Fuori margine. Testimonianze di ladri, prostitute, rapinatori, camorristi 8806159690, 9788806159696

"Fuori margine" è il frutto di centinaia di interviste raccolte nelle carceri italiane, nei quartieri del disa

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Italian Pages 255 Year 2001

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Fuori margine. Testimonianze di ladri, prostitute, rapinatori, camorristi
 8806159690, 9788806159696

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Gi ul i oS a l e r no

Fu o r i ma r g i ne Te s t i mo n i a n z ed i l a d r i , p r o s t i t u t e , r a p i n a t o r i , c a mo r r i s t i

Gl i s t r uz z i . 5 3 9

Ei na udi

"Fuori margine" è il frutto di centinaia di interviste raccolte nelle carceri italiane, nei quartieri del disagio, fra la manovalanza della criminalità. Da questo immenso serbatoio di vite e racconti Giulio Salierno ha scelto una ventina di personaggi. A parlare sono proprio loro, i ladri, i rapinatori, gli spacciatori, le prostitute, i camorristi. Raccontano con semplicità la loro vita, i crimini commessi, i loro amori, i loro odi e i loro sogni spezzati. Non cercano giustificazioni, non accusano nessuno. Descrivono la realtà in cui sono nati e vivono. Conoscono bene solo il carcere, i rischi quotidiani. A volte braccati, altre in semilibertà, sempre con i sensi all'erta, i nervi tesi, non credono al futuro e combattono una guerra senza ideali.

©

1001

Giulio

Einaudi editore s.p.a., Torino

www

ISBN

.cinaudi.it

88-o6-1 '96; come si fanno chiamare le guardie in prigione . Ho partecipato anche a uno sciopero della fame. In quell'occasione, il mio corpo mi ha dato una vera e pro­ pria lezione. Dopo un po' , ho iniziato a sentirmi dentro un'energia formidabile. La voce del corpo e la forza di volontà mi hanno protetto. La galera ti schianta, ti fa a pezzi senza pietà se l'affronti malnutrito o senza la vo­ glia di farcela. E una lezione che vale per tutta la vita. c

Poi è finita. Sono uscito. Non vedevo l'ora di tor­ nare a vivere . Mi volevo rifare di tutto quello che ave­ vo perso: donne , divertimenti, viaggi. In carcere ave­ vo conosciuto dei tipi svelt i. Appena fuori , li contat­ tai . E mi diedi da fare . Di brutto. Soprat tutto rapine . Dopo un po' , i soldi mi uscivano dalle orecchie . Spen­ devo come un pazzo. Ero diventato il re dci night . Le entraineuse mi coccolavano. Credevo di essere Al Ca­ pone. Sapevo di comportarmi da cretino, ma era piu

OGGI

forte di me. Del resto, fanno cosf un po' tutti i mala­ vitosi. Non a caso gli occhi e le orecchie della polizia sono le put tane, i ricettatori e i locali notturni . Come è noto, i soldi fatti in fretta, vanno via in fretta. Cosf nacque l' idea, molto cinematografica, del colpo gobbo. In realtà, non miravo solo ai soldi. Mi piaceva l' idea in sé: la sfida, la trasgressione. Non so il perché, ma tutti i rapinatori aman.o il ri­ schio, il botto senza precedenti. Credo sia un po' co­ me per gli sportivi. Non sei contento fino a quando non fai il record , vinci tutti. Poi puoi anche morire . In­ somma, non è vero che l ' importante è partecipare . L'importante è vincere . Conta solo la vittoria. E una rapina da manuale è meglio di un record , è la vittoria delle vittorie . Il traguardo che tutti sogniamo nella vi­ ta. Non ci credo che questo riguardi solo le persone co­ me me. Snrà la biologia, sarà la psicologia, ma agli uo­ mini la guerra piace. I pacifisti sono una minoranza. Gli altri, tutti gli altri, se potessero, farebbero una guerra al giorno. Non lo fanno solo perché hanno paura. Mi fu facile trovare persone disposte a rischiare il tutto per tutto. Poi decidemmo il >. Qualcuno pensò a un furgone portavalori, qualcun altro a un bul­ ldozer, c un terzo a una rampa di uscita da u n ' auto­ strada. Gli elementi chiave del lavoro , a questo punto, c 'erano tutti. Il resto erano dettagli tecnici . Trovam­ mo le armi e ci addestrammo come un plotone di as­ saltatori . Aspettammo il momento giusto e attaccam­ mo. Era il 1 99 1 . Il seguito è cronaca: enorme scalpo­ re , funerali solenni per il vigilante ucciso, indagini senza sosta. Qualcuno di noi sette fece il fesso e ci sco­ prirono . Fummo arrestati in cinque, due confessarono . Al processo mi diedero tre n t ' anni. Ricominciai la vita carceraria. Chissà quando la fi­ nirò . La prigione è cambiata. Radicalmente . Entrano molti tossicodipendenti, ammalati di Aids. Soprattut­ to molti immigrati extracomu nitari . Con questi la con­ vivenza è impossibile . Troppe differenze ; troppi casi-

I l . RAPINATORE

n i . Sono piu disgraziati di noi . Arrivati in Italia cari­ chi di aspettative , sono rimasti delusi e fregati. Alcuni tra loro hanno un buon livello culturale. Molti sono de­ gli sbandati e creano problemi tutti i giorni . Non han­ no colpa per questo. E come un terremoto. Fa crollare le case, ma non è che voglia farlo . Ti possono accoltel­ lare per niente, senza rendersi conto di quel che fan­ no . Il carcere poi non li preoccupa molto. Sono abituati a ben altre pene. Tra qualche anno, anche fuori ci sa­ ranno scontri violenti tra italiani e immigrati . In gale­ ra, tutto è piu visibile . Si capisce prima. I n prigione , nel carcere di Rebibbia, lentamente, molto lentamente, ho cominciato a riflettere su me stes­ so, sul mio passato . Mi ha molto aiutato la psicologa del penale, la dottoressa Stefania La Torre. Mi ha fat­ to capire i perché dei miei comportamenti, mi ha, pia­ no piano, ristrut turato la testa, messo a posto il cer­ vello. Ho scoperto che, per me, la vera trasgressione sarebbe stata continuare gli studi . Mi sono accorto che ci vuole coraggio, piu coraggio ad alzarsi tutte le mat­ tine alle 6, tutte le sante mattine, per anni e anni, per andare a lavorare , che per fare una rapina. O meglio, sono forme di coraggio diverse . Chi fa l'operaio, il tran­ viere o il muratore non fa e non farà mai la bella vita. Non farà mai, armi in pugno, terra bruciata. Ma creerà qualcosa di duraturo: una famiglia, ad esempio . Sento molto la mancanza di una famiglia mia; creata da me . Vorrei sposarmi , avere un figlio . Durante i brevi per­ messi, sono stato con donne . Per fortuna. Almeno uscirò meno rovinato sessualmente. Ma è diverso ri­ spetto a ciò che provo. Però, non sto con le mani in ma­ no aspettando la manna . Ho ripreso gli studi . Seria­ mente. Molto seriamente. Ho preso, con ottimi voti, un diploma di perito informatico . Un'ipoteca positiva sul futuro. A differenza dell 'altra volta, ho imparato ad accettare la carcerazione. Ho ammazzato, è giusto che paghi dietro le sbarre .

Il camorrista Benito L. , italiano , 3 8 anni

N apoli è una città senza Dio. Raffaele Cutolo ne fa­ ceva le veci. Sono entrato nella Nuova Camorra Orga­ nizzata nel 1 97 9 . Avevo 1 7 anni. Possedevo vaghe no­ tizie sulla Neo e sul suo fondatore e leader, Cutolo. Però, ero spinto da una speranza : diventare uomo, ac­ quistare dignità. Non ne potevo piu di vivacchiare al­ la giornata, tra furtarelli, scippi e gioco delle tre carte. Avevo cominciato a sgarrare a I I anni. Non a Napoli, ma nella mia città d 'origine : Bari. Abitavo con i miei, gente perbene, onestissima, in centro, corso Cavour, il viale del passeggio e dello shopping, vicino al Teatro Petruzzelli. Ma a me piaceva scorrazzare, con altri ra­ gazzetti della mia età, nei vicoli della città vecchia. Mi divertivo un mondo a vedere come i piu grandicelli scippavano i turisti vicino alla cattedrale di San N ico­ la. Erano abili , geniali . Uscivano in due in motorino, come falchi, dall 'arco di fronte all a cattedrale . Strap­ pavano le borsette alle signore che fotografavano la fac­ ciata della chiesa. E si rituffavano imprendibili da do­ ve erano venuti. Non vedevo l 'ora di imitarli. Per farlo, mi aggregai a uno piu grandicello di me, che possedeva una vespa rubata. Cominciò cos{ la mia carriera di scippatore . Ero svelto, furbo, scattante come una molla. Mi piaceva strappare, con un guizzo, le borset te. Ci trovavamo di tutto: soldi, chiavi, patenti, assorbenti. Le chiavi e i documenti li davamo ai piu grandi, che falsificavano i documenti e provavano, con le chiavi, a entrare, a col­ po sicuro, nelle case dei proprietari . Un giorno rovi-

Il.

CAMORRISTA

nammo a terra col motorino . E la polizia mi agguantò . Avevo 1 2 anni . Piangevo dalla paura. Ma i poliziotti non mi fecero nulla. Mi diedero due scapaccioni e av­ visarono i miei . Successe un casino. Mio padre era fu­ ribondo, si vergognava, mia madre piangeva . I nsom­ ma, un caos . Poi, vennero quelli dei servizi sociali . Con­ vinsero i miei a mettermi in collegio . Fu una pessima soluzione . Scappai via dopo una settimana. Tornai a casa e ricominciai a scippare. Mi acchiapparono di nuo­ vo e poi ancora e ancora . Iniziò, per me, la solita, stuc­ chevole , inutilissima trafila dei perdoni giudiziari, del­ le perizie psicologiche, del riformatorio e del carcere minorile . Ai « minorenni >> potevo fare di tutto: man­ giare, dormire, fumare, vedere la Tv, studiare, rifiu­ tarmi di studiare, inculare chi ci stava e anche chi non ci stava, giocare a pallone. Soprat tutto, fare le amici­ zie « giuste •> . I miei , nel frattempo, s i erano trasferiti a Milano . Non volevano piu stare a Bari. Dicevano che, a causa mia, si vergognavano. Comunque, i miei rapporti con loro erano diventati impossibili . Ci litigavo sempre . Soffrivo come un cane per questo. Anche se non lo da­ vo a vedere. Ero molto attaccato ai miei, soprattutto a mia madre. Il loro trasferimento a Milano fu un sollie­ vo per me . Ogni volta che venivano a trovarmi ai « mi­ norenni >>, stavo male . Cominciavo a sudare freddo già da prima che arrivassero . Ero attanagliato dall 'ango­ scia. Vomitavo . Trasferendosi al Nord, mi liberarono da un peso . Ma a tutt'oggi preferisco non parlarne. È una ferita ancora aperta. Ancora qualche mese di prigione e mi liberarono. In­ vece di raggiungere i miei a Milano , andai a Napoli per incontrare, come ero d' accordo, certi ragazzi napole­ tani con cui avevo fatto amicizia ai « minorenni >> . Ave­ vo 1 6 anni . Napoli, per me, fu uno choc . Non ci ero mai stato . Non immaginavo che si potesse vivere dal­ la mattina alla sera in un bordello simile . Nessuno ri­ spettava i semafori . Le macchine schizzavano via fui-

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minee, anche contromano. Tutti gridavano, parlavano, scherzavano a voce alta. Anche di notte . Piano piano, mi abituai . I miei amici furono splendidi . Andai ad abi­ tare in un basso di uno di loro, nei Quartieri spagnoli, a due passi da una delle strade piu eleganti della città: via Toledo . Il contrasto tra le splendide vetrine di via Toledo e i bassi dei Quartieri era incredibile. Accanto al lusso piu sfacciato, il popolino, il famoso popolino napoletano, manifestava la sua celebre « arte di arran­ giarsi » . Il terremoto non aveva ancora messo in ginoc­ chio i vicoli del centro. Il contrabbando di sigarette era ancora la prima industria cittadina. I miei amici si ar­ rangiavano tra contrabbando , bidoni, sdppi e furti . Volevano, però, fare delle rapine, guadagnare piu sol­ di. Pensavano che fossi proprio il tipo adatto per que­ sto genere di lavori. Intanto, dovevo imparare a cavarmela nel traffico. Non mi ci volle molto. Giravo con una moto l-londa rubata. In breve, divenni abilissimo a destreggiarmi tra vicoli , ingorghi, strettoie, parcheggi, imbuti, budelli e pertugi. Il segreto stava tutto qui . S filare via, in pochi attimi, a zig-zag, nel traffico. Lasciare le macchine del­ la polizia impantanate tra un delirio di clacson, be­ stemmie, urla. Per me era come un gioco . Il gioco, vec­ chio come il cucco, di guardie e ladri . Non cc l' avevo con i poliziotti che mi inseguivano. Anzi. Facevano il loro mestiere . Un brutto mestiere . Del resto, non ave­ vo ancora acquisito la mentalità del guappo. In fin dei conti, ero ancora un ragazzino. Giravo disarmato. Allora, prima del terremoto, a N apoli, non si vive­ va ancora l ' orrore delle immense periferie condomi­ niali. L' allu cinata umanità dei baraccati del cemento armato del rione De Gasperi, di Ponticelli, Secondi­ gliano, Scampia, dove sorgono le famigerate « Vele » , era ancora d a venire. N e i Quartieri spagnoli, dove vi­ vevo io, a Forcella o nel rione Sanità, c'era povertà, « allegra », folkloristica povertà. Napoli era l'unica città al mondo dove, nello stesso palazzo, coabitavano sotto-

IL

CAMORRISTA

proletari al pianterreno, operai, impiegati e avvocaticchi nei piani intermedi e baroni e principi a quelli alti. In­ so�ma, la miseria divideva, ma il caseggiato univa. E falso, poi, che i napoletani siano degli sfaticati. Sul momento non me ne resi conto, vedevo i panni ste­ si per strada, sentivo la gente strillare, cantare, litiga­ re, fare ammuina . E non capivo che cosa ci fosse die­ tro. Col tempo , scoprii che nei bassi, nei vicoli, ovun­ que, intere famiglie, anche i bambini piccoli, passavano la giornata a incollare suole per le industrie di scarpe del Nord , a verniciare i pupazzetti per i presepi, a im­ pagliare sedie, intagliare mobili, costruire lampadari in ferro battuto. Insomma, lavoravano tutti come danna­ ti, per due soldi, senza assistenza medica o contributi per la pensione . Non conoscevano bene neppure i loro datori di lavoro. C 'era una sorta di capozona che pas­ sava per assegnare i compiti, ritirare i manufatti, pa­ gare i salari. Tutto ciò, per me, fu una vera scoperta. Come spesso capita, in un primo momento, avevo vi­ sto l'albero, ma non la foresta. Tentai, con i miei amici , di fare il salto di qualità per il quale ero venuto a Napoli. Provammo ad allargarci . Qualche scippo ben studiato, delle rapine, dei furti piu redditizi . Ci accorgemmo in breve tempo che a � apo­ li, come dicono a Roma, non c'è trippa per gatti. E una città dove, da soli, si possono fare solo reati da quat­ tro soldi, contrabbando minuto o truffe . Le attività si­ gnificative erano e sono in mano a clan, a famiglie ca­ morristiche . Sia chiaro: tu puoi fare quello che vuoi . Ma appena cerchi di espanderti , è inevitabile cozzare· contro gli affari di questa o quella famiglia . Napoli non è Palermo , non ti ammazzano solo per questo . Del re­ sto nessuno , forse solo le SS, potrebbe controllare una città dove l'ille galità è norma, ci sono persone che cam­ pano facendo , in tribunale , il « testimone » e decine di migliaia di automobilisti circolano con polizze assicu­ rative e bolli falsi. Dunque, i clan, all' inizio, si limita­ no a suggerirti, a farti capire che , per il tuo bene , ti

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conviene rientrare nel tuo guscio. Adesso le cose sono diverse. Ne parleremo dopo . È anche da tenere pre­ sente che i clan camorristici provengono , quasi tutti, dalla provincia della città. E c'è un motivo . Queste fa­ miglie si sono affermate, dopo anni e anni di scontri , soprattutto nel mercato degli ortofrutticoli. E il mer­ cato ortofrutticolo, vero c proprio polmone di Napoli , si svolgeva e si svolge nel circondario della città. Per affermarsi in quel mercato, i clan, però, non han­ no fatto solo ricorso alla forza. Hanno dovu to impara­ re a gestire gli affari, fare una politica delle alleanze , agire con un pugno di ferro mascherato da carezza. Inol­ tre, in quei paesi, soprattutto a Casal di Principe, c'è tutta una tradizione di guapperia, di onore c di sfide. Siamo arrivati al punto. S tanco di correre in tondo senza concludere nulla, provo a entrare nella Nuova Camorra Organizzata. La cosa non era tanto semplice . Oltretutto, io non ero neppure napoletano. Conosce­ vo, però, gente che lavorava per Cutolo. Cominciai una lenta opera di persuasione . Si trattava di farmi pren­ dere sul serio. All'epoca, Cutolo si stava affermando scontrandosi con i vecchi clan camorristici. Tra i suoi nemici c 'era anche la famiglia Marcsca, che gli dava c gli avrebbe dato molto filo da torcere. Cutolo, poi, era molto limitato nei suoi movimenti. In realtà, era sem­ pre al manicomio giudiziario o al carcere. In parte, ne facevano le veci la sorella Rosetta e diversi luogotenenti fidati . Ma una cosa è guardarsi i propri affari di per­ sona, altra farlo, dal fondo di una prigione , per inter­ posta persona. Già questo dà la misura dell' abilità dell 'uomo. Cutolo era un personaggio affascinante. Aveva una concezione moderna, avanzata della camorra. Era chi­ lometri avanti rispetto ai clan tradizionali . Capiva che i vecchi sistemi erano superati . Che non ci si poteva at­ t ardare nel controllo dei mercati ortofrutticoli c del contrabbando . C 'era un mondo da conquistare . Tutta Napoli poteva essere terra di conquista. Ma la vera,

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straordinaria capacità di Cutolo consisteva nell'aver fatto della Nuova Camorra Organizzata una sorta di società di mutuo soccorso. Una specie di partito o sin­ dacato . L'organizzazione di Cutolo, infatti, consentiva a mi­ gliaia di giovani emarginati ridotti in miseria, gente or­ mai priva di ogni speranza, di sentirsi parte di una co­ munità, di entrare in un gruppo formato da persone so­ lidali tra loro. Piu di una famiglia. Un'organizzazione a ntisistema . Un' associazione che trasformava la tra­ sgressione dei singoli in opposizio ne antistato. Organiz­ zazione, oltretutto, che no n soffriva di sudditanza nei confronti dello Stato e né si poneva in posizione di col­ lusione con il potere. Insomma, per Napoli, una cosa mai vista prima. E forse mai vista prima in tutta Italia. Cutolo, cioè, agiva come elemento di coagulo dello spirito di rivolta degli emarginati e dei detenuti. Era un agitatore sociale, una specie di rivoluzionario: il Che Guevara del sottoproletariato napoletano. E non si li­ mitava alla predicazione . Con la Nuova Camorra Or­ ganizzata offriva aiuto economico e assistenza legale agli imputati c ai ricercati suoi appartenenti. Dava uno stipendio agli affiliati; lasciava loro libertà di iniziati­ va, di inventiva. Li promuoveva sul campo e, in caso di arresto, continuava a sovvenzionare le loro mogli e figli . I n altre parole , in un'area afflitta dal piu alto tas­ so di disoccupazione europea, da sempre abituata al la­ voro nero, a sopravvivere con l'esercizio di mille me­ stieri, Cutolo offriva, ai suoi, lavoro, assistenza, pro­ tezione e prestigio. Tutto questo è sempre stato ignorato o sot tovaluta­ to dalla stampa, dai giudici e dai politici . E quando Cu­ tolo, per difende r si , diceva , vantandosene, di essere uno strumento di redistribuzione della ricchezza a van­ taggio dei piu poveri, si giudicav a no queste afferma­ zioni come scuse o delirio di una mente malata. Inve­ ce, Cutolo diceva la verità. L'uomo poteva anche es­ sere pazzo, non lo so e nessuno può e sser n e certo, ma,

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quello che dichiarava, lo faceva sul serio . Naturalmen­ te, col passare degli anni , riflettendo, mi sono reso con­ to che il lavoro offerto da Cutolo consisteva, poi, tut­ to sommato, in un impiego di riscossore di « tributi», di spauracchio nel traffico di sigarette, di gestore di sa­ le da gioco o di killer. E che la promozione sociale e il prestigio offerti erano direttamente proporzionali alla capacità di intimidazione e di violenza esercitata nei riguardi dei non affiliati. Resta, però, il fatto che noi cutoliani eravamo un po' guerriglieri e un po ' populi­ sti. Una sorta di peronisti; come ho imparato studian­ do in carcere . Non a caso a N apoli operavamo come pesci nell' acqua . Eravamo il meglio, non il peggio di quella città. Io, a questo meglio volevo partecipare . Cominciai col fare piccoli servizi . N aturalmente, non parlavo con Cutolo, solo con qualcuno dei suoi. Mi feci apprezza­ re. Un giorno mi fermò la polizia, portavo, in un pac­ co, due revolver per uno del giro. Solito andazzo: in­ terrogatorio c schiaffoni. Poi, spedito diretto, come un pacco postale, al carcere minorile . A Nisida. Un posto dove lo S tato forma i killer . Con l 'Accademia Aero­ nautica, per i bombardamenti aerei; con il carcere, per la camorra. Ai « minorenni » tenni la bocca chiusa. Rac­ contai balle . Feci pochi giorni . Uscito, per prima cosa mi procurai una pistola: una W alter 7 , 65 . Era tempo . Oltretutto, le armi mi sono sempre piaciute . Con una pistola in mano mi sentivo bene . Non mi sentivo piu forte di un altro , solo sicuro di poter af­ frontare qualsiasi situazione. Mi addestrai anche a spa­ rare. Tutti gli esercizi di tiro di questa terra, però, non servono a niente, se non hai lo stomaco capace di af­ frontare un altro armato come te. E, nell 'ambito dei clan, è facile scontrarsi con gente che ti spara addosso . Può capitare per tanti motivi. Uno fra tanti è andar� in un quartiere controllato da una famiglia nemica. E un'invasione di territorio. Una sfid a . U n insulto. Se entri in un clan dcvi sapere che hai, automaticamente ,

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amici e nemici . E se giri disarmato non sei u n corag­ gioso, ma solo uno stronzo. Oltretutto, può capitare di incontrare i nemici anche casualmente. E quelli, se pos­ sono , ti tirano addosso. E f � nno bene a farlo. Altri­ menti tu potresti preceder li. E la regola. Come in guer­ r a . Ai nemici si spara. Attenzione, però, non siamo al cinema. lo, se vedo un nemico, non lo affronto in mezzo all a strada. Non faccio l' O . K . Corra! . Mi nascondo, lo lascio passare e gli pianto tre pallottole nella schiena. Come, del resto, farebbe lui. Lo dcvi ammazzare anche perché lui po­ trebbe far fuori i tuoi amici . Comunque, questo non basta. Ogni stronzo sa uccidere. Non ci vuoi nulla, non si prova nulla. Già quando ammazzi la prima volta, non senti niente . Infatti, nella testa hai vissuto la stessa sce­ na mille volte. Cos!, poi, quando ti capita sul serio, re­ sti deluso . Ti aspettavi qualcosa di piu. Del resto, una sparatoria dura pochi secondi. Svuoti il caricatore e via. Rischi non ne corri. Salvo che non sia tu il bersaglio o che l'altro faccia in tempo a risponderti . Dovresti es­ sere cosi sfortunato da incappare in una pantera della polizia. Ma è difficile, molto difficile. Tu, prima di far fuoco, uno sguardo attorno lo dài. E i tuoi sensi sono tutti all'erta. I poliziot ti, anche in borghese, li fiuti al volo . Della gente te ne freghi. Nessuno interviene, scappano tutti. Solo un pazzo si metterebbe in mezzo. Poi i vicoli ti proteggono. In un attimo, sei lontano. Dopo che spari a uno, che lo vedi accasciarsi in ter­ ra piegato in due, capisci il potere dell'arma. Le per­ sone ti passano accan�o e comprendi che la loro vita può dipendere da te. E una sensazione strana. Ti sen­ ti padrone del destino degli altri . Perdi il senso della realtà. Diventi un pericolo pubblico: non hai paura di finire ammazzato, la galera ti fa un baffo. La gente non ha la minima ipea di cosa voglia dire la violenza, della sua efficacia. E abituata a ragionare in termini di giu­ dici , polizia, carabinieri, avvocati. Non immagina che tu possa essere, nei suoi confronti, giudice , poliziot to,

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carabiniere , avvocato. E becchino. Quando gli capita, quando la minacci perché, ad esempio, vuoi il pizzo, se non è esperta, per prima cosa corre al commissariato. E scopre, con sorpresa, che la polizia non può far nul­ la, non può aiutarla. Infatti, si accorge che denunciare un camorrista per minacce è come pretendere di svuo­ tare il mare con un secchiello . Allora ha paura, si ter­ rorizza. Se la prende con lo S tato, con i giornali , con il governo . Con tutti, salvo che con la propria vigliac­ cheria. E paga. Puntuale . Caccia i soldi senza fiatare . Ti ringrazia pure . Alcuni sono t almente terrorizzati, che se gli chiedi di farti scopare la moglie, si fanno in quattro per f ar­ telo fare . Ma non c'è da meravigliarsi per questo. E la vita. La paura è umana. Del resto, ho visto dci super­ guappi farsela sotto per paura di Cutolo o di altri ca­ piclan. C 'è anche gente coraggiosa, che non ti pensa proprio . Preferisce rischiare la pelle piuttosto che ce­ dere . E spesso ce la rimettono . Ci sono anche camor­ risti che si mettono nei guai per una don na. Magari s 'innamorano di una ragazza di un clan rivale . O non sanno tenere in riga la moglie . O si met tono con piu donne . Adesso non è piu cosf, ma allora buona regola era stare solo con una ragazza. Fidata. Infatti, i capi stavano solo con la moglie. E si capisce il perché . Se ti fai un'amante, questa può spararti per gelosia. O, peg­ gio , molto peggio, può essere comprata da un clan av­ versario. Oppure parlare con la polizia. I camorristi co­ sf sconsiderati diventavano un pericolo per tutti gli al­ tri . E il capo poteva decidere di farli fuori. A differenza di oggi, non era neppure ammesso tu ti facessi le pere : i tossici erano disprezzati. Anche chi parlava a vanve­ ra, metteva zizzania, rischiava la pelle . Non tutti rie­ scono a ragionare. D'altro canto, questi bordelli sono un classico . I produttori cinematografici su queste sto­ rie hanno costruito la loro fortuna. lo, le prime volte che c'era da sparare a qualcuno, ho cominciato a farlo andando assieme a qualcuno piu

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esperto di me. Le cose sono piu semplici di quel che ci si immagina. Tu vai con lui e agisci. Non ti spiega nien­ te nessuno. Devi già saperlo a memoria quel che c'è da fare . Puoi anche rinunciare . Non succede nulla. Fai la figura del cacasotto. Finisce H. N aturalmente, poi hai chiuso. E si capisce bene . A causa delle tue p aure i tuoi compagni possono !asciarci la pelle . Debbono poter contare su di te. Non tutto va sempre liscio come l'olio. E se, al momento decisivo, tu vai nel pallone , per i tuoi compagni può essere la fine . A mano a mano, con l'esperienza, acquisisci profes­ sionalità. I mpari ad ammazzare senza tanti casini . Ci vuole tecnica. Infatti, spesso, i tuoi nemici sono dei ca­ morristi E sono furbi, svelti, diffidenti c sanno spara­ re come e piu di te. Quando ho iniziato, spesso, si usa­ va farlo in due, in motocicletta. Ti accostavi da sini­ stra, come dovessi sorpassarla , all ' auto guidata da quello che dovevi far fuori, e il tuo compagno seduto dietro , tirava alla testa dell ' autis ta. Tu immediata­ mente frenavi . I nfatti, l ' uomo colpito perdeva il con­ trollo della macchina e l ' auto poteva venirti addosso . Adesso si usa poco fare cosi. Il metodo è troppo cono­ sciuto. Soprattutto è cambiata Napoli. Cutolo, vecchio e malato, è fuori gioco . Non si Ci\_· pisce perché lo tengano ancora nelle carceri speciali . E finito, completamente finito: da un secolo. Ma appar­ tengono a un'altra epoca anche famiglie qu alche anno fa in auge come quella dei Pasquale Galasso e dei Car­ mine Alfieri. Non sono piu cronaca, forse solo storia. Da studiare alle scuole elementari. Il là del cambill,­ mento, come ho già detto, lo ha dato il terremoto. E stato il primo scossone. Il resto lo hanno fatto i politi­ ci, i sindacati e i costruttori. Hanno trasformato la pe­ riferia di Napoli in una giungla. I politici hanno dato i permessi, i sindacati li hanno appoggiati per creare « la­ voro » e i costruttori l'hanno edificata. Bel capolavoro ! Dormitori spcttrali di dodici piani , collegati tra loro con ponti sospesi sopra vie a scorrimento veloce, fab-

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OGGI

bricati a blocco di mille metri, svincoli stradali che fi. niscono nei campi , scheletri di palazzi e ospedali mai finiti. Poi: tonnellate di rifiuti, discariche abusive, au­ to abbandonate , sporcizia e squallore ovunque . Non basta: niente negozi, uffici postali, edicole, tabacche­ rie . Nulla di nulla. Niente sedi di partito o centri cul­ turali. Unici punti di aggregazione le sale gioco con flip­ per e videogames. Si oppongono al deserto solo alcune brutte chiesette c qualche circolo scolastico. Combat­ tono una bat taglia persa in partenza contro la disoccu­ pazione , la povertà e l'analfabetismo. Che può nascere in questo ambiente ? Non c'è spe­ ranza, non c'è futuro, solo abbrutimento. Infatti, scom­ parso dalla scena Cutolo, è venuto a mancare un punto di riferimento per tutti. Nessuno dei suoi succes,sori è riuscito, neppure alla lontana, a imitarlo . Anzi. E suc­ cesso come nel Medio Evo. Molte famiglie per difen­ dersi, sfuggire alla caccia della polizia, hanno creato dei fortilizi . Cioè, profittando del caos urbanistico, hanno sbarrato alcune viuzze del quartiere in cui abitano con cancélli o barriere in cemento. Si sono anche date una via di fuga tramite passaggi nascosti. I noltre , hanno blindato la casa e messo telecamere o dei ragazzini a guardia . Solo a Napoli, in una città senza Dio, poteva succedere una cosa del genere ! La polizia si è decisa un anno fa a buttare giu gli ostacoli. Fatica sprecata. I blitz, con Tv al seguito, servono solo per i telegiornali. Guardiamo poi , ai giorni nostri, in periferia, i piu giovani . Sono tutti in divisa: vestiti uguali , scarpe da ginnastica, tatuaggi, orecchino e piercing. Non leggo­ no nulla, non sanno nulla, non vogliono sapere nulla. E stiamo parlando di quelli « perbene » . Di ragazzi che magari vivono alla giornata, ma non sono camorristi. Questi ultimi li vedi lontano un miglio : sprizzano ar­ roganza. Lo Stato ha distrutto le vecchie famiglie, in­ carcerati i capi, fatto fuori tutte le regole. Ma non ha distrutto il traffico di stupefacenti. I giovani camorri­ sti si sono trovati la strada spianata: padri in galera e

IL

CAMORRISTA

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mercato libero. Lo hann o occupato. A modo loro. Sen­ za esperienza e memoria storica. Non esistono piu nem­ meno, in senso tradizionale, le famiglie , i clan . Sono saltate tutte le alleanze , si spaccia eroina avvelenata, gli sgarri sono all'ordine del giorno. Conseguenza ? I v entenni si scannano tra di loro. Tutti i giorni. Del resto, cosa ci si può aspet tare da un giovane che inizia a farsi di coca dal mattino ? Va in giro in una città ridotta a una gabbia di matti con una