seconda edizione: 1 Fasti trionfali del popolo romano, Torino 1930, pp. 179 (testo del trionfo sui Germani) e 290-292 (commento storico; non fu pubblicato il secondo tomo, che avrebbe contenuto le appendici).
4
Leandro Polverini
distruggere il ricordo della più antica vittoria che sui Germani fu conseguita da Roma” (15); in particolare, prendeva di mira Hirschfeld (19), non senza un preciso (anche se anonimo) riferimento polemico “ad eruditi italiani asserviti alla critica tedesca” (2°). La certezza di Pais sulla notizia tramandata dai Fasti triumphales è anche la sua fede nei destini della Patria: “Il valore delle legioni romane guidate da Marcello prostrò le orde selvaggie dei più antichi Germani; il valore dell’esercito italiano saprà pure respingere quelle dei Tedeschi, che penetrati per la via obliqua del tradimento calpestano oggi la nobile pianura della Venezia” (21). Allo stesso risultato giungeva qualche anno dopo, indipendentemente da Pais (anzi, per opposta via), il nazionalismo tedesco di Rudolf Much. Se nella voce Germani per la Realencyclopädie, apparsa nel 1918, Much faceva sua la tesi di Hirschfeld quanto al nome Germani nei Fasti triumphales (2), e se tale tesi era da Much sostanzialmente riasserita in un articolo del 1920 (2), la sua posizione in proposito appare radicalmente diversa cinque anni più tardi. In un ampio studio dal titolo (significativo, vedremo, anzi programmatico) Der Eintritt der Germanen in die Weltgeschichte (4) Much recuperava lopposta tesi, che
(18) La citazione è a p. 268 (cfr. p. 416 dell'Appendice del 1920, sulle “prevenzioni nazionali dei critici Tedeschi, che hanno mirato ad invalidare il ricordo della più antica vittoria romana sui loro antenati”). (19) Era l’ultimo degli studiosi tedeschi che si fosse occupato a fondo del problema (v. la precedente nota 14): l'edizione dello scritto di Hirschfeld apparsa nel 1913 era, peraltro, sostanzialmente immutata rispetto a quella del 1898. (20) La citazione è a p. 274: il riferimento a De Sanctis (v. la precedente nota 15) è esplicito nell'Appendice del 1920, p. 413 nota 3. (21) La caratteristica conclusione dell'articolo del 1918 (p. 275) è omessa, ovviamente, nell'Appendice del 1920, dove resta peraltro immutata la sostanza nazionalistica della tesi (sommariamente riproposta in uno degli ultimi scritti di Pais: Le più antiche relazioni fra Romani e Germani, in: E. P., Roma dall’antico al nuovo impero, Milano 1938 [-1939?], pp. 235-241, in particolare 237 sg. e 241). — Al nazionalismo italiano di Pais fece eco il nazionalismo francese di Jéróme Carcopino che, indotto ad esaminare il problema dall'edizione dei Fasti triumphales del 1920 (A propos du nom des Germani, in: Revue celtique 38 [1920-21], pp. 319331), perveniva a questa significativa conclusione: “À la date où les Fastes nous parlent des Germani, la langue des Celtes les avait déjà nommés; et nous ne pouvons récuser ce témoignage... pour cette seule raison que, s'il vieillit de prés de deux siècles l'entrée des “Germains” dans l’histoire..., il les y introduit à la solde des Gaulois et en posture de vaincus" (ivi, p. 331). La posizione nazionalistica di Carcopino si riconosce, forse, in quella di André Piganiol: non nel 1927 (La conquéte romaine, Paris 1927, pp. 166 sg.: "Ce nom des Germains est probablement une glose érudite du savant qui rédigea, au temps d'Auguste, les Fastes sur les murs de la Regia...", ma - comprensibilmente - nel 1939 (Histoire de Rome, Paris 1939 [219625], p. 83: “les Romains ont donné à ces nouveaux venus [i Gesati] le nom des Germains”; cfr. La conquéte romaine, 19675, p. 230 sg.). Vedi invece F. Lot, Les invasions germaniques, Paris 1935, p. 22: “... le second nom est celui de Gaesates..., confondus peut-étre intentionellement avec les Germains par le rédacteur de l'inscription. Quant à dire que ces Gaesates... étaient des Germains, c'est enoncer une proposition indémontrable" (con la netta distinzione dei due problemi - onomastico ed etnico -, su cui si torna più avanti). (2) R. Much, s. v. Germani, in: RE S. III (1918), col. 546: “Denn in die kapitolinischen Triumphallisten... sind G. erst durch die Redaktion vom J. 12 v. Chr. gekommen". (3) Der Name Germani, in: Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften in Wien, Phil.-hist. Kl.,
195, 2 (1920), in particolare p. 15 sg. (1920 è appunto la data di pubblicazione dell'Abh. 2; la data del vol. 195
è 1923). (#4) Nel volume Germanistische Forschungen (Festschrift anlässlich des 60semestrigen Stiftungsfestes des
Wiener Akademischen
Germanistenvereins),
Wien
1925, pp. 7-66, in particolare 24-66, per quan-
to riguarda la questione dei Gesati. Questo studio di Much (che mutuava il titolo dal cap. VI del libro di H. St. Chamberlain, Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts, München 1899: v. L. Canfora, La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Napoli 1978, p. 32 nota 35) resta fondamentale per l'esaustiva analisi della sconfinata bibliografia precedente e dei non molti dati documentari (che prenderemo in esame più avanti).
Germani in Italia prima dei Cimbri?
5
con giovanile animosità aveva sostenuto nel 1892 (25), e abbandonato dopo le stringenti critiche di Kossinna (2%). Ora, nel 1925, Much riformulava appunto la tesi che i Gesati di Polibio sono i Germani dei Fasti triumphales. Non solo. L'autore si dichiara convinto che i Gesati/Germani sopravvissuti alla battaglia di Clastidium entrarono, quattro anni dopo, come mercenari nell’esercito di Annibale, contribuendo così alle vittorie puniche del Trasimeno e di Canne (??). Ma già quel che è effettivamente attestato (“was wirklich bezeugt ist”: la presenza dei Germani a Clastidium) è “beachtenswert genug”, perché sposta indietro di oltre un secolo prima dell’età dei Cimbri gli inizi della storia tedesca: “Denn es berechtigt uns, die Anfänge deutscher Geschichte über die Kimberzeit um mehr als ein
Jahrhundert zurückzuversetzen" (3), Le critiche non si fecero attendere. Ricordo, in successione cronologica, quelle di Ludwig Schmidt e Felix Stähelin (?), di Hermann Jacobsohn (3) e - dopo un intervento in propria difesa di Much (81) - di Schmidt (ancora) e di Richard Heuberg (?). A favore della posizione di Much, la quale aveva intanto trovato espressione più sobria ma più largamente efficace nel suo notissimo commento alla Germania di Tacito (33), conosco solo l'intervento
di un suo allievo in un volumetto dichiaratamente divulgativo, apparso alla vigilia della guerra (59). Non sorprende, insomma, che dopo la guerra (i riferimenti all'uno e all'altro dei due conflitti mondiali non sono mere indicazioni cronologiche) la questione sembri ormai chiusa in Germania e, in genere, nei paesi di lingua tedesca (39).
(35) R. Much, Deutsche Stammsitze, Halle 1892, pp. 174-178 (Die Germanen am Niederrhein, in: Beiträge zur Geschichte der deutschen Sprache und Literatur 17 [1898], pp. 137-177, in particolare 174-177: la pubblicazione del 1892 é un Sonderabdruck anticipato, con altro titolo ma stessa impaginazione, dell'articolo del 1893). (25) Kossinna, Der Ursprung des Germanennamens, pp. 289-294 (seguito da Hirschfeld, Der Name Germani bei Tacitus, p. 271 nota 2 [2365 nota 41). Solo nel 1925, appunto, la replica di Much, Der Eintritt der Germanen in die Weltgeschichte, p. 32. (27) “Ich glaube, es ist so gut wie sicher, daß dem Heere Hannibals auch Gaesaten sich anschlossen, und daß also in den späteren Kämpfen am Trasimenus und bei Cannae Gaesaten, d. i. Germanen, auf seiner Seite mitfochten” (così a p. 66, da dove sono tratte anche le citazioni che seguono nel testo). (23) A differenza degli studiosi con cui polemizzava Carcopino (v. la precedente nota 21), Much riteneva dunque che la “Zurückversetzung” degli inizi della storia "tedesca" contasse ben più del modo inglorioso in cui sarebbe avvenuto a Clastidium l’ingresso dei Germani nella storia (ai Gesati/Germani veniva, del resto, assicurata una pronta rivincita nelle file di Annibale). (29) L. Schmidt, Germanen als Untertanen des Perserkönigs Darius?, in: Philologische Wochenschrift 47 (1927), coll. 174-176, in particolare 175; F. Stähelin, Die Schweiz in römischer Zeit, Basel 1927, p. 26 sg. e
nota 2 (cfr. 1948*, p. 33 e nota 1). (39) H. Jacobsohn, Altgermanisches, in: Zeitschrift für deutsches Altertum 66 (1929), pp. 217-246, in particolare 219-221. Q1) R. Much, Die Gaesaten, in: Zeitschrift für deutsches Altertum 69 (1932), pp. 17-46, in particolare 17-
24 (risposta a Stähelin e Jacobsohn). (€) L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stàmme. Die Ostgermanen, München 1984?, p. 40 sg.; R. Heuberg, Die Gaesaten, in: Klio 31 (1938), pp. 60-80. (33) R. Much, Die Germania des Tacitus, Heidelberg 1937, pp. 42 e 89 (cfr. 19673, pp. 70 — con la significativa presa di posizione del curatore della terza edizione - e 137). (34) S. Gutenbrunner, Germanische Frühzeit in den Berichten der Antike, Halle 1939, pp. 82-86. (33) Vedi per esempio G. Walser, Zur Bevölkerungsgeschichte des Wallis im Altertum, in: Schweizer Beitrüge zur allgemeinen Geschichte 12 (1954), pp. 195-208 (cfr. Id., Caesar und die Germanen, Wiesbaden 1956, pp. 37 nota 7 e 89 nota 2); E. Schwarz, Germanische Stammeskunde, Heidelberg 1956, pp. 45-47 (cfr. W. Lange, in: Much, Die Germania des Tacitus, 1967?, p. 70); H. Bengtson, Grundriß der römischen Geschichte, München 1967, p. 89 nota 2 (219825, p. 96 nota 19): “Nach den Triumphalfasten... triumphierte Marcellus de Galleis Insubribus et Germ[an(eis)]. Mit den letzteren sind die Gaesaten gemeint, die aber
6
Leandro Polverini
3. La stessa sorte sarebbe sicuramente toccata in Italia alla posizione di Pais, se - a brevissima distanza dalla fine della guerra — non fosse apparsa la splendida edizione dei Fasti triumphales di Attilio Degrassi (95), che nel commento al trionfo del 1° marzo 221 faceva propria la tesi di Pais e di Much (57). Per quanto riguarda lo specifico problema, il commento di Degrassi rifletteva ovviamente la temperie storiografica degli anni in cui egli attendeva alla sua edizione (33). Ma l'autorità di cui l'edizione stessa ha poi (giustamente) goduto si è, per così dire, riflessa sulla tesi di Pais e di Much che - nota ormai dalla sintetica formulazione datane da Degrassi - ha trovato in Italia accoglienza pressoché generale. L'edizione di Degrassi è del 1947. Nel 1952, Luigi Pareti (che, si noti, nel 1925 aveva dedicato un ampio studio alla battaglia di Telamone senza neppure un cenno al problema etnico dei Gesati, pur enfatizzato da Pais pochi anni prima) (39) accettava ora come un ovvio
dato di fatto “la provenienza dalla Germania di gran parte di quei Gesati” (4°). Nel 1953, Plinio Fraccaro fondava anche sui “Germani” di Clastidium, cioè sull'autorità dell'edizione (o meglio, del commento) di Degrassi, la sua preferenza per il supplemento “Forum Germa(norum)" nelle iscrizioni CIL V 7832 e 7886 (43). Nel 1956, Santo Mazzarino introdu-
ceva a favore dell’autenticità del nome Germani nei Fasti triumphales un nuovo argomento, tanto seducente quanto (si vedrà) poco conclusivo (f). Ad argomenti non nuovi, ma sviluppati ed organizzati in una prospettiva sistematica, faceva ricorso nel 1979 Giuseppe Zecchini, per concludere nello stesso senso (43). Fatta propria da autorevoli studiosi in
keine Germanen gewesen sind”. (Sul significato della Germanenforschung negli anni fra le due guerre KI. v. See, Kulturkritik und Germanenforschung zwischen den Weltkriegen, in: Historische Zeitschrift 245 [1987], pp. 345-362). - Anche in Francia sembra ormai esaurita l'efficacia della posizione di Carcopino (v. la precedente nota 21): É. Demougeot, La formation de l'Europe et les invasions barbares, I (Des origines germaniques à l’avenement de Dioclétien), Paris 1969, p. 54 sg. e nota 65.
(36) E l'edizione (del 1947) citata nella nota 1. (37) Vedi p. 550: "Recte autem Pais... et Much... contenderunt Gaesatos... suo vero nomine Germanos appellatos esse". (38) Le pagine proemiali sono datate “Romae, mense Novembri 1942": il vol. XIII delle Inscriptiones Italiae era stato progettato nell'ottobre 1934, in vista del bimillenario augusteo del 1937-38 (ma solo il fasc. 3 del volume -- Elogia - poté essere pubblicato nel 1937). (39) L. Pareti, Contributo per la storia della spedizione gallica del 225 av. Cr. in Etruria e della battaglia di Telamone, in: Maremma 1 (1924), pp. 1-25; a p. 4 si parla di "genti della Transalpina, i Gesati, i quali vennero attraverso le Alpi". (10) L. Pareti, Storia di Roma e del mondo romano, II, Torino 1952, p. 260. (41) P. Fraccaro, Un episodio delle agitazioni agrarie dei Gracchi, in: Studies Presented to D. M. Robinson, II, St. Louis (Miss.) 1953, pp. 884-982 (poi in: P. F., Opuscula, II, Pavia 1957, pp. 77-86), in particolare 890 (283): “Riterrei perciò preferibile l'altro supplemento Germa(norun), e ricordo i Germani dei fasti trionfali del 222..." (con la relativa nota 26: “Sull’autenticitä di questo nome nei fasti vd. ora Degrassi, I.I, XIII, 1, p. 550"). Fraccaro citava in proposito anche il toponimo Val Germanasca, ricordava peraltro (ivi, nota 27) che “un nome Germani ricorre anche in Ispagna e sembra Iberico”. (42) S. Mazzarino, La più antica menzione dei Germani, in: Studi classici e orientali 6 (1956), pp. 76-81 (poi in Id., Antico, tardoantico ed èra costantiniana, II, Bari 1980, pp. 119-131: questa seconda versione è notevolmente più estesa); v. spec. 1980, p. 131: “Poiché non abbiamo ragioni per ritenere falsa l'indicazione Germ[an(eis)], nei cd. Fasti Trionfali, all'anno 222 a. C., è lecito considerare come un ramo di questo popolo {i Germera: v. più avanti] quei Germani, che nel 222 a. C. combatterono al fianco dei Galli Insubri e furono vinti da Marcello". Cfr. Id., /! pensiero storico classico, Il 1, Bari 1966, p. 101. (9) G. Zecchini, La più antica testimonianza del nome dei Germani nel mondo classico, in: Conoscenze etniche e rapporti di convivenza nell’antichità, a cura di M. Sordi, Milano 1979, pp. 65-78; v. spec. 75 sg.: “In conclusione: la notizia dei Fasti sulla presenza dei Germani a Clastidio non è isolata...; questa presenza è d’altra parte possibile e per nulla assurda...; di questo popolo i Romani colsero e fissarono nei Fasti solo la novità del nome senza alcuna implicazione etnologica...”.
Germani in Italia prima dei Cimbri?
7
opere di grande sintesi e conseguente notorietà (*5), la tesi che gli alleati dei Galli Insubri a Clastidium fossero Germani sembra ormai costituire la communis opinio (49). L'ovvio confronto con l'esito diametralmente opposto che lo stesso problema storico ha avuto nella storiografia tedesca (e francese) (*6) sottolinea la singolarità della communis opinio italiana, e basterebbe a sollecitare una verifica della sua attendibilità. Questa s'impone, ad ogni modo, in un'opera sui Germani in Italia pubblicata in Italia (per un pubblico di lettori — si può prevedere -- soprattutto italiani). Si prendono, dunque, in esame gli argomenti portati a sostegno della notizia dei Fasti triumphales da quelli degli studiosi italiani citati che hanno esposto le ragioni del loro convincimento. 4. A questo riguardo, Degrassi si limita — in sostanza -- a ricordare la sola altra fonte che in parte almeno conferma la notizia dei Fasti triumphales: i noti versi di Properzio (IV 10,39-42), che converrà riportare dalla più recente edizione (47): Claudius a Rheno traiectos arcuit hostes
Belgica cui vasti parma relata ducis: Virdomari; genus hic Rheno iactabat ab ipso,
mobilis e recti fundere gaesa rotis.
I gaesa cui fa riferimento l'ultimo verso citato assicurano che anche per Properzio i nemici sconfitti da M. Claudio Marcello sono i Gesati, provenienti peró da oltre il Reno, e il loro capo è messo in esplicita relazione con la Belgica (con la parte della Gallia, cioè, i cui abitanti - aveva insegnato Cesare - erano per la maggior parte di origine germanica). Ma i versi di Properzio costituiscono davvero, per quanto ora interessa, fonte indipendente dai Fasti triumphales? Questi furono incisi fra il 19 e 111 a. C. (55), l'elegia IV 10 di Properzio sembra essere successiva al 16 (49): i versi di Properzio potrebbero dunque dipendere dai Fasti Stessi o, comunque, dalla temperie propagandistica che indubbiamente anima la notizia dei
(44) L. Cracco Ruggini, / barbari in Italia nei secoli dell'impero, in: Magistra barbaritas. I barbari in Italia, Milano 1984, pp. 3-51, in particolare 7 sg. (spec. 7: “A torto vi è chi rifiuta l'autenticità dei Fasti Trionfali capitolini, là dove questi registrano al 222 a. C. il trionfo di Marco Claudio Marcello de Galleis Insubribus et Germ[an(eis)]...”, E. Gabba, La conquista della Gallia cisalpina, in: Storia di Roma, diretta da A. Schiavone, II 1, Torino 1990, pp. 69-77, in particolare 70: “... i Boi e gli Insubri, ottenuto l'appoggio dei transalpini Gesati (in realtà contingenti assoldati di origine germanica)... ". (45) Ma v. L. Braccesi, Epigrafia e storiografia, Napoli 1981, pp. 46-52, e Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, pp. 196-199. (46) Vedi sopra, p. 5 e nota 35. - Che il problema in esame sia intrinsecamente connesso, per quanto almeno riguarda la sua genesi (in Germania da una parte, in Italia e Francia dall’altra), con motivazioni poli-
tiche di ordine nazionalistico, trova conferma indiretta nell’assenza di tale problema nella storiografia di lingua inglese. È significativo, in questo senso, il silenzio della Cambridge Ancient History, così nella prima come nella seconda edizione: v. T. Frank, The Gallic Peril, in: CAH VII (1928), pp. 808-815 (per esempio 814: "The Gauls had in the meanwhile secured the aid of 30,000 Gaesati from the valley of the Rhóne" e “the Gallic chieftain, Virdumarus"), e E. S. Staveley, The Northern Frontier: Rome and the Gauls, in: CAH VII? 2 (1989), pp. 431-436 (per esempio 434 e 435: "This massive army... buttressed by a contingent of Gaesati from the Rhone valley"; "the Gauls, recently reinforced by 30,000 of the transalpine Gaesati").
(47) Quella di P. Fedeli (Stutgardiae 1984). (48) Vedi la precedente nota 3.
(99) La cronologia del IV libro delle Elegie di Properzio è discussa: secondo P. Fedeli (Properzio. Elegie. Libro IV, Bari 1965, p. xxx), IV 11 e 1 sono del 16 a. C., “in seguito sono state scritte le altre etiologiche"
(fra cui, appunto, IV 10).
8
Leandro Polverini
Fasti relativa al trionfo sui Germani (9). Ci si chiede, allora, se l'indicazione della prove-
nienza di Virdumaro dalla Belgica non possa tus, che intendeva così combinare l'unanime dalla Gallia (51) e la volontà propagandistica aver mostrato la fragilità del sostegno che
essere il raffinato escamotage di un poeta doctradizione storiografica sui Gesati provenienti di farne dei Germani. Basti qui, ad ogni modo, in Properzio si è cercato alla notizia dei Fasti
triumphales (83).
Un argomento finalmente nuovo (ai versi di Properzio non ha mancato di far riferimento chiunque abbia preso in esame la questione) (9) è quello introdotto nel 1956 da Santo Mazzarino. Il punto di partenza è costituito da un lemma di Stefano Bizantino relativo ai l'épuapa, “popolo della Celtica che non vede di giorno" (55), nel quale Mazzarino riconosce un frammento di “un’edizione perduta... e all’incirca attribuibile al 2° sec. a. C." (55) della raccolta paradossografica pseudoaristotelica De mirabilibus auscultationibus. I Γέρμερα (la variante preferita da Mazzarino nella seconda edizione del suo saggio) altri non sarebbero che i Germani, il cui nome risulterebbe dunque già noto ai Greci nel II sec. a. C., anzi nel III (55). Il ragionamento di Mazzarino è, naturalmente, molto più dotto e sottile di quanto possa apparire dal riassunto che se ne è fatto, ed è un ragionamento - al solito — genialmente ardito, ma tanto meno convincente per la complicatissima stratigrafia cronologica dell'operetta pseudoaristotelica, così come ci è pervenuta (5). Ad una citazione esplicita dei Γερμανοί nel cap. 168 della stessa opera fa riferimento Giuseppe Zecchini, in appendice al citato scritto del 1979. Ma, poiché i capp. 152-178
(99) Come mostra già l'ampiezza dello spazio concesso, nei Fasti, al trionfo del 1° marzo 221 (cinque linee: sono normalmente due - in pochi casi tre, due sole volte quattro - le linee concesse agli altri trionfi), nonché la sua collocazione vistosa alla fine di una parasta. - In generale, la tesi della falsificazione propagandistica operata dai Fasti e da Properzio è ben argomentata da Braccesi, Epigrafia e storiografia, pp. 46-52 e note 12-15 (per quanto riguarda Properzio, Braccesi propende “per una diretta dipendenza di Properzio dai Fasti triumphales": ivi, p. 50; è evidente la forza che l'ipotesi guadagna, se i Fasti triumphales furono incisi fra il 19 e il 17: v. la precedente nota 3). (51) Secondo Polibio (11,22,1), i Gesati abitavano “κατὰ τὰς Ἴλλπεις kai περὶ τὸν Podavor morapow”, Il riferimento alle Alpi viene inteso perlopiù come specificazione di quale parte della valle del Rodano abitassero i Gesati: l'odierno Vallese; e, se può essere casuale che l’unica occorrenza di gaesum nel De bello Gallico (111,4,1) si riferisca proprio a questa regione, è forse significativa la presenza di Raetí Gaesati nella documentazione epigrafica (M. Ihm, s. v. Gaesati, in: RE VII 1 [1910], col. 443; Stáhelin, Die Schweiz in römischer Zeit?, spec. p. 251 sg.: si ricorda che Augusto aveva annesso il Vallese - Vallis Poenina - alla provincia di Rezia). Ma Walser, Zur Bevölkerungsgeschichte des Wallis im Altertum, p. 201 sg., ha raccolto forti motivi contro la provenienza dei Gesati dal Vallese: tanto più la loro provenienza dalla valle del Rodano
li salderebbe al cuore del territorio celtico. (52) Properzio, del resto, non fa riferimento esplicito ai Germani (e nemmeno implicito -- argomenta ora Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, p. 197 nota 118 -, in quanto i Belgi erano pur sempre considerati Galli, e popolazioni celtiche abitavano al tempo di Cesare anche sulla destra del Reno). (93) Vedi per esempio Hirschfeld, Der Name Germani bei Tacitus, p. 271 sg. (2366 sg.); Bauer, Die Herkunft der Bastarnen, p. 21 sg.; Much, Der Eintritt der Germanen
in die Weltgeschichte, p. 31.
(>) Steph. Byz., p. 205, 15-17 Meineke: “l'é papa [nella tradizione manoscritta anche I éppepa, che l'editore propone di correggere in l'epuépai], Κελτικὴς éOvos, ἃ τὴν ἡμέραν οὐ ζλέπει, ὡς ᾿Αριστοτέλης περὶ θαυμασίων, τοὺς δὲ Autobayars καθεύδειν" è fapinpor?, (55) Mazzarino, La più antica menzione dei Germani, 1965, p. 79 (Ξ1980, p. 123). (95) Mazzarino, La più antica menzione dei Germani, 1980, p. 128. (57) Vedi la fondamentale introduzione di H. Fiashar all'edizione dell'operetta (Aristoteles. Opuscula,
II-III, Berlin 1981”, pp. 39-68).
Germani in Italia prima dei Cimbri?
9
dell'opera sono normalmente datati al III sec. d. C. (9), egli riconosce correttamente che “allo stadio attuale delle conoscenze” non si può utilizzare la citazione in ordine al problema, che in effetti è affrontato nel suo studio su altre premesse. A conferma della notizia dei Fasti triumphales Zecchini allega Properzio e Livio. Properzio l’abbiamo già visto. Livio (XXI 38,8) parla di “gentes Semigermanae” che sbarravano i valichi delle Alpi Pennine al tempo del passaggio di Annibale (5). Zecchini (come altri prima di lui) (89) riconosce in questi “Semigermani” i resti dei Gesati sconfitti quattro anni prima, e suffraga la testimonianza liviana (solitamente ritenuta un vistoso anacronismo) (61) con toponimi come il probabile Forum Germa(norum) e la sicura Valle Germanasca. A questi toponimi, sui quali aveva richiamato l'attenzione Fraccaro (si è visto) (€), e ad altri due noti da documenti medievali (“una regione prediale detta Germania, un rivus Germaniae") fa ricorso anche Lellia
Cracco Ruggini, argomentando sinteticamente la sua analoga posizione a favore della notizia dei Fasti triumphales (8). Perché - ci si chiede - toponimi alpini attestati dall'età medievale dovrebbero spiegarsi proprio con i "Germani" di Clastidiwm? Il solo motivo plausibile è, evidentemente, la connessione di tali toponimi con Forum Germa(norum), cioè con il nome (probabile) di una città romana fondata — secondo l'ipotesi di Fraccaro - fra il 125 e il 123 a. C. (prima, dunque, dell'arrivo in Italia dei Cimbri). Ma quella di Fraccaro è,
appunto, un'ipotesi, anzi una “possibilità” (64), che trovava del resto fondamento alternativo nei “Germani” di Clastidium (attestati dai Fasti triumphales) (©) o nei "Germani" iberici (attestati da Plinio) (9). Per Fraccaro, dunque, l'attendibilità dei Fasti suffraga l'ipotesi relativa al nome e, soprattutto, alla data di fondazione di Forum
Germa(norum); dopo di
lui, tale ipotesi viene assunta come prova dell'attendibilità dei Fasti! 5. Insomma, gli argomenti portati (o reintrodotti) nella discussione dagli studiosi italiani che hanno motivato la loro fiducia nella notizia dei Fasti triumphales sulla presenza dei
(88) Sui capp. 152-178: Flashar, nell'edizione citata, pp. 145-154. (59) Liv. XX1,38,8: “nec veri simile est ea tum ad Galliam patuisse itinera; utique, quae ad Poeninum ferunt, obsaepta gentibus Semigermanis fuissent". (5°) Nel modo più diffuso Much, Der Eintritt der Germanen in die Weltgeschichte, pp. 36-61. (51) Vedi spec. Walser, Zur Bevölkerungsgeschichte des Wallis im Altertum, p. 202; F. W. Walbank, A Historical Commentary on Polybius, I, Oxford 1957, p. 194 sg.; Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, p. 197 nota 118. (8€) Vedi la precedente nota 41. - La restituzione “Forum Germa(norum)" era già di Mommsen
(CIL V
2 [1877], p. 910), seguito in Italia da Pais (SI I [1884], p. 137) e De Ruggiero (Diz. epigr. III (1922], p. 212), in Germania da Norden (Germani, p. 132 sg.). La restituzione “Forum Germa(nici)" risulta, invece, preferita da D. Detlefsen, Das Pomoerium Roms und die Grenzen Italiens, in: Hermes 21 (1886), pp. 479-562, in particolare 533, e K. J. Beloch, Rómische Geschichte, Berlin-Leipzig 1926, p. 497. Incerti fra varie restituzioni H. Nissen, /talische Landeskunde, II, Berlin 1902, p. 153: “Forum Germa(natium, -norum, -nici)" (ma v. la successiva nota 65), e J. Weiss, s. v. Forum Germa(nici, -norum?), in: RE VII 1 (1910), p. 68. (63) Cracco Ruggini, I barbari in Italia, p. 7 sg. (64) Fraccaro, Un episodio delle agitazioni agrarie dei Gracchi, p. 891 (84): “Conviene quindi considerare la possibilità, che il Forum Germanorum sia stato fondato prima della guerra sociale, e forse al tempo
stesso della fondazione di Pollentia, e con cittadini romani". (65) Vedi la precedente nota 41. - L'ipotesi intesa a spiegare Forum Germa(norum) con i "Germani" dei Fasti triumphales fu avanzata per la prima volta (a mia conoscenza) nel 1902 da Nissen, /talische Landeskunde, II, p. 153 nota 2: "Wenn man will, ein Rest jener Germanen über die 222 v. Chr. die Fasten einen Triumph verzeichnen", con riferimento alla popolazione che avrebbe dato il nome a Forum Germa(norum), se era questa la denominazione del Forum (Nissen era tutt'altro che certo, si è visto).
(86) Plin., Nat. hist. 111,3,25. Sugli “Oretani qui et Germani cognominantur” Norden, Germani, pp. 116-
126.
10
Leandro Polverini
Germani a Clastidium, lungi dal provare l’attendibilità della notizia, traggono proprio da tale notizia la loro consistenza, anzi - perlopiù - la loro stessa origine. Sono argomenti seri, da tenere in debita considerazione; la teoria fondata su di essi è certo possibile, ma molto meno probabile di quella fondata (si è visto all'inizio) sull’unanimità della tradizione storiografica e — ex silentio — sull'assenza del nome dei Germani nella tradizione letteraria anteriore al I secolo a. C. Non resta, dunque, che sgombrare il campo da una communis opinio (o in via di diventare tale, del resto solo in Italia), che si spiega soprattutto con la sua genesi storiografica, quale si è cercato di ricostruire ed illustrare in questo contributo. Ma, per una conclusione storica adeguata alla natura e agli intenti del volume in cui questo contributo si colloca, ritengo che si debbano innanzitutto distinguere nettamente i due aspetti (di solito confusi) del problema in esame: l'aspetto onomastico e l'aspetto etnico. Per quanto riguarda il primo, se cioé il nome dei Germani comparisse già nella redazione originale dei Fasti triumphales, non posso che ripetere quanto concludevo, in proposito, in un intervento del 1990 su Cesare e il nome dei Germani (61): “... mi sembra che si debba continuare a ritenere, ed io continuo a ritenere, che esso [il nome Germani] sia stato inserito nella redazione augustea dei Fasti triumphales o per comprensibili motivi propagandistici o per errore in buona fede di chi diresse l'incisione dei Fasti... o, si può aggiungere, per correzione dotta che, quand'anche fosse parzialmente giusta nella sostanza, non per questo lo sarebbe necessariamente nella forma (cioè nell'attribuzione del nome Germani agli alleati dei Galli Insubri). La testimonianza del nome dei Germani offerta dai Fasti triumphales vale, insomma, per l'età della redazione a noi nota, cioé per l'età augustea". Poiché nell'intervento citato m'interessava direttamente solo l'aspetto onomastico del problema, non avevo difficoltà a concedere che l'eventuale “correzione dotta” del redattore dei Fasti triumphales potesse essere “parzialmente giusta nella sostanza" (8). Ma se i Romani non conoscevano fino al I secolo (e forse fino a Cesare) il nome Germani (9), e se solo con Cesare furono in grado di distinguere i Germani dai Celti (79), come sarebbe stato possibile nell'età di Augusto recuperare l'effettiva realtà etnica dei Gesati? Sembra, dunque, molto più sicuro credere -- anziché al redattore augusteo dei Fasti capitolini — a Polibio, cioè a Fabio Pittore, che i Gesati li aveva conosciuti.
(67) Vedi la precedente nota 9 (la citazione che segue è a p. 110). (89) “Se i Gesati fossero stati almeno parzialmente di origine germanica" (ivi, nota 17).
(59) Vedi sopra, p. 2 e nota 9. (7°) È fondamentale, in proposito, la testimonianza dello stesso Cesare (B. G. 1,40,5), che ai suoi soldati e ai suoi ufficiali, atterriti dalla prospettiva di affrontare in combattimento un popolo sconosciuto (i Germani di Ariovisto), dovette rivelare che Germani erano i Cimbri e i Teutoni vinti da Mario, e Germani erano parte degli schiavi che avevano seguito Spartaco e condiviso la sua sorte.
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2.
Jahrhunderts v. Chr.
Die ersten Germanen in Norditalien
BARBARA SCARDIGLI
*
Quellen App. Celt. 13,1 (ed. Viereck-Roos-Gabba) Παπίριος
KápBov
δείσας,
μὴ
és
τὴν
᾿Ιταλίαν
ἐσβάλοιεν,
ἐφήδρενε
τοῖς
᾿Αλπείοις.
App. Illyr. 4,10 δέος
Κελτῶν
ἐς
ὅλην
τὴν
᾿Ιταλίαν
ἐνέβαλε.
Cato fr. IV 10 (Hrsg. M. Chassignet=fr. 85 Peter) in: Serv., ad Aen. 10,18
Alpes, quas secundum Catonem et Livium muri vice tuebantur Italiam. Flor. 1,88,6 (ed. Forster)
Nec segnius quam minati fuerant tripertito agmine in Alpes, id est claustra Italiae, ferebantur. Flor. 1,38,11 Hi iam - quis crederet? — per hiemem, quae altius Alpes levat, Tridentinis iugis in Italiam provoluti veluti ruina descenderant.
Flor. 1,38,19 Hune tam laetum tamque felicem libertate Italiae adsertique imperii nuntium... Liv. 21,85,8 (ed. Weissenborn-Müller)
praegressus signa Hannibal in promunturio quodam, unde longe ac late prospectus erat, consistere iussis militibus Italiam ostentat subiectosque Alpinis montibus Circumpadanos campos, moeniaque eos tum transcendere non Italiae modo sed etiam urbis Romanae.
Liv. 39,54,10-12 Huic orationi senatus ita responderi iussit: neque illos recte fecisse, cum in Italiam venerint oppidumque in alieno agro nullius Romani magistratus, qui ei provinciae praees-
* Barbara Scardigli, geboren 1936, hat in Deutschland und Italien studiert, lehrt rómische Geschichte an der Universitàt Siena. Unter ihren Veróffentlichungen: kommentierte Ausgaben zu Livius (Buch 36-40), Granius Licinianus und Nicolaos von Damascus, ein Forschungsbericht zu den Plutarchviten und den Beziehungen zwischen Goten und Römern sowie ein Band über die römisch-karthagischen Verträge. Betreut die Ausgabe der Plutarchviten für Rizzoli. -]11-
12
Barbara Scardigli
set, permissu aedificare conati sint; neque senatui placere deditos spoliari... Alpes prope inexsuperabilem finem in medio esse... Liv. 40,53,6
Eos senatus excedere Italia iussit et consulem... animadvertere in eos, qui principes et auctores transcendendi Alpes fuissent. [Liv.] per. 6? (ed. Rossbach)
M. Aurelius Seaurus, ... in eonsilium ab his (Cimbris) advoeatus deterreret eos, ne Alpes transirent Italiam petituri... [Liv.] per. 68
Cimbri eum repulso ab Alpibus fugatoque Q. Catulo procos., qui fauces Alpium obsidebat... Oros. 5,16,7 (ed. Lippold)
.. verum etiam metus fuit, ne confestim Cimbri Alpes transgrederentur Italiamque delerent. Polyb. 3,54,2-3 (ed. Paton)
μίαν ὑποπεπτώκει
ἔχων ἀφορμὴν εἰς τοῦτο τὴν τῆς ᾿Ιταλίας τοῖς προειρημένοις ὄρεσιν ὥστε συνθεωρουμένων
ἐνάργειαν: οὕτως ἀμφοῖν ἀκροπόλεως
νεσθαι διάθεσιν ἔχειν τὰς ἴἤλλπεις τῆς ὅλης ᾿Ιταλίας. διόπερ ἐνδεικνύμενος τὰ περὶ τὸν Πάδον πεδία... ἐπὶ ποσὸν εὐθαρσεῖς ἐποίησε τοὺς ἀνθρώπους.
γὰρ φαί-
αὐτοῖς
Vell. 2,12,4 (ed. Shipley)
Quarto trans Alpis cirea Aquas Sextias cum Teutonis conflixit... Vell. 2,12,5
Quinto citra Alpis in campis, quibus nomen erat Raudiis... decertavere... Ziel dieser kurzen Einleitung ist es festzustellen, ab wann man von Germanen in Italien reden kann, bzw. wer die Germanen
waren, die zum
ersten Mal italischen Boden
betreten haben und was zu diesem Zeitpunkt unter Italien zu verstehen ist. Das Thema “Germanen in Italien" weist auf den ersten Blick wenig gemeinsames auf mit demjenigen der “Kelten in Italien" (D, obwohl ein Vergleich naheliegend ist. Kurz nachdem die römische Republik ihren ersten und noch relativ bescheidenen Erfolg einer Gebietserweiterung erzielt hatte (durch die Eroberung Veiis), wurde Rom von Keltenscharen zerstórt. Auch wenn in der Forschung keine einheitliche Meinung darüber herrscht, zu welchen Zeitpunkt diese begonnen haben, in die oberitalische, von den Etruskern bewohnte, Padana einzuwandern (2), hat die Einnahme Roms durch Kelten (vor
(1) S. nun vor allem: I. Wernicke, Die Kelten
in Italien, Stuttgart 1991, aber auch die Rezension von G.
Dobesch, in: Gnom. 65 (1993), S. 681 ff. (2) Die ausführlichste Beschreibung bei Polybios (2,14-17). Vgl. auch Liv. 5,33-35. Zum Thema: C. Jullian, Historie de la Gaule, Paris 1920 I, S. 289 ff.; J. J. Hatt, Les invasious celtiques en Italie du Nord, in: Bull. Soc. Préhist. Franc. 57 (1960), S. 362 ff; R. Chevalier, La Celtique du Pò, position et problèmes, in:
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2. Jh. v. Chr.
13
allem Senonen) in Jahr 387/6 (?) kein antiker Schriftsteller in Zweifel gezogen: vor allem dank der großen Resonanz bei zeitgenössischen griechischen Schriftstellern, hat dieses Ereignis seinen festen Platz in der Geschichte (*) und wird durch archáologische Funde in
seiner Geschichtlichkeit bestätigt (5). Von da an war die Anwesenheit von Keltengruppen, die auch andere Gegenden Italiens heimsuchten, eine Realität (5). Frühe Handelsbeziehungen zwischen Etruskern und Kelten, von denen Polybius (2,17) berichtet,
lassen sich vielleicht schon hinter der Arunslegende vermuten (7 und sprechen für eine wachsende Vertrautheit der Etrusker (wie der Römer) mit Gruppen der Völker aus dem Norden (3). Erst am Ende der rómischen Republik, als die Kelten in Italien und ausserhalb keine
Gefahr mehr bedeuteten und im rómischen Reich aufgegangen waren, haben die ersten Germanenscharen
versucht,
in den italischen
Raum
einzudringen,
d. h. zu einem
Zeitpunkt, als die Republik auf dem Hóhepunkt ihrer Macht und die italische Halbinsel auch im Norden fest unter ihrer Kontrolle stand. Durch Marius' Siege über Teutonen und Kimbern
(s. unten) blieb die Gefahr einer den Kelten vergleichbaren ständigen (nicht
friedlichen) Prisenz von Germanen in Italien für Generationen gebannt. Kriegerische
Latomus 21 (1962), S. 357 ff.; A. Bernardi, Dalla diaspora celtica nell'Europa barbara alla prima penetrazione nella Valle Padana, in: I Celti in Italia, hrsg. E. Campanile, Pisa 1981, S. 15 ff.; S. L. Dyson, The creation of the Roman frontier, Princeton 1985, S. 9 f.; M. Pallottino, Etruskologie, aus dem Italienischen übersetzt, Basel-Boston-Berlin 1988, S. 199 ff.; E. Lepore, Il Mediterraneo e i popoli italici, in: Storia di Roma, Torino 1988 I, S. 494 mit weiterer Bibliographie; G. Dobesch, Zur Einwanderung der Kelten in Oberitalien. Aus der Geschichte der keltischen Wanderungen im 6. und 5. Jh. v. Chr., in: Tyche 4 (1989), S. 35 ff. und
ders. Die Kelten als Nachbarn der Etrusker in Norditalien, in: Etrusker nórdlich von Etrurien. Etruskische Präsenz in Norditalien und nördlich der Alpen..., Akten Symp., Wien 1989, hrsg. L. AignerForesti, Wien 1992, S. 165 ff. mit weiterer Bibliographie; Wernicke, S. 86 ff.; 105 f.; 158 ff.
(3) Jullian, I, S. 294 ff.; Dyson, S. 14 ff.; R. De Donà, Pace e guerra nei rapporti fra Romani e Galli nel IV sec. a. C., in: La pace nel mondo antico - CISA 11 (1985), S. 176 ff.; D. Vitali, 1 Galli e gli Etruschi, in: Celti ed Etruschi nell'Italia centro-settentrionale dal V sec. a. C. alla romanizzazione, Coll. intern. a Imola,
1987, S. 11 f. und / Celti in Italia, in: I Celti, Catalogo mostra di Venezia, Milano 1991, S. 221 ff.; V. Kruta, Les Sénons de l'Adriatique. D'après l'archéologie, in: Et. Celt. 18 (1981), S. 9 ff. (4) Arist. fr. 548 (ed. Rose-Plut.
Cam.
22,4) und
Herakl.
Pont.
fr. 102 (ed. WehrlizPlut.
Cam. 22,3);
Theophr. fr. 317 (FGrHist. 115-Plin. 3,57). Vgl. M. Sordi, / rapporti Romano-Ceriti e l'origine della civitas sine suffragio, Roma 1960, S. 25 und dies., La leggenda di Arunte Chiusino e la prima invasione gallica in Italia, in: RAS 6-7 (1976-77), S. 111 ff. 6) Vgl. V. Kruta, / Celti della prima espansione (IV sec. a. C.), in: I Celti (Catalogo), S. 195. (6) Nach 386 zogen Gruppen von ihnen nach Apulien (A. Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1963, S. 358 ff. mit allen Quellen; Vitali, 1 Celti, S. 234); Dionysios I. von Syrakus nahm keltische Söldner in seine Dienste (Xen., Hell. 7,1,31; Iust. 20,5,4 ff.). Vgl. Alföldi, S. 358 f.; Bernardi; S. 20 ff.; Dyson,
S. 19 ff.; G. Bandelli, La frontiera settentrionale: l'ondata celtica e il
nuovo sistema di alleanze, in: Storia di
Roma I, S. 514 ff.; De Donà, S. 178 f.; G. A. Mansuelli, / Celti e l'Europa antica, in: I Celti (Catalogo), S. 15 ff.; G. Dobesch, Le fonti letterarie, ebenda, S. 35; M. Szabo, Il mercenariato, ebenda, S. 333 ff.
(7) Sordi, La leggenda, S. 112 f.; O. H. Frey, Zum Handel und Verkehr während der Frühlatenezeit in Mitteleuropa, in: Abh. Akad. Wiss. Góttingen 143 (1985), I, S. 251 ff.; Bandelli, S. 509; Wernicke, S. 63 ff. Vgl. auch G. Mansuelli, Etruschi e Celti nella valle del Po, in: Hommage R. Renard (Hrsg. I. Bibuuw), Bruxelles 1969, II, S. 485 ff. und die verschiedenen Beitráge über etruskisch-keltische Beziehungen (6.-5. Jh. v. Chr.) im Katalog der Ausstellung “Gli Etruschi e l'Europa", Paris-Mailand 1992, vor allem von ver-
schiedenen Autoren: / rapporti transalpini, S. 180 ff., sowie B. Bouloumié, La diffusione del vino in Europa centrale e nord-occidentale, S. 196 ff. und V. Kruta, Spunti d'influenza etrusca sull'arte celtica, S. 206 ff.; Dobesch, Die Kelten, S. 174 ff.
(Ὁ Im Raum um Marsiglia sind Handelsbeziehungen
mit Kelten schon im 6. und 5. Jh. nachweisbar
(Wernicke, S. 69 ff.; Vitali, 1 Celti, S. 222; Bouloumié, 1 commercio
Etruschi e l'Europa, S. 168 ff.).
marittimo nel sud della Francia, in: Gli
14
Barbara Scardigli
Auseinandersetzungen zwischen Rómern und Germanen fanden in den nüchsten Jahrhunderten jenseits der Alpen, auf rómischem Provinzialboden oder im freien Germanien statt.
Die meisten Ursachen der Südwanderung der Germanen scheinen mit denen der Kelten gemeinsam zu sein; Übervólkerung und Landknappheit (?), der Ruf von der Schónheit und Fruchtbarkeit (Pol. 2,17,3) des Landes, in dem man sich niederzulassen hoffte (19), das — im Gegensatz zum eigenen rauhen und unwirtlichen — milde Klima des
Südens (1). Im Falle der Germanen scheint eine Naturkatastrophe an der Nordsee Anlass zum plötzlichen Aufbruch gegeben zu haben (12), während die von Wernicke aufgestellte Vermutung der transhumanten Weidewirtschaft, die für das Vordringen der Kelten nach Italien verantwortlich gewesen sein kónnte, bei den Germanen keine Rolle gespielt haben dürfte. Die Frage nach der Ausdehnung des Verwaltungsbereiches "Italia" im Norden (mit Grenzfluß Aesis seit der Mitte des 3. Jh., und dem Rubikon seit etwa 133: Strab. 5,1,11,217; Plin. 3,115) (1$), kann hier unberücksichtigt bleiben. Es kommt vielmehr darauf an festzustellen, weshalb sich die Rómer beim ersten Auftreten der Germanen eisern entschlossen
zeigten, ihre Anwesenheit und vor allem ihre Ansiedlung in Gebieten, die sie als zu Italien gehörig betrachteten, mit allen Mitteln zu verhindern. Der Begriff Italien muß daher in geographischem Sinne verstanden werden, wie er sich schon im 3. Jh. anhand von Quellenstellen, die keinen politischen oder militàrischen Hintergrund implizieren (daher nicht zwischen Gallia Cisalpina und Italia unterscheiden), nachweisen läßt. Natürlich sind es im 3. und im 2. Jh. v. Chr. nicht etwa Germaneneinfälle, die römische
oder griechische Autoren zu Aussagen über das Gebiet veranlassen, auf das Rom einen Herrschaftsanspruch anmeldet, sondern im wesentlichen Einfälle transalpiner Kelten, im Westen wie im Osten. Die Aussagen hierüber sollen daher betrachtet werden. Bekannt ist die von Polybios (3,54,2-3; vgl. Liv. 21,35,8) erzählte Geschichte, daß
Hannibal seinen erschópften Soldaten auf einem Felsvorsprung der Alpen (1*) das darunter liegende Italien, d. h. die Poebene, zeigte, mit der Erklärung, sie würden nun die
Mauern Italiens (“τὴν τῆς ᾿Ιταλίας évdpyevav”) überschreiten (!?). Vielleicht handelt es sich bei der Stelle um einen späteren rhetorischen Einschub, doch kann es kein Zufall sein, daß sich gerade diese Auffassung auch bei Cato findet, von dem Servius (1$) den Ausspruch
(9) Für die Scharen des Brennus im 4. Jh.: Plut. Cam. 15,1; App. Celt. 2,1; Liv. 5,33,1; Iust. 43,3,4; auct. vir. ill. 23,5. Für die Transalpiner jenseits der Ostalpen zu Beginn des 2. Jh. (s. unten): Liv. 39,54,5 ff.; 40,53,5 ff.
(19) Über die Padana: Pol. 2,15,1 ff. Strab. 5,1,4,212. Über den hochgeschätzten Anbau von Wein und Olivenbäumen: Just. 43,4,1; Dio C. (=Zon. 7,23,3). Vgl. Sordi, La leggenda, S. 113. (11) Vgl. J. Malitz, Die Historien des Poseidonius, in: Zetemata 79 (1983), S. 186. (12) Flor. 1,38,2; Fest. ep. (s. v. Ambrones), S. 17 M; Amm. Mare. 31,5,12. Vgl. A. L. F. Rivet, Gallia Narbonensis, London 1988, S. 44 f.
(13) Über seine Identifizierung herrscht keine Einigkeit: vgl. z. B. O. Cunzt, Polybios und sein Werk, Leipzig 1902, S. 32 ff.; H. Philipp, Rubico, in: RE 2A 1. Halbband (1914), Sp. 1162 ff. (14) S. z.B. F. Klingner, Italien. Name, Begriff und Idee im Altertum, in: Die Antike 17 (1941), S. 94. (15) Zur Identifizierung s. G. De Sanctis, Storia di Roma, Firenze 1968 (2), III 2, S. 74 f.; Walbank, Commentary on Polybios, I, Oxford 1958, S. 390. (16) Ad Aen. 10,13 (=Peter, HRR Fr. 85=M. Chassignet, Caton, les Origines (Fragments), Paris 1986, IV Fr. 10).
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2. Jh. v. Chr.
15
aus den Origines erhalten hat: “Alpes... quae secundum Catonem et Livium muri vice tuebantur Italiam". Sie wird durch weitere Fragmente aus Catos Werk bestätigt (!*). Wenn auch das südlich der Alpen liegende Territorium seit langem vorwiegend von Kelten bewohnt war, kónnten gerade die dem 2. punischen Krieg vorausgegangenen sowie nachfolgenden und keineswegs abgeschlossenen Auseinandersetzungen mit Keltenvölkern die Römer dazu veranlaßt haben, ihren Herrschaftsanspruch auf diese Gebiete bis hin zu den Alpen (und im Westen wie im Osten bis zum Meer, wie wir es der gezielten Kolonisierung entnehmen kónnen) als natürliche Grenze immer deutlicher geltend zu machen. In ähnlicher Weise haben sie kurz zuvor im Ebrovertrag vorsichtig einen Anspruch auf das Gebiet diesseits des Ebro angemeldet, von dessen wirklicher Beherrschung sie weit entfernt waren ('?). Vielleicht ist es auch kein Zufall, daß gerade drohende Kelteneinfálle (s. unten) im Nordwesten den Abschluf des Ebrovertrages bewirkt zu haben scheinen (!°). Es liegt also nahe anzunehmen, daß Polybios im wesentlichen auf die Auffassung Catos zurückgreift, die dieser vor ihm geäußert haben dürfte (2°): Cato sah im norditalischen Raum bis zu den Alpen eine geographische und wohl auch moralische Einheit (21), welche Römer, Italiker und Kelten einschließt, auch wenn letztere,
ethnisch gesehen, mit den Transalpinern verbunden sind, Diesem erweiterten Begriff der nördlichen Grenze Italiens bei Cato und Polybios steht derjenige ihres jüngeren Zeitgenossen L. Calpurnius Piso (Fr. 1 Peter), des Konsuls von 133, gegenüber, welcher die Ansicht einer selbständigen Identität Mittelitaliens, die sowohl den Süden
wie den Norden
ausschließt, vertritt. Nach
Piso, dem
Gegner der
Gracchen und der Expansionspolitik, der eine politische Kontrolle und Mässigung (s. die Lex Calpurnia von 149) propagierte, wäre der Begriff Italien daher nur auf die einheimischen, in Mittelitalien ansässigen Völker zu beschränken (2). Mit dieser Ansicht stand er
sicher nicht alleine dar.
(17) Vgl. J. Heurgon, Caton et la Gaule Cisalpine, in: Mel. d’Hist. Ancienne off. à W. Seston, Paris 1974, S. 231 ff. Es ist vielleicht kein Zufall, daß Cato-(Fr. 42 Peter, II 12 Chassignet, aus Plinius) den beiden den
Römern treu gebliebenen Völkern der Cisalpina (s. u.) eine Verbindung mit Troja (Veneter) und Marsiglia (Cenomanen) zuschreibt (vgl. Strab. 5,1,4,212). Die Auffassung der Alpen als τεῖχος 'ItaXias findet sich bis hinein in die spätantike Literatur (vgl. Herodian 2,11,8 und 8,1,5). (18) Liv., per. 21. B. Scardigli, 1 trattati romano-cartaginesi, Pisa 1991, S. 270 ff. (19) H. Bellen, Metus Gallicus - metus Punicus: zum Furchtmotiv in der römischen Republik, MainzStuttgart 1985, S. 11 ff.; Scardigli, S. 256 f. (®°) Cfr. G. A. Mansuelli, / Cisalpini, Firenze
1962, S. 87 ff.; P. Tozzi, Gli inizi della riflessione storio-
grafica sull’Italia settentrionale nella Roma del I Convegno in memoria di Plinio Fraccaro, Pavia 1976, in: Rendiconti Ist. Lomb. 107 (1973), S. 499 ff. Zur Miltner, Porcius Nr. 9, in: RE 43. Halbbd. (1953), Sp. latina,
in: Mem.
Accad.
Padova
sec. a. C., in: L’Italia settentrionale nell’età antica, S. 33 ff. und ders.: Catone fr. 39 Peter e Polibio II 15, Abfassungszeit der Origines (3. maked. Krieg) s. F. 160; D. Timpe, Le “Origini” di Catone e la storiografia
1970, S. 8; A. E. Astin, Cato the Censor,
Oxford
1978, S. 212 f.;. Das
Geschichtswerk des Polybios muß auf alle Fälle nach seiner Verschleppung nach Rom abgefasst sein (Ziegler, Polybios, in: RE 42. Halbbd. (1952), Sp. 1475 ff.). (?1) Vgl. auch Coel. Ant. fr. 20 (=Cic. Div. 1,35,78, vgl. Liv. 22,5,8); fr. 14 (=Liv. 21,38,4), sowie die Stellen im Keltenexkurs bei Polybios (2,14,3; 15,8; 16:8). Hierzu: R. Heuberger, Die Anfänge des Wissens von den Alpen, in: Zeitschr. f. Schweiz. Gesch. 30 (1950), S. 336 ff.; G. Brizzi, L'Appennino e le due Italie, in:
Cispadana e letteratura antica. Atti Conv. Imola 1986, Bologna 1987, S. 53 f. und vor allem R. Vattuone, Polibio e la Cispadana, ebenda, S. 73 ff.; R. Scuderi, Sul concetto di frontiera nell'Impero Romano: Confini naturali e artificiali, in: Rendic. Ist. Lomb. 125 (1991), S. 44.
. (2) Einzelheiten bei G. Massa, L'Italia Romana fra IIl e I secolo a. C., tesi dottorato Napoli 1990, S. 79
ff. Áhnlich die wahrscheinlich auf Fabius Pictor zurückgehende (Massa, S. 15 ff.) cisapenninische Interpretation Italiens bei Appian (Hann. 8,34: “τὰ
ἐπὶ
δεξιὰ (des Appennin) πάντα
kadapios
'lTraAa"), d.
16
Barbara Scardigli
Die Kämpfe mit den Kelten, die Rom in seinem Herrschaftsanspruch auf Norditalien bestätigen sollten, begannen mit dem Einbruch neuer Scharen im Westen (2). Die vom Rhonetal her einströmenden Völkerscharen (Gaesaten?) (2), die, wie gesagt, vielleicht den Abschluß des Ebrovertrages bewirkt haben, verbündeten sich um 225 mit den Boiern und Insubrern (2), während die in der Transpadana siedelnden Cenomanen (zwischen Oglio und Etsch) (26) und Veneter (in der Gegend des heutigen Este — Oderzo - Belluno), welche letztere nach Polybios (2,17,5) den Kelten in ihren Gewohnheiten und Bräuchen sehr ähnlich
waren, doch eine andere Sprache sprachen (27), den Römern fast bis zum Ende des Hannibalkrieges treu blieben (28) und gemeinsam mit ihnen die feindlichen Eindringlinge in mehreren Schlachten besiegten (2). Boier und Insubrer mussten Gebiete abtreten, auf denen 218 rechts und links des Po zwei latinische Kolonien gegründet wurden, Cremona und Placentia; in Mutina
wurde ein Präsidium stationiert (39).
Erst nach dem 2. punischen Krieg konnten diese Operationen wieder aufgenommen werden: die Boier wurden endgültig unterworfen (über die Kämpfe von 196 bis 190: Liv. 33,22-23) (3!) und vertrieben
(Pol. 2,35,4) (82); mit anderen
(Insubrern,
Cenomanen,
Venetern) wurden Verträge abgeschlossen (Cie., Balb. 32) (9) und die Gebiete der Cisalpina weiter erschlossen durch Strassen und neue bzw. von neuem gegründete
h. unter Ausschluß der Griechen im Süden und der Gallier im Nord-Osten, die in den Menschenopfern von 228, 216 und 214 zum Ausdruck kommt (Liv. 22,57,6; Plut., Marc. 3,4; Dio C., fr. 50; Oros. 4,13,8; s. A. Fraschetti, Le sepolture rituali del Foro Boario, in: Le délit religieux dans la cité antique, Coll. Ec. Frang. Rome 48 (1981), S. 79 ff.).
(ὃ) Dyson, S. 30 f. (24) D. Foraboschi, Lineamenti di storia della Cisalpina romana, Roma 1992, S. 80 ff. Über die Gaesaten s. G. Barruol, Les peuples préromains du sud-est de la Gaule, Paris 1975, S. 305 ff.; H. Kothe, Nationum nomen, non gentis, in: Phil. 123 (1979), S. 242 ff.; Szabo, Il mercenariato, S. 335; Bellen, Metus gallicus, S. 12 Anm. 16 und vor allem L. Polverini in diesem Bande, S. 2 ff. (25) Pol, 2,23-25. Vgl. A. H. McDonald, The Roman Conquest of Cisalpine Gaul (201-191 B. C.), in: Antichton 8 (1974), S. 45 f.; Vitali, 1 Celti e i loro spostamenti nel III sec. a. C., in: I Celti (catalogo), S. 308. (?5) Vitali, I Celti, S. 224; vgl. R. Scuderi, 1 Cenomanni: “facies” etnografica e rapporti con Roma, in: Commentari dell'Ateneo di Brescia 1975, S. 121 ff. (?7) Vitali, S. 224. (2) Vgl. Dyson,
S. 44 ff.; McDonald,
S. 46; F. Sartori, Verona Romana,
in: Verona
e il suo territorio,
Verona 1970, I, S. 164 ff.; G. Fogolari, / contatti Galli-Veneti, in: Antichità Alto-adriatiche 19 (1981), S. 20. (9) Toynbee, Hannibal’s Legacy, London 1965, II, S. 264 ff.; Dyson, S. 51 ff.; Bellen, S. 17. (8°) Bernardi, Dalla diaspora, S. 22 ff; Vitali, 1 Celti, S. 223; G. Bandelli, La deduzione delle colonie di
Piacenza e di Cremona. Alcuni problemi prosopografici, in: Quad. Storia e Epigr. 2, Roma 1978 (Univ. di Trieste), S. 39 f. (δ) Vgl. G. Cardinali, Italia, in: DE, IV, 1924-46, S. 100; McDonald, S. 48 ff.; B. D. Hoyos, Roman Strategy in Cisalpine 224-222 and 203-191, in: Antichton
10 (1978), S. 46 ff.; U. Schlag, Regnum
in senatu.
Das Wirken römischer Staatsmänner von 200 bis 191 v. Chr., Stuttgart 1968, S. 40 ff.; Sartori, Verona Romana, S. 165; R. Chevalier, La romanisation de la Celtique du Po, in: Univ. Tours. Centre Recherches A. Piganiol, 1979, S. 50 ff.; Dyson, S. 38 ff.; A. Ziolkowski, Credibility of numbers of battle captives in Livy, Books XXI-XLV, in: PP 45, 1990, S. 23 f.; E. Arslan, / Transpadani, in: I Celti (catalogo), S. 461.
(32) Toynbee, II, S. 270 ff.; E. T. Salmon, The making of Roman Italy, London 1982, S. 90; Dyson, S. 39 ff.; Vitali, 1 Celti, S. 235. (33) MeDonald, S. 50; Chr. Goudineau, Césare et la Gaule, Paris s. d., S. 39; Chr. Peyre, La Cisalpine Gauloise du III“ au I” siécle av. J. C., Paris 1979, S. 64; foedera iniqua: Bernardi, S. 24; G. Tibiletti, La romanizzazione della Valle Padana, in: Storie locali dell'Italia Romana, Pavia 1978, S. 31; Arslan, Celti e
Romani in Transpadana, in: Et. Celt. 15 (1978), S. 454; ders., 1 Transpadani, cit.; G. Brizzi, Problemi cisalpini e politica mediterranea nell'azione di M. Emilio Lepido: la creazione della Via Emilia, in: Studi Romagnoli 30 (1979), S. 341.
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2. Jh. v. Chr.
17
Kolonien (die Via Aemilia verband Ariminum, Bononia, Mantua, Parma und Placentia) (54):
das ganze Gebiet wurde schrittweise in das politische System Roms integriert. Auch auf das nordóstliche Gebiet südlich der Alpen haben die Rómer, zumindesten nach dem 2. punischen Krieg ihren Herrschaftsanspruch angemeldet, wie ihre Reaktion auf die Einwanderung transalpiner Kelten (Liv. 39,54,11) (*) zeigt; diese, über die karni-
schen Alpen kommend, besetzten 186 das Gebiet von Aquileia, das von Livius als brachliegend und menschenleer bezeichnet wird (35$) und bauten dort ein Oppidum (57). Dieser Versuch der Landnahme
ist als durchaus friedlich überliefert (Liv. 39,54,6): die veneti-
schen Nachbarn hatten - vielleicht wegen schon bestehender Handelsbeziehungen - nichts einzuwenden (3?) und die Reaktion Roms, das unter aussenpolitischem Druck stand (39), bestand zunächst in schonender Diplomatie (Liv. 39,54,10 ff.; 55,1 ff.). Immerhin wird den Scharen nach Livius (39,54,10) durch eine rómische Gesandschaft mit allem Nachdruck bedeutet, das Gebiet zu verlassen, da es unrecht sei, "cum in Italiam venirent", in eine provincia, die einem rómischen Magistrat unterstand, d. h. in ein Gebiet, das Rom durch die
Anwesenheit eines Magistrats als seiner Einflußsphäre zugehörig betrachtete, und da die Alpen eine nahezu unüberwindliche Grenzlinie seien (*Alpes prope inexsuperabilem finem"), in medio (d. h. zwischen römischem und keltischem Gebiet): Liv. 39,54,12 (69). 183
lie8 M. Claudius Marcellus das Oppidum zerstóren und wurde die Gründung von Aquileia beschlossen; 181 wurde sie durchgeführt (41). Auch hier bringt Piso (Fr. 35-Plin. 3,131) eine von Livius abweichende Meinung: er sucht die Tat des Marcellus nicht zu rechtfertigen, sondern erwähnt, sie sei invito senatu geschehen (%), d. ἢ. er vertritt die wohl nicht seltene Ansicht unter seinen Zeitgenossen,
nach der die Rómer auf das Gebiet von Aquileia keinen Herrschaftsanspruch zu erheben hatten. Es scheint daher, daß Livius einen späteren Standpunkt oder denjenigen einer bestimmten Gruppe im Senat aufzeigt. Nach Livius bestand 179 der Senat noch unerbittlicher auf dem Verbot des Überschreitens der Alpen, indem er einer von neuem eingewanderten Gruppe von Transalpinern ohne Umschweife befahl, *excedere Italia" (Liv. 40,53,6): der Senat betont also wiederum, ganz Italien bis zu den östlichen Alpen als rómi-
sches Hoheitsgebiet zu beanspruchen. Die Ansiedlung von Kelten erscheint nun als noch
(34) U. Ewins, The early colonisation of Cisalpine Gaul, in: PBSR 20 (1952), S. 54 ff.; Chevalier, S. 58 f.; Brizzi, S. 381; A. Franke, Rom und die Germanen, Tübingen 1980, S. 71 ff.
(35) Norici-Taurisci (zu den Völkergruppen: G. Alföldy, Taurisci und Norici, in: Hist. 15 (1966), S. 224 ff.: F. Sartori, Galli Transalpini transgressi in Venetiam, in: Aquileia Nostra 31 (1960), S. 3 ff. (mit reicher Bibliographie); F. Cassola, Storia di Aquileia in età romana, in: Aquileia e l'alto Adriatico I, Udine 1972, S. 23 ff.; G. Dobesch, Die Kelten in Österreich nach den ältesten Berichten der Antike, Wien-Graz etc. 1980, S. 17 ff.; 164 £.; D. Timpe, in diesem Band, S. 36 ff. (36) Cardinali, Italia, in: DE, S. 101; Cassola, La politica romana nell'Alto Adriatico, in: Aquileia e
l'Alto Adriatico 2 (1972), S. 56. (37) Fogolari, S. 38 f.; Mazzarino, Pensiero storico classico, Bari 1966, II, S. 99; G. Dobesch, Aus der Geschichte der Kelten in Österreich bis zu ihrem Aufgehen im römischen Imperium, in: Österr. in Gesch. und Lit. 27 (1985), S. 5. (35) Dobesch, Aus der Gesch., S. 6. (39) Dobesch, wie oben. (19) Vgl. S. Mazzarino, II, S. 99 f. Einen ähnlichen Ausdruck gebraucht Velleius (2,109,4) zur Definition der Grenze zwischen Italien und dem Reich des Marbod.
(11) Liv. 40,34,2; Vell. 1,15,2 vgl. CIL I 2, p. 621. Bernardi, Dalla diaspora, S. 23 f.; G. Alföldi, Norieum, S. 29 f. Über C. Acilius, einen den Claudiern wohlgesinnen Autor als Quelle des Livius: Mazzarino II, S. 99 ff. (12) Massa, S. 82 ff.
18
Barbara Scardigli
größere Verletzung von Rechten, auf die Rom mit gesteigertem Nachdruck pochte (*), auch wenn das umstrittene Land unbesiedelt blieb. 148 wurde mit dem Bau der Via Postumia begonnen, die von Genua nach Aquileia führte; an ihr lagen Cremona,
Verona,
Vicenza und Oderzo (#). Auch die in der ersten
Hälfte des 2. Jh.s wieder aufflackernden Kämpfe gegen ligurische Stämme, von denen Rom sich so bedroht fühlte, daß es häufig beide Konsulen dorthin ins Feld schickte (15), müssen u. a. als Bestreben gewertet werden, den Besitz Italiens bis zum Rande der Westalpen zu garantieren (56). Wenige Jahrzehnte später griff Rom in neue Kämpfe gegen Transalpiner im Westen ein: gegen Salluvier, Arverner und Allobroger (Liv., per. 61; App., Celt. 12,1-3; Suet. Nero 2), vielleicht auf Betreiben Marsilias (4), doch sicher auch in eigenem Interesse (59). Der Sieger, Cn. Domitius Ahenobarbus, leitete den Bau der Via Domitia in die Wege, einer Verbindungstrasse zwischen Rhóne und Pyrenäen und richtete 118 das Zentrum Narbo Martius (Narbonne) als Kolonie ein (Vell. 11,15,5; Cic., Pro Font. 5,13 aus dem Jahre 69). Allerdings ist die systematische Durchdringung des Gebietes durch die Einrichtung einer Provinzialverwaltung, für die ersten Jahrzehnte umstritten (9), doch dürfte die im Bellum Gallicum (7,8,2 f.) erwähnte Begrenzung der Provinz durch die Seealpen im Westen und die Cevennen im Osten schon lange vor Caesar den Ánspruch der Rómer auf das Land zum Ausdruck bringen. Kurz darauf berichten die Quellen von dem ersten Einfall der Kimbern, im Noricum (Poseidonius in Strab. 7,2,2,293-4; Liv. per. 63; Vell. 2,12,2; Tac., Germ. 31,2; Plut., Mar.
16,5; App., Celt. 13,1: unter Verwechslung der beiden Vólker, wahrscheinlich von Seiten des Excerptors),
wo 113 der Konsul
Cn. Papirius
Carbo
(bei Noreia, ἢ. Friesach) (5°)
besiegt wurde. Dieser, so berichtet Appian, dessen Aussage Bellen (S. 37) gegen Koestermann und Harris (5!) für historisch hält, habe den Zugang sperren wollen, “δείσας, μὴ és τὴν ᾿Ιταλίαν ἐσβάλοιεν᾽, womit er den Herrschaftsanspruch Roms klar zum Ausdruck bringt, bzw. seine eigenen Ambitionen und seinen Verrat an den arglosen
(8) Dobesch, Die Kelten, S. 42 und Aus der Gesch., S. 7. (4) Sartori, Verona Romana, S. 166 f.; Bernardi, Dalla diaspora, S. 23. (45) Seit 188 für etwa 15 Jahre: Broughton, MRR, I, S. 365 ff.; F. Cassola, La colonizzazione Romana della Transpadana, in: Die Stadt in Oberitalien und in den nordwestlichen Provinzen des Rómischen Reiches (hrsg. von W. Eck und H. Galsterer), Mainz 1991, S. 35 ff.
(46) G. Cardinali, Italia, DE, S. 100 f.; Dobesch, Die Kelten, S. 27. S. auch Dio Cassius Fr. 74,1 wo von Kämpfen des Ap. Claudius Pulcher gegen die Saluvier im Jahre 143 v. Chr. die Rede ist (“ἔτυχεν ev τῇ ᾿Ιταλίᾳ λαχὼν ἄρχειν). Hierzu: F. Cassola, La colonizzazione Romana, S. 35. (ἢ Liv. per. 60; vgl. Bellen, S. 40. (68) Einzelheiten bei Jullian, II, S. 548 ff.; Rivet, Gallia Narbonensis, S. 39 ff. (39) Die verschiedenen Ansichten z. B. bei E. Badian, Foreign Clientelae, Oxford 1950, Nachdr. 1972, S. 203 ff. und Notes on the Gallia in the late Republic, in: Mél. Piganiol, II, Paris 1966, S. 901. E. Demougeot, Gallia I, in: Reallex. Ant. Christ. VIII, Stuttgart 1972, S. 851 ff.; G. Clemente, / Romani nella Gallia meridionale (11-I sec.), Bologna 1974, S. 117; Ch. Ebel, Pompey's Organisation of Transalpine, in: Phoenix 29 (1975), S. 360 ff. und Transalpine Gaule, Leyden 1976, S. 42 ff.; Barruol, Les peuples, S. 167 f; E. Hermon, Conquétes et frontieres sous la République romaine: le cas de la Gaule transalpine, in: Homm. à la mém. de E. Pascal, Cahiers des Et. Anc. 1990, S. 391 ff. e Rome et la Gaule Transalpine av. César, Napoli-Québee 1993, S. 165 ff. (**) Jullian, Histoire de la Gaule, III, S. 39 ff.; Alföldy, S. 35 ff.; Franke, S. 96 ff.; Demougeot, L'invasion des Cimbres-Teutons-Ambrons et les Romains, in: Latomus 37 (1978), S. 924; Dyson, S. 75; 161.
(51) War and Imperialisme in Republican Rome 427-70 B. C., Oxford Koestermann, Der Zug der Kimbern, in: Gymnasium 76 (1969), S. 317.
1979, S. 246. Vgl.
E.
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2. Jh. v. Chr.
19
Kimbern zu rechtfertigen sucht ($2). Anschliessend haben sich die Kimbern am Nordrand der Alpen entlang nach Südgallien gewandt (Vell. 2,8,3), wo sie 109 ein rómisches Heer unter M. Junius Silanus besiegten (Liv.per. 65; Vell. 2,12,2; Ascon., Pro Corn., p. 80,10 f.; Eutr. 4,27; Flor. 1,38,4; Veget. 3,10). Auf keltischem Gebiet erfolgten weitere Kümpfe mit
Kimbern und Teutonen: 107: Tod des Konsuls L. Cassius Longinus und seines Legaten L. Piso im Tal der Garonne (59), bis zur vernichtenden Niederlage des römischen Heeres unter Cn. Mallius und Q. Servilius Caepio bei Arausio (Orange) am 6. Oktober 105 (5^). Kurz vor diesem Ereignis soll der gefangene konsularische Legat, M. Aurelius Scaurus, die Kimbern davor gewarnt haben (Liv.per. 67), die Alpen zu überscheitern und Italien anzugreifen (“ne Alpes transierent Italiam petituri"). Das Ziel dieser Germanenscharen unterscheidet sich kaum von demjenigen der transalpinen Kelten der Jahre
186-183; im Vergleich zur Reaktion auf die Landnahme
der
Kelten im Osten zu Beginn des 2. Jh. hat sich Roms Standpunkt den neuen Einwanderern gegenüber hóchstens verschürft. Im Gegensatz zu den Auseinandersetzungen mit den Kelten, kam es jedoch nicht zu einer friedlichen Lósung. An der Geschichtlichkeit der von diesen Germanen vorgetragenen Bitten um Getreide und Ackerland (“in Italien", wenn man Florus! Anspielung auf Roms innere Zwistigkeiten zur Zeit der Ackergesetzgebung glauben darf: 1,38,3) (65) ist nicht zu zweifeln. Gleichfalls leuchtet ein, daß die Germanen als Gegenleistung anboten, gegen Sold (stipendium) im römischen Heer zu dienen (55); haben doch z. B. die Karthager (67) und Dionysios I. von Syrakus (s. Anm. 6) seit langem keltische Söldner angeworben (55). Falls das Angebot der Kimbern und Teutonen in dem von Florus (1,38,3) überlieferten Wortlaut erfolgt ist, ist die militàrische Hilfe, die die Rómer in Bedarfsfalle von einem Volk, das in einem von Rom
beanspruchten Territorium siedelte, auch eine Vorwegnahme spüterer Abkommen zwischen Germanenstámmen und der rómischen Regierung. Nach der Schlacht von Arausio berichten die Quellen von der Panik der Rómer, die in Erinnerung an die Gallierkatastrophe (Oros. 5,16,7: "Verum enim metus fuit, ne confestim Cimbri Alpes trans-
grederentur Italiamque delerant"; App., Ill. 4,10: “δέος
Κελτῶν
ἐς
ὅλην
τὴν ᾿Ιταλίαν
(52) Die Quelle Appians ist Carbo offensichtlich nicht wohlgesinnt (vgl. Dobesch, Die Kimbern in Illyrien und Appian, Illyriké 4,8-11, in: Festschr. S. Lauffer, Rom 1986, S. 196), so daB die Befürchtung eines Einfalls der Kimbern in Italien eher als Vorwand zu werten ist. (53) Caes., B. G. 1,12,5-7; Liv. per. 65; App., Celt. 1,3; Oros. 5,15,23 ff. Vgl. Jullian, III, S. 62 ff.; Chevallier, S. 85; Demougeot, L'invasion, S. 912.
(54) Gran. Lic. 33,11 (ed. Crin.): Liv. per. 67; Vell. 2,12,5; Plut., Mar. 16,9; 19,3; Oros. 5,16,1-7; Eutr. 5,1,1; Tac., Germ. 37; Val. M. 4,7,3. Vgl. Franke, S. 104 ff.; Dyson, S. 162; Rivet, S. 46. Über die Beteiligung beider Germanenvölker: T. Rice Holmes, The Roman Republic, Oxford 1923, S. 548 f. Auch wenn es sich um mit Kelten durchsetzte Scharen handelt, wird hier davon ausgegangen, daß die Masse Germanen waren (die entsprechenden antiken Zeugnisse bei Rice Holmes, S. 551): Vgl. D. Timpe in diesem Bd., S. 42 und passim. (55) Gran. Lic. 33,8; Liv. per. 65; Flor. 1,38,1; Vell. 2,12,2; Ascon. 60,71; Plut. Mar. 11,3 u. 24,4; 25,4. (56) Flor. 1,38,2: “ut... sibi terrae daret quasi stipendium, ceterum ut vellet (das römische Volk) manibus atque armis suis uteretur". Áhnlich Angebote haben die Rómer von dem Keltenkónigs Balanos erhalten (Liv. 44,14,1 f.), sie aber ebenfalls nicht angenommen.
(57) Diod. 16,73,3 (im J. 240). Vgl. St. Gsell, Histoire ancienne de l'Afrique du Nord, II, Paris 1918, S. 378. Das geht auch aus der Bestimmung des Friedenschlusses zwischen Rom und Karthago hervor (201), wonach es den Karthagern verboten war, unter Kelten und Ligurern Sóldner anzuwerben (App., Pun. 54,236; Dio C. fr. 75,82).
(58) Die von Rom angeworbenen keltischen Hilfstruppen unter Catmelus (Liv. 41,1,8; 3.5) waren jedoch keine Transalpiner (Dobesch, Aus der Gesch., S. 8).
20
Barbara Scardigli
evéBare”) (9), ihr Land, d. h. Italien, bereits von Barbarenscharen überrannt sahen (9?) und den Tag der Schlacht, wie den Niederlage an der Allia und bei Cannae, im Kalender als dies ater registrierten (61); nach Florus (1,38,6) wären die Germanen (in dem Fall die Teutonen) (€) sogar festen Glaubens gewesen, Rom zu erobern (1,38,4: von den Kimbern;
diese seien aber auch durch die Milde des oberitalischen Klimas verweichlicht worden und von dem kühnen Plan abgekommen). Vielleicht in Erinnerung an Brennus, behauptet Plutarch (Mar. 11,14), sogar die Germanen hätten nach ihren ersten Erfolgen beschlossen,
Sich nirgends eher festzusetzen als bis sie Rom erobert und ganz Italien (also von Süden bis zu den Alpen) zerstört hätten. Statt den errungenen Erfolg zu nutzen, bzw. in der richtigen Einschätzung ihrer Kräfte und Möglichkeiten, trennten sich die Germanenstämme jedoch vorübergehend (Plut. Mar. 14,11; Liv. per. 67; Obs. 43), vereinigten sich wieder und gingen nochmals jeder seine eigenen Wege, vielleicht mit dem Ziel, vom Osten und vom Westen her gleichzeitig in die begehrten Gebiete einzurücken: die Kimbern wandten sich erneut nach Osten und gelangten ohne Widerstand von Seiten der Römer, nach Oberitalien, wo ihnen der Konsul Q. Lutatius Catulus das transpadanische Gebiet kampflos überlassen musste (63). Marius hingegen gelang es, die in Richtung Westen vorstossenden Teutonen und Ambronen beim Versuch, die Seealpen (“Alpes, id est claustra Italiae": Flor. 1,38,6) zu überschreiten (vielleicht mit dem Ziel, sich in Ligurien festzusetzen), 102 im südlichen
Rhónetal bei Aquae Sextiae zu schlagen; ein Jahr spáter ereilte dasselbe Schicksal die Kimbern bei Vercelli ($5), das Velleius (2,12,5) als “diesseits der Alpen" liegend präsentiert, im Gegensatz zu dem "jenseits der Alpen" liegenden Aquae Sextiae (2,12,4). Die Kimbern, die von der Veroneser Klause (65) bis Vercelli durch das flache Gebiet jenseits des Po gewandert waren (Plut., Mar. 23,7) und dort den Winter 102/1 und die Zeit bis zum 30. Juli 101 verbracht hatten, liessen sich erst zur Schlacht bewegen, als sie vom Schicksal der Teutonen und Ambronen erfuhren (Plut. Mar. 24,4) (8). Dies würde die Annahme bestätigen, daß sie sich dort für immer niederzulassen gedachten und daß ihnen ein weiteres Vordringen nach Italien fernlag. Nach Plutarch (Mar. 11,3), dessen Aussage sicher nicht authentisch ist, aber dennoch
einen Kern
von Wahrheit beinhalten kónnte,
hätten sich die Germanen bei ihrer Suche nach Land bewußt auf das Beispiel der Kelten berufen, “τῆς ᾿Ιταλίας τὴν ἀρίστην κατασχεῖν, Τυρρνῶν dperopévovs”. Ihr Verweilen in der Poebene, in einem Gebiet, auf das die Rómer, wie wir gesehen haben, seit langem Anspruch erhoben, bedeutet also, daß es sich um die ersten “Germanen in Italien" handelt.
Die mit dem rómisch-italischen Gebiet immer enger zusammenwachsende Cisalpina stand
(59) Vgl. Eutr. 5.1,1 mit H. Callies, Zur Vorstellung der Römer von den Kimbern und Teutonen seit dem Beginn der Republik, in: Chiron 1 (1971), S. 341. S. auch die Reaktion auf Marius’ Sieg (Plut., Mar. 27,9 und unten) und das Echo in Cic., De prov. cons. 32. (5) S, die Massnahmen, von denen die Quellen berichten in Gran. Lic. 33,26-27; Plut., Ait. Rom. 25,269 E-270 D; Oros. 5,16,7; vgl. Callies, S. 344 ff.
(81) Plut., Lac. 28,8; vgl. Demougeot, L'invasion, S. 916; E. Rawson, Religion and politics in the late second century B. C. at Rome, in: Phoenix 28 (1974), S. 199: Bellen, S. 38.
(82) Vgl. R. Hachmann, Die Germanen, München-Genf-Paris 1971, S. 31 f. (€) Sartori, Verona Romana, S. 174 f. (Ἢ Liv. per. 68; Vell. 2,12,5; Plut., Mar. 24 ff.; Flor. 1,38,14; Eutr. 5,2,1-2; Oros. 5,16,9. (99) Plut., Mar. 232; Liv. per. 68, Flor. 1,38,11. Zur Lokalisierung: E. Sadée, ὄνον Berlin 1911, S. 60; Sartori, Verona Romana,
S. 173.
(55) Quellen und Bibliographie in Chevallier, S. 68 f.
und Germanen,
Zum Begriff Italien gegen Ende des 2. Jh. v. Chr.
21
Ende des 2. Jh. so weit unter römischer Kontrolle, daß die Siege über die Germanen als “Italia liberata" (Flor. 1,38,19) gefeiert werden konnten. Die große Niederlage bei Arausio
und der erste Sieg des Marius fanden dagegen in einem Gebiet statt, in dem Roms Herrschaft noch nicht gefestigt scheint und für das die Bezeichnung "Italien" noch nicht
zutrifft. Im 2. Jh. deckt sieh also die Bezeichnung ziemlich genau mit dem heutigen Italien, von den Inseln abgesehen. Die ersten Germanen, die versucht haben, sich dort niederzu-
lassen, waren Kimbern und Teutonen, wobei erstere wirklich in den Raum eingedrungen und dort besiegt worden sind, letztere schon vor der geplanten Vereinigung zu Fall kamen.
Kimberntradition und Kimbernmythos DIETER TIMPE *
Quellen a) Furcht vor dem Einbruch der Kimbern und Teutonen in Italien und Erinnerung daran b) Kimbern und Teutonen in Italien App. Illyr. 4,10 (ed. Viereck-Roos-Gabba)
ἐπιστρέφουσι λεμηκότων σφίσι ἅμα
τοῖς
è’ αὐτοῖς ἐς τὴν Ééw'Pwpaîor, δεδιότες ὑπὸ μνήμης τῶν προπέποΚελτῶν, μὴ καὶ οἵδε ἐς τὴν ᾿Ιταλίαν ὑπὲρ Αλπεις ἐσβάλοιεν, ἀπήντων
ὑπάτοις
καὶ
πανστρατιᾷ
διώλλυντο.
Caes. (ed. Du Pontet)
B. G. 1,33,3-4 Paulatim autem Germanos consuescere Rhenum transire et in Galliam magnam eorum multitudinem venire populo Romano periculosum videbat. Neque sibi homines feros ac barbaros temperaturos existimabat quin, cum omnem Galliam occupavissent, ut ante Cimbri Teutonique fecissent, in provinciam exirent atque inde in Italiam contenderent, praesertim cum Sequanos a provincia nostra Rhodanus divideret; quibus rebus quam maturrime occurrendum putabat. B. G. 2,29,4-5
Ipsi erant ex Cimbris Teutonisque prognati qui, cum iter in provinciam nostram atque Italiam facerent, eis impedimentis quae secum agere ac portare non poterant citra flumen Rhenum depositis custodiam ex suis ac praesidium, sex milia hominum, una reliquerunt. Hi post eorum obitum multos annos a finitimis exagitati, cum alias bellum inferrent alias inlatum defenderent, consensu eorum omnium pace facta, hunc sibi domicilio locum delegerunt. Flor. 1,88,10 (ed. Forster)
Certe rex ipse Teutobodus, quaternos senosque equos transilire solitus, vix unum, cum fugeret, ascendit, proximoque in saltu conprehensus insigne spectaculum triumphi fuit. Quippe vir proceritatis eximiae super tropaea sua eminebat.
* Dieter Timpe, geboren 1931, lehrt alte Geschichte an der Universitàt Würzburg. Schwerpunkte seiner Forschung: rómische Historiographie (u.a. Romano-Germanica. Gesammelte Studien zur Germania des Tacitus, erscheint 1994), rómisch-germanische Beziehungen (u.a. Der Triumph des Germanicus, 1968; Arminius-Studien, 1970); Mitherausgeber des Reallexikon der Germanischen Altertumskunde.
-23-
24
Dieter Timpe
Liv., per. 68 (ed. Rossbach)
C. Marius cos. summa vi oppugnata a Teutonis et Ambronibus castra defendit. duobus deinde proeliis cirea Aquas Sextias eosdem hostes delevit, in quibus caesa traduntur hostium CC, capta XC. Marius absens quinto cos. creatus est. triumphum oblatum, donec et Cimbros vinceret, distulit. Cimbri cum repulso ab Alpibus fugatoque Q. Catulo procos., qui fauces Alpium obsidebat * flumen Atisim castellum editum insederat relinqueret, t quae tamen virtute sua explicata fugentiem procos. exercitumque consecuta est, in Italiam traiecissent, t iunctisque eiusdem Catuli et C. Mari exercitibus proelio victi sunt; in quo caesa traduntur hostium CXL, capta LX. Marius totius civitatis consensu exceptus pro duobus triumphis, qui offerebantur, uno contentus fuit. primores civitatis, qui ei aliquamdiu ut novo homini ad tantos honores evecto inviderant, conservatam ab eo rem p. fatebantur. Oros. (ed. Lippold) 5,16,7
Maximus tune Romae non solum luctus, verum etiam metus fuit, ne confestim Cimbri
Alpes transgrederentur Italiamque delerent. 2,16,9
Igitur Marius quarto consul cum iuxta Isarae Rhodanisque flumina, ubi in sese confluunt, castra posuisset, Teutones Cimbri et Tigurini et Ambrones postquam continuo triduo circa Romanorum castra pugnarunt, si quo pacto eos excuterent vallo atque in aequor effunderent, tribus agminibus Italiam petere destinarunt. 2,16,14
Teutones autem et Cimbri integris copiis Alpium nives emensi Italiae plana pervaserant, ibique cum rigidum genus diu blandioribus auris, poculis, cibis ac lavacris emolliretur, Marius V consul et Catulus adversum eos missi, die ad pugnam et campo dato Hannibalis secuti ingenium in nebula disposuere pugnam, in sole pugnarunt. 5.16,20-21
Lugius et Boiorix reges in acie ceciderunt; Claodieus et Caesorix capti sunt. ita in his duobus proeliis CCCXL milia Gallorum occisa et CXL capta sunt, absque innumera mulierum multitudine, quae se suosque parvulos, femineo furore, vi autem virili necaverunt. Plin., Nat. hist. 35,25 (ed. Rackham)
Hinc enim ille Crassi oratoris lepos agentis sub Veteribus; cum testis compellatus instaret: ‘die ergo, Crasse, qualem me noris', 'talem', inquit, ostendens in tabula inficetissime Gallum exerentem linguam. in foro fuit et illa pastoris senis eum baculo, de qua Teutonorum legatus respondit interrogatus, quantine eum aestimaret, donati sibi nolle talem vivum verumque." Plut. (ed. Ziegler) Mar. 11.15
οἱ καὶ μάλιστα Tür dopdr αὐτῶι’ κακῶς Ayentodneror κατὰ τῆς Ponns ἐπεσπάσαι" το MKÜcarTes γὰρ οἷς ἐνέτυχοι καὶ χρημάτων; πολλῶν κρατήσαντες, Eyrwoar μηδαμοῦ γῆς ἑαυτοὺς tópbeur, mpi dr dvaTpédasot τὴν Ρώμην καὶ διαπορθησώσι re 1 ταλίαν,
Kimberntradition und Kimbernmythos
25
Mar. 24,4-7
καὶ γὰρ τοὺς dyyéAXovras ἠκίζοντο δεινῶς, kai τὸν Μάριον ἤτουν πέμψαντες ἑαυτοῖς καὶ τοῖς ἀδελφοῖς χώραν καὶ πόλεις ἱκανὰς Evorkeiv. ἐρομένου δὲ τοῦ Μαρίου τοὺς πρέσβεις περὶ τῶν ἀδελφῶν, κἀκείνων ὀνομασάντων τοὺς Τεύτονας, οἱ μὲν ἄλλοι πάντες ἐγέλασαν, ὁ δὲ Μάριος ἔσκωψεν εἰπών: “ἐᾶτε τοίνυν τοὺς ἀδελφούς: ἔχουσι γὰρ γῆν ἐκεῖνοι καὶ διὰ παντὸς ἕξουσι. παρ΄ ἡμῶν λαβόντες." οἱ δὲ πρέσβεις τὴν εἰρωνείαν «οὐ: συνέντες, ἐλοιδόρουν αὐτὸν ὡς δίκην ὑφέξοντα, Κίμβροις μὲν αὐτίκα,
Τεύτοσι 5’ ὅταν παραγένωνται. “καὶ μὴν mápeiow" ὁ Μάριος ἔφη “καὶ ὑμῖν ἀπαλλαγῆναι πρότερον ἢ τοὺς ἀδελφοὺς ἀσπάσασθαι. καὶ ταῦτα τοὺς βασιλεῖς φεύγοντες ὑπὸ
τῶν Τευτόνων Σηκουανῶν,.
προσαχθῆναι
δεδεμένους
ἑάλωσαν
γὰρ
οὐχ ἕξει καλῶς εἰπὼν ἐκέλευσε ἐν
ταῖς
"Akten
Strab. (ed. Jones)
7,2,2 p. 239 C Ταῦτά δὲ δικαίως ἐπιτιμᾷ τοῖς συγγραφεῦσι Ποσειδώνιος καὶ οὐ κακῶς εἰκάζει, διότι λῃστρικοὶ ὄντες καὶ πλάνητες οἱ Κίμβροι καὶ μέχρι τῶν περὶ τὴν Μαιῶτιν Ton cawTo στρατείαν, ἀπ΄ ἐκείνων δὲ καὶ 5 Κιμμέριος κληθείη βόσπορος, οἷον Κιμβρικός. Κιμμερίους τοὺς Κίμβρους ὀνομασάντων τῶν “Ἑλλήνων. φησὶ δὲ καὶ Bolovs τὸν "Epkü“νιον δρυμὸν οἰκεῖν πρότερον, τοὺς δὲ Κίμβρους ὁρμήσαντας ἐπὶ τὸν τόπον τοῦτον, ἀποκρουσθέντας ὑπὸ τῶν Βοΐων ἐπὶ τὸν Ἴστρον καὶ τοὺς Σκορδίσκους Γαλάτας καταβῆναι, εἶτ΄ ἐπὶ Τευρίστας καὶ Ταυρίσκους. καὶ τούτους Γαλάτας. εἶτ΄ ἐπὶ ᾿Ελουηττίους, πολυχρύσους μὲν ἄνδρας, εἰρηναίους δέ: δρῶντας δὲ τὸν ἐκ τῶν λῃστηρίων πλοῦτον ὑπερβάλλοντα τοῦ παρ΄ ἑαυτοῖς τοὺς ᾿Ελονηττίους ἐπαρθῆναι. μάλιστα δ΄ αὐτῶν Τιγυρινούς TE καὶ Twuyévovs, ὥστε καὶ συνεξορμῆσαι. πάντες μέντοι κατελύθησαν ὑπὸ τῶν Ρωμαίων, αὐτοί τε οἱ Κίμβροι καὶ οἱ συναράμενοι τούτοις, οἱ μὲν ὑπερβαλόντες τὰς "AAters εἰς τὴν ᾿Ιταλίαν, οἱ δ΄ ἔξω τῶν “Αλπεων. Register der zitierten Stellen App.
Asc.
Ill.
4,8-11: 29 m. A. 5 4,10: 37
Kelt.
1,3: A. 40, 42 m. A. 53
1,25,6: 36 m. A. 31
13: A. 40, 38 13,4: A. 48
1,28,5: 50 1,29,2: A. 81
60:41 m. A. 51
1,30,1-3: 38
Cic. Cornel.
Athenaios
1,14,6: 38 1,18,3: 38
ΤΊ: 41 m. A. 51
1,30,2: 42 m. A. 53
4,36: 52
1,31,3: 43
(sFGrHist 87 F 15,1) Caes. B.G. 1,1,4 (vgl. 12,1): A. 68 1,3,4: A. 48 1.5,1: A. 44 1,5,4: 40, 36, A. 31 1,6,3: A. 48 1,7,3-4: A. 48 1,7,4: 72 m. A. 53
1,31,9f.: 40 m. A. 49 1,31,7: 41 1,31,10: 41, 43, 44, 50, 52 1,81,11: 54 1,31,14: 48 1,32,5: 52 1,33,4: 43, 54, A. 4 1,34,3-4: A. 88
1,9: 38
1,36,2: 58
1,12,4-6: 42 m. A. 53 1,14,3: 38
1,36,2-7: A. 88 1,36,6: 52, 58
26
Dieter Timpe 1,36,7: A. 86
1,38,16 f.: A. 85
1,37: 44 1,37,3: A. 82 1,38,1: 52
Gel.
1,38,18: A. 29, A. 85 1,39,4: A. 85 3,9,7: A. 54
1,44,2: 49
Gran. Lic.
1,44,2-8: A. 88 1,51,2: 44 1,53,4: 51 1,54,1: 48 2,4,2: 48 2,4,9: 50 2,29: 44 2,29,5: 50
Cassius Dio
N. A.
Iul. Obs. Iust.
Hist. Phil.
,
33,3: A. 70
33,6-17: 41 f. m. A. 55 33,8: 42, A. 76 16: A. 36 43: 43 m. A. 59 32,3,1-11: A. 54 32,8,16: A. 24, A. 91 32,8: 37 6,34,4: 34 m. A. 19, A. 20
Livius
4,1,2: 47 m. A. 61 4,2,1: A. 69 4,16: A. 66 4,18: 48 5,39: 50 6,12,2: 49 6,22: 47 m. A. 61 7,71: A. 56 7,77,3: A. 57
33,37,10: 57 39,22,6: A. 90 39,45,6-7: A. 90 39,54,1-55,4: A. 90 40,55,5-6: A. 90 40,57,7: A. 35 43,1,4: 57, A. 36 per. 53: 57 per. 56: A. 35
7,77,12: 42, A. ΤΊ 7,77,14: 41 fr. 74,1: 57
per. 63-68: A. 4 per. 63: 38, A. 35 per. 65: 38, 41, 41 m. A. 50,
fr. 90: A. 54
A. 63, A. 76
fr. 91,1-4: 42 m. A. 55
per. 61: 38, 42 m. A. 55,
fr. 91,3: 42 fr. 94,2: 53, A. 79 Cicero
Balb. Div. in Caec. Verr.
Nat. deor. Diodor.
Ephoros (=Strabo) Eutr.
Florus
55,1,3: 35 32: 57 67:41 m. A. 51 2,2,118: 41 m. A. 51
48 m. A. 58, 59, A. 70, A. 74, A. 85
Luc. Orosius
Phars.
3,74: A. δά 4,97: A. 78 5,25,18: A. 89 5,28,4: 52 5,82,3-6: 29 m. A. 5 5,82,4: A. 89 34/35,37: 42 m. A. 55 7,292: A. 17 4,27,5: A. 50 5,1,1-2: 42 m. A. 55 5,22: A. τὸ
per. 68: 60 m. A. 96, A. 71, A. 94 1,255: 28 4,14,5: A. 89
4,14,15: A. 89 5,4,7: 57 5,15,23-24: 42 m. A. 53 5,15,25: A. 54 5,16,1-7: 42 m. A. 55 5,16,1: 60 5,16,4-7: 42 5,16,4: A. 79 5,16,6: 30 5,16,9: 59 m. A. 98, A. 94 5,16,14-21: A. 74
1,38,1-2: A. 52
5,16,14: 60 m. A. 96
1,38,1-3: 46, A. 4
5,16,17: A. 70
1,38,2: A. 76, A. 79 1,38,4: 41 f. m. AA. 50, 55 1,38,5: A. 94
5,16,17 ff.: 52 5,16,20: 35, A. 29 8,57: Α. 58
Plin.
N.h.
1,38,6: 60
3,134: 57
1,38,10: A. 74, A. 85 1,38,16: A. 70, A. 72, A. 73
3,148: A. 34 4,80: A. 91
Kimberntradition und Kimbernmythos
Plut.
Aem. P. Mare. Marius
27
4,97: 35, A. 15 4,99: A. 15, A. 16
25,4: 60 m. A. 98, A. 79,
35,25: 41
25,9: 52
37,35: A. 16 9,6-7: A. 85 3,1: A. 89 11,3-5: A. 4 11,3: 60
25,10-11: A. 72 25,10: A. 85 26,1: A. 70 27,1: A. 70 272-3: A. 85 27,6: 51, A. 70
A. 85
11,4: 34
11,5-11: 30 m. A. 9 11,6-11: 34 11,5: 33, A. 83
Sert. Polyb.
11,9: 34
11,13: A. 79 11,14: 30, 60 14,1: 43 m. A. 58, 59 14,10: 59, A. 79 15,5: 89 15,5-6: A. 70 15,6: 59 m. A. 94, A. 8, A. 79, A. 98 15,7: 52 m. A. 81, A. 70, A. 79 15,9: A. 70 16,83: A. 8, A. 79 18,1: A. 71 18,2: A. 70 18,3: 60 19,1: A. 72
19,4: 19,6: 19,9: 20,2: 20,4: 20,7: 20,9: 21,1: 21,4:
A. A. A. A. A. A. A. A. 52
Pomp. Mela Pomp. Trog. Prol.
28: A. 24
Poseidonios (=Athen.)6,233d: 30 m. A. 8 (=Strabo) 7,292: 30 m. A. 9
(Strabo) 7,293: 30 m. À. 9 2,11,7: 839 2,615: 30 m. A. 8 Schol. Ap. Rhod. 3,8,3: A. 39 2,102: 34 Strabo 4,188: 30, A. 54 4,188 f.: A. 58 4,192: 40 m. A. 49, A. 57 4,196: 49 4,197: A. 78 Ptolemaios
4,201: 42
4,205: 4,206: 4,213: 5,214: 5,216:
37 36, 57 38 34 m. 7,290: 35 7,291: 33,
22: A. 93
A. 31 m. A. 43, A. 40 m. A. 79, À. 20,57 47
7,292: 33 7,293: 34 m. A. 22, 36, 38,
23: 39 23,1: A. 93
39, A. 75 7,294: A.8, A. 73, A. 19,
23,2: 60 m. A. 96
23,3: A. 72, A. 85, A. 79 23,4: A. 70, A. 79
A; 85
23,7: 60 m. A. 96, A. 71 24: A. 97 24,8: 60 m. A. 96
25,1: A. 71
2,22-23: A. 89 2,28-31,2: A. 89 2,34,2: A. 89 2,35,4: 57 3,32: A. 15 32: A.35, A. 91
8, A. 70 8 72 8 70 79 70 70
24,4: 45, A. 29, A. 76 24,6: A. 97 24,7: A. 49, A. 57, A. 85
3,3: A. 73
Tac.
Germ.
1,295: A. 91 7,298: A. 91 7,304: A. 33, A. 91 7,313 £.: A. 91 7,318: A. 35 28,2: 34 m. A. 19, 39, A. 31 87,1: 53 m. A. 82 37,2: 29, 80, A. 15
28
Dieter Timpe
Hist.
42: A. 31 46,1: 35, A. 25
Inschriften
4,732: A. 88
Sylloge?
Timagenes (=Am. M.) 15,9,4: A. 17, A. 83 Vell. Pat.
2,8,3: 39 2,12: A. 4 2,12,2: 41 m. A. 50
495: 35, A. 24
CIL
12 48: 57
Inscr. Ital. Res Gestae
13,6604 f.: A. 47 13,1,79: A. 89 26,4: 33 m. A. 15, A. 30
1. Das Problem: das historische Phünomen und die Quellenperspektive
Zu den 'Germanen in Italien' gehóren die Kimbern nicht durch physische Spuren, die sie in der Geschichte des Landes hinterlassen hätten (), wohl aber dank der außerordent-
lichen psychologischen Wirkungen, die von ihnen ausgegangen sind. Gelten sie doch als eindrucksvollste Partner einer geschichtlichen Gegnerschaft zwischen Nord und Süd, die
von Fall zu Fall zu bewältigen, aber nie zu beenden war, als sinnfälliger Ausdruck jener Polaritàt aus barbarischer Kraft und hochzivilisatorischer Ordnung, die Furcht und Überlegenheit der einen Seite, Raubgier und Ehrerbietung der anderen so widersprüchlich prágten. Die Kimbern und Teutonen, denen Italien den Untergang bereitet hat, scheinen damit auch den Rómern zum Schicksal geworden zu sein: als Prototyp nord-barbarischer Bedrohung, als Prüludium unabsehbarer historischer Verkettungen, nicht zuletzt als
Nährboden rhetorisch-ideologischer Klischees, von denen der furor Teutonicus (Luc. 1,255) das bekannteste
und wirkungsmáchtigste
geworden
ist. Kimberntradition und
Kimbernmythos haben auf der Gegenseite vielfältige Entsprechungen in antiromanischer Reaktion, trotzigem Bekenntnis zu “nordischer” Aggressivitàt oder Verherrlichung des tragischen Unterganges gefunden (?). Denn ihre scheinbar unanfechtbare Legitimation und ständige Belebung beziehen jene Identifikationen mit dem vermeintlichen kimbrischen Erbe aus den antiken Quellen, nicht zuletzt aus dem berühmten und viel zitierten Urteil des Tacitus, das an kompositionell herausgehobener Stelle den Kimbernzug als den Beginn rómisch-germanischer Konfrontation bezeichnet und der Unerheblichkeit des verbliebenen Reststammes die ingens gloria der untergegangenen Wandervölker gegenüberstellt (Germ. 37,2) -- wie ja oft die Stereotypen der einen Seite die Dämonisierung der
(1) Die Cimbri der germanischen Sprachinseln der tredeci und sette communi nórdlich von Verona und Padua gehen nicht auf die Kimbern (so vielfach in der älteren deutschen Literatur, aber auch etwa Guida d'Italia, Veneto
19698, S. 303), sondern
auf bayerische
Einwanderer
des
13. Jhs. zurück: B. Wurzer, Die
deutschen Sprachinseln in Oberitalien, 11977 (Hinweis G. Neumann-Würzburg). (2) Doch sind hier nicht die fatalen Protuberanzen eines mit historisierendem Nationalismus und sozialdarwinistischer Hybris widrig durchsetzten Zeitgeistes erheblich, sondern dessen breite Verwurzelung in der seriósen Forschung und dem geschichtlichen Denken des 19. Jhs.; vgl. dafür drei beliebig herausgegriffene Beispiele: K. Müllenhoff, Deutsche Altertumskunde 2 (1906), S. 112: “Der Gigantomachie der griechischen Mythologie ähnlich stehen die Kimbernkriege im Anfange unserer Geschichte: sie sind der Anfang unseres Kampfes mit Gallien und mit Rom, der seitdem ununterbrochen sich fortsetzte und dessen Dauer... wir nun bald (1887) auf zwei Jahrtausende berechnen kónnen". - W. Capelle, Das alte Germanien,
1937, S.
19: "Dieses... Kapitel ist seinem Stoff nach wohl das großartigste des ganzen Buches... Der ganze Kimbernzug ist eine gewaltige Völkertragödie...” - E. Norden, Germanische Urgeschichte in Tacitus' Germania?, 1923, S. 470: "Der Cimbrorum exercitus... war der wilde Auftakt zu der germanischen Völkerwanderung,
in deren
Schlußdisharmonien
ein
halbes Jahrtausend
Imperiums aus den Fugen ging. Das ist allgemein anerkannt...”.
später der stolze
Bau
des
Kimberntradition und Kimbernmythos
29
anderen widerspiegeln. Der Anteil der Kimbern an den verzweigten Wegen der germani-
sch-italischen Beziehungen reicht deshalb weit über ihre eigentliche Geschichte hinaus; sich gleichwohl auf deren Analyse zu beschränken, hat aber die Chance, den Ursachen und Umständen des historischen Konflikts näherzukommen und mit der Klärung der Kimberntradition zur Aufklärung des Kimbernmythos beizutragen. Solchem Vorhaben zieht freilich die Lage der Überlieferung enge Grenzen, “ungleich, lückenhaft und widerspruchsvoll”
(M. Ihm, in: RE
3, S. 2547, nach K. Müllenhoff,
Dt.
Altertumskd. 2, S. 121) wie sie ist, und, entgegen langen Erwartungen, durch archäologische Funde und Befunde nicht entscheidend zu verbessern (ὃ). In der Tat lassen die erhaltenen Quellen wesentliche Zusammenhünge und Hintergründe der Kimberngeschichte in einem Dunkel, das kein Scharfsinn erhellen kann. Die Dramatik der Untergänge und parteiisch ausgemalte marianische Ruhmesgeschichte berühren den Komplex als ganzen nur in einem äußersten Punkt. Die einseitige Kenntnis der Vorgänge bereits bei den Zeitgenossen, die Sicht vom
Ende und tödlicher Konfrontation her, der verkürzte - und
allenfalls spekulativ erweiterte — rómische Horizont mithin, setzen aber nicht nur unserer Kenntnis der geschichtlichen Vorgünge
Grenzen, sie fordern auch dazu heraus, die per-
spektivischen Verkürzungen angemessen in Rechnung zu stellen. Die antiken
Reaktionen
auf die Kimbernbegegnung
liegen auf unterschiedlichen
Ebenen, aber gehorchen bei aller Verschiedenheit ausnahmslos einem Konfrontationsmodell (4). - Die diffuseste, aber auch emotional erregteste Reaktion spricht aus der Assoziationskette, die vor allem die Zeugnisse Diodors und Appians verraten (5). Danach steht das zutiefst fremdartige, ráuberische Wesen der Invasoren im Vordergrund: Armut, Wildheit und Habgier verbinden sich zu einem Psychogramm, das klimazonentheoretisch mit nórdlicher Extremlage, moralisch mit Asebie und abnormer Grausamkeit verbunden
erscheint. Historischer Prototyp dieses Verhaltens sind die Kimmerier einerseits, die Italien heimsuchenden und Delphi plündernden Kelten andererseits; mit ihnen werden die Kimbern pseudo-etymologisch verknüpft. Das läßt das Kimbernerlebnis in einen historischen Erfahrungshorizont einordnen, mobilisiert Erklärungsweisen und formt vergangene Ereignisse und halbmythische Bilder zu aktuellen Verstehensmustern. Aus der geschichtlichen Aufgabe, diese Gefährdungen abzuwehren, nährt sich schließlich die römische Zivilisationshüterfunktion, die zugleich die Vorstellung programmiert, daß die Nordvölkerinvasion, weil sie an der Ordnung des Imperiums scheiterte, auch gegen sie gerichtet war. Dieses Motiv erklärt zwanglos so konfuse Verknüpfungen wie die zwischen keltischer Pliinderung Delphis und kimbrischem Erscheinen im illyrischen Raum oder die zwischen helleno-galatischer Herrschaft in Kleinasien und Kimbernsiegen über römische
(3) W. Schulz, Archäologisches zum Kimbernzug, in: Forsch. und Fortschr. 9 (1933), S. 2f.; R. Hesse, Der Kimbernzug. Versuch seiner Festlegung auf Grund der vorgeschichtlichen Bodenfunde, Diss. Berlin 1938; K. Waller, Zur Archäologie der Kimbern, in: Hammaburg 13 (1961), S. 67 ff. (und s. u. Anm. 18); F. Schlette, Zum Problem vor- und frühgeschichtlicher Wanderungen und ihres archäologischen Nachweises, in: Archäologie als Geschichtswissenschaft 1977, S. 39 ff.; konventionelles Résumé in: B. Krüger (Hrsg.), Die Germanen I, 1959, S. 196 ff. (F. Horst). (3) Durch klischee- und formelhafte Verkürzung besonders instruktiv: Caes., B. G. 1,33,4; Flor. 1,38,1-3; Liv., Per. 63-68; Oros. 5,16,1-7 (Livius-Tradition); Vell. 2.12; Plut., Mar. 11,3-5; 11-14. (5) Diod. App. Ill. 4,8,11; Diod. Sic. 5,32,3-6. Vgl. G. Dobesch, Die Kimbern in Illyrien und App. Ill. 4,811, Studien zur Alten Geschichte (Festschrift S. Lauffer) 1, 1986, S. 171 ff.
30
Dieter Timpe
Heere (5). Hier verschwimmt jede chronologische und sachliche Prüzision, aber werden kulturanthropologische Typen in dualistischer Schàrfe polarisiert. Dem läßt sich das verstehende Bemühen und das distanzierende historische Beschreiben des Poseidonios entgegensetzen, dessen Spuren wir vor allem bei Strabo, in der plutarchischen Mariusbiographie und bei Athenaios fassen (?). Das Erlebnis des Schreckens geht hier ein in Sammeln, Ordnen und Verknüpfen eines reichen Materials; in einem vielschichtigen Erklärungszusammenhang finden sinnliche Anschaulichkeit, harmonisierender Umgang mit Überlieferungen und Zeugnis der Beteiligten (5) einen Platz. Auch für den stoischen Historiker sind die Kimbern Räuber mit einem bedeutungsträchtigen Namen (9), aber erst durch den Erfolg betórt fassen sie den Entschluß, Rom anzugreifen (Plut., Mar.
11,14): Das kimbrische Phänomen
hat naturhafte Wurzeln, die deshalb
auch mit Aufmerksamkeit diskutiert werden, aber die Ereignisse haben doch ihren einmaligen Platz in prozeßhaft verstandener Geschichte. Dies erlaubt auch nachdenklich-kritische Umkehrung der alten Topoi: So steht der ráuberischen Goldgier der Wandervólker das eindrucksvolle Bild der furchtbaren, aber von Besitzgier freien Opferung der Schlachtbeute gegenüber (Oros. 5,16,6); die Tektosagen, Teilhaber des Frevels am delphi-
schen Apollo, heiligen ihre Beute in der Weihung von Tolosa, während Caepio, der habgierige römische Imperator, sich als Tempelräuber erweist (Strabo 4,188; letzteres nach Timagenes). Die große, die Überlieferung zusammenfassende historische Synthese des Poseidonios arbeitet die aus naturhaften Lebensformen kommende Dramatik der geschichtlichen Vorginge heraus, aber versóhnt auch die Gegensütze durch Übergünge und Entwicklungsmöglichkeiten. Noch eine andere Ebene fassen wir schließlich im späten Urteil des Tacitus (G. 37,2):
“sescentesimum et quadragesimurn annum urbs nostra agebat, cum primum Cimbrorum audita sunt arma Caecilio Metello et Papirio Carbone consulibus...” Das Kimbernereignis ist hier aller atmosphárischen Fürbungen entkleidet, aber wird um so markanter als Epochendatum festgeschrieben. - Wertungen und Ursachenergründung spielen dabei keine Rolle, aber die Bedeutung als Anfang eines weitreichenden geschichtlichen Zusammenhanges tritt hervor. Der Zusammenstoß mit den Kimbern und Teutonen bekommt die Funktion eines Auftaktes des seither bestehenden rómisch-germanischen Gegensatzes, dessen historischer Rang sub specie der trajanischen Zeit bestimmt werden soll. Zeitlicher Abstand und Subsumtion des Kimbernereignisses unter eine Thematik, die erst der caesarische Germanenbegriff und kaiserzeitliche Erfahrung mit dem mitteleuropàischen Raum ermöglicht haben, reduzieren hier den singulären geschichtlichen
(8) s. Dobesch (wie vor. Anm.), S. 186 ff. (^) K. Müllenhoff (wie Anm. 2), S. 126 f.; E. Norden (wie Anm. 2), S. 59 ff.; J. Malitz, Die Historien des Poseidonius, 1983, S. 198 ff. dazu die Kommentare: F. Jacoby, in: FGrHist. 87 (II A, 1925, S. 222 ff); W. Theiler, Poseidonius. Die Fragmente 2, 1982, S. 111 f. (Frg. 188 ff.); L. Edelstein - I. G. Kidd, Posidonius 2, 1988, S. 922 ff. (Frg. 272). (8) Die sinnliche Dimension zeigt sich im auffallenden Empfinden für Akustisches, z. B. Plut., Mar. 15,6;
16,3; 19,4.6; 20,2; Strabo 7,294. - Konziliatorische Kritik an Rhipien und Hyperboräern: Athen. 6,233 d; Schol. Apoll. Rhod. 2,675. - Zu den Quellen: B. Scardigli, Die Rómerbiographien Plutarchs, 1979, S. 74 ff.; Malitz (wie vor. Anm.), S. 199 ff. (9) Poseidonios scheint die Erfahrung der Plünderung durch die Wandervölker (Caes., B. G. 2,4,2) mit der Theorie eines klimatisch bedingten räuberischen Habitus und mit sprachlich-etymologischen Argumenten verknüpft zu haben (Strabo 7,292; 293; Plut., Mar. (wie Anm. 11), S. 98 ff.; Malitz (wie Anm. 7), S. 207 f.
11,5-11). Weitläufig dazu Gutenbrunner
Kimberntradition und Kimbernmythos
31
Gegenstand zum Glied (wenn auch ersten) in einer gedachten Reihe. Diesem Verfahren liegen demnach viele gedankliche Prämissen zugrunde, aber in gleichsam chronologischer Skelettierung tritt dabei die Aussage hervor, daß mit der Schlacht von Noreia im Jahr 113, in der der Consul Cn. Papirius Carbo die Stärke der Kimbern erfahren mußte, die direkte Konfrontation mit den nördlichen Invasoren begann. Trotz großer Unterschiede in Niveau, Kenntnisstand und historischer Perspektive ist die dem antiken Zeugen natürliche — und uns allein zugängliche! - Sicht der Dinge in all diesen Konzeptionen nicht zu verkennen: Der Kimbernsturm ist danach eine Aggression
barbarischer Rüuber gegen das rómische Italien, ja gegen die mediterrane Kulturwelt, die unter schrecklichen Opfern für die Verteidiger und in einem entsetzlichen Untergang der hybriden Invasoren selber schließlich abgeschlagen wird. Diese romazentrische Betrachtung weithin doch rätselhafter Vorgänge verdeckt andere Möglichkeiten, sie zu verstehen, vor allem die, daß nur der Konflikt mit dem Imperium einen im übrigen vielleicht typischen Vorgang zu historischer Einzigartigkeit erhob, daß nur durch ihn bekannt wurde, was in anderen, ähnlichen Fällen auch geschah, ohne jedoch historische Spuren zu
hinterlassen (!?). Die Scheidelinie, die die schriftliche Bezeugung, d. ἢ. die Aufmerksamkeit der hochkulturellen Welt, gegen die nicht erinnerte Unendlichkeit prähistorischer Ereignisse zieht, fallt mit dem Unterschied zwischen Bedeutendem und Irrelevantem nicht zusammen;
und auch die schriftlich fixierte Erinnerung gehórt notwendigerweise
einem erinnernden Subjekt, dessen Auffassung der Intention des erinnerten Objekts keineswegs entsprechen muß. Die eingehenden modernen Bemühungen, die Kimbernwanderung als individuellen Vorgang mit den Mitteln der Quellenkritik zu erhellen, also die Fragen der Motivation des Auszuges, des Wanderweges, der Organisation und Zusammensetzung der Wandervélker sowie der politischen Planung und Zielsetzung einer Lösung näherzubringen (!!), haben jener Überlegung den Boden nicht entzogen; die Konzentration auf die konkreten Einzelheiten der Kimberngeschichte ist wohl auch weniger geeignet, die grundsätzlich einseitige römische Perspektive, das den literarischen
(10) Vgl. De Vries (wie Anm. 11), S. 104; G. Dobesch, Die Kimbern in den Ostalpen und die Schlacht bei Noreia, in: Mitteil. d. österr. Arbeitsgem. f. Ur- u. Frühgesch. 32 (1982), S. 52. (11) Die Schwerpunkte dieser Forschung liegen im Topographisch-Geographischen und Strategischen, sowie bei den Fragen der Herkunft und des Ethnos der Kimbern und Teutonen; das hier erörtete Problem ist kaum berücksichtigt worden. - Benutzt wurden folgende Arbeiten: C. Jullian, Histoire de la Gaule 3, 1920, S. 39 ff.; E. Sadée,
Römer
und Germanen
1, 1911, S. 19 ff.; E. Norden
(wie Anm.
2), S. 59 ff.; K.
Weickelt, Die Schlacht bei Aquae Sextiae, Diss. Leipzig 1928; R. Weynand, in: RE S. 6 (1935), Sp. 1383 ff. (s. v. Marius); L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme, Die Westgermanen 1?, 1938, S. 3 ff.; S. Gutenbrunner, Germanische Frühzeit in den Berichten der Antike, 1939, S. 95 ff.; W. J. Becker, Die
Völkerschaften der Teutonen und Kimbern in der neueren Forschung, in: Rh. Mus. 88 (1939), S. 52 ff.; 101 ff.; E. Sadée, Die strategischen Zusammenhänge des kimbrischen Krieges 101 v. Chr., in: Klio 33 (1940), S. 225 ff.; F. Miltner, Der Germanenangrif auf Italien in den Jahren 102-101 v. Chr., in: Klio 33 (1940), S. 289 ff.; F. Stähelin, Die Schweiz in römischer Zeit?, 1948, S. 53 ff.; J. de Vries, Kimbren und Teutonen (1951), in: E. Schwarz (Hrsg.), Zur germanischen Stammeskunde (W. d. F. 249), 1972, S. 104 ff.; K. Völkl, Zum taktischen Verlauf der Schlacht von Vercellae (101 v. Chr.), in: Rh. Mus. 97 (1954), S. 82 ff; A. Donnadieu, La
campagne
de Marius
dans
la Gaule Narbonaise,
in: R. E. A. 56 (1954), S. 281 ff.; E. Valgiglio,
Considerazioni sulla storia dei Cimbri e dei Teutoni, in: RSC 3 (1953), S. 3 ff.; E. Schwarz, Germanische Stammeskunde, 1965, S. 54 ff.; E. Koestermann, Der Zug der Kimbern, in: Gymnasium 76 (1969), S. 310 ff.;
H. Callies, Zur Vorstellung der Rómer von den Kimbern und Teutonen seit dem Ausgang der Republik, in: Chiron
1 (1971), S. 341 ff.; E. Demougeot,
L'invasion des Cimbres-Teutons-Ambrons
et les Romains,
in:
Latumus 37 (1978), S. 910 ff.; B. Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, Messina 1992, S. 11.
32
Dieter Timpe
Quellen inhaerente Verständnismodell der Konfrontation als solches zu erfassen und gar zu korrigieren. Die neueren Ansätze dagegen, aus prähistorischer und ethnosoziologischer Sicht Wandervorgänge und ethnische Dynamik, Randbarbarenproblematik und Akkulturationsprozesse im alten Norden der mediterranen Oikoumene besser zu verstehen (12), haben sich auf die Probleme der überlieferten Kimberngeschichte kaum eingelassen.
Bei diesem Forschungsstand verdient die detailliert begründete Auffassung von G. Dobesch besonderes Interesse, derzufolge die Wandervólker im wesentlichen eine Raubexistenz lebten. Das Motiv der Landsuche wird deshalb mit dem Hinweis auf eine grundsätzliche Umstellung der Lebensweise zurückgewiesen; die schwer verständliche Route der Kimbern und Teutonen bis zu ihrem Einfall in Italien erklärt Dobesch aus einem “Abgrasen” immer neuer Länder und der Suche nach “noch unausgeschüpften Möglichkeiten des Raubens”. “Ein solches Volk ist... mit einem Heuschreckenschwarm zu vergleichen, der alles kahl frißt und hierauf zu noch unberührten Gebieten weiterzieht” (1); Die bemerkenswerte Folgerung lautet, “daß die Wandervölker (auch) im Jahr 102 nur einen Raubzug nach Italien planten", der aber erst dann unternommen worden sei, “als sich keine andere Möglichkeit mehr bot. Böhmen, der Donauraum, die Ostalpen und das óstliche Mitteleuropa waren erprobt bzw. abgeerntet, mit den Helvetiern waren (die Kimbern und Teutonen) offenbar befreundet, Iberien und die Belgica hatten sich als nicht lohnend erwiesen, Gallien war völlig ausgesogen" (a. a. O., S. 64). Italien bildete hiernach also gar kein originäres Ziel der Wanderung, die Kimbern strebten nicht der großen Konfrontation mit dem Imperium zu; das Anwachsen der Wanderbewegung mit dem Erfolg, aber auch die Schwierigkeiten, großen Menschenmassen Unterhalt zu verschaffen, werden in Rechnung gestellt.
Dobesch argumentiert quellennah, und seine These ist anregend, weil sie die romantischvolkstumsgeschichtliche Betrachtungsweise hinter sich läßt, ethnologische Typen zum Vergleich heranzieht und die oben beschriebene, romazentrische Verengung der literarischen Überlieferung überwindet. Italien ist nicht das immer feststehende Ziel der Völkerlawine, im Aufbruch der Kimbern ist nicht die Polarisierung zwischen Römern und Germanen angelegt. Aber die Vorstellung der heuschreckenartigen Raubexistenz ist doch zu metaphorisch und schematisch, um die Wege und Entschlüsse der Kimbern verständli-
ch machen zu können; sie nimmt nur ein antikes Klischee auf, das zur Erklärung der Sache wenig beiträgt. Fraglos und zu Recht erschienen die Wanderstämme den Zeitgenossen als
(12) R. Wenskus, Stammesbildung und Verfassung, 1961, hier bes. S. 374 ff.; K. Peschel, Die Kelten als Nachbarn der Germanen, in: Ztschr. f. Arch. 4 (1970), S. 1 ff.; ders., Germanische Besiedlung im Mittelgebirgsraum, 1918; ders., Germanen und Kelten, in: B. Krüger (Hrsg), Die Germanen 1,1979, S. 232 ff.; ders., Kelten und Germanen während der jüngeren vorrömischen Eisenzeit (2.-1. Jh. v. u. Z.), in: Frühe
Völker in Mitteleuropa, 1988, S. 67 ff.; K. Godlowski, Zu Besiedlungsveründerungen in Schlesien und den Nuchbarráumen während der jüngeren rorrümischen Eisenzeit, in: Beiträge z. Randbereich der Latenekultur, Krakau 1978, S. 107 ff.; Z. Wozniak, Der Besiedlungswandel in den germanischen Gebieten während der jüngeren Latenezeit..., in: Les mouvements celtiques du V* au I” s.a. n. e., 1979, S. 213 ff. R. Müller, Die Grabfunde der Jastorf- und Latenezeit an unterer Saale und Mittelelbe, 1985. (18) Vgl. Dobesch (wie Anm. 10), S. 58 ff.; 64; 68: ders., Historische Fragestellungen in der Urgeschichte, in: S. Deger-Jalkotzy, Griechenland, die Ägäis u. d. Levante während der "dark ages" v. 12.-9.
Jh. v. Chr, in: ÖAW
Phil.-h. Kl. SB 148 (1983), S. 179 ff.
Kimberntradition und Kimbernmythos
33
“Räuber”, aber warum sie diese Lebensform wählten, wie sie sie praktizieren konnten und
welche Wirkungen dabei im Spiel waren, das ist damit nicht gesagt. Die elementare, aber nichtsdestoweniger offene Frage lautet deshalb, wie das kimbrische Phänomen historisch zu begreifen ist. Eine direkte Antwort darauf kann den nicht nur lückenhaften, sondern auch generell einseitigen Quellen, die über Motive der Wanderungsbewegung keine authentische Auskunft geben, nicht entnommen werden. Zu prüfen bleibt aber, was der Zusammenhang des Kimbernzuges selbst darüber verrät, wenn er nicht unter der Voraussetzung eines an Hindernissen seltsam reichen Weges nach Italien, aber auch nicht der einer räuberischen Beliebigkeit analysiert wird, die kei-
ner Erklärung fähig und bedürftig ist. 2. Die kimbrische Bewegung: der äußere Verlauf
Von
Herkunft,
Weg
und
Absichten
der Kimbern
und
Teutonen
vor ihrem
Zusammenstoß mit dem Consul Carbo in Noricum im Jahr 113 hatten die Römer nur undeutliche Kenntnisse, die Poseidonios ordnete und zusammenfaßte. Ihre Heimat sollte am nördlichen Ozean liegen (Strabo 7,291; Plut., Mar. 11,5); im strabonischen Exzerpt (7,292) heißt sie beiläufig und ohne Begründung: Halbinsel (Chersonesos); eine karto-
graphisch präzise Vorstellung darf dabei nicht vorausgesetzt werden. Die Identifikation der Kimbernhalbinsel mit dem nördlichen Jütland (11) beruht einerseits auf der - auf die moderne Karte projizierten - augusteischen Behauptung, die römische Flotte wäre bei der Exploration der Nordseeküste auf Kimbern gestoßen, die sich zu ihrer Identität bekannt
hätten ('°), und andererseits dem dänischen Landschaftsnamen Himbersysszl (Himmerland), dessen Zusammenhang mit dem Kimbernnamen unwiderlegt ist. Dazu kommt die reichere und ältere, wenn auch weniger präzise Bezeugung des Namens der Teutonen in der Region (!/9). - Landverlust durch Einbruch des Meeres ist als
Auswanderungsmotiv offenbar schon früh genannt worden, denn Poseidonios setzt sich damit auseinander. Aber diese Ansicht kann eine bloße Hypothese sein, sie setzte jedenfalls ältere, hier vielleicht nur zugespitzte Anschauungen über den Kampf der Ozeananwohner mit dem Meer voraus (!*). Die Schwierigkeiten, Gezeiten und Sturmfluten zu unterscheiden, hat die Interpreten, auch noch Poseidonios, verwirrt, der eine ungewöhnlich große Flut (πλημμυρίς) als mögliche Ursache der Auswanderung zwar ausschloß (Strabo 7,292), aber einen “nicht einmaligen Angriff des Meeres” (θαλάττης
(14) Gegen die von L. Weibull, Upptäckten ar den skandinaviska Norden, in: Scandia 7 (1934), S. 30 ff. und O. Scheel, Das Problem der Kimbernsitze, in: Geschichte Schleswig-Holsteins 2 (1939) vertretene These, die Kimbernheimat habe westlich der Elbe gelegen, halten G. Schütte, Die Sitze der Kimbern, in: Z. d. Ges. f. schlesw.-holst. Geschichte 67 (1939), S. 377 ff.: B. Melin, Die Heimat der Kimbern, 1967 an der nordjütischen Herkunft fest. Vgl. aber die gut begründete methodische Skepsis von R. Hachmann, Rez. Melin, in: Gnomon 34 (1962), S. 56 ff., hinter die der Versuch von K. Waller (wie Anm. 11), an Hand einer Leitform die Kimbern in Dithmarschen und im Lande Wursten zu lokalisieren, zurückfällt. (1^) Res g. 26,4 (hier mit Haruden
und Semnonen);
vgl. Strabo 7,293 (indirekte
Bezeugung
von Sitzen
westlich der Elbe); Plin. 4,97; 99 (als Teil der Ingvaeonen); Mela 3,32; Tac. Germ. 37,2. Zum dänischen Landschaftnamen: Melin, a. a. O., S. 64 ff. (dazu aber Hachmann, a. a. O., S. 57).
(1*) Der Teutonenname bei Plin. nat. hist. 4,99; 37,35; vgl. H. Philipp, in: RE δὰ (1934), Sp. 1177 ff.; K. Kraft, Tougener und Teutonen (1957), in: Ges. Aufsätze 2. ant. Gesch. u. Militürgesch., 1973, S. 132 ff.
(!1*) Ephoros bei Strabo 7,292 (Kimbern kämpfen mit Waffen gegen das Meer; Kelten lassen ihre Häuser überschwemmen, um sich in den Furchtlosigkeit zu üben); Timagenes bei Amm. Marc. 15,9,4 (Auswanderung rechtsrheinischer Stimme wegen Landüberflutungen nach Überlieferung der Druiden).
34
Dieter Timpe
ἔφοδος οὐκ ἁθρόα συμβᾶσα) -- vielleicht aus tektonischen Ursachen - als solche vermutete (Strabo 2,102). Dabei scheint jedoch mehr die Hypothesenfreudigkeit des Naturphilosophen als das Erklärungsbedürfnis des Historikers am Werk gewesen zu sein. - Die Verknüpfung der Kimbern mit den Kimmeriern, durch den Namensanklang veranlaßt und zur Erklärung der kimbrischen Räuberexistenz bemüht, setzt die bei Plutarch (Mar. 11,6-11) erwähnten geographischen und ethnographischen Vorstellungen voraus. Danach verbindet der Nordrand der Oikoumene Keltike und Skythike, was die Herkunft der Kimbern von den Kimmeriern oder ihren Zusammenhang erklären soll. Gegenüber solchen Vermutungen referiert die Plutarch-Vita aber auch die nüchterne Feststellung, daB die Herkunft der Kimbern und ihr Weg in die zivilisierte Zone unbekannt seien; wie eine Gewitterwolke seien sie über Gallien und Italien hereingebrochen. ᾿Αμειξία der Eindringlinge und weite Entfernung ihres Ursprungslandes erklüren diesen Eindruck (11,4).
Das nórdliche Dunkel und Waldland sollten bis an den hercynischen Wald reichen (11,9); daraus ergab sieh wohl dessen Nennung als angeblich erster Station der Wandervólker und das Fehlen anderer Fixpunkte auf dem Wege dahin. Es ist deshalb nicht verwunderlich, daß über Elb- oder Oderweg der Kimbern keine Entscheidung getroffen werden kann (8). Auch die Lokalisierung der Boier am hercynischen Wald (19) dürfte eher die Vorstellung von Sitzen am Rand der zivilisierten Zone (wohin die gut bekannten Boier ausgewichen sein sollten) (2°) implizieren als ein konkretes Wissen um bestimmte boische Siedlungsgebiete bezeugen. Nur durch Kombination mit Nachrichten über boische Wanderungen kommen die vagen modernen Vermutungen über Boier in Franken, Böhmen oder Schlesien zustande (?!). Auf diese Boier am hercynischen Wald sollten die Kimbern nach Poseidonios getroffen und von ihnen "abgewehrt" worden sein, um daraufhin zur Donau und zu den Skordiskern zu ziehen (22). Ob demnach die Kimbern ihr ursprüngliches Ziel aufgaben und ein neues wühlten oder ob sie auf dem Weg nach Süden nur zu einer anderen Route genótigt wurden, bleibt unklar und war auch für den Historiker, der nicht über prüzise geographische Vorstellungen verfügte, kaum eine wesentliche Frage (235). Hier bietet sich aber ein
(13) Den Oderweg empfehlen Schulz, Der
Wanderweg
mit prühistorischen und historisch-geographischen
der Kimbern
zum
Gebiet der Boier,
Argumenten
W.
1929, in: E. Schwarz, ἮΝ. d. F. 249 (wie Anm.
11), S. 17 ff.; M. Jahn, Der Wanderweg der Kimbern, Teutonen und Wandalen, 1932, ebd., S. 41 ff.; E. Schwarz, Germanische Stammeskunde (wie Anm. 11), S. 56. Andere (L. Schmidt, wie Anm. 11, S. 9; Koestermann, wie Anm. 11, S. 315) halten am Elbweg fest; allgemeine Erwügungen sprechen eher für die erste Auffassung: beweiskräftige Argumente fehlen. (19) Liv., 5,34,4 (keltische Wandersage; dazu B. Niese, Zur Geschichte der keltischen Wanderungen, in: Ztschr. f. dt. Altertum u. dt. Lit. 42 (1898), S. 129 ff.); Strabo 7,290; Tac. Germ. 28,2. Vgl. K. Müllenhoff, Dt. Altertumsk. 2, S. 240 ff.; 4, S. 391; F. Haug, in: RE 8 (1912), Sp. 614 ff.
(2°) Einwanderungen
von Gallien zum hercynischen Wald: Liv., 534,4; von Italien: Strabo 5,213; 216.
Die Kriege der Boier im Italien des 3. und 2. Jh. füllt die analistische Überlieferung: E. Campanile, 7 Celti d'Italia, 1981; S. Fasce, Le guerre galliche di Livio e l'epopea mitologica celtica, in: Maia 37 (1985), S. 27 ff. (21) Z. B. bei J. Filip, Enzyklopädisches Handbuch zur Vor- und Frühgeschichte Europas 1, 1966, S.
138; H. Callies, in: RGA?3 (1978), S. 206.
(2) Strab. 7,293: “φησὶ [sc. Poseidonios] δὲ καὶ Βοίους Tor Epkirtor. δρυμὸν οἰκεῖν πρότερον, τοὺς δέ Κίμϑρους ὁρμήσαντας ἐπὶ Tor τόποι’ τοῦτον, droxpouobértas ὑπὸ τοι" Botwwe ἐπὶ τὸν Ἴστρον καὶ τοὺς Σκορδίσκους Γαλάτας καταβῆναι... (25) Der Weg zur Donau vom Mittelgebirgsrand müßte durch Böhmen oder Mähren (Glatzer Berge) geführt haben; es ist nicht klar, worin die Abweichung vom ursprünglichen Weg bestanden haben kann, deutlich ist nur die Vorstellung des "Herabsteigens" (kara 3aiveu).
Kimberntradition und Kimbernmythos
Zusammenhang zur Erklärung an, der keinem antiken nen Kommentatoren jedoch schon oft betont worden und Skiren zur unteren Donau Ende des 3. Jhs. und Schlesien, die südwärts gerichtete Wanderbewegung nischer”
Herkunft,
archäologisch
35
Historiker bewußt war, von moderist: das Vordringen der Bastarner die Einwanderung der Vandalen in von Gruppen und Stämmen “germa-
faßbar in Funden
der Jastorf-Kultur
in fremder
Umgebung. Auch die Bastarner (22) haben erst die Aufmerksamkeit
antiker Beobachter auf sich
gezogen, als sie in Bessarabien auftauchten, die Daker schlugen, die Pontosstädte bedrohten und als Bündner und Söldner hellenistischer Mächte eine Rolle spielten. Im neuen Milieu stark assimiliert blieb ihre nördliche Herkunft doch soweit erkennbar, daß sie für
Skythen oder Kelten (Galater), in der Kaiserzeit schließlich für Germanen erklärt wurden: sermone cultu sede ac domiciliis ut Germani agunt, sagt Tacitus noch am Ende des 1. Jhs. n.
Chr.
von
ihnen
(Ger.
46,1).
Auch
bei
umstrittener
Identifikation
mit
der
Gesichtsurnenkultur im Weichselgebiet bleiben sichere archäologische Indizien eines Weges elbgermanischer Elemente in die Moldau und zur unteren Donau (25). - Die Skiren, deren Name germanisch verständlich ist (“die Reinen”), und die vielfach mit den Bastarnen zusammen auftreten, erscheinen zuerst (möglicherweise mit diesen gemeinsam) im 3. Jh. am Schwarzen Meer (Syll.?495: eine Symmachie aus Γαλάται
καὶ
Σκίροι bedroht
Olbia) und werden gewöhnlich am Karpathenrand lokalisiert. Auf ihre nördliche Herkunft wirft die isolierte, aber vermutlich alte Nachricht des Plinius (n. h. 4,97) ein ungewisses Licht, wonach sie als Nachbarn der Sarmaten, Venedae und Hirri die Ostseeküste bis zur
Weichsel bewohnten (2%). - Die Vandalen, deren Name (in Οὐανδαλικὰ ὄρη, wohl für das Riesengebirge) in der Überlieferung der römischen Okkupationsfeldzüge erscheint (Dio 55,1,3) sind einerseits in den Verband der Lugier in Schlesien eingegangen, die zuerst als Mitglieder des Marbodreiches (Strabo 7,191) genannt werden (27), andererseits weisen namenskundliche und archáologische Spuren auf ihre Verbindung zu Jütland und Skandinavien; der Weg des namen- und traditionstragenden Kerns hat offenbar über die pommersche Ostseeküste geführt. - Dafür, daß diese mit Stammesnamen benennbaren Wanderbewegungen eher Teile eines reich differenzierten Gesamtprozesses in den letzten vorchristlichen Jahrhunderten waren, sprechen anonyme Komplexe wie z. B. die archäologisch faßbare Bodenbacher Gruppe (Jastorf-Funde in Nordbóhmen) (28). Die Kimbernwanderung gehórt offenbar in diesen Zusammenhang; es ist ófter bemerkt worden, daß der Name des Kimbernführers Lugius (Oros. 5,16,20) für eine enge Beziehung
(24) Pomp. Trog. prol. 28; Just. 32,3,16; Syll. 3495 (Protogenes-Inschrift; Bezug fraglich). Vgl. R. Wenskus (wie Anm.
12), S. 206 ff.; ders., in: RGA?2 (1976), S. 88 ff. (Art. Bastarnen, dort ältere Literatur);
R. Seyer, in: B. Krüger (Hrsg.), Die Germanen 1, 1979, S. 40. (5) H. Jankuhn, in: RGA?2 (1976), S. 90; J. Herrmann, bei G. Perl, Tacitus, Germania, Griechische und lateinische Quellen zur Frühgeschichte Mitteleuropas 2, 1990, S. 258 (zu Tac. Germ. 46,1). (26) E. Petersen, in: H. Reinerth,
Vorgeschichte der deutschen
Germanische Stammeskunde (wie Anm. Oberbayern) auf die Skiren zurück.
Stämme
3, 1940, S. 867 ff. E. Schwarz,
11), S. 51 f. führt den Ortsnamen Scheyern (Kreis Pfaffenhofen,
(8) M. Jahn, in: Reinerth (wie vor. Anm.), S. 943 ff.; L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme, Die Ostgermanen,
1941, S. 100 ff.; F. Miltner, in: RE
8A
(1955), S. 298 ff.; Schwarz,
Germanische
Stammes-
kunde (wie Anm. 11), S. 64 ff.; Wenskus (wie Anm. 12), S. 503 ff. (2%) W.
Maehling, Die Bodenbacher Gruppe,
285 ff.; N. Venclová, Arch.
1944; R. Hachmann,
Rozhledy 25 (1973), S. 41 ff.; J. Filip, in: RGA?3
Gruppe).
Die Goten
in Skandinavien,
1970, S.
Zum Problem der ethnischen Zugehörigkeit der Bodenbacher und Kobiler Gruppe, in: (1978), S. 205 ff. (Art. Bodenbacher
uud
Kobiler
36
Dieter Timpe
der Kimbern zu den Vandalen spricht (?). Die Route, der die Invasoren generell folgten,
ist offenbar die sogenannte Bernsteinstraße. Dieser Befund erlaubt vorsichtige Folgerungen. Boier und hercynischer Wald, Donau und Skordisker waren Stationen auf einem Wege, aber gewiß nicht die einzigen. Sie treten in der literarischen Überlieferung hervor, weil sie antiken Lesern etwas sagten, nicht unbedingt, weil sie für die Kimbern die entscheidenden waren. Der Weg zum keltischen Mittelgebirgsrand vollzog sich sicherlich auf bekannten, auch diplomatisch eingespielten und politisch abschätzbaren Bahnen. Die Boier am Rande der keltischen Welt, jedem Römer als alte Feinde in Italien ein Begriff (°), charakterisierte anscheinend ihre geringe Kohaerenz als Stamm; das bezeugen ihre Wanderungen und Abspaltungen (?!). Man darf vermuten, daß die kimbrischen Zuwanderer diese Verhältnisse kannten und in Rechnung stellten, indem sie Parteiungen bei den Boiern politisch ausnutzten. Sie mógen gehofft
haben, als Bundesgenossen einer Gruppe bei den Boiern Fuß fassen oder eine solche mitziehen zu kónnen, wie das den Helvetiern dann auch gelingen sollte (??). Für solche Vorginge, die wir im Einzelnen nicht erraten kónnen, bieten Festsetzung der Ariovistsueben in Gallien oder die Auswanderung der Helvetier in der Beschreibung Caesars eine modellhafte Anschauung. Stammesnamen repräsentieren keine kompakten Größen, die nach außen geschlossen reagieren müßten. Deshalb schließt auch eine bezeugte Stammesfeindschaft die Kooperation der einen Seite mit Faktionen oder Adelshäuptern der anderen nicht aus; jede Auseinandersetzung eines Stammes mit einem äußeren Partner oder Gegner ist auch eine Probe auf die Kohaerenz des eigenen Verbandes. Der Weg der Kimbern zu den Boiern läßt viele Deutungen zu, unter denen die Vorstellung eines Stammeskrieges aufs Geratewohl die unwahrscheinlichste ist. Auch bei dem Zug zur Donau und donauabwärts müssen detaillierte Kenntnis, politischer Sinn und diplomatische Vorbereitung vorausgesetzt werden. Keltische Eisenverarbeitung, Goldvorkommen oder Oppidakultur Böhmens und Mährens erklären das kimbrische Interesse, sich hier festzusetzen; auch das Abbiegen in die Slowakei, ins Wiener Becken und nach Pannonien war durch keltische Kommunikationslinien offenbar vorgezeichnet, die durch die boische Abwanderung in diese Richtung (Caes., B. G. 1,5,4; Strabo 4,206) belegt werden. Die Hinwendung zu den Skordiskern und dann zu den Tauriskern zu verstehen (Strabo 7,293), macht bei dieser Reihenfolge dagegen Schwierigkeiten, weil der Weg zu jenen über die Taurisker geführt haben muß. Aber eine boisch-tauriskische Symbiose späterer Zeit im Kampf gegen die Daker ist bezeugt (53). Die
(2°?) M. Jahn, in: Reinerth (wie Anm. 26), S. 962 ff. fait Kimbern, Teutonen und Vandalen zu einer gemeinsamen Wanderbewegung zusammen. Kimbernkónigs Boiorix (Plut., Mar. 24,4; Flor.
Bedeutung (39) S. äımariar verbunden
Umstritten ist, ob der Wortsinn des Namens des 1,38,18; Oros. 5,16,20) ("Boierkónig") eine inhaltliche
hat. o. Anm. 20; so wie die angeblichen Kimbern in Jütland (Res. g. 26,4; Strabo 7,293) φιλίαν’ kai Ter Umnpypevor erbitten, wird auch die Erinnerung an die Boier mit ihrer geschichtlichen Rolle geblieben sein.
(31) Abwanderung aus Süddeutschland: Tac. Ger. 28,2; Verdrängung aus Böhmen: Tac. Germ. 42; Caes, B. G. 1,5,4; vgl. Strabo 4,206. Boische Kontingente bei den Helvetiern: Caes., B. G. 1,5.4: 25,6; 292;
Belagerung
Noreias:
Caes., B. G. 1,5.4. - Merkwürdigerweise
sind von boischen
Partikularnamen überliefert. (33) Diese realistische Vorstellung auch bei Koestermann (wie Anm.
Gruppen
keine
11), S. 315.
(9) Strabo 7,304. Vgl. G. Alfoldy, Des territoires occupés par les Scordisques, in: Acta Antiqua (1964), S. 107 ff.; P. Papazoglu, The Central Balkan Dobesch, in: Fschr. Lauffer (wie Anm. 5), S. 205 ff.
Tribes
in Pre-Roman
Times,
12
1978, S. 288 ff.; 354 ff.;
Kimberntradition und Kimbernmythos
37
Taurisker heißen andererseits Nachbarn der Skordisker (*). Dieser aggressive keltische Stamm an Save und Donau (Just. 32,8) hatte als potentieller Bundesgenosse Philipps V. bei einem Angriff auf Italien gegolten, er blieb ein Feind an der Nordgrenze des rómischen Makedoniens (5?) und bedrohte wohl auch Dalmatien und Istrien (86), Wir wissen nichts über die Beziehungen der Kimbern zu den Skordiskern und können die Gründe der Trennung oder Abwendung von ihnen kaum erraten: Die Vermutungen über einen kimbrischskordiskischen Raid nach Delphi entbehren der Grundlage; ebenso ist bei nüchterner Betrachtung die Annahme, eine Seuche (App. Ill. 4,10) könnte sie zum Rückzug bewogen haben, ohne Anhalt (57). Die Nachgiebigkeit, die sie in Noricum gegenüber Carbo an den Tag legten, macht es sehr unwahrscheinlich, daß sie sich in Moesien an einem Einfall in
rómisches Provinzgebiet beteiligten, die Beziehung zu den Skordiskern kann auch anderer Art gewesen sein: Dem aggressiven Stamm kann Verstárkung erwünscht gewesen, den Kimbern aber eine Symmachie mit den kriegsüchtigen und erfolgreichen Skordiskern aussichtsreich erschienen sein. Aber aus der dürftigen Richtungsangabe ἐπὶ... τοὺς Σκορδίσκους Γαλάτας καταβαίνειν kann ja nicht einmal auf ein einvernehmliches Verhältnis zu den Skordiskern geschlossen werden; auch ein Angriff auf sie, etwa im Dienst der Taurisker, dem dann wenig Erfolg beschieden gewesen wäre, läßt sich vorstellen und ist öfter angenommen worden (39). Die Wendung zu den Tauriskern und Norikern, die zum ersten Zusammenstoß mit einem rómischen Imperator führte, durch Gegenwehr der Skordisker oder anderes veranlaßt, bereitet dem Verständnis ebenfalls große Schwierigkeiten. Im poseidonianischen Exzerpt werden nach den Skordiskern die Taurisker und Teurister genannt (#°); die Reihenfolge und der geographische Zusammenhang lassen an die pannonischen Träger dieses Namens
denken. Aber danach ist von den Helvetiern die Rede, und Poseidonios
kann schwerlich die kimbrische Festsetzung in Noricum mit ihren schwerwiegenden Folgen übergangen haben (29). Darauf stützen sich Deutungen, die die genannten
(34) Plin. x. ^. 3,148: “mons Claudius, cuius in fronte Scordisci, in tergo Taurisci”. Vgl. H. Vetters, Zur ältesten
Geschichte
der Ostalpenländer,
in: Jahreshefte
d. öst. arch.
Inst. Wien
46 (1961-63), S. 214; G.
Alföldy, Taurisci und Norici, in: Historia 15 (1966), S. 233 f.; Papazoglu (wie vor. Anm.), S. 363 f.; P. Petru, Die ostalpinen Taurisker und Latobiker, in: ANRW
II 6 (1977), S. 484 ff.
(35) Liv., 40,57,7; Plut., Aem. Paul. 9,6-7; Pomp. Trog. prol. 32. - Liv., Per. 56 (J. 135); Liv., Per. 63; Flor. 1,39,4 (J. 114); Strabo 7,318. Vgl. Papazoglu (wie Anm. 33), S. 279 ff.; 284 ff. (36) Vielleicht als Bundesgenossen der Dalmater (Jul. Obs. 16); zweifelnd Papazoglu (wie Anm. 33), S. 284 f. Nach Liv. 43,1,4 plante C. Cassius, cos. 171, von Illyrien nach Makedonien zu ziehen; vgl. H. Vetters (wie Anm. 34), S. 207.
(37) Erstes bei M. Fluss, in: RE 2A (1921), S. 834; das zweite bei Dobesch, in: Fschr. Lauffer (wie Anm. 5), S. 194.
(?*) So u. a. Müllenhoff, Dt. Altertumskunde 2, S. 291 (mit erbaulichen historisch-poetischen Ausblicken); Niese (wie Anm. 19), S. 153; Fluss, in: RE 2A, S. 833; Schmidt (wie Anm. 11), S. 7? f.
(*9) Die nur hier vorkommende Namensform
Teuristen macht die Identifikation ebenso wie die
Trennung von den Teuriskern (Ptol. 3,8,3) oder Tauriskern zur Spekulation: z. B. M. Fluss, in: RE 5A (1934), S. 1136 ff. (Trennung); Müllenhoff, Dt. Altertumskunde 2, S. 83 oder G. Alföldy (wie Anm. 34), S. 228 (Identitàt). (4°) Der Poseidoniostradition kann wohl Strabo 5,214 zugeordnet werden, aber nicht das Exzerpt App. Kelt. 13 (so aber Dobesch,
Mitteil. [wie Anm.
10], S. 76; Malitz (wie Anm.
7], S. 215 f.), das offenbar einem
genau unterrichteten und parteilich urteilenden (dagegen Strabo a. a. O. von Carbo: οὐδὲν, ἔπραξεν) rómischen Annalisten (nach Müllenhoffs [D. A. 2, S. 292], auf Äelt. 13 gestützten Vermutung dem Claudius Paulus) gehört. Die Bedenklichkeit, daß Appian von Teutonen spricht, die sonstige Überlieferung aber mit Recht von Kimbern, sollte nicht bagatellisiert werden;sie spricht für einen anderen Traditionsstrang, der die Teutonen statt der Kimbern zum namengebenden Haupt der Wanderbewegung machte.
38
Dieter Timpe
Taurisker mit den Norikern gleichsetzen; vor allem muß man aber nach den der römischen Überlieferung zugrundeliegenden Vorstellungen fragen. Die Auffassung eines großen Zusammenhanges der Wanderbewegung, sozusagen von Jütland bis Vercellae, ist erst spät, spekulativ und lückenhaft entwickelt worden; sie ließ sich aus den vorhandenen Kenntnissen gar nicht konkretisieren. Das weitere illyrisch-istrische Hinterland der Adria war dagegen ein Raum, der als Schauplatz eines Handlungszusammenhanges, auch als Geschäftsbereich eines römischen Repräsentanten aufgefaBt wurde, Gallien ein anderer. Dem entsprechen die Reihe der Namen und Stationen, die Poseidonios bei Strabo 7,293 im
Prinzip bietet: Boier - Taurisker - Skordisker - (Noriker) - Helvetier, sowie die Formulierung der Livius-Periocha 63. Die späteren Ereignisse gehören in den gallischen Kontext (per. 65. 67), und die Verbindung zwischen beiden ist so schwach, daß eine pragmatische und geographische Rekonstruktion kaum möglich ist. Eine Bedrohung der thrakisch-makedonischen Region ging von den Kimbern überhaupt nicht aus, sie hätte in
einen dritten räumlich-militärischen Komplex gehört. Diese Überlegung beseitigt das Ausgangsproblem, daß die Noriker und die Schlacht bei Noreia im strabonischen Poseidonios-Exzerpt übergangen werden, nicht; aber sie legt nahe, den Schritt der Kimbern in den gold- und eisenreichen norisch-ostalpinen Raum doch wohl dem Tal der Drau entlang - für den nach ihren materiellen und politischen Interessen entscheidenden zu halten. Die Kimbern “wollten” nicht “zu den Helvetiern” (4); wenn ihnen überhaupt ein bestimmtes ethnisch-lokales Ziel zuzutrauen ist, dann war es nächst den Boiern am ehesten Noricum, und eine “Digression” (4°) war es allenfalls, was die Kimbern nach Moesien führte, nicht nach Noricum. In Noricum verdich-
ten sich die - freilich kaum je eindeutig zu interpretierenden - Beziehungen zwischen Boiern, Norikern und Helvetiern, Taurisker und Skordiskern; hier griffen schließlich auch
die römischen Interessen ein und beeinflußten in einem möglicherweise ganz entscheidenden Maße das Verhalten der Kimbern. Der Konsul Carbo besetzte eine Route von Italien nach Noricum, die entlang des Tagliamento, durch das Fellatal zu den karnischen Alpen geführt haben mufi (9), und griff von da aus die Kimbern mit List und einem für ihn nachteiligen Ausgang an. Den Eindringlingen wird dabei Räuberei (λῃστεύειν) zum Vorwurf gemacht, eine an die Klagen der Gallier über die Helvetier (Caes., B. G. 1,30,1-3) erinnernde Beschwerde, die nicht ausschließt, daß mit anderen Unterstämmen, Faktionen oder
Máchtigen ein Einvernehmen bestand (wie bei den Haeduern und Sequanern auch: B. G. 1,9; 18,3), aber natürlich leicht einen Vorwand zum Eingreifen bot (vgl. B. G. 1,14,3; 6). Die
Kimbern zogen der Hauptquelle (App. Kelt. 13) zufolge nach Gallien ab, genauer und zunächst aber, wie die übrigen Zeugnisse erweisen, zu den Helvetiern. Sie hatten sich der Intervention Carbos bereits gefügt, als dieser sie dann heimtückisch überfiel und dabei fast eine katastrophale Niederlage erlitten hátte. Der Abzug wire, wenn eine intensivere
Beziehung zu Land und Leuten schon bestanden oder inzwischen begonnen hätte, mit unbegreiflicher Promptheit erfolgt (die Gesandten, die den rómischen Einspruch entgegennahmen, erhielten sogleich die Führer mit, die ihre Leute aus dem Land geleiten soll-
(11) Dazu grundsätzlich richtig Dobesch, Mitteilungen (wie Anm. 10), S. 70 gegen W. Schileher und W. Brandenstein, in: Frrühgeschichte und Sprachwissenschaft, Wien 1948, S. 9 ff.; 34 ff. (92) So Dobesch, in: Fschr. Lauffer (wie Anm. 5), S. 172; Mitteilungen (wie Anm. 10), S. 72. (33) Strabo 5,214. Siehe für eine immense, besonders landesgeschichtliche Literatur nur: Dobesch,
Mitteilungen (wie Anm. 10), S. 70, der m. E. methodisch richtig für die genannte Route plädiert.
Kimberntradition und Kimbernmythos
39
ten); dies alles legt eher den Gedanken an einen bloßen Durchzug der Kimbern nahe. Aber sie müssen andererseits so lange in Noricum geweilt haben, daß der Konsul davon erfahren, seine Gegenmaßnahmen beschließen und durchführen konnte - in der Gewißheit, die Feinde auch noch anzutreffen: das widerlegt jene Möglichkeit. Auch hier bleibt also
Wesentliches nicht ganz verständlich. Die Kimbern zogen mit soviel Beute (τὸν ἐκ τῶν λῃστηρίων πλοῦτον) ab, daß die Helvetier sich davon imponieren ließen (Strabo 7,293); der Gewinn stammte danach nicht (nur) von den Norikern und konnte ungeführdet abtrans-
portiert werden. Es spricht deshalb nichts für schwere Auseinandersetzungen zwischen Kimbern und Norikern, und man fragt sich, woran das lag: an einem, trotz und vor der rómischen Intervention bestehenden Einvernehmen zwischen dem norischen Staat oder wenigstens einer norischen Partei mit den Kimbern doch wohl eher als an der Hilflosigkeit des regnum Noricum gegenüber den Eindringlingen. Für gute Beziehungen zum regnum Noricum spricht nicht zuletzt der Umstand, daß die Kimbern bei ihrem Marsch nach Italien das Land erneut und ohne Schwierigkeiten durchzogen (Plut., Mar. 15,5, vgl. 23). Deren Abzug nach Westen zu den Helvetiern begründen die Quellen so wenig wie andere Entschlüsse; aber das Vorkommen
von Elvetii unter den norischen Stämmen
auf den
Dedikationsinschriften auf dem Magdalensberg weist auch in diesem Falle auf ethnische Beziehungen zwischen Norikern und Helvetiern hin, die Hintergrund und Voraussetzung des Kimbernzuges nach Westen gewesen sein dürften (**). Diese Entscheidung könnte die wichtigste und folgenreichste der ganzen Kimbernbewegung gewesen sein. Mit dem Abzug der Kimbern aus Noricum war das politisch-militàrische Problem in rómischen Augen zunüchst erledigt. Eine Aufnahme der Kimbern bei den Helvetiern lag auflerhalb des Gesichtskreises eines rómischen Imperators und tauchte in keinem Feldherrnbericht auf. Die schattenhaften Nachrichten über eine Südwanderung der Helvetier (Tac. Germ. 28,2 (4); Ptol. 2,11,7) lassen sich weder zeitlich noch traditionsge-
schichtlich näher bestimmen. Die Helvetier heißen “goldreich”, wohl wegen der Goldvorkommen in den nordschweizerischen Rheinzuflüssen (46); die Abwanderung der Helvetier aus Süddeutschland in der Zeit vor den Kimbern wird damit jedoch nicht bewiesen. Einen Rheinübergang der Kimbern lokalisieren zu wollen, etwa in Zurzach am Bodensee oder am Mittelrhein bei Mainz, übersteigt deshalb unsere Müglichkeiten bei weitem (47). Dagegen datiert Velleius (2,8,3) den Übergang der Kimbern nach Gallien ins
(14) J. Säsel, Huldigung norischer Stämme am Magdalensberg in Kärnten, in: Historia 16 (1967), S. 70 ff.; G. Winkler, Noricum
und Rom,
in: ANRW
II 6 (1977), S. 199; G. Alfóldy, Noricum,
1974, S. 67 f. Die
Beziehung dieser Helvetier auf die der Kimbernkatastrophe entkommenen Tiguriner oder andere Restgruppen ist ganz willkürlich; dagegen stützen die "Boier, die Noreia belagerten" und mit den Helvetiern nach Westen
zogen (Caes., B. G. 1,5,1) den Zusammenhang
zwischen
Noricum, Helvetiern und
dem gallischen Westen. (45) Hier bekanntlich im Zusammenhang einer angenommenen gallischen Ostwanderung. Norden, Urgeschichte, S. 225 ff. hat zwar betont, daB für eine Zeitbestimmung des Helvetierauszuges jede Nachricht fehle, kommt aber dann doch aus wenig durchschlagenden archäologischen und numismatischen Erwügungen zu einem Frühansatz und nimmt für die taciteische Angabe plinianische Vermittlung an. Noch ungewisser sind Vermutungen über die Motive der helvetischern Abwanderung (wie bei H. Nesselhauf, Die Besiedlung der Oberrheinlande in römischen
Zeit, 1951, in: Schwarz,
W. d. F. 249 (wie Anm. 11), S. 131
(Südwanderung wie Westwanderung z. Z. Caesars Folge germanischen Druckes). (16) So Norden, Urgeschichte, S. 230 ff. (47) Tenedo
(Zurzach) glaubte
Norden,
Urgeschichte, S. 239 ff. nachweisen zu können: die willkürliche
Behauptung, die Gegend von Mainz sei der Ort des Überganges, findet sich bei F. Stähelin (wie Anm. 11), S. 55; Schmidt
(wie Anm.
11), S. 9 und anderen. Unbrauchbare
Argumente
liefern der Mercurius Cimbrianus
40
Dieter Timpe
Jahr 111 v. Chr, und die sich daraus ergebende
kurze Verweildauer bei den Helvetiern
spricht in der Tat für einen bloßen Durchzug, der als solcher geplant und vorbereitet war und die Kimbern über die helvetische Zwischenstation nach Gallien bringen sollte (**). Auch der Anschluß der Tiguriner galt diesem Ziel. Diese Entscheidung läßt sich einigermaßen nachvollziehen. Der Bedarf der gallischen Stammesfaktionen an Hilfskräften war groß, und die Möglichkeiten, die sich diesen dabei boten, dürften
die im Alpen- und
Balkanraum
bei weitem
übertroffen
haben.
Dieses
Gefälle scheint sich auch noch in der späteren Westwanderung der Helvetier und in einer Episode wie dem Anschluß einer Boiergruppe an sie (Caes., B. G. 1,5,4) ausgewirkt zu haben. Diese Boier müssen auf dem gleichen Wege wie die Kimbern, nämlich von ihrem Ausgangsland über Norikum, zu den Helvetiern und mit diesen nach Gallien gekommen sein. - Im jenseitigen Gallien hatte die alte amicitia der Römer mit den Massalioten zur Errichtung einer Einflußzone geführt, die seit 122 die Allobroger umfaßte; als der bisherige mittelgallische Hegemonialstamm der Arverner die römische Expansion nicht dulden wollte, mußte er zwei Niederlagen von den Legionen hinnehmen und verlor die gallische Hegemonie an die Haeduer. Die definitive römische Herrschaft über die Provinz Gallia Narbonensis war die Folge. Gegen die Vorherrschaft der romtreuen Haeduer wehrten sich nun aber deren östliche Nachbarn, die Sequaner zwischen Saöne und Jura; sie verbündeten sich mit den geschlagenen Arvernern, holten Hilfsvölker herbei, und in diesem Zusammenhang sind offenbar die Kimbern durch Vermittlung und unter Mitwirkung der den Sequanern benachbarten Helvetier nach Gallien gekommen (43). Diese an zwei schwachen literarischen Indizien (s. vor. Anm.) und der kaum zu bezweifelnden allgemeinen Voraussetzung, daß weitreichende Stammeswanderungen
nicht ohne Plan und Ziel denk-
bar sind, hängende Schlußfolgerung hat nun weitreichende Konsequenzen: Die Kimbern sind demnach nicht als landfremde Eroberer in Gallien eingebrochen (was angesichts ihres Anhanges auch kaum möglich gewesen wäre), sondern als Bundesgenossen einer gallischen Partei. Ihre Heimsuchung gallischer Stämme wird, wenn auch übertreibend, vermut-
(CIL 13, 6604 f.) als angebliches Zeugnis einer Zwischenstation des Kimbernzuges oder Strabo 7,293 für eine Marschroute südlich der Donau (so Norden, Urgeschichte, S. 224). (48) Strabo 7,293: die goldreichen Helvetier sahen, daß der aus Raubzügen stammende Reichtum der Kimbern größer war als sogar ihr eigener und wurden dadurch zum Mitzug bewogen, vor allem (μάλιστα è’ αὑτῶν) die Tiguriner und Tougener. - Die übliche Meinung, nur die genannten Unterstämme seien mitgezogen, entspricht dem Text nicht. Man darf vermuten, daß der Reichtum der Kimbern offenbar wurde, weil sie für den Durchzug (vgl. die Verhandlungen der Helvetier Caes., B. G. 1,3,4; 6,3; 7,3-4) zu zahlen hatten. Im übrigen ist die Vermutung, dafi es sich von Anfang an nur um Durchzug gehandelt habe, vor allem aus der kurzen Zeit ihres Aufenthaltes zu erschließen; vgl. auch App. Kelt. 13,4.
(19) Caes., B. G. 1,313 f. (Darstellung des Haeduers Diviciacus unter Bezugnahme auf Ariovist): "Galliae totius factiones esse duas: harum alterius principatum tenere Haeduos, alterius Arvernos. Hi cum tantopere de potentatu inter se multos annos contenderent, factum esse, uti ab Arvernis Sequanisque Germani mercede arcesserunt”. - Strabo 4,192: "népav ὁὲ τοῦ "Apapos oikovoti. vi Erkoavot,. διάφοροι καὶ κατὰ
Tos τὰς
᾿Ρωμοίοις. ἐκ ἐφύδους
πολλοῦ
αὐτῶι
τὰς
yeyoróores ἐπὶ
τὴ
καὶ
τοῖς
Αἰδούοις
᾿Ιταλίας,
καὶ
OTt
πρὸς
ἐπεδείκιατ
Γερμανοῖς γε
οὐ
mpoge τὴν
χώρου
τυχοῦσαι;
πολλάκις δύναμιν,
ἀλλὰ καὶ κοι μ οῦυτες αὐτοῖς ἐποίουν μεγάλους, καὶ ἀφιστάμειι. jukpovsz". Die Vermutung, daß die Kimbern durch Vertrag mit den Helvetiern und Sequanern nach Gallien kamen, schon bei Mommsen, Römische Geschichte 2 !*(1921), 175; Norden, Urgeschichte, 8. 235 ff., es sind dort und sonst aber - im Banne der Ansicht, Ziel der Kimbern sei Italien gewesen (s. bes. Norden, S. 237 f.) - nicht die nötigen Konsequenzen daraus gezogen worden, für die an sich Norden alle Voraussetzungen bietet, auch den
Hinweis auf das wichtige Zeugnis Plut., Mar. 24,7 (Gefangennahme flüchtiger Teutonenkönige durch die Sequaner). - Aus diesem Zusammenhang ergibt sieh wahrscheinlich der Raum, in dem die Kimbern nach Westen zogen: nórdlich oder südlich des Schweizer Jura.
Kimberntradition und Kimbernmythos
41
lich zu Recht beklagt: “depopulata Gallia... magnaque inlata calamitate”, sagt der caesarische Critognatus von den Kimbern (B. G. 7,77,14); aber sie taten das, was sie taten, als militàrischer Arm im Dienste gallischer Stammespolitik. Sie mógen sich dabei durch
besondere Brutalität verhaßt gemacht und das gallische Zusammengehórigkeitsbewußtsein gegenüber den fremden Söldnern vielleicht gegen ihren Willen gestärkt haben, aber sie hatten keine positiven politischen Ziele und Ordnungsvorstellungen und setzten auch von sich aus keine durch: "iura leges agros libertatem nobis reliquerunt", sagt der gallische Demagoge (a. a. O.), gewiß ebenfalls übertreibend, aber mit einer richtigen Tendenz. Wir erfahren dann zunächst nichts von ihnen und dürfen annehmen,
daß sie als
Sóldner-Klienten der Sequaner in deren Interesse Krieg geführt und sich dabei bereichert haben. Für ihre Existenzweise gibt es im übrigen nur einen Anhaltspunkt: die Analogie des Ariovist, der ein Drittel des Landes als Siedlungsraum erhielt (Caes., B. G. 1,31,10).
Wie in jenem Falle darf man auch hier annehmen (und die eben zitierte Stelle stützt diese Auffassung), daß die Kimbern die Oppida nicht in Besitz nahmen und diese vielleicht die Zentren des Widerstandes wurden, die “Besetzung” und Ausplünderung des Landes also doch die zivilisatorischen Nervenbahnen wenig berührte. Die Fremden werden aber durch Faustpfänder, vor allem Geiselnahmen, Druck ausgeübt haben (vgl. die angebliche eidliche Verpflichtung, keine Bundesgenossen
anzuwerben:
Caes., B. G. 1,31,7). Gegen
solche
Methoden mógen neue Koalitionen entstanden sein und das Blatt schlieBlich gewendet haben. Wenn darüber hinaus positive Nachrichten nicht vorliegen, muf das daran liegen, daß die römische Regierung sich um die Entwicklung zunächst nicht kümmerte, Erst 109 kam es mit dem Konsul M. Iunius Silanus zu einem Konflikt, der vermutlich durch Beschwerden und Hilfsgesuche von Galliern ausgelóst war. Es gab Verhandlungen und sogar eine Gesandschaft der Kimbern an den Senat (dazu die Episode Plin., n. h. 35,25), dann aber eine Schlacht an unbekannter Stelle im südlichen Gallien, die mit einer rómi-
schen Niederlage endete (°°). Silanus wurde danach auf Betreiben eines Galliers angeklagt (und freigesprochen), iniussu populi Krieg geführt zu haben (61), hat also den Krieg vermutlich ähnlich provoziert wie Papirius Carbo vier Jahre zuvor. Die Kimbern forderten vergeblich "sedem et agros, in quibus consisterent" (Liv., per. 65). Da sie zu dieser Zeit -wenn auch nicht unangefochten - in Gallien saßen und für einen Anspruch dem römischen Konsul gegenüber kein Anlaß zu erkennen ist, wohl aber dieser das römische Argument des Bundesgenossenschutzes gebraucht haben wird, möchte man eher vermuten, daß die
Kimbern die rómische Anerkennung ihrer Festsetzung in Gallien verlangten, die ihnen ihre Gegner begreiflicherweise streitig machten (*).
Der Erfolg hat dann die Stellung der Kimbern naturgemäß befestigt und drückender werden lassen, vielleicht auch gegenüber ihren eigenen Auftraggebern (wofür wiederum die Ariovist-Analogie spräche), aber die Quellen geben darüber kaum brauchbare
(5°) Liv., per. 65; Vell. 2,12,2; Flor. 1,38,4; Asc., Cornel. 60.71; Eutr. 4,27,5 (behauptet Sieg des Silanus). Vgl. F. Münzer, in: RE
10 (1918), S. 1093 (Iunius 169); T. R. S. Broughton, MRR
1, S. 545.
(91) Cic., div. in Caec. 67; Verr. II 2,118; Asc., Cornel. 60.71. (32) Die Angabe der Livius-Periocha bezieht sich auf den Senatsbeschluß, Silanus hat die Kimbern also an den Senat verwiesen.
Dem
entspricht insoweit Flor. 1,38,1-2: "Cimbri... novas sedes toto orbe quaere-
bant... misere legatos in castra Silani, inde ad senatum, petentes ut Martius populus aliquid sibi terrae daret quasi stipendium...". Im übrigen ist die klischeehafte Darstellung aufschiußreich vergröbert, aber der Ereignisablauf unkorrekt wiedergegeben. Es besteht kein Anlaß zu der Annahme, daß die Kimbern damals Ansiedlung in der Provinz forderten.
42
Dieter Timpe
Informationen. Die rómische Überlieferung hat innergallische Vorgünge nicht im Blick; sie erscheint vielmehr fixiert auf die Eskalation der Schlachten bis hin zum Sieg des Marius und auf den angeblichen totalen Krieg der Kimbern gegen das rómische Imperium. Erkennbare Folgen hatte der kimbrische Sieg aber vor allem bei den wenig verläßlichen gallischen Untertanen der narbonensischen Provinz, deren Pazifizierung das Bemühen der rómischen Magistrate galt. 107 drangen die Tiguriner ins Gebiet der Allobroger ein, bei denen sie vermutlich auf Unterstützung rechnen konnten, und schlugen den Konsul L. Cassius Longinus — anscheinend ohne Mithilfe der Kimbern (5); in Tolosa, der Stadt der Tektosagen, rebellierte eine antirömische Partei gegen die römische Besatzung und veranlaßte damit 106 die Vergeltungsaktion des Konsuls Q. Servilius Caepio. Sie gipfelte in der bekannten Unterschlagung des aurum Tolosanum, die der Untergang des Verantwortlichen kurz darauf zum Exempel himmlischer Strafe machte (53). Im folgenden Jahr erschien der Konsul Cn. Mallius Maximus zum Schutz der Provinz, die von drei
Heeren gedeckt wurde. Noch einmal versuchten die Kimbern vergeblich zu verhandeln, boten Frieden und wiederholten ihr Landgesuch
(Dio fr. 91,3; Gran. Lic. 33,8), falls nicht
diese Forderung anders zu verstehen ist als die erste; der Zwist des Consuls mit dem Prokonsul Caepio führte dann die Katastrophe von Arausio und den Untergang aller römischen Heere herbei (5). Verständigungsbereitschaft der Kimbern und ideologisch-psychologische Aufladung des Konflikts auf rómischer Seite standen also in schroffem Gegensatz zueinander: Die gewaltige rómische Niederlage provozierte ein Revancheverlangen, das von den Absichten der Kimbern her nicht motiviert war. Die dramatisch eskalierenden Ereignisse in der Narbonensis, die im schaurigen Opfer der Schlachtbeute nach Arausio (Oros. 5,16,4-7 nach Valerius Antias) gipfelten, die ungeheure Wirkung der vernichtenden Niederlage auf die rómische Stimmung und die damit zusammenhängende Häufigkeit, mit der von diesen Ereignissen berichtet wird, schließen nun aber keineswegs aus, daß die Römer über Stellung und Einfluß der Kimbern im freien Gallien nur schlecht informiert, vielleicht sogar daran nur wenig interessiert waren. Poseidonios scheint eindringlich über die Not der Gallier und ihre Bedrückung durch die Kimbern berichtet zu haben (Kannibalismus belagerter Gallier: Strabo 4,201, danach wohl Caes., B. G. 7,77,12) aber eher auf Grund eigener Erlebnisse, nicht nach römi-
schen militàrischen Informationen; Caesar spielt wiederholt auf diese Überlieferung an und bezog sie anscheinend aus Poseidonios (55). Der historische Sachverhalt dürfte etwa folgender sein: Die Kimbern führten Kriege gegen mittelgallische Stämme oder eine Koalition aus diesen; sie verheerten und plünderten dabei die Stammesgebiete und belagerten sogar die Oppida ihrer Gegner. Gerade dies konnten sie wohl nur tun, wenn sie einen Rückhalt im Lande besaßen. Das spricht für den weiteren Bestand ihrer ursprünglichen politischen Basis im Lande, also für die Annahme, daß sie als Bundesgenossen der Sequaner, auf diese gestützt und bei ihnen mindestens vorläufig ansässig, ihre Feldzüge
(33) Liv, per. 65; Caes., B. G. 1,7,4; 12,4-6; 30,2; App., Kelt. 1,3; Oros. 5,15,23-24. (54) Tolosa erhob sieh “πρὸς τὰς τῶν Κίμβρων ἐλπίδας" (Dio fr. 90). - Plünderung Tolosas: Just. 32,3,111; Strabo 4,188; Dio fr. 90; Oros. 5,15,25. - Aurum Tolosanum sprichwörtlich: Cic., nat. deor. 3,74; Gell., N. A. 3,9,7. Vgl. F. Münzer, in: RE 2A (1923), S. 1784 (Servilius 49); Malitz (wie Anm. 7), S. 220 ff.
(55) Diod. 34-35,37; Liv., per. 67; Flor. 1,38,4; Eutr. 5,1,1-2; Oros. 5,16,1-7; Gran. Lic. 33,6-17. Dio fr. 91,14. - Nebenquellen bei Münzer (wie vor. Anm.), S. 1785. (ὅδ) Vor allem die Critognatusrede B. G. 7,77 verarbeitete diese Erinnerung; G. Pascucci, Cimbri e Teutoni in Cesare, in: SICF 27/28 (1956), S. 361 ff.; Malitz (wie Anm.
7), S. 199.
Kimberntradition und Kimbernmythos
43
unternahmen, die ihnen diejenige militàrische Übung und Überlegenheit bescherten, die sie dann an den Römern erprobten (5°). Ihre Führer mußten sich durch militärische Erfolge legitimieren und haben auch deshalb vielleicht die Konflikte gesucht. Aber es ist eine Übertreibung, daß diese Auseinandersetzungen ganz Gallien betroffen hätten (Caes., B. G. 1,33,4); die Belger rühmten sich, die Kimbern (als einzige) abgewehrt zu haben (Caes., B. G. 2,4,2), und andere Randgebiete wie Armorica oder Aquitanien werden von
ihnen auch nicht heimgesucht worden sein, wenn es um den “principatus totius Galliae” im Sinne
Caesars
(1,31,3), um
die Entscheidung
in einer Stammesrivalität,
um
die
Hegemonie, ging. Was sich dabei im einzelnen abgespielt hat und was das Jahrzehnt der kimbrischen Präsenz in Gallien schließlich erbracht hat, wissen wir aber nicht, und spätestens vor dem
Ende, dem marianischen Krieg, muß das alte Verhältnis zu Ende gegangen sein. Denn die Kimbern und Teutonen ließen ihr Depot in der Belgica und zogen mit Troß und Anhang dem Untergang entgegen. Es ist deshalb möglich, daß sich die Sequaner selbst, ähnlich wie dann wieder durch Ariovist, durch ihre übermächtig gewordenen Helfer bedrückt sahen
und
darauf sannen,
sich ihrer zu entledigen,
oder daß
sonst unbekannte
Entwicklungen eintraten. Der Erfolg der Kimbern kann Nachzug zur Folge gehabt haben (vgl. Caes.,
B. G. 1,31,10), der die Spannungen
zu dem
oder den Wirtsstämmen
vergrößerte, die Integration erschwerte. Andererseits müssen die davon an sich unabhängigen Kämpfe mit den Römern, in denen die Söldner der Gallier deren Besieger besiegten, die Stellung der Einwanderer enorm gestärkt haben. Hier ist über Mutmaßungen nicht hinauszukommen und deshalb auch nicht auszuschließen, daß das Siedlungsbegehren vor Arausio so gemeint war, wie es von allen modernen Kommentatoren verstanden wird: als Gesuch um Aufnahme auf Provinzialboden in der Hoffnung, nunmehr mit den Römern den Handel
schließen
zu können,
den man
wiederholt
mit keltischen
Potentaten
und
Auftraggebern angestrebt hatte. Der Bruch mit den gallischen Bundesgenossen, die neue Unbehaustheit der Kimbern, wäre dann bereits vor der Schlacht von Arausio eingetreten. Damit hängt eines der schwierigsten und vielleicht auch folgenreichsten Probleme der Geschichte dieses Jahrzehnts zusammen: die Kooperation der Wandervölker. Nach ihrem Sieg bei Arausio zogen die Kimbern zur Überraschung und Erleichterung der Römer, die den sofortigen Einfall der Sieger in Italien erwartet hatten, nach Nordspanien (5*9), Livius hat berichtet, daß sie dort von den Keltiberern geschlagen worden und nach Gallien zurückgekehrt seien, um sich weit im Norden, in der Gegend von Rouen, wenn eine Konjektur Mommsens zutrifft, mit den Teutonen zu vereinen (69). Diese Route war nicht
(57) Eine Schwierigkeit dieser Hypothese liegt darin, daß Critognatus, der die Erinnerung an die Belagerung durch die Kimbern beschwört, Arverner aus vornehmer Familie heißt (B. G. 7,77,3) und dieser Stammeszugehörigkeit entsprechend eher den Bundesgenossen der Sequaner (und Kimbern) zuzurechnen sein sollte. Aber Widerstand gegen eigene barbarische Hilfsvölker illustriert bei aller Verzerrung auch die Ariovistgeschichte bei Caesar. Durchschlagend dürften vor allem die o. Anm. 49 zitierten Zeugnisse über die kimbrisch-sequanische Bundesgenossenschaft sein (Plut., Mar. 24,7; Strabo 4,192), die bis etwa 105 bestand.
(58) Liv., per. 67: “Cimbri... per saltum in Hispaniam transgressi ibique multa loca populati a Celtiberis fugati sunt”; Plut., Mar. 14,1: “τῶν yàp βαρβάρων... ῥυέντων πρότερον ἐπὶ τὴν 'Ißnpiav” 10. Der Zug kónnte etwa mit Außenbeziehungen Tolosas (Strabo 4,188 f., Plin., n. h. 3,37) zusammenhängen, die durch die römische Herrschaft beeinträchtigt worden waren.
(59) Liv., per. 67: “in Vellocassis”. Die Handschriften bieten “reversique in Galliam imbellicosis et (oder: se) eutonis (oder: teutonis) coniunxerunt”. Müllenhoff erwog die Konjektur “in Bellovacis”. Jul. Obsequ. 43
“Cimbri Alpes transgressi per (corr. post) Hispaniam vastatam iunxerunt se Teutonis”. Vgl. Mommsen, R. G. 2, S. 183; Müllenhoff, D. A. 2, S. 289; 299.
44
Dieter Timpe
nur den zeitgenóssischen Rómern unbegreiflich, sie ist es auch den nachgeborenen Historikern geblieben, die eine Erklärung dafür nicht gefunden haben. Die hierbei wohl zentrale Frage lautet, ob die Vereinigung mit den Teutonen erstmalig geschah, wie der Wortlaut der Livius-Epitome besagt, oder eine Wiedervereinigung darstellte, wie die vielen Erwähnungen von Kimbern und Teutonen (oder gar Teutonen allein) schon für Ereignisse vor 105 vermuten lassen, dank denen es eine feste Konvention geworden ist, ganz uneingeschrünkt von der Gemeinschaft der ‘Kimbern und Teutonen' zu reden. Mommsen hat die erste Meinung vertreten, “unter Beseitigung der geringen Zeugnisse, die die Teutonen schon früher... neben den Kimbern auftreten lassen" (a.a. O.) und hat damit einige Nachfolger gefunden, die Mehrheit folgt der zweiten Auffassung (9°). Das Problem wird sich mit der wünschenswerten Sicherheit nicht entscheiden lassen, aber im
Hinblick auf die oft festgestellte Kenntnislosigkeit und die daraus folgende terminologische Sorglosigkeit der rómischen Quellen einerseits und den sachlichen Zusammenhang andererseits móchte man Mommsens Auffassung den Vorzug geben. Auch dafür bietet das Bellum Gallicum eine Parallele: Als Caesar seiner Darstellung zufolge mit Ariovist verhandelt, um die suebische Gefahr einzudämmen, erscheinen Gesandte der Haeduer und
Treverer (1,37), die sich über Haruden beklagen (ein harudisches Kontingent gehórt nach 1,51,2 bereits zum Heer Ariovists), die neuerdings nach Gallien geführt worden seien ("nuper in Galliam transportati") und ihr Land verwüsteten; nicht einmal durch Geiselstellung könnten sie Frieden von Ariovist erkaufen. Sie bestätigen damit die Erklärung des Haeduers
Diviciacus (1,31,10). Die Treverer melden, daß hundert Gaue von Sueben
("centum pagi Sueborum") unter den Brüdern Nasua und Cimberius am Rhein lagerten und im Begriff seien, ihn zu überschreiten. Das erste Kontingent steht also Caesar zufolge mit Áriovist in Verbindung, das zweite nicht, gehórt aber wie dieser zu den Sueben,und die Beschreibung erweckt den Eindruck und soll ihn erwecken, daß eine suebische Wanderlawine sich auf Gallien zubewege, Ariovist womöglich nur der Anfang einer unabsehbar anwachsenden Immigrationsbewegung sei. Ebenso kann man die Einwanderung der Teutonen als durch die kimbrischen Erfolge stimulierten, aber zunächst nicht oder nur lose mit ihnen in Verbindung stehenden Nachzug aus dem Norden verstehen. Da dieser Wanderzug vollends außerhalb des römischen Gesichtskreises agierte, verwundert es nicht, daß von seinen Anfängen nur wenige und zufällige Spuren zeugen. Die wichtigste ist die caesarische Angabe, daß die Aduatuker im belgischen Eburonenland ein Splitter der 'Kimbern und Teutonen' seien, die dort vor dem Zug nach Italien ihren Troß und 6000 Mann zurückgelassen hätten. Nach langen Kämpfen mit den Nachbarn hätte dieser neue Kleinstamm einen festen Platz und Einvernehmen mit den Belgern gefunden (B. G. 2,29). Mit der gebotenen Vorsicht darf man danach vermuten, daß die Teutonen - offenbar über den Rhein kommend - sich wie
manche rechtsrheinischen Vorgünger in dem Land an der Maas festsetzten, aber naturgemäß auf den Widerstand der dort bereits ansässigen Stämme stießen. Die Kimbern dagegen scheinen trotz des Sieges bei Arausio vor der Schwierigkeit gestanden zu haben, keine dauerhafte Lebens- und Nahrungsbasis zu finden. Ihr Zug nach Spanien wird deshalb kein “Raubzug” gewesen sein, sondern eher ein letzter Versuch, in der Randzone der keltischen Oikoumene eine der bisherigen Lebensform entsprechende Existenzgrundlage zu gewinnen; dabei kónnen diplomatische Verbindungen oder militàri-
(59) Genaueste Analyse des Problems bei Müllenhoff, D. A. 2, S. 289 f.
Kimberntradition und Kimbernmythos
45
scher Druck die entscheidende Rolle gespielt haben (s. Anm. 58). Da die Keltiberer diesen Versuch jedenfalls vereitelten und sich in Gallien anscheinend keine Möglichkeit zu Bündnis und Landnahme
mehr bot, verbanden sich die Kimbern mit den Teutonen, nun
offenbar in der Erkenntnis, daß die Auseinandersetzung mit den Römern unausweichlich sei. Die Siege über konsularische Heere mochten die Zuversicht genährt haben, daß auch eine Bezwingung der Alpenbarriere und eine Festsetzung in Italien (Plut., Mar. 24,4) in den Bereich des Méglichen gerückt sei. Der getrennte, aber koordinierte Abmarsch gegen die rómischen Heere unter Marius und Lutatius Catulus (den man jedoch kaum als ‘Zangenoperation’ bezeichnen kann) mit Familien und allem Troß diente der Verwirklichung dieses Planes und endete in den beiden großen Vernichtungsschlachten. Eine Zusammenfassung der bisherigen Beobachtungen soll die Lückenhaftigkeit unserer Informationen keinesfalls verharmlosen; Motive und Zusammenhänge sind hinter den dürftig bezeugten Vorgángen nur in wenigen Füllen zu erkennen. Unzweifelhaft klar wird dennoch, daß der Kimbernzug nicht den willkürlichen Entschlüssen raublustiger Aggressoren folgte, sondern Leitlinien, die durch die internen Beziehungen in der keltischen Oikoumene vorgezeichnet waren, mochten sie freundlicher oder feindlicher Art sein. Die Kimbern blieben bis zuletzt innerhalb des großen keltischen Bogens um Italien und hielten an seinen Grenzen an; von einer genuinen Tendenz nach Italien kann bei unvoreingenommener Betrachtung gar keine Rede sein. Wührend die Kimbern den Rómern also gerade ausgewichen sind, waren es die römischen Angriffe auf die Wandervölker, die den totalen Konflikt am Ende unausweichlich gemacht haben. Die Verwunderung darüber, daß die Invasoren den Einfall nach Italien angeblich solange hinausgeschoben hätten, verkennt diesen grundlegenden Sachverhalt: die Kimbern strebten von Haus aus nicht nach Italien, sie suchten eine Existenz innerhalb der keltischen Sphàre, die dafür auch rei-
che Möglichkeiten bot. Dabei ging es den Wanderstümmen um eine Stellung, die zwischen Klienten und Verbündeten,
Sóldnern und Beisassen, Bundesgenossen und Bedrückern -
ganz nach dem Muster des Ariovist — oszillierte und bei der eine Alternative zwischen Landnahme und nomadischer Raubexistenz nicht bestand. Die Wandervölker erstrebten beides und sie fügten sich damit in die Lebensformen der fluktuierenden keltischen Stammeswelt ein, die für solche Elemente aufnahmebereit war. Das angebliche Anerbieten gegenüber dem Konsul Silanus und dem Senat, Solddienst gegen Land zu leisten, illustriert dies schlagend; es darf auch und vor allem gegenüber keltischen Partnern vorausgesetzt werden. Nicht beliebiges Ausplündern von Ländern, die etwas boten, und Unterdrückung unglücklicher Opfer (das verzerrte Schreckbild der Unterlegenen!) kennzeichnen die kimbrische Bewegung; sie beruhte vielmehr grundsätzlich auf Kooperation mit Stammesgruppen, Stämmen oder Stammesfaktionen gegen andere solche, auf Abspalten, Mitreißen von Teilen der Wirtsstämme oder der bisherigen Gegner und auf ständigem Neuformen des mobilen Verbandes. Dabei gab es dauernde Wechselbeziehungen zwischen Verheißung von Waffenhilfe und Machtzuwachs für die, die sie in Anspruch nahmen, zwischen Druck auf Schwächere, Gewinnung von Land und Beute und der Aufnahme solcher,
denen diese Existenz verlockend schien. - Wie sich die Einfügung der Wandervölker in die sozialen Gegebenheiten der keltischen Welt in großen Zügen verstehen läßt, so auch ihre Richtung; die Kimbern scheinen einer alten, von der Ostseeküste nach Böhmen, von
dort zur Donau und zum Balkan gerichteten Route gefolgt zu sein, die Erfahrung und Interesse ihnen nahelegten. Sie ließen sich dann aber in das norische Alpenland und von da über die Helvetier nach Gallien lenken. In dem mitteleuropäischen Zentralraum müs-
46
Dieter Timpe
sen triftige Gründe den Übergang auf die westliche Seite der keltischen Welt empfohlen haben, wo die großräumigen Verhältnisse Vorteile boten, aber auch neue Probleme brachten. Die Verflechtung in die gallischen Stammesfaktionen ließ die Kimbern in das Kraftfeld der rómischen Politik geraten. Ihr gegenüber verhielten sie sich trotz ihrer Erfolge erstaunlich defensiv; noch der Weg nach Spanien scheint der letzte Versuch gewesen zu sein, die eigene Existenz in der alten Weise zu sichern, und erst am Ende, nach der
Vereinigung mit den Teutonen, wurde die Konfrontation aufgenommen und der Angriff auf Italien eingeleitet. Diese Sieht der Dinge steht nicht in Einklang mit der Auffassung der Quellen und kann es auch nicht. Die rómischen Quellen, deren Informationen Poseidonios gesammelt, kombiniert und in großen Zusammenhängen gedeutet hat, basieren auf der Voraussetzung, daß die kimbrischen Invasoren die Exponenten einer räuberischen Existenz waren, die mit den Mächten der Ordnung in Konflikt geraten mußten. Insbesondere unternahmen sie danach den Angriff auf Italien und die römische Herrschaft, weil sie wie die frühen keltischen Eroberer ein Land voll Milch und Honig suchten, um es zu besetzen und zu besiedeln. Diese schablonenhafte Anschauung ist einerseits die Folge einer verkürzten Sicht auf den historischen Gegenstand, andererseits einer verzerrenden Konzentration auf das dramatische Ende. Die rómischen Beobachter nahmen die Vorgünge der kimbrischen Bewegung nur segmentiert wahr; sie beschrünkten sich auf die Vordergrundsphünomene. Ihr Horizont erfaBte weder die riumlich-zeitliche Tiefe des Geschehens noch die strukturellen Bedingungen von Wanderbewegungen. Die Geschichte der Schlachten von Aquae Sextiae und von Vercellae ist detaillierter und umfangreicher überliefert als die gesamte Geschichte der kimbrischen Bewegung bis dahin. Besonders instruktiv hierfür ist Florus (1,38,1-3). Poseidonius, der zumindest durch
das von ihm mitgeteilte Material eine Korrektur erlauben würde, ist nur in Spuren erhalten.
Die moderne Beurteilung des kimbrischen Phünomens beruht auf diesen Quellen: sie hat nur bisweilen deren Bewertung umgekehrt, aber nicht die Sicht der Quellen korri-
giert. Denn es ist lediglich eine nationalistisch-romantische Umkehrung, wenn aus Räubern Helden gemacht werden, im Primitivismus die urtümliche Kraft gepriesen und aus Untergüngen heroische Zuversicht geschópft wird. Das Vorstellungsmodell jedoch, das der historischen Synthese der fragmentarisch bekannten Tatsachen und Zusammenhänge seit der Antike zugrunde liegt, ist das der "Wanderung"; damit ist die zielgerichtete Dauermobilitàt eines aggressiven ethnischen Verbandes gemeint. Sie begann danach mit der vermuteten Anfangskatastrophe (dem Landverlust) und dem Auszug der Kimbern und endete mit der allbekannten Endkatastrophe der Barbareninvasion in den marianischen Schlachten; der Drang nach Italien gab der Bewegung Richtung und Zusammenhang. — Die Prüfung der überlieferten Vorgänge, die die Bedingungen und Grenzen der Überlieferung selbst stets berücksichtigt, hat für den angeblichen Drang nach Italien keine Anhaltspunkte gefunden; der kimbrischen Bewegung scheint dieses Telos fremd zu sein. Dieses Ergebnis ist nun durch einen weiteren Schritt zu ergänzen, indem die Vorstellung von Wanderung selbst einer Prüfung unterzogen wird. 3. Die kimbrische Bewegung: Typische Bedingungen und historischer Mafistab Räuberisch-mobile
Existenzweise wird vielen Nordbarbaren,
von den Kelten bis zu
den Skythen und Sarmaten, nachgesagt. Sie war kein Spezifikum der Kimbern; es fragt
Kimberntradition und Kimbernmythos
47
sich vielmehr, worin gerade deren Eigenart bestand, was ihr "Wandern" zum eindrucksvollen und geschichtsmächtigen Nenner ihrer Bewegung gemacht hat. Es war zunächst und vor allem kein Ausdruck von Nomadismus, denn die Landforderungen sind deutlich genug bezeugt, und die Mobilisierung soll Folge einer Notlage gewesen sein. Aber ebenso wenig sind die Landforderungen Beweis bäuerlich-seßhafter Mentalität, mit der die Dauermobilität nicht in Einklang zu bringen wäre, Sucht man für ein so ambivalentes Phänomen nach Vergleichen und Möglichkeiten der historischen Einordnung, so bieten sich als nächstliegende die von Caesar ausführlicher beschriebenen rechtsrheinischen Invasionen an. Durch sie kann, was an der kimbrischen Bewegung typisch ist, in gewissem Maße illustriert werden; denn auch da verbindet sich begrenzte, gelegentlich sogar weiträumige Mobilität mit grundsätzlicher Ortsbindung. Die Sueben — und gemäß Caesars Generalisierung die Germanen überhaupt - treiben zwar Ackerbau, er nimmt aber nur geringen Raum ein, Jagd und Krieg dominieren, und die Ernährung basiert vorwiegend auf tierischen Produkten. Sie kennen keinen Privatbesitz am Boden; dieser wird jährlich neu verteilt oder bei Wechsel des Platzes neu zugeteilt. Die Gefährlichkeit der Sueben beruht nach Caesar auf ihrer spezifischen Verknüpfung von bäuerlicher und militärischer Existenz: Jährlich ziehen tausend Bewaffnete aus, die von den daheim Gebliebenen mitversorgt werden; im nächsten Jahr wechseln die Rollen: “sic neque agricultura nec ratio belli intermittitur" (61). Zeitlich etwa zwei Generationen später und nach den Erfahrungen der augusteischen Okkupationszeit, aber dennoch klischeehaft vergröbernd, sagt Strabo (7,291), die Sueben
kennzeichne
die Leichtigkeit des
Ortswechsels,
Folge
einer
Lebensweise ohne Ackerbau und Vorratshaltung. Sie lebten auf Wagen und zögen in nomadischer Weise mit ihren Herden und ihrer Habe umher. In diesen Urteilen gehen Beobachtungen, falsche Generalisierungen und skythisierende Klischees unterschiedliche und schwer entwirrbare Verbindungen ein. Auch das archäologisch gewonnene Bild nordeuropäischer Wirtschaftsweise in der späten vorrömischen Eisenzeit ist zwar geprägt durch Dominanz der Viehhaltung vor dem mit Hakenpflug betriebenen Ackerbau,
aber auch durch dauerhaft umrainte
Äcker (celtic fields) und
Übergang der Siedlungen aus großen Wohnstallhäusern, umzäunten Gehöftanlagen und Funktionsgebäuden zu Platzkonstanz (€). Die siedlungsgeographische Forschung beobachtet eine gewisse Mobilität der Siedlungen im Nahbereich, aber doch vor allem auch Kontinuität der Siedlungsgebiete im Ganzen und Anpassungsfähigkeit der Siedler an die Naturgegebenheiten (®) - Kommt auch dem Ackerbau nur subsidiäre Bedeutung zu (der Jagd fast überhaupt keine), so tendiert doch die Lebens- und Wirtschaftsweise im norddeutschen Küstengebiet
im 2. und
1. Jh. nicht zu Halbnomadismus;
sie läßt deshalb auch
(61) B. G. 4,1,4-10 (Suebenexcurs); 6,22 (gallisch-germanischer Excurs). Vgl. D. Agrarverfassung nach den Berichten Caesars und Tacitus’, in: Untersuchungen frühmittelalterl. Flur... (Abh. Ak. Gótt., Phil.-hist. Klasse III 115), 1979, S. 11 ff. (62) G. Hatt, Oldtidsagre, 1949; M. Müller-Wille, Eisenzeitliche Fluren Nordseeküstengebieten, 1965; ders., Bäuerliche Siedlungen der BronzeNordseegebieten,
in: Das
in den festländischen und Eisenzeit in den
Dorf der Eisenzeit... (Abh. Ak. Gótt., Phil.-hist. Kl. III 101), 1977, S. 153 ff.; H.
Jankuhn, Siedlung, Wirtschaft und Gesellschaft der Germanen, in: ANRW und
Timpe, Die germanische zur eisenzeitlichen und
124; P. Schmid, Ländliche
Siedlungen
der vorrömischen
II 5 (1977), S. 65 ff., bes. 97 ff.
Eisenzeit bis Völkerwanderungszeit
im
nie-
dersüchsischen Küstengebiet, in: Offa 39 (1982), S. 73 ff. (63) Methodisch wertvoll ist hierfür H. Th. Waterbolk, Mobilität von Dorf, Ackerflur und Grüberfeld in Drenthe seit der Laténezeit, in: Offa 39 (1982), S. 97 f£; 276; vgl. weiter P. Schmid (wie vor. Anm.) und G. Kossack-K. E. Behre-P. Schmid, Archiiologische und naturwissenschaftliche Untersuchungen an ländlichen und frühstädtischen Siedlungen, 1984.
48
Dieter Timpe
Wanderungen im großen Stil und Abbruch der Siedlungskontinuität nicht erkennen. Die soziale Differenzierung nimmt in der vorrümischen Eisenzeit jedoch zu; reiche Grüber dokumentieren vor allem durch Beigaben von Importgütern weiterreichende wirtschaftliche Möglichkeiten, Waffen- und Wagengräber sowie größere Herrenhófe lassen häuptlingsartige Stellungen vermuten (95). Die aus dem nordmitteleuropäischen Raum ausstreuenden Kriegerverbünde müssen deshalb gefolgschaftlich organisierte Gruppen und Jungmannschaften gewesen sein, die zunächst die heimische Sozialstruktur nicht aufhoben, aber die sozial und wirtschaftlich überlegene Stellung der Gefolgschaftsführer-Häuptlinge voraussetzten und ihrerseits ver-
stárkten. Der Einstrom
keltischen Importgutes
und die Nachahmung
keltischer
Trachtelemente, besonders die bedeutenden Importstücke keltischer Herkunft im fernen
Jütland, die berühmten Kessel von Gundestrup und von Braa (ostkeltischer Provenienz) oder die Kultwagen von Dejbjerg, geben auch zu erkennen, welche Faszination von der zivilisatorisch überlegenen Fremde ausging und welche Begehrlichkeit sie weckte (65).
Anteil an diesem Reichtum versprach bei begrenzter Reichweite schon der Beutegewinn aus Überfällen und auf Schnelligkeit und Überraschung angelegten Raubzügen, dann aber vor allem der Lohn, den der vertraglich festgelegte Kriegsdienst für fremde Interessen erhoffen ließ. Das Bedürfnis keltischer Fürsten und Stämme nach Hilfstruppen bot für Ruhmsucht und Habgier jede Chance. Zwischen "Nachfrage" - in Form von Anwerbung, Sog der materiellen Überlegenheit oder Gelegenheit zur Einmischung in Konflikte — auf der einen Seite (5) und “Angebot” - nämlich der Begehrlichkeit, dem relativen Mangel, der physischen Leistungsfühigkeit sowie einem aus Ehrgeiz, Tatkraft und Erfahrung der Anführer erwachsenden Führungspotential - auf der anderen entstand eine Wechselwirkung. Verhandlungen und Absprachen über Soldleistungen, Geschenke und Beuteanteile ebneten den Weg dafür und wurden zur geläufigen Praxis. Und der Erfolg solcher Unternehmungen reizte zu Nachahmung und Ausweitung, Mißerfolg dämpfte die Lust dazu. Erfolg und Umfang der Unternehmungen werden auch die Ortsbindung wesentlich bestimmt haben; die von Caesar geschlagenen rechtsrheinischen Sugambrer und Sueben fluteten in ihre Ausgangsriume zurück (B. G. 1,54,1; 4,18); wären sie unbehelligt geblieben, hätten sie Nachzug erhalten und sich schlieBlich, wie Caesar fürchtete, im Lande festgesetzt. Denn sicherlich ist mit einer generell hóheren Bereitschaft zum Aufbruch zu rechnen, die dem antiken Beobachter auffiel,
weil sie ihm fremd war. Wenn die Bedrückung durch Ariovist nicht aufhóre, läßt Caesar die Gallier sagen, dann “müßten sie eben auswandern” und ihr Glück anderswo versuchen (1, 31,14); kurz zuvor wurde ebendies als größte Gefahr beschworen wurde (11), daß nämlich *alle" Gallier aus Gallien vertrieben würden und "alle" Germanen über den Rhein kämen: Veränderung der Wohnsitze ist eine extreme Möglichkeit, aber sie gehört
immerhin
zum normalen
Erfahrungsbereich, damit aber auch die Möglichkeit des
Scheiterns und des Unterganges.
Der Unterschied zwischen männerbündischen Unternehmungen einer iuventus oder Gefolgschaft und einer Stammeswanderung mit Tro und Familien war für Kohärenz,
(4) H. Steuer, Frühgeschichtliche Sozialstrukturen
in Mitteleuropa, 1982, S. 155 ff.
(85) K. Peschel, in: B. Krüger (Hrsg.), Die Germanen I, 1919, S. 249 f. (5) Vgl. Caes., B. G. 4,16: “... cum videret (Caesar) Germanos tam facile impelli in Galliam venirent...".
Kimberntradition und Kimbernmythos
49
Dauer und Wirkung eines Auszuges grundlegend. Der Unterschied der Typen ist den antiken Beobachtern auch deutlich gewesen; sie haben, wie es ihre Erfahrung nahelegte, den ersten mit risikobereitem Draufgingertum und Beutegier in Verbindung gebracht, den zweiten mit Not- und Zwangslagen. Auf eine biindige Formel brachte die poseidonianische Ethnographie der Nordvólker (67) diese Anschauung, wenn es dort heiBt (Strabo 4,196): “Ihre Ortsveründerungen gehen leicht vonstatten, indem sie sich scharenweise und mit der gesamten Mannschaft aufmachen, ja vielmehr mit allen Familien aufbrechen, wenn sie von anderen und Stärkeren vertrieben werden." Das angestrengte Spekulieren der Quellen über landverzehrende Fluten als Ursache des Kimbernzuges mag auch darin seinen Grund gehabt haben, daB für eine Kollektivauswanderung die sie begründende xpeia
gefunden werden mußte (€). Aber es ist klar, daß über einen Massenauszug weniger die Verschlechterung der Ausgangslage als die Zielperspektive entscheiden mufite. Ariovist,
der Führer von Wandervólkerkontingenten, betont nach Caesar, er sei nicht freiwillig (“sua sponte"), sondern gerufen ("rogatum et accersitum") nach Gallien gekommen und habe seine Heimat (“domum propinquosque") nur verlassen in der Hoffnung auf grofen Lohn; auf das vertragliche Entgelt in Form von Land und Tributen und auf die Sicherstellung des Gewonnenen durch Geiseln habe er deshalb ein Anrecht (1,44,2. 6,12,2).
Diese Einladung muß nicht nur für ihn attraktiv gewesen sein, wenn ganze Stammesgruppen unter seiner Führung nach Gallien zogen. Auch die Helvetier soll die Hoffnung auf eine hegemoniale Stellung zum geordneten Auszug des Gesamtstammes bewogen haben, und ihr Führer Orgetorix wußte den darauf gegründeten und diplomatisch vorbereiteten Plan seinen Stammesgenossen angeblich so plausibel zu machen, daß dieser merkwürdigerweise sogar den Sturz seines Urhebers überdauerte. - In all diesen Fällen muß die Sicherung der Wiederansiedlung im Mittelpunkt der Vorsorge gestanden haben, wenn die Auswanderung auch durch eine Vielzahl unterschiedlicher Erwartungen in Gang gekommen sein kann. Landbesitz wird aber immer ein Ziel von Invasorengruppen gewesen sein, nicht, weil er Rückkehr zur Beschaulichkeit verhieß, sondern weil nur so eine dauerhafte Existenz
gewährleistet war. Gewonnenes und geraubtes Gut erhöhte Lebensgefühl und Prestige eines mobilen Kriegerverbandes, aber nicht unmittelbar seinen Lebensstandard (®). Die Versorgung durch andere, sei es gegen Entgelt (Arbeit, vor allem Kriegsdienst, Eintausch von Beute) oder ohne (Raub, Tribute), blieb eine unsichere Grundlage. Auch gefürchtete Räuber lebten deshalb ein prekäres Leben, imposante Akkumulation von Beutegut schloß Abhängigkeit von anderen, ja Existenzgefährdung nicht aus, wenn nicht rasch eine dauerhafte Integration erfolgte. Im Falle einer geplanten Stammeswanderung mußte die Wiederansiedlung ohnehin sichergestellt sein. Diese war aber naturgemäß auch eine Frage der Menschenzahl, deren Steigerung zur Durchsetzung militärischer Ziele erwünscht,
(67) D. J. Tierney, The Celtic Ethnography of Poseidonios, in: Proc. Royal Irish Ac. 60 (1960), S. 189 ff.; Malitz (wie Anm. 7), S. 202 ff.
(68) In dem am besten bekannten Falle einer Stammeswanderung. dem Helvetierauszug. wird eine solche Notlage, germanischer Druck, noch erwähnt, aber auch hinter einem persönlichen Motiv (Adels- und Stammesehrgeiz) zurückgestellt: B. G. 1,1,4 i. Verb. m. 2,1. Vgl. auch B. G. 4,1,2. Reiches Material liefert die
Überlieferung über die Keltenzüge in Italien. (89) Vgl. Caes., B. G. 4.2.1 von den Sueben: "mercatoribus est aditus magis eo, ut quae bello ceperint, quibus vendant, habeant quam quo ullam rem ad se importari desiderent".
50
Dieter Timpe
für die Behauptung auf Dauer eher eine Belastung war (vgl. Caes., B. G. 1,31,10). Darum
haben sich Abspaltungen groRer Wanderverbinde, wie die Aduatuker oder haeduischen Boier eher erhalten als die Gesamtverbände zu denen sie ursprünglich gehörten. Kritische Situationen entstanden deshalb dann, wenn landlose Kriegerverbünde weder friedlich noch unfriedlich auf Dauer ihren Unterhalt sichern konnten und permanenter Krieg mit Ausplünderung zahlenmäßig überlegener Nachbarn irgendwann an der Gegenwehr der Betroffenen
scheitern mußte, oder wenn
einem
wandernden
Stammesverband
seine
Festsetzung nicht gelang und sein sozialer Zusammenhang darüber in Frage gestellt wurde. “Wandern” und “Raubexistenz” nordbarbarischer Verbände zielten bis in caesarische Zeit auf eine Symbiose mit der keltischen Zivilisation. Mobilisierung ganzer ethnischer Verbände trat ein, wenn die erfolgreichen Unternehmungen gefolgschaftlicher Gruppen hinreichend animierend wirkten und eingespielte Kontakte der Anführer die Voraussetzungen dafür geschaffen hatten. Den Weg wiesen Schwächen und Bedürfnisse keltischer Fürsten und Stimme, in deren Fehden Hilfstruppen gebraucht wurden und Klientelisierung
oder Dauerhospitium
assimilationsbereiter
Verbünde
das eigene
Potential verstärken konnten. Dauernde Schwächung durch Stammeskrieg ließ umgekehrt Freiraum und Möglichkeiten für Festsetzung von Zuwanderergruppen entstehen. Deren Häuptlinge, denen die Geschenke, Soldzahlungen, Tribute und Beuteobjekte zuflossen, steigerten ihre Führungsmacht und Autoritàt, sofern sie nicht dureh Konkurrenz- und Ausscheidungskämpfe blockiert wurden; sie dienten den keltischen Auftraggebern gegenüber als die gegebenen Vermittler und mußten den eigenen Leuten als Heilsbringer, aber auch Träger der Assimilation erscheinen. Mobilisierung bedeutete deshalb auch soziale Transformation, für die es wesentlieh war, ob und wie die
Wiedereingliederung in neue Verhältnisse gelang. - Der Begriff des “Raubes” (AnoTeia) bedarf der Prüzisierung: Überfälle äußerer Feinde (raids) mit nachfolgender Rückkehr in die Ausgangsgebiete — bei Herkunft aus weiter Entfernung wie bei den Kimbern gar nicht möglich! - und Plünderung durch barbarische Hilfsvölker als Kriegsmittel im Dienste eines Gegners mógen für die Betroffenen gleich gewesen sein, sind es aber in der Sache nicht. Und die vielfach beklagte Plünderung, in die erlaubte oder erzwungene und vertraglich begrenzte Versorgung durchziehender Wanderverbände
ausarten konnte, ist
wieder etwas anderes. Schließlich gab es für Integration fremder Einwanderer (nur) zwei Möglichkeiten: Die erste ist die Klientelisierung. Dafür stehen die Boier als Beispiel (B. G. 1,28,5); sie dürfen sich auf dem Gebiet der Haeduer niederlassen, die sie zu (wahrscheinlich, trotz Caesar)
minderberechtigten Stammesmitgliedern machten. Die andere, durch die Aduatuker dargestellte Möglichkeit ist die Behauptung als selbständiger Stamm, der in der neuen Umgebung anerkannt wird. Die Aduatuker (B. G. 2,29,5) mußten aber jahrelang schwere Kriege mit den Nachbarn ausfechten, bis sie "consensu omnium pace facta" ihre Autonomie und ihr Territorium behaupten konnten. Zu dieser Integration gehórte vor allem Teilnahme an der belgischen Wehrgenossenschaft (2,4,9; 5,39).
Diese vergleichenden typologischen Hinweise sollten einen Rahmen abgeben, in dem die fragmentarischen und vereinzelten Nachrichten über die kimbrische Bewegung mehr Aussagekraft gewinnen können als es ohne ihn möglich wäre. - Es überrascht nicht, daß die Integration der Kimbern in der keltischen Welt auf militärischem Gebiet am größten war. Die riesigen Heere, die den Rómern begegneten, waren zu hoch entwickelter Organisation und rationaler Ordnung imstande, zu Lagerbau und Marschordnung, zu
Kimberntradition und Kimbernmythos
51
planmäßiger Aufstellung und Durchführung einer Schlacht (79); in gewissem Grade scheinen die Kimbern über Sturm- und Belagerungstechniken verfügt zu haben (7). Sie haben das keltische Waffeninventar übernommen, am auffälligsten bei den mit Federbüschen überhóhten
Tierhelmen
der
Reiter;
aber
auch
die
Ausrüstung
mit
schwerem
Langschwert, breitem Schild und spezialisierten Wurfspießen sowie der Gebrauch eiserner Panzer sind keltische Entlehnungen (7). Feldzeichen und Trompeten (Plut., Mar. 27,6)
müssen die Kimbern bei den Kelten kennengelernt haben. Weiter werden Trachtelemente und Bestandteile der materiellen Zivilisation übernommen worden sein (7) und all dies gewiß am meisten bei den Führenden, die deshalb teilweise sogar keltische Namen trugen (79, natürlich Keltisch sprachen und wahrscheinlich keltisch verschwügert waren (vgl. Ariovist: Caes., B. G. 1,53,4). Wenn
ein kimbrischer Anführer einen fórmlichen
Vertrag mit einem römischen Befehlshaber schließt und sich dabei keltischer Kultformen bedient (75), wird sich die Vertragserfahrung von Söldnerführern auswirken. Und falls es zutrifft (und nicht Mißverständnis ist), daß die Kimbern mit den Römern über Ansiedlung gegen Kriegsdienst zu verhandeln suchten wie mit keltischen Fürsten, aber dabei Hohn und Verachtung ernteten (76), würde der Fall wiederum die Geläufigkeit derartiger vertragsrechtlicher Formen belegen, aber auch beweisen, daß ihre Anwendung eben auf den
keltischen Bereich beschränkt war und die Kimbern im Verkehr mit den Römern politisch eine terra incognita betraten. Nach allem kann es gar nicht anders sein, als daß die römischen Gegner in den Kimbern zunächst Kelten sahen; sogar ihren Namen scheinen sie in keltischer Lautung übernommen zu haben (7). Auf anderen Gebieten sind keltische Zivilisationelemente jedoch nicht in gleicher Stärke übernommen worden. Fraglich muß bleiben, ob kimbrische Kultpraktiken wie Menschenopfer keltischer Herkunft waren: Die rituellen Unterschiede sprechen eher dagegen, und für den als spezifisch keltisch angesehenen Kult gibt es anscheinend keine kimbrische Entsprechung (7%). Dem antiken Beobachter trat vor allem in vielen
(7°) Lagerbau und Befestigung: Plut., Mar. 15,7; Flor. 1,38,16; Oros. 5,16,17. - Heeresversammlung: Liv., per. 67; Gran. Lic. 33,3. - Marschordnung: Plut., Mar. 15,5-6; 18,2. - Schlachtordnung: Plut., Mar. 15,9; 19,4; 20,4; 21,1. - Kampftechniken: Plut., Mar. 20,9; 26,1; 27,1. - Gliederung der Einheiten, Feldzeichen: Plut., 27,6; Eutr. 5,2,2. - Schanzarbeiten: Plut., Mar. 23,4. - Zur militärischen Organisation: Ch. Trzaska-
Richter, Furor Teutonicus. Das römische Germanenbild in Politik und Propaganda..., 1991, S. 76 ff. (71) Belagerung gallischer Oppida: Caes., B. G. 7,77,12. - Einnahme eines römischen Kastells: Plut., Mar. 23,7. - Sturm auf römische Lager: Liv., per. 68; Plut., Mar. 18,1; 25,1.
(72) Plut., Mar. 19,1; 23,3; 25,10-11. - Frauen mit Lanzen, Schwertern und Áxten bewaffnet: Plut., Mar. 19,9; Flor. 1,38,16. (73) Hierher gehören die Fibeln und bronzenen Gürtel der kimbrischen Priesterinnen (Strabo 7,294); dagegen werden keine torques bei den Kimbern erwähnt. Sertorius zieht (Plut., Sert. 3,3) keltische Kleidung an und lernt die — offenbar: keltische - Sprache, um unauffällig das Lager der Kimbern ausspio-
nieren zu können. Auch der Gebrauch der "plaustra et carpenta" bei den Kimbern (Flor. 1,38,16) kann keltischen Ursprunges sein.
(74) Teutoboduus: Flor. 1,38,10; Boiorix: Liv., per. 67; Lugius, Claodicus, Caesorix: Oros. 5,16,14-21. Vgl. Müllenhoff, Deutsche Altertumskunde 2, S. 120 f.; Melin (wie Anm.
14), S. 65 ff.
(75) Zum ehernen Stier vgl. die Stierkopfprotome auf dem Kessel von Braa (P. Mortensen, Il calderone di Brá, Ausstellungskatalog / Celti, Palazzo Grassi, Venezia 1991, S. 375).
(76) 1. (Silanus): Flor. 1,382: “ut Martius populus aliquid sibi terrae daret quasi stipendium, ceterum ut vellet manibus atque armis suis uteretur"; Liv., per. 65.-2. (Caepio): Gran. Lic. 33,8.-3. (Marius): Plut., Mar. 244. (77) Schwarz, Stammeskunde (wie Anm. 11), S. 59; Melin (wie Anm. 14), S. 64. (78) Strabo 4,197 im Vergleich mit Diodor. Die Rolle der Frauen hat bei den Kelten, die der vates bei
den Kimbern keine Analogie; die Opferbräuche sind verschieden.
52
Dieter Timpe
Einzelzügen eine fremdartige und aus Kontakten mit Kelten nicht bekannte Mentalitàt entgegen (79); sie erst reizte die völkerpsychologische Spekulation, die bei völliger Assimilation gar nicht motiviert gewesen würe. Die gewaltigen Beutemassen
und der
enorme materielle Wert der Waffen standen in einem unbegreiflichen Gegensatz zu einer Lebensweise, der gekochte Speisen und gebackenes Brot, warme Bäder und Wohnen in festen Häusern bereits als neue und effeminierende Genüsse galten. Die Primitivität dieser Lebensweise ging deutlich über das Maß der keltischen hinaus (Diod. 5,28,4; Athen.
4,36=FGrHist 87 F 15,1). Anscheinend entsprach den Gewinnmöglichkeiten und dem materiellen Reichtum die Anpassung an hóhere Lebensformen deshalb nicht, weil beides,
Güteranhäufung und Roheit, triftige Folgen einer und derselben Existenzform waren. Sie zwang die Kimbern zu militärischer Höchstleistung, aber verhinderte ihre zivilisatorische Integration. Die enormen Einnahmen an materiellen Werten müssen im wesentlichen in die Aus- und Aufrüstung investiert worden sein. Der Zusammenhang von Festhalten an den hergebrachten Sitten des Wandervolkes und militàrischer Stárke bzw. Annahme von Zivilisationstechniken und Verweichlichung erweist sich von daher als mehr als nur ein verbreiteter Topos. Auf weitreichende Zusammenhänge führt diese Ambivalenz, wenn man das Wohnwesen der Kimbern betrachtet. Der caesarische Ariovist erklürt, seit vierzehn Jahren (also wohl seit Beginn seines Unternehmens) hátten seine Leute keine festen Wohnungen bezogen (B. G. 1,36,6); er hatte jedoch angeblich bereits ein Drittel des ager Sequanus okkupiert (1,31,10) und alle Oppida “in sua potestate" (1,32,5), so daß die
Behauptung als bloße Barbarenprahlerei erscheinen könnte. Sie wird indessen den Sinn haben, daß die Ariovistsueben auch nach dieser Okkupation, vermutlich eines Rand- oder Grenzgebietes, wegen des Zwanges zur Kriegführung nach außen und der Behauptung gegen die sequanischen Gastgeber nicht zu einer gewöhnlichen bäuerlichen Lebensform zurückgekehrt waren, sondern in ihren Territorien lagermäßig abgesondert lebten, um in der
permanenten
Kriegssituation
die
militärische
Präsenz
auf
Kosten
der
Lebensnormalität aufrecht zu erhalten (®). Trotz seiner militärischen Überlegenheit hatte Ariovist auch die Oppida nicht besetzt, wie sein Marsch auf Vesontio zeigt (1,38,1). Ähnliche Verhältnisse scheinen bei den Kimbern vorauszusetzen zu sein. Sie umschanzten in Italien nicht nur ihr Lager während der Schlacht durch eine Wagenburg (Plut., Mar. 25,9; Oros. 5,16,17 ff.) und kampierten in Zelten und auf Wagen (Plut., Mar. 21,4), sondern
grenzten für sich weiträumig umschrankte Areale aus (51). Wenn man davon ausgehen darf (s. o. S. 27), daß die Kimbern als Hilfsvólker und Bundesgenossen der Sequaner nach Gallien kamen
und
sich auf deren
Stammesterritorium
niederlieBen, stellt sich ihre
Situation als der Ariovists recht áhnlich dar. Sie haben dann wahrscheinlich auch Randgebiete zur Verfügung gestellt bekommen, von dort aus die Nachbarn bekriegt und sind vielleicht auch, durch Zuzug verstàrkt, ihren Auftraggebern über den Kopf gewach-
sen. Jedoch spricht nichts dafür, daf3 sie Oppida besetzten und sich dort ansiedelten. Eher
(99) Furor:
Plut., Mar.
11,13; 20,7. - Schauriges
Geheule:
Strabo
7,294; Plut., Mar.
15,6; 16,3 u. è.. —
Herausforderung zur Schlacht: Plut., Mar. 15,7; 25,4. - "gigantische" Kraft: Plut., Mar. 23,4; Flor. 1,38,12. — Freude am Rodeln: Plut., Mar. 23,3. - Unstrategisches Verhalten: Plut., Mar. 14,10. - Freude am warmen Baden: Dio C. fr. 94.2; Oros. 5.16,4. Vgl. Trzaska-Richter (wie Anm. 70), S. 48 ff. (die hier versuchte
Differenzierung des Kimbernbildes nach Entwicklungs- und Erfahrungsstufen ist kaum durchführbar). (9) Caes., B. G. 1,36,7: "exercitatissimi in armis". Vgl. Walser, Caesar und die Germanen, 1965, S. 16 ff. (51) Plut., Mar. 15,7: “περι βαλόμενοι dé τοῦ Medion μέγα καὶ στρατυπεοεύσαντες",
Kimberntradition und Kimbernmythos
53
dürften sie auch vor dem Aufbruch nach Italien weiträumige Bezirke als lagerartige Siedlungsplütze benutzt haben, und man kann in ihnen am ehesten die castra ac spatia des Tacitus vermuten (82). In diesem Sinne konnte den Kimbern ein Wohnen unter freiem Himmel,
eine quasi vorseBhafte
Lebensweise,
zugeschrieben
werden
(Dio. fr. 94,2),
obwohl sie wahrscheinlich von ihren Sitzen aus eine bescheidene Landbestellung betrieben haben. Ortsbindung
und “räuberische”
Lebensweise,
Reichtum
und Primitivität,
Landbesitz und Wohnen ohne Häuser verbinden sich, aber auch nur in diesem spezifischen symbiotischen Milieu. Wenn die Wander- und Räuberexistenz der Kimbern in den Bedingungen und Möglichkeiten der keltischen Zivilisation für die Akkulturation von Randgruppen ihre Grundlage hatte, dann repräsentiert sie insofern etwas Typisches, dessen Elemente auch durch Parallelen erhellt werden kónnen. Auch die Kimbern kónnen also nicht ausgewandert sein ohne eine konkrete Zielvorstellung gehabt zu haben, sei es, daß diese anfangs mit den Boiern verbunden war oder daß sie von vornherein in Pannonien oder Noricum lag. Auch sie müssen eine intensive diplomatische Vorbereitung betrieben, Verbindungen mit politischen Freunden gesucht und vertragliche Durchzugsgewührungen angestrebt haben und sie brauchten dazu weltkundige und erfahrene Leiter. Die Kimbern bewegten sich wie andere Invasionsverbände auf Linien, die durch innerkeltische ökonomische, politische
und militärische Zusammenhänge vorgezeichnet waren, und Formen, die auch anderswo zu beobachten sind: Land gegen che Formel dafür, hinter der aber komplizierte Prozesse der von Wanderverbänden, die Bedeutung des Krieges in der Gesellschaft des 2. Jh., sowie Formen
ihre Festsetzung erfolgte in Kriegsdienst lautet die einfaSozialisation und Integration aristokratischen keltischen
wehrbäuerlicher Existenz zu bedenken sind. Im
Hinblick darauf kann zwar die Existenz der Kimbern namentlich in Gallien nur in sehr allgemeinen Umrissen vorgestellt werden, die historische Einordnung des kimbrischen Phänomens ist aber in gewissem Grade möglich. Der Kimbernzug setzte die latente Mobilität der Stämme voraus, die in ihrer Wirtschaftsweise einerseits, in der grundsützli-
chen Aufnahmebereitschaft und Integrationsfühigkeit der keltischen Welt andererseits begründet war. Wanderungen auf der Nord-Süd-Route (von der Ostsee zum Balkan) wie auf der Ost-West-Route
zwischen
Noricum
und Gallien sind auch sonst bekannt; der
Gesamtweg der Kimbern ist zwar nach unserer Kenntnis im mitteleuropüischen Raum ohne Vergleich, die Keltenwanderungen in mediterrane Länder haben aber vergleichbare Entfernungen durchmessen. Auch sind analoge Unternehmungen von Rückschlägen, Änderungen des ursprünglichen Zieles oder Spaltungen nicht verschont geblieben, ja von Mißerfolgen bis zum völligen Scheitern betroffen worden, so daß insoweit die kimbrische Bewegung nichts Singuläres darstellt. Die Gründe, weshalb es den Kimbern nicht gelang, in Böhmen oder Pannonien Fuß zu fassen, können
wir nicht erraten, der Weiterzug
in Noricum
scheint durch
äußeren
Eingriff erzwungen worden zu sein. Damit kann die kimbrische Bewegung in einem wesentlichen Punkt durch einen politischen Mißerfolg bestimmt worden und in eine Richtung gedrüngt worden sein, die nicht vorhergesehen war. Dem stünde jedoch die militàrische Behauptung gegen die Rómer und der materielle Gewinn gegenüber; die rei-
(2) Tac., Germ. 37,1: "veterisque famae lata vestigia manent, utraque ripa castra ac spatia, quorum ambitu nunc quoque metiaris molem manusque gentis et tam magni exercitus fidem". - Norden, Urgeschichte, S. 245 verweist dazu nicht überzeugend auf die B. G. 1,37,3 vorausgesetzte Wagenburg.
54
Dieter Timpe
chen Kimbern waren sogar für die Helvetier so attraktiv, daß diese zur Kooperation bereit waren, z. T. sogar zum Anschluß. Der Zusammenhalt des Verbandes wurde also anscheinend nicht erschüttert, es eröffneten sich ihm vielmehr positive Aussichten in Gallien, rei-
che und mächtige Stammesführer nach Art des caesarischen Dumnorix mögen nun die Zuwanderer zu Bedingungen in Dienst genommen
haben wie sie Ariovist beschreibt. Die
Stammeskriege und insbesondere der Hegemonialkampf um die Haeduer erschlossen den Kimbern Betätigungs- und Bereicherungsfelder, der Einwandererverband konnte sich wahrscheinlich konsolidieren und bekam die Chance der Integration. Die Festsetzung scheint jedoch - vielleicht wegen der Quantität und militärischen Stärke der Zuwanderer - nicht zur Klientelisierung und Einfügung in den Stammesverband der Sequaner (die dafür in Frage gekommen wären) geführt zu haben; noch weniger bestand wohl die Möglichkeit einer Behauptung als selbständiger Stamm. Kimbrische Kriegführung stand im Dienste keltischer Herren und Stämme, aber machte, wenn dem
Urteil der Nachwelt
zu trauen ist, die Kimbern überall zu gefürchteten und verhaßten Gegnern. Von dem gallischen Gemeinschaftsbewußtsein, das die Druiden zu artikulieren begannen, scheinen die Kimbern als Barbaren und räuberische Feinde abgelehnt worden zu sein (535); das
Propagandaschlagwort von den Tyrannen ganz Galliens, das noch auf Ariovist angewendet wurde
(B. G. 1,31,11; 33,4), hat darin vermutlich seine Grundlage.
Vermutlich
sind die
Kimbern am Ende auch denen unerwünscht gewesen, die sie ins Land geholt hatten, und hat ihnen dies politisch den Boden entzogen. Die Lebensbedingungen des Wanderstammes zwang die Kimbern zu außerordentlichen militärischen Leistungen, sie mußten “exercitatissimi in armis” (8. G. 1,31,7) sein,
wollten sie bestehen; aber diese Spezialisierung entsprach ihrer zivilisatorischen Assimilation nicht, sie stand dieser wahrscheinlich sogar entgegen. Die Kimbern haben die Oppida ihrer Gegner als Zentren des Widerstandes belagert, aber standen ihnen als Stätten höherer materieller Zivilisation und als politischen und geistigen Mittelpunkten neuer Art wahrscheinlich fremd gegenüber. Solche Gegensätze mögen ihre Chance, sich in Gallien zu behaupten, verringert haben, wenn ihre politische Ausgangssituation, das Vertragsverhältnis zu ihren Auftraggebern, unsicher geworden sein sollte. Wir wissen indessen viel zu wenig darüber, um hier nachträglich eine sichere Prognose stellen zu können. Entschieden hat sich das Schicksal der Kimbern auch nicht an den Galliern, sondern an
den Römern. Wenn die kimbrische Bewegung bis zur Schlacht von Arausio in dem beschriebenen Rahmen verständlich gemacht werden kann, so gilt das für die Hektik der letzten Jahre, den Weg nach Spanien, die vermutete Vereinigung mit den Teutonen und Ambronen in der Belgica und den schließlichen Zug nach Italien höchstens mit großen Einschränkungen. Seit Junius Silanus aus präventiver Absicht oder aus ruhmsüchtigem Egoismus die Kimbern angegriffen und seine Niederlage die römische Stellung in der Provinz erschüttert hatte, mußten seine Nachfolger daran interessiert sein, einen gefährli-
chen Gegner einzudämmen und bekamen
sie Gelegenheit, ‘durch Verteidigung der
Bundesgenossen
Volkes’ und ihren eigenen zu vergrößern.
den Ruhm
des römischen
Damit tat sich für die Kimbern ein neues politisches Problem auf, das außerhalb ihres
(#3) Timagenes bei Amm. Marc. 15,9,4 beruft sich auf Druiden-Überlieferung, nach der rechtsrheinische Zuwanderung durch Überschwemmungen (“alluvione fervidi maris”) veranlaßt worden sei. Vgl. Plut., Mar. 11,5; Tac., Hist. 4,73,2 (Cerialisrede).
Kimberntradition und Kimbernmythos
55
Verstándnishorizontes lag und mit Nachgeben, wie Jahre zuvor in Noricum, nicht zu lósen war, aber ihre gallische Stellung sicherlich belastete und komplizierte. Trotz des Sieges von Arausio scheinen sie ihre Basis in Mittelgallien verloren zu haben, und daran dürfte die römische Politik ihren Anteil gehabt haben. - Der Angriff der Wandervólker auf Italien hat dann die höchste Aufmerksamkeit der Zeitgenossen und einen entsprechenden Niederschlag in den Quellen gefunden. Aber nach seinen politischen und strategischen Motiven ist dieses Ereignis so wenig zu durchschauen wie andere Wendungen der Kimberngeschichte, weil es ausschließlich als Konsequenz einer stets gleichen aggressiven Absicht und Zielsetzung mißdeutet wurde. Es bezeichnete dessen ungeachtet aber eher das definitive Scheitern der Pläne und Chancen, in der keltischen Oikoumene
eine auf
Arrangement gegründete Stellung zu gewinnen. Der Weg der Kimbern und Teutonen nach Italien, wenn er denn nicht nur eine Folge barbarischer Habgier und Aggressivität war und darum allenfalls psychologischer Erklärung zugänglich, muß im Rahmen der geschichtlichen Situation des 2. Jh. beurteilt werden. Diesem Aspekt gilt deshalb der letzte Gedankengang unseres Themas, 4. Kimbern und Italien: der geschichtliche Rahmen der Konfrontation Die Kimbern den ‘Germanen in Italien’ zuzurechnen, scheint die vielbehandelte Frage
der germanischen Ethnogenese und Identität von vornherein in einem konventionellen Sinne zu beantworten: Die Wandervölker waren danach als Germanen Teil eines übergeordneten ethnischen Ganzen; dessen Existenz und Eigenart bezeugen sie mit ihrem geschichtlichen Erscheinen, es tritt in ihnen als seinen Repräsentanten in seiner Geschichtsmächtigkeit zutage; zum ersten Mal demonstriert dieses Ethnos sein Anderssein und beansprucht Platz dafür, womöglich einen ‘Platz an der Sonne’. Dieser, oft
nur stillschweigend vorausgesetzte Verständnishintergrund des kimbrischen Phänomens bedarf der Korrektur. - Es besteht kein vernünftiger Zweifel daran, daß die Kimbern einen germanischen Dialekt redeten, aber dafür, daß sie das Bewußtsein gehabt hätten, deshalb auch einer weitreichenden ethnischen Verwandtschaftsgemeinschaft von Germanen zuzugehören, Glied einer, der keltischen analog, aber auch konträr gedachten Stammesfamilie zu sein, gibt es keinen Anhaltspunkt (#). Kultrituale, Lebensweise,
Trachtelemente, Repräsentation und militärische Leitung durch Könige (85) sprechen erwartungsgemäß für ein lebendiges Stammesgefühl, aber nicht für ein darüber hinausgehendes, zweischichtiges Identitätsbewußtsein. Die bisherigen Beobachtungen und
(&4) Neuere Studien zur Ethnogenese der Germanen koinzidieren in dieser Erkenntnis: H. Ament, Der Rhein und die Ethnogenese der Germanen, in: Präh. Zeitschr. 51 (1984), S. 37 ff. (Stabilität der materiellen Kultur beweist nicht Konstanz der ethnischen Identität; polyzentrischer Ursprung des germanischen Ethnos unter römischem Einfluß im 1. Jh. v. Chr.); G. Dobesch, Zur Ausbreitung des Germanennamens, in:
Pro arte antiqua (Fschr. H. Kenner), 1983, S. 77 ff. (genereller Germanenname entsteht in der Zeit kurz vor Caesar, wird von Caesar aufgegriffen und vertieft); R. Wenskus, Über die Möglichkeit eines interdisziplinären Germanenbegriffs, in: H. Beck (Hrsg.), Germanenprobleme in heutiger Sicht (RGA, Erg.bd. 1, 1986), S. 1 ff. (historisch junge Einheit der Germanen, bei der präskriptive und konstative Definition des Germanenbegriffs nahe beieinanderliegen). - Zum methodischen Rahmen vgl.: Studien zur Ethnogenese (Abh. Rhein.-Westf. Ak. 72, 1985). (85) Strabo 7,294 (Kult); Plut., Mar. 23,3; 25,10 (besondere Schilde als Trachtelement); Plut., Mar. 27,2-
3; Flor. 1,38,16 f. u. 6. (Selbstmord der Frauen als Zeugnis des Stammeszusammenhanges); Plut., Mar. 24,7; 25,4; Flor. 1,38,10; 18 (Repräsentation durch Könige).
Liv., per. 67;
56
Dieter Timpe
Vermutungen zum Wesen der kimbrischen Bewegung weisen in eine andere Richtung: Der bis an den nórdlichen Rand der Mittelgebirge reichenden keltischen Welt war eine barbarische Randzone vorgelagert, die nach antiker Vorstellung bis an den nérdlichen Ozean reichte und damit an den Rand der Oikoumene. Von dort brachen, angezogen von der materiellen und geistigen Überlegenheit des Südens und seine Aufnahmefähigkeit für Hilfstruppen und Klientelstämme nutzend, Gruppen auf, um friedlich oder unfriedlich in der Keltiké Fuß zu fassen. Von männerbündischen und kleinen, mobilen Gefolgschaften bis
zu autarken Verbänden und zahlenmäßig mächtigen Wanderscharen, von kompakten Einheiten bis zu wenig kohaerenten Konglomeraten scheinen dabei Skalen von Möglichkeiten zu reichen. Soweit dieser Sachverhalt archäologisch faßbar ist, zeigt er nicht zufällig zwei entgegengesetzte Gesichter: Im Latène-Milieu isolierte Jastorf-Befunde sprechen für die Infiltration nórdlicher Zuwanderer und ihre Festsetzung in fremder Umgebung; die keltische Gesellschaft sah sich offensivem barbarischen Druck ausgesetzt und verlor Terrain. Gleichzeitig aber belegt die Expansion keltischer Zivilisationselemente im Norden, mag sie Niederschlag von Handel und Import oder Ergebnis von Nachahmung sein, ein Kulturgefälle und die ausstrahlende Assimilationskraft der Latène-Zivilisation (85). Kulturell
war also die keltische Welt offensiv und dehnte sich aus. Es gab einen Diffusionsprozeß, bei dem voneinander unabhängig agierende oder auch kooperierende randbarbarische Gruppen nach Teilhabe an der hóheren Zivilisation dringten und sich deren Güter und Techniken aneigneten. Aber sie gebrauchten dazu auch gewaltsame Mittel, gemäß der einfachen und zeitlosen Erfahrung, daß Bewunderung höherer Kultur und auf Ausnutzung überlegener Macht beruhende räuberische Partizipation an ihr einander nicht ausschließen. Weitgehende Keltisierung vor allem der Führungsschichten hinderte also die brutale Ausnutzung einer Machtlage nicht, aber in solcher drückt sich kein ethnischer oder gar nationaler Gegensatz aus. Denn die Gemeinsamkeit der Randbarbaren untereinander beschränkte sich auf eventuelle kurzfristige Interessengemeinschaft und sie bestand nur in der Gleichartigkeit des Typischen; nicht positive eigene Ziele und einheitsstiftendes Bewußtsein, sondern das parallele symbiotische Verhalten zur zivilisierteren keltischen Welt verband und einte sie. Mochten sich Germanen also auch als ein Typus von Außenbarbaren deutlich genug bemerkbar machen, so “gab” es sie deshalb doch nicht im Sinne bewußter ethnischer Einheit, am
wenigsten einer solchen, die der keltischen so entsprach, wie es das Verständnismodell der Indogermanistik oder die romantische Volkskategorie suggerieren. In der nordbarbarischen
Außenzone
zeichnen sich drei Bereiche
deutlicher ab, in
denen Integrationsprozesse einen Zusammenhang über den Einzelstamm hinaus bewirkt haben: Es sind der Nordwesten bis zur Weser und mit dem Rheinmündungsgebiet, dessen Stämme wohl Träger des Germanennamens waren und ihre Expansion in die Belgica betrieben (87), dann die suebischen Stämme
mit dem Zentrum an der unteren Elbe, dem
(95) Vgl. W. Schrickel, Die Nordgrenze der Kelten im rechtsrheinischen Gebiet zur Spätlatenezeit, in: Jb. Röm.-Germ.
Zentralmus.,
Mainz
11
1964, S. 138 ff. und die Arbeiten
von
K. Peschel
(wie Anm.
12);
zusammenfassend: Germanen und Kelten, in: Krüger (Hrsg.), Germanen 1, S. 232 ff. (57) Zu dieser “polyzentrischen” Herkunft der Germanen s. Ament (wie Anm. 84), der auch insoweit mit Recht betont, daß Germanen und Kelten keinen Gegensatz bildeten und keine synchronen Erscheinungen waren. In der namengebenden Population der Belgica und des nordwestdeutschen Flachlandes, die aber den Kimbern
fremd
und feindlich gegenüberstand,
kann
man
sowohl die Germanen
des Poseidonios und die Germani Cisrhenani Caesars wie die “Mannusstimme” des Tacitus wiederfinden: D. Timpe, Die Söhne des Mannus, in: Chiron 21 (1991), S. 69 ff.
Kimberntradition und Kimbernmythos
57
Ausgangsgebiet der archäologisch definierten Jastorf-Zivilisation, und schließlich ein wohl in Jutland, auf den dänischen
Inseln und in Skandinavien
liegender Bereich, dem die
Traditionskerne der ostgermanischen Stämme und auch der Kimbern zu entstammen scheinen. Beziehungen bestanden vor allem zwischen der zweiten und dritten, dann zwi-
schen der ersten und zweiten, nicht aber zwischen der ersten und dritten Gruppe. Sie alle entließen ihre Kriegerverbände und Auswanderer, die sich in der keltischen Oikoumene assimilierten, behaupteten, veründerten oder untergingen. Zu den Zentren der mediterra-
nen Hochkultur und also nach Italien strebten sie nicht (55) und von den Römern wurden diese für sie innerkeltischen Vorgünge nicht zur Kenntnis genommen. Nur in Ausnahmefällen fanden transalpine Hilfstruppen der Kelten in der Überlieferung Beachtung (8). Um so mehr wurde die geschichtliche Erfahrung der Rómer von der Aggressivitàt der Kelten selber bestimmt. Die gróBte Krise der rómischen Geschichte, der hannibalische Krieg, aktivierte auch die Keltengefahr, und gallische Sóldner und Bundesgenossen Hannibals belebten mit dem metus Punicus auch den metus Gallicus. Aber das 2. Jh. sah dann den roll back keltischer Invasionen an allen Fronten. Von den alten Feinden in Oberitalien unterwarfen sich die Insubrer schon 196 (Liv., 33,37,10; CIL I? 48), die Boier
wurden größtenteils vertrieben und sollen über die Alpen zurückgegangen sein (Strabo 5,213; 216), die Padana konnte rómisch kolonisiert werden. Polybius konstatiert (2,35,4),
daß die Kelten fast ganz bis an den Fuß der Alpen zurückgedrängt seien und folgert aus ihrer raschen Vertreibung, daß die Kelteninvasion zu den Beiläufigkeiten des Schicksals (ἐπεισόδια τῆς τύχης) zu zählen sei, die der Nachwelt die heilsame Lehre vermitteln könnten, daß Barbarenstürme zu bewältigende historische Unfälle darstellten. Die Verhinderung gallischer Niederlassungen im Hinterland von Aquileia in den Jahren nach 186 beleuchtet die “Herr im Haus”-Auffassung des Senats im 2. Jh. (9). Die Salasser und andere tauriskische (Plin., n. h. 3,134) Stämme in Oberitalien wurden 143 wohl wegen ihrer Goldvorkommen unterworfen (Liv., per. 53; Strabo 4,205; Dio fr. 74,1; Oros. 5,4,7).-
Außerhalb Italiens verbinden sich die römischen Auseinandersetzungen mit den Skordiskern von Makedonien aus, mit den illyrischen Stämmen als Nachbarn der Veneter, die Schutzmaßnahmen für die befreundeten Massalioten und die langen Kolonialkriege gegen die Keltiberer ungeplant und scheinbar regellos zu einer immer eindeutigeren politischen Machtlage. Früh taucht der Plan auf, von Istrien nach Makedonien zu marschieren (Liv. 43,1,4; C. Cassius, cos. 171), die Durchdringung Noricums durch römische Interessen
setzt ein und der Krieg mit Allobrogern und Arvernern führt, von dem Schutz des verbündeten Massalia ausgehend, zum Umsturz des Stammesprinzipats im mittleren Gallien. All diese Einzelheiten dürfen als Symptome einer über die engeren Machtgrenzen dynamisch
in die keltische Welt ausgreifenden Politik gewertet werden. Foedera mit externen Keltenstämmen (Cic. Balb. 32) werden zu Instrumenten der Durchdringung einer weit-
(88) Nicht authentisch, aber zutreffend auch für die Kimbern: Ariovist bei Caesar (B. G. 1,34,3-4; 36,2-7;
44,2-8, bes. 8). (33) Gaesaten als Bundesgenossen-Söldner der Boier und Insubrer: Pol. 2,22-23; 28-31,2; 34,2; Diod. 5,32,4; 25,13; Oros. 4,14,5; 15; Plut., Marc. 3,1; Inscr. It. 13, 1,79; Niese (wie Anm. 19), S. 148 ff.; Gutenbrunner (wie Anm. 11), S. 81 ff. (99) Liv., 39,22,6 (186 v. Chr.; gewaltloser und vom Heimatstamm nicht autorisierter Ansiedlungsversuch); 39,45,6-7; 54,1-55,4 (183). - Liv. 40,53,5-6 (179). Vgl. Vetters (wie Anm. 34), S. 201 ff.;
G. Dobesch, Die Kelten in Osterreich, 1980, S. 11 ff.
58
Dieter Timpe
räumigen Interessensphire. Dieser Prozeß der römischen Expansion in den keltischen Bogen um Italien gehört zu den wichtigsten außenpolitischen Vorgängen des 2. Jh.s, wenn er auch im Schatten dramatischerer Ereignisse steht, der römischen Unterwerfung des hellenistischen Ostens zumal und dann der spanischen Kriege. Kaum je ist der Zusammenhang der Fronten und Bereiche des keltischen Randes Italiens so sicher erfaßt und umrissen worden wie von Mommsen in dem Abschnitt “Die Völker des Nordens” (Römische Geschichte, 233, 159 ff.). Und doch entsteht auch hier eine
völlig verzerrte Anschauung des Gesamtvorganges, wenn der “schlaffen römischen Regierung” das Versäumnis
der angeblichen Aufgabe
vorgehalten wird, “das Reich zu
sichern und zu arrondieren”, und andererseits das grandiose und falsche Bild gemalt wird, daß “die großen Völkermassen, die hinter jenem gewaltigen Gebirgsvorhang ewig aufund niederwogten, anfingen, an die Tore der nördlichen Gebirge zu pochen”. Sie pochten weniger denn je, aber die Republik griff nun, nicht nach einem Generalplan, aber doch überall da, wo sich Gelegenheit bot, offensiv in die Verhältnisse der keltischen Nachbarn
ein, die diesem politischen Klientelisierungsprozeß wenig entgegenzusetzen hatten. Die Maxime des Bundesgenossenschutzes als Mittel politischer Infiltration hat in der Keltiké wie anderswo römische Parteinahmen und Einmischungen erlaubt; damit bekam die römische Politik Gelegenheit, auch den nördlichen Söldnern und Klientelstämmen der Kelten zu begegnen, sei es, daß sie deren Schutz proklamierte, sei es, daß sie in ihnen den bewaffneten Arm einer feindlichen Macht bekämpfte. Die Interpellation des Konsuls Carbo, die die Kimbern aus Noricum vertrieb, ist ein vergleichsweise harmioses Beispiel
dafür. In weiterer Perspektive hat aber der römische Staat damit zum politischen Niedergang der keltischen Welt beigetragen, die zwischen ihrer nordbarbarischen Außenzone und der organisierten und expansiven Hegemonialmacht Italiens zerrieben wurde. Das aktive Eingreifen der Römer auf dem Balkan, im Alpengebiet und in Südgallien machte randbarbarische Partner und Gegner keltischer Stämme ohne ihren Willen zu römischen Nachbarn; das gilt, wenn auch in sehr unterschiedlicher Weise, für die Kimbern ebenso wie für die Sueben oder die Daker (?!). Sie alle nahmen, wenn sie sich
stark genug fühlten, die Haltung ein, die Caesar seinen Ariovist so formulieren läßt: “si ipse populo Romano non praescriberet, quemadmodum suo iure uteretur, non oportere se a populo Romano in suo iure impediri... quod sibi Caesar denuntiaret se Haeduorum iniurias non neglecturum: neminem secum sine sua pernicie contendisse, cum vellet congrederetur!” (B. G. 1,36,2;6).
Deshalb waren die Kimbern nicht die Vorhut eines aggressiven transalpinen ‘Volkstums’ und nicht erste Reprüsentanten einer unbegreiflichen schicksalhaften Polarität von Nord und Süd, die auszuhalten, nicht auszutragen der römische Auftrag gewesen wäre; sie strebten nicht auf unverständlich verschlungenen Wegen nach Italien
(?!) Auch die Daker sind eine (thrakische) Stammesgruppe, die die ältere Forschung auf ihren sprachlichgenetischen Zusammenhang, ihren *objektiven" Charakter als “Volk” hin zu bestimmen versucht hat, obwohl die ältesten Nachrichten über sie verworren sind (Strabo 7,295; Plin., n. h. 4,80; Pomp. Trog., prol. 32 mit Just. 32,3,16). Seit Ende des 2. Jh.s erscheinen die mit den Skordiskern verbündeten Daker als Feinde der römischen Provinz Makedonien, Die Einigung unter Burebista ermöglichte ihnen die Vernichtung der Boier und Taurisker, das aggressive Vordringen nach Westen und die Offensive gegen Skordisker und Makedonien. Aber es brachte ihnen auch den Konflikt mit dem Imperium, den nur der rómische Bürgerkrieg, der Tod des Dakerkónigs und schlieBlich die Ermordung Caesars verhindert haben (Strabo 7,298; 304; 313 f.; Dio C. 38,10). Vgl. V. Parvan, Dacia, 1928; S. Borszák, Die Kenntnisse des Altertums über das Karpathenbecken (Diss. Pann. 1,6), 1936; H. Daicoviciu, Dacii?, 1966.
Kimberntradition und Kimbernmythos
59
als ihrem dennoch stets unverrückbaren Endziel. Der Angriff auf Italien ergab sich aus der Konfrontation der italischen Hegemonialmacht mit den Nordbarbaren, die die politische Schwächung der keltischen Welt voraussetzte, um die allein es zunächst beiden Kontrahenten ging. Aber weil die Teilung der alten Keltiké zwischen Imperium und Germanen weiterging und die Germanen, die Tacitus als unbesiegte Feinde von Carbos Niederlage an bezeichnet, bei ihm an Rhein und Donau grenzten, konnten die Kimbern in der geschichtlichen Vorstellung seit Caesar als Vorláufer dieser Nachbarschaftsfeindschaft in Anspruch genommen werden. Und weil die Republik in ihnen den Schrecken einer großen, unerwarteten Bedrohung Italiens erfahren hatte, haben sie sich -- entgegen der Gelassenheit des Polybius (s. o. S. 57) - in das geschichtliche Gedächtnis eingezeichnet als prototypische Vertreter unberechenbarer Gewalt, barbarischen Furors, räuberischer Habgier und äußerster Primitivität. Daß sie solche Eigenschaften zu ihrem Unglück in Italien zu bewühren Veranlassung bekamen, bleibt — entgegen der Überzeugung von Mitund Nachwelt - dennoch ein Ereignis, das sich unbeschadet seiner historischen Denkwürdigkeit eher durch Zufälligkeit als durch Zwangsläufigkeit auszeichnet. Doch ist diese Einschätzung mehr die Konsequenz der hier entwickelten Gesamtansicht als den spärlichen Informationen abgewonnen. Es bleibt deshalb zum Schluß die Aufgabe, sie an den Quellen zu überprüfen. Als Marius zur Abwehr der kimbrischen Gefahr rüstete, widerfuhr ihm der Glücksfall (εὐτύχημα), daß der barbarische Strom unerwartet seine Richtung änderte (Plut., Mar.
14,1; gemeint ist der Zug über die Pyrenáen). Das merkwürdige
Bild enthüllt das
Vorurteil, daß es eine Normalrichtung dieser ὁρμή nach Italien gegeben hätte, und zugleich
den Verzicht auf eine sachgerechte Erklürung. Als dann das barbarische Heer ein Jahr später als erwartet (Plut., Mar. 14,10) wieder an der Rhóne und bei den Allobrogern erschien, sperrte Marius an der Mündung der Isère die Paßzugänge, aber verweigerte die Schlacht (*). Wenn sich erst jetzt die Stammeskoalition geteilt haben sollte, um auf getrennten Wegen nach Italien zu gelangen (33), so hätte sie ursprünglich eine Entscheidung in Gallien, ähnlich der von Arausio, erzwingen wollen und nur die vermeint-
liche Defensivstrategie des Marius hätte den Weitermarsch veranlaßt. Aber auch wenn die Teilung der Verbände entsprechend der communis opinio früher erfolgt ist, kann von einem militárischen Gesamtplan keine Rede sein. Der teutonische Vormarsch rhóneabwärts zielte auf die Umgehung der Seealpen an der ligurischen Küste (?9), und wenn die Kimbern ihre Verbündeten in der westlichen Lombardei oder in Piemont zu treffen erwarteten, müßte jener dieses Ziel gehabt haben. Die Kimbern gelangten auf ihrem vielumstrittenen Weg (*) an die Sperre, die Catulus entlang der Etsch errichtet hatte, und
(32) Oros. 5,16,9 (das Plut., Mar.
15,1 erwähnte
Lager an der Rhöne ist damit nicht identisch und muß
vorher angelegt worden sein). Richtige Deutung des Lagers bei Schmid (wie Anm. 11), S. 12. (8) So Oros. 5,16,9: “igitur Marius... cum... castra posuisset, Teutones Cimbri et Tigurini et Ambrones... tribus agminibus
Italiam petere destinarunt".
Damit
ist zeitlich unvereinbar
Plut., Mar.
23,1, wonach
Marius wenige Tage nach der Schlacht von Aquae Sextiae die Nachricht vom Erscheinen der Kimbern in Oberitalien erhalten hätte, die sich doch Zeit genommen hatten (15,6). Vielleicht ist die Koinzidenz wie die Episode c. 22 Produkt promarianischer synchronistischer Sprachregelung. (94) Plut., Mar. 15,6. Alle darüber hinausgehenden Verallgemeinerungen sind ohne jede Gewähr (Liv.per. 68; Flor. 1,38,5; Oros. 5,16,9). Ein strategischer Gesamtplan ist ein Produkt modernen Denkens; vgl. insoweit mit Recht R. Loose, Kimbern am Brenner, in: Chiron 2 (1979), S. 240 f. (95) Sadée, Miltner (wie Anm. 11); Loose (wie vor. Anm.); R. G. Lewis, Catulus and the Cimbri 102 B. C., in: Hermes 102 (1974), S. 90 ff.; J. Herrmann (Hrsg.), Griechische und lateinische Quellen zur
Frühgeschichte Mitteleuropas 1, 1988, S. 607 f. (H. Labuske-G. Bockisch).
60
Dieter Timpe
nach deren Durchbrechung bis an den Po (°). Die promarianische Tendenz des Haupberichtes erlaubt im weiteren kaum eine zuverlässige Deutung der Vorgänge (57), aber offensichtlich sind die Kimbern nicht südwärts, sondern westwärts gezogen. Wenn Plutarch insoweit Glauben verdient, haben sie von Marius abermals das Recht zur Ansiedlung gefordert und schließlich die Schlacht geschlagen “um den Besitz des Landes” (3$), Mit allem Vorbehalt darf man vermuten, daß sie wünschten, dableiben zu können, wo sie waren. Wenn dieser Anspruch auch nicht im Sinne einer politisch-rationalen Planung verstanden werden kann und vermutlich Plünderungen, wo immer sie möglich waren, nicht ausschloß (Plut., Mar. 23,7), und wenn sich auch die Kimbern und Teutonen, durch die Erfolge betört, mehr und mehr am historischen Vorbild der Keltenwanderung orientiert haben können (Plut., Mar. 11,3), so ist doch andererseits die Vorstellung, die Invasoren hätten Rom zerstören, Italien ausplündern (Plut., Mar. 11,14) und das römische Imperium vernichten (Oros. 5,16,1) wollen, nicht mehr als ein römischer Albtraum oder ein
Soldatenwitz (Plut., Mar. 18,3; Flor. 1,38,6). Der barbarischen Sinnlosigkeit der kimbrischen Invasion Italiens entsprach die Unkenntnis der Hintergründe bei den siegreichen Verteidigern.
(8) Liv., per. 68; Plut., Mar. 23,2.7; 24,3; Oros. 5,16,14. Vgl. Loose (wie Anm. 94), S. 243 ff. Lewis (wie vor. Anm.). (9?) Plut., Mar. 24. Für den angeblich von Marius befürchteten (und rühmlich vereitelten) Angriff auf Italien gibt der Bericht keine Hinweise; schwer verständlich (und auch durch eine Tendenz kaum erklärbar) ist die Unterstellung, die Kimbern hätten vielleicht nur vorgegeben, vom Untergang der Teutonen nichts zu wissen; die Szene 24,6 paßt zum Vorangehenden schlecht; es ist nicht klar, warum die Kimbern nach der Erkenntnis der wahren Lage "sofort" gegen Marius zogen.
(88) Plut., Mar. 25,4: “διαγνωσίσασθαι
περὶ τῆς χώρας",
Gli schiavi germanici nella rivolta di Spartaco JERZY KOLENDO
*
Fonti Caes., B. G. 1,40,5-6 (ed. O. Seel)
factum eius hostis periculum patrum nostrorum memoria, cum Cimbris et Teutonis a C. Mario pulsis non minorem laudem exercitus quam ipse imperator meritus videbatur; factum etiam nuper in Italia servili tumultu, quos tamen aliquid usus ac disciplina, quam a nobis accepissent, sublevarent, ex quo iudicari posset, quantum haberet in se boni constantia, propterea quod, quos aliquamdiu inermes sine causa timuissent, hos postea armatos ac victores superassent. Frontin., Strat. 11,5,34 (ed. R. J. Ireland)
Crassus bello fugitivorum apud Cantennam bina castra comminus cum hostium castris vallavit: nocte deinde commotis copiis, manente praetorio in maioribus castris, ut fallerentur hostes, ipse omnes copias eduxit et in radicibus praedicti montis constituit; divisoque equitatu praecepit L. Quintio, partem Spartaco obiceret pugnaque eum frustraretur, parte alia Gallos Germanosque ex factione Casti et Cannici eliceret ad pugnam et fuga simulata deduceret, ubi ipse aciem instruxerat. quos cum barbari insecuti essent, equite recedente in cornua, subito acies Romana adaperta cum clamore procurrit. XXXV milia armatorum eo proelio interfecta cum ipsis ducibus Livius tradit (cfr. Fr. 25 Jal). Liv., per. 97 (ed. P. Jal)
M. Crassus praetor primum cum parte fugitivorum quae ex Gallis Germanisque constabat, feliciter pugnavit, caesis hostium XXXV et ducibus eorum Casto et Gannico. Cum Spartaco dein debellavit, caesis cum ipso LX. Oros., Hist. V,24,5-6 (ed. M.-P. Armand-Lindet)
senatus Crassum cum legionibus consulum novoque supplemento militum misit. Is mox ut fugitivorum pugnam iniit, sex milia eorum interfecit, nongentos vero cepit. Inde priu-
* Nato a Brzesé nel 1933, insegna Storia antica e Storia dei rapporti fra il mondo mediterraneo e l'Europa centrale all'Istituto di Archeologia presso l'Università di Varsavia. Si è occupato di storia economica e sociale dell'impero romano, di epigrafia latina e dei contatti fra l'impero romano e i barbari. Tra le pubblicazioni: Le traité agronomique des Saserna (Varsavia 1973), L'agricoltura nell’Italia romana (Roma 1980), A la recherche de l'ambre baltique (Varsavia 1981), Nomenclator — “memoria” del suo padrone o del suo patrono (Faenza 1989), Le colonat en Afrique romaine (2° ed., Parigi 1992), L'ambra e i rapporti tra Cisalpina e regioni centro europee, Padova 1993.
-61-
62
Jerzy Kolendo
squam ipsum Spartacum ad caput Silari fluminis castra metantem bello adgrederetur, Gallos auxiliatores eius Germanosque superavit, e quibus XXX milia hominum cum ipsis ducibus occidit. Plut., Crass. 9,8-9 (ed. R. Flacelière)
Οὐκέτ΄ οὖν τὸ παρ΄ ἀξίαν καὶ τὸ αἰσχρὸν ἠνώχλει τῆς ἀποστάσεως, τὴν σύγκλητον, ἀλλ΄ ἤδη διὰ φόβον τε καὶ κίνδυνον ὡς πρὸς Eva τῶν δυσκολωτάτων πολέμων καὶ peyiστων du’ ἀμφοτέρους ἐξέπεμπον τοὺς ὑπάτους. ὧν Γέλλιος μὲν τὸ Γερμανικόν, καὶ φρονήματι τῶν Σπαρτακείων ἀποσχισθέν, ἐξαίφνης ἐπιπεσὼν ἅπαν διέφθειρε...
ὕβρει
Sall., Hist. fr. 8,95,0 (ed. B. Maurenbrecher)
Qua Varinius contra spectatam rem incaute motus novos incognitosque et aliorum casibus perculsos milites ducit tamen ad castra fugitivorum presso gradu, silentis iam neque tam magnifice sumentis proelium, quam postulaverant. Atque illi certamine consilii inter se iuxta seditionem erant, Crixo et gentis eiusdem Gallis atque Germanis obviam ire et ultro ferre pugnam cupientibus, contra Sparta(co impetum dissuadente). 1. Soltanto all’inizio del I sec. a. C. possiamo parlare di una presenza dei Germani nel territorio dell’Italia, non più in forma sporadica (!), ma in numero consistente e già con un certo ruolo nella vita di questo paese. Una conseguenza delle conquiste romane fu un numero elevato di prigionieri germanici a seguito delle guerre con i Cimbri e i Teutoni. Parlano della presenza di schiavi germanici in Italia anche le fonti che si riferiscono alla rivolta di Spartaco degli anni 73-71 a. C. Le fonti infatti nominano i Germani come il terzo gruppo etnico che, accanto ai Traci e ai Galli, prese parte a quel bellum servile. Le fonti che si riferiscono alla rivolta di Spartaco permettono inoltre di affermare che i Germani erano già allora noti sotto la loro denominazione generale e che i Romani li distinguevano bene dai Galli (?). Si può persino supporre che la denominazione di Germani si fosse diffusa proprio in seguito a quella grande rivolta di schiavi. Il problema della composizione dei partecipanti alla rivolta di Spartaco ha destato un grande interesse nella più che ricca letteratura su questo movimento sociale (3). Si riteneva infatti (4) che le cause dell'indebolimento di questo movimento, e di conseguenza della sua sconfitta, fossero proprio la composizione eterogenea dell’esercito insorto e i conflitti che da ciò nascevano. Si cercava di collegare le differenze dei programmi dei rivoltosi - alcuni
(1) Cfr. S. Mazzarino, La più antica menzione dei Germani, in: Studi classici e orientali 6 (1957), pp. 7681=in Id., Antico, tardoantico ed età costantiniana, II, Bari 1980, pp. 119-131; G. Zecchini, La più antica
testimonianza del nome dei Germani nel mondo classico, in: Conoscenze etniche e rapporti di convivenza nell'antichità, CISA VI, Milano 1979, pp. 65-78 e l'articolo di L. Polverini in questo volume, p. 10. (2) Cfr. G. Walser, Caesar und die Germanen. Studien zur politischen Tendenz römischer Feldzugsberichte, Wiesbaden 1959, p. 37, nota 8. (3) Masaoki
Doi, A bibliography
of bellum
Spartiacum
(1726-1989),
Tokio
1989-577 numeri.
Cfr. R.
Orena, Rivolta e rivoluzione. Il bellum di Spartaco nella crisi della repubblica e la riflessione storiografica moderna, Milano 1984. (4) Th. Mommsen, Römische Geschichte, 14. Aufl., Bd. III, Berlin 1933, p. 87. Cfr. Masaoki Doi, A historical meaning of Spartacus! uprising, Tokyo 1977, p. 6 sg.
Gli schiavi germanici nella rivolta di Spartaco
63
volevano lasciare l’Italia e tornare nella loro patria, altri invece volevano restare nella
penisola appenninica — con la complessa composizione etnica dell'esercito di Spartaco (5). Spartaco, con gli schiavi di origine tracica, cercava di realizzare il primo programma, i Galli e i Germani invece erano propensi per il secondo. Queste differenze e scissioni costituiscono un problema molto complesso, dato che si devono tener presenti anche le altre suddivisioni esistenti fra le fila dell'esercito dei rivoltosi che, come sappiamo, non era formato esclusivamente da schiavi (5). Ancor più essenziale delle differenze etniche poteva essere un’altra divisione presente fra gli schiavi, e cioè coloro che erano nati in Italia o erano da molto tempo schiavi, e coloro
che avevano perduto la libertà da relativamente poco tempo. Sono i primi che non avevano dove tornare e volevano restare in Italia, i secondi invece desideravano ritornare nella loro patria. La differenza del grado di acculturazione poteva pertanto avere avuto un valore decisivo nell'elaborazione dei due contrastanti programmi della rivolta di Spartaco. Il grado di acculturazione dipendeva tuttavia prima di tutto da quando gli schiavi, di un dato gruppo etnico, erano giunti in gruppi consistenti sul territorio dell’Italia. Indipendentemente da queste discutibili tesi (7) sulle scissioni nell’esercito di Spartaco, le notizie sulla composizione etnica dell’esercito di rivoltosi possono indirettamente gettare molta luce preziosa sul problema dell'origine degli schiavi presenti in Italia nel I sec. a. C. Si trattava prima di tutto di prigionieri di guerra, forniti sia dalle grandi campagne belliche, sia dalle piccole guerre di confine condotte quasi senza pausa, principalmente allo scopo di conquistare preziosa merce viva (5). Importante era anche il commercio con i territori situati a i confini dello stato romano (9) che forniva costantemente un certo numero di
(5) A. Kunisz, Armia powstaricza Spartakusa i jej wodzowie, in: Meander 13 (1958), pp. 1-14 e 63-80, soprattutto pp. 1-14 e 68 sg.; H. Daicoviciu, “Programul” de lupta al lui Crixus in cadrul rascodlei lui Spartacus, in: Studia Universitatis “Babes-Bolyai”, Seria Historia 1961, pp. 7-17; Id., Autour des “programmes” de la revolte de Spartacus, in: Spartacus. Symposium rebus Spartaci gestis dedicatum 2050 a., Sofia 1981, pp. 44-47; A. Bodor, Contributii la istoria rascodlei slcdvilor condusa de Spartacus, in: Studi clasice 8 (1966), pp. 131-141; Id., The ethnic and social composition of the participants in the slave uprising led by Spartacus, in: Spartacus, cit., p. 85-94; N. Branga, Contributii la studiul “divergentelor” invite in programul rascoalei lui Spartacus, in: Studi si comunicari. Arheologie, Istorie 14 (1969), pp. 269-280; R. Orena, L'elemento sociale nella storiografia sulla rivolta di Spartaco, in: Index 8 (1978/79), pp. 144-153; Id., Rivolta, cit., pp. 43-63 (capitolo: Le divisioni etniche tra i ribelli e le loro divergenze etniche). (6) J. Burian, Ελευθέροι ἐκ τῶν ἀγρῶν a povstani Spartakovo, in: Listy Filologické 5 (1957), pp. 194204. Cfr. Z. Rubinsohn, Was the bellum Spartiacum a servile insurrection?, in: RFIC 99 (1971), pp. 290-299; A. Guarino, Spartaco. Analisi di un mito, Napoli 1979, pp. 98-101=Spartacus. Analyse eines Mythos, München 1980); G. Stampacchia, La rivolta di Spartaco come rivolta contadina, in: Index 9 (1980), pp. 99111; H. T. Wallinga, Bellum Spartiacum: Florus’ text and Spartacus’ objective, in: Athenaeum 80 (1992), pp.
25-43. (ἢ) Si deve anche ricordare che nelle ricerche sulla rivolta di Spartaco ebbero un ruolo importante fattori ideologici, politici, nazionali e sentimenti degli stessi studiosi. (8) H. H. Volkmann, Die Massenversklavungen der Einwohner eroberter Städte in der hellenistischrömischen Zeit, in: Ak. Wiss. Mainz, Abh. Geistes- und Sozialwiss. Kl. 3 (1961); J. Kolendo, Il lavoro servile eimutamenti delle tecniche agrarie nell'Italia antica dal I sec. a. C. al I sec. d. C., in: Storia sociale ed economica dell'età classica negli studi polacchi contemporanei, Milano 1975, pp. 17-21. (9) W. V. Harris, Toward a Study of the Roman Slave Trade, in: Memoirs of the American Academy in Rome 36 (1980), pp. 117-140. Cfr. J. Kolendo, L'afflur des esclaves thraces en Italie aux II”-I* siécles av. n. 8., in: Dritter Internationaler Thrakologischer Kongress vol. 1I, Sofia 1984, pp. 191-196; Id., Les esclaves dans l'art antique. La stele funeraire d'un marchand d'esclaves thraces à Amphipolis, in: Archeologia 29 (1978), pp. 24-34; H. Duchéne, Sur la stéle d'Aulus Carpilius Timotheos sómatemporos, in: BCH 110 (1986), pp. 513-530.
64
Jerzy Kolendo
schiavi. Le guerre invece ne riversavano periodicamente enormi quantitativi sul mercato, il che portava ad un transitorio calo del loro prezzo. Le fonti inerenti le rivolte di Spartaco parlano della partecipazione a questo movimento di tre gruppi etnici: Traci, Galli e Germani. I Galli ed i Germani sono per lo più nominati insieme. L'importanza di ognuno di questi gruppi etnici è oggetto di discussioni. Non sempre poi è chiaro quando, da dove e in quale modo questi schiavi fossero giunti in Italia. Le fonti danno un forte rilievo alla partecipazione dei Traci alla rivolta, il che era dovuto in parte all’origine etnica dello stesso Spartaco (19). Si deve anche tener presente la possibilità che le nostre fonti abbiano in un certo modo esagerato il ruolo dell'elemento tracio in questo movimento. Il termine Thrax non sempre indicava un abitante della parte orientale della Penisola Balcanica, ma poteva riferirsi anche ad una certa categoria di gladiatori (!!). Proprio i gladiatori, come è noto, ebbero un decisivo ruolo nella fase iniziale della rivolta di Spartaco. Sappiamo anche che un gran numero di schiavi affluiva a Roma dalla Tracia (12) sia in seguito alle continue guerre là condotte (!?), sia in seguito al commer-
cio (14). Quanto ai Galli, si è avanzata un'interessante ipotesi (!9) e cioè che gran parte di essi che parteciparono alla rivolta di Spartaco provenissero dai prigionieri fatti durante le guerre negli anni '90 e ’80 del I sec. a. C. con gli Scordisci celtici, che abitavano nella parte nord-orientale della Penisola Balcanica (15). Mi sembra che indipendentemente da quei combattimenti con gli Scordisci, importanti fossero anche le numerose guerre condotte per tutto il lunghissimo confine fra la provincia della Gallia Narbonensis e la Gallia libera (17). Si deve ricordare che il commercio di schiavi provenienti dal terreno della libera Gallia era molto sviluppato. Sappiamo che i Galli scambiavano uno schiavo con un’anfora di vino (15). Il problema dei Germani che presero parte alla rivolta di Spartaco non è stato in realtà affrontato nella letteratura come si sarebbe dovuto. I testi che parlano della loro partecipazione a quel movimento sociale si dividono in due gruppi. Il primo, nel quale rientrano
(19) J. Kolendo, Comment Spartacus devient-il esclave?, in: Spartacus, cit., pp. 71-77. (11) Daremberg Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, t. II, p. 1587, s. v. gladiator [G. Lafaye]. (12) J. Kolendo, L'afffux, cit.; M. I. Finley, The Black Sea and Danubian
Regions and the Slave trade in
Antiquity, in: Klio 40 (1962), pp. 51-59. (13) Cfr. F. W. Walbank, Prelude to Spartacus: the Romans in Southern Thrace, 150-70 B. C., in: Spartacus, cit., pp. 14-27; Masaoki Doi, La rivolta di Spartaco e l'antica Tracia, in: Annuario. Istituto Giapponese di Cultura in Roma 17 (1980-81), pp. 7-20. (14) J. Kolendo, Les esclaves, cit.; H. Duchéne, op. cit.
(15) A. Bodor, The ethnic and social composition, cit., p. 87 sg.; A. Deman-M. Th. Raepsaet-Charlier, Notes sur la guerre de Spartacus, in: Acta Classica Univ. Debrecen. 17-18 (1981-82), pp. 83-97; Masaoki Doi, Lutte de classe à la fin de la république romaine, in: Le monde méditerranéen et l'esclavage, Paris 1991, pp. 154-157.
(1$) G. Alfóldy, Des territoires occupés par les Scordisques, in: AAAH 12 (1964), pp. 107-127. F. Papasoglu, Sreduijebalkanska plemena u predrimsko dobu, Sarajevo 1969, pp. 226-233. (17) G. Clemente, I Romani
nella Gallia meridionale, Bologna 1974.
(1*) Diod. Sie. V,26,3-4. Cfr. R. Etienne, Les importations de vin campanien en Aquitaine, in: Vignobles et vins d'Aquitaine. Histoire, économie, art, Bordeaux 1970, pp. 13-25; A. Tchernia, Le vin de l'Italie romaine. Essai d'histoire économique d'aprés les amphores, Rome 1986, pp. 77-90; M. Bats, Le vin italien en Gaule auc 1H7"*-I*" s. av. J. C. Problémes de chronologie et de distribution, in: DHA 12 (1986), pp. 391-430.
Gli schiavi germanici nella rivolta di Spartaco
65
Sallustio, Livio (Perioche), Orosio, Frontino e Plutarco, presenta la tradizione storica che
parla della rivolta di Spartaco (19). A sua volta il testo di Cesare si richiama alle comuni cognizioni che i Romani di quel periodo avevano sulla partecipazione dei Germani a quel bellum servile. Cesare accenna alla guerra di Spartaco (2°) nel suo discorso pronunciato a Vesontio durante la campagna condotta contro Ariovisto nel 58 a. C. Con questo discorso si proponeva di stimolare il suo esercito, impaurito dalle voci sulla terribilità dei Germani. Egli ricorda che i Romani avevano già ottenuto una vittoria sui Germani nella campagna di Mario contro i Cimbri e i Teutoni e nella guerra servile (servili tumultu). Il testo di Cesare dimostra che i suoi soldati, o piuttosto i lettori ai quali era destinato il Bellum
Gallicum, ricordavano ancora,
15 anni dopo, la partecipazione dei Germani
alla
rivolta di Spartaco. Si puó inoltre supporre che la presenza dei Germani in quel movimento fosse divenuta un elemento importante della coscienza storica. Pertanto non ha senso chiedersi quale sia il rapporto fra l'informazione dataci da Cesare e la tradizione esistente sulla rivolta di Spartaco. Cesare, scrivendo il Bellum Gallicum, non si servi di nessuna fonte, di
nessun testo che parlasse della rivolta di Spartaco ma si richiamò direttamente a quello che ogni Romano sapeva. Per questo motivo l'accenno retorico, e apparentemente poco concreto, ai Germani nell'esercito di Spartaco assume particolare importanza. L’accentuazione del ruolo dei Germani nella rivolta di Spartaco non era casuale. G. Stampacchia (?!) sostiene che “Cesare rileva dunque negli schiavi non la loro condizione servile, ma il loro essere barbari, la loro specificità etnica”. Ella cita un’osservazione di Santo Mazzarino (2): “Germani e schiavi sono qui tutt'uno: ‘proletariato esterno’ che si è fatto, attraverso la schiavizzazione, ‘proletariato interno’ - direbbe un moderno seguace di
Toynbee”. Questo atteggiamento nei confronti della tradizione della rivolta di Spartaco divenne molto popolare a partire dal IV sec. (#), quando il problema delle invasioni dei barbari assunse per i Romani un’importanza addirittura fondamentale. Cesare elencò la presenza dei Germani nell’esercito di Spartaco tra la serie degli attacchi germanici che minacciavano l'Impero Romano. Egli rilevava inoltre che i Germani che avevano preso parte alla rivolta di Spartaco, avevano assorbito dai Romani alcuni elementi della civiltà, definiti con i termini di usus e disciplina. Voleva in questo modo porre in rilievo che i Germani, essendo schiavi in Italia, avevano subìto un processo di acculturazione, il
che li rendeva nemici più pericolosi dei Cimbri e dei Teutoni od anche dei Germani di Ariovisto, che non avevano respirato l'influenza della civiltà Romana. Passiamo ora ai testi che rappresentano la tradizione storica, che parlano della partecipazione dei Germani alla rivolta di Spartaco. Le fonti che nominano i Germani, per lo più insieme ai Galli, riguardano tre diversi episodi di quel bellum servile. Il primo si ricollega alla campagna condotta dal pretore Lucio Varinio, inviato contro Spartaco dopo gli insuccessi iniziali nel cercare di soffocare la ribellione (?*). Il lungo fram-
(19) G. Stampacchia, approfondita analisi delle (39) G. Stampacchia, The Mutiny of Vesontio,
La tradizione della guerra di Spartaco da Sallustio a Orosio, Pisa 1976 — una fonti che parlano della rivolta di Spartaco. La tradizione, cit., pp. 122-125. G. Walser, op. cit., pp. 29-31. Cfr. M. Hagendahl, in: Classica et Medievalia 6 (1944), pp. 1-40.
(21) G. Stampacchia, La tradizione, cit., p. 122. (2) S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, t. 11,1, Bari 1968, p. 207.
(2) G. Stampacchia, La tradizione, cit., pp. 125-129. Cfr. A. Baldini, Sulla nell’Historia Augusta, in: Spartacus, cit., pp. 78-84.
(24) G. Stampacchia, La tradizione, cit., pp. 28-40.
menzione di Spartaco
66
Jerzy Kolendo
mento di Sallustio, il cosiddetto frammento Vaticano (25), purtroppo molto lacunoso, parla di divergenze sorte nel campo dei ribelli. Crisso ed i suoi uomini desideravano affrontare subito Varinio, mentre Spartaco era contrario alla lotta. Le differenze degli scopi fra gli schiavi sono presentate in modo particolareggiato nel discorso di Spartaco, conservatosi purtroppo soltanto frammentariamente (26). Si può dire che egli desiderava tornare in patria, mentre gli altri desideravano solo “prae