Geremia. Esilio e ritorno 9788870168259, 8870168255

Il libro in pillole: - Il lamento di Geremia per la disintegrazione sociale e religiosa di Israele - Il dolore di Dio pe

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Italian Pages 500 [489] Year 2015

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Geremia. Esilio e ritorno
 9788870168259, 8870168255

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Walter Brueggemann

GEREMIA Esilio

e

ritorno

Claudiana - Torino www.claudiana.it - [email protected]

Walter Brueggemann, docente emerito di Antico Testamento presso il Columbia Theologi­ cal Seminary di Decatur, in Georgia (USA), è uno dei maggiori esperti di esegesi veterotestamentaria. Tra i suoi libri ricordiamo: Immaginazione profetica: la voce dei profeti nella Bibbia e nella chiesa (EMI, Bologna 2004), Teologia dell'Antico Testamento (Queriniana, Brescia 2002), Introduzione all'Antico Testamento. Il canone e l'immaginazione cristiana (Claudiana, To­ rino 2005), Pace (Claudiana, Torino 2012), Viaggio verso il bene comune (Claudiana, Torino 2011).

Questo volume è stato pubblicato con il contributo dell'B1oo della Chiesa evangelica valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste) cui va il nostro ringraziamento.

Scheda bibliografica CIP Brueggemann, Walter

Geremia : Esilio e ritorno l Walter Brueggemann Torino : Claudiana, 2015 500 p. ; 24 cm. - (Strumenti) ISBN 978-88-7016-825-9 l. Bibbia. Antico Testamento. Geremia- Commenti

224.207 (CCD. 22) Bibbia. Vecchio Testamento. Geremia. Commenti

Titolo originale: A Commentary an Jeremiah. Exile and Homecoming 1998, W m. B. Eerdmans Publishing Co., 2140 Oak Industriai Drive © N.E., Grand Rapids, Mich. 49505

Per la traduzione italiana:

©

Claudiana srl, 2015 Via San Pio V 15 - 10125 Torino Tel. 011.668.98.04- Fax 011.65.75.42

info@claudiana .it

www.claudiana.it Tutti i diritti riservati - Printed Ristampe:

in Italy

24 23 22 21 20 19 18 17 16 15

1 2 3 4 5 6

Traduzione: Francesca Carosio Copertina: Vanessa Cucco Stampa: Multimedia Soc. Coop. a

r.I., Giugliano (Na)

Sommario dell'o pera

Prefazione ai Commentari

7

Prefazione dell'Autore. Recenti studi sul libro di Geremia

9

Introduzione

17

l. La parola mediante Geremia (Geremia l)

35

2. L'uva selvatica (Geremia 2)

45

3. Ritorna da me (Geremia 3,1 4,4)

53

-

4. Tutto intorno è terrore (Geremia 4,5 6,30)

63

5. Il sermone del Tempio di Geremia (Geremia 7,1 - 8,3)

87

6. Nessun balsamo in Galaad (Geremia 8,4-10,25)

95

-

7. ll patto violato (Geremia 11,1-17).

115

8. Un duro messaggio per l'ostinata Gerusalemme (Geremia 11,18-20,18)

119

9.

Giudizio e speranza (Geremia 21,1 - 25,38)

187 5

10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32)

223

11. «> di Geremia di cui possiamo conoscere qualcosa ci viene consegnata attraverso una costruzio­ ne premeditata. Nella mia esposizione ho parlato, in maniera abbastanza caratteristica, del «poeta>>, del «profeta» o di come se fosse un paradigma proposto alla comunità che sta leggendo: «A mio giudizio, l'integrità del testo, di quella poesia, viene violata per sostituire allo specifico contesto letterario quella determinata circostanza storica a cui appartiene il processo di scrittu­ ra del testo e per costruire cosl il testo come se si riferisse agli avvenimenti dell'autore piuttosto che a quelli del soggetto - così come viene definito in senso letterario>> (POLK 1984, p. 165). 18 Cfr. JOBLING

19

26

Introduzione d vengono però fatte pervenire attraverso modi che riflettono gli interessi

e la fede di coloro che ci tramandano i dati storici. Non ho quindi difficoltà a parlare della persona di Geremia anche se siamo tutti consapevoli del fatto che l'unica «persona>> di Geremia di cui possiamo conoscere qualcosa ci viene consegnata attraverso una costruzio­ ne premeditata. Nella mia esposizione ho parlato, in maniera abbastanza caratteristica, del «poeta>>, del «profeta» o di deve subire inter­ pretazioni continue, ripetute e feconde allo scopo di essere tanto attuale quanto senza tempo. Geremia rappresenta proprio una tradizione che riesce a essere sia attuale sia senza tempo, e che si mantiene attuale grazie alle ripetute interpretazioni.

32

Introduzione Un commentario come questo deve focalizzarsi su quanto il testo di Geremia si proponeva di comunicare e ascoltare nei tempi passati; tutta­ via questo parlare e ascoltare di altri tempi continua a sospingerei nel no­ stro presente. Ciò che un tempo è stato il «significato» ha incredibilmente ancora tanto «Significato» oggi32• Nei tempi passati il testo voleva dire che YHWH avrebbe compiuto per quel popolo il proprio scopo potente, selvaggio e pieno di pathos; ancora oggi il suo significato è che tale scopo si sta rea­ lizzando presso di noi. A quei tempi il testo voleva dire che YHWH avrebbe potuto infliggerei una fine terribile; ancora oggi il suo significato è che noi dobbiamo fronteggiare terribili eventi distruttivi che ci infligge lo stesso YHWH. A quei tempi il testo voleva dire che YHWH ha il potere forte di crea­ re novità fra i deportati; continua ad avere il significato che il potere forte di YHWH è all'opera anche durante le deportazioni. Il testo ha avuto e ha anco­ ra l'intenzione di dire che l'orgoglioso impero, il meschino comando rega­ le, i bigotti che servono soltanto se stessi, le ciniche forze nella società non possono fare a modo proprio, dal momento che un processo storico in cui YHWH è presente intende avanzare secondo un altro progetto. Senza dubbio, il pensiero che apprendiamo grazie al testo possiede una sfumatura molto differente rispetto a quello che "significava" all'inizio. Il nostro pensiero è trasmesso attraverso i nostri modi illuministici caratterizzati dall'autonomia scientifica e razionale. Non possiamo così facilmente attribuire a un unico agente lo svolgimento del processo storico. Il mio commento non intende essere riduzionista o ciecamente ultranaturalista. Possiamo dare un'inter­ pretazione alla nostra situazione soltanto se sappiamo che il processo sto­ rico non ammette facili interpretazioni. Tuttavia, questa tradizione testuale testimonia - nella sua angoscia e nella sua vitalità - un inevitabile vagare di Dio che è, in maniera singolare, sovrano e che segue strade che pongono una certa distanza rispetto alla nostra modernità disperata. Angoscia po­ etica, speranze liriche, aperture metaforiche e ambiguità fantasiose: sono i modi grazie ai quali ferite e fedeltà estreme sono oggetto di mediazione nei nostri confronti. Questo potente atto di mediazione scandalizza la nostra autostima intellettuale e ci invita a impegnarci nuovamente nella vita con coraggio, timore e sottomissione. Questo commentario intende parlare di quella santa, appassionata, potente intenzione che sradica e demolisce, che pianta e costruisce, che sovverte e sorprende.

32 STENDHAL 1962, pp. 418-420, ha sostenuto il divario che separa >. Questa parola viene rivolta a ogni re ebreo in qualunque contesto si trovi. È la voce dell'antica alleanza che esorta il potere e la politica regale a essere fedeli al patto e obbedienti. La struttura del passaggio è un doppio imperativo: «amministrate la giu­ stizia>>, «liberate>>, seguito da un «affinché non>> che indica una conseguenza evitabile (v. 12). La stessa struttura a imperativi multipli seguita da «affinché non>> si ritrova, per esempio, in Deut. 8,11-17a e in Am. 5,6. Il doppio impe­ rativo (Ger. 21,12a) dà espressione all'insistenza con cui la tradizione pro­ fetica mosaica indica che lo scopo della monarchia è di assicurare giustizia

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9.

Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38)

agli emarginati, ai deboli, agli indifesi. Questa insistenza sulle priorità del benessere sociale viene proposta contro le tentazioni egoistiche della mo­ narchia. Soltanto un impegno per la giustizia metterà al sicuro la monarchia. La minaccia introdotta dall'espressione «affinché non» (v. 12b) è altret­ tanto convenzionale: presenta la normale minaccia per la struttura regale che sta per essere bruciata nel giudizio (cfr. Am. l - 2). La sua collocazione a questo punto del brano potrebbe essere stata ispirata dal riferimento al fuoco in Ger. 21,10. La tradizione proclama in modo inesorabile che le con­ centrazioni di potere (cioè le monarchie) negligenti nei confronti dei deboli finiranno in un disastro certo. Il poema dà per assodato il fatto che nessuna strategia di stato, non importa quanto saggia o forte, può sostituire la sem­ plice connessione tra giustizia e benessere, che è fondativa per ogni realtà sociale. La giustizia previene il fuoco distruttore. Al contrario, l'ingiustizia provoca il fuoco distruttore. Nessun sostituto della giustizia può evitare la distruzione, anche se ogni potere stabilito ritiene che quel collegamento pos­ sa essere interrotto: esiste una coerenza morale nel processo politico e questa coerenza morale è garantita da YHWH, che alla fine non potrà essere ignorato. I vv. 11-12 sono scarni e chiari: ripetono l'antica rivendicazione profeti­ ca che la pratica della giustizia è la fonte del benessere. Collocati in questo capitolo, però, i due versetti costituiscono una sorprendente risposta alla domanda dei vv. 1-2: ai vv 11-12 c'è ancora il tempo e l'opportunità di al­ lontanare il fuoco babilonese. La possibilità di salvezza che viene proposta è attinta dal carattere sostanziale del patto di Israele. L'eventuale salvezza dal giudizio non proviene, in questi versetti, dalla sottomissione a Babilo­ nia, bensì dal compiere quello che è più caratteristico per Israele, ossia la giustizia. Nei vv. 1-2 sono state richieste «meravigliose opere». È necessario che ci sia un nuovo gesto meraviglioso dal momento che è andato perduto l'antico gesto meraviglioso dell'Esodo. C'è ancora una possibilità di vita, ma la possibilità dipende dalla giustizia realizzata dalla classe dirigente regale. Le prime tre risposte alla richiesta di Sedechia a YHWH sono di genere molto diverso: .

vv 3-8: inevitabile distruzione di ogni cosa; vv. 9-10: una possibilità di salvezza mediante resa ed esilio; - vv. 11-12: una possibilità di salvare tutto mediante la pratica della giustizia. -

.

-

Le tre alternative potrebbero rappresentare diverse percezioni in risposta a diverse circostanze, ma riflettono anche differenti tradizioni teologiche. La prima (vv 3-8) afferma che l'unico atto potente di YHWH sarà quello di distruggere. La seconda (vv. 9-10) crede che l'atto potente di salvezza sarà mediato attraverso il penoso processo di sottomissione a Babilonia e l'esi­ lio. La terza (vv. 11-12) rende la giustizia sociale un presupposto dell'azione di salvezza, che è una scelta ancora accessibile. Questa terza alternativa è radicata soprattutto nella tradizione mosaica e meno interessata a confor­ marsi alle attuali circostanze. .

191

Geremia 21,13-14 La quarta risposta non è collegata in modo diretto alle preceden­ ti: è un frammento poetico a cui manca un riferimento specifico ai vv. 11-12. Apparentemente non ha alcun riferimento né a Sedechia né a Babilonia. Il suo contenuto è più congruo con la prima risposta, quella dei vv. 3-7, sebbene non vi sia alcun collegamento specifico neppure con quella dichiarazione. L'appello di apertura, rivolto all' «abitatrice della valle, roccia della pia­ nura», è totalmente privo di un riferimento concreto. Apparentemente l'o­ racolo viene pronunciato per contrastare e dare una risposta alla domanda del v. 13b: «Chi scenderà contro di noi?». La domanda, forse, è una richie­ sta di informazioni, ma, più probabilmente, è una dichiarazione di sfida: nessuno oserebbe scendere contro di noi, nessuno potrebbe aver successo contro di noi. Malgrado il discorso dell'oracolo sia poco chiaro e la domanda in qualche modo ambigua, non c'è nulla di poco chiaro o di ambiguo nella risposta di YHWH (v. 14): «Vi punirò». YHWH interverrà direttamente e personalmente nella storia di Giuda. Non c'è alcun agente di mediazione: YHWH non utiliz­ za Nabucodonosor. La storia non è governata e giudicata da nessun altro se non da YHWH stesso, che è in grado di intromettersi e che può davvero en­ trare in ogni abitazione. Nessuno è al sicuro da YHWH. La risposta di YHWH comprende principi processuali: il fuoco è la sentenza, «il frutto delle vostre azioni» è il capo d'accusa. Le azioni di Giuda evocano il fuoco di YHWH. La situazione non è distante da quella dei vv. 11-12, ma ora le condizioni di Giuda si sono gravemente deteriorate e, di conseguenza, sono più disperate. È difficile comprendere perché i vv. 13-14 siano inclusi in questa sezione. La motivazione più plausibile è la citazione del «fuoco», coerente con i vv. 10 e 12. Così tutte e tre le ultime unità parlano di una terribile distruzione operata dal fuoco. Il concetto che la città verrà bruciata rispecchia la pro­ fonda antitesi fra la tradizione profetica e i monopoli cittadini di denaro, potere e arroganza religiosa. Dio considera queste concentrazioni di potere autoreferenziali profondamente nemiche dell'alleanza e di una possibilità di umanità. L'immagine del fuoco evoca una distruzione severa e totale. Se, come il testo cosl strutturato propone, tutte e quattro le unità sono ri­ sposte alla domanda dei vv. 1-2, è probabile che il re desideri non aver mai posto la domanda. La prima (vv. 3-7) e la quarta risposta (vv. 13-14) non offrono alcuna speranza. La seconda risposta (vv. 8-10) offre una speranza nell'esilio e la terza (vv. 11-12) offre una speranza mediante un radicale mu­ tamento sociale. Nessuna di queste risposte è sopportabile per il re e il suo entourage. La disperazione della situazione ha condotto il re Sedechia da Geremia e da YHWH. Ma il profeta non gli offre alcun conforto. La doman­ da era stata accompagnata da uno speranzoso «forse» (v. 2). La risposta, tutt'al più, è una sottile possibilità, così sottile che il re non è stato in grado di afferrarla. Sedechia può soltanto aspettare «la prossima volta il fuoco»1• 1 L'espressione deriva dalla sinistra esposizione di questo pezzo in BALDWIN 1963.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) 9.2 Oracoli sui re (22,1 - 23,8) La tradizione di Geremia si interessa di tutta Gerusalemme in quanto ampia realtà sociale: più specificatamente, però, è il re (e la dinastia) a in­ carnare l'intera classe dirigente cittadina. La condotta del re è decisiva per il benessere o la sventura di tutto il sistema sociale. La critica profetica del­ la monarchia in questo capitolo si rivolge verso due aspetti: da un lato, in quanto incarnazione di una ideologia autoreferenziale, la monarchia viene da principio criticata perché disobbediente e irresponsabile. Dall'altro lato, si prendono in considerazione sovrani in relazione a specifiche questioni di comportamento e di politica. La tradizione di Geremia formula giudizi critici sia nei confronti di specifici re sia nei confronti delle fondamentali richieste dell'istituzione monarchica. Il cap. 22 dichiara che i problemi che stanno per colpire Gerusalemme sono causati dalla monarchia. Nonostante l'intero capitolo sia relativo alla monarchia, possiamo utilmente distingue­ re tra i vv 1-9 e i vv 10-30. .

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9.3 La casa reale (22,1-9) Nei vv. 1-9 abbiamo un'unità poetica molto generale che riguarda la casa di Davide. Questa unità manca di indizi sul proprio contesto. Le sue solenni dichiarazioni riguardano l'atteggiamento prevalente dei profeti nei confron­ ti dei re. L'oracolo non è datato e il re non è identificato: è un oracolo sgan­ ciato e che avrebbe potuto essere utilizzato e collocato in diversi contesti.

22,1-7 Questi versetti sono composti da un discorso abbastanza stilizzato e da un frammento poetico. Si indirizza in modo formale al «re di Giuda». Il v. 3 espone il programma essenziale di una monarchia fondata sull'alleanza. Comincia con le basilari parole di Israele che spingono alla responsabilità sociale: «diritto e giustizia». Queste due parole possono essere rintracciate nel programma del Salmo 72, nell'oracolo della incoronazione reale di Is. 9,6 (e nella sua antitesi in Is. 5,7), nella celebrazione di Salomone in I Re 10,9 e nel fondamento sapienziale della monarchia in Prov. 8,20. I due termini, considerati assieme, definiscono un potere e una pratica sociale in cui si dà forte supporto e cura a coloro che sono socialmente deboli ed emarginati (la dichiarazione critica in Ez. 34,1-10 definisce il potere regale che rinnega questo suo mandato fondamentale). Il resto di Ger. 22,3 specifica che cosa comportano diritto e giustizia; il linguaggio di questo versetto è strettamen­ te parallelo alle richieste profetiche di 7,5-7. Tutto il programma è la cura degli emarginati e dei deboli: questo è il dovere dei re.

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Geremia Geremia 22,4-5 comprende una dichiarazione quasi simmetrica relativa ai guadagni assicurati e alle perdite connesse agli imperativi del v. 3. Que­ sta unità è organizzata in due strutture parallele «Se . . . allora)), una positi­ va e una negativa. La promessa positiva del v. 4 segnala che se il sovrano ��ascolta)), allora saranno garantite tutte le dimensioni del potere regale, compresi cavalli e carri. La controparte negativa del v. 5 è che se il re non si cura del diritto e della giustizia, la «casa>> (cioè il Tempio e la dinastia) an­ drà in rovina. La struttura «Se . . . allora)) di questi versetti è sorprendente, visto che queste espressioni retoriche pongono la monarchia esplicitamen­ te sotto condizioni. In Israele, il problema del carattere condizionale è oggetto di un'antica controversia2• La comunità mosaica riconosceva che l'alleanza era basata sulla fragile condizione dell'obbedienza (cfr. Es. 19,5-6), ma l'ideologia re­ gale di Gerusalemme considerava l'impegno di Dio incondizionato (II Sam. 7, 14-16; Sal. 89,24-37). Si possono identificare diverse articolazioni fra queste due interpretazioni altemative3• Le scelte proposte in Ger. 22,4 e 5 potreb­ bero essere formalmente simmetriche, ipotizzando che la monarchia abbia ancora una possibilità. Ma il giudizio sulla monarchia è stato ormai annun­ ciato, poiché la monarchia non ha esaudito e non esaudirà i requisiti di giu­ stizia e rettitudine4• Anche se la forma argomentativa «se . . . allora)) potrebbe essere una dichiarazione influenzata dal Deuteronomista, è altresì coerente con la vecchia tradizione mosaica del patto che ci aspettiamo che Geremia richiami. Il significato diretto della formula «se . . . allora» è di subordinare la monarchia alla Torah, alle sue richieste, alle sue sanzioni5. Questa subor­ dinazione deassolutizza la monarchia e rende il re, come chiunque altro, soggetto alle richieste della Torah. Presi per se stessi, i vv 4-5 suggeriscono che se obbedirà, Gerusalemme ha ancora una possibilità. La scelta positiva è ancora disponibile. Per come si presenta il testo, però, i vv. 6-7 escludono questa possibilità e annuncia­ no il giudizio. I vv. 6 e 7 sono caratterizzati retoricamente come un testo poetico indipendente. Tuttavia, nell'attuale contesto, dopo i vv. 4-5, la loro funzione è quella di negare la possibilità che i vv 4-5 sembravano aver of.

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2 LEVENSON 1985 in generale ha cercato di resistere a questa biforcazione tra aspetti condizionati o incondizionati nell'Antico Testamento. Tuttavia, non riusciamo a capire in che modo si possano armonizzare queste tendenze quando vengano espresse con­ cretamente nel testo. 3 Cfr. BRUEGGEMANN 1 985, spec. cap. 4, per il duraturo potere teologico della tradi­ zione davidica. La spaccatura tra aspetti condizionati e incondizionati è senza dubbio una costruzione ideale che permette diverse sfumature nelle espressioni concrete. 4 Questo testo è simile a 18,1-12, in quanto annuncia una teorica possibilità di cam­ biamento, ma subito dopo viene tracciata la conclusione realistica che Giuda si trova al punto di non ritorno; la possibilità teorica è riconosciuta, ma non è più disponibile. Su questa strategia, cfr. HUNTER 1982. 5 Anche il Deuteronomista lotta con il rapporto fra Torah e re. La tendenza principa­ le del Deuteronomista è quella di subordinare il re alla Torah. Cfr., per esempio, Deut. 17,14-20; I Sam. 12,13 - 15,25.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 25,38) -

ferto. Il tempo per una scelta positiva è ormai passato. Giuda e i suoi re so'­ no a un punto di non ritorno. I vv 6-7 presentano un grande capovolgimento, in cui chi era in alto vie­ ne portato in basso e non c'è alcuna possibilità per un riaggiustamento6• La metafora è che la dinastia è alta, grande e magnifica, come la fertile terra di Galaad o i possenti cedri del Libano (cfr. Is. 2,12-17), ma questa altezza non dissuaderà YHWH: YHWH trasformerà la terra fertile in deserto (Ger. 22,6b; cfr. il contrasto in Is. 35,1-2). I devastatori saranno mandati da YHWH (Ger. 22,7b). I migliori cedri saranno tagliati e usati soltanto per alimentare un fuoco di distruzione. Il poema si muove su vari livelli di potere. Si muove in direzione di una conflagrazione apocalittica, ma accenna anche al rove­ sciamento di un regime disprezzato in cui gli oppressi saccheggiano e de­ vastano tutto ciò che resta quando il potere se n'è andato. Conformemente allo stile poetico e immaginoso, i distruttori non sono identificati, ma nel nome di YHWH compiranno una potente distruzione. La dinastia si trova sotto severo giudizio, senza alcun invito al pentimento. Le possibilità di vi­ vere offerte ai vv 4-5 sono completamente annullate. La monarchia ha cre­ ato da sé una situazione disperata. .

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22,8-9 Questi versetti sembrano essere una spiegazione in prosa di quanto è stato detto prima. Nella poesia dei vv. 6-7 non viene data alcuna motiva­ zione specifica per il duro giudizio. Questi versetti forniscono una motiva­ zione attraverso una semplice struttura di domanda e risposta. La risposta è che essi hanno abbandonato «il patto del SIGNORE, del loro Dio». La pu­ nizione è pari all'offesa: Israele «ha abbandonato» ( 'azab) l'alleanza e ora è un popolo abbandonato (cfr. Is. 54,6). Di nuovo viene usato il termine de­ terminante 'azab, in parallelo con l'adorazione di altri dèi. La durezza del giudizio deriva dalla più fondamentale violazione dell'alleanza con YHWH. Il contrasto tra questo giudizio e le clausole di Ger. 22,3 è importante: al v. 3 le condizioni per la prosecuzione dell'alleanza erano etiche, senza espli­ citi riferimenti teologici. Al v. 9 la motivazione della distruzione è teologi­ ca, senza espliciti riferimenti etici. Si potrebbe dedurre che le due differenti motivazioni riflettano differenti tradizioni teologiche e diversi strati reda­ zionali. Oppure si potrebbe prestare fede alla tradizione comprendendo le condizioni etiche del v. 3 e le ragioni teologiche del v. 9 come sostanzial­ mente sinonimi, argomento reso chiaro nei vv. 15-16. In tutti i vv 1-9, il punto principale è che persino una potente istituzio­ ne come la monarchia, per sopravvivere, deve soddisfare richieste fonda­ mentali di umana compassione e responsabilità. Il soddisfacimento di que­ ste richieste è vistosamente assente in Gerusalemme. Le conseguenze so­ no inevitabili e non devono giungere come una sorpresa. Di nuovo, il testo .

6 Sul capovolgimento devastante, cfr. ls. 2,9-22; 47,1-3, che è l'antitesi del rovescia­ mento positivo di I Sam. 2,6-8; Sal. 113,7-9; Le. 1,51-53. Nella tradizione di Geremia sono presenti sia l'una sia l'altra forma di capovolgimento.

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Geremia fornisce una conclusione priva di ambiguità e notevolmente disciplinata. Il testo è un invito, per ogni nuova generazione, a riflettere sulle condizioni senza compromessi che YHWH ha posto per il benessere storico. Il modo di vivere di un popolo nella storia non può, sulla base di un qualunque stra­ tagemma, eludere le fondamentali richieste di umanità. Il processo storico alla fine, e inevitabilmente, è un processo morale. Il giudizio di Dio non è «soprannaturale>>, ma avviene distinguendo le dinamiche delle transazioni di potere all'interno delle relazioni sociali.

9.4 Il fallimento della monarchia (22,10-30) Il resto del capitolo spiega queste affermazioni generali con riferimenti a specifici sovrani. La sezione può essere letta come una cronaca dei re negli anni di Geremia e negli ultimi giorni di Giuda7• Un'analisi generale e criti­ ca dei re evidenzia la rivendicazione che i re sono soggetti alla valutazione da parte dei profeti, che rappresentano il governo reale di YHWH. I profe­ ti parlano del governo di YHWH che si trova in tensione con il governo del regime di Gerusalemme (cfr. Is. 6,1). Questa analisi profetica ottiene l'effet­ to drammatico di destabilizzare o delegittimare le pretese regali assolute avanzate dai re davidici. La tradizione di Geremia si preoccupa dell'autori­ tà della parola profetica come forma determinante del governo di Dio, che insitamente minaccia la monarchia. Tale preoccupazione in Geremia può essere rintracciata precedentemente fin dalla narrazione della vocazione di Ger. 1,4-10. I re sono valutati sulla base della loro risposta a questo insolito governo di YHWH8• 22,10.12 In questi versetti il primo riferimento a un re specifico compren­ de una dichiarazione poetica generale e uno specifico commento in prosa. Il contrasto nella parte poetica del v. 10 è tra Giosia («colui che è mortm>) e Ioacaz («colui che se n'è andato>>)9• Giosia fu un sovrano effettivo che morì 7 Cfr. BRIGHT 1978, pp. 144-146. La questione importante è che la cronaca è soggetta a un criterio di valutazione molto particolare, il criterio del diritto e della giustizia. Per una valutazione critica storica di questi re, senza le minuziose norme di diritto e giusti­ zia, cfr. HAYES e MILLER, 1986, pp. 391-415. 8 Per come è costruita l'attuale tradizione di Geremia, la parola viene rivolta «alle nazioni e ai regni>> (1,10). Fra queste, evidentemente, la prima nazione / regno a cui si ri­ volge è Giuda, cioè i re di questo capitolo. La rivendicazione della tradizione è che l'o­ pera di YHWH di «sradicare e demolire>> e di «costruire e piantare>> è il modo in cui YHWH presiede sui re. Geremia è parte dell'idea che la monarchia, come la classe dirigente del Tempio, alla fine dovrà rispondere al Dio della Torah. La Tora h è una costruzione teo­ logica più fondamentale di quanto non sia la monarchia. 9 Il re, Sallum, è citato altrove soprattutto con il suo titolo del trono, loacaz; cfr. HA­ YES e MILLER 1986.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) in una azione militare e che è molto celebrato nella tradizione di Geremia e del Deuteronomista (cfr. II Re 23,25). Alla sua morte, il figlio Ioacaz ven­ ne messo sul trono da un movimento popolare ma fu immediatamente de­ posto dagli egizi che lo portarono in esilio in Egitto (II Re 23,30-33), dove morì (cfr. II Re 23,34). Il versetto poetico della nostra unità suggerisce che il vero pianto di dolore non debba essere per Giosia, che è morto (Ger. 22,10): Giosia ha evitato il problema con la morte e ora sta meglio. È suo figlio in esilio che deve affrontare il vero problema, che dovrebbe essere compianto, considerando che l'esilio è ben più crudele di una morte onorevole. Il ritornello è costante in tutti e tre i versetti: - non tornerà più (v. 10); - non vi ritornerà più (v. 11); - non vedrà più questo paese (v. 12). L'unità afferma il carattere temibile e irrevocabile dell'esilio: lo stesso re non interessa più molto alla tradizione; è però un simbolo del fallimento e del giudizio della monarchia. I re di Gerusalemme, di cui Ioacaz (Sallum) è un triste esempio significativo, non sono in grado di far fronte né alle mi­ nacce interne né alle decisioni di Dio: la monarchia non è una barriera che possa ostacolare il definitivo annientamento di Gerusalemme operato da Dio. L'ideologia e le pretese regali vengono congedate velocemente. Il do­ lore per il re è in realtà dolore per Gerusalemme, ora sottoposta a una sicu­ ra condanna a morte. 22,13-19 Questa unità consta di due parti. Nella seconda parte, viene nomi­ nato Ioiachim (v. 18) e i vv. 18-19 costituiscono un lamento funebre per lui. La poesia ne preannuncia la morte, in cui egli verrà deriso, disprezzato e disono­ rato. Il poeta discredita e congeda abilmente il fallito regno di Ioiachim descri­ vendo una morte in cui non c'è né un adeguato funerale né un serio dolore. I vv. 13-17 mancano di elementi specifici, ma il riferimento a un re e a suo padre (v. 15) costituiscono un parallelo con l'identità del padre e del figlio al v. 18. Possiamo quindi pensare che questa unità costituisca un contrasto tra un padre onorato - Giosia - e lo spregevole loiachim, il vero soggetto di questa unità. Giosia serve semplicemente a mettere in risalto la meschi­ nità di suo figlio Ioiachim, che nel 609 a.C. succedette sul trono al fratello Ioacaz, rimanendovi fino al 598 È un'ironia della storia ebraica il fatto che Ioiachim si sia avventurato in pericolose e azzardate mosse politiche, susci­ tando la collera di Babilonia e che sia però deceduto tranquillamente e con tutti i conforti prima che l'impero babilonese rispondesse (II Re 24,5-7). La tradizione biblica Io giudica spregevole: ha causato al suo popolo un guaio costoso, di cui però egli stesso non ha fatto esperienza. La sezione poetica di Ger. 22,13-17 si compone di tre elementi. Primo, i vv. 13-14 sono una critica radicale dell'errato uso del potere. La formula di .

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Geremia sventura «Guai!» è un annuncio che la morte sta per arrivare. L'espressio­ ne formulare preannuncia il funerale del governo la cui morte è già inizia­ ta ora. Questa formula non viene pronunciata con durezza bensì con do­ lore, ed è relativa all'inevitabile risultato causato dalla irresponsabilità del re, sistematica e di lungo periodo. Questa critica viene resa manifesta dai verbi che seguono l'espressione di sventura - «colui che costruisce», , «colui che dice>>, «colui che taglia>> [N.Riv.: «fa delle finestre>>]. Tut­ ti i quattro verbi si riferiscono allo sfruttamento economico che asservisce il prossimo per la propria autoesaltazione. La questione chiave del poema, annunciata all'esordio, è costituita dall'ingiustizia e dall'iniquità (v. 13), l'e­ satta antitesi dell'imperativo al v. 3. Questo re, presumibilmente loiachim, ha violato le più elementari responsabilità della monarchia pattuale. Egli ha trasgredito violando il senso della monarchia allo scopo di accrescere il proprio prestigio, grazie ai suoi notevoli consumi. Secondo, i vv. 15-16 sono uno sbalorditivo atto di critica sociale, il più acuto di questo genere nell'intera Bibbia. Il poeta solleva la questione di che cosa costituisca il legittimo potere sociale: chiede con disprezzo se è il lusso evidente a costituire la regalità. A questa domanda retorica viene data ri­ sposta nei vv. 15b-16 con il confronto con Giosia che «faceva ciò che è retto e giustO>>. Ricorrono nuovamente i termini chiave «diritto e giustizia>>, messi in contrasto con la seduzione del cedro e del vermiglio, segni di abbondan­ za. «Diritto e giustizia>> costituiscono un esatto contrasto con i valori egoi­ stici di Ioiachim. Come risultato della sua politica sociale che si è occupata dei poveri e dei bisognosi, Giosia ha prosperato e ha goduto di un governo saldo. Giosia è tipicamente considerato il re che ha messo in atto politiche concordanti con le richieste pattuali del Deuteronomista e viene presentato come l'incarnazione dei migliori sogni relativi all'alleanza di Mosè. La parte finale del v. 16 è una delle più notevoli della Scrittura: «Cono­ scere Dio>> equivale a rendere giustizia ai bisognosi10• L'equazione necessi­ ta di essere analizzata nella pienezza della sua portata. Non si afferma che la conoscenza di Dio porta alla giustizia, né, all'opposto, si sostiene che la giustizia sociale porta alla conoscenza di Dio: sono la stessa cosa. Si potreb­ be allora, sulla base di questo testo, concludere che la pratica della giustizia è la vera realtà di YHWH. In questo testo siamo davvero vicini alle discus­ sioni contemporanee sulla praxis come il modo della fede. Nei termini più radicali, questo componimento poetico anticipa l'affermazione di Giovanni Calvino che la giusta conoscenza di Dio viene con l' obbedienza11• 10 MIRANDA 1974, pp. 44-53, è colui che ha compreso con maggiore chiarezza il ca­ rattere radicalmente sovversivo di questa unità poetica. 11 CALVINO 1960, l,Vl,2; vedi anche WOOD 1979, pp. 331-340. HARDY e FORD 1985 dimostrano e sottolineano con il loro titolo che la conoscenza di Dio viene mediante la lode di Dio. Riteniamo che Calvino non sarebbe in disaccordo, dal momento che non farebbe una profonda distinzione tra lode e obbedienza, che sono i due atti di sottomis­ sione grazie ai quali Dio viene conosciuto.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) D terzo elemento di questa sezione (v. 1 7) mette in rapporto i due elemen­ ti precedenti. Da una parte, il v. 17 ripete il giudizio dei vv. 13-14; dall'altra, continua il confronto tra loiachim e Giosia, dal momento che Giosia non avrebbe mai praticato oppressione e violenza. Giosia non ha ceduto a una ideologia regale egocentrica, ma è rimasto fermamente convinto che il re esiste per il popolo. Ioiachim viene dunque presentato come colui che cre­ de di essere autonomo e di non aver bisogno della Torah. Questo genere di autonomia distrugge chi la pratica e allo stesso tempo distrugge la socie­ tà. Giosia viene proposto come metro sulla base del quale Ioiachim deve essere giudicato. Non sorprende che la prima parola sia «guai» (v. 13), né che lo sia anche l'ultima (v. 18; in italiano «ahimé!»; N.Riv.). È l'unica paro­ la che il poeta ha per questo re. È destino che giunga la morte, e quando la morte viene, non muore soltanto il re, ma abbatte con sé anche la sua città. Al v. 18 vengono suggerite quattro possibili espressioni di dolore e tut­ te e quattro vengono rifiutate: «ahimé . . . ahimé . . . ahimé . . . ahimé . »12. È sorprendente il fatto di avere la previsione della morte del re e di avere poi il divieto del lutto pubblico. Il poeta vuole che siano evidenti la profonda vergogna e l'umiliazione di questo re. Il poema è un atto drammatico di delegittimazione di un re che non merita alcun onore. Il disonore si amplia al v. 19: da morto, il re deve essere trattato come una qualunque carcassa di animale priva di valore, deposto semplicemente per non turbare la cit­ tà. Lo scenario è notevolmente duro, appropriato a questo re ignobile. La ragione della vergogna viene indicata all'inizio dell'unità, nei vv. 13-14: in­ giustizia e iniquità. Il fatto che Ioiachim sia evidentemente deceduto di una morte naturale e che abbia ricevuto la consueta sepoltura (II Re 24,6) indica che la previsione del poeta, in realtà, non si è avverata. Questo però non sminuisce la poten­ te affermazione di questo poema che i re che si comportano come agenti di ingiustizia sono certi di essere congedati in quanto ignobili, senza valore, non pianti né ricordati. Nel mondo dell'ideologia regale tutti i re sono ono­ rati alla propria morte, non importa quanto malvagi siano stati in vita. Ma il poeta costruisce un altro mondo, un mondo di fede legata al patto, in cui il governo dei re è giudicato in modo differente. Mediante l'immaginazio­ ne poetica, gli ascoltatori fedeli sono invitati a rompere con il mondo falso promosso dall'interesse regale e sono invitati a unirsi al mondo del poeta. Il poema combatte per l'immaginazione di Israele, per distoglierlo dall'ec­ cessivo fascino del potere visibile di Gerusalemme. La disgrazia prospettata per Ioiachim recide la facciata di una monarchia egocentrica e ipocrita che prospera in un Israele che si autoinganna. . .

12 n termine tradotto con denota un capovolgimento. La forza della classe dirigente è stata ridotta in debolez• za, la sua capacità in vulnerabilità e disperazione (cfr. Es. 11,4-6). Terzo, in Ger. 22,21 c'è un doppio utilizzo di semn ', «Non ascolterò . . . tu non hai dato ascolto>>. Il fallimento decisivo di Israele è di non aver prestato attenzione a YHWH, da cui proviene la loro vita. Quarto, il verbo «pasturare>> e il sostan­ tivo «pastore>> è ra 'ah l ro 'eh, contrapposti alla parola «malvagità>> (ra ', v. 22). Questi omonimi indicano il collegamento tra la malvagità del non ascoltare e il giudizio di essere gettati al vento, cioè portati via in esilio. Il poema affer­ ma ironicamente che il vento che «disperde» rimpiazzerà i pastori che «rac­ colgono>>. La comunità, una volta raccolta, sarà dispersa nell'esilio. L'unità poetica dei vv. 20-23 comincia e finisce con riferimento al ((Liba­ no��, che, in realtà, è un riferimento a Israele. La metafora del ((Libano» è riferita a Israele, poiché, sotto loiachim, Israele ha imitato il Libano e ora è intrappolato negli stessi valori distruttivi del Libano13• Questi valori sono simbolizzati dal ((cedro�> (cfr. vv. 14 e 23). La comunità che fa affidamento sul commercio e la ricchezza incarnata nei cedri è destinata alla morte in quanto comunità che nega l'alleanza (cfr. Is. 2,6-8). Inoltre, questa unità poetica preannuncia la dispersione di una comunità un tempo potente. La poesia intende guidare la realtà, costruire per Israele uno scenario di un futuro in esilio, anche quando Giuda continua a imma­ ginarsi al sicuro. Malgrado il soggetto sia diverso da quello di Ger. 22,18-19 e il giudizio sia molto più forte, l'annuncio fondamentale di esilio e morte è coerente con il precedente. Sta per giungere una rigorosa e inevitabile con­ clusione, una sofferenza simile a quella delle doglie (v. 23), con la differen­ za che queste sono doglie di morte. 22,24-30 L'ultimo re citato in questa unità è Conia, meglio conosciuto come loiachin (vv. 24-30), figlio di Ioiachim, nipote di Giosia: il suo destino è stato quello di salire al trono nel 598 appena in tempo per raccogliere gli amari frutti delle politiche mortali di suo padre. Entro un anno dalla sua 13 Sulla capacità dei poeti di Israele di maneggiare le metafore in forme potenti, sov­ versive e immaginose, vedi NEWSOM 1984, pp. 151-164. Vedi anche POKfER 1983.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) ascesa al trono viene deportato a Babilonia, dove subisce una lunga prigio­ nia (cfr. 52,31-34; II Re 25,27-30). loiachin nella tradizione biblica riceve due diversi trattamenti: da una parte, sorregge le speranze di questo popolo e mantiene vivo il filo della promessa regale; dall'altra, è evidentemente indi­ feso e storicamente impotente, dal momento che non ha alcuna possibilità di agire in conformità alle speranze che incarna. In questo brano, loiachin non è una figura di speranza. È soltanto oggetto di profonda pietà. Questa unità che riguarda l'ultimo re è divisa in parti in prosa (Ger. 22,24-27) e parti in poesia (vv. 28-30). Nella prosa dei vv. 24-27 Ioiachin vie­ ne identificato come «l'anello con sigillo» di YHWH; incarnazione e segno della speranza dinastica e una delle poche rassicurazioni di un qualche con­ cepibile futuro (cfr. Aggeo 2,23; Zac. 3,8). Tuttavia, egli è «Strappato da lh� (Ger. 22,24). Dio viene presentato come un amante indignato che rimuove un prezioso anello dal suo dito e lo getta via, distruggendo tutte le speranze e le promesse simbolizzate dall'anello. Il re viene rigettato. Con lui termina la linea regale cominciata con Davide e viene annullata la promessa regale. Il re e sua madre, latori dell'identità regale, vengono abbandonati da Dio e consegnati a Babilonia, dove troveranno una morte solitaria e disonorevo­ le (v. 26)14• Quello che era stato dichiarato per Ioiachim nei vv. 18-19 viene ora messo in atto con suo figlio. Questo re-fanciullo sarà cacciato da Geru­ salemme, proprio come la salma di suo padre era immaginata come reietta. La storia regale del Tempio e del trono ora è terminata, anche se solo in uno scenario immaginario. La realtà storica di questo scenario poetico diventa visibile pochi anni dopo. La controparte poetica dei vv. 28-30 è una delle unità più struggenti e piene di pathos della Bibbia. Il poeta dà espressione al profondo dolore di questo umiliante rigetto del re-fanciullo. Il poeta desidera che i suoi ascol­ tatori si concentrino su questo ragazzo su cui l'intera classe dirigente di Ge­ rusalemme ha puntato il suo futuro. Ora questo fanciullo viene rifiutato, dimenticato, disonorato. La metafora è quella di un vaso rotto senza valore (v. 28; cfr. 19,10-11). Nella metafora del vasaio e della creta (già utilizzata in 18,1-4), il vasaio può plasmare nuovamente la creta o, alla fine, gettarla via. Senza dubbio è Israele e non il re a essere la creta di YHWH ai capp. 18 - 19. Qui la creta viene maneggiata con maggiore specificità. Egli viene rifiutato perché senza valore. Il suo rifiuto riecheggia in Sal. 118,22. Ioiachim è dav­ vero come una pietra rifiutata. Il pathos, tuttavia, non è esclusivamente per il fanciullo. Quando il re si trova in pericolo, tutto il paese è vulnerabile. Il poeta dà espressione a un lutto ancora più grande per il paese, che adesso a sua volta deve mori­ re (Ger. 22,29). Questo lamento funebre è scarno e crudo, e per questo po14 La citazione della regina madre, al v. 26, ci colpisce in quanto insolita. SEITZ 1989, pp. 164-171, ha suggerito in modo persuasivo l'idea del ruolo cruciale della regina ma­ dre per il potere regale e di conseguenza perché lei doveva essere citata espressamente in questo contesto. Vedi anche sopra, nota 16, p. 136.

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Geremia ·

tente. n poeta pronuncia soltanto tre parole decise: di Ger. 22,4-5: il manda­ to regale non è incondizionato. Se si chiede il «perché>> del destino di loia­ chin al v. 28, o il «perché>> più generale del v. 8, la risposta viene data al v. 9. La risposta è il «perché>> della violazione del patto. L'invito al v. 3 ha come premessa la giustizia e il diritto. L'accusa al v. 13 è proprio quella di ingiu­ stizia e iniquità. Oltre alla malvagità di non aver ascoltato (vv. 21-22), Io­ acaz (vv. 10-11) e Ioiachin (vv. 24-30) sono afflitti; Ioiachim viene rigettato (vv. 13-19), la città viene abbandonata (vv. 8-9) e la terra diventa squallida (v. 29). Tutto ciò che avrebbe potuto essere secondo la promessa di YHWH a questo punto non può più esserlo. Il poeta dà la parola alle lacrime di Ge­ rusalemme che stanno per arrivare. Osiamo pensare che siano le lacrime di Dio (v. 29; cfr. 1-2).

9.5 Il germoglio giusto (23,1-8) Questi versetti portano a compimento il discorso generale sui re. Que­ sta unità continua il tema del cap. 22: è organizzata attorno a una accusa molto generica nei confronti della monarchia e a tre promesse abbastanza inaspettate. 23,1-2a L'accusa in questi versetti è una parola generica sui re («pasto­ ri»), parallela all'accusa di Ez. 34. Il termine «gregge>> si riferisce a Giuda.

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9. Giudizio e spetanza (Ger. 21,1 - 25,38) C'è stata una dispersione del gregge (esilio) poiché i pastori non hanno cu­

stodito il gregge (cfr. Mc. 6,34). I pastori sono stati negligenti, poiché si so­ no preoccupati soltanto di se stessi e del proprio benessere. La trascinante metafora delle pecore e dei pastori costituisce anche una potente dichiara­ zione politica: la cattiva amministrazione del potere regale è l'unica causa dell'esilio. Il gregge trascurato sarà prevedibilmente disperso. Le tre promesse dei vv. 2b-4, 5-6 e 7-8 cominciano tutte con «ecco». Non è chiaro quale collocazione abbiano tali promesse nella tradizione di Geremia, specialmente quando le promesse sono esplicitamente dinastiche. Il parere convenzionale degli studiosi è che i testi che propongono speranza siano posteriori e le promesse dinastiche aggiunte successive15• Quali che siano i problemi storici e letterari relativi a queste promesse, la verità teologica è che la tradizione di Geremia dichiara che quel Dio che può annientare Giu­ da può anche creare qualcosa di nuovo. Dunque, su basi teologiche, questi testi di promessa esprimono la decisione di YHWH di creare una novità a di­ spetto delle realtà storiche e nonostante il fallimento dinastico. La speranza di Dio non viene annullata dal fallimento di Giuda. Alla lunga e attraverso tormento, la speranza di Dio passa sopra questi fallimenti storici e pattuali. 23,2b-4 La prima promessa afferma che Dio non agirà mediante un agente umano ma provocherà lui stesso il ritorno in patria. Il verbo «raccogliere}} è una risposta precisa al «disperdere>} dei vv. 1-2a ed è coerente con la meta­ fora del gregge. La raccolta del gregge (come in Giov. 10,1-18) si riferisce in modo specifico alla fine dell'esilio. Nel nostro testo, è soltanto dopo la rac­ colta che saranno istituiti nuovi ). Il re che viene sarà la vera > (vv. 26.32) con la verità (v. 28). I profeti che si oppongono a Geremia sono falsi, ma potrebbero esprimere fedeltà. L'essenza delle bugie e della falsità è che il nome di YHWH è dimenticato (v. 27), la parola del Dio di Israele è 21 HUNTER 1982 ha dimostrato che i richiami profetici al pentimento sono sempre ri­ chiami passati ora non più possibili. I richiami precedenti vengono tipicamente richia­ mati per dare un contesto all'attuale articolazione del giudizio. 22 Cfr. LEMKE 1981, pp. 541-555.

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Geremia distorta (v. 29) e il nome di Dio è usato invano (v. 31). L'effetto di tutti que­ sti sogni, fantasie e distorsioni è che Giuda è condotto fuori strada, lontano dalla volontà di Dio, in un atteggiamento di disobbedienza che conduce alla morte (v. 32)23. Non ci viene detto qual è il punto specifico del grave conflitto. l vv. 23� 24 suggeriscono, tuttavia, che in nome del sistema del Tempio regale la so­ vranità di Dio sia stata ridotta a un acritico patronato e il mandato per il diritto e la giustizia sia stato tradotto in sicurezza e ordine. La parola di Dio è come fuoco che brucia, un martello che fracassa (v. 29). Ogni altra parola profetica che sia accomodante e debole viene riconosciuta come una paro­ la aliena e non è parola legittima di YHWH. Queste altre voci profetiche so­ no diventate così distorte, sono così egoistiche nella negazione che fanno del vero carattere di YHWH, che la comprensione che Israele ha di Dio è di­ storta. Il giudizio sovrasta i profeti pervertitori, ma la fine terribile che ne risulta cadrà su tutta questa comunità deviata che da tempo ormai non è più in grado di distinguere tra la verità degli scopi di YHWH e la falsità dei futili tentativi di controllo e di rassicurazione di sé (cfr. Is. 5,20; Ez. 13,8-16). Geremia 23,23-32 è in verità un dibattito tra voci profetiche rivali che si rifanno a tradizioni teologiche in conflitto. Dietro la controversia relativa a veri e falsi profeti, c'è un contrasto sulla natura di Dio. I profeti ideologici della classe dirigente hanno celebrato e affermato la vicinanza di Dio e il suo eterno impegno a favore nonché la stessa presenza di Dio all'interno della classe dirigente di Gerusalemme. Dio è diventato parte di questa or­ ganizzazione sociale. In duro contrasto, Geremia porta testimonianza a un Dio che è «lontano)), libero, sovrano e non una semplice appendice della religione istituzionale. La questione in gioco non è il contenuto di un par­ ticolare annuncio, bensì Dio e il suo rapporto con Giuda. Fino a che Giuda non sarà certo della natura di YHWH, non sarà mai certo riguardo al dibat­ tito nel consiglio divino, riguardo al messaggero inviato a Civola o a quale sarà il messaggio. Geremia è certo del messaggio poiché sa con certezza che YHWH governerà senza compromessi secondo il suo desiderio di diritto e giustizia. La controversia prende l'avvio e apparentemente è relativa a quel­ lo che gli altri profeti dicono e fanno. Quando termina l'unità, però, diventa chiaro che il problema della vocazione profetica è secondario rispetto alla domanda fondamentale relativa alla realtà e alla natura di Dio. In questa espressione del carattere di YHWH siamo vicini all'interesse centrale della tradizione di Geremia da cui prendono avvio tutti gli altri.

23,33-40 Questi versetti sono un'appendice al materiale che riguarda i falsi profeti. Il testo sembra essere un gioco di parole sul termine «carico» 23 Questo passaggio ha collegamenti importanti con Deut. 13,1-3, laddove si afferma che i profeti e i sognatori condurranno Israele lontano da YHWH, nella disobbedienza. Nel nostro testo, Geremia individua questa seduzione religiosa nei profeti, da una par­ te, e nella pubblica crisi politica di Gerusalemme, dall'altra.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 25,38) -

(masSti ), il cui significato è oscuro. Il termine «peso» ha una doppia valen­ za. Può significare un oracolo che afferma di essere una rivelazione da parte di YHWH (vv. 33.35-36.37-38). In questo testo la parola ha anche un secondo significato: un peso che YHWH deve portare e che lo lascia esausto (v. 33)24. Il testo è incorniciato dai vv. 33 e 39-40. Sia nei versetti di apertura sia in quelli di chiusura, coloro che pronunciano «il cariCO>> sono minacciati dall'e­ silio. Al v. 39 la minaccia di essere (nasa) è collegata con il «cari­ CO>> (massa' ). Così si attiva un altro gioco di parole. Colui che pesa (massa' ) verrà rigettato (nasa). All'interno di questa struttura, il testo è profondamente problematico. I vv. 34-38 sembrano ruotare attorno al rapporto dei religiosi professionisti con la parola, il , di Dio. C'è una struttura retorica che alterna af­ fermazione e domanda. Poi, al v. 34, viene impedita l'affermazione del «Ca­ rico>> di YHWH, mentre al v. 35 viene legittimata la domanda sulla parola di YHWH . Al v. 36, l'affermazione del carico viene impedita di nuovo, mentre al v. 37 1'argomento è nuovamente permesso. Al v. 38 1' affermazione del ca­ rico è di nuovo posta sotto giudizio. Questo modello retorico suggerisce le seguenti conclusioni sulla funzione della classe dirigente religiosa: i profeti e i sacerdoti sembrano avere la pre­ sunzione di poter rispondere per conto di Dio e questa presunzione è sbri­ gativamente rifiutata in questo testo (vv. 34.38). Si possono porre domande sul carico di YHWH, ma non si può presumere di conoscerlo {vv. 35.37). La presunzione di conoscere, che preclude alla vera conoscenza (cfr. vv. 23-24), ottiene il risultato di far rigettare le persone e di mandarle in esilio. Come anche altrove nella tradizione di Geremia, la classe dirigente religiosa è ac­ cusata di tentare di limitare e di controllare la libera e totale sovranità di Dio. �.

9.7 I due cesti di fichi (24,1-10) Questo testo è datato dai redattori tra la prima deportazione del 598 a.C. e la seconda, decisiva deportazione del 587 (v. 1). In questo periodo, il ca­ po della comunità in esilio a Babilonia era Ieconia (Ioiachin), il re fanciullo esiliato. Dopo che il popolo di Giuda fu esiliato e si trovò lontano dalla sua patria venne chiamato «giudeo>>: per questo, possiamo riferirei a questa co­ munità in esilio come alla «Comunità giudaica>>. Questo riferimento, tutta­ via, allude alla stessa comunità del patto di cui si occupa tutta la Scrittura, cioè il popolo dell'alleanza. È solo a causa della dislocazione geografica che 24 Gli studiosi non hanno ancora trovato una spiegazione utile al di là della questio­ ne abbastanza ovvia che la parola viene usata in maniera duplice come omonima e che la forza del testo dipende da questo suo duplice significato. Relativamente ai tentativi critici di chiarire l'aspetto linguistico per il gioco di parole, vedi GEHMAN 1940 l 41, pp. 107-121, e Mci>: potrebbe essere semplicemente un numero tradizionale, appropriato sotto certi punti di vista, come la durata di una città distrutta; potrebbe essere un riferimento al lasso di tempo di una generazione come un modo di calcolare il tempo, o potrebbe essere intesa come

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) ((perenne» è probabilmente un verdetto profetico, non appesantito da uno specifico riferimento storico: vuole dire «per tutto il futuro immaginabile». La successiva «correzione» di settant'anni potrebbe riflettere l'inizio di spe­ cificità storica. E questo vale sia che si intenda diminuire l'orrore, sia che si voglia mantenere il verdetto nell'ambito del realismo storico. Potrebbe inol­ tre rispecchiare la vera fine dell'esilio e il ritorno in patria dei deportati35• Il riferimento a settant'anni comincia a portare la rovina fuori dall' oriz­ zonte del ((perenne»: lascia intravedere come il duro giudizio non sia defi­ nitivo e non sia per sempre. Comincia a guardare al di là del giudizio verso nuove possibilità storiche offerte da Dio. Questa apertura non diminuisce la durezza del giudizio. È piuttosto un'apertura verso un'altra dimensione offerta da questo Dio che governa il processo storico. Questo Dio non ((ser­ ba la sua ira per sempre» (cfr. Sal. 103,9). Questo Dio sceglie diverse possi­ bilità e offre nuovi doni. Su questa base il numero dei settant'anni è un pri­ mo sussurro di speranza in mezzo all'esilio. Questo accenno, al margine del pensiero di Israele, conferma che ora Israele si trova di fronte alla seconda stagione di YHWH, una stagione di vita nuova. In Ger. 25,12-14 ci imbattiamo in un movimento abbastanza nuovo nel­ la tradizione: anche se i settant'anni non vengono normalmente considera­ ti in senso letterale, il riferimento suggerisce l'idea che l'odiata egemonia babilonese abbia un limite e un punto di arrivo. Il testo prosegue con una waw consecutiva, tradotta in italiano con ((Ma» (v. 12). Dio si rivolta contro Babilonia. Secondo questa filosofia della storia, l'impero stesso inviato da Dio (v. 9) viene ora duramente giudicato da Dio. Il giudizio di Dio contro l'impero è dovuto all' (dniquità» di Babilonia (v. 12). Isaia 47 fornisce una versione più dettagliata di questo verdetto teologico: Dio ha certamente au­ torizzato Babilonia a procedere contro Giuda (Is. 47,6), ma Babilonia, senza pietà e con eccessiva brutalità, ha oltrepassato i limiti del proprio mandato: è stata troppo dura (Is. 47,6). Babilonia si trova in una situazione senza via d'uscita, poiché viene giudicata sulla base di criteri che ignorava. Babilonia non sapeva che YHWH, persino nel giudizio contro Giuda («il mio popolo, la mia eredità>>), aveva posto dei limiti alla punizione. Ora, l'agente stesso della punizione deve a sua volta essere punito. Questo nuovo atteggiamen­ to contro Babilonia offre nuove possibilità per il futuro di Giuda. Il lavoro di Dio non è terminato con la distruzione di Gerusalemme. Il Dio continua a essere al lavoro, a supervisionare le nazioni. In questo con­ siste la speranza per Israele in esilio. Questa filosofia della storia a due fasi - il mandato a Babilonia, la punizione di Babilonia - sottolinea che la storia, alla fine, è ancora governata dalla compassionevole attenzione di YHWH nei un riferimento a date concrete. Cfr. ORR 1956, pp. 304-306, che sostiene che la tradizio­ ne a_gocalittica dei «settant'anni» è cominciata con una concreta intenzione cronologica. Sono propenso a considerare la cifra un fattore di limite, ma non c'è dubbio che il riferimento a «settanta» fornisce anche una base da cui la profezia comincia a muoversi verso direzioni apocalittiche. Su questo problema generale vedi KNIBB 1982, pp. 155-180.

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Geremia confronti di Giuda. Questa stessa struttura a due fasi di mandato e puni­ zione viene messa in atto contro l'Assiria (Is. 10,5-19) e, in un modo meno diretto, contro Gog (Ez. 38 - 39). Il risultato pratico è che Giuda giudicato diventa Giuda con nuove possibilità storiche. Il grande impero babilonese, che sembrava eterno e al di là di ogni at­ tacco, viene ora completamente ridimensionato e, alla fine, annientato (Ger. 25,12). Alcuni avvenimenti storici compiono questo verdetto: nel 537 1a Per­ sia pone termine all'imperialismo babilonese. Questo testo, però, non è un commento storico. È un'affermazione teologica che, alla fine, nessuna na­ zione è autonoma e libera rispetto al governo di YHWH. È qui che risiede l'origine del giudizio di Giuda, ma è anche qui che risiede l'origine della speranza per Giuda. YHWH governa36. Il v. 13 contiene una interessante nota redazionale. Proprio nel testo di Geremia troviamo un esplicito riferimento al «libro di Geremia»: questa frase chiarisce che il v. 13 è uno stadio di redazione tardiva del libro, dato che chi ha scritto questo testo aveva già avuto a disposizione una versione del libro di Geremia. Inoltre, questa successiva attività redazionale sembra comple­ tare il libro con una denuncia nei confronti di Babilonia (cfr. capp. 50 - 51). Geremia 25,13-14 afferma il giudizio di Dio contro l'impero. Alla fine, la solidarietà di YHWH è comunque con Giuda e contro Babilonia. Questo ac­ cade però soltanto alla fine, dopo «settant'anni», dopo che il paese è stato distrutto. È particolarmente importante per Israele (e per noi) che YHWH non sia immutabile, ma che capovolga la propria politica alla luce della compas­ sione di Dio stesso37• La speranza di Israele risiede proprio nella libertà di YHWH di porre un limite a ciò che era «eterno». Questa è la fonte di speranza offerta in questo testo. È una speranza certa, ma le viene data voce soltanto nella «Seconda lettura» fatta dalla tradizione di Geremia in mezzo all'esilio.

25,15-29 Questa sezione costituisce un passaggio sorprendente in Ge­ remia, espresso in un linguaggio che non abbiamo incontrato altrove nel­ la tradizione. La metafora principale è «la coppa dell'ira» che viene porta da YHWH e che tutte le nazioni sono costrette a bere. Il suo contenuto è una sentenza d'ira, distruzione e devastazione provenienti dalla mano di Dio, consegnata dal profeta e che le nazioni non possono evitare. L'espressione («coppa dell'ira») è apocalittica (cfr. Mc. 10,38-39; Apoc. 14,10). La metafo­ ra dà espressione alla retorica di un ampio giudizio profetico scritto38• La metafora afferma che l'intero mondo dell'ordine internazionale si sta sfal36 La categoria generale per l'interpretazione è la sovranità di YHWH, una chiave già presente in Ger. 1 , 10. Per un'analisi critica di questi oracoli, vedi GOTIWALD 1964. 37 Sulla capacità di Dio di cambiare per mezzo della sofferenza, vedi FRETHEIM 1984, JEREMIAS 1975, e BRUEGGEMANN 1985, pp. 395-415. Giona 4,1-2 è l'espressione più eviden­ te di questa realtà. È proprio la fedeltà di YHWH a richiedere che Dio non sia immutabile. 38 Vedi Mci>.

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9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) dando secondo la volontà di Dio. Ogni nazione soffrirà. È una visione del­ la potenza magnifica e sovrana di Dio, dalla quale nessuna nazione, regno o impero è immune. Il profeta riceve istruzioni per portare la coppa alle nazioni (Ger. 25,1516). Già in 1,10 Geremia è stato mandato alle nazioni. La tradizione di Gere­ mia comprende chiaramente il destino di Giuda nell'antico Vicino Oriente come collegato a quello delle altre nazioni39. Se YHWH presiede seriamente sul futuro di Giuda, allora YHWH deve anche governare le nazioni. Le nazio­ ni non sono autonome. Alla fine esse devono rispondere a YHWH, devono rispondere alle buone nuove di YHWH per Giuda, che YHWH ama. L'ordine di 25,15-16 viene eseguito nei vv. 17-26: Geremia è obbediente e consegna la coppa. Questi versetti costituiscono un "appello" delle nazioni dell'antico Vicino Oriente. Tutte le nazioni sono poste sotto giudizio40• In questo inventario delle nazioni, tre elementi sono di particolare interesse. Primo, coerentemente con quanto abbiamo visto nella tradizione di Gere­ mia, l'elenco comincia con Giuda e Gerusalemme. Il giudizio comincia dal popolo di Dio (I Pie. 4,17). Il giudizio, però, non si ferma al popolo di Dio, procede oltre, in ogni direzione. Secondo, la prima nazione nominata do­ po Giuda è l'Egitto. La tradizione di Geremia è particolarmente ostile nei confronti dell'Egitto e lo vede come un formidabile ostacolo per gli scopi di YH�1• Terzo, ultima dell'elenco è Babilonia (Ger. 25,26). È come se l'e­ lenco tenesse deliberatamente per ultimo questo nome per sottolineare un effetto drammatico. Nessuna nazione è immune, neppure la potente Babilo­ nia. Per i giudei in esilio, l'inclusione di Babilonia nell'elenco dei paesi sotto giudizio è decisiva. Questa nazione, che sembrava tenuta al di fuori di ogni responsabilità, viene giudicata. In questo giudizio Giuda riceve una base per il proprio futuro e per la propria speranza. Non ci sono limiti alla po­ tente sovranità di YHWH e alla terribile ira di YHWH. Le richieste dei vv. 1214 ricevono piena espressione nella specificazione apocalittica dei vv. 15-26. Il profeta viene istruito su che cosa fare con la «coppa». Il primo impe­ rativo al v. 15 è «prendi». Il profeta deve «dare da bere». Questo imperativo è ripetuto negli imperativi del v. 27: «bevete>> seguito dalla serie «ubriaca­ tevi, vomitate, cadete». Le nazioni saranno distrutte dalla «Coppa» da cui non possono evitare di bere. Il panorama del processo storico a cui viene data espressione in questi versetti mostra una evidente e coerente teoria di punizione (vv. 28-29). Il giudizio comincia con il popolo di Dio. Questo è

39 Su questo tema vedi l'esplicito passo in Ger. 29,7.

40 Questo proclama generale è già stato fatto nella tradizione di Geremia in 1,10. Vie­ ne articolato nei capp. 46 - 51, che nel testo greco, generalmente ritenuto la versione pre­ ferita, sono posti a metà del cap. 25. Vedi a riguardo JANZEN 1973, pp. 115-116. 41 Cfr. FRIEDMAN 1981, pp. 167-192. L'analisi di Friedman riguarda il Deuteronomi­ sta, ma i suoi commenti conclusivi sottolineano la parallela prospettiva della tradizio­ ne di Geremia.

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Geremia certo. Da qui, però, si sposta al di là di Giuda42 • Che Dio giudichi Israele non significa che sia indifferente nei confronti delle altre nazioni. Sono tutte responsabili e nessuna sfugge! 25,3()-38 Questa sezione consiste in una serie di frammenti poetici che hanno come tema comune il giudizio delle nazioni. Il primo elemento (vv. 30-31) preannuncia che Dio sta per operare un giudizio dalla sua dimora santa, che potrebbe essere sia Gerusalemme sia il cielo (cfr. I Re 8,36.39; Am. 1,2). Nessuna nazione viene menzionata come oggetto del giudizio. Questa è una poesia che, diversamente dalla prosa di Ger. 25,17-26, manca di elementi specifici. Il linguaggio è parzialmente giuridico. YHWH avanza un'accusa e punirà le nazioni malvagie. Gli individui non vengono esaminati in base a una peculiare attenzione, come in 5,1-5, ma le nazioni vengono minacciate sulla base di singoli verdetti. Il poema afferma che ci sono criteri morali a cui tutte le nazioni devono rispondere. In 25,32, un frammento isolato, il male raggiungerà qualunque luogo e al v. 33 i cadaveri saranno troppo numerosi per fare cordoglio. Non vengono forniti elementi specifici, ma l'immagine è sicuramente la conseguenza di un'invasione (spada), di una carestia o di un'epidemia (pestilenza). Il giudizio di Dio è ottenuto mediante questi di­ sastri. L'immagine proposta si divide fra realismo e fantasia. L'ultima unità poetica (vv. 34-38) riprende ancora una volta il tema del giudizio, questa volta indirizzato specificatamente ai «pastori» (governan­ ti). Coloro che sembrano più al sicuro sono quelli attaccati: persino la classe regnante non ha alcuna protezione. Normalmente sono il povero e l' emargi­ nato a dover piangere nella calamità in quanto più esposti al pericolo. Ora, invece, il grido di disperazione giunge proprio dal centro della società (cfr. Es. 11,6), poiché il giudizio raggiunge anche il posto più protetto. Nessuna accusa specifica viene formulata, al di là del riferimento alla malvagità in Ger. 25,31. Possiamo supporre che il motivo del giudizio sia il fatto che le nazioni non praticano le richieste elementari di giustizia, che riguardano tutti i paesi soggetti al governo di YHWH. Le nazioni non possono mai esse­ re abbastanza forti o abbastanza sagge da evitare questa esigenza. Il difficile e insolito testo del cap. 25 suggerisce tre conclusioni.

1) Questo testo non è realmente una esposizione della pena quanto piut­ tosto della sovranità di YHWH (cfr. vv. 30-31). Dio non ha abdicato al suo go­ verno: alla fine, dopo una lunga, apparente indifferenza, Dio richiama con durezza tutte le nazioni alle proprie responsabilità. Tutte vengono trovate mancanti e in profondo pericolo.

42 La costruzione che iniziando da Giuda si sposta alle altre nazioni è in contrasto con la struttura di Am. l 2 che comincia con le altre nazioni e si sposta su Giuda e al­ la fine su Israele. In entrambi i casi, il tema comune della sovranità e del giudizio viene mostrato come appropriato sia a Israele-Giuda sia alle altre nazioni. -

220

9. Giudizio e speranza (Ger. 21,1 - 25,38) 2) L'altra faccia della sovranità di Dio è la negazione dell'autonomia de­ gli stati-nazione (v. 14). Questi sembrano essere autonomi e credono di es­ serlo, ma non lo sono. Questo tema è estremamente problematico di fronte alla modernità. L'illusione di autonomia è molto forte in mezzo a noi: in re­ altà, in ogni tempo e in ogni luogo i poteri politici hanno creduto di essere autonomi. La tradizione profetica rifiuta costantemente questa autonomia immaginata43• L'ordinamento storico della vita fra le nazioni ha una coeren­ za morale radicata nella realtà del governo di Dio. Dio presiede al processo storico e non verrà ingannato. 3) Non c'è un indizio esplicito di speranza per Giuda al cap. 25, eccetto il riferimento a un limite di tempo (v. 11). Il governo sovrano di YHWH sulle nazioni non ha una finalità strumentale, non è svolto a vantaggio di Giu­ da. Tuttavia, dal momento che le nazioni sono chiamate alla responsabili­ tà e dal momento che anche Babilonia è inclusa, la spaventosa, inevitabile sovranità di YHWH dà a Giuda la sua unica possibilità per il futuro. Il fatto che YHWH ancora governi il processo storico e non sia dovuto soccombere a Babilonia o agli dèi di Babilonia crea davvero una nuova possibilità per Giuda. L'esilio non è «perenne>> (v. 9). Di fronte al potente potere imperia­ le e al cinico disprezzo della dimensione morale della realtà umana, il go­ verno sovrano di Dio è l'unico fondamento delle possibilità storiche per il popolo del Signore. Senza il governo di YHWH, Giuda è alla mercé delle nazioni. Tuttavia, a causa del governo di YHWH, Giuda (e ogni comunità vulnerabile) ha una possibilità nel processo storico. Questo testo afferma che il potere cinico e privo di principi delle nazioni e degli imperi è assai presente nel mondo, ma che tale potere non è la realtà definitiva. La real­ tà definitiva consiste in Colui che «sradica e demolisce>>, che «Costruisce e pianta>> (1,10). YHWH è all'opera nell'uno e nell'altro di questi due compiti decisivi e sbalorditivi, che daranno nuova forma alla vita ed evocheranno la speranza. C'è una grandiosa «coppa che fa barcollare>>, proporzionata al grandioso peccato dell'essere umano. La tradizione di Geremia mostra co­ me Dio consideri questo peccato con la massima serietà. Esiste, tuttavia, una seconda coppa (Mt. 26,27; Mc. 14,23), che è la coppa della guarigione: vie­ ne allora promesso che la guarigione di Dio prevarrà sul barcollare causato dallo stesso Dio. Nel nostro testo, però, la seconda coppa rimane sospesa: in questi versetti c'è soltanto il barcollare. Il popolo di Dio deve vivere tra l'una e l'altra coppa. Una è spesso più amara. L'altra viene spesso tenuta in sospeso. Alla fine, però, anche la seconda coppa è «per tutti».

43

Cfr. GoWAN 1975.

221

lO L a verità parla al potere (Ger. 2 6, 1 - 29,32)

Questi quattro capitoli possono essere raggruppati assieme, sia per ra­ gioni di convenienza sia a causa del loro tema comune. Il raggruppamen­ to è in parte una questione di convenienza, dal momento che è chiaro che i quattro capitoli non formano un evidente e naturale corpus letterario uni­ co: essi formano, tuttavia, un gruppo di capitoli intermedio. Da una parte, con il cap. 30 inizia un raggruppamento abbastanza nuovo con i suoi accen­ ti posti sulla promessa e sulla speranza e il suo disegno poetico. Dall'altra parte, il cap. 25 sta per proprio conto, tanto che la maggior parte degli stu­ diosi lo intende come una dichiarazione con cui culmina la fine della prima metà del libro di Geremia. In ogni caso, non è verosimile che il cap. 26 abbia un qualche collegamento integrale con il cap. 25. Tra il cap. 25 e il cap. 30, quindi, ci sono i capp. 26 29 che possono essere raggruppati insieme per mancanza di altri elementi. Relativamente a questo raggruppamento si può però dire qualcosa di più: i quattro capitoli sembrano compiere una lunga dichiarazione relativa a un singolo tema. Il testo, completamente espresso in prosa, presenta una profonda, partigiana e ideologica discussione che riguarda la vera situa­ zione di Giuda di fronte a YHWH e, di conseguenza, di fronte a Babilonia. La «Versione ufficiale>>, espressa dalla classe dirigente di Gerusalemme e in modo particolare da Anania, è che a) Gerusalemme è salva e garantita dalle promesse di Dio, e b) l'invadenza di Babilonia nella vita di Giuda è di breve durata, e dopo di essa ci sarà un rapido ritorno alla "normalità". Questa visione ufficiale, che ha un grande peso sull'ideologia della clas­ se dirigente, non viene espressa in modo molto più diretto nel testo, ma è la visione dominante presupposta e implicita contro la quale il profeta deve lottare. -

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Geremia Contro questa visione utilitaristica, Geremia (e la tradizione di Geremia) dà espressione a una " controvisione" della realtà, finalizzata a minare e sov­ vertire l'ideologia imposta di Gerusalemme 1. In questa visione contrapposta, a) Gerusalemme non è affatto garantita, ma la sua esistenza e il suo benes­ sere sono intensamente condizionati dalla decisione di osservare la Torah, e b) la minaccia di Babilonia rappresenta un giudizio teologico nei confronti di Gerusalemme che è, nello stesso tempo, di lungo termine e duro, e che, di conseguenza, non può essere preso alla leggera. Questa visione contrap­ posta viene articolata in modo vario, ma ha le proprie radici nel carattere condizionale della Torah, su cui si può vedere Ger. 26,4-6. A questi capitoli è collegata una questione pubblica cruciale che riguar­ da il giudizio politico-teologico relativo all'attuale collocazione di Giuda nel mondo. Al centro di questo dibattito éè la persona di Geremia. La di­ scussione, tuttavia, non riguarda il suo ruolo personale, quanto le realtà politico-teologiche della situazione2• Non c'è, nell'antico Giuda, un modo non ambiguo di emettere un giudizio su questa discussione, né una corte di appello che sia in grado di dare un verdetto oggettivo. Il testo, per come si presenta, è una testimonianza delle richieste di Geremia e, in definitiva, rappresenta la sua giustificazione. Alla fine, infatti, il testo dimostra che Geremia è corretto nel suo giudizio relativo alla situazione di Giuda. . Questa unità comincia al cap. 26 con la polemica dichiarazione del profe­ ta, una ripetizione del cap. 7. Questa dichiarazione prevedibilmente provoca l'ostilità e la resistenza della classe dirigente e Geremia viene minacciato di morte (26,7-16). L'intervento di importanti anziani (vv. 17-19), tra i quali Ai­ cam (v. 24), salva Geremia. L'episodio seguente che riguarda il profeta Urla indica che, nonostante Geremia possa essere salvato personalmente, la que­ stione non si è risolta in suo favore (vv. 20-23). Questo episodio che conclu­ de il capitolo sottolinea come l'ideologia dominante abbia sia la volontà sia la capacità di tacitare ogni possibile alternativa e di annientarne gli oratori. Come spesso accade in Geremia, dopo l'episodio del cap. 26 collocato al tempo di loiachim (26, n nei capp. 27 - 28 veniamo improvvisamente pro­ iettati in un altro periodo, quello di Sedechia. Evidentemente, la tradizione non è stata costruita per creare un dato cronologico3• Il cap. 27 presenta una serie di discorsi profetici in cui il profeta afferma la realtà della minaccia e attacca i profeti di «buone notizie» che sono impegnati a negare con for­ za quanto accade. La stessa disputa che nel cap. 27 è generale, nel cap. 28 viene presentata in modo diretto, drammatico e personale nel conflitto con Anania. Alla fine, Geremia esorta i propri contemporanei a prepararsi per 1 Sulla disputa ideologica, vedi MOTIU 1983, pp. 235-251. 2 Per questo motivo, c'è un problema di eccessiva enfasi sulla

persona del profeta; più ampie questioni politiche sono il tema principale del testo: il problema che la classe dirigente di Gerusalemme deve fronteggiare non è la voce critica di Geremia, bensl il carattere condizionale del benessere di Gerusalemme. 3 La stessa brusca contrapposizione è evidente ai capp. 34 35; il primo è nei giorni di Sedechia, il secondo ai tempi di loiachim. -

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10. La verità p arla al potere (Ger. 26,1 - 29,32) il lungo periodo della deportazione (29,1-9) e rigetta ancora una volta le fa cili rassicurazioni false (29,15-32). La questione rappresenta un importante problema politico, perché questa tradizione profetica afferma ciò a cui l'ide­ ologia della classe dirigente desidera non sia data voce. Lo scopo del libro di Geremia è di presentare una immagine alternativa della realtà, e di dire quello che è più sgradito all'impostazione politica dominante. Soltanto in 29,10-14 possiamo notare un'interruzione nella tematica di disputa, ammonimento e giudizio. In questo caso, possiamo osservare co­ me il libro di Geremia sia ancora una volta impegnato in questa idea a due livelli delle intenzioni di YHWH: dopo l'esilio ci sarà un ritorno in patria; dopo le azioni di «sradicare e demolire» ci saranno le azioni di «piantare e costruire». Ma tutto questo potrà avvenire soltanto «dopo». In questi capitoli emergono due questioni che si riferiscono alle temati­ che più ampie del libro. Primo, il problema della vera e della falsa profezia (ideologia) è un tema ricorrenté. Per quanto l'argomento di che cosa sia vero e di che cosa sia falso non si possa risolvere in via definitiva o oggettiva, il libro di Geremia, in quanto rilevante brano di letteratura, desidera evidente­ mente insistere sulla verità di Geremia e della sua traiettoria interpretati va. Secondo, la sgradita verità di Geremia riguarda la realtà di Babilonia, una realtà geopolitica vista come opera di YHWH nel mondo. In modo coeren­ te i capp. 27 - 29 (con un ammonimento iniziale nel cap. 26) si concentrano sulla minaccia di Babilonia e la necessità di affrontarla, un tema abbastanza appropriato alla narrazione di Baruc nei capp. 36 - 45. Rispetto a questa sot­ tolineatura, l'unica eccezione, in questi quattro capitoli, è Ger. 29,10-14, in cui l'oracolo presenta una visione della realtà post-babilonese (in modo non dissimile dai capp. 50 - 51). Di conseguenza, come accadrà sia nella «narra­ zione di Baruc» sia nelle «profezie contro le nazioni», il ragionamento teo­ logico di Geremia, in questi capitoli, è impregnato della realtà di Babilonia. Il tema di Babilonia è inviluppato in un ragionamento relativo alla verità e alla falsità, così che il ragionamento della tradizione di Geremia consiste nel fatto che la verità di YHWH pronunciata dal profeta riguarda il ruolo crucia­ le di Babilonia in ogni valutazione sulla collocazione di Giuda nel mondo. Per questo, il libro di Geremia, come illustrato in questi quattro capitoli, si trova molto vicino alla realtà politica ed esorta Gerusalemme a fronteg­ giare quella realtà che è incline a negare. Questo riferimento politico viene posto a stretto contatto con lo yahvismo, così che la situazione geopolitica del Vicino Oriente viene compresa in senso teologico. Secondo questo ra­ gionamento, Giuda deve nello stesso tempo fare i conti con la realtà di Ba­ bilonia ma anche con YHWH, che sta dietro Babilonia e la sostiene, e quindi rifiuta Babilonia a vantaggio di cose nuove. Per questo, il problema della verità e della falsità nel discernimento teo­ logico non è, nel libro di Geremia, semplicemente il problema di ottenere ..

4 Sulle recenti discussioni di questa disputa, vedi OVERHOLT 1970; CRENSHAW 1971 e SANDERS 1977, pp. 21-24, e i riferimenti a Quell e Buber.

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Geremia l'informazione giusta o di avere il giusto discernimento: è, piuttosto, una questione di interpretazione nel riconoscere che il volere trascendente di YHWH è del tutto coerente con i processi socioeconomici e politici5• Dio è all'opera in, con e sotto Babilonia. La falsità degli oppositori di Geremia non consiste nel fatto che loro non hanno creduto e non si sono fidati di YHWH, ma nel fatto che essi hanno tentato di tenere YHWH lontano dai processi del mondo del loro tempo. Se la fiducia in YHWH è collegata con i processi ge­ opolitici, come insiste questa tradizione, Gerusalemme e Giuda si trovano molto più a rischio di quanto l'ideologia dominante possa immaginare. Di fronte a questo grave rischio, Giuda viene spinto ad affrontare la realtà e «la verità» che vengono confezionate come un ritorno alla Torah. Questa tradizione non prenderà in considerazione alcuna altra possibilità di sicu­ rezza e certamente alcuna altra opinione secondo la quale Giuda può fare affidamento su promesse incondizionate da parte di YHWH. Giuda viene richiamato dal profeta a vivere in un posto pericoloso, senza troppe assicu­ razioni, ma soltanto con l'invito a vedere nel suo contesto più prossimo il pericoloso e decisivo ruolo di YHWH. L'interpretazione di questa tradizio­ ne richiede la costante valutazione della verità e della falsità teologica, una questione che porta le affermazioni teologiche assai vicine alle realtà socio­ economiche. Senza quest'ultimo riferimento, ogni sforzo verso la verità te­ ologica risulterà falso.

10.1 Risposta al sermone del Tempio (26,1-24) Questo resoconto narrativo della situazione di pericolo in cui si trova Geremia viene presentato come un commento al suo «Sermone del Tempio» dal cap. 7, un brano chiave. Nel sermone del cap. 7 non ci viene fornito al­ cun resoconto sulle risposte dei suoi ascoltatori. Questo testo, al contrario, presenta brevemente la stessa parola profetica (26,1-6) e si occupa a lungo della risposta della comunità. Di conseguenza, il cap. 7 e il cap. 26 vengono messi in relazione come proclamazione e risposta. La risposta mette il profeta in profondo conflitto con la sua comunità e i suoi capi e con le loro convin­ zioni teologiche consolidate. Questo tema del conflitto sarà analizzato con maggiori dettagli nei capp. 27 29. Il conflitto che sorge dal pericoloso de­ creto di Dio mette in pericolo il messaggero, poiché la sua interpretazione della città è una delle più sgradite. Tuttavia il conflitto che domina il testo non è di carattere personale. La questione di primaria importanza e l'inte­ resse primario della narrazione non è la persona di Geremia, quanto piut-

5 Sul collegamento tra YHWH e i processi socioeconomici politici, vedi in particolare GarrwALD 1979, pp. 608-621 .

226

10.

La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32)

tosto il disegno sovrano di YHWH, che non sarà 'm'Vesciato e che ·ndl'f può essere messo a tacere o allontanato.

26,1-6 Questi versetti riassumono la proclamazione pubblica del profeta presentata più dettagliatamente al cap. 7. Queste parole vengono pronun­ ciate «nel principio del regno di Iohiachim)) (26,1). Questo re, nella tradizio­ ne di Geremia, rappresenta il modello della disobbedienza. Dal principio di questo regno, la parola di YHWH è una parola sgradita, sistematicamente rifiutata, a cui il governo oppone resistenza. Non abbiamo un resoconto di­ retto dell'effettivo discorso del profeta. Abbiamo soltanto notizia di quan­ to Geremia è autorizzato a dire, da parte di Dio. Presumiamo che egli dica esattamente quanto gli è stato indicato da Dio. Il profeta è lo «Strumento» o la strategia utilizzata da Dio per intromettersi nella realtà storica di Giuda. Il decreto di Dio pone il futuro della città proprio nelle mani di coloro a cui si sta rivolgendo: il destino della città non è determinato dalla volontà di Dio. Il futuro dipende interamente da quello che le persone fanno: quello che esse compiono, a sua volta, determina quello che farà Dio. La sostanza della proclamazione affidata a Geremia è una dura alternativa: o Gerusa­ lemme si pentirà ed eviterà il male da Dio, oppure non si pentirà e riceve­ rà il male da Dio. Anche se gli affari politici possono sembrare complicati, quando vengono interpretati dal profeta, sono inaspettatamente semplici. Come in 18,7-8, la scelta dell'obbedienza mette nelle mani degli esseri uma­ ni il destino di Gerusalemme di essere accolta da Dio. Giuda ha una possi­ bilità (26,3). Se però la possibilità viene rifiutata, Gerusalemme viene a tro­ varsi sotto un severo monito (vv. 4-6). La formula ipotetica dei vv. 4-6 mette Gerusalemme in una situazione simile a quella dell'antico santuario di Sito (cfr. 7,12-15; Sal. 78,59-66). La scelta è chiara ed estremamente esigente. Giuda deve scegliere la Torah di Dio oppure essere distrutta come Silo. La città deve rimettere al centro del­ la propria vita il progetto e la volontà di YHWH o cessare di esistere. La pro­ clamazione sulle labbra del profeta afferma che il fattore morale, legato al patto, è la realtà chiave nel processo pubblico della vita di Giuda. Nel fare questa affermazione, il profeta contraddice l'ideologia regale del Tempio che riteneva che le esigenze della Torah e le minacce dell'antica tradizione del patto non fossero più operative per Giuda. Il profeta non annuncia qualco­ sa di nuovo; piuttosto, proclama qualcosa che è molto vecchio, ma che da tempo è stato accantonato come obsoleto dalla classe dirigente regale. L'insi­ stenza sull'obbedienza alla Torah relativizza le pretese di autorità sostenute dal governo umano. Tutte le certezze presenti sono pertanto destabilizzate. La risposta al suo discorso è pronta e aggressiva (Ger. 26,7-19). Il profeta viene trascinato in un processo che pone a rischio la sua stessa vita. La sua minaccia nei confronti della città è giudicata dai leader religiosi (sacerdoti e profeti) come sediziosa e passibile di morte (vv. 7-9). Il suo discorso non vie­ ne considerato da parte dei suoi ascoltatori neanche per un momento come

227

Geremia

· ·

una seria parola proveniente da Dio, ma soltanto come una opinione politica

alternativa che viene immediatamente considerata inaccettabile. La classe dirigente religiosa riceve un largo sostegno pubblico per poterlo considerare immediatamente colpevole. Il verdetto «tu devi morire» è un'opinione pre­ processuale, forse un prodotto della psicologia della folla (cfr. Mt. 27,22-23) o forse la registrazione di un'accusa formale. Questi accusatori hanno già raggiunto il proprio verdetto. È l'analogia con Silo che spaventa i leader re­ ligiosi. I devoti della città immaginavano che Gerusalemme avesse un ruo­ lo privilegiato rispetto a Dio e di dover essere immuni dal destino di Silo. Veniamo a conoscenza di una scena giudiziaria in cui i funzionari rea­ li convocano la corte «all'ingresso della porta nuova» (Ger. 26,10). Le ac­ cuse sono depositate: egli «ha profetizzato contro questa città» (v. 11; cfr. Am. 7,12-13)6. Si supponeva che questa città fosse immune da tali critiche. Evidentemente, la legittimità della città richiede che una critica tanto dura non sia espressa. In risposta, Geremia testimonia in propria difesa (Ger. 26, 12-15): ammette la correttezza dell'imputazione. Non mette in discussione questo punto. La sua autodifesa è doppia: primo, l'attacco alla città a cui egli ha dato espres­ sione non è un suo discorso, ma parola di Dio (v. 12); secondo, questa paro­ la sgradita che viene percepita come una minaccia è, nei fatti, un'offerta di salvezza (v. 13). Propone una via di scampo rispetto alla morte incombente poiché non è ancora troppo tardi. In realtà, per fare affidamento su Dio è un po' più tardi di quanto non reputi la classe dirigente. È davvero molto tardi, ma non ancora troppo tardi. Geremia fa un'importante distinzione tra le parole che deve pronuncia­ re da parte di Dio (vv. 12-13) e il proprio personale destino (v. 14). Il profeta non pronuncia parole nel suo interesse ed è completamente sottomesso alle autorità di fronte alle quali si trova. II suo atteggiamento sottomesso, tutta­ via, è soltanto una breve digressione dal suo vero interesse, ossia la verità di YHWH che egli teme. Al v. 15 il profeta ritorna alla questione principa­ le, il ritorno alla Torah come l'unica possibilità di vita per Gerusalemme. I suoi oppositori desiderano liberarsi del suo messaggio mediante manovre politico-giudiziarie. Ma questa parola incalzante e sinistra non può essere eliminata soltanto sbarazzandosi del messaggero: questo messaggio dovrà essere affrontato, poiché viene da Dio. L'ultima rivendicazione che il profeta fa per le proprie parole è che Dio gli ha parlato «in verità» (>emet; v. 15). Persino i suoi nemici non pretendo­ no che la sua parola sia falsa, dicono soltanto che è vietata. Di conseguenza, la questione della vera autorità tormenta l'intera vita e tradizione di Gere6 È importante notare che l'accusa rivolta contro Geremia distorce le sue vere paro­ le, tanto quanto la testimonianza di Amasia distorse le parole di Amos in Am. 7,10-17. Geremia non ha semplicemente pronunciato profezie contro la città, ma ha anche invi­ tato a pentirsi. Questo invito da parte del profeta è scomparso nell'accusa contro di lui: i suoi nemici Io presentano in modo errato.

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10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32) mia: il problema non può essere risolto con chiarezza definitiva né da par­ te della tradizione né da parte dei nemici della tradizione. Per questa ra­ gione, l'appello del profeta è sempre fragile ed è certo che sarà sfidato nel caso vada a toccare l'ideologia della classe dirigente. In questo capitolo co­ loro che si oppongono all'esigente parola di Dio non contestano la pretesa di autorità: non sembrano curarsi del fatto che sia una parola che proviene da Dio, poiché la difesa del loro stile di vita passa sopra ogni questione te­ ologica. Essi percepiscono, giustamente, che la parola del profeta costitui­ sce una minaccia significativa nei confronti delle loro richieste ideologiche e di conseguenza del loro potere politico. Anche se Geremia è autorizzato da Dio, la sua parola non è gradita. Di conseguenza, la tradizione propone un confronto drammatico tra la parola di Dio e la falsa ideologia sulla qua­ le vive la città. Gli oppositori della parola immaginano che se la parola può essere posta sotto silenzio, sarà annientata. Per quanto a lungo duri la disputa tra Geremia e i leader religiosi (sacer­ doti e profeti), non vi può essere un vero giudizio, poiché le avverse pretese relative all'autorità finiscono in un punto morto. Forse è il governo religioso, quello abituato a dare legittimità alle esigenze della società, che ha il maggior interesse nello status quo. A fianco di Geremia e dei suoi oppositori religiosi, tuttavia, la narrativa introduce una terza voce, che ci sorprende (vv. 16-19): sono le guide politiche della città, i capi insieme a «tutto il popolo». Il loro intervento e il loro parere afferma il diritto del profeta a parlare. I capi non dicono che la parola di Geremia è vera. Riconoscono soltanto che egli ha il diritto di parlare e di essere ascoltato, poiché proclama una parola altra dalla sua. Dunque gli anziani risolvono la disputa sull'autorità nel ricono­ scere che una voce profetica deve essere accolta con serietà nella comunità. La situazione a questo punto prende una piega inaspettata e decisiva. In questa controversia, certi «anziani del paese», cioè alcuni che non sono parte della classe dirigente cittadina, citano un precedente nella tradizione. Il precedente citato è tratto da Mich. 3,12, un profeta proveniente da un vil­ laggio della Giudea che nel secolo precedente aveva pronunciato una dura minaccia contro la classe dirigente di Gerusalemme. Si dichiara inoltre che il re Ezechia aveva dato ascolto alla parola profetica di Michea e non ave­ va fatto giustiziare il profeta come un traditore. In base al ricordo di que­ sto evento, Geremia viene prosciolto. Come a dire che una parola profetica pronunciata contro lo status quo di Gerusalemme non è motivo sufficiente per l'esecuzione dell'oratore, bensì causa del pentimento e di un cambia­ mento nella politica pubblica. Ci sono molti aspetti importanti in questa testimonianza. Primo, questo è un esempio di «intertestualità», cioè un caso in cui la Bibbia cita testi più antichi della Bibbia stessa7. Questa tradizione profetica non si colloca nel vuoto, ma si appoggia a casi precedenti. Secondo, il testo citato è tratto dal 7 Fishbane ha realizzato le più utili e ampie esplorazioni della pratica dell'interte­ stualità: relativamente a questo testo, vedi FISHBANE 1985, pp. 245-247; 458-460.

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Geremia profeta Michea, l'abitante di un villaggio che osserva con sospetto le prete· se del centro urbano. Terzo, coloro che ricordano e testimoniano sono «an· ziani». Hans Walter Wolff ha suggerito che questi anziani, in quanto capi di villaggio, sono radicati nelle vecchie tradizioni del patto e mantengono una visione della realtà sociale e una prospettiva storica che non era occu· pata dalle impostazioni regali della realtà8. Quarto, la tradizione di Gere­ mia è formulata in modo da affermare che la città di Gerusalemme, a cau­ sa della propria natura, deve ospitare voci profetiche che sono critiche nei confronti delle proprie pratiche. È tipico di questa comunità accogliere voci profetiche, anche quando queste voci sono duramente critiche nei confronti dell'attuale realtà sociale. Secondo un importante punto di vista, la proposta di Geremia in questo testo è più generosa del citato testo di Michea. Michea non ha offerto aku· na via d'uscita, ma ha soltanto annunciato un giudizio. Per il modo in cui questo testo pone il messaggio di Geremia c'è un appello al pentimento, che suggerisce la possibilità che non sia ancora troppo tardi. La tradizione di Geremia ha costruito questo procedimento giudiziario come un dramma cruciale. Attraverso questo confronto siamo in grado di notare come due percezioni della realtà sociale siano in profondo e serio conflitto l'una contro l'altra. In breve, questo è il vecchio conflitto tra l'ambi­ zione regale e il ricordo della pietà legata alla Torah. Il testo suggerisce che Geremia non sia una figura isolata, ma che si collochi in una lunga tradizio· ne di ricordo del patto e sia il portavoce di quella che deve essere stata una opinione politica in Israele viva e persistente9. Questa tradizione, espressa dal profeta e confermata dagli anziani, resiste alle politiche e prassi autoin· dulgenti e ciniche della Gerusalemme regale. Essi non pensano che questa facile «pace e prosperità» sia una strada verso i1 benessere, poiché le ga­ ranzie e le esigenze della Torah sono state rese oggetto di scherno e abban· donate. Inoltre, dove tali richieste sono oggetto di scherno e abbandonate, è certo che giungeranno gravi disordini. Dunque il verdetto teologico del profeta e gli interessi socioeconomici e politici della mentalità del villaggio convergono contro l'ideologia regale. Pertanto questo scambio non è sol· tanto un alto dramma profetico, ma può essere compreso in termini socio­ logici reali. Un poeta originario del villaggio di Moreset-Gat (Michea) e un profeta originario del villaggio di Anatot (Geremia) possono condividere una critica alla classe dirigente della capitale. Quello che il precedente di Michea implica è che al momento attuale la struttura di potere di Gerusalemme dovrebbe comportarsi come fece Eze­ chia un secolo prima. Non soltanto Geremia viene rilasciato, ma il re attua­ le, presumibilmente Ioiachim, dovrebbe agire come il «buon re» Ezechia. 8 WOLFF 1978, pp. 77-84. Sul conflitto sociale tra villaggi e più ampie concentrazioni di potere, vedi il ragionamento più ampio proposto da MENDENHALL 1986, pp. 79-86. 9 Sulla collocazione sociale del profeta in mezzo alle forze sociali dei suoi giorni, ve­ di WILSON 1980, pp. 245-249.

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10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32) Quest'ultimo viene presentato come un re che non era invischiato comple­ tamente nell'ideologia di Gerusalemme e che poteva quindi rispondere al­ le richieste e alle esigenze dell'antica tradizione (cfr. II Cr. 29 - 31). Questo significa che l'accusa portata contro Ezechia e, di conseguenza, contro Io­ iachim (cfr. Ger. 22,18-19) è che la politica di Gerusalemme è ingiusta e che tale ingiustizia è un affronto nei confronti del Dio dell'esodo. In termini di politica economica, questa prospettiva di governo è una minaccia contro i proprietari terrieri minori. Gli anziani stanno chiedendo al re di prendere sul serio queste tradizioni alternative e di non essere unicamente impegna­ to a favore degli interessi economici particolari degli operatori di Gerusa­ lemme10. Le questioni socioeconomiche non sono dissimili da quelle poste a Roboamo (I Re 12,1-15) che, come Ioiachim, era talmente immerso nell'i­ deologia regale egoistica da non voler prestare attenzione alla voce della tradizione. Tale ottusità cinica, in ogni caso, può soltanto mettere in perico­ lo il trono e la sua sicurezza11• Visto che il materiale che riguarda la disputa di Geremia è assorbito nel· la più tarda tradizione di Geremia e riutilizzato nella comunità esilica, que­ sto confronto drammatico permette un'altra lettura. Indirizzato agli esuli, il testo suggerisce che è l'inosservanza della tradizione della Torah ad aver portato una tale afflizione alla comunità. Di conseguenza, nell'esilio, la ti­ appropriazione della tradizione della Torah è l'unica via di speranza. Co­ sl la voce profetica, sostenuta dagli anziani, continua a insistere, in tutte le successive generazioni, sul fatto che per questo popolo non esiste altra al­ ternativa rispetto al fatto di abbracciare la Torah, che comporta un penti­ mento sistematico. L'episodio di Ger. 26,20-23, non collegato al resto, è un'intrusione ina­ spettata nella narrazione. Riguarda un profeta altrimenti sconosciuto, Uria, che a sua volta rispecchia la vita del villaggio (Chiriat-Ieariam)12• Il caso di Uria è citato per contrasto con Geremia, al fine di dimostrare la tipica poli­ tica brutale della Corona e di mostrare che il pericolo per Geremia era reale e serio. In questo secondo caso, lo stesso re, Ioiachim, non veniva distolto dagli anziani dalla sua ira contro un profeta. Uria aveva pronunciato parole non dissimili da quelle di Geremia (v. 20). In questo caso, il profeta era stato estradato dall'Egitto e giustiziato come nemico dello stato (v. 23). È da no10 Sull'interesse di Michea per le politiche della terra e la sue critica degli usurpatori regali della terra, vedi ALT 1959, pp. 373-381 . 11 È istruttivo il fatto che TuCHMAN 1984, pp. 8-11, citi il re Roboamo come un caso primario dell' «avanzata della follia>>: i re alla fine della dinastia al tempo di Geremia portano soltanto a termine la follia distruttiva iniziata con Roboamo. Tuchman cosi con­ clude il proprio commento: > quando definisce il modo in cui il Dio creatore ha trasferito la creazione sot­ to il potere di Babilonia.

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10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32) sceglie. In particolare, YHWH può affidare il potere a chiunque egli scelga (dr. 50,44). Questi due elementi, assieme in 27,5, costituiscono una delle di­ chiarazioni più notevoli della libera sovranità di YHWH. YHWH non ha biso­ gno di dare spiegazioni o giustificazioni, non ha bisogno di rendere conto alle nazioni. L'intenzione retorica dell'annuncio è di staccare completamen­ te da Babilonia l'attenzione di Giuda. In questa dichiarazione, il potere e il significato di Babilonia sono completamente annientati. Questa dichiara­ zione di YHWH presume che all'inizio le nazioni fossero tutte divise in più parti (cfr. Deut. 32,8-9). Possono però essere ridistribuite in ogni momento in forma diversa, a seconda del desiderio di YHWH. YHWH non ha bisogno di rispettare antiche mappe né di attenersi ad antichi accordi di poteri. Le nazioni sono avvisate riguardo la libertà di YHWH. c) In base alle premesse di Ger. 27,5, la specifica decisione dei vv. 6-7a è quella che le nazioni dovranno accettare: YHWH ha determinato che «tutte le nazioni» (cioè tutte le nazioni citate al v. 3) saranno sottomesse a Nabu­ codonosor e all'impero di Babilonia. L'impero non è un incidente. È il pro­ posito deliberato di YHWH e di conseguenza non può essere oggetto di sfida o di resistenza da parte delle nazioni. Questa è una delle affermazioni più sbalorditive del libro di Geremia, poiché mette l'accento su uno dei più penetranti assunti della tradizione di Geremia. Nabucodonosor è «il mio servitore>>. Il libro di Geremia ha un marcato «carattere pro-babilonese>>. Questo significa che il libro immagi­ na e prende in considerazione la convergenza tra il volere di Dio e l'origine dell 'impero. La fede profetica non vive in un vuoto religioso, ma deve pren­ dere posizione nelle questioni pubbliche del giorno. Questa equazione tra YHWH e la crescita di Nabucodonosor potrebbe essere una mossa di pru­ denza politica, in particolare se il testo risale a un'epoca tardo-esilica. Siste­ ma la questione in modo da trasformare la sottomissione a un potere reale e inevitabile in una virtù teologica. O forse il profeta è semplicemente un simpatizzante con inclinazioni politiche pro-babilonesi e anti-egiziane. In realtà, possono essere operativi sia il fattore prudenza sia quello della sim­ patia politica. Il processo di canonizzazione, tuttavia, pretende un qualcosa in più che la prudenza o le inclinazioni: richiede che questa affermazione di Babilonia alla luce del volere di YHWH sia un dato teologico. Il Dio della Bibbia mette effettivamente sottosopra il processo internazionale. La lette­ ratura osa percepire la solidarietà di Dio con il più potente potere del mon­ do. In base a questo, il supporto di YHWH nei confronti di Babilonia deve durare per le prossime tre generazioni, ossia molto tempo dopo gli attuali governanti (v. 7). d) Al v. 7b l'annuncio del profeta prende una svolta sorprendente. È in­ trodotto da «finché>> (ebr. 'ad). La promessa dei vv. 5-7 non è permanen­ te: ha un limite di tempo. Le espressioni successive presentano una filoso­ fia della storia abbastanza completa e deliberata. Il testo non rappresenta

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Gmmia semplicemente una propaganda nei confronti dell'impero, ina è una lotta riguardante la complicata relazione tra la realtà di Dio e la Realpolitik. Il te­ sto riconosce che l'impero babilonese, benché voluto da YHWH, non è né assoluto né permanente. Agli occhi di YHWH, l'impero ha uno statuto limi­ tato cronologicamente oltre cui non può perdurare. A suo tempo, Babilonia diverrà a sua volta serva di altre nazioni. Così, lo stesso Dio che autorizza l'impero ne preannuncia la destabilizzazione (messa effettivamente in atto ai capp. 50 - 51). Possiamo suggerire spiegazioni pratiche per questo «finché». La spiega­ zione più semplice è dire che questo è un testo tardo-esilico, composto da persone che sono in grado di scorgere l'erosione del potere di Babilonia19• Oppure si potrebbe dire che gli scrittori della Bibbia sono abbastanza per­ spicaci da sapere che alla fine ogni impero esaurisce se stesso per negligenza o per il troppo allargamento e giunge alla propria fine20• Queste considera­ zioni pratiche, in linea di principio, non sono escluse dalla nostra interpre­ tazione. Tuttavia il processo di canonizzazione del testo dichiara qualcosa in più e di diverso di questo. La caduta di Babilonia avverrà perché YHWH desidera la sua fine così come egli ha voluto la sua ascesa. Le particolarità espresse in Ger. 27,6-7 non sono semplicemente prudenza politica e «reali­ smo», ma sono affermazioni teologiche del fatto che YHWH governa davvero le nazioni, qualche volta a loro vantaggio e qualche volta a loro distruzione. Noi non dobbiamo, per riduzionismo, respingere l'audace e intenso lavo­ ro teologico e intellettuale presente in questa affermazione. Il profeta insi­ ste sul fatto che le nazioni vivono in un mondo di responsabilità morale. A questa teoria dell'ascesa e della caduta di Babilonia come volute da YHWH sono date più precise caratterizzazioni in Is. 47, dove l'ascesa di Babilonia è causata dall'ira di YHWH nei confronti di Israele (Is. 47,6a), e viceversa, la caduta di Babilonia è causata dal fatto che era eccessivamente spietata, cioè non mostrava alcuna misericordia (Is. 47,6b)21• 19 Questa è la tendenza del commentario di Carroll. Secondo questa impostazione, però, i testi possono seguire soltanto la realtà che percepiscono e non possono mai es­ sere originali. Una procedura di questo tipo tende ad addomesticare i testi e a sotto­ metterli alla «realtà». Un giudizio di questo tipo, inoltre, non tiene conto dell'autorità o del coraggio della visione critica del testo. Mutatis mutandis, si potrebbe osservare che non occorreva vigilare sulla fine dell'impero sovietico per presagire che sarebbe sicuramente arrivato alla rovina, visto che un potere di questo tipo non poteva soggio­ gare all'infinito lo spirito umano. Similmente, non occorre attendere i fatti compiuti per affermare che gli Usa, «colosso del Nord>>, presto o tardi dovranno pagare il conto e rinunciare al proprio controllo sui popoli dell'America Latina. 20 Qui dobbiamo fare riferimento all'attento studio di KENNEDY 1987. Nella propria analisi l'autore non include certamente un fattore teologico, ma il modo in cui mette ordine ai propri ragionamenti chiarisce il fatto che l'ascesa e la caduta delle nazioni non è priva di rapporti con il potente e inevitabile effetto di una dimensione morale nei confronti della realtà pubblica. Per quanto la sua analisi non venga messa specifi­ catamente in parallelo con la tradizione profetica dell'Antico Testamento, le due non sono prive di punti di contatto. 21 Cfr. BRUEGGEMANN 1991, pp. 3-22.

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10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32) Le affermazioni di questi due versetti rendono necessaria la convinzio­ ne che l'impresa umana e storica non sia senza significato o autonoma, ma che rifletta un'autorità duratura che è oltre il volere di Babilonia o di Geru­ salemme. Quest'autorità duratura comprende un grande e pieno di attesa ((finché>>, cioè del tempo in cui Gerusalemme sarà liberata. Cosi questo cam­ biamento nell'espressione retorica del discorso trasforma quello che era un duro giudizio nei confronti di Gerusalemme in un atto di speranza. Il mo­ mento di questo cambiamento non viene specificato, ma il ritorno in patria di Israele è tanto.certo quanto il mondo stesso: quel Dio che autorizza la de­ portazione in esilio è lo stesso Dio che assicura un ritorno (cfr. Is. 54,7-8)22• 27,8-11 Questi versetti continuano in via definitiva il decreto nei confronti delle nazioni iniziato in Ger. 27,3. Nonostante esso sia formalmente rivol­ to alle nazioni, possiamo immaginare che questo sia un espediente retori­ co per rivolgersi a Giuda e, più specificatamente, al re Sedechia. In questi versetti la dichiarazione pro-babilonese del profeta viene resa ancora più esplicita. L'unità consiste di due parti diseguali. Nella prima, l'ascoltatore viene messo in guardia su quanto accade alle nazioni che rifiutano l' ege­ monia di Babilonia voluta da YHWH (v. 8): queste nazioni sono soggette ai grandi flagelli di spada, carestia e pestilenza, e saranno distrutte23• Queste minacce non devono essere comprese in modo ((soprannaturale»: sono il prevedibile risultato di un esercito invasore. Cosi le nazioni che non si sot­ tomettono a Babilonia saranno devastate dall'invasione e dall'occupazione. Nella seconda parte di questa unità (v. 11), una nazione che si sottomette a Babilonia non sarà distrutta o esiliata. Questa nazione potrà essere incorpo­ rata nell'impero e nel suo sistema di tassazione, ma resterà al proprio posto, non vedrà spezzata la struttura della propria vita. Le scelte sono dunque devastanti: morte o sottomissione. Non c'è una terza alternativa. La sotto­ missione consente di continuare a vivere nel paese. Tra l'avvertimento della devastazione (v. 8) e l'assicurazione alternativa (v. 11), il testo mette in guardia contro i falsi profeti (vv. 9-10). Il linguaggio di questa messa in guardia richiama alla mente l'elenco di Deut. 18,9-13. La sostanza dell'ammonimento, tuttavia, è semplicemente il fatto che i falsi profeti non sono pro-Babilonia: essi seducono Giuda facendogli immagina­ re che sia possibile una terza alternativa, cioè la resistenza all'impero. Vale a dire che queste voci occupate da fantasie religiose non sono collegate al­ le realtà di potere. In verità non esiste una terza alternativa e la resistenza condurrà alla morte. Questa terza alternativa di resistenza e di indipenden­ za è una falsa lettura della realtà sociale, e nello stesso tempo rappresen­ ta una falsa comprensione del volere di YHWH. Non sottomettersi significa essere schiacciati.

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Cfr. BRUEGGEMANN 1995.

Su questo genere di maledizioni, vedi HILLERS 1964.

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Geremia Non si dovrebbero tracciare facili parallelismi, ma la situazione non è molto diversa da quella rappresentata dallo slogan: «Meglio morti che ros­ si» usata nella recente storia contemporanea di fronte al1a minaccia che ve­ niva percepita dall'Unione Sovietica. Con «morti» e «rossi» si indicavano simpaticamente le opzioni. L'equivalente di «rossi» è il fatto di dover es­ sere annessi all'impero babilonese. Il profeta spinge a essere «rossi» piut­ tosto che «morti». Il profeta afferma che ora la sottomissione è un atto di prudenza da parte di Giuda, ma è anche l'atto di obbedienza di Giuda nei confronti di YHWH. L'alternativa della resistenza non può che condurre a essere «morti». Il profeta pone una forte esigenza teologica, ma è una esi­ genza teologica che ha importanti intrecci storici e politici: nella tradizione di Geremia è impossibile distinguere in via definitiva fra realismo politico e giudizio teologico. La tradizione rifiuta di considerarli separati. La con­ vergenza fra i due ha costituito una critica devastante all'ideologia regale di Gerusalemme che credeva che il volere di YHWH fosse prevedibilmente sempre dalla parte dell'incolumità di Gerusalemme. Questo tipo di ideolo­ gia difficilmente può immaginare che la decisione di YHWH potesse essere schierata contro Giuda e non in suo favore. 27,12-15 In questi versetti si afferma ancora una volta lo stesso messaggio generale, questa volta indirizzato specificatamente al re Sedechia. È proba­ bile che l'annuncio di Ger. 27,1-11, apparentemente indirizzato alle nazioni, sia in realtà indirizzato alla comunità di Gerusalemme negli anni di Sede­ chia. Ora questo annuncio viene reso esplicito. Ancora una volta il profe­ ta proclama la propria posizione a favore di Babilonia. In questo caso non possiamo (come altrove nella tradizione) determinare in che misura questa sol1ecitazione sia prudenza, inclinazione o un atto derivante da discerni­ mento di fede. Forse è tutti e tre, dal momento che il discernimento di fede non prevede che si sia imprudenti o neutrali. Ciò che risuona in questi testi è la sicura convinzione che YHWH governa le nazioni, sia il grande impero sia la comunità eletta: nessuna affermazione ideologica, militare o strate­ gica può prevalere contro la volontà di YHWH che a questo punto sta per essere messa in esecuzione. Questa irresistibile volontà, per come Geremia la comprende, è quella di sottomettersi al giogo di Babilonia, di arrendersi alla politica imperiale. Il comando specifico del v. 12 allude alla precedente affermazione del v. 2, nonostante la sua formulazione sia in qualche modo differente. In questo momento, il «giogo>> dell'impero, viene inteso come il giogo di YHWH La servitù nei confronti di Nabucodonosor è obbedienza nei confronti di YHWH. Questa impenetrabile affermazione non viene giu­ stificata nel testo, ma suggerisce un certo realismo riguardo alla fede. La sottomissione al potere politico potrebbe essere (ma non è sempre così) un atto di fedeltà a Dio che regola gli affari delle nazioni. L'alternativa alla sottomissione in questo caso è la morte, nuovamen­ te attraverso la grande triade delle maledizioni del patto (v. 13). Le mise.

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10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32} re politiche alternative presenti nei vv. 12-13 la sottomissione e la morte - sono collegate alla questione religiosa della vera e falsa profezia. Più di chiunque altro nell'Antico Testamento, Geremia si preoccupa delle letture alternative delle realtà storiche, ciascuna delle quali pretende di essere fe­ dele a YHWH. Il profeta evidentemente aveva potenti ed eloquenti opposi­ tori e avversari che insistevano sul fatto che l'Egitto fosse una alternativa migliore a Babilonia o che la resistenza fosse più fedele a YHWH di quanto non lo fosse la sottomissione. Raccomandare la resistenza, afferma questa tradizione testuale, costitu­ isce una «menzogna» (s-q-r; v. 14). Una raccomandazione di questo tipo è un invito alla fantasia. Giuda non può resistere a Babilonia, poiché Dio non desidera questo tipo di resistenza. Una tale fantasia condurrà inevitabilmen­ te al disastro. Naturalmente, questa lettura della realtà non può essere fatta con oggettiva certezza. Il discernimento fedele di Dio nel processo pubbli­ co deve sempre essere fatto «in mezzo alle cose», prima che tutti i dati sia­ no inseriti e valutati. Questo è ciò che rende il discernimento profetico così problematico e cosl pressante. Un tale giudizio profetico richiede il corag­ gio di fare delle dichiarazioni senza certezza. È un giudizio religioso che viene dato con enorme rischio politico. È però l'unico genere di giudizio religioso di cui valga la pena di preoccuparsi. L'alternativa è di restare in silenzio e avere la fede dettata dagli eventi. Geremia respinge una opzione più . Tali argomenti sono troppo seri e la posta in gioco troppo alta per una si­ mile valutazione superficiale. Presumibilmente, Anania ha ragioni migliori e più serie per la sua affermazione. Altre due spiegazioni sembrano più convincenti e più serie. Da una parte, Anania potrebbe essere radicato nell'ideologia regale di Israele ed essere fiducioso nell'impegno di Dio nei confronti del Tempio e della dina­ stia25. Allora il problema principale è se Dio onorerà questi impegni presi da tempo e queste promesse tanto celebrate nei confronti di Sion. La tesi di Anania non è quindi opportunistica, ma è una ripetizione del concetto di affidabilità di Dio radicato nella tradizione teologica normativa di Gerusa­ lemme. D'altra parte e in modo più specifico, il messaggio di Anania è coe­ rente con le parole di Isaia del secolo precedente26• Sappiamo che le parole di Isaia furono convalidate nel 701 dalla sbalorditiva liberazione della città dalla minaccia Assira. Non c'è alcun dubbio che tale salvezza miracolosa generò in Gerusalemme la massima fiducia nel fatto che Dio c'è e che può essere il patrono e il garante della città santa. Anania potrebbe quindi es­ sere un discepolo della tradizione di Isaia e semplicemente preannunciare che Dio potrebbe compiere di nuovo un tale atto di liberazione. Lavorando 25 CARROLL 1986, p. 537, conclude: «Allora i profeti al v. 16 erano nel giusto, dopo tut­ to, ma si erano sbagliati rispetto ai tempi». La differenza rispetto ai tempi, però, è decisi­ va: gli altri profeti desideravano combinare insieme i due eventi dell'esilio e del ritorno, ma la distanza tra i due, su cui insiste questo testo, rende le due esperienze qualitativa­ mente e decisivamente diverse. 26 Sull'ideologia del Tempio e il suo delicato rapporto con le pretese della dinastia, vedi 0LLENBURGER 1987, pp. 59-66 e passirn.

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10. La verità parla al potere (Ger. 26,1 - 29,32) secondo un parallelismo storico, la crisi del 598 non sembrava così diversa dagli eventi del 701. Se Anania si richiama principalmente alla tradizione di David-Sion o al ricordo di Isaia, possiamo immaginare che parlasse in buona fede e credesse di aver dato espressione a una corretta forma di fede coraggiosa e responsa­ bile. Presumibilmente non è un ciarlatano o un imbonitore. Tu ttavia, viene giudicato dalla tradizione canonica per essere stato falso nella propria fede. Questa falsità potrebbe essere un giudizio radicato sulla base delle conse­ guenze storiche, visto che nella realtà storica non avvenne quanto egli aveva predetto. Vale a dire che l'esilio in Babilonia non fu di breve durata e la re­ staurazione non fu veloce, come egli aveva annunciato. Oppure la falsità di Anania potrebbe essere un giudizio teologico, dal momento che le sue parole non fanno i conti con la qualità - severa e condizionata - della promessa di YHWH, come viene sostenuto dalla tradizione di Geremia. A ogni modo, la sua speranza, radicata in un'antica memoria custodita gelosamente, in que­ sto contesto è una distorsione ideologica: non riflette quanto Dio sta com­ piendo qui e ora. Se non si è in grado di discernere la realtà di Dio nel tempo presente, allora ogni discernimento profetico è verosimilmente ideologico. Di conseguenza, la certezza di ieri è diventata la distorta ideologia di oggi27• Geremia risponde alla sfida di Anania (vv. 5-9). La sua risposta viene da­ ta in un luogo di discussione pubblico, per cui siamo testimoni di un dibat­ tito cruciale sulla politica (v. 5). La risposta di Geremia consta di tre parti. Per prima cosa, risponde ad Anania con la speranza (forse ironica o persino sarcastica) che Anania possa essere nel giusto e che la liberazione avverrà a breve e l'esilio non sarà protratto (v. 6). La prima parola della risposta è «Amen». Se la parola è sarcastica, potrebbe essere tradotta con >; la sentenza è . La traduzione non mette in luce la corrispondenza dell'espressione retorica, che viene tradotta «io ti caccio>>, mentre l'espressione testuale andrebbe tradotta: «ÌO adesso ti manderò, poiché non ti ho mandato a profetizzare>>. Vale a dire ti mande­ rò via dalla terra, cioè ti farò morire. Anania ha annunciato a Giuda la vi­ ta, ma il suo destino è morte certa. Anania è un ribelle nei confronti di Dio e per questo deve essere allontanato. Geremia è intollerante e usa la mano pesante contro coloro che distorcono, ingannano, blandiscono e riassicura­ no in modo menzognero Gerusalemme. Il narratore aggiunge concisamente: «il profeta Anania morì quello stes­ so anno>> (v. 17). La morte era stata annunciata come un verdetto nel v. 16. In quello stesso anno la parola giunge a compimento. La notizia serve a più scopi: discredita Anania; attesta la legittimità di Geremia e la sua vocazione; allontana inoltre la speranza di una immediata liberazione. Una volta eli­ minato il messaggero, svanisce anche il falso messaggio. È importante no28

Sul ruolo del termine §-q-r nella tradizione di Geremia e specialmente ai capp. 27

- 28, cfr. 0VERHOLT 1970.

29 Sulla tipica corrispondenza di peccato e giudizio, vedi MILLER 1982. Per quanto posso vedere, Miller non cita questo caso particolare .

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Geremia tare che questa concisa conclusione non fa alcuna affermazione teologica. Non si dice che YHWH ha distrutto Anania, si tratta piuttosto di uno scar­ no resoconto della realtà. Ma, naturalmente, in questa narrazione pesante e cosciente di sé, un resoconto dei fatti di questo tipo va al di là di se stesso puntando al grande tema teologico della verità e della falsità. Il tema della verità e della falsità non è però un problema teoretico. Riguarda il volere di YHWH, il potere di Babilonia e il futuro di Gerusalemme. La carriera di Anania nel cap. 28 è soltanto un episodio che non eserci­ ta un impatto duraturo sulla tradizione di Israele. La forza deformante di Anania scompare velocemente dalla scena mentre sopravvive la tenacia di Geremia. Da 28,17 veniamo nuovamente resi consapevoli che l'annuncio profetico del cap. 27 è entrato in vigore. YHWH è un sovrano severo. Ge­ rusalemme è sotto rigoroso giudizio. Geremia, il messaggero di un seve­ ro sovrano, riferisce il duro messaggio del giudizio. Nessuna ideologia o religione illusoria può negare la volontà di YHWH nella storia nel modo in cui Geremia le ha dato espressione. Tutto quello che il mondo può vedere è l'imperialismo babilonese. La comunità cui è rivolto questo testo, però, sa qualcosa in più. Sa che il vero agente non è Nabucodonosor, per quanto sia visibile, ma Dio che > [la N.Riv. riporta: «l will restare the fortunes of my people» al v. 3; la NR invece traduce: «io riporterò dall'esilio il mio popolo»] significa restituire al popolo del patto la vita, il destino e il benessere che appartengono alla sua identità in quanto popolo di YHWH. L'espressione testimonia la riabili­ tazione di ogni aspetto della vita. Questa espressione manca però di specificità. È la seconda espressione potente che rende concreti i temi programmatici del capovolgimento. La se­ conda espressione riguarda la fine dell'esilio e la restaurazione nel paese. 11 Sul potere di questo discorso di riaprire il silenzio imposto dalla censura del po­ tere, vedi BRUEGGEMANN 1989. 12 Sull'attività redazionale e il processo di canonizzazione, vedi TUCKER 1977 e la precedente opera di NIELSEN 1954. 13 Sulla formula vedi BRACKE 1983, pp. 148-155.

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Geremia Anzi, il ristabilimento nel paese è la speranza centrale, fondamentale del­ la tradizione di Geremia e di gran parte della Bibbia. La promessa relativa alla terra dà concretezza alla fede biblica: riguarda la vita reale in questo mondo. Questa tradizione di speranza riconosce che nel mondo reale nes­ sun popolo o comunità avrà dignità, sicurezza, rispetto o benessere senza la garanzia di una terra14• Questa è una convinzione ben compresa dallo stato contemporaneo di Israele e altrettanto dai palestinesi, dai contadini in Ame­ rica Latina e dai neri in Sudafrica. La promessa di Dio è di dare ciò senza il quale la vita umana è perennemente precaria. La promessa di YHWH inten­ de annullare l'attuale distribuzione della terra, persino quelle sistemazioni apparentemente garantite da decreti imperiali. Anzi, l'affermazione della tradizione di Geremia è che persino le garanzie imperiali non possono resi­ stere alla spinta per una terra sicura che è una dinamica della storia su cui presiede YHWH. Il futuro immaginato da Dio per questo popolo riguarda la ridistribuzione della terra a favore di coloro che non possono assicurarsi la terra per se stessi. 30,4-11 Questi versetti comprendono tre unità retoriche distinte, che so­ no raggruppate assieme in rapporto al loro tema condiviso della salvezza di Dio dinanzi a grandi disuguaglianze. L'unità poetica di Ger. 30,4-7 inse­ risce l'ascoltatore in una situazione di paura e inquietudine. Il potere del terrore e del timore è vivido forse come di fronte a un esercito invasore (cfr., per esempio, Ger. 4, 13-22). Geremia 30,5a descrive in generale la situazione esterna e il v. 6 presenta una reazione di enorme terrore per la situazione. La strategia retorica del v. 6 è di porre una premessa in forma di domanda: gli uomini non hanno l'esperienza della fatica del travaglio? Eppure > è plurale, nel contesto del libro di Geremia il riferimento mol­ to probabilmente è a Babilonia, cfr. capp. 50 - 51.

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11 . «Il Libro della consolazione» (Ger. 30,1 - 33,26) tamente l'una con l'altra. Il punto iniziale è una spietata, franca diagnosi della malattia di Israele (v. 12). Il popolo di Dio è un malato terminale, non può essere guarito ed è sicuro di morire. La fine del componimento è una promessa che Dio davvero guarirà e salverà (v. 17). Presi assieme, i vv. 12 e 17 affermano che colui che è malato terminale sarà guarito. Il compito del componimento (e la nostra interpretazione) è di tracciare la strada con cui la fede e l'immaginazione di Israele si muovono andando dal candore sen­ za speranza del v. 12 alla sbalorditiva rassicurazione del v. 1717. I vv. 12-15 ruotano attorno ai due temi gemelli della colpa e della malattia. La malattia di Israele è oltre ogni possibilità di aiuto. Israele, nella sua ma­ lattia, è totalmente abbandonato, trascurato dagli antichi alleati («amanti»). L'immagine suggerisce l'abbandono da parte di amici inaffidabili che non staranno accanto a un perdente e che mettono da parte l'amicizia quando la malattia colpisce. Questo popolo, nella sua patologia teologica, rimane solo sulla scena internazionale, senza speranza di fronte alla minaccia imperia­ le che è autorizzata da YHWH. Israele non ha motivo di lamentarsi del ter­ ribile pericolo che corre, dal momento che la guarigione non è possibile (v. 15). Inoltre, la causa della malattia non è un mistero. La malattia che porta alla morte è il risultato di peccato, disobbedienza e flagrante dispre7:7:0 di Dio. La diagnosi è precisa. La situazione disperata di Israele ha una causa teologica che produce una conseguenza socio-politica. L'annientamento di Israele è voluto da YHWH. Chiaramente non ci può essere salvezza da una malattia voluta da YHWH e legittimata dalla disobbedienza. Il poeta auda­ cemente utilizza una metafora medica per compiere un'affermazione im­ pressionante su Giuda. La politica del Vicino Oriente viene letta teologica­ mente! Giuda è colpito da una profonda patologia causata da se stesso, la patologia dell'infedeltà e della sicurezza di sé. Il poema ha un brusco cambiamento al v. 16. Non siamo preparati al «tut­ tavia>> di quel versetto [la versione RSV riporta: «therefore>>, altre versioni italiane riportano: «nondimeno>> (N.Riv.); «però» (Cei 2008)]. Nei profeti, l'espressione «tuttavia>> tipicamente introduce ulteriore giudizio. Più giu­ dizio, però, non è richiesto o forse neanche possibile dopo la commozio­ ne, la durezza e l'indignazione del v. 15. Che cosa può essere ancora detto? Scopriamo che il «tuttavia>> del v. 16 è un trucco verbale. L'espressione ci prepara a un ulteriore messaggio di giudizio, ma in realtà le righe seguenti offrono esattamente il messaggio opposto: una parola di intervento, poten­ te e curativo, da parte di Dio. Le quattro coppie di termini, «divorare-di­ vorare», «nemico-deportazione», ((spogliare-spogliare>>, ((saccheggiare-sac­ cheggio>> indicano un'inversione totale, simmetrica, prodotta dalla potenza fedele di Dio, un'inversione in base alla quale Giuda, vulnerabile e privo di riparo, viene protetto e tutti i suoi potenti assalitori sono uccisi dal volere

17

Cfr. BRUEGGEMANN 1985f, pp. 419-428.

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Geremia -· · di YHWH1 8. Cosi il poema testimonia l'inversione che abbiamo·già visto nei vv. 8-9.11, dove il forte viene schiacciato e il debole viene custodito e ga­ rantito. Di nuovo questa inversione dà sostanza alle promesse del v. 3 che riguardano il ristabilimento delle fortune di Israele. Colui che è stato una minaccia per Israele è ora sotto severa minaccia da parte di YHWH. YHWH è ora attivamente all'opera per la guarigione di Israele e così affronta deci­ samente la minaccia della malattia che si avvicina. È singolare che nei vv. 12-15 sia YHWH che causa il terribile problema di Israele, ma che al v. 16 le nazioni siano ritenute responsabili della minaccia verso Giuda. Nei vv. 1215 YHWH era il nemico, ma nei vv. 16-17 è diventato l'amico e l'avvocato di Israele. YHWH ha cambiato decisamente ruolo, che di conseguenza cambia decisamente le prospettive di Israele per il futuro. Così nei vv. 16-17 il poe­ ma cambia tono e direzione, riflettendo il cambiamento nella disposizione di YHWH e il conseguente cambiamento nella fortuna di Israele. Nulla è cambiato riguardo l'inclinazione di Israele. Israele è ancora col­ pevole, ancora malato, ancora sotto minaccia. Eppure ogni cosa è cambiata per quanto riguarda Dio. Tra il v. 15 e il v. 16 c'è un cambiamento radicale nell'attitudine, prospettiva e inclinazione di Dio: Colui che era indignato è divenuto il Compassionevole19. Dio che voleva abbandonare Giuda è ora pronto a intervenire per salvarlo. Il poema traccia in modo drammatico, seb­ bene con articolazioni ellittiche, la trasformazione di Dio da nemico a difen­ sore. Davvero, la mutata fortuna di Giuda (v. 3) dipende dal cambiamento di inclinazione di YHWH: è la mutata inclinazione di YHWH a modificare la situazione di Israele dall'esilio al ritorno in patria. La vita di Israele dipende in entrambi gli aspetti (esilio e ritorno in patria) dall'inclinazione di YHWH. Il punto cruciale e più interessante nel poema è la motivazione data per il decisivo cambiamento di Dio. La parte finale del v. 17 sembra fornire la motivazione a un tale cambiamento. Al v. 14 Dio ha affermato riguardo alle nazioni che esse «non si preoccupano più per te». Dio osserva che le nazio­ ni sono divenute indifferenti. Al v. 17, tuttavia, sono le nazioni che prendo­ no in giro Israele con le stesse parole e che dicono «Sion, di cui nessuno si cura». È una grande ironia che lo stesso verdetto di Dio del v. 14 si trovi ora sulle labbra delle nazioni al v. 17. Tuttavia, quando questo stesso verdetto è pronunciato dalle nazioni, suscita in YHWH una risposta di partecipe soli­ darietà. YHWH è stato libero di criticare e condanna re questo popolo. Tutta­ via, quando le nazioni fanno quello che ha fatto YHWH, YHWH è reso nuova­ mente consapevole del profondo interesse verso Israele. Nella presa in giro espressa dalle nazioni, YHWH è spinto a nuove azioni di salvezza, diventando 18 Sullo stretto collegamento tra peccato e punizione, cfr. MILLER 1982. Quello che è interessante qui è che questo stile profetico di argomentazione adesso viene rivolto contro il nemico di Giuda. 19 La stessa trasformazione di Dio è espressa in Deut. 4. In Deut. 4,24, YHWH è un Si­ gnore geloso ma al v. 31 YHWH è divenuto un Dio misericordioso. Nella narrazione del diluvio di Gen. 6 - 9 avviene la stessa trasformazione di Dio; cfr. BRUEGGEMANN 1982b, pp. 75-87.

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11. «TI Libro della consolazione» (Ger. 30,1 33,26) -

nuovamente consapevole di una profonda solidarietà che la colpa di Giuda e l'indignazione di YHWH non hanno intaccato. È come se nella profondità dell'esilio, al fondo della terribile umiliazione di Israele davanti alle nazio­ ni, YHWH avesse trovato un'intensità di amore per Israele di cui non era sta­ to prima d'ora a conoscenza. È la situazione della ferita di Israele che evoca in YHWH nuove misure di amore e di soluzione. Le modificate attitudini e inclinazioni di YHWH dominano la composizione e costituiscono una buona notizia per gli esuli. Ci sarà una guarigione, dal momento che chi ha fatto la diagnosi ai vv. 12-15 è diventato il potente guaritore nei vv. 16-17. Tale guari­ gione, provocata da un cambiamento in Dio, promette ritorno in patria, rista­ bilimento e riabilitazione per questo popolo all'ultimo stadio della malattia! 30,18-22 Data la nuova decisione di Dio di guarire Giuda (vv. 16-17), la poesia ora esprime uno scenario meraviglioso e ampio della nuova possi­ bilità storica della Gerusalemme ristabilita. La poesia scavalca potentemen­ te ogni inadeguatezza presente nella città e concentra la nostra attenzione sulla novità che è stata decretata mediante una visione profetica. Il poema comincia con la «formula della riabilitazione» (cfr. v. 3) che prospetta una fine dell'esilio, una fine che è radicata nell'«amore materno» («compassio­ ne», rl}m) di YHWH diretto verso la città che Dio ama (v. 18). Qui segue una descrizione della Gerusalemme restaurata. La ricostruzione, che è assicu­ rata come opera dello stesso Dio e non come compito imposto a Giuda, si­ gnificherà la ripresa di una liturgia gioiosa, i gioiosi suoni delle nascite e dei matrimoni (cfr. 33,10-11 ), il ritorno della vita ordinata e prosperosa: la completa antitesi con i giorni meschini e tormentati dalla povertà appena trascorsi. Dio sarà all'opera per assicurare prosperità, prestigio, dignità e benessere (30,19). La promessa è che «il buon tempo andato» (((come furo­ no un tempo»; v. 20) possa essere nuovamente vissuto. Chiunque si intrometta o intralci od ((opprima» (presumibilmente le nazio-­ ni) dovrà vedersela con YHWH, che è garante e protettore della città rinata (v. 20b). YHWH ha cambiato ruolo: il distruttore è diventato il garante e quando YHWH compie gesti che guariscono e ristabiliscono nei confronti della città, la vita di Israele ne viene completamente trasformata. Il v. 21 suggerisce la rifondazione del governo legale, sebbene manchino indicazioni specifiche. In contrasto con il disordine presente, ci sarà un rispettabile leader con autorità politica, ma anche con legittimità liturgica, dal momento che il ter­ mine «avvicinarsi» implica accesso alle funzioni di culto20• Forse questa è una anticipazione della teocrazia che deve venire, quando il comando sarà sacerdotale (cfr. 33,18.21-22) . Questi aspetti specifici, tuttavia, non sono in esame in questo passo. Quello che è importante è la restaurazione dell'or­ dine legittimato che permetterà alla comunità di funzionare. Questi versetti 20 n termine tradotto con «principe» ('dr), potrebbe riferirsi a ogni leader temibile, non suggerisce necessariamente o intenzionalmente un monarca, come qualche tradu­ zione potrebbe implicare.

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Geremia forniscono un inventario soggettivo di tutto quello che è richiesto e promes­ so per la ripresa di una piena vita comune. La promessa è coronata in 30,22 con la formula della fedeltà del patto che ridefinisce entrambe le parti21• Dunque la tradizione getta in faccia al disordine esili co e alla disperazione l'eloquenza della nuova possibilità di Dio. Il poema intende evocare e nu­ trire una speranza pericolosa che diviene sempre più irrequieta e a disagio nei confronti delle distorsioni, privazioni e umiliazioni che attualmente si accompagnano a occupazione, disfatta e deportazione. Il poema fa appello e autorizza una comunità, che crede nelle promesse e ha fiducia in chi fa le promesse, a muoversi al di là del momento presente verso un mondo miglio­ re. La vita comincia nuovamente. Questo nuovo inizio consiste in vita reale in categorie pubbliche, vita garantita dalla passione, cura e fedeltà di YHWH.

30,23-24 L'unità poetica precedente ha espresso la positiva azione di YHWH nei confronti di Gerusalemme. Questi due versetti fanno una sosta in mez­ zo a questa meravigliosa promessa per esprimere il lato oscuro e sinistro dell'azione salvifica di YHWH. La realtà politica impone che Gerusalemme non può essere ristabilita fino a che gli eserciti occupanti di Babilonia non siano rimossi. La vita non può essere di nuovo normale in Gerusalemme fino a che non sia stata rimossa la causa imperiale della distruzione. Questi versetti costituiscono un attacco e un ammonimento contro «gli empi». Il lin­ guaggio manca di specificità e potrebbe essere riferito a diverse situazioni22• In questo contesto, tuttavia, con l'espressione gli «empi» si deve fare ri­ ferimento al potere imperiale che opprime (vv. 8.11 .16.20) e che preclude e impedisce il ristabilimento. Il linguaggio deve di necessità essere impres­ sionistico, poiché il poeta non ha alcuna strategia concreta contro il potere di Babilonia. In questo frangente, Israele non si impegna in analisi politiche, bensi in una retorica teologica radicale e ardita. La questione in gioco non è la politica imperiale specifica, raccomanda il testo, ma la disobbedienza imperiale contro YHWH e il disordine imperiale contro il popolo di YHWH. Il cambiamento di potere che permetterà a Giuda di ricominciare la vita viene espresso con sinistre, vaghe minacce di «ira» e «tempesta» che sono i veico­ li per l'ira di YHWH contro gli empi che hanno violato il popolo di Dio. Al­ la fine, c'è la resa dei conti morale e anche Babilonia deve rispondervi. Dio sta per scatenare un turbine di distruzione contro l'oppressore, per il bene dell'amata Gerusalemme23. 2l

Sulla formula, cfr. SMEND 1%3. Le stesse espressioni ricorrono in Ger. 23,19-20. In quel testo la critica si riferisce ai falsi profeti di Gerusalemme, mentre qui quelle parole sembrano essere rivolte con­ tro >. «

272

11. «Il Libro della consolazione>> (Ger. 30,1 - 33,26) valutato e amato in modo particolare, e che riceve speciale protezione, cu­ ra e doni da parte di Dio. Il pastore che protegge è il padre che valuta. Le metafore sono particolarmente espressive dal momento che la comunità dei primogeniti è costituita da disabili. Le due metafore, prese assieme, annunciano una situazione in cui gli ultimi diventano i primi, cioè i disa­ bili diventano i primogeniti. Il «padre» del «primogenito» accoglie colo­ ro i quali sono stati resi «orfani» dal processo dell'esilio e prepara per loro una casa (cfr. Os. 14,3b). La ferma decisione di Dio di riportare a casa il suo popolo si rivolge alle nazioni (Ger. 31,10-12). Colui che «ha disperso>> adesso parla (v. 10). Questo Dio ha causato l'esilio; ora, però, colui che ha «disperso» ha cambiato dispo­ sizione d'animo e si è spostato verso un nuovo genere di attività. Colui che aveva disperso (cioè causato l'esilio) è Colui che ora raccoglie (cioè riporta a casa dall'esilio}. Di nuovo viene invocata l'immagine del pastore per Co­ lui che cerca e salva coloro che sono dispersi. Nessun singolo ebreo in esilio è trascurato nello straordinario sicuro ritorno in patria. Il ritorno in patria richiede il più ricco e appassionato vocabolario di Israele per esprimere in modo completo ciò che deve essere detto sulla salvezza. Al v. 7 abbiamo già avuto il verbo «salvare» (y-s- '}, e ora al v. 11 abbiamo > che sta per giungere sia Colui che lo concede. Dio ha il potere di mutare le cose e ha promesso di fare così. 31,15-22 Questo poema riflette la tradizione di Geremia in quanto ha di più audace nel suo uso della metafora poetica, di immaginazione e di stra­ tegia36. Comincia con un ascolto attento proprio al limite dell'orizzonte di Israele (Ger. 31,15). Gerusalemme ha ascoltato troppo a lungo le sue stesse crisi attuali. Ora nel poema è invitato ad ascoltare una voce un po' più anti­ ca, un po' più piena di commozione. La voce viene fuori dall'antico passato; madre Rachele si addolora lungo molte generazioni per tutti i figli perdu­ ti che sono così vulnerabili e così brutalizzati37. Madre Rachele è affranta per tutti i figli perduti di Israele, compresa l'attuale generazione di esuli. Il pianto della madre se� conforto attraversa facilmente le generazioni, dal

36

Su questa difficile unità, vedi ANDERSON 1978, pp. 463-478, e TRIBLE 1978, pp. 40-50. 37 Sulla portata del dolore di Rachele lungo le generazioni, vedi Mt. 2,18. Sulla stes­ sa espressione con accenti più contemporanei, vedi FACKENHEIM 1980, pp. 191-205, e KOZOL 1988.

274

11. «Il Libro della consolazione» (Ger. 30,1 - 33,26) momento che tutti coloro che sono perduti hanno lo stesso valore per que­ sta madre, qualunque sia la loro generazione38. Il Signore risponde alla madre affranta (vv 16-17). La struttura dei vv 15-17 è quella del lamento e della risposta. La risposta, in Israele, è tipica­ mente una risposta di presenza, interesse, intervento e salvezza. E così è in questo caso. La parola di Dio a madre Rachele è un invito ad asciugare le lacrime, a trattenersi dal pianto (dr. ls. 25,8; Apoc. 7,17; 21,4). I bambini che «non ci sono» ci «Saranno» di nuovo, dal momento che ritorneranno a ca­ sa. Di conseguenza, la struttura lamento-risposta è utilizzata per affermare la decisione del ritorno in patria dal dolore dell'esilio. Il dono di speranza annulla la disperazione di chi piange. Dopo i dolori della madre e la risposta di Dio, parla il bambino perduto (Ger. 31,18-19). È un discorso di dolore, rimpianto e pentimento. È un'am­ missione di resistenza alla disciplina di Dio. Chi parla ammette di essersi sviato, ma ora si vergogna delle sue stesse azioni. La risposta di Dio al pen­ timento dei vv. 18-19 è caratterizzata da commozione, consolazione e ras­ sicurazione (v. 20). Come madre Rachele ha sofferto una commozione non corrisposta, allo stesso modo il Dio di Israele viene toccato da una profon­ da commozione: anzi, la risposta di Dio non è diversa da quella di madre Rachele. C'è, da parte di Dio, una tendenza a rifiutare l'ostinato Israele e a non avere più niente a che fare con questa resistenza dolorosa e stancante. Questa tendenza è però contrastata nel cuore stesso di Dio. Il cuore di Dio è profondamente dilaniato. Da una parte, la sospensione del discorso che tenta di nascondere il nome penoso e il profondo ricordo di Israele non ter­ minerà neanche con il figlio39• D'altra parte, il ricordo che Dio ha di Israele è altrettanto irresistibile, potente e palpabile quanto il ricordo che Rachele ha dei propri figli. Dio è ridotto a un desiderio tremante e alla fine consta­ ta che la pietà ha la meglio sul rifiuto40• I due infiniti assoluti di «ricorda­ re» e di «avere pietà)> indicano il potere della positiva decisione di Dio. Il Dio che ricorda completamente è il Dio che ha misericordia completa. Così il v. 20 è una risposta ai vv. 18-19, proprio come i vv 16-17 rispondono al v. 15. Sia nei vv. 16-17 sia nel v. 20, la risposta di Dio alla fine autorizza un inizio completamente nuovo, che si pone alle spalle (ma non nega) tutto il dolore di Rachele e tutta l'ostinazione di Israele. Dio consiglia un ritorno su sentieri ben marcati (la Torah; v. 21). Il ritor­ no è geografico (fine dell'esilio) e teologico (fine della resistenza)41. Stupisce il fatto che ci si rivolge a Israele sia come «vergine)> (v. 21) sia come «figlia .

.

.

38 È per questo motivo che Fackenheirn e Kozol possono pretendere che Rachele pianga persino per i bambini del xx secolo: tutti senza distinzione sono custoditi gelo­ samente da questa madre, che rifiuta di essere confortata. 39 Il verbo «ricordare>>, zkr, è espresso all'infinito assoluto, per esprimere la grande forza dell'atto di ricordo. 40 Di nuovo, il verbo «avere pietà>> è all'infinito assoluto. 41 Sul pentimento e ritorno come motivo teologico primario nell'esilio, vedi WOLFP 1975, pp. 83-100.

275

Geremia ricaduta nel peccato [N .Riv.: > in Is. 65,17-25 e Apoc. 21,2-4 si collega cosi con una passione molto concreta per la ricostruzione delle rovine di Geru­ salemme. Alla metafora non è permesso di distanziarsi troppo dalla concretezza storica.

285

Geremia za specifico, pubblico, concreto ed economico (32,6-15). Questo atto specifi­ co, che diventa la radice principale della riflessione di questo capitolo, ge­ nera una richiesta espansiva e radicale per il futuro (cfr. in part. vv. 42-44).

32,1-5 Il capitolo comincia in una maniera particolare. La tradizione di Geremia ripete più volte di un incontro tra il profeta e il re Sedechia (21,17; 37,3-7.17-21; 38,14-28). Questo brano è ancora una ulteriore versione di tale incontro. Il punto iniziale della versione è la consegna di un'altra pa­ rola profetica (32, 1). Si riferisce a due circostanze: la città è sotto assedio e il profeta è in arresto (vv 2-3a). L'unico discorso in questa unità non è «la parola del SIGNORE» ma l'interrogatorio da parte del re (vv. 3b-5). Dunque il v. l introduce una «parola dal SIGNORE», ma quanto segue è una parola pronunciata da parte del re. Il re pone un interrogativo, ma il suo contenuto è costituito da una cita­ zione del profeta, cioè una parola pronunciata precedentemente dal profe­ ta. Così «la parola profetica» è posta in bocca al re, che evidentemente ha sentito il messaggio talmente spesso da conoscerlo a memoria. Il messag­ gio del profeta più volte ripetuto, citato dal re, è che la città sarà presa e il re sarà deportato. Mentre in altri passi viene preannunciata la morte del re, qui quanto viene promesso è soltanto un incontro, impari e sinistro, con il re di Babilonia. La citazione nella bocca del re aggiunge una conclusione sinistra: «Voi non avrete esito favorevole» (v. 5). L'intero discorso del re è orientato alla domanda: «perché?» (maddua', v. 3b [la N.Riv., a differenza della Riv., traduce tralasciando la forma interrogativa della frase]). Perché Geremia dice questo? Perché il profeta minaccia il re? Perché il re e la città sono sotto attacco? Due osservazioni sorgono dalla domanda del re. Primo, se il re ha ascol­ tato abbastanza attentamente il profeta da citarlo (come in effetti fa), il re potrebbe aver ascoltato così attentamente da sapere la risposta alla sua do­ manda. Secondo, nonostante il re chieda «perché?>>, questa narrazione, in verità, non propone alcuna risposta. Così i vv 1-5 presentano soltanto il contesto generale per il racconto che segue. Il quesito del re non si collega, in verità, in alcun modo a quanto segue. Tutto ciò che noi sappiamo (anco­ ra una volta) è una minaccia smoderata nei confronti della Corona e della città. Il re non sta realmente chiedendo informazioni, ma fa una supplica per la salvezza. .

.

32,6-15 L'elemento centrale in questo capitolo è l'episodio specifico dell'acquisto del campo qui narrato. La parola di YHWH annunciata al v. l trova espressione al v. 6. L'impulso specifico per questo atto pubblico vie­ ne dato nei vv 6-8. Da una parte, Geremia viene preavvisato (dal Signore) della richiesta di suo cugino (v. 7); dall'altra, il cugino fa la richiesta diretta, come anticipato (v. 8). La convergenza tra il preavviso di YHWH e la richie­ sta di Canameel dà autenticità al fatto che questo atto è realmente voluto .

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11. «ll Libro della consolazione» (Ger. 30,1 - 33,26) da Dio. La richiesta presente nel v. 8 coinvolge Geremia in una transazione fondiaria, proprio nel momento in cui la terra e il suo valore sono messi in pericolo da una occupazione militare (vv. 1-5). Cosi il «diritto di riscatto» è un atto per mantenere intatta l'eredità di una famiglia su un terreno, pro­ prio quando le circostanze fanno apparire insensato questo tipo di investi­ mento. L'obbligazione della famiglia (sancito da Dio) è preso seriamente nonostante tutti gli indicatori negativi in questo triste contesto. L'obbligo è di preservare e mantenere l'eredità familiare della terra. Geremia agisce per soddisfare la richiesta di suo cugino che è autoriz­ zato da Dio (vv. 9-13). La narrazione riferisce in modo dettagliato una tran­ sazione formalmente corretta in cui viene meticolosamente seguita la pro­ cedura pubblica. Ci sono un trasferimento di denaro, la firma dei titoli di proprietà e atti, la presenza dei testimoni e l'archiviazione pubblica delle copie della transazione. Il v. 12 suggerisce che ci siano numerosi testimoni, di modo che non possano sorgere problemi successivi relativi alla proprie­ tà o alla correttezza formale e legalità della transazione. In questo episodio troviamo anche la prima citazione di Baruc, cui è data una posizione spe­ ciale come colui che conserva l'atto di acquisto (v. 12). Può destare meraviglia il fatto che questo episodio riceva un' attenzio­ ne così precisa. Evidentemente, l'episodio fornisce, in forma narrativa, un chiaro segno del fatto che questa comunità, che sta vivendo la deportazio­ ne, possiede un pezzo di terra inalienabile. Cioè, sebbene l'atto riguardi un appezzamento di terra per una sola famiglia, nella presentazione narrati­ va, questo singolo pezzo di terra è un dato paradigmatico per tutta la terra che Israele ha avuto e ora perde. Inoltre, l'atto pubblico (e il suo resoconto narrativo) pone il nome di Geremia nei registri pubblici come rivendica­ zione che ci sarà davvero una «Vita dopo Babiloniaé8• Il profeta è passato dalle parole ai fatti. La narrazione chiarisce che nonostante questo sia un atto economico e legale compiuto accuratamente, non si tratta semplicemente di una transa­ zione legale o economica. Si tratta di un affare riguardante un terreno carico di un significato teologico enorme. A Baruc viene comandato di depositare il documento al sicuro, dove sarà per il futuro non prossimo una testimo­ nianza durevole. L'atto è strettamente parallelo e anticipa quello di Seraia, il fratello di Baruc, in 51,59-64. Entrambi gli atti che i fratelli registrano e per i quali hanno predisposto un deposito permanente esprimono la stessa re­ altà di vita dopo Babilonia69• In base alla nostra lettura del testo, possiamo concludere che il posto sicuro in cui Baruc conserva la prova, anche dopo il «vaso di terra» (32,14), è Io stesso testo biblico. Questo è l'unico posto in 68

Cfr. DIEPOLD 1972, pp. 129-131.

69 I riferimenti a Baruc (32,12; 36,4 ss.) e a suo fratello Seraia (51,59-64) suggeriscono che la famiglia di Neria: l) fosse accreditata come famiglia di scribi, e 2) appartenesse al partito pro-babilonese di Gerusalemme; per entrambi i motivi essi sono importanti per lo sviluppo della tradizione di Geremia.

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Geremia cui la prova dell'acquisto del campo è rimasta. Tale prova è però sufficien­ te per la speranza a lungo termine di Israele. L'intera transazione che riguarda il campo giunge al centro dell'atten­ zione teologica al v. 15. A questo punto, per bocca di Dio, ci è dato di com­ prendere il significato dell'atto economico e legale. La triade di «Case, campi e vigne indica gli elementi più comuni e caratteristici della vita economica. Questi beni saranno «di nuovo comprati». L'avverbio «di nuovo» [N.Riv.: (slm, v. 18; [N .Riv.: ]) e «ricompensare» (n tu, v. 19 [N.Riv.: «rendere>>]) suggeriscono un Dio dalla retribuzione responsa­ bile. Dall'altra parte, il v. 20 inizia un'esposizione dell'besed di Dio che non è affatto guidato dal merito bensì dalla misericordia. La memoria centrale di Israele ignora del tutto uno schema morale retri­ butivo ed esulta gioiosamente per i buoni doni dati da Dio senza alcun me­ rito. Questo inventario dei buoni doni comprende i segni e i miracoli dell'e­ sodo e il dono della terra. Questi miracoli, come il miracolo della creazione (v. 17), sono realizzati da un braccio forte e disteso. Il risultato di una tale generosità da Dio è una terra in cui scorre latte e miele. Così, nell'esposizio­ ne, la preghiera mantiene meravigliosamente bilanciata, aperta e irrisolta la tensione interna alla disposizione di Dio. Dopo l'esposizione delle meraviglie di Dio, i vv. 23b-24 danno espressione a uno schema totalmente differente di riferimento, che ritorna nuovamente alle sanzioni retributive. Questi versetti sono una affermazione legale pro1982a, pp. 615-634. sua bipolare funzione teologica, vedi DooB SAKBNFELD 1975, pp. 317-330 e 0LSON 1985, pp. 129-152. 72

Cfr. BRUEGGEMANN 73 Su questo testo e la

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Geremia grammatica, che presenta un fondamento logico per l'esilio. L'accusa del pro­ cedimento giudiziario è che Israele «non ha ascoltato», non ha «camminato nella Torah», non ha «fatto». La sentenza del processo, introdotta dal ((per� ciò», si riferisce a tutti questi ((mali» (((disastri>>), nello specifico all'assedio e alle conseguenti spada, carestia e pestilenza. Questi versetti, come gli eventi del 587 a.C., indicano che nel > YHWH ha l'ultima parola. È il giudizio contro coloro che hanno violato la Torah che alla fine prevale. Questa è davvero una proclamazione primaria del libro di Geremia, sost� nuta dall'esperienza di Israele (587). Il v. 25 fa eccezione! Anzi, l'intera preghiera, che inizia al v. 17, punta al v. 25, che è alquanto sorprendente dopo l'argomentazione dei vv 23b�24. Questa preghiera è in gran parte incentrata sulla retribuzione. Eccetto per l'affermazione iniziale di «nulla di troppo difficile per te>> (v. 17) e il rife� rimento iniziale alla ((misericordia>> (l;lesed, v. 18), non ci aspettiamo niente altro che retribuzione. Il movimento oltre al sistema di giudizio comincia con (>. Cosi la domanda corrisponde all'affermazione di Ger. 32,17. L'oracolo, come la preghiera, riguarda il Dio che agisce al di là di quanto Israele (o il mondo) pensa sia possibile. L'impossibilità che Dio opererà, sia secondo la preghiera sia secondo l'oracolo, è duplice. Primo, Dio causerà un pesante giudizio che in questo caso viene espresso nella forma di un procedimento giudiziario (vv. 18-36). Non è «impossibile>> per Dio porre fine a Gerusalemme. La parte più estesa di questa dichiarazione è un atto d'accusa che elenca in dettaglio gli errori di Giuda (vv. 30-31a; 32-35). Gli affronti perpetrati da «questa città>> contro YHWH sono un «male>> abbastanza generalizzato (vv. 30.32); più specifica­ mente, i figli di Israele e Giuda di Dio (vv. 36-41). La costruzione retorica segna un drastico cambiamento nell'oracolo con l'espressione «ma ora, in seguito a tutto questo>> (v. 36). 11 ((ma ora>> (wéattah) segna in maniera peculiare una drastica rottura nell'analisi su quanto è passato e si concentra intensamente sul presente che può trovarsi in acuta tensione con il passato. L'espressione è insolita (alcune versioni del te­ sto non contengono questa espressione), dal momento che suggerisce che i fatti dei vv. 28-35 siano la causa del v. 36. Ma, senza dubbio, nulla potreb­ be essere più lontano dall' intenzione del ragionamento. Il v. 36 non segue in alcuna maniera l'argomentazione dei vv. 28-35. In realtà, al v. 36 il testo fa un enorme balzo in avanti, rispetto ai vv. 28-35, verso la seconda impos­ sibilità di Dio. Ora, la notizia è buona. Non è stato impossibile distruggere la città. Ma ora ci viene detto che non è impossibile il fatto che Dio faccia risorgere questa città in rovina. . Il v. 36 funziona come legame delle due impossibilità, visto che il v. 36 ripete il giudizio espresso contro la città nei vv. 28-29. Anzi, è come se il te­ sto voglia stabilire una continuità, così che noi comprendiamo che la città 76 Per una presentazione positiva delle affermazioni teologiche della classe dirigente di Sion, vedi 0LLENBURGER 1987.

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11. «TI Libro della coMolazioné» (Ger. 30,1 - 33,26) che ora deve essere fatta rivivere è realmente quella che è stata distrutta. Affinché il nodo centrale teologico sia espresso è cruciale che si tratti della stessa città. Il problema della continuità in una crisi di profonda disconti­ nuità non è diverso dal problema della continuità tra il Gesù crocifisso e il Signore risorto, testimoniata dal toccare Gesù da parte di Tommaso (Giov. 20,24-28). Come la risurrezione di Gesù è la risurrezione di Colui che è sta­ to crocifisso, così la città raccolta è città distrutta che è stata raccolta. Que­ sta città si trova nel travaglio di pesanti maledizioni (Ger. 32,36). Tuttavia, queste maledizioni vengono disgregate dall'intrusione del discorso di Dio: «Ecco!» (v. 37). Questa espressione fa coppia con quella del v. 27, creando così un parallelo retorico come se i due impossibili atti di Dio fossero posti a contrasto. Questo viene fatto seguire da tre forti verbi mediante i quali YHWH mette in atto una nuova e inspiegabile intenzione: io raccoglierò, io farò tornare, io farò abitare. I verbi contrastano in modo diretto l' espressio­ ne negativa

  • (v. 37), così che il capovolgimento dei verbi ser­ ve all'intenzione di Dio di capovolgere l'esilio. La città rifiutata è il luogo della grande, impossibile raccolta operata da Dio. Queste affermazioni programmatiche vengono poi fatte seguire da una serie di affermazioni teologiche che riflettono la migliore fede esilica di Isra­ ele, affermazioni che trovano importanti paralleli nell'Isaia esilico e in Eze­ chiele (vv. 38-41). Queste affermazioni comprendono le seguenti:

    l) La formula del patto, «essi saranno mio popolo e io sarò loro Dio>> (v. 38)77• Questa dichiarazione conferma la totale solidarietà tra Dio e Israele, una solidarietà bruscamente frantumata dall'esilio e ora del tutto ricostituita. 2) Il dono di un nuovo cuore, di una nuova disposizione nei confronti di YHWH che permette piena fiducia in Dio, che rende gioiosa l'obbedienza fedele (v. 39; cfr. Ez. 11,19-20; 36,26-27)78. 3) Una dichiarazione di un', un'alleanza che non dev'es­ sere rotta o violata nel modo in cui l'esilio ha rotto e violato la vecchia alle­ anza79. Dunque è proprio la situazione esilica di radicale discontinuità che fa sorgere e consente questa piena dichiarazione di fiducia e di continuità. 4) La promessa che Dio agirà in piena fedeltà ('emet) per fare il bene e per radicare Israele nella terra che era sembrata perduta (Ger. 32,41; cfr. 1,10). Queste quattro espressioni, tipiche dell'Israele in esilio, danno sostan­ za, profondità e forma alla grande promessa che Dio . Questo è ciò che significa . YHWH ha determinato che Israele adesso sarà completamente benedetto in quanto popolo di Dio, così che non reste­ rà nessuna delle ferite o delle cicatrici degli eventi del 587 e dell'esilio. La 77

    Cfr. SMEND 1963. Sul «cuore nuovo» vedi GOWAN 1986, pp. 69-83, e JOYCE 1988, pp. 107-124. 79 Il berit 'olam, patto eterno, emerge come particolarmente importante durante l'esilio, quando l'alleanza di Mosè sembrava essere stata abrogata. Cfr. HILLERS 1969, pp. 98-119. 78

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    Geremia parola «fedeltà» (>emet) suggerisce il fatto che adesso Israele beneficia della potenza di Dio di mantenere l'alleanza80. Questa doppia presentazione della preghiera profetica (vv. 17-25) e dell'oracolo divino (vv. 26-41) mostra come la tradizione di Geremia com­ prende ed esprime il problema dell'esilio in relazione alla fedeltà di Dio81• Le circostanze dell'esperienza di Israele al tempo in cui si è formata questa tradizione ha richiesto una formulazione a due fasi della decisione di Dio. Non si poteva, da una parte, stabilire soltanto l' «impossibilità» distrutti­ va, sia perché non era vera in se stessa sia perché non era teologicamente adeguata alla forma di governo di Dio. D'altra parte, non si poteva parla­ re soltanto della seconda possibilità di ricostruzione da parte di Dio, dal momento che questo avrebbe negato troppa parte della dolorosa disconti­ nuità e avrebbe rappresentato in realtà una forma di ((grazia a buon mer­ cato». Entrambe le (dmpossibilità» sono presenti in questa risposta ora­ colare di Dio. Entrambe sono essenziali, nella loro sequenza, alla vita di Israele con Dio. Questa duplice struttura di (dmpossibilità» è fedele tanto all'esperienza di Israele quanto alla programmatica affermazione di 1,10. Nella presentazione a due fasi potremmo vedere un'anticipazione dello sviluppo cristiano della vita in termini di morte e risurrezione82• Mentre la presentazione di questo duplice problema è senza dubbio posta in termini soprattutto ebraici (e, soltanto in via derivata, cristiani), il duplice dramma di dolore e speranza è certamente intrinseco all'esperienza umana, per co­ loro che hanno occhi per vedere. La comunanza di questo dramma viene bene descritta da George Steiner:

    C'è un giorno particolare nella storia occidentale di cui non fanno mert­

    zione né le testimonianze storiche né le leggende né la Scrittura. È un sa­ bato. Ed è diventato il pi ù lungo dei giorni. Conosciamo il Venerdì santo, a cui è rimasta legata la cristianità perché è stato quello della Croce. Ma lo conosce altrettanto bene il non cristiano, l'ateo. Questo per dire che co­ nosce l'ingiustizia, l'interminabile sofferenza, lo spreco, il brutale enigma della fine, che ha costituito così ampiamente non soltanto la dimensio­ ne storica della condizione uman a ma anche il tessuto quotidiano delle nostre vite personali. Noi conosciamo, ineluttabilmente, il dolore, il falli­ mento dell'amore, la solitudine che sono la nostra storia e il nostro desti­ no privato. Conosciamo, però, anche la domenica: per i cristiani, questo ,

    80 Sulla delicata azione reciproca di continuità e discontinuità nell'alleanza, vedi FREEDMAN 1964, pp. 419-431, e l'originale, vigorosa argomentazione di LEVENSON 1987, in part. pp. 187-217. 81 Per quanto il termine non sia stato spesso utilizzato per questo testo, il testo in realtà articola una forte proposta per una teodicea che tenga assieme la potenza e la fe­ deltà di Dio e l'esperienza di sofferenza in Giuda. 82 Cfr. NEUSNER 1986, p. 145 e passim, per queste due fasi nel paradigma decisivo dell'ebraismo.

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    11. «Il Libro della C'onsolaziohe» (Ger. 30,1 - 33,26) giorno ha il significato di un annuncio - che è allo stesso tempo sicuro e precario, evidente e al di là di ogni comprensione - di risurrezione, di una giustizia e di un amore che hanno sconfitto la morte. Se non siamo cristiani o siamo non credenti conosciamo la stessa domenica in termini precisamente analoghi: la immaginiamo come il giorno della liberazione dalla disumanità e dalla schiavitù. Guardiamo alle decisioni, siano esse terapeutiche o politiche, sociali o messianiche. l tratti di questa dome­ nica portano il nome di speranza (non c'è parola meno decostruttibile). Ma il nostro è il viaggio del lungo giorno del sabato: tra sofferenza, so­ litudine, indicibile spreco da una parte e sogno della liberazione e del­ la rinascita dall'altro. Di fronte alla tortura di un bambino, alla morte dell'amore qual è il venerdì, sono quasi impotenti persino la più grande arte e la migliore poesia. Nell'Utopia della domenica, il desiderio esteti­ co, presumibilmente, non ha più logica o necessità. Le comprensioni e le raffigurazioni nel gioco dell'immaginario metafisico, nella poesia e nella musica, che raccontano di dolore e di speranza, della carne di cui si dice sappia di cenere e dello spirito di cui si dice abbia il gusto del fuoco, so­ no sempre sabbatorie: sono sorte da una immensità di attesa che è quel­ la propria dell'uomo. Senza queste, come potremmo essere pazienti83? 32,42-44 Un oracolo ulteriore ripete lo stesso duplice dramma della vita di Israele con Dio. La formulazione retorica di 32,42 indica il duplice carattere di «come» (ka'aser) e «Così» (ken). L'uno segue l'altro ed è a esso connesso. In questo breve oracolo il giudizio distruttivo di Dio è solo accennato allo scopo di evidenziare il contrasto tra la passata azione di distruzione di Dio e la sua nuova azione di ricostruzione. L'accento, tuttavia, cade completa­ mente sulla seconda azione di Dio, quella del ristabilimento. Il «bene» (tob) promesso (cfr. tob nei vv. 40-41) è ricostruito, una vita sicura sulla terra84• La sostanza del > (ps')91• Queste parole sono però sopraffatte dai verbi forti che permettono la novità di Dio. Il risultato della decisione di Dio e della sua azione è la restaurazione di Gerusalem91 Vedi gli stessi tre termini in Es. 34,7, in una delle principali espressioni di Israele della serietà con cui Dio tratta l'infedeltà di Israele. Nell'antica confessione, un peccato di questo tipo veniva punito, qui viene perdonato. Così questo testo va contro l'antico ammonimento.

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    11. «ll Libro della consolazione» (Ger. 30,1 - 33,26) me. La città era diventata un posto di lutto e di sventura, e ora giunge la gioia! Era diventata un luogo di vergogna e umiliazione, e ora giungono gloria e splendore! L'azione di Dio crea una Gerusalemme totalmente nuo­ va. La nuova città è un dono di vita per i suoi abitanti. La città è, nello stesso tempo, un testimone potente e senza ambiguità per le nazioni. Le altre nazioni osservano sempre Gerusalemme e Dio sa che esse stanno osservando: hanno osservato mentre Dio abbandonava la città e senza dubbio hanno tratto vergognose conclusioni nei confronti di YHWH92• Ora, però, le nazioni noteranno la novità. Esse vedranno il «bene» (tob) e la «pace>> (salom), e a esse sarà richiesto di trarre nuove conclusioni nei riguar­ di di Dio e nei riguardi di Israele. Mediante il salvataggio di Gerusalemme tutte le nazioni vedranno e sapranno che c'è un Dio in Israele (cfr. I Sam. 17,46). La testimonianza più grande che si possa rendere relativa al gover­ no di YHWH giunge ogni volta che la potenza di Dio per la vita impedisce il dominio della morte93• Questa proibizione sta per essere messa in atto da parte di YHWH in Gerusalemme e le nazioni non possono evitare di notar­ lo: non potranno evitare la conclusione che devono fare i conti con il Dio di Gerusalemme. Di conseguenza la Gerusalemme sanata diventa un dato te­ ologico che richiede alle nazioni di riposizionarsi nei confronti di YHWH94•

    33,10.11 Questo secondo oracolo di promessa dichiara un potente ro­ vesciamento della situazione in Gerusalemme causato da Dio, che porterà benessere. La promessa culmina nell'utilizzo della formula programmatica «ristabilire la sorte». A condurre a questo verdetto conclusivo è un esempio concreto del rovesciamento della situazione causato da Dio. Il testo ebraico comincia con la promessa «Si udrà ancora>> e quindi l'intera frase negativa che costituisce la maggior parte di 33,10 è una proposizione dipendente che serve soltanto per identificare il posto. La negatività caratterizza soltanto il posto in cui verrà ascoltata la felice dichiarazione del v. 11. La descrizione negativa del v. 10 è collocata in un parallelismo che riguarda le città di Giu­ da indicate come un «deserto>> e le strade di Gerusalemme indicate come una «desolazione>>. Le prime di queste, le città di Giuda, sono caratterizzate da un doppio en (senza): senza umanità e senza animali. Il secondo gruppo che riguarda le strade di Gerusalemme ha un triplice uso di en (senza): sen­ za umanità, senza abitanti, senza animali. Le città e le strade assieme sono cinque volte «Senza» (en), il che fa pensare che esse siano state forzatamen­ te svuotate di ogni forma di vita, umana o non umana. È in questo posto 92 Aver tratto queste conclusioni è la base della supplica di Mosè in Num. 14,13-19 e della nuova decisione di Dio in Ez. 36,22-32. Sull'ultima, vedi BRUEGGEMANN 1986, pp. 69-87. 93 Questa è la stessa pretesa posta nell'affermazione cristiana della risurrezione di Gesù che spezza il potere della morte. Cfr. At. 2,24; I Cor. 15,54-57. 94 Alla fine questo ragionamento conduce agli oracoli dei capp. 46 51 che afferma­ no che YHWH è il fattore chiave nella vita delle nazioni. -

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    Geremia vuoto, abbandonato, solitario, senza speranza, un posto ridotto a una muta disperazione, che si sentiranno di nuovo i suoni. La buona notizia dei suoni non può essere completamente apprezzata fino a che la situazione di muta disperazione che viene contrastata non venga descritta del tutto. Geremia ha presentato tre volte la distruzione di Gerusalemme e Giuda annunciando l'eliminazione dei suoni di un matrimonio (7,34; 16,9; 25,10). La cessazione della gioia del matrimonio significa un giudizio schiacciante in cui le convenzionali relazioni sociali sono impossibili e l'intera infrastrut­ tura della comunità è venuta completamente a mancare. La comunità cesse­ rà di praticare gli atti fondamentali necessari per il suo stesso perdurare nel tempo. In questa forte dichiarazione di giudizio non c'è posto per la volontà di festa né abbastanza sicurezza, certezza, vitalità o fiducia per impegnarsi in un matrimonio che costituisce sempre un certo investimento nel futuro. Questo silenzio particolare, l'assenza dei rumori di socialità celebrativa, è tanto acuto quanto il ripetersi di «senza, senza, senza, senza, senza». È in questo luogo di desolato silenzio che sarà udito un nuovo suono. Quanto non è stato udito verrà udito di nuovo, quando la buona decisio­ ne di Dio per la vitalità della comunità umana prevale sul vuoto silenzio. Israele riprenderà la pratica sociale dell'allegria, mettendo in atto un ampio impegno per il futuro95. La desolazione sarà sopraffatta abbastanza da fa­ vorire una stagione di allegria e festa, come la comunità ricostituita annulla la cappa funerea dell'esilio. Le voci che cantano nei matrimoni cantano anche un canto più teologico, dato che la ripresa della vita sociale è intimamente connessa con la ripresa della vita con Dio (33,1lb). Dunque le voci che cantano canti nuziali canta­ no anche un canto di ringraziamento a Dio. Questo canto di ringraziamento implica un atteggiamento concreto di gratitudine, un'offerta che annuncia una benedizione ricevuta. Il canto di ringraziamento, accompagnato da of­ ferte come gesto di gratitudine, canta il carattere di YHWH . Il ringraziamen­ to viene espresso perché YHWH è buono (fa il bene), perché l'amore fedele di YHWH dura per sempre. Due affermazioni operano in questa dossologia. Primo, essa viene espres­ sa nell'esilio, proprio quando YHWH non sembra né buono né fedele. Quello che Israele crede relativamente a Dio, in questo caso, non deriva dalle cir­ costanze, ma viene cantato contro le circostanze. Secondo, l'accostamento di canto nuziale e dossologia mette in evidenza quanto la fede di Israele sia invischiata nel tessuto della vita. I due canti sono differenti, ma non privi di collegamenti. La gioia di dare un futuro alle relazioni umane deriva dal 95 Le trasformazioni sociali nell'Europa dell'Est nel recente passato offrono impor­ tanti parallelismi con l'annuncio di queste promesse. Dopo !'«apertura» dell'Unione Sovietica, venne aperto, dopo cinquant'anni, un cabaret. Un commentatore osservò che > [N.Riv. : ] viene usata una volta in più, ma è rafforzata dalla frase finale «avrò pietà di loro>>. È proprio nell'esilio, quando tutto sembra perduto, che la misericordia viene allo scoperto come via privilegiata di Dio nei confronti di Israele100. La mi­ sericordia resiliente di Dio rende la discontinuità apparente dell'esilio meno decisiva. L'oracolo legge la realtà contro le circostanze visibili.

    99 Pertanto, laconicamente, questi versetti sono in effetti una risposta alla questione della teodicea, facendo una dichiarazione non diversa da quella del Sal. 73. Sulle que­ stioni della teodicea nel Sal. 73, vedi WILLIAMS 1983, pp. 50-51; BUBER 1983, pp. 109-1 1 8. IOO Cfr. BRUEGGEMANN 1991.

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    Geremia Insieme, questi sette oracoli costituiscono una dichiarazione notevole per Israele in esilio: l'impegno di Dio con Israele nel presente e la decisione di Dio per il buon futuro di Israele sono pienamente sostenuti e riaffermati. Il processo redazionale del libro di Geremia ha riunito in una potente rac­ colta gli oracoli della incessante fedeltà di Dio come una conclusione per il «Libro della consolazione>>. Questi oracoli hanno sostenuto e sostengono Israele anche nei suoi tempi di abbandono.

    306

    12 Un caso di studio sulla fedeltà Geremia 34,1-35,19

    Questa narrazione inizia con un'allocuzione al re Sedechia (34, 1-7), propo­ ne due racconti riguardanti la comunità - uno negativo (34,8-22) e uno posi­ tivo (35,1-11) -eque conclusioni dai contrastanti «Casi di studio))(35,12-19). 34,1-7 Questi versetti lanciano ancora una volta un duro annuncio con­ tro la città e il re di fronte alla minaccia di Babilonia, una minaccia che il profeta tipicamente considera come una minaccia proveniente da YHWH. Il testo ha paralleli in Ger. 21,1-7; 37,3-10 e 38,14-28, dove sono espressi i me­ desimi argomenti. In ciascuno di questi, Sedechia riceve o riconosce una dura parola dal profeta. Questo testo è incorniciato da affermazioni riguardo l'ordine (34,1-2a) e l'esecuzione (vv. 6-7). Nell'ordine, la parola del profeta è in un contesto di terribile pressione da parte di Babilonia. Si noti il ripetuto utilizzo del­ la parola «tuttO>> (v. 1). La parola consegnata al profeta è coerente con la consapevolezza che tutti gli eserciti e tutti i popoli sono contro tutte le cit­ tà. Ai vv. 6-7 ci viene detto che Geremia ha parlato come gli è stato ordi­ nato da Dio. Di nuovo, al termine della sezione ci viene ricordato il conte­ sto della grande minaccia militare. L'utilizzo della parola «tutto))- «tutte queste parole>> (v. 6), «tutte le città>> (v. 7) - suggerisce un collegamento tra un contesto di sinistro pericolo e un messaggio di pesante minaccia. Il mondo conosciuto di Gerusalemme è preso d'assalto dalla parola e dall'e­ sercito imperiale. Il messaggio dato da Dio mediante il profeta costituisce il centro del te­ sto (vv. 2b-5). È questo messaggio che è comandato (vv. 1-2a) ed eseguito (vv. 6-7). Il messaggio stesso è diviso in due parti. Nella prima parte éè uno schietto annuncio di giudizio e destino (vv. 2b-3 ) . Il giudizio comprende

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    Geremia la città di Gerusalemme (che sarà distrutta) e il re (che sarà preso da Babi­ lonia). Non c'è scampo da Babilonia. Il giudizio contro il re, comunque, è meno severo di quanto sia stato p·romesso altrove per lo stesso re. In altri passi viene preannunciato che il re soffrirà una morte crudele (21,6-7). Qui viene soltanto anticipato che Sedechia dovrà dare una risposta davanti al re di Babilonia. Forse la morte crudele esplicitamente espressa in altri passi in questo brano è implicita nella comparsa del re alla corte imperiale. In ogni caso, il giudizio è ambiguo, ma non per questo meno sinistro. Nella seconda parte, tuttavia, viene fatto un annuncio diverso, che pre­ senta un differente futuro per il re (34,4-5). In questo passo si preannuncia che il re morirà di una morte pacifica, che sarà onorato nella morte e sepol­ to nei modi propri e compianto dal suo regno. (Sull'umiliazione di rimane­ re senza lamento funebre, vedi Ger. 22,18-19, che contrasta il nostro passo.) Gli studiosi sono stati rapidi nel notare che il verdetto nei confronti del re Sedechia in 34,4-5 è molto differente da quello pronunciato nel v. 3. Ti­ picamente, ci sono due modi di gestire la contraddizione: da una parte, il termine «in pace» (besalom) viene corretto per essere letto «in Gerusalem­ me» (byrwslm). Questa correzione non annulla completamente la contrad­ dizione, dal momento che al v. 3 egli deve essere portato a Babilonia e non deve morire a Gerusalemme. La correzione proposta elimina però la parola chiave che suggerisce una morte tranquilla. Più plausibilmente, a nostro giudizio gli studiosi leggono l'affermazio­ ne ai vv. 4-5 ipotizzando una costruzione protasi-apodosi che implicasse un'argomentazione condizionale «se-allora»: [se] tu ascolterai la parola del SIGNORE [ . ) [ allora] tu morirai in pace. .

    .

    Questa costruzione del messaggio è congruente con l'argomentazione di Geremia in altri passi relativa all'obbedienza e alla benedizione. Inoltre questa lettura permette ai vv 4-5 di avere senso anche dopo l' affermazio­ ne dei vv. 2b-3. Cioè, i vv. 2b-3 presentano il giudizio atteso, ma i vv 4-5 aggiungono una clausola condizionale con un risultato alternativo per un mutato comportamento. L'alternativa di ascoltare la parola, tuttavia, signi­ fica in realtà sottomettersi a Babilonia, l'esortazione fatta fin qui dal profe­ ta. Secondo questa lettura del